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Friday, July 5, 2024

GRICE ITALICO A/Z C12

 

Grice e Cerebotani: l’implicatura conversazionale della botanica linguistica –  e il prontuario -- il toscano di Ceretti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lonato). Filosofo. Grice: “Ceere-botani is a genius, and I’m amused of his surname, since a linguistic botanisit he surely was! His ‘prontuario del periodare classico’ charmed everyone, including his ‘paesani’ of Brescia – the little bit on Lago di Garda! There’s a stadium in his name! He also played with Morse, which means he was a Griceian, since he was into the most efficient way of ‘transmit’ information! ‘quod-quod-libet, he called it, what Austin had as Symbolo!” Presentato da Marconi. Linceo. Altre opere: “L’organismo e l’estetica della lingua italiana classica” Inventa il teletopo-metro, l’auto-le-meteoro-metro, il tele-spiralo-grafo, ecc. Il pan-tele-grafo-cerobotani o tele-grafo fac-simile, cioè apparecchio a comunicare immediatamente e per via elettrica il movimento di una penna scrivente o disegnante ad altre comunque distanti.  Emise idee sulla tele-grafia multipla. Fonda il Club elettro-tecnico, coll’intervento della regia Legazione italiana. Inventa il tele-topo-metro, uno strumento che serve misurare la distanza tra due punti. Altre opere: 'La tachimetria senza stadia'. Fa costruire una stazione meteorological. Amico di Marconi. Riesce a trasmettere La Divina Commedia a 600 km di distanza. Nel settore della geodesia, inventa il teletopometro, un apparecchio che serve a misurare le distanze fra due punti che sperimenta sulla marina da guerra. Inventa il nefo-metro, per misurare le nubi. Costruzione di una stazione meteorologica automatizzata nelle montagne del Caucaso. Questa stazione e dotata di strumentazione in grado di comunicare le variazioni atmosferiche direttamente a Roma attraverso segnali a radiofrequenza, ed era alimentata elettricamente con delle batterie che si dovevano ricare ogni due o tre anni.  Il teletopometro serve a misurare la distanza tra un punto mobile ed un punto fisso. Il Santo Padre l’esegue la misura della distanza tra la cupola della basilica di San Pietro e le stanze papali. Il teletopometro fu usato a inizio secolo per eseguire i primi rilievi topografici in Liguria, ed è stato soppiantato poi dal telemetro monostatico.  Inventore di un telegrafo a caratteri, che fu sperimentato con successo tra Roma e Como. Inventa un ricevitore a caratteri senza filo, che rende più docile il Coherer.Inventa una serie di strumenti per le miscurazioni, come il autotelemetereografo e il tele-curvo-grafo. Inoltre, ha anche costruito un pantelegrafo, ed è stato il primo a tentare una trasmissione radio inter-continentale, esperimento che riuscì a Marconi. Il tele-autografo è uno strumento che sirve a trasmettere un segno (disegno o scritto) a distanza. Costruì un teleautografo che, con un penna, permetteva di comandare il moto di una penna ricevente, comandata elettricamente. Grazie al suo apparecchio, riuscì a trasmettere un segno a 600 chilometri di distanza. Il sistema di rilevazione della posizione del pennino, e di comando, è completamente diverso da quello del pantelegrafo Caselli. Nel settore della telefonia, inventa un selettore per una chiamata individuale, per centralini telefonici e telegrafici inseriti in un circuito; il 'Qui-Quo-Libet', oggi chiamato telegrafo stampante. il teletipografo, o telefono scrivente, o telegrafo stampante. Il teletipografo è una macchina da scrivere collegata ad un telegrafo, il quale a sua volta viene collegato ad una ruota, il 'tipo', sul quale sono impresse le lettere dell'abecedario.  In trasmissione, l'operatore scrive sulla macchina da scrivere, e il telegrafo invia una serie di impulsi elettrici che codificano il carattere inviato, come nel codice morse. In ricezione, il telegrafo riceve gli impulsi, e, in base al segno, comanda il 'tipo', con il quale viene stampato su carta il carattere ricevuto. Lo stesso apparecchio è utilizzabile sia in ricezione che in trasmissione, e sfrutta la normale linea telefonica.  Questo strumento permette di trasmettere un carattere alfanumerico ad una velocità di 450 segni al minuto (più di 90 parole, come una normale macchina da scrivere dell'epoca), e quindi tre volte superiore rispetto al codice morse.  Usato per le comunicazioni tra la Segreteria di Stato e gli uffici vaticani.  Inventa un orologio elettrico senza fili, capace di regolare il movimento di altri orologi collegati con la stessa fonte d'energia.  Studia la luce fredda. La lampadina ad incandescenza sfrutta l'energia della corrente elettrica per effetto Joule, mentre la luce fredda è luce generata sfruttando la corrente con dei condensatori, in modo tale da eliminare il calore. Questo tipo di illuminazione ha trovato impiego nelle lampade al neon. Lo stesso principio della luce fredda è anche alla base della tele-visione.  Altre opere: Direttorio e Prontuario della Lingua Italiana. Dizionario biografico degli italiani UN SAGGIO DELL’OPERA. Nervatura del periodare e dire classico italiano (“I () i.ABBOZZI E LINEE I ) I l N DIRETTORIO E PRONTUARIO DELLA LINGUA ITALIANA sI:(1 ) NI ) () (i I, I S(H: I l 'I ()1: I ANTICHI a) V 1, I ' () N A “. 'I' AI;. 'I'I l'. Vl. I; l 'I l'IN EI. I, l E i FROENAIO  ('n i grande mov/r, l'archi: o c', ''a / ) a italiana - (, e mesi da V /i ) i o / /i, le gio. a m. ' - /Xivisione -. 1//a f, ggio in cem, l ’ abi/e, intangibile il valore dimo, fra l ' - l ' 7 de /fo di scrittori gratissimi e figure rºt/or he, le me/a/ore non sono la lingua - Voi: i stile senza la lingua - V)all'integrit. 1 del tessuto la psiche della lingua italiana - Via lingua italiana adopera al risveglio del sopito genio italiano - Prima demolire e poi riedificare - L'una e l'altra cosa dal Direttorio imp, ric a. miun senso da lingua, chi ct // ruga a ſe la c/o cuzione può essere cosa convenzionale e arbitraria. I mularne un mom/i le//a ne va dell’'intrinseco valore e dell’importanza adunque e valore ancora didattico del DIRETTORIO. Opportunissimo ad ogni pemma e gradevolissimo il PRONTUARIO l/aniera di  la S (17 ) a 62.  Sono agli sgoccioli della povera vita mia, e sarebbe gran peccato se mancando questo uomo mancasse anche quel po’ di bene che mi sono lavorato per la patria mia adorata.  sicura, un repertorio, l’archivio della sua bella lingua. Se niun’opera dell'uomo può essere mai si conipletº e perfettº che non sia anche suscettibile di modificazione e di ammenda, molto più devesi ciò affermare di un saggio che vorrebbe aver cerche tutte le innumerevoli regioni e più riposte di una lingua, e particolarmente di un saggio siffatto, il cui indirizzo. o dirò meglio il cui voto Sarebbe di somministrare ordinatamente e con la scorta di acconce riflessioni, le devizie, le grazie, e le pieghe tutre dell’italico idioma. Sarebbe quindi temerità, milanteria a dargli nome di opera perfetta e completa. Il modegi i.clo che per: in fronte, cioè, non altro che di semplice ABBOZZO E DI LINEE vuole adunque temperare il malsuone che farebbe dirlo alla scoperta: DIRETTORIO E PRONTUARIO. Uscito dall'aringo delle scuole, ove lo spirito comincia sanamente a vedere, e prende triove forme, ed è avido di nuove cose, ed agile e svelto si addestra ad imporare, lui tosto sollecito di lavorarmi mano maro una certa maniera di altre tanti 'dde-Aic, un quante le discipli te nelle quali l’ufficio mio portava che mi erudissi, e delle quali era vago. E così col decorrere degli anni mi vennero riempiti parecchi vade-mrcum, sia delle Sacre Scritture, sia della Morale e della dogmatica, e sia ancora delle cosidette scienze esatte, della storia, di alcune lingue moderne e finalmente di una maniera di scrivere dei nostri classici italiani, che mi º brava non solo diversa dalla comune e vol gare d’oggidi, ma che mi piaceva e mi andava all’animo che nulla più. Andò poi tanto nn, i 'anore, la delizia, la vigoria che veniva il sito spirito dailo strid e ibri di quei gloriosi dei 300 e 500 che mi misi alla dura di farini gia dentro terra, scandagliarne le ragioni ieg he, sapere dell’onde e perchè di questo notevolissimo, sostanzialissirio divario, e presi subito a sviscerarne tutti gli autori che quel l’Accademia slie il più bel fior ne coglie i propone si come maestri di;ingua ed ai quali dà nome di “classici”. II l'ade-Meetini della linea italiana cresceva indi a dismisura, di che man in no che si accumulava il materiale, anche l’aculeo della me, e venivº ogrori più assottigliandosi, ghiotta come n'era, avi da vi più e brenese di elaborarsi sicuri, costanti criteri qual che la m sria e lo stile del saggio classico si fosse, mercè dei quali riconoscer ip os e I i s ! º º ci, sicuº, che giammai in n saggio volgare e moderno. Sgom:onto e in caſi piacciº insieme a ripensare le aspre fatiche Che con diuturnº i reità ho durate per anni ed ºnni, solo di vederla a purtg di ragione e chiarirmi di quel tanto encomiato ma non mai spiegato non so che. Stupendo, meraviglioso i tito quello che il lorno i.ll l I l CAN/ A  r ci lasciarono scritto un Varchi, un Bembo, un Cinonio, un Corticelli, e molti altri. Sottili le disanime di un Bartoli, amplissime le ricerche, gli si udi di un Gherardini, da sim fuor g. gr mi. Ai. le dissertazioni di un Padre Cesari, ma dopo tutto ciò, dello scrivere classico non si è porta e discussa altra cosa che gli accidenti e le apparenze dell’essere, non il suo vero essere vitale, quidditativo, sostanziale. L'essere. ia ma, ura dell’ELEGANZA si rii i ſino tuttavia og cilta, e cgili a loro h e rg, vi i ce.re ch: i ganzo è al postutto un non so che. Ma è appunto questo non so che che io voglio a tutt’uomo tor di mezzo, e farla intuire, non che sentire, l'essenza, la quiddità immanente di quello che dicesi: Il ci  N / A.E stimulato dall’ardore di questa idea tenacissima misi mano ad un lavoro arduo e faticoso quanto niun’altro: mettere cioè a riscontro di tutti quegli infiniti luoghi del 300 e 500 che più mi ferirono la medesima cosa detta mºdernar:ente. Riempiti poi che mi vennero per siffatta guisa ben cento e cento fascicoli, e pºstº luindi nenie a tute le più minuti circostanze del differire che fa IL LINGUAGGIO di riº: d l 'ic: classico, mettendo di ogni luogo in rilievo quelle voci, tutti quei momenti del logos, quelle curve, quelle pieghe, e quella maniera di costrurre che è sol proprietà di ogni scrittura antica e classica, di º cosa all’opposto niente cc:nsine º una cenna volgare e moderna mi notai da prima di ogni penna classica, e di ogni stile, il mantene e ripetersi inalterato, sia di un medesimo assetto e tornio periodale, sia di certe singolarissime  locuzioni: ci; mi sfuſi i denti qui.iti i s. a più i ngo e la virtù 2 e di 3 ti -, ingr. l Ti s. I e investigandone ad un tempo, e quanto possibile acutamente, gli intimi rispetti e le più riposte correlazioni logiche, mi vennero a non molto veduti e costantemente confermati tre ordini distinti di quella cosa onde a mio senno di genera l’eleganza: e sono appunto le parti della prima sezione di questo saggio. Cose di indole organica e che più strettamente si rife riscotto al tessuto periodale: inversioni, separazioni, compagini, locuzioni elittiche ecc. Parole e forni e notevoli, e il cui retto uso adopera anche alla l'ila del DISCORSO e all'ossetto costruttivo.Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso alla elocuzione garbo si deriva e vigoria.  E' in 'b e  ci reggi e 1 in to ge s ort che: - 'n - 1 v altri studi, altre sollecitudini me ne impedivano, l’avrei già allora consegnato alle stampe, malgrado l’indole del tempo che abborrisce dal cosidetto purismo. Era naturale che, compenetrato come era di questo purismo, gli scritti che misi poi fuori intorno alle mie elucubrazioni scientifiche  v-vºno essi pire ris mire del 300 e 500. A vedere lo spirito al tutto singolare e diverso onde sono guidate le lettere d’oggidì, basti ricordare come siano mal capitati i miei manoscritti, e come gli inca ricari della stampa, non che loro andassero all’animo, ma neanche può e re. p v. i, c gion di ssinpio, aveva scritto che quel litogo era oscuro che nulla uscita vi si scorgea» (simile a: selle scura el la dii iita via era smarrita) per la stampa si volle ritoccare e completare: a quel luogo era tanto oscuro che.... ». E dove: i n sºn va che l in', se a condiscºndervi o se rimanerme ne » (simile a: non Sap 'a che farsi. Se su 'i salisse o se si stesse, l3ecc.) iº lo vidi inve::: Inp. 1a così: non sapeva che cosa do vessi farc. Se vi dovessi accondiscendere ecc. ). Dove: « nè questo già ner sancr farmi sl, al viadon sss (tolto di peso dal Bartoli) si sta impò invece: nè questo già perchè egli vi adoperasse sapere darmi o li dove ancora affermava di avere fatto a una cosa a spasso », di « esserini pensato non so che di a arer cessato una mala ventura, di giºcº l'aiiiino a checchessia » ecc. ecc., oimè, dolente mè! che invece mi freero dir el vevo ! alla cosa al risseggio » che ci aveva pensato di noti so che, che la mala l’entura era ceS Sgla o che aveva un’arimo grande per ecc.. ! ! l: di questi pretesi titocchi ed ammende Sono Sconciamente straziati e snaturati i miei manoscritti che si pubblicarono cella mediazione di chi non aveva paia o di rivonica, i nº chi classici.E' quindi agevole immaginare lo si to del mio animo (ora che fi palmente mi accingo a pubblicarle queste mie fatiche giovanili) di frºnte all'indirizzo del mondo linguistico d’oggidì. Forse si griderà al retrogrado, al pedante, che vuole imporre cose vecchie e smesse, e rimettere sul mercato masserizie da rigattiere e da cassoni. Ma ad enta di tutto ciò tri pensiero già ſin d’ora mi sorregge e mi conforta, ed è che di questo saggio, quantunque in contrario sia per seguirne, col l’immensa copia di esempi tolti dai saggi mastri, e di ogni forma e di ogni stile, riun critico, per acre e spiacevole, potrà mai impugnarne il lato DlMOSTRATIVO, che cioè il Glamiera di Scrivere degli antichi è gitelia che ti si dimostre, ed è altra dalla comune e volgare dei mestri giorni. E qui lascio la parola a nomi autorevolissimi, e prima a quell’entusiasta che fu del 300 e 500, l’abate Giuberti, il quale pieno di sdegno verso lo scrivere moderno, lo dice, nel suo PRIMATO, senza una pietà al mondo. Pedestre, terragnuolo, ermafrodita, evirato, senza nervo e colore, di mezza temperatura, non si alza dal suolo e striscia per ordinario, allia e svolazza, non vola mai, una fosca meteora, non un astro che scintilla. E più avanti si rifà all'affrontata, e lo chiama scucito, sfibrato, spettinato, sregolato, scompaginato, rugginoso, diluto, cascante, floscio, gretto, goffo, deforme, un bastardume: un intruglio, un centone, un viluppo di brandelli, e ciarpe straniere, uno stile da fare stomaco, spirito francese camuffato alla nostra le ecc. ecc. ), mentre, tutto ammirazione e venerazione verso gli antichi prosegue e scrive: a Paiono talvolta ritrarre gli aculei sentenziosi dei proverbi e le folgori dei profeti. Quanta leggiadria e gentilezza non annidassero nel maschio petto di quegli uomini a cui la schifiltà moderna dà il nome di barbari! In quella era vera coltura Ciò che oggi chiamasi coltura è in molti piuttosto un'attillata barbarie. Anche il laconico ma forbitissimo Gozzi lamenta che l'Italia non sa più come parli e ognuno che scrive fa come vuole, una fiera dove corrono tutte le nazioni e dove tutti i linguaggi si sentono. S’impa racchi a II n a I l m g II a S m 0 I I i C a td e tr 0 Il Cd, S e Il I a a r red 0, S e n 1 a 0 n 0 re, St 0 p er di re S e Il I d l ibertà e dà quindi sulla voce agli scrittorelli senza studio e fatica necessaria ad acquistare un sicuro possedimento di quella lingua in cui si scrive, i quali scrittorelli non avendola per infingardaggine curata mai, atterriscono tutti col dire, che essa è inutile e col farsi beffe di chi vi li a p er d II t 0 d e II tr 0 gli 0 C C h i. Il melodico e terso Salvini deplora esso pure i traviamenti letterari dei suoi tempi, presagisce e nota. Guai alla LINGUA ITALIANA, quando sarà perduta affatto a quei primi padri la riverenza! Darassi in una babilonia di stili e di favelle orribili, ognuno farà testo nella lingua, inonderanno i solecismi e si farà un gergo e un mescuglio barbarissimo. Chi non sa che il grande Davanzati, è una maestà, un portento in opera di lingua? Ma ecco come alloguisce coloro che già ai suoi tempi facevano a fidanza con lo studio e con l’uso della lingua. Fingete di vederla (la nostra antica favella) dinanzi a voi quì comparire in figura di nobilissima donna, maravigliosamente adornata, con la faccia in sè bella, quanto amorevole, ma ferita sconciamente, e travolta le sue fattezze e tutta laida di fango, e che ella vi dica piangendo e vergognando. Guai a me, che straziata sì m’hanno, come voi, quì mi vedete, quelle mani straniere.  Io vi chieggo mercè. E ora sia lecito anche a me, sotto l’egida e fra le trincee di questi valorosi, di dire brevemente quello che ne sento, ciò è a dire chiarirci di alcune idee, ed anche discorrere l’opportunità ed il valore non solo dimostrativo, ma anche didattico di questo DIRETTORIO. Asserendo che nei dettati alla moderna non vi sento quella leggiadria, quel garbo, quel CANDORE, quel non so che di soprasensibile che regli antichi, non è già mia intenzione di censurarne le alte concezioni e menomarne comechessia il valore e la spigliatezza, e sia nella scelta e convenienza delle metafore e delle immagini, sia nella vivacità e pompa delle descrizioni, e sia in questa o quella cosa, che del resto, i cn è, vi, p v': c velli rs it:li no, ma che può essere comune e sº bene neiie in altre lingue. Se l’essere, il valore di una lingua dimorasse sol nei vocaboli e nelle figure rettoriche, cioè ièci traslati, nelle metafore e nelle immagini, non sarebbe l'idioma, e ne andrebbe del carattere non ch’altro e dell’estetica della lingua in quanto lingua le varie lingue tornerebbero ad una, e renderebbero immagine di III la sola cantilena che sia suonata ora con uno, ora così altro istrumento, differendo l’una dal l’altra solo quanto può differire il suon di una tromba da quello di: 1): l ri: ti:.I e concezioni, il modo di pensare, la disposizione e l’ordine del le idee sono di una persona che ne ha la lingua, non altro che il suo stile, cioè un fatto suo individuale, una maniera di DISCORRERE secondo intende e sente. Come non può essere che un uomo si cessi la sua individualità e ne prenda un’altra, così sarebbe opera disperata chi si affidasse di pigliarsi lo stile d’altri. Ma la cosa che negli ameni dettati degli antichi si impone alla nostra ammirazione e vuol essere oggetto di considerazione e di stu si o, è l'intrinsec. e sei le ferma sostanziale, c S nip e la medesima, di qualsivoglia stile, dalla quale allo spirito più che al senso quella soavità viene cottel diletto che mal si cercherebbe nella materialità delle voci, è la grazia, quel vago ascoso e nudico onde ogni stile torna a quello che dicesi stile elegante: simile alla luce che, mentre senza di essa ogni cosa è spenta e al senso della vista non è solo che un suo raggio apparisca, la natura tutta subitamente risveglia, e alle molteplici individualità del visibile dà vita e vigoria di ghºzzo infinito, la lingua è rispetto allo stile quello che la luce, la forma sostanziale delle cose, rispetto alle individualità. Comr l’origine e l’essere di tutte le infinite individualità della luce, le quali sono perchè sono i sensi, è un solo, oltre la barriera dei sensi e fuori di cifra, fuori della ragion di quantità, fuori delle angustie delle individualità, e come al  -  tresì la sostanza delle cose è costantemente e universalmente una,  inaccessibile ai sensi, e, come che essa pure non sia ai sensi che per le sue individualità, cioè per quello che dicesi materia seconda, specie od accidenti, ell’è tuttavia ben altra cosa che le infinite sue individualità, così l’essenza della vera lingua non può essere che costantemente UNA, un “non so che” di soprasensibile, quantunque ai sensi svariatissima nelle sue individualità, che sono appunto quello che ha nome stile. Si parla di stile più o meno elegante, più o meno piacevole, ma non si pon mente alla ragione intrinseca di quel grato che per lo stile allo spirito si deriva, il quale, non nella materialità dello stile, ma bensì nell’intima vitalità della lingua essenzialmente dimora; simile al vago della bella natura, di cui più che il senso lo spirito nostro si diletta, e che non dal sensibile si genera e dagli accidenti, ma da quel l’occulto che ne è l’essenza vera, il principio di vita. E poichè ci venne dato nei veri della natura, notisi ancora una acutissima considerazione onde la natura stessa ci è maestra, che cioè come cosa qualsiasi non può essere individualità di una forma sostanziale ove ne manchi la sostanza (a cagion d’esempio individualità del l'oro, del legno. ove manchi la sostanza dell’uno e dell’altro, individualità di un essere sia vegetale che animale ove manchi la vita) così non solo non può essere lo stile di una lingua stile elegante, ma addirittura non ci può essere stile veruno ove manchi la lingua.l: ora si capirà anche meglio l’eff to di soc”:inzi.. he cioè la natura, la forma sostanziale di una lingua, e più che di ogni altra della nostra cara lingua italiana, nei cui visceri ogni cosa è vita, delizia, soa vità e pace, è ben altra cosa della materialità dei vocaboli, sia nel proprio che nel traslato, non altrimenti che di un ricamo, di un disegno il cui pregio agli occhi della mente nulla si muta mutandosene la materia. Che monta all’estetica, al valore architettonico, al concento delle linee di un monumento, di un edificio, l’essere costruito più tosto con una che con altra pietra? Siano pur preziose le parti organiche di un essere vivente quanto si vuole, che giova se vi manca la vita? Di Apelle si narra che, invitato da un giovane pittore a dare il suo giudi zio intorno all’effige della bella Elena, esclamasse. Non la hai saputo fare bella, l'hai fatta ricca. Metto pegno che chi discorre queste pagine e non ha colºu' º di lettere altro che moderna, gli nar di tre o mare, di sm morire, e poco si tiene che non mi mandi con Dio e mi dia anche nonne di esaltato e di sofisticone. Non meraviglio. Il medesimo sarebbe di chi è abituato alle cantilene da villanzoni o solo alle canzonette da piazza e da trivio e altri  volesse di punto in bianco ringentilire il suo udito volgare e bastardo, e recarlo per niun’altra via che tessendone gli elogi, a dilettarsi delle grazie vereconde di un Pergolese, delle profondità pottoniche di un Palestrina, di un Orlando di Lasso, dei portenti delle fughe di un Bach, delle poderosità melodiche di un Beethoven, di un Heyden, di un Haendel: od anche di chi non vede più là delle Sorde larve e Sozze di certe oleografie, più i degli imbratti di un pennello pedestre e terragnuolo, ed altri ne deplorasse la decadenza, lamentasse le turpitudini volgari e moderne a petto delle inarrivabili sublimità degli antichi in opera di pittura e di scultura. Ah! siamo sinceri, e confessiamo ch’è oggimai agonizzante la psiche del metafisico e dell’estetico, e non che sopito il senno antico, ma anche il senso del genio e del bello che irradia nelle opere dei nostri padri, è oggi a termini del più miserando languore. Che altro ci rimane adunque se non di por mano a tutti quei mezzi che adoperano, secondo scrivono l'8artoli, Costa, Casati, ed al tri molti, alla riforma, ad una sostanziale elaborazione del pensiero, ridestando e rivocando a vita l’originale candore, il sopito e per poco spento GENIO ITALIANO è l’elaborato mentale, soggiunge a tal uopo Giuberti, è di sì intimo messo inoculato al linguaggio, che sarebbe violato e guasto il concetto, ove la parola mutasse, o l'ariasse un nonnulla. Nè altri opponga che se la bisogna sta come qui si afferma, e si tratti veramente di guasto vitale e sostanziale più che organico del l’umana intelligenza, vano sia per essere ed inefficace ogni umano conato, e che solo il miracolo di una nuova creazione potrebbe ripararvi. Ma non è così, ed è la cosa appunto che vuolsi ora sanamente ponderare. Non è vero che lo spirito eletto dei nostri padri, la mente italiana sia il tuttº esiint: e lo dimostrano i dettati e le opere più recenti di quei chiari nomi che sulle orme dei gloriosi antichi, e frutto di dittti i rime fºriche, riverberano il genio antico. O l’indole dei tempi, o i periodi delle invenzioni e delle macchine, che fanno del pensiero fantasia, o il grido della ribellione al soprasensibile, onde è incatenata la mente, l’ontologico dilegua, è in onore e si prende lo scettro del magistero didattico, la menzogna dell’essere, il mondo dei sensi, l’individuo, la materia, o questa o qual altra mai si fosse cagione, la mente nostra è oggimai avvizzita e recata a una ciarpa, a un intruglio, il senso del vero e dell’estetico sciancato, evirato, l’imaginativa incespicata, aggrovigliata, e non è quindi non solo a stupire, se la maestà e la virtù dell’italico idioma non è più sulle penne dei moderni dettatori, ma se è altresì e tal mente soffocato il senso del vero essere della lingua italiana, che ne è misconosciuta e recata a vilipendio l’alta virtù, ignorato vergognosamente il sublime lavorio che questa lingua privilegiata mirabilmente adopera negli aringhi della vita intellettuale. Con queste mie calde parole parmi di avere toccato dove veramente ci duole e penso che saranno poi tanto più autorevoli in quanto esse collimano coll’enfatico sentire di un Davanzati, di un Bartoli, di un Bembo, di un Varchi, di un Salvini, e ultimamente di un Mamiani, di un Giuberti, e perfino di quell’ammiratore delle nostre glorie letterarie, il grande Goethe. Non si pensi poi che con queste affermazioni io mi lusinghi di avere senza più conquistato il favore e l’omaggio di chi è fuori dell’orbita di queste ai suoi sensi inesplorate regioni. Nò, non ho altro in animo che di agitzzarne la voglio, e che si mett meno ti volt, quegli argomenti con cui inoltrarci, ed esplorarle queste opulentissime regioni.Considerando la profondità e la vastità dei miei studi in opera di lingua, ripensando le trite disamine di quanto trovasi scritto su questo materia e rifacendomi mi oi ist cei eri che mi sei elaborato intorno a quello che costituisce il fascino dell’eleganza, non mi perito di asserire che codesto mio DIRETTORIO è per essere appunto il saggio desiderato, quella scorta sicura ed unica, quella palestra nella giale addestrerº: chi vi si ºccire con i i rivocare l'avito sentire, LE OCCULTE VIRTÙ DELL’ITALICO IDIOMA. Con un terreno vergine e di fresco dissodato è agevol cosa farvi di buoni seminati, ed anche conseguire sana e coniosa messe. Ma se il terreno è stracco, illanguidito, e per male erbe che vi crebbero im bastardito. nulla giova il farvi ritrove seminagioni; gli è mestieri estir parne dapprima la zizania, ucciderne i parassiti e non prima riseminarvi in sulla vanga che non sia accuratamente purgato e risanato. Anche con un corpo ammalato di febbre maligna e male in essere di visceri e di stomaco nulla approderebbero, anzi guasterebbero, i corro boranti e le vivande, se mercè di opportuni farmaci non sia stato prima guarito di ogni male e tornato perfettamente sano. E così è di chi si disponesse a ricevere nuovi semi di quella lingua che egli non può nè sentire nè ipperire perchè il suo senso, rigoglioso tuttavia di cesti e mºssº bestardº, non può altro che sdegnare e ribellarsene, o di chi volesse nutrirsi di quei cibi prelibati che gli ammaniscono le letture antiche e classiche, essendone lo stomaco ricalcitrante, come quello che lº paciucche volgari e mederne hanno viziato e guasto. Sarà dunque opportuno, chi veramente vuole rigenerare e tornare t:sso e si misuoo Ioio top cluoulli, il lusi li op lºI033. Osloo lº::.looue liuis o oltu l ' ºssige il gp o ti lº si p ºsòssi pilºp ºliº ºpei.l. It us el ' i' i ti - e ! ss outigui illuu.ioldsoul Oiesstv. Un li vº: i bl) ºl! Sº! ).le daiºlº slioni i euuuo5 oliomb u lius sºli o i M o duº lºop i silos gllep luo!. ilo Ao olloilo,S Ip lo33s o lo s ſ olt.loqt lº 0 ai i ti: osto o.lilt: uou o 55eniull ouuuun, Ilop ollos e o uuuoò il AS o ºlsiiqo. OI -toni civili lonn 'ouo; o il 9 AIR alloni si sn p op su o!! ). Il ti -Issºlº 3 atlº, lui: ºtti.lo ol olodlu o l illoulillº ºa so Qrº uviu:I  i poi il tt i tr. ss Lt: lº), ci uo:t., e o isoluo5 eu o optAn.. ui, oggi, i 'ti i ti:: ti io lº t:l lido su tre et 't i3: lIou 'Il 2005U )It is It ul it e sul i ti cieloiti i lili è il trilos i luopll S i tit il sot! ti) º il lo, st 3, 8 l.it, º t ti 3llit 8 º A  i el:  tlii lp 't ult: ulti del 9 l lu ti iº - il so, si s... 'ti i.i....lºli  i; ss ',...... i - i ! i ti&ui  o soli º in l It:ISS º o loti u -  Rutp li ºt toº, ti o, i poi tu º 3 lt è loM o.lgIl lli t..li) op. N..lo slp: 01S, clti, pu Sclip ci, i Ip º lossº t'il pº 'it:5 s: i isl il pºp OiiSAS º al! Se oè, si va 1 otIº tifos. º ºlio p: 0.it tios oso.I -05! A osio; op: i n.lip top t millus G, i tº o 3 As il il 3 osseti lap ei liti in el o Isoi cui il bis '09: loui.it o!!isso) ſi è is 'Glös tipicº -.10ul ti o º lill A i, 5 ti! Sii ! s ºu (olis 10S il q.li i ſiti allº guas iA liliti Il ci º ! A O, 0i) (ſili) i lº!a il p iù.tvi336 | Il ſul SI, riu aus ottiliº I iosi pe.oſse.I l º d lp Girl: Iº tunio.lui uli olei è eluoul el gu: A è tºiplit; o tiri uſi:p 3iiiiSpo otto i p up:I o Aoati olsanb Ip 3Juulo n.ISUS | E.li o illo5 luntti iiiis ol.Iodp e oilun W  o  S.- “Si - Si – s S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale  Il grato e l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel VALORE DEI VOCABOLI e delle l gla o ini) tali lui,ppi: Rida A au ºi i tg ei p..iiil I pil, ivi op oi il I attº cul.o, ind oilºni -lallagui gi! A p !.lvi 5i A º 3 op.It: ci.vt mt! pſ. I; ii ti Iguas  sº Aoin:il nr. - i s Istºnli  a reput. 5 o islip i 51 o 3: Ss li Ili oipnlS ossenb oput ºss ºi i IIIess: lp Oliput ouvs 1: i su Ifil si al c. 5 i.In 15i giri i rp:5ucu. li odita, uno º Iovi ouault: sti: è o niti: ti; olio; Itzu Io ip a ol! Ilds OI aulluas Ip o piis lgido opuali ti OIAi().L.: St | (l Gisonb Ip guided uso 'ofoni dr5 lui ig.it, i Jr. sp: l o, aiuougers -ued eua3del loo eliricituo3 oood: oSod il mio zn glpo. I p o puoizilouºp Ip riodo esami ottº oro:ni oirs e insis AIA e W  ologIpo o Soduco l oillouap bus Uieto n.. nip o Ies gipol.I riolle pº  oluopeA lap e Cisgiº Iap 5 i5sti p.s. p r, iº le p.It, i gol q  -uoo 'oullios opinismq Ons Iap oua.I.io II euil. Iddrp o Iri Ind otte! Ieri  i pure di vertiginosi cicli, e di un tempo oltre ogni misura, e di cui niun atto, niuna parte potrebbe mai mutare senza guastarne l’equilibrio, la Pace. Lungi da me la pazza ipotesi, la chimera del così detto equivalente meccanico, ma è pur cosa ſi afes iter d’ogni dubbio che la vita, il principio semplice di un corpo animale non è, e non può essere sorza i qualitative e ri e che gii è (are a ciò di si intimo nesso coll’integrità del tessuto organico, che tanto sol che intristisca questo f 12 f.f. º gt eii, i si.. i tiri i d. -, uf,3 giui tura o cosa qualsiasi anche minima, non solo ne soffre l’organismo, ma talora si spegne, è finita la vita stessa animale. E altrettale è appunto della bella, delicatissima lingua nostra italiana. Ne va del valore intrinseco e della vita non ch’altro, ove sia ignorato o male osservato il retto uso di certe articolazioni e particelle, o o sia a la siruttura e la curva sconciata, l’ordine dell’azione traviato, e l’occulto di certe voci previlegiate mal sentito od esso pure ignorato. E qui non accade ch’io ne dica di più, che con queste parole e coll’anzidetto ti è ora molto bene palese quello che il DIRETTORIO vuol darti, ed anche come usarne rettamente ed utilmente. Non dovremo poi starci contenti all’esserne soltanto risanati, del guasto sentire e dei torti appetiti, ma saremo anche vaghi di avere a nostro piacere e commando e avvenendo di trovarci sulla penna le grazie, le dovizie di questa lingua troppo cara e più che aitre efficacissima e poderosa. Ed ecco che a tal uopo ti verrà assai volte opportuno ed utilissimo il PRONTUARIO, che fa seguito al Dl RETTORIO, e col quale si completa l’ardito torneo di questa mia palestra. Mentre col DIRETTORIO, cioè collo studio assiduo sulle linee del medesimo, ti troverai la mente uscire gagliarda e serena dai vincigli di una morbosa rigidità, e la parola altresì più leggiadra nelle forme, e nei movimenti agile e destra, il PRONTUARIO sarà per ogni penna vuoi da ringhiera, vuoi da pergamo, vuoi da effemeridi, o che altro mai, fornitore, ove bisogni, di costrutti classici e di un corredo di lingua proprio di quella cosa che altri venisse ragionando. Ed ecco come ne userai. Ti farai a quella parola, verbo o sostantivo che hai sulla penna, ed anche al nome di quel tema, cosa, luogo, fatto, forza, passione, virtù, vizio, arte, disciplina onde prendi a ragionare, e il PRONTUARIO ti da tutto quello che ti bisogna, cemento grammaticale e materiale di lingua. ii fornirà di ogni idea generale un copioso corredo di vocaboli e di modi di dire con brevi istruzioni ed esempi che  ti ammoniscano come e quando rettamente adoperarli. Ti dice quale verbo o predicato sia proprio o meglio convenga a quel tal nome, cioè alla cosa di cui è nome, soggetto od oggetto che egli sia, quale attributo all’uno e all’altro, quali epiteti, aggettivi od avverbi deno tanti con proprietà di espressione la maniera o il grado di essere o di agire. Ed anche ti dirà i nomi delle parti componenti ciò che ha parti, cioè a dire come rettamente e con eletti vocaboli e propri denminare i componenti e le attinenze di cosa qualsiasi. Ti forne da ultimo o più veramente vorrebbe fornirti, e lo fa completamente quando è opera compiuta i vocaboli propri di quella tal arte o professione, e così di puro ingegno come altresì di mano, e degli affetti dell'animo, dell’esterno operare e del muoversi ed agire di checchessia, e in ciascun argomento i particolari e propri modi di ragionarne, usati nello scrivere che ne han fatto gl’antichi, e dove questi ci mancano, presi da quel che ne abbiamo in voce viva adope rati da maestri di buona lingua. SAGGIO DIRETTORIO  cioè ritagli di alcuni vapitoli delle sue tre parti. S.- “Si - Si – s. S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale. Il grato e l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e delle frasi, in un certo spiro di virtù occulta, procedente vuoi da una singolare disposizione e collocamento delle parole, vuoi da una certa forma compaginativa, e vuoi finalmente da certi vezzi di finissimo intaglio, e di raſſilature e tagli a corona. Ed ecco tracciati i quattro capi che ci forniscono a larga mano il materiale di questa prima parte. Inversione e separazione. Particelle e compagini a foggia ed uso classico. Virtù organica di alcune altre voci. Locuzione elittica. Sel a aranzi o 1, i cº II, N cºrsi o 1, i  SEC.) NI): ) (; I, I ANTI ('I I I SC'It I'l' To) RI E ('I, ASSI ("I  Intendiamoci, non è del I per lui lo ch i l' igi I lill e, ch' io voglia pur allegare esempi d’iperbuto. Non farei che ripeter quello che ne hanno scritto ii (il lio, il l'1 l. ll (1 li !li, il Zilli il li, il Ct - il e tanti altri, i quali al postutto conchiudono che quegli soltanto può giudicarne e servirsene rettamente che ha l’orecchio educato alla scuola dei buoni scrittori. In opera di lettere e di estetica nè mi picco di superiorità, nè mi darebbe mai l’animo di prolierirne giudizi, e nè anche di elaborarne acute e sollili delinizioni con le ſa ad esempio TOMMASEO), e molto meno di porgerne teorie e Ilorine da seguire. Uscirei dall’indole e scopo di questo saggio, che è semplicemente quello di mostrare ordinatamente e con grande copia di esempi il dicario che ella IL LINGUAGGIO così dello classico e quello di oggidi, ed anche di somministi al c. chi ne losse mai cugo, un modo opportunissimo, collo studio cioè degl’esempi, di rieccitare nei nostri pelli lo spirito classico, e di tornare a quella forma di dire e di pensare che è la le penne di quei grandi. Siavi di 11 11 I po' balo, che a litrios 1 a 1 lo col vorrebbe prima far vedere come l'ordine inverso – L’INVERSIONE --, sia il diritto o questo l’inverso, raccolgo solto questo capitolo, e Ini diviso secondo un certo criterio buona copia di quel costrutti antichi, nei quali il collocamento delle parole e l’accozzamento delle parti è altro dal colgare e comune dei nostri giorni. Non è però il differire soltanto di un costrutto antico, e come che egli sia, dal moderno, che ciecamente Ini Imuove ad allegarlo e proporne lo studio, ma scelgo quelle maniere che sono più che altre frequenti e più in uso appo i classici, e nelle quali il singolare costrutto è qualità dirò così in lernet, e ormai al III sapore, ad il garbo che lº li a V l'elolo a pezzi il dili al dolo.  La sola TRASPOSIZIONE di questa o quella particella p. es. non vi essere, non lo vedere, non vi rimanere, ecc. - a e ne, la creslllla, per non o vi essere stata valevole gia sei anni che regnò (doardo, la calca degli accorrenti allogava i vescovi e lav.: è necessario che tu per niente a non rispondessi a persona, ma sempre acessi vista di non li vedere e non ii udire l’irren: noi possiamo i ce le si avagali lettori di non le motteggiare (gli al ll il a niere? a non vi prosperare? a non vi proteggere? Segn.: si potrebbe a Ialun contenere di non se gli avventare egli stesso alla vita? Scull.:  o una semplice inversione di parole umana cosa è aver compassione degli allilli. Zali.. e me anche quel tanto a loro il vello il fine, il li sono oggetto e materia di questo Caploio, ma quella trasposizionr e inversione, onde al periodo, come si è detto, viene talora vaghezza ed anche alla frase maggior forza e gravità: one che allore verullo, ch io mi sappia, le abbia ma da quindi addiello rilevate, e messe in Vislia siccome prerogativa dello scrivere antico e classico, lo è la cosa al punto che prendo io ora a dimostrare, ma senza apparato e pompa veruna d lunghe e trite discussioni, e in un forma semplice al possibile ed evidenlo. Ma prima di farmi a quest’opera mia e di mostrare queste separazioni e dulle le altre cose di questo saggio divisale in articoli, la mi di richiedere il le loro benevolo che gli piaccia di rimanersi da ogni commento e giudizi sopra i singoli articoli, che a guardarli lo singolo non sono allo che mini vie, ma di aver l’occhio a Illella gran massa d'oro, della quale ogni articolo non vuol essere che una imponderabile particella NON DER … CHE … MA in luogo di non perchè …ma … Ciò è a dire: il per disgiunto dal clie e frammessovi l’oggetto o predicato.  1. ignal, o poco pi illico irl cosl li e o per dar rassic, valido  V. gl’illel'11lare clic: non llll'olio cagione di... lecchessia gl' Insulti e le Villalie che il ri limiti gli lanciasse, ma il suo procedere indecoroso cec. esporrebbe il silo a 11 ello solo sopra cosi: non pºi clie ei mi dicesse insulto o rillania, ma ecc.  L'esperto il 1vece, o chi ha e sente le maniere antiche e classiche disgilige il bell il l vigo assi Is e ci si non per insulto o rillania che ei mi i licesse, il t....  Pochi esempi e basteranno a farlerle assaporare il grato, ed anche inlerider e la relaliva il rip, rli - IliII1ento che niun articolo, per esiguo, è cosa di sì poco momento che, a conserto di mille e IIIille altre ond è forni ore codesto direttorio, non sia anch’esso un argomento di vita, per quali lo II il loscopico, un umile virgulto di quell’albero rigogliosissimo e poi il post che è il linguaggio classico.  Signor mio, io non vengo nella tua presenza per rendella ch’io attenda dell’ingiuria che nn è stata ſul lat... ma... o 13occaccio. Nè questo già per saper d ai mi ch’egli vi alopei disse che in quello s in arrimento non ci rimase al riso dai la milo..... l li..... smarri, ma pur di nsi per l'ergogna che per animi o che gli bastasse a tanto, ſullosi cuore disse. Bartoli. Non opera ra per appello o propensione che si sentisse a questa ed a quella cosa, ma pure a guida della ragione e del placer di Ilio Cesari, Ed anche senza la correlazione di non e' mai può talora aver luogo si alla disgi Illzi 11. Standosi adunque l’uggieri nella camera, ed aspettando la donna, a rendo, o per la lice, durata o per cibo saluto che nel nulla lo stresse, o forse per usanza, una grandissimo sole, gli renne reali lui....... I; i carri. rispose che ben si ricordava che andalo era ad albergare con la fante del maestro Mazzèo nella camera della quale area bevuta acqua per gran se le ch'a rca a 13o crio.« e riponessegli l’anima sua sicuramente in mano, chè ben potea farlo, per l'uomo santo e lollo che sapere: lui 'Nsri e litrioli,Ed in generale, sempre che la cagione o non cagione. Il 1olivo, ocra sione di checchessia è l'oggetto stesso, non il rispellivo verbo, si pºne primieramente quello a guida di per per cagione, per motivo, quindi il relativo che e finalmente il verbo: sol per l'amore che io nutro per le, non perchè io nutro ec e per i lucia le mia ch'io porto » ecc. ecc. Nolisi da ultimo che la stessa forma per... che... può avere altresì forza di: per quiet n lo ch. Al, i ciò sara: i i ben altro e più rile V al I ri-Si liti nel [.. lil. io il tv: i 1. ci zioni elillich r.  Cilf: pronome relativo di quello, questo, costui, tale, quanto, uno ecc. si disgiunge dalla voce cui si attiene posponendolo al verbo e appar  tenenza relativa al primo inciso.  a... il sole è alto e la per lo i tignon, culi o cd ha tutte le pietre asciulle: perchè tali parola 'slo lo sci di p ii, le ri sono che la mi all in di tmzi li il solo l'abbia i ts ull, poi i n n...... I3oce. “. Quanti leggiadri gorani, li quali, non l'alli, ma Gallieno, Ip poci di li' o li si illui puo di ri i no 1 li li all ' s NN, mi - la nullino lesinarono coi lor per l en ll, con poter mi col ct mi ci che lº, la sera i 1 nºn lo appresso nel l'alli o non lo conti on lli lo i passi li li a lo.e colui è più car o ai ril, e più la mis, i se si un ali signori onorato con pl e mi gi o nolissimi i cºsti letto, che poi il lom in roli parole dice, o a alli; 1 i cin (lo l i gogna, l rol, il l mondo pi esºn le ed argomento assai, rielen le che le rii li li la I l poi i lil si l anno nella leccia dei rizii i mise i rice'n li di blu nel nulli. I 3 c.La speranza del per loro si è data a chi lo ruolo: e colui l'ha per mio dono, che del suo peccato duole la l'odi.(nche di esse e il conlessore nello in poi i la penitenza discreto. ll e alcuna cosa pruolº la re o sos le me l'e' una persona, che non può l'alll rai o. IPassa. Con questa melajora e somma bi erità diciamo: uno aver dipinto  1) Anche la lingua francese offre esempi di costruzione non guari dIsstmlle; tel brllle au second rang qui s'éclypse au premier. che dello o lalto ha cosa calzante per l'appunto che non polea star me glio. Davanzati. Quando.... tal cosa verrà ben falla che non si pensa. Dav. « Qualche gran fallo dee esser costui che riballo mi putre o l?occ (coslui che.... dee essere...(Oggi si direbbe saper di guerra o ragion di stato che fa lecito ciò che e utile. Il popolo la direbbe un time in I)av. i gi ii) si | | il ll es.. si direbbe. E in colal guisa, non senza grandissima utilità, per presto accorgi mento, fece coloro, rimane e scherniti, che lui. Iogliendosi la penna, a rea il ('r('alli lo sch e l'm iro so. I3 cc. E quello essere che era s'in aginò l?arſ. a 1)issele: non isl in sti c. moglie mia, uomo tlcuno mai essere nostro amico, il quale la reggia on I ro il nos/ I o cuoi e o, IP: Indolfini.co Colui non fate citt e Neri i tio. che non rºtolo rirºre sul no e' lie / - di ilſilli. Quegli al bisogna di poco che poco desidera ». Albertano. a 1 ssai son di quegli che a capital pena son dannati, che non sono dai prigionieri con tanta guati liti sei riti. Rocc.a Indò per questa selra gridando e chiamando a tal'ora tornando indietro, che elli si crºllera in noi in zi di malare o lº scr.« E i ri si riduce rat no come a un porto, in perocchè saperano che ('hristo ri remira, e non gli polerano andare dietro in ogni luogo e ta lora crederano che fosse in un luogo, ch'egli era in un altro ma vener, do in Iº e la mia. Cav. Solo Iddio sa i nostri occulti ed il nostro fine, che il giudicio umano molto è fallace: che spesse volte tal cosa ci parrà buona ch'è ria, e tal uomo ci pare rio ch'è buono Cav.rispose che delle sue cose e ai nel suo rolere quel farne che più gli piacesse. Bocc. Propose di rolere andare al mostra lo luogo, e di redere se ciò fosse rero che nel sonno l'era pari lo. I3ore.a I)a Pietro martire a Solo quel lirario era che già S. (toslino futc, ct da Futu sfo mi al nicheo, suo maestro, a S. (n broſio: l'uno lullo fiori e legge rezze. l'altro frutti e saldezza, Dav.a l)i I)icembre dicono che nulla nasce che si semini, pur semina o i zo, o fare in su lui ranga. piselli e sul ri le fu mi. I)il V.a Quella potenza con ragione si stima maggiore d'ogni altra, la quale con sussidio di minori mezzi può conseguire più felice nºn lº il suo line o Segneri.a gitta l'ammo e tal pesce li rerrà pigliato che ralfa il tributo per lite » (esari. Due nomi, aggettivi od avverbi relativi ad un sol Soggetto 0 verb0 a) Si separano frapponendovi il verbo. Anche il complemento indiretto disgiungesi talora dal rispettivo diretto, pure frapponendovi i verbo.  c) Gli aggettivi si trovano talvolta framezzati dal sostantivo.  \ l 1 g.... l sl e silli, i - i scolla la, l I l: - Il l  i pez, a il II iscir: \l::: ' s." ;  i viaggi chi blo  s.... il liri. I sing il il suº pensi li stili e li - si si i. II. Il li sºlº lirli resi i vigli, sl 1 il II, Lici II l ' s  l; in ºsservazioni.  Vs sa sono li al rialli, ss nel s', i rºssi,. maestri s, l. I li alll I  castigatori. I 3. l: ln i ritiri il ', con i tiri, l isp, N.. ll delle sue cose era nel suº  i, lei e quel farne cºl pari ai li pºrti ss i \ ella quale gran parte i ipoti di un de sui soldati \ l.  i qui i rolli per chi mi ieri sono, nel n. ilio alle donne stanno cli, agli ucnini, in quanto, pii alle donne che ci il rion lui ii molto pati la rº e lungo, quando si n: a 'sso si mossa la si l: Nali,  lº si l ri'il miº l.l l ' i '', un fiero i nº, l un forte. I 3, i.  lº, i  Trori i no, in luogo, le loro i rom: mi stanchi. Il grossi piloti reni buoni.I)i ſanta ma i tiri lui e di cosi nuova in i pieni..... l3 o. E l appresso, questo non si lanci le la rozza rocr' e rustica in con le il l e o il latili nel riclit NN, il ct oli canto lire' i no mi tr Nl l o r, li suono, e nel cui calcoli e nelle cose bellich cosi noti in come li lei i t. snc: lissim ſi l lira' il n. li mi rilici e, in grandissimi ti i pomerili e con presti aliula nel lit.... I 3 c'e' I n uomo di scellerata vita e di corrotta, il quale lui chiamato le lo il lla Alu Nsti e. lº ce.I' mi nella nostra città un grandioso in cui la nl e ricco. l ore. A piè di una bellissima fontana e chiara, che nel giardino era, a sluirsi se n'urnalò ». Bocc.  Voi ordineremo onorevole compagnia di buone donne, e anche di buoni uomini e forti, che li possano portare, e larci cessare la gente ulosso. Cavalca. e questo addicenne che quanto è maggiore la infermità e più puz zolenie, lanlo il medico, s' egli è buono, più s'appressa all'inlermo, e di più si studia di guarirlo losſo. Cavalca. e (in cort disse loro, il lil tulo come al rºssºro la re, e' eleggere atlcune buone persone e fedeli che rendessero queste cose, sicchè. Cavalca. Essendosi tutto il bianco vestimento e sottile loro appiccato alle ('t l'ni...... ». 13,:C.1ncora quegli rampolli che sono occhiuli di molte e grosse gen me e spesse, impe occhè dore sa di moltitudine delle gemme e spesse iri ſia l'abbondanza della genei a lira rili. Cresc.«.... oltre al credere di chi non lo uli presto pati la loro val ornato Giambillari.« Patira questo ignorante popolo e rozzo quelle lungherie, e parere rallen le chi altra ra l il ll, un ali di uli I e. l): I V ill.1 rera ad un'ora di sè stesso paura e della sua giovane la quale lullaria gli pur era di reale e o lui oi so o del lupo si rangolare... I3 cc « e oggi se fiore ho di sapere e nome rie il più la rel si cl e lui gli ai 1 - ringhi, e roglio oggi mai rimane mene o. I)avaliz.a Tu che di nascosta ch'ella era ed impercettibile. la remule's li molti ' I rut / la bile il ricorut at i Neri Si...., Stºgli.« Non prima dir parola le rolle di correzione che dileguato si foss' ogni accusa lorº. Sºgn.chi men riuſ ut I lui al lungo studio e sollecito da lui adoperarlo in lui piccolo a rincere ogni pazioncello e Cesari.a Belli sono i fiori e vezzosi; mi ai coni e dice il prorerbio, in mol no all In I l i non islam l), no... Silvi! i.a I greci panegirici ancora non ci amo mica una pura oziosa lode, ed inutile ma...... Salvini.a lalalore se questo spirito, di carità ma nca che insieme le leniſti ed unite le irre in bici di ('ris lo blu / le e in orle qui il li catal 'rc rºm ſono ut ſul rsi. S: il Villi.a lunque non li par questo luogo buono, lorº iò si gran copia di erbe e si saporite, un fiume che mena i più dolci pisciatelli di questi potesi ed assai, e alore non ci bazzica mollat gen I e che ci possa i tr lui il miº r. I 'i l'el l/. NON … PRIMA … CHE.... quando in luogo di: Il0ml.... prima che e quando a valore di: C0mle prima....; come.... così.. II0Il Si toSto.... che....; appena.... che. il IIIala pcIld.... Che... ;Non selzi il l ' 1 lo senso di co; il 'la li l' ' gl., Inl \ 1 Il Sºl la colla illica l 'Inghi e prol di sci i tagli, il lis, rag olio logica, la Virli, il vigo e l'uso vario e rello di questa e di cento e cento alle singolarissime strutture, molto più che se vi sono per avventura esempi di una forli alcun poco diversa, sono questi, esempi di autori non alili hi, ma che solari lo hanno scritto sulle orme degli antichi Inºltre colle scril (Il re del 300 e 500 colesto I)il el Iorio è veramente, e senza eccezione vertina, il sicuro Direttorio, e appena che vi si trovi un sol esempio, che colmi il III e con i radisca.  Mello ſui due periodoli di origine antica e classica, con parole quasi egli li SI 'I Il III non... prima... che..., ma che l' Illo e l'all si ass: il live si. e la sala si li va il rialli si sia Il pi IIs li sl: non.. primat. che.., e sia l'on.le dell'ulio e dell'altro sigllili.  Non lo volle prima al suo cospello che egli si fosse pentito e avesse le testato il sile) fallo no.  Non venne prima al suo cospello che egli nel cuore con punse e sl, il sl 1, ſtillo  Mentre il vago del primo periodello consiste manifestamente nella separazione dei due incisi della forma avverbiale demolante precedenza di tempo:  prima che:  lasciando cioè il che solo al posto suo e antiponendo il prima, cioè avanti il verbo del primo inciso ed accanto alla rispettiva negazione e parlicella negativa, non o nè che ella sia: nel secondo pe riodello la stessa forma: non... prima.. che.., indica invece simultaneità di azione, è ormai ci ripagilialiva che il lilli il ra lingua, e orna al 'il II ra: con e prima...; come... prima: come pill los lo..; poichè prima..., con '... così: ecc.  Noli Irli esſendo il considerazioni che, più che le mie parole, ſi darà materia di senſirle, non che di falle, il grillo, la spontaneità del costrutto, la morbidezza e soavità della curva, il velluto negli esempi che quì li allego. SSEM L'I DI UN: Il0Il.... prima.... Che.... ed anche senza la negazione, I)I UN: prima... che …in luogo della forma volgare: Il0m... prima che; oppure:.... prima che  Delºrm inò di non prima mi torri e a lui il riglia che egli gli arresse alloltrinali e costumi ali ai la licati e I), v. 12.perche' essa rc i goſ n. Nani e le lissº, si esse il piu' recel et lui ci al ogni suo comando: ma prima non potei e che l e onl, inola lo Iosse in Purgatorio ». Doce.Mouli, a cui rullo, col ti l'a 1 / i ti al cio: in prima all I o le c', che ella s in ſegnò li reale i lielli di tiro …dirò come una di queste sui ti 'ºssº, il cosi l mi 1 e si lil e si mostri - li, osse lui ll, il ſei no, l'unº su di lui ci ti i prima al N. nl I e il I moi ll rull: con dolla che i lioli di rºsse con sei il I.lasciano slal e i pensieri....... e gli e li: i in I so mi ci li. che prima siamo sli acchi, che i libici mi disposto, e apparecchio lo le cose oppo lui ne (('un l'ºliº e li ill ci, la r il.Prima prelerirebbe cioe' ini, l be tullo il mondo, che Idilio fosse lºslini onio di falsità pure in un primº lo Iºr (ii rel. a nè prima ri formò che il di s. gueul, 13oce. perchè messosi in cammino prima non si listelle che in Londra per rºmanº o. I 3 cc.« rolle non solo disporre, ma intera nºn le conchiudere il patrºn letali, nè prima reslò li lire che non utlisse: l'in l?elier cui ci ritmi le Segr. 13 Così coperse lui nuli di lell'utilull ºrti, di lui con lolla nel le mi pio, quando non prima di parola le rolle di correziose, che dileguato si fosse ogni accusa lo re... Segri.« ('osì comerse la nudità della Santrilotti at. a lui sopraggiunta presso una fonte, quando non prima rimprororare la rolle di disonestà, che rili ralo si fosse ciascun apostolo. Segni. I 1.« e rolera parlargli, se ne scusò Luigi per non arene licenza, nè prima lo rolle ascoltare che il generale l'a resse a ciò licenziato, di che il cardinale ne prese grandissima edificazione ». (es.« Quiri riposatisi alquanto, non prima a larola andarono, che sei canzonette cºn tale furono . Prima sofferirebbe d'esser e squal lato che tal cosa contro l'onor del suo signore nè in sè nè in altri consentisse, Doce. ESEMPI DELLE FORMI E COMPAGINATIVE,  DIMOSTRANTI CONTEMI L’ORA NEITA I)I AZIONE  Il0II prima l Il0Il...... I10Il Si toSto..... che... ilppella il IIIilla perla.EI) ANCII E DELLE EQUIVALENTI:  C0mle primiù....; C0mle.... prima....; come piuttosto  poichè prima....; come -... così...  slli il tille V lgi l'I e ci li Nlo che su bilo, che, ci. I. Non prima e libri al boillu lo il gºl in cesto in lei l a che la cugion, della noi lo lei mi isºli a mio n li a ppoi i re. I 3.Il ct c'Ncat e 5 in bella, per ogni sorta di tici ll e non li di prima Nºli - di alo uno che gli li o I il sºlo se mio lo sta la a lola. Caro. l. Il ct: l tesle in tilt ne reni ſono i pi ppo, e il so il 1 l po'. Ne' non prima la l rila che gli l'ha. I lav …l doll, che sarà, io li promello cli gli non ne senti il prima l' al re', che lei riti liti e li isl il l il c. l 1 l'. Idilio. lisse, li Il 1 li lo i cui, e non elilu il n 1 l o di lirilli, lo che ſli si coni in tal il pil irli, e lº ri.e non elil, e li rile, l'intillnerali la mia sl i il che il reti lo si l irolse al l l. in on lui ma i Nplut mi, su bilo il n 1 l l.Non prima al talli lo ri mi li a mo di ril lo i ti noi, che lo slo, Nlton no ci ri li di lui. I l at col 1. se non lo sº e nelle di ''I I I nosissimi al ligut. Segl. Nè prima il rule o che pi ruppero in lullo da disperati, in gen il il ct o. Se gliL'isl, Nso (io li ho li sui bocca in lesina lo conferma l'orch è mor prima, l lorº letto: \ un renis/is. el modo ricºnles plagotn mi rotn linells. che nel rersell seguente soggiunse su bilo: \ un quid dia i: a lei le mili il l cle su lislam lidi resl rat clona le mih l'. Segli. Inzi non prima r han con le rila una grazia alquanto spesiosi, ch'essi pretendono tosto che lui lo il dì roi li dobbiate e accompagnar ne' corteggi, e apportar ne' cocchi, e servire nelle anticamere ». Segn. \ on rel lissº io º non prima io roglio, cominciare a parlare, che il Santo P ofele I)a riele mi toglie le parole di bocca ». Se gli. Non prima riule ro ossequiosi sol lorni eIlersi i mari alle loro pianle'. e tributarie stemperarsi le murole ai loro palali: non prima sperimentarne a loro pro luminosa la molle, ombrato il giorno, rugiadose le pietre, fe conda la solitudine, non prima cominciarono a debellare i popoli con la forza o a premerli con l'impero, che si ribellarono arrogantemente dal culto del vero Dio ecc.. Segn. Non prima contemplò quiri assisa la forma pubblica di giudizio ap prestatosi a condannarlo, non prima i giudici apparsi nel tribunale, non prima gli (ircustlori uscesi sui l os/ri, nºn prima il popolo concorso (t)) ol lalamente a mirarlo, che non potendo più reggere alla rergogna, ristelle un poco, e di poi, tra lo furiosamente uno stile, si diº la mortr. Segn. Troppo indegna cosa è il reale e che non prima risolva usi quelli donna, quel cittadino, quel catrali, re, o ai rºslire con maggior sempli cità, o a con rersare con maggior riserbo, o di ricere con maggior rili ratezza, che subito cento male lingue si ci fu zzino al molleggiarli. Segli Non prima l'innocente colomba uscì fuor del nido, che diede fra le ugne di un rapace sparriere. Segn.IIa un ingegno diabolico e pronto, un proceder ſardo, un pati lar grare, un arriso subito, un ritratta i si in su l la II, che non gli c prima messo un lascio innanzi che r la I l o a lui la sua riſortolot o. Caro.  « Non si tosto poi la riſolse in mano, che la fece di sorpe ritornar gut ». Sºgli.  E appena ebbe letto le predelle parole, che li subito sopra di loro renne una luce con la n la chiarezza, che essendo il rore nelle oscuro e' si redeano innanzi chiaramente come di bello di chi ti o. Cavill a. ()uiri appena ) il che ecco l'ar male degli Areni, i quali quali lo pl in al riale ro i nostri, diede l o l u llo insieme in col mal e latin li li li. I 3: l'1. Appena egli posò il piede in terra, che mentre si mira col (l'ul ll ' 'n i. quiri l'inchiolarono..... Si gn.E a mala pena e libe apri la la bocca, che gii, o rinò misert nºn le. l'iore 17.Ed appena erano le parole della sua risposta ſimile, che ella Nºn li il tempo del mar Iorire esser renulo o Docr'.a.... e'l figliuolo essendo andato per il n calino per lat (lolcit. appena era il ferro entrato nella carne un'oncia che il porco cominciò a gridare i Sacchi.« Appena si sollera ra un leggiero, diletica nºn lo di senso negli animi i di un lierna raſo, di un Franco, di un lemºdello, che in con lui nºn le I lilli ignuoli correrano chi ad allui)arsi nei ghiacci chi.... Segn.« Appena era comparsa nel campo la generose (iiudillo che l'atlli subito quasi alla risſa di un insolito, lune, rintser lilli incitmlali a si gran beltà ». Segn.Il ralen l'uomo senza più tranti andare, come prima chlie tempo questo racconlò.... ). I3cc ('.a riri sicuro che come prima addormenta lo ſi fossi saresti slalo (tm mazzalo) ». ROCC. a dore egli come prima ebbe agio fece al messere grandissima festa ». Docc. -. E in altro luogo ripel e il 13 cc. la stessissima frase: « Ella, come prima el be agio fece il Saladino, grandissima festa »..... la qual cosa come prima si udi per la Lombardia, lolse laul (li credi lo o, (iiamb.  “e promellendogli ancora largamente di levarsi in aiuto suo. come egli prima possº in campagna. (iianl).la cui poichè prima ne in lese, si son li prende i si. che…). 3il 'l.  « L (quila come piuttosto di ciò s'accorso'. enl, è lui la sol lo sopra e così s'andò la (iiore, e con togli il caso, lo pregò che...... l'iorenz. e quando egli ci sarà, io lo me è e come tu mi senti, cosi il ia en li ai r in questa cassa e se i ra i cl clen I ro. I3 cc. con le prima, lº sl he. Come lu gii, disceso cosi il lil o I russe. I 3 ('.Come ti ſei rola il sen li tono cosi se ne scese o alla sl 1 di lui lº ce Come ride corre e al pozzo. cosi ricorerò in casa e se i rossi le uli o 3 ).... per le quali parole il mio marito incolla nºn le s'allo nºn lo e' ccme al lorni en la lo il set le cosi tipi e l'uscio e riense ne dem l'o, º slots si con m cco e questo non la lla mai e lº il S.Come io giunsi ed ecco sopi arreni, l'irl ro 13ore 19 NOte e Aggi U1 1 m te  all' articolo 8  12) Simile alla coes-ruzione tedesca: nicht eher... als.... Il luogo di ehe oppure bevor, che sta per l' itero prima che,13, Quel non, che li i lo I r. I s-li alti - Ilpi, a 1 lie della  sesso Segneri, è lorse scivolato di liti per il la ai valori e i Segneri, ai quale sapeva male, pensº io, o gli veniva del guasto e dello storp Io a dire: che udisse.  14, l'oni Ine!lte il lesto e i i pr. e le 11 e le 1 di... II, 'il:lo all'ait, si rassolini, li, i lle 11. Il perdori sl il 1. l)llº I – Il re 1 il ll li si, gol i.  15 Il Corticelli si l plico Ia, il il 1, par. 1, se qui con le e di ragione, imperocchè rilerenido, lo stesso - Impio, osserva che la par ticci la prima con la negativa ha la proprieta di significare talvolta infi nattanto che, e talvolta subito che. I - Il ll il 1, si l: i 1ei la se conda parte di questo Inedesimo al tiroio S. Mia che li citato non prima fol mi da se S lo frase o modo avverbiale colli e vorrebbe e valga infin tanto che, non so cui possa Ilia I capire nella 'lini, che il grato sente e intende (lei II l 'ti er-e III l i lill 1. Il nel significato di infintanto che, lira Ilei la s partiz le due lil - la l l'avverbi, prima che, tra li l'11 | tendov -: o li e -il-sogllita o leve sllssegllire.  16 Qil - o prima 1 e 1::l'i; 1: de l eher li di piuttosto, più presto. Ma ad ogni modo, resta sempre il grafo della di sgiunzione e trasposizione dell'inciso che,  1, Binda che i ll'en III al clie fa r, ti ra questa o qllelia for Inti in coInfronto di un'altra clle III i dl o con i lille e volgare, non è In lo avviso che questa sia sempre lilello bilonia, e sia la sli: 1 ter addlr IIura. \ che i Inodi tos:o che, subito che non solo a ragi m d' s III pi - II: il 1 li che non ne usasse quando ben torni, anche il I recenti e cinque º to Simile a questo subito che, IIIa in Iorma piu gaia e pil ſorte è il da te si o ratto che:..ed r si lev o ratto Ch', la ci vide passarsi (l: V: l Int (m.  18) Al che i Latini usarono ut i greci o snello stesso siglli  l'rim.1 di passare a l alti e altri tazi, i no: voglio qui rimanermi di ºsservare che (Il testº: come.... così..... è ben altra cosa della forma coin. parativa, p. es., del sieguente passo: nè sia chi ne stupisca, perche come l'uomo è vissuto cosi generalmente muore. Notisi però che di questa forili º comparativa ai buoni scrittori piu che il diretto: come... così...,  a: a Va assil I lll'ill Ilio l'assetto in V clso: cosi... come...; che cosi in alti e non come l'ho citato lo trovi questo inedesimo passo nel testo originale del pil dre Seglieri: li siti e li I tre still list il per le cosi l'ul, irlo lilllore generali Irelle, come è vissuto n.Assaporalo il grata di codesta lli versi rime anche negli eseIl pi se gllenti:Queste sono le operazioni (le l' ill: Ino: all III: estrº l e, a Irl III ollire...., l - gli cosi Coni e lº, il 1 lt il ſil 1 l. - e ce, aci per i re cosi lo III: i glie loro come lo Ilge gli ed intelligenza il ogli i sa, e pera º norevole I l Ill sa.... » l' 1:1 lo l Illi.Io potrei cercare lulla Siena e Ilol Ve ne troverei illmo, che cosi II i s.esse belle come il si.La li la dre, che le tl, l ire l: I 1:. ll ll l: I g il va Il ferirla, poi, le le seppe Il rito Il. dI S. l a no esco con lido che cosi or: la p 1 l el l e l'Isll st 11: l III, I | 1, come, Zi l', i Vrebbe potuto risal lia l' iller IIl l: illo. ll, cosi i ns, come gli 1 ll dal V a ntl gli si gel1 o 1 pl il 1, rot! S si III in id), Il Irgli ». I3: l.«...... ll I II li assi. Il ril. ll I 1:1 e-1 r il pil  sapere di V (I, cosi II slla l la legg.. I 1st a 1 il ss 1 vs 1 1,  come voi ora il I persl 1: i let ss. l la s. l '. I 3: l. e … se li, V. - ti.. ll cosi !) il liti e In Il lidosi come il l V el'elil e la V il si, 13a l.« A Ilzi cosi il ssista Idcl I o il V revole il Il le:is eri come i 1:ì ll pil II: i n1 il Se tl.Se l'uomo la il sottil I geg. l lo i teli e lo chiali o, il salda me noria, loli se li puo e l'1, i re: le cosi -: S I lllll liti de Vizi, come li virtll,. lPass: l V.lº, il vero, li, cosi come lei, il... - Illesi: da li ll. I l il l re i ti li.. -. I 3, i.“. - il ilse la V I rl I si sa delle liti.... per le cosi come,  lisa V Vedula trielite: so - ei 1, si via tre il - i l: spegnere per o!: ºr  i li ll li i' l I l: il ct, lì 11. - lo Il Vila: “i sa slla i livi gli in stra quella cosa la qual e egli ha più cara, a flernlando che se egli potesse, cosi come questo, ma lto pit volentieri gli mostreria il suo cuore », l?occ. “e che cosi fosse servita cosi ei come se sua propria moglie « I (lsse ». I3C) (('.«..... rispose che così era il vero come quello Irti le aveva detto ». Fioretti.« E son certo che cosi a V verrebbe come voi dite, dove così a ndasse la e bisogna come avvisate ». I3 a.« Ma non illte:ldendº essa che questa fosse così l'ultima come era sta e ta la prima ». Bocc.e Sio Irli conoscessi cosi li pietre preziose, come i ini, sarei e buon gioielliere ». I.ib Motl.19; Ho annesso agli ani e li liti in li Il testo esempi di un come.... e...., e sì per mostrare l'allal - ia, mie a 1 he per rilevar e la diffe renza. A cenlla bellsl 1 il l Il s.o come.... e.... alla con impara nella di dlle atti, Ina Vi senti al che la relazione | 11:1 lo di: in quel mentre, in quella che..., precisamente al fora..., e qlla ido, di quando..., tanto....; di che ti sia l all o p III, l i rili pari le lilli e si ra., il 1 e l'allegato, gli esempi che seguono:e IO Ini leva diritto, e come i i vole: l IIIa ridare chi fosse, e che a Vesse, ed e., Iri esser I.: Inler 1 1: v. I l sul l. 1 litot e 2, 3oCome noi pro lia il e s II h, a e ge')till III: I mie!'e V (Ing Il i: ll' ! ! li,, (si ri.Come pili i vecchia la V. AV relIl mio tilt li in li iori -: l:di. l il bit. ll e pill ripostigli, e più si cerebb il le s II -, e come piti adoperate e liti per ferite e ! ti ve nio, poi io che si lo i come le vesciche, le quali come pili solo lo rientate, e pii - empiono,. (.ar.()sserverai lili -1 e si pllo talora sotſi' il lil re, ti: nel I e  torni bene, e punto illlia n soffra il senso.  l'rima di uscire di questo come, cli i lili: lelli voci re Illonti sulle penne degli alti li, p la eliri per il III: il clii il 7 Zii e collettivita, di completare e mette e qui il Vppenali ll l a rigor di ordine s: rebbe materia del capit, i gli ºli,,,, il ll li - Il pi l'1 ol':i, sia di un semplice come, che, -: l li a lli I chi, lui ora Iorzi di siccome, poscia che, conci ossia che, subito che, li quale il. col... quale, precedute dalle voci modo, via ecc., e quali (lo di che, di finchè ed anche di quanto n 1 modi: come spesso, come presso?) e talora lillalrilen e di im, con, di qual maniera, guisa e simili, sia de 'I I riport come che, a valore quali ido, di avvegnache, I: I: Ido li in qualunque marie ra che, e talora anche di uli semplice come (siccome. “e com'è Illisse di verilo e'l freddo gra il le, V eg. ) io l'ill l'e ll 11 di que” bacherozzoli o F, ronz.  a Come villan che egli era il canili, di lilltalli, gli illò della s lll'e a sulla testa sì piacevolmente che … Fier liz. I concia -si: chè egli  era villa li, cosi ſi celido come si lol la r llli Villa lì lì.  ti e come colui che pi col l lev:I | Il ra a V V a 9. l 3 ct'. un giorno verso la sera elitrò li ei gia i dilio illi: gi valle hella e  vistosi, come quella che Ioriº ita era di vestiti riti di seta e d'argelli avea intorno le piu nuove ed is;uisite legge che si lisa-ser, (iozzi  a.... e com'e' vedeva i lºlirici in posi, novella illelite ridava all'arle º Bart. e dissegli che come nona sonasse il chiamasse» Bocca Come la donna udi ques.o levatasi in pie, comincio a dire....» Doce.  E dire il vero, com'e' l: rai, Ild ri. Illesla (til lido ilz:i di l)io il lin llc, l'e, è lllli il n. St gli...... e com'ei Ill iIII per li re, lei scaccia la... ft III l'il' li lllllg, si eliſ on I ); i V.a Questo animale, come sentirà l'odo e del pesce, ilscira fuori e con il a ciera a mi: ng la rsi di Ill peso 1 il ni, Fiºrenz.“ -come pervennero alla città di Gaza li l iuoli inlerinarolio si gra veli elite d'ulio Inc. rilo e le el'a ll lisleri It I l (il Val 1. Io voglio andare a trovar modo come il s 1 di qlla elitro » lº - e segretamente deliberero io che si dovesse trovare ogni via e ogni modo, come poi sistro la r 1:1 ril e (ies Il Cav.... e da quivi innanzi penso sempre modo e via come e glieli potesse  ll l':ll'e o li l el'. … che per certo se p ssibili fosse ad avere pi e ebbe come i il V esse » i 3. li Il l..... l Ebbe l: nuova come (ialobal era il is l il V..... come ti se lui spesso ad Ira.. I3llon: i ferrilli!):l, come il cºlessi I ea voi? Vlessere, dlle tl):17 /:ll di ma lo » 13. In Itlal I l 'lieri, i 11: il prezzo).Come è il V, si ro Il le? e il V I l come li, il 'll? e lº quale, di ſlal lo fila. e... e di li a 1 lo come li -: -st:: Il  a I.:i giova:le, plai lig il, l ' s -. ll avev. a - la li paglia nei a selva sli tirrita, i ri. I come presso lo ss o il Vlag::l, i cui I l bilo: ll il si se...... l3 e.  I ) Iss i llora l: i giova il lº come i l so io: l italizi presso di di ver il berga l'? » I 3 i.Veduti e gli allegati i seri ini i lil 1 | li i lisi di tiri come il form la selm plice, passiamo ora agli esempi del collip - come che, in quell'lls, e val(il chilo (li: i rizi:  (*) Notale queste forme: come avete mom e? com'è il vostro nome? Vostro padre corn e ha nome? Sono st m.lli alle tedesche ed inglesi: Wie heissen Sie? Wi e ist der Name? What is the name? ecc.Usane anche tu, e la sera il francesismo: come vi chiamate? ecc. e simili. Si che l'ha anche il Boccaccio questo chiamarsi in significato di aver nome, ma ne us a tm maniera ben diversa e più leggiadra, che non fa il moderno. Esempio. « Domandò Giosefo un buon uomo, il quale a capo del ponte si sedea, come qui vi si chiamasse. Al quale il buon uom, rispose: M a sera qui si chiama il ponte all'oca ». I) al qual esempio ognuno intende che quel si non è particella pronominale riferita a quivi, qui, ma sta per gente, uomo, on, man th ey the people - e qui si chia:n a vuol dire: qui la gente dice, qui si dice, qui tutti chiamano, o cosa stmlle. Di esempi del modo aver nome in luogo di chiamarsi abbonda ogni libro classico: “ Beata Margherita fu fi gli uola d'uno ch'ebbe nome Teodosio, Il quale era Patriarca ed era gentile uomo e adorav gli Idoli... “ Cav., ed io non Glan noto, ma Giuffredi ho nome Bocc. ec. - Nel tempo d'un Imperatore pietoso e santissimo, il quale ebbe nome Teodosio Iu un senatore della città di Roma, il quale ebbe nome An tigo no, uomo di grande affare, e molto congiunto al detto Imperatore... Tolse questi mog te, una donna, la quale ave a nome Eufrasia, donna religiosa, e molto temente l ddlo n. CaV. 33  a) L'avverbio come che non ha quel senso di perciocche nel quale tanto frequentemente è in bocca d'alcuno.  Il suo natural significato e d'avvegnache, ancora che, ben che (Bar toli). Notisi però che anche in questo senso trovasi il piu SOVC Ilte, l) Ull al principio del periodo, ma entro a questo acconciamente innestato. In testa al periodo prelerilai: quantunque, quantunque volte, benche, avve gnaCChe ecc.  « AVVisando che dell'acqua, come che ella gli piacesse poco, trovereb º be in ogni parte » Fierenz.  “......e sempre che presso gli veniva quinlo poica (n mano, come e che poca forza l'avesse, la lontanaval o 13o.  "...... ed oltre a questo, come che io sia al titº, io sono inoltro, colite « gli altri, e con le voi vedete, io: io, i s a I r; i vec li a Lioce.  º...... il quale, come che II lotto - ingegnassi di pir, r, salito:ier,  º al flat ol' della fede e l'isi d l'1, i ra Ilon III. Il tono liv st 1. alore di hi a piena a V ºa la b rsa e li li rli dI - ii a lei le s III sse » l?occ. a Ella ll (lilediCa Il li l' ', conne che li l s, il lit: i rito, se la ll I li « fallo llli crede. 1 e esser III, I » I 3 t.« L'ira in fervelllissili lo Il rore accenti si r.:; e come che e questo -C Vento 1: egli iol 1, 1, 1 a VV 11: 1, 1: là con ni:::::: danni s'è nelle donne Veillllº º Bocc.  º...... si è adoperato i 111a Iliera di ri..., come cime inolfi il Liegano, a ((Il dann, a lido d'errore il dire.... » I3: l'I.  «...... e come che gran moja nel cuor fi nis e, º eriza n. il tar viso, in braccio la pose al famigliare e dissegli: te..... 13 cc.  « I Inalla cosa è aver rimp.issione d gli: Il Il ti; e ceme che il claso una a persona stea bene, a colori e mass III, III e 11 e 'I l ' st, ' quali.... » 13 r.  b) Anche per comunque, in qualunque maniera, e ad i era lui si desimo come che, scrive Il I al I l l', - lizia Illi. Il sospet lo d'errore.In questo caso pero e il come non il come che) l'avverbio risolv: toile lei sului (le111enti: in qualunque maniera, e ii che li e la rispettiva. giunzione o pronome realivo, congiuntivº: nella quale ecc. o Nuovi tormenti e nuovi torinºlltilt i Mli V gg, Ill. l'I1, come che io, « mli Inuova, E come che lo li li V l il.... » l)a ille. « Come che questo sia stato o no.... o lorº. a Come che in processi di tempo s'avvelisso. Docc. « Come che loro venisse fatto » l?occ. « Ora come che la superbia si li renali, o per l'un modo, o per l'al.ro...» Passavanti.« Ma come ch'ella li governi e volga l?rili lavora per me non tol la « mai » Petrarca.  c) Notevole anche il come che dei seguenti esempi, nei quali sia il valore di un complice come i siccome,  « E come che il povero corvo fosse persona antica e di gran ripºrta « zione....., molti lo venivano a visitare, e come si usa, pil con le parole « che con fatti, ognuno gli profferiva e aiuto e favore ». l'iel'eliz.  3  - - - - - - m: disposi a non voler più la dimestichezza di lui e per non averne ragione, nè sua lettera, nè sula 1 Imbasciata più volli ricevere; come che io e l'elo, se li lu fosse perseverato,..... veggendolo io consu  « Illare, colli e si fa la neve al sole, il limito dll r, proponilla mt, si sarebbe a piegato » Boce.  I3mila però che il come che di questi ed allrl siiiiili esempi senza nu Intero, 11, li si vuol leggere i dlli filo e pr. llllll iare con quell'accento che il comme che a valore il quantunque, benchè, che sarebbe imbra il o troppo rincrescevole e noi ne aver sti a lei in senso, ma profferirlo in guisa che il come risalti e recli egli solo l'impronta di siccome, im perocchè. La congiunzione che non ha qui a far nulla col come, nè sta ad al.ro ulfficio, oliº di semplice collg Illizione o nesso di puro OrnaIlento, e la portersene all'he l'Il rialle e', 'Irle appllll., fece, tra l'altri, e assai si velli e il lºlere:lzuola. Particelle e compagini a foggia ed uso classico;  avverloi, cioè, col ngiu 11 azioni e voci il n go - I nera n lo è o li in iu 11 i valore altro cl neº rela a tivo, 1 r) a tu ltto i 1 n t rii msec », i1 in in nea 1 nerì te Clirò cosi, e il nero 1 i te al costruutto, con i lcº il gran to del tcsst 1to l crio la ale, il va ago. lo il coro lit collega -  1T nel nto gli slo: nrtite i lec.  Ad alculle di sili. Il l Irella l. I li gi i tiri lici li nomine di 1 - pieno, e ci sono ce le colali particel.... ess, proprie della lingua toscana, le quali, oli e il 11 11 11 -si l i i s ll la III, il alla tela gl a - Intili: Ile, clie pi l'eblo sl. 1' st 117 -s. l II l' - I lil a cle aggli Ingallo a - l'orazione forza, grazil. ori a 111 mil... se li n. I ro. Il cerla maliva pr - prietà di linguaggio... C. rl Icelli. CIl mio ed altri.  Ma vorrei qui rilevare che codesti autori fanno appunto oggetto di particolare osservazione le l ' Vlt i l (..l'.I l.E che non inati, o ti ifici o altro cile di ornamento e di ripieno; men.re le l ' V l l I (I, I l l. e 4 t ), il V º il N I, e le V () ('I IN (i I, NIEI è VI,E, di cui e parola in questo e in altri capitoli del I)II E I'l'ORl(), sono argomento di studio da quindi addietro al tutto igno rato e assai più rilevante che non sia cosa puramen le ori:arm2miale, come quello che adopera all'origitial candore e alia NEI VA I V del perio dare classic. NON SI (tanto)... CiiE NON...  Per squadernare che io faccia un libro, il derio di penna volgare o colta, a gran pena ch'io vi Irovi pure il periodo a lornia e sll'ulltila clie negli esempi che qui ſi allego. E dire ci clia è si bella, strella, evidente e di un garbo tutto ilaliano ! L'ebbero a grado assai ed usarolila di Irequente scrittori non pur del [recento ma e ti i cinquecento ed anche dei piu recenti, – di età cioè, non di sonno e di ullura, ch'ella è antica e non invecchia mai.  ltisport pressa poi al 11 sl 1 o: per quanto... lulla via..., e talora a 11 ne ai cori e tali vo: qui un lo... all.rellan lo.... Cili è però mestieri di ben altri, i lilo a 1 il ri: il lique suscellibile sia dell'uno che dell'altro 1 ggi il coinvºlte i Sy  Pochi esempi, ma quanto basti ad aguzzarlene l'appetito: .... e le giustizial to a sioni in calesine in diverse lor pan li debbono  a re e al rei si nun li, nè si l ruora alcuno muri e o cosi bello e leggiadro, che ustio li', pur intenſe non luiuslidisca e generi sazietà. Varchi. E dunqu su penso che l'osse un re libero di carila, che non è si poco site noti avarizi, e, a lui pia, che li lle le cose ci colle, onde ella di mld l'a, più te, e l'uni, e in. ch ella non la ceca se medesima. Cavalca. .... m. a e la loro si alla lo alla mia che una paroluzza si che la non  si può dire, che fiori si senta o. liocc. ....pei e che mai uomo non mi vuol si sce, e lo parla e che egli non roglia la sia pari udu e, e se ci cruene che... i 13ove..... Mi ss, i disse la donna, il giovane con che alle il laccio non so, ma egli non e un casa uscio si serrate, che come egli il tlocca non s a lui a... I c.percio, che egli non c alcun si o bito, al quale io non ardisca di da ciò cl, bisogna, ne si lui o o zolico che io non annoi bidisca l'ºnº r, il il di ciò che io cori di litrº.il in ii...... ancora che egli non loss mollo chiuti o il dì, ed egli s ci sº in sso il cappuccio in util: li li occhi, non si seppe si, io ci o cali non posso prestamente conosciuto dalla donna - lº no: si p co che oltre a diecimila dobbre non calesse e lº ins, s. capelletto: Messer lo piale, non dil cosi, io non mi onirs se ne tatto e le nè si spesso, che i sempre non mi i colºssi i sa, i n i 'mente di lulli i miei in rili. che io mi ricordassi dal ci, ci e, a qui, in lino a quello che con lº stilo mi sºnº i 80 t. ve mai enti e così ci rendo cedrete coi, niuna spesa lalla si ſnºdº, è si s., lo sa, ne tanto magnifica, che ella non sia di molli, per molli mancatinenti, biasimarla l' º '.e 1,i, il re in guardi, che i cari sia le nulle si lº lui il li) con l rul 'lo alla fase a degli uomini quanto l'ºrº ristº: niuna è si chiut l'ut (' eccci fetil e in la quale non stia oscura, e sconosciutº sºlº l'u n'atrizia ». l', i licli il. - - E la chi potremo noi lidire' più il vero, che da voi, il quale si" riputato sion tanto spendente che in roi non slot onesta mºsso" " si le massaie, tale che non dobbiale ºsserº reputato liberale? ». andolº. si eli, a I, sperar mi ero cºſiº I)i quella ſera la gaietta pelle.; del I n po, la dolce slogionº, Ma non si, che paura non mi dºssº La rista che mi apparre di un lºrº º l)ante. - - - - - i vini campo, fu mai si ben collirottº, che in esso º orticº ". o alcun primo non si l'orossº mescolato fra l'erbe migliori º l' iamme" « Non ci sarà tanto dolce la consolazinoe che prenderete del sºlire,.... che egli non vi debba altresì essere utilissimo il al re... C - sari. (29).« e dilellami di pensare di lei maggiormente, che reca maggio: virtù e maggior ſortezza: e so bene ch'io non potrei tanto mensa, che più non ci avesse da pensare a Caval a.«... e' l dimonio disse: Al mondo non è per cui lo si gr. 1 nel, che I, lali, non gli perdoni, se si converte, ma qualunque uomo si accal.. per I l pºnilºnso o per altro modo, se llio non gli ha misericordi, si e ci rius I., Cavalca. non è si aspra e malatgerole che alcun pur non la les, le i Cav.« non è si magro carallo che alla bietola non rigni in il 1 lo.. S º..... con piacere inci 'dibile del mio stillin, che son d se la trº Sloi (), che per si la lo on i re non si l is 'n lor e il tr..... );...a Io ne ho parecchi esempi ma per dir crro, non son cos: i ſissini: che non possan ricevere latin lo accorcia in n 1 l in I pm la l... li « Qual luogo è si sui grossi nto, che i c. coli non ti tra il ct 1 nel 1: insidie alla loro incut u lui one's là?, S gl, 30« un lento morire di dodici anni, per una penosissimi a: i riti iii: nè tanto leggiera, che quasi sempre non isl ess, in agonia. se tanto il re alle forze della sua carità, che sempi e non in licasse i sei zio di Dio e delle anime n. 13a l'I.« Non istelle o però sempre quiri in Tucuscima fermi si ciºe l'uno e l'altro non iscor esser tal rolla a seminatre e mielere il lle tll re isole di quel contorno ». Bart.« Che se non è mai tanto aspro dolore che il len per non lº distri li ed anco non lo annulli, perchè la prudenza e la costati ai rom l dr G almer in itigare? ». Caro.a Secolo non però tanto di rii li sterile che qualch. n e si ri; i non producesse ». Dav. - « Sicchè bisogna guarda i ri da animo delittº ºlo. perchè alla osti, nazione non è si difficile impresa che non riesca. Fiºr º.a V ero è nondimeno che in questa pati (e di nasconi, si tl riti º gli renne fatto di conseguirlo si interamente che ti º di quello, che fuor che agli occhi di Dio egli pensava essere occill I, r; l uſ gli atll ri. nºn si palesasse ». Dart. – 38 –  NOte  all clrticolo 7. ?S) To II: Ilive e per i 1:1 1: la..... Il Not so.... but that.... Es.: I noi so but that I l l:lve g ancd at rva - sonº l'1: v. l. ll, Willls  ver not so Il 1 l v d... A cºl bu:i tinat i -li si stile  t: 2!) ();: non si u, le motº..... ! ! (r -,, e al I li e !::i ll l: llll rºl, l tall  ll...... o si pºte:to... o tre.... vi il lla  -. v. l i non meno,,, cime VI, ina: qui li a l. egi 12 linette i'a, la cosa e i'altra; I l V i l IV V:) 11 egua i rincari e il pregio di virtù e in nuriero di lei le!. l....., l i i 30 (). li è in ſo..! i; iprimo incis, l' ri: Ni: in It:ogo è si s -::  cin e voi i pl: i non te !, trici 1 e ti.  13  n0n Ciii... (anzi, ma...)  l' vi l' non rli slli gg ad Il col: il liso, ci chi si l i delle in circ venti li e ſi ha - - il l e per le  fornire e c i cl: ssi i: I l. E li ul: ssaggio dei  model i i non cli: « E vi la lo il tg ci li:. spicca il I l. non v li e'  viali ecc. il III il s lis.. l si gli e il solo  cile gialnili: li si riliv li i ll ': 1' ll -: il lassiche,  | Non sº, l l: li lilai i ". I sici in l:il guisa, ma luitino, se  lingua a que” gloriosi.  l:s il de vi: il re ciò e,i lire: si oln in he uscir de  condo pari a me, pole a riti per il che | Il il colport Isse, lanlo è diverso questo modo, non che dall'antico e lui si li l'ente sulla Appo i classici vale a dunque quando non solo, (Illando non solo non. Il Bartoli e parecchi altri sottili investigatori in opera di lingua appuntarono il Vocabolario che definì il non che: Particella e crersalir. e di negazione, e corressero aggiungendo: alcune role sì, alcune colte no ma e del si e del no niuna regola. Io non pretendo crear regole; rife risco l'Osservato e se altri fai assene regola, al sia di lui.Dico adunque che Dante. Doccaccio, Cavalca, 13a Ioli, di altri li grande autorità dànno al non che senso di non solo non quando regge in passato e talora anche il presente del modo congiuntivo: in altri casi vale sempre o quasi sempre non solo.Il Cesari però adopera l'un per l'altro. Forse ch'io inal, apponga o che il valoroso Cesari (lui sgarrasso? Non oserei asseverarlo. Il ma od anzi del secondo inciso ordinariamente non ha luogo di lando. vi è inversione di frase, e però il non che sussegue, non precede, come si farebbe direttamente. Nè per questo torna al non che moderno, che la relazione di non solo non e mai vi si sente ſul lavi, ed è lontano le mille miglia di assumere il torto significato di siccome anche e ancora (C('.Senza inversione di frase può per altro il mal precedere l rrelativo non che, come fecero, Boccaccio. Partoli e tant'altri senza rimerci. Loggi e dimmi se vi ravvisi il non che moderno ! E' affare di ori ginal candore, integrità e vago non pur della frase, ma del peri do ancora, che i moderni non curano affaſ (c, lo bistrattano, e pare che i cciano a chi più lo strazia.(38).  Non che io faccia questo.... ma se roi mi dicesſe ch'io dirorassi nel fuoco, credendori io piacere, mi sarebbe diletto ». Borc.« Non che la mattina, ma qualora il sole era più alto..... ra si poteva (1 ntl (tre ). T30CC.a non che a roi ma a me han contristati gli occhi ! ! ». Bocc. « Di qua, di là, di giù, di su li mena. Nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena ». Dante.a Quanti leggiadri giovani, li quali non ch'altri, ma Gallieno, Ippo crate o Esculapio arrieno giudicati sanissimi..... ». Bocc.« Ed oltre a questo non che alcuna donna, quando fu fatta (la legge ci prestasse giuramento, ma niuna ce ne fù mai chiamata ». Rocc. (30). « Ma non che punto giovasse a rimetterlo in miglior senno, che anzi ne riportò parole disconce e di non liere strapazzo ». Bart. 40'. «... e da questa tanto generosa e salda risposta rimase il buon capi tano si commosso e sì mutato nel cuore, che non che prunlo (tltro dicesse per isrolgere il santo dal suo stabile proponimento, ma egli medesimo determinò di rimanersi, e correr quella medesima fortuna che lui, nulla curando, nè la perdita della sua mare, nè il pericolo della vita ». Bari. «... e non che il desse al ballesimo, ma da indi innanzi cominciò una sanguinosa persecuzione ». I2art.« Sostenne (Socrate, con grandissimo animo la porertà. intanto che, non che egli mai alcun richiedesse per bisogno il quale avesse ma ancora i doni da' grandi uomini offeritegli ricusò m. Rocc. (Comm. sopra la Co media di Dante).  « Li quali piaceri lauto all' una parte ed all'altra aggradirono, che non che l'un dall'alli o aspettasse l'essere in ritato a ciò, anzi a doverci essºre si lot e cct in nl ro l'un atll al! I o, in rilanci.. l occ.() la che il San lo ri in tre line di calci i giù a rompicollo in rati i temi pi di ſtuciulli e il mal dl mi ma che di ragione, ballendo sopra dei sassi a pil del nº iro, poi l' noi in all zza di reano º immaner imiranti, in ton che la ni avvenisse il lor che anzi non mi andarono pur leg gri li ul, li si ºr a nolo di Sai, i rol rol, della promessa, in risibile mi il lit ma il ct - sl n. 1 li s l alti i l. ll. I 3, l.Il Sult 1 io non che si mostrasse il till I N l li li, l.. o si ritirasse in sè i cd 'simi per non lo si ut e r, i ma, ma anzi con sembian Ie e modi d' ui a schiella ci ſia balili e il ct pi e l i tiri i tiri in li, lui lo aggradira, fino a bere per man loro..... l?arl. - - « l' rciorch è c'illi era di sì l in Nsrl rilai, e li e non che egli l'ultrui on le con giustizia vendicasse, anzi in limite con valup eroli, illà a lui fattene Nosl e ne rai. I 3 cc.«.... e questo set persi sì con la meml, la e, che quasi mini no, non che il sapesse, ma nè suspicat, a o lº c.Ma con ciò non che li domasse che anzi maggio in ente gli inasprì: itl che.... ». I3:art.« Ma non che cessasse con ciò la l. 1, in e la suoi i rallelli, che anzi maggiormente le crebbe a 13ari.a Le mie scrilure. e de nei passati, allora e poi le lemmi occulle rinchiuse, le quali non che ella potess lega re nè ancora rederle º, IP:ulldolf.« Ma, non che il corno nasca egli non se ne put e nº pedala nè ombra o. l 31 t ('.a... se ce li rai in corte di lotti si e' reale la scellerata e lorda rila dº coi lipi, poi, non che, gli ºli (il malco si juta la cris' il mio, ma s', gli lossº cºn i si tro la sen-a fell, giudeo si ritornerebbe l'oce.illiri o il rili, e scorallo, non che se ne adontasse. I remi il mulo lui il ſì dal tempio per nascondersi doc, chessia de Cristo che lo minacciava, (es. 41).e nessun alito di le ter, di luci costume, nè di sentimento, non che gentile ma nè un erno si è mai potuto appiccare in Intel srl rigºrio animo v (s.  Il salarmino cielo, non che gli altri, piorera a noi ", il ſiorno ch'elli nacquero. Filoe. (ſ2.Non che polare è cosa perniciosissima salire sopra i lrulli e scull picciarli molli anazzosi, o auando è nebbia che gli fa sdºrnire º, l)av. (ppena el io a dissi di crederlo non che li scriverlo ». Bocr'. 13', si r, tutti di tingere a tale alle ot, ch' minali ali alberi non che a ritm-i le bicicl, o. Segn (1 ).« Tutto 'I I, in po di cita, che mi può dare ancor let maltra, ſia pocº a rammemorare, non che a rendere all'Accademici lo ſtraziº che io debbº ". T):) V.« I)i cosa, che egli roglia, ma io dico si' rolesse l'asin nostro, non ch' altro, non gli sia detto di no ». Bocc. (ſf).« Madonna, se voi mi date una camicia io mi ſtellerò nel fuoco non ch' altro ». BOCC. «.... e sfacciati più ancor dell'antico Cam non dubitate per beffa nudar chi dorme non che in ritare di molti a mirarne la nudità º ). Sogn. «.1 dunque, come ha rerun di roi gran premura di assicurare l'eterna sua salvazione, mentre passeranno i dì in lieri, non che le notti, senza che di ciò mai ri ricorra alla mente un leggier fantasma? ». Segn. (46). «... non sorrenendoli prima, per sommo loro dispregio neppur di un salmo, non che di alcun più onorevole funerale ». Segn.«... al sentirsi rimbombare quellº ch m ! nella mente, Don Abbondio non che pensare a trasgredire una tal legge si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua ». Manzoni. (47).  NOte e Aggiunte  all'Articolo 13.  (38) Non sarai poi di si corta vista che non ti avvegga di equivoca zione, a volere, come fanno certuni, sempre e non altro vedere e inten dere che il ragionato modo non che, sol che si trovi un che accanto alla particella non. Il seguente esempio ſe ne chiarisca: « Come, disse il ge « loso, non dicesti così e cosi al prete che ti confesso? La donna disse: « Non che egli te l'abbia ridello, Irla ogli basterebbe se tu fossi stato « presente: Inai si che io gliele dissi: ». I3occ. Separa quel non dal che, intendilo nel senso di non già che ecc., o altro di simile, e la frase è chiarissima. Ma col senso (li nonche lì lì le cavi alcun costrutto.  (39) Traduci: non solamente niuna donna ci prestò giuramento. Ina. Poni mente costrutto egualissimo dol seguente esempio: « Il re udendo « questo e rendendosi certo che IRuggeri il ver disse, non solamente che « egli a peggio dover operare procedesse, ma di ciò che fatto avea gl'in crebbe ». I30 ('. cioè: non solamente non procedè a peggior operare, ma.... E chi dubitare a dunque che in costrutli si fatti il non che ha senso di non solamente che, e l'uno e l'altro, come che altra voce non segua che comunque il neghi, vaga e breve forma avversativa e di ne gazione? Osserva come in molti degli esempi (e potrei allegarne a centinaia) che fanno seguito a questo primo del Boccaccio il non che ha senso di non solo non, o come a tutti codesti non che risponde un'im perfetto o presente congiuntivo, il quale solo che al non che si sostituisca il non solo non, torna al passato o presente indicativo. Ma quanto è migliore quel costruito! Ammira stretta commessura e soavità di tornio! Traduci come sopra: non solo non giovò, e così nei seguenti esempi.41) In questo esempio del Cesari non vi senti forse quel vigore che nei precedenti. Vuoi saperlo? Manca il ma od il che anzi come suol fare il Bar (li. Inseriscilo il fatti ed oti leni subito un tornio COI'l'ettis simo, e al tutto col fornire a quello costan.emente adoperato dal Bartoli e dal I3Occaccio.(2) Non t'illuda la costruzione, il vertisei e trovi sempre il non che il discorso: o Non che gli altri, ma il saturnino cielo pioveva a InOre ». E di siffatti modi a migliaia ne troverai soluadernando i classici, di ogni età e di ogni sfile. (43) Inversione: non che di scriverlo ma nè di crederlo. 44) Invers, come sopra, e così negli esempi (le seguono (5) Qui piacque al liocc. di esprimerlo il ma non ostante l'inver. sione. Noterai di quesio e del seguente esempio la naniera non ch'altro, la quale pare che andasse assai all'animo al nostro valente oratore I3arbieri. L'ha sempre sulla penna e ben dieci o dodici volte la trovi in una sola predica. Vale: non solo, checchessia d'altro che voi pensi nte, ma perfino....(6) Se ti sorge dubbio intorno al senso di quel non che, non hai che a consultare il contes, e saprai subito se vale: siccome anche, oppure non solo, l'arla di coloro che neppur lesti si sentono una a sol volta rapire violentemente i pensieri a Dio ».(7) l'8occaccio, l)a Valnzali e lº arti li avrebbero 'se, coerentemento all'ossorvato, costruita la frase un po' diversamente. « Al sentirsi rim « bombaro (Illell'ehm' nella mente, l)on \bbondio, non che pensasse a « trasgredire una tal leg e ma si pentiva persino del'aver ciarlato con « IPerpetua ». I3ada veli' che non ho detto con ciò che sia errato o men bello il poriodo del Vlanzoni. l'olga il cielo ch'io a ridisca di censurare od appuntare comecchessia quelle troppo care, adora le pagine. SE NON SE NON CHE  SE NON FOSSE (che, giù)  forli e li dire costantemente risale dagli antichi e buoni scrittori, ed oggi invece s degli sani enl e neglelle e al lullo smesse, se non che ad alcuni oratori, specialmente da chiesa, pare di rammentarsene profferendo assai volle un solenne se non che, ma a grande sproposito, e insignificato di ma che non l' ha. (48;.40) Sulla penna a classici le dette forme hanno ben altro valore e vo gliono dire: se non fosse stato che, a meno che, lollo che, salvo se, salvo che, altrimenti che.  Il Bartoli ragionando di questa ed altre sorniglianti maniere, cui il periodo deve nesso, brevità e leggiadria | IIIa italiana, soggiunge: (((“ () - Inuti Ilie poi abbiano a servirvi, o sol per cognizione o ancora, per uso ». Grazie dell'avvertimento, ma noi seguiremo più che le parole il suo e Sempio.  L' Asia del Bartoli è uno stupendo velluto contesto e lavorato ad opera di ricami, Irapunti e compassi di così fa la gioielli,  º le sullò tali Nso e se non che ci lui lo sl 1 o, e ralsesi del calore, ella ne ſacerat mille pezzi. Fiorenz.º (i rotn cosa è slitta col slot. e se non che la lati della Iu, io non la ('re' le roi,. I 'i rel/.()nde non è lui in pºi lati e in sè a lijello il non di rerlo, nè di colpa (trerne l l'oppo; se non fosse già che atll li desse o all' uno o all'altro la cagione, la quale....?... Passav« Il miglior piacere, e 'l più sano è il ſitcºre boccone, o quasi, peroc ch è tutte le menº brut clen I l o sl i rino, nel loro luogo: se non fosse già che la persont a resse losso o asmat. o altro in ſei mili, che lo facesse ambascia, o noja lo slar boccone. Passav.« E se non fosse che egli temera del Zeppa egli arrebbe della alla moglie una gran rillatnici così rinchiuso con e era ». I3oce.a e se non fosse ch'io non coglio mostratrº.... io direi che dimani...». I 3 co.a e se non fosse ch' egli era giovane, e sopra i remira il caldo, eſili arrebbe a rulo troppo a sostenere ». Dolci -.« E arrei gridato, se non che egli, che ancor dentro non era, mi chiese mercè per Dio e per roi ». Tocc.« E se non che di tutti un poco riene del caprino, troppo sarebbe più piacevole il pianto loro ». Rocc. (49.« Cosa che non fosse mai stata redula, non ri crederei io sapere in segnare, se ciò non fosser già starnuti ». Rocc. (traduci: a meno che si trattasso di....).« Era la terra per guastarsi se non fosserò i Lucchesi, che rennero in Firori: o yo. G. Vill.« Se non fosse il soccorso, che il nostro Comune ri mandò così Sit bito. la città di Rologna era perduta per la Chiesa. G. Vill.« Se non fosse il rifugio della terra, pochi ne sarebbero scampali ». (; Vill. (5ſ).« E se non fosse che i Fiorentini ci mandarono inconta nºn le lorº ambasciatori,.... Iologna era l'ulta guasta ». M. Vill.«... e niuno seppe mai il fallo suo, se non ch'ella il confessò in peni lenzia al prete, dicendo la cagione e 'l processo del sito isriamento, e la grazia ricevuta m. Passav.« Queste nuove cotanto felici fecero alzare al Saverio le mani al cielo, e piangere d'allegrezza, poichè gli giunsero agli orecchi colà nella costa di Comorin, dore laticara nelle opere che di sopra contammo: e se non che Tuiri (tre a presente alla mano una troppa gran messe d'anime che rac cogliera, sarebbe incontamente ilo a Celebes a farvi grande quella piccola cristiani di m. I3art.  º -..... baluardi non commessi come oggidi nelle nostre fortezze, con (tl di cortina fra mezzo, ma srelli e isolati, se non quanto cerli pomli vanno (i con il nicare il passo della gola dell'uno, a quella dell'altro ». Bart.  Era donna di gran nascimento e ricchissima, se non quanto i Bonzi l'acerano a poco a poco smunta fino a spolparla ». Bart. 51).  « E non sarebbe rimaso riro capo di loro, se non che gilardo l'armi e gridando mercè, rende ono i legni rinti e sè schiari ». I3art.  (.... e l'arrebbon linito, se non che un di loro gridò che il serbassero (Il riscatto ». I3art.  º - - - - - -. ri diò in altra parte con la nla foga, che del tutto arenò: e se non che tagliarono tosto da piè l'albero della rela maestra, agli spessi e gran colpi che dara, coll'alzarsi e 'l calar della poppa mobile e ondeg giante, si aprira » lºart.  « Egli (un cerlo 13onzo tanto più infuriara e ne faceva con lulli alle peggiori: finchè il re il mandò cacciare come un ribaldo fuori di palagio. e disse: che se non che egli era in quell'abito di religioso, a poco si ter rebbe di fargli spiccar la testa dal busto ». I3art.  NOte  all'articolo 1 f.  (48). Quante vol. e si vedono questi ora Iori riprender fiato, mutar sembiante o proseguire, con vi quando più grave e quando più di messa, e lentamente, articolando un solenne: Se non che! lo non so di ninno scrittore antico e se del più recenti almeno puro e corre.to, che adoperasse mai il se non che in quella forma e senso che in certi dettati o a dir meglio imbratti moderni.(49). Da questi esempi del Boccaccio si vede che gli era tutt'uno il se non che e il se non fosse che, ed usava indifferentemente l'un per altro. (50). Pare che a G. Vill. sapesse meglio il costruito diretto e senza la congiunzione che, il quale sol che s'inverta o s'inserisca un verbo torlìa (Vidolltelnonte all'anzidetto: « Se non fosse che 'l nostro Comune « Imandò così sul [o il Soccorso occº. ».(51). Nota bella elissi: se non fosse stato che i Bonzi la impoverirono a segno che.... oppure: a meno che ella s'impoverì di tanto di quanto potevano sul suo cuore i Bonzi i quali la smunsero fino a.... NON  Stranissimo e fuor d'ogni regola positiva, come che di buona, anzi  ottima lega parve all'autorevolissimo Bartoli l'uso di questa particella. « Però che, dicº egli, considerandola secondo la natura e la forza che ha di negare e distruggere quello a che s'appicca, pare che contradica, dove talvolta, se nulla opera. Inaggiormente afferma; e sol un buon orecchio sa dirci quando vi stia bene e quando no ».  Così avvisa il Bartoli, e con lui ogni allro scrittore cui occorse di ragionarne. Ma io non m'acquelai e volli non per tanto esaminarla e stu diarvi dentro, e vederla a punta di ragione, intenderne cioè e discernerne il come, quando e perchè. E non fu fatica inutile, parini anzi averla colta che nulla più. Tre costantissime osservazioni mi vennero fatte che ogni caso comprendono del non che non nega.  Non oso erigerle a norma o regola di eleganza. Menzionerolle e me ne passo.  a). La congiunzione salvo, salvo se, salvo che, a meno che e simili,  e l'ammonizione altresì di guardia, cautela, accortezza, vigilanza che cosa non si faccia, non si dica o l avvenga, che poi dispiaccia o comunque metta male, è costantemente susseguita, –- simile al se garder dei Francesi – dalla particella non.  b, che, commessura di comparazione risolvibile nel suo equiva. lente: di quello che, è susseguito dal non sempre che nel primo inciso non vi abbia non od altra voce negativa o comunque avversativa. In caso contrario non ha mai non che vi aderisca. – Appunto come avviene del que dei Francesi, nesso comparativo or seguito or nò dal ne senza il pas. – (55).  c). L'inciso dipondente dai verbi: temere, dubitare, sospettare, suspi care, ed anche dalle voci: per timore, paura, e simili – espresse o sol tintese – il quale si governa comunemente a guida di che o che non, solº reggosi e sta elegantemente senza il che pure a nodo o tramezzo della particella non, ma sì che il soggetto tramezzi e l'una e l'altro.  Seguono gli esempi divisati, conformemente al ragionato, in tre dif ferenti gruppi.  « La casa mia non è troppo grande, e perciò esser non vi si potrebbe salvo chi non volesse starvi a modo di mulolo, senza far mollo o zillo alcuno ». BOCC.  « salvo se i Bonzi non levassero popolo e li ci allizzassero contro ». Bart. “ Una cosa vi ricordo, che cost, che io ei dica. voi vi guardiate di non dire ad alcuna persona. Iº occ.º l'irºgli da parte mia, che si guardi di non arer ll’oppo cre  - dilo o di non credere alle lavole di Giannotto,  l3 cc. º l Ittºsto la rete, che coi diciate bene i desideri l' Nl li, e guardatevi che non ri renisse nominato un po' il n till I...... 13,.  « e sta bene accorto che egli non li l'ºnºs le luci ni tdosso o locc.  º e lì la loro lo luna in quello che la olerano più la col e vole, che ('SSi medesimi non dimandavano,. 13,ce.“ Ma lullo al rinculi addicenne che ella arrivato non avea ». Boce. º tºndo più animo che a sci co non si appartenera, Bocc. º... Se non ci chi è di rim alo e pli lori che non s no io o l?art. (.... che io ho l'oro lo donna da molto piu che tu non se', che meglio mi ha conosciuto che tu non laces, 13(Compagni, non ci lui bale, l'opera sia altrimenti che voi non pen Sale ». DOcc.« Se io vi polºssi più esser la nu lui che a non sono, la ulo più ri strei, (1tl am lo più cara cosa, che non son io mi i sensi. I ne mi rende le m. 130ce. « rispose che per più spazio che non ha da l a iulino al cielo era fuoco ardente ». Passav.« Assai volte già ne potete aver recluta i clico, delli e di scacchi troppo più cari che io non sono. l o e... più assai ce n'erano, e li oppo più belle che queste non sono ». IB ) c.« Voi m'ono ale assai più che non docerale una persona non cono sciula e di sì poco alla re ci ne son io, (aro.« Ma troppo altro gli incolse che non avere di risalo. Ces. « Perchè dunque sì rall risluti ri, che gli altri facciano la m lo bene di più che non ſale voi: e però inquiela, li deriderli, disturbarli? ». Segn. « Ben conosco per me medesimo la grave: sa del mio pericolo mag giore ancor che non di le...... Segm.« Forse a rete voi li rido il rosli o pello la più frequenti percolimenti di pietra, che non portare nel suo slam pali irolamo. Segn. l « Nelle donne è grandissimo tre alimento il set persi guardare del prendersi dello amore di maggio e uomo ch'ella non è o. Boce.  « Dubitando non ella confessasse cosa, per la quale.... ». lRocc. «.... temette non per isciagura gli renisse smarrita la via ». Boce. « I)i che egli prese sospetto non così fosse come era ». 13occ. « Chi vuol fa, e la cosa ancor non rielala, la fa con timore non ella si vieti ». Davanz.  "Forte temeva, non forse di questo alcun s'accorgesse ». Bocc. “.... i quali dubitavan forte non Ser Giappelletto gl'inganasse ». Boce. “ Di che Alessandro si maravigliò ſorte e dubito non forse quegli da disonesto amore preso, si moresse a così l'attamente toccarlo ». Doce. «... sospettando non Cesare gli togliesse lo stato ». Davanz.« Tenealo a bada (Cesare Ienea a bada il Cardinal Polo ch' era ancora al lago di Garda) perchè le nozze di Filippo si compiessero prima che ('gli arrivasse, temendo non la sua presenza le intorbidasse ». I)avanz. « La quale udendo questo, temendo non lorse le donne per troppa lrella tanto l'uscio sospignessero che s'aprisse..... ». I3occ.(0r questo gli dava lroppo gran pena: conciossiachè egli temeva non lorse egli losse caduto in quella durezza di cuore.... ». Cesari. « tanto i santi sono teneri e sfiduciati d'ogni lor desiderio, non forse la natura ne gabelli qualche cosa sottº inteso: per timore che... o temendo mon....) ». Bart.« Ma gli parve di soprastare alcun poco non forse la troppa sua sollecitudine gli noiasse (tenendo non forse....) ». Cesari. «... presso in che di letizia non morì ». Barl. « Io temo non colui m'abbia ris lo ). I 30cc. -  NOte  all'articolo 18,  (55). A prova di quanto atºserisco non basta si alleghino esempi col nom, questi confermano il primo caso, ma occorre anche mostrare come il che del secondo inciso allora soltanto va senza il non che nel primo inciso si trova un non o altra forma comunque avversativa.Eccone però un saggio: «..tutti presti, tutti pronti ad ogni vostro « piacere verranno nè più (più tempo) staranno che a voi aggradi». Bocc. « Conservate il vostro, non ispendete più che portino le vostre facoltà» Pandolf«.... nè avete voi più desiderio di udirmi, che io ho di farvi mas Sai ». Pandolf.Alla parte 2. articolo 11 si ragiona tra l'altre cose anche di questo che a valore di: di quello che, e si allegano molti altri esempi con o senza non in conformità a quello che qui mi avviso. E' poi tanto vero che, in locuzioni si fatte, cotesto non l'una o l'altra volta ci deve essere, che ove al Boccaccio, non sapeva buono (come che di ragion ci stesse, ma per suono forse men grato che all'orecchio ne veniva) la seconda volta, no ! lasciava la prima avvegna che non ci avesse luogo: « E chi negherà questo i contorto ) quantunque egli si « sia, non molto più alle vaghe donne, che agli uomini, convenirsi dona « re?» (In cambio di: molto più alle vaghe donne che non agli uomini...)  Alcune altre voci  il cui valore ed uso vario secol ndo lo scriverc clegli arm tichi ed anche de 1 migliori nºn oderrni, reca a talora al l'assetto di nuove e vaghe fornme, così che al periodo non nel no che alla frase, e vicle I nza 1 ne vierne, garbo e sapore.  Nel precedente capitolo allegai ed illustrai maniere – particelle, compagini e tramezzi – di una forma e ragione tulla interna, coesiva  dirò così e inerente alla struttura e nervatura del periodo. Ora vuolsi invece studiare e prelibare il grato di tal'altre voci, le quali quantunque rechino un senso delerminato ed adoperino sull'esteriore soltanto del pe riodo, son però tali e tal collocale che a lasciarle, sostituirne altre o co munque tramutarle sconcerebbe e n'anderebbe di quel candore ed ele ganza che è sol retaggio della lingua antica.Dada neh ! che nel commendare che farò questa e quella maniera, non è mia intenzione che tu poi la usi a tutto pasto, come fanno certi scrittori i quali si danno l'aria di purissimi imitatori del trecento, dove non ne sono, a dir il vero, che odiosi conl raffattori e lo mettono così in discre dito anche ai meno avversi. Questi colali non sanno far alll'o che infar cire i loro dettati di maniere solo antiche e male accozzale.Tienlo ben mente, non è scrillo sì elegante che non sia anche semi plice e spontaneo, nè può esser mai bellezza quella che si distacca ed esce comechessia di euritmia.Più che la teoria siati adunque criterio e guida un buon orecchio, conformato però – mercè di lungo studio e severo - al ſorbito perio dare soavissimo e grave dei nostri classici.  ARTICOLO 4  MISSfil  Delle novità che ci venite a raccontare! Chi non sa degli italiani, per idiota che il vogliate, che la voce assai è altrettale che molto? Con buona pace vostra, risponderei a chiunque fosse quel benigno che volesse mai censurarmi ed opporre ch'io ridico cose molissime, non è il valore  4 soltanto, ma l'uso altresì di alcune voci e particelle, anzi questo più che altro ch'io mi proposi di ragionare. Mai, sol rarissime volte, leggendo un qualunque moderno di mezza inta mi venne scontrato l'avverbio ed anche aggettivo assai al locato e si vago che negli esempi, fra mille e mille, che quivi appresso.Quale aumentativo (sehr, ti s. very di aggettivo e di avverbio, si che l'adopera e forse l roppo, anche il moderno, ma giammai, o quasi mai. accoppiato a sostantivo, o sostantivo egli medesimo in ogni genere e numero come che invarialbile.E quant'altri e più minuti scandagli restano tuttavia a fare prima che e siamo rivocale e ristorale le avite bellezze dell'italico periodare ! VIIro che piali e ciance! Sollecitiamo a che la via lunga ne sospinge ». (71).  E disse parole assai a Paganino le quali non montarono un frullo ». l 30 (”.Ed assai n'e' uno che nella strada pubblica o di dì o di molle lini a mo. l 3occº.senza le rostre parole, mi hanno gli effetti assai dimostrato delia ros rai bene colenza n. 13 cc....Spero di tre e assai di buon lempo con le co. lioco. Entrati in ragionamento della valle delle donne, assai di bene e di lode ne dissero o. I 3 ' ('.... applicò subito l'animo a guadagna lo, e gli si dia a dire assai delle cose da farlo ra eredere della sua cecità lioco. Il I occotccio l'usò delle volte assai. I 3arl. «... ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo rispello riguardo) º. Cesari.« Minuzzatolo e messori di buone spezie assai, ne fece un manicº retto troppo buono ». Bocc.a La prima persecuzione ſu mossa alla Religione essendo anche tiri assai degli apostoli ». Ces.« Nè vi stelle guari che egli ride assai da discoslo ritornare il Car pignat con assai allegra faccia ». Fiorenz.In compagnia di assai numero di soldati per andare di danni il l live) lo. (iiamb.... la mia guardia ne prende, e si stretta la lenca, che forse assai sºn di quegli, che a capital pena son dannati, che non sono da prigionieri con lan la guardia serrati ». Bocr'. ()r chi sarebbe quella sì ci udele Ch'a rendo un damerino si d'assai, Non direntasse dolce come il miele? ». Lorenzo de' Medici (73). E oltre a ciò rireggiamo (acciocch'io laccia, per mºno ºrgognº di noi, i ghiottoni, i tarermieri e gli altri di simile lordura disonesti uomini assai, i quali.... essendo buoni uomini repulati dagli ignoranti, (tl lim0mº di sì gran legno son posti ». Bocº. t. A rispondere, assai ragioni vengono prontissime ». Bocc. «..... nel quale erano perle mai simili non vedute, con altre care pietre assai ). Bocc.« Assai sono li quali essendo stoltissimi, maestri si lanno degli altri e castigatori ». Bocc.«... dove molti dei nostri irali e d'altre religioni trovai assai ). Bocc. «... che assai faccenda ce ne troveremº tuttavia ). Ces.  NOte  all'articolo 4  (71) Della frase: essere assai a checchessia (per basilare a,...) che l'ha delle volte assai e il Boccaccio e il Cav. e loro più scelti imitatori, parlerassi ad altro luogo.  (72) Nota il genitivo. La voce assai non è qui avverbio Ina sostantivo oggetto, e va unito col complemento della vostra ecc. La forma obbligua assai di, del.... suona talora Ineglio che la diretta. Osservala negli  esempi seguenti. Conf.: tanto tanto di... alquanto di...). (73). Uomo d'assai significa valoroso.  NUIIIII, NIENTE NONNUlillſ, NUlill0, NIUN0 ecc.  Negli esempi che senza più qui allego – alcuni dei moltissimi che ho raccolto, e recanti ciascuno l'una o l'altra delle proposte voci – vuolsi singolarmente notare:  a) come le particelle negativo niente, nullo, nulla, niuno escano ta lora, ed anche elegantemente dai confini che il vocabolario loro inesora bilmente prescrive e si lasciano governare, sol che l'orecchio e la cosa il consenta, a maniera di aggettivo e sostantivo;  b) come in nostra lingua il niente e il nulla, oppure non nulla, (simili al rien dei francesi) si spendono per qualche cosa, e il niuno e il nulla pur vagliano per alcuno. Alcuni Grammatici ne fecero regola ch'io non so come a tanti e sì autorevoli esempi, che dimostrano il contrario, non sia mai stata impu gnata e ripudiata. « Quando si usano, scrive tra l'altri il Corticelli, per « via di dimandare, di ricercare, o di dubitare, oppure con la negazione « o particella senza, hanno senso affermativo... Sì che alcuni esempi ve n ha, ma ve n'ha allresì in cui le delle voci affermano e tuttavia non negazione, non senza non dubbio o dimanda comechessia.  Leggili questi esempi, intendili, assaporali, e sii certo che come il senso avrai libero e sano, questo, più che niun'altra norma, ti guiderà sicuro alla scelta convenevole di questa o quella voce ed anche in quella forma e ragione che nei libri mastri di nostra lingua. .... invincibili dicendo i romani cui nulla ſorza vincea ». Dav. .... si stava così a spellando senza piegare a nulla parte ».  a Inall'ulfizio naturale delle nozze nulla ricerca impedimento all'eser cizio libero delle più nobili sue operazioni ». Bart.  «... in tal modo che nullo più mai ardito fosse d'andare all'eremo Cav.  « Se nulla potenza a reste, bastava uno ad uccidermi ». Cav.  senza molti segni che si nolano, com' egli si ha niente indizio della cosa, l'iel'eliz. .... di subito si rivolse al sasso brancolando con le mani se a cosa nessuna si potesse appigliare ». Cav.  1 llora disse la 13adessa: se tu hai a disporre niun luo l'alto, o l'ºro se ruoi pensa e nulla di questa tua fanciulla, pensanº losto, impercioc ch º....... (.av.  Quando la mia opinione resti denudata e senza ippoggio di ragion nessuna...... o. Martelli.  Ed a ogni modo è, se non maggior brºne, minor male pendere in questo caso, anzi nel troppo che nel poco, acciò transi più tosto alcuna cosa che ne manchi nessuna e. Varchi.  non intendo però di quella lunghezza asiatica fastidiosa, della quale fu ripreso Galeno, ma di quella di Cicerone, al quale non si poteri aggiungere cosa nessuna, come a Demostene cosa nessuna lerare si po le ru m. Varchi.  Se nulla ri cal della nostra amicizia abbia le compassione alla mia miseria n. Fiorellº.  tssaggiare qua e là un nonnulla di... ». Bocc.  a... alla quale (allezioncella) mi sento attaccato un nonnulla ». Ces. “ e se li hai nulla a lare con lei tornerai domani e non ci far questa Seccaggine stanotte ». Bocc. « Ciascuno che ha niente d'intendimento ». Passav. 82. « remuta meno l'acqua e gli uomini e il cammello, affogarano di sºlº, º cºrcando d' intorno se niente d'acqua trovassero, e non trovando t'enº, -1 mlonio..... ». Cav.“ Su bilanente corsi a cercarmi il lato se niente (qualche cosa) v'avessi ». Docc. « Potrebb'egli essere ch' io a ressi nulla? o I3oce. “ Gli si fece incontro e salutandolo il domandò s'egli si sentisse niente ). I30cc.(Come noi facciam nulla nulla, e non hannº allro in bocca: quel l'allra lacera e quell'altra diceva.... ». Fier.º... º forſe nºn lº ſa resistenza al nemico, giammai in niun modo acconsentendogli acciocchi il rinca, e poi del tuo sposo (G. c. possi essere coron (tl (1, peroco lº 'gli il nemico e le bole, come ſu uno, a chi ardita in en le se ne fa brile, e anche fori come leone a chi in nulla nulla gli con sente ». Cav.« Non perciò a me si mostra ragione che nulla basli a derogare l'autorità e la ſede o. I3ari.«... e per sangue e per rilli d'animo superiore ad ogni interesse, che punto nulla sentisse del basso, non che, come questo dell'empio, Bart. « Mostrare se egli ralesse nulla ». I3occ.... ri potr questa scusa legittima, scusa sa ria, o non piuttosto una scusa che se vai nulla prorerebbe anche che non dovreste coltivare i ro stri poderi con lanta diligenza, che non... ». Segn.« al quale io debbo quel poco ch'io raglio nel predicare, se nulla raglio ». Segn.« Vecchi che, perdute le gambe, pare ram sempre pronti, chi nulla nulla gli aizasse. a digrignar le gengive ». Manz.« Se nulla può sull'animo rostro la voce della ragione, sia le religioso, perchè religione e ragione è tutt'uno ». Tomm.« per la qual cosa furono tutte le castella dei baroni tolte ad Ales sandro, nè alcun' altra rendita era che di niente gli rispondesse » Rocc. (83). « Ed arrisandosi che fatto non gli verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse.... ». Docc.« Trorossi in Milano niuno che contradicesse alla potestade? ». No Vellino antico.«.... e se egli ce n'è niuno che voglia metter su una cena a doverla dare... ». Bocc.«... ma se nessuno di quelli che, o si burlassero del fatto tito, o... ». Fier.«.... e dovunque sapeva che niuno cristiano adorasse Cristo, il fa ceva pigliare e mettere in prigione.... ». Cav.« egli sarebbe necessario che tu li guardassi da una cosa: e questo si è, che se nessuno ti domandasse di qualche cosa, che lui per niente non rispondessi a persona, ma... ». Bocc. (84). NOte  all'articolo 9  S?, voleva ci lir qualche cosa, alcun che di..... e così il niente e nulla di tutti gli I tri es IIIp di Iu -! IIIedesimio gruppo S3). Il niente d quest, i del s..: 1: es  n i  I Il tv l':la a in l'il llll tiltra II la lllera della si sºsi V, niente, ed i ll Il..:ll (Ill. ll ilìtelis IV, di negazi rile, si inile all'avverbi, punto del N. edente. Torna sottoso pra alle forme; un menomc olle, in n in mo,do ive Iles Wegs, iIn gering S[.(ºll ((''.E spaurita e sbig || 1o per le pelle e per gli gravi tormenti che e aveva veduti sostenere a per at ri nell'altra v.a, la rendogli i parenti  e gli amici carezze e le sta, non si ra! grava niente ». Pass. «....il quale l'est e. Irle lº rili la si vide i pescatori adosso, salito  e a galla, senza Inlli versi niente, mostrando l'esser in ort, tu preso ». Fier'.« Niente avevano sonno o pensiero d'andarsi a riposare in sul « letto, niente, vevano voglia d'esser consola | I, quando vedevano, () a pensavano che la infinita carita di I) o aveva dato il suo figliuolo a a patire tante pene e tale morte senza niun peccatº o colpa sua». Cav  Si avverſa, si rive il Pil ti, che questo niente in sentimento di non) quando si usa senza il non si mette piu comunemente avanti il verbo, e quando si unisce col non si pospone al verbo.  (84). No.a anche qui la maniera per niente in quel senso che nella nota precedente.  ARTICOLO 21  IIITRI (che) – filiIR0 (che) – AllTRIMENTI (che)  Quan! inque il significato e l'impiego di queste tre voci a base di una medesima radice e a governo di un comune valore, poichè in ognuna vi senti con prevalenza l'allributo allro cioè altra persona, allra cosa, altro modo non sia cosa lanlo singolare e peregrina che anche una penna volgare talvolta non ne usi, tuttavia la maniera di usarne appo i classici è sì diversa e molteplice, e indi anche il vago e vario foggial' della frase sì notevole e commendevole, che credo ſarò cosa non meno grata che utile a dirne alcunchè partitamente, e profferirne di ciascuna e di ogni uso distintamente alcuni esempi.a). Altri o altrui (non altro, che è fallo) posto assolutamente è pronome, e suona quanto: allr'uomo, altra persona, un altro, uno, alcu mo, chicchessia. Si trova appo i classici tanto in caso retto che obliquo.  « Molto dee indurre a dolore o al dispiacere del peccalo, considerando che l'anima è lavata e purificata nel sangue di G. C'. e altri l'abbia im brattata e lorda nella bruttura dei peccati ». Passav.« Per non fidarmi ad altri, io medesimo tel son renulo a significare ». I30cc'.« Sentendo la reint, che lº milia della sua morella, s'era (le liberala, e' che ad altri non resta rai (t (lire.... ». I30cc. « Il che la donna non da lui, ma da altri sentì ). I30(''. «... in tanto che a senno di minima persona rolea fati e alcuna cosa, nè altri far la colera a suo m. Bocc.«. (ndiamo con esso lui a Itomai ad impetrare....: ma ciò non si ritolº con altrui ragionare ». Bocc. « Oh quanto a me tarda che altri qui giunga ! ». Dante. « Irrere pertugio dentro da la muda La qual per me ha 'l litol della fame. E 'n che con rien che ancor ch'altri si chiuda, Dante.« La confessione per la quale altri si rappresenta a quegli che... ». Passa V.a... non solamente i peccati veniali, ma esiandio i mortali i quali altrui (tresse al lutto dimentica li ). Passa V.« Il secondo modo, come si dee studiare, e cercare la divina sciens(1. si è innocentemente, cioè a dire, che altrui riva santa mente ». L'assav. « Si restiemo una cotta, che non si potea reslire senza aiuto di altri. Vill.« Non hanno altro mestiere che di pescare altri perle, altri pesce p. 3a l't.a... che per accorto e sottile intelletto che altri abbia mai non ne giunge al chiaro ». Bart.« Quanto altri più sa della lingua ben ripresa nelle sue radici lºnſo più va ritenuto in condannare ». Bari.... nè teme punto ciò che altri di lei dirà. Segn.... e partirane con quel disprezzo che altri fa delle cose sogge e della bruttura ». Ces.« Egli mi pare, che niuna persona, la quale abbia alcun polso, º dore possa andare, come noi abbiamo, ci sia rimast. altri che noi n. 13 del. Inverti e vi riconosci il ragionato altri: Egli mi pare che altri clº noi ci sia rimaso, il quale.... b). ll i clº, altro che vagliono entrambi fuor che, ma sì che altri che non si riferisce che a persone e torna al dire: altruomo, qualunque alla prºsolia che..... ed altro che ad altra cosa qualsiasi. Questo altro, (illº che, in significato di altrimenti, in altra maniera... che, ecc., è una di quelle forme che andavano assai all'animo al valoroso Bartoli, e l'usa Spessissimo in Inel miracolo di facondia che è la Storia dell'Asia. Ma os serva come e con quanta grazia:  Io non so potersi dire di... altro che bene o. E altrove: « Ma poichè º il videro felino di non conceder la disputa altro che a questi patti, sel presero in pazienza ed accellarono. Traduci: non in altra forma che. “ E ancora: « E perciocchè quivi non era per rimanere altro che inutil mente, gli ispirò al cuore di andarsene al Meaco o, ecc. ecc. che ad allegarli tutti codesti esempi non ne verrei a capo in parecchie centinaia di migliaia.  Al lllllo simile a questi luoghi del Bartoli è l'altro del Bocc.: « non º avendo avuto in quello convif [o) cosa altro che laudevole o: e altrove: (AV ea grandissima vergogna, quando uno dei suoi strumenti fosse altro che falso Irovalo ». Nè guari dissimile quel del Davanzati: « Con gente « sì accagna, crudele e superba puoss'egli altro che mantener libertà o « morire? ». ſar al Ira cosa).  Bammento l'intercalare non chi alti o, di cui si è ragionato al Capo Secondo - Articolo 13, e piacermi ancora menzionare il modo: senz'altro..., che opplre, e talvolta anche rileglio: senza... altro che: « senza amici altro che di mondo o invece di senza all i amici che...: « senza famiglia allro che bastarda o, o senza affelli altro che brutali o ecc.. IBart). Ed oltre a questo anche il seguente, gli alissimo: niuno, nessuno, reruno... altro che....: « aspirando a niun fine all ro che nobile ». « Portatovi da mium stimolo di senso altro che puerile e rello o a...inteso a rerum lavoro altro che di mente ». «... I rallenendosi con niuna femmina altro che onestissima ». I3ar[.. Segm. ecc. ecc. Nola qui l'allro a forma di averbio, mentre congiunto al senza, niuno, reruno ecc. sarebbe ad uſicio di ag gettivo. Chi legge e studia ne' classici le ritrae queste forme anche senza avvedersene. « II vietare con semplici parole, senza autorità altro che « privata non si direbbe propriamente divieto, ma sì quel di legge e di « decreto ». Tom.  c). Analoga a questº forma avverbiale altro che è l'altra, anche oggi nola e continissima non altrimenti che.« Noi dimoriamo qui, al parer mio, non altrimenti che se esser vo lessimo testimone di quanti corpi morti ci siano alla sepoltura recati ». Doco.« Non gli concedè che si ritornasse altrimenti che promettendo di ri « tornare altro volte a rivederlo ». I3art. (Cioè gli concedè... non in altro modo che promettendo, oppure sì reramente che promettesse. Conf. Cap. II. A rticolo 25).Ma nota da ultimo di questo altrimenti (altrimenti che) un uso ben diverso delle forme che qui sopra: come cioè la voce altrimenti in molte  guisa ad altre collegata e con un costrutto e commessura di ottima ra gione entro il periodo leggiadramente contesta, sia talora altresì sol orna mento e tramezzo, non mai inutile e superfluo, se pur non necessario, e non altro, a dirla col Corticelli, che pura proprietà di lingua. Rinforza la negazione e vale in nessun altro modo.  a Della sua pelle senza ſorarla altrimenti se ne sarebbe potuto fare un bel vaglio ». I30cc.«... e pauroso della mercatanzia non s'impacciò d'investirne altri menti i suoi danari, ma..... ». I3oce.« recita fino a un punto il contenuto senza altramente leggerlo ». Caro. « I Siluri, oggi estinti, mostra Tacito nel suo Agricola, che ri renis sero già di Spagna, e al guiscelo da molti segni, che io non replico ora altrimenti non potendo per ria di quelli sapere quando e' ri siano venuti ». Giambulari..... il nostro bene, la nostra rera felicità non dipende altrimenti no, dall'amore che noi portiamo a persona, la quale all rºllan lo ne porti a noi,..... ». I3arbieri.« E' dunque mestieri fermamente attenersi a quelle idee, a quelle speranze immutabili, che non sono l'opera dell' uomo, che non dipendono altrimenti, da una opinione passeggera, che rengono acconce a "ulli i bi sogni, che.... ». I3arbieri.« e senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la ſede.... ». Giall bulari.« E tanto basti aver accennato di quelle, che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può altramente che non sia troppo ». Ball «... non aspettò altrimenti che il disegno si colorisse ». Giamb. «... non arendo altrimenti che dargli si lerara il cornon da collo (iiamb.« Le sue cose e sè parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse rimise nelle sue mani ». Bocc. un ful I e.tlsou e Iop olooos Ufonq lºp uomiios ilf ouuxupuoqqu o.luluud lp onloAuslp o toluetu ºttº º ſullº I I ouu Auuuulo ot ouo. I touo A olsenb ll I luttuº nId otor I allop luou ouulloAul lp ipotu itino le outleti oli elzºti l' º l.zzoIl fu A ip otl.) os º  trou olto.o un o o Iuliud lop el Aol I lol 55tui ti º º S otto it: i tºlsoni) cl ouol Ru.i uoo Illu) I tollo olios cui lu u uutti i litio o.ilto. llo i - lo tºllo Alun ottu.tellulos 'ortll lito.Ioll lui Ruo IV o op.otto: 1 o. ll 'llout Ill.I. “  Isopullios o Iosso otiosso i  “olu.opluuuuuuli ella A e allo Ip:lloti - lllllº º oil. Issi III, II F o ollo.o! I -.tuti o o luouo td 1 o olio A o.it: i sºli. Il 1 li tºlsl-º sonl) o o lo stºp ll out. I votolelu o il 'u Iso:) Il ) A LI - Ipotti i lotti e io lº otlos IA ".  eodo]uttlollo outsioloou otus olos: li titoli onl) Ip A o.Il ol Iso.IddV out Ao;iuniti o totu lo vos luo. I lºtti I I.) o, dt: ti Il plº o il uAInfioso oln) eo.lolol o eluuun oli l'illS º il ossImpo.Il tetto SIS Il l III euto ollo]Jo uono lº o lod os os, ou o alle p letti ossitto, ve º tº IV e void 1. ll il l e o la tollo un 1: Is ll It, looluu.Iou;il p o Iul e n.InsIl pl. I sei “I lumbs un.oltº otto puºiolli: Iduloso liuloop) Ied otto.III') ott o lo Isol.Ioli onl Ip ottil. Il od oil.Il leso, e il -ulououout outIoztto Vito e il p.olio III lo o.olio o.I l: \ Il “Il d | 12 | | Il sollia.osop o lou.oo Iuulio II lo ottoutele in lull l' "lº ºlotºs º o | II. Il -Iu.Iouoi ouopuolo.ld o Inddºl otto le vo.In lon.o utin o 55es e Ilillº.ilsotti lod o su Islenb uru lp otto voi o utili ulds ezilos essudiº.I | Il III ed l miº o ns o olios ouour pidui orie, o vo otlriori olio lord III trim opotu u onios eupulo, etil e oil.on. l oil o Ip olfettes oil.it il a ºsteo il o negli Ion A ou ouo olio in Ile e se il N. Ierio. In oiloti in love u “ouoduloo is opito illed ollop elziloti o le zut: sos ld Ilesse litolzltifo. ouuuiosi di lui os usul [.. etti e il Ip o | | | | | | |. ll tº o lo l.tolto) sod l) ouopzlullop el o optito. Io l ott e elliot II o II) ml. ll los o utopuoli, ) allo, Ao eI.Io.osolio.ol.i e lpini oil.o nello,osi Iloil oliolli. I ti o Atº III. Il N i lºl li Idl tioli o I.). Il luttoso oft: A otl.oltelloouoptIoonppe 'otiuillirio o ostili osti i millepitoli Itito. el.IIIIIIop olilout -eoplollo.I n.InfII e III: lo esonb o lo s oliº o In VoI o Iellios II, lo  (s) osogssu Io e Iuº pop.Ieo I o UUIpsspn U IUP55oIo,I -Iep eIes II e eu OIun Oo l-IoU I II epU IO “I UIop t Iu II5olo o IoA  -I.Ios OI Opuooos 'eooA u IIon I O unsenb pp e UIopssIULuo po  auloIllla Iuolzno oT sillessi, enalagge, anòfora, iperbate, tropi, metonimia, iperbole, prolipsi catacresi eutimema, epicherema e va discorrendo.Lessi e m'imparai i relativi saggi, assaporando a brevi tratti oi l'uno, or l'altro dei più celebrati componimenti. E qui vi ammirarsi la Pura semplicità del Villani, e là la nobile dolcezza del Giambulari e quando celebrarsi la faconda brevità del l)avanzali, quando la rigida su blimità del Machiavelli. E or questo or quello esaltarsi, e la severa ele ganza del Varchi, e l'abbondante gravità del Guicciardini.Ma dopo tutto ciò, venendo ai fatti. falliva ogni prova. In opera di eleganza, meno alcune frasi che a forza di udirle pil l' Ine ne ricordava e le inseriva sforzatamente, e anche le più volte a sproposito, tra le ciarpe di una dizione sempre mia e di un periodare sconveniente, avveniva di me quel che di un gastronomo, il quale senza impararne altrimenti il me stiere e nulla suppellettile avendo di cognizioni pratiche, pure al saggio di questo e quel manicarello e mercè di un buon corredo di nomi, a. cesse professione d'arte cucinaria.Quarle sconciature ! quanle ingrale dissonanze ! quanti piastricci rincrescevoli ed insipidi! E non se ne può altrimenti. Il commettere ordire di frasi e periodi più tosto ad una che ad altra foggia è cosa tutta soggettiva, è affar di sentimento e vigor mentale. Il quale se guasto o Inal composto, ed il linguaggio altresì. La ridice adunque, il midollo, non le foglie e i fiori si vuole medicare, riformare, ringentilire, a volere che l'albero di selvatico e malvagio risani, Trulli buoni renda e soavi. – Chiesto parecchie volle dai Tedeschi, Francesi ed Inglesi del modo ond'io mi resi lo studio di lor ſavelle proſi! Ievole a segno da reputarini si al parlare che allo scrivere un lor connazionale, diei risposta che fa ap punto pel caso nostro. Perare la mia mente, il mio pensiero ad eſligiarsi in delineamenti e forme straniere non importa appo me l'accostare alla 'nia l'altrui favella, mettere a riscontro l'una parola all'altra e violentare lue e più disparatissimi linguaggi, mercò di contusioni e scontorcimenti, a combaciarsi l'uno all'altro, fatica da farla i provetti ed investigatori delle ultime recondite ragioni filologiche, non via ad imparare lingue fo. restiere: sistema orſo, le diosissimo, lunghissimo e mal sici Iro. Il metodo delle sempiterno raduzioni è una bizzarria, un perditempo, tortura delle menti, inutile, anzi esiziale. E' sempre il linguaggio a conflitto col lin guaggio: non il concetto ad assisa dicevole e sua, e quindi il parlare e scri vere insipido, barbaresco, a urti, a stropiccio, a singhiozzi; indi il de turparsi della propria ed altrui favella; indi lo studiare che si fa ben otto anni la lingua latina ed uscirne appena balbuzienti, quando due anni – chi veramente slidiasse ed avesse alleli o da ciò – basterebbero a farne poco men che un Cicerone. A dunque il ripeto, recare il mio pen siero a riprodursi in effigie di altro idioma vale, a casa mia, legare imme diatamente la parola all'idea, suscitare, a forza di leggere, trascrivere e ripetere ad alta voce e pensatamente gl' idioſismi, le frasi più elette, i per riodi più caratteristici ed anche lunghi tratti, un senso, cioè a dire, im pressioni e senzazioni, pari alla natura ed indole di quel medesimo idioma. ma sì che facendomi a quel linguaggio, le risento e al risentirsi spontaneo scorre dalla lingua il linguaggio stesso. E' un fatto incontestabile. Io ho memoria assai tapina, ho studiato sempre solo e senza guida, non ho mai salto tradizioni, eppure, la mercè di un tal sistema, e a tirocinio di po chissimo tempo mi son reso signore di alire lingue.Egli è il dunque per convnizione di fatto ch'io dico e sostengo che ſilichè l' italiallo d'oggidì si contenta di vederla soltanto ed ammirarla l'eleganza e non è punto del mondo sollecito di recare a proprio sentire il caratteristico elegante e classico, non gli verrà mai fatto per fantasti gare, lambicare, comporre e travagliarsi ch ei faccia, di ritrarre il grato dei gloriosi antichi, ma il suo linguaggio sarà sempre suo, ritratto sempre del suo sentire, del suo pensare. Egli è mestiere di una radicale riforma. Noli erudi e dissertazioni, non indagini, non rile analisi o scrutini filolo gici. Troppo presto. Lo ſaremo sul nostro quando sapremo parlare. Ora lia li sll'o compito studiare accuratamente il magistero del favellare periodare classico; decomporne le parti e quegli elementi imprimerci che ne costituiscono il caratteristico e bello.I ritornando a d'ondo il giusto sdegno, mi trasviò, dico che ad apprendere con sicuro profilo ed anche usare convenientemente quella figura che si chiama con il nemici le elissi, ci bisogna prelibare assen natamente, e leggere, e poi rileggere ancora quegli esempi che in varie guisa la contengono, e ch' io li porgo, gentil lettore, schierati in due di sliIl le classi e solo: I. Voci e il dtsi che comporlot no, e licenza. II. l'articelle e il ct si cui si alliene il prete mi esso.  ("LASSE I.  Voci e frasi che comportano reticenza  l: previlegio di alcune voci o parole, che hanno luogo nel discorso, e luttavia non vi sono, di poterle, chiunque legge ed ascolta, agevolmente intendere, e sentire, e lorse più che non si otterrebbe esprimendole.  Molte di colali reticenze sono in uso anche oggidì, e le ha il popolº continuamente in bocca, e di queste non accade occupal selle.  Ma ne sono alcune che il moderno ordinariamente non usa, e solº pur quelle onde, a mio senno, vagamente si abbellano e prendono sa pore e forza gli ameni dellali dei migliori scrittori.  Te ne offro, caro lettore, che mi lusingo di averlene ogginai in vaghito, eletti e copiosi esempi, colli la maggior parte nell' Eden deli ziosissimo del trecento e cinquecento, e che mi parve di ordinare lº articoli recanti in fronte il segno di quella voce che secondo il sºntinº degli esperti in opera di lettere, in qualche modo si omette, e va Pº intesa. Torno a dire che non è l'assetto della collezione ch'io metto innanzi, e quello che io ne sento– che non mi dà niente noja se ad altri non piace o se ne facesse anche beffe – ma oggetto del mio lavoro è la Lingua degli antichi, e non altro che la lingua. cioè il costruire e fraseggiar clas sico in quanto differisce dal volgare e moderno, mostrato con esempi, e di tante e sì diverse forme, e di autori colali e in numero tanti !  ARTICOLO 1. Ifilif; IMIlMENTE: (si bene; in guisa ecc.)  L' omettersi a suo tempo e luogo l'una o l'altra di queste particelle dà alla frase un garbo che il profferirle non farebbe.Dove, quando e come te lo diranno assai chiaramente gli esempi. (101).  «... e così dicendo, con le pugna le quali aveva che parevan di ferro tutto il viso gli ruppe ). Bocc. (Traduci: le quali aveva sì ialle).  « Di ciò che... so io grado alla ſottunu più che a voi, la quale ad ora vi colse in cammino che bisogno ci ſi di renire a casa mia ». tale) Docc.  « Diceva un chirie e un sanctus che pareva un asino che ragliasse ». BOCC.  (ad ora'  Alfermando sè, di spezial grazia da Dio, avere una donna per moglie, che lorse in Italia ne losse un'altra ». I3occ.« Parti egli d'aver fatta cosa che i moli ci abbian luogo? ». Bocc. «... e andronno in parte, che mai nè a lui nè a te, di me perverrà alcuna novella ). I30 cc.« E messa in terra parte della lor gente, con balestra e bene armata, in parte la fecero andare, che...... ». Bari. (102)« E guardi bene colui che avendo l'autorità di prosciogliere della mag giore escomunicazione, assolvi altrui che non lasci della forma della chiesa niente; però che gravemente peccherebbe ». Pass. (ass. altrui in guisa che).«.... e tanto andò d'una in altra (parola), ch'egli si ſu accordato con lei, e seco nella sua cella ne la menò, che niuna persona s'accorse ». Bocc. (talmente - sì chetamente e furtivamente).« Costei è una bella giovane ed è qui che niuna persona del mondo il sa ». Bocc. (in tal luogo e maniera).  “... Sere, andiamocene qui nella capanna che non ci vien mai per Soma ». Bocc. (lal nascosta e sicura che,º pensando che in quelle contrade non area luogo dove egli potesse stare nascoso che non fosse conosciuto pensossi di iuggire ad alcuna isola rimola ». Cav. in guisa, sì perfettamente.“... con inciò a gillar le lagrime che pareano nocciuole ». Bocc. “ cºddº, l'ºppºsi la coscia e per lo dolor sentito, cominciò a mug ghiar che pareva un leone ». Lo c.“ Dirºmulo nel viso quale è la molto secca terra, e la scolorita co mºre ». Bocc. (103).« IIa roi adunque in parte la lortuna posto che in cui discernere pole le quello che ancora giani ma non potesſe vedere... Bocc. E da indi innanzi penso sempre modo e via come ei glieli potesse lurare ». Fier. 104.() h. non li ricordi della cosa dell'Aquila e dello Scarafaggio, che non lui moli la più bello rende la ' o Fierenz. Iale, sì bene ordita, che...). Egli allora con una superbia che mai la maggio e... ». Fierenz. (105).... roi l'a re le colta che niente meglio... Ces. talmente, sì bene che...), \ on gli bastando più l'animo di andare in procaccio, si condusse ad atto talora, che... m. Fiel'eliz.  (t... ... e conchiuso di appiallargli un bel figliuolo che non vedeva altro che lui n. Fiorenz un igliuolo, l'altrº ente bello e caro, che non vedeva.... « Guarda come ciascun membro se la rassomiglia, che egli non ne perde nulla. Fier. (in modo, il glisa, sì perfettamente. « Per ciò bestemmia, che non par suo fallo. Malin. Se ne scantona, che non par suo allo. Malm. - 1)ice le cose, che non par suo fatto o. I 3el ll. lilli. « Se non fosse lo scrivere, sarebbe un modo di vivere che non m'arrem mo bisogno, ed in rece sua serrirebbe il tener a mente ». Caro. (un modo di vivere tale che..).« E questo pensiero la innamorara sì l'orte di Dio, che non si po - Irebbe dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sua vita passata, che con - - grande empito si sarebbe molla, s'ella tresse credulo che piacesse a Dio o. º CaV.  «... che se io fossi serrata e rinchiusa tullo di domane in prigione e tenuta ch' io non potessi andare a cercare di lui, penso mi che immansi  che fosse sera, io sarei trova la morla ». Cav. - «... e andò la infermità montando che i medici il disfidaro (l'ebbero. per disperato). Cavalca.- a Giunse alla porta e con una verghella. L'aperse che non ebbe alcun - rilegno ». Dante (106), in modo, sì presto, sì facilmente. « Si reslieno una cotta che non si potra reslire senza aiulo d'allri ». - Vill. (Iale foggiata che...). NOte  all'articolo 1,  i101) Analizza un po' la frase nostra lombarda: egli è afflitto come mai, e mille altre di somiglianti, nelle quali vi senti oltre l'elissi di tale talmente, anche quella de verbo essere che regge la frase: la quale omis sione è, tra l'altre cose, oggetto di ossrvazione nel seguente articolo. (102) Guarda come ai valenti in itatori del Trecento uscissero della penna spontanee le frasi e maniere dei loro Inaestri.(103) Qui si è forse la voce quale che con leggiadria sta sola e cessa la corrispondenza di tale. Simile all'allegato è quel del Petrarca: « Piaceni a almen che i Iniei sospir sieni quali Spera il Tevere e l'Arno ». (caliz. 29). (104) cioè quel tal modo acconcio e sicuro; non un, nè il, la cui onis sione dice assai piu che l'articolo non farebbe.(105) E' forma superlativa adoperata spessissimo dai buoni scrittori. (106) E cosi dovrebbesi intendere, a In 1o avviso, anche il secondo verso della Divina CUII, III edia: « Nel II mezzo del cali Iilin di nostra vita -- Mi « ritrovai per una selva oscura – Che la diritta via era sinarrita ». Cioè oscura tanto, a segno che.... E nºn dare a quel che, senso, chi di poichè, perchè (Tomm.) e chi di per dove i Cinomio ed altri). Con questo modo di sentire (tanto, si fattamente), è l'uomo che pervenuto all'età delle tumultuanti passioni si trova coine in una selva tale oscura che non ne vede più uscita, Inentre col chè, perchè ne risulta un senso al tutto  opposto; quello che è causa diventa effetto.  ARTICOLO 2.  flilSSI DI UN VERB0, quando in maniera subordinata  e quando a SS0luta  u). I no stesso verbo di due incisi o membri l'uno all'altro comunque copulati, l'una o l'altra volta, si lace, ove nol vieti pericolo di ambiguità o bisogno di precisione. (« Ti avrei rii a modo che alla Maddalena ». Fior. – che avvenne alla Maddalena). Si sopprime il più nell'inciso secondario, dipendente subsunto, il quale talvolta il primo luogo occupa e tal'altra il secondo. Assai vaga e commendabilissima è l'ommissione, non pur del verbo, ma e di sua appartenenza dopo un che pron.) nesso comparativo, il cui membro principale suona, espresso o sottinteso; tale, così...., in quel modo e grado, quel... che: ecc. (« avere in quell' onore che padre ». Bocc. – cioè nel quale si ha o si deve avere un padre. Si osservi di più che ornettesi talora tal verbo, che anche nel primo inciso è sottinteso (« Richiedersi un uomo del saper che il Padre Nugnez ». Bart. – cioè a dire che sia del sapere onde è il Padre Nugnez, opp.: fornito di quel... ond' è fornito).  b). Anche il verbo soggetto ad un che congiunzione (dass, als, ut, quam) ed al quale risponda un modo – qualità o grado di azione – che sia più che il verbo da avvertire e rilevare, si tralascia molte volte non senza leggiadria di frase e sapor di stile. Il vescovo rispose che vo lentieri ». Bocc. – cioè che il farebbe volentieri la qual cosa avviene non solo di un che a governo di altro verbo (es.: disse, rispose che...), ma altresì del che correlativo di tale, così, il più e « lºd egli con una Su perbia che mai la maggiore, Fier – che non ebbe o non fu mai la mag giore).  Gli esempi che li reco, disposti in quell'ordine che dianzi, non solo vogliono dirti che è veramente crisi, ma anche farlene sentire il grato e stimolarli allo studio assiduo ed elica e di questa e mille altre somi glianti venustà. ... perchè egli chiama rimedii, quei che gli atlli i Ncellerat lesse o. l)av. quei che gli altri chiamano  a rate ciri, ha questa tarola della penitenzia da quello mºdº da cui la navicella dell'innocenza, cioè da Gesù Cristo e dallº Sltº Pº sione ». Passa V.  « E poichè non potevano sassi si colsero a gittar maledizioni e calun nie ». 13art. e poichè non potevano gilla' sassi. ... se la faceva la maggior parte dell'anno, all'ºstºsº (lell'Indie, con riso; e quando più sontuosamente, con un pºco d'ºrlº condite sol di lor medesime n. 13arl. e... se la faceva tºll llli lº d'erbe...) º 107):  a punzecchiò un poco la donna e disse: ºdi l' quel ch' io? ». Bocc. (quel che odo io).  Io non so, disse... se a coi sia intervenuto quello che a me, che tutto il dormire di questa notte m'è andato in un sºgnº" continuo di...». Ces.  e però re intervenuto quello che (tll'eremila col suo con lo 0 n 0 º. lierell?.  « I)eh, non..., che redi che ho così rilla la ren Iurat les lè che non c'è persona ». lSocc. - -  «... sforzandosi tutto di di non parere quei dessi che dianzi, tanti oltraggi gli dissero e così luidi: l)av.  ierata del parto e daranti di linº renula, quella reverenza gli fece che a Padre ». Bocc.  «... i quali tenevano il Saverio in quell'amore che Padre, e in quella reverenza che santo ». Bart.  si tiene un santo).  º indicasso di ufficio e nei lºdºsini ierri che il re, inviato a... ». Barl. (ed essendo ºi medesimi ferri nei quali era stato il re ).  (nel quale si tiene un Padre..., nella quale  “... fare a modo che la madre al lº ºillo quando lo ſa bramare la pOppſl n. Fioretti.  « Ma di sè non curò punto più che se non bramasse di rivere, e non le messe di morire ». Bar. di vivere).  «... stimerebbono le anime del l'ill galorio rose quel che noi Spine: chiamerebbono rugiade quel che noi solli. Segni.  ºi Iliello che avrebbe curato se non braInasse  “... trendosi a credere che Tºllo a lor si convenga e non disdica Che alle altre. I3occ.... che si conviene e l 1 l I disdice alle altre..« E quelle medesime forse hanno in India l'iti li e gl'ingegni che in lºlºgna: e in quello medesimo pregio sono i lottolº roli costumi in Austro che in Aquilone » Bocc.« Come il Paragone l'oro, così l'arrersi di dimostra chi è amico ». I 3 c'e'. “ Ed intendi sanamente, Pietro, che io Non l'n minº, come l'alt e, ed ho voglia di quel che l'altre; sì che l'ºrch º io non me ne l) l'ocutc''i non cºndonº da te, non è da di menº male, I3 cc'.“ - ºgli medesimo determinò di rimanersi e Correre quella medesima fortuna che lui, nulla curando me la pºi dila della sua mare, nè il pericol, della sua vita ». Bocc." Iº lº uomini della condizione che essi, maestri e promotori del l' idolatria, altro non era da (t Spell (Irsi... I 3ar[.." l'Ili all'incontro era fermo di rimanersi al mi e lesimo rischio che ºsi, parendogli la r da mercenaio, non da buon poi sloi e', se at bbandonass la greggia... o. I3art. Se io piango ho di che o. I; rec. di che | Iilliger. “ La ſan le piangeva forte come colei che arera di che, Boce. “ Le quali ſcortesie, molti si sforzano di fare, che benchè abbian di che, sì mal far le sanno, che prima le l'anno assai più comperar che non ragliano che ſale l'abbiano. I loce. (di che doversi sforzare a farle, º Dirò quello ch' io avrò fatto e quel che no, Ifoc,« Voi l'avete colta che niente meglio ». (les in maniera che meglio non si poteva cogliere).“ Di certo non lu mai uomo innamorato così l'alcuna persona che ne facesse o sentisse quello che Luigi per amore di Dio  « Dice il Sere che gran mercè, e che... ». Il che vi tiene obbligo di gran mercè).  « E rispose a sè medesimo che mai no o l'assav.  “... e se di niente ri domandasse, non dite altro che quello che vi ho detto. Messer Lambertuccio disse che volentieri e tirato fuori il coltello... come la donna gl' impose così fece p. Bocc. -  « Tornali a Sacai, si ad una ono loro intorno tutti i cristiani a udire  voda Lorenzo che norelle recasse: ed egli a tutti, che felicissime: e contò...». I3: il 1.Prese una tal gentilezza e proprietà che mai la maggiore ». Ces.... ri con cerrebbe a lui lornare e sarebbe più geloso che mai ». l3 ('.llli 2 di Giugno 1S33 lu incorona la 1 nn 13olena con la maggior pompa che lei ma mai o. I )av.Fracassata l'armalat. g) e mite le lilora di cadaveri, con più virtù e lierezza che mai quasi ci esciutti di numero.... Dav. 108).... godendo che l'ossei o così vilipesi e br amando che peggio ». Fier. li e li avveri sso di peggio.Vli repliche il lorse... V e di mente che si, ma.... Caro. ! Il rint ºn li, come lo dimosissimo del noti li io, sarebbe quinci pus sotto dentro le l a a predica e ad l abi e a Persiani, con quella riuscita che pochi mesi aranti un lei ren le religioso dell'ordine di S. Francesco, e certi all il seco, li aliili con stelle e mo) li la saraceni. Bart.  N Ote  all' alrticolo 2.  10), I, I.issi, a lui lo rigore, sarebbe anz doppia: e quando la faceva pI i sontuosame te, se la faceva con.Troppo ci sarebbe che dire se tutte si adducessero le reticenze vaghe parimenti e vigorose di questo potentissimo scrittore Guarda, per dirne pur qualche cosa, con quanta grazia. I 13artoli adoperasse un altra eissi simile a questa che abbiam tra Irlano e, non qualche volta soltanto, Irla soven, che due e tre la riscontri talora nella Imedesima pagina, cd e quei 1 di una proposizione al pit ve li recati ad un solo mercè di ll li V el'ho (olillllle e generale, cioè in lire di valore lil delel'Illinato essere  fare, mettere, ecc.), che !., una sola volta ed a cui guida reggonsi le altre voci di riol: liti il che, come, dove e della diversa azione attri butiva: debboni prenderla alla scoperta contro de lºonzi, rivelare gli rrendi e le andi or vizi, e metterne gli insegnamenti in dispregio e i costi tini in abboninazione del popolo ». « Ciò farebbono levando  popolo in Funai come si era fatto in Amangucci, e mettendo le mer anzie de Pol togliesi in preda, la nave a fuoco, e quanti v'avea di loro al taglio delle scimitarre o invece dei gerundi predando, incendiando e tagliando) – I) in Sancio, come padre comune, a tutti dava albergo, (a tutti largamente di che sustentarsi ».10s Simile il modo nostro lombardo: contento, allegro, tristo, afflit, come mai, che fu già menzionato alla nota 101. Anche la lingua te desca ci somministra esempi non guari dissimili, ARTICOLO 12.  I VERBI: VOIERE, DOVERE, p0IERE  (mögen, können. diirien)  comportano reticenza ove all'ombra di altra idea, verbo o qual altro sia si termine, sì leggiadrati len le riparano che più grata ed eſlicace torna la loro parte assenti, che non ſarebbero presenti.  Come e in quanlc guisa e li chiaris ono gli esempi. Non leggerli soltanto, ma studiali, assaporali e fil di prenderne dilello. Egli è in questa maniera che il pensare e, per conseguente, anche il dire prende a mano a mano quel tornio di azione, quelli Iorina al resi di eleganza che nei dettati dei migliori scrittori.  « E vede ra la bruttura dei peccati suoi, e i demoni d' intorno ag gravando queste parole in molti modi, vedendo ch ella non sapeva ancora che si rispondere ». Cav. che cosa dovesse o polesse rispondere. « Qui ha questa cena e non saria chi mangiarla ». Cav. chi potesse O volesse mangiarla). « Qui è buona cena e non è chi mangiarla ». I30cc. «... ſecesi compagno..., per lasciar chi succedere ». Dav. « I)i tanta santili che li dei nomi non al re ritmo a cui entrar dentro o. Fiorelli. (non avevano persona in cui polessero entrare”.« Viene il demonio per sospignerlo quindi giuso. Di che S. Francesc non avendo dove fuggire si rivolse al sasso lo stucolando con le mani...». Cav. i non avendo luogo dove potesse filggire.« Allora disse la liadessa: ligliuola mia, e non ci ha dove tu dorma: ed ella disse: «lore coi dormi in ele, e io dormirò.... ». C: V.« ('h e la mia rila acerba, Lagrimi a nolo II o rasse ove acquietarsi ». Pelr. « Non sapiendo dove andarsi, se non come il suo ronzino stesso dore più gli parera ne la porta ro ». 13 cc.« Non sapeva nè che mi fare, nè che mi dire se non che l'rale Ri naldo nostro compare ci renne in quella... I 3 t.« I)i Giusea, do ho io già meco preso partito che farne, ma di te stillo Iddio, che io non so che farmi. I 3 ('C'.« Imperocchè quello libro (l' ipocalisse è di grande solligliezza ad intenderlo ). I3ll I. Corn. l)all I e.« E redendosi il leone ingiurialo lanlo, e ſi rendo preso un ſolo slot di intra due, o dargli morte o perdonargli n. Volg. Es p. (se dovesse dargli morte....). º Tullº la rila sua acra spesa in lontanissimi pellegrinaggi, cer cºndo i luoghi santi del Giappone, doru nque e, a qualche idolo o cerimonia con che prosciogliersi dai peccati a Bari.ln lendi sºnº nºn lo, marito mio, che se io volessi far male, io tro l'ºri ben con cui: che egli ci sono le ben leggiadri che mi amano, e co gliomini bene l'oro con cui poterlo lare.Sr lossº un palagio, e l'osse e siandio lullo d'oro e d'argento e bello quanto pil polºsso essere, e non fosse chi l' abitare e non ci stesse per sonti, il n grande peccato sarebbe questo lº Giord.Perche... chi saperlo? chi ride nel secreto di Dio il perchè di que sto gore i nutrsi così '. Cesari.e l.odulo sia lalello, se io non ho in casa per cui mandare a dire che lui non si aspellato 13 non ho persona... per cui io possa mandare). E se ci losso chi farli, per lullo dolorosi pianti udiremmo o. Dav. Il loroso qui i lo mai alcun altro (19.trasporta casi dove il vento.... Bari dove voleva il vento). (110). (atlandrini... pºi c'e' lissimo librº srco medesimo d'esser malato lilllo sºlo tra il latlo qli doni di nullò: Che fo? l)isse lº uno: A me pare, che tu torni a casa, e i lilli in sul lello. I clie dello io il re?... A me pare l'ori i ba riare a...V (Ilen l uomo, io ho la più persone in leso, che lui se sa essimo, º nelle cose al l si l i n olio e col nºi: e per ciò io saprei colentieri da le, I tale delle l e l'afgi l il repuli la cerace, o la giudaica o la saracena, o la cristiana loce. Vorrei sapereli a dalla per la sua presto a dore fare ciò ch'ella gli comandasse ». I 3 (''. | | |.Ella rimase lulla con lenta, pur e ch'ella polesse fa, e cosa che gia piacessº, e rimase a pensa e con queste cose si facessero più presto mm e mi l '. (il V: il n.\ 'il' atli Illes la dolorosa notal re lulli mori, e, e mirando or l' uno or l'altro, non saprei qui al primo si piangesse o Cav. si dovesse piangere. l?irollosi tutto a docet li orare modo come il giudeo il servisse, s' av risò di lot rºlli una forza d'alcuna ragion colo, alla s. Bocc.a 1 me pai rebbe che noi andassimo a cerca senza star più ». Bocc che noi li ll'emiro, dovremmo andare.Ma se alcuno si moresse e dicesse: perchè non fu questo rivelat, ad 1 ml mio innanzi che quel li atle morisse, che, come sorerenne all'uno, così avesse sovvenuto all' all I o ”. Cav. avesse potuto..... E fallo questo, gli disse: quello che a me parrebbe che tu facessi sarebbe questo, che tu pigliassi di molti pesci e ponessegli l'um dopo l'altro dalla bocca di questa lana sino al buco della serpe.... ». Fierenz. a N on sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse ». Botc. (che ci si dovesse fare, se dovesse...).« Io non so quale io mi dica ch' io faccia più, o il mio o il tuo pia cer,. I3, c. non saprei qual dei due io debba, o mella conto ch' io faccia, se il lilio o il lli i piacere.a Ond' io a lui: dimandal tu ancora Di quel che credi che a me satisfaccia: 'h'io non potrei, tanta pietà mi accordi ». Dante. (mi vogliº, ini debba, o mi abbia a sodisfare). « Nastagio udendo queste parole, tutto limido dire nulo.... cominciò ad aspettare quello che facesse il catraliere n. Docc.  « E perciò dunque proromper ('risto in eccessi a lui così disusati di maraviglia? ». Segn. (volle, dovette Cristo prorompere).  NOte  all'articolo 12.  (109 ) Forma di grado superlativo, frequell Issillo -lilla penna i classici e con lume alla lingua tedesca e inglese.  (110) Negli esempi fin qui allegati avrai osserva lo clic e una delle voci: chi, cui, che, dove, onde, ove, se il soggetto, oggi 11 o o circost: i nz: principale cui - riferisce con il lique l'azione del III do elit Iro.  i 111) Gustalo, anche negli esempi che a questo film Ilo segui o, quel congiuntivo che cessa l'all l'o, veri o ill de si gllida. 'l'ori la loro is: I lente al: mögen, dirfen delle solite forme tedesche. E dire che si è scritto e di scusso tanto intorno a quei facessimo del l'assava iti. Non per opere « di giustizia che li oi facessimo » (oè che noi potessimo Irlai fare V. - sione del testo di S. Iº:nolo: « non ex operibus ill-titi que facimus nos. E chi la disse scorrezion degli stampa [ori, che e il rilugio ordinario degli ostinati; chi licenza del traduttore e chi l'una e chi l'altra (º belleria. Il Bartoli all'incontro, che se l'era il trecento tornato, per così dire, in natura, sente in quel facessimo non il fecimus e II è anche il face remus, che sta bene, dicegli, nell'italiano quel che nel la Inal sone. rebbe; ma un non so che di elittico, come sarebbe a dire: quantunque ne facessimo o altro di somigliarmi e. Vielle a dire in 1 nelllsi i le cºllº, i militi che lion lo dica e nessuno, ch'io sappia, l'abbia mai deti', espressamente, in tale e simili costrutti vi è sempre clissi di uno dei verbi potere, volere, dovere. Il'INDEfINITO DI UN VERB0  obbligato ad uno dei verbi potere, role e, sapere, dovere, si trala scia alcune volte, con un sapore e con un garbo ſullo italiano. L'oppostº del ragionato all'articolo precedente: là questi verbi, non espressi, erano sottintesi in un altro verbo; qui sono appunto questi medesimi verbi che ne sottintendono un altro. Quando e come agli esempi.  “ Ti orºlli (o di notti in ono onor quanti seppe ingegno e amore ». l3 cc. seppe o il mare e Irovare  Sºnº lºro non può l tono un cibo, ma desidera di variare ». Doce. (non può soffrire.  l: I tiri spesso rolle insicuri e si la cella rai no, ma più a ranli, per la  solenne guardia del geloso, non si poteva. I; ci ma di più non si po teva fare).º... non c'n li tlc mi cco in preconi nè in prologhi. Quando volete cose  Che io possa, but N lui il m con lo... (il l'. lo era un asinaccio che non poteva la rila, Fiorenz. non poteva reggere).l'ºr la qual cosa ci ri unº, che ci e scendo in lei a mor con linuamente, ed una malinconici sopralli di aggiungendosi, la bella giovane, più non potendo, in fermò ed eridem le mente di giorno in giorno, come la neve al sole, si consumara o. I3 cc. pil non potendo reggere.Voi mi ſono aste e mi accarezza sle allo, a assai più che non dove vate una persona non conosciula e di sì poco a fare come son io o, Caro. che non doveva e onorare una persona, o fare con una....... Spatccia la mente si lerò e come il meglio seppe, si resti al buio...». I3 cc.« Il percosse Iddio in la parte che non potea meglio per isrergo (/n (trlo ». Cesari, che li in pole a fare, accadere meglio.....lºra bassello di persona, e pieno e grasso quanto potea (quanto pol ea mai esserlo, divenirlo.E già tra per lo gridare, e per lo piangere e per la paura, e per lo lungo digiuno, era sì rinto che più a ranli non potea. ». Bocc. non po leva andare, reggere, sostenero).('on gen le sì laccagna, crudele e superba puoss' egli altro che man temere libertà o morire º v. l); V al 17.E tanto basti a rer accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può altrimenti che non sia troppo ». Bari (non può essere, non può fare).« Ma lulli erano a campar la vita, se potessero con la fuga o. Dav. (se potessero mai farlo con).« Ora con quante più dimostrazioni di riverenza sapevano, di nuovo l'imarbora ramo. I3art, la croce sapevano fare, esprimere, tributare). « Adorni il meglio che sapevano ». Rart.« La lena m'era del polmon sì munta Vell'andar su, ch'io non potea più oltre a Dante, Maniera comune ad altre lingue).« l 'ea finalmente preso sì allo grado di perfezione che non si potea più là ». Ces.« La natura della cosa porta così e non se ne può altro ». Ces. (dire. fare altro).  «... se ne rennero in un pratello nel quale non vi poteva d' alcuna parte il sole ». Bocc. (non poteva avere azione... -- Nolalo anche negli esempi che seguono questo particolare uso del verbo potere, che è bello, forte e tutto italiano).  « La bottega dello speziale debbº essere posta in luogo, dove non possano l'ºn li e solo o. I): I V.  (... pendici boscose, per i venti di tramontana che molto vi possono smaltate di così duro ghiaccio... ». I;art. Segn.  «... in paese di terren magro e sil restro, e in lornia la i là d'allis simi monti, onde il lreddo vi può eccessivamente: e pur r è caro di Ie gne ». Bart.  () [LASSE II.  Voci e frasi cui si attiene il pretermesso  Meritano all'enzione in modo particolare e studio quei costrulli che l'erario ad l Il senso che grammaticalmente non hanno, od è altro, e ! all le avanza il malural valore delle parti onde si compongono. La qual costi procede, io m'avviso, da un colal modo di significare, dirò così la lente e lºroprio soltanto di questa o quella voce, alla quale, in tale lal all ra forma ad perala e convenientemente collocata, viene una forza e indi alla mente un' idea che il senso e l'intelletto subitamente appren dono, ma il maniera assai più vaga ed evidente che non farebbe un se gno di valore letterale ed esplicito.  Le elissi della classe precedente erano quelle di certe voci mani festamente pretermesse ed alle tuttavia a sol lin[endere. Ora vuolsi al l' incontro allegare e proporre allo studio del giovane filologo molti esempi di quelle voci le quali, non che si tralascino, ma stanno per più altre dicono più assai che non faccia il material suono. ().  () A me sembra, dirò col Gherardini, che, indirizzando la mente a ritrovar questi ascosi concetti, si abbia a ritrarre dalla lettura un diletto ignoto a chi non penetra più là dai lievi egni delle idee che l'autore intende risvegliare. PreVengo che per non isparlire, più che non l'isogni, la materta. pillºvelli di alcune menſi varle soltanto e rimandare il lettore ad altro capitolo di altre ragionarne anche oltre i lerimini dell'Articolo e dire di altri usi più notevoli.  ARTICoLo 1.  lascio le discussioni intorno alla natura di questa particella, se sia O possa essere, secoli l g' sci il lori, alla cosa che semplice preposizione, se si verili e il posto il luogo di altre voci, e se finalmente, i saldi si ad i Ilicic, che di semplice pi e posizione, si i lorº clip i cicli con i voti lolio, li a gli altri, il Ghe rardini, da lui le ho idea pl e le press e soliti esa, o sia dessa all' in con l'o, e così pare il mio, e lo ſcroll l: di Iroppe altre idee, torna a l lIn Se gli e la l li se il l il si l radl Il l'ebbe sull' rogando il re parole, la con i ponenti in ci o la sintesi e slenuandone Illindi il sapore e il vago di II li ascosa vi li Islà: e comincio subito co; - l' addii re, prima di lillo, esempi di un ct ad Iso ben diverso che di sem plice preposizione, e di un gol I loro, di rina belli, virli cd elicacia, che non si potrebbe a pezza con la lunque al ra v. e.  ()sserver: li: il come l'essere una al parlicella ora articolata e ora no, iol è, con le dicono, allar di colli o di ſol ma sl l'iore soltanto, ma adopera sull'essenziale valore e quiddi là del liscorso. Le frasi, a cagion d'esempio: con lo scudo di pello: stendersi di un vento a poppa: pianura di mare: quardare al concupiscenza, ecc. ecc. si scollcierebbero e guaste rebbero non chi altro ad incorporare comunque l' articolo con un a co tale; laddove altre coll'articolo, p. es.: male allo al camminare: virer.' all' altrui mercede ecc. ecc., perderebbero lor sapore e forza sopprimen (l lo): lo) come assai sovente colesl a risveglia nell'animo un senso che torna pressº a poco ai modi: allo scopo, a fine di, ad elfello di, al hoe ul: in confronto, per rispello a..., al rispello di..: in forma di.., in modo di... a guisa di.., conforme, i clatira nºn le t... quanto d..: a lorsa di....ricorrendo a... con, col mezzo: dopo, di lì a., a distanza, ad inter rallo, della durata di..: intorno a: ecc. ecc.. e come talvolta li par che codosi a come acutamente osserva il Gherardini, si continui alle ideº sottintese: inducendosi, recandosi, nellendosi.......: guardando, ponendo mente: esposto, occupato, inteso, raccomandato, solo posto ecc.Dopo gli esempi di un a che mi avviso altra cosa che una semplice preposizione e voce cui si attiene evidentemente il pretermesso, porrò, quasi a complemento di quello che parmi doversi dire intorno all'uso antico e commendevole della particella a, altri esempi di un a che, se pur è segno di semplice preposizione, non però a quel modo comune e volgare d'oggidì.  Si leggano e rileggano colesti esempi, ma attentamente, assennata mente, ed ad alta voce, così cioè da gustarne il vago e sentirne proprio la forza, il peregrino che lor viene dalla particella a, e gioverà a render sene al tutto padroni, e ridirli e riſarne, occorrendo, de somiglianti, ma sì che appariscano cosa naturale e tua, non opera di studio e d'artificio, gioverà, dico, più assai che non ſarebbero vaghe teorie, mille sacciute definizioni e divisioni, che in materia di eleganza guastano talora, non  che n'aiutino lo studio, ciò è a dire il pratico profitto. (138)  « Mi metterò la roba mia dello scarlatto a vedere se la briga lui si roll legrerà n. 13 cc. tafline di... opp. e sarò vago di...a Che senza dolerlene ad alcun tuo parente, lasci fare a me a vedere se io posso raffrenare questo dia rolo scatena lo m. Bocc.« Vè caghezza di preda, nè odio ch' io abbia con ra di roi, mi i lºrº partir di Cipri a dovervi in mezzo mare con armata mano assali, c. lioccº, º allo scopo di... aſlinchè vi dovessi.....() ne's la cosa º perdonare ai poreri quando errano, ed esot minuti e sè stessi a vedere se negli animi suoi alcuno diſello per arren litrº nascoso si stesse ! ». Casa, Uff.a ()ra ci raccomandiamo a questo Santo morello a vedere s' ('Ili lº niuna forza in mare che ci faccia riare e l'ancore nostre, V. SS Pad. « I ccise un suo mimico, e per camparsi dalle forze della Itaſſio nº si fuggì a franchigia in un monastero ». Barl.«... disse che egli sarebbe a sepultura ricerulo in chiesa ». I3ocr'. «... or mi bacia ben mille volte a vedere se lui di rºm o. I3o e'. «Spessissime volte io ho mangiato e bruto non a necessità, ma a volontà sensuale ». San Bern. Tral. Cosc. Cioè: ho mangiato e bevutº non a fine di soddisfare t....« Per quanto io posso, a guida mi l'accosto. l)alle. mi accompa gno pronto a esserli guida,a Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco: lo mi saprei lerar per l'aere a rolo. Dante. (a fine di pigliarini giuoco.« Se tu studi nella continenzia, fa di abitare non a diletto ma a sanº tade ». I)on Gio. Cell.« Leggi non solamente a consolazione e diletto degli orecchi, mi con pensamento, intelletto e fatica d'animo. lºsop. Cod. Fars. « onde se il frutto ti piace più che il fiore, cioè leggere il librº º trarne ammaestramento....... guarda al line che importano le parole ». Esop. Cod. Fars.E andando il leone, poco dopo queste cose, a diletto sprovveduta mente gli renne dato nel laccio del cacciatore ». Pass. 139.... nondimeno a cautela si ordinò che....... Caro. « Io ro che l campo là do Sul (teini l omani a spasso andiamo a risilare ». I'illci Luig. Morg. (a scopo a titolo, a modo di... ). Caro figliuolo, se roi amarale avere a donna questa damigella. roi non lorº rotte le nºr bargagno -. Vill. M. destinandola a esser vostra moglie.l 'endo... una gru ammazza la.... quella mandò ad un suo buon cloco...... e sì gli mandò dicendo che a cena l'arrostisse o Bo, c. Federigo andò a V inezia, e gillossi a piedi del... Papa a miser - cordia, per ottenere, o implorando... Vill. G.Molle colle si conduce l'uomo a ben fare a speranza di merito, od altro suo rantaggio, più che per propria rirli o Nov. ant.« Chi potrebbe dire quanti già a diletto lasciarono le proprie sedie, e alloga romsi nell'altrui? ». I3oce.('osa ordinaria, dic 'egli, che chi è rivit lo dissolutamente a fidanza della divina misericordia, morendo ne sconlidi ». I3art. 140). Maledello è da l io ogni uomo che pecca a speranza ». Pass. (141). La speranza del perdono. Si è data a chi la ruole: E colui l'ha per mio dono. Che del suo peccato duole: \ on chi a speme peccar suole, Ch' io non faccia la rengianza la l'ond.Paolo, sepulto rilmente in terra, risusciterà con gloria: roi, coi sepolcri de ma mi ed esquisiti ed a trali, risusciterele a pena ». Vit. SS. IP: l d.Trasse di prigione la della ln per il rice, e isposolla a moglie nella e il là ali Patriot, Vill. (i. i trad. destillandola a esser moglie. E Maddalena, piena di contrizione, si seri è l'uscio dietro e spo gliossi alla disciplina, diessi a piatti nei e amarissimo mente i suoi peccati ». Caval.... e da rasi ne' piedi e nelle gambe, e da casi nelle braccia, e lo gliera la cintola sua spianata la fornita di spranghe, ch'ella solera por lare a vanità, e spogliarasi ignuda, e batte casi con essa tutta dal capo (il piò, sicchè ella filatra lilla san Ilie o, Caval.a I)i lui rimase uno figliuolo che ebbe non e' l rrigo, che 'l ſece eleſſ gere a Re de Vomani ». Vill. (i. 142).I)ormendo in sieme... nel suo lello piccolo a due, ma ben fornito ». Sacch. cioè fatto per servire a due persone),  Ed assai bene circonda la di donne e d'uomini, da tutti conforta la al negare. I3 # 1 (3).  a V elele com' io son gra ricciuola e male alla al camminare ». Fier.  a Rincorandolo al taglio ». I3occ. a soffrire, a volersi permettere il taglio. “ Chi adunque s'interporrà a che voi coll'anima non possiate a ro stri amici andare, e stare con loro, e ragionare, e rallegrarsi e dolersi? ». Boce. (ad impedire che..., opp. con tale effetto che...):º 1 roi non sarebbe onore che vostro lignaggio andasse a pover tade ». Nov. ant. (a languire nella povertà).“... di poi sempre meco medesimo dedussi quei suoi deli, sentenz º ammonimenti a mio proposito ». Pand.«... e molti altri che a narrar li saria fastidio ». Giamb. a volerli narrare, se si dovessero narrare, opp. facendosi a narrarli.« Vom prima decaduti ri mirano a ril fortuna che los lo suonano a ritirata, a raccolta, se non fors'anche a vergognosissima fuga. Segn. Sta ma nº, anzi che io qui renissi, io trovati con la donna mia ir casa una femmina a stretto consiglio ». I3 cc.« Chiamare, venire a parlamento.... o. I)av. – (osì dicesi: Suonare a capitolo dei fra i).« Il santo fra le fu insieme col priore del luogo, e fallo sonare a ca pitolo, alli irali raunali in quello mostrò Ser ('appellello essere stato un s(1n lo so. E la C.« ('ongiurarsi alla rovina, alla morte di... ». I3arl. (a conseguire la.. «... e saranno solleciti a quello che da maggio i sa, i loro coman dalo ». Pand. (a far quello).  « I)i seta, d'oro e d'osli o era coperto E dipinto a bellissime figure Alaiml. Gir. (con ornamento di...).« Una coltre la corala a certi compassi di perle grossissime ». I3 cc. (a forma, il maniera di..., col...).« ('ollirare a campagne di seminali e giardini di delizie ». I3a (a modo..., in tal malliera....« ('olesti luoi denti falli a bischeri n. 3 cc. (a guisa di... a simili! Il dine di...).« Volendo ciascuno la propria insegna, e ſu forza d'allargarsi in più colori, e quel medesimi in dirersi modi formare a doghe, a sbarre a traverse, a onde, a scacchi, ed in mille altre maniere o. I3orgh. V. « E quelle recchie loro col fazzoletto sul riso a saltero.... V e contº elle ci ſan gli occhiacci torti ! ». I3uon Fier. (144.« I pesci nolar redeam per lo lago a grandissime schiere ». Ioce. la modo di..., – schaaren Weise, Zll...).« Venite a me ispesso, ma non venite a troppi insieme che forse non sarebbe il meglio ». Sacch. (145).«... renendo da me, non renile a molti, ma a due o tre o. I3ocr'. (non molti insieme, ma due o tre per volta).« E come gli parve tempo cominciò a mettere coperta nºn le ſanli in Faenza a pochi insieme o Vill. (i.a Il conte vedendo che la Chiesa non gli mandara da mari se non ti slenlo e a pochi insieme, le melle... ». Vill. (i.« Le gocciole del sudore del sangue di G. C. che per tullo il suo lº nero corpo a onde discorrevano in terra.... ». Med. Alb. Cr. (Fºcerſili grande onore regnendogli incontro a processione con molli armeggiatori o Vill. (i.“ Come da più lelisia pinti e l ralli Alla liata quei che vanno a rºta, Lºran la voce e l'allegrano gli alli: Cos... ». Dante, vanno in modo simile a ruota,(0r chi se lui che ruoi sedere a scranna? ». Dante. (sentenziare a lnodo che fa il (iiudice in tribunale.« La licina prese a vero la parola e incontamente la significò al Re di lºro ucit sito fra lello » (i Vill, per cosa simile, o conforme al vero). “ Se io parlassi a lingua d'angelo e a lingua d'uomo, e non avessi col rilà sì la I ei rom e la campana che si ball e o. (ir. S. Gir. in modo sº. mille a Illello che puo mai fare un angelo ecc.,li gli amando la nudità serrò la resle di (risto: voi, vestiti a seta, arcle perduto il reslimento di Cristo - Vit. SS Pad. (146). Vom scºrre mai se non a suo senno, I ): ille, Conv. 147.  v  I na gioranº... bella li a lull e l'alli e... ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ril rosa intanto, che a senno di niuna persona voleva fare al c'll not cost, nd” (il tri ſul l lut role ra a suo, l 3,.\ (ii resse l?omolo a senno suo. V una tecon ciò il popolo a Religione e Divinità,. I ): V.lo roglio del I e di costui che renne lui di, alel mio a mio senno, arri'. gnacchi non l'abbia merita lo. Pass, come mi pare e piace).... fallo a ress' io a senno del mio cane figliuolo e non egli del rec chio padre !. l)av.Dorma ri e da cantar l'usignuolo a suo senno liocc. quanto e col le V Il le.Ma non si arendo con quei pesci caratlo a suo senno la fame.... ». I I'.... l (t m lo c'h e a senno vostro io, lo debbo tre le l il 1 le pel contralatte no. (i il b.\ on ne corrò meno di li cºn l' ollo, come egli me ne prestò e jam mene questo piacere, perchè io gli misi a suo senno e l'occ. 1 (S). e in somma si pose in cuore di colei e io e contrario a tutte quelle cose. eh ella si dilella ra quando ella era rana: e questo lutto a senno e volontà del suo maestro, e con e ci lui piacesse Cav.... e atmcora pensatrano di domandati lo che modo e che rila t ressero a tenere, e ancora quello che dovessero fare delle cose corporali, impe rocchè ogni cosa volerano che fosse a suo senno e a sua volontà ». Cav. i 149). ... tutto quel rimanente di pianura a mare n. 13art. 150). (posta vicina al mare, che si illiene al mare, e anche piana come il mare.  ('a mm e rut a tetto, (la zzi.  I Ncio a strada. I3oe('. ... e se la collut ne' loro luoghi a mare l ro raramo riso...., allora de lizia ramo ). I3arl. ... incontra un rento che le si stende a poppa. l?art. I che sollia e spinge innanzi investendo soavemente la poppa).  « Portava a carne cilicio aspro. Cav. ſrad. a strazio di viva carne  “... faceva asprissima penitenza, portando a carne sacco asprissimo e di sopra un rozzo vestimento o. Cav.  “... negozi che non si fanno tutta ria col notaio a cintola, ma con fede e lealtà di semplice parola. liocc. (par che dica: col nolajo attaccato O appeso alla cintola.  ma con ballerano pianali, dove i nostri con iscudo a petto e spada  in pugno, sloccheggiarano quelle menº bront o. Dav.  « Messa si prestamente una delle robe del prete con un cappuccio grande a gote,... si mise a sedere in coro... I ce che arrivava fino alle... o da coprirsi le gole)  a La moglie ne lece piccolo lamento a ciò che ella dovea fare ». Vill. G. a petto, in confronto di....« Ma io credo a rei rene dello pure assai. Aſſà sì, a quello che porla il tempo, non a quello che ſulla ria rimarrebbe n. Ces.« Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse...... Bocc. (per rispetto, relativamente a....« Ciò che daranti dello ſtremo, poco è a quello che dire intendiamo ». I3 cc.« E tanto basti a rer accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non può all rimenti che non sia lroppo ». Bart. « Che è questa pena a quello che merita sti? ». I3occ.« Ma che è a Dio la oll racola la superbia di un rerne? ». Dav. « Dall' età di Demostene a questa ci corre 400 anni, o poco più, che alla frale vita nostra possono parere spazio lungo; ma alla natura de' secoli e all' eterno è un batter di ciglia ». I)av. (15 l.« V ent'anni ! che spazio son dessi all'eterno? tu se' ma la merce tanlessa se ruoi ch' io li baralli a quello o. l)av. (1 o 2.« Ma lasciamo andare questa comparazione e simili, le quali sono piccole all'altre spese, che si fanno soperchie ». Pandolf.« Le cacce, i parchi, le conigliere, le colombaie, i boschi e i giardini che ri sono già inviati, sono cose ordinarie, a quelle che si possono fare ». Caro.« Essendo conosciuta così allera, Che tullo il mondo a sè le pſ rºot vile ». Ariosto. (cioè: tutto il mondo, paragonato a sè, le parea vile). « Noi abbiam casa d'aranzo, alla famiglia che siamo ». Cecch.  « Domandò quanto egli dimorasse presso a Parigi: a che gli ill risposto che forse a sei miglia ad un suo luogo ». Bocc. (153). Ch'era presso alla città forse a due miglia ». Fioretti « Appresso delle sue terre a tre giornate ». Sacch. «... io vi era presso a men di dieci braccia ». BOCC. Onde seguì a poco tempo che 'l predetto Irale non resse all'Ordine e lorn Ossi (al secolo ! ». Vit. SS. Pad.  “ Lo l'isloit rispose, a lui parere gran fatto, ma dovendosi a pochi di lorni (tre redrebbe chi di loro losse che dicesse il cero ». Sacch.  “ Egli è la fantasina, della quale io ho avuta a queste notti la maggior lºtti l'a che mi ti s'a rºsse o lºocc. (intorno a queste...., in una o alcune delle scorse notti. (154).Forse a otto dì alla sua promessa vicini. I3 cc. Fiam. lla nosli a lo desiderio grandissimo e in certo modo certezza d'ac col lo..., non ostanti le cose delle a questi giorni in contrario ». Caro. E a questo sci irri e toscano basta la lezione delli rostri tre primi l'atmlº, l'ºl rarcati e l'occaccio, e di certi buoni che hanno scritto a questi tempi ». Caro (circa, in lorno a questi tempi  « Il cui dilello a rendo il maestro redulo, disse a suoi parenti che dove un osso lracido, il quale area nella gamba, non gli si carasse, a costui si con renica del lullo o tagliare l’ulla la gamba o morire, ed a trargli l'osso potrebbe guarire ». Boc ricorrendo al mezzo di... appigliandosi al partito di...). (155).« A grave e crudel morte ti fa i ) morire o, Cav. di morte cagionata da grave e crudel supplizio).c... in un suo orlo che egli la cort ra a sue mani, l?occ. A buone lanciate li ribullarano rovescioni giù dalle scale ». Bart. (a forza di..«... aggrappandosi a mani e piedi su per greppi inaccessibili ». Bart.... miun alti o di sua grandezza aver avuto due nipoli a un corpo: recandosi le cose ancor di fortuna a gloria ». Dav. (156).« Vi dico che 'l cui rallo è mul rilo a latte d'asint... Ed ln l'ennero clº il puledro ſu noi ricato a latte d'asina ». Nov. ant. 157).« Il Demonio tutto di pugne a coltello i peccatori, e non gridano, e non s'agitano, e non si difendono, e non se ne curano: ma lo sto sentiranno il duolo delle fedile, se non se ne medica no ». Fra Gior (cioè: « punge cacciando mano a coltello ». Gherardini).  « I rrecarci in collo un fascio di legne, e rende alo a pane ed ad altre cose da mangiare ». Fioretti. (gegen Brod., mediante permuta di...). a che parimente l' uman sangue, anzi il cristiano, e le dirime cose a danari e renderano e compra citno o l'80cc.« Qual colpa, qual giudicio, qual destino, Fastidire il vicino Porero, e le fortune alflitte e sparte Perseguire, e 'n disparte Cercar gente, e gradire Che sparga il sangue, e venda l'alma a prezzo ». Petrarca, Non per vendere poi la sua scienza a minuto, come molti fanno o. Bocc.  Schiacciara noci, e rendera i gusci a ritaglio ». I;occ.  “ Vicere all'altrui mercede ». Giamb. (appoggiato, mercè dell'altrui... (158). -º 1 ndando un dì a vela relocissimamente la mare... ». I;occ. (cioè: la nave commessa a la vela. 159.“ Malacca, tornata peggio che prima su gli sparenti e su la diffi. denza era tutta a popolo ed a romore, l art. 160,“... e mise il mare in così sforma la tempesta che quattro di e qual tro molti corsero perduti a fortuna, senz'altro miglior governo che..., Bart. abbandonati alla fortuna, in balia della....;  1 -  « Non è sì magro cavallo che alla biada non rigni un tratto ». Fie. renz. (che al Vedere la biada.« Non possiamo a certe stravaganze tenerci di non le motteggiare. Caro. « E molte volle al fatto il dir riem menu) p. I)alte. « Se tu non te ne al redessi ad altro, si le ne dei a rivedere a questo, che noi siam sempre apparecchiate a ciò, Bocc.ſt Ma dimmi: al tempo de dolci sospiri. A che e come concedette Amore Che conoscesſe i dubbiosi desiri? ». I)ante. al vedere che cosa, facendo attenzione a che cosa. « Conoscere all'abilo. alla furella, e simili.  « La città si reggeva a consoli o Vill. (i. (con governo di.... (161. « La della città si resse gran tempo a governo e signoria degli Impe r(Ilori di Roma ». Vill. G.« Se li vorrai ricordare di qual patria lu sii nato, conoscerai che ella non si regge a popolo, come ſacera già quella degli Ateniesi, ma è gorer nata da un signore solo ». Varchi.« ("h e la città allora si reggesse a Consoli o con l'autorità del suo con  siglio o senato, lo dicono chiaramente gli scrittori nostri » Bargh. Vin.  Seguono altri esempi di un'a ad altro valore che di semplice pre posizione e di usi assai diversi, ed in parte anche noti. Non ne faccio serie distinte, che sarebbe troppo lungo, ma ne scelgo alcuni e li di spongo qui alla meglio, l' un dopo l'altro. " " º "gli º º º ninno che voglia metter su una cena a doverla dare a chi vince ». Bocc. la quale sia da darsi a chi  ": lº º l'"ºn lºrº in su un ronzino a vettura venendosene ». Docc. destinato a lirar la vel | I ra”.  “... con le note rele a chi più mi esalli, I; art. tale [llo, ad hoc: chi pil...).  Inler indire a morte o l'iel'eliz. º lº Iºsti a baldanza del Signore si il batteo rillanamente... ». Bocc con lº e' Illanti da compiacere all'ardire...).a l?ilo) ma ndo a d'onde mi era poi l'lilo...... Fier eliz. (al luogo onde). 1 cc (sotti nel castello... vicinissimo a dove ºggi all blano 13asilea (iia il (al luogo dove.('on atmdò a pena della testa. I3 c. (bel Todesstrafe). 1 ml e pare essere a campo, tanto cento viene su questo letto » Sicch. Fr. esposto all'aria del campo.lº a mal rete in sino a Pisa a questi freddi i... Cecchi, (cioè esposto a | Iesi freddi lo i diesel villeº la donna rimasti sola, racconciò il larselto da uomo a suo dorso, l30cc. (sì che facesse pel suo dorso (162).“ Qualunque altro trilla la resse, quantunque il tuo amore onest., slalo fosse, l'arrebbe egli a sè amata p) i loslo che a te. l oce. (cioè: l'avrebbe egli ama la destinandola a sè per sposa, piuttosto che cederla ti le o. (illerardilli.“ Ed il popolo tutto a grandi voci ringraziò ladio. Vi ss Pad. (163, l'ill d.In abito di peregrini ben forniti a denari e care gioie... ». Doec. cioè: il lallo, per quello che spella, relativamente.....1 Firenze il luglio e l'agosto si sta male a pesce, perchè si arriva sempre i radicio e pazzolen le o. I Redi I e II. I 64.l'ol re, in li a prendere q. c. ad istanza, ad indotta di alcuno o. I3oce. I ): I V. I 3:ll'1.  I tesla finalmente a mostrare come anche l' a copulativo e ad ufficio di semplice particella prepositiva venisse allora adoperato dagli autori classici il lima i maniera assai diversa che non si faccia comunemente e volgarmente col linguaggio di oggidì ed è pur degna di osservazione e di studio.  « lo estimo, ch'egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Do menedio me manda altrui o. IBocc. (165).  c ('he cosa è a ſarellare ed a usar co' sa ri? ». I3oce.  lo dico che è cosa commendevolissima a mangiare e dormire con sobrieldì m. 13art.  Giunto (un cervo) a una stalla di buoi, entrò fra essi: de' qua'i buoi uno parlò al cerro lali parole: Questa è cosa nuova e disusata a star con noi ». I sop. Cod. Fars. « Misericordia si è a perdonare l'olese che sono fatte...., a consigliar chi dubilat, e ammaestrare chi non sa m. Fior. Virl. A. M.  « Mi si arricciano i capelli a ricordarmi di quella orrenda entrata, e sola vittoria di Gallia o. Dav. (166.  «... ed ultimamente per renne l'anello) alle mani ad uno, il quale area figliuoli belli e virtuosi, e molto al padre loro obbedienti ». Bocc.  « 1 cciò che a mano di rile uomo la gentil giovane non renisse, si dee credere che quello che arrenne, Egli Iddio per sua benignità per mettesse ». Bocc. (167. ... ed egli ricercò di more colmen le La basso che stesse contento a dazi ordinari, senza metter muore angherie, (iial b.  Ma siccome noi reggiano l' appetito degli uomini a miun termine star contento...». Bocc. (168.  «... e len negli ſarella infino a vendemia. I3occ. (169.  « L'ora ju a sospetto; la cagione presa per colpa: e la procura la quiete le rò rumore ». DaV.  « Da lui le parti si allolla cano allo no a fidanza di sentirlo parlare. Bari.  « Non ti nara rigliar se io le dimesticamente ed a fidanza richiederò I3occ. (con conſidenza) (170.  «.....passalo a Mantova il cerno, il Padre lo tra millò a Casliglione a speranza che l'aria ma lira e la bella postura del luogo lo risanatsse di... S.  « Non pensando che li mandassero a processione cerli re rsi con l' gli han manda li p. Caro. Era fornito l' altare a bellissimo disegno e con molto splendore col (tlchè..... » IBarl.  « Gli parlava a capo scoperto ed occhi bassi (es.  « Arregnacchè a sua colpa la naricella sia fracassata e rolla º l'assav.  « Il peccato nº ha quegli che 'l ja, perocchè l la a mala intenzione o I'l'. (iiol (l.  « In due maniere sono perdule l'orazioni dell'uomo: s'egli non le fot a buon cuore; o s'egli le fa, e non perdona a colui che natº lº ". (i l'. S. Gir.  a 1)unque loi lu ricordanza al Sere! Fo bolo a Dio che mi vien voglia di darli un sergozzone n. 13, c.  e Slot che lo: io li lai di medico re al mastro 13anco che è molto mi o (1 mlico. Sacch. i 2;.Signor mio, io son presto a contessori ci il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io gli tagliai la borsa, ed io vi dirò quello cli e io ci ri ) la llo, e quel che . (173.l'ulte queste cose in lesi io gia i ceti a 1 e a uno ricchissimo padre e lº la miglior rosli o di colo, l'alla loll.l clendo º l'ucidide l e lui e ad Erodoto le sue storie, s'accese cla  (I 'nº' Noi ci il bi: i ne'. Salvi i li. I 4. e l not figliol lat.... non essendo ci slui ma, e udendo a molti cristiani.. -- mollo con nºi, la l e lui ci is list not leale..... l oce.  i menduni o alibi due li fece pigliare a tre suoi servitori ». Bocc. ll fece prende e a' suoi uomini ». Sacch.chiunque per le circostanti parli passa ra rubar faceva a suoi soldati.. l) co.e appresso. Nè lece la rare e sl i picciare alle schiave ». Bocc..... Può e deve per sè dei irare a tutti questi capi infiniti ed efficci - cissimi i corili rli, (al. I 5.a guisa che la veggiamo a questi palloni Francesi ». Bocc. a quella guisa che far veggiamo a coloro che per allogar sono, quatrº - clo prendono alcuna cosa. 13o.Mollo a reali le donne riso del cattivello di Calandrino, e più n ci - ri e libri ancora se slalo non fosse, che lo inci ebbe di vedergli torrº' ancora i rapponi a coloro che lollo gli avevano il porco. Docc. I., ol, ndo la r e nè più nè meno che s'acesse ceduto fare al maestrº - ct tal, le... l i r.l mal ripo' a gillossi alla mano di Paolo: la qual cosa (per la un tal e si relendo quei ba) bat i prende e la mano di Paolo a quella bestia. - - - - alls Nero..... A li apost. | | 6.Sbigottiti per le pene e per li tra ci tormenti che avea veduti Sos tº 7 ti, a peccatori li l': il ril Vlli... l'assveggendosi guastati e a quelli che c'eran d'intorno... ». Boce.... e ad infiniti ribaldi con l'occhio me l'ho ceduto straziare (il mai ») I 3, (-.. goira, di qui e beni che li reali gode) e a questi padri ». Ces: a ! Lasciarsi ingannare ad una rana e slolla speranza ». Pass. (177). Lasciarsi colgere al piacere all rui. Caro.Lasciarsi colge all'obbedienza del superiore, Ces. Lasciarsi rincor e' a questa gente, l?art.Lasciarsi occi pare e vince e alla paura, per forma che... ». C º Ed egli tutto fuoco lasciandosi tira e al suo usalo ferro e d'alletto. Ed io roglio che lui gli conosca, acciocchè regga quanto discre º º men le tu li lasci agli impeti dell'ira trasportare ». 130cc.  t « V assene pregalo da suoi a Chiassi, quiri vede cacciare ad un ca valiere una giovane, ed ucciderla, e diroiarla da due cani o Doce. (178).  « ILa giovane sentendosi toccare a: - nºani di c li l il, il 1 le ella sor, i l tutte le cose amara..... senti i l la erº nell'a mm, quanto, se ios se stata in Paradiso ». Bocc. 179).  NO te e Aggiti inte  all'Articolo 1. :138) Gli esempi che ti allego, divisati e ord. nati come meglio seppi, sono in numero Inolti e di Iliolte forme e baster: illo; ma son ben pochi del resto, anzi pochissimi a quelli che mi vennero a mano. Non ne ver rei a capo in parecchie centinaia di pagine se Illſ e prendessi a recitare le proprietà, i privilegi, le perogative, gli usi iroll eplici di cosi fatta particella, scandagliarne e discuterne le intime ragioni logiche, erigerne teorie e apprestarne criteri; fallica, del restº, di n. llli pro e per poco no civa. Ella è assai spesso elemento essenziale di Ip idiotismo, o maniera di dire leggiadra e propria della lingua italia tra es. fare a chi piu Iman gia, beve, grida, ecc., e come tali e non in par (Illi luogo da ragionarne, si come quella che d'Illi si intimo, lodo si lega, o per cosi dire si ſolide cogli altri elementi, che ad estrarla, appena la riconos i, e vi si però sell irrle, gustarne ed apprezza; II e la fa, zii, il ll - da sè sola, Ina nel suo tutto; il che pili convenientemente ſaremo alla terza parte di questo I)irettorio.  I)i più l' a articolata (III en, preti ess: a 1 in li od altre voci di II, la moltitudine sterminata di maniere avverbiali, nelle quali quella medesima preposizione a, che talora il lica spartiſamente disposizione: a uno a uno; a decine a decine ecc.; tal'altra del ta III do, Iorma: andare a piedi, a cavallo; fare checchessia alla buona, alla carlona; a poco a poco, a otta a otta; vesti a oro, drappo a fiorami ecc., e signi a 1:1, ora, quan-- do imitazione: vestire alla francese ecc., e quando fisica e morale disposi Ziolle: a viso aperto; a occhi chiusi; a malgrado ecc., lIiolti dei quali nodi, cioè i meno noti e pur degni da inci Ilcarsi, si addiirra:ino, corredati al solito di buona scelta di esempi, quando ratteremº degli avverbi o for me avverbiali in particolare,  (139). Nota il modo andare a diporto, a diletto cioè a scopo di diletto ecc. Simile anche l'altro del Passavanti: Guardare a concupiscenza cioè con appettito di rea concupiscenza. Cosi si dovrebbe intendere anche il modo (divenuto) Volgaro: andare a spasso, cioè non nel significato di an dare a passeggio, ma in quello di andare scrivere, leggere ecc.) al scopo di svago, di diletto, di passo. al 10,. Ti aſiuc.: (ull'allino, col intelizione che confidando e ricorrendo alla livina il seriº rili: lle soglia poi la V V ed Incillo e perdono. I 1, l: la traduzione del molo luogo: maledictus homo qui peccat in spe. Ma Ilia lil, e lº iu vaga e lo I e la Irase italiana! Vi senti l'anilino 11 i - osl, illo e resi resi li ti so a ore, il cliale, Vinto dalla pas sic, Ile, Inti Illit do pur spel I li ai li la V Vt di Irle:lto e perdono continua Iel 1, ne a 1 I test Illlarsi i pc.I? Nota la rase: eleggere a re, a maestro, a direttore, cioè ad uf I l i, (il... SIII il ricevere a servitore. l'elilella, che Griseida non I s se l'all 1', ai loro presi, e per lui el'. ll v pendendo, ricevere mol \ -- a servidore... l 3, l 'Il sl, avere a maestro, a padre, a si  giore, l Ne l il roll, il Sesil I allegri da poi che l'elobo lo a signore, l'av. S. Analoghi anche i modi: avere ad o more ad orrore:..... ed s, il fr. ta lite nostre sord, de zze, ma n avrà  ad crrore d'esser da noi i co, da 11 Segn.; avere, tenere; a schifo, a vile; recarsi a vergogna; tenere, avere alcuno a savio, a folle: N Il tr es. i tu a molto folle e la l... » e c. Sell. l'Isl.: avere a tale: « Mlo - rand i poverta lolio Ila e l re r1 llezza l'eo, acciocchè noi il do vessli, i a tale avere. » (ill 111. l.eli.: avere checchessia a misfatto: « A non « minor misfatto aveano il lei e una pulce che un uomo ». Bart. avere a niente. Anni 1 -1 a i l’aut re che il luno, per lui sia in istato di gran polenza, prenda il dire di Villa il gelare e arrogantare i miseri e pic averli a niente.» l'isp. Cod. Fars.| 13, l. a. arti, lata Ilo, di questo e del seguenti esempi, dipendente lei il l l e V g. In - re: a portare, a dovere, a fare ecc. o in a 1 l di sol: Igli, l,, sia il il logº dell’ull o dell'altro verbo (vd: l'ast di Illi e ! ll I lil.S: il l V el sl at le porti li o le inonache. 115 C1 e fra l'era da cori veri e li molli alla volta. E' proprio il zii viel del I cd si li. Ed an li a due, a tre e si traduce zu zwei, zu drei e.I 6 Simile: Sopra vestito a bianco come neve, Vlirac. Madd., ed a 1 le l: i rinse notissimi la vestire a lutto, a bruno: E vedrai mella morte l ' Illi. Il I | 'ltte vestite a brum le li:lle l'el -, l'etrarca, \ mire - della quale si sedeva il la limatrona tutta piena di lagrime vestita a bruno., l'i. e z! modo, secondo, rili e il senno suo. No alo anche lº: li es. I | i le segli no, lui e sto mollo: la re checchessia a suo senno, a seiºno altrui.. che è bello e proprio della Lingua italiana.1 - Si!! i:ll": lo misi a suo senno, a senno, a talento di..., è l'altra a sua posta, a suo avviso, a posta di....... cºli e lo ss 1 in do per il ri sultº all, pie o altri membri in sua volontà se iroli a posta d'altri. IPal d lf. Conf. Parte II, Cap. III, Serie 3: Modi avverbiali a governo di a.)l º Vl: si ro (i valra pare che piu che il modo: a senno piacesse ta lo 1 l'altro: a senno e volontà.150 l 'a d (Illesti esempi ha alcun che di comune a tutti, ma non è - "Il pre il nº de into. Si infilo, gli slalo, che è evidente e di un sapore che lo: si potrebbe dire. (151) Ha ripetuto la nota frase di Dante:....mill'all ni..., e l'Iti “tºo Sli zio all'eterno, che un muover di ciglia Al cerchio che più tai di ill e leio è tOrtO ». (152) Nota il costrutto: barattare a... Con il Premiº Ilari (153). Senza entrare in discussioni nulili a chi, noi la filos list della lingua, ma la lingua stessa si vuole (Il racemente imparare, li II lºttº Illi alcuni esempi di un a che si riferisce allo spazio sia di 1 li luogo e torna press'a poco ai modi: indi, di li a, in capo a, Icntano, di stante tante ore, tanti metri ecc. Le frasi dell'uso: oggi a otto; lettera di cambio a sei mesi lida per sei mesi) e simili, sono modi di un a a quell'ilso e valore º il gli esempi che quivi arreco.(154) Questo a è somigliantissimo all' a dei precedenti esempi la to alla forma, non quanto al senso che manifesta Iriente è assai diverso. (155 ) Questi esempi recano una che par significhi col mezzo, mercè di, ricorrendo a ecc.(156) Nota qui anche la frase: recarsi a gloria. (inf. V b. Recare, Parte III).(157) Così dicessi: Quadro a olio, ad acquarello e va dicendo. (158) L' a di questi eseIIIpi ha i rain (li: abbandonato a, appoggiato a, in balia di ecc.(159 ) Crinf. sotto Nave IP ultitario) - VIa niere propri della Natiti a (160) Nota la bella frase: essere una città a popolo ed a rumore, cioè in rivoluzione, in balia del popolo ecc. – E piaceni (Illi II, il vantº le altre: andare a rumore Bart, levarsi a rumore, levar popolo Iº i rt., I)av. ecc. ecc.).(161) Mefferai a sacco anche questa frase: reggersi a re, a consoli, a popolo ecc.(162) Simile anche l'altro, pure del Boccaccio: La donna li fece a p. prestare panni stati del marito di lei, poco tempo davanti morto, li ciuali « come vestiti s'ebbe, a suo dosso fatti parevano ».(163) Dicesi anche, ed è notissimo. a bocca aperta, a struarcia gola, a braccia tese. « I)al sommo d'una rovina si vede Ina donn:i..., la quale « avendo il figliuolo in mano, lo geſta ad un suo... che sta nella strada « in punta di piedi a braccia tese per ricevere il fanciullº o Vasari. (164) Prima di passare ad altro ti piaccia altresì por In, nto, tra le altre molte che le son notissimo e non accade occuparsene, alle maniere: essere a studiare, a giocare, a desinare, a dormire, e nºn ho: trovare, ve dere, stare a giacere; porsi a sedere e simili; il cui a, si bev, rifl 'fi, e si è quella semplice preposizione di vincolo o relazioni o come: venire, andare, cominciare, disporsi a far checchessia, ma necenna attualità di azione ed implica il senso delle parole: nello stato di, occupato in, attento, inteso, dato, ridotto e simile. « Io mi credo che le Suore sien l'uffe a dormire ». Bocc.: « Che Venerdì che viene, voi facci:lto sì che M Iºa olo Trav orsari « e la moglie e la figliuola o tutte le don; e lor parenti, e il l'e. In A i a piacerà qui sieno a desinare moco ». Rocc.:. Venuta a dunque a con « fessarsi la donna allo abate, ed a piè posta glisi a sedere... » Bocc.: « Costoro avendola veduli'a a sedere e cucire.... o IBC) c.:. Altre stallino « a giacere, altre stanno ºrie », l)n mtc.; e Sfi:lmo:) Inc it:) veder l:i gli ri: a Inostra ». Petr.; e Veduti gli alberelli de silli i colori, quale a giacere e quale sottº sopra, e penneli tutti git at qua e là e le figure tutte il Illbrattate e gli isl, -: i bit, p lisò... » Sa ll.: Si III osse correndo verso a la Cl re e trovandola a mungere e 1: i...., (a: « I); pinse un re a (sedere coll ol'e lli lilli gli lss II e V dl ialli. - l am dei Incrdi: am Studie ren, am lesen, am spielen sein, e simili di alcune provincie della Ger II l: l Ilia, e appllini o l'a del c: la lol V e In altri casi l'a di un in finito soggetto a V el'lno, loli a m - Vlt; tl, i dll re, la zu.165, l 'a di questi esempi st: l'a rti oli per altra preposizione articolata e sappi ch'elli e V zzo 1, si a n a preporre talvolta all'infini, o,  a maniera di sostantivo e soggetto comunqil di una proposizione assolu ta o dipendente, la preposizione a live e dell'articolo, ecc. (166. Trad. lel I l rilarini, e lui 'i gli 1 volta che mi avvenga il ricorda l'ini, so oft, quoties recordor ecc.167 i Venire alle mani; a mano di alcuno e anche Iriodo figurato i le significa: venire in potere d'alcuno.16S) Nota la frase: star contento a qualche cosa. Cont. Contento, l'arte II, Capo V.).169) Simili i modi andare a città Vo' in fino a città per alcuna « Irli:l vicelli la o lº si... per Vai l'll lno illo, cle andava « a città, l o in illera el tº:ca e vale i nda, e per fatti suoi al capoluogo. Di un viaggiº (ore. ll e la sºsta di ll'i: in altri, iº fa e non dicessi che va a città; andare a santo;.. ll v. l t. ll li i possº andare a santo, e nè il niun bila il luogo ». Boc.; andare, recare a marito –.... e questa Il l:nti ! nº ll e lo o ire a marito, e le festa bis lo fa a è apparecchiaio, Do..:.. lo - a: a re dei di delle feste che io recai « a marito » l 30..: essere a riva di... e l ', a riva di Reno dllo est l' e citi » I), v.: menare a prigione l'a e il gºl al de ll cisiolle di ri e Illiri... che ella si illlllo ne menarono a prigione, ma tutti li misero al a taglio delle spade ». V ill. G. ecc. ecc.(170) Non lo scambiare con l'a fidanza del primo gruppo di questo medesimo numero. Lo stesso dicas del In lo seguente a speranza. i 17 1) I 'a di questi esempi sta evidentemente in luogo di una delle pre posizioni: con, per, in, da.17?) Coi verbi: fare, lasciare, vedere, udire e qualche altro simile, che reggono un'azione in infinito, il sol getto operante di questa, osserva assennatamen e il Fornaciari, si suole, per distinguerlo nettamolto dal l'oggetto, cºstruire collo preposizione a, che corrisponde all'accusativo a - gente melle locuzioni latine con jubeo, sino, video, andio ecc. – Messo to scalmanente si pone il soggetto colla preposizione da, riguardandolo come semplice causa dell'azione. Laddove a dire a esprimesi ancora il rispetto, l'ordine di moto, dirò così, a chicchessia o checchessia hin, her), l'atten zione, il concorso positivo della volontà, l'azione comunque diretta del soggetto principale verso l'agenl e, o, come dice il Fornaciari, verso il soggetto operante, cui egli ſa fare, od al cui ar o dire porge l'orecchio, volge lo sguardo ecc.Ed ora ritorna agli esempi e sappi s'egli è indifferente e affare di garbo soltanto, con lo molti asseriscono, e tra gli altri lo stesso IP. Cesari, il porre in sifatte locuzioni l'a per da o viceversa. Trattandosi poi di cosa  dicevolissima se pur non necessaria ed opportuna all'interezza e verità del discorso e tuttavia dai moderni niente osservata, parvelli di allegarle un buon numero, e ciò all'effetto di toglierne il mal vezzo se Inai bi sognasse di riformarne il gusto.(173) Ognuno sa che il fare dei modi: far portare, far lavorare, far medicare ecc. equivale ad ordin: re, coma Ildare che si porti e, altro di somigliante. Ora vuoi vedere se quell'a lla sua forza e il n vuºl essere scambiato col da: costruisci ((il comandare, e il 1:1 l 'lie chessia: chicchessia, sarà nè piu nè meno di colmal, dare a chicchessia 'io di reatamente) che ei faccia ecce. quando il far fare che chi sia da l 1 es sia è comandare che si faccia da chi li essia e -- la fa ! (sia cioè che il comando venga da lui li et la III elte o - li sta r il till iſlie trasmesso).; 174) Se avesse detto: udendo da.... sal ebbe stata, l'horen 1 e O ll ricevere materiale involſrl)ti l'io, e aslla le cºlle a l' lel st sia che lo si ascolti, sia che llo, con l at Inzi - nzi; Il lil I l e i leti, udendo a, volle precisamente significare l'an. zuhoren, l star o ce clio, tender l'11 di o, l'udire (oli attenzione e concorso li vol ! 11a. 175) Cioè: dee fare che da 11, l I questi capi si derivi Quel deri vare è qui adoperato a forma di verbo callsativo e sigla I a far deriva re (conf. parte II. Natura ed essere val o di alcuni verbi e(176) Tra (luci: volge:ldo la vista, gli ardi li do a Illella ln l lin, la ti: i le prendeva la mano di Paolo.177) Sostituisci l'al fine permettere e saprai li ferenza da a. (178) Questo esempio ci porge ma era di altre osservazio i cle non fanno qui. Conf. Natura ed essere vario di alcuni verbi ci l'arte II. (179) Il Gherardini spiega cosi: La giovane sentendosi ti recare venuta o pervenuta alle madri di colui occ.; pare al Gherardini di sentire il quell' alle mani, la voglia altresi che aveva di pervenire a...180) Nota differenza tra la frase: sentir dello scemo e l'altra: sentir di scemo in checchessia, cioè aver difetto, ecc. Conſ. Verbo Sentire, l': i e III).181) Nota la questa frase far del...., simile alla precede le sentire, ave re del...), che è Imaniera bellissima e nostro.º 182) E altrove: « Come state dello stomaco? » cioè per rispetto in fatto di...., in quanto a...  Cilf (cong.)  Prima di farmi all'oggetto da trattarsi, piaceni premettere cosa la quale non li verrà si strana e Irivola che non ſi sia anche il lile e a grado altresì d'averla udita. “ (lº è prontone, dice il vocabolario, ma è anche congiunzione di  frequentissimo uso dipendente di verbo, da avverlio, e da comparativi; º coll'accento sta per poiché, perchè -  l' “osi la pensano granai e filºlogi che l'urolio e che sono, nè sa  prei º solº cui cadesse in animo di contraddirvi. l' olga il cielo ch'io ººº º lilli di tenerla a leva, ma a censore di sì tillo, autorevole magistero º il falli, che in omaggio a al do Irina pongo qui il chº, S! " ºn liti il tonº, o il la sa cli, il ragionato estè. Ma se li pur in mia i a V, e  - - irº che questo che di frequentis sillo liso. I pendente ci v. l  - Si p. ssa:ili le intendere o sentire tuttavia pronone, cioè lº chº, nè più nè meno, del precendente numero A lizi, diro 'll 'i'i, lº sll sl tit, ti ma il rale di semplificare e vedere il lill lo tiri I l ss,,  - i gºl.... l III di strano ch'io abbio di concepire, io non so e  A cdr e sentire nella voce che, adope, sola o al I e di altra voce, Se non il pl o non e' e non altro mai che il promonte, | Il lido in una, quando in altra forma.  l' essi i S  \ ºpi ilarli poi di questa ini era l' intendere e sentire, ti  Pºi lui appressº i monti e pon i no e l'intrinseco valore Virli sillclica di Irla i  - l\ ini: gli orsi, chi ben la consi deri, in altre voci pron nera' i ritmi le gi annuali ali:l'irroli cinque differenti manici e di un colal che cong.  | i l. I l a sla al riti il che vo non, sale. I3 cc.  2a Mio fratello è pil dello che pio. :3a... che vºli che li cosi rilla la ventilra che non è persona, Boc. ſa « Non era ancora arriva lo che io e gi i partito.. ;)a lº si pensava che ingannando i l i crilin fosse appresso al tutto  signore n. Vill. (i.  Questi esempi reali, il che dei casi nellovati dal Vocabolario, e che ippo i Cirali ma ci addini in asi rigorosamente congiunzione. Ma se ci testo che la fa il resì, e li si sv: r al guisa, da pronome (v. numero precedente, e il qui il lice cilalo che comporta decomposizione in una ad altra gilisa dello stessº i rom ne, chi ini viola di riguardarlo, senza inello con le pronoln e sen| Irlie al suolo i rispellivi elementi? Il che del primo esempio lesla in me il senso dei modi: di quello che, di quella cosa la quale. Quel del secondo vale, a mio intendere, quanto le voci: di ciò di questa cosa il verbo del secondo incis, virtù di elissi, omesso. ll Ierzo lo riconosci agevolmente quale il che del numero precedente, solo che nell'avverbio così ſi intenda l'equivalente: in tal modo. Anche il quarlo lo ravvisi evidentemente pronome framellendovi la voce allora che va lui forse sol ſintesa, ed i cro che la frase torna subito all'altra: in quell'ora, in quel tempo nel quale ecc.  Più malagevole a concepirsi pronomi pare, a prima giunta, il che del quinto caso, nè mi basterebbe l'animo di asserirne la possibilità se testimonianze ai lorevolissime non li vi confortassero. Come infatti ri guardarlo questo, stesso che quale pari ella ad ollicio di pura e semplice  congiunzione e punto capace di virtù pronominale, se non vi è paro' a cui congiungersi, non un congiuntivo od indicativo che sia comunque obbligato al che, ma un indefinito? Eppure ant'è. Proprio il verbo del citato esempio, ch'io voltai al congiuntivo, il Villani e lo mette all'inde finito, ed eccolo nella sua originale integrità: « E si pensava che, in “ gannando i Fiorentini, e venendo della città al suo intendimento, es. sere appresso, al tutto Signore ».l'erchè parini da ragionarla così: Se quello stesso che, cui noi avremº Ilio obbligalo un congiuntivo od indicativo, sì come nodo, il ppoggio tramezzo di questo ed altro verbo, appio i classici rinviensi Ialora susse. guito dall' indefinito, che a nostro modo di intendere mol palirebbe a - solutamente, egli è pur gioco forza che quegli antichi, usando egualmente ol l'uno ol' l'altro modo, avessero di un colal che alla apprensione, allro senso che di semplice appoggio di tramezzo che si voglia.l) e molti esempi che, oltre l'allegato, mi vennero qua e la scontrati le tre poligo (Illi alcuni pochi. l eggili allentarne le e di rini se io mi li In apponga.« Manifesta cosa è che, come le cose temporali sono transitorio  nortali, così in sè e fuor di sè essere piene di noia. I3 cc. \ - giamo che poichè i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato, solo il giogo ristrelli, quegli essere dal giogo alle viali, I3oce. -– a Si ve dova della sua speranza privare, nella quale portava che, se I lor  « misda non la prendeva, ſeriamente doverla avere egli n. Bocc. i E parendo loro che quanto più si stellava, venire il maggior indegna « zione dei Fiorentini.... ». Vill. – (Proposto s'avea al lutto nell'animo che, se necessario caso l'avesse rilenillo, di rinunciare l'Iſlicio... Vill. – « Seco deliberarono che, come prima tempo si vedessero, di rubarlo o Bocc. -– « Pirro per partito aveva preso che, se ella a lui ritornasse, ci fare altra risposta n. Bocc. – «.... la precedente novella ini lira a « dover simili nelle ragionare d'Il geloso, estimando che ciò che si a fa loro dalle lor donne, e massimamente quando senza cagione inge  «losiscono, esser bel ſalto m. I3 cc. – ecc. ecc. ecc. Costruzione stranissima, e al nostro orecchio per poco errata, quali lo a colesto che ogni altro flicio si disdica che di semplice congiunzione,  I 'allo invece pronorme, recalo - con inque si opponga il rigido gramina - tico – a valore di ciò, o questa cosa, e la sintassi è chiarissima, logico  il nesso, e l'orecchio pienamente soddisfatto. E quanti altri luoghi piani ci vengono ed evidenti mercè di sì fa II: interpretazione, senza la quale stranissimi li credi ed anche errali. Ti basti, per ogni altro, il seguente del Boccaccio: « E lui come po a rai mostrare questo che ſi affermi? Disse lo Scalza: Che il mostrerò « per sì fatta ragione, che non che lui, ma costui che il niega dirà che i « dica il vero ». – E che ha mai qui a fare quel che se noi vale questo, questa cosa?Ella è pur cosa degna di osservazione che altre lingue ancora a dir perano ad officio o valor di congiunzione quella stessa voce che è all'esi pronome, e pronome non pur relativo, ma anche dimostrativo, cioè: oi tos. quod, que, dass (anticamente anche das si scriveva dass, lh tl ecc. ecc. Talchè io mi figuro che quegli antichi della prima scuola, dicendo,  a cagion d'esempio: comandò ch'ei studiasse – er befahl, dass er sl il dieren sollte. – ecc., volessero dire, oppur suonasse loro quanto: collan lº  questa cosa (dasº: studiasse »: ed anche nei medi composti di che ed altra voce – ll'eposizione od altri i - intendessero tuttavia e vi sentissero  non altro le il proliome, orti relativo, ora dimostrativo. 239. Neh! lo ripeto, è una mia opinione e resti lì.lº riprendendo ora il filo del nostro assunto, dico che il che cong.;  ha virtù dirò così concentrativa e Irovasi nei libri mastri di nostra lingua  assai solvente. - I di comparazione e recante senso di: di quello che - l. il significa di affinchè, sinchè, prima che, senza che, Ne m on, jlto i cºllº e sillili.. llpl calo a lil:inlera e valore dell'avverbio  di tempo: quando.... quando, alcuna rolla... alcuna rolla, di quando in  quando ch'è, ch'è ed anche parle.... ma le. Il che, per dacchè 210, poichè, posciacchè, perchè 241 poi che (242)  è notissimo e comunissimo, nè porla il pregio di ragionarne.  \ iuno dice a trovarsi, il quale meglio nè più acconciamente ser risse al limit la rolul dl mi m signor e, che se i ri rut ella, l?occ  lo non coglio che lui ne I l a rl pii la coscienza che ne bisogni o. I 3 (' '.  \ orella non quali i meno di pericoli in sè contenente che la mar l a lui li I tu roll (t ). I 3 cc. ... che io non so il no ben mesce e ch'io set ppia informare ». Bocc. lº migliori ol) e le dando che li sali non e' di no..... lSocc. \ on le doti più dolore che la si abbia. l occ.  (n si era la cosa cºn il lut ut lanto che non illi in en li si curatra degli uomini che morire no che ora si cui e're bbe di capre l occ.  \ on li molea renir molto più ni di doll in, nè di speranza, nè d'autorità, nè di gloria, che di già s'a rºsse acquista lo. Caro.  « I fallo i sono poco solleciti, e prima cercano l'utile loro che del padrone. Pandolf. che quello del.....  a I)arano rista di non tener più con lo di lui, che si facessero cogli allri ». Ces. ... io ri a cillà e poi lo queste cose a Se) lontcorri, che m' (tilli di non so che mi ha ſallo richiedere. I3 cc. allinchè mi aiuti a questo ggello ch'è.....  (i uan da ra d'intorno dove porre si potesse che uddosso non gli mc rigasse ». Bocc.  «... gli menarono innanzi una sua nipol e ch c'ra rimasta, di sºlli' anni, ch are rai nomi e Maria, e lasciatron gliela che egli la gol'ºrnd Ssº Comº gli paresse. Cav.  a... recatasi per mano la slanga dell'uscio non restò di ballºrni che per isl racco la slanga le calde di mano o l'ierenz. (243). ... precetto che non parlisse che non me lo pagasse ». Caro.  «... juggì via e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Riondello Bocc.  ((...  nè mai ristette ch'ella ebbe tutto acconcio ed ordinato p). ROCC. - non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che Fede l g0 l'emisse ». Bocc. ... si pensò di dovere per quello pertugio i tante volte gualare che ella redrebbe il giorane in atto di polergli parlare ». Docc. -  “ Ma fermamente lui non mi scapperai dalle mani, che io non ti paghi sì delle opere lue, che mai di niun uomo farai beife, che di me non ti ricordi ». Doce. 244;.  º sempre gli (al rilano mancherà qualche cosa mai ſi farellerà che non ti rechi spesa. I'and.  ((...  “ Von posso passare per la strada che non mi regga additare o I;oce. “... e l 'nsò non potere alcuna di queste li e, più l' ma che l'altra lodarº, che il Saladino non a resse la sua intenzione ». Bocc.« Mai la sera non rimetterete a riposare che prima non abbiate fatto ſes(tmº della coscienza n. [3art.Giarda le adunque quelle grelole che sono sotto l'abbeveratoio della rostra gabbia, che per la molla acqua che ci si versa sopra sono im fradiciale in modo che voi non ri da rete su due roll e col becco che voi le spezzerete e farete una buca sì grande che re ne potrete andare a vostro bell'agio ». Fierenz.«... non canterà stanotte il gallo due volte, che lui ben tre alla fila arrai negato di conoscermi ed esser de' miei o. (es. 2..« E questo è il riro della fortezza al tutto inespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio e di fame o filorchè, se non. I art.  « I)onolle che in gioie e che in ratsella nºn li d' o o e al di rien lo e che in danari, quello che ralse meglio d'altre decimila dobbre o. I3oce.  « Questo regnò anni trentaselle, che re dei lomani, e che impera loro n. I)a V.  « I'(Il li ch' è ch' è Ne m (t lo) l'i n. l): I V.  « Fu ascolto con giubilo unirersale e m' ebbe in ricompensat, che in danari e che in roba, un ricco presente ). I3art.  NOte  all'articolo 11,  239) Alle congiunzioni perchè, sicchè, fuorchè, affinchè, che se, poi chè, dopo che ecc. rispollidono le le lesclle lielle quali il che rendesi tra - dotto ora vo () was ed ora da 0 den – coll1 razioni (riduzioni di was e das, e sono: warum, darum, so dass, ausserdem, damit wofern, nach dem. ecc., 240). Dalla prima volta in poi che io risposi alla vostra non vi ho pIù Scrillo ». Calo.. Essendo limiti i due anni che Luigi era entrato « lella compagnia ». Ces.241 Nè solo per l'enim, etenim, mam, ma anche per l'eo quod, e cur; « Vlla prima giunta mi fece un cappello che io non l'avessi aspettato ». Caro.Disse: Beatrice, l da di l)io vero Chè non soccorri quei, che ti amò  alto Che Ilsi io per te della V o!gare s ll el l ' » - I), i lite. 242). Nota per o costruzione fuori della quale il che per poichè, dopo chè lì lì la lr 1:1 i lu go: tuttº si disarmo e cenato che egli ebbe se ne e andò a ripos lire ». Fier. - è poi che egli ebbe cenato - e... ci condurrà alla stanza della serpe, dove condotto che sarà, io ti prometto ch'egli lloli ne sentirà prima l'od re, i lle da naturale istinto forzato, e le torrà la vita ». Fierenzuola. Ci si dl lano e compito ch'io ebbi; e gua rito ch'io fui; e letto ch'egli ebbe: e discesi cine noi fummo ecc. ecc. 243 Vlla pari e I V rti. S è par li di tl: la costruzione nolì guari dis simile a quella di questo e dei tre seguenti esempi; potendo differire l'una dall'altra solo in ciò: che, ve in quella la V ore prima è espressa, in que sta può essere soltintesa. Ma sia che quest, che si trovi ad ufficio di finchè, sia che si senta nel periodo l' omissione della voce prima, è sem pre vero che a questo che si attiene alcunchè di sentito e non espresso. 21 ). Il primo che vale: finchè, prima che; il second: senza che, Nota anche i tre seglie, nei quali il che ha evidentemente senso di senza che,2 (5). Fallo futuro presente il verbo reſto da' che e il costrutto è unum et idem che il pre edeinte del F. e enzuola. (illarda l' erenz: e non vi da rete su due volte col be, che voi le spezzeret (n Ces N ºn canterà sta notte il gallo dlle volte che lui ben 1 l'e negllera 1 dl conosce l'Illi.  CHI  In questo e nel segui le n il loro li porgo una maniera di dire, che il lis; Izzo grammi, i lico (listi prova add ril lilla e se lendola se ne slrignº gli vien del concio e si con loro e, per il la col l?arloli, più che non fanno i cedri troll (Iula ndo sentono il tutor, Vla 1, il s o di lui. Chi -a all'epos lo e sente il..., e la virtù che viene alla frase per l'elissi di alcune parti del dl scorso ci si allengono a certe voci ecc., non che intenderla questa In Iniera per l la ed in quel pregio che un vezzo assai grazioso Il ll garbo sl l'.E sappi alunque che anche la particella chi la quale bene adoperata, dice il Puoti, dà molta grazia al discorso – simile alla poch'anzi ragionata che, ha lal virtù sulla penna a valorosi nostri classici, ch. dice altro e più che non dica il letteral suono della voce. Tien luogo quando dei casi obliqui a vario rispetto, cioè senza il segnacaso di, a, da, per, con, che, e quando di chiunque, chicchessia, ed anche di se chicchessia, se all ri muti ecc.Mlal però si potrebbe stabilire quando il segnacaso e quando altra roce sia da sottintendersi, che le più volte l'una e l'altra spiegazione egualmente 1a. « I biloni cosl III li, scrive l'Alamanni, mal si ponno il 11 a parare chi troppo invecchia, ciò è a dire, soggiunge certo lale, da chi troppo invecchia. E son con lui. Ma chi mi vieta d'intenderla anche così: se altri, se l'uomo, o quando l'uomo l roppo invecchia, o in allra sì fatta guisa? « Ma qualunque spiegazione piaccia, l'asta andar d' cordo su questo che il chi (son parole del Fornaciari per proprietà º i « lingua si usa spesso ed eleganlelneri le cosi in certi modo assoluto. « Di rado avverrà di potere le proprietà delle lingue in I lilli i luoghi « spiegare a puntino nel modo stesso ».Sentilo questo chi e gustalo negli esempi del Trecento ed anche del simpatico nostro Manzoni. o  «... la casa mia non è troppo grande, e perciò essº non ci si por trebbe, salvo chi non volesse star a modo di mulolo, senso la r moll o zitto alcuno ». I30(C.« Molto da dolersene è e da piangerne... chi ha punto di sentimento, o di conoscimento, o zelo delle anime o. Passa V.«... e con tutto ciò non si potevano difendere da lui, chi in lui si scontrava solo: e per paura di questo lupo e cºn nºi o ſi lan lo che nºs suno era ardilo d'uscir fuori della terra n. Fiorelli.« E non è da farsene maraviglia, chi pensasse lo sterminato bene ch'elleno portavano alla persona sua. Cav.Sì come veder si può chi ben riguarda... ». Dante (CoirV.. « Quinci si van, chi vuol andar per pace ». Danle. potransi far più forti piantamenti, chi vorrà...». Cresc. « Sì come la candela luce, chi ben la cela ». I3 l'un. « Come pienamente si legge per Lucano Poeta, chi le storie 'orri cercare ». G. Vill.« Sì come per lo dello suo trallalo si può reale e', e intendo re, chi º di sottile intelletto ». G. Vill.« Furonri sventuratamente sconfitti, e così arrien e chi è in rºllº di fortuna ». G. Vill.« Da volar sopra 'I Ciel gli area dal'ali Per le cose mortali, lº son scala al Fattor, chi ben le slima ». Pelr. (per chi, a chi, se allli mai « Invoco lei (la SS. Vergine, che ben sempre rispose Chi la chitml ) con ſede ». Petr.« I quali trionfando degli animi dei pazzi cittadini, la misera città variamente lacerarono, con acerba ricordazione di quelli inlºlici secoli liſt con non minor gioia, chi queste cose andrà considerando, della tran (I lillità dei presenti ». Scipione Ammir. Stor ſior. - Le quali lui le cose sono esempi rarissimi di gran povertà, umiltà cd (in negamento di sè medesimo, chi pensa che talora per mantenere una di Iºsle loro ragioni, sogliono i mondani nellere a sbaraglio ogni aver loro, e la loro anche la vita un duello... Ces.º V ºcchi che, perdule le zanne, parcram sempre pronti, chi nulla nulla gli dissasse, a digi ignar le gengive.....; o, Manzoni.('osì il lurore contro costui il ricario, che si sarebbe scatenato peggio, chi l'avesse preso con le brusche e non gli avesse voluto conce der nulla, o a con quella promessa di soddisfazione, con quell' osso in bocca s'acque la ra un poco e... ». Manz.  ARTICOLO 20  Sf (C0mg.)  Anche la particella se vuoi qual congiunzione sospensiva e condizio nale, vuoi qual desideraliva, è appo i classici una di quelle voci previ legiale sotto cºlli ripari in parole, ossia aggiunti, laciuli talora o non  completamente espressi. Il che avviene di un se. – a. recante senso:ì così, e in certa forma di gi Iran lenlo, volo e simili: lo esprimente ricerca, indagini ecc. soppresso e si linteso il verbo che lo precede: per ve:  dei e, per sentire, osservare e va dicendo.  Non misteri della lingua al dunque, non licenze degli scrittori come sano sentenziare alcuni (i rammatici dall'orecchio volgare e guasto, (246) | ma virtù e proprietà delle particelle, onde cioè la ragione intrinseca di cerle contrazioni e maniere si relle e vigorose, le quali sien pur strane e niente intese a pochi sperli, ma a chi sa di lingua, non altro sono, all'incontro, che vezzi e gioie.  l;oce. Così l dio mi dea bene, con l'egli è vero, ch'io mi veniva...). Se Dio mi aiuti, io non l'utri ei mai credulo o. I 30cc'.a se m'aiuti Iddio, tu se' pore o, ma egli sarebbe mercè che tu fossi  | Se Dio mi dea bene, che io mi i re mira a slitr con le co un pezzo.  molto più o. l occ. a se Dio mi salvi, di così alle ſemine non si vorrebbe aver miseri  cordia ). I 3 cc'. « I), h, se Iddio ti dea buona ventura, diccelo come tu la guada  gnasti ». Bocc. « Subilamente corsi a cercarmi il lato se niente r'avessi ». (per sentire se). Bocc.«... l'un degli asini, che grandissima se le arera, tratto il capo del capestro, era uscito della stalla ed ogni cosa andava fiutando, se forse trovasse dell'acqua ». Bocc.«... s'egli è pur così, ruolsi realer ria, se noi sappiamo di riaverlo » Bocc.« Cercando d'intorno se niente d'acqua trovassero ». V. SS. PIP. «... brancolando con le mani, se a cosa nessuna si potesse appi gliare ». (per vedere, per sentire se..... Cav.« Corse per tutta la città se per centura la polesse trovare ». Cav. « Lesse come Libona area lallo gillar l'arte, se egli avrebbe mai tanti danari clie..., e colali scempiaggini e canità da increscere buona mente di lui ». (per sapere, scoprire se...). DaV.« Venite qua, guardate bene... Toccale i polsi se han molo tasta º  il cuore se palpita ». (per sentire...). Segn. (247).  NOte  all'articolo 20  (246). Uno di questi cotali poi ch'ebbe ragionato della sinchisi, con fusione di costruzione nel periodo e dell'anacoluthon, che è quando, lice egli, si pone qualche cosa in aria, e senza filo di costruzione, e intendeva appunto di parlare degli esempi di questo numero, del precedente e di al tri che ragioneremo, riprende fiato e soggiunge: a l)i queste figure non « mancano esempi e nei latini e le lorstri allt l'i, ma non si vogliallo a imitare, essendo anzi errori che mo. Sono | Igure, scrisse il valent'll In « inventate per iscusare i falli, nei quali sono talvolta incorsi per una la « fiacchezza anche i più celebri autori ». –- Cavalca, Boccaccio, Dante, l'e trarca ecc. ecc. ecc., che duraste gli alli e i decellºni in escogitare e ci Ill porre gl'immortali nostri libri, e vi si udiaste di l: rlo più chiaramente e leggiadramente che per voi si potesse, solleci'i, sopra tutto, di dare alla vaga, tersa precisa vostra lingua un tornio ed una forma facile ad un tempo, decorosa ed elegante, siatene pur grati agli acliti a sservatori della posterità che a guardarne noi poco sperti vostri lettori scopersero ne vorstri componimenti i solecisilli, le magagne, gli scerpelloni nei quali voi pure, e quel che più monta, tutti ad un modo, con tutto lo studio e saper vostra, portatevelo pur in pace, talvolta incorreste!....  (247) Alcune volte l'omissione di per vedere, per sapere e simili la luogo molto leggiadramente anche senza la soggiuntiva se. « Ed è lecito º il nrola d'usare queste sorte negli olſi i temporali a cui prima tocchi « la volta: come si fa degli ufficiali della città... ». Pass. cioè per sapere, per stabilire ecc.)  ARTICOLO 24  VENIRE  l)el Vario uso e valore così del verbo venire come di molti altri se n parlerà alla distesa nella III." Parle di questo Direttorio.  Quello che ora piacermi merilovare è una certa forma di dire, bella, brevissima ed evidente in cui il verbo reni e non è quell'ausiliare comu I missili o con le guidasi e lorº la passivº in qualsiasi verbo transitivo-attivo, e che tien luogo dell'ausilia e essere, ma è al arnese mercò cui l'azione transiliva-alliva volge ad altro rispello, prende un ordine, dirò così, in verso e ci fa l'effetto di cosa che dall'oggetto soppravvenga al soggetto o di azione emessa indipendente nelle dal concorso di mente e volontà del soggetto, sì che il sol parli ipio aiutato dal verbo venire semplifica e t duce ad una parola le voci: a crenire ad alcuno lo lui la mente, impensatla mente che.... (286i.  Intendila questa bella maniera nei pochi esempi che ti allego. E' tutta italiana e classica, nè so di altra lingua che ne appresti un'altret tale. Solo coi verbi così del li dei netti dei l alini, parmi di sentire alcun che di somigliante. Ma lasciamo ora questa cosa, che troppo vi sarebbe che dire, ed anche a ragionarlo e discuterne poco o nulla rimonterebbe; e passiamo subito agli esempi.  «... e venutogli guardato là dove questo Messer sedea e... il renne considerando ». I3occ. e essendo avvenuto ch'egli vide.... « A queste la rete che coi diciale bene e pienamente i desideri ro stri: e guardatevi che non vi venisse nominato un per un altro: e come delli li arrete elle si parliranno o l'occ. (che per mala ventura non tv venisse di nominare).a Credetlimi, quando presi la penna, dovervi scrivere una convene role lettera: ed egli mi venne scritto presso che un libro ». Bocc. (ma trovo all'incontro di avervi scrillo.«... spacciatamente si levò e, come il meglio seppe, si restì al buio, e credendosi tor certi veli piegati, li quali in capo portano, le venner tolte le brache (li.... m. 130cc.« La prima cosa che venne lor presa per cercare lu la bisaccia ». Bocc.  «... le quali i bisaccie, son si somiglianti l'una all'altra che spesse volte mi vien presa l'una per l'altra ». Bocc.« Fornito il suo ragiona e disse a Simone: melliti più dentro mare, e gilla le reti a vedere se nulla ti venisse pigliato ». Ces.« V atti al mare, gilla l'anno, ti verrà pigliato un pesce sbarragli la bocca e ci troverai lal monela che raglia il tributo per due o. Ces. «... così andando si venne scontrato in quei due suoi compagni ». I30 c.a... facendovi qua e là nola, quelle bellezze nelle quali ci venisse scontrato ). ((S.« Perchè io entrando in ragionamento con lui delle cose di que paesi, per arrentura mi venne ricordato Lelio. Filoc.Fu un giorno al suo Padre lui lo ama ricalo d' un grave sospetto: cioè che cercando la propria coscienza con ogni possibile diligenza, non gli veniva trovato mai nulla che a suo parere, arrivasse a peccato re miale... gianni mai avvertiva ch'egli sapesse miai trovare.... Ces.«... gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, la quale dalla conti apposta parte scom)illa dal li a ricello, con lui insieme se n'andò quindi giuso ». (avvenne ch'egli perse per ventura il piè....). Bocc. «... venne questa cosa sentita al Fontarrigo ». Bocc.« I ll imamente essendo ciascun sollecito venne al giovane veduta una ria da potere alla sua donna occultissimamente andare ». Bocc. a Mira lavoro di tribulazioni e d'affanni che ti dee venir adoperato nell'anima...». Bart, che ti avverà di dovere anche a tuo malgrado ado perare..... (287).  NOte  all'articolo 24  (286). IRecasi, la mercè di un sil fatto costruito, ogni verbo a quella cotal proprietà che è sol privilegio di alcuni, i quali senza mutarne altri menti la voce si trasformiano d'uno in altro es - ºre; e dresi p. es. perdere alcuno irreparabilmente fare che altri rovilli, spari-ra) e perdere, altre si, checchessia (cioè rimanerne privo, sì che il primo d ce azione diretta, il secondo quella che non dal sºggetto all'oggettº, ma oggettivamente in relazione al soggetto intervielle Conf. Natura e essere di alcuni verbi et. IParte II.).  (287)Che tu dei adoperare -offrire) non solo è inen bello e languido, Intl am(:lle inesatto e lìoll V (l'O). N. ll Vi -(ºlti l'idea della le cessità dell'atto, indipendentemente dal concorso della volontà.: Tra. Dizioni e forme notevoli e il cui retto uso adopera anche alla vita e all'assetto C0Struttivo  Le cose che abbiamo vedute ſin qui sono senza dubbio gran parte di quello oride il costruirre classico è altro dal volgare e moderno. Ma non si starà contento a questo solo, chi desidera istruirsi davvero ed è veramente vago di riformare il suo dire e conformarlo a quello dei clas sici, recarlo cioè a quel candor di coricelli, Vigor di espressioni e tornio di periodo che è sol proprietà della lingua degli antichi.  E però, prima di passare alla Parte il I., la quale somministra ordi natamente il correlazi. I1 e coesione con certi verbi e voci previlegiate un copiosissimo corredo di lingua, e le dizioni più elette dell'italico idioma piaceni mentovare collettivamente alcuni altri capi nei quali il moderno non sempre s'accorda coll'antico º dai quali la costruzione italiana prende talora sapore e leggiadria.  Natura ecl essere vario «li alcu 11 n i vo rl,i, suscettibili cioè di vario foggiare riflessivo o irriflessivo, coll'affisso o scenza, e capaci di Cloppia ragioi i ce li agire O Cli valore a cloppio orcli 1 ne cº rispetto, tra 1 1sitivo e il n transitivo, attivo e I neutro.  Intendo qui di offrirli, o mio le! I re, partite serie di esempi che i mostrino quasi in azione corle proprietà e passioni di alcuni verbi, negli accompagnamenti che prendono, nei casi che reggono e Irelle lalicelle che in cellano o rigellano 13arloli, e come essi prendano or un essere ed or un allro, e diventino quel che vuol siano chi gli ado pera, puri alliri o puri neutri, o neutri passivi o assoluti. Ho detto negli accompagnamenti che prendono, avuto cioè riguardo al vario ordine dell'azione, non al vario messo o rispello in che sta ogni verbo, e in ogni lingua, col suo corredo; chè non si vogliono qui riprodurre tutte quelle inſi nite categorie, classi, divisioni e suddivisioni che fecero e fanno tuttavia grammatici e linguisti: il lime, del resto, e in Filosofia utilissime, ma non mai a far di leggiadria, sapore ed eleganza. Di que verbi poi, il cui governo, sulla penna e lingua a classici, relativamente al loro oggetti, dipendenza e corredo si discosta come chessia, o è altro che il volgare e comune d'oggidì, ed anche dell'uso e valore vario di molti altri verbi, si dirà alla dislesa nella Parte III., ove, lra l'altre cose, si ragiona in proprio delle convenienze grammaticali e concordanze reciproche.NEUTR [ ASSOLUTI, CIO È VERBI coMUNQUE RECIPROCI o RIFLESSIVI – NEUTRI PASSIVI, ATTI V I PIt() NOMINA LI () TRANSITIVI PASSIVI – A IDOPERATI ASS() LUTAMENTE  Sono alcuni verbi che nelle menti e sulle penne de Imigliori nostri scrittori si trasformano assai voli e dallo esser loro comune e volgare e tornano di attivi prol li il trali, o trailsitivi passivi, neutri assoluti, liberi da ogni affisso o particella.  Piaceni fornirtene un elet o saggio: per lui del rest o, anzi pochissimi al gran numero che potrei allegare. Studiali, intendili e senti il garbo, il sapore, la forza che viene alla frase dall'uso dicevole e giusto di una tal malliera e striltli.  ACCIECARE - « In prima si commette in occulto, poi l'uomo accieca, in e tanto che pecca manifestamente e fa faccia, e non si vergogna » Cavalca.  Al)I)Ol.ORARE – « Or lorniamo a Maria Maddalena, ch'era illella ca a Imera e addolorava sopra i suoi peccati ». Cavalca.  Al FONDARE andare a fondo) – « E più galee delle sue affondarono in « Inare con le genti ». Vill.- - v. - - - - - - -  «....più volte si videro su l'affondare, e poichè non potevano dar volta, « gran che fare ebbero a una litenersi e torcere finchè.... » Bart. AGGHIACCIARE – «Come fa l'uomo che spaventato agghiaccia » I)ante. « Ghiacciò il mare...., fu grande freddura e ghiacciò l'Arno » Vlil. ALZARE - ABBASSARE – « Ma già innalzando il solo, parve a tutti di « ritornare ». Bocc. – Simile al to rise degli inglesi -- il cui causativo to raise).SCInarido al continuo per la ci là tutte le campane delle chiese, infillo che non alzò l'acqua.... ». Vill.L'altezza del corso del fiume, che per lo detto ring rgamento era to nuta, abbassò e cesso la piena dell'acqua ». Vill. – Equivalente dl sinkem tedesco e to sink inglese – attivo senken, to sink).« Poichè il sole cornincia abbassare e allentare il caldo.... » Cresc. ANNEGARE - AFFOGARE – e Mescolansi le compagnie con l'acqua ora « a petto e ora a gola; perduto il fondo, sbaraglia i si, annegano » I)a V.« Mal credendo che un legno si lacero potesse esser sicuro, mentre  faceva tant'acqua e le pareva di continui annegare ». I3art.  « Alla guisa che far veggiamo a coloro che per affogare solº quan  « do prendºno alcuna cosa.... » Bocc. APPIGLIARE – e Sugano l'umor del campo, e non lasciano esser nu  « triti i sogni nè debitamente vivere e appigliare ». Cresc. APPRESSARE – « Più e più appressando in ver la sponda Fuggelni er  « ror ». I): lillte.  « Quando il cinquecentesimo anno appressa ». I)ante  APRIRE – « La terra aperse non molto da poi... – qui non ti conto con, e « la terra aperse ». I) il tam.ARRATBBIARE – «..... per quanto ne arrabbiassero i demoni, mai però  a non ardirono più a valti che... » Bart. «...ed all'uscio della casa, la donna che arrabbiava, lato vi delle Ina lli, « il mallClò oltre.... » I20 cc. »«...nel soddisfare alle loro passi il arrabbiano, sinºni: no, sono infe. « lici ». Cosa riASSALIRE – «Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo, mi ha « cosa al suo aiuto adoperò » Bocc. (cioè: veggendolo che era assalit, lui essere assalito).ASSII)ER ARE – «...assiderarono tutta la notte, senza pallini la ascill « garsi, senza fuoco, ignudi, infranti ». I): v.ASSOTIGLIARE - INGROSSARE - -. Il collo digrada va sottile, e nel ven « tre ingrossava, e poi assotigliava, digradando con ragione ſino alla « punta della coda ». Vill. Parla di certa serpe di fuoco apparsa in  aria). ATTENERE – «.... lanciato da banda tutt'o ciò che attiene a costumi ».  Bart. ATTENTARE – «... desidera ido e nº n attentando a fare imprese e ho  a non fanno, che non attentano di fare gli altri ». Bocc. BISOGNARE –- Questo verbo mi darà ina) eria da ragionare le più ava lli). « Come costoro ebbero udito questo, non bisognò più avanti ». B c. – Il Bartoli guarda come l'ha egli pure identica la stessa frase. I  « Bonzi come riseppero di quel così vituperevole cacciamento, non « bisognò più avanti, perchè si inettessero tutti a rumore ». – E qui dagli ai puristi, ai trecentisti, quando un Bartoli non solo ne parlava con sommo rispetto, ma di loro da vizi e studiosamente si arricchiva.  CALMARE – «.... il vento calmò e un altro 1; e scosse e le dava alla nave « appunto per poppa ». Bal'.  COMPUNGERE – e Forte nel cuor per la pietà compunsi ». Dittain.  (.()NCIARE i maltrattare – E la fa Iligiia di casi vellendo costoro cosi  a conciare, corsero a (iesti cori gri a n pianto, e sl gli si inginº celli:ì rono « a piedi, e dissero: Signore, la Maddalena e caduta in terra e pare « limorta e... ». Cavalca.Il Puoti nota che li el vocabolario noi e registrato questo verbo in forma neutra, come ve lº si qui adoperato,  CONFONDERE – «.... onde se si messo nel pianto confondo, maraviglia non « è ». Dittam.  CONTIA ISTARE - Allora, vedendola la badessa e si contristare, disse « a lei: or che t'è addivenuto, figliu la mia Fufragia, perchè così a crudelinelli e piangi e contristi? » (avalca.  CONVERTIRE - Si prop, sero di convertire alla fede di Cristo ». Vill.  DEGNARE - «... nè v'è uomo, benchè povero, che degni far servizio della « sua persona ». Bari. Simile al daigner dei francesi).  I )EI,IZIARIE a.... e se talvolta le llloghi a mare trovava llo ad avere « un uovo di testuggini e alcun poco di pesce allora deliziavano ». Bari.  IDILETTA IXE - Vergognisi chi le reglia in virtude e diletta in lus « suria ». Nov. Ant.  DIMAGRARE - INGRASSARE - I primi quindici di dimagrano e negli a altri quindici di ingrassano ». Cresc. a Ingrassando e arricchendo indebitamente.... ». Vill.  I) ISFARE a E di vero inali ſul lis fatta nè disfarà in eterno, se non al di « del giudizio ». Vill.  DOLERE –. E cortamente di lui tanto dolsi quanto donna del far di « buon marito ». I)itta in« La speranza del perdono si è data a chi la vuole. E colui l'ha per a mio dono, Che del suo per rat, duole ». Jac. Tod.  ESALTARE – « Della detta pugna esaltò si esaltò il capitano di Mela a no, e il re Giovanni abbassò. Vill.a IDC lla sopra detta vittoria la città di Firenze esaltò molto ». Vill.  FENDERE - Vnche se ne fanno convenevolmente taglieri, e bossoli, « i quali radissime volte fendono ». Cresc.GLORIARE - –... pensomi che l'ºmºnima sua fosse tratta a quella beata  a contemplazione di vedere Gesù, Figliuolo, suo carissimo, così gio a riare, attorniato dagli angeli suoi, i quali così volentieri gli face « vano festa con somma letizia ». Cav. Traduci: colmo, circondato di gloria).IMPICCARE - – Di questo verbo, otlre a molti altri di egual forma enatura, si è il senso passivo assoluto (non per riflessione si ggettiva cioè, ma d'altronde) di cui è capace, e senz'altrimenti variarla – simile al vapulo dei latini – la forma attiva. Pare però che solo l'infinito di tali verbi abbia il privilegio di ricevere un cotal senso passivo.« Fu condannato ad impiccare ». Vill. I cioè ad essere impiccato). « La battaglia fu ordinata, e le forche ritte, e 'l figliuolo messovisi a  « piè per impiccare ». Vill. – Conf. più avanti sbranare. INCHINARE (far riverenza a... } – « E voleseIni al Maestro, o quei mi fe  a segno Ch' io stessi cheto ed inchinassi ad esso ». Dante. INEBRIARE – « I)ando loro lle celli) a beccare, Sillbito inebriano e lloll  « possono volare ». Cresc. « Egli giuocava ed oltre a ciò inebriava alcuna volta ». Bocc. INERPICARE – « All'alba scassano i fossi, riempiendoli di fascine, inerpi « Cano Sll lo steccato.... » I)a VINFERMARE (anmmalare) – a.... E da questo discorse un uso che niuna « donna infermando, non curava d'avere a suoi servigi un uomo..... Ol Che.... » BOCC'.« Egli è alcuna persona, la quale ha in casa un suo servo, il quale inferma gravemente.... ». BOCc. « Avvenne che per soverchio di noia infermò. Bocc. « Avvenne che il detto Patriarca ammalò a Imorte ». Vill. « infermare, ammalare a morte ». Bocc. Vill. Caval ecc. « La povera donna cadde tramortita e ammalò gravemente ». Gozzi. INFINGARIDIRE – « Non badavano n.ITe faccende pubbliche, e insegna « vano a cavalieri Romani infingardire ». I)av. (Conf. Pigrizia Pron tuario).INFRACIDARE – « Infracidinsi l'ossa di quella persona che fa cose de « gne di confusione e di vergogna. Lo infradicidare dell'ossa signifl « Ca..... ». Passa V.« Il nutrimento dei frutti infracida leggermente, perocchè la natura « non l'ordinò, nè produsse ad altro fine, se non accio hè infracidas « se ». Cresc.INNAMORARE – « Concede alle anime che di lei innamorano agevolezza « di Volare in cielo ». Fioretti.  INVII,IRE - RINVELIRE – « Ma poichè si vide ferito invili sì forte... ». Part.«....la quale (merce) allora appunto rinvili che egli non la voler ». Rart. « Il ladro surpreso nel fallo invilisce ». Vill. LAMENTARE – « Una donna in pianto scapigliata e scinta o forte ia « mentando.... ». NOV. Ant. e Giusto duol certo a lamentar mi mena ». Potrarca. LAVARE – «... prestamonto lo menai a lavare ». Firenz. LEVARE – « Io sono costumato di levare a provedere le stelle ». Nov. aInt.  « Ma vedendolo furioso levare per batter e glie... » BC (c.  º llll'altra volta la ino  MARAVIGLIARE – L'anime... maravigliando doventare sinorte ». Dante.  « Con tutto il maravigliare n'eran lietissimi Mll I,TI l?ILIC.ARE – « Mla cldo e l'a llie lìte:  « adosso in aggiore », lºore.  « I)ebb no alunque studiare i padri come  ». Fia Ill.  multiplichi  e con clue Iniestier ed uso s'allmeriti, e divenga fortunata  ſilli.  -..... que rime 1tlti i cresce a io e moltip  Il lonte ». I)av. l'ENTIIAE – « SI cl, e pentendo e per lollando  l)allte.  « Assolver non si può li noli si sieme puossi ». l)ante. « (.lli (li trolls PROVARE -- La Marza car, vellla cert: quali a Inosca dello Iara ca l'ovello dl lilll'allle o lo Provan benissimo alla ril nei luoglli caldi Prontuario. I? AFFIXEI)I).ARE IN IS(..VI.l) \ I RIE (tale a lui  a contro il Sallesi ». V Ill.  al s'affr, tti si s old fa di pentire ».  la calca gli multiplicava ognora  a ſalniglia, ! ». lPall.lol  licheranno llaraviglio -:1  fo, l'a ll vita  Ne pentire e  llSciIlllllo ».  V,iere iil  l'laln.  la ll pero in sul nero  e - apore  ». l):) V. (.. ll  noso aleli f. Pianta -  a è quasi sempre d ' e a ed e leggieri a pesarla, e tosto raffredda e io sto riscalda. Cresc. « I Fiorentini si tennero forte gravati, e il riscaldarono nell'i gue: ra  IRIIP AI: AIRE L'inglese to repaire (on I. lo stesso verbo, IParte Il I. « Nella quale Fiesole º gran parte riparavano dei suoi seguaci ». Amet. « Come vide correre al pozzo, corsi ricoverò in casa e sorrossi dentro ».  I30 ('.  «.... tutta la lla V e dis armi: i ta dalle opere in m te, mal  nu:i:a  e dalla tempesta, e.. aver bisogno di ricoverare a Mºnla ca e Iulvi  a sverl):n l'e ». 13:art.  ROVINARE - Piuttosto vuoi rovinar colla caparbietà tua, che esaltati a col buon consiglio di chi li vuol bene ». l 'ieronz.  a Mentre che io rovinava e li è col reva precipitosamente a fiacca collo)  o in basso loco, Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi per lungo si  a lenzio parea fioco ». Dallite.  a L'altissima scimmia del tempio di S. lteparata ſu da un fulmino, il  a tanta furia percossa, le gran parte di quel  M:I (Ini:n volli.  e Rovinò g il mister, mente da un lalzo della montagna ».  a l'asst, l' illla volta sull traileo che Il tº t. (A') fatto ». Segn.  pilona lo  rovino ).  l3,) i t.  rovinare... non è gradi  a lºietro aveva gia preso la china giù rovinando... se non che... »  Cesari. e Clio non rovini, lli vi i l i lil: r.:i bali: l'i slli trabocchetti, i 'l:º  a sopra saldisini p.I vini: i I, lov Ilie troverete?. Segn.  SALI) AIRE - It.A MI Al AIR(i IN AIRI. I rite g randi non è mal trovato - e a saldino in ventiquattr'ore e che perfettamente rammarginino ». Red.  SBANI)ARE --.... le (-a coiiil ritte isselli iti, perchè al grido a del st ) Ve li sbandarono, l...  SI3I(r()TTI I º I. – La li ill:1 - 1/: pll'1 o sbigottire, con voce assai piace vele rie, ose.... » I3oce.  SRR.AN ARF - Illvii “i i sll Ille. la do iº la annata di lui ad un  e desinare, l: qual, v. d. ll -t: IIIedesima giovane sbranare ». B.)cc. Aggiungi i modi: mandare o menare chicchessia ad annegare, a uc cidere, e simili, ci e ad essere annegato, ucciso Indi a quattro dl, col ta:nto -piarne, scope, ta, fu mandata uccidere, I3a t. ccc., cliº li  son frequentissimi in tutti i lor li bilogia il guai del trecento e cinque ei to; e li segi:iti a bella cosa a vedere: dura a sof frire; – « Case vaghissime a vedere, comodissime ad abitare ». 3:1 rt. Demonia crribili a vedere ). V |!! - V si lt l'1, l'ille, elle mi racolo furono a riguardare ». I3... solº i maravigliose e pau rose a riguardare ». Vili.... l: Il l: -:1 e l'il 1:1 i lt, il N' -  a stagio gravosa a comportare, che per lo loro piu' volte gli venne dosi dºri di ll 1 le; - l. I3, Forl II (ll dire che abbia Illo cºntinua in mt boscº 1, scrivi il 13 arioli, IIIa Il li sempre si agevoli e piare a intendere che i 1: pia in di....i e, v. altri si av veng: i il: l II; 1 - il 1 l ' I - I riti l' ignII llo. I ' ' ncere poi di troppo ilt! - In ant III:I: 1 re, che amp ma, o creda po tersi mai trovare un verbo:itti, o chi in qui, sta o simile gui-, non siasi talora uscito a riche in significazione assolut: niente passiva. E s che i rutissimili (.ss e v. 11 ri. di lirl II i qual. In Forli' ciarl,.le.::i: dimi ed altri la intendono e - i ga: o l Iversalme, sarei tº itato il rigil:i ril: i re corri ti 'i: 1:1, li i leli iti:itti vi si getti: l II l de' verbi: fare, lasciare, vedere, udire. Ho veduto, udito, lasciato... a mare liare, biasimare... Tizio a Sempronio - rubare, prendere, por tare, lavorare e il na cosa a chicchessia o checchessia.Mlal, l. Io: Ilo il cli: no i lil I la 'ti i lil Il di al front i rili e Inl Itt e il:ì il tro: i:l ll 1: i: li si. I l it,Vli sia però lecito di osservare le villa di irolti esempi in cui il soggetto i porant e il preposizione a ion piò cssere l'i cells itivo a rentrº dei lati; li, e li:: lì il ve li vi ttiva, a tri menti che - orcendo e guar 1:1 dollo la sintassi: e bast, per tutti il - guente del Boern cio: Va -- e l og: 1o di suoi a Chiassi, qui ivi a vede cacciare i d uli i Vallicº: il nº. io va ti ucciderla e divorarla a da due cani ». Si di: • i:) I cacciare, 'l'uccidere e divorare che l'l1:ì. Il no di mi li ssi: -si V., (belle sta, il lil:) di scorretto: velt e-ser i: i ti li lì i rivali, il lill cavalli ºre ed eserla cioè: e la stessa essere ) u (Isa e divorata da due cani. Qual'1 do invece s'oncordanza sarebbe e sconnessione troppo rincrescevole e male ancora si atterrebbero le parti al loro tutto, se si volesse riguar (lare il cacciare quale verbo di significazione, noi Imeno che di fur ma, attivo, il cui soggetto, cioe', cavalliere accusativo agente, ed og gettº, una giovane. Ed oltra ciò si ponga mente a quel che segue, che e appunto il suallegato esempio: Illvita i suoi parenti ecc., Qiii è omessa o sottintesa la ra tisa dell'aziº alle o l a o da, e però lo sbranare di senso non altro che assoluto passivo. Ma e non e egli forse quel medesimo cacciare, uccidere e divorare del periodo precedente?  SI) IRI 'CIRE - « Esse Ildo essi li oli gular sopra Majolica, sentirono la nave a sdrucire » I30 ('.  SERIRARE rinchiudere ecc., Olm! che dolore ti venne quando tu il vede sti serrare là dentro, fra le mani dei lupi rapaci, che desideravano di velldicarsi di lui ». Caval.E pensonni che questo ti fosse si gravide il dolore di vederlo così rinchiudere e con lui non potere essere alcuno di voi, che quello del la morte non fu maggiore. » Caval.Allora una delle suore, la quale vide visibilmiente gittare lnel poz  u  ( e zo, gridando forte.... » Cava! Tra due l: essere gittata (lal dellº - lli, nel pozzº ). SM V I, I'IRE - - « (..il iarolo a smaltire ». Cres.  STANCARE a E avvenendomi così piu volte, e io pure volendº mi me - a tere per entrare, stancai, sicchè io rimasi tutta rotta del corpo... ». Ca.Val.STRANGOLARE - Aveva ad un'ora di se stesso paura o della giovane, « la quale gli pare, vedere o da orso o da lupo strangolare. » Boce. TEI)IARE - Alquanti cominciarono a tediare e a dire.... » Fier. TIRARIRE i tirare) --. E come a messagger che porta uliv. Tragge la gente « per udir novelle, E di calcar nessun si mostra schivo... » Dante. a () (corso lor l'asilmondo, il quale con un gran last me in mano al « rumor traeva. » I30 ('C'.º..... il topo che nelle sue branche era stato, riconosciuta la voce del « leone, trasse al suo rumore, e ricordandosi di tanta grazia....» Voi gar. di Esopo. a Maravigliando pur trassi a lei. » I)ittani. « Vide ontrare un topo per la fenestrella, che trasse all'odore. » Nov. V nt.« E la fama di questa opera di santa Marta s'incominciò a spandore e per tutte le contrade d'intorno, e per tutta la Giudea di questo modo a ch'ella teneva, sicchè tutti gl'infermi e poveri traevano a Betania, « e chi non poteva venire si faceva recare, e vi si riducevano come a « un porto. » Cavalca.  e Un piovºnº i grillorando a scacchi, vincendo il compagno, suona a a martello per mostrare a chi trae come ha dato scaccontato, o quan ti do gli ºrde la casa i lillllo Vi trae. » Sacchi,«... tutto quasi ad un fine tiravano assai crudele. » Bocc.  – Nota la questa frase: tirare ad un fine, per aver la mira ecc. Anche del vento del mare ecc. di cesi che tira, v. gr. violentissimamente a ll e beccio ». I3a 1 t.Per nº lì tornare a 1', dire le stesse cose, vi piaccia qui di por mente ad altre II1:ì il lere che si ill bllo: le e dell'ils. Tirare da uno e cioè sol Ili gliarlo); tirar via un lavoro, tirar giù un lavoro cioè non badare che a finirlo in fretta, anche st; pazza idol; tirar giù di una persona (dirne male se, za Ibla discrezione al III ndo,: tirare al peggiore: a Egli 1tlti io che ſi evin (i i lil I::lco tirava al peggiore ». Da V.; ecc.  « Ari ippò l'insegna e trasse:: - la il I grida 'I l... » I)av. “...... e scorrendo per le vie s'intoppano negli alimbasciatori, che udito « il l ril 1g (111 di (i e II, 1 lli, a llll traevano, e svillaneggianli...» I)a V «.... la vaghezza di ricolº oscere i gran personaggi, sicche in calca la « gelite - ll al trarre il vederli., (es. l ri. TI IRB.ARE –. Il cielo e lill!) io:i turbare. » Nov All. VERGOGNARE - SVERGOGNA IRE.... a qual cosa -oste no, per lui, li a sia il lo, temendo e vergognado ». 13ocr'.« Allor: il crav: lo tilt, svergrgnò ». I v. Esoi). Conf. Disonorare, svergognare – Prontuario).  V()I,(iERE - V () I, I AI? E. ()r volge, sign(l' In 1, l'ill decimo allllo, Ch'io a fili sommessº, al di-.  go ». I'et: Noto e 'n ulso anche og  gi(lì, ma chi pensa e vi sento Ina i 'a fol'Irla assoluta?) a Noril lan'lo III oltr a voiger pr. In queste ruote., I)ante. « Il tifone voltò e preso altra via, la burrasca subito rallentò...» VERBI RIFILESSIVI o con L'AFFisso, AvveC NAcri è superfluo, o NoN NE CESSARIO ALL'INTEGRITA DEL SENSO,  L' posto di quello le si è vedi o lestè. Egli è un colal vezzo de gli scrittori, oggi rarissimo e per pc o smesso, render reciproci alcuni verli: he (li la III l'a ll l solo.  I 'alliss, mi li, ci, si.: Il paglia verbo si rive il Ft il naciari, a come forse meglio lirebbesi, riflessivo, ha virli al l'a di concenl '::: l'azione nel si ggello, quasi come quella sperie di cerbo medio greco che i grai lilli alici dicono sul biellivo.  Nella Serie IV seguente ragioni: Isi di alcuni verbi, il cui soggellº non è agente, ma causa dell'azione d'allronde. E come altretta i mi parer ble da riguardare i pronominali di questa serie: pensarsi, sedersi. cominciarsi, entrarsi, morirsi, ecc. ecc. volendosi esprimere azione che il soggetto non solo fa, ma si fa fare: e però, per esempio, mi penso, voler dire: faccio me o a me pensare, o faccio sì che io penso: mi vede, chec chessia, mi entro, mi comincio, mi muoio V. g. di cordoglio, di crepa cuore, ecc. ecc., significare: faccio mie vedere, entrare, cominciare, morire. e, che è lo stesso, faccio si che io vegg, entro ecc. E quanti più altri co. strutti e modi, che misteri della lingua si appellano, ci verrebbero piani e ne sentiremino la ragione intrinseca e logica, l'original candore, se l' genio studiassimo e l'indole della lingua, la natura cioè dei verbi, l'ordine dell'azione, il vero, non storto valore delle frasi ecc.! Sturdiali i seguenti  esempi, e saprai come e con quanta grazia.  V V EIASI Sapete ormai che a far vi avete se la sua vita vi è cara.» lo c. AVVIS ARSI –..... la qual cosa veggendo, troppº s'avvisarono ciò che  « era e..... » IBO (('. e perchè... s'avvisò troppo bene con lo dovesse fare a... » Boer, « Ma io vi ricordo che ella e piu malagevole cosa a fare che voi per avvelt Ilvo lli v'avvisate. » l Bo.CAMPARSI - - « Appena si campano le dºnne con gli occhi adosso; che a farebbero sdlmenti a te gli anni e quasi rimandate?» I)av.  (()NTINI AI? SI e... liguarda ll do Emilia sembianti le fe”, che a grado li fossitº, che essa i coloro che detto a Veano, dicendo si continuasse». I3 cc. I) I BITARSI - « e saravvi, mi dubito, condannato in perpetuo. » Caro. EN'ITIRA IRSI «E grillingtºndo alla terra, in vendo l'entrata, senza uccision a vi S'entrarono o. Vill. a Ruperto vi s'entrò dentro. » Vill. l'SSERSI - «... e messosi la via tra piedi non ristette, si fu a casa di «lei ed entrato disse.... » B i.Sempiterne si son le mºzzate, le ferite, i vermi crudi, le stati ran. « golose ecc. ) I):) Vanz.“ In ogni parte dov le noi ci siamo, con eguali leggi siamo dalla a lla tll ril trattati. » Boi ('.“ Io mi sono stato, da echè..., il più del tempo a Frascati. » Caro. l'AIRSI - e Che monta a te quello che i grandissimi re si facciamo?» Boce. “ Divano º sta di non tener più conto di lui che si facessero cogli nl « tiri. » (esari.MORIRSI – « Finalmente, dopo due anni, fra le lupo si mori di vecchiaia».  Fioretti. «... e così morendosi in poco d'ora, mostrò quanto ciascun uomo sia « mal Infol InatO.....» SCglì.  NEGARSI – « E' il vero che l'amore, il quale io vi porto, è di tanti forzi « che io non so come io mi vi nieghi cosa. Tra luci: che io faccia al lile, « induca me a negare a voi cosa ecc., che voi vogliate che io faccia º  BOCC. PARTIRSI (v. Dividere – IProntuario, –... dell'isola non si parti ». I3ocr'. PENSARSI – (Conf. Pensare - IParte III,. – SoInigliantissimo il sich  denken dei tedeschi. – Pensarsi è una specie di pensiero, una fol'Inil  d'induzione, d'imaginazi lie, d'invenzi Ile. Nel pensarsi e sovellle ll il iImaginamento o supposizione non tutta conforme al vero; nel cre dersi è il silnile, Ina Ilon talnto. -- Solº parole del Tollll I laseo. Le Spa - lo per quel che valgono. Io dico che pensare viale formar giudizi, e pen sarsi, un imaginarsi pensando, un farsi o formarsi pellsieri relativa IIlente a checchessia.« Quale la vita loro in cattività si fosse ciascun sel può pensare ». BOCC.« La sera ripensandosi di quello che egli aveva fatto il dì... ». Fioretti «...mi disse Parole per le quali io mi pensai Che qual Voi siete tal « gente venisse ». I)ante.“ sappiellolo che nella casa, la quale era allato alla slla, a Veva « alcun giovane e bello e piacevole, si pensò (Traduci: si fece, si recò a pellsare, escºgitare) Se per lugio alcuno fosse nel Inllro...». Bocc. º...... e si pensò il buon uomo che ora era tempo d'andare.... ». Bocc. SPERARSI –- «... e sperandosi che di giorno in giorno tra il figliuolo e 'l « padre dovesse esser pace.... ». Bocc.USCIRSI – «....io vi voglio mostrar la via per la quale voi possiate « uscirvi di prigione ». Fier.« S'usci di casa costei e venne dove usavano gli altri Inerendaliti ».  TBocc. VERBI CAUSATIVI, cioè INTRANSITIVI o NEUTRI – siA si MPLICI, si A PASSIVI – I&I,CATI AID USO E FORZA TRANSITIVA.  Alcuni grammatici non la guardano tanto da presso e mettono in fascio liransitivi e intransitici, o transitivi di fallo e di apparenza soltanto, dando nome di attivi transitivi o di azione transitiva (imperfetta, come dicono essi) a certi verbi di lor natura neutri e però sempre intransitivaper Iliesto sol che loro risponde nell'oggetto in cui, per cui, su cui, od a ºi º è o si riferisce l'azione, non un caso obliquo, come vorrebbe il natura messo o rispello, ma, per certo lui il vezzo di lingua o tornio di frase, l'accusativo o caso rel.. - ll che avviene, vi i per elissi di I lº svela is o preposizione espri mente "in dell'azione, rispetto aila i stanza o termine cui si ri "sº, lº sºnº:. io h Fei io se stesso, e la sua donna comini  c'Io ct piange e. I 3 º li, o solº a se stesso...:.... cominciò º ſi correre il regno saccheggiando I; I. io è il dire pel regno:  ( Ma pure ingendo di non aver posto mente alle sue parole passeggiò º due o tre volte il giardino, sempre ril, inava (iozzi: « venivano il giorno cerli pescatori al lago di Ghiandaia per pescarlo ». Fier., º Tristo chi vi per cui rimando aliora le solita te libiche pianure '. Stroc  chi; e ci si dicesi: nº l'11tri il liti in se', nel I e le scale, il monte, ecc.: rotſionati e discorre e un jail!; liti ti un pº' irolo: andai e una riu. –... la via che ad andare abbiamo. I ce. passati e il fiume: passare ll no con il coltello dare ad una donna in uno stocco per inezze il pelo e passarla dall'altra parte I, centi si, desinarsi qualche ºsº, ecc. ecc., vuoi per rili li erla p i licelli, preposizione, o altro aderente al verbo con piani e ai per - con i re un paese: obe dire - ob - audire il padre, la madr: riandare un lavoro, la vita ecc. – (ili cominciò a spiana e quella grand'ella, qual gli pareva che fosse riandare l'ulta da capo la sua vita. I; il I., n. ll per reva azione di  rella che dal soggello agente Irapassi all'oggetto paziente. Ma lo è di verbi si illi e li vuolsi o li ragionare. Nella Serie II. allegai ai verbi al liri-pi o nominali che sulla penna a classici ci si pre sellli II l ' il lillili il neutri se in plici, la cui azione, cioè transitiva e ri Ilessi sul soggello li a emoli si rel: il lasitiva, non più emessa. lira il rimanente e inerente al soggello. Qui invece mi pongo alcuni altri neitli i di lor nallira. In alli al sl 1 il lei e altresì il cagionars, altronde della rispelliva azi si rie, si gg i è riori: hi la fa, ma a chi la la lare. Nolissimo, a cagi li d'esempio, il doppio uso del verbo Non ci re. l)i esi: la campana, l'isl 1 lu meri lo suona, lila allresì e bene: io suono, ed anche: io suono la campana, il cembalo ecc. Il primo è neutro in Iran silivo: l'azione del sil riare, ni: ridar lu ri suono, aderente al seg. gello, del sogg l sogge! I ci: il si rondo e il lerzo invece non è verbo che dica azione chi si s Io, il cli: i ar. vale: io laccio sonare io faccio sì che un isl 1 Imen lo renda silon Vl tried sino modo spiegasi il III zionare al livo dei verbi qui soll shie ali: e il di p. es. cessare chec  chessia torna a questo: fare che una cosa essi, linisca.  (*) I, a lingua tedesca è ricca pi assai che l' Italiana, francese ed inglese di tal maniera neutri intransitivi. Lasciando stare il gran vantaggio che ha di collegare a nodo di una sol voce qualsivoglia verbo con la rispettiva dipendente preposizione sia dell'oggetto diretto che indiretto o complemento, gran numero di verbi neutri (che, spogli di ogni affisso, reggono un caso obbliquo, o l'accusatlvo con preposizione, e però d'ordine e rispetto indiretto relativamente al loro corredo) trasforma ad altro rispetto e indole quasi transitiva attiva, premettendo ed affigen dovi la particella be, Es: den Rath be folgen (den Rath folgen): dem Herrn bedienen (dem IIerrn dienen; einen Freund beschenken; don Feind bedrohen; Etwas bezweifeln Etwas be sorgen; Jemand behelfen, beweisen, befallen, belasten ecc. ecc.Si che di alcuni anche il Vocabolario ne riconosce l'uso attivo, ma li pºne accanto tal altro verbo che risponde bensì al senso della cosa, ini non n è l'equivalente letterale e non ſi mostra come il suo valor ma lui l'ale, l'azione neutra resta lullaria, avveglia che dipendente e soggetta a chi la ſa fare. Dice p. es. che cessare, attivo, vale rimuovere, sospendere, sºlirſtrº ecc. e ne convengo quanto al senso, ma non quanto alla ra. gione intrinseca e letterale della parola, secondo la quale il cessare non è propriamente azion transitiva del soggetto che cessa, v. gr. un pericolo come sarebbe il dirsi rimuovere un pericolo ecc., ma egli è sempre azion leutra della cosa che cessa. Si è il pericolo che cessa, e il cessarlo non è, a rigor di frase, un rimuover!, che si Iacria, ma vale far sì che il pericolo, comunque non abbia più luogo. Il qual modo far fare, onde spiegasi la forza transitiva di cui è capace il verbo neutro, vuolsi applicato a qua lunque altro che comechessia il comporti.  NI3. – Si fa qui menzione di quei verbi soltanto il cui uso alliro - causaliro – il V Vegnachè ordinariamente assoluti o costruiti neutral mente – è virtù, è particolarità antica e classica. Di allri molli, dei quali una tal proprietà è tuttavia comune di generalmente nola, non accade or cuparcene. Nostro compito è richiamare a vita le smarrite o poco nole hellezze, proprietà, virtù e dovizie dell'avilo, italico idioma.  (*) Di tal fatta verbi è ricchissima fra tutte l'altre viventi) la lingua inglese. E per menzionartene alcuni eccoti: to fall (cadere e far cadere, to drop (cader giù, gocciolare e far cadere o gocciolare, to drink (ubriacarsi e far......), to fly (volare e far.....), to sink (calare, andar giù e far.....), to wave (ondeggiare e far.....), to fire, to well, to play, to please ecc. –. Nella lingua tedesca, invece, si è mercè di una piccola alterazione che il verbo di neutro si rende nel modo esposto attivo: Steigen (ascendere), steigern (far ascendere); folgen-folgern; nahen - nahern (e anche nahen cucire); sinken - se nicen; trinken – tranken, dringen - drāngen; schwanken - schwänken; erharten - erhärten; erkranken - krānken; fallen - fallen, stiche In - stechen; schwimmen - schwemmen; springen - sprengen; wiegen - wagen; einschlafen - einschläfern; liegen - legen; sitzen - setzen; stehen - stellen; rauchen - rauchern; abprallen - ab prelien; fliessen - flössen; schwallen - schwelten, lauten - làuten; (es laPomba so...., es wird gelePomba) ecc. ecc.  Io non so di niun grammatico o filologo il quale parlasse mai od accennasse a coteste verbali analogie, rispetti e relazioni etimologiche. E quanti, a cagion d'esempio – non esclusi Ollendorf, Filippi e Fornaciarl –, s'ingegnano per molte altre vie e a tutto lor potere, e per dichiarazioni e per esempi, di mostrare e far capace il lor discepolo dell'uso e valore, l'un dal l'altro assai diverso, di clascuno dei surri feriti verbi stellen, setzen, legen, quando una parola soltanto basterebbe e farebbe più assai; dicendo cloè che ll son verbi causitivi: stellen di stehen, setzen di sitzen, e legen di liegen.  S'io lavorassi o dettassi comunque una grammatica, distinguerei quattro gran classi di verbi:  I.a – Attivi transitivi – lo anno. L'azione transitiva è mia. II.a –. Attivi causativi. – lo guariseo alcuno, io risano, io suono, io cesso  ecc. – Mio l'atto causativo, ma non gli l'azione stessa del guarire ecc.  III.a – Meutri relativi. – Io corro (una via), io piango (alcuno) ecc. (Conf Il ragionato testè).IV.a – Meutri assoluti. – io vivo, io dormo, ecc. Il dire: vivere una vita.  tranquilla, dormire un sonno dolce, placido ecc. non toglie al vivere, al dormire la sua forza neutra assoluta, ma é sol modo elegante che torna nè più nè meno all'altro: vivere, dor mire placidamente, e pºrò altro non è l' accusativo che un verbale o simile spiegativo dell'a zione o qualità del soggetto, non già vero accusativo od oggetto paziente. “ Dormito hai, bella donna, un breve sonno., Petrarca.CESSARE – «...da troppo più erano in lorze, ma il Saverio ne cessò ogni pericolo ». Bari.«...e cominciò a sperare - e nza sia per clie, ed al quallo a cessare il desiderio (lell: l III olt. l 3o t.Così a dilnque, l la sua pr inta e si riazzevol risposta, Chichibio  cessò la mala ventura e la il 1 ossi col sito -... ». Bove. E se pure i liti e li rig. Vi volesse soprarſi lº  cessatelo con pazienza e sopp rti / i 'le..... l'a ll dollini. Eglino si l vera lo sotto i rii il l i s'1-s......it, livºr cessare  la neve e la notte e le sov l instil V a. l ore 11 i. Cristo pregò il lº; i dr. lle cessasse il calice le! l -- i il di lui ».  ( la Val. e l'el terna li slla voli e, lil cessossi e la lº tissi da FI l elize ». V ll I.: s cessarsi di q. c. 1 - lei tºls e, rilla nerselle. (:) | Astenersi lº l'a lt 1 l:ì i l. La terra fu cessata dai livelli lº stilt la c. l.  « l'el cessare i pesi d llllo si, it: i cl l - e gli stessi, con la Illiato ».  (es: ali. « Per cessare ogni vista di tiri, la gran le zza s. Cesari. CONVENIRE. - indi convenuto, le ini, e il dizi: io, che è participio non  del neutro, ma del call sativo ccn venire, e si n 1 l I a chi è fatto con venire o gli fu intimato di convenire« Questa (l'anima, dinanzi da sè, il Clti i lu lu parte del mondo, può a convenire chi le aggrada » (iitll.a Chi conviene altrui il giustizia di pi st Ilnolli ». (iiulo. « I)ilmalizi a gillsto gill di 1, i: i - o sia le convenuto ». Bo c. cioè siate stato chi: Irlat, (1:111 o vi è lll' '.CIRESCERE - « Questo luovo tono di vita, crebbe in lui lo studio della Virtuſ ». Cesari.E indi a poche linee torna a in ora la stessa frase:. Questa piena de « di alzi alle crebbe il lui lo stll dio della Virt il il segno... ». « E crebbono assai l: l 'ilt: i (li tºis: l... V Ill.E questo pellsiero la illlia Ino a va sì forte di l io: che lì lì si potrebbe a dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sulla vita passata, che con grande empito si sarebbe morta s'ella avesse ci eduto che piacesse più a I)io». Ca Valca. Il testo li rincrescevale, ma niuno degli intelli gellti dubitò mai ch'egli sia altrº tale che ricrescevale, il quale sta qui non in significato neutro, come nota qualche espositore, ma cau  sativo retto da pensiero, il quale non solo la innamorava ecc. ma adoperava ad accrescere vie più l'odio di sè e c. Noterai qui anche l'altro causativo: si sarebbe morta. E chi dubitarne se da quel che segue chiaro, a parisce che per lei sola si rimase che d'odio non morì? DERIVARE. - «.... cºme il giardino con fare il solco deriva l'acqua alle piante, così.... ». Segn.«....che può e deve per sè, senza ch'io e litri in queste vane dispute, « derivare (il folgern dei tedeschi) a tutti questi capi infiniti ed effica cissimi con forti ». Caro.FALLIRE – « Ma il barbaro amore questa promessa falli ». Rart. « Guarda in che li fidi ! Risposi: nel Signor che mai fallito Non ha « promessa a clli si fida in llli ». IPetr.« Onori avevano grandissimi e sfolgorantissimi; come altresì fallendo il loro voto, erano seppellite vive ». Cesari.Nola qui le frasi: fallire il colpo, alli, e la ria. Fallire neutro, vale: li tallº all'e, V Cnil lilello - le lire e - V el sagi li ''I raro, commellere fallo,  andare a vuolo - si leiler n: - la debolezza vostra per conto della « carlie è maggiore che non crediale, ed a passi folli la lena vi fallirà o. Cesari. – « Sentendosi il marchese agli sll'eli e pallendogli tutti i pal a lili da scioglierne..... (es. \ i rolli: il falli la speranza ». I liv. Ml. (Conſ. Dilello ecc. Pi ritira iFINIRE –– a Per cessare il pericolo o finir la vergogna dell'essere sl Iriale sullla bºcca dei suoi 1 ratelli.... ». Bart.  « Chiedeva lo riposo per interce e di non morire in quelle fatiche, a Ina finire, con il pi di viver, si duro soldo o l)av.« Finite i peccati.... Io vi prega v. 1 che finiste le oscenità dei teatri ». Ceskani.« III camera dell'ill fºr III o, (Ill: Indo peggiori, gli albarelli e le alilpolle « Inoltiplicano e l'apuzzano e lui aggravano e finiscono». l)av. – IPoni niente triplice rispe:to o ti e differenti maniere del verbo finire: a) - a... di sollecitarlo non finiva glanina i p. Bocc. – Finire di vivere O finire Selz'altro: a Mall vive il do 11 ll IIi erit:i Ilo di bell finire ). Passa V. b) - « Un lavoro di grande artista dagli altri si giudica terminato « quand'egli illon l'ha all ra finito a suo inodo ». Grassi,c) - Finire la vergogna, finire le oscenità, finire un infermo, come sopra. –- Nel primo modo è neutro, 11el secondo attivo tra lisitivo, nel terzo attivo ('allSativo.FUGGIRE – (Conf. Fuggire - Parte III. Chi avea cose rare o mercanzie « le fuggia in chiese e in luoghi religiosi si ll ' ». Vill.  MANCARE - « Questa asprezza delle grida era Imaggiore che dell'arme « per attrarre l'aiuto a quella parte di quei dentro, e mancarlo ov'era e l'agguato ». Vill.« Nè a lui basta l'avermi mancato la sua difensione e l'osserni il v - a cato, ch'egli rsi ride della Inia rovina ». Fiorenz« Mancare ad alcuno il proprio soccorso ». (iillb. A on f. ll - i vari di questo verbo - Parte III.  MONTAIRE a..... e così in poco d'ora si mutò la falla co fortuna ai Fio. « rentini, che in prima con falso viso di felicità li avea lusingati e « montati in tanta pompa e vittoria ». Vill.Anche i francosi dà mmo nl loro il rallsitivo monter va l'il'e altresì i rall - sitivo. I tedeschi mutano steigen in steigern, e gli inglesi to rise I'm to raise.  MORIRE – Nei preteriti) a Messere, fammi diritto di quegli che a torto « m'ha morto lo figliuolo ». Bocc.« Tutti gli altri, coll'arme in mano, uccidendo, l'illmo presso dell'altro a furono morti ». Bart.)lss 13 rullo plaliani e ite: Velestlla? l?ispose Caliandrillº: oimè si! ella  m'ha morto o lº i.  - - - - - e ln, il i gl I l va 1, l. (.li la lill Il lesti nostri Pontefici e Sa cerlot, º hanno morto questo Gesù Nazzareno, per cui... » Cavalca., Vedi un altrº º semplo dei Cava a s. ti o Crescere,.  Mista l'o di illma: la pel lidinº la super bla era il veleno che avea morto l'umana natura ». (es.Fu incarcerato ed a ghiado di coltello, morto ». Dav.  Avendovi morto la ſua 11 l o elito | I solle.... » l)a V. Fra l III olti isl lel verbi, morire le ultra linelli e il toreno: e Morire di alcuno e lº i loro esser:le l'i: la morato, morire v. gr. d, uno scoglio, di una spiaggia i fili: I l a tºrto e lº iallo el'a lln  sentiero s gli Imbo. (.li e in liesse il 1 l la n o della lacca Là ove piu. he a mezzo muore il lembo ». l)ante.l'ASS ARI. Conf. Passare - p.lli III. (i la Iri Irla i lioli fu qui ponte,  Il 1. lo si lui e passo slli li e spille Illit lillique... » e l'rego un ge:11: le li i portasse a a.ti a riva di un fiume. Quegli,, per natural cort sia, o per che pur gi a lesse dell'anima, volen e tieri il compla llli e passo llo ». Bart.I mi: rilla I e i soldat,, lire il v vien le lunghe navigaziºni passa vano il tempo e la noia giocando illrsieme alle carte ». Bart. - Passare il tempo, frase notissima e volgare, non vale adunque, rigo rosamente parlando, trascorrerlo zubringen) come comunemente si crede, Ina sì rimuoverlo, scacciarlo, farselo passare (sich die Zeit Ver tre ben, cioe parsa lo in senso causativo. Se così non fosse come il lig e vi: e la noia? I a noia non si trascorre, ma si rimuove di Zeit Ilind di I.: ll e W. Il vertreiben, non zul rilmgeilm), MI: il l?o, le o, moli e l'altri, con i fertili e la cla scudo al mio pensiero. ') po.. er detto che alla donna conviene talvolta di Inorrarsi in ma 'I: onla e gravi i 1:1, se questa la nuovi ragionamenti non è rimossa -:: - il l '::: il cli, degli innamorati il lilini i lorº avviene. Essi, se:I l il 1: Irri li vezza il I l ' - I ', gli i filigge, lì:almn Ino di, di illl:: 1:1 re a da passare quelle ». l 'r erni..I )i, he lo n vedi che codesto passare e il rimuovere sopra detto.  I 'I l? I)I.I E Tinete eum qui potest animi: In et corpus perdere in gehell ma li ig: tris, Vlath.: ' '|... Il cui numero la loi, scritto essendo completo, ed egli tolse  di I lil: do e lo ebbe perduto senza riparo » Cesari, Perdidit I)eus II emoria III: Iddio ha perduta, cioè distrutta, la nº e Ilioria dei sll per l'i ll Illini ». l'assia V.  (!) È ben altra cosa il dire perdere checchessia – cioè rimanerne privo – e dire: perdere uno, perderne l'avere, la riputazione ecc.  Quì perdere denota azione diretta di volontà che fa che altri si perda, rovini; quando nel primo modo è cosa che, indipendentemente dalla mente e volontà del soggetto, al soggetto co me clessia avviene.  A gli esperti del Breviario romano ricordo la bella discussione di S. Agostino intorno al doppio senso dell'espressione: perdet eam del noto eflato di G. C.: qui amat animam suam perdet eam, cioè o l'uno, o l'altro: colui che ama veramente la sua anima, perchè sia beata l'IOVERE - NEVICARE - TONARE – Sue beltà piovon fiammelle di e fuoco alimate d'uno spirito gentile ». Dante (Convito).a.... e però dico che la belta di quella piove fiammelle di fuoco ». Dante altrove Conv.)« Il Saturnino cielo, non che gli altri, pioveva amore il giorno che a e ili nacquero ». Filocolo.Sospira e suda all'opra di Vulca 'lo, IPer rinfrescar l'aspre saette il Giove, Il quale, tuona, rnevica, or piove ». Petr.Questo e i precedenti esempi in strano chi la o non esser certi verbi, che si chiami lo illip I somali, si rigi il sili, elle lilli che non siano slali Ialora adoperati - e lo si può ſulla via anche a maniera di al livi, sia retti solamente Vegge il la cagi li che il lato priore ». l)ante: Innanzi che la ballaglia si comincli - si porre una piccola acqua ». Vill. Pio rele, o Jian ne, e li o in lei il voraci le possessioni. Segn.  Quando il giali (ii ve lona Pell. e par el l e il libe che squarciata « lona, l anti, sia reggeri li ricorsi il II Il caso. Nè pol rassi perciò mai lidariri i re di errore il dire come elletri e le till illegali: le stelle pio rono in luenze: i nu voli pio con sassi, e c.  SOLAZZARE - Non avvali pe: ne, Irla di pipistrello era lor inodo, e e quelle solazzava, - che ti venti si trovean da ello ». Dante  TIR.ASTI I,I. ARE e \l trastullare i fanciulli ill el le;l p. 13ocr'.  VENIRE - - - E l' ste detta fu quasi tutta se la raſsi e venuta al niente  senza colpa dei nermi. I n. Vill.  nell'eternità, darà opera che sia perduta, eloè resa inerme, la farà perdere nel tempo: oppure: colui che ama la sua anima nel tempo la perderà nell'eterno.Quanto all'uso di perdere a maniera assoluta ti è forse noto, ma non ti verrà discaro un qualche esempio: «... Essere tutto della persona perduto e rattratto » Bocc. «... e mise il mare in così sformata tempesta che quattro dì e qnattro notti corsero per « duti a fortuna senz'altro inlglior governo che... » Bart.“ Guarda come ciascun membro se le rassomiglia ch'egli non ne perde nulla, Fler. Nota ancora gli usi: andar perduto di checchessia o dietro a chicchessia i perdersi d'animo; amare perdutamente ecc. ecc.CAPITOLO III.  Voci e rnaniere il noleclinabili  Non sarà certo alcuno, per ignaro e poco sperto in opera di lingua - il quale leggendo e studiando nel clasisci non s'avvegga che anche nel l'uso di certe voci o maniere indeclinabili - oltre a quelle che ad altro oggetto l'agiolai ed illustra i più sopra - consiste talora il vago e l'effica cia del discorso, e vi è molte volte diversità tra l'antico e il model'In.. Anche a queste forme vuolsi adunque por mente, e farne oggetto di | esame e di studio. Le dispongo a ordine di classi o serie sol per divisarne comunque la materia, non per logica ragione che me ne richiegga. Assapora, studia e sappi quando e con le usarne, discretamente cioè e con lo senno, sì che alla frase lorni garbo e naturalezza, non mai al fetta la e l'ill ('l'eso e vole ricercatezza.Ti verranno anche qui, come al rove, scontrati esempi già addot.i. Se il ripetere lalora annoia, in opera di forma al tutto didattica torna anzi - utile e grato, e vale qui più che in altre discipline il noto proverbio: Re petita iuvant.  SERI E I.  MIA NIERE A VVER BIALI o I o RM: IN C: EN FIRA I, E Albo PERATE FREQUENTE M ENTE I) A I (I, A Ssl ('I A I) Fs l' RIM l. 1: E l I, GI: A l M (N ) (E SU'PERLATIVO 1) I QU' ALITA, AzioNE, o Cosv Ql A LSI Asl.  Le quali tornano solo sopra alle volgari: immensamente: incompare: bilmente; inesprimibilmente, assoluta non le: onnina nºn lo nel modo mi. glio e, possibile ecc. ecc.  COMI E ME(il,I(); II, MIlGI.I () ('ll E.....; CI IE NIENTE MEGLIO; CIll: NUl.l.A  l'III'; ECC. ECC. - – - Spacciatamente si levò e, come il meglio seppe, si a vestì al bllio ». 13, c.« Senza liti, la cura e prestamente come si potè il meglio... » Boc. . - “..... riprese animo, e cominciò come il meglio seppe..... » Bocc.. “...... a dorni il meglio che sapevano m. Bart.“..... tutti pomposamente in armi dorate e in vestimenti i più ricchi  a e gai che per ciascun si possa ». Bart.AI,  « Voi l'avete colta che niente meglio». Cos. «.... con quella modestia che io potea la maggiore ». Fierenz. Inv. costr. con quella maggior modestia ch'io potea. )  - -  POSSIBILE; QUANTO PUO' ESSERE; AL TI "ITO; IN TUTTO; ECC. «.... purissinra l'aria ed asciutta e secca al possibile ». Bocc.« Vi terrò sermone di nel quale io sarò parco al possibile ». Cesari, º..... pregandolo di porgere, quanto per lui si potesse, alcuni subitº, « ed efficace l'ilno (lio ». Balt. e Luigi ne fu lieto quanto potea essere, ma..... » Ces. « E però al tutto è da levarsi di qui ». Bocc. « () che il prete fosse al tutto ignorante, che non si pesse discernere i peccati. o fare l'assoluzione..... » Passav.a Fortezza al tutto illespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio « () (li fa II le o. B:ì rt.« Si pose in cuore e determinò al tutto di visitarlo personalmente ». Fi, retti.a Malvagia femmina. io so ciò che tu gli dicesti, e convien del tutto l'io sappia...... » Boce.  “..... non ha bisogno delle 11 i lodi ſi è cll'io l'a lti le lodi slle e e però Inc le taccio in tutto ». i l IIll).  PIU' CHE ALTRA COSA; QUANTO NII N ALTIA(); ecc. « Assai più che  a altra femmina dolente, a casa se ne tornò ». I3o. e Lo scolare più che altro uomo lieto, al tempo impostogli andò alla a casa della donna.... » Boc ('.  “..... il che voi, meglio che altro uomo ch'io vidi mai, sapete fare con a Vostro sºllino e col V (Stre ll (Vello ». I30 ('.a Vergine madre, figlia del tuo Figlio, l'Ilile ed alta più che crea a tura, Te: Irlino fisso d'eterni i collisiglio.... » I)allte.«.... d'altezza d'allirno e di sottili avvedimenti quanto niun'altra dalla « I):ltº Ira dotata ». Bocc.« Più tosto si richiede onostà e modestia, la quale fu in lei quanto a in alcuna altra ». IPandolf.a... la rendi (Malacca j, collo industrie della sua carita e coll la virtù e dei miracoli, illustre quanto mi un'altra ». Bart.  PER COS.A I)EI, MONI)(); C()I, AI, MIA (i (i I()R... l)EI, MONI)(); II, ME  GI,IO IDEL MONDO: PUNTO DEL MONI)(); SENZA.... AI, MONI)(); ecc. – a.... e quantulinque in contrario avesse della vita di lei udito, per a cosa del mondo nol volea credere ». lºoc ('. --- (Simile la fraso del l'uso: per tutto l'oro del mondo – nicht um die ganze Welt) « Alla maggior fatica del mondo rotta la calca, là pervennero dove... » Bo(('.« Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, così rabbuf a fat () o mal concio d'Olm l' orº ». Fior.a Io gli ho ragionato di voi, e vuol vi il meglio del mondo ». Rocc.« Punto del mondo iron potea posare ne di, nè notte ». Bocc. « Ne la Inella Vano senza una fatica al mondo ». Fiel'enz.  A CHIEI)ERIE \ I, IN(il \: \I. I)I SC) I PR A: (() MIE I)I() VEI, I)ICA:....E'  I N.A FAV ()I..A \ I)IIXE; Sl: NZ A VIISI IN A: ec....... ed a chiedere « a lingua sapeva onorare cui nell'alimo gli capeva che il valesse ». l30 cc.  « Il popolazzi,.. asso, st L. e ti emend al di sopra, ridicolo, impau e rito ». I ): v.... un catarro che li accolla io questi gi il 'ni come Dio vel dica». Caro. «.... colle l'a II lilli, fierall 'i! te è una favola a dire. Flereinz. « La giovane, la quale senza misura della partita di Martuccio era stata dolente, ti derido illi e il li:iltri. sser. In rto, lungamente  pialise ». Doce.  AVVERBI I) I TEMl PO Ass v I I REQUEN I I VI po I (I. AssicI E D AI MoloERNI RARE VOI,TE EI) AN('l I E S (' ) N V ENI ENTF VI l.N l'F, A l)() l'ERATI.  Solº, e ben si vel. io il amezzi e talora anche vºi per sè insignIl lill. I l l sentire e del pensare rivelano assa i volle, chi li Is I l s, che di gentil e di fino. Ad intendere a che li gli oli | lesl Iraniere avverbiali siano cosa da non dove si l rais li tre pas e il por nelle alla sconve nienza di allre voci che venissero sul gale, per quanto equivalenti c  (lell'lls.  I, A I PI? I VI \ (.()S \ \loid 'il: 1 o, e st. In tla prima cosa che faceva, clle dI va, che li l' I, le ill e I e I blie i. (olf. Al llla si Sel ie. I - il I l I so: volte, i vi si va via, la prima cosa a visit to il corpo di l l lo so S. Z:lolo º lº i:li. (n'egli era  a levati, la prima cosa spendº via il rile, i ora zione mentale. » l3: l 't. (o s.VI.I. \ l'IRI MI V di primo in alto il prima giunti (.lle lisogli a sciolla Il 1 Se la l - i lrn 1. ll il I alla prima acconsentono º, l):n V (in tilt to li alla prima ti sti lou, i l:t lizione... o V ill I ) \ Iº lº I M.A... Illando l'alto livlio Vl sse da prima quelle cose a bello. » I ): l.llto.« Lasso che male accorto lui da prima ! » l'elr. Parla dei primi istanti dell'amor sul.)IN PRIMA – « In prima si commette in occulto, poi l'uomo accieca in « tanto che pecca manifestamente ». Caval. « Io voglio in prima andare a Roma ». Bocc.  DI PRESENTE subitamente incontamente).  Matteo Villani elle questa forma di di e continuo alla penna, e per quanto a me ne paia, non mai usata a significare il ro che su bila mente: nel qual senso la rove ete nel primo libro della sua Cronica delle vol, allilelio cinquanta. I3artoli. Ma non inferire la ciò che sia inal Isa! anche il senso di: al presente. L'ha il Caro, il Lasca, il Segneri e noi,  altri: « Ma forse che di presente non v'è l'Ics Iso? Segn  di presente e gli cadde li Iurore ». I3ore. a... tutte le Imadri che avessero fºr ll illlli ferirli gli o tav: l'1, l. detto monastero e la badessa li piglia va e pi Vagli llel mezzo del a chiesa...., e di presente erano saniati d'ogni info, Irlita., Cav.... e poi le fece il segno della Santa Croce nella sua fronte. All ra « il demonio incominciò di presente a gridare e... » (a V.Se l'andò di presente alla madre e contolle tutta l'ambasciatº. » Nov. Ant. Le illimicizie. In riali trascono di presente. » (ia la teo. a \ppena avvisato da lui questo peso l'intrepidimento, di presente º so ne riscosso ». CesI)I TIRATTO – a...il domandò se..., ed egli di tratto rispo- di si. (-. I) \ INI)I INNANZI – « E da indi innanzi si guardò di Inai piti.. » I3o:. a Chianrossi da indi innanzi non più... Ila.... » (iia lill).l'EIR INNANZI – «....o tennero per innanzi Messer Betto sottile ed iniel: a dellte cavaliere. » Boicº a...o fatene per innanzi vºstro piacere. » Rocc. I).A ORA INNANZI - «...da ora innanzi spenderemo la nostra diligenza « in cose... » Bart.  « In fede buona, discio, io voglio da ora innanzi credere come il re, e cioè in nulla ». Da V.– Così dicessi: da oggi a 20, 30....dì: Mi seguiterai da oggi a venti di º. Vit. S. Girol.DA QUELL'ORA INNANZI –. E da quell'ora innanzi gli pºrtò sempre « onore e river olza. » Fioret.  I) I MOLTI MESI INNANZI....... con le collli cl) o l or Ill ort, l':n ve: i rii a molti mesi inmanzi. » Rocc.DA QUINDI ADDIETRO. A te, corpo mio, sia pena e vergog vi e  « confusione la tua mala vita che ti hai fatta da quindi addietro, se a tu ci vivessi conto migliaia d'anni. » Cav.  DI POCO Inolfo) TEMPO VV VNTI... Di poco tempo avanti a marito a vomiltºn lº..... » IBoc ('.  DA POI IN QI A CIIE.... - - « Da poi in qua ch'io servo a stia Vltezza a non ebbi mai motivo di querelarmi. »  POI AD UN GRAN TEMPO per buona pozza di poi -, senza che  a poi ad un gran tempo non poteva mai andare per via che... » Fioret.- IPOS(.I.A A NON MIOLTO): IP()SCIA \ I) l E, TRE... ANNI. –....benchè il « perfido, che convertito non dalla verita, lira dall'interesse, si era illdotto non ti d essere, lila a filigersi cristiano, poscia a non molto apostasse. » I3 irt.A lui al che si deve la conversione cleposcia a due anni si ſè di... e d'InCli: sllo forlin. o I 3: i rt.l'OI. – v. Poi in significato di poichè, congiunzione, Serio 5.) « tue giorni poi lo i lidir no rel: ma la detti (iialma. » I)a V.a Le mie scritture e dei miei passati allora e poi le tenni occulte, e  e l'inchillse, le quali non chi e la potesse leggere, nè anche vedere ». IPalld()|f.DI POI, I).AIPPOI postea, la liber. dal au I e - Il giorno di poi  a che Curiazio Materno lo sse il suo Cat ne... » I)av. Fecesi questo primo ufficio a mano e di poi se ne fù borsa. » Cron.  M () l'(ºll.  - S'arrende Cappiali, si lv ro a dappoi la rocca, -aivo - a l'avel e o V Ill.  l) A IPOI CI IE...: POI CIIE.. posi ea quan Ne furono assai allegri, « da poi che l'ebbe il signor Tav rit.  a E molti enºni, quasi me razionali, poi che pasciuti erano be; le e il giorno, la molte alle lor, a se, senza al il correggimento di pa store, si tornav: lo satolli. I3 ).  r. « Quale i fioretti dal lot il no gelo, li lati e chiusi, poi che il sol r e l'imbianca si drizzi in tu! ti: pe: ti il loro stel.. » l)a nte.  - Poi che innalzai un co pit 'e riglia vidi il maestro di color che saillmo se dor tra la fil sofi a larniglia o l)ante.  IN QUEI, TANTO in quel frattempo i 17 w is henº « Quando -: ti o  a un colore e quando sotto un'altrº allungava sempre la cosa, e secre  e tamente in quel tanto attendeva a In tte, si in I tinto., (iiaml). I F. I I I V () I TIC: \SS \ I I) ELI E V () I 'TE. Non a quella chiesa che.... a ma alla più vi in: le più volte il portavano. Doce..... ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo riguardo ». Cos. I N MIFIDESIMO. - Gelò in un medesimo per timore e avampò per a rabbia ». I3art.  IN  (*) Nota uso altro del comune d'oggidi. « Da poi o di poi, scrive il Bartoli, sono avverbi  | - « di tempo come il poste a dei lattni: non così dopo, che è preposizione e vale post, nè riceve « dopo sè la particella che, come i due primi. Perciò i professori di questa lingua condannano « chi stravolta e confonde l'uso di queste voci facendo valere l'avverbio per preposizione, e « questa per quello che è quando si dice: da poi desinare, o dopo che avrò destinato; da poi  « la colonna, da poi mille anni, dovendosi dire dopo desinare, da poi che avrò desinato, - « dopo la colonna, dopo mille anni..... Due testi son prodotti da un osservatore in prova di  « quello ch'egli credette che in essi la particella dopo abbia forza d'avverbio di tempo: ma, « o 1o mal veggio, o egli in ciò non vide bene, però che poco dopo e picciolo spazio dopo, « che leggiam nel Filocolo (e ve ne ha d'altre opere esempi in moltitudine) sono altrettanto che « dire dopo poco e dopo picciolo spazio: nè perciò che dopo si posponga per leggiadria « perde il proprio suo essere di preposizione, cambiando natura solo perciò che muta luogo. » (Torto e diritto),TUTTO A UN TEMPO. –- Si vide egli una volta venire innanzi quel  « figliuolo scialaquatore che tutto a un tempo illil izzito di freddo e e smunto di farne, a gr. ll fatica poi i più reggere lo spirito lli sulle a labbra ». Segn.AI) I NA; AI) (N () R V. - I. - lio, e il riº lite illl collo ad una le l gi che e l'azioliali. (iiillo.E fatto questo al padre - i ti e, con i ti o dino li avere ad un'ora a cio che in sei mesi gi loves - e dal re ». I3 cc.a Tu puoi quali lo ti vogli ad un'ora piacere a Dio ed al tuo signore ». l3a) (.FII ad un'ora l: ti inta II: i r; V Igli, e il ti: i ta a rieg l'ezza solº l'appli -, ch, a pena sapeva che ſi rs dovesse Bar!.a S'io avessi mille cuori in corpo, credo, tutti scoppierebbero a e un'ora ». (a vill.....e lo slle - rel. l: elie l l' il, clli ' lei i 'o che ella fosse spira 1:1, a un'ora piangevano i figlill lo e la IIIa - dl e o. (..i Val.AI) () IR.A: A TEVI IP() ZIl re e lit, Zeit, frilli - e il '..... il III la ll (lſ) ll ll (le' suoi quanto al ra i vos- li Illi.: I 'a via e se ad ora giunger e potesse d'elitro rvi. l?oce.Io so grado alla ſor. I: I: pi oi, la III: ll ad ora vi colse In a cammino che bis 2: o vi Ill di ve la mia piccola ci sa. Bocc.. – Quell'ad ora, se il il ring oliato al (.: p. Locuzioni e lillich e, pilò al 11 le sigllifici:'e': in u il trio mi cºn lo ſtile - e i l Zeit Ve! llia! 1 llissell.ALI,()R \, CI IE.... - MIo -s. (r, l il all ora che - guardali do voi egli crederebbe º li voi sapete l'in - ll - ci, Bocc. - - Allora che e il coin: sto li ai l'ora che, cioe a quell'olti nella quale. Vu, i vederlo? «.... cominciò a rilere e disse: (iiot ſo a che ora, verº e il di qua allo 'n oltr i di noi in fo: - ti re, che mai voluto moll t'avesse, credi ti cºllo e gli ori (le -se che tu fo: - i il ln igli r di « pi:itore del miº endo, con le ti - \ clii (iioti o prestamen! e rispose: a Messore, e ved, i cllo e: i il ''t l 'oblio allora che......., col Ile sopri). AI.I,()R \ \ I, I.() R.... E allora allora ve: i cori in 1 il to a venire ill a torno alle gote il poco di lanuggine ». Fierenz. « Se la Irla il giò allora allora in sl1: pro - ilza ». Fiºr liz. «.... fil percosso da un accidente di filºiosissima gocciola, la quale allora allora i 'a in atto di sopraffarlo e co- Il lorº ndosi... ». Segn. CIII E' CHIE E'. a... fatti ch'è ch'è solº l'1 t.. ri o. I ):) v.  CIIE..., CIIE parte.... parte () e - o re: ni) che re dei rom inni e che a imperatore ». Dav.QI ANDO..., QI VNI)(). Quando sotto lº col re prº testo e quando  a sotto il li filtro.... ». I3: i rt « Quando a piè, quando a cavallo, º eco il che il destrº gli vi lliva ». T30C ('.l'N POCO.... I N AI.TIRO (un po o orn, il poco di noi - Intanto ecco a (Illi, cianº i l un poco e ci:n nci i un altro..... noi siamo a.. ». Cos. I)I CORTO, DI POCO. I)I FIRESC() (id), l di corto si attºri il tv l e a quindi a mezzo anno seguì. I3art.« I più furono dei grandi, che di nuovo eran stati rubelli, rimessi in a Firenze di poco ». Vill.a....mercecchè questo era timore di uno che aveva di poco cominciato « a peccare ». Segn.a... forma generica di teli fare che sul l usa l'e il demonio a riguada a gnarsi quei che l'ha di fresco lasciato per darsi a 1)io ». Segn. A (i IRANI)E ()IR.A. -. Va, figli la mira, e clla Ina queste mie suore, che a ti aiutillo, e fatelo buono assai l'unguento e domattina il lande ete a a grande ora, si colme tll la i detl () ». (a V.Si parla dell'unguento col quale la Maddalena di ve:a ungere il corpo del Maestro suo nel. ionumento. E adunque fuori di dubbio (le la frase a grande ora è altretta le cli a buon'ora. Ma il valoroso Cesari nota questo modo nei dia gli di S. (i regol io, e gli pare clie signi! Ichi anzi l'opposto, cioe' tardi, ad ora avanzata.I PRIMI A (III: A (i I? AN VI \ I I IN() -... ll e il colpagno prima che a a gran mattino, chiamandolo e scotendo o per farlo lisen Ire del sonno, se º le avviole». I 3:art.A I, I NOi (), V IP () (.() A NI) \ I I: I ) () l ' () I, I N (, () V Nl) \ IRI.. A V Vlsa: l.losi o cle a lungo andare o per lorº o per il litore le converrebbe venire a dovere i piaceri di Pericoli fare, con altezza d'animo seco pro  pose.... ». I3 cc. e.... (ºd In questo con 1 il tar lì, ll la lollo la pezza a vanti e le perso la se ne avvedesse l'ul e a lungo andare, essendo un giorno il Zeppa il casa, Spinelloccio venne a chiamarlo ». Borc.  Così si dilra fatica a difenderlo, ma spero che a lungo andare la verità verra pur sopra. Caro.« Chi si vergogna di apparire malvagio è facile a lungo andare che all ora si vergoglli di essere tale o. Segl).  I)ev'egli telider sull'uditorio le masse deila divina parola, senza restarsi per stanchezza di lati, che a lungo andare gli succeda, o sºlldol' di fronte.... ». Segn.e Dopo lungo andare, vincendo le naturali opportunità il mio piacere, soavemente m'a (ld l'Inel tai o, Borº.  Si dostò il silo mal illnore, e che a poco andare livelltò l'ov (ºllo, fl'e  lesia, rabbia ». Giuberti.  Non so però di millm altro scrittore e li ll sasse mai il modo a poco andare il luogo dell'altrº, a non lungo andare. V me pare di sentire nell'a lungo andare dei citati esempi non tanto il significato di dopo lungo tempo, quanto quello di continuando su quel tenore, andando avanti cosi, il quale significato mal si cercherebbe nel modo: a poco andare.IPrima di passare ad altro ti piaccia, o luon lettore, notare di questo andare un altro uso avverbiale bollissimo ad andare d'alcuno, e si gnifica: conforme alla durata del tempo che impiega quel tale a fare un determinato cammino a l)icosi che, ad andare di corrieri, sono  sel e ovvero otto giornate; ma elli vi peliaro ad andare più di due  mesi ». Mold. Vit G. C.  NON MOLTO STANTE; POCO STANTE. perchè..... non molto stante partorì un bel figliuolo maschio ». Bocc.“ E il buon pastore vegliava sopra le pecore sue; e io nni stava allora “ presso a lui e piangeva di cuore, imperocchè io vedeva bene a che partito e ci conveniva venire. E poco stante e disse... ». Cav. “... dissº; e poco stante - e ne vide il buon esito ». Bart.IN POCO ID OR A -- E cosi in poco d'ora si mutò la fallace fortuna ». Vill..... quandº le si coinil: i) a cambiare il sereno in torbido e 'l vento I'l'ospel'evole in coli'; il rio e si font, che in poco d'ora ruppe un'or ribile tempesta. Barte così i lorendosi in poco d'ora, irrostrò quanto ciascun uo, lo sia sempre Inal in Ioriato, di ciò che passi nell'intimo di se stesso ». Segn.  SEMPRE (il E., 2 ni, olta ch....: per tutto il tempo che...; - so. It als...:  so l' Ilge:ils.. sempre che p -so gli veniva, quanto poteri “ll In: i fo: zii li i vesse, la lont: in: va ». I 30 ....ti fa l'ſ, con il iº lira? I ra che tu io da uno li ricorderai. Sempre che l Il 'I viverili. (I e Il III lili,, lº e  - Add II e le forme avverbiali, bisognerebbe compi l'opera e porre Iri al mi allri modi di In li e costruire il to italiano, dai quali ap prendere le lo Izi li varie ri la livinnelli e il tempi, e corre cioè accell li: l' e il I e II limiti e il quando di un fallo, e con le esprimere la durata di checchessia. I cori e lo spazio di lempo decorso. o la decorrere da un prelisso le minº, e come gli aggiunti, le circostanze per rispello al pre semle, al passato e al ſul tiro, ecc. e c. Ma questo lo vedrai nel Prontuario s: II, la parola Tempo.  AVVERBI I I Morbo A: UII A Ioi A, oi: v. SEMPLICE E e RA AR ricolATA (*)  A I3U ()N.A FEI)E (red 1. ll Il lllll III a buona fede llo la Cagioli della a ai 1 l' - Il I la lorº ita. ll I)1, ». (.a V.  Di buona fede, con bucna fede in buona fede solo i nodi, loli si lo dl f.  ſei eliti dall' Ilegato, ma anche diversi fra di loro: Semplice uomo e di buona fede o V ill. Il pr, ritente ritrovisi in buona fede »  a 'I'utti gli il milli del boilo enti lorº porta i con buona fede ci è con le alta o. 'I Irl.  A ſ;I ()NA EQI ITA' -. il suº - gliore si ptio a buona equità lo le: (o ri lilllari cari l ' s ll lo » lºt),Sill','': a buon diritto li lil I l di ragione; a Sotto  nome di Ghibellino occupa questo patrimonio, che di ragione s'a spetta il Guelfo ». Salv.  (*) Conf. Particella A, Cep. I v.A ROTTA –... In zzando in un tratto il bel discorso di suo fratello, e si parti a rotta ». Fier. cioe pieno di mal talento, stizzito,tutto veleno ecc).In tal guisa scrivendo a rotta se ne compilerebbero i grossi volumi.  (es. Simili le frasi scrivere in borra, borrevolmente --- abboracciare un libro. I)av - Caro - Gillb. A I) ()V EIRE - (osa fatta a dovere overnarsi a dovere » A FII) \NZA - Non ti maraviglia e se lo te dimesticamente ed a fidanza a rielli e del do o. IBoc.A FI RORE: A FURIA - Quando il rumore contro il re si levò nella  terra, il popolo a furore corse alla prigione a Bari. e Temevano gli uomni li lt il:giurio ed esso (i ('. lº sostoli ho gran dissime essendo dannato così ingiustamente (a furore di popolo ». Cav. ci è abband intito, dato in preda... ) a Carlo v'andò coll'esſere to, a furia ». l, l'll i. A SI º V VIENI ()... prende questo servo e quello per lo braccio: Te, ficcal qui. Fuggono a spavento, di lino nel luine: rimas() al blli ggiIrlai della morte, con due colpi si sventra ». Da V.A (.() I 'SO I. \ NCI VI'().... volmita le sue bestemmie in una foga di ben nove versi a corso lanciato, senza il fiatar di mezzo ». Ces. \ SI, A SCI (): \ I 'I V ((A (() I.I,() Cori ele, precipitarsi a slascio, a fiacca collo v. Correre, IProntuario).e due schiere di lenici a fiaccacollo, della selva nel piano e del a piano nella selva si fuggirono in intro a Dav.E gia so: i gialliti dove il fossi on firma l'resso alla terra, e la fin tanto forte. Ognilli a fiaccacollo VI ruina: Chè 'l ponte è alzato e si in chiuse le porte ». Bern.A SGORGO; A RIBOCCO.... fonti... le quali doccia no a sgorgo per dar a bere e saziare a ribocco i slloi V ml: nfi di Villo dolce ». Medit. del | Vlb. (lollº (l' ) ((º  A (IR AN I 'IN A a.... ll'el a tanta la grande gol to che vi veniva, che a a gran pena vi capeva » Cav.A ((i RAN) E ATIC V.... (con le luci tanto confitte dentro di quelli  e occhi) che a fatica vi si vedevano ». (iiamb. a I)i cento mila, a gran fatica un solo ». Segn. Traduce il noto effato di S. (ii l'olio in co: Vix (lo con tull) l Il till I lolls lllllls ». )a Quel figliuolo scialacquatore che tutto a un tempo intirizzito di freddo e smunto di fame a gran fatica potea più reggere lo spirito in e sulle labbra ». Segn.a Quella povera vedova, la quale vi avea a gran fatica riposti due soli piccoli... » Segm. duo minuta). ... a fatica poterono le insegne campare dalle folate del vento ». Dav. ()ttone, contro alla dignità dello imperio, si rizzò in sul letto e con e preghi e lagrime gli raffronò a fatica ». Dav.« A fatica, risposi io, gli ha potuti per un grosso nuovo cacciar di a mail a un pescatore ». Fir. As.  \ MAI O STENTO a mala pena) -.... e a malo stento si tonno ch'ella nol a fe (o o. Iº nt ('.A GRANDE AGIO -- a... tanto che a grande agio vi potea metter la mano  « e il braccio ». Bocc.  A TORTO – « Messer, fa IIIIII diritto, di quegli che a torto In'ha morto  a lo figliuolo ». I30cc. .A NI IN PARTITO; A NI UN IP. \ I Tt ) egli a niun partito s'indl Isse a coin  a piacermelo ». Dart. (Conf. Partito, parte III. « E certaIllelìte se ciò non fosse, il clitori, li li credo i già che Irli sarei « contentato a patto veruno (li comparire stamane su questo pulpito ». Segn.– Keilles Wegs, un keine il Preis. - Simile l'altro avverbio dell'uso e classico: per niun verso, per niente, v. Serie seguente).  A CREDENZA (senza proposito, non serialmente e daddovero) –. E'  a debbono essere da sei o sette anni che un brigante di quei lilli ha a tolto a litigar III eco a credienza e Vieille alla volta lnia ard Itamente ». Car().« Sicchè lion (1 edo far I)io bravate a credenza quandº i lºg 'i a fferma a che repentina succedera la morte ai mormoratori ». Segn.  A BALl).ANZA -- a...e questi a baldanza del Signore si il batteo villana  III e ille.... » Bo(:('. – « Che a dirlo latilio, soggiunge il Cesari, non si direbbe più breve di a questo: I) Inini patrocini fretllesi.  A MAN SALVA senza tiri re di punizione o vendetta ecc.; impunemente)  a....e quello con tutta la ciurma ebbero a man salva ). I3oce « Senza che al ll no, o marinaio o altri se l'acci orgesse, una galea di corsari sopra venne, la quale tutti a man salva gli prese ed andò a Via ». RO(('.« E perchè tante diligenze? non potea egli averlo a man salva ovun a que volesse? » Segn. (parla del fratricidio di Caino).  A MIA POSTA; A TI"A, A SI' A POSTA; ecc. – Somiglia all'altro mento  vato sotto A, Cap. IV: a suo senno; e significa gosì in disgrosso: con for Ine all'ordino posto, secºndo aggrada ecc.« Io non posso far caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti». BOCC.«.... mi disse che tu avevi (Illinci una vignetta che tu tenevi a tua posta ).a... Ma quell'altro magnanimo, a cui posta Restato In'era, non mutò aspetto ». Dante al cui ordine). Lascia pur dire il mondo a sua posta » Caro. aspettava solza mandarsi a lui dinunziando od entrare a sua posta, come avrebbe potuto ». Ces.... del resto se volesse andarsene, facesse pure a sua posta ». Ces. Il tempo è cosa nostra..., e a nostra posta sarà d'altrui, e quando Vorremo ritornerà nostra ». IPandolf. Farassi, disse Malerno, altra volta a tua posta ». Dav. Non si doe a posta d'alcuni milensi levare a mariti le loro consorti de beni e del mali, e lasciare questo fra le sesso scompagnato in preda alle vanità sue e alle voglie aliene ». Dav.«... ma lascia dire e tien gli orecchi chiusi, Non ti piccar di ciò, sta pure al quia; Gracchi a sua posta, tu non le dar bere ». Malm.  (r  (l\  A  \  \  A .A  V  - Oltre agli altri significati della V o posta, olre i son noti o del l'uso, nota anche quello di agguato, e però la frase: stare in posta. – Si pºsero il cuore di trovare quest'agnolo e di sapere se egli sa pesse Volare: e piu notti stettero in posta ». Doce.  MIIC), A SI () AVVISO zza e chiarita, che a suo º avviso a Vanzi va per sette a rili la bellezza del sole ». Cav. (il II).A – Vennono i Magi a guida della stella, V it. SS. PP.  "... (Illi, l'alt alllll III e lo gliti li l'Israel a guida della colonna ». Vit. SS IPI.  SECOND A - Venendº giù a seconda di l iilline eri in un grosso al e bero attraversato il l leti o le! ! util, a (-1)ITO: A MISNAI) ITO per i pp, li o Illiile ()Inbre Ilio e St l'OI Il Ill I e il Il l a dito... I l liteINDOTTA - Scrive e in a indotta di un qualche amico ». Giub. TENI () NE; A RILEN l'() co. l l:: Fal e clle clessi:i,  opei a re, lavorare a tentone; il nºda, procedere a rilento. SI PI? () lº() SI 'I'() - Fra - della era te a sproposito, gramma t (a 1 rbitraria..., Mla lizl3 Al RI)()SS(): \ BISI) ()SS() I.el l. Ville a cavallo senza sella e guarni Il lent: fig. alla peggio, alla buona, alla carlona.“... titlito è Irleglio, il dicit re lº tºga rozza e a bardosso che in cotta  las Iva da Irie reti I ce.. l): V...... tilt. I3rotier.... E ogni liofil Ill se le scolla, Veggendogli una cupola a bisdos « So )). Bll roll.I II)()SS() Non un sol l'eroerin º ome in l'annonia, nè soldati veg º gentisi pit | rti seri ti a ridosso, ma molti a viso aperto alzavan « le Voci ». l)a V.Ridosso, sost. vale: renaio lasciato il secco dalle acque. –- Cavalcare a ridosso è lo stesso che cavalcare a bisdosso.RANI) A \ RANDA (appresso, rasente, ed anche a mala pena, per l'ap punto). Dal tedesco Rand margine, orlo, estremità....«... A randa a randa, cioè risente rasente la rena, coiè tanto at costo a e tanto rasente che non si poteva andar più là un minino che, a IBl1t.  « Quivi fermammo i piedi a randa a randa ». l)ante. «...era apparita l'alba a randa a randa ». Morg. «...e poi gli mise in bocca l'na gocciola d'acqua a randa a randa » Segr. Fior. IBACIO (al rozzo, all'uggia º contrario di: a solatio. « I susini simiani nelle orti, lungo i muri, a bacio fanno bene. Dav. (.()NTR VILI,l ME (che ll ) m l'i(ove il llllll (º il dirittll l':ì \ Qlla dro a con trallume – faro che li ossi:ì a contrallume.  SPRAZZO (sparso di mil utissime macchie l'anºni a sprazzo, lavorati a sprazzo.SEST'A misuratamente, precisamente, per l'appunto) -- I)a sesta, com  passo. Nota il modo: colle seste. Parlare celle seste, cioè parlare cal colato, misurato, compassato.  «...e menandogli un gran colpo che passò a sesta per la commettitura « dell'osso, gli spiccammo il braccio » Bocc.A SCHIANCIO – Da schiancire – schrag treffen, schief Schlagen. « Tagliandolo a schiancio in giu dall'urna parte, salvo il Imidollo... » Pallad. Fobbr.« Le sue pertiche del salcio, si ricidano rotondamente, o almeno li n « molto a schiancio ». Cl.A SGHEMBO: A SGIIIMBESCI() / di traverso, obliquamente, – «Sull'elirio a sgembo giunse il colpo crudo. Bern. Orl. «...campi divisati Per piano, a pl Imbo, a sghembo ». Bllº lì. Fier. « Capito al pizzicagnol, chieggo un pezzo di salsiciotto, ed ei Inel ta grlia a sghembo ». Buon. Fiei'. «... Se non che a sghembo la lancia lo prese ». Morg. « Pare ogni palco appunto un cataletti IRestato, come dire, in Iºlel a Galestro. Che la natura fece per l'Ispetto, Ed ogni tetto a sghimbescio « Il Il canestro... » Alleg. – Tagliare, lavorare, operare, camminare a sghimbescio. A MICCINO a poco a poco, a poco per volta) – Fare a miccino, collº all Imare con gran risparmio; dare a miccino; parlare a miccino.«... E' un dare a miccin la ciccia a putt I, Vccio ch'ella moli fila cia poi « lor male ». Fil', rim.«... Senza chè qui fra noi I)el buon si debbe far sempre a miccino ». Alleg.« Favellare a spizzico, a spilluzzico, a spicchio e a miccino a è dir poco e adagio per n In dir poco e male ». Varch.A GHIAIDO – « Fu incarcerato ed a ghiado morto » (cioè di coltello). l)a V. A M AI, OCCHIO – « Antonio, mirando quel dischetto a mal occhio, dice « va e pensa Va infrì sè stesso: ond'è... » Cº V. A SOLO A SOLO; A TU PER TU a quattrocchi, da solo a solo). « I)esidero di fa Vollare a solo a solo )). V. S. (i. l3. «...mangiare un poco con lui a solo a solo ». Rini. Ant. « E' mio marito, e non è ragionevole ch'io Ini p inga a colitenderla a seco a tu per tu v. Varch.« A tu per tu d'ordinario indica, se non contesa, almeno un non s. che di lì (r)) amichevole o di riottoso ». Tomln).A IOSA – a Idiotismi lombardi a iosa, frasi adoperate a sproposito, « periodi sgangherati.... » Mlalz.– Simili: a ufo, a macco, a diluvio, a masse, a larga mano, ad usura, a oltranza, a gola, a buona misura ecc. e Iddio renderà al bonda lito a mente, a buona misura, tormento e pena a coloro che fanno la su  « perbia». Passav. – Retribuet abundanter facientibus superbiam. Sai:Il A GUISA CIIE...: A MODO CIIE..., DI... – « A guisa che far veggiamo a h a questi palloni francesi.... ». Rocc. i a... schiccherare a guisa che fa la lumaca ». Bocc. ti « Fare a modo che la madre al fanciullo quando lo fa bramaro la  « poppa ». Fioretti.  « F: l'(a modo che alla Maddalol)a.... » Fioretti.  entrò in una siepe molto folta, la quale molti pruni e arboscel « li avevano acconcio a modo d'un covacciolo o d'una capannetta ». Fior.A PEZZA: A GRAN PEZZA di gran lunga, di lunga mano, a dilungo )« Iddio la IIIa lì dato 1 elill, a lille desll'i: - i lol prendo, per avvell « tura S III lile a pezza li rl III i ti l'lleri ». lSucc. « Tu non la pareggi a gran pezza ». l 3 a... che Villce a pezza le forze il ii il II alla natura ». Ces. «... che a pezza li in poterono i no, l'1:li a liostrº ». Giuli....al qual peso pollai e gli a gran pezza lo! I SI se lliva sufficien a te n. Ces. ET - A buona pezza, a pezza sia al 1 ora per: da un pezzo. Il Corticelli lo fa altresì avverbio di tempo a vu i tre, º io e a dire col significato di: a lungo andare, indi a gran tempo e.:: il l: l V a Illel lil - go della Nov..º in cui il 13o a clo, il ricolllla lir di Tebaldo, l'e  putato uccisº dal 1. l re: ti sºlo i clie: l i vº: lo ſtesso, dice: l' 1. l e I edeva no all or I e II la lr e 11, se i vi ebber iatto a pezza i in li e a lilolto l'Irl | o s, il 1 o l -se che lor e lì i rio « chi fosse stato l'll (iso.Pezza per tratto di teli e ti In e te l: il sito dai classici:...a e le quali, quando a lei i i nip.. - rido e la buona pezza di mot  a te...., l 3,. \ V, l: do ss 1 di buona pezza di notte e il ogpl I lioli o il l ' Illi: e... l.... ed i: questo con I lilla rotto una buona pezza iva il l i soli: si ll il V.. desse º lº). Erano a buona pezza pia. Il l... » lº. A I) II, l'NG ()...lila po. I sa – 1, piti il V ".go, a dilungo le pi Vinci e ill « gannò ». l)a V.A (..ATA FASCI () Fa cela di voi gli l a catafascio ». l 'a taff.  Io non fu mai. lle solo di gloria Vago, lº vivi, a raso e scrivo a Ca « tafascio ». Vlatt. Fraliz. l.ibli (i rte a catafascio.  \ I,I, I S.ANZA ()ltre i cliest.: se si lal::lo ba nelletti regali... ll !)  e inoln Ine: l'e, all'usanza (li (1:la, di co- e dl gla il valore, ll lì.... ». Calo. «.... se la faceva la maggi. parte le 'a nero, all'usanza dell'Indie, e con l'iso, e quando pit sontuosa ine:lie oil... » Bart.  ALI, I SAT(); AI, SOI, IT().... lle resta V a dl di rilli all'usato di strane « tentel)llate ». Fiel'.«... e ne rinfocola V a l'iberio, per ll è al solito lllllga lllente in lui a V a vampati, ne uscisse o saette il rov in se. l)av.“..... non ga e al solito, Irla cori tlc it to... e co; i visi, benchè a ce on e ci ai ln (stizia, pil V (ralli elite cagles lli.... l):ì V.  AI, CONTINU () Sonando al continuo, per la città tutte le campane... » V ill.  AI, TUTTO - Conf. Tutto, Cap. III e l'elisorili che Marta s'inginoc a chiò a piedi di lei e disse: Madre dolcissima, al tutto sono appa a recchiata d'ubbidire, chi io sento n. ll'admin la mia che l vostro par « lare Imi conforta ». (.a V.  AI, CERTO – - a Se....., al Certo i denloni ne farebbero, gran rumore ». Iºart.  AI.I.A SCOPERTA –..... potè poi mettersi con lui alla scoperta in più a ragionamenti. » Bart.Al, DIRITTO – « Il Sole..... feriva alla scoperta ed al diritto sopra il te « nero e delicato colpo di costei. » Bocc.ALLA DISPERATA – «....nnellare d'attorno bastonate alla disperata. » BaI l.ALLA SPIEGATA – «.... appunto culme la nave... sulla quale tornò non e potesse levar mille fasci di lettere, che dicessero alla spiegata quan a to egli veniva a raccontare. » Bart. ALLA SPICCIOLATA –. Tagliare a pezzi alla spicciolata. » l)av. – Andare alla spicciolata o spicciolati vale: andare pochi per volta e non ilì Ordinanza: l'O(o dopo si Inossero gli altri bravi e discesero « spicciolati, per non parere una compagnia. » Manz.ALLA SPARTITA –. Le varie scienze brancate non hanno più alcun « Vincolo coinline che insieme le c' III ponga e le organizzi; si no a ce « fali, vivono alla spartita e tenzonano fra di loro. iub. ALLA STAGI,IATA – Andare alla stagliata per la via più corta i: «.... E vanno giorno e inotte alla stagliata. Non creder sempre per la a calpestata ». Morg.ALLA DISTESA – « Ben è vero che quella grandine di concettini e di « figure non continua cosi alla distesa per tutta l'opera ». Manz. ALLA 1)IROTTA – Piovere alla dirotta. « Che lavorio non si pigli alla dirotta per alcuna cupidità, ma piut « tosto per servizio dello spirito ». Ca V.ALLA SCAPESTRATA senza ritegno, – « Ruzzando..... troppo alla sca « pestrata..... ». Bocc.a Correndo alla scapestrata e senza ordine niuno, cadono nell' ag a guato ». M. V. – Simili, all'impensata; all'improvviso; alla spensie rata; alla sciammanata – « Mi diletta oltre Imodo quel vostro scrivere a alla sciammanata cioè scomposto, se llcito, o, Caro; a fanfara – “..... non usavano i vecchi nostri far le cose a fanfara ». Allegri; alla carlona; alla rinfusa; alla sbracata; alla cieca; a mosca cieca; a chius'occhi –. Negligolza dc lettori che passa lo il vizio, a chius'occni» V ill. ecc. ecc.  ALL' AVVENANTE (a proporzione, a ragguaglio... dispensavanº loro a oltrate all'avvenante ». DaV. a.... e fece fare... le monete dell'argento all'avvenante ». G. V.  ALLA MEN TRISTA (a farla bucina) –. Passato il quarto di, Lorenzo, se a condo il consertato, non ritornò; talcli è già altri il farºvano molti, « altri, alla men trista, prigione ». Bart.« Stava in gran dubbio di sè, certamente credendo che il re, alla men « trista, il disgrazierebbe ». I3art.  ALLA CIIINA – «... i piaceri sono monti di ghiaccio, dove i giovani cor. « rOIlU alla china ». I)a V.  ALI,A BRUNA – « Uscire di casa, ritornare, il sene alla bruna, i di notte « tempo ).PA RTE TERZA  Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui retto uso all'elocuzione garbo ne deriva e vigoria  (APITOLO I.  Verloi di particolare osserva, Aio1 ne  non quanto all'ordine dell'azione, che se ne è parlato alla Parte ll º Cap. 2º, ma quanto alla varia maniera di usarne, così cioè da risultarne ora un senso e ora un'altro, e quando una frase più che altra concellosa eſlicare e chiara, e quando Ina forma di dire piacevolis ima. In assello di espressioni elegantissime, nulla comuni ad altre lingue e al tutto con forini all'indole, all'original candore dell'italico litigliaggio.Uno dei capi che formano il carattere di una lingua è, senza dubbio, l'uso frequente e vario di certi verbi previleggiati, onde quel tal linguaggio prende una piega, una forma che lo distingue da ogni altro, reca un'im pronta decisa e sua, e rivela l'indole, la natura della nazione che lo parla I; sli a entra al to do, io ſo, lo gri, i sel. I pul, lo li arr, lo li hº to trill, lo shall ecc. ecc. degli inglesi: al bringen, Schlagen, selsºn, lath rºm ziehen, reissen, allen, hallen e er. l i l des hi: al lati e doti lºrº mºtivº quel gal dler, falloir, aller, ceni, e crc. d. I rili esi.Niuno per fermo potrà mai farsi a credere di saperlo l'inglese, il tedesco, il francese se non conosce appieno l'uso molteplice di cotali verbi. Ma e dovrà poi dirsi che noi italiani conosciamo l'italiano, lo par liano, lo scriviamo, quando molti usi e vaghissimi di alcuni verbi sºli º gli scrittori nostri del trecento e cinquecento e loro valenti imitatori, o ci sono al tutto ignoti, o non vi badiamo gran fallo, fuggono al sensº º quel ch'è peggio, non pigliano al rina ſatiri di apprenderli?Mentre nel Prontuario trovarsi in diversi luoghi. “ioè quando sºlº una parola e quando sotto un'altra, l'uso e il significato altresì diversodi ognuno il ſitº si re bi, in questo Capitolo sono invece raccolti in pro prio, ci si il li del is fli e, iro, i molti sensi e gli usi inoll piici di questi si illli i crli. \' scopo poi il liv sarne in qualche non lo la I al ria,  i, li i di li 'il ſole e portata loro, due orditi (listi, ci:V ci li pi li, si incli di più ampia sv al l: VitaliiD. llli i cºrti non si li prºnti, il che anche di questi, cioè dei 'oro Ilso l g.gior grazia e vigoria. Il dis(ºr sor. -  S  1 º  Verbi più notevoli, ciò è a dire rigogliosi e fecondi di più ampia e svariata vitalità, e sono: andat e, dare, fare, prendere, levare, met tere, recare, portare. it jutlatre, sentire, stare, tornare, venire.  Arm ci are  Noli II l via di etill irli qll il I agioli alimenti e andarmene in discus si ti sul come e ind, che a fil e ass. I li II e i di ºrgan, a il più delle volte a lin, ia, gialli rina approda e laio a anche trilore; imperocchè allo si ling r. a p. l si la fatica con (edio e danno di chi legge e li in pro º cli il lr Iriesi e gli anni in istu diare, raccogliere, e vergar car lei e per passi di quanto scrisserº grammatici e il logi rh, e li arreco subito alcuni sempi colti li i migliori libri di Ilarsi i lingua, dai quali potrai di leg gieri a ndere l'uso vario e vagilissimi del vei bo andare: e metto anche pegno che pur leggendoli nel tendovi un po' di studio, saprai senza scandagliarne altrimenti le rip. ste ragioni il logiche, convenevolmente imitarli e rifarne, occorrerlo, d aitrella!. ... e son cerlissimo che cosi a cre' l e blu conto coi dile, dove così andasse la bisogna come a risale: ma lla andrà all imenti. Boce. (410). Manda vanglisi di Ilona e d'Italia gli aguzzamenti dell'appelile; le poste correrano dall'uno all'altro mare: se n'andavano in banchetti i grandi delle città: rovinavansi esse cillà..... Dav. ll.(neste cose belle dicerano in pubblico: ma in sè discorrera ciascuno: questa colonia in piano potersi pigliare con assalti e di molte col medesim, a dire e più licenza di rubare: aspettando il giorno se n'andrieno in ae cordi e lagrime: un poco di gloria rana e pietà pagherieno lor fatiche º sangite ». Da V.“. Somiglianº si può dire anche il genio e la natura degli abitatori I tillo va in delizie e in piaceri di musiche e di odori e di n. 13al l “ Lo ingegno di Verone degli anni teneri se n'andò in di pignºre, in tagliare, cantare, cavalcare ». Dav.  “.... lullo il dormire di questo molte m'è andato in un sognar continua di nomi, cerbi crc. ). (es.  “... e per non andare in troppe parole... Se in.  Che fama andrebbe al lui mi i secoli di ieri e I;a, 2... ºbbºlo per rili poi ci li ti resi nel l' u tutti e ne andò gran timore per lullo, il regno. I al I. I tempi vanno u mi irli, N ſi i St ! ! 1. l’ulla la città di isti i patiti ne andava a rumore I3. I 413,... la gen I e andò a fil di spada q io ti l ne volle l'ira e il giorno... l ralosi il pool ogni cosa andava a ruba. (0 utndo questa cili, la l 'dei lgo in presa, andatoci a ruba ogni CoSa..ln questi mutnici e si li sº quel luogo il quale andò a ruba ed a Sa CC0. I.Ma º non crei propri iani e il liri i titoli I e il I il enci si che face rain, i monaci qualche li ha o di quelli in blio che, le quali miseramente anda vano a ruba T, il lil.  º mi ios li si i 'le, che li ci mi i ssis si incli il non irresi ſtiamº mai andando me la vita?In queste cose l'isogna andar cauto; ma lo si e va il capo cantis  sino.... \:.  A chi con in el l e così i ti e mi isl 1 il ris va la vita pºi giustizia i  a... e giudicò che e' lusse al pi p si andassene G che volesse dire che egli ci ſi presto al gni suo placer. Fi, l'. ... vi andasse anche la vita, io sono e sarò si mpre al l ostro pit (e re... Ci s  a I', il lil, i cl e ne andrebbe dell'onor stuo...... (: l', n.  a E se n'andasse il collo, sempre il rero son per dir li Sacchi.  () ual delle due ri pa; lunque più con i nerole: che ne vada l'onor vostre, orrei o che ne vada l'onor divino? Si, si. r ho inteso: ne vada pur, (lile. ne ratula l'onor divino. pl i cli, sull' isl il nostro. Segli  a Sim il cosa diceran quel di Tci n. eh il pm a rosso le ren d'Ital e andrebbe a male se la V era si spirl issa'..... I ... ma in vano andaremo i pri, gli i?.  « Lo stral rolò: con lo sl rale un volo Subito mi sci. che vada il colpo  a vôto o l'iissi).Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo andarti molto prospere, e fa ragione che tu se' alto allora a sdruc. ciolare ». Mar lili. V es.  º I) il nulla º quando Ma io ride che li detti lei Sacerdole andavano a quel medesimo ch'egli intendea... Sal Isl.  Ortando la cosa fosse andata per lo contrario....... Fier. (416).  “ (r se li tºsle i tgton son in mileste. Se le tocchi con mano, s' elle ti vanno, con chi intoli..... I 3el ll.  i na circºla dirà: quell'uomo mi gol in una fanciulla saggia: quel l'uomo mi andrebbe. Son molte le cose che la bano al gusto e che non vanno (tl e il roll le re. l'orn Ill.  () irando tlcuno o non intende, o non ruol intende e alcuna ragio ne chi della gli Nict. Nuole dire: ella non mi va, non mi entra, non mi ralsa, non mi rape, non mi quadra, e il re parole così lalle o. Varchi. ... l'ira e li cruccio, il 'nendo, andava disposto di lui li rituperosa mente morire 13 cc. (418).... ma non che la nl o di rivenisse di loro, che anzi non ne andarono  pur leggermente offesi... I3arl. « Quanto all i più sa della lingua ben app s. nelle sue radici, lanto più va ritenuto in condannare ». Bart.... e da principio va ritenuto lipoi comincia a poco a poco ad arricinarsi alle pristino compagni. Si gri i 19«.... se prorar lo potesse, andrebbe asciolta ». Ariosto. a Le trecce d'or, che dorruen fare il sole. D'invidia molta ir pieno, IE A1 at li fre'don ne va poco contento IPull. Mi l'.« Perchè lal, che qui grande ha sugli Argiri Tutti possanza, e a cui l' (cheo s'inchina, N'andrà, per mio pensar, molto sdegnoso ». Monli. «... nè però fu tale La pena, ch'al delitto andasse eguale ». Ariosto, « Si potrebbe indovinare che noi andassimo facendo e forse farlo essi all res) n. 130cc.« Concediamo che spendiale in Noren li con rili, in allegrie e, quel che anco conceduto non andrebbe in men che onesti amori o Menz. pros. () uesto ſarà il mestier come va fatto. Mtilln).a Le ragioni contrarie, a roler che sieno bene e pienamente rifiutate. vanno con chiarezza e con fedeltà esposte. Salv.e dunque non va segnato mai in principio d'alcuna parola quesi 3 segno. Salv.  a... acciocchè resti si potesse e forni di cavalcatura cd andare orrevole. I 3 o. (20. ... o Nseri utili al loro i I3oluzi: con unº º l'andarsene rasi barba e ca pegli ». Bari « Von area cominciato nella religione ad andar dispetto e vilmente ». vestire alla buona, cienciosanielle. Fior. Ces.«... perocchè il rigore toglie la con lidenza: e dove questa lor manchi andranno con voi copertamente, che appunto è quello di che il demonio si varrà m. Bart.  Con lor più lunga via con rien ch'io vada. Petr. (421. «... io vi porterò gran parte della ria, che ad andare abbiamo, a carallo. Bocr'.a... ma la bestia voleva pur andare a suo cammino. Continuare, proseguire. Fier.«... e dove..... da niuna parte il loro cammino a sè vietato sentono ii fiumi, riposa la mente le lor umide bellezze menando seco, pura º  cheta se ne vanno la lor via. I 3: Illo.... Lu (lor lco se n'andò al suo viaggio... l' 1 r.... Ma lasciandoli gridare balassi a ir pel fatto tuo v. Fior. 122,.... ed ella colal salratichella, facendo rista di non avvedersene,  andava pur oltre in contegno ». Bocc.  «... un vento sempre intavolato per poppa e così fresco che anda vano a più di cento miglia al giorno. Bart.  a Siale in procinto di rela, che non andrà a due anni che di costà chiamerò molli uli roi n. 13arl. (23. - -« Tulli i cristiani di quel poi lo iurono intorno al l'. Cosimo, a pre garlo con lagrime che non frammettesse troppo a campar la vita, chè il perderla andava a momenti... Ilari.a... Ma poco tempo andrà che l'uoi ricini Faranno sì che lu potrai c'hiosarlo... T)il rile.«... e costoro si levarono tutti smar il talendo questa parola: poco andò che noi reulen mo....». (.av.« Essendo già la metà della notte andata, non s'era ancor potuto Telmullalo adultorm en la re. I30cc.« Ouesla notte che è andata, si sognai ciò che l'è apparito ». Stor. S. Ells [ach. « () uei area poco andare ad esser morto. Pelr.  Si notino Jin (il men le le ini (iniere: son..... anni e va per......:  « Io la persi, son quattro anni finiti e va per cinque, quant'è da settembre in qua n. 13occ.  a Signor mio, son questi 1)ebili premi a chi l'ado di e cole? Che sola senza te già un anno resti, E e va per l'altro, e ancor non te ne duole? ». Ariosto.  Vada questo per quello:  «... e non credo errare ad aggiugne di mio oi namenti e forze a'concetti di Cornelio alcune colte vada per quando io lo peggioro ». Dav. Andar del pari con...: 42.1..- - - - - ma i fatti non andaron del pari con le promesse o. Bocc. - Bart. Ncn andavano in lui del pari la gagliarda del corpo e la genero sità dello spirito. I3art. - Basti Germanico privilegiare che in consiglio dal senato, non un con le da giudice si conosca della sua morte, del resto vada del pari I)aV. Andare a chi più..... «.... perciò dove il fatto andava a chi più può in forze e in armi, i cristiani di quelle spiagge quasi sempre i rstarano al di sotto. Bart.  I t  425. Note al verbo Andare  41() Similmente di resi con le vanno l la cellule? N lì so come vada questa cosa. Come va la sanita? Gli affari non vanno bene,  4 1 1 - - Nota la frase andarsene in chechessia, e io è a dire: distrug gersi dietro a cherchessia, perdersi, ma -sare il tempo, non far altro che....  i 12) - L'andare di qui sto e del seguenti i senipi e al ufficio pressa  poco di essere, correre, trovarsi, mettere, soggiacere e Ma è chiaro che -arebbe guasta la frase, non le andarne d l grato, a voler mettere un di questi verbi al luogo di andare.i 13) – Maniera bellissima. Simile le seguenti: andare a ferro, a fuoco, a sacco, a ruba; andare a fil di spada, e vale essere in preda, abbandonato a... ecc. Frasi, del rost, che a tradurle in altre lingue converrebbe dire: uccidere, consumare incendiando, rubando ecc. o che altro di somigliante, – « L' andare a ruba, osserva il Tommaseo, affermasi di tutte o quasi tutte « le cose in un luogo co; tenute, quando l'essere rubato può riferirsi ad a una o poche (se tra moltissime ». Mi par di poter asserire con sicu rezza che ne anche il tedesco idi Ima si apprestarci un modo simile a questo andare a...., o altra frase che torni se ttosopra il medesimo. 11) – L'andare chechessia di questo e del seguenti esempi significa: trattarsi di....; essere in pericolo, esposto a perdere; avvenire, seguire che chessia ecc. Leggili, intendili, che è maniera vaghissima e nostra. (415) - Ognuno vede che l'andare di questi esempi andare a male, andare a vuoto, andare in vano, andar bene, andare a chechessia, andare per lo contrario )val quanto: riuscire, battere, cogliere, tornare e simili. 416 – Significa: non riuscire, riuscire altrimenti che il concetto avviso, riuscire nel contrario. Bocc.417 – E' il Zusagen, anstehen affarsi dei tedeschi. Simile a questo andare è l'entrare dei modi: mi entra. ci entro; questo non mi entrerà mai, ecc. e significa, l'uno e l'altro: capacitare, appagare, sodisfare.  418 – Andare, coniugato con certi partecipi pass. Ovvero con certi ag gettivi, piglia talvolta il valore del verbo essere, conservando però seni pre l'idea di una cotale progressione e continuazione nella cosa di che Si tratta, (andar disposto di...; aridar ornato di...; andarne offeso, andar ne contento; andar metto da una colpa ecc.) e tal'altra fa l'ufficio del ge rundio passivo de' latini, e vale: dover essere, voler essere, doversi ecc. (Gheraldini); - - Quel tal delitto va punito; quell'atto caritatevole va pre  miato e Cc  419 – Nota la questa frase andar ritenuto, guarda i si da.., proceder con riserbo ecc.120 – Anche l'andare di questi esempi, accompagnato da altra voce  agg. partic. o avverb.) che ne indica il modo, e ad ufficio del verbo essere, o meglio di contenersi, di portarsi, governarsi, procedere e va dicendo.421 – Pon mente costruzione o maniera di connettersi delle par le che si attengono a cotesto andare (andare una via, andare a suo cammi mo, andare oltre, andare a tante miglia ecc.) Il quale la senso di percor rere, proseguire, seguitare, il suo viaggio e simili,422 – I nbekil Inl Inert seilles VV egs gehell SI Inile a Illmina l'e al V lag gio suo: « Ma poichè i regni e gli stati camminano sempre al viaggio loro a e dove prima furono diritti indirizzati, non fla Inal li or an. Il a passo ». Giamb.423 – Andare, parlandosi di tempo, indica lo scorrere, il trapassare del tempo, e la durata del tempo impiegato in checchessia. Nota costruzione andare a..... – Ricordo qui il modo avverbiale, affine a questa forma di dire, a lungo, a poco andare ecc. v. lProntuario, Tempo - avv.) Un altro lISO molº. In alto dissimile, di llll a ndare, cioè, il sºlliso di passare ecc., è quello della nota frase: « ma lasciamo ora andare questo: « quando e dove potrem noi essere insieme?» Doce.424 – Questa maniera è simile all'altra già addotta: andar eguale, andar vilmente, copertamente ecc. ma è forma di un assetto singolare e va però notata a parte.425 – Chi non ha le belle ma Iliere italialle Ilon uscirebbe dalla forma comune: trattasi di..... a perciò dove non trattavasi che di chi prevaleva in forze....... NoDare  Il suo valore, dirò così, naturale e comune all'equivalente di altre lin gue (dare - latino, geben, to give, donner ecc.) è quello di trasferire una cosa da sè in all'ul, consegnarla, renderla e simili. Ma poni mente va ghissimi altri usi ed efficacissimi di un colal verbo, assai diversi dall'or dinario di altre lingue, inoll plici e ſanti che appena se ne potrebbe rac C () l'l'(il mul) el'.  Gli esempi che allego contengono quei costi utli e quelle maniere, ch. mi parvero meno note oggidì ti volgari, cioè, e a poco sperti), ma opportu nissimi e ancora a sapersi, chi vuole impararla daddovvero la lingua ita liana e usarne l'el talmente  Metto prima alcuni esempi di un dare quasi assoluto, cioè adoperato. per elissi od altro, senza l'oggellº e il mal i ra di assoluto cec. Poi altri i un delel'inilla lo costrullo, egliali di lornia, non di significato i dare im, mel: dare del: dare per mezzo a ecc. Seguono undi alcune maniere di un dare ti forma transitiva, e inallelle all i nodi o Irasi antiche e dell'uso.  Il sole e alto e dà per lo Inugnone entro, ed ha tutte le pietre ra st it ltte- o lºo...37.  "...... Sono posti i primi, quando lo veggano li ella vernata già secco, a levar la scure e dargli alla cieca tra capo e collo, tra tronco e rami ». Segn.  “...... e ancora raddoppia V. Il dolore e il piant e davasi nel petto e diceva: or II lisera.... ». (a V.  a l)icoti, Signore, ch'io loll lo virt tl da clò, e tll il sai. E davasi nel  petto e piangeva sì forte che pareva che il cuore se le spezzasse in corpo, (:) V.“..... e gittato il cappuccio per le ra e dandogli tuttavia forte.... ». Boce.  « Un muletto di Libia avendo scorto nel fiume l'imagine del suo corpo e meravigliato di sua grandezza e bellezza, dati i crini al vento volle cor rore come il cavallo ». Adriani.  “..... (con questa tenzone il porco, uscito lorº tra le brache, corre per ulo androne e l'altro porco dietroli, e dànno su per una scala.... Torello levatosi e 'l figliuolo dicono: o imiè! Inale in lobiamo fatto. Dànno su per la scala dietro ai porci, là dove il sangue per tutto zampillava. Giunti in sala, caccia di quà, caccia di là, e quello ferito dà in una scanceria (scº sinº tra bicchieri ed orciuoli per forma e per modo che pochi ve ne rimasero Salvi ». Sacc. (438).  a Su, andiamo, diss'ella, ma sei mi dà nelle unghie lo concerò io come ei merita ». I):) V.  « Non prima l'innocente colomba uscì fuori del mido, che diede fra le ugne di un rapace sparviero ». Segn.  e Poichè si diede nel sangue e che "a nominanza era rovina, si attese a cose più sagge ». Dav.a Lorenzo de' Medici a uno che voleva dar nel sangue, ricordò che gli agiamenti a Filenze si vuota: no di notte ». Da V.La prima e ben grailde II al I vigº.ia che dava loro negli occhi si era Che uomini di quel conto.... ». Bart.«.... raccogliere alla rintlls i ciò che dà alle mani ». Macchiav. E come e vedeva i nemici in posa, nuovamente ridava all'ar. Ino ». Bart.« Il colore del tuo abit dà che si fornaio ». Cav. 'Inostra, appalesa – verriith).Diamo che a casa vostra nulla deloba arrecare di pregiudizio l'iniIni cizia divina. Diamo che col malvagi conquistamenti voi la dobbiate eter 11are. Diamo i le le lobbiate a l escere credito, aggiuli:go le autorità, a qlli stare a dereilza: vi pal' però che vi torlli (olllo di farlo? ». Segll. Coil ed la II 10, assentianro) t439.« Per la qual cosa la confida:izi dentro le dava pe: lo fermi o li e la pure si convertirebbe. Cav. i 10« Non mi dà il cuore di venire il cilielli o con sl potlºrosi nellli i n. Segn. 441.E vi dà il cuore di lasciarveli sta, e nel Purgatoriº piu lungamente?» egn « La mia coscienza non mi dà di piacere a Dio ». I3ari.  S  IVARE IN NEI.: a Essere venuti quatti quattº pe; tl a getto di mare per noi dare in chi gli pettoreggi. cacci e prema.... I)av. gerathen).Il sali o, facendo intramesse al ra. colito, dava in affettuose preglio re ». Bart. prorompeva.a Ma su, fingiamo che abbiate tiato in amici di lor natura piu libera li.... ». Sogindovrà egli dura una gr ali fatica per mandarla a live) o a r Inter e in uno scoglio, o ad arenar lolle secche, o a dare nei corsari ». Da V. « Allora Sonzio fece dar ma corni, nelle trombe: piantare scale, salire al bastione.... ». Giali) b.“..... i quali, quanto prima videro i nostri, diedero tutto insieme in corna e tamburi e grida disso! la ntissimi e all'usanza dei barbari ». B: rt. a l'erò qualvolta voi scorgerete alcune persone che volentieri in luo gli tali convengono a trastullarsi, dite pur senza rischio di dare in temerità, dite che...... ». Segm.« Allora il Bonzo, dato in un rider sboccato, volse le spalle ai Padri C..... ». Barf. (442).  T).AIRE I)I l NA (()SA IN, PER.....: a... e, dato dei remi in acqua, si rili se', al ritornare ». BO. a... comandò che de' remi dessero in acqua ed andasser via ». lRocc. a Se...., io gli darei tale talmente) di questo ciotto nelle calcagna,  che cgli si ricorderebbe forse un mese di questa beffa, e il dir le parole  e l'aprirsi e 'l dar del ciotto nel calcagno a Calandrino fu tutt'uno ». Bocc.“..... e inginocchiavansegli dinanzi e dicevanº: Ave rex Judeorum, pro fetizza chi li percuote; e davangli delle canne in sul capo, tanto clie le Spille gli si ficcari no insino al cervello ». Cav.  «... le dicevano l'altro suore: e verrà a 1 e Eufragia e daratti del ba stone. E in Illantille lite che la ll dl va ricordare Eufragia, cessava il dia Volo (li tol'Illentarla a. (.a V.  “..... poscia a se ne disino die di un coltello per niezzo il ventre e.... ». l)a V.  « Cielò ll llll Inedesimo per timore e avvampo per rabbia, e dato barba ramente di un'asta per mezzo il petto a quell'infelice lo squartò ». Bari.  «.... Si chè, (Itlillido venne l origine e diede della lancia per lo costato e si a perse il cuore del corpo di Cl isto, il s a ligu, li us i fuori tutto ». Cav. «... vi possono dar su di spugna liberamente i pittori sopra un qua  dro, ». Segn. A 13.  |) \ IR PEIR A | EZZO) (l, li... (alla e mi l un ct, ct mi scot ciertt. - - - - - ond'è conseguentemente il dare che la lino per mezzo a tutte le l"il bill leriº ». Bari.  «.... le altre filsto dessero per mezzo delle nellll ll, il V Ve!ltandº i fuoclli e ſerell (lo (l'ast:) o (li Ill (Selletta ». l 3ii l'1.“..... Inl egli la diede per mezzo alla si apestrata e senza ragione ». I):av.  • I) AIR V ()I, I'E: a Tu dai tali volte per lo letto, che.... » lº i c dimen trsi. a Messa la chiave nella toppa, dandovi da quattro a cinque volte, l'aper se e....» (i Ozzi  I ) \ E SI () I RIPI E I) \ N NI IN... e simili Dava ilì ogni cosa storpi e danni al lilli li I); v. « Solo coſa li scioperati che noi: sanno la l' altro e le illeli:ì 'e la font ini, e  e dare storpi e danni nella fama altrui. » Ces.  l.Alt E I E SPALLE collar le spalle o I)all'aiuto di l)io e dal vostro, gentilissime don me, nel cluale io sperº.  armato, e di buona pazienza, con esso pro ederò avanti, dando le spalle a  questo vento (della mormoraziolie e lasciandol soffiare » Roce.  I) \ IRE STIR A MAZZATE: e.... i quali cavalli in quel terren il sangue loro e di loto molliccio. davano stramazzate e sprangavan calci., Dav.  DARE PIRES\ a, di... (dal pretesto, motivo: dare appicco - reranlassen, « Vero e che queste osservazioni.... daranno presa al lettore svagato e  malevolo d'affibbiarmi un altro bottone che però non mi farà troppo noia avell (lo l'occhiello. » (iiub,DARE CARICA AD UNO DI Q. C.: «.....lo Volle seco...., lo colmo di onori e linalmente gli die carica di VI i eri. » Balt.  DAI BRIGA (sich michts aus Eturas muchen): « Ne anco Imi dà molta briga se, per compiacere a un amico, ho dato da dire u molti curiosi. » Caro.  I)AR NOIA A... Ed accordatisi insieme d'aver per giudice Piero Fiorentino, in casa cui  lano, ed andatiseme a lui e tutti gli altri appresso per vedere perdere lo  Scalza e dargli noia, ogni cosa detta gli raccontarono. » Boce.  DARE GRAN VISTA) (sich schòn, gul ausnehmen -- onde vistoso): « Tutto va in delizie, in piaceri di musiche e d'odori, di portar la Vita con grazia, di vestire abiti che dànno gran vista. » Part. appariscenti,  I) ARSI IN (ERIE(.(XIIESSIA, A (III (CHIESSI A (applicarsi, abbandonarsi  t...):  e Calalndrilio, Veggendo che.... si diede in sul bere. » Boce.. si diede allo studio e della filosofia e della teologia. » Bocc.  I ).AIRE NEL MIC), NEI TU () In mein Fach einschlagen –- in casa mia, nella mia bev (t:a Voi date proprio nel mio: l entrare in discussione intorno a questo [. lll tr. » (es. - I 3:ì l'1. l3.  I ) \RI (III: IRII) I 13 E (da e male riut dal ridere: e Diè tanto che ridere a tutta la compagnia, che illlllo v'era a cui non di lessero le lnascelle. » Boi ('.  I) AIVE I MOLTO BENE I) A MANGIARE ecc. a A te sta ora darmi ben da mangiare, ed io darò a te ben da bere. » Bocc. a Dar molto ben da far colazione. » Fiel'.  I ) \ IX I ) I CC) LIP(). I ) I CC)ZZ() (in... ('('('.: - - Si scagliano di anci, il verso lui e Vanillo a dar di colpo sopra i di rupi del fondo, dove s'infrangono. » Bart. “..... e V: Illasi a dar di cozzo in una ville. n Bart.  I).AIRE | ) I SIP.VI.I.A: º Adoperò la sua Madre, che già conosceva assai disposta, a dargli di spalla n. a S. Luigi per indurre il Padre a...). Ces. I) A IRE I)I SCI() (CC). I )l.I.I l IRIETICC) ecc.  l) Al l I)I IR E, l)| (()NT E e il lilolo) di “Se mi avesse l'o (ld lIo so clic m'avrebber dato di sciocco il vulu l'e che l'oratore sia di necessità legista e filosofo ». I)av.benche gli tolgon ) ogni appiglio di darmi dell'eretico e del miscre dellte. » Giul).Non vi do di signorie, per le, quando scrivo a certi uomini che sono uomini daddovero, soglio sempre parlare piu voleliti ri a essi medesimi che a certe loro terze persone in astratto. » Caro.« Augusto si trovò questo vocabolo di sovranita per non darsi di re, nè di dittatore. e pur III ostrarsi con qualche nome il maggiore. » Da V.  I ) AIRE AI)l)| | | | | () (ilira si, in limorirsi, sbigollirsi Sich u b Schrecken a Vinti dal timor della morte, davano addietro e rinnegavano ». Bart.  I) AIA NE' IRI LI, l vale sulla e', i lazzare, r. Scherza) e, saltare, Prontuario): « Ora è ben tempo, soz I, I)a stare allegramente, E dar ne' rulli e saltare e cantare l'er questo rovinevolo accidente. Buon. l'ier  DARE VDOSSO VI I NO, VI) (N V Cosv (investirlo con parole e con jalli - angrºijen, sich re g 1 e il n. 444 ):  con le fa un ser it, che, vedendo l' - le sue l e al cosi il gulal dia. Colì a ver le bagaglie abbandonate, non quello investe ma dà adosso a quelle e fallì (Sllo bolt Ill (n. l)il V.  I ) \ IR E AI ) (SSC) \ I ) (N I \ V () IR ) significa: alle mele ri con assiduità).  I ) \ I RI SI |.I.A V () (l V | ) \ I,(il N (): Diasi pur sulla voce al presuntuoso che sale - ha o ha i ed io di... » IDa V. « Io conosco un auto e a cui per questo peccato si diede più volte sulla voce e, sventurata nel. e, n loro profilo. » (iiill).IIa i sentito come mi ha dato sulla voce, con le so avessi detto qualche sproposito? Io non ne n solo la tio caso punto ». Mlanz. – E' Vgnese l r r l  le ricorda a Lucia (lulei ripiglio sgarbato della signora i 15)  I) AIRE A VISI) EIR l, l) \ I l A (IRI,I ) Il RI: «....e dato a vedere al padre una domenica dopo mangiare, che andar  voleva alla perdonanza.... » Bocc. « Fra Alberto dà a vedere ad una donna che l'agnolo Gabriello è di lei  Innamorato ». Bocc. Conf Far vista, far sembiante, far veduto - sotto fare). 1)ARLA TRA CAPO E COLLO (sentenziare di chicchessia o checchessia senza pietà, senza alcun riguardo, con poco senno ecc.) –  l)Ali DI MANO, DAR DI PIGLIO:  «... die di mano al coltello e sì l'uccise ». Pass.  “ Noi per questo, dato di mano alla rivestita ampolla, col marchio.... ce  l'andammo.... ». Alleg.  « Lo duca mio allor mi die di piglio, E con parole e con mani e con enni, Riverenti mi fà le gambe e il ciglio ». Dante.  «... i più severi centurioni dànno di piglio all'armi, montano a cavallo... »  IDaV.  « Draghignozzo anch'ei volle dar di piglio ». I)ante.  DARE I TRATTI (essere allo stremo della vita: «.... braino che ella, che nelle sue mani dava i tratti e boccheggiava,  nelle mie basisse, spirasse e intrafatto perisse ». Dav. «... e incominciò ad entrare nel passo della morte e dare i tratti ». Cav.  446). Note al verbo Dare 437 – ll dare di questi primi esempi torna sottosopra ai verbi: bat  lere, percuotere, arrivare, colpire, cogliere ecc. Prova, recalo in altre lingue, p. es. in tedesco, e non lo potrai far meglio che usando le voci proprie: schlagen, elnschlagen, klopfen, gera then ecc. ecc.  438 – Dànno su per una scala è lo stesso che: fuggono, si diſilano. Dare o darla è spesso verbo di moto, nota il Fornacciari, e ac cenna per lo più a un moto violento e quasi di urto.  439 – In questo caso anche il tedesco adopera il suo geben (zu geben); anzi è la forma di dire ordinaria questo: vir geben zu, per: concediamo, accordiamo ecc. 440) – E' appunto l'einreden ed anche l'eingeben dei tedeschi. 441) – Simile anche il modo: dar l'animo (Conf animo, Parte III). 442) – Aggiungi le maniere consimili: dare in vacillamenti, in ver  tigini, in frenesie (Segn.); lare in escandescenze; dar nelle gi relle, nei rulli; dar nel ge mio ecc.443 – Anche il modo: dar di morso a.... va annoverato qui: « E lu darai di morso al calcagno di lei io. Ces. (Et tu insidia beris...).  444 – « Dare adosso ad alcuno, figuratamente, vale anche nuocergli COi detti, co Cattivi il flizi... (il) el'ardini. – Simile al detto: l'agliar le legne addosso ad uno. – « Tal ti loda in presenza  che lontano Di darti addosso bene spesso gode o. Leopardi. – Nota altri modi con questa voce addosso: andare addosso a mimici - I bav: l are un processo addosso ad alcuno (Bart. - DaV.) ecc.  445 – I)are sulla voce è un riprendere, biasimare, censurare, chia rnando all'ordine per vie indirette, per certi segni, avvisi, ml Ila/CCe GCC.  446) – Dicesi anche: fare i tratti, e pare che significhi, anche questo, dare i tralli; cioè agonizzare:... e la Madre e tutte le altre stettero chete, in silenzio, mentre Gesù faceva i tratti e pas (sava di questa vita o º av  Fare  Lascio le dissertazioni intorno a questo verbo, e mi faccio subito agli esempi, non trascritti dalla Crusca e d'altri Vocabolari, come fanno ecelli compilatori di grammatiche e dizionari dei quali tutti, quando presi a lavorare questo libro, io non avea nozione alcuna –, ma colti, al solito, nei migliori autori, lilli da me diligentemente cerchi e stu diosamente analizzali e sviscerali.  A maggior chiarezza di idee e ad agevolarne alche meglio lo studio.  distinguerello sei ordini liere di lare: la - che sta per quali il tre altro verbo dianzi menzionato. IIº - aggiunto ad un indefinito sì come vezzo od ornamento di frase (il pianger che faceva, che vede a fare ecc.IIIa - a valore di esse e o così che potrebbe stare anche essere (esser ll lile, esser buono eI Va - ad uso di varia significazione, cioè in luogo e forza di uno dei verbi: giudicare, ripulare, ottenere, conseguire, importare, fare in modo, passare, renire (parlandosi di piante).Va - pronominale farsi) e col significato di inoltrarsi, sporgersi, af facciarsi e simili.VIº - finalmente, ad usi diversi e come parte di questa e quella frase, cioè a connubio di altre voci e di un significato inseparabile dal medesimo. (449).  --- --  I. «..... onde ella amava piu te e l'amore tuo, ch'ella non faceva sè me desitna. » CaV. (450)« l?el lo co.municare ille,iorire s'avventava ai suoi, loll all l'illelit I che fac cia il fut.co alle cose urtte. » l3o.- - - - - che io ho trovato dolllla (la III lto più che tu non se, che li leglio m'ha conosciuto che tu non facesti. » 130cc.« Il cuore non altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si risolves se.... ». Bocc. «.... le dice che se ne guardi; eila noi fa e avvienle. » I3 a « Quantunque quivi così muoiono i lavoratori come qui fanno i cittad.  ( Figliuolo, Messer (ieri non ti manda a me. Il che raffermando piu volte il falinigliare, nè potendo altra risposta a Vele, 1o 11, in (ieri e sl gli li dis  se: – Tornavi e digli che si fo ci re: che ti mando. – Il lamigliare, torna a to, disse: –Cisti, per certo Messer (ieri mi manda pure a te. Al quale Ci - sti rispose: – Per certo, figliuol, non fa ci e, non mi ti manda, o Bocc.  « I)i spettacoli e d'ogni maniera divagamenti non potea pur patir di sen tirsene dir parola e partivane coli quel disprezzo che altri fa delle cose  Sozze e della Dl'll tll ra. » (es. a.... e percio' che amore merita più tºsto diletto che afflizione a lungº  andare, con molto maggior piacere, della presente materia parlando, obbe dirò la Reina, che della precedente non feci il IRe. » Bocc.a non meno la grazia (i a Inor del Soldano acquistò i l suo bene adope rare, che quella del (..italano avesse fatto, i 13.'I'll ci il celll quasi coine se noi non conoscessimo I l 3 a 1 con i collle fac  ci tu. ) Bocc. a.... li quali per avventura voi non conoscete come fa egli. » Bocc. Itil V Vedeti oggi Ill:li e torna ll II 1, coiile tll escº l' - le Vi, e non fa l' far  beffe di I e ti chi conosce i filo di tllo come fo io., B º  a Tu diventerai molto migliore e piu costumirato e piti da bent la che qui  e non faresti. » Bocc.  a... e nol credevano ancor fermamente, nè forse avrebbe fatto a pezza  (indi i lì0m molto), se ll: l caso a V Velllllo 11oIl 1 sse ch'e lor cllia l' elli fosse  stato l' ll cciso ». 130cc. e prega V: i lil. Inolf (ll II, il III trite ch'ella di V -- andare il lil 1 l 'a  sua, com'ella prima faceva, e molto piu..... m (il V. a Quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio, ad perare, che  a fatto non avea il: altra parte. » Bocc.  Ed ecco venire in camicia il Fontarrigo, i quale per torre i panni come  a fatto avea i dalmari, veniva..... l3o a... non v'è oggina, chi ad un amicº, terreno non creda pil di quello,  che faccia a I)io. » Segn. a I)avano vista di non tener più conto di lui, che si facessero degli al  a tri. » Balºt. Ces.  « Ma veggiamo forse che Tebaldo meritò questi cose? certo non fece: voi  medesimi già confessato l'avete. l 3o. a Niuna cosa è al mondo che a lui dispiaccia, colme fai tu. ) 13 r. 151 a.... ilſſuale non altrimenti gli lol corpi cali di li nascondeva che fareb  be una vermiglia rosa un softil vetro o Bocc. « Come suol far bene spesso molti altri, non m'ingannava., Fier.  1t)Non potendo egli per le sue malattie intendere agii studi quanto face vano gli a Irl, º d egi I l Istora Va Illesi e il 'dite coll..... » (.es.  a Dio tranquillasi assai piu ti sto che in li fan l'onde di turbata peschie a ra al posar (l, vei iti. » Salv.  a Amatemi coln, io fo Vol. (io/ zi. ) !  e Cosi l i poppavano colti i madre avrebber fatto ». lSocc.  S'io mi conoscessi così di lieti e preziose, ci rime io fo d'uomini, sarei blloli gioielliere. I,il Vlati  II. Ed era si gri il de il percuotere che facevano il Sielli e le lololar,, che slavi, la V il 110 Il loro o il il iie l relli.Nel fuggir ch'egli Assi i lill ta faceva lie, una foltissi Irla sei vil, gii in cell le ll ' la g 1, l. 1 Isg, i Zl: 1. S - li.l'el Issa i cori e se li 1, l su tv li intendere e del guardare, ch'egli i' leva ch'esso facesse le,i di 1 min. 13,.()n l'e (olls gli::. in l. ii dare che fanno per mezzº a tutte le ribal (l, l' e.....! I3: il t.Qlle rigoglio dal scperchiar che fanno le linesse de gli il ll ' (ssell (lo 'll - I ll. (..:Per esaminar che facesse egli in desino, ogni azion sua..., con quella Sotlill-siIrla a ' ll ratezza º le farebbe ! l... I l di pill roso e maie a milm:a  “ to........ !! (sali 1,3;  -  Il III ore il plli ſi te e il martellar che faceva il povero cuor di l.u cia.! Mla liz.pero che tro) po lisa: il si logorava a disciplina del santo, la l'ecò il pit l i-erlo, si illo e Irl) Il lt, il battersi che facevano con alcune a discipi ille, o il de ci si ill si Vºle, tl a V a Ill quella dei santo.... Dari. a... al Illale il saporito bere che a Cisti vedea fare, sete avea generato ». I 3 mcc.« I)a (Illel ol'l'el' che gli viddero fare il lla volta (ll... I3:l rt. colll'elera il d a loro, per venir me: io dissecar che questo faccia, non perciò se lº svil I llia.. ll::lzi... » 13 arb.I l piangere che lo l il re in teneriti fino alle la grini e vedevamo fare al mostro fratello, ci reco ad altri pensieri, e avremlino a condisceso, se non  clie...... a I3: l l'1. Ne I llli loro a spe, e ne vide i gli eletti, quando nel darsi che fecero per lo mezzo dei barbari, mist ro tale sp: vento... ». Iºart. il l. Il liv fa l la teli per atissima stagione di pri  Il l: i ver, l.. I 3: l...... ll vi fa lin'. I l la derisi e greve º I ai t. )l re a ciò al spiaggia di Malacca fanno venti freschissimi, o l'art. l'etiche, a ragione di tr Inn ti che vi fanno spessi e gagliardi, esse « (case) non abbiano il mio volte sopra al chi. » l?art.a Ben so che per te farebbe di lasciare il vincoli e li poso della carne a e alrdarne a Cristo ». C: Vali.. io -il ebbe il lile).e Niente ha i sapor di biada e perciò tu non ti fai a me, nè io mi foa te ». Fav. Esop.« Non fa per te lo star tra gente allegra, Vedova sconsolata in veste negra ». Petr.Fanno pei gran disegni e mutazi e Ilori e da la dare ove la posa piu ti rovina clie la tern rità. » I)ava zMa perchè nell'acqua chiara ! ! - i lig lio la l et le ia V gg li: la torbida fà per chi gli vilol piglia ', III: ng ſare. l)avanz.  Noli può fare li Ill re: I l e - - al 1ori la lol (III il tal11:1. Sºg Il ..-e egli dice, N 1 il por io può fare ch'ei rion si p it,  e se n'esce ri le 'le, quell'avel tº Inlito gii accresce il dl!. » Da V. in quanto piu' alie d ' Iº che agli uomini, l' I, olto parlare e ling o  quando senza esso si possa fare si disdl Bo 155  l Ia' tll a Irli in olii o li or fan sedici anni, i l... (l Slla V a 56  IV. a Suo cimitero di Illelia part la lino (1 Epi:ll'o ti 111 i su: i seglia -  e ci, (le l'anima col corpo morta fanno. » l)a 1; e I epili i go, suppongo io,  giII il 1 a 1 Ma il popolo che vuol ci ala e il faceva chiari at ali adozio e, a I) avanz « L'anſica III e Imoria fa il torri pi di icato dal..., I): v.a La tua loquela ti fa mi i lifesto manifesti rien! Di qui la riobi! pa tria nati. Alla quale lo sa lui troppo mio' si o I): inte. i s'ipno, ti appalesa – verráth dich.a I), Pietro in ritiro a Solo quel divario era oli e la S. Vg -tillo faceva da Fausto Manicheo si primo mi:i stro: S. \ mily g io. L'uno tilt 'tori e leggerezze, l'a lt) o frutti e -: il lezz' o I): V. Lc fo partito per di qltà ». Fier. a Dunque hai tu fatto lui bevit re. e V., o di siti - 'e gli dai taccia) Colli i clie ha il ll ll gli fa l'i....... 11: li l 3, i ll l 1:1, Illeſ le co; to fa lrlestitºri E questo fa cli: i lio: e Itil, i ni li stili lo i libri li. (s.  i Mla poi li è 11 11 si | lo fare i lic lºl - 1, ' - ri - i l. 1,,, l  a dio alcuno, nè posso - I gri e 'a e l' a i 'tr... ll ' Ina - - a ledir Cadmo e chiunque fosse altri di quelle teste matte che ritrovarono a questa maledizione dello scrivere. » Caro ottenere, fare a meno)  « Mentre che.... io non poteva fare ch'io non mi doleSSì almaramente. » Fieren.  rate che al nostro ritorno la cena sia in essere. » Caro fate in modo,  procurate) I)eh se vi cal di me, fate che noi se ne ineniamo una colassù di queste papere. » Borg.e perciò una canzone fa che tu ne dici qual più ti piace. » Bocc.  l'areva che non ti l'i sole, il la a Sinigaglia avesse fatto la state. » lºo:. passaio, trascorso (ono fatto fù ii (li chiaro verso la si dl lizzò., Bocc. | - Il sul far della lotte e presso della torricella nascoso. » Bocc. 157)  l'altra urla de l'en li colli l?olna li.... Susilli non se lº cura; fanno per tutto, purchè grasso vi sia. » I)avanz. Colne ogni altro frutto tra  piantasi il noce: fa per tutto viene adagio: dura assai: appirasi agevole: la ombra nociva, onde egli lla il nome, o Da V. 458)  V.. Il quale come egli vide fattoglisi incontro gli die lel viso un gran punzone. » Boc i 150.  « Onde non è mai raviglia, che la llclo, la lit I anni al presso come si e det to, vider co'a ll no della compagli 1.1, gli si facesero tutti incontro a domall darlo del loro padre, e se v'era speranza di mai piu rivederlo ». Bartoli. « Chi volesse cimi (1 lt; lr sl lol a V i rl facessesi innanzi a l):ì V. « Ma ancora aspettano di dirle altro, e fannosi innanzi, e mettonle un cotale pensiero. » Caval.a e allora si leva rollo costoro, e il maledetto Giuda si fece innanzi, e ba (“iolla) e disse. » (a val. a Ver me si fece ed io aver lui mi fei ». l)a lite, Non posso farmi nè ad uscio, nè a finestra nè uscir di casa, che egli incontamente non mi si pari innanzi ». Bocc.« in vista tutta sonnachiosa, fattasi alla fenestra, proverbiosamente disse: chi picchia laggiù? » Bocc.« Fattoni in capo della scala vidi e sentii tutto ciò che passò tra loro. » Bocc.« Spinelloccio è andato a disinare stamane con un suo amico, ed ha la a donna sua asciata sola, fatti alla fenestra, e chiamala, e dì che venga a « dosillal' coll (esso lì oi ». ROC Cº.« Fattosi alquanto per lo mare, il quale era tranquillo, e per gli capelli a presolo, con tutta la cassa il tirò in terra. » Boce,a li contemplava dalla riva in lotta con le onde, perchè da oli passion « Inosso fattosi alquanto per lo IImare, dopo Illolto affaticarsi, li l aggiullse, a li prese entrambi per le vesti e tirolli a terra. » Bart.  « Così senz'altro dire, la buona quaglia starnazzando l'ali per ia gabbia con più empito che poteva fece tanto rumore che il padrone senti, e fattosi e alla fenestra cacciò via lo sparviere. » Fi(l'enz.  « E facendomi dal primo dico.... ». Ces. 460).  a Fatevi con Dio, e di Iile non fate ragione. » Sarch. COllſ. l' 1 rte I. Ca po III.)  a Fannosi a credere, che da purita d'animo proceda il non saper tra le « dolllle, e co' valelnt'uomini favellare. » Bo -. 161« Il che se la natura avesse voluto, come elle si fanno a credere, per al tro Inodo in Vrebbe lorº limitato il cinguettare. Bocc.« facendosi a credere che quello a lºr si convenga e non di sºli a che al e le all re. » IBO(''.« I vestimenti, gli ol'namenti e le caliere piene di superflue delicatezze, le quali le donne si fanno a credere essere al ben vivere opportune o Bocc. « Ma questo io mi fo a credere che fu un giuoco, l'n tranello, un lavoro « l)i quel malvagio | risto!.... » Buonar.e Pognano il torto a tua gente, la quale molestando i paesi pacifici, si a fa ad uccidire uomini, bruciare templi, sparare donne, sforzare vergini!...» Lett. Pap. Nic. « Chiunque si farà a considerare quanto..... !!, (l'ulse: i « La vide in capo della scala farsi ad aspettarlo. ) Bocc.  VI. FARE COL SENNO, COLL' UMILTA' (e simili. 462). (rl lidogllerra ebbe morire ed in sua vita. Fece col senno assai e con la « spada. » IDante« Fd ella incontalmente lasciò quella risposta, e prese conforto e disse: e io farò come la Cananea, coll'umiltà e coll'improtitudine e colla perseve « ranza, pure per avere da lui misericordia, perocchè m'è detto ch'egli è tut « to benigno e misericordioso. » Cavalca.  F VIR SENNO (53). « Senno non fai se llor: lla i telli ſi gli Idi. » l)ittaln. « Meglio di beffare altri li Vi glla rderete, e fareste gran senno. Bocc.  Fl\l8 RAGIONE (che..., di..., con...I. Ma io fo ragione che i nessi tornassero tutti affrettati, e dissero: ve « duto abbiamo che questo maestro è testè passato per cotale contrada... » Cavalca i 464)« Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo « andarti molto prospere, e fa ragione che tu se' atto allora a sdrucciolare. » Martin Vesc.rai:  e Ora per non i petere.... io fo ragione di non tenere un disteso ragiona  lIlCl1to. » CCsari. « E peroc he.... fece seco ragione di rimandarmelo ». Ces. « Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco, per saper di che tu e ti rammarichi. o lº intenderIileia con..,« E pero a te, siccome a Savio,... ti convien confortare, e far ragione che Inal ve lli: a 11 mln l'avessi, e lº si lalia a indare. » I30 c. 465)« E - I fate ragione, che pe: quellito egli potra, Sara Selmpre il primo a a rovesciare sopra di voi la sua colpa o Segn.lº co; i forni 1 e lo ch sll edette allo sventurato Saulle fate pur ragio « me, l tito:i, che avveni del bri a tutti i peccatori. » Segn.« E in esso luoco, fate ragione che il Signore venga a purificar quelle anime, quasi lentro un cro, illolo terribilissimo, finchè depongono tutta « l'antica storia. » Segn.E pensonni che Gesti i Marta disse: fa ragione che tu mi vedessi in a ferino, come si mo. -toro, hº giacciono qui entro, e in così gran Drsogno, « pensa quello che li fa resti a ine, e fa a loro ». Cav.« E però dico che i lutti l sua sollecitudine pose di far bene l'ufficio, che a le era dato di lui, il quai ella vedeva che tanto gli piaceva, che poneva in sè la p rsona e l'era se: vita. Ed ella cosi faceva ragione di non partirsi a da lui punto; e qua:ldo serviva il povero e l'infermo pareva a lei servire Cri e sto nella sua persona, o (v. a E fa ragione ch'i' ti sia sempre allato ». l)ante.  \ V EI ) l I () - – I VIR SEM1  I \ V IS I \ \ V IS | | | ) | --- l' A | 31.VN Tl....., ella a tal - i vitiche1ia, facendo vista di non avvedersene anda va i colti e in colite- io. Boa l l' allora fe vista di: andare a dire all'allergo che egli non fosse atteso a en I, p. I d p moltº ragionamenti, postisi a cena, e splendida In nte li riti, va i se viti, astutamente quella menò per lunga fila al l: il l - lll'a. » l oe l'appa ma i ti r; parevano molto religiosi e molto costumati, e gran vista facevano di cosi essere ». Cavalca (66).l'il, l'io li in voi i 1. ll scostarsi da Itolina, e ogni anno faceva le vi « sto li voler visit lº serviti e le provincie. Mettevasi a ordine. Ineve vasi, fermavasi, o, ivi in inet, orire la ti gallo, onde di evano gallopiè. »  l):n V:ll 17. a E fatto prima sembiante il sere la Ninetti messa in un sacco, doverla a qu. te t - il. 1. Inizzerare, se la rimeno alla sua sorel  a l:n. » i 3 t. E quando i s rso i litro fecero sembiante di meravigliarsi forte. » H3 ).. Fatto adunque sembiante d', li conoscerlo, gli si pose a sedere a pie a di.. I8o.« Quindi vicini di terzi levatosi, essendo gia l'uscio della casa aperto, a facendo sembiante gli vs si a' tr Inde se ne salì in casa e desinò. » Boceº -.... e cosl ad Andreuccio fecero veduto l'avviso lol'. » Pocº. 'diedero a vedere, a conoscere) 467,  FARE AI L'AI TALENA, ALI..\ IP.AI.I.A, A I.I.E (..AIRTE, AI.I E (I ) I, TELLATE, A SASSI, AL MAGI IO, (e simili). a e per vilificarsi faceva al giudo dell'altalena. » Fioretti. « QuiVi si fa al pallone, alla pillotta. » Lippi 468) « Noi abbialno carte a fare alla basetta. » Cant. Carli. « IDicesi che c'era un tratto un certo tempione, che si trovava un paio di si gran tempiali, che facendo alle pugna con chiunque si fosse..., non si a poteva mai tanto riparare che ogni pugno non lo investisse nelle tempia. » Caro.« Siccome, se tu fossi nato ill (il e ia, dove e corrottºv le esercitar l'a rti a In e cora giocose, e gli Iddii ti avesſero fatto nerboruto coine Nicostrato, iº non « patirei che quei braccioni nati a combattere si perdessimo in fare a sassi a o al maglio, così ora dalle accademie e dalle scene ti richiaino a giudizi, e alle cause, alle vere battaglie. Dav.« E' facevano al tocco, per li avea a Inter: 1 primo di loro. IBllonerotti. (469)  FARE A CIII PIU'....: FAIRE A FARE CII ECCIIESSIA a gara – um die W ette). « i quali con altri magistrati fanno a chi più adula. » I)av. « Ma lldendosi allora ()tone e Vitelio, con iscellerate all'Illi, fare delle cose) umane a chi più tira.... ». I)a V.a che è quanto dire che più di mille e mille lingue fanno continuamen a te a chi più squarcia il buon noi, e degli innocenti. » Giul).« Vennero subito gran guantiere colme di dolci, che filro presentati pri « ma alla sposina, e dopo al parenti. Mentre alcune monache facevano a a rubarsela, e altre complimentavan la IIIadre, altre il principino, la bindes sa fece pregare il pricipe che..... Manz.  ſ'.ARE A FII) ANZA, V SI(U IRTA' con..... a perdonatemi s'io fo così a fidanza con voi. Bocc. « Coloro che fanno a sicurtà colle riputazioni e per sin colle vite, non solo (le” cittadini, ma.... » (iilib.  FARE ALLE PEGGIORI con i contenersi, governarsi nel modo peggiore) « Augusto senza dubbio inizio l'I: neilla a fare alle peggiori con Agrip  a pina. » Dav. « Egli tanto più il 1 furiava, e facea con tutti alle peggiori, fin lì è il re il  a Inandò cacciare come il Il ril):I l I liori li pii l:ì gi. » I3:urt.FARE A MICCINO: consumare, od altro, con gran risparmio. Miccino vale pochino e a muccino a poco a poco. 170)  FARE A SAPEI? E a crerti, e, ammonire e simili. « E quando tu la intenda altrimenti, io ti fo a sapere da parte sua ch'egli « Sala tanto (Illa Into e ispetta a Sua Maesta. » Fier.  FARE DEI. SAVIO, DEL SUPERBO - I)I.IL PAZZO -- DEL BUON COMPAGNO –- DELl. UOMO e simili da sl l'aria... den gelehrten spielen ecc).Allora il corvo, che tacea del savio e dell'astuto prese carico sopra di e - d'esserne (il re... o lº le reliz.« Il che udendo la testuggine e volendo far del superbo anzi del pazzo, « senza rico: darsi dei e aminionizioni datele, plena di vanagloria disse.. » Fier. Volelrd, far dell'uomo essendo lo stie, Illalrdano llla e e rovinano « non stilainelli e.. » Fiel'.« Ho fatto tanto del buon compagno che me – il lio acquistati tutti. » Caro.  FARl, \, FARSEI, A CON contentarsi.... stai con lento a....). e Domandò come Silv: la facesse, quello che fosse della moglie e.. » Fier. « Se la faceva la miaggior parte dell'itino all'usanza dell'Indie con riso; e e quando piu sontuosamenie con in poi, d'erbe condite sol di ior mede « Sime. » I3art.  FAIRE I,i,() V.. l) il liut ) Ni lºrº in l. FARE ILE BELLE PAROLE e simili. « acconciarsi le parole in locca. » l80 parlare lorbito, in quinci e quin di ecc.)« Ed ella, facendo le belle parole, rispondeva che le era a grado assai, ma « la dimora, l'eta, l'ufficio.... e º no pur cose (la polmderarsi.. » Fier.  FAI? FORZA AI ) A I CI NO) – FAIR FC) I Z \ l)l Q. C. I 'ARE I)i FORZA ci avvisò di fargli una forza da al ll ma l agioli colorata. » Bocc. « Colnili ciò a gridar forte: Aiuto, aiuto, che conte d'Anguersa mi vuol far forza. » Bocc., il « La reina faceva ai giudici forza dell'appello. » Dav. « sa tanto ben ciurmare che incorrendo in contumacia, turbando posses a sioni, e facendo di forza, la cagion gliene comporta.... » Bocc. F AR M1 T TO AI) ALCUNO (v. Parlare Proml.). 'FAR FALLO A abjallen). a donne le quali per denari a lor mariti facessero fallo. » Bocc.F A R CONTO DI... CHE (daraui gefasst sein, sich cturas u oill be mer ken – bedenken ecc.).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui, trionfali dolo ill lor stessi,  a e faccian conto che i pericoli passati son minori di quelli che sopravver  « ranno. » Bart. e sappiamo che...., e sian prevenuti che....., e ponderino  bene che....) a Dunque dovrò starmene tutto l'inverno tra questi geli e durare si lun  « ga fatica...? Fa tuo conto. » Gozzi a Le saranno adunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa tuo conto, diceva  il padre, le sono appunto candele. » Gozzi.  FAR BISOGNO A. Q. C.  a e le nozze e ciò che a festa bisogno fa e apparecchiato. » Hocc.  FARE AI) ALCUNO SEI? VIZIO IDI SUE I3ISOGNA Bocc. I)av. I3art.,  I ARE CEFF ().472. a farebbe ceffo a questa fiorentilliera che cosi le propri la nostre appe.  con barbarisino goffo e sllo e cellsll rel'ebbe così. I a V.  l'ARE ACQUA a Cercar di al III la sorgente ove farvi buon acqua. I3art. Fier. a poi ripigliò: forse il dite perche quella nave qui una volta fè acqua. »  l3al rt. 473;  I AI? CARNIE: I n di ch'ella acquiia, era ita a far carne. » Fier. º e Ini venne veduto quell'iniquit so giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne, e gia giacerne i suoi piedi tre, tutti imbrodolati di sangue, che ancor davano i trat..... » Fierenz. |  FARF II. TOMC) Conf. Cadere Pront.. FAR CERA (da Kairen). “ lo indusse a....., a far gran cera. » I)av. FAR GREPPO quel raggrinzar la bocca che fanno i bambini quando vogliono cominciare a piangere) Crusca (474)FAR GESU' congiunger le mani in atto di preghiera – vive in Toscana FARCI II, CAP().- FAI? E TANT ()Farci il capo vale averci pensato tanto o pen-acchiato o provatosi di pensarci, che nºn se ne intenda più nulla, nè anco le cose chiare e che si vedevano alla bella prima.Fare tanto di capo vale sentirsi stordito o da pensieri noiosi o da mal CSS el'e o da rumori.M'avete fatto tanto di capo, dicesi ad un uomo parolajo ancor che ne in parli a voce alta, purchè coºfonda ed uggisca la mente. Così Tommaseo, Gherardini, ed altri. FARSI RELI.O:“...... che se ne fa bello per aver tradito le tre legioni smembrate ». Dav. l'AIRSI LARGO allargarsi, agevolarsi la strada – avere i mezzi di farci rispettare e di avanzare presto nella via che prendiamo.) « Coloro che per le corti colla virtù e colla fedeltà si fanno far largo ». Iºierenz. « se non vi fate largo coi donare.... ». Cecchi. --- Farsi largo colle chiacchere, coll'ingegno. -- C'è chi llell'ultimo altrui si fa largo donando, chi domandando, chi piangendo, chi ridendo, chi co mandando, chi in Inacciando, chi lo dando e via Via. \ V ER A FARE CO)N..... I)I a bella donna con cui lo imperatore ebbe a fare ». Dav. che ho io a fare di tuo farsetto? » l8oce,  Note al verbo  Fare  449, – Non curo di molti altri usi, vi oi con uni ad altre lingue, vuoi notissimi e frequentissimi an ha oggi, p. es. far lare nel doppio significato di ordinare di fare, e di cagionare di fare  fare apparecchiare checchessia anferlingen lassen – fare all'l'ossire ullo – l'hre Arligkeiten mitchen mich erròthen –  Lessing.  fo0 Anche il to do degli Inglesi ha tra gli altri molli, un uso pres. sochè eguale. Es. The day techn J sau him ho looked belle lham he does nou'.  fol - Quel come lai lu sta per come dispiace a te. Nola inversione illicola di costrullo e dell'ordine l'azione.  4,2, (iozzi chiude parecchie volte le sire lettere così.  3 - Nola anche il secondo: che ſarebbe il fare cioè del primo gruppo com'egli stà per un verbo del primo inciso sottinteso adoperando..., che adopererebbe..... º, o per l'anzi detto esa m in tre: colla quale esaminerebbe ecc.  4, Per dimolare lo slalo di essere del tempo, dell'aria, del mare sillili, o loperano i buoni scrillori assai sovente il verbo ſul re': come latino i francesi il loro laire. – Guarda come,  i, - Mlodo a lille l'altro antic e dell'uso far senza (una cosa) ci è pol el sºl le limitinº l'e - esser star bene senza.... ».  fºſi - I granimalici li apprestano indi la regola: « Fare stà per  lº minare, compire, rattandosi di Iempo, e ad esprimere quan lilì passa la lo mi trovo più semplice la formula che anche il Tuesto caso il verbo far fa pel verbo essere,157) – Nota di questo gruppo le maniere: lorº la state, l'autunno ecc. il farsi del dì, della notte ecc.  458) – Analoghi a questo fare sono i mºdi lar buona proºº, fa, gran prova, provare. Conſ. Pianta. Pront.  459, – Metti a serbo i modi: idr si incontro: larsi ºººoi farsi in nanzi...; larsi alla porta, alla fenestra: larsi a credere e simili.  460) – Simile: « E iatlosi dalla in attina venne lo raccontando... » Ces. - - - - - Dicesi anche: farsi dappiº, per cominciare dal primo prin cipio.  it:I – Pon mente al senso del pronominale farsi degli esempi an tecgdenti, e ti sarà agevole intendere come il modo farsi a credere non sia come melle qualche vocabolario, un credere a dirittura ma un accostarsi, recarsi, darsi, inclinare a credere. Simile anche l'altro: larsi a fare checchessia – cioè mettersi prendere a...  4(2 – E' ingegnarsi, studiarsi, faticare ecc., adoperando il senno, l'umiltà ecc. – Far colla cosa sua. Non gli dar noia.... chè egli la colla cosa sua Cavalca pare che dica sempli cernente adoperar del suo.  463) – Vale operare saviamente, metter giudizio emendarsi. E' modo elittico, simile al precedente ma di significato assai più ristretto e talora diverso. s  464) – Traſduci: mi penso, mi arriso. Si adopera questo: far ragione che..., di..., a più altri usi e significa quando supporre, repu tare, e quando stimar bene, opportuno ecc.; mentre far ra gione con alcuno vale intendersela, fare i conti e simili.  465) – Far conto che, dicono i...ombardi. Simile anche il seguente del Segneri.  466) – Far vista, far le viste di ecc. è altrettale che fingere, dare a vedere (v. Dare); sich stellem als ob....., Miene machem, sich den Anschein, das Aussehen ſi bem. Pilò però significare anche semplicemente sembrare, parere: « non facendo l'acqua alcuna a vista di dover ristare, presi dal N. N. in prestanza due mar lelli. » Bocc. Anche il nodo detr vista (conf. 1)are) è usato dal Sacch. e dal Cesari (e lorse anche da altri che non ricordo): senso di lar rista, sich slellen ecc. « 1)avano vista di volervi « andare. » Sacc. « I)avano rista di non tener più conto di lui « che si facessero degli ºltri. » Ces.  468) – Nel traslato: fare alla palla dei quattrini vale spendere senza riguardo.Si fa alla palla di checchessia quando avendone a josa, non si bada a risparmio. Anche la frase: lare alla palla d'uno ha senso non guari dissimile e vale traslullarsene, dargli la balta, prenderne giuoco, fare a sicurlà de fatti suoi ecc.  467) – Questo modo far veduto pare che abbia un doppio senso, e si usi tanto a significare far si che altri pegga o gli paja di vedere, quanto dare a vedere, lar sembiante ecc. « le iè ve duto di uccldorli » BOCC.Così pure dicesi: « far vedulo di commettere, di perpetrare ecc. In questo senso usasi anche l'altro: far vedere. » venne un medico con un beverag 21, e lattogli reale e che per lotuſosta ICIulu. I « e lo 5 allop oddo.15 Un'; Iso, o IoitIt: otp lºp o  puqquI I ouuº ollo IS.It All I lºp olioIA os IOI o II.) BAIA ost.I I » – (3 li  - ll T. -uui uu.o Idl I « mhop Imi lood ºzuos e.lolu uluti ſoli al QuUIels e][0.Alu l ol[.) e Illo,I u Ip (IIIII O]UIelo.) (UIII º II ) o, pullo Iod pm bam api Ip osn, I o IIIssItini il o, o od o lou il timbrº p Is.IopeAAO.Id Q olduioso 0.Illi, lot o I] Ioli manlaodm oil al pm b  uod mh.op, I le.I]tto toIIIUlis onl. I pi ln() eztl.).Io]Ilp eloN - - (gli  uol.opu or) p. I: ossa: I a 9.Iu 5IoA opotti lot ou. Il sopo I oddiº o IliioosLI o IIo N.  tºzuoloIA In I “uz.Io e Insn alu.I -oUoS UII eoUIuisis (olduttoso ottil III liop) pc lol lp o. Di opotti II un illup llp, mo:) Iols )llo, no!) loo oolpe, il Co, sopo II o II.) o | | Il I Isti.Il '.I]od (OloA [oſ [0, oluooo IlS sopueSu lost Oiolo le prof pl.oool I o: OICI e ouuu è Iopulso.Id el ouo ez.Io] el º.it / l'Is Out oli ut: qui o ostº.I | Ip Ici.I e “o.IoSuII.ilso,o un N (Io.I I o Io ti uli Iso, JUIO )) o.Ioi II.I]s -oo Iap ouo o Iez loſs ottºz.it I lop Il pd to Il prato i pl II IIenb eplau ooo ufos « lama luo pm ns. oi ml III o uso o il n.IIIIGI ) dd SS IA (o.llitt.top non lº pztof l l lo Io: l UIonios o Ilop mz.tol ) un loo ollopns Istº.Il flop “ps.iol pun o. pf pr.toi trof. II lod o e opuoguoo UION luppoI SS )IA (mr lo? oso).to.) o un ll fiopuo.rmi o e o Iel 5ueu e olotto; Ind lºttout IIIonb oIopuolo.A » oso).Ioo o oIlluo3 opoUII UI! QUIolº II io.A.Al ' IoitII.I so,o un o.I(Ittios o po “pzuol asoluoo pun otni ollout: Qn i S o,oo I luoloIA o Inslui “o.Iol -od p osnque po osta,p o IoA).Ionº olle (Inp QoloIII ons IoToA In olrmu5epuniº o olio;iuti.Ilso,o ol.In pur o ooºoooº I top ellione ulu.5oIUe,I opuooos ole.A oum.o)p pm vs.tol pum olmi o pcaoſ 1D.I – Ily  outloollll D o 1 pp out.), lui lo o.tpll pd oII.) Ie IsooICI – (), luooo) glo e opuºluo, “l.It ds-p o lred as ou5oAtto II opu0.oos o elp mld o oun opuello 5  l Is o “eso.) eull UI! Il looo) lu o lº odopo.A o[U.A O.).ool / D olm, I – (6),  (o topo.to llbollmſ ollo ossols ol ooogl. lg olt, uouLIOppe otto “llens o lo)s QUI o loq ooo I lo! [5 e Aup OlogIS Ital Ip o luouaol Ili  iFrenciere (Pigliare)  sia lº cºsi di lºro - il mo: into a chi non ha mai o l: lingua italiana – quello che si è mola, sin 'I I. (Il les (il n ad (SS (l' \ i re cosi di questo cori li ai ri veri tra loro - r. 1,ºrticolarità di della I i licli, e lassici, q o no in una º i il Zii, il colal girlo che non la clin a pezza, ali di si ! "i sanno che cosa voglia di e prende, ma i I l ' s ci ii, alla l' hissimi, che ne usano i d, e, l in A, is simo e i I i di classici del medesimi sono da Lilli il si e al ci a uno lors, ma li avºltº il peregrino. Chi lo intende, a cargoli d'ese p. Il valore, ma i le poli 1 ai linelli all'uso: bo i  l'rende e dilello, prende i mali con ri. p, i lorº con l i........  consolazione: prendere p, i ti; i mal. ): i i 'ti li' li ti, prendler guardia. Sospello; lo: l ' s.  losi, i di qualcuno e.: pt ºutlc i l preso ad atleti no bene, ci pass. p pºi lº i dire: il fare clic li ssi, i pi nel I e il I i gio EpptI re li. Il sol li: V g: li e lode. I re. E ci l  si si | | | e cose. e prei I l i s 1 si lilire e maniera li i pir. - di  il Italo.  “.... pil per istrazia, lo li, pr diletto pigliare i: l si  e Iſ) di Illesl e os º prendendo annni irazione...... il II l r chi alla toll:I n. I),li (1. (...  a Ella d'altra parte o il I e - e clerlo; o secondo l' ill Iorli; i vi, i i miglior tempo del  lo II e il -  mondi è mrendendo il li tl (. Il li l, l si o di non avvedersi di qll st.  a Tu puoi di quindi v lere il 1 l - i N si - li l  Inattilla va tlitto solo, prendendo di porto i. (illata Hilaldo e I liv. ri.I l ril, 1, E molta ammiarzio i seco prendea,  a Chè gli parea ognun fiero e gagli E \ - jardo » l'ulc. Luigi Morg. a Ed ella Maddale: 1: il corti. Il nte la s lo [Il ',,, - -ti e prese confor. to e disse: io farò come la Callanea ». Caval l. a Laonde (gli diceva: Se io (Il test gli dis, la di me e.... le mi metterà il odio, e cos l III li il l: l li, i « moll avrò ». Bocc.a Bergamino dopo il Illanti ril, li ! I vi - ge:Idosi il lil IIIa l'', li richie  a  - I prenderà g -dere a cosa, che a suo inestier partenesse, ed oilr a ciò consumarsi nell'al bergo co' suoi cavalli e o suoi fan incominciò a prendere malinconia:  r  ma pure aspettava, non la endogli lie: far li partirsl. Bocc. «... e nondimeno di queste parole di Gesù presero un grande conforto nel.. ll or loro». (.a Valca.e Nol) Vi si l a 1 i lil l e la coinsolazione li vo: prenderete le! Seilt il'.... che egli non vi debba essere altresì utilissimo il vedere....». Cesari. Senza questo, i lus, ira vºi li i ogni fatica, che ci si prenda intorno » Borg. « La seconda cosa che e efll ace rimedio contro alla disperazione, si è la virtu deila e ilterza, che la prendono vigo osaliment.  col) folt:ì e sostit ss i v.  « Menagli questo cammielo e digli che ne prenda servizio ». Cavalca. a E voi appresso con III e o insieme quel partito ne prenderemo che vi pal rà il migliore ». Bo c.« Ora il n dl avendo gia lº l l: presa grande amistà con esso loro, il tanto che lui si la l util Vallº li l l'o, - zia 'liente per lì è Vedea no l el' fettamente in lei Cristo abitare; per la qual cosa di lei niuna guardia o sospetto prende anc..... » (. I v.: 1.« Di che la donna avvedendosi, prese sdegno, e...» Bocc. « A \ onla I sta i presi -. 3 i ari. o Il re, o la -  sciarlo a B) c. 5? I  V edi, a noi e presa compassion di te » I 3o o??”. La buona Iellini il l Ill st V e del do, me le prese pietà ». 13o e. «....subitamente il prese una vergogna tale che ella ebbe forza di fargli v II, il l l Il l3,Gran duolo mi prese al cor, quando io intesi ». Dante. a l 'Il cavaliere la domandò, se ella ne togliesse a fare un altro: rispose « che nò; che non le era preso si ben di lei, che ella si dilettasse di farlo » IB() ('.« Con la piacevolezza sua aveva - la sua donna presa, che ella non tro « vava luogo....». Bocc. (fatto innamorare di sè).  Prenderete subito tiltti a Iuliilli il re i tº o di me... » l)a V, 'comince rete,23).Il quale facendo rumore, che molte strade d'Italia eran rotte, e non abitevoli per misleanza dei conducenti e trascuranza dei magistrati, le prese a rassettare ». I)a V.sol per onore di lui prendeva a condurre quella, per altro troppo mai -  e gevole impresa ». I3art.  e voltosi al popolo prese a dire in questa guisa ». l'8art. -.... stabilito com'egli fu nel trono, pigliò di modo a preseguitare i Catto  « liri che.... » Segm.« Ed ecco che ella medesima prese a trattar di rimuovere dall'Imperio « Neron, suo figliuolo ». Segn.  « Anzi cred'io, che il rigetterebbe la se, ed in cambio di voler più protog e gerlo contro ogni altro, lo prenderebbe egli il primo a perseguitar » Segm.  E così in piedi, prima di deporre ancor gli abiti di campagna, prende a a fare una lunghissima dice ia.... o Seg.  Ti piaccia ancora di por niente ad alcune altre frasi nolevolissime oi verbo prendere ed anche i cerli usi del derivato Pi esa.  PI (ENI) Eli TERRA – di una mare, approdare, alle ra e PI ENI) Eli MIARE – PI º ENI) I.I è IP()IAT ().In quel ritorno g.i avv (-lili, di prender terra il C: la lorº. I3art. e così le rinaio, alle ore il ſos - Illor: li sta gioli, prese mare e navigo... » I3:ì l't.Erano i quattro d'ottobre, quando i nemici, preso terra, e ordinatisi in pit squarire, baldanz si | 1 o il 11ti -- lo ii il solº a li l e, si ill  via l'olio al il 1 l l'olta rsi St...., l il l'1.  1 | | | NI) EI? (..AS.A SI' A NZ V ſe i nati e slanza, cºn l rai e ad albergo, slan zare,  I 'I? I.NI ) ERE I IP.ASSI o Nimili ). 4 a ci ritornò e presa casa nella via... non vi li gitali di litorato le... »  Bocc. a colsero in gran numero chi a prendere i passi, e li ad avvisare di  lui per tutto il paese di cola fino al mare e l'art. a Floro s'ammacchiò; vedendosi poi presi i passi dell'uscita succise  Da V. « si spartirono chi quà chi là, e in un tratto presero i passi ». Fiorenz.  1 l? l.N1) EIRE l'N SAI,T (). « e posta la mano sopra... prese un salto e lussi gittato da l'aitra parte Docc.  I RENDERE UN VOLTO, UN VSPETTO sereno, allegro, soltre, giocondo, grare, terribile ecc. UN MI \SCIIIO ARI)Itli e simili lari. ('('N. ecc...  l I (; LIAIA LA MIA LE - sbaglia r la struttlet.  « Ma io mi accapiglio teco, o Materno, che aver il ti la natura l'latitatº lº « su la rocca dell'eloquenza tu la pigli male, hai cons - uito il megliº º il « attieni al peggio ». l) V. 525. l'RENDERE Q. C. IN FESTA EI ) IN GABBC) – PIGLIARE A GABBO. « Inteso il motto, è quello in festa ed in gabbo preso, mise mano in al  a tre lnovelle ». HOC ('. « Che non è impresa da pigliare a gabbo Descriver fondo a tutto l'uni  “ Verso Nè da lingua che chiami Mamma o Babbo ». Dante.  I ]RENI)ERE SC)N NO. “ Aveano ciascuno per suo letto un ciliccio in terra ampio un gomito, e lungo ti e, e in questi cotale letto prendeano un poco di sonno ). Cavalca.  I 'RESA – Pretesto, molico, Anlass, V eranlassung) AVER PRESA, 13UON V PRES \ V DIRE A FARE – opportunità, ap picco, buon gitto o  l)Al? PRESA A...... r. l)ai e. a Sesto Pompejo con questo presa di minicare Marco Lepido lo disse da ! ! iellto, lmorto di fame, vergogna di casa sua....». I)aV.  FAR PRESA. a Sono imbarazzo da leva l V la colli e le centine e l'arma dura quando la r vòlta ha fatto presa ». l)a V.  Note al verbo  Prendere  520 – E' il to take degli inglesi nelle note forme: To take delight; to take pleasure; to take cold; to take a turn; to take airs; to take a run; to take ship; to be taken ill; to take up, ecc. ecc.  521 – Conf. voce Partito, Parte l Il.  522 – Notalo bene l'uso e costruzione singolarissima di questo prendere. Torna quanto al senso, pressapoco, all'appiglialºsi, apprendersi di una cosa ad un altra. « Amor che al cor gentile ratto s'apprende » Dante – « E veggio il meglio, ed al peggior m'appiglio ». Petr video meliora, proboque, deteriora se  quor). 523 – li alla lettera il fangen (an lungen dei tedeschi. 524 – lnvece di occupare ecc. Si dice anche « dell'occhio che prende un vasto ozzi onle ». Bart. –- l)i una sedia, di un posto ven  duto e simili, dicesi che è preso. 525 – Cioè in cambio di far l'ol'alore fai il poeta.ne rarr  Le vere  Ha molti vaghissimi usi, e voglio si principalmente notare i seguenti:  I,EV AIRSI IN CONTI? ()..... . Ma vedendolo furioso levare la r battere un altra volta la moglie, leva º tiglisi allo incontro il ritennero, dicendo di queste cose niuna colpa aver la do Illna.» BUcc.  Coll dollnes a placevolezza levatiglisi incontro, prese a garrirne lo e.... » I30 ('.  “ La quale veggelidol venire, levatiglisi incontro, con grandissima festa il l'it'eVotte. » BO C'('.  LEV. A IRE I)I V. ANZI  « E non pareva potesse avere niti il 1 Imedi, pensando che quel corpo del Maestro suo le fosse levato dinanzi, ch'ella nol potesse vedere, nè toccare; e gri(lº Va..... » ('i Valt:a.  LEV AIRIE I)'INN ANZI V..... .... Veduta la alterata, e poi dirotta nel pianto, parve da levarlesi d'in manzi e fare il rimanente per via di messaggio. » I)av.a Pensonni che Malia il 1 ori il ciava a ridere e a Caltare, e a levarsi loro dinanzi a quei clie la riprendevanº duramente, e non le stava a Illire, sicchè costoro riºna e Vallo con Vie n1:1ggior dolore.» Cavalca. 600).  I.I V VIRSI IN SU PI: I RI; I \, IN (() \ | IPI A | NZA I ) I l NA COSA (Bart. (es. ! (50 l.  I,EV VIXSI IN AI, I'() . ()h Imadre carissimi, noi ti levasti in alto, perchè tu lossi Inadre di cotale figliuolo, e per lui.... anzi quanto era inaggi ºre la prosperità, tanto piu ti profondasti in umiltà. Cavalca. 60?.  I,I V VIRSI A VI () IR E I,I \ AIR IR l VI ()| è l I (50.3. LEVAR MoltMORIO bisbiglio ecc. d. q. c. I E VAR POPOLO (604)  « E ben liè.... alti esi non line o ani: Ived va le I' 1to l'lti l'll tºru si leverebbe a rumore. » l3:i l'1.leva losi il popolo a rumore, andava ogni cosa a l ulba o Giamb. il popolo della citta di Modena si levò a rumore gridando pace, e ('a ccia l'11e fuori la Signo; in e solº l: t., V ill. (i.“ Alqualiti discepoli s'avallo e (i lilda, e l'elison che alcuno di loro lo riprende Vallo le iniglia lilelle, e ci lil e li aveva levato gran mormorio del l'unguento intra tutta Itl lla g it sºli e i tutto indegnato per la ver gogna e Ile a V ed i VllI:I (I V: l' ipells lni le si levasse un gran bisgiglio i le genti, e molti gri di V le liti Illi e sa, e il ti? han:no In orto  (ies Il Nazza l'en lo... (:) V:. Salvo S i lº 'lzi non levassero popolo, attizz: tssero contro. » I3a r. Ciò li rebl o I levando pc polo il Fuli Ine si era latto ill Arnull gucci, e il bel tendo le rile: il lizie d l'ortogliesi a ruba, l'1 nave a fuoco, e la li1, V e allo li l al t.  LEVA IRI IN V VI \ | | | | VZI () N E ſe i protra riq lui e  l'iello il palese illello, le. - -s. I lilt lil e i parvoli; e nel se greto rise! V: lui l', lo l ss, levi in ammirazione l'altissimi e menti. » VI ) l'ill. S. (il'.  I l V V | | | | (()N | | (50),  ll el l e levare i conti. lle: vev: i l)i V (llll le ll ' o  sospiro...., Dari  LEV VIRSI IN COLI le reti di lei la e meller sulle spalle .... pastore, e li e o per la l a sti, il liti e riti o vandola, la si a Ievò in collo e le elle l 'i g! ea zii e les", l'ass: v.ti ovò un pover Iº e mio obbi lido lato, ed egli si levò in collo costui e portollo in lei in luogo, dove egli il servi sei mesi e lasciò la pace e la a quiet, sia per anno del prossimi » (vale a  I,lº V V | RSI I ) \ SI | )| | RI, I ) \ I ) ) I? \l ll l... l) \ I.l.(i (il l RE, l) \ SCIRI V l.IR l.. e simili. . La quale non altrimenti lo se da dormir si levasse, soffiando inco  Inilli i.... a l?o.  LEV Alt SI \ COIAS \ rale nellersi a fuggire relocemente, ed è bel modo di nostra lingua.lº dicendo queste parole Antonio, quell'animale si levò a corsa, e fuggi.» (il Villt':l.Piacermi finalmente inclilovare alcune altre maniere più notevoli a dell'ilso:  LEVARSI IN PUNT A l)I PIEI)I.  e e la madre guata va se fosse irreali, i fattori il suo dolce figliuºlo, e per  a chè ella non era molto grande, e levossi in punta di piedi, guatò in mez  « zo degli armati, e Vlde il dolce Maestro legato colle mani di dietro sic Irle l:1 di o,.... » C: Va a.  I,EV Al? E l) \ I, SA (IA ! ) l'() N | E l e il re e la l I e Nilm o U.EV \ I? E \ I, S.V  (IR() I ()NTI: II. N () \ | | | | I.... 13 (I l (rli I.EV AI? SI I)EI, VIENT(); I3art. – LEVARE LA PIAN I \ ali un edificio, di un terreno – I.E  V AR MI I LIZIE – J.E \ AI? LA LEPIRE – I E\ \ RSI AI ) IIRA, ecc. ecc.  Note al Verbo  Levare  600 - Questo le rarsi al in nanzi al l gli In vede, ma l' tirsi, andarsene ecc. I bicesi al che le reti si dannan si clicchessia, o levarsi checchessia dagli occhi e significa liberarsene, sgra varselle. lol'selo di dosso.. (olle (l'eslerà di darle, ella [ 1'0 verà sue scuse per le retrse lo d'innanzi. » Fier.Si inile: le rarsi dagli occhi checchessiat: le rare cl i dosso. « Si risolverono gli l'iorentini per bli. Inolo le rai si dagli occhi in alto e Iale ostacolo e per millma) gilisti più confortarlo. a Stol'. Sonniſ. –- I)i le rarlo mi l'ululosso Irli studiel'ò » L'occ.  (01 - Simile: salire in baldanza. « I)a si felice principio i litori salirono in tanta baldanza, come nulla potesse durare innanzi alle loro armi » Barl.  (2 - - ()sserva la correlazione (li le rarsi in alto -– hoch lalren – e profondarsi in umiltà.  603 -- Simile la frase: la r rumore di checchessia, indurre cioè a tu nullo. dare, da discorrere, prorompere il disdegno ecc. « Il quale facendo rumore che molte strade d'Italia erano rotte.... le prese a rasseſ are. » I)av.  604 Piaceini ricordare anche il nodo: essere a popolo, a rumore ec' ('.605 – Simile: « lerare le partite, p. es. della coscienza con Dio. » I3: i rt,N/lettere (Porre)  fili a quegli degli prºl e lo sel degli inglesi isº º lº gri, º l ' s ii del mettre dei fran i ' s I.  Al ii l ' - I - volgarissimi 629, nè la  li si l sl i  l  pi. Ma sono alcuni altri non corrono spedita reni e li - maniere poi di quo  l | laii (i l I t. ! ! - l - l  - ss la gran lunatica, sa l' i crº, ci: ci - il - i e il vago della frase  il sisl ei s ci, il ss; li il sia, è ad ufficio e valol e  º il signi lº i - s porli il suo proprio let i r, i -: i i no del verbo con altre pa  i. \ I soli linelle, che anzi li li  ii considerazioni e all  is | | | i l !  l sl glº: i  \ | | | | | | | | | N A S., VI A V, l SU ). (All I I I I Rl, | N A | | | | | | | | | | | | | | | | V | V (il l V l l ' Simili.  mise cinque mila fiorini d'oro contro  a mitic ', i l. -, metter su una cena a lovella da re i.... l 3 -): l l.. i. - i i lo s; i ti sul metter de'  pegni pegnº tra loro messo loro, I, nºtito pegno i - i;. - i l: i nei i ore il collo a tagliare, e i: lessano che la Verità  l); i V. : l l., (-.  il  \ | | | | | | | | | | ll piatti lº t' ('.  I mette ld, e più forte illli, Va'. (I t si -  11: -, -1; I l - e mai il tronco avrebbe i l: mettere I l il 1 fi...... (i  In li vere - i rii e assai lo il sull mettere e gel' moglia e o, Ces. 630)METTERE SIPAV EN I () - VI I I I I I E \ N I \ I () \ | | | | | | | |, A \ | | | | |.. AIETTERE A VIVIII RAZI() N. \ | | | | | | | | | | N SI El ' () e Nilli lli.  Cadde e voltandosi i ra i ple li a 'a - e rite, messe tanto spavento e odio  le i soldati si li filº roi o li I ): t: Ig it li, eſ. Quel giovane.... fu il primo a mettere in lino agli altri. I3e: 1. (ell. I ri vo:aggia li, confortarliQuando Agricola mise animo a tre coorti Bavere e lui l ingi e di venire a alle Inalli con le spade ». Da V 63 Ali (III, i se mettevi l'amore tuo. F (a Per la qual cosa, vedendola di tanta buona f riliezza, sommo amore l'avea posto ». Bocr'. « Con quei ti:lti lo avi In Irli d mirazione ». Salv. VI a ie. it - lo il I l s. ::: I l lit: i mettono inella moltitudine am.  a me, miser pensiero,.lon gli voles - Il tel rili lpe, pari o all'alltica. l tirar « d ll rallle 11ttº ». I )d V.i diedero a pensare, fecero sospet e den Verdacht erregten 63?  \IETTIEIR AI.E MI ETTEI E r. g. Il PEI I; I \ N(\ | | TT | | | | V.. STIt II) A. muggli, i niggili. MI ETTEI MEZZI e simili.  l?el ſ to loos o il fiel (il V al mette ale, l ' ll I, II ig. Vlorg.  (figura, a III, corre col gra il V el. it:  “...... nel quale era e il ratto il diavolo, e -la s a costei legati colle catene le malli e i piedi, e giti vi.. sº i e ai lo schilli e strideva co' sl1 i denti, e crudeli mugghi e strida mettea, il 1: lit, che chiunque l'udiiva spa.  ve: lta Va ». Cavalca.  Allora qllella stridento, e mettendo grandi e crudeli ruggiti, lol telr1ente l'assilli.... » (a Val n.  º il 'tli la milizia lioli nello che l'eta avea messo il pel bianco ». Bart. .... per la qual cosa non gli valse il metter mezzi e pregare. Cesari.  \I ETTEI N E. VI V | E. \ | | | | | | | V | | (i | | () \ | | | | | | | (() NT ().  “ E (Ill si ciò fosse poco, come metteva bene al suo interesse, ci si faceva girls ligia, dando ragione a chi se la comperava. Bart. -L'esser bistrattato non e' in previlegio mio o....., ma di tutti univer. saliente se onlo che il farlo gli metteva bene ». Giub." l'elisa ggiInai e delibera a quale partito ti metta meglio appigliarti, ('esari.11on perhè alla l'epillollica mettesse conto patire mali cittadini ». l): v.  nè i figliuoli, ma i rovinati; sovvertendo i cavilli dei cercatori ogni casa ». DaV. \ | | | | | | | | | N N | () M ET l'EItE IN ASSETTI, IN Alt NESE – MIET I ERE IN ESSERE di far q. e.  MIETTERE IN CAR I \ zu Pap er bringen nel tre par ècril – lo sel clou n.  e se l e la III e li e il Ille, i nto Ittendeva a mettersi in punto ». Giamb. il pll'esso (Ill sto lilli - misero in assetto di lar bella grande e lieta est: l. 13,.l'ol le e- il ribe dato o lille con Colpo del colle e del quando,e che e si luroli messi in arnese di cio che la eva l ' bisogno ». Fierenz. (si for I S il ('si il.... e – l llla la si metteva in essere di baſ taglia. l 31 lt. l)a V.Irli la bisogno mettere qui in carta (o poi le ll leo I contorni delle co -1 l Ilia l'ille..... o l8al t.  V | | | | | | | | VV () |, V \ | | | | | | | | V I \ V (V.  lolla li l'al' e sl per ol li tºlti mettevan tavola il s si.ora che l'usato  si meteSser le tavole..  \ | | | | | | | V S |; N V (\I | | | | | | | V l, A l' (C ), Mll. l l'EIRE | N VV V | N | | | | V,  l le 'il l Illia di Illesle lol o l'agielli soglio li, i li; li il mettere a sbaraglio le la Vita il, (es. i vi G3 istelli, minacciava di met ierlc a ferro e a fuoco, - t, sto lioli i l V lo i prigl n. o l8al l. 635 l  lº sa e con lì io, e, a disposto a metter la vita in avventura, e lui e il venil -, al site Ina ri. l'8art. esporsi al  pe: i  per i volo li lo del l - l at si  \ | | | | | | | | V |, N | | N | | | \ | | | | | | | | V | | | | | | V \] | I'l'll è l: l"N I)l S(() | | | )| |, I N SI | | | (\ | | | V | | V,, Nim ili.  Se.... I certo I (lelli rebl.......... ll tiro e, e ogni forza use; per metterla al niente. I 3. l.(), si va Il lino, si saprò mettervi a terra si reo pretesto. » Segn. N i letto i ri; 1, l'a! di di l: i ve: Irle fù per mettere la repubblica, se I rsſ o ll -i (V V in discordie C armi civili. l) a V.dols e si li..... ll e il V e il messo (es al'e in su le cattiviià e risse. m l)a V.MIETTEIRIE (i UERRA, CONFLITTI. discordia. dissapore, e va dicendo, tra cristiani, amici ecc. l)av. Bari. Ces.  METTER Por giù r. g. I \ P Al IRA, L'ALTERIGIA, UN PENSIEIRO, UN AI3IT (I )NE ecc. -  e tanto che, posta giù la paura del l e- e dei i atelli e lii - il colore in tal guisa si addimesticò cl io ne ma qui e son: le qu'il 1 l III I Voll. 13,  a Pon giù l'alterigia e studi:iti di prendere un viso ilare e gli vi e.» lº art . Pon giù i ferventi amori e lascia i pensieri triatli o Bo  MI ETTEI RE IN N ()N CALE \ | | | | | | | E IN I 3 ASS() - MIE I TI lº l: l N S() )() - MIE IT EIRE IN I () IRSl - \ | | | | | | | I: IN IP AI ' ()|.I.  Per lilla di lina ho messo E. ll 1 II lite in non cale ogli i l el-i (. l ' ' 1 l'ill ('il.E chi, per esser salto virili solº rosso, Spel a 4 ellenza: e sol lº l Ill Sto brama Che 'l sia di sir grandezza il basso messo. 1)ante.«... mi par necessario definire prima e mettere in sodo il sostanziale valore di alcune espressioni.... » I3art.Chi farebbe i re votare i loro tesori, pr (Il ce ne Impi sotto la III i loro popoli, e mettere in forse la loro maestà, se questa spera la non fosse? I 30.e in altro non volle prender e I - i nº di lover'a mettere in parole se lo  delle sue galli; la', e.... » I3o  MIETTERE IN V.JA con....  \li raftivella, cattivella, elia non sapeva ben, donne mie, che cosa è il mettere in aja con gli scolari.» I;  º cimentarsi, intrigarsi, avventurarsi a voltº la fa r, voler l' il cºlle agli scolari, misura le sue forze cogli -  METTER MI VNO A o per q. c.  “.... e messo mano un di di noi per un tagliente coltello, e nella logli un gran colpo...., gli spicca inno il braccio., Fiereni. e Messo mano ad un coltello, quellº apri nelle reni, Bo 3;I All. N l VI (III (S \ () \ Q. C.  - .... pose mente alla sl i 1: 1.  I s e, ponete mente le carni mostre e lui è stallino. » I3 n. 1:.  Ponete mente atroci spasimi, lil: se l: in lenti e divili la li l: i les li Se i 1.  Ponete mente effetto i li e le e il via il cºsi della lor debolezza. E  \ | | | | | | | | | | | |,((| | | SSI \ A SI N N () | ) l...... (3,,  e gli misi a suo senno, e iroli  -  \ | | | | | | | S | A N \:3S \ | | | | | | RSl Al, l'ACElAE – \ | | | | | | | SI SI | | NZ | () \ | | | | | | RSI IN | A | è (Il I (C.llESSIA – MIET | | | RS | S (| | | V () | | | \ | | | | | | | SI l N V V | V.  dal si misero al ritornare.» Bocc. I rimisero al ritornare. l 3 al E mettiamoci ai ritorno. 4, N -- li siti, si s Illal alle; te si posero al iacere. I 3:: 1........ i si metie siienzio. l 3 l: i. () il l  i VI inelli - la si mette al niego.» I ). l.le sia l i lliesto. Meini. S'era messo in prestare Scpra castella, l in tre loro entrate. »  netiersi sulle volte e lo i leggi i ve. » l?ari. cioè, tor isl l l: i veri il  si per la via, l No!:l, si mise. » l 3o.  \I E I I I I I I I I I I V \ I | A PEIR VI CI N ) da e la sua vita per Nell'all.  \ | | | | | | | | | | V \ I I V. I V S \ NI | V. I l. SOS I \ NZE ecc. Udas le ben  (''.. ll l in 1 m., 'il bis. Nel ' ' li l: osi e se c'è bisogno, mettiamoci la vita.. (i ll.(i e il (! ! !, il III le pose la sua vita per la nostra redenzione.» (: v. l ':l.«.... e lui beato che fu il primo che ci mise la vita! » Cesari. « Però vi esorto a passarli travagli per il lodo, le no, ci mettiate della sanità. » Cal O.  MIETTERE SU UNC), c) MIETTERI AI, l' N I ().  « è istigare alcuno e stimul i r, a dov e dli o la r il il na Inglilia o V Il  a lania, dicendogli il modo, lil po-sd. (del liti o lill la, o lil a. i litº, - - si chiama generalmente commettere male i l a 'ti i liolo e ! Iltro,.... r Inti o al Ilici che sia imo. Val li  Nola gli appellativi: commellinale, un teco meco: « d'uli con melli  a male, il quale sotto spezie d'amicizia vada la riferendo i testi, e ora a quelli si dice egli è un leco nero. Varchi.  METTERSI AL TIEIRZ() I (C. I )].I, (il V | ) \ (iN (). e Andavano dotto letti sto i rieg Li, messi al terzo e alla metà ! ! gli: -  dagno, a cercar le case, e le var i ti Irer -- las, i  a o l'edità colltro alla legge, i l): I V.  Note al Verbo  Mettere -. 628 – Eccone un saggio: to set al monuſ li I linellere il niente: lo.. set ad usork (porre in opera: to sel on llame li eſtere a fuo- - co: lo sºt sail nel tere vela: lo set aside mettere da parte, - - " lo set one s self (imettersi a....: so se lo m in l. ere giù -  lo se out (metter fuori, pubblica e lo pul dorn por gilt, nettere a terra: lo put in u riling In Ilere in isc l'illput in mind mettere in alti, ricordare i to put a question; lo put to death ecc. ecc.  269 – Mettere in abbandono: nelle e tulosso una cosa ecc., nellere le mani adosso, mettere sol lo l'armi; mette i si in tla i mº; mºl tersi a correre: mettersi, porsi in animo di 'jar checchessia: mettere in campo; ecc. ecc.  i30 – lndi l'appellativo messa, pallone o germoglio della pianta. « Quel rigòglio è pur vago. I rallo e l'odio dal soperchia che fanno le mºsse degli alberi, essendo il succhio... Cesari.Analogo al mettere delle piante è l'altro modo: mettere pr - sona, cioè crescere di corporali Ira.  631 – Si dice anche, con valore di egual significato, dar animo. Il modo meltersi in animo di far 1. c. vale proporsi di farla ». (5:32  (5.3.3  (3  (53,  (5.3(5  (5:3,  io m'ho più volte messo in animo.... di volere con questo nu ſolo provare se così è p. Bocc. Conſ. avanti Voce Animo.  Neh! questo metter pensiero non.... è ben altra cosa che il mettere in pensiero. -  Avrai avvertito differenza i ra il meller tarola (a, e metter la tar'ola. Il primo è la r lanchetti, dal pranzi, il secondo ap parecchiar la tavola.  Sinile mettere a repentaglio - Giuberti adopera il verbo git lare ecc. • Pronto al meno no cenno di gillare ad ogni sba l'uti/lio o.  Noli ricol (lo si allo stesso modo e valore siasi mai usata la rnia nelle e al sacco: Giul), ed altri l'adoperano in senso dii ripio, 1 e, mette da parte, far tesoro. « Debbo saper grado al Padre Curci che non abbia sdegnato di mettere a sacco la lingua e lo stile delle mie opere. Giub.  Melte mano in checchessia o di lar checchessia significa co m in cicli di palla rue e c. Col I Muno (al). 2.  (Se il m o l?a l'1 e I.  Al clersi al ritorno re, e simili, è il laniera elitica e vale accin gol si all'azione, all'ill, presa del..... Mettersi o porsi, in ge le tale, e la r q. c. è all rolla e che il cori linciare, apparecchiar si, porsi nello stato di farla. Si dice anche mettersi coll'anima e col col lo t... (Si mºlle con l'anima e col corpo al dice al la r l ich '5 st. lºl'. (ii il d.Re care  Sil primo significato è il l di poi la e, si rire. Il talu, i (Illali cosi' io llllle di ſua coli n e o di votarne il recai ed holl 1 e... 13oº'. e con il significa i resi in li lig Il al miele a recare d'una ill alil a liligi la v. ecc.  Mia poli III lil al li isl 1 l issi di quies era, e il I rili li alle 11 la Iliere: lº e' st e il no, una cosa ci l 'c li ºss lat, a far lecci es. sia, recarsi a....... liele Illilli il V e io i reati e sigilli, i ſilando condill re, ridurre, indul re, e quando i riliire. I l...., il V (l e va dicendo). .. li Ille-t Il l: l ' 1 tl i i l: - i mini recasti. I3 o 20 I - I i ls ' il - l si l: recarsi a condizione di privato. a (a s. .... sol che esso si recasse a prender 11 glie. I3. Vedi modo e sappi -, oli di l: parole il pil i recare al piacer mio. 13o. II lis- 5000 fiori il loro i litro a 1000.. ll e io la sll, di reche a rei a miei piaceri. I3o.il Vello già liledira: o gli animi d i s.it i baroni, e recatigli alla vo glia sua.» (riallil,I ti: l l'orri i- di 1. I l s. vel. l i r, casse la madre e prin cipi e..... a dover esser cori I lit '  (1 -  i Qllesti recando a suo proprio quel con il Villlierlo di I o Izi, a poco si 1611 le clle coll..... » I Bill'1. - -  l'eputaldo, considerando sullo la r pri... e Ne recava a prestigio i miracoli, e la santità ad ipocrisia. l?art. attribuiva, o aveva il conto di..... a recava la mia rettitudine ad ipocrisia. (iiil lill).. niun altro l'olila 11, di sua grandezza il V e il V l Ito dlle lipot i il ll 1 i corpi, recandosi le cose ancor di Iori il la a gloria. Da V.«... lle v'è uomo che legni di fir se Vilio della slla persona che sel reche rebbono a viltà. » I3:1 rt.Mangiavanº i carne il venerdi e il sabato, e come cosa orali ai passata e in usanza e comune, nè a coscienza sel recavano, nè a vergogna. Bart. 52, « Non si recava a vergogna di fare, bisognandolo, l'arbitro con lo dal la belti.... » Balt.« E dicesi nella storia di Santa Marta che non sia niuno che creda ch'ella desse il corpo suo a ſanta vergogna: chè quello unoli lo sarebbesollel to, le ll I ratello cogli altri su i parenti e amici l'avrebbero e li al celata, impero, le se l'avrebbero recato a vergogna.» Cavalca (528) E vi sara cli per contrario se la rechi una carica a piacere, a premio, a riposo, e.... S -:).e generalmente o il lancio, il ril ci rechiamo ad un genere di empietà e offesa a qualsivogia a ilmale, quando egli non ci dà noia?» Segn. ll – e le: l le, Fi, al di l orlìa 1 di sl, ll la l'ott 1, e 11 in fillelllo d'in sse; li t. It con 1 l ils: l ', no; i clle Vilì c'ere i - ilì molte haitaglie, ne recò a più alto principio la cagiona e oltre  - io ho veralmente era, i sse i ll, si era il V V ei lilli, il vi: ill, 'i. I l i pic lo es reit, del re doll i – l.  e/ se \, Va. l. ; le I) i l rist l li, a. l sei za niun risparmio,  N si | | | (V.I RSI | N S.  il strelto alla 1 si sta i ltto in se mediesimo si recò, e con sembiante  1 a V e a 'e ll it l aºs i tre lisse l3, i li.  | R |,(V | è SI IN VIA N () | V | | Si VI \ N () I RI (AI SI IN (() l.I.t ) (| | | ((II ESSIA  \ oi vi recherete in mano il vostro coltello ignudo, e con un malviso e tilt to tu balo V e l'anall et g ti per le sca', el a idrete dice: do; lo ſo lot, il l)i lle o il cog el'o... l ' ve. I 33llfli liti o recatosi in mano uno de' ciottoli elle 1 a volti a Vea, disse: l)el V ed si -se egli teste nelle l e lil a Calandrino, e:... o I 31...(olli e il li elobe Il., 1, li lega i recatasi per mano la stanga dell'uscio, lioni e sto prima di latte. Il 1 le pel si la stanga le raddo di malmo.» I el l /.e recatosi suo sacco in collo riposo ni li che egli ehloe  vinto il ſolito.... 13: l'I.  l: I VIRSI CO) I I ESE teme le mani al petto, per riverenza, di rosione, piu'll.  i let: Illesi, e latto, recandosi cortese disse.... » Sacch.  | V | | | IN |,l (I  Iſetti, il gran tempo, sia i mas osi, ci appare chiamo a recare in a luce o all's Licht lo ingen). Giamb.r- a -  li ECARSI UBBIA DI.......  « Per dilungarsi dal morto, e Iliggi l'ubbia e le seri prº si recava le « Inolti.» Sacch.  IRECARSI A MIENTE (Itidui si a memoria, sorreni e.  a Và, e non volere oggi mai piu pecca e. Recati a mente, e vedrai che.... a I Passa V.Onde meglio è, sostenere la vergogna degli Iloii, Ini che quella di Dio, a recandoci a mente (Illello che dice la Sci Itt il ra 11 l lilol della « parlando in persona di coloro che il rollo di risori, cioe  Sapienza, is ll terril itoli le giusti; i (It.all.... » l?assa V.  IRECARE IN I N ) nellere insieme, a comunanza, in cui molo, la re un fascio ecc. ).  « Voi siete ricchissili, i giovani, li lello e le llo, i soli io: il ve voi vogliate a recare le vostre ricchezze in uno e in lar terzo possell: ore oli V oi insieme e di quelle...., senz'alcun fallo mi da il cuor di la, e, le.... Bocc.  l? EC.Alº:SELA (o anche recarsi assoluta non le maniera elettica e ralle offendersi, pigliare il traie, pigliare in offesa come falli a sè, o coll'a blatiro della persona, o coll'espression della cagione ecc.. e recaronsi che gli aretini avesso i loro rotta la pace, a V Ill. « Checchè egli l'abbia di III detto, io no, voglio, che il vi rechiate, e se 11oli corile da uno ubbriaco. o 13, la consideria oli le c, fatta vi da un ubbriaco).  -in da 11 a V I  Nota al Verbo  Recare 526 – Simili i modi: recare a fine, a perfezione checchessia cioè ſi nirlo, perfezionarlo, recarsi a menſe, recare in uso ecc. V. il presso.527 – Nota qui la frase: recarsi checchessia a coscienza, ciºè lº ninrderne la conoscenza, e simili.52S – Così dicesi recarsi checchessia a noia, a onore, a Ilºil, º lº  rore ecc. cioè stimar nojos, ecc., reputa il “ Mi liº una grande ingiuria a stili, mi di si p o giudizio che ll il  mi debba ripulare a farore, che li esser N. N. si degli di stºri verini ». Cal'.F corta re  Al l lano i rili Is, elellico di portarsi per portar rici. Qui vogliº lisl rilenzi, il re alculli usi notevolissimi e ina niere assai fre le li sºllia per il la ai classici quello che li li fa il moder li e poco spello del pari tre latliano, cioè l'uso del verbo portare a va lore di esigere, richiedere, in prorla e, comportare, sopportare e simili; e le maniere: portati dolo e, poi, la r no a uli che chessia: portar osservan sot, onore, ricerca sa, l ispello a lui li sssia, portar amore; portar pena: portar per i lenza; portati pericolo di al'.... poi la r il pregio valer la pena: portar opinione. I rl (es. porla in pace checchessia: portarsi d'ai il no e Val di elido  () i noli e gli ºri Ilde - i tizi ile, lollo prº sstuma oltre alla sua forza, e fa cia le imprese piu che non porta il sito potere? » l'assav. e lº sta che i polelli ssilli dispor di lei, e se non quanto porta e il dovere. » (all'o.Nelle passioni l'a lliIl r. Il liti S.s: lite portar dov: ebhe la sua lla il ril, lIl l.. ll la V, º l?a l'lo.Il segreto della profondi - si lli: za di l) lo portava, che solamente dopo 10 secoli.... » Cers.a Vennero le due g lov il lette il dile giallo) e di zºld º do bellissime con due grandissimi piatelli d'argento in mano pieni di varii 1 litti secondo. lle il 1 l... loli portava. o lºMla io credo IV e ne dett pil re assai. A |fe si a quello che porta il tempo, 11 le lilt:: via l il 1 l Ces.  I:i natura del l s i porta così e io, il - e lº può altro. » (-. Non portavano quelle idee che egli dovesse avere presto un numero « o  d'i!) finite V i..... » (' -. Conservate il vostro, lion spendete piu che portino le vostre facoltà,  fuggite i vizi, seguitate la virtù. » Pandolfini..... questa volta parmi aver la cosa certa che il sogno portasse che... Ces.  a Portando egli di questi cosa grandissima noia, non sapendo che falsi,  propose di averne parere con mosse lo prele. » Bocc. So, i testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che le neva  di farvi grande. Caro.  l'ex donerà questa inia presunzione all'amore che le porto da fedel solº Vito l'e. » (art). ... i quali del giovane portavano si gran dolore che... » loce. « E bene bisognava ch'egli li fortificasse, chè da ivi a pochi di avevano a a portare smisurato dolore. » Cavalca,« Di che il padre, e la madre del giovane portavano si gran dolore e malinconia, che in aggiore non si siria potuta portare.» 13o.« Ma Iddio, giusto riguardatore degli alti il merili, 'e mobile Iemmina  -  conoscendo, e senza colpa penitenza portar de l'al: ru pe cato, altra mente dispose. » Bocc.  -  « Percio' lì è quando io gli dissi l'amore il quale io a costui portava, e la dimestichezza che io aveva si o, Irli capo II li spaventa, (livelli loin l..... I 3,.  le all o!'  « E da quell'ora il li illzi gli pcrtò sempre onore e riverenza. » Fioret I.  E 11 lì è da falsene il raviglia. I lil pensisse lo sterminato bene ch'el leno portavano alla persona sia o C i va. a.  « E se il confessore lo riprendesse dei suoi vizi, porti lo pazientemente: chè sono inolti che, per essere tanto umili e gli isti, spesse volte si biasi  mano eglino stessi: ma se interviene, che altri gli riprenda, non lo portano pazientemente, ma iº degli I no.... » Passav.«....porterà espresso pericolo di riceve e vergog:i e dal lillo., (iia lill).  a Sfirmiamo che pcrti il pregio rilett: s tl dl Ill st luoghi. » Segn.  a... lion portava il pregio ch V | V I rom pesi e il sonno per risponderº a III e, di cosa massimamente chi lilla II, II i V a l o  Ma sai che e' portatelo in pace. » I 3. « So tu ti porterai bene d'altrui, convien cli altri si porti di te, e Fioretti.Ajutare  L'aiutare dei pochi esempi che qui arreco non è l'ordinario e comune di presta aiuto, socco so (ail lelen, ma si rassomiglia al to help degli inglesi, nei costruiti fig.li lo help forucard, lo help of the time, to help lo ecc. ecc., e dice cosa, in generale, che cresce altrui virtù, o dà I nodo d'operare. Noterai ancora i nodi aiuta, e alcuno, aiutarsi da chec chessia; aiutare uno di una cosa: aiuta, si al lar checchessia ecc.  “.... e che l'Inilia cantasse il na. il Zone dal Lillto di l)ione aiutata. » Bocr'. (guidata, accompagnata.e Ritornò si notand piu da patira, le da forza aiutato. » Docc. sorret to, sospinto j.Fa Itisi tirare a paiiscalini ed aiutati dal mare, si accostarono al pic ciol legno. » Bocc. sorretti e sospinti.Ma quel povero Iritto, per aver a con le tar troppi vervelli, e di varie e mature, spacciata Iriente si inti e di l::i i: si iroli e forte aiutato di lavo a recci e di concime. l):tv.« Al lllla lolloni - e al 12a lo! ese, e il lile!:l ajutaio, lº rese nulov, con siglio. I 3 r..... llQlle - le parti si posso lo aiutare e collo balillage e co.i soppalli.» Fierenz 571).E se Illesio può fare il senno per se Inedesimo, quanto maggiormente Il dee 1are chi dalla opportunita, intendi necessita e aiutato o sospinto.» l30 c.Ajutava le parole col piangere, col darsi delle mani nel viso e nel letto. Se n. aggiungeva Virtti alle parole.Ma se il lla pl o la par li a lia del celerino per via di medicina se ne a prenda, con lierà lo stomaco, e aiuterà la Virtu digestiva, e farà buono il lito. » Cl es.. ll orrera a rinforzare, a ravvivare, a promuovere). « Per fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, aiuta assai, dopo la prima sera, che siell 1messi... i grappoli inel tino. Soder Vit. (gi va, adopera.  Tuttavia, se la pers, ma fece quel cle eila potè, e non ci commise ne e gligenza, e ledettesi a vel i- il mio confessore, la buona fede in questo caso l'aiuta, e 'l sommo sacerdote lidio compie quello che mancò nel de  fettuoso prele, o Passav.  A.IUTARE I) A CIll.CCIIESSIA, E ANCHE DI CIIECCHESSIA. « Vedi la bestia, per cui io mi volsi, Ajutami da lei, famoso saggio e Cln'ella mi fa tremar le vene e i polsi. » IDante,(difendimi da.... ()ppure maniera clittica: aiutami a fuggire a difendermi da loi).« Or ov'è 'l naso ch'avevi per odorare? Non ti potesſi dai vermi aiu « tare? » Jac. Tod.« Anche::lolto è da col Sidlerare e da Il 1t la Vigliare che, essendo solo, tutti i 11 st.li idoli gittò il: tel l'a, e iº li ill la cosa gli poterono luocere, nè da lui aiutarsi. » Caval. (life! 1tlersi.  a Pero ('ll è: i Frances lli non atavano li Romani dalle ingiurie de I,OIII  e liardi e dei Toscani; ne il Pap 1, ne la Chiesa l ' tiranni che lo perse a guic 11t). » Vill. (i. 572.  e lo fo voto a Dio, l'ajutarmene al Sindacato. ioe d'aiutarmi da que sta cosa al...., o di li, 1 l'ere, il ll'ajuto le l...., Boc.Io vò infino a città per a illla m a Vi enda, e porto queste cose a Ser a l 3olla corri d' (i inestre, o, c le m'ajuti di non so che nn ha fatto richiedere per una comparigione.... il giull e del dificio. Bocc.a Sempre o poveri di Dio [ile!!o che lo giadagnato ho partito per  n  mezzo, la lilia Ineta col Veri e il l is tra Iletà dall do loro; e di ciò m'ha si il mio Creatore aiutato, che io ho sempre di loelle ill me - glio fatti i fil 11 l inici. n 130.  e Alberſ o d'Arezzo era te ! 111 egio, le per delolto il quale gli era addolmandato e mitra ragione: onde e si ra Intl lido a S. Franco che di ciò il dovesse aiutare. » V;1. SS. Tad.  A.I l I'.Al ' SI A......  a.... Ti o, ipo -olio rimasto dei lise le mie speranze: III lºt'e Voi, lìoll O sta inte si g l al lilot I V, di rai VV i dervi, il V e il test i pillttosto a prevaricare, e non vegognandovi, quasi clissi di al collo la lite ingorde, indisciplina e, le quali allora si aiutano a darsi bei tempo, era pola 11do per ogni piaggia, carola ndo per ogni prato, quando antivegg, no che gia sovrasta procella, Segn. s'ingegnano, pro iº lo trachten, tàchent).  Nota al Verbo  Aiutare 571 – Parla del seno delle donne che per parer più pieno si può..... 572 – Così l'ediz. fior.; – La Cro Sca e La stampa delle Soc. tip.  Class. ital. leggono un po' diversalmente: lion atavano (aiutat vano, nè liberatrano i lio mani. S e ritire  \' illo solillo al Isi pi ii e in no comuni oggidì. Si ado lº' i ''l ct ''l Nºttso, il gºl l pprensione, coscienza, notizia di chec lºssli, li guardi come il latº glise. Nota i nodi: sentirsi, sentirsi (il capo......; Nºn li re dl il 1 l gelsi, avvertirlo, la r sentire ad alcuno; N. il lir (le'l gli e' cio, li ul, l'', l'a mia l o ecc scºni lir bene, mi alle di checchessia, e simili.  lo soli i ll ella sento di me., Rocc. \ V e i tit Illa ira solº ai la lollia le quasi non si sentia. » Bocc. ll (Illi, le si alte: il letta ogni parte del corpo loro avea considerata, lls, el l -se deli a Illa, le chi ai? I n l'avesse pulito, non si sarebbe sen tºto. » Bo se al 1 o l'avesse punto mi li ne avrebbe avuto il senso). l) l'1 e le lla I d glli il test i e le ii senti al capo. » l3oce. I me ne sento alla borsa. (... ll I.  S. Bernardo di e li mi ni loro stupido e che non si sente, è più di  º  ll I ligi la lla Salt l' 1 ss. l 1 no li il senso li sè stessº, i. (olli lel quale - la i vizio della super leia, e non si sente, cade nel  V Iz lo lella lissili la del' 1 a 1 ne, e I diio palese il suo peccato, acciocchè  la co. fusione e la nla li la lel peccato brutto lo fa la risentire, che prima  er: il sensibile, l ' s sv.  \ V e I talit ezza per l ' s lllite dell'allina, che della morte del si sentia niente. ti i.a Il rumore dell' 1 al 1::: van ls li a grande, e quello che più lor gr. l V il V a el.. ll e-- oteva no sapere, il l ossero stati coloro che i pita la V e vallo. VI: (li, il l Illa 'e liti e le atl a il no altro ne calea li in aspettº i di li lov erlo in Ischia sentire, fatta armare una fregata, S I \ i ll lito. (... l 3o.  le: le [lli li elite, e con le addormentato il sente, cosi apre l'uscio e vi sene dentro. o lºo ('. \la poi che ella il senti tacer disse: o l?o « Non potrei sentir cosa alcu ma che mi osse più grata, che ierl'esser le!la slla lollolla gl azil. » (asil.si mise in cuore, se alla giovane piacesse, di far che questa cosa avreb be per effetto; e per interpositi persona sentito che a grado l'era, con lei si col venire di doversi e in lui di IRoll la fuggire. » l'8o c. 529). IPer io hº se rigli' rdat, v'av: ssi, non ti sento di sì grosso imgegno clle tll essi Illella, oliosi ill to rose, che.... » l'80cc,I a giovane d'esser pil in terra che lº mare, niente sentiva. » IBoce. (530). (ollo il tavola il solitº l'olio, così se le scesero alla strada, o Doc C,e Senza farne alcuna cosa sentire al giov., III - III Ise o il via a Bocc. “ E col mandato alla lor fa nie, le opi: ' viº, per la quale quivi son trava, dimorasse, e gli 11 -e se a 1.1o v In Is-e, e loro il facesse sentire, tiltlc e sette sl si vogliarono i l ent: i l el laglietto. » I3o.\ Vvellº le 1:ll' 11 Ille cl, (.ri, e' o, (Irlino al palo con un stio a Inico a ce la I e e fatto lo sentire i (i la l.lole, compose con lui, che quando un certo enno a esse, egli vi -- e troverebbe l'uscio aperto,  La fante d'altra parte lui nte di Ille- o si prend, fece sentire a Minghino clo (iia corilino l:ori vi. ilava e gli dissi » Bocc.  Venuſ o il dl si alleint e l -sendosi a Vl: ddi le ha 11 ovata morta, III rono alcuni clie per invidia e l dio h a l gli tto portavano, sul lita III ()11 (:il l)ll a l'ebbero fatto sentire. » le non si ppiendo per il I | tergli presta mia disposizion fargli sen tire più accornei:unc)lle cle per te. i ti collinettere la voglio 13o.  « Come il sapore del V Ilio vo clio, che per vecchiezza sente d'amaro....» Sollec. I Pist. 03.Non era nel bilono investigator. l i pieni a ve: la borsa, che di chi e di scemo nella fede sentisse., I3o.a Io il quale sento dello scemo a 17 i che lui, lei vi debbo esser caro.» Bocc. « Ed oltr'a e io disse ti co- li questi - la bellezza, che lui un fa. s|ilio) ad Il dire. Fl'ite \ Il melt, li costei sentiva dello scemo. » Bocc. 531,.  Ttl st -:) Vissililo, e riel; e se li I)io senti molto avanti. » I3t) 5.3?). Vll'ill ontro chi, colli e tº. Sente si poco avanti lelle slle file desillo e se, che di se goli si ricorda, nè sa qual si vivesse sotto gl'innullerabili stati e che nel decorso dell'eternità ha mutati, segno è che.... » l' irrcllo morl) sente molto avanti nelle regi lli delle bilolle e l'eanze.» (i illlo.  a S. Greg. S. Agost., S. Ambr., S Girol., che sono i quattro i principali dottori (li Sa.'lta Chiesa, sentono tutti concordemente l'opposto. » Segn. e Cerf:n ci sa è, che nè lileno i suoi ni: i levoli stessi ne sentono si empia mente; anzi molti ancor de genili lo reputaron profeta di gran virtù.» Segui. a I Jacobiti sollo (l'isti a 'li...., londillelli) male della fede cristiana Sen « tono. » IPºtl'. lloril. ill.e Della provvidenza degli Iddii niente mi pare che voi sentiate. » Bocc. « Allora udi: direttamente senti, Se bene intendi perchè la ripose Tra le sustanze. » Danſe (Par. 24.).e Ciascuno studias-e sopra la questioni della vision º de Santi, e faces a sene a lui relazione, secondo che ciascuno sentisse, o del pri) o del con a tro. » (i. Vill.a Del suo pelo del cavallo) diversi uomini diverse cose sentirono: Ima s pare a più. che baio scuro è da lodar sopra tutti. » Cresca Questo Inedesillo pare che senta Santo Agostino, quando parla della « l'esul'l'eziolle di Cristo. » Vled. Vit. (r.  e Virtù, dice, è diritta niente di Dio sentire e dirittamente tra gli uomini a vivere, e operare. » Caval.  Conferisca gli tutto quelio le ella sente, come farebbe a me proprio. » Casa.  Nota al Verbo  Sentire 2!) Il V el'inchineri dei tedeschi: Analoga l'altra frase (v. appresso): la c all rul sentire chi ce li ossia cioè operare fare in modo  che la non i via Venga il suo l'ecclli ecc.  lo 0 lo che li on s. Il ll grazie del 13 o accio ed altri), osservava qui il Valiolli, e ne sono del III to pl Ivo, avrei detto: « La gio valle non si accorgeva se fosse il lerra o in mal'e o, il che sarebbe dello gl. ss lallali e rile. Il lºoccaccio, invece di dire: non si accorgeva, dice: nien l Neri li ai clie è molo di dire più scello; e disponi le parole il selli e lo ſullo con molta mag gior vaghezza. Zali ell ' e io li a Lib. I.  53 | Noli e ulivo re: Senli, di scºm, o v. g. nella fede) vale nati l' aver diſello di.....; e sentir dello scemo è aver poco senno,  aver la qualità di clil è scenio. Sentir dello scemo stà da sè. e senti di scemio è predica o di checchessia.  Analogo a questo sentire è il sostantivo sentiva della nota fra se sentita di guerra.  32 .... mia egli con miglior sen lite di guerra, si era posto in ag gilato dietro alle spalle di una montagna, per rammezzal loro la via, e cogliergli improvvisi. I 3art.Stare  Lascio le definizioni, le discussioni, lascio i numerazione di qlI clie cose che o tutti sanno o nulla montano – che uscirei del mio assunto, e troppo vi sarebbe che dire a voler anche sol accennare a lui ii i modi e forme particolari dell'uso di questo verbo -, e mi starò contento ad ilculli esempi lei quali il verbo slare è ad Iso, e ad Ilicio di un valore che lnai o quasi Inai nei costrulli di una locazione moderna, cioè di chi solo sente e pensa moderna li crite.  Noterai le forme: slare checchessia ad alcuno, per convenirgli, osser gli dicevole anstehen, zustehen, ed anche per costare: stare bene per com venire, meritarc. esser ben disposto: stai si, stare per astenersi, rimanersi: slare (di checchessia per alcuno, per non essere, non aver luogo per call sa di alcullo: slare uno, due giorni ecc., per indugiare: stati si bene, ma le ecc. per contenersi: slare, assolillimetile, per non mi i versi stati e di clie chessia, per essere il ſiles', ei lo slalo, condizioni e cec.: slal e a lot I e cli ºcchessia, cioè il dicali e il l IIailili di azioli e le siglli ſi alo del Vello che seglie ecc. ecc.  I qui li II lotti per i clie oriev - olio i 't alle donne stanno che i gli uomini, il quarto pit. Il ti line e le agli il fil III l Iliolto par e la re e lui lg, si disdire. I3o.e E sev o volete essere di quella legge - se il loro, a voi sta: Ina a valli lle...., I 3 s -1 el l 1 l el Ill 'le) l.Sillito la vo' veller', s', la dovessi la r per III: li o lil II rini, che la a non mi stà. » I, rºll Zo di Mleclici. V el l l ll: l: l s;ì l II e Il non mi Sta. » I 3,.  Bene non istà a lei il clillo. A | V era la III gel'' (la ril - il sil 1 e il il ti (Il'io Sollo, '1: iStà bene l'attelldere il d all1, l'. » l 3 m. Frate, bene sta, io li e me li di roteste cos Ill:..., l o '. Frate, bene sta; baste: ebbe se egli li avesse ricolta dal fallgo. » Do. S78. e Io non son ancilllla alla quale questi ill: la III o almeniti stiamo oggi mai bene., Bocc. -i al ddi allo).2ssendo egli bianco º bi º 1 lo; e legg l'1 li o molto e standogli ben la V li il l30 ('.e io potrei cercare luita Sie:a, e non ve ne troverei uno che così ini a stesse bene e me quiesto. » Docc.« Avendo studiato a Parigi per saper la ragioli delle rose e la cagio: a di esse, il che sta bene il gentile lloli 1.. l 3o.« At colleerò i fatti Vostri (i miei il III: lliera e le Starà bene. » l'80.  a La qualcosa veggendo Stecchi e Marchese cominciavano a dire che a la cosa stava male. » l'8o c.  a.... di che noi in ogni guisa stiam male se cosl li lilllore.... » Bor ri troviamo a mal pallito).dis- l' ill V: e se avviso lui Ilai non doversi la a veduto, avesse: ina pur niente perden a lov i Si Stette. si aste i: il liss 1, il rio - a listelmell I30 ('C'. N isl, li lev si stava.. l)av. N si s si s i s; i liss.. - Si stesse, e l'80. lº l' 1: v. I l il sitº Il le stessero. V...:lle cessassero, si fer  Il luss (l ', -- ero  (i a noi o non istette per questo che egli passati alquanti di, non gli r! Inovesse sin – li pirole l 3.  Per me non iStara -: i sia. » I 3, cº.  l' egali dolo, l e se per lei stesse di non venire al suo contado, gliele  si li, ſi iss, l 3,. S!),.  Senza troppo stare t a il lino e il territo visto gli rispose. » Bocc. - il 1, sich lange besinnen).l ve: i IIIa pe: il nº te i ni ivi e no 1 po' Stare un giorno che li ssi. 3,Siette al quanti l i renz. l i no in Stara molto i l:ì l's il 1., l lel. Stando pochi giorni.... l l as it giorni. Ne stette poi guari tempo e le si. la Iltale della Illin molte ful lieta is: l BtNè sta poi grande spazio le elli, si ni la Giustizia e la potenzia il I I ) I V - -, l sºl l e.. l 3 SS0'.  l I e Ilio - li - Il d. si iellza stavasi innocentemente. » Ca \ si... li o 1 i vasi. lº, e lo statti pianamente fino all'i nia tol nata.. liocc.  (.l, polendo stare, via, - ius o è he mal suo grado a terra: i l ier'.Compa il lato l'opera sta altrimenti che voi non pensate.» Bocc. L'opera sta pur cosi, ti i sa. I l Vtloi, stare il II; eglio del miº lido. » lºt,E relet, porrete irrente le carni nostre come stanno.» Bocc.  Staremo a vedere, olle V i governel e le, Calo. Se volete chiarirvelle state ad udire. » Se n.«Che dunque mi state a dire non aver voi punto i rotta di convertirvi.» Segn.. « Non mi state a descriver di I lique il ll'Iliferi, caverne oscuro, schifezze -  º stomacose. » Segn. 881;. -  lºra i liolli all'i lli li col V e lo slal e' gran parte moli e dell' Is Ilo ſereno:  STARE CONTENTO A QUALCI E COSA con lei la serie -  ed egli rice! cò almorevolmente. La basso che stesse contento a dazi ordi  a mari. » (iiali. - e Ma siccome noi Veggiano l'appetito degli uomini a niun termine star  e contento. » Bo(C. « A me li li pare buono collli, il quale lo ista contento al suo pro  prio. » Palld.  STAIRE SOPRA SE In ne halten SS2,  a Alquanto sopra sè stette e cominciò a pensare quello che la dovesse o Bo),  Li Volse dire, senza pit | ns. vi clie e - e u ss (Il 1 l: proli: tt i Vl a guardandolo fis, nel volto, per V del e se egli diceva la V cro, le venner a Vedliti quegli occhi spal V n1 i ti...: stette sopra di se e li e però disse: l'otrebbe esser clic... Fierenz.  ST'.\ I º I, SU I,.... - - ST AIR E SI |, (il V V | | | | | | | | | ((I (). (sillli | | | 3 (- ST AIRIE SU LA RIPI I \ZI() N E. SI I, IPI N I () | | | | | A (VV VI.I.E I? I A, I) EL (()N V EN I V () I.I. - SI' A | ' I SU I. (VNI) E c'e'.  a Stavano sempre sul contradirsi e difendere la propria lt - i « Inigliore. » Bart. e Stalino Irti su la riputazione e gli ideg: « Messer lo corvo io lo paura che il vostro star sull'onorevole non vi a faccia lIlarcire in questa prigione. » Fierenz.a E stanno in ciò tanto sul punto della cavalleria che persona di Volgo « è Inai alm Inc.-- a loro col Vogli. » Bart. : gli 1 il ri., l3 l: i.  STAIRE A PETTO | ener fronte, reggere al paragone,  « si scusò col dire che non ave: gente di stargli a petto. » (iia Ilil).  STAI? I, IN FIEI)E  a Pochi ne corruppe, gli altri stettero in fede. » l)av. SI \ RE IN SOLI ECI l'UI) INE V. g. de lalli altrui prendersi briga, es serne lui lo premi tra  SI \ It I A Ll.((il crisi liti, elorca, la II nella liti... reggersi secondo... ) l  Il e no, le tuito, stava a legge ma umettana, gli si ribellò... » Bart.  S I \ I Rl l?I l l N () / e mi e' e la llo su di lui l Nilo partito – STAR BENE IN  (i \\llº E forſe da la persona SI \ RE IN CEIRV El.I () (saldo alla pr 111 ss S I \ RE \ | I \ PIR ) \ A di Probe bestelen – STAR SEN E NEI.I. \ SENI ENZ V NO a lire al visi – STARE I).AI -  I 'OCCIII () (A | | | V ().  \la V to io, che gli stava dall'occhio cattivo, non lo volle udil e....» l'occ. S | V | | | | N N | | | | | SI' A | R| | N | | N | | N N l.  (o la base del 1 al pil e quasi ai li o sta in puntelli il mondo.» Fier. si eI tto, le li se in esilio, p - e lo Io e il ti: i piè Inail o, stava in tentenne. o l: le (liz  Si ponga nelle da li Ilio all'uso del sosta livo slanza per slare, tral le mº) sl. in lui ſia i c', lino e lo micilio e c.  (il voll:i li in lato veri pla, endogli la stanza, là g: i (oln e 1 I pia e in stanza in Ille ta i ltta? Fiel enz. E come le g. a V e li palesse il partire, pur tenendo moli la troppa stanza gli osse agio e di voli e l'avil o dilettº in tristizia, se n'andò. » l 31.I ra gli alti Vlo i l o, cavaliere celebratissimo, e primo perso maggio nella dell'imperato e in petrò al padr e la stanza stabile nel. Mlea o, e per i o is reti ministri se ne spedire al regie patenti. » Bart. IPensando voler fare stanza il ga e continua fuor di Roma, e per la sei i re a l), il so solo ova rinai il consolato,... » l)a V.Note al Verbo.  Stare S7S – Questo bene sla è maniera in personale e orna all'altra: () - ſimamente, sono con voi, siamo intesi, basta così ecc.; oppure all'interiezione: capita, buono allè ecc. – Simile il modo del  l'uso: ben gli sta, cioè l'ha il ritata, e simili.  S79 – Conf. Rimanere – maniera eguale: rimane e per alcuno od - una cosa dipendere da....  SSO – Alialogo a codesto slare è il sigili il lo del trio(lo avverliale - poco slan le, non mollo slot n lº..... disse e poco slante se ne - vide il buon esito. I3a rI., se li il climpo del pari orire ess torì un bel figliuolo maschi. I3 cc.  SSI – Simile lo slare dei modi: stare al campo è iè eſsser accani palo, – stare a buona spel al nsot. Pioli di compassione il  conforlò e gli disse che a buona speranza stesse, perciocchè se.... Iddio il riporrebbe li onde lorº lina l'avea gillalo o. 13ore.  ser venuto; perchè dalla ma di e ijilala non molto stante, par- - CC (”.  SS2 - - Esprime l'alto di chi si pone al pensiero, in dubbio, in so spetto. -- I tiri la nel libblos, sostene e, sopraslaT corri a re  Si lsi ci sia le molle per lo nare a essere, divenire, diventare, lor 1 (tre il 90S, pºi renire. ridurre, ripori e, iar ritornare, iar diventare lsali\ al lile. l iuscii, l i londa e ed anche per essere di nuovo ciò che alli i ſo alla cosa ci si innanzi ecc., finalmeno per andare a stare, prendere Nl ct mi s (t.;)(! ).  l oggi, poli legali le lito, lo costruzione e l'ordine del l'azione, e lo si liri, clie lori ci ſi poi accadendo cosa tua.  lº a V v l It il il I e torna uomo Ine tll esser solevi, e lì Olì fal far l ' I l3...l'alto i a | 11 he tutt, torno li sudole, e tutto trangosciava. » Ca valca 910,\ l spill 1, si rende l'ono alla Verità, e battez z.it tornarono non solamente cristiani, ma predicatori di Cristo. » IBart.. La nl IV Coletta - I lista e torna in aria. o Fr. Glord.l)el lle tornò in istatua di sale. » CeSari. I loro pompose botteghe tornano a orciuoli e zolfanelli. » Sacc. di v si liti il collo il l essere.....() il 1 ltra il ro lo ai la tornavano al buon ll mio forse tre e mezzo. » Sacc.? E il V V elli, colle del buon cotto che a mezzo torna. » CreSc. a S1, ll ' I g Ill la l effa iornò a vero. o l?art.a (i la, la Valle, le carni i listinte... Egli era tornato ossa e pelle nuda. » (es: l l'.La caduta di lºietro torno in fondamento piu solido del suo innalzarsi le lege poi. Ces.Ogni vizio puo in grandissima noia tornare di colui che l'usa. » (ri doll dare il.... l o C.A dunque le parole di Crist, tornavano a questa sentenza... » Cesari,  a tanto lo stropiccio on a qua calda che in lui ritornò lo smarrito colore ed alqua lte delle perdute forze, e le e rivivere) Boce.a inſer ma di gravissime ed i maldite infermità intanto che la purgatura del naso e le lagrime degli occhi e il fra ido Ilmore che le usciva dagli lui, cºn le lido: il terra in ontanelli e ritornava in vermini. » Cavalca. La qual cosa ti memdo l'aolo, fuggi al deserto e quivi aspettando la fine della persecuzione, con le piacque a l)io, che sa trarre d'ogni male belle, la necessità tornò in volontà, e incominciossi a dilettare dello stato dell'eremo per amor di Dio, dove prima era fuggito per paura mondana....»  ( l'avalca. I, lu go studio della volontaria servitude, la consuetudine avea tornata in natura. » Cavalca. º sel l'eca un inferno) a casa, e con gran sollecitudine, e con ispesa il torna nella prima Sanità. Io e.  e la quale ſia inina, rapida Ilente consiln io e tornò in cenere quel poco a che l'era rimasto, o (es. le e divenir,.Ma il Si Verio tormolle all'abito e al ritirarmento..... I 3:1 I t. io e le ſei e ritornare.“ Qil lio stesso ill, la I a bbona e Io e torno il vento in poppa. onde sall'ite l'ancore, ripiglia o! I l vi i gio. 13ari. Ie e tornare,.... e Sp 111a gli 1 11:1, V., inza, i - II i cd 1, tcrnò in amicizia i parenti i degli ammazzati. » l?il l di t-se il l....... e dei suoi zii - lli di II lo ristor. tornandogli in buono stato. Bocc. 911).a Tornato il re in istato e la città come era in tranquillo.... » Bocc. i -e fosse stato il piacere a Dio di tornarlo in istato, tutto.. s - si gulalaglia Va all i lede. » I 3art. No Il Solalilei 11, avea tornato l'uomo nel primo stato. Il la a V vantaggian (loit di 1 1 cippi pill dolli l'a Vea - Il bil II la.... (.esil loIII e di.... lIl lla nella memoria tornato una novella.... » I3o c. Tacitarmente il tornarono nell'ivello., 13, riposero a l'ill ('a la clle IIIali in casa tornatalaSi..... I 30.  lIn giorno di salvato se lei lo costo: il la 'nzi alia chiesa di S. (i lill allo, a nella quale tornavano. I regim V allo I; ost l' V (st Vo Nll II lo, Ca Valca. a lº fa venire Simone, il quale torna in casa di Simone coiaio. » Cavalca fatti Aspo-toli).a colmando il dile sll Zelli che il - Itassero, e consider: ss l' in quale albergo tornava il vescovo che i veri predirato a Cavalca.  Simile al ragioni lo è il tornare delle frasi: II, (.()NT () T()IANA cioè non c'è errore i cl calici lo. I | Ierale: il collo si riproduce bene, risulta esalto, riviene 912.  TORNAIR 13ENE esser utile, di piacere......  « Coloro i quali sono grati perchè torna loro bene cosi, non sono grati se a non quando e quanto torna ben loro. » Varchi.a Scrisse quello che a suoi i teressi tornava bene di far l'edere. Bill I. e fatela quando e come ben vi torna., Bocc. l'()lº N VIRE IN A (() N (I () \...... stal utile  lºlºsa che se a Dio fosse piaciuto di prosperarla, tornava mirabil mente in acconcio al desiderio del Palavi, e a grande utile alla Corona a dl l'ortogallo., Bart.  l'() I N VI RE IN NI EN I E  lil liti º se assai, le ſtia li tutte in vento convertite tornarono in niente.. I; ) -.  l' )| | N VIRl V (il l ()| | | ((I | | | )|  la Illal e sa tornandogli alle orecchie., Fier. Il testo la r o' e tornate agli orecchi di.... » l?art.  l' N VI E \ I ) | | | | V | VIRI e c.  si pa rtl e tornosSi stare in Verona, e (ii:alm!  Note al Verbo  Tornare !)()S Sinile al tour ner dei francesi e più ancora al to turn degli in glesi: The milk, the beer, the urine, le cream, ere g thing li (ul lunn ed sour. l he jeu is going to turn christian. –  l'his young mall first intended to study Ihe lav, but after W:ards lle l urned Soldiel ecc. ecc.  909 l'illlo simile anche in ciò all'inglese: lo turn in an inn, e va dicendo.  9 () Nolalo questo modo: tornare in sudore, lornare in aria, tor mare in sangue e simili cioè diventare, convertirsi in....  !) | | Nola, la maniera: tornare alcuno in islalo, in vita etc. Co testo tornare tiene alcuanto della natura ed essere di quei ver lui che mi piadue di contrassegnare col nome di causativi (Par le 2. Cap. 2. Serie 4. Ma è l'uso e la forma al tutto singolare che vuolsi qui ancora notare.  912 – Tornar con lo simile a metter conto, metter bene, metter: me glio - è altra cosa: « Non li torna con lo recare all'anima tua  un minimo pregiudizio º Segn.Vernire  Olire alle cose delle alla parte I. Cap. IV Classe II, noterai di que sto verbo i seguelli usi:\ EN Il 3 E A.... V EN Il ' E IN....: e il ct rich o V | N | | | | CI I IE(CIIESSI \ ecc., per dire nire, la rsi, rialli rsi di..... lo ruoli e c' Nini ill, sul Pil l'as tre rulen, su I l l'ots ka) mi mi ºn e le.  gli il II pe: a lo; i erano venuti a quattro, il le All - lls-ii e dtle (e-il rl., (iia lill)..... ades, a ndo i piti leggeri di cervello, il bril iati il danari, preci pitosi i ga bligli, venne a tale che.... l)a Valz.  e assile la Itosi.... a patire la la lire, il s II', sei, con tutti gli altri st Illi e disagil.clic..., era gia venuto a un termine. lle il disagio non lo olfendeva e dell'agio noi si ci a V a (riali W e il briligen dass...., 11 -: dosi illeri, il venire a volte si furioso.... (i, allil, il (ſlale il tori, ea lilelli e il nºt e V a 1 il 1 l l li do a V e 1 - o ti il to Il sito altri 11 venuto in povertà, il ire gli il li ri.:) V:llieri, c. I I I I I I I 1, divenne a tania triSiizia e mia iin coinia il si volev l l I-; e il l. » l' 1-- I v. desiderosi vennero il 1 I l l: V.. le; e...., I 3, «... sino a tanto, he venuta discordia civile tra l ti: io e l'altro paese...., (i 1,1 mil).« Tanto pili viene lor piacevole. Ili: i to li aggi e stata del salire e dello slli (olti ro la gri V. Zza. » Bo ('.  VIEN II? | IN ()| I. IN |) ISIPI,I VZ |() N l e Nili i li V | N | | | | IN S(I R].ZI () (.() N.. V | N | | | | | N | V \ | | (i i | V V | N | | | | V..... per renire, di l riraro.  venutasene in somno furore...., l 3, ('. calo il 1 alta trisi izia e il la; iia a irli: i - I ne vengo in dispe razione. » Fit, l'.Veilezia turbata li. Il testa per lita sarebbe venuta in qualche disor dine. » (ii: Il j).a M: la Belcolo: e venne in screzio col Sero, i telli e li fa Vella....» Boc. « Non ostante che tutti venuti fossero in famiglia, uniti che mai strabo -  -, le oltre le spel ea. » I3 ge.Chi mi sta pagatore l'Io venga a dimani. » Bart. Ces. Questa parola parve lol te olltraria alla donna, a quello a che di ve nire intendeva. I 3,.  VENIRE AI) Al Ct N ) che che sia, conseguire, meritare. – VENIR | N (()N (I ) \ ENIRE I 3 EN E ad ai tirio per riuscire. arrenir bene, al maltro all'attimo. VEN | | | V ((N SEI RT () V l'Nllº I; l'()N PUNTO).  Nori gli potea venir molto polti tre li dottrina, ne di speranza, nè di autorita nè li gio! a s'avesse acquistal n. » C aro.(Il le veniva loro in concio di Il gere, ed essi ll facevano con lor sen e 11. » I3: i rt.Col forte le 'la falli e la ali lo si levar l'assedio e tutto venne bene.» Dav. MI l'asciassero a pi: el e e bilo: empo per le foreste e discorrere a Irle ben mi venisse. l' el'el./partiamo d. ordo li la sto la soro, il to he ognuno possa fare della parte sua quello che ben gli viene. Fiorenz.ma per le ogni cosa gli venisse a conserto, appena fu in porto che s'incontrò il l.... o IX I l i.\ Iſili hè dove gl ii e venisse buon punto, al re lo mostrasse. » lºart  V ENIRE, VENIR A \ VN 'I per occo, e, v. occorrere, apparire, mo strarsi, affacciarsi. -  Aguzzato lo ingegno gli venne prestamente avanti quello che dir do a vessº. » I Bot (.  « A rispondere assa glon vengono prontissime. » Bocc.  VIENIRE A l) ALCUN () ll. F AIR CIIECCHIESSIA (loccare, Jemand die lei le kommel, . A te viene ora il dover dire. o Boct'.  VENIRE AI) ALCUNO DEI CENCIO VENIRE Pl ZZ0) – VENIRE DEl. CAPRINO e simili - ed anche solo venire per venir fuori uscirne  odore, esala l'e ecc.  E quando ella andava per via, sì forte le veniva del concio che altro che torcere il muso non faceva, quasi puzzo le venisse, di chiunque ve « desse o scontrasse. » Bot ('. 920).  E se non che di tutti un poco vien del caprino, troppo sarebbe più a piacevole il pianto loro. » Bove,  Dianzi io imbiancai miei veli col sulfo...., sì che ancora ne viene. » Lipp, \ ENIRE DELLE PIANTE per reni, su, mettere, crescere, « Quella che mezzaliani ente - lo iglia, a liglia e viene. Cresc.  VENIRE ALLA MIA, ALLA | UA..... a Venuto s'è alla tua di condurmi oltre Imonti. » Vill e da hin bringen  \ EN II? MI EN ) a chicchessia - gli ºli p. I l:i, i lobi o delle  promessº e simili)  \ niti il partito il 1 e il l via lo venir meno al debito delle loro promesse.  I)a V. Risl -, si il ve: a 'I 111 ssa: l' 1 si lill la le giova il 18 di:lli,  al quale non intendeva venir meno. B si ti: 11 e 1 li della s la propria ssi,  V EN II I \ (ENI ) (). I ) I (I,N | ) (),.......  e tll (l: ll II il l:lti S1 ll verrete sostenendo. I 3 i '. e venutogli glia ridato la d... [ 1 - Vi - e se l a...... il venne con siderando., I3. Fi: no alla porta a S. Galio, il vennero lapidando., (ovale, e fattosi dall, Illia! til:: venna lor raccontando.... (- I ri. L'utilita dell'udi e le ville º si liti di ora in colloscere, e le nel venirli stirpando.» Cers.  la lo) l'o a salitificazioli (poll istal Ile! llo!) il Vel difetti, l'Il  Note al Verbo  Venire  ecc. è, in Irli Is. Il li sll l'e 'oli  920 - - V oniro (lel cºncio ll - [llella spiace  storcimenti e con l'azioni di viso e di p l'Stllil, - - - volezza o nausca che al rila di ce:icio o cosa illilipsilica che gli verrisse vedi la. scillili, il lills il 1.: -) () s 2".  Altri verbi di particoiare osservazione, del cui retto uso si adorna il discorso, ed anche l'idea prende talora maggior grazia e vigoria; e sono: accadere, acconciare, adoperare, apporre, appostare, appuntare, avvisare, bastare, confortare, cercare, conoscere, correre, divisare, entrare, fitggire, guardare, investire, lasciare, mancare, mantenere, menare, mattare, occorrere, occºrpare, ordinare, passare, pensare, perdonare, procacciare, ragionare, rimanere, rispondere, riuscire, rompere, sapere scusare, spedire, studiare, tenere, toccare, togliere, usare, itscire, vedere, volere.  Accaci e re  Il suo significato con Ilie, e proprio, e lello di arrenire per caso, inopina la mente, in lei venire, seguire ecc. Il lorno a questo non accade esemplificare che e molissilio e dell'uso anche più che non bisogni. Mla gli all i classici: l i al dissi i vagano il l sless, verbo accadere, in un senso assai pil ial, o elill Icannelli e vario. Gli esempi li diranno come alcune vo' e si rii ti: con il lotto, con il corso, ed altre con cºn il '. venir in acconcio, caler a proposito, reni e ad uopo, loccare, di parlenere, e si ilsi anche a sigilli al e, ora la r di mestieri, bisognare ecc., ed ora preceduto dalla particella non non essere bisogno, nichl brauchem ecc. (cc. Conſ. Pall. I. Cap. III. E in ende ai ancora come un sifalto acca dere si avvenga alla frase e acizi ci si direbbe sostituendo altra voce  o quello che egli pressapoco º similica.  IPerche io ho compero un podero e voglio o pagare, e fa ne ini, le altri a Iati i miei come accade, a Fiera Inz. come si l: Il tali e il costanze, o collis bell Illi Vielle, (c'e'..  lolina illo...., e iº gli risposi a ogni osa come gli accadeva. » Fier. i cioè colive.lientemente, adeguatamente, o come lui la V e ol)poi tullo',  e.... e accadendo ti serva di me, o l'iorenz. all'uopo, al bisogno).  Io potrei, per confortarla, venire per infinite alti e vie: ma non accade con una donna di tanto intelletto entrare a discorrere sopra luoghi volgoli e comuni della risoluzio. e. (i ro, non ſa di mestieri, o Illegio, lo i è oli velici e, dicevole, opportuali, i c..  Etl alla donna, a cui il  ll, lº i io li pi i lito, li: ()r elle s'aspetta? So correi qui non la grini accade. A io sto conviene, fa d'uopo. Ma dell'Ilso di Inett l'It gelift zio insieme, come nelle Real di Sl'ilari: I e di Ilioli i sigli i al rilan: e in alci e l'Italia si vede, essendo ti-, olt: a 111 inta no e 1 li l 11o-tri, a noi non accade tratta e o l?orgh. lon 1. (t, il gli si app:i: tiene a.... e a III e il rio cadesse il ri; e il vi  11e di ei, avendo rigi a: il che '...., Bo.. t.. ss, - appar lesse, , i so, li i i ll io V  Non dis-e: i a lizi (ſt 1: Io la r cadde lº do il le?, (es. o o se, a V. Vell veli:.-. ll ii l'.... accada: il la di II lº - stieri..Fece cos e colla pr -: i o!!a spada che non accade adorna le di l: I: (e, p Cirle...., (: l 'o. i liti e, iroli e le ossa ri..Qll:) !ldo il rili di leit I e II li ſi l acca dcno altre ti -si l: azioni.. (ri, Zzi. lion, li li la d'ltopt di..... E lic, chi i: istiani - li Iile ! I po a si'l citudine di sal º:: -i. ] il ce: i letti I l accade, Sia il I l II toi, le cºl ltsinglliaIlio. è lI::l 'life-ti- iII:, S.....Ali, il non accade, i 1- I lii: i g male! » Sºgli. Iila: lor: i ti lit li lit.....N li accadrà, -. -i, li d'oro il 1 l izi l: i i sta il listino giornal li le t in. i ! e col Salinis a.... l) ils IIiti in In.. Segm. non sara bi - Ogil (....Non accade per ta: to i lie i t II li' li -so di lui l'in - l'Ize. lol dl }ivi, i, l1 Il cli..... ll 1: i ', -, Il li Sºg lì.Vi bast ri e ai la s; e iº li mi l britto a o che fu commesso, mln... il mio lo; e qlla ido, altri, il e o lo o ign ra lite. A olesse e spritri, o, avvis it, lo amorevolmente che non accade. Segn, non con vie: -i - Vie. l.Il qui e disse al detto Fed rigo: \ndate a trovare un certo giovane ore e fice che ha il III e le velluto: quello vi servira li ti belli e gel o non e gli accade II io disegno: ma poi li è voi non pen-iale che di tal piccola cosa io v e in fila giro l ' ſ tiche. Inolto v lentieri vi l'iro Il m po o di di a segno. » Bell Cell (non è bisogno che egli abbia, o io gli fa ria Il litio (lisegllo.A cc orm ciare  la ssi sºlº il ro - se e se li rai ii garbo e non so che di eletto, ll Viºli alla II se la Iso i si litio di questo verbo. Guarda come, e il lilli | is ssi I, elio che non là ordinariamente il Il 1 del'11. Sgrill I l pl plio, acconi da e, assellare, disporre accon cui mi cºn le mºlle e in buon ordine al l inger, si richten, lo dress, allogare ssi i i ssa a conciati e le gambe, le braccia, la testa, ll il ct col Not, il luci col tr. (. ll 1 l. ll..... di colecisti e cut ralli, uccelli, diamanti, l'ilari e ce: lesto verbo, costrutti e maniere leggi: i dri, e li ill sigli il l più aplo e figurato.  Acconcio le braccia i li, l l io l'. (.lle si s.... e, a da l idel e.. averla veduta quali lo s'acconciava la testa. (Illanta diligenza, con qualita il ll Iel: l i - -, l SI | o! | i ti va, la V Via Va, intreccia Va, ol' il via i l lil'Il sil i l i 11 il lo e le li li sappiamo acconciare le camere, ne lar, in olte, sa le a.. si lati: lo sta si richieggono.» Bocc. E e il tro i la si pe ll it lta, la quale molti pruni e al loscelli avevano acconcio il modo di iolo o d'una capillnet a. » l'ioret, Racconciava, i le, (.es.E' e all'il: ci lire i diamanti non si possa lo acconciar soli, i l':  i, il l: -- l tra l ' o. » l8ell. Cell. i vz: ezioli e le lezza elle e si veggo:lt il lili iE si acconci i lil,......... i lor ronzini, e il lesse l ' va ige, e lº \ sl e I I I I se li ve: ero a F l'elize. I 3 r. ri è st l'illi, il ll(ili ni: elido. lle a vela l': i slis- gl tl, e g O\ el'll Ssel:ì bene. Chi libio, acconcia la grù, la II - a filoco, e col sollecitudine a cuo.VI esse l'...... preso, e per acconciar uccelli viene in notizia al -.Acconcia il tuo i i possº esser tolto....; se l:ai d. ll: acconciali per modo li si sappia sieno tuoi.... » Morell. (1. (1, il\ vello a tu qll il Coni e il figliuolo e la figliuola acconci, pensò di più a li le cliniora e il l Inglilterra e lº allogati, i messi a posto”.  Seglioli al time parlicola i manici e usi diversi del verbo Vccon cia e conciare.ACCONCIARSI p. es. alla mensa. Fior.: ed anche in significato di porsi a sedere, mettersi a giacere acconcia mente, assellarsi ecc..  Si acconciò gentil IIlell, e i ti voi:.  Egli verrà la 1 Voi il 11a bestia nera e o li liti,... (Illa ndo a costata vi  salà e Voi allora Vi Salil Salso. e colli e slls, vi siete acconcio, così a Irl) do e che se steste e ries. Vi rc II e IIiani a tito, se:iza piu o ai la bestia. »  I 30 ('.  \ ((()N (I \ ItSi esser utcconcio ut, o li lati che ce li c'Nslal ciclot I lati si, russº  gnarsi, esser disposto. Il to, tppa i cech lato.....  Io lo:l po-so acconciarmi a l el I e re.... » l 3,.  \ (livelli le li I): 111... a pl i ro a... - l'e. sospil i....  non pote; gli rendere la lei dili i donila: per i quali cosa oli | il pazienza s'acconciò a scstenere l'aver perduto la -la pl es Inza I 3,.e Io non posso acconciarmi a perdere il fi l'io a file si cal. Cesari. « Io mi sono acconcio a biasimar to I 11 che Asp), gli lotli. » I): I V.  Io sono acconcio a voler vincere Il -: i cºnti. » I 3. E come io sarò acconcio, V -st ) e alla va º lº i.  Non è ia carli e acconcia di sostenere. r i ve l Fr. (ii in l.  Quanto più se puro, piti se acccncio di ricevere Iddio e Fr. Ci lo d. Quivi volti i navi in tiri ſia rico, in acconcio di lavorarvi. » Bali.  i la V l',1: vi  m  a E ve le; do l' Argilla i in concio di cavalcare. 13o (disposto, appa  l' chi lt).... i  A((()N (I \ RSI ctconciati e atlcino (() N (I | I ((I l ESSI A conciliarsi, (te  cordarsi pacificatrsi.  \lla fine... s'acconciò col Fiore: il il li:lti i (illelli (li l si allit,  to: Il ssi iI Vleli agli 1. o V ill. (i.  Lo e pri: la II:ito il ole, per racconciarlo con Messer:) lo li Valois. o Vill. (i. ... col quale entrata in parole, con lui s'acconciò per servitore facen  a dosi elli: II; il r l: Fiºmille. » I 3 (.  Nola questa forma singolare: acconciarsi con alcuno pºi se ritore.  \CCONCI \ ItSI NEI I VNIMI ) capacitarsi. I 'carsi a crede e persua tlersi. (ili ei trul. \lti Silli SI, V ii e !:i 'li, l'Isalli, e ci sia  - acconciar nell'animo. ) aCCc: i ciar ine! l'aninno, l l3 - li V. I  distinzione e  \ ietti li ! I Ve!'l, l: (i iallllo. (ieil.  la melitoria e le |! l -, vi  E acconciare nel mio animo, e non ini parea lecita  - l - e--  l - lº s;  - li S liatori. » I 3: u. Lat.  \ (C )N (I \ A Nl VI \ / i pati si alla no le col ricevere  l Set 1 e mi cºn li li il ciliotti lº si con ll li ecc.  Vi es. (acconciasse i fatti dell'anima  t: glla le, e l a li: il 1 e il .. l l: l. sl a i (lisse 'lie egli susa, i l si che egli la voleva Z: eri Vil. SS.  I Pil (ll'.  v((() N (I \ | RS | | | | | | A N | VI \  il n. i da i falli dell'anima.  ct no io rsi in ciò che riguar N e ciate dell'anima  Il n al! Si  li: i  pilli ! sto cle vi accon - i lì piu al tempo,  V ((() N (I \ N () \ V | N V | | | | | | (il ('c'e'.  F.1:  e volesse stare a ctl i l'u.  - I l a bottega. E Vi, l Acconcio con Maestro,  la rasse  i.... l acconciateli  I tl. lillo, a io lì è inil \ l.  (N (I \ I tl. VI (Il N ) pr millo. Il tra Ilia I l. l i nºn lati lo ecc. su l ich len.  \  ii  farò acconciare i l Illia lii º l i  si tr..... lle tll ci vive: ai. » l 3o. ... Aloi li. m'acconciò questi  ll e g le I); o V el li o, o (a ri. Sll: il l lilli 1, l is s'. ll I  Il 1 littl. I);l V.  lliti sei lili la ll !! ll glie lo concierò l'eli io  lº \ IR E. I ESSI A IN A (C ) N (I ) li.... in vantaggio..., facen do cioè se r, e checchè sia a suoi lini ecc.  l?erg: lilino i lor:i, senza pil nl o pensi e, quasi molto tempo pelsato a il V e -- e, subitamente in acconcio de' fatti suoi disse questa novella. » lºoct'. ( \l) Eli li reni e, lo ma, I N A l in 1 l propºsito, reni in luglio, rec.. Qui cade in acconcio, I, i: i S. l l si i lºrº di ioso voli in..., se iTorna in acconcio l i -. I l S.,,, i Nºi voi i 11 - i  º se stiti - il re: il 1. º, a tra i -, z º di e, dal e più acconcio ci veniva,  i l ingrºssare il vo. Il V  Ad operare  Per poco che al li sappia di Lingua, si accorge ben osſo che il voi, di loperare dei seglie il I sei il pi è ai l i costi dei lorº il rio e con illo ad ºgni pelli volgare. - No ai soli a l I I I I: alopei a e bene, ma le o anche solo taloperai e, per lipo i lati si, gore, narsi, con le nei si; alope) tre, operare, la r opei a con alcuno li e..... l 'pri ti e', operati e che.... pºr lati sì, procacciatºre ci: e inali, il ciclopici ai ci... per conferi e, esser utile, gioca c', o con lo si i e oggi lo on influire.  l eggi a Iuo prò e al dile o al resi.  V i lido col e si e-s, li iii, ol, i quaie avea l adoperato per le a slie III: li I., I o el1 I (verrichtei). a ll re quariiunque adoperasse i º pr. a, an's Werk seizen). a Mi la V z1: ve il nr ad operaio i  i il 1 il lil... 13:1 rl.  Ne ſilesi, gia ch'egli vi adici rosse. l - - -o sl 11:1, l'III e l11 Il 1:1 s..., vis il l i |,, v – i V, 'l 1  l il 1 Isse, Irlett -- ed egli il pil ct, i vi l -i, iniorino ai i quali s'adoperava con l' it (... ss. (); il roli e il lil cli: a C0pera l.ene o y I l a co; i do ci i ri! tura il - ii Is Izia, - li l ad opera male e vizir - Viv | - li si diporta, Si ccntiene lº: 1 –- verfahri, vvandoli, iti).e.... li oli mi ero la gr. z,: i Si - berte a deperare, che [ileia (i (ri: la no tv e ! 1, governo di vita, ecc.)e il V, e le si illi, o il la il lili, la liene, virtuosi, troppo modesti, le belle adoperando i lileil lido - lo appregiati....» Dav. Col, iv. I l l ita 1! Il sºlfi.. niente ad opera malamente, tutto fa bene, ogni - le glova, e il s Salvani non agit perperamº. lo II el'o, il rio, dove il confortar ti vogli, si adoperare, e il e...... l: -, redo re al novelle, le soli i lilli 1 º te ti -Cosi certante iº e Ari it – V ssc, adoperò colla famiglia. » (i s. si \'.v)lli: li: Il la l o i ri: le tv l In- ll It ! ! a, e tali o col Re adope rarono. l'egi e 1, il l / s la i3 (fecero sl, operarono in modo, procacciarono).i lil:n le li so il il vi: ti ſia di m 1, operò con l'apa Gregorio -, hº.... » (1 ialml). id.)ed egli, di e, operò talmente con Cesare, s. ll e li perdonato il 1 l id.E tº it, adoperarc no gial l V el:a che... o Bal t. ferirla ndo ll ma l operarono li, il 1 e Carlo, ripassata la Mosa si torllasse llel rºg il s; I (- i........ e farebbe opera li. it la liri º la sc a lìoln n. » I) tv. id. Io vorrei che i 1, ne faceste opera di villa N.N. » Caro (vi adopera sl pressoºl li º il colle per a sua gracilità  Es ) vi il dl -: ma, in egli era il s ii ei cui i valta - at, di si' nza, di compagno, di  luogo, gli sempre adoperar tanto e S: il riori, ch... » Cesari.  che dunque a soste itali: rito dell'onore adoperano le ricchezze, che la poverta non la ia molto piu i.lilalizi? Io:. il fluisce, conferisce, giova,  « Ma loll di Ilent la ceV a, che poteva, per rientrarle lnell'allini: li la trielit parenti e li adoperare, si disperse, - Il 1 ne dove - sº, di par la rl esso stesso, lº giovane, effettuare, procacciare).  State alle li e di buona v glia; che molto più adopera il valore e l'ardire dei pochi che la inutilissimi i tumba ro, a, quando la fusse ben  t infinita. » (iiamb pro accia.. ol' 'Isre).  Si moli da ultimo la maniera: in opei a li.... i pel in fallo di.....)  lonio (i lissimo e di gran traffi o in cpera di drapperie. » lºocº. e trovato le in opera di buon garbo, di de enza e di dottrina Vill  e va l'aspettativa, mi sentii i liar, al c il rilore. (i illh.App orre  Olll' ai valori e ieller. Il proprio i tggiungere, arroga e poi so pi di Sel, il re la confusione del polso e PI 11 cipio tu del mal della il tale, con le li N appi ne........ l () ll il l i lieti di appori e il 1 - i gi li - - iulo., p e iº le: li ra i sl: i lig il '... di ripula 1 e' accusa e, in colpare all riti di qualcosa, aldossati gliela, nel lase apporre ad uno una cosa: l li il 1 i v. l i - gi; ella follia | I l il 1ale: cippo i si  Imparano Is, c live, l ' gi! I lag esempi.  I rito 1 a l er... agi 1 -- lei, e ora apporle questo per i- usi li - e.. Bo,.E- ii e il V o cl II, l ' Irli i g IIIai sonº la mente io sven t 1 at )::: V, le la cui marie e apposta al mio marito, la quale luorte io l it ti: B..E le appeni tu ad alcuni quello il 1 i il III col silio t'hai fatto e  iiii?, 13,  (r, i 'lo: i --: ci t st: l) il che mi apponete di coolnestare | e e lil iio la c. 1, l Illa.. (i illl).E Ve; 111 e il rili lag ill: r. 1 lo si, e s'appose, (l'eli t loss (sua 'Iloglie, ei sºlo a l'i! ). » Mallia ! 11.  l'att i l 'sti 1, lis - e li, il dr. Ino. l la illg. elier asse non ti apporre sti a cento.. l):ì s'. Il 21 i liti, vi resti li li lilla i lorº le co; 1 o  Corsi di relli i quei gr. ll li il mini, i l io l.go per certo che si appor rebbcno. » - n. Inoli s': i galil; e) ebbe o  Nota al Verbo Apporre  5,3 I) a º nel segno. ragionando, è il pporsi, le collge lire, o forcare il lasſo e piglia e il nel bo della cosa. Var cºlli.App ostare  (Dar posta, star a posta)  ''sl - di chicchessia o  si illeso, cioè (lulalido si: s -, l.\ - è issa e il luogo e le tipo  s'. Il V: - s ci si s s' il ct ch ein dei tedeschi,  l suo pit ) e', e in quel luºgo | | | i rt (I sua posta, con I. Parte II (I l. ll  i, i', º i apposio c;uando i lollio. si - i disse l'ogii quella :I - le glali lint re è e....  l'. I l l - l'avea apposiaia | 1 g l'allo., (i azi. Appostato il piu ienebroso tempo i l tacite,, lei, ioè nel quale il so: i s - l.: -, i lil a:. ll sell on clie:almente. ll.:is: i............... (si ll e lo appostasse sull'ingresso del Campidoglio. ll mi - la al liri o di s in ital re, di frecce e l Segì).I:: dove aveva appostato, l et al pullm: o ill sul villf 3e; n. l va o, lis- llo, i retto il colpo).VI it l'ill si Is sennaio. Si sta, la Iat il asta illega vi lo, i. Apposta ove colpisca, on a o va l), l ' orlo tutto gli l'avvenuta I l o (il l.\ v... l l ego lº appostar gli Austriaci, a..... ti tasse il la a sul pi e-iudizio. » Botta te:I n lo lo i in loli - li alidati i ti.  le r data posta il l lie tiva e noi i vlt il cli'io il vi trovi a  Quel mal. Ieri in una siette due anni a posta d'un sold it. » lo c.App urntare  'A | | | | | | | | | Il lo si ' i loli - li ai i. riprei il l 'o r.  tippli il latre il ct cosa al di la uno. l'l'ov l'. (ppm ti litri e li e.... ii.... l'i: il 1 III e appuntiti e un colp, e | illlo presi di illil: l. I gi  i - t ' ' ) - !.....  l; i si. -: i l fu appuntai o  V tº!:lli lo sono, i Padri - -, i::: ' I in pirole., I):ì v.  I  l.... I t'i.- I: - - I., fi, i I l - I li.. I ): I V , le liti, il li  il.... -; l -... l is -si l i - i l. S: 1' iot:  vi si appunterà l l i' 13 º 1. E di li a coloro la  II, il 1, Ser Appuntini., (S.  S l it  1:  AppuntoSSi che s- i  t..., I ) l V.  Appuntò coi detti l' 1 l i tutto ciò  l: 1:1 Vl:.  S. 11, l appuntò un ci: Ip o l:  film inò il capit: o o | Ianti lo ci illavº i.  Avvisare  (Avvisarsi - a v vi sco)  Allego si ripi non del verbo il livo a rristi e  I tir e risapev. le. I vv. 1 i re,  I menſe, il quale in viso a chi og:  g:iela  i Il  lº 1.. i.  s', i lice: i:l  I l il  altro, si al l o rimase agli sciope::lti l 3 l:  ali in lil (:  I )i, ci si lti liasin i d il  il; ºlio rilli - ,, l ' il 's si t. e tt l'olarsi, ordilla) e tº.  i di l: colpire il  l' -. ! ! !:ì 1 -,  i ri'app lº ri: sv )  I s II, V a 1, gl, \ si appuntar noi l - I  l ' ' il il i il  appuntare: eppur un apice, 'i  - e tutto appuntano, a  l -  i; - !:) li... la  isso il pari pt Ito, e noi  la r il riso, il vell,  I tivvisi, e. l' Ili..  issili i i -s (l' i l'i: l' " Il liti i ligi ri.. loli l'illoleri. Ira del leill ro assoluto, o prono I l hº gli sli, le il valore simile al s'avis 1 e avis dei francesi li irri in tutina i si. I ti sei sl, la si a: ci lei e co., il cili i so, se ben in avviso,  I l si ggi ci si po spelli in opera di lingua ed è a  ' s i cli l'oli gli esser:ili le liti e il prelibar l  I  l: !. I si li: al avigliosa gran  !...... v avviº arcno: lei, i - in esser velenosa dive  I il avvisava li ss e passa r. » Bocc. sup  I l.. li-:i avvisando - - iº l e dissoluti. » I30 ('. - i l avviso il s.se; desso. » Bocc. lo avvisò i li i' alcuni luogo ebbro lo II: -i, si l e o lº.i l s ! I 1... ss, il ssetto, 1 ist e dolente se ne tornò; s.l, avvisando - ti - r. -I:It i..., Bo,li-s, E e Seco avviso illi Illa, i no ll doversi I ve -- l 3o.avvisando i l e ella gii piacesse poco) trove s ii e lº.l I | tesi. ll e l: e avvisò il vocabo  l'. I ells  l'e li it, S'avvisò a coluso  ss e trova: e di... l... l ' ', | 2,. I atto e deliberò  I l e' s si s i vi e - ssi di vole sapere -: ! ed avvisossi del modo nel quale ciò gli i i l3,... l, S  (avvisati - - In che Illes o così ti faccia? Saccº. I.V -: i -. S'avviso il l li llll:n ſ l /a d'alt lº lì:a: i |....E per ivi set s'avvisò troppo bene, come egli - V. - ll ': i.Il pil), io si à il lia, s'io ben m'avviso, rispetto ad un altra assai  Il l: si Se; ll.  Se gli al riso al ris di un sinificato  ill: i go sl, lº sllo di crisi i '.: i l'avviso, le ''I I I Ilia della sua bellezza il  V i 1 l in tºs, l  \l::lli il II lili il. V e e l o il sallo avviso. l): \ « Nè fù lungi l'effel si o avviso. » B cc. « A cui 11 in era avviso, li fosse tempo da clan, l ier. e li è già per -: per l'ill Ie 'il' gli vi ad pe risse, ci il qll 'lo smarrimento non vi rimase avviso da tanto. » Bocc. 579, acc ol - rilentoe fatti suoi avvisi accettò la proposta. I3 po; id I a ta li li le e l'i cosa.siccoli le usanzi su l ess, le li fatti suoi avvisi, spedI.. 13 i fattl i s Il ri. al li,.I)omi: i lidò il pilot se vi era avviso del I a lisca il lº i rt s si s orgea  a Apple la avvisato da lui questo peso il il p. In 11 e-cºit se ne  riscosso a Ces: l'i.  Note al Verbo  Avvisare 5, S - Nola il linº al 1 al riso rsi li ti ma i sat. d i siti si il mal cosa, e vale la d ' a lei la pens. Il ct, i | I l s rie, ci - ci) ruſ e rsone'. I )i si ti li hº i risa e il noi cosa, per il rei tir lei, notarla. Appena arrisalo da lui questo peso di ieri di I e di presente se ne riscosso (esari,579 – Quanto è vago o lorev | Iesſo il is gg si direbbe: Il -  | perocchè a tali strette, non vi fu empo li peli sare, escogitare, o che altro cli si limigliari i c.  E a stare  Polli menſo doppio sensº di basſati e le seg: lili o il violi: ()nte sl'arle basta a me, cioè in è sul lirielli e li li li i lis alli: iº basto a quest'arte ho mezzi e forza per..... le lili l: i lil, le liri, l' 17 e il livalho ad imprendere... La prima è comunissima e volgare, le tre le chiali con esempi. La seconda all'incontro è maniera eletti, e di quei pochi che sentono un po' avanti nelle rose della lingulil.  Anche il bastare della frase buts/a r l'animo o Se vi basta l'ulmino di far che in accelli offritenegli Caro Conf.. il Valli l nino - è al  purito il bastare di questa seconda lo ilzi lie, e indica pressa poi esser (l'animo da tanto, giungere, per renire (l'unino a tanto, e vi dicendo.i la ro: ra. al its bastiamo, a 13occ. 5S0). - i r re i al l i rbicati e cresciuti, i il bastiamo a stir : l. bastere;li e.. 13 or sar hl) e ta......  n...... risentirle una copia i ra i on v'avv a quivi dipintore, che a  ta, nto bastasse, I le dele (li. I 3; i 1.  Note al Verbo  Bastare  ) Sſ) l'id è lo stesso lº il ci l dll e il vece, con le diremmo noi, il si delle donne lo slot l'atl e l l'uso e l'arcolaio, non disse lui slot, Ilia è assai. il so, orsi e rifigio di quelle che ama  mio per i celi è all'all ssati l'atto e 'l luso e l'arcolaio il di l': i  Cercare  E il cristalli lil e I l nl 'l Nucl e il Salili i re, slidiare con il tenzione, I l is e, il laga l', col sill' 11 lt ll ſi asi: ci ce l un libro, cercar le di se ci I citi una perso il ct -. l)i si il cc i col 1 e una città, una terra sigilli passa ossei validi.. ei clo, la co.  li oli al lilli e soli i pi:  ()li le!'a il e lilli e, V agli illi: il litigo studio, e 'l grande cercar lo il volume. o l)il lte.i Lercol 3 al 1, e, i li, li i e i buloi. » Caro (ricercare una persona sig: i ii a il l e 1 i lie i ': li.\ clotto) etti si -si il te: zo e alla metà del gua dagno, a cercar le case, e ieva l s: il 1:1, e, per trovar e li godesse lasci lita C, alla l):l V.I 'e'.rso li corcarne la divina voi omià i ll Zio, le altrui, o l'ior,  n iºgge.a Cli ben cerca tutto il vangelo forse non trovera che un siffatto acqui e sto di tanto pop lo il solo un tratto in esse mila i lle sue prediche (i ( (Ill:llito il Sola ([llesi a breve (r; i t. e S. Iºietro, a (..  º rivolse ogli diligenza - l' e di Illili i lile. ll i s loi a cercar della sa e nità. » Gianllo. Elissi: cercar: utti i mezzi. Inet r. - mi premi per ria - V el'.a Sillitti,.a Augusto cercò di successore il rasa slla. l)a A allA. - 1; 1: o lio. Indigo per il Vere....  e si liliso coli - I li stili (l: iige: z a ricercare falda a falda della Velità. » Fiel'eliz  “ El a Ve lº io cerche molte provincie cristiane, - per Lolibardia, a º al rallelo, lei passare º I II: iti, i vs en le le ali da 1 lo di Melano a l'avia,  ed essendo gia Vespl o, si s litri l'olio in 1:1 e il il l Ilio. » Boc.  Mla poi li è tutto il ponente, i senza gia i ſalti:i, ebbe cercato, i 11  t l'ito il IIIa l'e s ile 1:: 1(), i V ess: il n 13,..  «.... e pot; ei cercare tutta Siena, e io ve li troverei uno che..., Boc. a A Vell dol' cercata iutta 'a. li col e ssell gia stali o Ill l II li-i ill l'itori la re. o Fle::lz.Tutta la vita si fa a sposa l'i loliti li-simi pellegrinaggi, cercando i luoghi santi del Giappone. I 3 art.« E con i grandi ravvolgime liti Filire i quali ora alla ti inontrº la, ed ora all'opposta parte si aggira ricercandola la terra, quasi per tutto..... » (iiil Illb.  C confortare  (sc e riferta re - Conf. D is sua ciere. Pront.)  (on)orla e alcuno a qualche cosa, che si faccia q. c. ecc. e pel sili derlo, so Iarlo, in arlo, spirig, l' i lil e. S ºf I larinel è l' p oslo. N i li  per i recari e alcuni esempi.  Ed issa i beni a impa -, I li la trie e il torri li da tutti confortata al li gire, la valuti il podesta V litta, il III lo col l Ilio Viso, e ce li saldi v e quello, che egli a iei dotina li lasse B  I 'oi del suo alti i lite ri o li li lo- i' (Ill: el: otto lil (st 1, assa  preso di quivi, aveva in un io a ccnfortar Pietro che s'andasse a letto per io che tempo ne a o l'o.e primi i che di quivi si pr isson, a cio confortandogli il Podestà,  i mi odificarono il grillel statuto.... º lºFresco conforta la nipote che non si specchi, se gli spiacevoli, come ll e A 1, e ti º 1 ): Ve lei lo i si. l o.I testo ma i ti o confortati da lor parenti e amici, che riconosces se oli e voli ſessare. » G. Vill.V e il nero, il V a 11, l Il 1 confortarmelo che ubbidisse al ri. o I): I V.Gcnforto tutti a lasciar. si sa – glie, l'orazioni e comunioni Zulin::lli li, Il l i. l)a V.s confortandomi al tornarmene a casa. » Fiel' )nz. - I serio i silo il confortavano di temperarsi e di allentare l'in i siti il sil i alti ('esa ri.Se io vi -si p a le!! come tu mi conforti, l'anima mia a noi e le ai le li/ si e io ho dato la carne lli: i.... (il V.\la verido, sto o portata l'. I bias ial a ad Ell fragia, e a ciò per molte l a io li confortata - l is - e s' i lisse i olte l'ag: ille, e coll a Inaro  pi: il Quai a voi li s oi.. he a cosi i lte cose m'inducete.... »  C o noscere  (FR i cc n cos cere)  (o mosco i NI ci li tra i set. -il ii so se con noi il re de I cl.,  significa in l'ulci se il '. 'onosce il no,,, l 'ce lessic clu allro, è di s'ill il 1 I l, is. ('onosce e o riconosce e una grazia, un ja col e la.... è lov e la, il I l il lirla a... i liti rare di averla da..... -  omose, e della morte e simili li il no, vale riconoscerlo, dichiararlo eo li..... l?iu', il N.......... l ', l ' l?iconoscersi di una colpa, di un  è liſossal l.  s io mi conoscessi cosi di pietre preziose, II e io ſo d'uomini, sarei il i vi ! lle e º I, Il Matt.per quello ne mi dice lº ſietto che sa che si conosce cosi bene di q: lesti pallºni sbia vati, e lº r.o i ll (º non si conoscono  il l fſe 1 l  punto d'architettura.... » (es.  \, il donº la rispose: I o la o si: Iddio, se io non conosco ancora  lui da un altro. n l3, l. V qui - unità si conosce dal mondano lo spirito di Gesù Cristo. » (si ri. a Opera da dover far da Irlatti, il che si conoscon meglio le nere dalle bianche. » Boc.a.... perchè levati quelli, la plebe irrilla oserebbe: e riconosceriensi po scia i complici dagli amici, o l)av.  « Dal tuo I (rdere e dalla i i la lo! lla le Riconosce il grazi e l: i vi itti It. l):al 11 e.  “ Basti G e Inalli o privilegiare che in consiglio dal senato, non in corte º da giudice, si conosca della sua morte, el r. -t val del pari. l)av.  º.... e riconoscendosi dell'ingiuria atta a questi frati. » l'ioretti, e Allora egli riconoscendo la sua colpa, fece penitenza, e donandogli perdonº. » Vis. S. S. IPad.  Correre  (Disc correre)  I la molli e vari Isi e formarsi di belle maniere. Nota le principali linello e Iri III li le seguelli esel pi.  e I | rall cesi a ºltrati delit corserc la terra senza il loll col trasto. » Vill. 585)..... coli in id):i correre il regno -a loggia il clo. » IBartoli. Illustre predicatore che corre i puipiti d'Italia fra gli applausi le do a voti » (iiillo.e I (Ini di Ibi: o il r.) vi Il viate corsa questa preminenza. » (a l o. «... assai mi aggrada d', ssere co ei clic corra il primo arringo. » Bocc. 5S6. Me felice s potessi correre questo arringo i velido aiutato l'opo la del « Vangelo. » Cesari.....egli II le lesiIII, del I II lillò (li l'iri la liersi e correre la medesima for tuna che lui, nulla curando, nè la perdita della slla nave, nè il pericolo della slla Vita. » IBart.« Di sette lance che corse li rilppe cinqlle con allegrezza e meraviglia  (l'ogli tl 110. » (1 l'o. a.... queste ragioni mi conforta ono a correre anch'io la mia lancia in  questo al gºl nonto. » Cesari. a Lasserò correr questo campo della poesia a voi altri Academici che  siete giovani. » Caro affendere a quella, dal e opera alla medesima).· I l II o tempo correndo le luci la citt non perciò meno l sta inte. ontado., Bo.si li live sale e contagiosa fù l'infezione che fra loro corse quel l'a ll 3a l'1.tra gli 11 corre un intezione di febbri di... - I pessima ragione, ll... (i vzi. Nello st: 11 - che allora correva. (rilllo. I ), l'eta di Demoste le: il testa ci corre 400 anni o poco più...» Dav. 587). \: corresse spazio di un ora. l3.Corre quest'isola in lungo sette miglia, e tre sole in largo. » Bart.  Pe o mezzo a l.it, l e sa l:ndia corre di itamente da Setten I una catena di monti, e le sl - a da Call caso e scende a... » l 3: il  I agii occhi gli corse a --. I3o elle gli SS  E al cor mi corse (ia i colli e persona ſr. I l... l): i.  ln - correva per l'animo e.... » IBart.  (( I il pericolo slle liner all tizie di gran avrebbo in corso in mare. 13:1 I 1 S)  (N () l) l. | 3 | | | ill). (() | | | | | | | | | N V | | (). I | Sl.lº \ l/l () l) l....  In questo a so dove corre il servizio e l'invito d'un mio padrone. » Caro  i.  se son pi ve lo disco, cre, usato a significatº: cºn lº  ami e la scom e e, derira e ecc. si lelle che nelal.  Mii la- i ere e buon tempo per le foreste, e discorrere cc me mi venisse, l'it''.e da questo discorse un uso quasi davanti mai non usatº, che...» l'80C'e'. a io lo - i tiri la discorrimento per l'ulta la casa º Bart. - mi - nza discorrere il fine, si lan io subito alla scurre e misesi a pende, in li di quei ciuoli, o l e ºlz. Senza lºnsºlº al come sia l'elobe : il data a lillire la cos:lº.Note al Verbo  Correre 585 - l' idoperato quasi al livamente, ma con significato più esteso, figurato, che non farebbe a pezza un equivalente al letterale ('O l 'Cºm'e'.5Si - Notilla Illesla frase: col rer l'arringo, e similmente le altre che  seguono: correr una lancia, con i ri il campo ecc. Si - Noli ſtesſo impersonali ci col re. I corre di questi sei ripi, è del tempo e del luogo che, fila si scorrendo, prende e traccia di ill pillo all'alli o dei lo spazio I: la determina la linea.5SS –- Qui con lei e e ad uſiiclo di occurre e venire andare. Nola e frasi correre al cuore, correr per l'animo, e simili.Sº Q1 slo Iriodo: cori ei pericolo è con uno a molte al re lingue alie (i clah r lui ieri, ecc.  Divisare  Senlio questo di risare nei pochi i serpi che ſi appresso: a signi irare ci è mai rai o dimalamente a uscinander scizen dispore con ordine, scomparti, e parli e ed i licli, pensati si arrivare (cc.  li loro l'illi i i parlare i 'loli i c. v. gr., ho di risalo, mi son di risotto, per dillol: l' 'i la propos, o, deliberato, deciso, non ad esprimere, come ſarebbe chi selle e parla i alianamenſe, che si è pen safo, ha disegnato, arriserebbe che.....  a tenelidº, per la rino che la cosa -- e passa 1:1 con i giiela avea egli di visata. » Fiel eliz.a.... ed appresso ciò, che i la' e il V sse, il ritº e il silo reggimento due  rasse gli divisò » a useiirald, setzte. 13o e dagli scritti del salto trasse materia di comporre il sil: ingata Irla tel', la II Il libro, Ill e li cºl bel ': dillº diviso | Iti: la tra i cia (leil;a l'olen  zione del II loli (lo. » I3:ll'1.  «.... ed e-sendo: -s: i feriali lente dalla donna ri vili, le disse che cosi la resse l'il la r la corre Melissa, divisasse., l?o r.  a.... la donna.... 1 i clonna Ilula 1 e (iiosef Illello che vola via si la cessi da desinare. Egli il divisò, e poi Illand fil ora lo ri:lli, toltinianielli e gli a cosa, e secondo l'ordine dato, ti ovaron fatlo., lo.Voi avete divisata la cosa assai bene, sicchè mi vi pare compresa tutta e a Ilatelia dell'eleganza, o disposta, ordinati. Ces.di ſilelle sole vivande divisò a sti i cuochi per lo convitto reale.» Bocc. a Verall I e II la i lill. ll ora per te, da avarizia assalito fui: ma io la via e o con gli el l istone, le tu li redesimo hai divisato.» m'hai fatto il pil e B...  Sl, ma i Ilie la sinagolarissili la differenza, ch'io sopra vi divisava.»  lei o lì a te il sito per le usa da vel un buon scrittore, e si Il bo a al volgo. (sl se la divisavan Ilie doti, i quali.... » Ball. si elisavallo, avvisa vi 1..\l l'i mi diviso, le rimastis: Iuori quav dalla soglia, vi mirino filgl ill::ld. Segli Ini figli l'o).si che io mi diviso che non a rilisse; o i miseri di alzar occhio, non li orli: l pil le.. Se gli.11 ilare un vocabolario d'un per il: Itti i vei bl, divisatevi le nature e le proprietà di ciascuno. » Bart. do- ni di tal ne trarrazione, se non che troppo a me lungo, e forse a li legge in si evole: ills in elole, divisar qui le tante dispute chi egli ebbe.» 3:ì nºi.vestiti superbamente all'usanza, d'abiti divisati a più maniere di colori, con i filisslilli - il milli ntl... Bart.  Ermtrare  Notevoli di questo verbo le manie e bellissime  a ENTRARE. MI ENTI VIRE IN CIIECCIIESSIA, ENTRARE A...., per cominciare, prendere a latº e ecc.  lºrin la che tu m'entri in altro, dimmi, -oli io vivo o morto. » Sacch. Non m'entrate in preccnii, nè in prologhi. Quando volete (lualche cosa che io possa, basta un centro. (art.lira non a 1 le con una donna di tanto intelletto entrare e discorrere e sopra luoghi volgari e comuni della consolazione. » Caro.I) una in altra parola entrammo ne fatti della fanciulla.» Bocc.  poichè io entrando in ragionamento con un delle cºse di quei paesi,  per avv. tu a mi venne ricordato Lelio. » Filoc.  | EN l'It Ali E \ All.SS \, ENTI VIRE \ I \ Vol. V, ENTRARE A MENSA  c'Ca'.  La confessione generale che fa il prele quando entra a messa. » Pass.c ENTIRAI? E IN TIM ()I? E, IN ESI | ) EIRI (), IN PI.NSI EIRC), IN SC)SIPI, l' I (), e c (t (lice nulo.  entrata in timore - sei o III. Il cap tº re Ba 1 t. IP re i 'clie a g, ilt i, \ l). go l'e l... I mili: i le - -:llito Vivo: e º dell'ill ia 1 1: era r. ll - I ldei prossimi, entrarono in desiderio ci si pre e, in ancora spo: desse li ll, l ' t”. tº ll tº si ri' o 1.... 3 I l Iin una settii malizia entrato, i vo i es -  a l It I lilt il 1 e il -  d ENTIR ARl, ad alcuno Al Al I EV VI (E per..... ed io v'entro mallevadore per lui li l e se è le. llla III It. Fi..Chi entra mallevadore, entra pagatore. - -.: Ilss II: Il V  tº I,N | | è A | I, I | |}I; | Rl, I V | | è \ \ | ) \ |, l N (); | N I | | VI è E SA | VN I \. I; IRA \ I \ I ) I.....: - N | | | V | | | | N (i | | () SI \ e c. I ) | VI (l N (): EN V IRE NEI. (VIP ) \ I ) \ I (il Nº in cig in cui si, clarsi ad intendere, osti il dirsi (t (red º l ',  Ils. ll lo) I | riti si illi -:1; Iz.l i i dis, 7 entrò una febbri cella, e l'inna se lei III omistero.. (la Valcº.  I, qui ii a o o in a. I riti animi entrò smania nel Ilici; ve a lolli eti, dl e Vil:1. (li paz/ 1. l): i V.  per la qual cosa disse che gli entrò si gran paura º le calde il tºrº, e quasi tutto stupefatto, ſi angosciando e sud (lii n non Kyrie eleison. » Cavalra.  a Di che la Minetta accorgendosi, entro di lui in tanta gelosia che ce li  non poteva andare in pisso, l e ella non ri - --, l al! --  º  )  l'ole e col cºl ll i lili (:: 1, il... tl bol: Issº. I 3 a gli entrò nel capo li li dove li te: --... lle e-s; il vos - 1 - liotalmente vivere nella lor povertà. e 13,.  I, MI ENTRA CI ENTIRO. (ne son persuaso, mi capacita. m i quali (t. mi ra.Fuggire  l Is: s e il re il sito proprio di partirsi I l il si alla I - - llando di evitare una cosa, Nºn solº, º ssd i si la clie' ci essia, e sinii, e quando con forma tran si vi o il sito va si' al re di li alligare, la luggire, la r portar via ! I l sillili.  N Ss, le Ieggi il 1 l I fuggire.» I 3. « Fuggendo la - i liz si i vas i: in entenne ºri e o Cavalca. N fuggire il i f. sse a l?o. (l III a - l: le fuggia in chiesa e in luoghi di re I: gl -, il l V, il - ro c n una lettera che seco avea fuggita a quel  li s Il  \lo, lisl (r,, lº; i l 1.  Si il paiolo, e vale l'ergiversare, cer  ir si l gi, scappa! Io, gelli e.  v le lis lo stilli - e o il modo di prendere il battesimo, egli con si t! lle astuzia se ne fuggiva in parole, il ia i ghe giallo con promesse, l'... a lºrº rt.  Guarciare  Pongo esempi di I guai dare ad al ro uso che il suo proprio di dirizzar la vista verso il ciggello. Significa quando preservare, difen le re li ulem, bel dilem, 'lalido cusl uli e, con sei retro', e lalora anche con siderati e poi non le, gli ai lati bene, sta r bene in guai clic prendre garde), pone le dire, in gri ma 1 si ecc.  Dal qual errore desidera il no di guardare quei che non hanno l'ngua la lilla.... n 13...I lolio, il --, ti guardi la bocca, e ebl e II lili, li dirgliel, che gli si con lic Io ad imputridire., Bart. Dalla stanza poi l ddio le guardi a ni. » (..) l'. Dagli amici mi guardi Iddi, he da nemici mi guard'io.», noto proverbio). Ill IIIesso l' 1 lgiolie e il III lilliga III si ria guardato.. º Te, rarissili lo I rate, Ille, l la guarda « diligelli e Illelite. » Fiol etiia li crisi fi, al IIIe: i la guardavano il ritta Vi elit . Al fine di guardar la sua pºlvezza a l 'i:  e che guardasse molto bene l Llls 1, ii le leſi i [ll:  e bedie:lte. e fedele: e p. io guarda li: i I lilllla pel solla senta giallllli:. - sia II, il  si n. 13, S: l | | | |  º io i ſoli posso credere, le lil - te lo i « per io guarda quello che ti la li: e se l'11 e l: 3 onsidera, poi i lr 1 lite. io lion ſarei a lili si alti guarda i  ti piti di sl latte cose in ragi, li I. I3 - li ii glia i  Non accade esemplificare il rito al moli li ll Is: (il Altl) Alt I.E FEST E cioe ossei reti e lui e quello oli e presº i il lo  (il V ) \ I RI, V IN IP() (| | | () (V | | | | | N | I l its e il I ti q. c. con sler lo tsl -  -  nºn lo si ecc'. (il VI I ) \ I V S() I I I I VI IN | E c'Na mi in tl e con il l. (i l ' A IRI) \ I? I. \ (. \ VII.I? \, e Nilm ili.  Nolerai da illlllllo il ſigilli il del s II lil e o si ri.................. che guarda un all ra:  que!! piagge, le quali gt ai lava, l, l i b - lei li di qll illo, o, l rivestire  Il suo primo significa lo è quello di ill e il I ss di II la cal. d'uno slalo, d'un beneficio ecc. il cili, VIII l iris I/ l il so stalli ivo. In restitui a concessioni di dollli li \la di essi il li:  li ti in resli e il luindi 1 o, (i l  i rili –: l in resti e il mio i gl ii li –: c in cºsti di liti i v.  a enti e, d. l, poi, i - l  – cioè adoperarlo in compere o si assalirlo, all'olitarlo (ali fallen, ali in uno scoglio, in una sceca – ci è 'i - gli sll'alidell, allf cilie Sand  i.: \ (il suo in un anello investito, il c Valli era: 11.... e i I os - ini; d) l'investira altrimenti i lo; dal I ri, Iii: gli tv va, dato  e  s, li ve:lli i l. it: l investire e il.  I li, e la i si l aº, li è per molto  l,  li e li si - ll s: i gli i il tisse, si lº ric:a  li ai tanto i parti e le ore li li: l. Io investisse nelle tempia. » Caro,  «.... liles is a so di il l I e spiaggi (ii Zeila: d,  a dove investi e l II, e l3:ll  Lasciare  Lascio gli isi più contini 60i e poligo al solito alcune maniere fro quel ſenelle adopei al dai Classici, ma niente volgari e poco note oggidì.  | \ S(I \ V | R V | { l N (l \S(I \ | | | | | | | VI (U N ()  tra lo i veri a lasciate far me con lui, che voglio conciarlo si Il riti e lº.l) Iss le, l io vi sºs l, lasciate far pur me, lì e con l'io la troverò,  os a bai ei, tanto bella e Vo: li  I \ S(I \ VN | ) \ | Rl, l. \SCI Vlt ST VIRE I a lasciati di dire, l'assare in silenzio. A on ne parla ro”. \ on lire ecc.() a di: se... [llo da pozzi sono d [li, pull e, s lº elle lunga mate  ria. Lasciamo andare, l'air (Illesto e le ini, che,.. » Fr. (iiord. lºred. I rosl 1 Ile poi li e - le quai, lascio andare.. Fr. (, i..Ma lasciamo andare questa corn parazic ne,; -  al: i re si s. ll - il 1 i l Io lascio andare e li I, to! i i se' st - e il top (', - l l'oi. ll (lasciato andare - -- - lei la lr1 si rii i i li: i li: i I l g il 1 li:i re S e il se i - \li - - -- li tit. º Slº. - l.: don 1, lasciamo stare.... / es. a rl I 1. - se, o il piu' il 1, i -: i in ' t:lti li' les. I titºs « Lasciamo stare, l..... ll II, i::. - l l: Iss, l', ' di lt 11t. Il... » V ill.lo lascerò stare la rabbia: l. l s s i M. ss: -, lazio: i re: re. I 3. Mla oli e - - Il ti il V 11 i Lasciaria sia re ciº'egi i t -to - a io | Il ! io. e.. l........... () 1: - -. Lasciamo stare continuo (li I) io li li' l zi, 11 - di e 1, il il: il: il, par i (s; I l i (50!). - 1, V S(I \ I I \ N | ) \ | | | | N (:() N S \ SS (). (VI (li si di lui i lo - e (),. ll lo un man rc vescio antia r gli gi i.ascia l s -.. I) li ve li. I !, i i t -.  e lasciato andare, – i l ss (i li lasciai andare in paio di calci pi: l'i: l'. Vli lascio andare un si fatto tempi orie, (li Il I p. e I3: il FI, r,10.  I, VS (I \ | RSI \ N | ) \ | | | | | | | V Sºs - - I V  con lisce nel 'I e a.... Ne' in luti e lei i son ; - la si lasciava andare al motteggiare. l...  V ºsci..  ire in dotaria il 1: l ' il solº Irla li hit: l.. Il V l  (il l. Il tir,..... -: i  li' si lascian andare alle vogl e le liti i:  Segni, Arist IR Nota al Verbo  Lasciare  (it), Q Ielo per es., a ce lo valore elillico, di lasciar fare « Que s il 1 lili i dirlo io: liti Iddio non lo lascia. » Fr. (i:ord io di pl el', mollere, lasciar di lire ecc. t di di iroli scrivo se non la soli, rila: l'alli e parole la scio. l ' (il d. ed alle la li lasciar scritto nel testamento..... clie..... e la I Cina lasciò che vi e' in non po\ esse lorro, moglie se del silo ligliaggio. VI il Pol. ecc. ecc.\ di lascia i colli o alcuno | rascurarlo, non promilo verlo lasciati si indiel I o al no si perarlo: lasciar di fare, ecc. (il l. (''NN (I l ' () mi e't le I e Iºl ll. soli, col nullissimi e del i ls e bassi era avelli a crel II l.  (I ) S I l esso la I l: non che potesse.... oppure non clima molti i se s'ella poli's e..... ll l il..... In generale questo  lasciatmo sloti e che, lasciar stati e checchessia ecc. è quando ſolº il di livelli il che colliva i non clico, e quando significa mºlle', ', li atletsciuti e ecc., si li alll a lasciar andare.  (I )!) \ ggiIl ligi alici e li slo: "li si ispiri lascia lo stare il cli de' pitler nos li l.... l o c.(, N, ivi, di ques'a ll'ast: la scia i trialo colpi, calci ecc. l.i  v s ital, e fa gr. Il colp.  N/1 arm care  I )ell'uso di mancati e', e similmente di allire a forma transaliva (man tr. I i l etillo, il soccorsº, Valli e all' ui la promessa ecc.) se n'è par la o alla I al I 2 Cap. 2 Seric.  Il mancare dei seguenti esempi equivale ai nodi venir meno, ſar di ſello di... l e star di lare, restar di essere e simili. Ma nota singolar for lira e costi illo di un sì al incotro che non so se alcun moderno, il p co sperto cioè ed ignaro delle occaille bellezze e proprietà di nostra li igili, l'Isasse lnai.  e anc, di questo lo endeva la Maddai e ma un grande conſolio, che la mi irta di Gesù s'indugia, a pill tempo: nelle era certa non poteva mancare che non morisse, ma quel chiavello, che l'era litto ºlel cºllo e suo, lui penso la faceva spesse vol e riscuotere, e gittar degli amari sospiri. » Cavalca (620) (Juan o a... vedete che il tempo mi e tolto, domani forse non mangherò ch'io vi soddisfaccia. » l 3o.. 621).a Io non potei mancare ai molti obblighi che li ti pareva avere con ºutta « la casa vostra. » Fiel (liz venir Illello.a L'aquilla... se n'andò da Giove e lo pregò.... Giove che si teneva dae lei bell Sel Vit, nella [llisto il I (i:I lillili le, non le potè mancare.. I Z. Onile ancor sindusse a e rito, che per lui si po teva II!aggiore, pagandoli, i lile il - III - l I riti o 1 -: ni si evil, goli il e borsa di Dio che rilai non gli mancava di quanto v' - - riti a me a lºro sllo e l'alt l'lli. m I3a l't. non gli fa reva d fel!, li  Note al Verbo  Mancare ſi20 – Proprio l'aus bleiben dei cdeschi. Ma i la bell il 1 o governo e ci si l IIZl llº.621 – ()sservo i li. di Illes, c del ese, il pi. l' Iso di ill  siſal o mancati e ai sbloiben). I l personale.  N/i a nte nere  Si Ils. I 1 A il l si i li isºl V: l che è il ', e ci li ulissillo, I la ill: le li soste il l ', i rºſſº', si l' eſiſ, i c'; cli) e il clero e slm Ili. (i: la rla  i 'i ll ll 1'.  - manu e nitori di un altra g Cstra l': I l (.:I:. Mante:rere a pianta d'armi, i lil. a.... \, - ri ), l e l'i; e cli), a mantenersi, I te, I? I l. ragioni colle quali essi mantengono la ior causa. I3: r" non - ea mantenere sue ragicmi - ti li lo..... i, li: l 't a r. e semplice (r se I e ! -.... a.... e per chi l'inge o iv h e le la V [a fisica lo Tta mantener le proposizioni, i clie e gli 1, i i.  N/1 e ri a re  Ne ad Ilico gli usi e le maniere più cara. Ieristiche, frequietilissime  622,  tippo i classici. I lilello, il sile, V (ilga l'illelle. (ggiuli. \I EN VI I I VIA NI - All.N VIR I 3 VST (N VTE – MI ENAIA COLPI e simili. ll 1: V e menava l is lo le mani.» Da V. i Imei far le mani le.... » (ii:lln), (. I meitai:: in Ceip 3, l ità ell.... Fi, Uilz.  (l' - er tulla la casa, gii -- menanrio d'attorno bastonate alla l sperata, e ciò per rac i '::: l 'mena ti ma ceffata Il latita i lilla di mano I alla spada e menò un  fendente e lo tig iato un recellio.. l  i menandogli un gran colpo...  \ | | N, \! I N VI: 'I SCI di un lago, fiume...... – MENAIR \ N VI A [...... \ l.N VI R | | | | | | | – Al I.N A | è \ I \ V N '' i; i nne. I vant 2 figli di eli. - !. !. I I li i. pia di ellite si - nema i piu dolci pesciatelli di questi paesi ed l.. ssa Iar danno. 2, Fierenz. I: i i li l è l'ozze, alla I ºne man o cro. S i vii !..l. I l v..... I menava tant'acqua:I pm i I l ergli o vetture e le quali neri ino V I - I menava vermini.. (a val n. ll e illlia dell ', o di fuori gliela  "; l., i menando marcia e vermini, e un puzzo intol  l  si, il til - i lº': i  \ | | N V | | Vlt ) (i | | | | (52 Iliesti nel sima festa, per.............. l e, g i | tesse la l cha () rimis la i mera:ºsse incºglie, l'. ll di 1 l le (lulello lì ledesimo Parsin:unda menasse Efigenia, Ill o Ormisda menasse Cassandra ».  º... » lº,  \ | | N V 2, i v 11, 1, 1: i menarlo il Saverio) con c ss; 13 i: del pari. I 3': Mlſ, N.VI è SMI-AN | E  lie il Viglil I |.... l - ne menava smanie, In il a il l: il  b :ljat per poterla va le 13 c.  t 11: me itava smanie.  All.N.Al ' () IR(i () (i LI () (li..  I) esi, it , l.: 1:: il l nenare  orgoglio., I'l' se Fi  \ I f.N AIR E S | | | V (i V | N A  -, l  lorº ! ! ! !, i. nmenava ovu: ii qua si ragiº  e rovina,, (1:: Illi.  \ | | N A |  (i il li. (º 'N.  | 3 | () N l i ce li ' NN / 1 - il lui lotto 1, per il miti i lui 'cr. l al 1 l.  A | | N VI, IN | V | | | | | | “ Il N V qui \] [ N \ (il .. !. i: l '::l  IN | IM V Nl lemer a pari ole. I ciance ecc.  I nne maio il re i re giorni in parole i  I 3 l.  El! l  i  11 il pi meno per lunga ſino  I l.  i rmerava  d'oggi in dimani. B: i  (i:º:  (52  \1 l a li e on e o menava d'oggi in dimani. (- i.  i lo si si, l'. I I Ili  Note al Verbo  Menare  S i li cias si i. i issili li e v. " I ri. E volgare, ed è a 11 le lis si, i lr 1 tl, mi e' mai rsu Il le, lilli il la la niglia e fa gli menar su. Si h.  Il menati e di questi li li. pare il re tale che produrre, tre I ecati e º sil I lili.  L'u rore mi dicere le; la lini. Si rile: I rail al giudicati e al l una sl 1 e qui. N. Il cice gi li all'  al i sii isl l'allerile cli li il. I l sse e qiuali, atto alla medesi ma stre'ſ ut, (iiill). N/lutare  Tra r utare, perrr utare)  S li li ma alle li e oggidì, sulla: i la il alla liturnelite, le maniere: p, i lati si o nº i lati e li ce li ssia lui il mi luogo, da una cosa cioè toglier via, 'I si po' mi i lati e ulio ed una cosa  al li li lu. I - ll 1, i  \ I) Iss l Suff: Inarco: ()  1); 13 i bel veduto, se egii liol muta di là, i iS - opravvenga, replli o  i mutarci di qui e andarne e. 13o. il l e l'en veder lui  mºnti iava mai gli occhi da lui. m (S. I s VI tramutò a Castiglione, a sp e.i, 1 'la, le col piedli nè con  i llla, ol' (luà, ol là si tra mutava piangendo, lº(- e il telº dove ci permutiamo? »  S - e si l ss e luoghi dove l'uomo si per  N tre chicchessia del suo proponimento, si l si º li ille, la Mlad l'o e la lºadessa si sse per lui un modo la pole lel suo pl o poi, in cºn l. ll li l la ll al re dal monastero.  t i vi l I  C c correre  e di bisognare, far i sli, i i i s I, -, il ll pal i lide si con i poli e ob, a Valli, incontro, e il 1 l ' ', ci º l: in lei venire, il reen il ', reni e incontro a... –- vorkom men,  'n l I 'I ml, li mi cºn silli Ill.« Egli occorse al III si lillo il caso. I gol so se ne voglia piuttosto dire « cl'udele che strallo. » Fiel elz.« Nella prima apri lira di uº, il cccorse quei la parola... » Flor. « Dopo molte parole occorse di villa e l' a Bart.« Occorrendo le AIII e igo viene il servil e V. E. In'è pirso, poi li è per so: la fida |a, scrivere.... » al V Vell:ldo. VI: I ti: I.teneva la V [lli b. I servito ne l'a lllisto di (ialli e no: gli occorrendo per allora luogo pit si  le lis- c. ll -- sl ful  (iioVe, e le si Ilierle. Inoli le liote Iria Il 1: e, a cltro da porvi le ll v a -1 e ſa | | 0. » Fiel'eliz.  lli ll V e' ('il logli il lil, il to,.  C c cup a re  E | 11 n.... i violsi: esse e occupato da un aſ  ſello, dalla rirti di cliccchessia.  «... I l l da grandissimo sito pi qll st:  giovalle, occupato. I 3o. «.... (Illasi da alcuna i timosità (l, - occupato a V e so.  «... e l: la Virtti di II la bev: 1 la occupato... in lo ev ra Iliori, (iia Irl). Io lili Ss, il l)i, e l Il gla i ll I ssa Il II li  altra volta vi dissi, o il gi:: le pi e in molti i vi: occupato; ch'io  I lli sul pe: lo....» l': -- I v.  C rci in are  con leggi: iri. I l gli allori clas  prescrivere, nel loro in ordine III: il liclle li  (il lill li I o II l sici ti significa l'e ll ll st il colpº: il lill. cliecchessia ecc. colli e ſil, e li li si lal iil I Il lil del ll. sporre, s'abilire, di risati e, con l'ori e con clic li e ssia ali di mºlti l ', li ſu l e' N, la la ſi l'Irla: orolin (tre con atleti no, oralini rc in Nic mi e che, con l'  ('i.  (º 'C.l ordinarono V eg::leil I e tiltti e tre fos sero insieme, a e l: il l: st i ta.... lo..... se crdinatc Cine dovessero fare e dire..... I 3,. E st e, con lui ordinò d'avere ad illl'ora rid) le si gli ºli, sOrdinò con lui, il V: i villi llles (la li le lºssle le) e, Il ll lºE l evano stimola [o, e siccome  egl o avevano ordinato, i. Il 1 a 1 i lil a ze: \ are i suoi peccati....»  (v. l. E crdinarcino insieme come elle love-sero uscire Il lo; i il 1/ Ca Val:i. E li si s. p le i s / iol la; e? I doperarli in corsº lle - e il l. crdinare che niuno di lo; o per la I lOrdinata il v lo s. I l Ilioto grigia: - tlil. » I) i v.  Fassare  Nella Sez Io l' 1 l ' 2 (p. 2 Sel e 1, solo allegali esempi il Il passati e ai lo li li a usi il ct.  I soglielli in sl ratio al 1 li: l ' si e li alie e di questo verbo, note volissimo, e il I e Ilissili le s Illa pellia si classici.  lli: passa i tlc il no (t. «la banda di banda, puts sare olli e, passati e i lorni in i lisci la l le puts Noire d'uno in ali o luogo, passati al vino di bellezza, di sotp e, passa la bene, passar notissimi,  sola e simili. I l soli i pll'ic le solo alcli e oggi  (lell' Is.  I: l: vi l le passò tra loro.» I ti it)  Ml lit e passavanº il cºi si l: - lì la le!!:i  li... o lº i.  E o tiſi into le It V, e passan le cose, o l'it  l (',! l /. te lo do per te li o l la cosa fosse passata colli e gliela aveva egli  divis: ta.. o l'iter l/.  Conto lo quanto avea passato col l e Fierenz.« Le quali tutte Ccse passano su Inza a V - Vellg 11o.. » l'ier Iz. Deside. I va in il caso passa. 13,.  e - l III:: l - l si l sia  sempre mal i Irlato, il che passi,, ni III o li si s -., Sog Il. ()g! li cos: passo al contrario. l. I V. 6, lº,':ls, ci; e le CCSe il - passar bene. 13: 1.  si III dialie i cvelle ci passiamo., s - I 3 i “.. i: -1: l I l. I jel, lo ero il tie-t: -: i Ill 1: II i l:: se - ll Iss di passarserie adita niente | 3 ll, st 1, s. ll 1 (- Iº, io -, si S sa: i lei | 1. l se ne passo. I 3, ti i? I l bene passare. » (: l V l. 1:i.: l 'N. ll si It... sll (! - I i s l e Ileli |, se ne passava.:I passo mene qui ora brievemente. Vi SS. l'.lo a V ! ! ! ! ! It, passarmi al tutto di muover parola.... (iiill. - Ma per che io ci, l... - Za li Ire, mi pare di pc cr passare - al pr - li e, vi li: l la lierli lie) - Ss ('ll lo 'll C (i 1: Il 1 so di volersi del fallo commesso » da lui mansue lamente passare. I 3.ei e li i 1: o li passandosi paziente. Fior. E - l: l'agglia - se, io, Ill. Il lo ! ! ! ! I V (le, l si passava assai leggermente. -. l3 i.  Il II III: 1. ll bh, l' - rili i li li I e il... Ma me ne voglio passare di leggieri. pe. ll 11: - illili allilnali.... po;: quelli li ti  Nolti i ricorsi i lorº li: I ASS \ | | | | | | N () IN VI, I E l va il l per passare ol: ti III lili.... B i I) v e il 1 l si passare in Toscana. Ci si ri. - - - - - p, e vedendo...... - ll I |, il de / Il l l io, s'ils - lli, del a - o e passò in una gora i lì e il 1 l Z. I lanieliti passarono in icmulto. » l) i v. Iº V SS \ I? I, I ) I V l 'I V  S it | 11:1 - ss: li gli 1:1 c'evade s'inti, e le passavano in questa via; ma egli non gli all'anima di G. C.) si re -si l e. (a V al:i.Comiso, 1 la tila doll i i [llai - mi 1, lo le tu di questa vita passasti, stil a iº l ', ill: l 3 a  Dopo non guai i spaz, passo delia presente vita. » I3.  Note al verbo  Passare  () () Il passo re di Illesi i sei tipi e il rella le cle accadere, avvenire. in terreni e seguire ecc. Al: sserva particola le cosl l’ullo e for ll lt l.  (i Nola la testa litanie a passare al contrario, cioè non riuscire, avvenire col il rari Iliello - e il che la segue le passare bene', ci è l'illscire ('.  (i 12 () uesto passo rsi di una cosa si: il tal se passer de q. c. dei l'alicesi è di varia significa i me. Vaio nºn arne parola, Illasi lºol forli al sl a pal la no, lasciarlo correre, quasi lo fermarsi a pulirla: ora con le n la sene, li lasi non fermar si a ll lov e o lillicoili, e si lili un gelien, il bergehen ecc.)  (i 1:3 Scilli ilel passa, si mansu e la mente, paziente mente, le fermi cºn le e simili per non farne caso, proceder sen sul lig, l ' loli e il rall e il till ', loll dal Selle fastidio bliga (('c).  (i i l'. Il ſilenlissimo l'uso di passati e per parlirsi, andarsene da  lIl 1 ll I go.. ll ti i lo ) q c'h ('ll.  Ferm sare  Cerlamelle che a definirlo sia, come la il Tommaseo, esercitare il pen sie o | Iasi clic il pensiero si alll: cosa del pensare - sia come ſe c'ero già il lolli al rililologi, esser conscio a sè delle proprie impressioni – quello che io mi dil ei più vera nelle coscienza, non pensare, – non è Ian, facile e il rarvici e intendere il colme dei diversi usi di questo ver bo. Deliniamolo all'incolillo con più semplicità, e quello che veramente è, ſa e cioè giudizi con la mente, ed è subito manifesto e piano (così pare a me il valore logico, la ragione il lº inseca dei modi:  a pensarla –- sinonimo di lenlellarla -, sovraslare inne hallen, ille si elen, rallenere cioè la mente il riflessioni e considerazioni, sen za conchillolere, risolvere o Vellire ad allo;  lo pensare una cosa, cioè indagarla, e Ncogitarla, cercarla e trovarla  pensando:c) pensarsi, immaginare pensando - fare sè o a sè pensare, ecc. – ed anche:  d) pensare, senza l'allisso e in modo assoluto, simile ai verbi della 2 Serie, Parte 2 Cap. 2.  Non parlo dei 111 di pari sa i cui l i na cosa, pensare sopra i na cosa,  di una cosa, che è l'uso ordinario del V b pelsare. ... era li a lui la pensava, l... l), V. lº da il di illi i 21 pcnso sempre modo e via gli li p s- ll ril l'e. » Fiero lº y. e Con I liti o id) abbiamo pensato un rimedio.... l Z E siccome a Veduto loli,. p; estini i ebbe pensato quello che eri da  la ! e, e il Salil il llo il disse. l 8,  a pensò un suo nuovo tratto il: 1 st z:1. o C sa li. a Oil:ia e la Viſ n loro il c i i liv - I loss,. i: 1- li il Sel può pensare.» 13,. E si pensò il bilo n uomo che era l'elipo, d i rid: si me alla B colore. » I3. Mi disse parole, le qll al 1' mi pensai (li II: il V oi i tal gelite e Vellisse. o l): l ' i te. « Pensossi di ener modo, il quale il ddl esse.... o loce. « Sla tanto li me che pensiamo sarà presto gilari o del Il lo. » Caro 533. a Illa 11 in si a Va - lo s... Il la la III e, pen a Sando forse, che si ill a rl),, lov e l'll el', e: Il lido, V ne sarebbe e quali l'un altro si vi -:ils pe:Isa: dosi, irrina - ni ndosi. Fiereliz.  Nota del verbo  Pensare  533 -- trir den kºn er l'ird balal tricole, gi / se in \1 dl, (li lico come si è del [. e sta per ci pensiamo.  Perci con a re  (C coro ci cori a re)  Solio liolevoli sopra illlo i modi: per donare la rila ad alcuno, cioè lasciargliela, non ſorgliella: perdonare, condonare ad alcuno di fare, cioè accordargli, per le lere ecc., perlonare al jeri o al luoco e simili, slarsi. rimanervi dal applicare il ferro, il fuoco ecc., e finalmente non perdonare a denaro, a lot lica od all ro, cioè il sarne più che si può, senza riguardo ecc. l o elli v - se perdonare la vita. o l'iere 12.  ll I po V e le dosi di III, lta p. egava il leone che lo la s Isse e perdonasse gli ia vita. V, l ' i' / II; di Es po.  N perciorasse pietosamente la vita a Roma già - Il l il I I I I I I e l Si l  Perde maie, i, pcrdonate il lil, alle ricchezze, le i:ì li all'ute,  e il l i -, i isl al lilia? e. Ed a 'e la in condonisi di recar lo ve / le pendenti agli a ol'eccl I. » Se ll.Che:lol V - si ill o il litri interessi unani, io li Vi perdono ciºe arrischiate la I loa, che avventulliate | lº ri lli: zio, il che li ss i sa, i ta, li l... » Segìn. -col e gli... oi, illi, e le e' ſù perdonato al ferro e al fuoco. (ii:Tilti i 1, non perdonando a memorie, magnificenze, librerie, spi: i lito, l I e I do la V el - 1, V., – lla slal'e il nido. » I );l v.  se polesle.., 1 l l i gia che perdonereste a denaro.. Segn. \ V e perdonato a fatiche a spese a industrie, ed avrebbe tollerato di veder l illa del tri: 1 il pe: i - se poi li fa render beata?»  Fºro cacciare  llo is o V al I e il I e il I l re di pi curarsi, o procu  1 a 1 e ad al Illo che chi essi, i licl il sels, VII l essere illeso anche il  I 1 (lo: di malati e il p o ti º lo gi la di più l'allino di andare il procaccio, si e' li Is simile a quello del  p, r'alizi l'agi li lo stilope ti e' piu' al '. Si gli assi lilla nelle fare in molo, ingegnarsi, inclusi i inti si o si riiii.  (il è per or |, se | -s,l, le to e ad i vi i procaccerebbe come i 'avesse.» l '.frastaglia trieli: e vi dico, i lle i procaccerò s. viza la, che voi di nostra e brigata si ete. » I3.Volla procacciar col papa che i voli llli d 1- elisasse. » l?o. « Il llla e Veggendo la nave, sul tallenta in Irlaginò ciò che era, e coa Ina ndò ad un de lalnigli, che si li/a. Il dilg 1, procacciasse di su montarvi,  e e L, i lati. Itasse ciò che Vi 1 - - o lº.  r a )ra si procaccia Viati.i:i di avell are agli al s oli, (! elisol II: la Vellasse e loro IIIo o il milmente, e co., lilolte lag rili. (ilValca.« Procacciante in atto di mercatanzia., lº.. ) - I tos, l l Ilsl rios,. a Procacciam di salir loria che si abiti: (.li gia lo si pollici se il dl Il: l iode. » Dalì e.gli venne illio va cile i litoria, i i' si della reli gione, si, ra ils it la', pro cacciava tornare al regno. (i: i i. E pensolini che la lon:.: 11 1 1 l vi aveva del o i S. (iii) valli che - procacciasse d'andare i l leili, e Il 1:1 11  e disse loro, a dire i lic va ri-s..... - il  i: i lila i lilla. E pensº irri ste e - 1 elle e - I sl11: rr, te.... procacciava di favellare loro. (il via l. e º pe; soli i clie il vºltº il rii (- si VI: i dolina, e li ci sse: Carissili. Ma il c. v ! le li li, V e lere chi e gli scril I e F: i sei procacceranno che questo corpo sia ben guardato, e  Irla. 1 ler: li li i di l: -- li si li li li sa l bl e 11est: i stanza li li l: - tra, (. I v Sſare.Procacciando d'aver libri i -1: l silt: l o (.es: l'i..... e senili e procacciava in vero studio di accompagnarsi coi laici,  e c. l e perso le di l -si l III: ( Ragionare  Notevole l'uso di Illesi i verbo I I I I I I I I I rilisi iv livo, col caso l'ello ecc. 2, a val I e di disco, ci e, se il pli e il di pi la re, emersi parla di di checchessia ecc.  e t -, la e 1 l, i -; tiri. I ll zza. ll (iesti ila -s, e per ragionare con lui quello, lo delibe: il to Insiellº., Cavalca, a IP Srla e le m'ebbe ragionato questo l i l: i grilla li do vr ilse; a Per liò mi i ferº, del veli il pil pro-lo. a l)a te.e forse mi sarebbe igev che ragionato m'avete, a che Iriella: il rili al V Ita el l Ila. » I 3.« Come il di Ill venili o ella Inandò per Illi si sale e ragionato con lui a questo fatto. » Borc.« All (li:llmo 11oi coll e-st, il il lºonia ad Impellare che..., ma ciò non si a vuole con altrui ragionare. » lº cc.Collllll iarollo il ragionare di diverse novelle, o Bocc. -.... insieme con il rarono a ragionare delle virtù di diverse pietre.» Bocc.  E' stato ragionato quello che il maginato, avea di ragionare.» Bocc. Io gli ho gia ragionato di voi, e vlt lvi il meglio del mondo. » Bocc. “ Se io sentirò ragionar di venderla, io vi dirò si e torrolla per te.» Sacch.  Nola da ultimo i nodi: entra e in ragionamento v. Entrare: stare d'uno in all o ragiona nºn lo tre i tgionamento: cader nel ragionare, i sul l tgionali e ecc.  e.... e di questi ragionamenti in aitri stili sul ſua, lo caddero in sul ra e gionare delle orazioni li gl: i lori i l a l)io. » B cc.  Rinn a ro e re  Restare)  (ill: il da colli i lill li si l Ill li Ilsill', li, elillica nelle, il Voll)o rima nei '. I in nºi sl, per cessare, lasciati li la re ecc., ed anche dicevano ri li di me si, i 'sl di I Ni (li che lessi:i, il logo della folla ordinaria, asle lie selle, non la re ecc.e Valli il picchiar si rimane. » l'80cc. l'er g. I li, che nel e li li e di Ille, le i l onllo e le el o nido, si stoppal on i detti art firi per il lo, che si rimase il detto sucno. V Ill.Per voi non rimase, il st il dele, che egli non si il 1 les-e colle - lle 11 la Ili. l 36a Tull ti via In li vo che per questo rimanga che voi non li ne facciate il pia e vostro. 13 i n i VV e il 1. pl te! is a, si tl al msci).Per questo non rimanga che li per venil e il II lo al corpo sanlo tro Verò io le; l lodo. 13, i.a Madonna, per questo non rimanga la r il na notte o per dile, intallo che i pensi.... » Doc.a IPercio hº, quando io gli dissi al collessore l'amore il quale io a a costi li portava.... mi ero un rullo e in apo che ancor mi spaventa, di condomi, se io non me ne rimanessi, io li'a il re in bocca del diavolo nel profondo de l'i nferno. o lº e'.quanto pochI - n 1 lei che rimangonsi dalle colpe! » Segn.. () il -. o è mal I atto, e dei tll egli ve ne convien rimanere. » loce. - - - - - ess idono da alcullio loda l rossiva e inos l'avallº tra i dolori, che, pure per non dargli quella lanta noia, si rimanevano dalle sue lodi.» (es. r .... e oggi se ſiore ho di sapere, e nome, vien più da Volsi che dalli al a ringhi e voglio oggiinai rimanermene; perchè que: codazzi, riverenze ea corteggi a me sono con i bronzi e io iIII il gilli, e li riti li Il cast: li o!' « contro a Illia voglia. o I)av.º per cinque anni era con Intlalileite nel pt at, e li pil re: che se a ne potesse rimanere. » (es: ri.a sfolzil Vasi di oli dll l'1 e l: I); Vill: l 3 lit: i d i lilli olii i cºlori di - i lo a padre che restasse di più opporre imp, dillio Io...., (es. “.... ei percossº. Il lin fascio di legno, e tratti ne II: il « e nocchieru o che vi fosse, non restò mai di battermi. » Fie A. 537  Note al Verbo  l?ipararsi o al clie ripara i º il so, il II lil in qualche luogo, è rill  Rimanere 536 – Maliera elillica e vuoi dire che i lu solo di peso da lui se la costi non ebbe effello, ma che per la ri', la da lui sarebbe anzi il V Venll: 1.537 – - Aggi Iligi la frase: l in an rsi con alcuno, cioè resi il l'accor d. « e cosi gli raccollò IIa lo si era rimasto col giudice.. lierellz. | | - Riparare  giarvisi, ricoverarvisi, prendervi stallizzi, il bergo o si riili. l ipoti e rsi la checchessia, prenderne riparo, e di lenale sene, schermi il seno ecc.  e lº co-l facendo, riparandosi in casa di lil I rate! l la li  (Illivi ad Isllr: prestavano e ili pe: I lil. I d' I, ss MIli ci: Vd io e Il rito, al V Vellino che (ºgli il [..'Irld). o I3,,« Nella quale, Fiesole, gran parte riparavano le sito soldati. Aln. « Nella corte del quale il conto alcuna vol 1, l gii ed il figliuolo, per a Ver (la Illa ligiare, molto si riparavano. » I3o. «.... e avendo ll dito il nuovo riparo preso da lui.... » I 3 c. « tempeste terribili con poco schermo dell'a! | a ripararsene, per cal gione dei grandi spezza Irnelli i che vi la line, le cellule.... I a r. FRispondere  Si lis: per l en le e, l ali che si appr. pria ad usci, finestre li ries si | I go ecc.Vi si st l'1, ed ali e loro entrate,, le quali di gran vantaggio bene gli rispondevano. l'8 c.E,si i si l:n linzi li o gli rispon deva.... » I I.il rolliri to, di che gli rispondeva a stia p.'ol s olle, o Ces.  \ la ti tale sopra il maggior canal rispondea, e (Illindi s  (si d. io, e - ta la io el l altra parle dell'andit, I Gime r spondeva nei cortile..... Vl in 1/.  (::llo iella (.li es, e a tinto dal lato che rispendeva verso la casa parrocchiale, a in la I bitulo, il 1 bugi  a: il ii Il \ l: il la. Riuscire la I e di jiu il '..... in li le rispoliciere V. g., di una fi  I solº i di qualche logo.  il ri si il V lente a che il fatto riuscisse, l V e Illel inisero me li: i sliI l l: vi ll. e qui riusci la fede di Il sºlte. lti... » l al [.. 5.3S l..... il che riusciva º;; l'orto della sua casa. I leveliz. !... ll le gabbia e gli altri o il certo I, li sl re d'un palazzo che riescono sopra una bella pescaia di dettº Villa. » l'itº l'eliz.E le 'tero a dove riuscire ad cdio e inimicizia Illani le 1:1, ed il (s.  Note al Verbo  Riuscire  5:'S -- Nota anche il modo: riuscire nel contº aio (l?art. Fier. Ces: C' ('C'. IRorn pere  assolti alle il c. e di 1, il I e pºi e' ipi di isl, scoppiati e, a Isbrerli li, re nir fuori, mosl riti Ni, renire al 1 ll il 1 ot, la nulli), il ſuo Srl, il l i tic li e si il ()sserva Colle.  spia º la r la e i d g romper nelle I):ì v. che il mare ſta il lo rompe la fortuna, si i º la ve.... » Bart. Ma:ì colm pass ºli d'ºl - lo d lo c. lI l a zato a rompere in questo lamento. » (il.... Si V ) ll 11 e - I | Il ri - Ci10 ruppe la più Sfornata tempesta... » I3: it..... ll si l il Iss....... si ricco d'a ll sor, enti e pio a 'le. verno rompe, i cli è noli ha pºi il l si 3 l rt. Al romper de' primi alberi 13: e () li liseri e vili e le colle vele, il re i riposare, per lo irill (o di veli! rompete l il sit I'' | il ti» li: il tragi, l)a 1! (Convit.« IP:lrla il santo I)otlo e della penitenza, l silligli: il 7: che rcrmpono in mare. 5 (), IPass.  A 11aloghi al I o mi per e silciello, solo i lil (ii: l'olio di chi ce li ºssidi I l -, di risi) di cui i ne sfr millili e le alli: il ri: (ii Ili. l'uol li | redica o di persona e val lira hi:il di ogni vizi e delillo, si bilo il l'il': rollo palla e se l'I l ºrº al l (t poi i lil si al I olla e. A vizio di lussuria fui si rotta, (ll iil I  I: i (il bi' -ilm o ill che e' il ci li lo | 1:1,.. ); I l ' e li o di po; con roito parlare disse a I io  -, i di loro chi sono pi posti a go. erno dei legni. li enz.  !, si parti:: rotta ».  a MIozy Iºirellz. In t....ti, i a crive a rotta. si 1, ero i rossi V lillili ». CCS.  Note al verbo  Rompere , 4ſ) Quando il discorso non è di na Il giro e si vuol sare la so irriglianza del mal frigio si dice l o nº perc in m al '.Sapere  Nola il sale dei seguenli esempi, e osserva come sia usato a inves ce di conosce e, cioè il lal luogo e follia che penna volgare inon sapere di lole la conosce e lo elli in etile per saper lare, saper trovare,...... lill il sels l o spiacevoli e cagionato da checches si se pºi li rion Nat per lu nº, se per male, saper meglio,  peggio e o il  il I - sapeva ed il luogo della donna, e la  t o!: liss. 13,.  V sapete bene il legnaiuolo, Il tale era l'area, dove noi I Ille- i le lel lmondo ». ... si il gialli avi, le tl - e i llino da ni:aggiori miracoli, che lima losse, per ine sapevano bene la sua infermità di prima, e tutta la gas. s tripli di gelle (i val.i (o si º li elit: rl, impero che sapeva l'animo Stio (a V alcºl.I ll (lº vi o li sapendo la mala volontà di Alberto, (ii:alml). l'er certi ti metti da campi che a gli sapea molto bene ». Balt. Non sapea aiIro bene o vantaggio che lolli li Ino; i do ». Cosa ri.  b) l urono oli ri quanti seppe ingegno e amore ». I o.Sappi s'ella:): voi a 1 e e ingegliati di rilene) e la n. 13oce. Se e- l si, val lsi ve lel via, se noi sappiamo, di riaverlo ». l 3oce. \ li i: it: l. Il tº sappiate come stà ». I3.V e li li io e sappi se con dolci parole il piloi recare al piacer mio a. l 31  \ lorni il meglio che sapevamo l?o l?art.  a 'l'empi rirs delle cose che sanno buono alla bocca » (che piacciono, il 1 ml, rano i gusto, vanno i versi, i l:llelli, l'iol'.  a Nell'all pero di chitidere o si arta la io, per riporlo, mi sapeva male e che una storia cosi bella dove - se l'Iliialle'e lllt la via sconoscilla ». Manzoni.Note al verbo  Sapere 5 (1 – Lascio i 111 di: super gi atolo.... e noi ve lº sappiamo grado quanto Dio vel dica... Fierenz. --,saper di q. c. –..... In li li perciò che li lo sappiamo « d'armi, sono punto rimane selli. Il prolili id arri, eggiar per poco. I3art. –, ed al ricli si generalmente noti ed all che usati. Sc usare Scusare ad alcuno checchessia significa lui e per..... rale rgli checcles  sia. Scusa i si da un incarico. di un onore è l'alleli nen dei ledeschi, dispen strNene, declinarlo.  gli Scusava altresi tavolino da scrivere, (es. I) Io g! scusò .... ll Il gi! io lli: It i li (. Il lun atto di III: rivºglio - a 11 in Ita. ll Ior- e la vi a  a la fortezza degli altri due, gli val-e, gli compe: so. I3: rt.:I III l st 1:1 - lli -, e o l il l:  N velli re º il l il  lii lutti, vo: ebbro piuttosto scusarsi. I), l:iz..... e vi va parla gli uli (a: di: 1 e se ne scuso I,  pe... li: l '  li enza. Iº e prima lo volle as lta: e cli... (-.  Sp e dire  (Spacciare)  Dicesi | III o spedire che spacciati e negozi, alla ri e val - igarli, dar fine e in prestezza, dar loro crimine od eseguirne lo ecc.  I 'tillo e l'altro sti, per sbrigare. libera e mandati in orina, distrug gere: li la lida che spacciare in tal senso è piu forte ed incli e violente ed espresssivo talora più di spedil e.spot ist e il ses, i ve: id I e, esilare presto, agevolmente non  E spedirsi, all'incolillo, il senso di Irellarsi, sbrogliarsi, sarà tal \ l igliore di spacciati si.Sp li e lº si usi il ho io l in rial c. 1 | li la relole spacciare; sicci lire  - Il s s', si e' li i  I ispedire erti legozi. lle gli erano assai l | 3: i t  () s Vli - s III Ill: ll spacciare l'Imundò Lui l (- l  a \ si essendo espediti, e partir dovendosi, Messer  (I espedita; e le so, i1 il - ! i, i l 3,  lº 1, si l SI II il 1 e ia li e si inseparabili, li ! Si va per ispedirsene lo sv. Il relit tº ai assa la primo all'ultimo, N es 1 - oi i: Il mat. Seg Il. \ llllllll cosa, cioè alla dol. il pot, i ni spedire e mi spedirò brevissima e la pill dolce dell'I latina, tanto i vol a 1 e e V al cliI..... In li spedito e "ri i colli li sa e la col vento in poppa, o  ll Illl), \ si vºli l e spedito in nel rito l'llo delle fatiche, V sgombro, libero, franco di  \ si lss 1 e 2 ti el: - S, (Spacciato se ge il tº l l ) rls, l il s ol'l'eva.. » I): I V. spacciarsi la qua le briga. o liocc. E dello spacciatamente se a divise o tra loro. » l'ierenz. l est.l. I li: il li li di analoghi, con lo spaccia i nuove, ſandonie, chiac li c', ': spot cicli ll mi lit l. la sci: lil el l Spetcciarsi lºt'.......  si li util Napoli, il rils.........  Stu ci ia re  Stu ci I co  N sl 1 la sl, slultati e di che ce li essa, il checchessia, le studia e clicci li essa, i cºsse V so, il lendervi con solle  Ilic, pigli, il si al cloro c.a e convolſolo per lo fa rig. I titti i panni i ' iosso gli stracciò: e sì a que sto fatto si studiava che pull e una volta, dalla prima innanzi, non gli pote, Bionde'lo, dire una pa! o 1, mi doll::l lavo ler, li è qll sto fa -se o. I3ore.  No:i lasciò il II la 11: i si studiava, - - ll il ei lidi i maggiori bo-coni ». Pass. Forto studiare il l re. ll - ll -si l... I3 e “ Va (lo zel: i vezzosa li studi in ben parere, 1 A v. lI I ſi per il Ver nonni e pregio di ie lezzi, -se la gli ali a nſi an:ata: sper a chiati le molti mieli i pieni d'alloni: vi ss v.e Il campo - I: il c hene studiaio I l i il to - - (il v; l'. No ! I V il r! - a te, ma studiate il passo, I): Il fe  Analogo a questo studiati e e il - si liv sl ulio le s - le I sei pi  Sta per cultura, affezione, indistria, premi di li solleci il ne.  I bassi, si per 'o litig, e, oli! studio, si ri-sezza dello el'r: i clivelli e le lissil II, e odori | ero III !E fi1g e 11 lo og Ili studio di V: la s i Z: st: si e n. (il V: Il l.lº ! ) ll è lo studio il "l: V (", 11 l 'I:I - tll (le, 'il rolls il tt (line avea t riati il vo! I Si r I e II, l'i: 1. ll I-tri: l'si, lo si ll -  l3llo lo studio Vill. I l l'illll! ». lPl', el'. lºrosſo si fa tl o studio di vita perfetta e I l lito, veline ogni l in questa «:i va ilzi 11(lo..... r. C -a l'I.Questi pie: i l dicazione.... crebbe r 'lii lo studio della vir' il n. Bart. Ma per le egli i il la ſi va in ai li sºlo - e io, conferi la corsa e l e s ii: i re, i quali i:ilm ira o di ſalito studio di perlezione, ne lo scoll fortd) ». (es: l'i.(ollsidera, a studiosamente III: le V irti - -in a livelli e in larni il  | il il 'Si a.....  i. i: l st il n; i ri'. Il te:i, ed il 1 st ): -, il 1 l l il 1 a e santi invidia, dall'uno il riprende i: - il: zi, d ' 'ta, l o: la mi i suoi lidine di tie-fo, ed la carta li seguita l'o si sfu  diava ». (a val.  1 bello slurli. in re o si riali, per ni. Slare di sl italio è ſl se elilli, il V,le. - I li - ci del liti.......Term e re  (Attero ere)  Se lº ritieni disco rere il conto e l'onde, che allo stringere va poi I che non per altro è così se non per l is si, il re sul lo alcuni esempi i più notevoli fra i molti i 'i ll il 1 di II lo nºi e vi gali ci o di operato e di varie significazioni - Il l l: i clivel st Iori e cosi lilzi ille.  N gli ese, il clie sogliolo:  lº I. I so di lenere per legge e, ritenere, in porta e portare, occupare,: lire, ci si r, si ri:ll.I terrebbe - - l:lza non l'attelluasse U al tutto ! -s....., l 3 l:\ e V: l l'ill: il la terrebbe llll esel - i l): I V.I le llll:lollo solo ne teneva mille di l.... Il il l lei sul i... (ii: Inl). stava di.....)I i s tengcno, le: l li vuol divenir beato  mo  Bo, ritengono, insegnano).  -, s............. -: teneva i li, i liatura di quelli non si tor Ita 1 - lasse la lollo le arli ». l)av. (portava, il l, l. S S.,' ' A ripagne che tengono gran i - i loTe', se -: i e letto a filo il lo ». l ', SS. ) l\l I l emete li - i l: l 3oce. Te', si. 'ls ll' Illol te lº guarda Ito rov 1, appena gli amici ten riero I l l'... I tl V.  º li I nel si e' isl e le st. a rl - la si river pillole di se ecc. E nctendosene tenere, subita il file con le braccia aperte gli corse.  N potendosene tenere, il dolla Il lo se li gliese losse o forestiera. »  Il lo il vide: o, ſemnersi, o Nºvell anl. I si tennero, si llll'olio in Inghilterra.» Bocc. (non sl arrestarono li: l.S - e li l silio, e si tiene e per il cosi è adulatore di sè ss., V º l'eli,3º di Tenersi, allen ci si il... attaccato, legato, olbligato il  per l'e,.. al c. aver fode, esser a L'eredità s'aiteneva i mie, i lire pi stretto parente, Ambra. « I'('la, cals! e 1, V s'a tiene il..., l 3a lr. Ere le d'Il 1o, la lo; i t'atticºne quasi nulla Attenendosene S il li,  gellolt Ztl....).  Si vl it -:: l si. « E pure con esse si forte o d si gran colpo quell'albero e con tenersi a tante sarte, ll l'Int irli  E' pi 1, la volta gl si caricano sopra bufere di vi 1!...., l?art SS6, ſ" I e Irla Iliere:  i l: NEIt (SCI(), IP ()I? I \ I.N | | | V I \, e si lill. l'ingresso, non sto con l'altro 'co'.  i ſicali e le per rielar  l' (Illa lo uscio ſi fù III' i l nut o? l. (.. Il lilli lo il 1 ll 1 i gli:iltri i l  ll il l Se Ml 17 Zeo vo) esse venire, a lui g a Iri Iri: i porta gli -se tenuta. S'i ll.  Lo Ialo a Illore delle cose. Il 1 la tiene la intrata della pelli tºllzil. » l3elti.  Simile: TENEI? FA \ El.I. \ per i sloti e di pali la I e cco  MI, l' 13e! oli e veri e I l Is rezIo coi Sere.. (ennegli ſavella illlino a V (“Il l'Ill III 1:1. » I3 r.  l'ISN EIRE. VI I I NIEI E I. \ IPI: All.SS \ e simili per  N S. I l ct i lui, mi e' lere in esecuzione, al lendere la cosa pi o mi essa.  E co-i v. illy i lo; p - attenuiC S:  MI i beni vi prego le vi ricordi il l: III e  l attenermi la promessa. I.  l'ENEI E I) \ N VI CI N ) per stare per alcuno, a lei il c ecc.. e anche l'ENI.IRE A I) \ I CI N. per esse gli diroto, allo zio ma lo e' ra dicendo. Chi stupis e, li gºlia. In sella ma li la e per tenere da chi vin cesse. n I):l V. a 'I'll.t: 'ls V -, cini | Cnea C 9 l l'uno,  V ed I ad un'altra donna tenere i s il 1 l (''le. » I 3:.  ch, coll'altro, l 3.  III, i ql el l.... I | Il t. Il  I | NIEIR (IREI)| NZ V, Sl (il t El () il mat  cosa, poi oss. (la e il secreto di  ser lui i c. 1 li tr\la V e V,i In 1 in la di tenerlomi credenza. » Bocc. Se lo ci º lº si le ti li tenessi credenza, io ti direi un pensiero che  l lo II v.... 3. Il 1 s ii il va onle lo so tener segreto? » Boce.  l'ENEIR E I) I. I) El. per are le qualità di..... \li e l - - Fiesole ab in ritiro, E tiene ancor del mcnte del macigno, I si fi; a per tuo ben far nemico, o  I ): l ll ta”. Tenendo egli del semplice e molto spesso atto e piano de Laudesi.»  3 m.  I Per si s ZZ I l: l'ill orrore che tiene insieme del ri  tirato e del venerando, (il ri.  | | N EI ) \ VI, l N () | N \ (() SA, lu' i lat, i guardarla ('() )llº  dolla, procu i ctta la ecc.  Tengo da te lite o lei lo  'I EN EIR (i It VN I \ \l I (il I \ I loss leben. I anche di grand -- TENEIR SI (i N ()| I \ S() | | | V. e sillili.  il il l'ono a spendere, tenendo gran  il l'I) leggiando.... »  - z: il l ll dissima famiglia...... ontinua in lite corle, di mando ed I 3 ). Illelle e il laie, e tutti insieme li Ilenò se il gºl, l 'e ivi teneva signoria sopra di loro....» | | (ºl (': l/.  I EN EIt All NI E q c. S.Si Til lo) ll till al pl. I Tienlo ben mente. Clie di tu di lui? » IPass,  l'ENEIRE \ Vl Vlt | El I () per i cºſtiere alla pi ora. Se o elillirill I - o d'a i to, lo Il varellol danaio, perciocchè  I lill I l: e le terrebbe a nnartello, o lº s.  Silll I | \ / solisti, cli, li i rilio a ppa: eliza di vero, e poi lo  reggono al martello. I renzo Vledici,  I | N | | | | V Iº Alì ()],l. il grand slmo lolor punto, ve gelid si l ubare a costui, ed ora te  nersi a parole. » I3ore. SS8).TENEIRSI A POC ) CIIE o li.... per mancati e poco, a un polo che.....  l il pcco mi tengo e il 11 si l V: l... l 3a rt. a poco si terrebbe di fargli sp a r i: esla dal busto. » I)av. e Tull lossi il giil l a poco si tenne che lol li la ndasse ill I)io. » I3ti l.Qll ('sli l' 1 l V il ll per lei l'8olizi a poco si tenne che non rompesse i trezzo le parole in bocca al re. » 13ari. e a po22 si tenne ll Il 'l g.. lIl l: ss e ll l: 1. ll lentº. » I3a l.\ III:il t 'ito si tenne, li ll i no! I lºo. po o II lancò che). e non so a quello che io mi tengo che io li sego le reni. o loce. S89)  Liis lo i titoli lelier: teme i campo disp. Il re, e nel parlamento; lemer cuslità: l 'ner con lo. le ne I e di metri les li tr. di matri simil N.. ed all 'i lllolli  le sollo I: fissilli ed il 1 l 'g: i 'li e le Isilli,  Note al verbo  Tenere  S85 - Si inile ſi ſti, slo, le nei c. ss it ella di Illi, Irla il clii: lento a dirvi. Ieri lo li | | | | | | |.. l..., ecc. I r; I li prelie. l 'il pollai, li li sl i ti ci l e. Non voglio sollelizia I cle sia l al dlel', Il si ſti e mi ero lei libri di il.  SS5º - Tè per lieni vasi spesso it is lil III e il liclio e classiche. Si ginifica: prendi prende le simile il lencz dei francesi.  SS6 Vlialogo è il modo: esser tenuto ad alcuno, per essergli obbli galo ecc. e di clic i sell e vi sat) ) le nu lo. I3 cc.  SS - E' lei il ra cosa che poi mi cºn le len ci ai miei le. Tener men le è la cli il lool e, ii l'l'ic loli -i. I li N le lui li I Na'im. (sil I lili.  SSS -- Simile l'alli, lene e a piuolo e la spella lunganielle, ed a li che tener a bala, cioè il... I per il lig, dal pascoli loil, lo parole (t' '. ('.  S80 – I radici: lo si si il... o da qual cosa  i, sia | ralleli. Il. obblig: il, che il... E' il tenersi cl Ilia cos: ad un allla come sopra. Si si | or al l 'e ll il ', il l 'I l l e', tipº partºnº re, spettare, riguardare, con c'e' li l ', mi lui, l ' i', con il l ecc. (i II l la collo e il lido:  Nella lira e bri It i 'i: occo rit... » Fie: enze. 892) e la \ e l'e lloln Inai in quelle cose che a lui non l occano., all el l Z S9.3le leggi il mio esse: oliill ill, e l: tl e oli collºelntill lento di coloro, a cui toccano.... l. I 3 ),Qi lel il li illli le l mondo si spenga di fall le, si lle l. ll i non ne tocchi una.. l o. - TI (ccchera il va! ii, li ho perduto non hai. » Bocc. Eliorniti che li toccano il III | orsoli 1. Giul, che non riguarda lo) ()iles o ti togli il tº it e toccò l'animo dello alate.» Bocc. Nill riso si v l.., liti ma les!: il tocca, niun giuoco. » Bembo. rili on le li rilate e tocche s on III te. l) avE pur i s l it toccavano i soliti dieci assi per un danario il giorno. » ve....... l):ì V.  \ i le li si – li -se esser tocca. » rubata) BUcc.  Nola al re niti ie e ci si parlicola i del verbo loccare e suoi deri \ ai li: l occo, locco line  (C VIRE I;l SSE, 13 VS N \ I l e simili, cioè ricererle, guadagnarsele. S!)  Si occo l: ve li e la sto male. » l'a!. l.llig. º l:Il quale, il V e ilo dal canto leg 'i Vitellesi una buona piccata toccato, l'Is - il l: i ti,, V al cell.I l toccarne il 1, lº strappatella di fullle, e fa - e peggio il loro a. m I.: si  Stavano olle ſelleri li non toccar qualche tentennatº. » Lase. | ()((V | | | | |, I ()| S().  i tcccatogli il polso, i' 1, V o li s. Il: le... » l'8art g l Il losſ o, egli non si risemi occandogli il polso e il settimº il lo trovandogli, tutti per costante ell ss (lilor | o » l 30''.  I N A 13ESTI \ perchè cammini,  \ lid: V a ill: zi toccando l'asinello., V S. (, l.l'ARE AL TOCCO cioè cedere a chi tocchi Sºſ,  « E' facevano al tocco Per chi avea a morir prima di loro. » Buonerotti.  DARE UN TOCCO SOPRA UN ARGOMENTO dare un cenno e passa oltre).  I N A TOCCATINA I)I..Rizzasi in più con gran prosopopea, Ed una toccatina di cappello.» Lippi.  l'() ((C) I )I.I.I.A (..AN II º VN V.  Che li cºlli pa 11: l'o, un toc co. » Vill  l: I I'()((AIRE I N I VV ()|? ().  « Ne i pittori le sºno ritoccare il lavoro a fresco, quando è sec o. » Bor. glini.  Note al verbo  Toccare  892 – Si dico anche oggi, e col e gil: il forli la e sigilili: mi locci, gli toccò di redere ecc. ecc.  893 – Simile il modo volgare: tocca a me, locca e le ecc. No a dop  pio significato della maniera: tocca e al alcuno a la r che che sia. Vale cioè allo apparle nel si a lui il lati lo Quel che loc a cara allora a lare a ('alone nel Senato, e di che veniva pro « cisamente incaricato, si era la reiazione dell'operato da lui in Africa..... » Salvini, che essergli forza il farlo. Se così ſia toccheran ni a star e le Mlach..306. « Trovall a domi in prigione de l'Il cili, mi toccò a navigare sul quo e sſo Irla l'e. Magal. Va l'. () per il.  894 – Si costruisce non solo col caso olli | Io o l: l'ivo di chi le riceve - – toccare tal alcu no basl 1 i le ec. li l: i col l'ello e loInilia livo, cioè ad Iso e va' l' oli verbo neutro assolulo (Conf. Parte 2, Cap. 2 Serie 2 loccati e alcuno delle busse, simile all'esempio di sopra: l occati sconſille crc. - -: e dicesi anche elillicarnelle toccarne, se 17 il ro. (ili esempi che allego sono citati anche dal (il era l'elilli.  895 -- Si ſa gillando uno o più dita, e secondo, il convegno Se pari o dispari, contando a chi lo cehi.Togliere  (Torre)  Il sil prillo e volgare si gli ſcalo è ſuello di pigliare, le rar via. Ma guardi colli e le e vago I al I silli: i polli ai classici, e notevole l'uso il liche il lal senso.  Trovasi poi anche il lill glisi sa che pare significhi l'opposto li loglie i ri la I e lo gli hecclessia, e li on è altro, a mio  il vviso, ci Il loglie i re Isiliv, cioè la re che al rilolga ecc.  Ollil tit, il... V e le cºlle il lempo m'è tolto; lo illa!)i 1orse non li lall, ll: il ch'io vi soddisfa la l 3 Sº)Ilena i logli i dosso Iliel poi, l'esercito, il l aggiunse a Marsiglia, togliendogli il tempo da...., (amb.No orre alcuno. » l)ante. (le il ſierº del li i tolse. » l): ll e. «... che pole! (ll gli abbia N ' i torrà si endere questa roccia.» lº: i ll tºEl e o pit and: I mi tolse il rio, e lì in mi impedi, mi vietò Ma lui li do, io mi tolsi di soi o al letto... I levenz. 900 Togliersi dal sonno e dal letto, e lº renz.per lo miglior loro e Illrolio, lo zali a tormisi d'in su le spalle. » Fier. E per io hº il solo la so sl: i o non li aveva tolto, che egli non con - scesse, llle slo sllo e Irl, l e ss. r. ll rd venienza, si comio savio, a millno il palesava, 13o 90 |.... Irla I e il iv si dissº: l) il nullle toi tu ricordanza per no al Sere? Io boto a l)i che mi vien voglia di dirti un gran se - gozzole ». IB ).e tolta buona licenza, se n. a do. Fier senza la li complimenti, si prese a liberta...Se vogliamo tor via che gente tillova i sopravvºlga reputo op portino di mill' arci li lill, (and l: le altrove. B 90?) Itender enn, Ianto che app, ma il potea o, chio, torre. » l)ari e 903 e dal a rito il questa l'alti e toglien l'anda e la de e ratle. » I)ante.  si toglievano gli uni agli altri quel piccolo soccorso che loro polevano di re i silli, o l?: il 1. 00.... o ad Illbra li do il vose o ai proprio, o:i sperandovi con rili pro averi, o togliendovi il modo di fare un'alimenda onorevole. » (iilllmer. mise o el ºnn i molato Cirio: le pe: dè la sua liſl la lag iata, senza altro averle tolto, che alcun  “ In ci si fa la guisa i. e genia, poi, o dav:ì il i la llli gl bacio. » l?occ. (cioè dato)« perchè or che difender non ti potrai conven per certo clie così morta a e Irle tu se', io alcun bacio ti tolga. I 3... io ti dia, Ili venga a Ito di darſi). 905)  Nola alla ora le bolle illalli, l ':  TOGLIERE () TOlt It E | I. \ la checchessia, cioè preferire, con len larsi di.....,  e Tiberio tolse a comparire in le; so I, a ! !', e o, e di ndere.... » I) i V.  « Vinco io le battaglie pil pericolo e pil dire e per la giustizi:i tol « gono di morire. » I3: rt.  a MI:ì io sono illttavia il di Ir i l:I l orrei di bel patto a portare a i loro libri. » (es. ll i.  si ripuli e ebbe o beati sº I ssa r, slie, l 1 l'ido io torrei di bel paſſo, d'esser qual s'e di loro il pil abietto e pov... » (a r.  a Togliendo anzi per la sempre tra i - llai, e li rili: r per quali mille. » I30, c.  TOGLIERE A far che che sia, cioè cominciare, intraprendere.  « l Il cavalie e la donna idò e ella ne togliesse a fare un'altro: rispo e º che nºi le era preso si inen, l ui, ch', l: sl d let se li Ial lo...., Sacch. a E debbono esser da ci o e i lini, l III lo igani e di quei film ha tolto a liiigar II le. (recl, liz I e V, l: il lil V III in: l di alle 11 e o (a ro. a ciascuno tolse a studiare l sprint re il e la parte del suo in e gigio. » (iiub.N il so, III: Cºstro l?ier, Ill r l)i I l st: In: lov i lilla Inalarl a collin, Ch'io ho tolto V ri-lotele a lodare, e l'8 l Il. r. 1 Il.Questo sci, o dello Sf i villa ha telto a voler vincere d'astuzia le volpi. » Cecch.  'I'()| RSI | )'I N A (()S \ T IRSI N V C s V, I) \ I PENSIEIRO.... rim (I morsi. Nn c / le re 90(5,  Si tolse del tilt to di comparire i.  a Cosi i miei avversari si terranno giù dal pensiero di più rispondermi e e dalla speranza di vincere. » (le-ari.T()| | |? I | )I VITA -- 'I'() IR I)| | | | | | | V | | | | | | | | | | | | VI () NI)() ll ('ciulo l'o,  a ()li re a cento inili, creatur il mare si redo per cerlo. sser stati di a vita tolti, o lo.  a Acciocchè una medesimi la ola togliesse di terra i dile amalli I ed il lor e figliuolo. » I30.  Vle o immaginati di voi s' ingerla a formi del mondo.» Label. « vera niente io Illi fa i in V a Il, se i di terra mol tolgo. I 3.  T()RSI I) AVANTI.  a l?oichè gli si fu tolto davanti, pieno di trial tal to n ebbe con gli altri a parole III olto disco lice.... » l?art. l' IRIRE I V F VME – I V SET E ToItNE UNA SATOLIA (907.  lei li l o, le i vi ve l e li la volta con esso te o, pur per veder fare il forli Ille: Irla il l' e tormene una satolla. » I3occ.  Note al verbo  (T cogliere,  S!)!) - Nola la lesia inti i ra: ii lempo m'è lollo: togliere il tempo (tel alle 11 il lui....  4)()() Tor I e, Torst, li dot... sigli ſi scostarsi dilungarsi levarsi.  901 - VI li ra e il lic.. bella tanto, la quale torna al dire: non gli  a reci ſolo l'uso dell'intelle lo si che egli non conoscesse...., od all' di s ti riglialle.  !) º I 'io lo l via, ma il varo, vedere pren loro modo e rut, ci si lal si ch.  903 - ci è ricco gel sole, i VV e li '.  90, cioè si prestavano.  !)(lo - l li libilarle? Parla di lilla slla alla la, ma non amalo, la Il le liti l'a si l): il re.  !)()(i lº pro isalire le ictu) gelo in lei l'edeschi. Simile il modo: p. I giù smettere Pon gli i ſervenli amori, lascia i pensieri in atti I3 cc.  007 - Si riii: una corpaccia la la ne, prenderne una buona  si ll: l. l 'iel el Z.  U sare  l sai e ad un luogo, ed anche usati e con alcuno, usare insieme'. Rollo nraniero buonissime, di frequentissimo uso nei migliori libri di nostra lingua. e sarebbe gran pc calo non farne conto e non volerne più usare, checchè ne dica il l'on il laser, il quale assel is e che non sono della lin gua parlata ecc. ecc. Significano i requentarlo, praticarvi, bazzicare, es ser solito a l ora i si, al csson e', o l e molare e Pilegen; l mgang mil Jº il, and pilºgan e.  Notevole anche il modo: esse usato, esse uso di fare, cioè aver l'a bil udine, esser solilo, non essere usatlo di checchessia, e simili.  (), a avvenne, che usando questa donna alla chiesa maggiore.... » l'80ct'. a S'uscì di casa costei, e venne dove la usavano gli altri mercadanti. » Bocc.« Le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e usavagli. » Bocc.« ma pure accontatosi con una povera fon; Ili i clie molto nella casa usava, non potendola ad altro in li!: la 1; i ''i corruppe.... » Bocc. «.... io cercherei qui sta po- - ssi i li !... ciov e ne filmi, nè ruine di piove me li potassolio tv utº assortº iacircncelli, e l'el che rei che vi ſul - -. l'::::) ): l ': - -  « In quel tempo usavano relia coi ti atia li., Fioretti. « non colli e g ill', esse I, vi vi foc3e usato da molti anni., l 3' r.  (ſ « Si (lio (le a Cl essi i gi ad usare « con coloro che ri !!i e !,; - i dile tt - « Vallo. » PO (('.«.... il quale il più del ' t com........ i usava. » Bocc. « Quanto più uso con voi. lii i l'.« Questi due giovani s II: usava: 2 insieme e pe tiello che ino « strassono, così - al vario, o pi iri li.... Ave id si « adunque quesi a pl (III essi il litº, e l'insieme conti: uamente usando. » Bart.  « senza che, con le era usata di fare, li l --: lì la lite. » Bo.  a º miglii, l'i oli 1 e (l'1 I l tº Sa: i erati 0..  « In quella cav, i 1, dove di piangersi e dolersi era usa, si ra ornò » Bocr'. «Noi siano molto usati di far ria cr:::º, i s; » I30.  « Della quº: l' orizi in e non era usato i (-  a e que.li o n t e li ti o 1: i e i piu « di tali servigi non usati. » l': i  Uscire (915)  (illal'da b l'1!si, e i ti: i usci) e di che che sia: ed aliche uscii e s e 7 il l '.  Uscir di mendicume – - Usai: cºi gaſ to selvatico –- Uscir de' Cenci – Uscir del manico (916) S  « Con la doſe - ll: il il l:. i usci de panni ve « dovili -si. I 2 c.  « Se io uscirò di mia natura. l re li li alcuno, sianni qui e perdonato ». Da V.e dilungandosi di veder costei olla gli usci dell'animo ». Bocc.  - E benchè quelle bastona: in avessero fatto uscir di passo, come a quegli che i trial, la rile: e li lti la illo, vi invea fatto il callo ». Fier. e Mla usciamo di Papa Urisi, io e All III: a un parti a clie mi diceste.» Tel'.l lo i tir i pi s v - e, si usci di lui.» (par issi, an dl -- elle.. cs:i l'1.. Questa lilla s'incon, in Il 1 lo ci Vi l ao e quando l'Aprile, ma in « Aprile finl- ed esce. » (i o d.Via ve: o l' rola v... esº, ere li | ra! ti ». Cosari. e uscito poi della furia...., t, i fillo.  Nola alle ol a l: Il cosi la gºl l ':  l S(| | | | | N (VN V (i N V (ii: l: l. l S(I | Rl, V | 3 V | | V (V e si irrill  a Il [il 1 nº.. ! !::: sa: uscire non a bat e taglia, lo; i titi i ti i ):,  e filiali nell' l'all ss::  I SCII? E al alcuno (N I \ N VII I. \ NIE, CON IVAI313UFFI, (()N I \I IPI si, il i.  a Ella m'usci con tºn;, rºm r Gb: i to adesso ). BOCC.  Note al verbo  Uscire 915 – Collſ. I liuscire. 916 – disine Iere i cos vi: Irasandare i termini del proprio cº Silllll ((. t ('. N/ e clere  E' elegante l'uso del vello redere per gliardale, in luire, esaminare, scaldaglia e, investigal e, (s.srl.... llle: « Pre il lo non dove ero li ' t..  corsi stili alimente credere, senza « vederne altro. 13, l l lle, l'indagi, li º ) «.... di che l'altra parte, che per avventura aveva più ragion che danaro, « fieramente sdegnata, volle vedarla a punta d'armi, e farsi da se giustizia « con le sue mani ». I3art.  « Vedere il vero e il falso l ' pt: 11 i ti: i3a t.  « Avvisato di vedere de' fatti dell'i: II.. itti « e.... ». Bari.«.... Vola e Inill il 1 e a veder de' fatti dell'a inima sua e le  - - -  « in altra religione pil di gºla o li. I |.  « e vedi con lui insieme i fatti nostri ). I. « Vedi modo, e si ppi se con lo! I le, pli i a º il pi Inio».  BOCC. « Tosto pone la querela; propone di rili o le " I to I. vegga, l a. « mansi a furia i padr: per gl a Il cas.:: i I), i.  « S'egli è pur cosi, vuolsi veder via - 1 i sai io li lo.» I3 917.  Fra i molti altri usi di questo verlo. I l I e voi li ricorderò:  AVER VIST.A con ulla rislut (t l'ºut, li lli il 1 l 3 ). FAR VISTA I AI R LI V ISTI, I A [. \ EI ) (I ) - I ) \ | R| V I STA – I)ARE A VEDERE I Vedi sopra l)arr, Fare  Note al verbo  Vedere  917 – Notale queste maniere, realer modo a ria se....: re ler l fatti dell'anima: senza reale, ne all ro; reale, il re o, il falso, vederla a punta d'armi di r i co.  Volere  Si usa a) per convenire, dore, si in vari modi, il più cºll'allisso ed impersonalmente, sì al singolare che il plurale -: b per essere per segui re una cosa, mancar poco che....: (per opinati '. a rl'isti e'  Noterai da ultimo il modo voler bene. Il quale si adopera a siglliſi care tanto amare germ ha ben che sta lenº, o cosa simile. 922.  « S'egli è pur così, vuolsi veder via se noi ºppºlinº (i li: i Veio. I 3 (.  l  « E' opera si grande e malagevole che di io si vuole chiedere consiglio, º  Fior,« Andiam noi con esso lui a Roma ad impetrare dal santo Padre che..., « ma ciò non si vuole con altri ragionare ». Bocc.«Se I)i() mi salvi, di così fatte femmine non si vorrebbe aver misericordia». Rocc. (923). « Elle si vorrebbon vive vive mettel llel fuoco ». BOCC. « Al combattere si vucI l en uscir spedito, ma nel ritorno delle fatiche, a qual conforto più onesto che la moglie? » Dav.« Comlare, egli non si vuol dire». Bccc. nº n convien che si dica). « Questi lombardi cani non ci si vogliono più sostenere » Bocc. (non con « vien, noi dobbiamo sostenerli.« Il beneficio si vuol fare con faccia l'ela, non vi lana, nè dispettosa... ». IDa V.a.... e che insegnando egli la verita, e la da chiunque si porga, vuol a prendersi e profittarne e si vuol prendere Bart.a colme.... così l'animo quando è in lotta o o infetta, e di focose libidini arde e languisce, con altre tali rimedi ferro e fuoco si vuole attutare ». Segn.  « Per 'rattat de Tai rl'iti usciti d'Arezzo volle ossel tradito e tolto ai « Fiorentini il castello di Larel no. Vill, cioè fu per essere, a un pelo cho....).« Pietro, veggendosi quo la via impedita, per la quale sola si credeva « potere al suo desio pervenire, volte morir di dolore ». Doce. (In fondi: le fu sì dolente che per poco ci me lova la vita). « Gli volle dire che..... –- In:a.... ». Fiel'.  « Pitagora ed altri vollero che esse tutte procedessero dalle stelle ». Sacc. (a V Vista l'olio, ills e gla l'o; 1 ).  « Pa: ente nè attrico lascia o s'avea che ben gli volesse ». Doce.  « Vi vo' bene, perchè vo cli e il lla ln rinto Siele ». Bocc.  « V cali io voglio tutto il mio bene ». I3o.  « Tra lol' 11oli Ill lin: i lite o di ſe' liza. VI:ì d'accordo volevansi un ben « matto ». Malma lì i.  « Con le pugna ſul to il viso le ruppe, nè gli lasciò in capº un ca a pollo e le ben gli volesse » l  Note al verbo  Volere  922 –-. \nche il lo rill degli inglesi la usi pressoche eguali, oltre a molti altri che il nostro colei e non ha, fra i quali singola rissimo è quello di far l'ufficio di ausilia e alla formazione del tempo futuro di ogni altro i b – I rill come, oppure I shall come – secondo cli  l' –.923 – Come il verbo volere sia per lorere, così pare che anche il verbo dovere abbia alcune volle senso di colºre.« Richiese i chierici di là en! l'o che ad Abraaln (loressero dale « il ballesimo ». I30cc,« e con molta riverenza mandò lºro galido la Madre sita che le « dovesse piacere di veri e il tie l logo di ve egli era o. Ca valca.Trovo inolta analogia dell'uli ell'altro, di testi verbi, ado perali in questa follia, e il nigen dei tedeschi ed anche col to may degli inglesi, i quali veri si costruiscono in guisa che non sapresti se meglio radurli rolere o dove e.CAPITOLO II.  Uso va a rio di alcune altre voci  Olli i Verli di illzi l'ecilali, si o alcune altre voci (animo, argomen lo, talalosso, lui nolo, colpo, con lo iori und, l'onlc, latica, latto, mano, netto, pello, pºi i lio, pati lo stomaco, cerso.... il cui uso frequente e vario è par li i lili di elogi rii si rili il. Si lornali o con esse di molte e belle ma nici e e le viene al discorso quel gri lo sapore, quel colorito, quella pu I A /a (li - il cºllo e il la al telistica del linguaggio antico e classico.  \len Ire le palli elle e le voci in generale della Parte I. di questo Di i 'llo io, li li sono che si ni vaghi, e adoperano più che altro all'assetto tegli in mi collosi e non li alla si irl Il ct del lisco so, i vocaboli di que sla l'arte, ed il l cie: la p. l rile, sºlo per sè, e precipuamente, for me cloculi e, con l'icienti di lingua. Da quelle le compagini e la curva, da [lles e il salgle e la polpa.  Arm irro co  (illarla come e in tranſ e guisa ne usano i buoni scrittori. Suona press'a poco quando disposizione d'animo, condizione, slalo di essere mo rale, e quando intenzione 926, voglia, mi a. lalento, inclinazione e simili. Son, poi nolev li i modi: a re e, anda) l'animo a...; patir l'animo; essere, anal 1 e all'animo, la stati l'inimo: nelle e animo, acconciarsi nel l'animo r. acconcia e Cap. pl cc: dole ne all'animo; dire l'animo ad uno di....: rivolger per l'utnino; ecc.  già d'e è di 16 a li, i veri l piu animo che a servo non s'apparteneva, l lo la villa della se: vi in lizio il... » l 3o.... e se tu non li li cuell'animo che e tue parole dimostrano non mi  pas er di vana speranza ». l o.  se dicessimo per correzione e non per animo di disonorarlo ». Mae Struzzo.  « Son testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che teneva « di farvi grande.» Caro.« Con animo di ienersi le liti e li ſale: l it il venisse miglior « fortuna ». Gialnl).  « Il valente uomo ſe e 1 og: i...., che giurerebbe Con animo di ' on oss. l: r. cosa:.  « secondº, che lle.i'animo gli caºgai.  º...... parlit - i li fellone aniins r i pieno di mal i alCºllt ();.  « Così slibiti i la forza di « fargli Inllta: animo ». I.  « IParii-si a dillolti e i S::i,... gra:idissimo animo, se « via gli durasse, e I - 1,; s, di fare a Il « (ora non Ini: - se. I3 ).  « Ed avendo l'animo al di v gli 1 il gione, ed « Ogni giustizia dal lilla delle i i ti. li li lo il suo lellsiel di « Spose.» IBO.« Non gli va l'animo ad 1 [. a dre. » l' Issa V. « Consigliata a mari a 1 si ebbe l'animo a at o...ite di De « Voin, ma tols e Filippi, figlillo., l: (: V., lº: V.« Tu badi ad l? A lizi ho sempre l'animo a casi vostri, e sempre « mai ruguino cose... » Anibl. « Luigi non avea l'animo ch: a li, l i il i -. » (es.  « Se pure questo vi è all'animo, i d a li.. r?S. Cesari.  « Ed a Ile liento. Il lei lo va all'animo (Ill si g ) della prima novella.» Cesari.  « Egli che sapeva, che io ero felimini, perchè per moglie mi prendeva, « se le femmine contro all'animo gli erano.?, lº.  « Se vi basta l'animo di ſei rail. l 'in...... Il 1 li li. ) !!) (.:ll' ). « Non gli bastando pºi l'animo di 1 i si Il dll -- e ad « atto talora....» l'itel ei 17.« E Irli basta l'animo di A ti..... l ie. liz. « Vi basta l'animo di I l Il « atterrirvi?» Sog n.« E mi basta l'animo di 1 V il 1 ll - 1/.l il i 1. » Fiel'('ll Z. « A noi non dice l'animo di pa..... i da!. di ti liti libri e si lolloni.» Cesari.a se avrete farne del'a paroli di Vill: il lidi: ) di potere, in que a sta Quaresima, ancor piac º v', in se i mi dà l'animo ». Segn.« Ma vi dà l'animo in Illi t Impo si lill, i. e 'I ! clie, è peggio si illl' « bolento e sì tetro, quale si è l'ultimo della Vila, apparecchia i vi con Csame a distinto a tal confessione....?» Se n.« nè di fare morire alcuno dei suoi lion gli pati mai l'animo ». DaV.Il Ina le è ce ne ſiu cic ai l'anim 2. o C s. Part.  Qì la - i i, ' ' nette 1 - 3::inno:: i ri. » I3(11v. Cell Qll'il. ll - oscia chè così  e Irli se rintuzzato l'attinº 5 si'C is r r;o..... 9.30 « Qlla lido, lili si rivolge per 3 a: rap ità... » Fierenz. a rivoltandomi per l'animo i: i uli. o l'ierenz  Note alla voce  Animo 92C, Simile al n. inl degl ii i: la mind lo buy one. – IIa e yon di minal lo ti il 2 v 92i – cioè secondo le g, i l va. W i, es il m su Mulh ucur. 92S -- FsNel ct ll a 1, il ss. cc: i andar all'animo è sil lillio i: sè i ct g ci li chè a grado l'era, di lui facesse ndr ) e a sangue quand'el li a noi ci ss a sangue, io la voglio per disp. ll si o apacissimi di calun  liare i lolloni º il lor casi di reisi, Giub., andare («Se l  [llesl e l'agl il sol li a Il slo, si troll ii ranno ». I3uonerotti (('('.  929 - - Sinili: Sich gel i due n; sici: u n t then: cs dal in brigen: se latire l'orl.... Vlt i ti li I l eguali sono le maniere: (la re', di e l'utilimio, il cui oi, i n i cldi il cuore di Venire a il meno con si p del si li ti I. S gli. « E vi dà il cuore di las, la veli slal e il l IP. Il gol l il lill gamelle? » Segn.); pali e l' animo, sentirsela. Il teleti si co. e la (ſuale – inten zi Il senza l'agi o vosli o n li li allilo di poter condurre » (tiro a Se io non la riveggo i n n't li do di descrivere.» Caro, S affidano di poter brava e lilli e di vincerla colla provvi dellza. (iilll)..N 'isi singolare trasformia, i tre graduazione delicatissima" di significati: Chi dice mai basta l'otti in indica con ciò e di polere e di volere: chi dice non mi basta l'animo indica non già di non volere ma di lì in pole Vli dà l'animo, il cuore', suona a un di presso: il cºllº il ri: della, mi sento inclinato, avrei voglia, sarei vago ecc. l indoº l. Iuantunque suppo sla, dall'idea di potere; non mi dà l'animo, torna a: non mi sento punto inclinato, sento, provo i tignanza, avversione a fa re, a dire ecc. Che se questi ri: 'lalanza venisse da senti mento di delicata e ſuità o di colli issione, o di simile affet to e non per pura avversioni alla cosa stessa da fare, da di ro ecc., allora esprimerolla assai meglio, che non farei con l'una o l'altra di delle frasi, dicendo: non mi soffre l'animo, il cuòre (« Ad Adamo non patì il cuore di contristar la suadonna » Ces. – «nè di far in rii e alcuno dei suoi non gli pali mai l'animo ). Dav. – A on mi basta l'animo esprime adun que impotenza: non mi dà l' animo ripiglianza in generale; non mi solire il cuoi e lip glianza ri e del iva da un particolar Sentimento.930 – Itintuzzare è lett. rivolgere a pil: Isi, ripiegare il filo – stumpi m(tellºn, e il di la l lla in ſol:i, l in lui zzati l'anima, ci è di venire avverso. Ilijuſſi e l'animo è il 'ril e addirittura,  Argorn e nto  « Argomento è voce che ha molte significazioni, e tra esse quella « di istrumento d'invenzione, di modo, d'auto, di provvedimento e si « mili ». Pedi 931,  « Qllivi: i foli era chi con i (Ilia 1 l di l:1, argomento, le sn la r. a l'ile f. Ze l iv (): --. » I3....« I medici con grandiss mi argomenti e con presti aiutandolo, appena a dopo alquan ) di tempo il poter no di nervi gºla: ire ». B e fa la l la fra il l. 1, e gi. I l 'gli il i vi i suoi altri argomenti fºnt li fa re, Illas gli y olesse... - III: I rila vita e il sentirne il o l'eV 0 0 l'e.... » I3 ('.«.... a zi, o che il natur:) del III:I e no! p. Iss e, o le la ig it anza de'  Inedicanº i non conosco -se di clie si in vesse, e poi consigli il debito  « argomento non vi prende- se non - li te pi h I gilarivano, i pizi.... a Bocc. o presi e li argomenti per 13 « con quali argomenti di fila li II lit: i sl il...? l): V.  « Gridò: fa ſi che le giºrno, chi ci li' Ecco l'angel di Dio! piega le na ri! ()Inai vedrai di si fatti uſi illi, V (li che sºlº gna gli argemcnti umi ini, Sì che remo non vi lol li è nll: o Velo, chi le ali slle tra liti sl lo: alli. » I)alit.  « E d'onde debbono prendere cagi no e argomento di non pill l urt, ed eglino più per callo.» l'assav.  «.... il quale fermamen e ''avrebl ero il riso, se un argomento non fosso  « stato, il quale il March se subit Ilmente prese..... » l. ll Il Illotivo, llli appicco.)Note alla voce  Argomento 931 – « Le malattie delle femmine, prosegue il Redi, di molti argo menti della fisica son bisognevoli. – Per lo che i medici han potuto dar generalmente nome d'argomento a tutte quante le loro medicine. – Può dul que esse avvenuto che essendo il  serviziale il più frequente di tutti i medicamenti, sia rimasto a esso serviziale il noir e di argomento. Può anche essere che sia slalo chiamato ci go onlo perchè il serviziale è un aiuto che per poterlo usa e vi è bisogno d'un argomento, cioè d'un istrumento, quale appai,lo il cannone dei serviziati».  Aci osso  (A ci cossa re)  Guarda come si unisca a molte idee e ne renda più evidente l'ordine dell'azione verso chicchessia o che cle sia s inili all'hin, her, hiniiber, hine in ecc. dei tedeschi.  « Escono i cani adosso al poverello ». I)ante,  « Ella m'uscì con un gran rabulff o adosso. » Boce.  « Entra il l)iavolo adosso ad alcuni, e per la lingua loro predice le cose « ch'egli sa.» Passa V. 933)  « fa che tll gli metti gli ul gli ioni adossº, sì che tu lo scuoi ». I)ante.  « Oll - io veggo porre mano adosso a tua persona senza riverenza, cer ta Inente il III io dole, le cºlore - col piera.... » (a Valca.  « Non pensando che, se fosse chi adosso o indosso gliene ponesse, un « asino ne porterebbe 'roppo piu che alcuna di loro.» Doce. 1934)  « por gli occhi a dosso ». 13 i c.  « Stammi adosso (amore e lpoler ch'ha 'n voi raccolto.» Petrarca. (935)  « Recarsi sopra di sè, e no.n appoggiarsi adosso altrui.» Casa.  a 'I'll rarogli gli occhi, e a impeto gli corsono adosso colle pietre.» Cavalca.  « No.l, altrimenti che ad un c. n 1 l estiere tutti qui,i della contrada « abbajano adosso.» B, c.  « Avrebbe avuto mal giuoco a darmi adosso mentre i padri mi levano « a cielo.» Giub.Gridare adosso ad uno Vil. di Cristo) – darla adosso – Gridar la croce adosso a uno – Dandir la croce adosso a uno (nodo vivo, cioè dirne il miglior male possibile, perseguitare. Formare, lare altrui un processo adosso. (Bocc.)  « Addossandosi a lei s'ella s'arresta. I)an e. « A Celso adossava gli el'l'oli alf rili. » I)a Val)Z.  Note alla voce  Adosso  933 – Così dicesi: avere il diavolo adosso Passav), andare, correre adosso ad alcuno. – «Gli corsono adosso con le pietre. » Ca Valca.  934 – Parla di soverchi ornamenti delle femmine.  935 – Stare adosso, in generale significa insistere, importunare.  E a ri ci co  (E a n ci i re)  Un pajo di esempi, che ti anni niscano del valore ed uso legittimo di questa voce.  « Mi rallegro che abbiate ricuperato il bando di casa vostra.» (decreto, pubblicità, ecc.). Caro« E per bando il popolo ammoni, non queste esequie come l'altre del « divino Giulio scompigliassero ». l)av.« fece ordinare bando la testa sopra chi fosse trovato reo di tanta bar « bara (l'Uldeltà.» I3art.« v'avea colà strettissimo divieto e bando la testa o la prigione in vita, a a....» Bart.« Diede bando di male amministrata repubblica a....» DaV. (940 i liò i S 1: a li i vºli lº s...... II. l. 1 la lo bandire per coià ir,  lo, e al passato i tiri l o il si.... » B irl i: e- si io ev, e l.llis i in itine del fra  tello la bardi, e l l i. E 'lo, li - a, noi lo handiamo  a ti: l ':17  Bandire la croca adesso ad uno v addS80.  Note alla voce  Bando  () () I )al band, gli che che sia al cicli uo, è condannarlo per giu dizio, caccia l da un lu go e porlo a morte se vi ritorna.  Testa (capo)  I sei i modi anche oggi con il missili:i e \ lgari ed accenno ai me ll, lsali (lal V. lgo  Far capo ad uno:) I lil I e i i ti to o: io » – Far capo in un luogo ai da quivi, º l'in visi, fa: mia ss 1 – Mctter capo di un ſi li le: 1) Inn l a t: o ti li(illi lava i tl, la la il li, e I ll (ill:belli la faceva capo a lui. » Giov. V lll.I fr: ti.... v. lllero a l'i: l e, suggellº). dºtti, e fecer capo agli anziani del popolo., (i. Vi!!.Così fa cia il l dl e della famiglia, distingua le sue cose, e tengale a i l II odo che a lui sclo faccia n capo, ed a lui i sien, ovdi l'ate....» l?andolfini, E l d -omi che quando il Sig 1 e era l, ella città, continuamente si a torºla in allergo il più delle volte a lima ig e qu' a era grande all'e « grezza e consolazione a tutti i suoi divoti, ch. vi facevano capo.» Cavalca. « E i... Firenze facevano e ai le dette fontane ad uno grande palagio, a che si cimiamava Termine, Caput aquae. » G. V.« Quelli, che per con rada non usata camminano, qualora essi a parte « venuti dove parimenti molte vie faccian capo, in qual più tosto sia da « mettersi, stanno sul piè dui bit si, e sospesi.» B(Imbo.  « Per lo fiulrle del Nilo, e li fa i c' a l) I lili i: l in Egil [o, e mette capo « nel nostro mare. » (i. Vill.  Fare di suo capo º 1 a slo, - sulo mi do. - - Dir.... far.... di miº, tuo, suo capo il 1 l il V, Iz« NCE, sapendo far d suo capo. In Illini i sa del mio, il lo., A.le. « Ma questa cosa I)inni li li on li fece di suo capo, IIIa i- I is - e, i.i: la zi « al suo padre, e il suo p li dlel l i l: nza. » V it. Plth.« Affel'Int) non di mio capo, III.) di s.it: te de lla ll rati « ma d'alculli (le Teologi, li la vostra le lezza è lº l'aria delle cose celesti. » Riel'el)Z.  Farsi da capo. « Qui si dimostra che il ift: - si e' qua  « di riconfessarsi da capo. « Me-sala, qui si da capo rifai! csi, disse: " I)av.  l  la ci sonº e lenti a  Tirare a capo – Venire a capo ondulr a fi; e, v ir, illa e il si le.. « Tiriamo crmai a capo Gueata tela, o lº« Se io ve le vo! re, io non ne verrei a capo in parecchi  « Iniglia.» I3o e'. « Volendo e pil fla III It, i no - e e, o ve le, sa o di troppº fatica,  « e nº !) st 11 venire a capo. F: (iio: l: li. « Iº gli 11 Il si verrebbe a capo il 1 le tl1te le co. (..» La l).  Ccrrer per lo capo a llar pe: la fa ta sia Entrar nel capo il lilaginarsi, darsi ad intendere, sli, la rsi a credere,.  E qll si o libi o Ini corsero mille altre o per lo capo. Amle[.. a (i li entrò nel capo, !, V: seve, lie - -; il V t's - o - I lie a famente vivere nella lod povertà o I3o.  Farci il capo - fare tanto di capo V. Verli, Fare (ip. I pala l'. I – Venire in Capo arra (!. re, sll len e, illt (ve: i re.“ Sicchè lene Inostrò e trovò vi o illel elle V | olio li aveva s pitt,  a cioè che in b ºve l'ira di Dio gli verrebbe in capo., Cav: a. « Mi lide ) d. l''i vos: a In te, e farò li ffe e sche, n. di voi, qui nn lo  a quello che ell: V. I vi verrà in capo. » l' issava il 1.A capo erto, a capo chino – Andar a capo chino, ecc. ecc.  Si usa tanto letteralmente che metaforicamente, cioè a indicare dipinta mente la franchezza, la baldanza o la umiliazione di alcuno. Ricordo da ultimo alcuni del ti proverbiali: Cosa fatta capo ha (Dante l loc. G. Vill.), Scambiare il capo pel rivagno, pigliare una cosa per un altra, Mangiare col capo nel sacco vivere senza darsi pensiero, o briga di cosa, alcuna).  Note alla voce Testa  941 – Di sua testa non pare il medesimo. Significa: giusta il suo proprio intendimento, senza altrui aiuto o consiglio.« Diedegli certe scritture di sua testa compilate ». M. Vill. « Io non ardirei rispondere di mia testa a sì grave quistio (ne ». Dav.Non è da credere che scrivesse questo particolare di sua a testa o Fierenz.  A proposito di Ics'a lon sala inutile far osservare alcuni usi di que sta voce al cui luogo non ſarebbe capo. Sta a per persona: « Si levò una tramontana pericolosa che nelle secche di Barberia la galea) percosse, nè ne scampò lesta ». Iº c.; b per l'estremità della lunghezza di qua lunque si voglia cosa, con le: l'esta del ponte, della camera, della tavola, della tela e simili: (Egli ha allo in lesla d'una sua gran pergola....» Caro; e per intelletto ingegno: o l'ira u no al suo tempo ripulato astuto e di buona testa. M. Vill. di buon capo farebbe ridere).  Dicesi finalmente: senza testa non senza capo: Gridare a testa (ad alta voce); Gridare in testa altrui garrirlo: fan e all' ui un gran rumore in testa (Doce); far lesla (fermarsi, resistere, difendersi); tener testa, rifar testa ». G. Vill. (v. I3attaglia, Prontuario).  Cornto  Sono noti e dell'uso i modi: Conto aperto (od acceso), conto spento, conto corrente, conto a parte, a buon conto, aver a conto una cosa, ricevere a conto, lar i conti con alcuno, la r conto di che che sia (farne stima, averlo in pregio, farne assegnamento, far capitale), domandarconto di una cosa, render conto, dar conto d'alcuna cosa (darne avviso, notizia, e anche render ragione dell'operato, arere in buon conto (in buon concetto), avere chi che sia o che che sia in conto di....., tener conto di checchessia, per averne cui i: « Non gli restarono altri ninnici che i suoi figliuoli ecc. da tenerne conto Sogli. Si r., ed anche per orenderne memoria, in Letraclit zieh en, il V e il considerazione: « senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la fede. (iiallo. ecc. ecc.  Di molti altri usi di questa voce niente volgari o meno comuni oggidì piaceni menzionare i seguenti: Persona, uomo di conto ioè di stima, di 1 pillazione. « davagli in commende i conveni a uomini di conto. » Dav. « In verità che io non sapeva di essere un personaggio di tal contu, « che potessi turbare i sonni e stancar l'1 pelllia di un ministro.» Giul).  Far conto che.... ), pensatsi, in Imagina si, sal ersi, supporsi, darauf gefasst sein).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui trionfandolo in loro stessi, « e faccian conto che i pericoli passati son minori di quelli che sopravver « rannO.» Bari.« Facciam conto, che in campo alla pastura Un oro, sia costui, o un a cavallo.» Malrn.« I)unque dovrò si armene tutto l'inverno tra questi geli, e durare sì « lunga fatica?.... Fa tuo conto. » (iozzi.« Le sar i rillo a dll nelll.', ripiglia via i ragazzi, i lidele? Fa tuo conto di a ceva il padre, le sono appunto candele., (iozzi.  Metter conto, tornar conto es - or utio, tornar bene, zutreffen). « A Gel'Irla Ilico mise conto voltare.» I): I V. « Non perchè alla repubblica mettesse conto patire mali cittadini.» Dav. « In ragioli di Stato, il conto lo l iornar IIIa i -, li ti si fa con un solo »I)a V.  Levare i conti.  º nel cominciare a levare i conti che avea con Dio, cavò un lento sc « spiro.» Bart.Fortuna  liscio gli esempi nei quali questa voce è adoperata a significare ora condizione, stato, essere a Ahi quanto è misera la fortuna delle dollll.... lº.. col l'a tt con intento indeterminato, caso, avventura e lasciaio ai re a beneficio i fortuna ». Fierenz.), e quando ven tu rot, ct r r nini e il I, buono ed è talora anche l'opposto cioè disgrazia, av rom in n le calli ro ecc. e le n lo [ili alcuni di un uso men comune, ci è il sig li tre pi elle, lui asco di noti e, mare l'ortunoso e simili.  Si crt ti ma i ve: lt, A sì forte, e in petuoso, che - 1: Vili.l'ill st, s, il 1 l e gran fortuna di pioggia gli sorprese.» (i. Viil.a \ Ife, in lio, io l a cos. Il l tempestosa fortuna esser na º |:) » l. e Ond ei pi, e ne rive in fortuna, l): nte. I.: fcrtuna - i lob pople:ì. » B art. li ria: e ci I l lo rempe fortuna, si or endi colpi la batte (na V ('..... I 3: l ' 1.e li i- e l' In ill, sl -, mi ata la nipes: elle qualtro di e quattro molli corsero perdutº a fortuna, senz' ' 'o miglior governo che....» Bart. N: \ e li coi reva a fortuna il t:: il e o IBari, 950) \ ndo si seni fortuneggiando con avvenimenti or prosperi or a V V e 'si. I 3a 1 t.I questo li lo si elli, la va a il 1 l iltà fortuneggiando.» G. Vil. I bella, li in azione lei - i to Iri Il re, quando più fortuneggia, per « alleggi: l' a la rca. » (oll. l'al'.  Note alla voce  Fortuna  !),() N Iala questa frase: correre a Fortuna correre perduto a for i una, l he la sc itelle lo i rineggiare che ha un uso e si niſi il lassi e giale, ci è ali birrasca, avventurarsi agli accidenti forlilli si del mare e li i lamente, essere tra civili empeste.Faccia (Fronte)  Adduco esempi di faccia o fronte in senso analogo ai derivati slac Ciato e sfrontato. I.i soli chiarissimili ed il e lell'uso.  « Pure di dal e il ci II la l1 lilli e li S.,... ll, l el taccia.  « Con qual faccia, s a ci: il I II, - l. Il lidi e « la fede?» (il lido (iiudl ('.  « Adunque con (.. I faccia « add Llcile? ». (iil I l.  a Ol' e il 1 - le fronte il il 1: ' ', i -........  « Poi che l'uoli o si º le vi! ll 1 o, fa callo º iro iile, i - - - a ratamente a ogni In. » (IV al a 95  « Hai | ll ll lla fronte cosi incallita, i lle ', il l i « di doverti call Il bial'e il el Vis? S, - il. .... l  « Con faccia tosta - e 17 i pi Va: ll 11, Il). 9, è « In prima si coniII e II in o Ill o. I l tanto che i  « manifeslainen e li faccia, e li ri.. « Quel che tu in, l): a l ha fa coia, (i, li i ll v o Lasca. Rilne. 9) i. « UOII10 Senza faccia - Il v.i.Vede e 'a lliere: i iacul, e « rere Iſlale., Fl'. (1 o l'il. « Don Roi Igo 11, l avrà faccia l:  Note alla voce  Faccia Fronte  951 – Cioè diventa sfortunato, si ucciulo.... l on li ha poi mol [i al li Ilsi e lo; i s'eri le sco perla, cioè aver bilona fali i tºni i l I (n le; Mostrare la fronte (slare al posto la r II on le pp rsi: a prima onl, ecc.  952 – Un ragazzo ha faccia tosta, lº li ha ſron le incalli lat.  953 – Far faccia vale prender il II e, a lei il pil i Far crlr facce di olio in Toscana per la ri. ligure, e poi, i a dover dire o far cose. Il li li llo ci livelli rili il l ' il.  954 – ci è chi noli la senso di ver: liti e di 1 ss ('.  955 – non si ardirà a far.......  16Fatica (Faticare)  Ricordo i modi poc'anzi addoti: senza una fatica al mondo, alle mag gio) i folliche del mondo, di tr fatica, prender latica intorno ad una cosa, a la lira il V V el l con ſali, i pºli, a gre, ai) alicarsi una cosa (cioè alla lira si per i lilisla la ed i gi o alcuni esempi di un altro uso men nol e mieille comune agli sci Il ri di oggi di cioè della voce fatica il sigilili lo li li a raglio, per il latino sostenuto o lato, e dell'analogo la licati e il no, una cosa, ciò è l raglia, lo, allige) lo tempestarlo alal, V e voll e, i l ligar.  E I: la turiſti e !). ll la ed ass: i n, e in riini della persona, per la fatica il Irla  l pa evano le sue fattezze bel e is si lite, l ',,,,, - (il'er le. In le, i ai altro pensare che di lui, e ogni altra cosi le v 1 - a eva grandissima fatica e per dil 1 lite si l V a oli, il 1 l quali, essendo cia si -, i faticarono la nave, dove la donna era, e' marinariLa loro si el e, e faticatº o ezia radio gli ali inni de savi. » Amm. Ant. l ' Illal (iiii, e ora il mare, ora la terra, cra il cielo di paura fatica Ill lo II e il I l fatigat.» S. Agost. C. l).  PRT atto  Mi acio, i nodi dell'iso, che li li è fallo mio: si fallo (di tal fatta di tal maniera: li fallo e Te! ivan n[ 9:50): in fallo, in fatti: fatto sta che.....: in sul fallo in orielli-: iallo l'arme: uomo Vallo, cavallo jallo, il lilla, biale. o si lili, latte e 9 l. e piacenti porre alcuni esempi di un riso assai ſi ſui lil e il loro i cl siri e non comunemenie osservato oggidi. (ilar la II Il nle iel, l a che va a mente, si adoperi que sta voce alto il significa e il negozio, faccenda, affare, interesse, e ora torerno della p rs not n 1 micr, ii, ' i cliessia e Nolerai le frasi: dire ſare, esse e checchessia di lall prici, le falli suoi (cioè di me, di lui ecc): andatr pei falli sui ri; a 1 e i lalli su i non potrer suo fallo (non mo strar che si faccia a posſa essere fatto mio, fallo suo (cosa che appartie ne a me....: disporre ordinati e i lorº li suoi: entra e nei fatti altrui ecc. Masopratutto porrai mente al vario uso del nodo gran fatto: non essere gran fatto che....; parere gran fallo che...... essere clicchessia o chec chessia un gran fatto ecc.  « Noi abbiamo de' fatti suoi pessimo parli o alle milani. » Borr.  « Ed in questa guisa Bruno e Dil falli la II o, « traevano de' fatti di Calandrino il III -  « E se non era il g... l in 1:1 lit, il 1 l i de' fatti - Il l III !! a dire.» Berni.  « Mossi a col il pass oli del fatto suo.... l  « Come se egli - lo so, o de' fatti ric stri - I ' ': l. i  l -  li i ll it, l.E mangiato, e bevuto, s'and: i pe' fatti loro, B « Egli sarebbe necessario che ti l. Ia la ss da il: cosa, e l: sto s « è, che se nessuno ſi domanda ss e di cosa, l..., o la r. - del fatto iuo...,  a che tu per niente non rispoli il -si -  l: i si v; st: (ii  « non li vede l'e (11, Il li Ildil e. ll tº 1 - in 1 l 'i a ir pel « fatto ſuo. » Fiert':1z. « Non lili da r no], e, a pe fati i tuoi. VI 'In. « Chi fa i fatti suoi non si ill, i ti:I l 11, l s. « Perseguitava una val Int. a quia li i -  « giungerli, on.le la line - li illa non ve li: l rime tii a fatti suoi, l a - a comandò ad illlo scarafaggi l.. Flei ei 12.  « Senza che paresse lor fatto, li colli, i cono a lorº, i lit: qi, lu - « qll Csto Sllo Illari) o. » Fiere:la.  « Se ne sta ritorna, che non par suo fatto. Vi rili.  « Dice le cose, che non par suo fatto. I3 i  « Renzo al suo posto, senza che paresse suso fatto la il clo « Inessun altro.» Manzolli.  « Il padre si lamenta del ſigilli lo, e si rie e di pin egli il a fatto suo., Cavalca.« Un solo anno stette e visse in questa º o, linellza ed avendo tutti i « suoi fatti di votamente disposti, con grande part se ne andò i (iesi (ri « sto.» Cavalca.« Ed (rrdilla () in Egitto (ng li suo fatto, - i: il l... » I3.. « ID'ulna in altra parol. I entrammo ne' fatti dell':«.... e sta bene accorto che egli non ti ponesse le mani adosso, per i « ch'egli ti darebbe il mal di ed avresti guasti i fatti miei. Bo, c.« Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse, bon tia dico che io vi verrei una volta con esso teco pur per vedere a fare il tomo a quei linac lei ogni e lo limºne una satolla o, Bocc.  « Non sarà gran fatto ch'egli getti qualche bottone, col qual io discopra il suo pens. ro.» Flei e la.- - - - - e 11: -: la gran fatto. ll al ti: o ce le cincischi.» Da Van. e le per esse -il), A di I'll imo, non sarà forse gran fatto li a l loba l l ulmanità.» Segn..... pe. indos I di -s non è gran fatto, che per livore o innato vi doig: vedere in alti io, li noli e conceduto acquistare a voi. Segn.« Pare a voi di tre gran fatie, l: i Cielo a voi debba costare qualche  leggie di s. l ' It, i lil II l S. In  cli I), o vi debba º si º gran fatto oll i- ato, per un ossequio che piu proi, il merile poi il re - l ni:il lil:i. Se n.e 11 il bis – il l gran ta! to: Vi l e a, per lº....» Bart. « Nè avi il gran fatto: ' ', p s a h si rai slm litato dal pic a col le li,, l ': l /Ed il la 1/ gran fatto in là, ella arrivò ad una  a certa ri; l:1. o lº.  I fior enti i: il: i a fiorini d'oro, senza a quelli li vi ii fit is ºn grati fa 11 o.» (i. V ill.(gras, a to - I l ini l e.» I3o. E I. e illliamolata di me cli, ti pal ei gran tetto, lº il l: i 1.1. I vig, l.()il -, vi i: 1 -... sse, e cado: le gran  tolli, i loro i no, mºltº gra.: 1a!! 3. (A, i tl ad. grandi e sanliº.  Note alla voce Fatto  !)(,() si,s, li oi i pi si nºi il cli: li presente, sui biſamente, in mantinente si rii di 1, il calde nori o nella piana el' i l.  l'Iron, pi si..... e di fatto, e senza alcun soggiorno tutti fu  I no il pic i fi. Mi Vili. -  (i \nche allo per cosa falla. I rili, in pposizione a dello, è s illli bocc. di I lilli. - Che mille volte al ſal'o il lir vien meno. Dalle. « I fatti son maschi e le li role so' felimininº o ProV. ital.N/l a n co  E' Voce Ilsalissimi, si, i 11. I pelle molle Il lamiere, gran parte volgi il s - che ad al lI'e lillgue 961, si go, il 1 - I l guidi, quelle tavia sulla lingua del p '. (il 1. leggiadria od eccellenza di senſi nellº si i... a no, la tale solo per certa analogia ila mano, avuto cioè riguardo ai vari lilli i ti che iene la mano, a quello che li, al per: per a signi  cioè che Ilon V elig l srli. I -, - i.. l'l'ono ll ( ficare potere, forza azione au il pri, tra i là di o l'uori lilli, soc corso, aiulo, banda, lutto ecc.  « Acciocche a mano di si', il ri non vertisse. I3o ('.  « Venendo a mano il it - - il II, le V elite e l'i « Stiano.» Vit. SS. I': l.  « Molti dei quali lug - I l a mano de' nemici « uſ. Inini II lontani pervennero.  «I terno forte di II lilli i r... i t. 1, i ir: imam l lilllico. » l?et l'.  « La republic tilt i, in mano. Dav.  « La saliti del V sl l fi I l l i nº lla ntitº i l l3 ('.  « E quale le an a -, i la mano a prestalica, io l'auto « rità dei prelati della sim mila (li a. il 1 l: Ali - oli?» PasSV.  « Fare i voti in mano di...., l 3:1 i t. Cºs  « Manda il la lizi una marmo l..  « I entulli, Vlt telli, l.li ra: no ci º randi. I: l..  « far guardare a mano di soldati. I  « rifiorir la calunnia coi li la mano ri: di doppiezza. » Giub.  « Carlo con potente mano v V on gi al quantità di gente a rinata.  « nè Inolo poi con piccola mano di armati V, il 1, a S. Iplone.... a lºoce. (Lett.)  « Sopra i detti fili si da lol: ill. it e s'ilm  « ponga grossa i lile l'a lt 1:: e io i Irella mano  « di terra, che s'è la [a di sotto. 13 Inv. (e'!. () i « Andando egli per di la, molta mano l'Il III liri de la ri; in Iglia l'incon  « trarono.» Benibo. « ma.... fu loro adosso subitnmento una mano di ribaldi....» l?art.di lini.... l) o lo veggia, e porgami la sua rºmano, - 1, li, i - ca. » V il SS. IPad.  I is: i o, che tenevano mano al fatto, t e del mondo.» Bocc. 965) \ qi te li-, e tenienc mano molti baroni del Regno.» G. Vill.  !. (ii i e Isolmi e le Gesù mise mano & i serrano ine li piu se e, più per ſette che mai avesse  I t. l. ti l a, fere cenno ch'esse (le pie i ! !, l i º S rimise mano e disse que le parole che - il pi su ro, e colli e gli entrò l. Ili, soggiunse e di Sese).  VI: messo matto in Alberto da Siena seguirò di dire di lui ll o lº  I l ott... m Se ntano in altre novelle., Bocc. 966). i:ili º di.oli perdere lo stato suo, mise  mano, l s... Il miº l 'ils li a l e E da', e, Vit. S. Giov. Batta. I ss; Il li i lill I, il I.. ll mi venne a mano, l'infrascritta cosa.» Vit. SS I.(olis derare oltre. ll he primi i gli venisse a mano.» Bocc. (967) li li avendo il pri' il o la ello a mano lavorava con guinzagli di I l (-: i ri.() la d [.li mi viene ai le mani al lli i giovanetta, che mi piaccia...» Bocc. I li pervenuta gli fosse. I 3, > cade per mano, la gio ma no di cambi.» I3occ. lt 'e llla l' e il I dil e che li cation [ra mano.» Ces.  rss e il dover lol dire, con lo costoſi alle mani  Era il pi vo! Il no del mondo, e le più nuove novelle avea per le mani, o lº e'.l'o-se va le e lo ill, e pretºre dei sogni i qua l abbiamo fra le mani.» l', - li ttiallo). Se \ (i, e li gli ha fra mano ». l) il tam. \ Inzi mi prego il cast lo l l se io m'avessi a cuno alle mani, e i la S. » l'8 eNoi abbiamo die ia | i sit i | -sino l'irtito alle mani.» Bocc. (: e quelli, che lo li pi Ili, d minare hanno alle mani.» Galat.  S. ll p il sier in o o d'i: lur e o amichevolmente o levargli la mano, a e li, lo ſi l e, i sºli, Ina grado. » Nell. I. A. Com. (968)C 'i ll nini innamorati bisogna lar come coi polledri: con essi ci v(( la briglia, frusta e fil d'erba; o: i rile, i li, o a casfig  rli, a lusingarli;  « altrimenti, se ci piglian la rinano la si o ti noi quel che ben ioro torna.» Nelli. I. A. COnl.  (( (( (( (t  « Non so...., nè a quale di i i il 1 l si ri le! V il gelo I.lligi dovesse  ceder la mano. » (es.  « Boezio pruova, che l'll in pole, il II ci ha peggio, che l'uomo di bassa mano. » (il V: il l.« Se tll II letti ll ! !: i lil:) il il l il bassa mano l. I (', o lì (vl) è mai per roba, che ella vi p. i, t: a Ilio., (io l. Spor. « Anzi prova il va il V 'o sſ 1: laici e colle persone di bassa mano. Ci s.« Non sieno di vite i ro? (d  alta, Ina - Ierio di vi... i mezza rilano. l'  « Ull chiassº lillo assai fuor di mano. l t. « Torrestela voi fuor di mano i ve lo i si V elido; lo più vili. » Pandorlf. « Luogo molto solingo e fuor di mano. I3) c.  « E quello con lui fa la ciurma ebbero a man salva. 13o c. sicuramente,  impuneInel1te).  (( (t  (I  « Senza che al lillo, Iri: i i, ga e 1 di Col - sari sopravvenne, la Ilta e tu ti a man salva - I pl - e el andò via.» l?oce.  « E perchè tante diligenze? 11 i poteri e gli averlo a man salva ovunque volesse?.» Segn. parla del fratricidio di Cal no.  « Vedendo il caso Ill ! I limiti e li -. V - il era vinta della mano Nerone era spacciat. » I)av.« Tutti studiava lisi di Ig Il: i rl I se non vincerli della mano. » Cesari.  « e il buon Gesù Maestro utili per il pa le, e ilppelo, e così bene disse tulle le tavole, e lo ile dall'una mano e dall'altra a coloro che gli erano più presso. » (.. V: il 1. 9ti!)  « Va', gli disse dalla mano dritta d ' s dica, ed egii andò dalla mano sinistra. Iº, re  « Così tornava per 'o cerchio t. 4 r. Da ogni mano, all'apposito punto.»  Dante Inf. 7, 32 970)  « Così duo spirti, l'uno all'allro chili,  « Ragionava ll di Intº ivi a man dritta  « Poi fer li visi, per dirmi, supini.» Dante. l'urg. 14.'(o)upds popuSIs Inb) ooogI v'o.IlIO Qpunu II “lumi ollop paol pp “u Au ICICIe II º oul o uutlop tº | I nuovi ed estro el l - Il  -IV » - 'lue AoN « ossip o:ppp) Non ſi pl), li our il pl), l' op.elp outdooo!!) Iosso l\ » sslo I sl. Il l is o ollo llo, li eICI o zUIo, Iolel « OI.).otº. I | ottili Il 1 ls 5  -opupuotu o “ollo)lo. o) n. il film l u n t al I ti Ip (in on ott oss, il o »: IIus o otodlam oliil Ip le oumi in l 'oupu Inl. -0p3 uol.IIUISIS plssol.o.ool. III our li lp i pp o II. In po 'pso.o) on li  tod o p oumul lo), ti: opoit | o olistino ti il litis oi ri: - red o o Tupou Ituo) e olltils o u? o una o lo)). Il 2n ils.... N  (pupoIV) optio. Il sip I n. p oso.Iotti: o s -oI) Ip Isopu ellu.Il 'tele i cd in 51 | tell, il lil III o II l ' op opulooos II oz.Io un Ip Ipniri, il ti mid o Iod: II o II: il onpoque ouuoi luis oumu lp tou, l oum il trito.I  lollflot ſpum il: uoſol) l) lt 1) II l lº fu i pup II t, l. 1, l ' ul, N li pill) I -.0 l 'll 30 l) il pul) lt.)() () 'l l: il 2 l. N S I. W N il p pli) II cºl l ’s ..o): I.).o: ls o “al IpUIoA Ip o Ille.it | | | | | | te, Ip o netto e l our, il tool, pi). IOI QuoopUIo,oos Isso od li elil I un ul. l I, pp.I: ) « oupul pl oood un lap. tifi oil o sotto ll op.  pddos uoi o! Io e,op is, l lo -ſim:(usu ) « oum il plm lui o il  ulson lì Ip o] Iod o [op e ti º lo utI UIou ott.Ia:S Ip oso - It?, Ilo) dolo) olim il mo) molti i pl. ): l o il lo ſi un lp: i -lad pl app:(Utlopl) oum lti li lui il 'lo. I pps: s i lo) -ulo plm luput ollo. Il N:ol n. ll o in lui lo pu Inl si.lol::: - -souloootlo otIIIss.Io.A.Iod o letti i l o, on i lou, il miti il: msoo mun oumu to. I p.), o), mi: ps spel up it I pi: oss. I lupu ol o toam:o)pſi.o) ll put, l.. ):p) spel il lunni, l -IIu.IoqII o Insn pſ up) o umi p), p: s e -ed IuI I] Iolod lp output pluti il 1 ol ss (I -od) oumtl ul.lo, m: In Ir) our li mi i nomi o l oil..I l 5, so uotp o[.Inq UIoN ) Tn1) o un mit ti, i no 1 o s - Ied II5o au » – ollu. I Il o v. Id e il pil un omone: i -oq IIosnI.I n el IIIquº plssolo.,ol.) un omi piu pitono i p i ns o ai -nole uzUIos) olon lupul p: olio: rºns e o os “Il p. I ºIIe aolo) oum.olm,p ou put il o al piu. l) o is i  a i  ) I ll,, 1 ) N N, i: ls,  - TeInzza) ' uo) lupu opm o.lu,,, losso: ss s IlTOUI e ouput ul oumu lp o Ioi o is I, opIV -- o, epi in pu Intro3 o otto Inpulition i volti, oros Ip II o un p on pu p. “mIIadno nun III olio novo Iorio ſi o IIIod s our in un ou put np “oumtl p on pnti p: Io I Il tº - il vi:.) e p), il -issmu.out o Issoptions o I, Ill.) o 5 - -1)ll,9lll:(o)uo III el.oIII).In n our li in e ss « ouml5 ml o unl ſi u mu.l IV fi, l ' li' in :(IoI, I « IoIIIn IIfop oi 15 º oliº olpoul “olzIpn15 solo emb lp e los I, -on T ): opcIt II e a 1. o un triplº: It: [.Ied ſoup oi lotte o lesn po o li li so I I I s | | | |  Oue IAI  eooA e le emoN  !): ſi  - (i  I:)(i967 – Questo venire a mano o alle mani significa capitare, occor rerº, scontrarsi, non renire in potere come negli esempi del primo gruppo.  968 – Lerare la mano ad alcuno significa sottrarsi all'obbedienza, usurparne l'autorità, comandare in sua vece. (Gherardini). In senso analogo dicesi pigliar la mano, cioè non curar più il fl'eno, ed anche guadagna la mano.  969 – Nola singolare costruzione, l 970 - Ci è tanto da destra che da sinistra. Dicesi anche (v. ap  l'ºssº e con egual sigili caſo, ad ogni mano, a mano de Sl r(t, a mano sinistra.  N etto  E' un agge livº e significa pulito, se ilza macchia o lordura ed anche buono, senza risio o magagna, leale, schietto. E però dicesi: coscenza nella. « () dignitosa coscienza, e nella Colle l'è picciol fallo amaro Inol'so! » I alle º I l'allava con nella coscienza ogni negoziuccio ». Fr. Giord.; di mºlta rila a liv. M.: animo nello, ed intero ». M. V. ecc. Ma si usa altresì a modo di avverbio, e talora anche sostantivamente. Si notino tra l'altro, le forme seguenti:  Averla netta, andarne netto, passarla metta. « Non ebbono netta del tutto l'avventurosa vi torla.» M. Vil. « Niuno ne andò così netto che non piangesse qualcuno.» Dav.  Uscirne netto opp. uscirne al pullo, in do toscano – Farla netta 980) « Io mi credeva d'averla fatta netta di que la vesſa, e aveva la se... » Fiel'enz.  Coglierla netta. « Io non vo' che la colghino così netta », Ambr. Giuocar netto (cioè con lealta, senza frode, ed anche andar call'o, e simili) – Mettere in netto 981, --- Tagliar di netto, portar, gittar, saltar, far chec chessia di netto i cioè con precisi rie, interamente affatto, in un tratto), « E con -sa sospintolsi d'addosso, di netto col capo innanzi il gettò ». Bocc.« E rimessa la briglia al suo giannetto, Come un pardo, saltovvi su di « netto ». Malm.« Senza certa violenza pare non si possano recidere di netto certe grandi | « quistioni ». Tomm.  Il netto di una cosa il chiaro, il fatto preciso).  Note alla voce Netto  980 – Significa in generale fare un male con garbo senza farsi scor gere. l)icesi anche larla pulita, farle pulite.  981 – Meglio il modo lo scano: mettere al pulito.  Fetto  L'uso della voce petto nel traslato non è oggidì sì noto e comune che non sia profittevole proporne lo studio con alcuni esempi. E' dizione eletta e si adopera a denotare l'interno dell'animo, la regione del cuore, la stanza degli affetti e dei l ensieri, ed anche l'intero uomo, la sua persona, la sua corporatura quasi fortezza e baluardo del suo essere.  « Camminando adunque l'abate al quale nulove cose si volgean per lo « petto del veduto Alessandro ». I3o.« Non altrimenti che un giovanetto, quelle nel maturo petto ricevo te ». 20 cc.« ()nde dì e notte si rinversa Il gran desio, per isfogare l petto, Che for a Ina tien del variato aspetto ». lPetr.« Era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli « uomini, e delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava ». Bocc. «....benchè tu non se' savio nè fosti da quell'ora in quà, che tu ti la « Sciasti nel petto entrare il maligno spirito della gelosia ». Bocc. « Ogni indugio, ogni vità disgombri il vostro petto ». Fier. « E troppo mi dispiacciono alcuni mari'i, che si consigliano colle mo « gli, nè sanno serbarsi nel petto alcun secreto ». Pandolf.« Ma pria vorrei, che mettessi ad effetto Quella impresa per me, che, « come sai, Per comandarti In'ho serbata in petto ». Bern. Orl. (985)  « Se le prime novelle li petti delle vaghe donne avean contristati, questa « ultima di Dioneo le fece le tarili o ridere.... che » Boce,  « Le miserie degli infelici anni) l'i raccontate non che a Voi, donne, Ina « a me hanno già contristati gli occhi e 'i petto ». Bocc.  « Agli occhi miei ricominciò diletlo Tosto ch'i uscii fuor dell'aura morta  Che In'avea contristati gli occhi e 'l petto ». I)ante (986).  ma i loro petti empire di far là da poter disputare del bene... ». Da V. « Come innesterebbe principi di legge in petti che.....? » Bart.  «... e luogo prestarvi da potere la sapienza dei vostri petti, e la dottrina « e l'eloquenza diffondere ». D: V. « Arnol di I) io, che avvampagli dentro al petto ». Seg Il. Avvampare il petto d'indignazi (rnº ». Seg Il. « Ammollire gl'iniqui petti ». Barl. « E voi Cristian I ll, Il avete petto (la la re un'egual protesta in 'Ocſe all « cora più scellerate, piu sozze, piu abbori inevoli? » Segn.  º...... allora sì che Dio non potè contenere l'ira nel petto.... ». Ces.  « Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti Di Marzia tua, che n Vista ancor ti prega, O santo petto, che per tua la tegni ». I)ante.  Si notino da ultimo lo seguenti li laniere, Stare a petto. « Stettono arringati l'una schiera a petto all'altra buona pezza ». G. Vill. « facilissimo a risentirsi di ogni emulo, che pretenda di stargli a petto ». Segn.« scusandosi col dire che non aveva gente di stargli a petto ». GiaInb.  Pigliare a petto checchessia (cioè impegnarsi in checchessia con prelnura) – Mettere a petto confron a re A petto dirimpetto, a paragone, a com parazione di). « ed avevanvi fatto a petto il Castello del Montale ». G. Vill. « Egli non ha in questa terra medico che s'intenda d'orina d'asino, a « petto a costui o. Boec. « Nè..... ma Volse a petto a lui se Inlorare un oro ». l)a V. « Ma tutte l'allegrezze furono nulla a petto a quando vide la fanciulla » Bocc.« Tutte le pene di questo mondo sono niente a petto che loro (i demoni) a vedere ». Vit. S. Girol. trad. a petto a questa cosa: vedere i demoni).Note alla voce Petto  985 – Il tedesco nel parlar famigliare adopera anch'esso la nostra voce petto e dice: Ich habe in petto ect. per esprimere anch'e gli che si serve in pello o in animo di far checchessia. 986 – Nola eglalissima dizione di I)anle e I3occaccio: Contristare gli occhi e 'l petto.  Fartito (sost)  Il significato dell'uso, secondo il quale cioè ques'a voce è sulla boc ca di tutti, è quello di palle, frazione ed anche di occasione parlandosi di matrimonio o cosa simile. Ma è il sala da buoni scrittori anche diver samente, a conserlo ci è di altre voci e ad esprimere molte altre idee, e piacemi di allegarne alcuni esempi non avendole queste forme, secondo pare a ine, il volgare linguaggio, e al che chi sa di lettere, non essendone per avventura ben sicuro, leggi e vedrai come alcune volte questa voce partito ha senso di modo, guisa, el al re di patto condizione, conven sione, accordo, stato, disposizione d'animo, e lalora denota risoluzione, determinazione, tal altra termine, pericolo, cimento ecc. ecc.  e biasimarongii forte ciò, che egli voleva fare; e d'altra parte fecero a dire a Giglinozzo Saullo, che a niun partito attendesse alle parole di Pie o tro, perciocchè sel facesse, ma per amico, nè per paren e l'avrebbe ». Boce.  a Parendogli in ogni altra cosa si del tutto esser divisato, che esser da « lei riconosciuta a niun partito credeva. Doce.  « Ma il mulo ora da questa parte della via, ed 'a da quella attraver « sandosi, e lalvolta indietro tornando, per niun partito passar volea.» Bocc.  “.. ma egli a niun partito s'indusse a compiacerne io ». Bart. (990)  « In verita, madol, na, di vol in'incresce, che io vi veggio a questo partito a perder l'anima ». Boce. 991;  a Noi abbiamo da fatti suoi pessimo partito alle mani ». Bocc.  a....chè in verità vi dico che se ll dio mi mettesse al partito, piuttosto « elegger l la povera Ionica di Paolo e ' Ineriti suoi, che le porpore del re co' « redini suoi ». Cavalca (cioè mi desse la facolta di eleggere tra due cose l'uma). « Di S.Gregorio si legge, che posto al partito per un piccolo suo pec « cato, quale voleva innanzi, o essere sempre infermo o in avversità, o « stare tre dì in purgatorio, elesse piuttosto d'ossere sempre infermo ». Ca Valca.  « E così tra l sì, e 'l no vinse il partito, che non gliel darebbe ». Nov. anl. « Ma a cagi n che di questo li stro partito n li l'Inter venisse scandalo e alcuno, egli sarebbe liere - il 1 he tu ti guardassi da una cosa, che...» Fie renZ.« Laonde egli si delllier, il tutto e pi UI | o di pigliarvi su qualche « partito; ed ebbe: p ir, e con lIn – Imbe, o h el a dottore in legge.» Fierenz. « Ma dei piu cattivi parti bisogna pigliare il migliore ». Fierenz. « S'avvisò di voler prima vedere e li tosse, e p i prender partito ». Borr. « E pc:nsando seco lei in lo, prese per partito di volere quesì a morte ». Bocc.« Prese per partito di voler e in tempo e -se e appresso ad Alfonso Re « d'Ispagna ». Bocc. 99?« E sentivasi si forte il lo!..e, l'e..a sl Imav i pure lnorile, e non sa peva la Maddalena che partito pigliarsi ». (..aval a.  a Adunque a cosi fatto partito il folle amore di Rest Ignolie e l'ira della Nilletta, se collº llls - el'o e il 1 ll 1 ll l n. 13 -.  (( « Ora approssima in dosi Impo cle (i e su lov, a noi in e per la salute Il Ost l'ºl, e....... gli Srl ii) e F vedeva l'1-1: mal partito, per blè 'll tta la « gente credeva a llli..... (il 1 l.  ſt  a.... dell'anno li. ll irl I e I e - il li fili l'a ll III lo.. lle al partito a m'ha recata che | Il lill V li ». l 3 993  º..... ed essi tutti e tre a Firenze, il veli lo dirilenti, il to a qual partito gli a avesse lo sconcio spendere altra vi lta recati, non ostante che in famiglia a tutti venuti fossero piu le mai tralocchevolmente spendevano. » Bocc.  « Per io chè se io veli di al II li volessi, riglli ridando a che partito tll po a nesti l'anima Inia, la tua loli lili basterebbe ». Bo.  Si irolillo da Illino lº ſi rime: Mettere il partito (904) « Pilato termè, ma pur, vola i dol liberare, lo ritenne, e fece mettere il par e tito cui eglino volessero liberare in quella l'asqua, o (i sti o 13:ll'abba ch'era « ladro ». Cavalca.  Andare a partito Mandare a partito Mettere il cervello a partito. « E poi quel, che per i consiglio si vince - e, andava a partito ai consiglio « delle capitudini dell'alli maggiori ». G. Vill.« Con codesto tuo discorso tu II li hai messo il cervello a partito ». Fièrenz. « Coss oro han messomi il cervello a partito ». Amh. - - -Note alla voce Partito  990 – A miun partito, per nium pa tito è modo avverbiale di frequen tissimo uso, e vale in niun modo, per niun verso, a niun pat lo, keinesu egs, un keinem Preis.  991 – cioè: con questa maniera di agire, su questa ria, a tal termine, Slºtto, disposizione d'animo, e simili. Parla di una che si con fessa e non è punto disposta a cessare i peccati.  º2 - Nolale queste maniere: prendere partito, pigliarvi su qualche partito, prendere per partito. Coif. Verbo Prendere par. 1. Capitolo precedente. Simile quello del proverbio: «Preso il par tito cessato l'aſalino, Palafſ – a partito preso è forma av Verbiale e vale analogamello, le maniere sudelte, pensata mente, dele, minalamente. « Per cogliere i nostri a partito pre No, e a V alllaggio loro o, M. V ill.  993 - Era inferna.  994 – Non mi pare al lutto sino in dell'altro: mettere, mandare a partito, cioè porre in deliberazione,  Fºarte  Voglionsi notare di questa voce i nodi seguenti:  Salutare, dire, fare da parte di..., per parte di.... (995)  « Con lieto Vir-o salutatigli, lo ro a loro disposizione fe” malli Testa, e pre « gogli per parte di tutti che.... » Bocc.  « Signore, io mando a V. M. il signor Amalrile Rucella, perchè le faccia a reverenza da parte mia ». C sn.  « V. S. gli dica da parte mia, che se non si fa forza, diventerà ipondria e co ». Red. lett.  Dalla parte di.... - - Dalla parte mia, sua... v:ale dal conto mio, dal inio lato. Sono frasi quasi di modestia, o almeno di riserva. Tom.).  a Egli era dalla sua parte presſo i d V i), ch'ella irli comandasse ». I3', cº.« Perchè noi dalla parte nostra saremo sempre e pronti e presti». Cas. lett.  Lasciar da parte – Porre da parte « Si pone o si mette da parte per ripor itare, per serbare, per discernere, Tomm., ed anche per non farne conto, non farne cap ale. « Ma lasciando questo da parte se io ci elº -si...... » H (-Illb. 996 « Lasciando l' altre ragioni da parte una - la basti per tutte. Borgh. Tosr. A questo do.. I nn l r noi, posti da parte tu! l i t. In di 1, st i. Va: lli.  Trar da parte a pmi te – Ghia mar da parte – Star da parte in disp:te  – Tener, fare a parte,  Star da parte vale non confondersi con altri.  Tirar a parte è alline a lirar in disparte.  Si dirà: tener conto a parte, far cucina a parte ecc. e non altrimenti.  a Tratto Pirro da parte, quinto seppe il mie li, l'. IIIb:is glata gli fece di l a Slla donna ». Bo,  « Chiamate i altre (lo! llle da una par c... »l 3o.  « Quello che già è passato si sta da parte tra le cose sicure ». Varchi.  a Tris - stando i in dispart..... o I Piety'.  a Cl teneva il flz, li i parte, I3 r. ll ! Il.  Prendere pigliare, terra re in buona, in mala parte ecc. I) e lui lo:li e 1: lt i tºv - '' i, ve: t 'i nt i presi in mala parte, e non in buon grado, dl-so un inti, li' gli gli porgeva colla le stri, l'a.tro colla  a sinistra prendeva gli o. Salv.  Note alla voce  Parte 995 – «Diremo: fategli una visita da parte mia, meglio che a nome mio.» Tommaseo.906 – E' inaliera simile all'altra: lasciar sta i c. V. Verloo Lasciare  « Lasciar da parte è più scelto di lasciar da banda. Tolim.Storna c co  E' voce usatissima anche nel famigliare linguaggio, e tanto nel pro prio che nel traslato, cioè per indignazione, commozione e simili.  Ricordo alcuni modi e l'asterà:  Dare di stomaco il cibo recello, i militarlo Fare, dire.... con istomaco. « Onde i veri padri con grande stormaco ricorrono al senato ». I)av. « (..he da Ine si noill Illi, noi con istomaco o. Call.  Fare stomaco, venire a stomaco, avere a stomaco. « I no stile da fare si omaco a tutti gli animi i livn contornati ». Giuber, 1. « Non si lesse il testamento, per le al popolo non facesse stonaco l'in a giuria e l'odio dell'aver i là (p - o al ligliuolo il figliastro ». I) a V. « La sofisteria, e l'incivili a li quest'uomo è venuta a stomaco alla gente ». Caro.Fare sopra stomaco a male in cor) – Esser contra stomaco (contra voglia).« Io vi dò questa commissione in al volentieri perchè so che v'è contra « stomaco, come a me » (in o. n il vi v 1 a Versl.a Tengan per me e do i miuse, conte di Virgilio, tra quelle sagre om « bre e fontane, fuori di solle il l cul e e mi sta di far cose tutto di contra sto « maco, libero da ci rte lla e va ill: e Irla ». I), i Vanz.« Mi lascio trasporta a questa a Iv: us inza, ancora che gli voglia « Inale e lo faccia sopra stomaco ». (il  NA erso  Tutti sanno che ci sa è il re so in poesia, il verso sciolto ecc., il verso degli uccelli Gli uccelli, su per gli verdi rami cantandº piacevoli versi, ne davano agli orecchi testimonianza, l'occ. « E gli augelli incominciar lor rersi.» Pelr.: ed è altresi comune ad ogni penna l'uso vario sia del la preposizione verso, verso di..... l' 'No ! )..... che del sostant. verso per banda o palle.  « Questa è la cagione che ſa che gli scrittori d'agricoltura concedono che per un verso le piante si pongono più presso che per altro.» Vatt, Colt). E così va intesa la forma pure dell'uso: pigliare una cosa per suo trerso.Verso per riga, linea, l'ha tra l'altri il Caro. « Scrivetemi solo un rerso clie le V, slle cose valli lelle.  Ma ciò non è tullo. La v e rcrso, ed è quella delle forme qui appres so, si adopera alcol a a sigllil: l'e: manici di modo, ria modus, ratio).  Per Cgni verso –- Per mium verso - andare per un medesimo, per un altro verso. \ niIn: ' di e tre i ri. 11,1 per cgn, mai verso. Iº lº I. (.: s. Ne pilò per verso alcun l era -i a el re li oi i to; a sfa l I mali. Varell. El'col.Andando la cosa Itta via per un medesimo verso gli Is g: va pe: lo; za li: rtir di lllel il 1 g... FI el'eliz. - e (II), si vi: il 1 l'  II it: i 1, se vanno verso. (ia!. Si-t. l'er 1:1 r.- 'i.. v verso i cui il non vi fu mai ». I 3 l': 1. () rl.  Trovar verso, () ribe, II; s -. 1 (orv... - se i trovai 9 verSc 1Z. I 11:). mi ri. ll It - ir: - si rl:. Mutar verso. « I l in un li versa i Z.  Andare a verei andargli al versc.  Q). l io.... ci segui i aridare ai versi, - l'ill Il '11 l..... ll:: V.i i-silli i tii: il il 1 che lor non vannº a ver, i il lo  « S: si orz: v. li:: Isili andarle ai versa, e !: I)1s, il l. - ir.Di alcune parole ad uso e valore di voci e parti del periodo collegative e talora anche integrative.  E e n e – NA1 a 1 e  al 13 EN E. lasci º si va il riavvi i bio: giustamente, acconcia nºn le, con la mente, l'ulo non le, sicuramente e ecc., ed anche le no le Irasi: ben bene, il no per bene di garbo, la coro fallo per bene, or bene, bene sta, condurre a bene a lilot line ecc..., e mi piace di offrir li al II li esempi in cui bene e la cosa piu o meno riempiliva che l'ene il s. la sicci esce lo si e o, e tiene alcuni poco del tedesco  li li l. (5(i  Ma egli Iul bene, qui intlin [ue s elevatissili, proporzionato alla lama e Vita di Ill il s'e ll 11 l' e st. l l ): l 11/.Nel l bene i l.. a l In, io che | o-s, ! ». ! 3:1 t.MI,a con i ti I t'l spes-, a lirato? o, disse S 1 (i appelletto, contesto e vi dico io bene, che io lo tiroll o spesso la II l3, r.a Egli e qua un trialv lo uomo, le trili i l: - l alo a l sa º il ben cento lior ºli d'olo a. lº. Ma se vi pi e, io o le insegnero bene tutta n. Boc. Voi - i pete bene il legnaiuolo, dirimpelto, al quale era l'area.» Bocr'. \ te sta ora dal ni ben da 11 g 1:1 re, ed io a te ben da bere». I 3 r. º lll gli da ra. Il mito lei e la la l la.Si le, e visti di tratta e lui - tra i 1. I l incn ill - I l n; l)av: 'lz. Bene i ll vel, che.... l o.Bene e vero, di vo tra Irle, se lº tibel i lido li nº i lorº liti o, ben è vero a che quella grandine di coli e lini e di li tir e il 1 o nlinua cosi alla distesa I r lil, a l'opie 1. ManzBene e il vel... he il l e le::i riti - nte d'Illi: lo za sull e iol e, e la a !:ilta, il ri il 1 e 1 il 1 l. I lirt 'nzi e, il vetl, i ver li ille, di lora a ple a rlo., (art.e e appresso gli dimorava una serpa, la quale bene spesso gli divorava i figliuoli poichè erano grandicelli ». Fi. I ciz.a vomita lo slla - Il perba lº stermini: i i ben il V e V el - i:n corso  a lanciato senza un l I l tar di II lezzo ». (es.b. M.Al.E. – Tulli sanno che male è predi alo di tutto ciò che è coll trari, il bilono e al bene: in ſei mili, pena, Iorli, il, inisſallo, danno di sgrazia, lenſazi ne dolorosa e c... Si li e al ra e volgarissime le frasi: a rer a male, a malati e di male, a re e il malanno e l'uscio adosso (lina di sgrazia dopo l'all ecc. ecc. Via li li so. I rile dei moderni o volgari scril lo i c li si a la vo male, Isi Ina in ſilella forma, vuoi di aggettivo, vuoi di avverbio, che nei seguirli i esempi. Leggili, rileggili e fa di sentir - lie la forza e il l non so clie di vago e per gl II, che è il lilà di così d'arti l'isl ic. (li el II zi, le elegi Ssic li.  a... st V: l III mal conceito fuoco. I 3. «....:). Il coll mal viso - Il l I am li ri- -e. l. «.... il rinai.. Se; (iappa letto i lic - i pm rai 1, si, l ma le agiato el' 1 (-a del II lo; lidº, o. I 3 ).maie agiato l' –, li la a gil: i il.. 11, l Inl, o male agiato esse, e male,  pe. lli, a - io, e -::: a male i:n bocca si,  vitili era, o e, l 3:1. I 1 A.  « c' 11 se l' ', male: l e \ Il..li, lili i lo nia?.... (, l. Il n. volt': li la III, i mal piglio, l.ll è lie: \ e le colli e iº sº io -, il V rºtale lili, i.. » I el'eºlz.Il ragi la I (l ai: le maie a lo)ia si convenesse. l...chi v e iilipov rito: chi vi: ini: i il a, l.. i: ti: ti l i male arrivati )). I.a do III', nd Indo pier lorº i val, l l', l ' I mal degno n. 1 ss, loſ nig ill: I li.Voi sie (o grilli vecchio (pole le male durar fatica, l ', di liri a III nte, l'8 ('.  e I, il III lo zi le: i riz liz li mai -; l I e  a:I III lil (i: /:1 e n. la t al I ): v. lll. “..... rip, ta io a lor lui gli le male accozzate i - V a essere male in essere di d. Il l ri, li -: li i l ':.. l 3. l l'I..... poi ho li ſu Io!Io avanti pre o di mal talento i lo! « parole molto lis o eo. 13ar [.. e.... tutto pe o, se male a me non ne pare.. l 3 l. e Onde pa, che male si a latino al vstro lº so, si fa i lma iº e d'ill « si fa ». Si li.a e finalmente la gatta gli pose la io a lica a iº --, e non lo 's io i ri vare alla male abbandonata e sta ». (i 22. Vi esort era il 10 al 1- e' di vi con più 1 ri') o quando ancor vi conosca a l male in gambe ». Si. n. 8s.  (S: - I:ile i siti: il ma! - be il s.. i: e i nº, lo re  I ma le:nctiuisi o V i S:s lº i l: i  Note alle voci  Bene - Male  (iſ, 1, di bello - con i | II e, e lipiello di forza, è noto e volgi si li esel i pi e me ne passo: l' ' belle sei il le li i l l'illmo all'allro ». 13 cc (li l: ss e le liti in tv l' e la lle legare in anella e... I V l'elol) cli, l V ! ss. 13 o.Noi la frase: esse i lr me (ni le li alcuno: le pallel'elmo al i pi lo lingua  (i, II, i posſo in li si ma le ali a 1, del 13a l' oli, del Gozzi, e di tali li: ll is, del 13occaccio, e come i g, e l' ai c. Il riso le li ell'avili, la V eliti el'Iluissero sponta e dalla lingia e dalla per le lo; e inalier e del glorioso tre  i º  (S Sla i bene, male in gambe è I l is li fissili ira, ma l'ho volli a poi le pol chè si vegga quali male si ali ngano certi autori di gi il nome, i rial: ci si ali i lalora certe frasi, l li trial lo scadille, snoss, alli e, siccome appunto il male il disco so, e il li s'avv goli che pur vivono nella lin gli col nulle.  N/I a i  l 'avverini, ma, el: vale più che il latino unque n. e li il cli, sia con il il S. liv e il l li, lui li i maestri di lin gli IPI Il v'ha del con la I - i: il 13 irl li, esempi, e non |. lli al clic so, ci li e la leg ai la lil loro e la non si sia rolla o.  lº si rip; il lilli. I il silio il I ti: le e, già gran lenipo, stral ci gidi (lelilli- e mai a V cl sels, l'in alcun len o, e d'in nessun empo; e lei l'uno o dell'all ', cliave e indizio non solo I! I lil si le lilla legil'i; il cos! i le  Alti i basta ad ill riderlo il si mai e cºsì dicasi delle molle \ lo io e con i renda e allo studioso  l.  il li igil: clic ci velisso Inai si lill egli allori fonti e mae l | |  –– 281 –  stri di lingili ilaiii. Il II ci del e di averne senza più conseguito il 1 ello scultri, i si p.. si, Direttorio, al quale più  che le definizio i l sl 1: i il [.. assioli, lei relalvi e semi pi Ne li Ilo (ſi alcºli - anche di qlles la mi ai -, i lili li diranno in Irla: 'e vi gie li ti li l.. i li' ci li - Illia di II li ignaro delle classiche venisſà, lo si pel lo i c' rss, i indi, sia cli e Villga in al  cºn l 'mi pi.... ll il 'Nsui le nip. S roll e li ll (). o per arren lui ci. i ! iº i l i cli, si mi, ti se il l i.  intellsivo della s. ssi ma mi tiro i si,  a Pe! l III list, 1 l g io, i tic, l l.  si mai nascesse.. I 3, i. C. ll pill IIIa li e p. mai drappi ! -- dialli, IB,.  m  Coln in 1 il i i il mai !: esse  MI, sl l'a ll  il Ver mai. I 3,..  “..... i isl - se mai i piaccia, ti con i le itto i pal.11 st: Il lit -.... più che mai i - a che VoIIIeri le spalle, a II. 13o..E se egli avvi e che ti mai vi Il « che..... » I30. e I)isse Fer Ildo: () li mai. ll Ill 2 a I)i - se il III lil SI, li Idilio V il. () Il l - - I l S I a mai, io sarò il III: gli 'Iri It, il l in I l.. 13,.... l'av: elie | r in 1 e 3 - 1 r. ll più - che mai lº. E venivasi li rila lirlo ! ! oppo, i ve lº ſi tº e ! - ll gian: mai:, a connesse, e piang nel loi i riti, sop.......... e sop a che n 1 - i poli ebbe dire. Cavill.  a... ma per certo i test i lia la sez/ i l che tu ci farai mai».. a Questo e i pili allo Stato li Itc 'igi ssi mai e lº I l. le quali fili o no e primi clie -, e le sei mai: l ill). Fl: assalti i al IIIa la..., l mai, i [.ra ti:lel cliore ». (iiil III l. e.... ed oli voi fel ci, il litori - e il -1 V, il lill a fa rii mai santi!. Sºgli. a Ed è possibil. che mai gli 11-:.  «.. quali lo In'a ci r., ma andr: il 1:: i pi che mai. - 1. « Mla l: Ve: i ti ti, i lil il gºl ! I mai e Cmpre.  « Se i II a i º  I)isse Nicostra [o: Maisi, i pizi - li lo i vi " lº i l II 30 U. a credeva, º ile - egli dieci anni Sempre mai ! ll -, a che ella mai:i cosi fatti novello: l il.  a Corne, disse Terondo, dunque so io, io in l? Diss il 1 Mai31.  I 3 pt i'.  derili ti far sempre mai il i. I lil -Note alla voce IM ai  70 - Vive nei diale l'i: Come mai?; è afflillo come mai, ecc.  (li si voglia di si ill di gr. ss, ognun sel sa, ma gli esempi più che  le parole i cli, tris li rello so e vero significato della voce lia, a |iliale og  i è sl Irola o la le adolierala, che pur talvolta non sè ne abºsi o ti liori si lasci li il 1 orla non disdirebbe.  \li i e,: i fia l' -. / lia la tll ci ! ll li Ill'ai». l 3oni e.. I voi, il te: i ia questo ). l 'lei'.- - - - - | li i - li i si ve l fia il presente  º il tilli: i I  !: )st l': l 'li l'tl  S... - 1:11 - I ll v;t, fin l v.. l 3o..  le fia, 13. Qui i fia ir: le l Sel lembre. Caro. l fia..... I v.I! ! -, l ia suggel che ogni uomo sganni ». Ces. Dante) \ i li - lo ill go fia llº:i li fesl:i., (iianl). ll (: | | | l fia l e l'1 a 1 a:  perchè - º la piovana -.. n Il re deila t rra ». l)av. !, lil: il -...... p le i, illi, e alle fia di loro, se  l' - I no ll v i l il 1 li i:''i. I l ' l : i .... le  St i t, i s.  i mi vo'il a sito dispe to lanni di chi fia la colpa? »  Se ll. V et cine e gli oli Illi i: l i tº  vi N ſia mai vero, il l.  Si i pil I: I: 1' i rp -  a io i vi prosperare? a non ºn l fia mai vero. » Segl). sul gio: li  l' osti i Ira d rupi scoscesi, che fia  iera ſºnº la nºn la l e in cima a titlei precipizii, a tracciare  sì belle prede. Segni.  non oltri, he pli il... ma hi l - ve..a sino alla fine, quegli fia salvo ». Salviºli.N/1 e rc e  Non in senso di mercede, che se l'ha pur questo, ma in quello più co Illume e assai in list, il pp i classi, d'aiuto, di soccorsº, di grazia, di cor lesia, di merito, di pietà, misericordia, compassione ecc. vuolsi qui si diata la voce nei cº. I il quale non solo forma alla francese merci, o all'in glese mºrcy, 111 i clide e ci III, Illasi ad III in do si governa che nell'una e nell'all la lingua I e Iris a ragion d'esempio; merci, a la merci de.... se ne tre il la III er i cie..: grand mri ci 1)ieu merci; o quest'altro: for mercy salvº': al lli e nºi ci o, e si o le medesime, cl e le Isale comune menſe dei nostri classici. Eccone alcuni esempi. 4.  a Marfe, lºro gridava mercè per Dio; e quanto poteva sa - il1stava: ma... ». HOC ('.“..... II e io ll li ll 'oi, i vostra mercè. lI loro de ll ' 'e volevate ». I30 ('..... di e il Si r. le gran mercè, e che... ». Bocr'. ()r ecco clle veli le (esil, e Lazzaro, gli andò incontro, e lil - sl tutto in to i ra, e ba io i sºli i pit li, dicendo e grida i lo: gli Into e, mercede a te ril: e º si ro, cli(ti - e' leg lì: i di V (I lil alla casa dei servi Illo I., (a Valca 6; a Voi la vostra mercè a vel e il ' Il lili Vito ed io voglio oliora i vori. o I3 r. I Io pe ril o, il torn all i vostra mercè., Borr. I 1 Dic mercè, e la vostra, io li io, che io il - i lel', i vi....: la II o II a dosi a el l te, noi li per iniet e si i l i mercè di Dio, Irla consapevole della slia i degnita. » lº i rt.a.... io lli soli, condotto per tl, to il viaggio senza slo e felice le te. mercè del passo, dei sussidii, ecc. e, Caro.a E be: hi, quelle bastonato i fili o non Ini avessero fallo liscir di a passo, con quegli che oramai, la mercè di quel fanciullo, vi aveva fatto il callo. o Fierenz.« Non vi par che sarebbero stati auda i, presi Intuosi, protervi, e in dºg li a di quel perdono, che ri verono mercè la loro prontezza? Segiº.Questo e imbiò la in Egit o II il Vlosè di I l e --as-In, il divoto Illo « ma o, mercè di una sola predica dell'Ill lerno da lui -:llitti, Il lillitllll Ille « per accidente.» Sogli. a e gran mercè vostra che peggio non abbia fa ſto. » Bo. Chiede il 1o mercè a l)io per lo merito del pr omesso liberatore. Ces.Note alla voce  Mercè sserverai bella elissi, quand della preposizione per e quando del verbo essere – virtù del resto e proprietà non esclusiva  della V e nel cº, li la collllllle all ora ad altre, v. gl'. grazia, ne il o, col 1, sia e c. buona grazia costra: e tru vo, grazia d'Id duo, che io mi sono conserva lo ſtian lo più posso... » Pandolf.: merito l'assicIllita dei vostri stildi, ecc. ecc. – Conf. Elissi – IP: I l e l.N erai lili ancora come la c ligi inzione, notissima, merce chè, non è che un composto di mercè e di che. « Non pote lono essere preferiti, me cechº I ddio non si lascia adescar da doni. Seg.iti – Mercè a, ed anche nei cede a, è modo di ringraziare proprio del la litiglia italia, la.) - I fissi del segna as del non le I)i, dipendente da mercè (tut I simile al francese I)i i merci. La qual omissione però i li ha pºi il luogo quando il no di l)io si posponga a mercè: Itri lire le velini dore ne è l'Iddio e di questa gentil don li scali Io sono. I3, c. I li li ho bisogno di sue cose, rei li la mercè di Ilio, e il l marito mio, io ho tante borse, e alle cillole, ch'io V e l'alloghel ei elillo ». l?occ.  Fºurnto  E sl il. e lui le avverlio viene la voce punto assai volte º: ri: i vi il ci ills e.  I e - n 11 lissili, lira gli eserº i pi li animi niscano quando e come me gli Ils: il tre, si ch il per i clo, lerivi grazia e buon sapore di eleganza. I pil con i col sos intivo soli: essere in punto in assello, in accon io il precipilo, in istalo. grado e nelle re in punto (cioè all'ordine: nellere al punto aizzare, cimentare con il lesia, l'uomro perchè fac cia.... in buon punto opportunali e le at buon punto: al mal punto; dare nel punto: di punto in bianco all'improvviso: di lui lo punto ecc. ecc.  I vverbio ci fornisce: a ln di che legano con maggior intelnsilà, li r es.: punto, punto; nè punlo nè poco; punto nulla e qui tiene alquan Io del point dei francesi); b) un certo grazioso riempitivo che torna ad a lui un lo; un nonnulla ecc. ecc....  Le previsioni siano in punto a lor tempo.» Ci sa, Piuttosto tre cavalli buoni, grassi e in punto, che qui il tro affannati e a Inale forniti.» IPandolf.« Navi lornite di tutto punto, o Si Lerdonali.  « In mal punto si ori emino il mare ondoso.» Menzini.  “ Dunque, ripiglio I rail all' inte (i riso, messo cosi al punto.» Mla zoni,  « Cosi già in punto d'ogni cosa bisognevol a qil passaggio, prima di « Inettersi in mare, il dl IIIessa.» Bal'..  « Alcuni di essi, parte torchi di mia e, pari opp. e-si da, e ritiche, ſu « l'oil in punto di lasciarvi la vita. 13a I. .... coli 11el (i imporre si sl:  e- si va in te sul punto da i convenevole. ... e stalli, il ciò tintº sul punto della Cavaileria che...., 9, i 3 art..... affinche', dove gli ne venisse Euan putil o al n o in strasse. o Bºri. º volea dire, secondo - i no 11 i 1,,, li: soli iti e litta a ce ngiura « era in punto. l)av.« Cento e piu loliiiiii li quel lite, li i luro, i ti o al lav.o, e, Inque  « di le filsle e il Cat Ir furc no in punio di navigare i IlilitIero, o l a v. e Miille navi, lurono las, i voli lº stalli 1 e ! il.... in punto.» I)ava inz.  le Illali e se li ril s gloiro, altri li a gr. - era punto di rievolezza. Boce. « Punto Inoll I Il l: II le gital (ial s. i  «Qllegii che hº illio con il prat: 11 le li: Il to punto nè fiore. SI). Se n. l'ist. « Punto del mcndo il 11 poi ea posare il ll. Il li otto. o I i  I ti. « All re ragioni di non punto men grave il il 1, lizi.» l?art.  a e lei si riglia e li rvirill d. I 1111, si lire, i 1. I tigli: il re - se le punto  « nulla sentisse del bar -o il 1 e il 1 olii Illesi, l 'empio., 13 art.  a che punto ch'un tral, li. I o v sta a igi si trova in l.1 o ſu il lie la lite « in boc.  a. » Cal')  « Moltº è la plance..... ll 1 11:1 punto di ieri interni o... l ' i -. « S Voi mi volete punto di bene, il 1 e il v; 1..... B... Sc Il legna illolo e punto abile. I... Il D... - il l.« Con l'e rabbuia punto, lo sl 1 l o il il i li. « Ma no: percio che ino:o -aio i lil i: li, sa p.ti, i 3 malteschi, le  « pronti il d urlneggia 1 e l - la li: i « a finire lº ll'Illia delle illa', o li co.. e., li;..... si l.l.i.« loli sara forse gl.lli la o, ll il Il l il 'cloro. Cili punta 1 I li le « d'umanità.» Seg ll.a El io 1 orno a dirvi co; i pl º tes, e del Si io che li punto confida « ll (ille Sile forza dov l'à (il dere. » Stg, ()gni donna che punto bella 1 -se vol 1. l) I V. E nn la di ea. ch'e g: ai le pericolo a.i II, II, scprasſare punto nella « immaginazione, qua l.do gli vi.. li. a Ine: te l zza d'ill felillila, a pe: occhiº soprastandovi punte ri le volle a l livi rie, ch'ezi, i lio un'anima « molto in onda in castità, le ril ma ne per os - l II l i lilla.» (1 Valia. a (iò sarebbe, da re a discutere la Legge di crisi la ni a Sriali lasci dolo a e a Cicondono a quaii, ve ella pa in punti necevole al lo le pillol!: o a degi strati, agevolmen e riuscirà d'indurre il (.ali - a Irla a disdire al Vil a lela la grazia e col finarlo fuor del Giappone, a Bart.Note alla voce  Punto  i – Punlo, nullat, un non nulla, niente, sono talvolta perfetti si li lilli, e di till inedesillo, IIS, e ci si rilai ille. Conſ. Parle I. Cap. 3.7S Sinile: vesti di punto. I rili o di lui lo punto; armato (º ('tº.79 -– Nola il modo: stare sul pil n lo le l con rene role, dell'onorevole, della cui l'alleria ecc.St – ci è punto punto, li ill.; II l Il significato di punto, niente, un non nulla ecc. Il 1 si il 1, il ppo gli antichi, e ha sli la nota frase di Danie: Peli a orinai per le s'hai jior d'in gegno, Qual lo divenni! SIII le litel del Manzoni: Ma di che i julo gli p lesse esser il Ila o al l: che già brillo ricorre Va al fiasco per l'Irnell e i il cerv ello, il tale circostanza, chi la lio di se uno lo dica. E i lichi il sito quale intensivo di non: « I giovani e maggiori e le I compagni di Celso, non si s not guti o no ! io e, anzi li i più i dirali contro la plebe....» l.iv. M. \nche il mica dei Lombardi vuol essere qui menzio Ita' che li li è poi la lil I lilli: rido che li in fosse già sulle I rili e al recello.. V | lale l'ill, rispose: Signor mio non so gli nè mica, li è voi a che li li: ogni le, alzi vi dimenale ben si, che...... l occ. e Vale le ali le illla nica, un miccino, Il lanlio, l'idea, nè pun lo nè poco - a I greci panegirici ti l'ora li li el'alio mica una pill', i vi -a lode ed inutile!....... Sal Villi.SI – Tra di lei quel rialleschi: pl o lili il menar le mani. (schlagfertig,  Tutto  l'referisco qui le lole Iorme avverbiali: lull'uno, lullo da vero, al lullo, innanzi tullo, lui lo di, dai, per lullo, tu ll'ora ecc. ecc. il tui tut lo, aggettivo o sostantivo che si voglia, è il variabile e sempre di un ge nere e numero, e piaceni allegare esempi di un lullo avvel bio e pur de cliliabile o si scel libile di genere e lllllllel'.  Aggiunge energia, e vale interamente, oli minaliente ecc. ma non sì identici, che sostille dosi questo a quelli non ne soffra lalora il tornio e sconcio ne venga non meno alla Irase che al periodo. Tiene alquanto del toul dei Francesi, come che troppo diverso, che non è il francese, sia il governo ed uso del nostro lullo, e ben più vago. Polmi mente sopra lill t virlù sintetica dei modi: tull'orecchi: l’ullo gambe; tutto leggi: lullostoria; tutto musica ecc. e par che si dica: a tutta forza e vigore, non alllo illeso che... immerso in..., non d'altro occupato che..., anima e colpo abbandonato a... ecc. ecc. (85)  « Io conosco assai apertamente niun altra cosa che tutta buona dir po e t. 1 -i (li Illirlti li(Il 1 s'è l'Illi di costoro.» I3oce.a Qllel. e gge le fila li il carro di tl’amon[ana gla l'olava, e l'allo tutto e loost let Ii di Illo: Illoli, di frascilli....» I 30 cc.a delibera o li tollla! si ill It llia, tutto solotto si mise ll call Illillo. » l 3o '. « Il fallig', io trovò la gent. l giovane tutta [imida star las Stil. » I3(º. « Senza - I tal l' -, e sollecitata da suo, cosi tutta vaga cominciò a a parla ! e.. I3).I)imo a lido il giov: in tutto solº nella. orle del suo palagio, una ſe II lillell'i.. i l lo lill sill: l., IB ). Tuito a piè fa - i loro il colli l o ! il 1 do disse.... » l 3. o i lut. In te la II: sua la Ilte ne ſei a spiare. (trovo che Verºl Incli e I giova e il 11 l'a trii n, dormiva tutto solo., 86 Bocc. il qua e es-endo tutto leggi e tutto antichita... » Bari.....i-1 l'1 lis, (llella e la i i, il ll 1tl i) la l la ll illli, s v l'Ve i gli ill  le liri, tutto e il o li in soli ordia. Dal t. Chiamò Mosè, e qui si tutto dolente del suo fallire: Su diss'egli ch'io Il il 'l' Illi)., Se. ll.Io dovrei di file stamane esor farvi con grand'ardore ad essere tutti zelo; l sl? SC:: 1.\l di Iliori tuttº animo, tutti ardire, tutti baldanza, ma nel di dentro roll ovall-i o l'abb 1::. » Sºgli.a MI, oli qua e. l e Iron al ro sonº parimer: e. ch'a ffelli di un animo a tutt'orrore il quale per la 'pa già stimasi dato in preda a tutte le più  ſiel e ! Il re.» Sºgli.  Note alla voce Tutto  S, I ), ſu Io ci ligi Illzioli e il vv e glachi, ben cºlli, solo o elemento di all i spressione col lutto che, con tutto, tutto che, indeclinabi io o il rialliera di agge livo con lullo che mi sia le amico; con I tilt a lui costi (t a mi ci si darà ragione di parlarne più a V: Illi.Anche del modo elettico: tutto quanto, tutti quanti, e dell'altro con il missili o: lutti e due, lu lli e l re avremo occasione di ragio irare ad altro proposito.  86 -- Agiungi a questi esempi del Boccaccio, le frasi anche oggi in Irs lop late al rilie volte dai 'le si esso I;occaccio: esser tullo i, in Il lavoro: vino da bersi a lui lo pasto: essere i ullo della pr i soli i perdillo e rall rallo, e simili.U n tratto – Urna volta  Non credo alla liri erra' o asserendo esser oggi smessi, scordati e per | oro discº li si illi i lodi: un trillo, una volta in quella forma e valore cli negli esempi il si a i cii noi 'Iali a volersi prendere un tratto nel sigliific l una sola, e una colla spacciarlo per quel che su na sareb be sl la hit si e da il crescerne buona mente di chi sell liss si p vi 1, il i l di liligº la, e non ne vedesse più là. I modi  una colla, un l al lo le, i cser I i l n al di l l sch si: si h mail al n. Non mi 'mal her, guck 'mal hin, n un link in all '. (r.I e II si li primi o li allo; anzi !: allo, d'un tratto, dare il tratto; dare i tratti di olz en Zi pensare un irrillo ecc. ecc. Si, non spettan quì,  -, li o lo così in di grosso l'ein  Ilù ſiti il presº il nosli a cui la li li igl lill ('.  N la non l gni un tratto.» Sacch. i u;3a volta li. ri che tu n'a Vesti. » l80cc.: i i Vo: 'rei una volta con esso i lì: lº; o li. » E ('. N un tratto a voi..... I 3, c.I un iratº o. Vol. sse il Vesl il il re. » Fiere Z. il lb t i d si facesse un tratto l'l V v tl le l V, e, le in: Va l'allino un tratto « non ci si va a il t.a E 11 i mill ! - ! i l l anno grazia e mer º o un tratto dal funesto letargo, il chav si g la lolla, i vv i, illuminato gli o chi? lla loro mente....» Barbieri.  a cede per or. Fa1, del late che si sveg  Note alla voce  Un tratto - Una volta  S; - - e pensò un suo nuovo l rallo da lei il re la sua costanza» (I30cc. 3art. (es. cioè cercò un altro tell alivo, astuzia ecc. (Conſ. (.., p. 1. verbo Dare.Forte  Forte è sos la livo, agg IIIA ed avverbio. Oltre all'appellarsi forte un luogo qualunque for Il calo, di esi, e bene: il forte di una persona la capaci i maggiore della si essi, il Joi Ie di In'opera, di un componi niente, di un impresa, di II live in Illo, di checchessia, cioè il fiore, il lierlo, il III rl, ecc.. Il l io le lel (li 'al si e del lill loversi dei soldati ». (esilli, ecc. Foi (e, e chi liol -, è predica al l esi di persona o cosa che ha lº rlezzal, gaglia. I clia, si l //, illle Isili, ecc.E fin III al I cºlli e Iri del I i l ero e se il III lilo. Ma non si gra dilo e si cornuti oggi li è il forte avverbio, assai li ute le sulla penna dei classici, in sºlis cioè di assai, lici a menſe, gaglia, la mente, profonda nel te'. role'n la mente, ln tºni sui mi cºn te, tal alla rocr', e clillo alle alicola ve. inenza d'animo, che lalillo anzi non lo disgrazi, 1: Il che sa per gli buono, e gridi all'anticaglia, se ad altri anche oggi piacesse mai di usarle. Per chè non ſi sia grave assaporarlo lic pochi esempi, fra i moltissimi, che IIIi a º plesso, r le id, lilei e il III al II a Telli, ci se, ed azioni il lamelle si convenga.a essendo assa i giova rie, e lelli, e lo I. I lei s'innamorò si forte e il Podesta del paese, che pill ſita le piu la non vedev., 88 Bocr'. e Avell (lo V (lll v. " (il V (, l: i re, is l'all: lui (º littº  « piacendogli, forte desiderava di aver, ma pur non s'att | I vi li do e Irl:ì ll l: l ' (). » I3 ). a e saputosi il fat o forte fu biasimato.» Bocc. E biasimarongli ferte o li' gli voleva fare. » I3 Cornº che ci si liri o altro dormisse forte, ci illli cli. l 'i lei la stato era, a 11 mln (lo l'1Iliv:ì a 11 ol': 1. o lºa I ca li presa forte la giov i tre li ſi ill: lli. Bo. e....o vede; dol dormir ſorte, di li rsa gli rasse (Illa: li egli avea. » I3o r. a \ ndl e il rio, go!) risponde dogli il la illl'o, cominciò più forte a chia a mare. » I3C).commendolia forte, tanto nel suo desio a cellulºil (lo-i, (Illanto da più a i rovava essere la reilla che la sti i passatº - il la.... o I30.  a I)i Alessand o si meravigliò forte, e illibitò noi foss....» Bocc. E avendo la barba grande, o, ieri, e il vita, gli par si forte esser bello e piacevole ch'egli s': 1. Vis:I.... » I30.e.... e quando ella a ridiva per via si forte le veniva del cencio che allro llo t r ore il III Ilso l1 Il ſºl, Va.... » I3..a.... i quali dubitavan forte non S (ii i ppel º lo gº ingannasse.» I3 c. « Questa parola parve forte contraria alla donna, a quello a clie di ve  a lil e intende va. » Pocº. a.... e perchè mio marito non ci sia di che forſe mi grava, io ti saprò a b(an.... » I20 ('.  a.... per le quali - oso, messer o prete ne 'nvaghi si forte... l'occ a Forte nel cuor noi la pietà compunsi.» Dittani.a.... ma poichè si vide ferito invili si forte.» Bart. «... Allora come a cose di sapore che pare a loro aver forte dell'agro....» Bart,  Note alla voce Forte  NN Il Cavalca idoi era anche l'avverbio fortemente e significa il gra su per la livº di illi: azione. « E in questo tempo slalido ci si, e I Zzaro, in je' m ) ſorte nºn le; [ueste due suore MI; il l: e Mlal a jo) le men le l'ut, al ramo, perch'egli era così buono e perchè sapevano che Gesù mollo l'amava».  Troppo  () lesta voce li rila alla memoria la pacifica contesa ch'io ebbi, or è già l'anno, e l'ol Si fra ello intollio al cone letteral li e si, e l el'e pi le del sacro leso: Mei ces tua magna gli is. Noli è il l al nimis che del basi qui li adurre, sentenziava egli. (º lesto mi mis è Il lal V e// li Ill 'e lle lol la ad un massimo grado slip I lal V, che la llli gli i alla lia li li ha. A li io, che quali (lo si ll alla di vedere il V el a pillºla di Iagione, la voglio sempre spuntare nè nulla a Ilorilà si li li porti li al ere. Ials, falsissimo replicai. La lingua ila lialia l'ha sì bello e ſol le clic li il so se all ra lingua possa mai fornircene il III colale. Ed è appli l'e lliv le le italiano dello stesso minis, trop po onde forma si Vil: il cli Illi: i l: il V (e un così fatto superlativo.  ln pero lì è la voce li oppo sulla pena al classici non significa soltanto  il lellera' e minimis Ilia il minis all resì lollo, assai – del citato luogo S9, a ch'io perciò li l'avviso non potersi meglio tradurre che colla Iorma troppo più grande, che ecc. Al Boccaccio e ai suoi valenti inni la Iori, andava all'animo assai la fºrma comparativa, la quale poi tor la mercè della V e troppo ad un massimo grado di comparazione, dirò così. superlativa.  Leggi e dilnini s'io mal in'a ppoliga  a \-l-ai volte già ne potete aver veduli i dico de li re di scacchi troppo « più cari che io non sono » Boce.« più assi li ve n'erano e troppo più belle che queste non sono.» Boce,"IIa colui è troppo più malvaggio che non t'avvisi.» Bocc.  « Non pensaldo che, los- e chi addosso o indo-c o glieli e polie-se, ull a: illo  ne porterebbe troppo più che alculla di lei., 90, Bo e.  « IlliSe lIlano ad una Vlt. troppo più dura e rigida della menata pre  Sente.» E0cc.  « E se Inoll ('lle di tult i ll li lo o viene citi l aprillo, iroppo sarebbe più  piacevole il pianto loro. Bocc.  e Vi tl o V () la II, e tali ltto, le V a - troppo più cle tll la  la spesa. » Borg. Egli e' troppo più malvaggio e h - li ll s'a vvisa. » I 30 cc. E Annibale l il troppo più accei io a l.Allti e, lle a suoi Cartaginesi Stato il n era. E assai lostri con il i adill I si lio gla di troppo più splendida fama stati al presso le nazio; li esl 1 in nee e le app lºsso ioi. » I3, c. «.... a Badagi, che da troppo più erano in forze, numero e ardimento; Ina il Saverio la cesso ogni per i lio. » I 3. l'i.  «.... ed era la piu bella lei mi a, le si rov a -- I l II onl, silvo la  Vergine Maria, la quale era troppo più bella di lei senza niuna compara  zione, pill e cori raimlt ita'. » Cav al 1. e.... il giova il tilt o il 'li i lil III e col il III (-s Si l' 11 le alle sºle Iila li; e lo II, li e il V e --, pill lo i soglio d'es s-it rs', mila anzi eg i pl egava lui a lioli a biorrirlo nè rifiut l 'lo, per occhè era troppo maggior pecca (cre che forse egli mcn credeva. I3: i rt. 91, e Ma to li 1:1 tii, Signori, I il III, che troppo ancor più alto con via li le Val SI. o Segli.  III' troppo altro gi ill ols e le:lo I, a.... livi- i lo., (- a li.  a dimosti o che troppo più che alle pratiche e negoziati.... era da repliare  alle orazioni lºr Ille-to elietto da il latte a l)io. » (s. a N in sol: III e il I e tornò i llo II lo nel primo lato, lil:i, a V Valit: - º in Indolo di troppo più doni, lo sll blin lo... (e il li.  Note alla voce  Troppo 8) –. Troppo, il re al significato di soverchiamente, vale anche mol lo, e questo significato s'incontra spessissimo ne buoni autori. (orlicelli.90 – Parla dei soverchi ol'nalienti delle felillirile del suo tempo, 91 – L'ho preso questo esempio un po' più da lontano che non biso  gliasso al fallo nostro, come ho alſo gia più oltre volle assai, e ſarò sempre che ti potrà tornare non solo in utile ma ed in piace re. Qui, a cagion d'esempio, oltre a quello onde questo luogo vuol essere esempio, hassi al resì a gustare e quel non che...., ma anzi, e quel non –- non credera (di cui al Cap. 2 Part. I.).Là  ºggi si griderebbe l'affellazione, oh! oh! egli è il purista dàgli la bili e colali all'e ciance, chi alla Boccaccio e alla l)ante insegnasse mai rile all'oro, il cloro e all'onde sia lic volmente da premettere il correla livº li Illillo si voglia far emergere l'idea di colà, appunto colà, pro prio lino a quel luogo ecc.  l'icinsi clicccè si vogliano a me non dà l'animo di partirmi da una sºlola iroppo più aulorevole e veneranda che la moderna a pezza non è li potrai li li essere.  l Irisi: più là che bello: più la v. g. che l bruzzi ecc. ti mostrano corti e si governi, secondo sellire e sapore classico, il comparativo del l'avverbi di luogo, di slalo e di invio: là e quà. Non gia: più in là, più in quà. I ro: piu in là di ecc. Irra: pii là che ecc.  e in brieve grida lidosi a luogo, la logo, là pervennero ove il corp, di S. Ai 1 Igo el:a i -1o. 13,.  (º A t'll il li ai lo cli, avanti ora di Inangiare pervenne là dove  l il bio: e el in. a i là onde r, il o se al povero non ritornasse.» l'80cc. E Il lesto letto, in Il l to a l...... - 11/a lista le colà pervenne ove Sep a leilltil a la la loli tra lº '.e coli lei il sieri e niti 11 o il 1: vi o, e presero il rallini in verso Alagna, là e dove l'ietl o aveva certi anni, dei quali es - o mi l o si confidava.» Bocc. Vli rispingeva là dove il sol ti º lì l'ite.Chi (Illin l e gli scelse la ll mi e pianti, cotal si rilla ue subitamenſ e là onde l:i svolso. » I ): ll I e.lº fa l l'ill lento ordina ono ins II, con le elle dovessero uscire fuori anzi di, e a: la l e a Irio: il Calvario, là dov'era il mio lillimento. » Cavalca. vuolsi cosi colà dove si pllo: e (io e le si vllo, e... » l)ante.a li de ella de sl 1 i lo, l III ell lo l'esser fedita; ma e ricordandº - i là dove era, tutti i lis. ss 1-1, tel o del luogo, di quel tal Illuogo). 13,  Di lei sil, la norò sì Iorſe che più quà nè più là non ve! va.» Boce, e l' (Ill: ll e II lig.i: ci li h? Maso is º I la elle pill dl millanta, che tutta e lotte tali a. l) is - e Cai: noi il 1: I)lln Ills dee e ssel e più là che Abruzzi. Si  - lo, ine, rispose M -, si e avei ('. » lº. « avea preso -i alto grado di perfezion, he non si potea più là. o Cesari. e V vº: lo pl o ede: p in là, ci sia i cose, i veri:a il vedute che...» (.esi...... ll 1 più là li oli lo i possibile a ridare. » (...Quello  Il Boccaccio, il Passavi, il. il Pil dl Iſi, il (il Vilca, ed il valentissimo Dal loli, il mila i d. l II mila serie di ira ori e discepoli della scuola  tallica, Ilsa l'olio assai, e i le stra, il guidi e poco grato al viziato nostro ore o il prosione dimostrativo quello posto a  glisi di 11 Il ro, ci si d. it -igi, i lic la lino Illul lI d  l Di esempi ve li ha a bizelle. Ne a I ero al ini e piaceri di aggiunge e  d in quello, in quella, pari alle lorni e avverl: i: in quel menti o, nel menti e, in quel momento ecc.  e si dis: quello li n. - - id. v..... vi i e quello li vi - e' ii 1 e l'Il l il e io vi - ll 1, v.... I3.-: Itt - il 1 se. l ' a 1 il 1. l it; l quello tl a Valli I e (lo V ess, lil ('.: l o.lutti; - i fri lis. quello li da N i e:: si iro l'1 -, -1.. » 3 ).l'In/ li lis- I - - I, quel ch'io? » I3. I -, quello le 1, III -- il l sa io vi li essi. o lº '. i 1:1 ! I, ve l i. -i potrei lo Viºla e quello che noi a id:assino ſ: o ll il. » I 30 t. ... e io! I si, a quell cche io mi tengo l i le sc (l ' e 'li.» I3. 92. o Seguiti rolio, il sil, no, i ti l'e. sse) l da l. (III l 'o più a ll'Iva n,  piu lui iro il lit. 2' l'1 e va e le, i di 1 e ven re a quello, al  quale dopo lo I - ra l III antila li -si, er., FIl colo. Itispos, il III ), gua a lile. ll III i lII il 1 o quello clic pil III e il bis: - rizi - - I..A questo II e les, il II, II - Il to si It, l e il q"1ello che è det o a lI - l... l'a - sav 1:1ti.I, -era ril II- I 1 -i di quello che: ' ' Vt a la l.... » Fioretti.  E p. lito, ve li quello che i li' Inita col suo compagno »  'i e il v.  I:: v. i: quello che i lr che, è.... » (,s  In quella cli..., l. E le IRillall stro, col il l e, c in quella. I 3..  QII, il q: le! Io o clic si s la fa in quella a Che il 1 l vi le  Cllº gir 1 m -:1, III: qlla - là saltelli, a Vil'i, lo Mill it: il ri. f: l'.. it: l'.. l): "ll. « In quel che si appiattò IIIi-ºr li denti« E quel di ace, il 1 o a b) allo a ll'ano  e Pol sen portar quelle membra dolenti. I pante. 93)  e con [aii ingegni...., che il ponte sarebbe mancato a lui sotto i piedi « In quello clie e gli pas.. a.. Ces.  Note alla voce Quello  !)2 () i la fa da relativo e ville: qual cosa: non so a quale cosa io mi le fa, o che è lo stesso, non sò qual cosa mai ini | l'attenga | lo li li lo se gli I e rolli (' Ill. V el'b, le nuºre.  93 – lº è) ssere che colesto in quel vaglia non in quel momento, ma nell'uno di quei due che col revano, il quale per istracco s'ap  cli i non le segli le relil (Inl verbo le nei cº.  U Corn Co  (li li li si l - valol e del sostali livo il rio? Che ha a far lui l eleganza? I tagione e Il li se no e loli più là.  Eppure alche uomo è al V re sulla penna a classici che alcune volte, più che il l a essa pul e al grato velluto, al tornio e saper della II se. (lsserva quanto è vago quell'uomo in senso di un e ualunque uomo, di chicchessia, e in luogo della particella a verbo su. VIa avverli a ricola sul gills o governo, costruzione.  lº..... ll III li ucnnc lo i ri: i V li  l: e cl’egli non voglia  “..... pl il l n t il to in ebbe con gli all i pm role irollo (lis once, e il l d'uomo. l 3 l i.e si e il II ll e uomo in:li in quel e cose che a lui l 7(t, lo uamo il l im. it - l'alcuna persona clie ne fa  cesse e sei a -- quello le Luigi per il mio e di I)io. Cesa l'i.  « E nel vero l' 1, a: per lo I e uom dice he io lº blo essere a Imo:tº  giudiruto. io no! oli in Is I niti i r. 13.“ Fra sè Inedesimo disse: ve mente è (Iliºli così magnifico comio uom  « dice ». Bocc. “ Non è rosa piu naturali ai li! I v.le e giusti e li Illel piacere e le  « uomo sente dall'esse; ama o la si oi ratelli. 94; Cesari.  Note alla voce  Uomo  94 – Che cosa è l'ou dei fr: il cesi - e li li Il collll al ci di home? (il man dei [ d sch è altra cosa li ler Alain n il trio? (ili inglesi poi dicon, they, I he people say ([. he loria al nostro: la gelle dice ecc.  Fers o n a  L' Iso odier 1 esſi voce è il rilalissili, e non si ado pera in milli a 'I ro -iglili clie di II lil il genere, o, a dirla coi fi losofi, d'essere si issisi e e rigi nev, le, ma si l rispello alla sua sussi s ente individi la fila, e lo scili del l s e ido, di s la essenza o la lira. Il male di elog: I: / Is e virili si che a ra vale colpo, e poi il ras e li li | Il l: il no irla eziandi tii animale, l o al significa I " Il li h Ss 1, c. ed il li inalmente ha senso di ver: i, n. ss II, il li do le app i ll'all cesi l'aurun, per Non ti c'.  )sservill e gli sla i li a presto.  I )elle frasi cl in 1: la III | I molte re persona crescere di corpora Ira: fare di e in persona di... () le lil del a | Iel primo superbo in persona di lulli gli allri, Isti: prolcl:: 1)i, isli in corde lilo e Passav.: far la persona di.... li l: lle spielen, sostenere la parte. «I di quie Por ogi si che ſce, a chi l il suo personaggio nella gloriosa e parsa la valli al I e I r!. 9, la la persona adosso ad alcuno, soperchiarlo 96: mettere in persona di alcuno qualche cosa v. g. una r lidi:i, costi i lirl li di essi, 97 e.. ci sarà poi la cril  sio: e li i la rli id al l silo.  Iº, i cºl logli -s e II l bel fante della persona. l a IP o cle ella era lei a del c 'po, i giovane: 11 ol, issai, e destra a e atante della persona ». 13,.... te, i bil 1 E le iclè ella fosse contraffatta della persona.» B ita', e.... essere tutto della persona perduto e rattratto.» loce, l'1 va: la lo- i mal disposto della persona, e le, la inelite lion molto sallo.» (11:llillo,\bbiati i cavalli i ve li lilli- al grande colpo, cioè persona.» V ol-: i rizzº / l':lli li.il se - ll o chi a losso, e con grandissima af lº ziº e la persona di lui, e i silo i siti mi onsiderand d'o culto alliore t. vt', ll tell it | º li li: ss e.. l 31,,la li e ti e i, till ia persona piglia e va i, senza lasciarle in capo -, i periti, o oss - so, li i n e -se. I 3,..ed i a º s', 1 e la piu role belle e ri che al dosso a l'una e ine, i viri della persona - i pareva che la giovanetta, la qll ', a pl p - o li -: i B,  l  stat 'i: si val.etta....)  S -- ti:. ss e i stesse persona, il 1 - si  l qll il il 1 1 1 o cava tv:ai. i cºllo persona se n'av v (lº - e lº t.  Io li n..... I, l l la ventura lestè, che non è pcrscina. 13  \ i i vi li Ilia i persona.» l'8oce.  Io e li (s'o, che tu non facci liliale  le a lui ne a persona.» e al ll un altro Fio: etli. I la ll l'a cos l: e questo si è,  - - al lil. I - - - che se nessuno ti doni i -- 'I gira li cost, che lui per niente non ri  spondes; a pcrscita, tra seri li essi vista di n. 1 l ele: è e noi li udire.»  l3.  I | p. g v, se i persona come fosse ivi, edl li non v il giov, il sillo º l'io etli. Ed ho da mio at oli ed za, lº io lºn la possa dare a perscrma.» l'1 r, Ili.li i per ſuo - o il 1: ini: 1. ll il a persona del In illo., Bocc. « E ' il l - tira perso ia mi li, e ! i Zzo perdonato. » l 3o. I; rulli, a non salirà persona se: it 11  Note alla voce  Persona  ), simili ma in tal caso spogliandosi il principiº la lºrsonº di principe, e mescolandosi egualmente coi titºli di sè, gºl l-l il tilar la gi al lezza, piglia un'altra grandezza, Castigl. Corle- giallo. «Mi pareva appunto di scherzare ſuttavia fra le conver sazioni soli e di Brusseles, e l'avia di far la persona di cor legiano il luogo di quella che mi conviene fare ora di viaggia lo l'eo. I3C Ill.  96 - Lo stesso che la re l'uomo adulosso al altrui, cioè cercar d'aſfe l'irl, col le minacce. E volendosene al non so che esecuzione il lido ſilio a S. Giovanni a Irovar mio fratello, e gli bastò l'animo di ſoli gli persona addosso, Illando egli meritava d'esserne casi i g: l '. (a l..il Diil (iherardini. Voci e maniere. -  9' - l'orili, il francese sui la le te e il gosl o volgare in testa d'al  clino. (ili rilizio l'Abbadie per me lei le in persona d'un al ll o, Calo.  S e  lºro orie di terza persona d'arri lo i lilli neri e genitºri, che si riferisce  |  |  sempre al soggello del verbo, adoperandi si lui e lei negli altri casi. II o Irascritto di peso la definizione che ne da la Crusca, e basterà.  Come piacesse p i al Boccacci re di all i trolli. In colal sè in  In lo assolti, o e coll'i: definii, l gicli e Illasi si ºss, V edilo, di  con Io e mille che ve li ha, in ſilesti p. chi esempi.  a Per un cali o ambasciatori gli signifi ) sè i ssº; il l ogni sll ' Illall « dal Il (). » I30.“ 'ostili... dir. se, sè con gli li ri ins me essere in questa opinione.» Iyoce. s “ Gli altri llitti, che alle tavole e rallo, illli I sienne dissero, sè elier a quello che da Nico, uccio era sta lo risp sto). Bo.Aiess. Il dr ) gli 'e il dè grazie del cori l to, i sè a l og: li sll, collandin - In li o di -se esser presto. Boce.e loro, che di queste co-a lui il rili, or -: van,, strillse a confes º - ll sè i sien: con Folco esser il la mo: del a Maddale, la colpevoli. » I3o. “.... - e pel I i ll e le slla pit l il lill e liceva Ilo, sè aver a Vli, o e da lei, non essere incor, di tanto tempi gri, il 1, che | i leta potesse es  e Stºre la crea llra. o loce.  Questi e Quegli  Si che lo scrittore il derll, lo usa, e l'uno e l'all ', posto assoluta nell le in senso di costui e colui. Ma non la iſo a colifortarli all'uso quanto a mostrarlene sil vero uso e legittimo piacermi riferirne qui alcuni esempi.oru I ond II o luotiIoluogtro vito ottimisti es lllo ollo ofunifiiu o pil minl -la.os mlnuto un olo luou l. In ott Insi non lº oALI sold o! Il lo Ieoo.A II I tuºi-Io v o ottussIssotti Ip ons e 1.Il 'lo s: l'impolli o lo I II Is v.ll st..ol. Il “odſuo ul lui opeo li o outpur, ep li out optio o lo vº oppull o! Iº lº up.uºni; ios uº.In ln. ezzotti Ip e I potti o.I | Il los. I volo “ol I pm Ilio. I l'i: i) a luito o illu po olso outlolzilotti o esonl lo v Iloil Ip los il  I _ e ne»  \:sºlº. I « opinpu u Aupututuop ou. 115amb Ip ): IR il p to eve) op e idos il ci lop o oulo “ollomb o.: ), ond is oli otti. I l III II e III Is l'otti o solll V Aussu. I « usolt [..) Eleti o o si ) Il “1159mio l 'esoi II) l'Ilop º oluto tuupu euro. oI tod el IIes tddl - riti ei lod otto Iss o IIIo lº I so.I ) e il V Il 5 UI,i. S ): IIoII. 113enb Ip o Io, lui il di lui se li ti os o II. o Il s o II is º III o II, 1132mb VIII A 1) « ott zu.Il 113 onb I 'll A ). l is tº lo 118omb e p. Io ſº i Is I V | o v N.« o in IRII ol o) toni tu III o l on tº il 118anº il - IV  l. 1: I 'l: i  sanò “I I V r) « e ſu di ni: I.I I I I Il 11;anb N N I I V l t, vi | l  'ItI A o « Us II. t: l ' I l. ) A l: II. 18anb º il l il l: li I “I: I l l i n. I I I..I ) \ I? i.) I  vi: - st, l III! - - I II -Issluti Inl o II oul o 1139mb p I ogI sl II-nd in euro a Ion A ott fops i samb 13 anò lIl ll o III ), i. I | III F III l st ) ) somb o-s II s l. I olti (I e ssa: Il sanò olII trOI s sono o sanò uºi In I tºl In A III o Noll - sanò  o il III: -nIossº o ollo.I costi. Il cºlson l olloni (i i l Is soulotte etti ln)soo “lm)o. Ind Itoli o in º.oo.A o allo l o oum. Il I I I I I I I I | 11: Il  i li osso il s II II l s  ri: o II. ii l' oil. ss I.) o VI i.I o III II. I |  anbuntuoo ºpttodsI.I 15 o infossils o Iod opilenlo “Il q o se ti o in  ouaq els ſolluſosutti - o Ielofuſs illionh outoo soo o illel e il pr i ] N sempre e come gli talenta, mercè che il saperne usare a dovere è già in dizio di buon gusto, e mostra altitudine al concepire classico, e indi lo scrivere che altri fa vago ed ornato.Ma usarne debitamente, e voglio di e il m a casaccio, storpiandone il senso, o il maniere e concelli orestieri che ne l comportano. Perchè  dirò della voce guari – che vale molto, assai ! III o l'opposto del francese ſuºre o fuºri's e il di il colllllllissimi i: non ha guarì, a significare non º gran tempo, ed è sempre precedIIIa da particella negativa - quello  che di ogni altra onde presi a rallare, che cioè il verº mezzo, il più efficace, il piu' sicuro, di rendersene veramente padroni, è quello di leggerne e rilegge le slli di saniell e i molli e sei ripi, e le belle maniere di uri si fa l guai. e cosi conseguirne un rello sentire, e riconoscervelo sì come palle del disco so non decol a lira soltanto ma ed in regrativa altresì.  a.... nè stette guari che addormi itato ill. » Bocc. 6 nè stette guari che si vider i frutti il rie- dei loro allorazzo. » Bari. inè vi stette guari ch'egli vi le as-: i la dis, sl, ' t ) l'11 l: Il Cil l' « piglia con assai a.legra fa e a.» I ierenz..... non istette guari a tornare. » Fie: e ilz. e...., il quale non istette guari che i rap issò mori; o lo e.... ed essendosene entrati in cani ra, non istette guari che il Zeppa ornò, il (Illale con le a loli n. 1 - ell: l.... » I30.ti e credendola acqua da bere, a li ce:i postal:usi, tutta la bevve: nè  a stette guari, che il lì gl al S. ll:lo il prese e Ills- I l ltdori nell' ato.» I30' ('. a... ll è il ro i ti elideva, che da llli (ssere richiesta: il che non guari « stette che avvenire; ed irisieli le fil rollo ed il ti: i Volta e l all 'a.» I30 ('.  «.... di paese non guari al suo lo litri:). » I3:1 l'I.  a Ella non fu guari con Gualtieri di mcrata, che la ingr i vidò, ed al tempo « I rarº ori. » Bocc.  « Il quale non durò guari che, lavorando la povere, a costili venne un « sollllo sllbito e fiero llella testa. » I 3, c.  e Si mi isero in via nè guari più d'un miglio ſull'olio al 1 la i clie....» Bart.  e.... novella non guari meno di pericoli in se.. ll I e nel II e che la narrata e di I.allretti. » I30.  « Dopo non guari di spazio,.... » Fier.  «.... nè guari tempo passò.... » I3. a Fermila lire e, se tul il terrai guari in bocca, e gli ti gli asterà quelli che : oli dallalo. o 6, Bocc. « Essendo essi non guari sopra Majolica, seni l'ono, la nave sdrucire. » lo c.Note alla voce  Guari  (- Nola II sto In lo leggiadro del I occaccio e suoi valenti imi il li: non isl le quali i clie.... per dire: non andò a lungo; non l' Iss po; e indi a I l in iſo, ecc.  iti - l' illo dei litri casi nei quali la voce guari non è a governo di ll () ll t ) Il t '.  N/1 c r ) ci ci  li del non lo al mondo aggiunto ad altra voce qualsiasi, non le " "lilli ºli il III si p. I livi, è a nella livo e intensivo della stessa, " Sºlº sºlº sºpra all'allo, incomparabile, qual che si voglia minimo,; il t N.Nll) l ('C'.  \li gli esempi soli si chiari ed i maestri di ogni età si autorevoli che rebbe superi il rallenervici a lungo, e discorrerne più che tanto. ºsserva l'ºl di II lire qualche cosa, a come l'occaccio, per esprimere il mirino, ed anche a singolarità e superiorità assoluta di oggetto o sa (ITalsiasi id per asse con più forza e più garbo che non farebbe un illi a V cc, la II lillici a: con persona.... del mondo, e come quel gran il lacsl lo i pera di lingua, che è l'eloquenlissimo 13artoli quasi lette l'alleli e lo imitasse: lo come a 13 ccaccio, a Fiorenzuola, per tacere di il ri molli, si possero i loro i nodi superalivi: punto del mondo, senza una la licet (tl mondo, alla maggior ottico del mondo, e va dicendo – il lilali alla lelleria dal Villellissillo (esal I.  Senl e al lillo del l rall cese non le, in: le moins du monde, e simili. Ala non sarelli, sì vigliacchi di gridare per i lesi o al gallicismo: o lon dovremmo dire più lº slo cle toscanismi si illi, i nodi di I.inguadoca che i li oscilli si rass lirigliani?  a.... e 1 litto in se ined sillo si rodea, lo l tell lo del barattiero cosa del mondo l'all ('., l 3o t.a.... perchè Ferondo se stesso e la su i donna cominciò a piagnere, le più nuove cose del mondo dicendo.... l 3, c.E quantunque in contrario avesse della vita di lei il dito buccinare, per cosa del mondo lol Vole: i creilere. » l3.benchè i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a palagio.» I3'll [.« Cominciò ad avere di lui il più bel tempo del mondo con sue novelle.»  3 ('.« Costei è una bella giovane, ed è qui, che niuna persona del mondo il « Sa.» I30 (('.a Io gli ho ragionato di voi e vuolvi il meglio del mondo.» Dart.  a Alla maggior fatica del mondo, l'otta la calca là pervennero dove...» Dori'. a Punto del mondo non potea posare nè di, li è noli e.» Fior«.... perciocchè io ebbi già un Ilio virillo, che al maggior torto del mondo, non facea al ro che batter la moglie, sì che.....a presero il volo e le l: Inen:I rollo senza una fatica al mondo.» Fier. a se li Inangio senza una discrezione al limondo, o Fier,  » I30 ('.  a gente che vuol conseguir la salute senza pigliarsi però un incomodo ill Inoli dC). » Seg Il.  « Alla maggior fatica del mondo gliel trassero di mano, si rabbuffato e lnal con o com'era. » Fier.  « Lo spirito di l)io il Irava si fortemente in quei pii affetti, e con ſale unzione il saziava di sè, che alla maggior fatica del mondo egli potea scol pir le parole e venirne al filo., Cesari.  ſr  L'Opinione giornale, con la stessa serenita olimpica con cui sentenzia che il quart'alto della Cecilia è il pitt bel quar alto del teatro moderno, senza un riguardo al mondo a Cluel poveri drali li i clia il: i no I re a 1 | i soli, SIIIeltisce a Ilo izia. » Il Fanfulla del 1875. !)!)  Note alla voce Mondo  99 – Leggeva allora il Fanfulla, solo per amor della lingua di quel giornale, che è buona, non bastarda come quella di molli al ri. | Bene è vero che così lo studio di cer ti detti e sentenze come anche la Retorica sono ben altra cosa delle intrinseche dovizie, degli scandagli linguistici di questa nuova palestra, ma avuto riguardo all'assetto singolarissimo di alcuni effati che, stu diando negli autori classici, più mi ferirono, e che non sono così ge nerici e acconci ad ogni linguaggio, come sono ad esempio le così dette figure retoriche, che non siano anche particolarità italiana e inerenti al carattere e alla natura della lingua italiana, non mi pare iuor di luogo di compiere l'opera e mettere qui alcuni di questi modi che, se con metafora, hanno anche nome di gerghi e proverbi.  l t. N. 1 l il miº cl. ii e il ct mi al buio.  l ' e' l lo sa il n 1 uct I tuolo li l'.  I l ' il mio cºnci li elolco'. Iº - appropria lo a uno che iene del semi I lice.  l'ut I lo i colle si sle la Nesla, allico sll lllllelo la misura.  Slc re e il m li se li diglllllare,  Vlcºl l'1 si in capo l'alcolaio gli ribizzare, fantasticare.  l'atl e il III milita in all 'cati si im sul qual mquam – darsi aria d'im li.  l. I cºllo l'e' in sul quat mi qua mi - col ridicola gl avità.  Spacciati e il quinque mi voler farsi lenere il gran fallo,  \ 'il tr le cellula ne alla les la Scilli si allera o da qualche impressio il 1, di dispei lo d'ali re ecc.  li mpri e la scopa l si a Vila disonesla.  lo son litigliato a questa misura Ambra - esser fatto così, di que s Iella la luna.  lisse'r la Ilio lo bene o male,  l'irla pºi punta di lo) chella con grande affelazione,  l'aitre e gracchiare come i cani e ranocchi alla luna. Giub. – gri  di I e il Vallo.  Trorarsi nelle secche a gola. Caro - esser povero. Mºller l'ali - a Tre Iarsi.Alzar le corna – il super bile. Restare sull'a mm allona lo – l'Illia nel poveri. - Stare in Apolline – Irlangiare lautamente inodo di lire del valo  da una stanza dedicata ad Apolline in cirl Lllo lillº laceva la illissili le celle.  Mangiare a ballisca i put - maligiare i piedi, il II elli. Esser al coniile mini – il punto d. Il 1 l le. l scire il jislolo da dosso tl i no 13 i. logiici si da il lalso sci  spetto, cessare di ang. Isi il gli ill li li il l i gilli il I, si spelli gri si ecc. E nodo basso.  (i li fanno afa i beccalichi e gli pizzo no i li, i i lati in to fai il l ll - calo, il fastidioso delle cose pit s ti Isile.  \ on Nat per cli Nº – Il ciglio del volgari esser li li (li si.  Esser nell'ol o di gola –- riccone, ricco di rili.  Esser innanzi con uno -- essergli il gri 7, i vi Vlesser Al dighieri fu gi al ci ladino e molto innanzi con il tessel (i: Viscolli Saccl. e Fui figlill il di illi: i giallole e gelilli. I l lale e' il molto in mani si coll’ili per il I e. (a V.  Torsi giù dal pensiero di fare...  (o mi mettersi a... lasciò il cilli ri ma mi 'lendosi di I Dio e alla sua provvi le 12:1..... Civ.  ('ori e re boll len clo e II lilo cli, le legi, i l. ri ci, i Nº but I lemulo. I)av. Sillili: ballo e il gri sil. lo, il lersela.  Esser in pie' e plando (alba era in piè lenne la col ſole. l)av.  1 rer l'alli più grandi clel nido illa / I s; l' Iss: li si illa col Cli/i 'le il cili si riac | Ie.  l'ut I e il loro o di ll (mc (l ci lidi ri. il II e il I l: cos: 1.  (iel I al I e il m (t mica, clic'I l o lut No il re i v. l il li Is I l iss. aggi. Il gel (lalli al clarin.  Mellere il pel bianco –- e il III la mia vi: il l' ii a V messo il pel bianco. 13arl.  Pagare di moneta senza comio spacciar Iole.  I, Ils, I)alle e il 1 l e I3 ccaccio rili lo II e la loro e i lli li li Il selli Vallo  si illl'allino che spesso ne fa les r, il III: Iggio elica li col l mali e il del sl1, clile.  Tener a piuolo (inf. tenere.  l otre all rili il lettino ſalgli il lates l' 1 all ss.  Promelter Itoma e Toma – più di ciò che si può ottenei e la mit le tel'. è luogo almeno.  1 mln usdtrº uno indovinarlo, conoscerlo per quel che è.  Fotr uno scilo m (l parlare a lungo per indurre alcun a la c o non ſi l'e.  Scoprir paese. Ma il 1/. veli al chiaro di talche cosa.  ('a calcare la capra in rerso il climo. I3 cc. Irovarsi in pericolo di  i l'l': l ', l ' ('.  I malati sºnº col cºlei ci ſoio. I3 cc, palli fischiandosele.– fog --  'l): - ol,l DS. l.los 1)llop ).Im. I  “ollllooo oscio o il telos Oosol limp o idol pl Ivan, 'oooº I 'º elodlid oolIdillos Ip: l'ol e ope, too util plo) lo m olmpoli low up Au - In) on upl ls not o lo l cofi, li o plo) ul. D o plot lo. ol soli. ll u n t pel  lº lodo ! Il.I |llº, letto.Ils lod o luo5t. Il to All I lod ollo Ato. ll still s'o.Il... [Illel ore  -II All.) Iloio; il 2.It I.) II.Il lod o letto iu'. Ooli llli lo l opoli ll o, p. 1,:los.lop 5 º ) - ol. I ti ll) 1)(l. p) ll. 1) / S (p lo ) Spp uo.Iopul) olp lo) lo! I top oſ) p I loI – l.ool o l. Il ll o l.oo, o o l o I: 0.I |llº, olt IIS - olto, o l. Ill) ll ſi o p. ll l l ll olios o I Il d lºs o I o II ): ossopu o il n. 1: s ).Ill).Iod o O)tºllo..)Il 0 [.lli | Il so,oll) ol, o ol. l p ou puo ul l tool pd l olltilt il.lol - D) ll plcl. ) ol I.... ll N o Illy) li ll lo) lo IV  lUI.).llº A (OIis Ol.top Is p Il l: sl) Ios il l o Il 7,top II (ls -l.I O ).IopUIodsl. I lli Iloit...... Ip (o.lios III. Il l.Il vi:.). I.).I.).) olt: Il II “olon.A ottenb Oulla pu o.llp o Il sºl l: Il 15 IS ) pl I.), m il plli) opos I DIS  o]llottle Illllio II o III o III: VI.Il Dl I.), p il 1. ll I – Dll.).))) ll plli) ledttii: s.l Il pl.. p il plp pso.o ol.) i pm b l l), I  l'Iss) I |.).)ol|.) In I e o luouletin).Iodi III oli ell. Ilos ll mi pm ossopp o Ispº) ll o p.l.loS pNN Il l)llo li lop il pil ll I Dsl (). I plo l pm N ))) I m, 0. I opomp l.) o, op o un ddl n. 1 p.).)o l “od.Ion Il solº tu e otto Issolo. Il le i ti ).Il 1. l is lº) io. I p. 1) I p.ll.I. elu.II).I e o Ioli: mlpo il pil 1) l.I lo.tpllo3m ) ) ). ell.In letti e sulle op ten. lº ziios l: 1: lsi I l:, I 5 o II. I | | | | | | Isenb oso.) ol lº)lo.I e rozzo.Id | V: o il II o I pil V ol I., p. 1) 1) ll il d.ll' I pl uopo, il plss..... ) I pu to.I o | Ioli -o AIIo,oul IIIfo e opotuli o luo.Id lo ve lo io l I l spl I lil Los ei leitilissi: prºo Impoutuo o senb epito o on I e II li.tel li olo il 1 l.... ll o.lo) lo IV popd ns addez ellop step (lo). )))) il dl Nill o 1 pllo.). l e \ vi s o I e II º I - ºlns Il pl ſild ou. m. p I Isti, d (Ioli.I l o Io te stili npd a IA QIo III “o.I lº IIaq lp Isl: le... ! I pun'I plio il pls ns il loI 'Ioi l occod ll o no) in olon. I loro l out o n pm olto toll I pm.op..) un supp loſioli os– uodlo)s upſilo N uomo io) ) – pnbon, p. ll lº un il dl pliol - - u, li updsfiniid uop lo) un molosſ) olci - lon) li supi il oi p. ll ' ºllº IV op) o il lou pm b.o) l i plso. I p.olpo i pl o od uto) ll oi pl). ſuo tolto a sp IV pun uoldo II - orodns ll Po o in l ' loI lod oliſmo lo pnh.o o lo) lo IVmlnpoolpo Intti epp An – mumpm10 in p.l lod ()) lo Il ll ).I.) p.l.' I oITuttI III ottonlaAu ozuos o InluoAAu In II.Iossº a Ip – mlmſ illolo, il sºlº ! "l.l (uoſ Dil pup)s.to.A up loſium IV) - m) lolloq Dl pudos ollo,lto. ll to, l' (uobollſ lnplV sul u Il uoqnm.L  uo uo) p.t lo 0 olp csmp 10 nml 0 1GI) – Dl-lod D p.). oil o oufi pspl ol implodsy tuorlos dou).top!) tunc MoogI uo(I) – 0dnl ll plp.tmnſ ul paoood pl oam (I o.It: Iso – onbop onp m. i tm)S  vo) lo I l Iolu.lnu 'ltoſi lotti lob.to IV) – o.pso.to pºllo,l o I.) olli), D.) Dlfium IV oiltiºp o eso(Is Uztlos o.IO.I.Io o oli; io  -tu! oil.olenb tºp Islu.loqll – mſn.o pllop ollo. ll tod ouapssmd o outlos. l mld (lm):) A o Iedd e osi lo I o lui ottio 5.It: III los IIIl regolº (Ideos e un  “o5 old I un o.In.Ao.I | – plo) o ſi o l.olmnb tod ll sn plo/v. ſi pl tm no. L i lums millim. ſi otto op Is tr.lo.) Iº puoti in ſqu;Il pells optIo:o.Io s.It:puntuonº.oe.I o II.) o sol) I d o III. I tessed Iod o. Il -opze.Ilslp lod Isoo Ilopulº)) eai luus lop o Id e out s Iseill): 1.I.ood I.If I  “esInI?lo Id utin lp e.I srl III o II: I –.ooo I o in l uld lp olio lpold l I m/) p.1:).ooo! I ouolfim. plums lp o un atollm:I'ouoizu: un lp Is.Il luod – ottenso) osta Iop – oli luod und ll amfium IV  ro5.Ioi ole; o Inº Ilop osuos ll lpitI i lo! lo Io lop olzl.it: A1: os Izi Il sod o Iop e Iru.lo Iui ol. -It! - l oro,oo! I II e il III | Io e Aol 5 o [ tt. Ieri lo tel o - o.topro. of I lu um, -ol!) S ll plc) ſi mºllop plumnl muon pun uo. luput al lm Il m lou ſi )lo I l soIAtop lollipº I o il lossl.AA) - Iſſ.Il lº oil.oul e In.).ooo,oº o].Io.. n...Iosso titill l'Ilodes - ppo. pl uali olo,amp ll o, op todps – outp) todms 'oliloti in lito – o.Il D opup.oul.Ilm mosul pl oulo. o impul loInbul “os III e IIIs a 5II o Im)um. pl/m opII, sotto lo v o 5 e I º plo) tnam.L - I topi.oon o o oddº. Io ottes.I:II.Ipaduti.Iopulo. In “of.In loIII: Ip o Ill.ols Ozzotti II (IIII!) “o.It:) (p lo) um. m / mons ml opuo.oos ouons ll lao.Il II5 (lo olim on.ipenlis e III.Id nei rioti o Iſo.).on Ip e li s III3o Iod. I -Io(ſti IIA o noso etI - plo) una pl ons pl opuo.o, is ouons ll o un pm im o il (InIr) e ions IoIIII.oti Iq.lodins l oil.i ſi lod pu nu aºasi il Iollos ICI Iso:) o o Io od oris III olio.Ar - o unopm ofli ſi lod i puo IV i trie.Io Ifr I 5o. elos-.InI e o.non ſi ton eso.Il l'Iionſ la vi: - l I.),ol.) o, 1 m.)lum il tonº to, l' I.).Il V e lipo.oo ll ſi opt odm ou up il lun.olui !:..Ip Ions Is II-latile.Il l I op e III ed otti).I ve IIoII o II o o olni sotto, oi i s.I. I o I.Ialoni ti:III a oIodde.Il l oilo o Ie.Il sotit.Iod » – i loro lºſ oliodm ouum lui.nu. I ouolfin.I n.Il.Iod o orifi-osICI o II love II li Io I o o lo IosnoLI a Io ns i 5o II.) eso.o Ip ol.I.) Io RI... ] I  III o Ip Iso. Il n o In.oso) opo III I – oliſm) l p los lop. () il 0.1 O) ſpi o N. I.IRSI Ind e J a o o-neidsip o II lºso. lei in oso III IoAn – onl.).oo tollou o ond pum o. p. lug  oosn IIIIIIo I. - a.Teit v -o oltratuo.IoluI e III o IIIIp mld a IIIqm IositiI nid IzIA Iop o In mezIo opleIII  “Iuotze.IouI.Iotti IlunoIptII Ipo IV » – ddl I on.o o mlfm) o lo pnfull pun a.taa V – III.Io:I – RIssoII o oli I.) e ossopp ouogo mi fi li “ou upd ll tml ſip.I  Izzotti In olnsuod Io Am mzttas nsa.IdIIII In e Is.Inpſ IIn – noo! I rollo osul ruos polmſ ul tolla IV  IIIo o Iop o Iaisund IsInp nziros editrua o estInIII Iulo Ip -– o opms lou odm o lo o imbum IVIpa e ansa – poi gere occasione – ansa lett. è maniglia, nel figurato  appicco, pretesto.  Arei mantello a ogni acqua – esser pronto al bene e al male, accu In dal si a togli 'osta. Arriluppar l rasche e riole – inventa e se lalse. Mentre il rasli ello - predare, saccheggiare. Gianl). Super di barcamenare – essere ac orto e destro nel condurre i negozi. Mangiare a bertolotto - senza darsi briga o pensiero di dover poi pagare. Il langiare a lla ecc.I?accoglie e i biocc. - ascoltare gli all rili discorsi per poi rappol largli - da bloccolo, particella di lana spiccata dal vello. iellar la broda adosso ad uno – Il colpa l'e. lºom per la cuccu ma li portuliare, alloial e. l?idere agli angeli - l idel e per chè i dolo gii all'1. l?idere sol lo rºm li o le ba)) sori dere di nascosº o con gioia li ali  ziosa di cosa che ad all ', oli sia pia ere nè oliole e che palesa la tollell (le l'el)))e.  l'issi pissi ciò al lavato i pissi pissi d' A Iglisla. l)av. v Vo I rinata dallo sl repllo che l'anno e labbra di chi lavella piano perchè: il l 'i ll ll sell la. l)a V.  ('olo il c un disegno ed egli lon dal lido si sta al lina o indugio ai colorire il disegno suo. (ilan, b.: effel! lla e ſulello che si era progettato.  (''rcati e ai ſalula di ſalula V g. della verilà lorse da Fallen, piega – scandagliare, investigail e, indagare.  (''rc at ) e della Notn il dl rivolse ogni diligenza sua e dei medici suoi di cercati e della sanità ». l al.  l'utre un laccio ſolise di 'as dei l si compulo all'ingrosso,  slagliare il ci lil, al tribuire al lavoreccio, un valore così in massa senza calcolare per la inintità a ragion di elipo e ti tanti è, fai tutto un moni.lasciar alcuno sul latº metico v. g. di andar cercando... I3oce. I)ire a sor do.... ma se li la cavi di dosso io non li con i radico. Non disse a sordo, che di subito codesto povero gli cavò la tunica di «dosso ». Fiorelll.  Prendere, pigliare, cercar lingua di...... Qllesli andò e cercando lins gua di lui nella cillà....... » Bari. « Poscia mandalo da ogni parte a prender lingua del vero ». I3arl.Fare del buon compagno - fare bus na compagnia. IIo l'alto tanto del buon compagno, che ini gli ho guadagna i fulli o. CaroFa alti ui tornar sulla testa la loro la mei e le Isar I. - farla paga ('il l'il.Guardare, ridere sollecchi – di soppiatſo, alla sfuggita ecc. (V on der Stºile (tm) schielem Valo sbirciaro ).Scaponire - vincere l'altrui ostinazione. Dal pronominale incaponir si, osſimarsi in mºdo duro e goffo.Sgarare – le I. vincer la gara è affine a scaponire, nella frase  sgarare un ragazzo, vincere cioè a forza un suo capriccio. Non lo scam biare con sgarrare. (V. Errare - Pronſ). Sentire del guercio, sentir di scomo –- V. Sentire.'A1'CI 't Old nu duu! OIoolpI.1 'BI (los!p [u optioutod) w' los to Ossip o  'ozzl?IOdoºl H » - UZZou Ip u!A Q. o 110u 'ou JIt', o outu, o – los o ossm () ' 'I.).»r's P.) 12“IU10! (l)ou?uu0s O! (Iool2CI It: 'U.111]utoA tº II u – 1)oot.) m.)so nu m d.tv.).0n1; ) 'o IOIl.A IS JAOI) vr] [toUUlt'.lo(III uu?put! - 1) tilll!), m.) 1)/.).t.) 1.to.)S 'ou01Zu? Iop1st 10.) t'ZUIJS - 0.o0.1.).) op iſ.).Jo V '. D.)« » v, IBloJJIds 'd III) tºp tºt! Is to t's Is oilo o] |n) up - opont) tot 1 m/oy.).yoſis '001 un) nu 1 op 11.)sm -- Izzo.I III III Isr).»! 0.10||otils!D - - loud, op - Ool/l), los o//mſ lp orum.omputorit ºp ty.)s )  'old UU10 |su (I - Oulu pm ! tto.1 dl 11) 1.).), do. t/S : 9IUA 'old U]SI115513.1 al.IU! 15u11:55 U.u oIJ U uit: Ids -- O.tn)so.)./l 1 v.10.1/12/ 'o1.IU UIoo tº los.IUUI5 Upt?Inn - DSO.) Dun gs.tv.)./of/ '.I)! I 'Or]UJUI - putd] !! ) () [qtis 'out I tºp ! 11.1 | 11: o.11: oo. I - Out of tºub 12 1//s,ºf mun t mel 'OssOpt: " ) 1 ]sorbt u| | | |5.11:J 'ou!]1: | | | |11. | |lt: o.11:D - OUIL1. »It! |'t! ONN op D ! uit 1)(l ! ) to/ju1.1/S  0.1 n itt l!, 01.)sn,l D.1/ ).to/jult/N 'ZL11? IV 't PZ -11,0.1.11.). O ! | 150 l 1! ) | | | | | | | | | | | | |ollo Z) |O 14 l 12t II 1.1) | 115. | | | | | | | | | |s. Lopo V | 911 01.10.11: | |Ilso 'Oum lll lll Cºlo/s.) 'tt |! o III) lous Is, 111.) 'out? Ao A1 o II.) o.lolpIto.)  - 1:] oII. 12u011 | 0.11.11: o III 1.) [1: " 1:ssop:(te ) 0111) til lll (7/0)N.) til ll 1.)," ) Boſn.I 1: ).to | | III II) (silos II! 0.)  -)))N ll o.1 l/1) 1:|ON |l 12% | | |1.1 ||1: o.IJ.Al? | | |) - O.).0ns ll l 1)/ '0.).) DN /l d 11)(I 'lol, | | | o IO It?.)sod III tº trul) lll lp u 1) 1.).nl).) t ss.In Ill lod I]11 |0 |  ol | | | | |rt | 1! » " - IIIIIIls,, ! 11.01un.ºop 'L11:11 tºp 5: \ ou nu ºp 1 m.).jp. »  'ſ al l ' ().II.'s 11.11 » II tºt 11op (9.11p 1112111 ºp tot 12 (11: 111 ºp: 1: Ao. Ip 1 o/m.to it, fi /.nl ). 1) 1.).)nds II,7 o | » -10 A ollllll tern Ill Vios tº \"An IIFo, t] too.” Ip 0115os! | 1 o Amº o.112.1 solid 1: Aolo.A » UIou oq.todns o]tiotulp.In 112u trio otl) 115 pal n i1.10 | '',,IL1 | 1: is 110II 1: Is -sor op Kotlon III o In Lied rºtti III?looſ) 11:d 11: Oslo.'s!) |. o IoTIII | |sol Istolov  rºzilos Is Irºn LICIs op: \ » - t/m 1.) nofi ol)ns in/s o In tomtof jod o I nl.) mods ', ' II, rs.It?,II). » 12ZI I. »s 't II II !! A  visso, 1110.) ost).), 'I l ºp 11 f: [1: I. st: 1) u! iſ.) p/lp non I.nl ), 11 pun inlosm'I  fjm/nl)S nu out. Inm noſ.nl / lo,n Z – 0,7 ml min 1) 10 l/10/0) dºn)' dat dpild tal  'nfin. 1.)s omp o omſifi.nl, un 1m / 'l.In: 4 | 't OLIII » -oji I n Ilsnq oilo oIodus onnºl oil tot 1 ol ozilot lop oIsº IIImºl orn: \ oIlonb Ip » nºu, IJ.).on III u?I nl)n1 m.tto) m osso1)oni o IptºcI ('lul'S II rtloulon.In IIIIIssIntlood » Ip 1: 1.) tºol IJ0 te]II nrub II (),). ) IIIoI5n.I opIes lp '127 IOJ lenb IIO.) I() » 'I InfoS 't Olso] -ord ooit Is pito) m 1a io)jou oIdus oI - o - o Ioll nſ|(In: - 10.1 lol in dit ollo IV ooo optim: IIIA  olte illustr! 15u eIssoipolulo allodsa oInnoptieſ ºm - Onl In dtplosDT 'opond m tav ) I I I I Il.I. t: o Illaptto.) olttotill litio. I tºp - lo sl m puo.).opſ o un m oldm.o.).l ma l (IIII!)o.Ioppi lp elli. A olo.A: o od il plli ll o).olo, lo o ollo. Il rolli Ip oieA Iosso - tel.In I: o lui o li tºp - O.It:) o un.olm p o lui olfi ll o.tolo V so ) (put.to, ll p.ll.osn ottetto) otI. Il tal. Il tº I otto. Isl: Ill o. I Is - bol oIloo tepul: Il 0.1 [ulos lui, o tu As o le volp lº lll.lo.llol).ll.)N ) quel!)..I RUIos Ilºp ou lost. prº.soood o oloA | otteAopuol o le los ti otitº.All. Iuºl, vi: II.os I e zz -UIG.Ii eulº tuo.I tº I o II.it I col eztloloIA:l 55o o II. I ll pp l Il pm.os. I tolti “ouolzuºu e un ostello e Aoi.Iod otto sou.lº 1: tos Il 15o lo os oil. I l -Uuoso Iliou ol! UIoS oleo, ill. Il II si ulltiltos o il tri.I potti il 15 III e III. ll: as op.Iool.I tioN o Ido. Ito. Ip oi lotti:p o.I I I I II, I l o I, lun. 'N Al (I It:p los Iop 751.I. ile lugds up o A.Ied il 5 pp.to, plus p.).oo. pl o ibIII p opup Is e III Is o o..ot: -) e,l o.IeIddo,os Iod II ll losso - foltº.I s o II il 1 olt: \ l: p.lo. Iº | 12.I | | | | Il trooo.I] e [op o A n.) Il teo.oul º u.).ooo, pp.to, ºlns ul p.). o, pl o il S “.),oo! | Iliº AI.Iolo. I Is tº I., l:.........“olons n olons o I veti olioti opzitelli. Io li oi oil I II Is oillo. Io vi: pt. Il'eAlls (ossoI) ollo il Il po o l?.I s S olo ns m, lo s. l'Aopo.I.) Is o [.) o[[onl) Ip (I. 1.I luo. Iº o II la V A: l I. A 1:(l.) lp Qss pd o ICI: onb.me l o lo us. Il No SN1). I -.). Il re I Il lp 1, 1, do il I so ). l. (l -oud ul o e lied n.Io Illn e o intito. Il viso | | | | ol i do tal ul A l:(:s-oo e o.Iluo.o tutti i lopuloid lp muli, uo. Il pi is ulloII I llllº solo.Id I o Is.Imp.Io.. e o III o VII. il 1) il fi. ll o il l eso.o e o Ao.ol. oil. I l o A Il 5 o il - vi III i  -tito) Ip o Iniel Ip miss, loolII. Il. Is.I tºp IO.), lº ol n.), uo, pl) lim) I l /  es.) Il fo: III | o elle ol; poi li osto. Noi i pl in I  o.lui iuta il tºp.Io vu: toll o l..).l. o loo.l.) I l I  o II lotti o I e II li. mld II l.lo I i v. ri II: I pn: I I I I I Il il tul.). Il vl'Ifo II:  ool.IntIo5 outot a o,opo – olº.Iotti: lui o Iosso pri uop uo, o, pil ll.. l oliºfolli: lo ol o elusi o II (1 ptt pil  “eIollo.II on.A mlnq – oſinod III e II o riſpºl u ntlmi il miº ll, i NN, i ll l  all I toulos popu o top li V – pu u m. pl tolo. Il ml), l ' Ill) Il ll I m sl IV  (uopolosa oa si ſomus.o!) I. (I pillso i tm l lo o psso l'on. 'I l I.) ſuoqmaſoo run II tap ) foll pdl – ma lo u VI top / SI. IN DCI -  -und ll mys unb: osodsII el'uoloA elis e o Infioso e vo vop Is otto. Il 5 l.lo il  po “Ipnos Ip op IISIui Iod olose oilo elodi:).II In lui: oddo l II ale.II Ionb e olinqII 'u ottIssluſo un ollo II ), - o lund ll o Ippo) ln () arou alloo olmuuaſi l' opumnh (n.IlIn Iin Io o olibri.nlm.nl) nso.) oa pl pp m II ro.Ino o non limp out il l pts No I.).ool. o.tplli o .IoI I II.).I l? \.I - «I – pose II III opud Ip – otInoso) opoIV – ouol)fillo.mſ ul ott 1 V p impos 'vllob.ll, il ll Dul Ssn il lolill L uo(I) o lo pſipd D.lluo o.topm,tollmut pulu. ll.) looo.) o lito.t.too losso noti i plimd lp opuol losso lou I milſild l)  il dſ II o Il pl) il 5 il ril oi lotti lop plAtº t.I sotu ! ! Io l: - olso.it) o toplſ llli uou opolds llo.ool o lo opm ſi pull Dl Ippll llſ lou o tolto. llo.ool o lo upo )  Izzo!) o tool -ms ll o oli uos lp di qll ollllll lp od too ul pllio, ll plotto, un uld lp  l loll (I lo Spºl uo il lun. I tu n = bupl os I loli fini M to(I, 'odulo. ls oillſ plm o lo pnbop,l lod o lo tol ma o um,l lo! I lons,oo Ilſi o llllllls,o. lllullS  lo! I Dl.ol)lli p.t.to) m opp.lli ons ll li o l.) e olsn ſi pl, m. l opm. I m/s opuolod l 1 ) Iollfill, l.lo. I l II), noſ) | I l N.1 o V, D.ln / uo, plm tl pl.).om.) m. n.) Duom:I o l.los D. l Il p.) od tuoi olto i ton.) A eCI ) un lato i po.t o, ul, olpm Is u. I  (- Il n.ll l uo il lo)) SNI)| Dp Isl 1 I.)lli S I lil souloI Nm \\ - l 10 pl pluſ ml luo).om.I.L) - di pls lospl oa mi ps lou l I,) lo Iel lli),l o l.lo.) o I molfin. pl Dz.iol pl o il to,  Atº (l o utild lo, “ollo) Il D.l ol li Out o l)ssol l)lloli o topi). l) o. pplli) 0.ool.) ll opo, l I, A 'CI olfils to.) o I.) olod il l lulti ou up I l) li p.to il filºl!)o lotto) oil. Il 1 | Iloil polo lui) li o) p.) Il to il l.s lou lons ll pot l oi l I, ) ufos ll put o lon. ll piu ! I, 'oli.I e le lotti e liti tetti o I. pl ſi fiou.tp.) mlfi fio) sof l I, oliuls l.ol pol I ssop osso lo po. I u.osso M oum. ll u lp o o upd lllllll pol  lt lo l mm.it/ ol). 1. ll l / D I SI onl:) Nm p... W i tons ) un I.iol 1 m. pl/mq uoq loss  o o d Il 5 o II o II.oni, ons lop Ile ond o Intini - l I..)oufi mi spºt pms pl).op i pl Qnd un ufi ()  epº.I s I.).ol. II. o II. olio Alio. es. otI.), tºnfi le id o Ie Ip e lo IIIIIII.I Iloil III o o lu mſ plº (lm ollo, lo pſ lou l I, puo il m ollo il pilo.) p.). Dallon, o l.) Ollon h o, o la toil o lom p ll ſi o I.) ollonh lp pp roll l I.) m.).oo) ll ſi o lo onl) ps ls uoi p.).) o il o l uop pl pil in o I. ll I  “) lugl o I][..losO Ip III) -nlillotti e Iluotti lep mln out e tio.Ipel otrosso Joid lp o.I 'elopſ o 5o lp “m.i.a) oa l uop l.luc[.Ieq i lutti lop e tituli lod o.Iugl - p.t.to) O.I luop mld oluti.Ioli onp sulllo alle ol) optio.) ng » - o Imu o. I top m.llo) 0.I luo(I rooogI « allo Iod olionl uonq un lui li ott o) ups m oampum ossOd lo IIOII otlo olopo.A o II.) » – oln.) O.Iones li oli ed i pilo.Id – Olups o o ampu V roo nelll.) lens e lº slº.), i ti so I ep III lº Ions I l I sè.A o II o I z-utellIA In p oil.oun po 'oion lode. In lons illie od o Iupire ole.A o n.oI) Il n.roluntII I II..ms o epilo.o! A nſiti nunoIl lod p) Il p o V ».).oogI pl/lo. m l), m)pum OUI.) oll) Ollion | In AO.I] () otI.).oo!.).Iod » – p) ll. m o impuyChi ha terra ha guerra. Giamb. Volpe recchia non teme laccio. Fier. A buon intenditor poche parole – dal latino intelligenti pauca. Così le intelligenze equilibrate e l'ele. Ma il tedesco pedante: Gelehrten ist gul predigen. L'inglese fa lo spiritoso: rith a clerer one word. Al fran cese è troppo una parola: è un home d'esprit un lemi mot. Indi l'indole (ielle nazioni.Inran si pesca se l'ago non ha esca –, W e nicht gut schmierl, faehrt nich l ſul\ on è il più bel messo che se stesso. Selbst isl del Mann. \ iun bene senza pene. A cine Freud oline Leid).l'aga ben chi paga lo slo - VV e rasch giebl, giebl doppellº. \ on scherzare collo so se non ruoi essere morso. 'Mil grossen 11erren isl nich l ſul lv il Ncl en essen.() gni santo ruol la sua candela. Ehi e le m Eh re gebili rl). l dl ct sino al tiro but N lom tl i ro au) cinem gl o ben I lotz gehört e in I rober A e ill)i quel che non li cale non di nè ben nè male. W as ist nicht ucciss, match t mich nich I heiss. Il ledesco è limigliore dell'iltiliano.Più ricino è il mio dente che nessun parente, leder ist sich sclbst der \ aechsle Nell'italiano, senti l'uomo coscienle della individualità del Sll 'S.Stº l'.Dopo il bere ognun lice il suo parere. Del V e in lisl die Zunge). Pal ere e non essere si è come lila) e e non tessere.Chi di galla nasce, so ci piglia. Dic Ralze latess das Mausen nicht'. (cqua che la cerni mºna. (com). Menare Stille VV asser sind tie'ſ. () / mi legno ha il suo latº lo ogni ctgio ha il suo disagio. ('hi dell'altrui prende le sue liber là rende, ('hi ha dentro fiele non può spillar miele. Dopo il con len lo riene il lor men lo. ('hi parla semina, chi lace, accoglie vergogna! snellere questa sen lenza che è losſ 'a e ricullissima, e si sliluirvi la ledesca, malerialissima: Redeli isl Silber, Schweigheli isl (i old.l grande molle gi andi lan le ne (i rosse i bel erſo dern grosse Mittel). ('ol mollo non sta bene, col poco si sostiene. Mi riclem hatell man (tl N, mi il trºnig kon mi l man (tus).Morla la bestia, morto il veleno. Todle II und beiszt nicht mehr). E' meglio esser capo di gallo che coda di leone.Non si può cantare e portar la croce Gule Mirne zum bisen Spiel mi (tch e nº.Shºm (tco digiuno non spregia cibo alcuno. Il un ger ist der beste Koch. Giuoco che li oppo dura, di ren la seccatura.('hi li oppo l'assottiglia, la scarezza. Ill: uscha, i machl schartig). Chi è bella in rista spesso dentro è Irisla. Fier (Der schinste (piel li atl oil einem VV trim.La donna è come una castagna ch'è bella di fuori e ha dentro la ma il magnat. l oce. I quali ino a quattrino si fa il fiorino.Le fave nel nolaccio, il gran nel polveraccio. Dav. Chi è reo e buono è lenulo può fare il male e non è credulo. Bocc. ('hi ha allar con Tosco non ruol esser losco. Bocc.Alle giovani i buoni bocconi e alle vecchie gli strangulioni. Docc. strangulione lett. è angina, infiammazione delle tonsili. Chi lava la testa all'asino perde il ranno ed il sapone. Ciaballin rimanli al cuoio Schuster bleil bei deinen Leislen). Mal fan coloro che voglion far l'altrui mestiere. Fier. Qual guaina, tal coltello. Qual asino dà in parete, al licere – a chi ſe la fa, fagliele, o se ſu non puoi, tienloli a mente linchè lui possa, acciocchè qual asino dà in a parete la ricerca n. 13oce. Secondo la misura che lati, misura lo sarai. Paga e di tal nome la quali furono le derra le vendulº. Q ual proposta tal risposta. l?ender pan per focaccia - (i leiches mit (, leichem rergellºn. Chi la la, l'aspetti. Chi altri tribola, sè non posa. Chi offende s'offende. 1?l'overbi bellissimi, il [ichi e dell'Ilsci, «che, dice il Meini, giovel'ob be rallimentar sempre, e più a chil' igne ha più lunghe». A confortator non duole il capo–e dal confortare all'operare è gran (le diffel'eliza edistanza, e dove l'uno è molto agevole, l'allro è somma Inoli o malagevolo). Bocc. La  determinazione  suprema  della  voce,  «la  favella,  cioè  la  pronuncia  articolata  della  dialettica  psichica»  ('),  è  il  vero  fondamento  dello  scibile  (*),  perchè  concreta  sensibilmente  lo  sdoppiarsi  del  pensiero:  è  «la  formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione spirituale»  (*).  Sebbenené la favela, né la facoltà di acquistarla siano necessariamente richieste per determinarela posizione dell'uomo nella natura (•) il sorgere del linguaggio, è, come il pudore, sintomo della spiritualità che nasce e si afferma. Lo studio della linguistica che sembrerebbe poter procedere sopra un terreno libero da qualsivoglia passione( [Introduzione alla coltura generale, pag. 141. ][Op. cit., pag. 144. ]Prolegomeni I, pag. 367. (*) Introduzione alla Coltura generale, pag. 121. (*) Massime e Dialoghi^ Fasc. 86, pag. 8. (•) Prolegomeni I, pag. 368. 390 1^0 Spirito  oggetiivo] sione partigiana, invece cammina sotto vane bandiere teologiche,  o in  balla del liberalismo  naturalistico o finalmente asseconda le simpatie e avversioni etniche. «Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di essere il primo popolo della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di possedere la più perfetta di tutte le lingue» (') opinione che naturalmente osta ad un bilanciodel contributo che ogni idioma portò all'educazione dello spirito umano. Il problema dell'origine delle lingue, cosi come fu posto per tanto  tempo, è assurdo, giacché «presuppone  prenato  alla  lingua il  pensiero, il quale mediante  essa  debba  riferirne l’origine. L'unica  ricerca genetica che, fuori del dominio speculativo,  possa condurre  a  utile  risultato, è  la  determinazione  di  un  periodo riconoscibile nelle vicende storiche, dal quale si siano sviluppate le attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l'idea e le primissime radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente definibile, perchè è meramente naturale: è una ragione psichica immediata come quella per la quale il riso è foneticamente altro dal lamento e significa diversa condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle forme materiali e radicali: giacché agevolmente si capisce come una radice viva, ossia espressiva di un solo concetto determinato,patisca in questa determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione; anzi, la (*) Considerazioni ecc.,  pag. 12. Lo spirito oggettivo 391 radice e l'idea si legano reciprocamente, e così l'una e l'altra sono arrestate nel loro metamorfico svolgimento.  Si  può  dire  che  il  pensiero  di  un  popolo  tanto  più  li-  beramente si svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato dalle radici vive della propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia dialettica conserva le radici vive come l'attività  le  corrompe e spegne  (').  Molta  importanza  ha lo studio delle  lingue per la istruzione e l'educazione  del  pensiero: l'uomo è tante volte uomo quante lingue  conosce, giacché  tale studio concerne vari  modi  che  rispondono  ai  vari gradi del pensiero (*). Infatti  l'idioma  accennò  progressivamente a) a dare le forme sensibili, 3) le intellettive, e) le concettuali(*). Quanto più il pensiero si avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze tutte formali della lingua. «Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è occasionato  il pensiero;  più  tardi  capii  che la  lingua  è  mezzo  necessario  alla  sua formulazione;  finalmente  concepii  che  la  vera  forma  intrinseca del pensiero non può  essere  manifestata  da  questo  mezzo  estrinseco,  che  è  la  lingua»  (*).  Il  che  significa  che essa,  giunta  che  sia  di  fronte  alla  speculazione pura, o per dir meglio, al sistema contemplative si esautora da sé medesima, riconoscendosi insufficiente a esprimerlo concretamente: anzi, «la lingua  (*) Idee radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive. Fasc. I e 2.  (^) Introduzione alla coltura generale, pag. 121. (*) Prolegomeni, pag. 368. (*) Massime e Dialoghi^ Fase. 18, pag. 18. 392 Lo spirito oggettivo volgare, per l’uso pratico della vita, vuol essere studiata assai differentemente che la letteraria e la filosofica, perocché lo scopo delle varie forme linguistiche non è menomamente identico» C)«Anche la semplice nozione storica di un paese è assai collegata colla conoscenza del suo idioma speciale. Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di uno de' suoi tanti romanzi, il Ceretti dice: «Il mio protagonista studia vasi sopratutto di famigliarizzarsi coi  singoli  idiomche erano svariatissimi e giudicava che la nozione à\ un certo paese supponesse quella del minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale» (*). E vedemmo che così si comportò nei suoi viaggi egli stesso. Quanto  alla  questione  circa  la  preminenzadel toscano sugli altri dialetti nella nostra lingua letteraria, ecco le osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano originali, ma per dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo avesse il Ceretti in ogni questione, che si affacciasse al suo intelletto: «La lingua italiana possiede,  come  tutte le altre, il suo proprio genio caratteristico, per il quale non può essere confusa con veruna delle lingue romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e svariatissimi, si distinguono fra loro singolarmente per il loro specifico carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli dialetti d'una lingua altrimenti che l'italiana: questo avviene eperchè fra tante differenze essi posseggono un caratter comune(') Memorie postunte, Fasc.13, pag. 6. (') Itinerario di un inqualificabile, Fasc., i, pag. 14. Lo Spirito oggettivo 393 grammaticale e lessicale; e l'unità dello spirito italiano, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in questo generalissimo tipo comune dei dialetti.  Oggidì da letterati si disputa seriamente se il solo toscano sia il tipo classico della lingua italiana, ovvero se il genio della nostra lingua,  essendo sparso in vari dialetti, si debba ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione. Il toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano; ma non si deve dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto-sivoglia buona, è pur sempre un dialetto, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente: nessun popolo scrive come parla; le lingue parlate nascono e crescono nel popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica sviluppano il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze progressive delle lettere e delle scienze. Ora questo materiale della lingua parlata sarà tanto più sufficiente quanto più ampiamente sarà desunto da tutti i dialetti italiani: ognuno di essi possiede certe locuzioni così proprie all'idea, quali non sono specificamente possedute da verun altro. Di queste precellenze particolari la lingua delle lettere e della scienza deve liberamente approfittare e non immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia. Seguitiamo il buon esempio del grande Alighieri,che, quantunque toscano,  esordì  a scrivere la sua Commedia non nell'idioma toscano, ma in una lingua veramente italiana. 394 ^ Spirito oggettivo.Molte forme grammaticali e lessiche sono riducibili allo spirito generale della lingua italiana, talune non lo sono: il buon criterio del letterato deve scernere quelle da queste, e, se l'idea esige neologismi, li deve creare conformemente al genio della lingua, e omogeneamente ai materiali idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella  lingua  italiana.  Coll'idioma  esclusivamente toscano  s'immiserisce  non  solo  la  lingua,  ma  con-  seguentemente anche  l'idea,  la  quale  trascende  le  limitazionilocali e popolari»  (*). Luigi Cerebotani. Keywords: implicature, la lingua e lo spirito d’Italia, Hegel, il Tedesco e lo spirito della Germania. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerebotani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Ceremonte: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Teacher of Nerone. Member of the Porch. He took a materialist view of the world, claiming that the gods should be IDENTIFIED with the planets, and that everything in the world can be explained in physical terms.

 

Grice e Ceretti: l’implicatura conversazionale del PASŒLOGICES SPECIMEN -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Intra). Filosofo italiano. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too! Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to ‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i membri del gabinetto Vieusseux.  Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli altri.  Soggiorna nella villetta "La Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato alla stampe a Intra con lo pseudonimo d’Goreni. Trasferitosi alle Cascine a Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi (Torino).  La sua opera è stata pressoché sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia” (‘C. e la corruzione dell'hegelismo’). A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Martinetti C. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la POMBA di Torino. Gentile. Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli.  Dizionario biografico degli italiani,  Opera Omnia D'Ercole, Torino, Vittore Alemanni, C.. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La filosofia della natura di C., POMBA, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia, Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti, in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere considerato come l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione, e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie, così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p. es., la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare, perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo. L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile, appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo, ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà, ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una astratta affinità, per le quale, p. es., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e tanto più fermo e rigido  quanto meno molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa) possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale, arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale, proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale sub-umano, p. es., lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica, come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza corporale dell’individualità. Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie, locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così, per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola) non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo, assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole, animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore,  non solo lo specimen si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi, p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase, costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono. L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo” e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo” (pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*. Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon) ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce* soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione (la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto (che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente, ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato, un numero imaginario), tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal “non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io (il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale, di piroti viventi e di pensanti, non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante, ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza. Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo, parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente. Cosi un soggetto è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso. Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente. In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza, dalla sensazione svolgendosi nella mentalità, procede in un sistema di distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente *imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma logica* della sensazione stessa, che progressivamente si trasforma in quella del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione. Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via. Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità  romana ed etrusca. Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune (in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità, a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua, ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and th’other, thatness, thisness), ecc., categorie dello spazio. Un sistema di comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione; cosi, p. es., per designare un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto; come, p. es., define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti, in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè  Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. (confr. anche ibid., pag. 291 e susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.; nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.), pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite. L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario (il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Mi furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre grossissimi volumi intitolati Paselogices Specimen Theoo editum. Intri, etc. Un filosofo di nome Teofilo Eleutero è a tutti ignoto; e non fu poca la mia mera viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda età, specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento filosofico. La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse, mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di Prolegomena, e che, come subito vidi, era una Introduzione, o Propedeutica che voglia dirsi, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome C., dalla cui figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della figlia, essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi progressiva. Io continuai, naturalmente, a leggere e stu diare la preziosa opera, ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo, essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità. Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie seguenti. Assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi della sua istruzione, comincia a trarre qualche profitto in un collegio di gesuiti a Novara. È una singolare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' gesuiti, avesse proprio da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto maggiore e un vero inizio di studi serii sono da lui fatti a Firenze, ove si reca subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto Viessieux e consacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze. Quanto a lingue, tra il tempo che e a Firenze e gli anni che immediatamente seguirono, ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di legger la filosofia negli idiomi originali, ma anche di viaggiare, per prender diretta notizia di uomini e cose. Infatti, comincia subito a viaggiare percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la Francia, la Germania, l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fa nella prima giovinezza si allargano e diveneno più intensi, quando dopo i viaggi si ritira nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi comincia anche a scrivere opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di filosofo passa per varie fasi, che io (nella mia opera intitolata Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di Ceretti) designo e describo come fase poetica, fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di transizione, fase utopistica e riformativa della società civile, e fase ultima del pensiero cerettiano, la quale è quella del cosìdetto sistema contemplativo. Ad ognuna di queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali opere, se si considera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa addirittura ingente, che versa su tutte le parti dello scibile. E, infatti, un filosofo universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di saggi, ricordo innanzi tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scalda tanto la mente ed il cuore, che gli fe ' dire: Cari poeti, voi dell'alma mia foste il primo verissimo Messia. Ad essa appartengono le opere poetiche di genere romantico: Eleonora di Toledo; il Prometeo; il Pellegrinaggio in Italia; le Poesie liriche: inoltre, queste altre di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche in tempo posteriore alla giovinezza: le Avventure di Cecchino, e le Grullerie poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase, cioè quella intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale la sua mente è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata dall'aspirazione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de' grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente lo precede (Cenobium). Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo. In giovinezza io fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Ortis, stravagante alla Byron, dolorante alla Leopardi, misantropico alla Rousseau, satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente miserabile alla mia propria maniera. Alla seconda fase, che contiene la sua filosofia più eminente e più compiuta, appartiene -- oltre ad un primo abbozzo di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della forza — la grande opera latina predetta “Pasælogices Specimen”. La filosofia di questa fase ha il fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi costituiscono poi una ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima. Come prima deviazione e ad un tempo come transizione alle fasi susseguenti si possono considerare la “Sinossi del l'Enciclopedia speculative”, le “Considerazioni sul sistema della natura e dello spirito; l'Insegnamento filosofico: le quali saggi hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al logo assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente sostituito il principio della coscienza assoluta, Coscienza, che, a dir vero, e già apparsa nella stessa opera latina. Quale ulteriore deviazione, ma specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile, si ricordano le opere intitolate “Sogni e favole” e “Proposta di una riforma civile”. Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre, le quali però sono scritte in forma di romanzi, cioè, i Viaggi utopistici; l'Inconcludente; Don Simplicio; Don Gregorio; il Protagonista, e qualche altra. La deviazione massima è in quegli altri saggi, che rappresentano più spiccatamente l'ultima fase, nella quale perviene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui designato, come è detto, col nome di sistema contemplativo. I pensieri di quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua vita, come per esempio, per nominarne alcuni, nella Vita di Caramella e nelle Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi, benchè già numerosi, non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, essendovene una quantità ancora notevole, che possono esser nominati scritti varii ed ai quali appartengono: Biografie, Autobiografie (tra queste, notevolissima, La mia Celebrità), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e un Trattato di Medicina. Come vede il lettore, quella che io chiamava una ingente massa di scritti, e versante sulla universalità dello scibile, non è una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea sommaria degli scritti del filosofo intrese. Per cio che concerne il filosofo propriamente detto, va considerato rispetto al corso della filosofia in genere ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie, nel qual periodo si riattacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la hegeliana. Si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze positive e naturali d'ogni specie; secondamente, di quelle attinenti alla filosofia propriamente detta. Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere ne' testi originali de' medesimi ne ha dato un saggio notevolissimo egli stesso nel primo volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia della filosofia uno de' periodi che più studia e conosciuto è il predetto periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte, Schelling ed Hegel, si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come Herbart, Schopenhauer ed altri. In questo periodo e naturale che quello che massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Hegel, siccome quello che compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo, lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica, sopratutto nella disciplina logica. Considerando il filosofo tedesco in tal modo, è naturale che nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a lui. Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che voglian dirsi. In conseguenza di ciò si propose da una parte, di additare questi vizii, dall'altra, di correggerli. E la correzione, che costituiva per lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia cerettiana stessa, quale è concepita ed esposta nella predetta grande opera latina. Ciò posto, seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta suprema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che vengono da lui riassunti ne' seguenti principii generali. Primo, L'assoluto è l'Idea. Secondo, l'Idea concreta è lo spirito. Terzo, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito è l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea, nella quale evoluzione consiste il processo metodico di quest'ultima, avviene e deve avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto, come dice Hegel (dem Begriffe nach). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo; giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però immediata ed astratta, non ancora dialetticamente esplicata e, mediante l'esplicazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica (da Idea logica ) si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura), e, attraverso di questa, è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale, o, che vale lo stesso, è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta assoluta dello spirito è la coscienza dell'idea, ovvero è l'idea conscia di sé, mentre l'idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i mancamenti e vizii della dottrina hegeliana, essi, secondo C. concernono l'evoluzione dialettica dell’idea, o, che vale lo stesso, concernono l'idea nel suo processo (esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il prius e il risultato dell'idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'idea sia, da una parte, il principio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale dell'evoluzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il prius ideale dialettico, pur non di meno pel filosofo tedesco il vero prius dell'idea non è questo iniziale, ma quello finale a cui l'idea perviene come risultato del processo dialettico, risultato finale che è propriamente lo spirito, ossia l'idea pervenuta a coscienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero prius non è l'idea logica, ossia l'idea pura ed estratta, ma lo spirito, che è l'idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or questo prius che Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico prestigioso e sconforme al vero ordine logico, che deve avere e seguire il logo (logo che, come tosto si vedrà, è il principio specifico assoluto cerettiano sostituito all’idea hegeliana). Accanto a questo vizio generale, trova e addita vizii particolari affettanti l'idea come logica naturale e spirituale. I vizii spettanti all'idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre. Il primo vizio è che nell'esplicazione dialettica dell'idea logica la genesi di questa sia una genesi della nozione dalla non-nozione. Il secondo vizio è che l'esplicazione dialettica dell'idea logica è piuttosto un'astratta esplicazione delle categorie, anzichè un concreto un rimmanente processo di esplicazione ed IMPLICAZIONE. Il terzo vizio è che il processo dialettico dell'idea logica hegeliana è piuttosto un logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi insultato, anzichè la sanzione (o affermazione) di sè stesso nella concreta immanente ed assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione. Il primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato general vizio del prius, ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'idea logica, processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed C. pensa e vuole invece come conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'idea logica poggia il punto cardinale della differenza dell'idea hegeliana dal logo cerettiano. Quanto al vizio concernente l'idea naturale, esso è in grosso quello stesso dell'astrattezza, testè rilevato, o, che vale lo stesso, della non raggiunta realtà dell'idea nel farsi naturale. Infatti, l'idea logica, estrinsecandosi e divenendo natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente ideale che ha come idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice, cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo spirito, od idea hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa prestigiosità speculativa (speculativa prestigiositas), che ha trovata e rilevata per la logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio innanzi mentovato dell'idea hegeliana, che cioè essa sia un risultato, diviene più specifico nello spirito, in quanto questo, concepito da Hegel come l'idea che dal suo esser-altro (cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa, ha appunto il carattere speciale di essere un risultato e non una realtà, a dir cosi, originaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'idea nelle sue varie forme, logica, naturale e spirituale, ne rileva alcuni altri secondarii; ma noi, limitandoci alla indicazione de ' fondamentali, passiamo ad indicare le corrispondenti emendazioni di essi. Preposto che all’idea hegeliana egli in genere sostituisce il logo, principio universale ed assoluto anch'esso, la prima generale emendazione, concernente il prius ed il risultato dell'idea innanzi esposti, è fatta da C. nel senso che il logo è oiginariamente conscio e non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'idea logica propone come emendazione (Mi piace di riferire colle stesse parole latine del Ceretti il predetto triplice vizio. Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu prolegome norum designata, est primo, quatenus notionis a non-notione progenesis; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam concreta explicationis et IMPLICATIONIS immanens contraprocessu osilas; tertio, quatenus abstractus er plicativce dialectica LOGUS in abstracta resumptione, potiusquam in concreta positionis, dialectica et remsumptionis immanente absoluta verificatione suun ipsum sanciens. Pasael. Spec., CENOBIUM) e però riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale coscienza logica della nozione od idea hegeliana: il che importa che il logo sia una nozione (idea) che si genera dalla nozione stessa e non già dalla non-nozione (nozione inconscia). La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso anche colla generale emendazione predetta del prius e del risultato. La emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo ottenuta col propugnare ed effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un processo astratto di sola esplicazione, ma secondo un processo concreto di esplicazione ED IMPLICAZIONE insieme: nel qual processo concreto i momenti astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò la loro unità. Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il logo assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione (risultato), ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso esplicativo, costituendo così un processo e contro-processo, in cui ogni momento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'idea naturale hegeliana, la emendazione (stata già implicitamente accennata nella critica fatta di essi ) consiste in quella che C. appella la NATURAZIONE del logo. E cioè, mentre Hegel concepisce la natura siccome l'idea ritornante a sè stessa dal suo esser-altro (dalla sua esternazione ed alterazione), il Ceretti invece pensa che la natura non è sol tanto ciò, ma è e dev'essere reale naturazione del logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'idea spirituale, essa nel complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio, e consiste nel concepir la medesima, ossia lo spirito, siccome logo originariamente conscio e non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e fondamentali emendazioni, accanto ad altre subordinate e secondarie, son quelle che nella esposizione ed esecuzione delle idee filosofiche costituiscono la filosofia cerettiana riformativa della hegeliana, e filosofia riformativa che forma il contenuto della più volte mentovata grande opera di C., intitolata “Saggio di Panlogica.” Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclopedia filosofica cerettiana, modellata sulla nota corrispondente Enciclopedia hegeliana (Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Concepì la propria enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volume. Il primo (i prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia. Il secondo contenente (col nome di “ESO-LOGIA”) l'esposizione della logica e metafisica. Il terzo, il quarto, ed il una con un quinto (col nome di ‘ESSO-LOGIA’) costituenti la trattazione ed esposizione della filosofia della natura nelle sue tre parti della Meccanica, della Fisica e della Biologia (od Organica). Il sesto, il settimo e l'ottavo (col nome di “SINAUTOLOGIA”) designati a trattare la filosofia dello spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia, Antropo-pedeutica ed Antropo-sofia. Di questa vasta concezione ed esecuzione il principio fondamentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia: Logo che, come si è detto, in Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'idea di Hegel. Il logo Cerettiano, come quest'ultima, è l'universa ed assoluta realtà, e realtà con preminente carattere ideale, comprendente in sè la realtà logica, la naturale e la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo; tanto più veramente assoluto, in quanto, non meno e forse ancor più dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le antecedenti all'Idealismo tedesco, si in modo più speciale quelle di quest'ultimo, cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano, l'Idealismo obbiettivo Schellinghiano, non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano. Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una delle cose più spiccanti, più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo, va parimenti rilevato, che, per la natura conscia del medesimo innanzi additata, esso vien da C. designato anche come puramente e semplicemente coscienza: per modo che coscienza e logo ricorrono quasi pro miscuamente nell’enciclopedia cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative del principio assoluto. È bene, inoltre, rilevare che tal principio assoluto e dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'assoluto, il quale corrisponde in tutto e per tutto al logo e alla coscienza consi derati come assoluti. Ciò fa intendere come per C. l'elemento conscio costituisce il carattere essenziale del suo principio assoluto, ossia del suo Logo in tutto il suo ambito, mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico dello spirito propriamente detto, ossia dell'idea giunta a coscienza di sé. Ciò farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come riformativa dell'hegelianismo la proposizione: L'assoluto è la coscienza. Per cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche le parole idea, nozione, persin Pensiere, come Hegel. Ma, se le espressioni son varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del logo pensato come Logo conscio o coscienza assoluta. Conformemente a ciò (e in grosso conformemente all'hegelianismo) il Logo vien pensato nella sua IN-TRINSECA natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato in tre diverse forme di esistenza, cioè: quale è IN sè, quale è PER sè, e quale è IN sè E PER sè. La considerazione del Logo IN sè stesso costituisce la predetta “ESO-LOGIA”, da sis, és, dentro e logos, ossia la dottrina logico-metafisica del logo. Quella del Logo FUORI DI  sè costituisce la “ESSO-LOGIA” (da few, fuori, in latino, “Exologia”), ossia la dottrina filosofica della Natura. Quella del Logo IN sè E PER sė, o come il Ceretti la dice, del Logo IN sè e SON sè, costituisce la “SIN-AUTO-LOGIA”, da “syn” e “autos”, con stesso ), ossia la dottrina dello spirito. Degno di rilievo è inoltre che il logo IN sè è il logo nella sua subbiettività. Il logo FUORI DI sè è il logo nella sua obbiettività. Il logo IN sè e sè e il logo nella unità della sua subbiettività e della sua obbiettività, ossia è il logo subbiettivo-obiettivo, che è poi il logo assoluto. È bene parimenti rilevare che come il logo è per eccellenza il logo conscio, il quale è poi lo spirito o la coscienza, così si designano egualmente lo spirito e la coscienza nella loro subbiettività, nella loro obbiettività, e nell'unità della subbiettività e dell'obbiettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del logo soggiace ad un processo esplicativo, che costituisce il processo dialettico, appellato anche metodo dialettico. Questo processo metodico ha, tanto per Hegel quanto per Ceretti, tre momenti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo tedesco appella comunemente dell'IN sè, del PER sè e dell'IN sè e del PER sè, dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo (della speculazione dell'idea ), di momento mediato o razionale negativo, e di momento immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti appellati (nel complesso però con valore e significato simili a quelli di Hegel) momenti della posizione (thesis, positio), ri-flessione e con-cezione. La posizione, come la parola stessa indica, ha il valore e significato di quella che comunemente (in Fichte, Schelling ed Hegel), ricorre come “tesi”, mentre la ri-flessione ha significato e valore di contraddizione (opposizione, ob-positio, contra-posizione, antitesi ) e la concezione significato e valore di conciliazione (com-posizione, sintesi) degli opposti, sintesi della tesi e dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del logo (quelle di Eso-Logo, posizione; Esso-Logo; contra-posizione; e Sinauto-Logo, com-posizione, con le corrispondenti dottrine di Esologia, Essologia e Sinantologia, costituisce per C. i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che, mentre son tre, pur ne costitui solo sotto triplice forma: costituiscono cioè il logo assoluto uni-trino. Un altro punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come determina la considerazione filosofica o speculativa de tre cicli. La considerazione del primo, ossia dell'Esologia (posizione) per lui il pensiero del Pensiero (“cogitatio cogitationis”, l’implicazione o impiegazione dell’impiegazione) quella del scono un ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato (“cogitatio cogitatis” – implicazione dell’implicato, o impiegazione dell’impiegato, e quella del terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante (“cogitatio cogitantis,” implicazione dell’implicante, impiegazione dell’impiegante). Anche nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'idea assoluta, in quella guisa che il Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato più specifico, e propriamente questo, che cioè l'Esologia (posizione) è la considerazione del Pensiero in sè stesso, del pensiero puro hegeliano e potrei anche soggiungere, della ragion pura kantiana. L’Essologia (contra-posizione, impiegato) è la considerazione del Pensiero del Pensato, cioè del Pensiero non più in sè, puro ed astratto, del Pensiero estrinsecato (fatto per sè), obbiettivato. La Sinautologia (com-posizione) la considerazione del Pensiero del Pensante (impiegante: implicazione come relazione tra il implicante e l’implicato) cioè del pensiero come esistente ed esercitantesi nel subbietto pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo (estrinsecatosi fuori di sè nella natura), e quella del pensiero astratto ed operante come proprio subbietto (nella coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ). Dopo le antecedenti generalità, passiamo a considerare parte per parte il logo nelle sue tre forme di esistenza nella logico metafisica (Esogia, posizione), nella naturale (Essologia, contra-posizione) e nella spirituale (Sinautologia, composizione). La dottrina logico-metafisica, conformemente alla hegeliana, è pur distinta in tre parti che anche per lui, come per Hegel, son quelle dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto: solo che queste nel filosofo tedesco si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto, diventando primo il Concetto, secondo l'Essere e terzo l’Essenza. Questo mutamento diposto nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in Ceretti i nomi speciali di “PRO-LOGIA” (concetto); “DIA-LOGIA” (essere); e “AUTO-LOGIA” (essenza). La PRO-LOGIA con sidera il Logo esologico (ESO-LOGO) o logico-metafisico, nella astratta identità del Pensiero (impiegazione). La DIA-LOGIA (CONTRA-POSIZIONE) considera il logo nella differenza (IMPIEGATO) di esso. La AUTO-LOGIA (COM-POSIZIONE) considera il logo nella unità sintetica (IMPIEGANTE) dell'identità E della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii fondamentali predetti. Ma, checchè sia di ciò, è bene di allegare la ragione dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario. La quale, a suo credere, è che per il logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il primo (prius) PRO-LOGICO (cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non dev'essere nè indeterminato, come sono l'essere di Hegel e di Rosmini-Serbati, nè determinato (impiegato), come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di Schelling, ma dev'essere lo stesso prius, nel quale sieno implicitamente contenute tanto la indeterminazione quanto la determinazione. E un sì fatto prius è la PRO-POSIZIONE, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro-logia, il quale è più primitivo e più semplice del giudizio (A e B) che ne costituisce il secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo (CONIUNCTIO, CO-RAZIONALE). Quanto alla natura de suddetti momenti della Pro-logia, la Pro-posizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale, appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva. Il Giudizio (la proposizione pensata) invece è la coscienza logica, che dalla indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo (coniuctio, co-razionale) è la subbiettività della coscienza logica, la cui attività consiste nell'esplicare se stessa, esplicazione di sè stessa, che in fondo è poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de' momenti della pro-logia, il nostro autore passa a considerare e determinar ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico tricotomico della Posizione (Proposizione, impiegazione), della Riflessione (contra-posizione, impiegato) e della Concezione (com-posizione, impiegante). Conformemente a ciò, distingue la Pro-posizione in “posta”, ri-flessa e concepita; e in posto, riflesso e concepito, distingue e determina parimenti sì il giudizio (proposizione pensato) che il Sillogismo (impiegante, composizione). La trattazione ed esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo; ed è non solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle diverse parti dello scibile e della stessa realtà. La trattazione è di tanto interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta. Non potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì nella concezione de' momenti della predetta pro-logia sì nel passaggio da questa alla Dia-logia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo ri-epiloga, e che è questo. Il pensiero pro-logico, uscito e passato dalla sua generalità formale (cioè, dalla pro-posizione) colla particolarità formale della sua generalità (cioè, col giudizio, impiegato) nell'unità formale della sua generalità e della sua particolarità (cioè, nel sillogismo, la com-posizione, impiegante), si concepisce come sistema metodico della RAZIONALITà, ossia come forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere fatto (posto) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'assoluto non può esser concepito altrimenti. Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di tutte le cose, vol. II. Esologia, nella versione dal latino (Torino, Baldini)) che nella forma sillogistica. Questa concezione porta con sè la necessità logica di sè, poichè è la nozione della nozione. Il sillogismo assoluto, come pro-logico, non è più che la formalità (la forma assoluta del logo, la quale invoca l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso. Quindi il sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua obbiettività IMPLICITA assoluta. Questa obbiettività è la verità della subbiettività sillogistica assoluta. Ciò posto, quella che ora effettua il passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dia-logia, che per eccellenza è la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola, sono in grosso quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti queste parole del filosofo intrese. La categoria (predicamento) è propriamente la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria; e la categorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione filosofica e la più alta concezione dal Pensiere umano. Nè meno importanti in proposito sono gli additamenti che fa intorno alla evoluzione storica delle categorie presso i diversi filosofi e corrispondenti scuole che spiccano intorno ad esse. Percio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza; e da queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti momenti subordinati, ma non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed indeterminato (est logus conscentiæ generalis), ma esso si particolarizza e de termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esempio, si distingue e particolarizza come QUALITATIVO, QUANTITATIVO, E MODALE, sorgendo così LE TRE CATEGORIE DELLA QUALITà, della QUANTITà e della MODALITà (misura). Ed inoltre l'Essere nella sua stessa generità (innanzi alla predetta particolarizzazione dunque) è essere (pro-posizione), non-essere (opposizione o contraposizione) e divenire (composizione): (esse, non-esse, latino FIERI, perduto nel volgare). Come, d'altra parte, le TRE CATEGORIE della QUALITà, QUANTITà e MODALITà alla lor volta si distinguono e particolarizzano in altre. Chi conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette categorie cerettiane la simiglianza con le corrispondenti hegeliane. Ed è forse questa la parte, nella quale si tiene più da vicino a quello, mentre in altre parti vi sono non poche dissimiglianze. Nel predetto citato volume della Esologia, pag. 132. 4ecc. Dall'essere il processo dia-logico conduce alla seconda categoria fondamentale predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione dello stesso Essere (Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est Essentia). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'essere avviene anche per l’essenza, che cioè anche questa, alla sua volta distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori, come quelle del fondamento, della sostanza, della materia, ecc. E quanto alla terza categoria fondamentale, cioè l'esistenza, essa è l'unità dell'essere e dell'essenza (INSISTENZA, ESISTENZA, CONSISTENZA). Ognuno nella “Ex-istentia” riconosce l'Esse come particolarizzato. Ma d'altra parte, nella particolarizzazione dell'Essere si specifica e manifesta anche l'elemento dell'Essenza, per forma che l'esistenza risulta siccome una manifestazione dell'essenza (“EX-SISTENTIA est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza (E-SISTENZA, EX-SISTENZA) dà anch'essa origine ad altre categorie subordinate, come realtà, necessità, La terza parte della Logica (o della Eso-logia ) cerettiana, cioè l'Auto-logia, si fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fondamentali, che son quelle di Sapere, Volere, Agire (Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'idea del conoscere (die idee des erkennens ), l'idea del bene (die idee des guten) e l'idea assoluta (die absolute idee). Va però osservato che il volere e l'agire che in Hegel si congiungono nell’idea del bene, e costituiscono l’idea pratica, in C. appariscono, al contrario, come momenti e categorie distinte. Questa terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel. Il modo come vede la distinzione, la relazione e la unificazione del sapere, del Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stupendo e di vero, e lo si vede più chiaramente e più determinatamente di quel che possa vedersi nel, pure grandissimo, filosofo tedesco. Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel sono come ancora implicati e inviluppati, in C. ricorrono come più sviluppati e ad un tempo più sistemati. Il pensiero cerettiano dell'auto-logia è (secondo che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del Ceretti) che l'assoluto è la coscienza logica che si sistematizza in se stessa, per quindi sistemarsi fuori di sè allo scopo finale di sistemarsi in sè e per sè come assoluta unità di sè stessa. L'Auto-logia costituisce un sillogismo assoluto (cioè una connessa triplicità assoluta), i cui termini sono i predetti di Sapere, Volere, Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del Volere. Nel Volere c'è, infatti, esterîorazione del Saputo. Il volere è l'essenza del Sapere. L’agire è l'esistenza del Volere. Tutti e tre insieme costituiscono l'unitrinità della Coscienza. Anche le tre predette categorie si distinguono e particolarizzano in altre. Il Sapere si svolge ne ' momenti subordinati (i quali son tre sotto-categorie anch'essi) la prima sottocategoria di sapere immediato, la seconda sottocategoria di sapere mediato, e la terza sottocategoria di sapere assoluto. Il Volere si distingue e particolarizza alla sua volta nelle tre forme sottocategoriche. Prima sottocategoria del Volere subbiettivo. Seconda categoria del volere obbiettivo. Terza categoria del volere assoluto. La categoria auto-logica dell’Agire si particolarizza nelle sue corrispondenti tre sottocategorie. Prima sottocategoria di “agire attuoso”, aagire come atto puro e semplice. Una seconda sottocategoria come Agire volonteroso. Terza sottocategoria come Agire concettuale.Queste tre azioni o funzioni categoriche dell’Agire le designa come Agere actum, Agere voluntatem e Agere notionem. Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della grande opera enciclopedica del nostro filosofo. La seconda parte, quella del Logo FUORI sè (EXO-LOGO, esso-logo) o del Logo nella sua obbiettivazione, cioè la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione; e trattazione in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto alla corrispondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è PER NOI ITALIANI TANTO più importante, in quanto non vi è in Italia, neppure presso i nostri filosofi maggiori moderni, una sola opera che, prima di questa di C., meriti il nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e pubblicate sotto il titolo di “Filosofia della Natura” formano un'opera di ben 487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto ciò. Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità di trattazione che ha in C., esso non può consistere in altro se non nella pura e semplice indicazione del disegno, della materia e dell'andamento della trattazione stessa. Premessa la determinazione della posizione e del concetto della filosofia della Natura nel Sistema pan-logico, passa alla considerazione di un punto importantissimo, quello cioè della evoluzione storica della concezione filosofica della natura, evoluzione che, secondo lui, passa per tre gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica, la forma estetico-teologica (o sentimentale) la forma empirico -matematica (o intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta (o concetturale). E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste forme, giungendo all'ultima, ossia alla hegeliana, alla quale egli si riattacca, ulteriormente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di difettivo. Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura, dividendola come abbiam detto in Meccanica, Fisica e Biologia, conformemente alla Natura distinta in sè stessa in meccanica, fisica, e biotica (vivente). Carattere costitutivo della Natura meccanica è la QUANTITà, della fisica la qualità, e della vivente l'UNITà (composizione) della quantità e della qualità, la quale unità è poi la MODALITà o la misura della medesima. Quanto all'unità inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre' caratteri della natura, sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese. Cioè: Il meccanismo é ove è la fisica (la natura fisica), e la fisica é ove è il meccanismo; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura vivente. Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto filosofico delle predette tre parti e de' tre predetti corrispondenti caratteri, arreca un esempio illustrativo, che è bene di riprodurre anche qui. Il meccanismo suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini. Quando questa esteriorità, passata nella sua interiorità, nella sua unità inseparabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano o campo meccanico, il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo (in mechanismi physi), la quale è la à passatQUANTITa nella sua QUALITà che deve esplicarsi. Così, ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso, figurato, posto in movimento, ecc., esso non cessa di essere ferro. E quando per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro, non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia (l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non ammette più alcuna co-alteriorità esterna di fattori (essenzialissima al meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti, la natura fisica del meccanismo. La quale unità è poi LA VITA, ossia, quel principio grazie al quale l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente, e la neutralità fisica si alteriora (si fa altra ) meccanicamente: il che, in quanto è nella circoscrizione essologica (naturale), è la vita. Ciò posto, concependo la natura meccanica o il meccanismo come il sistema della quantità, passa alla reale considerazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i principii (detti anche categorie naturali) della medesima come spazio, tempo, moto, ecc. Conformemente a ciò, concependo la natura fisica parimenti come il sistema della qualità, svolge i principii o categorie naturali di essa, come etere (o materia eterea), luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della NATURA VIVENTE, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti. Questi principii, coi relativi sistemi vitali, sono nella loro generalità e progressività evolutiva la vita cosmica od URANICA, la vita geologica e la vita fito-zoologica. Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de' termini. La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i principii nel suo vasto disegno del sistema panto-logico sono tali da fare de C. una delle menti filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera pan-logica, questa rimase interrotta; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della terza parte del sistema pan-logico già delineati primamente ne' Prolegomeni, poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi, son tali e tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per giunta ed ulteriore integrazione di questa, lascia due saggi che concernono proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate, l'una, Considerazioni sopra il sistema generale dello spirito ecc. (Torino), l'altra, Sinossi del l'enciclopedia speculativa (Torino). Un brevissimo cenno anche di questa terza parte è il seguente. Quanto al concetto, obbietto e partizione di essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del logo o della coscienza assoluta, e la seconda la obbiettività, questa terza rappresenta l'assoluta unità delle medesime: assoluta unità, che vien cosi ad essere la Coscienza subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Coscienza obbiettiva subbiettivata. Or questa Coscienza risultata tale è ciò che C. (conformemente ad Hegel) appella comune mente anche spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa parte da lui denominata sin-auto-logia. Intanto, siccome lo Spirito, benchè già sorgente nella stessa animalità, pur non giunge alla sua reale manifestazione, esistenza e verità se non nella umanità, così divien questa lo speciale obbietto della sin-auto-logia. La quale perciò è dal nostro filosofo, designata come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolutezza del medesimo: Assolutezza, che è l'unità della Subbiettività e dell'Obbiettività. Di questa triplice considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama l'Antropo-logia, la seconda l'Antropo-pedeutica, la terza, l'Antropo-sofia. I lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella di Spirito subbiettivo, spirito obbiettivo e Spirito assoluto. Senonché, se c'è simiglianza nella generale concezione, c'è anche una notevole differenza nella portico. L'uomo è la concreta verità dello Spirito (Homo est spiritus concreta veritas). lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione e partizione cerettiana della predetta Sin-auto-logia rilevo che l'Antropo-logia considera l'Uomo come Subbietto generale. E come tal Subbietto consiste dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento meta-fisico ossia animico, così essa è primamente Psico-fisio-logia. Indi considera nel generale subbietto umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noo-logia; in terzo luogo, la mente, o l'attività teoretica, si realizza come attività pratica e allora l’Antropo-logia nel suo terzo momento è Prasseo-logia o dottrina del l'azione spirituale. La Psico-fisio-logia, la Noo-logia e la Prasseo-logia hanno alla lor volta principii, ossia momenti subordinati, e vengono anche questi considerati, accolti e sistemati nella Antropo-logia L'Antropo-pedeutica, all'opposto della Antro-pologia che consi sidera l'Uomo subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione della propria subbiettività: la quale obbiettivazione costituisce, primamente, la dialettica mondiale umana e produce ciocchè si appella la storia; è in secondo luogo il logo sistematico della dialettica obbiettiva, che in senso lato è ciocchè si appella la didattica; e in terzo luogo è la stessa obbiettività sistemata nel Subbietto, che è quella che si designa col nome di DIRITTO. Che anche queste tre parti dell'Antropo-pedeutica (Storia, Didattica, Diritto), si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività, principii, ecc., lo s'intende da sè. E cosi viene assolta anche questa parte della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di questa, cioè l'Antropo-sofia, la quale ha che fare coll'uomo considerato nella sua assolutezza, ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua attività artistica, religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e produzione del bello, del buono e del vero mediante l'ispirazione estetica: la Religione e l'apprensione, rivelazione e culto del divino, e tramezza la manifestazione estetica e la concezione filosofica; la FILO-SOFIA sviluppa la immediata apprensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto. La triplice ed assoluta attività dello spirito, artistica, religiosa e filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo assoluto o della Coscienza assoluta, e con esso si chiude il Sistema pan-logico. Tale è in nuce il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il lettore ai miei molteplici lavori intorno al Ceretti, specialmente alla Notizia degli scritti e del pensiere filosofico non che alla Filosofia della Natura » del medesimo. E soggiungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che ha occupato due decenni di studi della mia vita, son presso a finire l'ultima mia opera: opera che consiste in una estesa e particolareggiata esposizione di tutto intero il suo sistema panlogico, compresa la sinautologia. Ho forse speso intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori. Ma non me nepento, non solo perchè è stato di giovamento a questi stessi, ma specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. Grazie! Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora com-  pleto, delle opere postume di  C.: Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese. (VIRGILIO, ORAZIO, Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson).  Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche  intercalate, varie liriche. Ulttime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa, t volume.  Pellegrinaggio in Italia. Canti. Poesie Uriche.  Prometeo. Poema.  Storia del diritto Canonico.  Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche.  Scritti. Salùi. Sogni e Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo. Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn -TSimplizio. Romanzo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche empirico-induttive. Cavalier Sriovannino. Romanzo.  Manuale di medicina pratica.  L'Inconcludente. Romanzo.  Lo Zio Giuseppe. Commedia. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti  ' della riflessione.  Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici. Il Protagonista. Proposta di una riforma sociale. Considerazioni generali circa la caratteristica spiritualità dell'Italia. Insegnamento filosofico.Gregorio. Romanzo. Novellette morali Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. I volume.   _ Id. La Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso. 1 volume.   Id. Vita di due Comici. 1 volume, ld. Vita di Virginia Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità. Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume. Stramberie philosophiche. La pubblicazione, che si inizia con questo primo volume, è  un monumento che una figlia pia innalza alla memoria di un  amatissimo padre, non per adempiere ad una espressa o tacita  di lui volontà, ma piuttosto in contrasto a questa, e perchè gli  studiosi conoscano, almeno dopo la di lui morte, la profondità  del sapere che egli aveva potuto condensare nella propria mente,  e le diuturne e dotte speculazioni da lui compiute nella sua non  lunga vita.  E affinchè niuna meraviglia possa solére .dalla pubblicazione  stessa, e dalle opere che ne sono l'oggetto, in quanto che e l'una,  e le altre, si differenziano alquanto dal comune, parve opportuno  e conveniente di premettere una breve notizia, che dica al lettore  chi sia stalo, e come abbia vissuto fautore, e con quali intendi-  menti, e con quali criteri si diano alla luce i suoi scritti, che egli  non ha creduto di diffondere. C. ha i suoi natali in Intra, la città più popolosa tra quelle che si adagiano sulle amenissime rive del Lago Maggiore, e meritamente celebrata per le  sue potenti industrie, dal cav. Pietro. Il padre suo, uomo di chiaro ingegno, tutto compreso della  necessità dell'istruzione e della educazione, prerogativa abbastanza mia in quei tempi, e fervei ile pi opugualure di ugni istituzione, che ha per iscopo di promuovere quelle due fonti di  civile e materiale benessere, provvide tosto a coltivare la  mente del figliuolo. Seguendo però l'inveterala consuetudine avita,  dapprima l'affida alle cure di questo e quell'abate, che non riuscirono ad illuminare gran che il di lui intelletto irrequieto, come  egli stesso ha poi umoristicamente narrato in interessantissime  pagine. Di poi lo alloga nel seminario  di Arona e nel Collegio di Novara. Ma il giovanetto, vivace di animo, e la mente precocemente  inlesa ad altri ideali, poco o nulla approdilo di quei primi studi;  e liberatosi alfine dalle pastoie degli insegnanti e del vivere collegiale, tolse a maestro se medesimo, sorretto solo dalla terrea  tenacità del suo volere, e dall'imperioso ed irresistibile bisogno  di sapere. In breve, il diremo con frase che nel caso nostro non  è punlo rellorica, da fondo all'universo scibile; apprese a  parlare ben selle delle moderne lingue, e delle morte, al latino  insegnatogli dai precettori, aggiunse profonde cognizioni del  greco, dell'ebraico e del sanscrito. Si reca a Firenze, dove soggiorna qualche  anno, stringendo amicizia coi primari ingegni di quel tempo,  specie con Capponi, Niccolini, e con quella chiara  pleiade di filosofi che frequentarono il gabinetto del Vieusseux.  Più tardi, desioso di vedere paesi e persone, e fidente nel suo  temperamento robusto e nella florida salute, si da a lunghi e  singolari viaggi. Percorse in vero, più volle, e quasi sempre a piedi, l'Italia  peninsulare, la Sicilia, la Germania, la Francia, e l'Inghilterra, in  cui fece lunga dimora. Ed è tanto in lui il desi-  ci) 1 suoi concittadini venerano ancora in lui il fondatore di un Asilo infantile, die è Ira i pili antichi, eil b modello a Inlla Italia, e lo zelante Sovra  Jtiteiifh'iitf, per più di 'ìi) unni, delle scuole elementari riviene.  derio di penetrare nei più ascosi recessi e della natura, e dell'animo umano, che attraversa i più malagevoli passaggi dei Pirenei, accompagnandosi colle frotte di zingari e malviventi,  clie abbondavano in quei paraggi.  Nulla lascia in quelle sue peregrinazioni di intentato, o inesplorato, che può servirgli nello studio dei suoi simili, e dell’abitudini e costumi dei diversi ordini sociali; e dalle più alle  società, dai primari alberghi, scese alle più umili taverne, mescolandosi colle infime classi, per indagarne i sentimenti e le tendenze. Dopo siffatto giro per l'Europa ritornò in patria, ove si compone nella pace famigliare, e si da tutto a viaggi di altro  genere, vogliamo dire a spedizioni lunghe e laboriose nel campo  immenso del sapere, leggendo, e più meditando, le opere dei  massimi filosofi e pensatori d'Italia, ed arricchendo la mente di un incommensurabile tesoro di cognizioni, di osservazioni e di pensieri   È notabile questo periodo della sua vita, in cui il nostro  autore condensa, per cosi dire, tutta l'umana sapienza nel suo intelletto; chè dopo d'allora, e in ispecie negli ultimi anni del  viver suo, nei quali fu pur massima la fecondità dello scrivere,  ben poco legge, ed anzi si può asserire che più non consulta  nel dettare libro alcuno, ma lutto quanto gli occorresse, evocasse  dalla sua tenacissima memoria, dallo sterminalo accumulamento  di cognizioni, che ha in mente. Leniti e progressiva paralisi lo ha quasi immobilizzato ; egli dove  ricorrere quindi all'alimi aiuto per ugni «no movimento, e i suoi Lunigliari  asseriscono che da anni ed anni non ha mai ad ordinare di recargli libro alcuno  da consultale, mentre detta continuamente per molte ore del giorno. Era d'altronde ima delle massime da lui predicate, che l'ingegno vero approfitta poco  del materiale altrui, bensì moltissimo dell'abitudine del coiu-etttrantento e della  riflessione; e solpva dirr fhp gran parte delle sue cognizioni non le (Tivca acqui-  state eolla lettura, ma colla meditazione e quasi per una catena di messori'  derivazioni. Infatti la maggior quantità dui suoi scritti data dall'epoca che cessa  di leggere.  Manda ai torcili un primo saggio del buu ingegno,  un'opera letteraria, intitolata: II Pellegrinaggio in Italia di Alessandro Goreni, poema in ottava rima, ove con poesia profondamente inlima, sostanzialmente nuova ed originale, da sfogo ai  molti pensieri ed affetti, di cui aveva ripieno l'animo. E poco dopo pubblica, coll'allro pseudonimo di Tkeophilo  Eleutero, un secondo e ben diverso saggio della profondità del  suo sapere, e dell'acume del suo intelletto, mandando alla luce  Ire grossi volumi di un'opera filosofica, che intitola “Pasaelogices  Specimen”, e fa stampare in latino – saggio che per modestia  volle fosse edito in pochi esemplari, ma che in Germania da  argomento a serie critiche nella Rivista filosofica Zcitschrift  (Halle) ed in altri periodici scientifici. Ma qui pur troppo s'arrestano i lavori edili del nostro Autore; chè all'infuori di qualche scritto di minore importanza,  apparso su giornali locali, nulla ei più permise che si da alle  stampe di quanto anda scrivendo fino alle sue ultime  ore. Racchiudendosi modestamente, e un poco anche egoisticamente, nelle soddisfazioni intime delle sue elucubrazioni, più non  volle che alle sue gioie mentali, alle sue indagini filosofiche, ai  suoi profondi ed originali pensieri partecipassero i lettori; e  studia e scrive per sè solo, per esercizio e ginnastica della sua   [Pasaelogices specimen, Tiikophilo Eleutero editimi. Voltimeli pr imitili. Prolegomena. Volumen secundum. Esologia.  Volumen tertium. Natura Medianica — Intra Torino e Firenze, lilucria di Loeschef. — Ve ne  sonu altri due volumi inedili.  Ecco come ne parla, fra gl’altri, il Foglio Centrale Letterario di Lipsia  in un lungo articolo sull'opera stessa, di cui noi riportiamo solo un brano. E sorto un anonimo italiano. Egli parla nella lingua ecumenica del passato il suo è un lavoro che ò il risultato di un'escogitazione indefessa di   tanti anni, forse di tutta la sua vita con un'estensione di due mila pagine, e  che tratta di tutte le cose del cielo e della terra, e per di più della logica dello spirito assoluto; è una continuazione della speculazione di Hegel, dalla quale  perù vuole assolutamente distinguere la propria dottrina] inenLe elevatissima, del poderoso suo intelletto, per appagare la  sua smania del vero. Medita e scrive, al pari di  Gioberti, dodici e  più ore al giorno. I suoi concittadini il ritrovavano spesso solitario  per le campagne e i dolci declivi delle amene montagne che  stanno a cavaliere d'Intra, sotto al vitale raggio del sole, o seduto  alle ombre amiclie dei l'aggi e dei castani, colle lasche zeppe di  libri, sempre speculando ed annotando colla matita sopra la carta  i suoi pensieri.Al pari dei peripatetici si diletta di filosofare  camminando nell'aer puro, nella serena festività della natura,  alla luce gaia del sole, o nella tepida ed affascinante quiete dei  boschi. Dal ponderoso lavorio mentale del filosofare egli trova sollievo nelle arti belle e nelle belle lettere; ed allora detta quelle  innumerevoli poesie, che stanno raccolte sotto il caratteristico  titolo di Grullerie Poetiche, e nelle quali con vena originalissima,  non leziosa o ricercatrice di supposti e romantici ideali, e con  spirito satirico il più fine, spesse volte non facilmente apprezzabile, egli fìssa l'impressione del momento, o deride le costumanze  strane delle mode, o celebra i fasti cittadini, che giungono col  rumore dell'eco all'orecchio suo, lontano ornai dal consorzio  umano, e non abituato che alle voci dei suoi inlimi; ed allora  traeva dal prediletto flauto dolci suoni, o sull'arpa antica traduce la soave ispirazione dell'animo suo, o sul pianoforte combina le armonie musicali, consuonanti colle armonie delle idee  sue, della natura, e della verità, che a lui si disvelavano nelle  profonde sue speculazioni. Cosi vive C., tanto grande per intelletto, quanto  semplice di modi e di costumi. L'altezza della sua mente pareggiava la nobiltà affettuosa del suo cuore. Austero per indole,  tollerante delle fatiche, intrepido nei pericoli, alieno dagl’agi,  benché a lui permessi dai beni della fortuna, schivo del mondano  frastuono (non desiderò die una cosa: vivere sconosciuto), chiuse  in petto un'anima temprala a rettitudine, a purezza quasi primitiva, che lo rese incapace di odio e di avversioni contro chicchessia, e di qualunque simulazione o maldicenza. Naturale,  aborrente da leziosaggini, si riprodusse, quasi in specchio fedele,  nel suo stile semplice e rigido, tendente ad essere chiaro più che seducente. Affabile, unitissimo, nel conversare parve un fanciullo;  lo si sarebbe detto, anche per la modestia del vestire e del vivere,  un uomo taglialo alia grossa, e di rozzi sensi ; ed invece di quanto  allo sentire, di quanta soavità d'animo era egli dotato! Un cullo  affettuoso ei professa per la consorte, troppo presto rapitagli;  un'inarrivabile tenerezza per l'unica sua figlia, che ne consola la  precoce inferma vecchiaia. Colpito invero a cinquantanni da lento, ma inesorabile morbo,  che gli impedi l'uso delle gambe, per quasi due lustri non si  mosse dalle sue stanze, che volle in uno spazioso lenimento, sull'alto della città, affine di poter distendere lo sguardo vivo e  sereno sul più ampio tratto possibile di quella natura, in cui egli  ha tanto liberamente voluto vivere fino allora. Il suo temperamento, pur tanto desioso di moto e di novità, si compone con  ammiranda rassegnazione alla quiete, a spaziare in pochi metri  quadrali di superficie. Con una forza d'animo, che solo può venire o da angelico spirito, o dal conforto della filosofia, sopporta  i dolori fisici e morali della lunga infermità; e mai un lamento,  mai un lagno uscì dalla bocca sua, neppur quando venne da  ultimo costretto al letto, e vi rimane fermo per gli ultimi diciotlo  mesi di vita. Che anzi consola e ravviva lo spirito afflitto della  figliuola; e l'anda preparando con filosofici pensieri alla sua  dipartila da questo mondo, che con spirito antiveggente e quasi  profetico, calcola prossima di mesi e di giorni.  Era solito di dire: morire non è, ni un bene, uè un mule, mn soltanto naturai rosa come il nascere. Siate perciò calmi come sono io. patimenti fisici non gli tolsero, estrema consolazione della  travagliosa vita, la lucidità e la fecondità del pensiero; e continua le sue meditazioni e i suoi sludi lavoriti, dettando incessantemente alla diligente sua lettrice. Fin negli estremi momenti, allorché l'ansia affannosa del respiro rese inintelligibili i suoi  accenti, tenta più volte di esporre l'ultimo suo pensiero sull'opera  che aveva in corso. Tale in breve la vita del nostro autore, nella quale tu non  trovi da celebrare avventure o fatti straordinari, poiché fu tutta  dedicata, e modestamente dedicala, ad una faticosa, ma tranquilla  e serena lotta mentale, ad umbratili sludi, ad inlime soddisfazioni, originate dalla scoperta di nuovi veri, al cullo delle arti  belle e delle scienze; ma per compenso in essa ti si rivela un  inimitabile esempio di indefesso amore del sapere, di privale  eminentissime virtù, di sublime rassegnazione ai mali fisici. É in memoria adunque di quell'affettuoso padre, di quell'alta  e modestissima intelligenza, di quello squisito animo, che la figlia  sua, signora Argia Franzosim C., intraprende la pubblicazione delle numerose opere filosofiche, scientifiche e letterarie,  che egli lascia manoscritte ed inedite. L'abbiamo già detto, e convien ripeterlo, con questo nè interpreta un desiderio del padre, nè fa un pietoso sfregio alla volontà  di lui. Imperocché, come egli non ha pensato a proibirlo, cosi  non ha imposto nè esplicitamente, né implicitamente, per una  postuma vanità, che le sue opere vedessero la luce. Egli non  brama mai in vila sua di curarne la stampa. Lo sperimento fallo  del Pellegrinaggio in Italia e dello Specimen Pasaelogices gli  prova quante noie e quanti fastidi arreca il sorvegliare l'edizione  di poderosi manoscritti; e, ciò che a lui maggiormente dispiacque,  gli ruba soverchiamente di quel tempo, che egli ha sempre prezioso. Anda d'altronde convinto che i suoi concetti  si discostassero tanto dal modo volgare di pensare, da sembrare   meri paradossi; e più volle invero nelle opere sue ripete essere  a lui consentila la maggior libertà di pensare e di scrivere, appunto perchè non teme di disgustare i suoi non-lettori. Questo però non è il parere di chi attende alla presente pubblicazione; è vero che negli scrini, che vedranno la luce, vi è  una originalità di pensiero, la quale può parer strana ai poco colti, ed impressionare anche i doni; ma è vero altresì che, anzi  che provocare censure, vi è piuttosto a credere che gli stessi desteranno l'ammirazione per la novità, la potenza, l'altezza dei  concetti che vi si affermano dal nostro filosofo; è piuttosto a  sperare che i lettori andranno lieti di poter rinvenire, in tanta  serie di scrittori o plagiari o volgari, una intelligenza, che esprime  idee tutte proprie, e forti, e vere, meritevoli insomma della più  grande considerazione. La quale originalità, che è riproduzione fedele del carattere  dell'Autore, è con suprema e scrupolosa cura conservata intatta. Più che ad adornargli la veste in modo, che gli accaparrasse a  primo acchito la simpatia, più che a fornirlo di allettatici attrattive, si è mirato a presentarlo al pubblico nella fedele e polente  impronta del suo genio. Sicché, ad onla che sarebbe tornato facile di rimediare ad alcune mende del suo stile, piuttosto tendente a chiarezza che ad eleganza, e di ammodernare la sua  specialissima ortografia, nulla si volle sostanzialmente immutare,  e gli scritti si pubblicano quali si trovarono dettali, ad eccezione  di qualche correzione di forma, necessaria e solila di farsi anche  dagli autori stessi, allorché i loro manoscritti stanno per essere  consegnali al tipografo. Un'altra dichiarazione occorre porre avanli ; ed è che la pubblicazione viene cominciata colle due opere conlciiute nel presente [Egli stesso, parlando rìrlle sue open 1, così si esprime. Miei scritti  potrebbero aen&rare a molti ti» ainmaxsn ili rontrailiziotii, o anche l'eccesso della  trivialità.] volume, pel solo motivo che esse sono quelle che, fra le poche  potute finora disaminare, parvero a preferenza scritte in modo  piano, ordinato e quasi melodico, e perciò facile ad essere compreso dall'universalità dei lettori ; e quelle altresì, che, trattando  di una materia generale, si prestano a fare in modo riassuntivo  rilevare quale fosse la mente dell'autore e quali le sue dottrine,  quali le sue idee su gran parte delle cose umane. Nell'una invero si discorre dello spirito umano, e si descrivono e criticano i vari  sistemi, che si vennero formando dalla sua nozione ; nell'altra si  tratta di tutti i principi cardinali, dei quali è la natura costrutta,  e si analizzano coi criteri forniti dall'intelligenza riflessa.  Ben si sarebbe potuto seguire o un ordine cronologico, man-  dando alle stampe le opere nella stessa successione nella quale  l'Autore le scrisse, oppure un ordine razionale, prefiggendosi un  punto di partenza, come dal generale al particolare, o dalle opere  letterarie alle filosofiche, e cosi via.   Ma da un lato l'ordine cronologico non ha alcuna base in  ragione, dipendendo da pura casualità materiale che un'opera sia  stata scritta prima dell'altra; dall'altro il razionale, che certo  sarebbe stato più logico e preferibile, richiedeva per essere at-  tuato una previa disamina, anche solo sommaria, delle opere  tutte, che si hanno manoscritte; il che avrebbe cagionato un in-  gente lavorio da compiersi, per l'unicità dei criteri, da una sola  persona, e di conseguenza avrebbe ritardato chissà di quanto  tempo l'inizio di questa pubblicazione, che considerazioni morali  di non minor peso delle razionali consigliavano di intraprendere  tosto.  Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora completo, delle opere postum e di C. Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese (VIRGILIO, ORAZIO,  Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson).  Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche  intercalate, varie liriche.    Tale in succinto lo scopo cui mira, il modo in cui vien  falla, e la ragione per cui si inlraprende in una guisa piullosto  che nell'altra, l'edizione delle Opere postume di Pietro Ceretti.  Le quali ben si prevede non abbiano a riscuotere popolari ap-  plausi, altrettanto fragorosi quanto facili e poco duraturi ; ma si  spera in compenso che abbiano a fermare l'attenzione dei lettori  colti, studiosi, meditativi.   Noi neppure ci allentiamo di darne un riassunto analitico, o  di sintetizzare il sistema filosofico dello scrittore, o di esporre  quali furono i suoi ideali, e con quali mezzi assorse alle cognizioni  del buono, del bello, del giusto; poiché, oltrecchè, non essendoci  bastato il tempo a leggere i molti manoscritli da lui lasciati, da-  remmo giudizio incompleto ed immaturo, preferiamo che su di  essi si esprima liberamente la pubblica critica.   Per Colei poi, che promuove questa pubblicazione, sarà in  Ultime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa,  Pellegrinaggio in Italia. Canti, Poesie Uriche. 1 volume (edito) con alcune liriche. Prometeo. Poema. Storia del diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche. Salùi (inedili).  # Sogni e Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo.  Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn - Sffnpltcìo. homaiizo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche empirico-indut-  tive. Cavalier (riovannino. Romanzo. Manuale di medicina pratica. L'Inconcludente. Romanzo. Lo Zio Giuseppe. Commedia.  ogni caso di sufficiente conforto l'aver dimostrato con essa come  il padre suo, nella sua apparente inoperosità, abbia invece com-  piuto un lavoro immenso, quasi incredibile potersi compiere da  una mente umana in sessantanni di vita; come, tuttoché da oltre  ventanni se ne stesse segregato dal mondo, tanto che lo si ri-  tenne sdegnoso dell'umano consorzio, egli abbia seguilo e ritenuto  con diligenza, memoria, affetto ed acume sorprendenti tutto il  corso dei moderni avvenimenti, e si sia interessato alle vicende  anche più minute della vita umana, la quale egli, trattosene fuori,  contemplò e giudicò dall'alto e spassionatamente; ed infine con  quanta forza d'animo e vigoria di mente abbia, anche ammala to,  continualo l'aspra, diuturna e faticosa ricerca della verità e della  luce spirituale.   Che se poi le opere sue potranno servire ad accrescere le  cognizioni odierne, e disvelare nuovi orizzonti, a precisare sistemi. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti  ' della riflessione. Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici.  Il Protagonista. Proposta di una riforma sociale.Considerazioni generali circa la caratteristica spiritualità dell'Italia.  Insegnamento filosofico. Gregorio. Romanzo. Novellette morali. Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. La Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso.Vita di due Comici. Vita di Virginia Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità.  Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume. IStramberie philosophiche. filosofici e speculativi oggidì ancora incerti ed indefiniti, essa  avrà nei contempo raggiunto un altro intento, quello cioè di far  contribuire all'aumento del patrimonio intellettuale scritti che  erano dal loro Autore destinati a rimanere sepolti. E ciò la conforterà maggiormente nell'adempimento dell'intrapreso assunto,  che è per lei il più sacro e il più caro dei doveri. L'arte della parola è per noi assai più spirituale che non le  arti del disegno e della musica. La medesima contiene idee definite come nell'arte del disegno, e medesimamente una succes-  sione temporanea come nella musica-, ma queste idee definite non  sono più astrattamente naturali come nell'arte del disegno (appari-  zione), nèuna successione temporanea di spirituali emozioni, corno  nella musica, ma piuttosto idee concrete (physiche e metaphysiche)  colle loro successicni definite di idee pensale non astrattamente  sentite.   Si crede comunemente che l'arte della parola sia la vera resumzione del disegno e della musica; certamente essa può espri-  mere idee proprie, quali non potrebbero essere espresse da vermi  disegno e da veruna musica, ma questa proprietà non costituisce  una vera preminenza nel significato che a lei comunemente si  attribuisce. L'arte poetica riassume in se stessa ed esprime a  proprio modo certe idee, quali non potrebbero essere espresse da  quelle altre due arti, ma non potrebbe in verun modo essere sostituita alle prefate singole arti. La stessa può esprimere una suc-  cessione di pensieri, ma non una successione temporanea di emozioni spirituali col prestigio proprio della musica; così pure può  esprimere definite rappresentazioni come le arti del disegno, ma  non può presentarle immediatamente e sensibilmente, al pari di  quella, la quale ripete il suo prestigio appunto da questa immediala sensibile rappresentazione.   Cosi generalmente parlando l'arie poetica da una parte può  essere considerala come resumliva unità delle idee divorziale  nella musica e nel disegno, dall'altra però può essere considerala  come il germe inesplicito delle suddette arti, che esplicandosi  nelle loro astrazioni generano il disegno e la musica. Infatti se  l'arte poetica da una parte accompagna il massimo svolgimento  della civiltà, dall'altra parte è stata un'arte assai primitiva e forse  cosi primitiva come il disegno ed assai più che la musica; le idee     l'arte della parola contenute in queste possono considerarsi come generate da una  astrazione ideale, che costituisce le suddette arti. L'arte della parola si divide in tre periodi capitali: l'arte poetica come esiste nella letteratura propriamente   delta; l'arte prosaica, come esiste nelle discipline finite empi-  rico-matematiche; l’'arte speculativa, come esiste in tulle le cosi delle  p/iilosophie, non arrivale alla necessità logica del pensiero, cp-  pcrciò a quelle philosophie che devono persuadere o dimostrare  in qualche modo la propria verità.   Questi tre periodi costituiscono la concreta arie della parola,  ossia quella che si svolge come manifestazione della Coscienza  pensante. Noi tratteremo brevemente, ma categoricamente questi  tre periodi della parola, che realmente sono anche i periodi dello  spirilo parlante, prima del quale è l'esistenza meramente psychica  e istintiva delle bestie, e oltre il quale il pensiero va in un altro  systema che non è più quello che possa interessare lo spirilo  slesso.   Intendiamo arte della parola quell'arte che si svolge nel pen-  siero concreto, epperciò si manifesta sotto le forme concrete del  medesimo, non in qualche sua astrazione, come quelle del disegno  e della musica, le quali si manifestano nell'astratta forma del senso  intimo o del senso esteriore. Denominiamo arte della parola quella  che si svolge mediante una lingua letteraria, non quell'idioma popolare che nasce e si sviluppa islinlivamenle nel popolo, ed appar-  tiene alla natura piuttosto che allo spirilo pensante.   Quest'arte fu considerala astrattamente come lingua eslhelica,  ovvero poesia; ma essa prosegue il suo svolgimento anche nella  lingua prosaica (come nelle discipline finite), e nella lingua spe-  culativa, ossia in quella che si chiama comunemente phìlosophia.  Questo svolgimento appartiene all'arie della parola, e comprende  lo spirilo assoluto (lo spirilo, non la Coscienza assoluta). ZNello  spirilo giova osservare che le categorie devono essere gerarchicamente coordinate, e non si potrebbe concepire un'esistenza spi-  rituale che non possedesse vizi e virtù, buono e male, e cosi via. Perciò abbiamo dello che quella pura speculazione (dai theolo-  ganli meritamente chiamata abuso della speculazione) non appar-  tiene allo spirito come tale, ma piuttosto è l'atto caratteristico,  col quale lo spirito si svolge dal pensiero in altro systema. Questa  speculazione pura è manifesta dalla parola, ma è il suo esilo finale,  epperciò nella parola che va via dallo spirilo. Così pure quel pen-  siero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo non appar-  tiene all'arte in discorso, ma piuttosto alla natura creatrice.   L'arte della parola suppone uno spirito positivamente formu-  lalo e muore colla morie dello slesso, epperciò la medesima  appartiene essenzialmente allo spirilo, non generalmente alla  Coscienza. Lo spirilo nasce dal non spirilo e muore nel non spirito, ossia è un momento storico nello svolgimento della Coscienza ;  epperciò consideriamo come un prodotto della natura (ossia di  un systema non ancora positivamente spirituale) quella lingua e  quel pensiero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo. È  una lingua psychica, che progressivamente e lentamente si svolge  in una spirituale; perciò troviamo nelle lingue esordienti la  parola determinala col semplice elemento delle intonazioni, ed  inoltre che le nostre idee metaphysiche ebbero tutte nelle lingue  primitive un significalo di phenomeno sensibile, e anche oggidì  si trovano negli uomini naturali lingue che possono significare  individui, non generi e specie, caratteristico di quelle spirituali.  Nell'infimo popolo le idee metaphysiche sono ancora mollo equi-  voche; cosi per es. suppongono lo spirito non solo in un tempo  ed in un luogo (vale a dire nella natura), ma anche con un pos-  sesso caratteristico del pensiero humano ; questo non può risul-  tare che da uno spirilo in una forma necessariamente humana.   Così quest'arie della parola comprende la totalità dello spi-  rito (Coscienza pensante), ma esclude ogni altro systema della  Coscienza, che non sia quello dello spirilo. È questa la ragione  per la quale coll'arle medesima una verità si deve persuadere o  dimostrare; e quelle verità logicamente necessarie, che riescono  indifferenti a qualunque negazione o affermazione o dubitazione,  vale a dire si confermano con qualunque determinazione del  pensiero, non appartengono allo spirito, ma sono l'alto caratle-  [ i/arte poetica] - rìstico per il quale la Coscienza si svolge dallo spirilo in un altro  syslema. Perciò nell'arie della parola non comprendiamo la spe-  culazione pura nelle sue verità logicamente necessarie.   Lo spirito è contenuto entro i limili della Coscienza pensante;  olire questi limiti non è spirito veruno, ma semplicemente un  qualche altro syslema della Coscienza slessa. Perciò l'arie della  parola è quella che si svolge: colle categorie del sentimento, verbigrazia colla persuasione, colla fede, coli' ispirazione, e cosi via; colle categorie dell' intelletto, verbigrazia colla dimo-  strazione assiomatica o empirica; colle categorie di una facoltà concettiva infantile, ver-  bigrazia con quelle forme equivoche della pìdlosophia comune. Una speculazione pura, che introduca le verità logicamente  necessarie (le quali differiscono essenzialmente dalle verità sue-  cennate), è il risultalo d'una facoltà concettiva adulta, la quale  conduce la Coscienza fuori dallo spirilo in un systema più horno-  geneo, perocché quello non potrebbe vivere con siffatte verità. L'arte poetica è l'esordio dell'arte della parola, e lo spirilo  poetò assai prima di parlare prosaicamente, perchè la poesia  appartiene al sentimento ed all'imaginazione, e la prosa all'intellettualità riflessa. Si dice che gli uomini primitivi sono essenzialmente poeti,  ed il loro linguaggio non esprime mai un' idea esalta, ma una  forma piuttosto oscillante nel sentimento e nell'imaginazione. È  vero che gli stessi parlavano un linguaggio non menomamente  formulato dalla riflessione, ma semplicemente dal sentimento c  dall'imaginazione, che sono però ben altro da quell'intimità  melaphysica che noi possediamo, ed è piuttosto il risultalo dell'opposizione d'una mente prosaica con una mente poetica. La loro l'orma poetica è tuttavia profondamente immersa in un elemento immediatamente sensibile, che noi potremmo difficilmente imaginare. È questa la somma difficoltà che noi proviamo  nel concepire chiaramente le antichissime forme della poesia,  come per es. quella dei Vedi ed anche della nostra Bibbia.   Originariamente si scrisse ogni cosa in una lingua poetica,  se qualche volta non rigorosamente metrica, almeno tale da suo-  nare all'orecchio con una qualche misura. Troviamo per es. i  salmi della nostra Bibbia scritti in una forma non esattamente  metrica, ma nullameno misurala. E ciò accadde perocché il pen-  siero era allora essenzialmente poetico; Hegel notò mollo assen-  natamente che il primo prosatore nel lernpo fu Aristotele, si scris-  sero bensì prima di lui molli pensieri in una lingua perfettamente  non metrica, ma essi, nonostante quest'apparenza prosaica, etano  tuttavia poetici; per es. gli scritti di Platone sono più poetici che  prosaici. Gli argomenti, che oggidì consideriamo come necessa-  riamente prosaici, erano trattali in poesia. Così presso gì' indiani  troviamo arylhmetiche, astronomie, vocabolari etc. distesi in una  lingua metrica, e si può dire generalmente che i primi popoli  civili non sapevano pensare e parlare se non poeticamente. Alcuni popoli, come gli as ia tici, ve rsano tuttavia in ques t'elemento  poetico che loro impossibilitò una sto ria.   La poesia, come esordio dell'arte della parola, si distingue in  tre momenti. È poesia epica, ossia immersa in un elemento ogget-  tivo, in un'unità religiosa o elhnica ;  Poesia lirica, ossia la soggellività che nasce e si svolge  da questa generalità;  La drammatica, ossia la poesia che oppone i vari sen-  timenti e le varie convinzioni, giusta le varie soggellività e le varie oggettività cosliluile. La poesia didattica veramente non è poesia, ma piuttosto una  riflessione legala nelle forme poetiche e misurale; è piuttosto una  vera dissonanza della riflessione colla sua forma, vale a dire, con  una forma che non è quella propria di lei, essenzialmente prosaica.   Generalmente parlando è poesia la forma del pensiero poetico,  il quale perciò reclama tale forma; e sluona lanlo una forma  l'arte POE l ICA  metrica con un pensiero prosaico, quanto un pensiero poetico con  una prosa libera, vale a dire, colla forma della riflessione; il lin-  guaggi o ed il pe nsiero devono con sonare in una sola forma, non  in d ue diverse e contra rie.   Chiamo poesia epica quell'essenzialità ideale generalmente  immersa in qualche astrazione objettiva di costituzione religiosa  o di nazionalità, non quell'astratto formalismo di un'epopea o di p  una lyrica. Cosi per es. gli inni di Pyndaro e quelli di Tirteo J* "*^*  appartengono all'epica, pero cché i lo ro soggetti non sono con - y^'^ wfs» '  centrati nella loro propria soggettività^ ma piuttosto immersi i n y*  un'obiettiva astrazione religiosa e nazionale. Possiamo dire clic     all'epopea appartengono tutte le co mposizioni in ossequio d'una  qualche costituzione religiosa, o d'una qualche nazionalità.. Cosi  per es. il Malia- bahrata è una splendida epopea, tuttoché non  contenga veruna idealità nazionale, il Shah-Nameh dei persiani lo  è pure, tuttoché differisca essenzialmente dal Maha-bahrata. La  Theogonia di llesiodo è pure un'epopea religiosa, e così la Divina  Commedia dell'Alighieri, ed il Paradiso perduto di Milton. Le  epopee prettamente nazionali sono Vlliade d'IIomero, YHeneide  di Virgilio, i Lusiadi di Camoens, e altre simili composizioni. Generalmente nell'epopea si realizza una somma grandiosità  poetica , ma l'uomo sj^om nare, per cosi dire, ne l l'unità religiosa  o nazional e, a celebrare le quali è destinato. All'epopea appartengono pure certe formule satyriche, come  per es. il Don Quijolte di Cervantes, e la Verdine d'Orleans s critta  da Voltaire, le quali veramente non sono destinale a celebrare il  sentimento religioso e l'heroismo nazionale, ma il loro argomento,  tuttoché salyrico, è pur sempre religioso e nazionale. Si deve  avvertire che l'epopea appartiene sempre ad u n'astrazione objet-  liva di costituzione religiosa o nazionale, ma differisce sommamente per i vari gradi della civiltà, nella quale è nata.   Il secondo momento della poesia è la lyrica propriamente  detta. Chiamiamo lyrica quella poesia del soggetto raccolto in se  stesso, o per lo meno, nella sua vita privata. Gli asiatici generalmente sono troppo immersi nell'objellivilà  costituita religiosa o politica per conoscere una vera lyrica; si — uebetti, Canaidcr. sul list, rftiier. JeUu spirilo.  I:MI     oim:iu5 postumi-: ni hktro ceretti     può diro che essa nacque la prima volla in Grecia ed in Roma  quando il soggetto principiava a sentire l'insufficienza di una  costituzione oggettiva ed i bisogni della sua propria soggettività.  Cosi non quelle forme che si chiamano comunemente lyriche,  come le Odi di Pyndaro, gl'inni religiosi eie, appartengono a una  vera lyrica, ma piuttosto quelle dedicate alla soggettività ; per es.  appartiene alla vera lyrica l'antica poesia di Museo litolata Eri  e Leandr o, le erotiche di Anacreonle, alcune di Horazio, come  anche quelle di Catullo nei suoi rapporti colla Jjilage scherzosa.   Oggidi la poesia lyrica è tuttavia persìstente, ma l'epica è  perfettamente abolita/yA questo genere, come nell' epopea, può  appartenere una poesia piuttosto umoristica, ironica e parodiaca,  perocché la lyrica non è menomamente vincolata alla serietà, ma  semplicemente alla soggettivazione. Il soggetto può poetare delle  varie cose seriamente o ironicamente, purché in essa varia o saly-  rica composizione lasci trapelare una qualche propria convinzione. La transizione da questo genere alla drammatica è caratte-  rizzala da una poesia alquanto equivoca, nella quale il soggetto  tratta le varie cose ironicamente, parodiacamente eie, ma non  lascia trapelare veruna propria convinzione, così che le delle  poesie non contengono un'idea conclusionale; sono astrattamente  negative e non affermano cosa veruna. Queste poesie si realizzano  in un lempo mollo civile, e sostanzialmente vogliono dire che il poeta rimane semplicemente spettatore , non attore delle cose  ironicamente ricordate. Comunemente si chiamano queste mani-  feslazioni quelle di un genio spossato e di una certa decadenza  della civiltà; la storia, come abbiamo detto, per proseguire la  sua vita ha bisogno di principii serii; la forma dei principii può  variarsi quanto si vuole, ma è necessario che la si fissi, vale a  dire, che si fìssi un qualche systema nel quale si svolga la storia  stessa. Ecco la ragione per la quale una rilassatezza di principii  è sempre giudicata un syntomo di .slorica decadenza; non si  avverte però che la rilassatezza di principii conosciuti è sem pre  la nascila vigoros a di principii nuovi e sconosciuti.   Il terzo momento della poesia abbiamo detto è la dramma tica.  Qui sono anlagoni o più soggetti di principii contrari, che si con- [l'arte poetica] tendono Ira loro, e appurilo in questa conlesa le antagonc convinzioni si neutralizzano, vale a dire, risulta la loro reciproca  insufficienza. L' un soggetto contende centra l' altro soggetto  avversario, e cosi amendue difendono la propria convinzione, Ques ta difesa si effettua mediante le ragioni che tornano favorevoli a esse convinzioni, m a, siccome esse sono due o giù con-  tr arie, ciascheduna difendendo se stessa combatte la propria  avversaria. Non è certo una parte che preferisce un negativo  un positivo ( la quale preferenza sarebbe assurda) , ma amendue  ^che preferiscono un po sitivo a un negativo, cosi che in ultima     analysi amendue vogliono la stessa idea, ossia che il positivo pre-  ( domini sul neg ativo. C o ntestano semplicemente se questo sia il  (positivo e quello il negativo, o viceversa, epperciò disputan o,  circa una cosa phenomenale, non circa un oggetto o un' idea  concreta. Tulli i soggetti reclamano il positivo ed avversano il  negativo (sono due termini dell'opposizione), ma tale soggetto  vuole a come un positivo, ed avversa b come un negativo ; tal alito  soggetto vuole ed avversa inversamente. Giova osservare che  l chiamandosi a positivo e b negativo, quando siano invertiti si de-  vono chiamare inversamente: a, che phenomenalmentc hora  funziona come positivo ed hora come negativo, è un mero giuoco  di parole; perocché sono appunto quei rapporti essenziali che  sono stali mutali i quali cosliluiscono l'oggetto. Cosi la contesa  della drammatica, esaminala con un logico criticismo perderebbe  ogni drammatico interesse, perocché non è contesa seria, ma  semplicemente logomachia.   Nella drammatica però queste idee si contendono profonda-  mente involute nella for ma de jjsent imenlo e_d eH'imaginazione , e  appunto da questa profonda involuzione risulla ogni drammatico  prestigio. A vero dire in essa non si contendono mai le idee puramente riflesse, ma piullosto quelle che possono grandeggiare nel  conflato del sentimento e dell'imaginazione. Infatti un interesse  drammatico non si potrebbe conseguire colla fredda e prosaica f v< -7— ^ t.'R'i  dimostrazione di un theorema matematico; questo vuol dire, m * m .% mm *40~—X*l L  che l e verità della riflessione non sono le verità^ del sentimento, K> H — cr-  u l'una è impolentissima a surrogare il posto dell'altra. Cosi pure na bella verità poetica, come sarebbe il conflato di un'azione  lieroica, non potrebbe interessare menomamente un Iheorema  malliemiitico e non potrebbe sostituirsi come dimostrazione.   La drammatica non insegna solamente che ogni ordine dello  spirilo ha le proprie verità, e la verità di un ordine non può  JCT*»**^**» essere q ue |] a di un altro, ma insegna altresì che certe convin-4   »>u^»*w^l« tìom sono così profondamente radicate nel soggetto, che non f   si lasciano sradicare da veruna eloquenza. Non consideriamo in *  quest'ordine i soggetti che persistono nelle proprie convinzioni  ^semplicemente perchè non le capiscono, nè possono capire altre  Sconvinzioni contrarie; que sj/opposizione non è spirit uale, e può  \ compararsi a quella della forza bruta la qual e dice; parlate come  volet e, via i o faccio co sì. I varii soggetti nella drammatica pos-  seggono le proprie convinzioni e le oppongono alle contrarie; da  quest'opposizione risulla una reciproca soppressione di verità,  ossia la prova drammatica (nel sentimento e nell'imaginazione)  che tali non sono verità, ma gravi errori. Da questa reciproca  soppressione di verità astratte risulla una verità neutralizzala ed  assai più concreta, che se non persuade i contendenti della scena  persuade l'uditorio.   Ma un'arle_(ìnissim a di far prevalere nella dispula una prò- i  pria idea preconcetta è quella che, nonostante la manifestazione  di tulle le ragioni favorevoli a una certa idea, lascia fortemente  trasparire il lato debole della medesima. L'avversario traila questo  lato debole con molla generosità, ma appunto con quesla generosità vince una causa che si 6 mostrata troppo impotente. I  personaggi delle scene molto incivilite non si trattano con colle-  riche invettive, ma piuttosto colla massima cortesia; è il diplo-  matico che accarezzando il proprio avversario gentilmente lo  strozza. L'arte soprafma non è quella di combattere viltoriosa-  mente le ragio ni dell'avversario , ma piuttosto di cond urre passo  passo l'avversario al proprio traviamento , cos icché sembri cadere  per_un suo proprio fallo, vale a dire, comballa contro se sless o.  Era questa l'arie finissima d'un antico philosopho, il quale non  contrariava mai le ragioni dell'avversario, ma lo raggirava cosi  che in ultima analysi questi contrariava se slesso. [l'arte prosaica]  Questa drammatica nasce da una profonda riflessio ne, ma  può vestire forme del sentimento e dell'imaginazione, e risulia  assai più polente di quella nata da una mera imaginazione e da  un mero sentimento. Credete voi che Dante, Shakespeare e Goethe  fossero semplicemente poeti inspirali, piuttosto che rob usti pensatori? Se fossero slati semplicemente poeti non avrebbero potuto  imaginare le composizioni così pregne di pensieri profondi, lo  non dico_clie i profondi pensatori, se si dedicano all'arte poetica ,  debbano riuscire necessariamente drammaturgi, ma dico semplicemente che questa forma si presta maggiorm en te ad un larg o  svolgimento dell'idea . Goethe fu certamente un profondo pen-  satore e nullameno trattò non solo la drammatica , ma anche  Pepopea, la lyrica e d il romanzo. Questo vuol dire, che il pen-  siero, il quale abbia subito un largo svolgimento, a qualunque  forma si dedichi, partorisce capolavori. Varie prosaica è un secondo periodo nell'arie della parola,  il quale differisce essenzialmente dal primo periodo, ossia dal-  l'arte poetica, perocché quella si volge al sentimento ed all'imaginazione, ma quesla si volge più particolarmente alla ri/h'ssint>i'. Quest'arte si distingue pure essenzialmente da qualsivoglia  philosophica eloquenza, perocché quella è dimostrativa o persua-  siva secondo l'opportunità e comprende la totalità dello spirilo;  quesla è astrattamente prosaica e dimostrativa, epperció non può  mai riuscire come philosophia, nè acquistare un drammatico interesse. Essa è destinala a creare piuttosto quelle tali verità che si  chiamano scientifiche, non a creare veruna concreta verilà dello  spirito. L'arte prosaica esordisce come un mero opinalismo c nasce  dire ttamente dalla religiosità; i primi medici per es., i primi  astronomi, ed i primi chimici furono semplicemente sacerdoti, e  possedevano non una nozione di siffatte cose, ma semplicemente un'inlima convinzione od un fallo esteriore Le discipline Lulle,  che bora versano nella riilessione, originariamente versavano in  una mera convinzione religiosa di un fallo intimo o esteriore.  Perciò noi vediamo che esse originariamente erano semplici pro-  fessioni, o più propriamente, semplici operazioni sacerdotali, le  quali riposavano sopra una fede dogmatica, non sopra veruna  empirica od assiomatica dimostrazione. Tulli sanno che la prima  medicina fu nei tempii, e che la malattia originariamente si considerava come uno spirito maligno che invadesse l'ammalalo, vale  a dire, gli ammalali erano considerali come ossessi; tulli sanno che  originariamente si curava con semplici pratiche religiose, il cui  risultalo era dovuto alla fede. La reclamazione dell'intelligenza  riflessa non era nata, epperciò una simile medicina non conte-  neva veruna nozione analomica e physiologica, ma riposava semplicemente sulla pubblica credenza e sulla pubblica ignoranza.  Nella civile babilonia gli ammalali si sponevano pubicamente  affinchè ciascheduno dicesse il proprio parere circa la loro ma-  lattia ed i medicamenti requisiti. Il sacerdote, come religioso,  doveva sempre curare con medicamenti prestabiliti e s'egli for-  viasse dalla cura prestabilita era castigalo colla morie, precisa-  mente come un herelico il quale non riconoscesse cerle verità  della fede. Allora non si conosceva cosa veruna e non era  naia veruna facoltà di dubilare, perocché tale facoltà appartiene  al criticismo della riflessione. Tutto era fede e religiosa con-  vinzione, la quale conseguentemente escludeva ogni possibile  incertezza; si trattavano le cose mediche press' a poco come noi  trattiamo le verità logicamente necessarie le quali non si pos-  sono in verun modo dubitare, ossia non si possono dubitare cogitabilmenle.   Non dico che quelle verità primitive somigliassero a quelle  essenzialmente indubitabili delle mathematiche pure, perocché  queste reclamano una dimoslrazione e non sono indubitabili che  in questa loro mathematica dimostrazione. La riflessione neona-  ]&nét ìfent* scenle , che conduce progressivamente il secondo momenlo del-  l'arie prosaica, fu una semplice dimostrazione non intellettuale ,  come noi la consideriamo, ma una dimostrazione graphica per la quale ceni phenomeni complessi si riducevano a presentazioni più  semplici, dalla cui unità risultavano i delti phenomeni complessi.  Così fu originalmente la dimostrazione mathematica, e noi sappiamo che una geometria graphica precedette per molli secoli  mia geometria analylica, e le stesse potenze uno, due eie, che  hora si considerano nella loro algebrica generalità, originaria-  mente si consideravano come linee, super fìci, e così via. Le  dimostrazioni mathematiche, come un risultalo della semplice  riflessione, non sono anche oggidì concepite dai molli nella loro  vera essenzialità. Cosi per es. gli uomini comuni considerano una  dimostrazione graphica come equivalente ad una puramente in-  tellettuale; giova osservare che la dimostrazione graphica è un  fatto sensibile, e si riferisce ad un dato problema presentabile  sensibilmente, ma la dimostrazione intellettuale si riferisce a un  fallo cogitabile, la quale riesce sempre irrefragabile anche per  quelle cose che non si possono presentare sensibilmente, purché  siano ridutlibili ad una tale equazione. L'arte prosaica consiste nel trovare questa dimostrazione, e  nel fare che una verità non sia più semplicemente soggettiva. Le  verità apodittiche si distinguono dalle verità del primo momento  appunto perchè queste sono varie nei varii soggetti (varii soggetti  posseggono varie convinzioni), ma quelle sono identiche in tulli i  soggetti. Un soggetto può possedere una fede ed un altro sog-  getto può possederne una contraria, ma nessuno potrà pensare  che un theorema geometrico di Pithagora per es., non sia necessariamente vero, perocché nessun soggetto può dubitare che a = a,  identità alla quale, come alla propria radice, si riducono lulle le  verità mathematiche.   Vi è una terza forma dell'arte prosaica, che è pure una forma  apodilhica, ma differisce essenzialmente dalla dimostrazione mathematica, perocché quella è semplicemente un mezzo a conoscere qualche verità naturale o spirituale, questa non è sempli-  cemente un mezzo, ma è immanente al proprio scopo. Qui non  si tratta più di conseguire uno scopo con un mezzo adeguato, ma  si traila di conoscere una verità che ha in se stessa il proprio principio, mezzo e scopo. L'osservazione esplora ciò clic sia il soggetlo in se stesso, e suppone che la verità di esso sia in lui recon-  dita e mediante l'osservazione si possa conoscere quello che e.  Le mathematiche pure contengono verità puramente intellettuali,  epperciò verità irrefragabili e necessarie; ma come tali non possono contenere verun scopo naturale o spirituale; debbono assumere un elemento empirico, epperciò un'essenzialità contingente.  Le verità empiriche differiscono essenzialmente dalle mathematiche, perocché quelle sono irrefragabili e necessarie, ma queste  essenzialmente controvertibili ; perciò nelle cose mathematiche  non si può avere una propria opinione, e si tratta solamente di  sapere se questa sia o non sia una verità mathematica, ossia una  verità mathematicamente dimostrata; nelle cose empiriche tutto  è conlroverlibile, epperciò i varii soggetti possono possedere varie  opinioni e varie convinzioni, ma queste verità controvertibili possono contenere una natuca concreta o uno spirilo concreto.   L'osservazione insegna esattamente quello che sia ogni ordine  finito, epperciò insegna che ogni ordine empirico versa in una  necessaria contingenza. Presumere di conoscere qualcosa defini-  tamente coll'osservazione è una presunzione puerile, perocché  tanto l'oggetto dell'osservazione, quanto l'osservazione stessa ver-  sano in una necessaria contingenza. Ogni ordine finito appartiene  alle discipline empirico-induttive o alle discipline mathematiche  empirico-induttive; perciò i cultori di queste discipline finite  dicono, non vi è verità assoluta, ma ogni verità è necessaria-  mente relativa. Questo è vero, perocché nelle discipline finite non  si può trattare se non la verità relativa, e quella verità assoluta  che possibilità la relazione non appartiene a delle discipline. Però  nelle medesime tutte le verità relative non sono identiche, ed esse  si coordinano gerarchicamente secondo il grado di relazione. Cosi per es. nelle cose spirituali si distinguono verità puramente  soggettive dalle nazionali, e le nazionali dalle verità humanilarie,  e le humanilarie dalle mondiali. Una verità positiva nell'ordine finito si chiama quella che  possiede rapporti più generali, cosi che possa essere poco affiena  dall'opinalilà soggettiva. Così per es. che i gravi cadano colle  leggi di Galileo è una verità empirica, ma essa è cosi generale e l'arte speculativa   cosi costante sul nostro globo, che non può essere affetta da  veruna opinalilà soggettiva. La medesima è una verità puramente  empirica, perocché se una pietra non cadesse nello spazio libero  sulla terra non si troverebbe una ragione contraria assolutamente  necessitala da opporre al suddetto phenomeno; la pietra deve  cadere nello spazio perocché è sempre caduta; è un documento  costante dell'osservazione; ecco lutto; e questo lutto non si può  trascendere in verun modo dall'intelligenza riflessa senza cadere  in gratuite supposizioni. La riflessione non può opporre per es.  che siccome il centro e la peripheria si suppongono necessaria-  mente, cosi il corpo deve necessariamente procedere dal centro  alla peripheria, e viceversa per conseguire un'esistenza esteriore.  Questa cosa si capisce chiaramente dicendo, che una materia  centrale è necessariamente una materia caduta, ed una peripheria  è necessariamente una materia spostata dal suo centro; cosi una  materia è pure un'oscillazione necessaria fra il centro e la peri-  pheria, perocché la non si può supporre occupare due luoghi  nello spazio. Qui non si traila empiricamente di provare che  generalmente la materia debba essere attratta e respinta dal  centro alla peripheria e viceversa, ma semplicemente di provare  che questa tale materia hora e qui sia attratta o respinta, piut-  tosto che altrimenti.   Perciò l'osservazione non tratta le verità generali, ma sem-  plicemente quelle nel tempo e nello spazio; ed i cultori delle  discipline finite dicono saggiamente, che tutte le verità sono rela-  tive; s'intende che tulle le verità finite sono lali. [L'arte speculativa] L'arie prosaica è necessariamente un'arte che tratta il finito,  ed è prosaica perchè appartiene alla riflessione. L'arte specula-  tiva non è più tale, perocché si propone di conoscere non le  verità relative e finite, ma le verità generali, madri dì ogni  ordine finito. Quest' arie differisce essenzialmente lanlo dalla poetica quanto dalla prosaica, perocché aspira alla nozione,  e ad una nozione indipendente da ogni empirica autorità; sendo  tale, la non si può chiamare un' arte aslrallamente prosaica nè  astrattamente poetica, perocché contiene il suo argomento con-  creto, di cui la prosa e la poesia sono astratte manifestazioni.  Cosi lo spirito generalmente parlando non è poetico astrattamente,  perchè anche prosaico, e non è prosaico aslrallamente perchè  anche poetico. Nell'eloquenza philosophica qualche volta si vuole  persuadere (cioè parlare all'imaginazione e al sentimento, come  la poesia); qualche volta però si vuole dimostrare (cioè parlare  alla riflessione, come la didattica finita); in concreto però lo spirito vuol insinuare la verità, non imporla se sotlo una forma  poetica o prosaica; vuole insinuare una verità concreta di cui la  forma poetica e la prosaica sono forme astraile; lo spirilo vuol  trasfondere lo spirilo, il quale è semplicemente l'attitudine a  costituirsi poetico o prosaico. Quest'arte speculativa per conseguire il proprio scopo si svolse  caratteristicamente per tre momenti, che sono quelli della philo-  sophia comunemente della. Cosi prima è una s peculazione immersa in un elemento poetico o religioso (come per es. l' ispirazione e la fede). Poscia è una speculazione immersa in una  dimostrazione mathematica o empirica , cioè una verità generale  diesi vuol conseguire col melhodo delle verità finite. Finalmente  è una speculazione scettica che si rillettc in se stessa, e conchiude  che l'inlellellualilà riflessa è incompetente a conoscere l'assoluto.   La FILOSOFIA più o meno popolarizzata nei vari paesi civili  dell'Europa, appartiene sempre al primo momento, vale a dire,  è un sentimento od un'imaginazione più o meno philosophalc;  non si aspira categoricamente alla nozione, ma semplicemente a  persuadere una certa verità generale. Questa persuasione non può  riposarsi se non in una fede nella cosa o nel dichiarante la cosa.  Perciò si fa sempre appello o a un senso comune (come la scuola  scozzese), o a una verità rivelata (come generalmente tutte le Iheo-  sophie, comprese anche quelle che si dicono speculative), o finalmente a una ragione esplicita colla forza dell'eloquenza, vale a  dire, a una ragione diretta al sentimento. La FILOSOFIA coi/arie speculativa mune della gente non può essere se non una philosophia più o  meno poetica, religiosa o irreligiosa; checché ne sia, le sue ra-gioni non sono mai dirette a costituire la nozione, ma semplicemente a commuovere il sentimento , o provocare l'imaginazione:  perciò quest'eloquenza philosophica non si può chiamare poetica  nè prosaica, ma semplicemente un'arte speculativa che persuade  o commuove secondo le varie circostanze. É la sola possibile  FILOSOFIA che si possa popolarizzare, perocché il sentimento e  l' imaginazione nella gente comune possono essere mediocremente  espliciti, ma la riflessione è sempre notevolmente debole.   In questo primo momento si dice, per es., che la philosophia  dev'essere nazionale, ovvero deve servire la Chiesa , ovvero lo  Stato, ovvero la civiltà, e così via; si vuol fare della philosophia  una disciplina finita con uno scopo finito. E veramente questa  manifestazione equivoca della mente humana non potrebbe tra-  scendere a una pura speculazione, e d'altronde non potrebbe costituirsi una technica chiaramente professionale. Perciò quando?  udiamo che una persona ci risponde che il suo studio sono le mathematiche, la chimica, eie, sappiamo positivamente quelli  ch'essa dice, ma se udiamo che la della persona si dedica alla)  philosophia, rimaniamo piuttosto perplessi. Si é talmente generalizzato questo nome, che horamai non si sa più cosa si vogli a  dire ,, quando lo si pronuncia. Tra una philosophia dell'ordine  succcnnalo, ed una philosophia come speculazione pura corre  una differenza molto maggiore che non fra la botanica e la giurisprudenza.   Un secondo momento dell'arte speculativa è quello che, abbandonando il campo della fede, si dedica alla dimostrazione  mathematica o empirica, vale a dire, a una philosophia che vuol  conseguire la propria verità col methodo d'una disciplina finita.  Cosi, per es., Spinoza tratta la sua etilica con un methodo rigorosamente geometrico (proposizione, dimostrazione, corollario). Nel  secolo passato questa manìa d' imitare i malhemalici fu mollo  generale nei philosophi ; non avvertivano che le mathematiche  sono rigorosamente esatte, perocché versano in un'aslratla iden-  tità, vale a dire, si riducono alla loro assiomatica identità a = a,  locchè non potrebbe realizzarsi circa veruno scibile concreto, perocché esso scibile concreto deve contenere le categorie radicali  di qualsivoglia realtà, cioè la qualità e la quantità. Le mathematiche sono appunto esalte perchè contengono una sola categoria  (la quantità), e le loro verità non sono mai il rapporto di una  all'altra categoria (il quale rapporto costituisce l'essenza di qualsivoglia verità); questa sola categoria è appunto incontroverlihile,  perocché si riferisce semplicemente a se stessa; perciò si è dello  che i theoremi malhemalici sono giusti, ma non sono veri, appunto perchè non contengono la totale essenza di quella che noi  chiamiamo verità, o, per lo meno, le verità mathematiche hanno  un significalo altro da quello delle altre discipline. Cosi trattando  mathemalicamenle le materie philosophichesi sono dovute ridurre  a un'astratta identità affinchè riuscissero incontrovertibili come  le mathematiche. Spinoza, per es., poneva la massima cardinale  che due cose diverse non possono avere un rapporto fra loro,  perocché nella comunanza di esso rapporto elleno sarebbero iden-  tiche; di qui conchiuse una sostanza universale identica a se  slessa, la quale si manifesta nelle sue varie attribuzioni come la  spaziosità, la temporaneità, eie.; considerava la Coscienza come  una mera attribuzione di essa sostan za. Non avvertiva 1° che  nulla può essere reale se non sia Coscienza e p perc iò la Coscienza  non è un attributo ma la sostanza stess a di ogni cosa: che  ja mede sim a non è u j^ realtà, ma piuttosto i nfinita attitudine  a realizzarsi epperciò non si può chiamare nè universale, nè  particolare, nè identica, nè differente; ri on si può predicarla in  verun modo finito.   Vi ha pure un'altra forma della dimostrazione, che assai dif-  ferisce dalla mathematica. E la prova empirica, della quale ab-  biamo più sopra riferito il caratteristico essenziale. Nulla di più  ovvio che ascoltare cosi sconsideratamenle dai philosophanli che  la philosophia dev'essere utilitaria, e riposare sopra i documenti  positivi dell'osservazione. Questa proposizione presuppone una  perfettissima ignoranza delle verità puramente philosophiche.  Basta osservare che la philosophia, sendo il termine più generale  della scibilità, non può essere subordinala a uno scopo altro dall'arte speculativa se stessa; esso scopo suppone necessariamente che vi sia qual-  cosa più concreto della philosophia. Solamente con questa sup-  posizione si possono giudicare positive certe verità, alle quali   deve servire. Il terzo momento dell'eloquenza philosophica è, propriamente rnm«viAo  parlando, un'eloquenza scettic a. Si è scoperto che ogni idea consta  di due termini contrari, ma siccome la riflessione deve necessa- Se eìticìj  riamente affermare o negare, così s i conchiude che nè la ne iiiL zione nè l'afferma zione contengono le verit à. È questo lo scelticismo finale, al quale arrivò la speculazione greca. Negli ultimi V  tempi della philosophia greca apparvero tre syslemi, i quali,  benché non fossero prettamente sceltici, riuscirono perù pratica-  mente allo scetticismo. Così, per es., lo stoicismo (il quale non era menomamente scettico, ed affermava che l'universo è il corpo  d'Iddio), conchiudeva che nel mondo non era cosa veruna pre- azjì^W- .v- V  feribile a un' allra, e così la vera beatitudine dell'uomo saggio, ^ (  non consiste nel conseguire certe cose ch'egli crede ottime, e f* 1 "* * f /"cansare certe altre eh egli crede grame; m a piuttosto nella piena indifferenza ad ogni cosa monda na. Cosi pure i neoplatonici, i quali non erano menomamente scettici, lant'è che proclamavano  che l'assoluto è uno, epperciò non intelligibile, perocché l'intel-  ligenza suppone l'intelligente e l'oggetto dell'intelligenza, altro F.f te & \  dalla stessa), riuscivano praticamente all'estasi colla quale si ] z *iit' ,\t;c   astraevano da ogni senso esteriore. Gli scettici propriamente delti e poi avendo conosciuto che ogni termine ha il suo contrario, aspi   ravano ad un giusto equilibrio (melriopatfna) dei termini contrari, epperciò conchiudevano doversi speculare continuamente, senza pronunciare giudizio veruno. L’apathia o ataraxia degli stoici, l’estasi dei neoplatonici, la  mctriopathia degli sceltici, enunciano un solo fatto concreto, ossia   rijr.fimp fflp ny.il riffll' i pio Hifr»"™ h iimang n p.nrirqflire l'assoluto.  Gli stoici trovavano quest'incompetenza nell'assoluta unità dell'universo, cosicché affermavano che l’intelligenza non polendo essere se non dualistica, necessariamente non poteva concepire l'assoluto, il quale è un'unità. I neoplatonici trovavano quest'incompetenza nell'intelligenza, che presuppone un oggetto essenzialmcnle altro dall'intelligente. Gli scettici finalmente trovavano  quest'incompetenza nell'assoluta contrarietà delle idee, dalla quale  arguivano l'assoluta incompatibilità di due idee contrarie. Sommariamente si può conchiudere che il sentimento  l’e imaginazio ne sono^cjjmpe tenti a concepire Tassoluto^ perocché  I ìvA*'tZ~ var j ano ne j varj soggetti; la riflessi one è pure incompetente a  t:|(*M,»*^. concepirlo, perocché deve supporre il suo oggetto essenzialmente   altro da se stessa, e trovando che ogni termine dell' idea ha il suo contrario, conchiude necessariamente che una tale idea debba  essere un affermativo o un negativo, ma dappoiché non è astrattamente nè l'uno né l'altro, ossia non è un astratto positivo  perché anche un negativo, e non è un astratto negativo perchè  anche un positivo, arguisce che l’intelletto è incompetente a  giudicare. Questo avviene perchè non si conosce quella facoltà,  wr^ÈTche noi chiamiamo facoltà concettiva , la quale differisce essenzialmente tanto dal sentimento come dalla riflessione. Il senlimento affermo giustamente la propria incompetenza a costituirsi t&wtfc-ccìv^vp-un assoluto, l’intelligenza a ffermò pure la detta incompelcnza, perocché capì che l'assolulo deve contenere anche la riflessione,  epperciò la riflessione non può giudicare quello che non può essere un suo oggetto altro da se stessa Cosi l'arte della parola, svolgendosi nel sentimento artistico  e nella riflessione scientifica, arrivò a uno scetticismo filosofico, e si giudica generalmente incompetente a costituirsi un assoluto. Lo scetticismo è la necessaria conclusione d'ogni intellettualilà, che abbia trasceso il sentimento, e non sappia trascendere alla pura speculazione. Il nostro filosofo si propone anche la celebre questione del progresso, ossia del cammino della civiltà; e trova che essa  fu  evolutivamente risolta coir una o coll'altra delle seguenti tre risposte: Il genere umano invecchia e invecchiando/dgiara  (sentenza prediletta dagli antichi, da parecchi ottimi poeti moderni e specialmente dai teologi; con essa lo spirito, scorgendo le migliori cose desiderabili, le illumina col prestigio della distanza nello spazio e del tempo.  Il  genere umano scuote le tenebre della sua ignoranza, ricerca la scienza, con cui recar rimedio alle sue infermità, e accrescere i beni, insomma migliora; (con essa lo spirito sforzatosi di prendere il governo del mondo,  raggiunge la sua dignità, dalla quale la mistica antichità lo dichiarò decaduto: ed è prediletta dai novatori in genere). L'uomo né peggiora né migliora, ma svolge in modo la sua spiritualità, che la prospettiva del suo processo rimanga duplice, a migliorare per una parte, a peggiorare per l'altra: lo spirito è una perpetua compensazione attiva del bene e del male, in modo che l'uno generi l'altro per necessità logica e questa é la soluzione preferita dal filosofo: soluzione, come si [Prolegomeni] Lo Spirito oggettivo vede, trascendentale, ma punto strana perchè l'esigenza del trascendentalismo è propria dell'uomo. Esso è necessario alla spiritualità, cosi come la respirazione al corpo umano, sebbene, sommando le opposizioni che si sono mosse alla speculazione, si vede che tutto lo scibile finito iu l'avversario d'ogni trascendentalismo speculative. La  determinazione suprema  della  voce, LA FAVELLA, cioè LA PRONUNCIA ARTICOLATA DELLA DIALETTICA PSICHICA è il vero fondamento dello scibile, perchè concreta sensibilmente lo sdoppiarsi del pensiero. Èla formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione spirituale. Sebbene  né  LA FAVELLA, né la facoltà di acquistarla siano necessariamente richieste per determinare la posizione dell'uomo nella natura il sorgere del LINGUAGGIO, È, COME IL PUDORE, SINTOMO della spiritualità che nasce e si afferma. Lo studio della linguistica che sembrerebbe poter procedere sopra un terreno libero da qualsivoglia pas-[Introduzione alla coltura generale, Prolegomeni Massime e Dialoghi, Fase. Spirito oggetiivo] sione partigiana, invece cammina sotto vane bandiere teologiche, o in balla del liberalismo naturalistico o finalmente asseconda le simpatie e avversioni etniche. Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di essere il primo popolo della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di possedere la più perfetta di tutte le lingue -- opinione che naturalmente osta ad un bilancio del contributo che ogni idioma porta all'educazione dello spirito umano. Il problema dell'origine delle lingue, cosi come è posto per tanto tempo, è assurdo, giacché presuppone pre-nato alla lingua il pensiero, il quale mediante essa debba riferirne l’origine. L'unica ricerca genetica che, fuori del dominio speculativo, può condurre a utile risultato, è la determinazione di un periodo riconoscibile nelle vicende  storiche, dal quale si sono sviluppate le attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l’idea e le primissime radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente definibile, perchè è meramente naturale. É una ragione psichica immediata come quella per la quale il RISO è foneticamente altro dal LAMENTO e SIGNIFICA diversa condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle forme materiali e radicali. Giacché agevolmente si capisce come una radice viva, ossia espressiva di un solo concetto determinato, patisca in questa determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione. Anzi, la [Considerazioni ecc., Lo spirito oggettivo] radice e l'idea si legano reciprocamente, e così l'una e l'altra sono arrestate nel loro metamorfico svolgimento. Si può dire che il pensiero di un popolo tanto più liberamente si svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato dalle radici vive della propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia dialettica conserva le radici vive come l'attività le corrompe e spegne. Molta importanza ha lo studio delle lingue per la istruzione e l’educazione del pensiero. L’uomo è tante volte uomo quante lingue conosce, giacché tale studio concerne vari modi che rispondono ai vari gradi del pensiero. Infatti, l'idioma accenna progressivamente a dare le forme sensibili, le intellettive, e le concettuali. Quanto più il pensiero si avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze tutte formali della lingua. Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è occasionato il pensiero. Più tardi capii che  la lingua è mezzo necessario alla sua formulazione. Finalmente concepii che la vera forma intrinseca del pensiero non può essere manifestata da questo mezzo estrinseco, che è la lingua. Il che significa che essa, giunta che sia di fronte alla speculazione pura, o per dir meglio, al sistema contemplativo si esautora da sé medesima, riconoscendosi insufficiente a esprimerlo concretamente. Anzi, la lingua [Idee radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive. Introduzione alla coltura generale. Prolegomeni. Massime e Dialoghi. Fase. Lo spirito oggettivo] VOLGARE, per l’uso pratico della vita, vuol essere studiata assai differentemente che la letteraria e la FILOSOFICA, perocché lo scopo delle varie forme linguistiche non è menomamente identico. Anche la semplice nozione storica di un paese è assai collegata colla conoscenza del suo idioma speciale. Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di uno de’suoi tanti romanzi, C. dice. Il mio protagonista studia sopratutto di famigliarizzarsi coi singoli idiomi che sono svariatissimi e giudica che la nozione à un certo paese suppone quella del minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale. E vedemmo che così si comporta nei suoi viaggi egli stesso. Quanto alla questione circa la preminenza del toscano sugl’altri dialetti nella nostra lingua letteraria, ecco le osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano originali, ma per dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo ha C, in ogni questione, che si affaccia al suo intelletto. LA LINGUA ITALIANA possiede, come tutte l’altre, il suo proprio genio caratteristico, per il quale non può essere confusa con veruna delle lingue romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e svariatissimi, si distinguono fra loro singolarmente per il loro specifico carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli dialetti d'una lingua altrimenti che l'italiana. Questo avviene perchè, fra tante differenze, essi posseggono un carattere comune. Memorie  postunte,  Fase. Itinerario di un inqualificabile. Fase. Lo spirito oggettivo] grammaticale e lessicale; e L’UNITÀ DELLO SPIRITO ITALIANO, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in questo generalissimo tipo comune dei dialetti. Oggidì da letterati si disputa seriamente se il solo toscano sia il tipo classico della lingua italiana, ovvero se IL GENIO DELLA NOSTRA LINGUA, essendo sparso in vari dialetti, si debba ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione. Il toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano. Ma non si deve dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto sivoglia buona, è pur sempre UN DIALETTO, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente. Nessun popolo scrive come parla. Le lingue parlate nascono e crescono nel popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica sviluppano il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze progressive delle lettere e delle scienze. Ora, questo materiale della lingua parlata è tanto più sufficiente quanto più ampiamente è desunto da tutti i dialetti italiani: ognuno di essi possiede certe locuzioni così proprie all'idea, quali non sono specificamente possedute da verun altro. Di queste precellenze particolari la lingua delle lettere e della scienza deve liberamente approfittare e non immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia. Seguitiamo il buon esempio del grande ALIGHIERIi, che, quantunque toscano, esordì a scrivere la sua Commedia non nell'idioma toscano, ma in una lingua veramente italiana. Spirito oggettivo. Molte forme grammaticali e lessiche sono riducibili allo SPIRITO GENERALE DELLA LINGUA ITALIANA, talune non lo sono. Il buon criterio del letterato deve scernere quelle da queste, e, se l'idea esige neologismi, li deve creare conformemente al genio della lingua, e omogeneamente ai materiali idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella lingua italiana. Coll'idioma esclusivamente toscano s'immiserisce non solo la lingua, ma conseguentemente anche  l'idea, la quale  trascende le limitazioni locali e popolari. Dai Sogni e Favole:   Dal Sogno fiiogoologico. Perfezione ed imperfezione degli enti. Dalla Favola antropologica. Dialogo tra Fantasia, Lucifero ed il filosofo. Dalla Favola antropopedeutica. Dialogo tra Favola ed Filosofo. La filosofia e la solitudine. Dalla Favola angelica. La vita del filosofo. Dal Sogno utopistico. Dialogo fra il filosofo ed un ere   mita della futura società riformata.Dal Sogno utopistico. L’educazione in un ordinamento utopistico della società. Dalla Favola utopistica. Una gita in aeroplano nella società riformata.   Dalla Favola utopistica. Un « casus belli »  Dalla Favola utopistica. Le condizioni economich  della società riformata dell’anno 2000. Dalla Favola utopistica. Un disegno di ordinament  cittadino nella società riformata dell’anno 2000 .  Dal Sogno assurdo. La società nel secolo xix e nell’e   poca successiva della riforma.   Dalla Favola assurda. L’igiene.   Dal Sogno del diluvio riformatore. Un cataclisma. Dalla Favola di F.rato. Poesia, scienza, speculazione    Dalla Favola ili Erato. La danza, la mimica, la mu¬  sica, la poesia. Dalla Favola di Erato. I grandi poeti sono spiriti concettivi. Dalla Favola tecnica. Prolusione agli studi tecnici in una società futura. Dalla Favola filosofica. Manuale pratico di vita civile Dalle Massime e Dialoghi:  Reminiscenza.» Espressione della verità. Recondita opera della filosofia nella storia dell’ umanità. Gli attori della nostra storia europea. Gli spiriti forti e la moralità. I filosofi nella società degli uomini comuni. Debolezza delle facoltà mentali. Celebrità e saggezza. I giudizi del mondo. Apprendere da sò stesso o dal maestro .II giornaletto umoristico. La tirannia della debolezza. L’apprezzamento della filosofia del mondo. Stazioni nell’itinerario degli studi. Dialogo di Patologo e Apatologo.» L’uomo piacevole.  Machiavellismo delle sette. Differenze spirituali. Un quinto giudizio del mondo.Erutti di una coatta abnegazione. La celebrità ed il sapere. Dialogo della Luna e della 'ltrra. Lagnanze e contentezze inopportune. » L’intrinseco del mondo.  L’ineccepibile probità. Conosci te stesso. Il vero sentimento e la costumanza. La predica delle tre sorelle . Metodo per essere colto e sapiente. Scopo di un filosofo . Catechismo de! medico praticante. ”Documenti esteriori della soggettività. L’inettitudine dei filosofi e dei poeti . Annunzio librario. Dialogo di un filosofo con un amico. Orientazione dello spirito speculativo. L’infelicità degli uomini grandi . consigli delle persone. La setta. La personificazione delle maggioranze. I giudizi del mondo. Verità speculativa e verità della riflessione. Sentenziucce. Le ragioni delle sette. Predilezione del sentimento e della riflessione Le abitudini della vita pratica e teorica . Insegnamento delle massime pratiche mondane. L’hegeliana filosofia del diritto .  Trascendentalismo.  La divina provvidenza1 diritti della gente. Astrazioni viste sotto un solo aspetto. Ragioni della verbosità . La solitudine e la città. Le lodi e i biasimi del nostro tempo. La morte spirituale. L’inavvertenza. Politica. Circa la musica contemporanea. I desideri del filosofo .L’essenzialità del sistema contemplativo .Uno stravagante .  li soldato. Un rimprovero sconsiderato1. 'esigenza dello spirito. Il lavoro del cervello. L’educazione positive. La composizione. I ire periodi della storia umana  Intensità dell’esistenza ed annullamento  Insegnamento della lingua. I fondamenti dello scibile finito. La religiosità dell’Asia. La religiosità in ROMA. II Cristianesimo.L’igiene. L’ozio delle Trascendentalismo. La verità poetica. La responsabilità. Paradossi. La professione. Il regime.  L’educazione del getter. L’essenza e il formalismo dello scibile umano. Il bello poetico. Il deputato. Crepuscolo  di  Milano. Pellegrinaggio. Unione di Torino. Silorata. Revue franco-italienne di Parigi. Philosophische Monatshefte, Rabus. Pasaelogices Specimen. Zeitschrift fur Philosophie und philosophische  Kritik, Perseveranza. Antonietti. Considerazioni sopra il sistema dello Spirito e della Natura. Lorenzi   alle  Considerazioni. Gazzetta Letteraria Ercole. Filosofia delle Scuole Italiane, Ercole. Pasaelogices Specimen. Annuario biografico universale, Articolo d'indole generale. Lorenzi.  Notizia  degli  scritti  e  del  pensiero  filoso-  ficodi  Pietro  Ceretti  accompagnata  da  un  cenno  autobiografico pel  medesimo  (la mia celebrità). Ercole. Torino, Unione Tip. Editrice. Prefazione  de  IP  Autore    In  Atti  deirAccademia  Reale  delle  scienze  di  Torino (Classe di scienze morali, storiche e filosofiche).  Adunanza. Nuova Antologia.Valdarnini.  Zeitschrift filr Philosophie und philosophi-sche  Kritiky  Halle,  Notizia  bibliografica.In  Rivista  Italiana  di  Filosofia  dNotizia  bibliografica  del  Prof.  Felice  Tocco.Introduzione  dei  traduttori  ai  Prolegomeni, Nuova  Antologia. Letteratura.Tarozzi. Ercole. Rivista Italiana di Filosofia, Ercole. Machiavelli, T. C. In Lettere ed Arti.Lenzoni. Ateneo Veneto.Ift Revue philosophique de la France et de L’Etranger. Perez. Ercole. Sinossi. Rassegna  Nazionale. Un poeta filosofo.Notizia. Rivista Italiana di Filosofia. Notizia Valdarnini. Risveglio educativo, La pedagogia di Ceretti. Studio del Val-darnini.    Prefazione  dell’autore  In  La  Coltura,  La  fama  postuma  di  un  Filosofo  poeta,  del  Prof.   G.  Zannoni. In Voce del Lago Maggiore, C. poeta, di Alemanni. La  Filosofia  della  Natura  di  P.  Ceretti  per  Pasquale  D'Ercole.  Torino,  Unione  tip.  Editrice. The Mind,  Benn. Zeitschrift fììr Philosophie nnd philosophische Kritik, Leipzig, Notizia sulle opere, Hermann.  Rinnovamento  Scolastico,  Roma, Ceretti nella storia della Pedagogia, di Fantuzzi. Deutsche Litteraturzeitung, Notizia sul volume dell'Essologia, del Giovanni Cesca. Rivista  Italiana  di Filosofia,  Un  nuovo  Trattato di Filosofia della Natura del Valdarnini. Nella  Storia  della  Pedagogia  Italiana  del  Prof.  Angelo  Valdarnini,  Paravia  e  C.Idem  nel  Dizionario  illustrato  di  pedagogia  del  Martinazzoli  e  Credaro.   -  Rumori  mondani  di  GaetanoNegri, Milano Discorso. Ercole. Inaugurazione del monumento a Ceretti,Intra,Vedetta.Alemanni,Saggi di Filosofia Teoretica. Valdarnini.  Firenze  Prefazione  dell’Autore. Introduzione. Ercole. Essologia, Stampa Notizia sul voi. deirEssologia. Alemanni.Rassegna Nazionale NotiziaAlemanni.  Rivista  Italiana  di  Filosofia,  stX.i,-La  Coscienza  Fisica,  studio Alemanni.   Nella  Storia  Compendiata della Filosofia di Cantoni (Milano  Hoepli) Rivista  Pedagogica Italiafia,  La  filosofia  naturale  del  Ceretti.  Valdarnini.  Coltura,  Notizia  del  Pro-  fessore I. Petrone. In Rivista Italiana  di Filosofia, Le dottrine  estetiche di Ceretti. Studio. Alemanni  (Literarisches Centralblatt, Essologia. La Fisica. Nella  Enciclopedia  universale  illustrata,  Milano,  Vallardi  Editore.  Cenno  sul  Ceretti.   Grundriss  der  Gcschichte der.Philosophie,Viertel Theil di Ueberweg-Heinze. Notizia  sul  Ceretti  (Credaro).  In  Rivista  Filosofica. La  filosofia  di  P.  Ceretti.  Alemanni. Ceretti (n. intra), filosofo. implicatio — empiegazzione — ES implicatum — empiegato — EX implicans — empiegante — SYN. L'uomo nella serie zoologica.L'uomo vuol essere consideralo come l'ultimo frutto , ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come il frutto più recente dell'albero 200 logico. E qui nasce oggidi rispetto all'uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da ' più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla specu lazione, e neppure dalle discipline naturali empirico - induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità empirico - induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni , partigiana di religiosità, di moralità, e così via . È assurdo supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale ; perocchè le specie sono mere distin zioni teoriche del nostro intelletto . La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum ; e conseguentemente le distinzioni caratteristiche, che costituiscono le specie, non risul tano se non in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini intermedii . Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero zoologico , nei quali le differenze ci sono più sensibilmente mani feste, troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii rapporti , e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii indi vidui pur differenti fra loro . Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò non si deve inve stigare nelle specie come tali , ma piuttosto nei minimi termini della specie , ossia nelle variazioni individuali. Quesle variazioni , tuttochè lentissime, modificano col volgere dei secoli le specie , così come le conchiglie microscopiche, variando la propria na tura, variano il terreno che ne risulta. § 109. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva va riazione sono di tre ordini , vale a dire : agenti planetarii, agenti psichici, agenti spirituali. Questi agenti sono pro gressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia spirituale. Gli agenti del primo ordine modificano semplicemente l'orga nismo, e indirettamente, ma assai lentamente, le facoltà istintuali. Sono gli agenti puramente planetarii, p . es . , la natura del suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, le condizioni geografiche e topografiche, e cosi via.Questi agenti si possono chiamare elementari; perocchè operano su tulla l'animalità senza distin zione veruna , e sono presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale , che gli animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le modificazioni necessitate dalle progressive va riazioni dell'aria e del suolo . Gl’istinti delle specie animali infe riori sono rigidi e difficilmente modificabili , appunto perchè sono istinti poco variati , che non possono neutralizzarsi fra loro in una ricca varietà di modificazione. Gli agenti del secondo ordine sono psichici, epperciò più intimi nell'organismo, ossia più essenziali . Questi agenti psichici modificano l'animale nelle sue intime facoltà , ossia attitudini , assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti naturali succennali. Questi secondi agenti sono nella loro essenzialità un maggiore sviluppo dei primi, epperciò si manifestano nelle generazioni susseguenti come profonde modificazioni dell'organismo e dell'istinlualità . Queste modificazioni non sono più mere variazioni giusta una astratta affinità , per le quali, p. es ., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a dire, si manifestano come pure variazioni quantitative dell'istintualità . Sono modificazioni profonde che diventano la proprietà caratteristica dell'animale e qualche volta sono affatto estranee e contradittorie alle facoltà delle genera zioni preesistenti. Allora si dice , che nuove specie sono venute all'esistenza, e le vecchie si sono spente . Le facoltà psichiche si modificano sulla base di istinti più svariati , i quali si neutralizzano appunto fra loro tanto più facilmente quanto più svariati . Gl'istinti degli animali inferiori sono tanto più fermi e rigidi , quanto meno molteplici e sva riati. Queste modificazioni causate da fattori psichici modificano realmente il sistema anatomico e fisiologico ( perocchè non sa rebbe possibile una modificazione psichica sulla base d'una inva riabilità anatomico - fisiologica ), ma sono modificazioni profonde , le quali , se qualche volta poco modificano l'ordine anatomico fisiologico sensibilmente manifesto, sono però effettuate piuttosto negli elementi anatomici, nel così detto ordine istologico. Le dette modificazioni psichiche non spettano, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma sono più profonde modificazioni dell'organismo e della corrispettiva istintualità; esse riflettono piuttosto le mere individualità animali, epperciò sono variabili indefinitamente . Le condizioni causali di queste modificazioni sono date dalle varie ciscostanze , nelle quali ver sarono certi individui animali. Cosi non è solo la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vivono, ma anche i varii vegetabili e animali con che vivono ; perocchè dette varie condizioni sono sufficienti a modificare l'anima dell'animale . Le delle varie circostanze costringono certi individui a eser citare preferibilmente certe facoltà psichiche, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà delle facoltà istintuali proprie della specie, queste facoltà varia mente si combineranno fra loro e si neutralizzeranno. Gl’istinti cosi neutralizzati, ossia radicalmente variati , si trasmettono alla generazione veniente; e cosi le condizioni succennate , variando le altitudini dell ' anima individuale, preparano il terreno alle più ricche e più profonde azioni dei fattori veramente spirituali . I fattori spirituali modificano quelle attitudini che appartengono non alla specie, ma all'individuo animale, e sono fattori che non più modificano l'anima senziente , ma lo spirito ideante dell'animale. Tuttochè questi fattori, nel loro concreto sviluppo, appartengano meramente allo spirito umano, pure gli animali superiori ( p . es . , le scimie antropomorfe) posseggono un certo quale esercizio equivoco e parziale dei suddetti fattori. Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’indi vidui più vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani . È questa la ragione per la quale i suddetli animali non sola mente si aggregano fra loro, ma si organizzano gerarchicamente giusta certi statuti del loro sentimento comune. È importante che un individuo animale possa profittare delle proprie osser vazioni ; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la quale dai più vecchi è partecipata ai più giovani e trasmessa alle generazioni vegnenti come una dialettica delle categorie istintuali , che più tardi si svilupperanno in una vera mentalità. Le categorie spirituali funzionano qui come sviluppate cate gorie psichiche, epperciò il linguaggio , nel suo amplo significato, vera sintesi e genesi manifesta delle categorie spirituali, arriva all'esistenza : come linguaggio puramente psichico; come linguaggio equivoco, ossia psichico -spirituale; come linguaggio assolutamente spirituale. Qui non occorre accennare al terzo stadio, ossia al linguaggio spirituale proprietà esclusiva dell'uomo, ma solamente al primo e secondo stadio del linguaggio che nasce e si sviluppa nell'animalità subumana. Il fattore caratteristico di questa crisi, ossia lo svi luppo dell'anima senziente nella spiritualità pensante, è manifesto piuttosto dal linguaggio muto delle emozioni del corpo e princi palmente di quelle della fisionomia. Quest'emozioni possono for mulare un vero linguaggio, in quantochè manifestano definite emozioni intime con certe categorie, che, non essendo destinate alla mera conservazione dell'individuo e della specie, non si pos sono chiamare semplicemente psichiche, ovverosia istintuali. L'animale, p . es., lussureggia per una mera sensualità erotica, la quale non può essere destinata in verun modo alla pro pagazione della specie. Così pure gli animali giovani giocano colla vivacità propria dell'età loro, la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all'educazione e destrezza corporale dell'indivi dualità . Così i genitori non solo alimentano la loro prole, ma la educano e disciplinano alle pratiche operazioni requisite dalla propria specie, locchè significa che l'ingenita istintualità non potrebbe bastare, ed abbisogna di ammaestramenti delle osser vazioni date a coloro che hanno già vissuto praticamente nella vita . Il linguaggio che abbiamo chiamato equivoco, ossia psichico-spirituale , è quel tale linguaggio fonetico, che veramente non consta di vocaboli , ma semplicemente di VOCIFERAZIONI, le quali significano non solo definite emozioni dell'animo, ma certe anfibologiche determinazioni della mente. Così , per es . , i cani , alla presentazione d'un oggetto che altre volte fu loro nocivo, possono fuggire guaiolando.Qui certo v'ha una psichica emozione provocata da un simile oggetto, ma quest'emozione dev'essere legata alla memoria di una sensazione, la quale memoria appunto costituisce una deter minazione equivoca, psichica o mentale. Gli animali superiori posseggono una svariatissima facoltà SIGNIFICATIVA, mediante una modulazione fonetica, di queste equivoche determinazioni. Quando l'animale arriva definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suolo distinto categoricamente dal non- lo, entra categoricamente nella coscienza spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano. Qui l'umanismo si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico ( la definita soggettivazione), e si manifesta colla parola non certo coi documenti anatomico-fisiologici, che non possono bastare se non a certe ample generalità della distinzione animale.1 Sguardo retrospettivo sullo sviluppo della Coscienza naturale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi impor tantissima, ossia lo sviluppo dell'anima nello spirito, dobbiamo rapidissimamente riassumere la speculazione retrospettiva della Coscienza dall'ordine uranico nel planetario e vegeto animale. Nell'ordine uranico la coscienza procede verso un'individuazione dalla nebulosa alle comete, al sole ed ai pianeti. Quest'individua [Questo punto è espresso molto determinatamente e chiaramente nel l'altra opera di C. Considerazioni sopra il sistema generale dello Spirito,, oveè detto. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo (assai più caratteristico di quell'antichissima vaga definizione dell'uomo ragio nevole) è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa sogget tivazione è fatta con parole, con gesti o altri inezzi spiritualmente formolati , Conformemente a ciò, più innanzi, l'uomo è designato anzi definito come coscienza soggettivatazione, qualunque la si voglia supporre , non può essere una sog gettivazione ; perocchè l'individuo non si distingue dalla specie , e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalis siino, le varie specie vegetabili ed animali sono varie età della vegetazione e dell'animalità. Ma nelle specie vegetabili l'individuo principia a distinguersi dalla specie . Nell'ordine animale non solo l'individuo si distingue dalla specie, ma anche il soggetto dall'individuo ė progressivamente distinto. Cosi, p . es . , il corpo animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate fra loro, le quali , svolgendosi dall'una in altra fase, costituiscono i varii organi ed apparecchi e funzioni vitali dell'a nimale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è nell'animale concreto non negli animalcoli gregarii che lo costi tuiscono . L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Lo Spirito o la Coscienza spirituale . Senso e pensiero e la loro distinzione. Qui dobbiamo caratterizzare definitivamente la distin zione del senso e del pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla Coscienza ; perocchè in questo caso sarebbe un senso che non sente, ma può supporsi astratto dalla Coscienza del senso; perocchè la Coscienza e il senso possono funzionare indistinta inente . Finchè la Coscienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto , è una coscienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la Coscienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: Io sono e l'oggetto è. Io sono quello che sono, e l'oggetto quello che è, cioè l’lo e il non - lo siamo due termini distinti . Quest'idea fondamentale che si percepisce un lo è la soggettività ossia la nascita dello spirito. Quando C. dice qui nascita dello spirito, intende dire nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A con ferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio sensitivo non come pura e semplice sensazione, ma come sentimento. Sulla predetta distinzione, del resto , ritorna nei paragrafi susseguenti. Le fasi dello spirito. Lo spirito consta di tre fasi, il sentimento, l'intel letto ed il concetto. Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato, che poco si distingue dall'anima senziente , ma quest'anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si percepisce soggetto. Il sentimento. Qui dobbiamo brevemente storiare lo spirito nella sua prima fase, ossia nel sentimento. Il sentimento consta di tre termini: l'attenzione, la memoria, l'imaginazione. La funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la soggettività , che lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile. L'attenzione deve funzionare nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve sentire che il senso della natura, ossia l'istinto, più non gli basta. Questo sentimento dell'insufficienza del proprio istinto l'avverte, che necessita osservare ed imparare le pratiche della vita ; è la prima funzione della mentalità . Epperciò tutte le lingue ariane conservano più o meno esplicite le traccie della parentela lessica di maneo e mens, quasichè pensare e fermarsi, ossia fermare l'attenzione sopra un oggetto, siano due opera zioni molto affini. Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste ope razioni, nella loro sensibile inanifestazione esteriore s'identificano in un fatto comune, quello dell'arrestarsi. La Coscienza che fissa l'attenzione sopra un oggetto, cerca nell'oggetto qualcosa oltre il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente. La seconda funzione caratteristica del sentimento è la memoria . Mediante la memoria una sensazione presente si può risu scitare quando non sia più presente. La coscienza attentiva all'oggello studia un oggetto esteriore ed abbisogna della pre senza di esso oggello per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa l'oggetto osservalo, epperciò si costituisce indipendente dalla presenza del medesimo.La terza funzione caratteristica del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione non solo conserva l'oggetto osservato, ma crea l'oggetto che non ha osservato. Questa funzione emancipa la Coscienza, non solo, come la memoria, dalla presenza dell'oggettto, ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo, epperciò l'imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività . Questa facoltà crea non solo l'oggetto composto di oggetti osservati, ossia non crea solo la mera composizione, ma crea gli oggetti che non constano di elementi osservati , ma oggetti radi calmente imaginari , tuttochè le semplici categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire all'imaginazione se stesse per possibilitare la creazione. Il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante , ossia dalla bestia all'uomo, è pure una progressiva distinzione della Coscienza in soggettiva ed oggettiva . Qui la detta distinzione è una mera distinzione generale dell'lo dal non-Io . L'lo si sup pone vivente e pensante altro dal non- lo, in sè stesso parimenti vivente e pensante. La natura si rivela come un popolo di viventi e di pensanti , non si suppone ancora l'altro dal vivente -pensante , ossia il non vivente e il non -pensante ; si suppone semplicemente l'altro dal moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e ininerale, la vegetabile e l'animale si suppongono distinte dal mio lo, non però distinte dall’lo generalmente par lando, ossia si suppongono possedere un loro lo analogo a quello della Coscienza umana . Esaminale le radici, ossia gli antichissimi suoni elementari del linguaggio e troverete ogni dove significata l'universa natura come vivenle e pensante analogicamente alla Coscienza umana ; non vi troverete mai la natura morta colle sue forze cieche, go vernale da necessità parimenti cieca , vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento esplicito dalla Coscienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro individuo. È questa comuni cazione la prima proprietà per cui l'idea cogitabile è distinta dalla mera sensazione. Nessun linguaggio potrà fornire una sensazione, se questa non sia stala data dal senso come tale lo potrò, p. es. , parlare in qualsivoglia modo degli oggetti visibili , ma il cieco nato non potrà mai comprendere che sia la visibilità. Se un soy getto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva , potrà, parlando degli oggetti veduti , richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non potrà mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice imaginazione.La prima conseguenza della Coscienza senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l'idea come tale , ossia nella forma della Coscienza cogitante, può essere trasmessa dal l'uno all'altro soggetto, non può essere trasmesso il senso come tale , ossia nella forma della Coscienza senziente . Cosi il soggello è abilitato a sapere quello che non egli , ma gli altri hanno percepito col senso, oppure quello che egli in altro tempo ha per cepito col senso , oppure indurre un'idea da quello che presen lemente percepisce col senso  C.. Sinossi, ecc. Cosi , p . es. , la pecora condotta al macello vede macellare la sua simile e non solo non induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che questa presente operazione signi fichi un'uccisione ; perocchè non possiede l'idea della morte. Cosi il soggetto pensante può sapere quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce da una facoltà, per la quale da una sensazione si astrae un'idea. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato colla memoria, e nell'avvenire coll'ima ginazione; il soggetto senziente vive astrattamente nella sua sen sazione presente. In virtù della sensazione, che non può essere indotta in un'idea, egli non possiede, come il pensante , la distin zione di una natura predominante ed insubordinabile al soggetlo , e di una natura subordinabile e passibile del soggetto . Quest'idea prototipa della forza è un'idea cardinale dello spi rito, è stata il primo germe della religiosità. Osservate il Dio di tutti i popoli, e lo troverete Dio , non perchè sommamente ragio nevole, ma perchè onnipotente. Nelle religioni spiritualmente più adulte rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto che quella della ragionevolezza, l'attributo eminentissimo della divinità. Mediante questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato , di essere stato lattante, di essere stalo partorito , e cosi pure può sapere che tutti i soggetti , nessuno eccettuato, non vissero oltre una certa inassima età, ma morirono in quella o prima di quella . Conseguentemente egli sa che il sog getto non solo nasce e nuore, ma può nascere in varie condizioni , e morire in qualsivoglia momento della sua vita . $ 126. La nozione della nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della Coscienza realizzato la prima volta che la Coscienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapiente inente nella genesi è detto che l'uomo prima di peccare, ossia di gustare il frutto del bene e del male, non inoriva, ed avendolo gustato dovrà morire .Veramente la Coscienza senziente non può sapere di nascere e di morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione trasmessa dall'uno all'altro soggetto , ovvero un'idea in dotta dal fatto costante della morte. Ricapitolando, questa crisi della Coscienza, ci mani festa che la Coscienza , dalla sensazione svolgendosi nella men talità , procede in un sistema di distinzioni ideali , che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità , che nasce dalla sensazione , è prolotipicamente imitatrice della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la forma della sensazione stessa , che pro gressivamente si trasforma in quella del pensiero . La mentalità è prototipicamente sentimento, e funziona in tre caratteristiche fun zioni cioè : come attenzione ; come memoria; come imaginazione . Da queste tre prototipiche funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La mentalità non più vive nell'immediata sensazione, ma crea il conflato temporaneo e vive nella retrospettiva del passato e prospettiva dell'avvenire. Questo conflalo temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l'imme diato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità induci bile dall'osservazione. Da quest'osservazione nasce una seconda idea elementare della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza subordinabile alla nostra . Di qui la mentalità si esercita per subordinare le forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un fatto costante che l'uomo nasce e muore, e finalmente che io come uomo sono nato e devo morire . L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un'idea comunissima, è lungi dall'essere tale . La Coscienza primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi , percepisce la morte come un fatto costante ; ma, come la riſlessione , non arguisce punto che questo fatto , tuttochè costante , sia necessario . Suppongono questi selvaggi che la natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l'uomo; ma suppongono pari menti che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sforlu nata accidentalità. La coscienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria determinazione indi viduale ; ma proprie determinazioni non affettano un sistema generale della Coscienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre questo sistema generale della Coscienza è piena mente uniforme al senso comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema si aliena dal senso comuue in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che questo soggetto è inspirato, ossia pro fetico , laumaturgico, e così via . Generalmente parlando, questa Coscienza trascendente subor dina la comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità . Quando il soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed esercita una pratica con tradittoria a sè stessa, ovvero incompatibile colle esigenze gene rali della pratica oggettività, allora si dice , che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche dell'oggettività natu rale e spirituale ( in questo senso gli alienati sono coloro che comunemente si chiamano pazzi ). La Coscienza trascendentale, ossia la Coscienza domi nata dall'idealismo, Coscienza essenzialmente poetica , è il polo opposto della Coscienza dominata dalla sensazione, Coscienza essenzialmente prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità , a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di quest'opposizione archetipica della sua storia.Il linguaggio e i suoi stadii. L'organo più essenziale e più generale della mentalità è LA LINGUA. Il primo stadio della lingua è l'uso della RADICE DESIGNATIVA. Qui la lingua non designa che la presentazione o il modo della presentazione, e sempre si riduce alle semplici categorie del tempo e dello spazio. I pronomi personali non sono primitivamente Io, Tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a questo primo stadio della lingua, ma: “qui,” “là”, ecc. -- categorie dello spazio. Una lingua che consta di radici semplicemente designative non può soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio. Il secondo stadio consta di una RADICE *PREDICATIVA*, ma tuttavia legata a una sensibile determinazione. Cosi, p. es., per DE-SIGNARE un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto (“shaggy”) p. es., il verde per DE-SIGNARE la pianta. Quest'attributo sensibile, sendo necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi, i quali scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono arrivare a formolare le specie, ma smplicemente oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggetto; come, p. es., definie la pianta non l'individuo verde, ma l'individuo polare, i cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende tutte le piante ; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della pianta. La lingua è posseduta da tutti gli animali come lingua psichica di movimenti o di formalità. Ma la lingua che caratterizza la soggettività è appunto la lingua psichica che si svolse nella spirituale. Altrove abbiamo trattato esplicitamente quest'argomento e crediamo superflua una ripetizione. Qui giova solamente accennare, che le prime radici della lingua significarono mere affezioni dell'anima e più tardi si svolsero in significati metaforici, per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il suono espresso dall'anima e l'anima esprimente è quello stesso rapporto, ma più complesso, per il quale DETERMINATI ANIMALI SIGNIFICANO (alla Grice) con certi definiti suoni cerle definite affezioni dell'anima loro .L'uomo, sviluppando in sè stesso la propria mentalità e l'organo per significarla, si conobbe come specie comune. La prima lingua quasi naturale deve essere stata pressochè identica in tutti i soggetti umani, come TUTTE LE PECORE BELANO, tutti i cani abbaiano ed urlano. Dovette essere una lingua nata con loro e trasmessa alle generazioni senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La lingua è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente trattati da C., il quale la conosce, ed a fondo, in molte forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato, infatti , in molte sue saggi. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande opera, cioè Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “ Prolegomeni, Torino. Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale; nella Introduzione alla cultura generale. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite . Stato primitivo dell'uomo.L'uomo che possedetle questa lingua visse nelle foreste in aggregazioni o società piuttosto fortuite, poco dissimili da quelle dei quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo facea più fragile degl’altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, con sanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest'enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l'affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella mentalità. È una mentalità che si ma [Sono certo che la quasi totalità de' lettori non sarà d'accordo su questo punto col Ce., e riterrà l'associazione umana come una necessità e non già come un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo particolare carattere.] nifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l'uomo antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio in procinto di essere cattivalo dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai. L'istinto della propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano fra gl’animali pensanti. Tuttochè qui dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della lingua, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggetto, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla nessuna organizzazione. La lingua appartiene cosi al soggetto solitario come al soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni dell'amore. L'uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico, occasionale. Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre . Ma la lingua, che persuase la copula dell'amore, è la medesima lingua, colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la lingua può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si può dire in tesi generale, che la lingua genera la storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento   SINOSSI DELL'ENCICLOPEDIA SPECULATIVA della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana mentalità , e, conseguentemente , delle gesta che ne sono conseguite. Proseguiamo a speculare circa i fenomeni più radicali della soggettivitàesologica" Il sillogismo che passa dall'astrazione esologica nella essologica è il sistema dell'Essere-Essenza-Coscienza, che passa nel sistema del Meccanismo-Chimismo-Vita. L'Essere esologico è Quantità - Qualità - Modalità, dall'unità corriflessa delle quali categorie avviene (sorge) l’Essenza. L'Essere essologico determina la Qualità nell'Alteriorità, la Quantità nella Esteriorità, la Modalità nell'Apparizione. Quindi l'Alteriorità diventa Temporalità , l'Esteriorità diventa Spazialità , l’Apparizione diventa Luce... Esologica Alessandro Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords: communication, convention, homo sapiens, pirothood, inter-subjective, animality, animalness, soul, psichico, psychic, psychical versus psychological, progression, pirotological progression, cenobium, neologismo, panlogica, pantologico, logo, esologo, essologo, sinautologo, prologo, dialogo, autologo, tre categorie: tesi QUANTITA (meccanica), anti-tesi, QUALITA (fisica), sin-tesi MODALITA (vita) – arte/religione/filosofia; storia/didattica/diritto, antropologia, antropopedeutica, antroposofia, prasseologia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceretti” – The Swimming-Pool Library. Ceretti.

 

Grice e Ceronetti: l’implicatura conversazionale della lanterna – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio, I Sensibili divenne pubblico e itinerante. Œ In Difesa della Luna, e altri argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti -- "il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni, lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici. Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili), opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta.  Prese posizione a favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale, quasi da moderno anacoreta.  Solo un vero vegetariano è capace di vedere le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel  per Radio Radicale Come articolista, principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore, colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il terrorismo palestinese).  Nel  fu insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, fino al, quando intervenne al congresso dei Radicali Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un "conservatore" e patriota del  Risorgimento (descrisse l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro... l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non finiscono di manifestarsi.»  (Ti saluto mio secolo crudele) Nel  propose in un articolo su la Repubblica, ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido C.) e Geremia Cassandri.  Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il paese di origine dei genitori.  Disposizione da prendere. Non voglio donne in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate sempre, nella vita.»  Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi, Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti, Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina, Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi, Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa, Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi, Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D. Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare. Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese, Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, La lanterna del filosofo, Adelphi, Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice, Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo in lingua italiana, Adelphi, Milano,, Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini, Einaudi, Torino,, L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano,, Tragico tascabile, Adelphi, Milano,, Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,, Per non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano,, Regie immaginarie, Einaudi, Torino,   Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini Mariotti, Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Poesie, frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, Premio Viareggio; Opera Prima; Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e per non vivere, Einaudi, Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri versi, illustrazioni di Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni e disperazioni. Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo Cattaneo), San Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited, Alberto Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La distanza. Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo, Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il gineceo, Tallone, Alpignano; Adelphi, Milano, In memoriam di Emanuela Muratori, Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone, Alpignano, Adelphi, Milano,, [nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate dalle carte di Lugano, Alberto Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di un aereo che sta precipitando, Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al Tulliano Notte; , Alberto Tallone, Alpignano, Con l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone, Alpignano; Invocazione al Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto Tallone, Alpignano; Le ballate dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi del Gineceo, Adelphi, Milano,, [riedizione de Il gineceo  con inediti e nuova prefazione] Sono fragile sparo poesia, Einaudi, Torino,, Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione francese. Carte Segrete, Roma, Alcuni esperimenti di circo e varietà. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic Luna Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi figurativi di Giosetta Fioroni, Becco Giallo, Oderzo; Viaggia viaggia, Rimbaud!, Il melangolo, Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto Tallone, Einaudi, Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino [contiene: I Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a Torino negli anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone, Alpignano, Rosa Vercesi, illustrazioni di Maggioni, Edizioni Corraini, Mantova; Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi, Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G. Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano; Catullo, Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, Blanchot, Il libro a venire (Le Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino; Il Saggiatore, Milano,. Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova traduzione; Qohelet. Colui che prende la parola, Adelphi, Milano,  Decimo Giunio Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta, Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore, Alpignano, nuova versione riveduta,. Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi, Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano. Libro di traduzioni, Adelphi, Milano; Konstantinos Kavafis, Nel mese di Athir, Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione che durerà; profezie estratte dalle Centurie di Michel de Nostredame, Alpignano, Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni & Corubolo, Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi, Pisa, Teatro dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per ricordare. Una scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo La rivoluzione sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di locandine teatrali a fogli sciolti dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano, senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante, Roma (con Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal Corano, calligrafia di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater noster. Matteo 6, calligrafia di Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza, con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl, Piccola Biblioteca; Adelphi, Milano, Giorni di Kavafis. Poesie di Constantinos Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia, Alberto Tallone Editore, Alpignano; Adelphi, Milano,.nella seconda parte del libro, Siamo fragili, Spariamo poesia. i poeti delle letture pubbliche del Teatro dei Sensibili, Qiqajon, Magnano, 2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti. De Rerum Natura. Alberto Tallone, Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra fuggitiva di piacere, Adelphi, Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia tradotta, Einaudi, Torino, François Villon, I rimpianti della bella Elmiera, Alberto Tallone Editore, Alpignano,. Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti, Adelphi, Milano,. Epistolari Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni, Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori una vigna. Lettere ad Arturo Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il Notes Magico, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare l'abisso. Lettere, Milano, Adelphi,. Spettacoli del Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Tragedia per marionette (allestito in appartamento), prodotto dal Teatro Stabile di Torino, con Ariella Beddini,  Simonetta Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido Ceronetti), scene e costumi di Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per marionette allestito in appartamento) Lo Smemorato di Collegno (anni '70, spettacolo per marionette allestito in appartamento) Diaboliche imprese, trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo per marionette allestito in appartamento); Fu interpretato al Festival di Spoleto da Piera degli Esposti, Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la regia, scene e costumi di Enrico Job I misteri di Londra (allestito in appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di Torino, regia di Manuela Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca Mauceri (Baruk), Valeria Sacco (Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le marionette del Teatro dei Sensibili. Furori e poesia della rivoluzione francese. Tragedia per marionette (allestito in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma con i burattini di Maria Signorelli Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto dal Teatro Stabile di Torino), spettacolo per marionette ideofore con Armida (Nicoletta Bertorelli), Demetrio (C.), Irina (Bottacci), Norma (Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione sconosciuta, mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani Viaggia viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione del centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici, ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini, Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino) Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco, Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di Guido Ceronetti (a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali, Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I collages di cartoline d'epoca del Fondo C.i, cura di Rüesch e Franciolli, Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte Lugano, Poesia marionette e viaggi di C. nelle visioni di Cattaneo, Tesi eVivarelli, Comune di Pistoia, Dare gioia è un mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei Sensibili di C., Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge, Marcovaldo, Nella gola dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX secolo. Tutti i collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da C.i, Il melangolo, Genova, "Per le strade" di C., Omaggio allo scrittore, Rüesch e Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini-Fondo Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su C. I Misteri di Londra. Tragedia per marionette e attori, regia di Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino (riprese videografiche dello spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole musiche storie, di Luca Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido Ceronetti. Il Filosofo Ignoto, film documentario di Fogliotti ePertichini (Italia'), prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti e dei Cinecircoli giovanili socioculturali. C. nei mass-media Cura cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui "intervistò" Attila (Bene), Auguste e Louis Lumière (Bianchini e Scaccia), George Stephenson (Scaccia), Jack Lo Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino Artusi (Scaccia). Il cantautore Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal vivo Nel niente sotto il soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda traccia (Non trattare)una registrazione di C. che declama i primi versetti del Qoelet. Note  Ha usato per molti anni un sigillo con scritto "In esilio": Capossela intervista C. Morto lo scrittore, in Corriere fiorentino, C., Tra pensieri, Adelphi, Milano, Stefano, In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori, Milano, C. morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna”  Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/ repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html  Samantha, lo spazio e il signor Freud  "C. L'inferno del corpo", in Cioran, Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano,   "Oggi una quantità delle mie carte è partita per Lugano dove tutto entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca Cantonale." Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate urlate urlate. / Non voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/ Nutrita a forza in corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette di coma che m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del Presidente della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti attribuito un assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto della legge Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione, "Il nostro meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro, qualsiasi abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la Famiglia non gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano (comedonchisciotte. Org forum/ index .php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il- pericolo-senza-nome lessiconaturale/ migranti-e-prediche/)  (ilfoglio /preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo)  (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo)  (ilfoglio/ preservativi/ news/ deutschland-pressappoco-uber-alle, Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista C. dice, come altri non oserebbero, che “hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale e religiosa", C., nel dolore si nasconde una luce)  Mario Andrea Rigoni, Ma non bisogna confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido Almansi, Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke L'invasione Africana; “Il male omosessuale” (C. dixit). Albergo Italia (Einaudi, Torino), capitolo "Elementi per una anti-agiografia",  Uno, cento, mille C., C., Priebke. Alcune domande intorno a un ergastolo, la Stampa  Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di C. per Priebke, il Foglio, Sono sempre stato anticomunista, sempre, Forse, subito dopo la guerra ho avuto una certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da dire, da quando ci si è risvegliati. Di quel periodo non ho voglia di parlarne, ero tra i soliti ragazzini stupidoni che andavano alle adunate, ma non c'è storia di anima o di pensiero o di famiglia che riguardi il fascismo. I miei non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. (Corriere della sera). Si dice il responso delle urne. Come se un popolo di cretini potesse fornire oracoli (Per le strade della Vergine)  la mia America: “Un baluardo contro l’ideologia comunista”  XIII Congresso Radicali Italiani  ilfoglio/preservativi/ prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella- impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/ cultura/c.-in-un-amore-felice  Chi era, fustigatore dei vizi degli italiani  Riviste/ Su “Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno  C.: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a Torino, per mettere in scena col Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio. Sulla porta metto quest'altro mio nome: Geremia Cassandri. La pazienza dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano, Adelphi, Premio letterario Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO “MONSELICE” PER LA TRADUZIONE, su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia, Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di ammirazione (Adelphi, Milano, Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta Fioroni, Marionettista. C. e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa (Corraini, Mantova) Giovanni Marinangeli, C., Il veggente di Cetona (Fondazione Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili (Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di C. (Junior, Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia (La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi, Pareti di carta. Scritti su C. (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone (Adelphi, Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in C.i, La Finestra Editrice, Lavis, Cioran Gnosticismo moderno.  Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica, Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. "StgvvU  nni GIURISPRUDENZA ROMANA. ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO. PARMA, BATTEI. Le mie parola sull’istituzioni  di diritto romano consentite che sia, quale il sentimento vivo e sincero dell'anima la richiede. Sia d' omaggio a' miei maestri, ai quali ritomo  qui con ossequio immutato; sia di saluto fraterno agli studenti, a cui mi presento, e da cui mi bramo accolto, quale compagno di studi, fiducioso di trar lena, pel compimento  del mio assunto, più che dall' ingegno troppo scarso ed  inesperto, dal loro consentimento amichevole, dallo scambio  fra noi , vivo e continuo, d' affetto fraterno. Da questo  scambio io trarrò buon augurio alla carriera d'insegnante,  verso la quale muovo oggi con trepidanza il primo passo, e alla quale volsi e volgo ogni mio studio, guardando alla  meta con assiduità ferma di volere: del quale io non certo  dovrò dolermi, se, per debole ingegno o per avversa fortuna,  quella dovesse per avventura sfuggirmi. E però consentite  che, muovendo il primo passo per questa via, io qui ricordi  l'assidua e amorosa intelligenza di cure del Maestro illu-  stre che ad essa mi guidava, e di cui ognuno ricorda e  r alta vigoria del pensiero, nutrito da corredo mirabile di studi vari e profondi, e la bontà pura, ideale dell' anima,  onde qui, come ovunque, conquise d'affetto reverente maestri  e discepoli. Consentite che a Brini io mandi un  saluto, coU'affetto il più riconoscente e devoto di discepolo  e di fratello. Invoco ora, o Signori, la vostra attenzione indulgente  sopra un tema, che, per sé, non parmi inopportuno a trat-  tarsi al principio d'un corso d'istituzioni di diritto romano:  se e quanto abbiano avuto d'influenza sulla GIURISPRUDENZA IN ROMA le scuole filosofiche. Perchè, come in tal corso deve studiarsi per rapidi tratti tutto 1' organamento  del diritto privato e i singoli istituti di esso. Così è conveniente ed opportuno esaminare e valutare quali elementi  sul delinearsi e conformarsi di quelli ebbero efficacia, e  quanto debba attribuirsene a ciascuno. La ricerca può talvolta, è vero, rasentare e quasi toccare il campo della  storia del diritto romano, che si volle dalle istituzioni disgiunta; ma tali contatti non fa duopo osservare come in  punti non pochi e non lievi siano inevitabili, per quanto  si voglia lasciare al corso d' istituzioni il carattere più  prettamente dommatico. Che invero troppo spesso non può trascurarsi, per lo studio preciso e compiuto degl’istituti  all'ultimo momento giustinianeo, uno sguardo alla loro origine e alla vita secolare che precede quel momento: origine  € vita di cui alla cattedra di storia vuoisi riserbata la ricerca più diretta e diffusa.   n tema eh' io prescelgo è arduo. Di più esso entra  buon tratto in un campo che non è il mio, nel quale io m' avanzo peritoso, con un corredo scarso di studi e invocando l'indulgenza di chi coltivi di proposito la storia della filosofia, e qui segnatamente del pensatore illustre, che è onore di questa nostra facoltà giuridica alla quale presiede. All'arduezza del tema se ne aggiunge la vastità. Talché il tempo riserbato a discorrerne congiurerà colle deboli forze del disserente a renderne imperfetta per più lati la trattazione; la quale afifaticò in lavori appositi e in trattati generali d' antichità e di diritto romano, uno stuolo numeroso di filosofi, fra cui non pochi valenti, dal Cujacio  in poi, e che fu pur di recente ripresa anche in Italia. Fra altri, da un uomo, il cui nome segna una gloria e un  lutto eterno perle scienze romanistiche: Padelletti. Vanni. Io non certo presumo esaurirla, ma solo mi propongo  riassumerla per larghi tratti, valendomi e delle altrui ricerche e di quelle ch'io venni compiendo direttamente sulle  fonti, procedendo dunque con modestia d'intenti. D’una cosa  però sopra ogni altra curandomi: di quella serena imparzialità di giudizio, che in temi di questo genere, che toccano da vicino le varie credenze filosofiche individuali, è  facile troppo lo smarrire. Che invero non ci mancheranno,  nel procedere in questo tema, esempi di aberrazioni stranissime, a cui, privi di quella, uomini, pur valorosi, riu-  scirono. E innanzi tutto vuoisi qui delineare per cenni la storia  delle varie scuole filosofiche che tennero in Roma il campo: storia per verità ben nota ad ognuno; ma pure non inutile forse a richiamarsi qui, in brevi tratti , perchè tosto se ne  colgano quegli elementi, che sono essenziali nella trattazione  del nostro tema. Solo però dall' epoca di CICERONE tali  cenni debbon prender le mosse. Che, se può accogliersi che  coi nomi di Socrate, e in ispecie dell’ACCADEMIA e del LIZIO,  giungesse già prima in Roma una qualche eco delle loro dottrine, questa dovè riuscir ben fievole e inefficace, mentre tanto  saldo e fiero durava tuttavia in Roma quello spirito anti-filosofico, per cui va Famoso CATONE, e da cui fu destata  l'implacabile ironia d’ENNIO. Le dottrine filosofiche dell’ACCADEMIA e del LIZIO  penetrano, benché solo frammentariamente e indirettamente, coli' insegnamento di Panezio; al  quale V aver abbracciato IL PORTICO non tolse di seguirle  e propugnarle in taluni punti. Ma l’efficacia del PORTICO è però  come maestro di dottrine, nelle quali ebbe discepoli autorevoli e numerosi, e fra essi giureconsulti di grido. Corrispondendo quelle, pel largo svolgimento che IL PORTICO da  alla morale, con pratici e austeri intenti, alla natura del  genio romano. Nel quale per contrario mal poteva svilupparsi il germe dell' elevato idealismo dell’ACCADEMIA. Così  come non poteva averne favore la poca praticità diretta  delle dottrine del LIZIO, già entrate in Roma coi libri  di Aristotele arrecativi da Siila, colla diffusione curatane  da Andronico da Rodi e da Tirannione. Ne molto di più potevano avervi efficacia le dottrine della NUOVA accademia,  propugnate da Filone di Larisse e da Antioco. CICERONE, pur abbracciando sostanzialmente IL PORTICO,  coglie e assimila, secondo quella che fu pure la tendenza di  Panezio, e rimase tendenza della filosofia romana in generale,  quasi da ogni altra scuola taluni de' principii che meglio vi corrispondessero al genio romano. Solo combatte invece la FILOSOFIA DELL’ORTO, forte allora, e ancor più poco appresso:  il quale dura buon tratto allato alla scuola del PORTICO, fino a  che perde teneno. E, come CICERONE assimila principii  estranei allo al PORTICO, altrettanto ne rigetta ciò eh' era in  questo di troppo rigido, e però praticamente inefficace. Ptr CICERONE, ad esempio, contrariamente al PORTICO, non è immeritevole di pregio il moderato godimento -- De sen. 14. Se il  bene morale sta al disopra d'ogni altro, esso non è tuttavia  il solo bene possibile e apprezzabile. Se è vero che il dolore dev' essere virilmente tollerato, non è per questo men vero ch'esso sia un male (Tusc, II, 18; II, 13).  Per tal modo, con quest' opera e di assimilazione e  insieme di selezione. CICERONE procaccia il germe delle dottrine filosofiche elaborate più tardi. La distinzione dell'corpo e dell’anima, il legame  di origine e finalità comune che unisce tutti gl’uomini e  che impone a tutti l'obbligo di fratellevole aiuto, che trovano trattazione più diffusa negli scritti di Seneca, e  poi di Antonino, son già delineati, chiaramente in Cicerone (cfr. De rep., VI, 17; Ttisc, I, SI; De off., Ili, 6;  De leg,, I, 23) (1). Dopo Cicerone, frammezzo alle lotte  combattute dai FILOSOFI DELL’ORTO, fra i quali risplende il genio  sovrano di Lucrezio, e mentre pure dalle file dei filosofi del CINARGO partono le satire aspre ed argute di Varrone, Q. Sestio  prosegue, benché intinto della setta di CROTONE, le tradizioni del PORTICO. Sestio raccolte poi da Fabiano e piti tardi da Attalo, a cui  die' gloria l'esser maestro di Seneca. La tendenza eclettica, che si ha ognora in tutto  questo sviluppo, ci si presenta più che mai viva e spiccata  in Seneca, già inclinevolo alla setta dei Crotonesi, ammiratore dell’Accademia, né sdegnoso di citare Demetrio del Cinargo ed Epicuro dell’Orto.  E in punti sostanziali egli dissente dal Portico. Significantissimo é un esempio, che già da altri fu notato e illustrato. Per il PORTICO non può aversi diversità di  natura fra ciò che chiamasi corpo e anima. Seneca separa i due elementi e finisce per creare una specie di antagonismo, che spiega la vita. Il corpo é la prigione  dell' anima, un peso che la rattiene verso la terra. Finché  è unita al corpo, sta come avvinta in ceppi (Ep., 65, 22). L’anima, per conservare la sua forza e la sua libertà, lotta di  continuo contro la carne (ibid.). Questa distinzione, così  precisa, del corpo e dell' anima é estranea al vero sistema  del Portico e Seneca è indotto da questa a conseguenze che  anche più si allontanano dalle dottrine de' suoi maestri.  Secondo il Portico, l'anima muore, dopo che il mondo sarà distrutto per mezzo del fuoco. Seneca, esitante su questo punto,  dopo aver detto a Marcia che tutto annienta e strugge la  morte (Com, ad Marc, 19, 5 ), le descrive l’anima del  figlio, salente al cielo, a lato di Catone e dei Scipioni. E scrive altrove senz'altro esser l’anima eterna e immortale (Ep,, 57, 9). Distacco certo notevole, ma nel quale troppo volle vedersi oltre il vero, col dar vita air omai  sfatata leggenda che Seneca si ascrivesse alle sette cri-  stiane (6).   Seneca riprende con nuova energia V indirizzo morale  di cui già erano i germi in Cicerone: a questo solo rivol-  gendo ogni suo sforzo. Egli non si cura delle discussioni  teoriche sul massimo bene, non formula dogmi; ma segna  le norme morali, fin pei rapporti più minuti della vita. Dopo Seneca, il movimento filosofico prosegue. E dopo  la nube che parve oscurare, sotto i regni di Vespasiano e di Domiziano, la fortuna dei filosofi, questa rifulge poco appresso più che mai splendida. Plutarco vien cogliendo nella morale, anche con più ampia libertà eclettica le regole  sostanziali del PORTICO, togliendo a questo però la rigidità ch'era in Seneca: e benché inclinando verso l’Accademia, col far presiedere alla vi' a un divino primo, sotto il  quale stanno divini di secondo grado, a cui rimangon dietro,  a lor volta, i genii mediatori, giusta il concetto dell’Accademia,  fra l’umano e il divino.   E a quello che potè chiamarsi l'impero dei filosofi,  sotto Antonino, si gittano le basi nel principato d'Adriano.  È a questo tempo che la lotta secolare dell' ellenismo contro il ROMANESIMO finisce colla vittoria completa di quello.  Sì che a Roma accorrono da ogni parte del mondo filosofi, desiderati ed onorati. Demonace può paragonare Apollonio, che muove co' suoi discepoli da Atene a Roma, ad un argonauta, che vola  al rapimento del vello d'oro (Luciano, Bem.y 31). È  à quel tempo che la filosofia compie in Roma un passo  gigantesco con Epitteto. Questi prosegue la dottrina del PORTICO,  benché con certa tendenza verso il CINARGO. Fissandovi essenzialmente il pensiero subbiettivo come principio e criterio della verità, e però riducendo a formale il mondo esteriore. Non dunque dolori, ma fantasie di dolori; onde la  inalterabile fortezza e il disprezzo severo d' ogni bene umano.  E la filosofia d' Epitteto, continuata e propugnata strenuamente da Flavio Arriano, germoglia più tardi nel sereno ingegno di Antonino, che, elevando come ad eccelso  ideale, il concetto della vita secondo natura, deducendone, come conseguenze necessarie, la legge più pura della carità umana, chiude gloriosamente il ciclo del PORTICO in Roma.  Appressa solo qualche bagliore raro e scarso traluce fra le  tenebre che si vengono da ogni lato addensando. IL PORTICO non fa più un passo. Non vale la filosofia dei così  detti accademici eruditi, già prima coltivata, allato al Portico, da Favorino, da Massimo di Tiro e da Alcinoo, a gittare alcun germe fruttifero. E le dottrine troppo idealistiche  dei accademici, formulate con nuovo vigore da Plotino, rimangono il culto inefficace  di qualche anima solitaria. Già da questi cenni, benché così rapidi e incompleti,  traluce una singolare coincidenza. I momenti  essenziali per la storia della filosofia in Roma coincidono  coi momenti essenziali per la storia della giurisprudenza. Il genio eclettico di CICERONE negl’anni della REPUBBLICA, dà in ROMA inizio efficace agli studi della filosofia, air incirca nel tempo, in cui -- scorse tre generazioni da quando lo specchio di Gneo Flavio sottrae l'arte del diritto all'arcano monopolio pontificale e l'insegnamento tentato dal pontefice plebeo Coruncanio offre i germi, raccolti e rudemente elaborati da Sesto Elio. Q. Mucio SCEVOLA gitta pure co' suoi XVIII libri iuris civilis i fondamenti sistematici del diritto. E, al principio del principato d’Ottavinao, la filosofia, segnatamente del Portico, fiorisce per  r insegnamento di Sestio, al tempo stesso in cui 1'eredità gimidica, tramandata dall' era repubblicana è raccolta dall' intelletto sovrano di LABEONE, che inizia per la  giurisprudenza l’età delle sue glorie più fulgide e insuperate. Età che si continua, con isplendore ognor più vivo, fino a Salvie Giuliano, che colla fissazione deir editto perpetuo, compendia il tesoro elaborato con continuità meravigliosa d’Ottaviano ad Adriano; nel quale  appunto si vien preparando quello che si disse a buon  dritto rimpero dei filosofi. Questa coincidenza di tempo non deve indurre in noi  nessun preconcetto che valga a sviarci dal sereno esame del nostro tema: l’analisi dei concetti giurdici.  Ma noi dobbiamo tuttavia notarla, perchè  molto soccorso potrà veoin^ene per spiegazioni .e raffronti  nel seguito delle nostre ricerche. Ed entrando omai neir esame del tema, ricerchiamo  se nel principio che regola gl’istituti e rapporti v'ha  alcuno degli elementi filosofici siamo venuti seguendo. Ne vi spiaccia clie sopra tutto e' intratteniamo in quest' ufficio modesto e paziente di semplice constatazione e che riserbiamo a più tardi alcune considerazioni d' ordine generale, che da questa potranno emergere. Consideriamo tosto i requisiti essenziali al soggetto del diritto. L’ esistenza fisica e i tre status -- essenzialmente  lo status di libertà.   Fra le regole spettanti all'esistenza fìsica l’influenza  del PORTICO ci si presenta spiccata nel concetto teorico di  cui è cenno specialmente in un testo d'Ulpiano, per cui si  considera il feto tuttora entro le viscere materne come  parte di queste – “mulieris portio vel viscerum” -- : Ulp., fr. 1  § 1 D. 25, 4 e prima Papiniano, fr. 9 §. 1 D. 35, 2 —  “homo non recte faisse dicitur”. E però tosto da osservarsi come questa considerazione astratta, tolta manifestamente dal PORTICO (Plut., Plac. pML, V, 14, 2: \iripoq  eivai Ttig x(X7Tpòq) rimanne in pratica lettera morta. Perchè, logicamente, dal considerarsi il feto parte delle viscere materne, verrebbe che, fino al momento del suo staccarsene e del suo passaggio ad esistenza di per sé stante, esso non dove dar luogo ad alcun apposito rapporto giuridico. Mentre, contrariamente, stan di fronte a tal concetto  la legge di Numa che proibisce di seppellire la donna  morta incinta, prima di averne estratto il feto (fr. 2 D.  12, 8), le pene contro il procurato aborto, il divieto di  Adriano di eseguire la sentenza di morte contro la con-  dannata incinta ( fr. 18 D. 1, 5), la tutela al ventre  pregnante, risalente fino a prima delle XII tavole, e la “honorum possessio”, che a nome di quello potè chiedersi; istituti e rapporti intesi tutti alla protezione di un soggetto di diritti sperato, e dentro altro soggetto. Onde  pure la risposta affermativa alla questione, che tuttavia parve necessario propoiTe. Se il figlio, nato dalla  madre exsecto venire, abbia diritto di succedere ad essa  (Ulp., fr. 1 §. 5 D. 38, 17 ) e il considerarsi come un essere già esistente il feto entro lo viscere materne, benché  non ancora a sé stante. Ciò secondo la verità eterna e precisa delle cose. ( Cfr. Giul., 37 dig,^ fr. 18 D. 36, 2: Is cui ita legafum est, qìmndoque liberos habuerit, si praegnatc uxore relieta decesserit, intelligitur expleta conditione  dccessisse et legatum valere, si tamcn posthuììius natus  fuerit; Ter. Clem., lib, 11 ad leg. lui. et Pap., fr. 153  D. 50, 16: IntellegendiiS est mortis tempore fuisse qui in  utero relictus est\ Celso, 16 dig.y fr. 187 D. 50, 17; Ulp.  19 ad Sab., fr. 20 D. 36,1).  Espressamente si fa risalire ad Ippocrate la regola che  assegna il tempo di *VII* mesi, come termine minimo della  gestazione (Ulp., fr. 3 §. 12 D. 38,16; Paolo, fr. 1*2 D.  1, 5). Ma, per sé, la necessità di segnare un termine minimo, sufficiente di regola alla gestazione, si afferma per  motivi esclusivamente sociali e giuridici, e ne porse occasione  la Legge Giulia. E la fissazione di quello ai 7 mesi, giusta  la teoria d' Ippocrate, ha un'importanza del tutto formale. Più importante è per noi l'accoglimento della teoria  di Eraclito e del Portico, che fissa a *XIV* anni la pubertà  (Plut., Flac, pML, V, 24,1; Macrobio, Somn. Scijp., G;  Saturn., VII, 7). Accoglimento che ha una grande importanza pel suo significato giuridico. Esso invero segna un  passo verso quella precisione sicura di linee, onde il diritto,  progredendo, abbisogna, e, anche più, include un riconoscimento fine e delicato del diritto al pudore. Che ciò io avverta qui, anziché più tardi, non maravigli; giacche non posso veramente propormi un ordine rigoroso, e mi è forza lasciare che il discorso trascorra a' vari punti, a cui le  fonti che man mano si offrono, gli porgono il destro. Ne che tale felicissima alata della scuola dei Proculeiani, nella quale si volle ravvisare più precisa e più profonda rinfluenza del Portico, sia dovuta veramente  a tale influenza, anziché alla considerazione obiettiva, spregiudicata delle necessità avanzantesi del diritto, parmi  possa sostenersi con alcun serio argomento. Se influenza vi si ebbe, essa fu tutta nella fissazione formale del termine  al quattordicesimo anno, anziché al dodicesimo o al quindicesimo, come altrimenti avrebbe potuto aversi. Ma romanamente giuridico e il senso che fé* avvertire la necessità  di quella regola netta e certa e fé' accoglierla trionfalmente. Proseguendo in tali traccie formali, l'influenza della filosofia parmi possa avvertirsi anche nella considerazione del parto trigemino, in caso di gravidanza della madre (Plut., Pìcce.  pML^ V, 10,4), che ha gravi effetti per l'aspettativa dei diritti spettanti ai possibili nascituri, fino all'avvenimento  del parto, e che nelle fonti ci si presenta risalente a Sabino e a Cassio (Giul., fr. 8 §. 1() 1). 40, 7; Gaio, fr. 7  pr. D. 34,5; Paolo, fr. 28 §.4 D. 5,1; Id., fr. 3 D. 5,4). Ma ben altra influenza, sostanziale e diretta, della filosofia, si sostenne per un tema, che qui dovrà trattenerci alquanto: lo schiavo. È da tale influenza che si volle determinato l' affermarsi con moto continuo, dallo  scorcio della repubblica al secolo degli Antonini, di un' intima contraddizione nel concetto di Schiavo. E s' adduce la dichiarazione tradizionale dei giuristi di questo periodo essere lo Schiavo contro natura, la protezione che è accordiata man mano alla vita e air integrità personale dello schiavo contro le eccessive sevizie del padrone (Gellio,  Noci. Att, V, 14; Eliano, Be an,, VII, 48; Gaio, fr. 1  §. 2 D. 1,6; Ulp., fr. 2 D. eod, Modestino, fr. 11 §. 2  D. 48,8) al cui arbitrio lo schiavo è sottratto, per esser sottoposto, in caso ch'egli delinqua, ad appositi magistiati,  e a procedimento, non sostanzialmente difforme da quello  che vale pel LIBERO (Pomp., fr. 15 D. 12,4; Ulp., fr. 12  D. 2,1; fr. 3 §. 1 D. 29,5; Venul., fr. 12 §. 3 D. 48,2),  e indipendente attività patrimoniale che si riconosce allo schiavo col peculio ( quasi patrimonium Uberi hominis:  Paolo, fr. 47 §. 6 D. 15,1). S' adduce il favor libertatis che inspira in molteplici casi le larghezze con cui si risolvono le dubbie questioni di stato e s'effettuano i giudizi liberali -- Lege Iimia Petronia si dissonantes pares iudicum  existant sententiae pro libertate prommciari iussuni: Ermog.,  fr. 24 D. 40,1; e. d' Ant. Pio, presso Paolo, fr. 38 §. 1  D. 42,1; Ulp., fr. 3 §. 1 D. 2,12), s'eseguiscono le manomissioni, ordinate per atto d'ultima volontà (Giul., fr. 9  §. 1 D. 33,5; fr. 4 pr. D. 40,2; fr. 16 D. 40,4; fr. 17  §. 3 D. eod.; presso Paolo, fr. 20 §. 3 D. 40,7; Valente,  fr. 87, D. 35,1; Giavoleno, fr. 37 D. 31; Gaio, fr. 88  D. 35,1; S. C. sotto Adriano, in Scevola, fr. 83 (84)§. 1  D. 28,5; rescr. di M. Aurelio, in Marciano, fr. 51 pr. D.  28,5, e in Mod., fr. 45 D. 40,4, cost. dello stesso in Ulp.,  fr. 2 D. 40,5; Meciano, fr. 32 §. 5 I). 35,2; fr. 35 I).  40,5; Pomp., fr. 4 §. 2 D. 40,4; fr. 5 D. eod.; fr. 20 I).  50,17 ; Marcello, fr. 3 i. f. D. 28,4 ; fr. 34 D. 35,2;  Scevola, fr. 48 §. 1 D. 28,6; fr. 29 D. 40,4; presso Mar-  ciano, fr. 50 D. 40,5; Papin., fr. 23 pr. D. 40,5; Paolo,  fr. 28 D. 5,2; fr. 40 §. 1 D. 29,1; fr. 14 pr. D. 31; fr.  96 §. 1 I). 35,1 ; fr. 33 D. 35,2; fr. 36 pr. D. eod. ; fr.  10 §. 1 D. 40,4; fr. 179 D. 50,17; Ulp., fr. 711). 29,2;   9    fr. 29 D. 29,4 ; fr. 1 D. 40,4 ; fr. 24 §. 10 D. 40,5) e  in ispecie per fedecommesso, alla cui esecuzione provveggono  già sotto Traiano, e poi sotto Adriano e Commodo, appositi  Senatoconsulti {SS. GC. Bubriano, Dasumiano, Artici, Ulano, Vitrasiano, Iunciano -- s' adduce l’ingenuità che si vuole accordata al NATO DA UNA SCHIAVA, che gode della  libertà fra il momento del concepimento e quello del parto (Marciano, fr. 5 §. 3 D. 1,5), o che, ordinatane la libertà  per fedecommesso, non e manomessa indebitamente, per  mora deirerede (rescr. di Marco Aurelio e Vero e di Ca-  RACALLA in Ulp., fr. 1 §. 1 D. 38,16; Ulp. fr. 1 §. 3 D.  38,17; fr. 2 §. 3 D. eod.; fr. 26 §. 1 D. 40,5; MARcaNO,  fr. 53 pr. D. eod.), fosse pure casuale (rescr. di Ant. Pio  e di Severo e Carac. in Ulp., fr. 26 §§. 1,2, 3D. 40,5;  MoDEST., fr. 13 D. 40,5); il concetto che afferma la libertà  inalienabile (Costantino, c. 6 C. 4,8) e la regola che nega comprendersi nell'usufrutto il parto della schiava (Cic, De  fin., I, 4; Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1: Ulp., fr. 68 pr. D.  7,1). Fermiamoci su quest'ultimo punto. È famosa la disputa, a cui quella regola die luogo ai  tempi di CICERONE, fra SCEVOLA, Manilio e Bruto, ed è pur  notissimo come la propugnasse vittoriosamente quest'ultimo,  adducendo essere assurdo il computare fra i frutti l'uomo,  mentre ogni frutto che rechi la natura è destinato all'uomo.  La qual ragione è riferita da Gaio e da Ulpiano ( Gaio,  fr. 28 §. 1 D. 22,1; Ulp., fr. 68 pr. §. 1 D. 7,1), ed è  tratta genuinamente dalla teoria del Portico, secondo la quale  l'uomo si considera come signore dell'universo (Cic, De off.,  I, 7; De nat. Deor., II, 62; De fin., Ili, 20). Ma altrove,  (fr. 27 pr. D. 5,3) Ulpiano stesso adduce a fondamento di  questa regola un motivo tutto economico. Non valutarsi come frutto il parto della schiava, perchè lo scopo economico, pel quale si tenne schiave, non è quello di procacciarsene i parti « non temere ancillae eim rei causa comparantur ut pariant » , ossia perchè i parti della schiava  non costituiscono il frutto economicamente normale di essa. E due fatti inducono a ritenere che sia appunto questa la ragion vera che determina quella regola: la mancanza, cioè, di un'industria di allevamento di schiavi e la parificazione del parto della schiava ad ogni altro frutto, per qualsivoglia rapporto, all' infuori delF usufrutto. Che la regola, determinata da questa ragione economica, si volesse  poi anche giustificare con un concetto preso al Portico,  non può recar maraviglia, quando si pensi come in altri  punti non pochi la vernice d'una forma filosofica copra un  rapporto determinato essenzialmente da principii tutt' altro che filosofici. E questa nostra osservazione si riconnette a un altro lato importante del tema: al freno imposto alle sevizie del padrone: nel quale volle ravvisarsi pur tanto di stoica influenza. È essenziale la giustificazione datane da un noto testo di Gaio. Doversi inibire al padrone di far malo uso delle cose sue, allo stesso modo che ciò si vieta al prodigo (Inst^ I, 53). Regola dunque che ci si presenta pure determinata non da altro, che dalla considerazione tutta econo-  mica del regolare uso della proprietà.   Ed è parimente una necessità di natura economica,  di raflforzare, cioè, Y attività dello schiavo colla molla del  suo proprio interesse individuale, quella che determina il  riconoscimento del peculio, quale patrimonio di fatto del  servo, distinto dal patrimonio del padrone; la cui funzione ha per ogni lato dell'evoluzione della schiavitù importanza essenziale. Però codesto elemento economico, che fu magistralmente seguito dal Pernice nel suo classico libro su Labeone,  e che, pei lati che accennammo, resulta da attestazioni precise delle fonti, non basterebbe a spiegare per sé il riconoscimento graduale nello schiavo di altri molteplici diritti e  rapporti attinentisi alla personalità, e l' affermarsi di un  vero e proprio sistema giuridico che per esso si crea, del tutto analogamente al sistema che regola istituti e rapporti  fra liberi. Un altro elemento sostanziale concorre a dar vita e riconoscimento positivo a quel sistema pei rapporti più svariati. Questo elemento altro non è che la forza della  natura. Forza, che neirantica convivenza a famiglia regolava  nel fatto, quasi inconsciamente, i rapporti della schiavitù ;  ma che, più tardi, «comparsa la prisca semplice costituzione  della familia, ordinate quasi ad esercito, gerarchicamente,  le migliaia di schiavi tratti a Roma dai popoli vinti, fé' assurgere e fissò a rapporto di diritto quello eh' era dapprima mero e tacito fatto: affermando nello schiavo la contrapposizione del concetto di “uomo”, di fronte a quello  di “res”.   Gli attributi nello schiavo di ente intelligente e consciente s' impongono air organismo del diritto, pel quale lo schiavo dove parificarsi a una “res”, ad una “merx.” Ulpiano, trattando della prestazione dei legati imposti all'erede, e dei casi in cui l'erede può essere ammesso a prestare, invece della res legata, Vaestimatio di essa, distingue  il legato di una “res” da quello di uno schiavo, valuta i  motivi in cui più probabile in questo può riuscire la prestazione dell' aestùnatio, ed esce coli' affermazione alia est condicio ìiominum alia ceterarum rerum (Ulp., fr. 71 §. 4  D. 30). Quest'affermazione coglie e sintetizza  l'urto intimo e graduale, di cui la storia della schiavitù in Roma porge traccio continue ed eloquenti, e per cui pur riesce  infine ad imporsi nella coscienza giuridica e sociale il riconoscimento nello schiavo degli attributi essenziali della personalità  umana. Tali, l'efficacia del patto adietto alla vendita di una schiava di non prostituirla. Efficacia che include il riconoscimento del diritto all'onore (decr. di Vespas., presso Mod.,  fr. 7 pr. D. 37,14; Pomp., fr. 34 pr. D. 21,2; Papin., fr.  6 pr. D. 18,7 ; Paolo, fr. 7 D. 40,8 ; Aless. Sey., c. 1  C. 4,56); r azione d' ingiurie per offese allo schiavo, commisurata secondo il grado d' onorabilità di questo (Ulp.,  fr. 15 §. 44 D. 47,10). L’ ammissibilità di un giiidizio di calunnia a cagione dello schiavo, che subì per fatto altrui ingiusto giudizio (Papin., fr. 9 D. 3,6). La valutazione della  misericordia usata verso di esso, per misurare la responsabilità di chi ebbe a procacciarne la fuga (Ulp., fr. 7 §. 7  D. 4,3). Il riconoscimento della famiglia servile, nella quale con sforzo di finzioni giuridiche si riesce a dar certa configurazione a rapporti patrimoniali, a somiglianza di quelli che intercedono nella famiglia dei liberi (Ulp., fr. 39 \D.  23,3 ; Paolo., fr. 27 D. 16,3). E persino il riconoscimento  nello schiavo di rapporti d'indole religiosa (Labeone, presso  Ulp., fr. 13 §. 22 D. 19,1; Ulp., fr. 2 pr. D. 11,7). Che pure sulle conquiste compiute dagli schiavi contribuiscano considerazioni d' ordine pubblico e di sicurezza  pubblica, son ben lungi dal negare. Non par dubbio,  ad esempio, che sia determinata sopratutto da esse la legge  Petronia. !Aia questa pure (appena occorre avvertirlo) non  è che una conseguenza, benché coatta, dell 'affermantesi peronalità dello schiavo.  Ne tuttavia che le stesse dottrine stoiche, col loro elevato concetto della personalità umana, abbian per qualche  lato favorita o affrettata quell'evoluzione, non <\serei negare:  (nò può invero trascurarsi il fatto che il momento più intenso di essa cade appunto sotto gli Antonini. Ciò che  parrai invece dover negare si è che quelle dottrine vi abbiano avuta una influenza immediata , essenziale. Talché  senza di esse si avesse ognora a disconoscere nello schiavo  ogni attributo della personalità. Su altri istituti e rapporti attinenti alle persone non  ci abbisogna lungo discorso. Non occorre, per verità, confutare lo strano concetto che influenza del Portico sia nell'attenuamento della patria potestà, e nella liberazione delle  donne dalla tutela agnatizia. Fatti determinati entrambi dal trasmutarsi della funzione e natura politica della familia; trasmutarsi, che pure ci spiega l’avanzantesi prevalenza del vincolo di sangue sul rapporto civile d'agnazione;  che ha poi eifetti importanti, in ispecie neir ordine delle successioni. E pur ci spiega l’evoluzione dell'essenza prisca dell'eredità familiare (comprendente, cioè, il complesso di diritti politici e religiosi inerenti alla domus familiaqtte)  verso l’eredità patrimoniale. Concetto, che , accennato in  istudi recenti ed egregi (16), forse non si presenta tuttavia  immeritevole di trattazione nuova ed apposita e d' investigazione minuta nelle fonti. Ne mi fermo su di un punto,  sul quale non si peritò d' insistere qualche sostenitore  deir influenza sdel Portico sulla giurisprudenza romana: il puro  ed elevato concetto del matrimonio, tramandatoci dai giureconsulti, e in ispecie esplicantesi nella tarda definizione  di Modestino. Basta osservare che quel concetto è in Roma tradizionale, fin dalla sua più antica e genuina costituzione e  che vi si esplica allora dalle stesse forme, con che il ma-  trimonio si compie, e che, inerente dapprima solo al ma-  trimonio curri manu, nel quale è veramente la divini et  Immani iuris cornunicatio, esso s'atteggiò poi, per forza di  tradizione sul matrimonio libero, prevalso su quello, e tra-  luce idealmente nei tempi stessi, in cui il matrimonio era  di fatto quale ce lo tratteggiano con foschi colori Giovenale  e Marziale. Occorre qui invece, fra i diritti attinentisi alle persone, accennare ad alcuni altri, nei quali si ravvisò l’influenza  filosofica, e segnatamente del Portico.   Che, per quanto tocca il diritto alla vita, e l'affermazione negativa di questo, i romani non abbiano riguardato  con deciso is favore il suicidio, come mezzo estremo di salvaguardia a mali maggiori; e ciò molto innanzi al tempo  in cui la filosofia divenne nota in Roma, resulta  dalla natura del carattere romano e dell' ideale ch' esso  prefiggeva alla vita, dalla stessa aureola di gloria onde fu recinta la memoria di Lucrezia, di Catone e di Bruto.  Né dunque può pensarsi ad alcuna influenza del Portico, se vediamo i giuristi non considerar come dannata la memoria del suicida. Ma singolarissima è poi la specialità contemplata nel testo che per consueto si adduce. In esso si riferiscono rescritti di Adriano e d'Antonino Pio, i quali, considerando il caso, in cui persona accusata di delitto capitale,  prima d' esser sottoposta al giudizio, ponga fine a' suoi  giorni taedio vitae vel doìoris impatientia, dichiarano non  incorsi con ciò nella confisca i beni di quella. Si ha poi  nel caso proposto ad Adriano che il suicida era accusato  d' aver ucciso il figlio. Adriano, con sentimento delicatamente umano, dichiara doversi presumere che non per timor della pena , ma per dolore del figlio perduto, V accusato sia volontariamente uscito di vita ( Marciano, fr. 3  §§. 4-5 D. 48,21); non potendosi ad ogni modo ritenere per se il suicidio deir accusato equivalente a confessione di  reità a condanna. Come poi Papiniano con lucidissima  veduta dichiarò e sostenne ( Ibid,, pr. ; cfr. fr. 29 pr. D.  29,1 ; Paolo, fr. 45 §. 2 D. 49,14 ). Mentre poi è  chiaro che, all' inversa, il suicidio che 1' accusato volle affrontare non per altro che per timor della pena e ob conscientiam cnminis, non salva dalla confisca il patrimonio  di lui, che si considera quale dannato o confesso (Ulp., fr.  6 §. 7 D. 28,3; fr. 11 §. 3 D. 3, 2). Il che davvero  s'intende come logico sviluppo, senza che nulla v'appaia di influenza o reminiscenza filosofica, se pure essa non voglia vedersi nel ricordo ai filosofi, come a coloro che si uccidono  taedio vitae,,. vel iactationis (fr. 6 §. 7 D. 28,3).  E qui pure, a proposito del diritto naturale alla vita,  si avverte il riconoscimento di tal diritto nello schiavo, là  dove è detto da Ulpiano esser lecito etiam scrms fiaturaliter in sunm corpus saevire (Ulp., fr. 9 §. 7 D. 15,1). Di fronte al qual diritto affermato perle schiavo, sta l'obbligo in lui di rifondere col suo peculio al padrone le spese  che ha sostenute per curarlo dalle ferite infertesi tentando  d' uccidersi; talché quel diritto si riduce praticamente ad  una curiosa ed amara irrisione. E tocco di un altro fra i diritti personali. Quello alla  religiosità, al quale s'attiene lo sfavore con cui si riguardò  dai giuristi, conformemente agli stoici, il giuramento (PapiN., fr. 25 §. 1 D. 13,5; Ulp., fr. 7 §. 16 D. 2,14),  e in ispecie la condicio iurisitirmidi, apposta a una liberalità per atto mortis causa ( Labeone, in Giav., fr. 62  pr. D. 29,2 ; Giuliano, fr. 26 D. 28,7; Marcello, fr. 20  D. 35,1 ; Ulp., fr. 8 §. 5 D. 28,7). Il generale divieto  della condicio iurisiurandi è anteriore a Labeone e posteriore a Cicerone, e coincide per tempo col fiorire della  filosofia del Portico. E F opinione ch'esso sia determinato da influenze di questa parrebbe tanto più attendibile, in quanto  siamo qui in tema di religiosità, dove l'istituzione filosofica  ebbe veramente, in sullo scorcio della repubblica e a' primi  tempi del principato, efficacia non lieve e assai diffusa. Senonchè non so astenermi dal proporre una mia modesta  osservazione. Lo sfavore pel giuramento non è già soltanto  nel Portico, ma risale fino tra le scuole presocratiche, a  quella di Velia, e al fondatore stesso di essa, a Senocrate,  che nel giuramento ravvisava un riprovevole privilegio per  l'empietà (Arisi., Bhet, I, 15) (19). Forse quello sfavore,  che nello spirito filosofico si manifesta cosi da antico, era pure  in origine nello spirito romano, e durava nel patrimonio  d'idee e di tradizioni, che, specialmente in materia di religione, i due popoli ritrassero dal ceppo comune? Il che  solo accenno, pur non volendovi troppo insistere, perchè  non paia amor di sistema. E, lasciando omai d' altri rapporti di minore impor-  tanza, pure del tutto formali, come, per ciò che attiensi  alla salute, la definizione del morbo, di habitus cor-  poris contra naturam (Sab., fr. 1 §. 9 D. 21,1 e in Gellio,  Noci. Att^lY, 2. cfr. fehris: Giul., fr. 60 D. 42,1) evi-  dentemente tolta dallo stoicismo; il concetto del furiosus, che, come privo di mente, stoicamente è detto suus fion est  (Ulp., fr. 7 §. 9 D. 42,4), passiamo senz'altro alle cose e  ai diritti su di esse.  La triplico partizione delle cose, che ci riferisce Pomponio nel lib. 30 ad Sah. (fr. 30 D. 41,3): F una comprendente quod contìnetur uno spirita, graece yivwjxsvov;  l'altra che abbraccia qiiod ex contingentihus hoc est j)ÌU'  rihus interse coherentibus constat, quod atiVTQjAjjievov, e una  terza dei corpora pUira non solata^ ma uni nomini suhiecta, resultanti ex disfantibiis, b T applicazione precisa e  genuina della distinzione del Portico. Al frammento di Pomponio  fauno riscontro testi di Plutarco, Fraec. coniug., 34 ; di  Sesto Empirico, Adi\ Math,, VII, 102; IX, 7S; di Seneca  J^at. qiiaest., II, 2 ; Epist., 102,6 ; e di Achille Tazio,  Isag, in plten. Arati, 14. Che dunque per essa i  giuristi abbiano formalmente attinto dai filosofi non v' ha  dubbio. Il ricordo formale dei filosofi si ha persino nella  esemplificazione consueta nei giuristi delle cose appartenenti  a ciascuna di quelle tre categorie. Ma se ci facciamo a ricercarne le pratiche applicazioni, tosto ci avvediamo come altri principi, del tutto indipendenti da essa, inteivengano. E, invero, il diverso modo con  cui si ammette il possesso e l'usucapione, segnatamente per  le res comiexae e le universitates ex distantibus. La regola  che il possesso di una res connexa implica il possesso  delle cose singole da cui risulta composta, come parti, non  come cose a se stanti, e distinte individualmente, si spiega  col concetto tutto romano del requisito A^' animus nel  possesso. Il quale, dovendosi rivolgere alla res connexa  nella sua essenza, non si concepiva che contemporaneamente si rivolgesse alle parti singole di quella; onde appunto la inammissibilità di un contemporaneo possesso dell' intiero e delle parti, e la impossibilità di acquistare un  diritto sulle parti, in forza del possesso della res conmxa  resultante dalla loro unione. Il che ha segnatamente ef-  fetti importanti per la teoria deirusucapione. Mentre poi, per quanto tocca in ispecie le regole del possesso e deirusucapione dei tigna onde resulta composto un edifizio, concorre anche il riguardo tutto civile che inspirava la lex (le Ugno iuncto (Venuleio, fr. 8 D. 43,24;  GiAVOLENO, fr. 23 pr. D. 41,3; Gaio, fr. 7 §. 11 D. 41,1;  Paolo, fr. 23 §. 7 D. 6,1; Ulp., fr. 7 §. 1 D. 10,4) (21).   Meno ancora può trarsi dalla distinzione fatta dai giuristi delle cose corporali e incorporali. Se per questa, fra il  concetto dei giuristi e quello dei filosofi, può esservi somiglianza, essa è del tutto apparente. Le cose incorporali  dei filosofi, come essenzialmente il tempo e il vacuo, non  hanno nulla di comune colle cose che son chiamate incorporali dai giuristi per la loro funzione sociale e giuridica,  e che hanno sempre in sé per contenuto cose corporali, e  ciò secondo un concetto che ci si presenta tradizionale e  risalente: in modo sopra tutto preciso e spiccato nella hereditas (Pomponio, fr. 37 D. 29,2; fr. 119 D. 50,16; Gaio,  Inst, II, 14; fr. 1 §. 1 D. 1,8; Apric, fr. 208 D. 50,16;  Papin., fr. 50 pr. D. 5,3; Ulp., fr. 178 §. 1 D. 50,16;  fr. 3 §. 1 D. 37,1; Paolo, fr. 4 D. 5,3): e segnatamente,  con mirabile evidenza, nel concetto e nelle regole delF^^t*-  capio prò herede (Gaio, II, 54).  E di questo concetto àeìVheredifas, res corporaUs, che  ha per contenuto normale appunto cose corporali, è assai  notevole come un filosofo del Portico parli come di inutile sotigliezza, deridendo i giuristi che raccolsero (Seneca, De h&n.  VI, 5): e offrendoci con ciò, come fu avvertito, ricordo  certo e perenne della differenza sostanziale che correva, a  proposito di quella partizione, fra il pensiero dei filosofi e  quello dei giuristi. Certo, fra i cor para, la distinzione di quelli che ratione vel anima carente da quelli che careni ratione non  anima o di entrambe, è rivestita di forma del Portico. Ma è  necessario ch'io soggiunga che sotto di essa sta un concetto tanto primitivo, che davvero non occorreva rivestirlo  del lusso d' una veste filosofica ?  Un tema, sul quale insistettero con particolare predilezione tutti i sostenitori dell'influenza del Portico, è quello che  riguarda, tra i modi d' acquisto della proprietà, la specificazione. L'opera diretta che qui esercitò, pel riconoscimento  del lavoro umano di fronte alla materia, la scuola dei ProculeiaDÌ, porse pure argomento per ravvisare una particolare inclinazione di quella verso lo stoicismo: in contrapposto anche qui alla scuola de' Sabioiani. Quasiché,  a spiegare il riconoscimento del lavoro umano non dovesse bastare una considerazione positiva di natura tutta economica: la normale preminenza di valore della nuova specie sopra la materia prima, preminenza che doveva imporsi al  concetto proculeiano, ognora così acuto e vivo e libero, di fronte all'ossequio tradizionale della proprietà, che pur continua un preminente riguardo al proprietario della materia. Le fonti, a cui ci si richiama, pel rapporto inverso  alla specificazione, appunto la riduzione della species alla  materia, confortano questo concetto. Si riferiscono invero  per consueto due testi d'Ulpiano, nei quali questi asserisce  sembrar scomparsa la cosa, di cui sia mutata la forma, benché ne duri la materia (fr. 13 §. 1 D. 50,16), e mutata forma prope interemit suhsiantia rei (fr. 10 §. 9 D.  10,4). Espressamente ciò giustificandosi da Ulpiano stesso,  proprio col criterio economico qmniam plerumque plus est  in manu prctio qtuim in re. E Paolo soggiunge, adducendo l’opinione e di Labeone e di Sabino, che abest la tabula  picta quando ne sia rasa la pittura, o il vestito quando è  scucito, perché appunto earuni rerum pretium non in substantia sed in arte sit positum (Paolo, fr. 14 pr. D. 50,16).  E, partendo da tal concetto, ben s'intende come, all'inversa,  si considerasse economicamente del tutto nuova la cosa formata per mezzo del lavoro sopra materia già esistente, e  come Proculo e Nerva potesser dire, secondo quello che Gaio ricorda, che dopo subita l'opera dello specificatore, essa non  potesse più considerarsi come appartenente al proprietario della materia (Gaio, fr. 7 §. 7 D. 41,1; cfr. Paolo, fr. 3  §. 21 D. 41,2 (24). Né in tema di materia o sabstantia e species, per  r efrore che intervenga su questa o su quella nel con-  tratto di compra vendita, parmi che molto si possa trarre  dalle fonti, per un'essenziale influenza del Portico.  Nel noto passo d' Ulpiano ( fr. 9 §. 2 D. 18,1 ) si riferisce come Marcello ritenesse sussistente la compra vendita,  anche quando, per errore, si fosse dato aceto, invece del vino dedotto in contratto e rame per oro e piombo per argento. Ciò giustificandosi da Marcello stesso colla ragione che sul  corpus intervenne il consenso, ed errore vi fu solo nella  materia. Ulpiano consente per l’aceto, perchè qui la sostanza, r oùjta (appunto secondo il linguaggio del Portico) è  quella dedotta in contratto. Mentre vi ha scambio sostanziale di tale oùjt'a nel caso del rame dato per oro e del piombo per argento. Talché la preoccupazione erronea che  nel concetto di Marcello sembra ingenerare la reminiscenza  del Portico, scompare in Ulpiano, che ne prescinde recisamente,  applicando nel modo più concetto le regole sull' eiTore nell’oggetto del contratto, non importa poi ch'esso errore verta  in corpore o invece in stibstantia. Lo stesso testo vivissimo d' Alfeno ( fr. 76 D. 5,1)  che riproduce, secondo la fisica e dell’Orto (Lucrezio,  Nat. rer. V) e del Portico (Seneca, Ep. 58 ; Plut. Comm.  nat. 39; Antonino, II, 17; V, 33), la mutazione continua  della materia, ricordando come il corpo formato da questa sia sempre lo stesso, per quanto si vengano ognora mutando via via le particelle che lo compongono, e applica  questo principio air organismo di un jiidicium, che rimane  il medesimo col mutarsi de' suoi membri, ritrae in sostanza  un concetto eh' e genetico in Roma, essenzialmente per  la persona giuridica del “populus.” E la fisica del Portico si riduce dunque solo ad illustrare con veste scientifica ciò  che ben prima s'era nella pratica ravvisato. Influenza del Portico si sostenne in un preteso sfavore  alle usure, che si volle dedune da parole di Papiniano che usura non natura pervenif ( fr. 62 pr. D. 6,1 ). Quasiché  non fosse risalente e tradizionale il concetto che distiogue dai frutti naturali i frutti civili, e in materia d'usura non  si avesse in Roma, fin da antico, un'assidua, quanto sterile  attività legislativa.   Ma basti ornai anche sul tema delle cose, intorno al  quale però non voglio astenermi dall' offrirvi esempio di  taluna di quelle aberrazioni, alle quali accennai essere pervenuti scrittori egregi, per passione ch'essi posero nell'esame  di questo tema. Scelgo la teoria del Laferrière, secondo la  quale la regola che richiede i due requisiti dell' animus e del corpus per l'acquisto del possesso e della proprietà per  occupazione, riuscirebbe determinata dal concetto fondamentale del Portico, che distingue nell' uomo 1' elemento spirituale dall' elemento corporeo. Come analogapaente sarebbe  determinata da questo la necessità della tradizione pel trasferimento della proprietà. E d'altre taccio, già essendo queste esempio eloquente,  come presentantesi sotto un nome scientificamente onorato e sotto l'insegna gloriosa dell'Istituto di Francia.  Dovrei ora, accennarvi a tutto il sistema  romano delle obbligazioni, al mutamento eh' esso più specialmente subisce dal rigoroso formalesimo, verso 1' applicazione più agile e diretta della volontà. Mentre pur tutto  il diritto vien ravvivato da raffronti e adattamenti vitali  di elementi nuovi ed estranei coi prischi ed indigeni, e ricordare come questo sia una conseguenza immediata de'  nuovi orizzonti' che omai ha la vita e il commercio di  Roma e delle influenze straniere così continue e multiformi?  E come, a sua volta, il moto potente e continuo di Roma  verso l'universalità, e 1'alito vivificatore che ne deriva sul  diritto, consegua direttamente dalle nuove condizioni politiche ed economiche? Che questo moto grandioso e continuo corrispondesse  alle dottrine stoiche, per le quali tutto il mondo è una grande città, non può negarsi. Che per quello riuscisse ad  esse più agevole l'aver diffusione è pur certo. Ne che per  tal modo esse abbiano anche cooperato con quello, talora  forse per via inconscia, allo svolgimento di taluni istituti  e l'apporti , come ad esempio dello schiavo , di rapporti  relativi alla religiosità e simili, non vorrei disdire.   Ma chi penserebbe sul serio, solo per un istante, che il  moto di Roma verso l’universalità derivi dal Portico,  da alcun'altra delle scuole filosofiche? E che però  da filosofie consegua mediatamente tutta la trasformazione del diritto?   Non però se parmi di dover negare ogni influenza essenziale della filosofia, e in ispecie il Portico, sullo sviluppo della giurisprudenza romana, air infuori di quelle influenze concomitanti con altri elementi che teste toccammo,  sopra singoli rapporti, e delle influenze formali che si vennero annoverando sin qui , voglio io disdire 1' efficacia che  la conoscenza della filosofia ebbe dal secolo di CICERONE in poi, sempre formalmente, ma pur in campo più generale e importante, nel dar struttura di ars al itis civile («quae rem dissolutam divulsamque conglutinaret et ratione quadam constringeret »: Cic, de orat I, 42) (26). Imprimendo con ciò nuova forza e nuovo sviluppo a facoltà  e a tendenze ch'erano in Roma native. che non tolse tuttavia che, ricevuto tale avviamento nella costruzione logica, la giurisprudenza procedesse poi da  sé, indipendente dalla filosofia, elaborando essenzialmente i rapporti pratici della vita, aborrente da ideali astrazioni. E dove la reminiscenza filosofica, cessando d'essere formale  intacca la sostanza giuridica, si ha un fluttuar vago d'idee  incerte e confuse, un' indeterminatezza di linee, che fa eloquente contrasto colla precisione perfetta, sicura, ond'è in Roma esempio mirabile tutto l'organismo del diritto. Voi intendete ch'io accénno al im naturale. Fra il concetto d'Ulpiano che lo designa emanazione della ragione diffusa neir universo, e quello di Paolo che vi ravvisa un' ideale tendenza verso l’ “aequwn bonum”, o quello  di Gaio che lo riaccosta al “ius gentium”, quale dettato dalla  universa ratio; fra i più diversi significati ed applicazioni  di naturalis ratio, di naturalis, di ìiaturaìiter, che occorrono  nelle fonti, o connessi ad uno di quei tre concetti, od oscillanti fra l’uno e l’altro, o indipendenti da ognuno, lo studioso procede incertamente.  Né certo sta a me, ne io presumo di portar giudizio  sulle varie costruzioni che modernamente si tentarono del “ifàs naturale”, concepito, o conforme alle dottrine elaborate in Boma dalla filosofia accademica e del Portico, come  coscienza insita nella umana natura di un diritto universale, e però del tutto distinto dal ius geniium. O, invece, obiettivamente, come ordine naturale contrapposto  air ordine civile, come dettato dalla ratio. O, di nuovo  subbiettivamente, quale concezione dovuta all' idea del diritto dettato dalla ragione naturale a tutto il genere  umano, atteggiatasi in Roma sul “ius gentium” e fusasi  poi con esso, per esplicarsi poi praticamente n^Waequita^, che  è la forza che s'avanza via via nell'editto pretorio e gradatamente vi prevale. O invece senz' altro come derivazione e sviluppo dello stesso ius gentium. A me basta notare sol questo. Quanto d'indeterminato  e d'incerto rimanga tuttavia in ciascuna di quelle costruzioni, e come, s' io non erro, non sia riuscito ad alcuno,  benché ingegni forti e coltissimi vi si accingessero, di  dimostrare che il concetto vago ed astratto del ius naturOfle  scese ad applicazioni pratiche e concrete. Né certo maggior pregio di linee precise e spiccate o  d' importanza diretta e sostanziale per 1'organico sviluppo  del diritto ci presentano nel titolo de “iustitia” et iure le  definizioni astratte, tolte a prestito dal Portico, di giustizia  e di giurisprudenza, e i tre famosi precetti del diritto. L' artificiosa inutilità di tali concetti, tratti più o meno fedelmente dalla filosofìa, spicca in guisa vivissima  nelle definizioni del concetto di “legge”; nelle quali, attraverso a vaghe  reminiscenze di Demostene e di Crisippo, ricompare il concetto, romanamente vero, di coìnmwiìs rei ptiblicae sponsio. La gloria del diritto e dunque riserbata a Roma;  la quale, per opera secolare ed esclusiva del suo genio, affida ai venturi, con eccellenza insuperata, le leggi eterne  dell'umana vita giuridica.   Se v' ha ricordo che debba infiammare e  scuotere i diretti continuatori del sangue e del pensiero latino, è il ricordo di quella gloria. In questa Università che  ha tradizioni nobili e antiche, proseguite degnamente dal  maestro provetto, cui circonda qui da olti-e cinque lustri  reverenza aifettuosa di discepoli, e dall'altro insegnante  che coi lavori acuti e geniali, come coir insegnamento ef-  ficace, onora in Italia le discipline romanistiche, quella  gloria infiammi e riscuota noi pure, o compagni. E com'essa  ravviva e ravvivei-à ognora in me le deboli forze, altrettanto  sia come fuoco sacro ai vostri giovani e ardimentosi intelletti.  Cattanei. P erozzi. Un elenco molto accurato dei lavori appositi scritti sul nostro  tema trovasi nella classica opera deli' Hildenbband, “Gesch. u. System  der Rechts und Siaatsphilos.”, Leipzig.  Lo riporto qui, con alcune aggiunte e avvertenze bibliografiche,  che contrassegno collocandole fra parentesi. Indico con asterisco i lavori che non potei procacciarmi:   Malquytius, De vera non simnìnL<i iurisc, phiL, Paris., 1626  [ristampalo nella Triga ìibelL rariss., Halae Magdeburg]; Paìjaninus Gaudextius, .2>^ j>/i27o«. ap. Bom. in. et progr.  Pisis, 1643, e. 42-3^ pagg. 104-6; | Buaxdes 7->e, vera non simulata  iurisc. phih, Francof. 1626; opuscolo che noto benché certamente privo  di valore, solo per amor di completezza, e seguendo in ciò V e-  sempio dello stesso Hildenbrand, che giustamente tien conto nel  suo elenco anche di lavori senza pregio, come p. e. quelli compresi  nella raccolta dello Slevogt] ; Scuilier, Manud. pliilos. moraliii  ad ver, nec simnl. pini., len., 1696;BonMER, Dephilos, iurisc, stoica^  Halle, 1701 [ristampato nel volume J)e sectis et philos. iurisc. opusc.^  coli, recogn. et praef. et elog. Ictor. rem. ac progr. de disp. fori  aiixit Slevootius, lenae, 1724]; Buddeus, De errar, stoic, negli  Anal. Imt. phiL, Hai., 170G; Voss, De falsis Ictor. ratiocin. ex  parte occas. philos. stoicae enntis, Harderov., 1709; Ev. Otto,  De stoica vet. Ictor. philos.: Id , De vera non simulata philosoph.  Ictor. j nel voi. cit. dello Slevogt; Herjng, De stoica velt. Roman,  philos., ibidem; [Kunholt, Semicenturid comparai, verae et simul.  iurisc. phil., Lipsiae, 1718, che trovo citato dall' Eckardt, Herm.  duriSj *Lips., 1750, cap. 4]; Slevogt, De sectis et philosophia Icforunif len., 1724; *£ggerde8. De stole, Ictor. roman. eìusqiie historia  et ratioìie, Kostoch, 1727: Hofscaxn, De diàUctica vett, Ictor., Francof.,  1735, ne' suoi Melemata ad pandectas; Schaumburg, De iurisprud.  ceti. Ictor. stoica tractatiis, hoc est succincta demotutr. iuriscon-  sultos roman. non vita solum sed etiam doc trina stoicam philoso-  phiam esse profes>ios, lenae, 1745; *Pauli, De utilitatibus quas  attulit philos. ad iurisprud. ronianani, Lips., 1753; Meister, De  plùìos. Ictor. Roman, stoica in doctrina de corpor. eorumque par-  tibus, Gott., 1756 [e neW Opusc. Syll., I, n, 10]; VanHoogwerf, De  car. tur. Boni, partibus stoam redolentibus, Traj ad Bhen., 1760,  e nell'OsLRiCH, Thes. noe. voi. Ili, tom. 2, pagg. 63 e segg. ; Boers^  De antropoì. Ictor. Roman, quatenus stoica est, Lugd. Bat. , 1766  [*Terpstra, De philos., cet. iurtsc, Francof., 1767, che trovo citato  dall*HoLT, Hist. tur. rom. lineam., Leod., 1830] *Ortloff, Ueber  den Eiufluss der stoischen Philosophie auf das rom.Recht.,^ìàng.,  1797; *Vax Vollenhoven, De exigua vi quam philosophia graeca  habuìt in effórmanda iurisprudentia romana, Amstelod.; Ea-  TJEN, Hat die stoische Philos. bedeutenden Einfluss auf die rom.  juristischen Schriften gehabt? Kiel, 1839, ristampato nei lahrb. di  Sell, in, pagg. 66 e segg.; [Trevisani, Lo stoicismo coìisìderato in  relazione colla gìurisprud.'» roìnana, nella Gazzetta dei tribunali,  VI, 1851, pagg. 821 e segg.; VII, 1852, pagg. 7 e segg. ]; Voigt,  lus natur. bon. ti. Aequum, Leipzig, 1856-75, I '^§. 49-51 pagg.  250-66; [Xaferrière, Memoire concernant V influence du stoicisme  sur la doctrine des iurisc. romains, nelle Mevi. de V Acad. des  scienc. mor. et politiques, X, 1860, pagg. 579-685. Fra noi usciva nel  1876 il lavoro dottissimo del MoRIA^'I, La filosofia del diritto nel  pensiero dei giureconsulti romani, Firenze, 1876. Sono ancora a no-  tarsi, benché tocchino solo punti speciali del tema: Eherton, sulla  terminologia stoica nel dir. romano, nella Quaterly RevieWj III, n.  9, 1887, di cui dà un sunto G. Pacciiìoxj, néìV Ardi, ginr., XXXVTII,  fase. 1-2; Lecrivain, Le terme stoicien verecundia dans la langue  des Dig., nella Nouvelle revue hist. de droit frane, et drang., XIV,  1890, pagg. 487-9].   Trattano pure del nostro argomento, benché non di proposito, i  seguenti: [Hopperus, lur. civil. lib. sex, Lovan., 1555, pagg. 554 e  segg.] CuiAcio, Observ.y 56,40; Merillio, Obsero.,\, 8; Turnebo,  Advers., Aurei., 1604, Vili, 20, pag. 151; Lipsius, Manud. ad stoic.  philos..^ nelle Opera.^ Antverpiae, 1737, IV, 473; Io., Physiol. stoic.,  nelle Opera, IV, 542; Kamos, Tribonianus, Lugd. Bat., 1728, pag.  249 e segg. [Bodeus, Observat. et elem. phil. instrumentalis, Halae  Sax., 1732, cap. II §. 27, pag. 308, cap. IV g. 14, pag. 470]; Ma-     'Jìp: SCOTIO, De sectis Sahinian et Proculeian, in iure civili, [ Lipsiae^  1728], Alld., 1740; Eokhardt, Ilerm. luris, Lips., 1750, e. 4; Walch,  Opp.^ I, p. 237 [Gravina, De ortu et progr, iur. civ., Napoli, 1757,  I, 35-6; Brucker, Hist. crii, philos., Lipsiae, 1766, II, pagg. 15 e  segg.; G. B. Bon, praef. al Leibnitz, Opusc. ad iur. peri., nel Leib-  NiTZ, Oper«, Genevae, 1768, IV, p. d, pag. 5, n. 1; Eineccio, Antiq.  rom., Venet., 1792, lib. 2 e 3, pagg. 17, 30-1, 191 e segg.] ; Vico,  Scienza nova, cap. 4; *Welcker, Die letzten Grilnde von Recht  Staat u. Stafe, Giessen, 1813, pag. 492, 500, 522, 578; *Id., Uni-  versa! u. Jurist. poh Encyclopadie, Stuttgart, 1829, pagg. 70 e segg.,  556 e segg.; Veder, Hist, phil. jur. ap. veti,, 319; Zimmern, Gesch.  des rum. Privatr. I^ pagg. 23 e segg.; Pcchta, Cursus der Instit, 2 Aufl.,  pagg. 472 e segg.; Ahrens, Iur. Encyclop., pag. 303, n. 2; 360, n. 1;  [Girard, Hist, du droit rom., Paris Aix, 1841, pagg. 180 e segg.;  OzANAM, Il paganesimo e il cristianesimo nel quinto secolo, trad. Car-  raresi, Firenze, 1857, 1, pagg. 163 e segg.; Voigt, Aeìius und Sabinus-  sijst , pagg.' 19 e segg.; Ianet, Hist. de la science polit., 2 ed., Paris,  1872, I, pag. 281 ; Sumner Maine, Ancien droit, .trad. frane , Paris,  1874, cap. 3 pagg. 51-5, 64, cap. 4, pagg. 70 e sogg. ; Conti, Storia  della fdosofia^ Firenze, 1876, I, pagg. 401 e segg. ; Renan, Marc  Aurèle, 2 ed., Paris, 1882, pagg. 22-3 ; Gregorovius, Der Kaiser  Hadrian, 2 Aufl., Stuttgart, 1884, pagg. 296 e segg.; Hofmann, Der  Verfall der rom. Rechtswiss., nei Krit. stud. im róm. Bechte, Wien,  1885, pag. 9; Ferrini, Storia delle fonti del dir. rom., Milano, 1885,  pagg. 30-1, 100-1 ; Id., note al Gluck, trad. italiana, voi. I, pagg.  64-5. ; Krììgeii, Gesch. der Quell. u. Litteratur des rom. Rechts,  Leipzig, 1888, pagg. 45 e segg., 127 e segg.; Carle, La vita del di-  ritto, 2 ed., Torino, 1890, pagg. 153 e segg.].   (2) Padelletti^ Roma nella storta del diritto, neir Arch. gim\,  XII, nota 2 pagg. 210 e segg.   (3) Per la storia della filosofia in Roma, e per ciò che riguarda  in ispecie le sue attinenze al diritto, cfr. principalmente: Hildenbrand,  op. cit. I, pagg. 523 e segg.   (4) Cfr. sulla filosofia di Cicerone: Ritter, Hist. de la philos,  trad. frane. Tissot, IV, pagg. 121 e segg.; Hildenbrand, op. cit., I,  pagg. 537 e segg., Branbis, Gesch. der Entiv. der griech. Philos,  Berlin, 1862-4, II, pagg. 249 e segg ; Boissusr, La relig. romaine  d* Auguste aux Antonins, Paris, 1878, I, pagg. 4 e segg.   (5) BoissiER, op. cit., I, pagg. 14 e segg.   (6) Leggenda, alla quale porsero principale argomento i punti di  contatto che le dottrine di Seneca presentano con quelle cristiane, in,  ispecie Ruir immortalità dell' anima, sulla provvidenza, e sui doveri di     3^) NOTE   carità (punti toccati con molta diligenza da Fleury, S. Paul et Se-  nèque, Paris, 1853). Altro argomento estrinseco è la simpatia che mo-  strano per Seneca i Padri della chiesa: Seiuca noster: Tertull., De  ,an,, 20; Hieron., De vir. ili, 12; Io., Adv. lovin., 1,49; Lxct. , Inst.  div.y IV, 24. E S. Agostino nota che Seneca non nominò forse i cri-  stiani per non lodarli « cantra suae patriae veterem consuetudine tn »,  né riprenderli « cantra propriam forsan volunlatem »: Auc, De civ.  dei, VI, 11. Il tèrzo argomento dell' amicizia di Seneca con S. Paolo  si fondava sopra una grossolana falsificazione delle Kpistolae Senecae  ad Paullum.   Ricca è la letteratura riguardante questo argomento, che ha  un'importanza assai notevole pel tema che tocca direttamente dei rap-  porti della morale stoica colla cristiana. Cfr. principalmente, oltre Topera  or accennata del Fleury: Boissier, op. cit., II, pagg. 46 e segg., e  nella Revue des deux mondes, XCII (1871) pagg. 40-71; Aubkrtjn,  Senèque et Si. Paul^ Paris, 1869; Bau», Seneca ti, Paulus: das  VerMltn. des Stoiciwius zum Ghriat. n. den Schrift. Senecas, neWHe't-  delherg. Zeitschr. f. iviss. Theol, I, 1858 p. 161-246; 441-70; e Abh.  zur (reseli, d. alt. PhiL, heratisg. v. Zeller, Leipzig, 1876, pagg.  377-480; 'Westerburg, Der Ursprung der Saga das Seneca^ christì.  gewes. sei, Berlin 1881. Tutto il contrario si sostenne dall'EcKHARD in  un curioso opuscolo, di cui basta riportare il titolo perchè se ne com-  prenda lo scopo: Obserc. sistens L. A, Senecam in relig. Christian,  iniuriosum, mella Misceli. Lipsiens., Lipsiae, 1706-22, IX, p. 90-107.   (7) GuEGOROvius, op. cit j pagg. 315-7; Renan, op. cit., pag. 35.   (8) I rapporti che verrò enumerando furono notati, quali dall'uno  quali dall'altro degli scrittori che s'occuparono del nostro tema: quali  in uno quali in altro senso. Io non ho creduto di dover per ciascuno  di essi avvertire da chi fu notato, da chi omesso. Saiebbe inutile pel  lettore, al quale ciò che preme sopratutto si è di aver qui, come in  un quadro, il risultato complessivo delle questioni: quadro eh' io mi  studiai di delineare colla maggior cura e fedeltà che mi fu possibile.   (9) Otto a Boekelen, op. cit., pagg. 24 e segg. Contrariamente  Eckhard, op. cit.,; Merillio, obs. I, 27 pag. 260.   (10) Brini, Delle due sette dei giureconsulti romani^ Bologna,  1890, pag. 19.   (11) Malquytius, op. cit.y pagg. 54-5; Gibbon, Hist. de la dee. de  Temp. rom., I, pagg. 128-31; Eckhard, op, cit., pag. 245; Laperrière,  op. cit, pagg. 606-7; Renan, op. cit., pag. 605; Wjllelms, Droit pubi,  rom., 5 ed., Paris, 1884, pag. 136.   (12) Pernice, M. A. Labeo, Halle, 1873-8, I, pagg. 113 e segg.  Cfr. anche Padelletti noWArch. giur., XIF, pag. 213.    (13) PucHTA, Inst. l 212, II, pag. 83.   (14) Lafehiuère, op. cit.t pagg. 613 e segg.   (15) Cfr. SciALOJA, nel Bull. deìVist. di dir. rom., 1890, III, pagg.  176-7; BoNFANTE, L'origine deìVìiereditas e dei legati nel dir. sìACcess.  romano, Del cit. Bullettino, IV, 1891, pagg. 97-144.   (16) Lafeuuièue, op. city pagg. 621-8.   (17) Il Trevisani, op. cit., nella Gazz. dei 2'rib., VI, 821 e segg.  sostiene che i romani ebbero ognora in gran sfavore il soicidio. Ri-  corda che costituiva vizio redibitorio per lo schiavo il suo tentativo  di suicidio, anteriore alla vendita; ma davvero non occorre osservare  come ciò sia spiegato chiaramente dalla considerazione economica  verso il padrone (fr. 1 l 1, fr. 23 l 3 D. 21,1). E il. tentativo di  suicidio punito per rescr. di Adriano nel soldato, non è spiegato ab-  bastanza da considerazioni di ordine pubblico e dalle necessità della  disciplina militare? Cfr. in questo senso: Ferii ini, Dir. pen. rom., nel  'Tratt. teor. prat. del Cogliolo, I, 18f^8, pagg. 28-9.   (18) Ferrini, Teoria dei leg. e fedecomm,, Milano, 1889, p. 346-9.   T:oiT(xioLi yi] T:XaYYjvat TrpoxaXijaiTO.   Cfr. Keller, Die philos. der Griechen in ihr. geschichll. En-  tivicklung, 4 Aufl., Leipzig, 1876-9, I, pag. 503.   (20) Ravaisson, Mem. sur le stoicisme, nelle Meni, des inst. imper.  de France ; Acad. des inscr. et beli, lettr.^ XXI, 1857, pag. 29 ;  GorpERT, Ueber einheitl. zusammeìvgesetz. u. gesammt. Sachen, Halle,  1871, pagg. 7-13.   (21) Fu oggetto di dispute gravi il fr. 30 §. 1 D. 41,3: Pomp.,  30 ad Sab.: Labeo lìbris epistularuui ait si is, cui ad tegularum vel  columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedifìcium eas  coniecisset, nihilo minus cum usucapturum, si aedifìcium possedisset.  quid ergo in bis quae non quidem implicantur rebus soli, sed mobilia  permanent, ut in anulo gemma? in quo veruni est et aurum et gem-  mam possideri et usucapì, cum utrumque maneat integrum.   In esso alcuni scrittori ravvisarono un' eccezione utilitatis causa  alla regola generale formulata nei testi succitati, per la quale ecce-  zione si ammetterebbe il proseguimento deirusucapione delle tegole e  delle colonne, anche pel tempo in cui perdono la loro individua na-  tura, coir entrare a far parte della res connexa^ edifizio. Così Wind-  scheid, Pand , 6 Aufl., Pampaloni, La legge  delle XII Tav. de tigno iunclo, Bologna, 1883, estr. dair^rc^. giur.,  Altri, invece, si sforzò di ricercarvi lo stesso senso dei testi citati^  col dare al nihilominus il sifirnifìcato di non. Così Kjeiiulf, Civilr.,  pagg. 276 e segg ; Uxterholzxkii. Verjà'hrungfilehre hearh. v, Schirmer,  I, 153 »ì segg.; SINTE^'Is, uell' Arcìi, f. civiì, Prax., XX, pagg. 75 e  segg., e System, I, pagg. 449-52.   Altri ancora cercò in vario modo di togliere al testo valore sre-  nerale, limitandone la i)ortata alla specialità in esso contemplata. E  però, intese che vi si trattasse di tegole e di colonne non incorporato  ' solidamente alFedifìzio: (Savigny, Besitz, pag. 269; Randa, Besitz, pag.  429); che la regola formulata nel testo valesse soltanto pel caso in  cui l'incorporazione delle tegole e delle colonne nell'edifizio avvenisse  quando questo già era compiuto, quando cioè, per tal modo, Teventual^  distacco di esse non urta contro la ratio della legge de tigno iuncta  « ne urbe ruinis deformetur » (Scheurl, Ziir Lelire vom rum. B'e^  sitZf §. 23); oppure valesse solo trattandosi di mobili incorporati al-  Tedifizio, ma non parti essenziali di questo ( Ruggieri, Il possesso). Sempre in questa tendenza di limitare il valore del testo,  negando ad esso portata generale, altri scrittori intesero restrittiva-  mente il termine dei decem dies, in esso formulato, in applicazione  della massima romana di non tener conto dei minima ( Thibaut nel-  YArch, f. civ. Prax., VII, pagg. 79 e segg.; Puchta, KÌ, civ. Schrift.Pape, Zeitschr. f. CiviJr. ii, Proc. N. F. XIV,  p. 211); spiegarono la sentenza del testo colla impossibilità dell' ir-  surpatio dei materiali nei 10 giorni mancanti, per la ragione chf , oc-  correndo un termine di almeno 10 giorni dalla editio actionis per  giungere alla litis contestatio^ se si agiva qando mancavano 10 soli  giorni ad usucapire, la ì'ei vindicatio non serviva a rendere innocua  r usucapione ( Savigny, Besitz, Eisele, lahrh. /I  Bogrn., N. F.  o finalmente intesero che nel  testo fosse contemplato il solo caso di unione delle tegole e delle co-  lonne ad un edificio incompiuto e che la legge de tigno iuncto non  impedisse di staccamele, per essere 1' unione recente di 10 giorni  (Meischeider, Besitz u. Besilzschntz,Codeste varie interpretazioni e spiegazioni sono riassunte dal  WiNDSCHEiD, c, più complctamento, dal Pe rozzi, Sui  possesso di parti di cosa^ negli Studi giur. e stor.per VVIII cenfen.  delV Università di Bologna, Roma., il qualo  confuta ciascuna di esse, per giungere alla conclusione che le tegole  e le colonne incorporate all'edifizio sì posseggono e s'usucapiscono non  perse, a parte, ma solo in conseguenza del possesso e dell'usucapione  dell'intero, a differenza della gemma e dell' anello che si posseggono  e s'usucapiscono per se. Hering; Eckhaud, La-  rERiuÈRE; Moriani; Cfr. Trevisani, nella Gazz. dei trib., Laperrière;  DiRKSEN, Ueheì' CICERONE s unlergegangene Schri/t: De iure  civili in arte redigendo, nelle philol. u. Philos. Ahhandl. der k. Aka-  demie der Wissensch. zu Berlin, Hjljen-  BRAND, Voigt, Aelivs und Sa-  hinussìjst.., Si connette a questa influenza formale d' ordine generale la ri-  cerca delle etimologie, comune ai giuristi, segnatamente dopo Labeone.  Qui Timitazione degli stoici fu riconosciuta quasi da tutti che ebbero  ad occuparsi del nostro tema. Cfr. da ultimo Lersch, Die Sprach-  philosoph, der Alien. Senonchè, nonostante gli sforzi di un accurato lavoro (CECI, Le etimologie dei' giureconsulti romani,  Torino ) persisto nel credere che sull’indole e sul valore delle  ricerche etimologiche dei giuristi rimanga saldo tuttavia il giudizio  severo ch’ha a formularne Pernice, M. A. Laheo, Si veggano i testi raccolti ed elaborati, non occorre dire con  quale diligenza- e acutezza, dal Voigt, Ius. natur, MoRiANi; Ratio derivazione dall'indiano rita e ratum, ordinamento  dell'universo e della natura terrestre, comprese le cose umane. Così  Leist, Civ. Stad., Katuralis ratio und Natur der Saclie; Civ. Stud, Gracco ital. Rechtsgesch., Iena, SuMNER Maine, Ancien droit, Etudes sur Vane, droit; HiLDENBRAND, Cfr. da ultimo l'acuta ricostruzione del Brini, Ius naturale,  Bologna. La condizione patrimoniale del coniage superstite  nel diritto romano classico, Bologna, Fava e Garagnani;  Il diritto privato romano nelle comedie di Plauto, Torino, Fratelli Bocca; Le azioni exercitoria e institoria nel diritto romano, Parma, Battei. Guido Ceronetti. Keywords: la lanterna, la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo, Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --. Aforismi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library. Ceronetti.

 

Grice e Cerroni: l’implicatura conversazionale hegeliana -- Gaus e il sistema di diritto romano -- i hegeliani – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Filosofo italiano. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher – surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian identity? But his more general philosophical explorations may interest the Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a ‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia del diritto.  Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine politiche all'Lecce.  Divenne professore di ruolo di Filosofia della politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore emerito. Macerata gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche. Altre opere: “Problemi attuali di storia dell'agricoltura dell'U.R.S.S.” (Milano: Ed. Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma: Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei movimenti contadini in Russia” (Milano: Movimento Operaio); Studi sovietici di diritto Internazionale: A cura della sezione giuridica della associazione Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma: Tip. Martore e Rotolo); La dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS, C., .S.l. (Bologna: STEB); Poeti sovietici d'oggi, Roma: Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo degli studi storici sulla Russia, Bologna: STEB); Diritto ed economia: rilevanza del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto, C. Milano: Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca, Milano: Giuffrè; Individuo e persona nella democrazia, C. Milano: Giuffrè); “Il problema politico nello Stato moderno, C., .Milano: Giuffrè; Diritto e sociologia, C.,  Kelsen e Marx, C. Milano: Giuffrè); L'etica dei solitari; C., Milano: Giuffrè); Lenin e il problema della democrazia moderna: saggi e studi (Roma: NAVA) Parlamento e società; C. Edizioni giuridiche del lavoro); La prospettiva del comunismo, Marx, Engels, Lenin Roma: Editori Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di Castello: Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto privato e diritto pubblico Milano: Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia hegeliana del diritto pubblico; C., .Milano: Giuffrè); La filosofia politica di Gentile; C. (Novara: Tip. Stella Alpina) La nuova codificazione penale sovietica / Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); Concezione normativa e concezione sociologica del diritto moderno / Umberto Cerroni.S.l.: Edizioni giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano: Giuffrè); Kant e la fondazione della categoria giuridica, C. .Milano: Giuffrè); Marx e il diritto moderno, C., Roma: Editori Riuniti); Teorie sovietiche del diritto / Stucka...(et al.); C. .Milano: Giuffrè); Saggi / Benjamin Constant; introduzione di C., Roma: Samonà e Savelli); Il diritto e la storia, C.. Le origini del socialismo in Russia / C..Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / C..Roma: Editori Riuniti,  Un ouvrage recent sur Marx et le droit: Umberto Cerroni, Marx e il diritto moderno, Rome, par Michel Villey.[Paris]: Sirey); Che cos'è la proprietà?, o, Ricerche sul principio del diritto e del governo: prima memoria, Pierre-Proudhon; prefazione, cronologia, C., Bari: Laterza); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali: relazioni sugli aspetti generali, C., .[Milano: Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale,  (Milano: Tipografia Ferrari) La funzione rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino: Einaudi); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre; C., Roma: Editori Riuniti); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau” (Bari: Laterza); La libertà dei moderni” (Bari: De Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce: Milella); Problemi della legalità socialista nelle recenti discussioni sovietiche, C. .Milano: A. Giuffrè); “Sulla natura della politica: utopia e compromesso” (Milano: Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze sociali”; Il metodo dell'analisi sociale di Lenin” (Bari: Adriatica); Il pensiero giuridico sovietico” (Roma: Editori Riuniti);  La questione ebraica” (Roma: Editori Riuniti); La società industriale e la condizione dell'uomo” (Lecce: ITES); “Sul metodo delle scienze sociali: una risposta” (Milano: Giuffrè); Principi di politica, Constant; Roma: Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma: Newton Compton); Tecnica e libertà: conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova: Grafiche Erredici) Tecnica e libertà / C., Bari: De Donato); Lavoro salariato e capitale / Appunti sul salario e appendice di F. Engels; Introduzione, cura e note filologiche di C., Roma: Newton Compton italiana, La societa industriale e le trasformazioni della famiglia, C., Milano: Giuffrè); Salario, prezzo e profitto / Marx; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin; introduzione di C. Roma: Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale in Marx: Una reinterpretazione, C., Bari: De Donato); Strade per la libertà / Russell; introduzione di C., Roma: Newton compton italiana); Discorso sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau; traduzione di Celestino E. Spada; prefazione di C., Bari: Laterza); Caratteristiche del romanticismo economico / V. I. Lenin; prefazione di C., Roma: Editori Riuniti); Kant e la fondazione della categoria giuridica / C., .Milano: Giuffrè); La libertà dei moderni, C., Bari: De Donato); Marx e il diritto moderno / C., .Roma: Editori Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia C., con la collaborazione di Oreste Massari e Anna Maria Nassisi.Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle origini ai nostri giorni / C. 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Engels; introduzione, cura e note filologiche di C., Roma: Newton Compton); Marx e il diritto moderno / C., .Roma: Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del presente / C., Politica ed economia); Societa civile e stato politico in Hegel” (Bari: De Donato); Salario, prezzo e profitto” (Marx” (Roma: Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno: almanacco, C., .Bari: De Donato); Il pensiero di Marx / Marx; Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico: dalle origini ai nostri giorni” (Roma: Editori Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma: Ed. Riuniti); Scienza e potere / scritti di C... <et al.>.Milano: Feltrinelli); Stato e rivoluzione / Vladimir I. 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Lecce: Milella); Il rapporto uomo-donna nella civilta borghese, C., Roma: Editori Riuniti, Salario, prezzo e profitto / Karl Marx; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Sulla storicità dell'eros: note metodologiche / Umberto Cerroni, Annarita Buttafuoco); Crisi ideale e transizione al socialismo / Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti); Scritti economici,  Lenin; C., .Roma: Editori Riuniti); Stato e rivoluzione, Lenin; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Carte della crisi: taccuino politico-filosofico, C., Roma: Editori Riuniti, Crisi del marxismo? C., intervista di Roberto Romani.Roma: Editori Riuniti); Critica al programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al socialismo, Marx; C. .Roma: Editori Riuniti, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica / V. I. 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Milano); “Logica e società: pensare dopo Marx” (Milano: Bompiani, La democrazia come problema della società di massa; Principi di politica” (Roma: Editori Riuniti); “Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico” (Roma: Editori Riuniti); Il pensiero di Marx: antologia, con la collaborazione di Massari e Nassisi, Roma: Editori Riuniti, Scritti economici” (Roma: Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma: Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina” (Roma: Editori riuniti, Politica: metodo, teorie, processi, soggetti, istituzioni e categorie, C., Roma: NIS); La politica post-classica: studi sulle teorie contemporanee” (Taviano: Lit. Graphosette) Urss e Cina: le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti della Fondazione Gramsci. Milano: F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato con il Saggio sui privilege” (Roma: Editori Riuniti, Democrazia e riforma della politica: Lo Statuto del nuovo PCI, C., Roma: Partito Comunista Italiano, Regole e valori nella democrazia: stato di diritto, stato sociale, stato di cultura” Roma: Ed. Riuniti, La cultura della democrazia, C., Chieti: Metis, Che cosa e il Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes; C., Roma: Editori Riuniti, La rivoluzione giacobina / Robespierre; C.; traduzione di Fabrizio Fabbrini; apparati biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone: Studio Tesi, Manifesto del partito comunista / Karl Marx, Friedrich Engels; nella traduzione di Antonio Labriola; seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio Labriola; introduzione di C., Roma: TEN,  Nazione/regione: i contributi regionali alla costruzione dell'identità nazionale / Battistini, C.,Prospero.Cesena: Il ponte vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e cultura umanistica: seminario svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni; A. Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma: Anpa, [Novecento: almanacco del ventesimo secolo, Cesena: Il ponte vecchio, Il pensiero politico italiano, C. .Roma: Newton Compton, Il pensiero politico del Novecento, C., Roma: Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo sociologico” (Roma: Editori Riuniti,Regole e valori nella democrazia: Stato di diritto, Stato sociale, Stato di cultura / C. Roma: Editori Riuniti, L'identità civile degli italiani, C., .Lecce: Manni, L'ulivo al governo: come cambia l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos, stampa Politica / C. .Roma: Seam, Confronto italiano: atti degli incontri di Cetona, Bechelloni, C., Firenze: Ed. Regione Toscana, stampa (Firenze: Centro Stampa Giunta regionale); “L'identità civile degli italiani” (Lecce: Manni, Lo Stato democratico di diritto: modernità e politica, C. Roma: Philos, stampa, Habeas mentem: Scuola e vita civile, C., Rionero in Vulture (Pz): Calice, Conoscenza e societa complessa: per una teoria generale del sensibile” (Roma: Philos, Ricordo di Marisa De Luca Cerroni / scritti di C. et al.Lecce, stampa Confronto italiano: atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze: Ed. Regione Toscana, stampa  (Centro Stampa Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico C. .Roma: Philos, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo nell'identità italiana, Roma: Meltemi, Taccuino politico-filosofico, C. Lecce: Manni, Le radici culturali dell'Europa, C.,  Lecce:Manni, Radici della civiltà europea, Lecce: Manni,Globalizzazione e democrazia, Lecce: Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino politico-filosofico C., San Cesario di Lecce: Manni, L'eretico della sinistra: Bruno Rizzi elitista democratico” (Milano: F. Angeli,  Taccuino politico-filosofico, Lecce; La scienza e una curiosita: scritti in onore di C./ Perrotta; con la collaborazione di Greco” (San Cesario di Lecce: Manni, Manifesto del partito comunista, Marx,  Engels; nella traduzione di LABRIOLA; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti di Labriola” (Roma: Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti: dialoghi di psicosociologia, C., , ARinaldi.San Cesario di Lecce: Manni, [Taccuino politico-filosofico, C. [San Cesario di Lecce]: Manni, Ricordi e riflessioni: un dialogo con Vagaggini, C., Montepulciano: Le Balze. Le fonti del dritto romao. r 'SeUieae il dritto ocHisiderato astrattamente abbia uoa  brigioe ed nn priocipio onìoo ed assolato, pure quando  sf attna come dritto d’un’epoca e d'un popolo, perchè dipende da tante le condizioni storiche dell'uno e dell'altra, emana per organii diversi, e prende forme  e manifestazioni varie e conformi allo spirito di esse. Per questo intimo rapporto fra la vita intima d'un popolo ed il dritto POSITIVO di esso, fra questo e gl’organi esterni onde si manifesta, i più ingegnosi ed intelligrati che si fecero a trattare del DRITTO ROMANO, crederono essenziale investigarne avanti tutto le fonti  e gl’organi, per ì quali ebbe vita e realtà. Una tale investigazione non riesce difficile quantunque volte vi  abbia unità di poteri, o sieno questi armonicamente  distinti, sicché la storia di essi succedendosi pacatamente ed uniformemente è facile intraviNlere l’origine ed il principio di ciascuna legge. Ma nella storia romana in cui la moltiplicità e la lotta dei partiti, il  tumulto, che non si scompagna da una VITA AGITATA E GUERRIERA, ed i cambiamenti rapidi e violenti, onde  si avvicenda la storia di Roma, rendono oltromodo difficilè e malagevole lo studio della genesi e el processo d’ogni fatto storico in generale e di quelli del  dritto in particolare. Per questo saggio però non vi ha  difetto di materiali né di testimonianze storiche. Quando al tumulto dell’esistenza pubblica tenne dietro il  silenzio e la quiete della vita privata, quella stessa forza che fa il sublime degl’eroi romani, e rese  invincibili le schiere dello repubblica, detta le  sentenze dei più grandi giureconsulti che ricordi la  storia. E questi non lasciano nulla a desiderare di testimonianze e prnove storiche nella ricerca delle fonti  del dritto romano. È ormai indubitato , in che A\i-   §. 0. r. l r. ì. 7. fi. dt jmt. H}ì0^V. i.) CICERONE Té.   M CAJO ferissero il JVS GENTIVM dal JVS CIVILE quale impcnrtanza ed es0i:essìone avesse il DRITTO PRETORIO  nella storia del dritto romano, quale processo tenevasi nelle  determinazioni popolari, da qual momento ha FORZA LEGISLATIVA. Ciascuno di questi fatti è si intimamente  incarnato nella storia di Roma, che ne forma im eie-,  mento, ed accenna ad uno dei periodi di essa. Non  havvi però la medesima certezza sull’importante questione dà qual tempo i senatoconsulti ebbero forza legislativa e le opinioni dei moderni sono diverse, come pure discordanti sono a tal proposito le testimonianze degl’antichi scrittori; giacché alcuni ritengono  per indubitato che i senato-consulti non hanno forza legislativa prima del tempo di TIBERIO,  abbisognandovi avanti tutto che sono confermati nei  comizii perchè valeno come altrettante leggi; mentre  altri sostengono l'opinione contraria, ed avvisano che I SENATO-CONSULTI SONO UNA FONTE DI DRITTO ANCHE AL TEMPO DELLA REPUBBLICA, giacché molto prima di Tiberio occorrono senato-consulti sulle materie di dritto privato, e particolarmente il [Sileniarmm. È necessario avanti tutto far considerazione , che in una tale questione importa moltissimo il distinguere quello  che intendesi investigare, se i Senatoconsulti cioè sie no stati semplice fonte del dritto al tempo della repubblica o abbiano avuto anche FORZA DI LEGGE. Di quanta  importanza sia una tale distinzione basta a provarlo il  diritto pretorio. A tutti è noto qual parte essenziale  questo rappresenti nella storia del dritto Romano  co-  pica y cap. 5. -^ TheopkUtis , ad U e. L />• de m^. juris Hugo , SU^ia id driUo , Bach. , Histar. jurù Dion. D'JUcamis. Polibio , lib. Vf.  p. &62. — Tacili, Ajffr^ i. 15. um primum e campo comi-  Ita ad paires tramlata sunt ». Dian. Canio, CICERONE, TOPICA, e. 5« « VI SI QVIS IVS CIVILE DICAT ID ESSE Vi  quod in kgibìés , senatuicmiultis rebtis judìcaiis , jurisperitorwn  auctoritate , ediclis magistralum eie. consistat. — Theophilus,  ad I. Pomponius^ l % § 9. de origin. jum.Oratiu$ , Ep, ì. i6.     WLIA SCOYBftTA sprima relemmU) umanitario in opposiziose dell’elemento civile romano, sia l' anellp, per il quale  il dritto romano si connette con quello dell’umanità,  di'esso in fine pone le basi del dritto posteriore Romano; e pure non ebbe per se stesso ed immediatamente FORZA DI LEGGE. Sicché quando si dimanda se i senato-consulti sono una fonte del dritto al tempo della repubblica non si può affermare il contrario. La loro ezistenza istessa e l’importanza del Senato ne fa  nuova. Ma da qual tempo ha forza legislativa? Non vi ha alcuna legge che riconosca loro un tale carattere , mentre per contrario ne’ plebisciti è detto:  ET ITA FACTVM EST, ut inter PLEBISCITA ET LEGEM species constituendi interessent, potestas autem eadem  e^/ i ; e certamente non sarebbesi mancato di affermare il medesimo dei senato-consulti, quando ciò fosse stato. Un tal cambiamento dove avvenire nei tempi posteriori alla republica, quando più difficili e rari addivennero i comizii che confermavano le determinazioni  del Senato a quia difficile PLEBS CONVENIRE coepitj POPVLVS certo multo diffìcilius in tanta turba homimm necessitas ipsa curam reipublica ad Senatum dedimit. Questa opinione è conferorota dalle seguenti parole  di GAIO   Comm. Senatusconsultum est quod Senatus jubet atque consisterit idque LEGIS VICEM obtinet quamvis  fuit quaesitum. E perchè le ultime parole “quamvis fuit quaesitum” non accennano alla lotta dei partiti ma alle diverse opinioni delle due scuole dei Sabiniani e dei Proculejani, ne segue, che anche al tempo di queste LA CONSUETUDINE per la quale IN DIFETTO DI LEGGE espressa  i senatoconsulti prendevano FORZA LEGISLATIVA, non è  ancora addivenuta un fatto certo ed indubitato. Sul/t/^ hanorarium e particolarmente l’antica questione, se Y Edictum perpetunm costituisse sotto ADRIANO un CODICE, che è coi precedenti Editti Preterii nel medesimo rapporto che le Pandette cogli scritti dei giuristi, o pure fosse un semplice lavoro privato M CkJO^ i 5   BB&wiiìb dall' Imperadore senza ehe arrestasse il movimento della legislazione Pretoria, sembra decisa a favore di quest’ultima opinione colle parole. Jus mttem edicendi habent magistratus popvM Mo^  mani '^-^ Qu(wst<^res non mittuntur: id Edicium m  pt'omnciis non proponitur. Le nostre conoscenze per contrario non si avvantaggiano in menomo modo ooUa scoverta delle Istituzioni  di Gaio sulle quistioni, che riguardano i responsi prui dentum , la distinzione del jus scriptum e non scriptum che ritenevasi communemente di origine greca senza che un tal difetto fosse un gran aniio giacché le notizie e le conoscenze che ci vennero a  tal proposito per altri scrittori, sodisfano abbastanza  ai bisogni della scienza. Umberto Cerroni. Keywords: Hegel and Roman law -- i hegeliani, categoria giuridica, Trasimacco, Kelsen, Eduardo Gaus, Hegel, sistema di diritto romano. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The Swimming-Pool Library. Cerroni.

 

Grice e Certani: l’implicatura conversazionale del sacrificio – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo italiano. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew at school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice: “Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia, Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele” (Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso; cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche, e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe” (Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel suo museo Cospiano ae la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte III lib. II, ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec.  Marco Curzio Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il dipinto attribuito al Bacchiacca, vedi Marco Curzio (dipinto). Marco Curzio è un personaggio leggendario della Roma antica, appartenente alla gens Curtia. Benjamin Haydon, Marco Curzio si getta nella voragine, National Gallery of Victoria. La leggenda narra che nel 362 a.C. nel Foro Romano si aprì una voragine apparentemente senza fondo. I sacerdoti interpretarono il fatto come un segno di sventura, predicendo che la voragine si sarebbe allargata fino ad inghiottire Roma, a meno che non si fosse gettato in quel baratro quanto di più prezioso ogni cittadino romano possedeva.  Il giovane patrizio Marco Curzio, uno dei più valorosi guerrieri dell'esercito romano, convinto che il bene supremo di ogni romano fossero il valore e il coraggio, si lanciò nella fenditura armato e a cavallo, facendo così cessare l'estendersi della voragine.  Questo autosacrificio agli dei inferi (Mani) era detto devotio.  Il luogo dove si formò la voragine rimase nella leggenda con il nome di Lacus Curtius. La leggenda è narrata da Tito Livio nei suoi Annali.  Una statua equestre della tarda latinità - in grandezza ridotta rispetto al naturale - rappresentante Marco Curzio si trova a Carrara, inserita nelle mura Albericiane in corrispondenza della Porta cittadina.  Il grande attore Antonio de Curtis, in arte Totò, sosteneva che la sua famiglia discendesse da questo personaggio leggendario. Cùrzio, Marco, su sapere.it, De Agostini. Marco Curzio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Mitologia Ultima modifica 2 anni fa Gens Curtia famiglie romane che condividevano il nomen Curtius  Lacus Curtius Punto d'interesse nel Foro romano  Marco Curzio (dipinto) dipinto attribuito al Bacchiacca  Wikipedia IlGiacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo Certani. Keywords: il sacrificio, Marco Curzio, devozione --  Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del paradiso, chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail, the knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani” – The Swimming-Pool Library. Certani.

 

Grice e Ceruti: l’implicatura conversazionale di Niso -- ovvero, dell’altruismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Cremona). Filosofo italiano. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on solidarity – and previously on altruism – these are VERY different concepts, as he notes – but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A Griceian at heart!” --  Grice: “Only one T!”. Tra i filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è uno dei pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui sistemi complessi.  La sua filosofia si produce all'intersezione di una pluralità di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della scienza, storia delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia, cosmologia…), scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia, storia…), scienze dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia della scienza con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella quale, attraverso l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del ruolo della biologia e delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni disciplinari, come decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le scienze umane, in grado di favorire processi di circolazione concettuale e di traduzione reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha affrontato le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle maggiori rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti, relatività, teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue ricerche sui temi del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e contenuto nella storia delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei risultati innovativi connessi alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di queste ricerche è contenuta nell'opera Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto da Ginevra, presso la Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata da Piaget, in qualità di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro coordinato da Munari. In questo periodo approfondisce le relazioni che connettono l'opera di Piaget a vari modelli e approcci del contesto scientifico a lui contemporaneo: alla termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle ricerche sul concetto e sui processi di auto-organizzazione e autopoiesi, all'embriologia di Waddington, ai nascenti dibattiti sul significato delle ricerche della biologia molecolare. Il tema chiave di queste convergenze disciplinari è la possibile delineazione di modelli generali del cambiamento, nonché del ruolo della discontinuità in questi modelli. L'approfondimento dei singoli filoni disciplinari gli consente di interrogarsi più estensivamente sul significato profondo e complessivo dei cambiamenti paradigmatici delle scienze alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza di varie discipline emerge la prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata da precise assunzioni relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione fra soggetto e mondo, al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli approcci scientifici. La nozione di complessità costituisce un'utile maniera sintetica di rapportarsi con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del contesto scientifico, imposta un programma di ricerca attorno al tema della epistemologia della complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione di convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La sfida della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin, centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e filosofiche dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e discontinuità conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge, ai dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche, alle nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni fra approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva una serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il tema del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva, cosmologia, fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli interrogativi sul modo in cui dallo studio del radicamento naturale delle società umane possano scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni sociali e culturali della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le ricerche condotte in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte all'individuazione di leggi generali della complessità e di modelli generali sul comportamento dei sistemi complessi. Una nuova linea di ricerca di filosofia della scienza, che approfondisce a partire dalla metà degli anni novanta, è lo studio dei modelli di cambiamento dell'evoluzione umana, in relazione alla teoria degli equilibri punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche ecologiche e ambientali. Una seconda linea di ricerca epistemologica, strettamente interrelata alla prima, è lo studio dell'importanza delle analisi genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e della storia umane, sia dei tempi lunghi della storia delle varie specie ominidi sia dei tempi medi della storia della nostra specie Homo sapiens. A partire da Solidarietà o barbarie. L'Europa delle diversità contro la pulizia etnica, imposta una serie di seminari e di ricerche di filosofia delle scienze biologiche, evoluzionistiche e storiche sul tema dei confini e sulle identità nazionali e culturali. Nel far ciò approfondisce una concezione evolutiva di tali identità, consonante con la prospettiva epistemologica costruttivistica, e convergente con i presupposti epistemologici, costruttivisti e antiessenzialisti propri della tradizione evoluzionistica darwiniana. In queste ricerche, viene affrontata anche la questione del significato della rivoluzione darwiniana nell'intera storia della tradizione scientifica occidentale. Un ulteriore studio dedicato a tali problematiche è il volume Educazione e globalizzazione, che traccia un bilancio epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia, geografia, antropologia, scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo della diversità culturale nella storia della specie umana e le radici profonde degli attuali processi di globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca, di Bergamo e a Milano, dove attualmente insegna e ricopre la carica di direttore del Dipartimento di Studi umanistici. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle Scienze. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Milano Bicocca. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di Ricerca sull'Antropologia e l'Epistemologia della Complessità che comprendeva la Scuola di dottorato in Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo.  Principali tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità; Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive; Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato, dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori.  Alle elezioni politiche italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della complessità” (Cortina, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium, Roma); “La nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo” (Laterza, Roma); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano); “Il vincolo e la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie” (Feltrinelli, Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le due paci. Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari); “Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà, Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa nell'era planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget. Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano  Bocchi C. M. Disordine e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean Piaget, Feltrinelli, Milano. Direttore delle riviste scientifiche:  La Casa di Dedalo (Casa Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo); Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato, su senato. Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato Nazionale di Bioetica, su governo. Rome’s national epic displays a tendency to treat sex and love. The pair of Trojan warriors Nisus and Euryalus are cast in the roles of erastes and eromenos. Virgil’s narrative of the two valorous young Trojans has, of course, various thematic functions and will have resonated in various ways for a roman readiership. Here I focus on only one aspect of the narrative, namely the eroticization of their relationship, in he interests of esplong wha this text might suggest about the pre-conceptions of its Roman readership. See Makowski for an overview of ancient and modern views of the pair, along with arguments for describing them as erastes and eromenos on the Greek model (Makowski finds particular parallels with Plato’s Symposium). For literary discussions of Nisus and Euryalus that take as their starting point the erotic nature of their relationship see Gordon Williams, pp. 205-7, 226-31, Lyne, pp. 228-9, 235-6, and Hardie, 23-34). Bellincioni, ‘Eurrialo’ in Enciclopedia Virgiliana (Roma), observing that Virgil has added tdhe motif of their friendship to his Homeric models summarses thus: “L’AMORE CHE UNISCE EURIALO E NISO E UN SENTIMENTO INTERMEDIO FRA L’AMCIZIA E LA PASSIONE … PUR NELLA SUA PUREZZA, TENDE ALL’EROS. COMNQUE E PASSIONE CHE SI PONE FINE A SE STESSA E NON SI SUBIRDINA A PRINCIPI MORALI, COME LA SLEALTA SPORTIVA DI NISO NEL 5o CHIARAMENTE DIMOSTRA. Bellincione cites Colant, ‘Le’peisode de Niuses et Euryale ou le poeme de l’amitie, LEC, 19, 89-100. IThe pair of Trojan warriors Nisus and Euryalus are cast in the roles of erastes and eromaneos. Virgil’s narrative of the two valourus young Trojans has, of course, various thematic functions and will have resonated in various ways of a Roman readership. Here I focus on only one aspect of the narrative, namely the eroticiation of their relation Niso ed Eurialo are first introduced in the funeral games in Book 5. ‘Nisus et Euryalus primi, Eurialus forma insignis viridique iuventa, Nisus ammore pio pueri’ (Vir. Aen. 5. 2292-6). ‘First came Nisus and Euryalus: Euryalus outstanding for his beauty and fresh yourhfulness, Nisus for his deveted love for the boy’. During the ensuing footrace, Nisus indulges ia a questionably bit of gallantry: starting off in first place, he slips and falls in the blook of sacrificed heifers, then deliberately trips the man who was in second place, in order the Euryalus may come up from behind an win first place. Non tamen Euryali, non ille oblitus amorum (Vir. Aen. 5. 334 -- ‘He was not forgetful of his love Euryalus, not he! (The plural AMORES is ordinarily used of one’s sexual partner, one’s LOVE in that sense 0- Liddell Scott ic. Virgil himself uses the word in the plural to refer to a bull’s mate at Georgics 3 227. Indeed, Servius, ad Aen. 5 334, writing in a different cultural climate, was worried by precisely thiat fact, observing that OBLITUS AMORUM AMARE NEC SUPRA DICTIS CONGRUE: AIT ENIM AMORE PIO PUERI, NUNC AMORUM, QUI PLURALITER NON NISI TURPITUDINEM SSIGNIFICANT. Virgil’s phrase, OBLITUS AMORUM contradicts his earlier AMORE PIO PUERI because AMORES in the plural ‘can only SIGNIFY SOMETHING DISGRACEFUL’ Whereas the description of Nisus’s love for the boy as PIUS apparently precludes, for Servius, PHYSICALITY. ‘ The two Trojans reappear in a celebrated episode from Book 9, when they leave the camp at night in an effort to break through enemy lines and reach Aeneas. They succeed in killing a number of Italian warriors, ut eventually are themselves both killed. Euryalus first and then his companion, who, after being morally wounded, flings himself upon Euryalus’s body. The episode beings with this description of the pair. Nisus erat portae custos, acerrimus armis, Hyrtacides, comitem Aenea quem miserat Ida venatrix iaculo celerem levibusque sagittis; et iuxta comes Euryalus, quo pulchrior alter non fuit Aenaedum Troiana neque induit arma, ora puer prima signans intonsa iuventa. His amor unus erat pariterque in bella ruebant. Vir. Aen. 9 176-82. Nisus, sonof Hyrtacus was the guard of the gate, a most fierce warrior, swift with the javeling and with nimble arrows, sent by Ida the huntress to accompany Aeneas. And next to him was his companion Euryalus. None of Aeneas’s followers, none who had shouldered Trojan weapons, was more beautiful: a boy at the beginning of youth, displaying a face unshaven. These two shared one love, and rushed into the fightin side by side. Virgil’s wording is decorous but the emphaisis on Euryalus’s youthful beauty and particularly the absence of a beard on his fresh young face, as well as the comment that the THWO SHARED ONE LOVE and fought side by side – imagery that is repeated from the scene in Book 5 and is continued throughout the episode in Book 9 – is noteworth  For Euryalus’s youth, cf. 217, 276 (puer) and especially the evocation of his beauty even in death (433-7, language which recalls the erotic imagiery of CATULLUS and Sappho – Lyne, pp. 229. For their INSEPARABILITY, cf. 203: TECUM TALIA GESSI and 244-5 (VIDIMUS … VENATU ADSIDUO. Note: NEVE HAEC NOSTRIS SPECTENTUSR AB ANNIS QUAE FERIMUS, 235-6, CONSPEXIMUS. 237. how Nisus gallantly presents his plan to the assembled troops NOT AS HIS OWN Bt as his AND EURYALUS’S (235-6:  Likewise the question that Nisus asks Euryalus when he first proposes the plan t o him has suggestive resonances: DINE HUNC ARDOREM MENTIBUS ADDUNT EURYALE, AN SUA CUIQUE DEUS FIT DIRA CUPIDO? Aen 9 184-5. Cf. Makowsky, p. 8 and Hardie, p. 109. For the phrase DIRA CUPIDO, compare DIRA LIBIDO at Lucretius (De natura rerum, 4. 1046, concerning men’s desire TO EJACULATE and muta cupido at 4. 1057. Euryyalus, is it the gods who put this yearning (ardor) into our minds, or does each person’s grim desire (dira cupido) become a god for him?” In addition to its ostensible subject (a desire to achieve a military eploit), Nisus’s language of yearning and desire could also evoke the dynamis of an erotic relationship. So too the poet’s depiction of Nisus’s reaction to seeing his young companion captured by the enemy is notable for its emotional urgency and its portrayal of Nisus’s intensely protective for for the youth. Tum vero exterritus, amens, conclamat Nisus nec se celare tenebris amplius aut tantum potuit perferre dolorem. Me, me, adsun qui feci, in me convertite ferrum, o Rutuli, mean fraus omnis, nihil iste nec ausus nect potuit, caelum hoc et conscia sidera testor, tantum infeliciem nimium dilet amicum (Vir. Aen 9 424-30. Then, terrified out of his mind, unable to hid himself any longer in the shadows or to endure such great pain, Nisus shouts out: “ME! I am the one who did it! Turn your weapons to me, Rutulians! The deceit was entirely mine, HE was not so bold as to do it; he could not have done it. I swear by the sky above and the stars who know: the only thing he did was to love his unahappy friend too much. There is, in short, good reason to believe that Virgil’s Nisus and Euryalus, whose relationship is described in the circumspect terms befitting epic poetry, would have been UNDERSTOOD by his Roma readers as sharing a SEXUAL bond, much like the soldiers in the so-called SACRED BAND of Thebes constituted of erastai and their eromenoi in fourth-century B. C. Greece (Note also that 9.199-200 (meme … figis?) seems to echo Dido’s words to Aeneas at 4.314 (mene fugis?. So too Makowski p. 9-10 and 9.390-3 )Euryale infelix, qua te regione reliqui? Quave sequar? Rurus perplexum iter omne revolves fallacis sylvae simul et VESTIGIA RETRO observata legit dumisque silentisu errat) might recall the scene were Aeneas loses Creusa a t the end of Book 2. Haride p. 26) points to parallels with the story of Orpheus and Euryide in the Georgics, as well as as to that of Aeneas and Crusa in Aeneid 2. For the Sacred Band of Thebes, see Plut, Amat. 761B. Pelop, 18-9, Athen. 13.561F and 602A, and the probable allusion at Pl. Smp. 178e-179a. When Nisus, mortally wounded, flings himself upon his companion’s lifeless body to join him in death, the narrator breaks forth into a celebrated eulogy. Tum super exanimum sese proiecit amicum confossus, placidaque ibi demum morte quievit. Fortuanati ambo! Si quid mean carmina possunt, nulla dies umquam memori vos eximet aevo, dun domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet imperiumque pater Romanus habebit. (Vir. Aen. 9. 444-9). Then he hurdled himself, pierced through and through, upon his lifeless friend, and there at last rested in a peaceful death. Blessed pair! If my poetry has any power, no day shall ever remove you from the remembering ages, as long as he house of Aenea dwells upon the immovable rok of the Capitol, as thlong as the Roman father holds sway. The praise of the two loving warriors joined in death ould hardly be more stirring – cf. Wiliams, 205-7, Lyne, 235, for their ‘elegiac union of LOVERS IN DEATH’ he adduces Pr0.18 – AMBOS UNA FIDES AUFERET, UNA DIES, and Tibull. 1 1 59-62 as parallels. op. 2.2, and the language coulnt NOT BE MORE ROMAN. And Virgil’s words obviously made an impression among those who wished to EXPRESS FEELINGS OF INTIMACY AND DEVOTION IN PUBLIC CONTEXTS, for we find his language echoied in funerary instricptions for a husband and his wife as well as for a woman praised by her male friend. The inscription on a joint tomb of a grandmother and gradauther explicitly likens them to Nisus and Euryalus. CLE 1142 = CIL 6. 25427, lines 25-6, husband and wife: FORTUNATI AMBO – SI QUA EST, EA GLORIA MORTIS QUO IUNGIT TUMULUS, IUNXERAT UT THALAMAS; CLE 491 = CIL 11.654: a woman praised by her male friend: UNUS AMOR MANSIT PAR QUOQUE VIDA FIDELIS. Cf. Aen. 9. 182. HIS AMOR UNUS ERAT PARITERQUE IN BELLA RUEBANT. CLE 1848.5-6 granddaumother and granddaughter: SIC LUMINE VERO, TUNC IACUERE SIMUL NISUS ET EURIALUS.  So too Senece quotes the lines as an illustration of the fact that great writers can immortalize people who otherwise would have no fame: just as Cicero did for Atticus, Epicurus for Idomeneus, and Seneca himself can do for Lucilius (an immodest claim but one that was ultltimately borne out), so ‘our Virgil promised and gave and everlasting memory to the two,’ whom he does not even bother to name, so renowned had the poet’s words evidently become (Senc. Epist. 21.5 VERGILIUS NOSTER DUOBUS MEMORIAM AETERNAM PROMISIT ET PRAESTAT; FORUTATI AMBO SI QUI MEA CARIMA POSSUNT. It is revealing that sometimes Porous boundary in Roman tets between wwhat we might call friendship and eroticism among males – and overlaps I hope to discuss in another context – that Ovid citest Nisus and Euryalus as the ULTIMATE EMBODIMENT OF MALE FRIENDSHIP, putting them in the company of THESEUS AND PIRITUOUS, ORESTES AND PYLADES ACHILESS AND PATROCLUS, Tristia 1.5.19-24, 1.9.27-34 but the relationship between ACHILEES AND PATROCLUS, at least, was openly described as including a sexual element by classical Greek writers (see n. 92), and with characteristic cluntness by Martial (11.43), wh cjites the pair as an illustration of the special pleasures of anal intercourse. The relationships between Cydon and CClytius, Cycnus and Phaethon, and Juupiter and Ganymede (on Eneas’s shield) all demonstrate that pedersastic relationships enjoy a comfortable presence in the world of the Aeneid. Niusus and Euryalus are thus HARDLY ALONE. Some scholars have even detected an EROTIC ELEMNET in Virgil’s depiction of the relationship between Aeneas and Evander’s son Pallas. See e. g. Gillis, Putnam, and Moorton. Erasmo and Lloyd have independently described erotic elements in the relationship between the young Evander and Anchises, a relationship that, they argue, is then replicated in the next generation, with Pallas and Aeneas.  But their relationship is more complex than the rather straightforward attraction of Cydon for beautiful boys, of Cycnus for the well-born young Phaethon, and even of Jupiter for Ganymede. For while those couples conform unproblematically to the Greek pedrerastic model (one partner is older and dominant, the other young and sub-ordinate), Nisus and Eurialus only do so AT FIRST GLANCE. AS the poem progresses they are transformed from a Hellenic coupling of Erastes and eromanos into a pair of ROMAN MEN (VIRI). The valosiging distinctions inherent in the pederstaist paradigm seem to fade with the Roman’s poet remark that the rwo rushed into war side by side (PARITER – PARITERQUE IN BELLA RUEBANT Vir Aen 9. 182), and they certainly DISAPPEAR when the old man Aletes, praising them from their bold plan, addresses the TWO as VIRI (QUAE DIGNA, VIRI, PRO LAUDIBUS ISTIS, PRAEMIA POSSE REAR SOLVI, 252-3, whe  an enemy leader who catches a glimpse of them shoults out, “Halt, men!” (STATE VIRI, 376), and most poignantly, when the sight of the two “MEN’S” severed heads pierced on enemy spears stuns the Trojan soldiers. SIMUL ORA VIRUM PRAEFIXA MOVEBANT NOTA NIMIS MISERIS ATROQUE FLUENTIA TABO 471-2 . In other words, although Euryalus is the junior partner in this relationship, not yet endowed with a full beard and capable of being labeled the PUER, his actions prove him to be, in the end, as much of a VIR, as capalble of displaying VIRTUS – as his older lover Nisus. There is a further complication in our interpretation of the pair, and indeed all the pederstastic relationships in the Aeneid. Virgil’s epic is of course set in the MYTHIC PAST and cannot be taken as direct evidence for the cultural setting of Virgil’s own day. Moreover, the poem is suffused with the influence of Greek poetry. Thus, one might argue that the rather elevated status of pedersastic relationships in the Aeneid is a SIGN merely of the DISTANCES both cultural and temporal between Virgil’s contemporaries and the character s of his epic. Yet, while the influence of Homer is especially strong in these passages of battle poetry (Virgil’s passing reference to Cydon’s erotic adventures echoes the Homeric technique of citing some touching details about a warrior’s past even as he is introduced to the reader and summarily killed off), is is a much-discussed fact that there are no UNAMIBUOUS, diret references in the Homeric epics to pedersastic relationships on the classical model. The relationship between ACHILLES AND PATROCLUS was understood by later Greek writers to have a seual component see e. g. Aesch. F.r. 135-7 Nauck – from the Myrmidons), Pl. Symp. 180a-b, Aeschin. 1.133, 141-50, Lyne, crediting Griffin, adds Bion 12 Gow. But the test of the Iliad itself, while certainly suggesting a passionate and deeply intense bond between the two, does not represent them in terms of the classical pederastic model. See further, Clarke, Achiles and Patroclus in Love, Hermes, v. 106 p. 381-96, Sergent, 250-8, and Halperin.Virgil might thus be said to ‘out-Greek’ Homer in his description of Cydon. G. Knauer, Die Aeneis und Homer, Gottingen, cites no Homeric parallel for these lines. And yet the pederastic relationships in the Aeneid occur NOT AMONG GREEKS but rather among TROJANS AND ITALIANS, two peoples who are strictly distinguished din the epic from the Greeks, and who,more importantly, together constitute the PROGENTIROS of the roman race. Cf. Turnus’s rhetoric at 9.128-58 based on sharp distinctions among the Trojans, Greeks, ndnd Italians, and the weighty dialogue between Jupiter and June at 12.808-40, where it is agreed that Trojans and Italians will become ONE RACE. Virgil’s readers found pederstastic relationships ina n epic on their people’s orgins, and temporal gap or no, this would have been unthinkable in a cultural context in which same-se relationships were universally condemned or deeply problematized. But is it still not the case that, since Nisus and Euryalus are freeborn Trojans, Virus, and perhaps also Aeneas and Pallas. Significalntly, though, the arua of a male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of Aeneas with the would-be univira Dido. In other words, while a MALE-MALE relationship that corresponds to what would among among Romans of Virgin’s own day be considered stuprum is capable of being heroized in the epic, a male-female relationhship that th etet implicitly marks as a kind of stuprum is not. This tywo types of relationships in the brates, even glamorizes, a relationship that in his own day would be labeled as instance sos stuprum? Here the gap between Virgil’s time and the mythis past of his poem has significance. While, due toe o their freeborn status, analogues of to Nisus and Euryalus in Virgil’s OWN DAY could not have found their relationship SO OPENLY CELEBRATED, they did find HEROISED ANCESTORS IN NISUS AND EURYALUS, Cydon, and Clutis. And perhaps also Aeneas and Pallas. Significantly, though, the aura of the mythic past does not extend so far as to conceal the moral problematization of a male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of Aeneas with the would-be univiria Dido. In other words, while a male-male relationship that corresponds to what would among Romans of Virgil’s own day be considered stuprum is capable of being heroized in thee pic, a male-female relationship that the tect implicitly marks as a kind of stuprum is not. The issue is complex. Dido is of course neither Roman nor Trojan, and thus at first glance Aeneas’s relationship with her does not constitute stuprum. But since Dido’s experiences are, in important ways, seen though a Roman filtre, above all, the commitment to her first husband that makes her a prototypical univira, her involvement with Aneas (aculpa 4 19, 172, constitutes an offense within the moral framework poposed by the text in a way that the relationship between Nisus and Euryalus does ot. This distintion revelas something about the relative degrees of problematization of the two types of relationships in the cultural environment of Virgl’s readership. ‘Blessed pair! If my poetry has any power no day shall ever remove you from the remembering ages, as lon as the house of Aeneas dwells upon the immommovable rock of the Capitol, as long as the Romans father holds sway.’ One can hardly imagine such grandiose prise of an adulterous couple ina Roman epic!” Mauro Ceruti. Keywords: Niso ed Eurialo; ovvero, dell’altruismo, dal semplice al complesso, complesso proposizionale, discover the simple elements, philosophy as deconstructing the complex, solidarity, altruism, solideratieta, altruismo, sistema complesso, sistema semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della solidarieta, solidarieta: il semplice della solidarieta, il semplice dell’altruismo, Butler, amore proprio, amore improprio, altruismo, egoismo, self-love, other-love, benevolence, organizzare l’altruismo, abitare la complessita, multiple e diverso, unico e multiple. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cerutti: l’implicatura conversazionale del leviatano – organicismo politico – il corpo politico nella costituzione italiana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il Genere Umano alla sopravvivenza»  Insegna a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la "teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Che cosa significa "Corpi politici"? Organismi che possono essere bersaglio di una condotta oltraggiosa ex art. 342 in ragione della funzione politica dagli stessi svolti e dal cui novero risultano esclusi il Governo, il Senato, la Camera dei Deputati e le Assemblee regionali, rispetto ai quali la tutela penale viene offerta dall'art. 290. Articoli correlati a "Corpi politici" Art., Codice Penale - Violenza o minaccia ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti  Art. 342 Codice Penale - Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziarioFurio Cerutti. Keywords: il leviatano, il corpo politico, l’organismo politico, lotta di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale, identita politica, corpi politici, I corpi politici, brunetto latini, aquino, Egidio romano, Dante Banquet, Marsiglio di Padua, Pegula. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cervi

 

Grice e Cesa

 

Grice e Cesare – Roma – filosofia antica. Gaio Giulio Cesare. Cesare had many friends who followed the philosophy of the Garden, and it is clear that he had ome leanings towards that philosophy himself. Exactly how far these went is unclear and whether he ever actually became a member of the sect is a matter of dispute.

 

Grice e Cesarini – filosofia italiana– Luigi Speranza (Genzano di Roma). Filosofo italiano. Grice: “Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also fought in the North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a philosophical story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of his ducal ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the name Sforza Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto sostenitore del nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti nel suo palazzo. Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che vennero loro restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma, reso possibile dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in veste di consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every Englishman loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the Pope!” – Grice: “Sforza Cesarini should never be confused with the philosopher Cesarini Sforza: Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher, is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father, kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism, nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cherchi – implicatura sarda – filosofia sarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Oschiri). Filosofo italiano. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a philosopher is from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he! Cherchi is from ‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is very fun! My favourite of his tracts is one on the circle and the ellipse as it relates to Vinci’s ‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a Cagliari. Placido Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado Maltese, interessandosi contemporaneamente di studi e problemi etno-antropologici e storico artistici. Come autore di importanti lavori sul pensiero di Ernesto De Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda, fu un membro attivo della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla presenza all'Cagliari di maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario Cirese, come pure di loro allievi quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo stesso Cherchi.  Morì nel  all'età di 74 anni a causa di un'emorragia cerebrale. Altre opere: “Paul Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi materici, Stef, Cagliari); “Pittura e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); C.  Martino: dalla crisi della presenza alla comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite: tre variazioni critiche su Martino, Liguori, Napoli); “Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo critico di Ernesto De Martino e il problema dell'autocoscienza culturale, Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento e crisi nella cultura sarda e in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto della gioventù eretica del comunitarismo e della Confederazione politica dei circoli, organizzazione non-partitica dei sardi, coautori Francesco Masala ed Eliseo Spiga, Zonza, Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia all'identità nella cultura figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune pieghe profonde dell'identità, Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dell’autocritica, Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera, Curumuny); “Per un’identità critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel mondo identitario dei sardi” (Arkadia. Silvano Tagliagambe:   Giulio Angioni, Una scuola sarda di antropologia?, in  (Luciano Marrocu, Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, Roma, Donzelli,, 649-663  Addio a C., il ricordo di Angioni: "Fu ideologo del neo sardismo" Archiviato in. Notizie. tiscali  È morto Placido Cherchi, vicepresidente della Fondazione Sardinia Fondazione sardinia.eu  Scuola antropologica di Cagliari Ernesto de Martino  Angioni, In morte di C., sito "il manifesto sardo". Carta, Che cosa è C.? Due o tre cose, per decidere di essere sardi Po arregordai a C. Enrico Lobina, su enricolobina.org. Silvano Tagliagambe, L'eredità preziosa di C.  La colonizzazione e la penetrazione romana nell'isola furono oltremodo intense e  furono facilitate da affinità di razza, per cui si  può dire che lo spirito latino g-iunse nell'intimo  dell'anima del popolo sardo.  Pinza, IMonuineiiti prUìiHivi della Sardegna in Monumenti Antichi, pubblicati per cura  della Reale Accademia dei Lincei. Taramelli, nel recente lavoro sulla questione nu-  ragica (Arch. Stor. Sardo), ritiene che il carattere prevalentemente guerresco  della schiatta sarda, l'accanimento delle lotte interne dapprima, poi con lo straniero invasore,  abbiano nuociuto allo sviluppo artistico, che in germe aveva la stessa disposizione che presso  altre genti del Mediterraneo. Quando le legioni romane, in seguito alle  fiere lotte sostenute contro i montanari Olaesi  o Iliesi ebbero assoluta padronanza dell'intera  isola, l'arte sarda scomparì con questa che può  definirsi l'ultima ribellione dell'antica civiltà  nuragica, e di essa non rimasero che vaghe reminiscenze presso gli artefici più umili, le quali  perdurarono attraverso il medio evo fino ai nostri  giorni.   Nel periodo glorioso dell'impero romano la  fusione fra l'elemento latino ed indigeno fu così  intima da potersi asserire che le nostre sono  manifestazioni della civiltà derivante da Roma;  le grandi opere pubbliche mostrano una regione  che assurse ad alto grado di fiorimento civile ed  economico; non v'è paese, né plaga nell'isola  che non abbiano traccia dell'opera meravigliosa  svolta dai Romani. Nelle regioni più inaccessibili,  in quella stessa Barbagia che raccolse gli ultimi  difensori della civiltà indigena, e che mostrossi. Statuetta preistorica  1 Museo di Casa;! i a  sempre indomita e ribelle  ad ogni forma di potere,  sono strade, ponti, ed altri  segni palesanti ima florida  colonizzazione romana,  tanto intensa da perdiu-are  in molte manifestazioni e  iiello stesso linguaggio ,  attraverso secoli di bar-  barie e di dominazione. Oreficeria punica nel Museo di Cagliari. gran parte Nello sfasciarsi della romana potenza lo spirito conservatore delle  genti sarde custodì gelosamente la bella tradizione latina. Mentre nel  tempo che segnò il passaggio dall'evo antico all'evo medio,  d'Italia, come scrive Solmi, soggiacque a una  lunga, trasformativa dominazione germanica, la  Sardegna fu invece fra le scarse regioni italiane  che ne restarono quasi pienamente immuni, dando  così un nuovo, singolare atteggiamento alla sua  storia, che fu lenta e spontanea elaborazione degli  elementi indigeni e latini. La furia distruggitrice della conquista vanda-  lica, assai breve e poco estesa, non lasciò traccia  alcuna d'arte e di vita e paralizzò quell'ascensione  alle più nobili conquiste, che la Sardegna avea  iniziato con la signoria di Roma. Una completa oscurità avvolge in questo fu-  nesto periodo ogni azione isolana, che non siano  le fasi di quelle guerre che dilaniarono l'isola. Tur-  bini di barbarie la dovettero ridurre in un vasto  campo funebre e quando cessarono le irruenze  degli invasori, l'opera degli architetti e degli ar-  tisti si svolse come se nel naufragio delle romanità  questi avessero perduto la memoria d'ogni bella  forma.  La conquista di Belisario ed il riordinamento  amministrativo di GIUSTINIANO, assicurando la Sardegna al dominio degli imperatori d'Oriente, consentirono lo spontaneo sviluppo degli elementi  latini.   Artehci che trassero la loro arte da Bisanzio  svolsero nell'isola quell'architettura, che derivò da  armonica fusione di forme orientali e di bellezze   classiche, sparse quest'ultime con profusione nella terra che vide erigere  l'Acropoli e scolpire la X'enere di Milo. Furono greci gli artisti che scol-  Statuetta ienicia  nel Museo di Cagliari.  fase. Arrigo Solmi, La Sardegna e gli studi storici wnW Arcìiivio Storico Sarda, Cagliari, Dessi. pirone bassorilievi, iscrizioni ed altre forme ornamentali, che recenti  indagini hanno messo in evidenza e che sistematiche ricerche renderanno  indubbiamente tanto copiose da darci modo di determinare entro limiti  detiniti l'influenza artistica che Bisanzio svolse nell'isola dandole carattere  e forme stilisticamente rilevanti.   ampacla cristiana rinv  Chic a di S. Giovanili tli Siiiis in territorio di Cabras nell'antica Tarros. L'arte romana per opera di greci artefici divenne arte bizantina, la  (jLiale rappresenta non un nuovo stile, ma ima trasformazione dello spirito  latino a contatto delle forme orientali. F.d in Ravenna, in Grado, in Sicilia,  nelle Puglie sorsero quelli edifici, rudi e disadorni all'esterno, che inter-  namente brillano di ricchi mosaici, in cui l'oro e le gemme preziose  sfaccettano in mille raggi la tenue luce diffondentesi dalle arcuate finestre. Anche nella nostra isola dovettero svolgersi queste forme architet-  toniche giacché dal primo trentennio del secolo VI e per non breve corso  di tempo la Sardegna fu una provincia dell'impero di Bisanzio.   Xè questa signoria fu solo nominale, ma tanto si compenetrò nella  vita e nelle istituzioni che l'infiuenza greca nel linguaggio, nella diplomatica, nel dritto apparisce evidente anche nel secolo XI, quando la  Sardegna erasi già sottratta di nome e di fatto al dominio degli impe-  ratori di Oriente e ne reggevano le sorti da più che un secolo i regoli o giudici nazionali. La nostra cattedrale conserva in una sua cappella una Madonna, splendente d'oro e di bellezza. Intorno ad essa fiorisce una fine e pia  leggenda, comune del resto a molti altri antichi simulacri d'Italia. Vuoisi che la vaga madonnina sia stata scolpita da S. Luca e da  Costantinopoli trasportata a cura del Cagliaritano Eusebio, vescovo di  Vercelli, alla città di Cagliari, con nave guidata da una corte di angeli  e di cherubini. Il simulacro è indubbiamente opera del XIV secolo, ma  la tenue leggenda può interpretarsi come un poetico simbolo del tra- [Stele puniclie nel Museo di Cagliari.] piantarsi dell'ellenismo nell'isola, perpetuato dal nostro popolo attraverso  gli oggetti suoi pili cari.   Ed infatti molti frammenti decorativi ed epigrafici nonché parecchi  edifici attestano dell'inlluenza dei costruttori bizantini neh' architettura  dell'alto medio evo in Sardegna. Tale è la Chiesa di S. Giovanni di Sinis, nell'agro di Cabras in  vicinanza ad Oristano e presso le rovine dell'antica e fiorente città di artp: preromanica Tarros. Le origini e le vicende di questa  chiesa ci sono ignote; si volle veder in  essa la cattedrale di Tarros cristiana, ma  ciò non è che una congettura, giacché  nessun documento veramente ineccepi-  bile ci dice quando la città venne  abbandonata e se essa perdurò fino al-  l'epoca che gli elementi costruttivi e  stilistici permettono d'assegnare all'antico tempio. L'aver i presuli d'Oristano  assunto il titolo di abate di S. Giovanni  di Sinis fa presumere che a questa  chiesa originariamente fosse annesso  un monastero. Essa presentemente è a tre navate  Testa di irrito rin\enuta in Cagliari Punica. coperta da volta a botte e comunicante per mezzo di arcate poggianti  su massicci pilastri. Anche i due muri  |jerimetrali e laterali hanno la struttura a pilastri ed archi, chiusi questi  ultimi posteriormente. Il prospetto, sormontato da im  frontone che segue l'andamento della  volta a botte, non ha ornamentazione  alcuna e la porta che in esso è aperta  è rettangolare, semplicemente con-  tornata da una fascia di marmo. La navata centrale è terminata  da un'abside circolare e sopra le ul- JNIaschera rinvenuta in Tarros Punica. D. SCANO — storia dell' Ai le in Sardegna. time quattro pilastrate si svolge il tamburo, sostenente la piccola volta  a bacino, costituente la cupola.   La forma di questa chiesa è basilicale e non differenzia da quelle  di tante altre chiese medioevali sarde, del XI o XII secolo, se non  che alcune forme costruttive come la cupola e la volta a botte inducono a ritenere che originariamente dovea avere tutt' altra struttura.   Mancando ogni qualsiasi elemento decorativo, giacché la chiesa ha  le pareti nude senza frammenti di pittura, di scultura o di semplice ornamentazione, che di solito guidano lo  studioso nei riscontri stilistici, pro-  cedetti per identificare le forme  primitive ad un esame tecnico delle  parti architettoniche. I risultati confermarono la  prima impressione, giacché potei ri-  scontrare: La volta che copre la  navata centrale è relativamente moderna;   I muri della navata cen-  trale e delle navatelle furono eretti  posteriormente al nucleo centrale,  su cui poggia il cupolino. Della struttura originaria  della Chiesa non resta che detto  nucleo centrale e le braccia trasversali.   Ridotte in tal modo le parti  originarie ed eliminate le aggiunte posteriori è facile completare l'iconografia primitiva, partita in quattro braccia a modo di croce, che s'in-  tersecano secondo quattro piloni sostenenti il tamburo su cui poggia  la cupola per mezzo di quattro pennacchi. Di più i piloni hanno gli  angoli rientranti in modo da permettere il collocamento in dette pilastrate  di quattro colonne, che ora più non esistono. Questa particolarità co-  struttiva è degna di nota, giacche la ritroveremo in altra chiesa, colla  quale S. Giovanni di Sinis presenta molte affinità.   Nei muri terminali delle braccia trasversali della croce sono aperte  i nnvc-mita 111 Cai^l  influenza greca).  iri l'ui due finestre bifore, in cui la colonnina è sostituita da un semplice pila-  strino in pietra da taglio senza capitello e senza base. Abbiamo la forma  iniziale di quelle bifore, che posteriormente vennero rese più eleganti e più svelte dalle colonnine col pulvino, permettente agli archi un'imposta  corrispondente allo spessore della muraglia. Questa forma arcaica con-  ferma l'origine preromanica di S. Giovanni di Sinis. Alle forme costruttive  di questa chiesa dovettero  infiuire le catacombe di  S. Salvatore, le quali ne  distano circa quattro chilo-  metri. Queste catacombe  poste presso ad alcune rovine romane, malgrado non  siano state ancora ne stu-  diate, né menzionate, sono  interessantissime e costitui-  scono il più pregevole ed  interessante monumento  isolano dei primi tempi del  cristianesimo. La chiesetta soprasuolo è relativamente moderna e non presenta niente  d' interessante . Ai sotter-  ranei s'accede mediante  una gradinata svolgentesi  in uno stretto passaggio  coperto da un voltino a   botte. In quell'andito sono aperte due porte, una di fronte all'altra, per le  quali si perviene a due camere rettangolari di m. 4,30 X 3,26 ciascuna,  coperte ancor esse con volte a botte. Lo stretto passaggio fa capo ad un  vano circolare, coperto da volta a bacino ed illuminato dall'alto, che  costituisce il nucleo centrale delle catacombe, comunicando esso con altre  due camere laterali terminate da absidi e con altra circolare, che è l'ultima [Busto di  a rinveiiutu in Tarros Punica  influenza jj;reca). dell'edificio sotterraneo. Si ha una disposizione planimetrica, che ricorda  i più antichi edifici cristiani: la struttura è prettamente romana con mu-  ratura di laterizi opportunamente collegata con altra di pietrame informe.  Ceramica punica nel Museo di Caigliari.   Le pareti delle diverse camere sono intonacate a stucco lucido, const'ivante tutt'ora traccia di antiche pitture. Più che pitture sono schi/zi, Sarcofago romano nel Museo di Cagliari.figure eseguite a caso, alcune abilmente, altre con tecnica ed arte infan-  tili. In ima parete di una camera absidale sono traccie di un gruppo  interessantissimo rappresentante una lotta fra un leone ed un uomo dalle  forme erculee. Nelle altre i)areti e; nell'abside della stessa camera sono schizzate alcune nax'i, due leoni, un Eros e diverse figure di donne delineate con maestria dal tipo classicamente pagano. Esse vennero eseguite  al di là di (iualun<[ue preoccu[)azione mistica e sono di gentile arte, piene  di grazia voluttuosa e di vita. L'na di esse dalle linee formose, che rievoca  la Venus (ìcnitri.w solleva con ima mano i veli che le coprono i turgidi  seni e le belle forme. l'"ra ([uesti schizzi e queste figure di donne ricorre sjx'sso il mouogramiua RI e sono intercalate frasi scritte in greco  corsivo, la di cui esatta interpretazione potrà portare non lieve luce sulle  origini di (|ueste forme pittoriche. Non un simbolo cristiano, non il  monogramma di Cristo che attestino la fede di chi rese nelle pareti, con [Sarcofajj:o romano nel Museo di Ca.sjliari. decise linee, figure voluttuose di belle donne. D'altra parte l'iconografia  dei sotterranei segue la disposizione delle prime chiesette cristiane specialmente nelle forme absidali delle due cappelle laterali e della camera termi-  nale. E vero che nelle costruzioni cimiteriali più antiche le tetre muraglie  coprivansi di scene tratte dalla vita reale e molto spesso dalla mitologia  pagana tanto che nelle catacombe di Pri.scilla e di Domitilla, nelle quali  meglio che altrove si possono studiare le origini della pittura primitiva  cristiana, cjuesta è stranamente impregnata di paganesimo; ma se la tradizione è pagana, nell'antica forma l'arte si penetra di spirito cristiano.  Qui no, forma e spirito sono schiettamente inspirate al paganesimo più  libero e più licenzioso.  Statua di Bacco rinvenuta In Cagliari. Queste contradizioni non permettono ora di poter dare un sicuro  o^iudizio su questo interessantissimo monumento: forse l'ipotesi che più  concilia ((ueste forme cozzanti tra loro è quella dell'orij^i'ine pagana dei  sotterranei, costrutti ed usati come carceri e poscia serviti come rifugio  nei primi tempi del cristianesimo. Con ciò si spiegherebbero la disposi-  zione a celle, poste sotto il livello del suolo e gli schizzi delineati da  (jualche artista, che nel tedio della prigionia volle rievocare senza una  direttiva pittorica immagini impure e dar forma d'arte a sogni libertini.   Oualun([ue sia l'origine di queste, che vengono chiamate catacombe. è certo che esse furono nei primi secoli, forse nel IV^ secolo, adibite al culto cristiano. Non ritengo la costruzione cimiteriale, mancando qualsiasi indizio  di loculo o di pittura funeraria. Nel nucleo centrale è un pozzo, poco profondo, in cui è perenne  una fresca lama d'acqua. Questo può spiegare la destinazione che dai  primi cristiani venne data a questi sotterranei, qualunque sia la loro  origine. A mio parere essi dovettero servire di battistero in tempi di per-  secuzione. Infatti non è spiegabile con l'ordinario uso degli edifici di  culto la presenza del pozzo nella parte centrale della chiesa sotterranea.  Inoltre la poca profondità del fondo, la presenza ininterrotta di una  fresca lama d'acqua e le traccie di alcuni fori, per cui mediante tavole  potevano i convertiti scender s^nù nell'acqua, rendono attendibile questa destinazione, la quale ha molti riscontri e molte analogie colle prime  forme battisteriali.   Ai primi tempi del cristianesimo non aveasi altri battisteri che le  rive dei fiumi e le fontane. Ancor oggi nella prigione Mamertina a Roma ARTE PREROMANICA  esiste il [)ozzo miracoloso, in cui, secondo un'antica tradizione, S. Pietro  e S. I^iolo battezzarono i loro (guardiani. In alcuni battisteri ])riniiti\'i  rac(iua era fornita da pozzi come nelle catacomlje di S. balena o da sorbenti naturali come in ([uelle di Priscilla e di Callista. I*\i solo colla cessa/ione delle persecuzioni al tempo di COSTANTINO che si commcia a costrurre battisteri snò dio, editici s[)eciali, che non  differivano dalle chiese propriamente dette se non per la loro destinazione.   La cripta di S. .Sahatore forse in oriu-ine ebbe altra inxocazione,  oiacchè era fre([uente dedicare i battisteri al precursore di Cristo. Ad  Avanzi di \ille romane in Cagliari.   ot^ni modo ciò che non |)U() essere messo in dul)bio si è che i sotter-  ranei di S. Salvatore, per le forme costruttive, i)er le pitture e per le  iscrizioni costituiscono un monumento d'arte cristiana di rrancle interesse  e merita uno studio ampio e speciale più di (pianto io abbia fatto in questi  cenni brevi e riassuntivi.  L'oratorio di S. Giovanni d'Assemini fu ancor esso elevato con   forme costruttive bizantine, come può desumersi da un'attenta disamina.   La più antica memoria riflettente questa chiesetta si conserva in un diploma dell'archivio Capitolare della Chiesa di S. Lorenzo di Genova,  con cui Trogotorio di Gunale, giudice di Cagliari, e suo figlio Costan-  tino concedono nel 1108 alla Cattedrale di Genova la Chiesa di S. Gio-  vanni e rinnovano la promessa annua di una libra d'oro: Ego Indice  Trogotori de Giinali cinti, filio meo doninu Costantini fazo dista carta  prò S. Ioaiinc de Arseiuin, qui dabo ad sancto Lanreìizio de lamia prò   Deus et prò anima mca ecc. ecc. La facciata non ha niente di notevole ed è posteriore alla fonda-  zione della Chiesa. Nell'interno due navate larghe m. 2,00 disimpegnano Idinha di Atilia Pnmptilla in Cagliari. per mezzo d'arcate quattro cappelle. All'incrocio delle due strette navate  formanti una croce greca a braccia eguali s'imposta sopra un tamburo  a sezione quadrata una piccola volta a bacino. Anche in questa chiesa dobbiamo distinguere il nucleo originario  dalle posteriori costruzioni; queste sono costituite dalle quattro cappelle,  che, coperte da un rozzo tetto a vista, sono appiccicature evidenti e per  la diversa struttura muraria e per non essere collegate organicamente ai  muri antichi. ToLA, Cod. Dipi.]  Eliminando queste aggiunte risultano in modestissime proporzioni le  stesse forme bizantine della chiesa di S. Giovanni di Sinis e di S. Sa-  turnino in Cagliari. Nell'altare è murata un'iscrizione in caratteri greci, che porta imo  sprazzo di luce sulla chiesetta. E contornata da una doppia fascia di  perline in rilievo, che attesta come facesse parte di qualche monumento,  probabilmente sepolcrale, dedicato alle persone in essa ricordate. Trascrivo l'interpretazione fattane dal Prof. Taramelli:  Anlìteatro romano in Ca.uliari.   O Signore, abbi pietà del tuo servo Torcotorio, arconte di Sardegna  e della serva Gè ti '.''Lo Spano ed il Martini ritennero — erroneamente come vedremo  in appresso — trattarsi del Torcotorio, che governò il giudicato di Ca-  gliari dal 1108 al II 29 e che donò la chiesa di S. Giovanni d'Assemini  al Duomo di Genova. A pochi metri dell'oratorio di S. Giovanni sorge la Chiesa Parroc-  chiale di S. Pietro, che contiene fra le sue mura alcuni frammenti deco-  rativi bizantini e sulla soglia ha incisa la seguente inscrizione in carat- [Taramelli, Iscrizioni Bizantine della Chiesa di S. Giovanni e della Chiesa Par-  rocchiale d' Assemini in Notizie degli Scavi, fase. 3. teri greci, la quale ricorda probabilmente  l'erezione e la dedicazione di detta chiesa,  che è ancora oggi sotto l'invocazione di  S. Pietro:  In nome del Padre, del figlio e dello  Spirito Santo, io Nispella Ochote (co-  strusse il tempio) in onore dei Santi corifei  gli apostoli Pietro e Paolo e S. Giovanni  Battista e della l^ergine martire Barbara,  affinchè per le loro preghiere dia a me il  Signore la, liberazione dei peccati.   Anche quest' iscrizione venne dallo  Spano attribuita al Torcotorio del XI se- [Erma bacchica di fronte.   In un mio studio sulla chiesa di  S. Saturnino di Cagliari '* trattando ac-  cidentalmente di queste epigrafi, le ri-  tenni anteriori al mille. Infatti le lettere,  elegantemente incise, ed i pochi motivi  ornamentali sono sufficienti a determinare  forme stilistiche molto più antiche delle  romaniche del mille e dei secoli susse-  guenti. Inoltre la carica di protospathariìis, che si riscontra in un'altra iscrizione  coeva di Villasor, indica ancora una sog-  gezione alla corte di Bisanzio non concepibile nel Torcotorio della seconda metà  del XI secolo, che nei suoi atti ed in  ispecial modo nella donazione fatta ai  Testa di Sileno.(i| 1). SCANO, Im Cliicsa di S. Satuvìiiuo in Ihillrltiìio /ìiò/ioorajìco Sardo, \-o\. Ili, Cagliari, Unione Sarda. monaci di Monte Cassino esercita la sua podestà come CJiudice e Re  libero da ogni ingerenza anche nominale dell'impero. Un'altra consi-  derazione distrugge l'attribuzione dello Spano e cioè il Torcotorio men-  zionato nell'iscrizione d'Assemini avea per moglie Nispella, mentre quello  del mille avea per consorte Vera, la pia donna, che indusse prima il  marito e poscia il figlio suo Costantino a larghe e ricche concessioni  verso gli ordini monastici ed in isj)ecial modo verso i monaci di S. Vit-  tore di Marsiglia: Eoo iìidigi Trocodori de Ugnnali C(im imiliei'i mia  Doìnia \ 'era et cnui filin uieiL  noìiìiii Costaiitìjm '.Queste conclusioni vennero  confermate di recente dagli studi  dei Professori Solmi e Tarameli i,  che pervennero a risultati interessantissimi per la storia medioevale  della Sardegna.   Negli scavi eseguiti venti anni  or sono dal Vivanet presso l'antica  chiesa di S. Nicolò di Donori  insieme ad interessanti resti di materiale epigrafico d'età romana,  vennero fuori frammenti decorativi  ed iscrizioni greche, che furono  oggetto di un recente ed interessante studio del Taramelli, che at-  tribuì queste ultime ad iscrizioni  funerarie assai eleganti, di persone  elevate, probabilmente del IX o  X secolo. In una casa privata di Mara sono due bassorilievi marmorei, recanti  croci greche incluse in cerchi, di fattura l)izantina, e nel fianco della  chiesa parrocchiale è murata una piccola scultura marmorea molto corrosa, rappresentante una figura d'uomo vestite; di lunga tunica manicata,  figura che per quanto rovinata accenna ad epoche ed a forme bizantine.   Le iscrizioni della distrutta Chiesa di S. Sofia fra Decimoputzu e [Erma di Bacco \i.sta di fianco. [ToLA, Cud. Dipi. Sardo. Villasor presentano grande analogia coi frammenti di S. Giovanni di  Assemini e per la forma delle lettere e per la decorazione a perline.   Faccio mie senz'altro le considerazioni esposte dal Taramelli nello  studio sovradetto: « Due delle iscrizioni sono sopra una coppia di mensole  « decorate da un ramoscello di fiori a voluta, alla loro estremità; l'altra  « più lunga è incisa sopra due robusti listelli di marmo, decorati da una  « doppia fascia di perline e nodetti, i quali come quello della iscrizione di S. Giovanni d'Assemini potevano far parte o della decorazione della porta o di un ambone  o d'altro monumento eretto in quella chiesa  « dalle persone ricordate  « dall'iscrizione e per il  « motivo decorativo come per lo stile ricordano il fregio dell'am-  « bone del Duomo di Torcello, riferito al secolo X circa, alla quale età può convenire la  '< grafia dell'epigrafe, elegante ma alquanto incerta. Trascrivo, tradotte,  queste iscrizioni:   O Signore, abbi pietà  dei servi di Dio, Torco-  torio, reale protospatario, e di Satusio, uobilissi)}ii arconti nostri, così sia.  Ricordati anche o Signore del tuo servo Ozzoccorre.   Signore abbi pietà del tico servo Unnspete e della consorte di Ini Soreca.  È d'aggiungersi infine a questo bel nucleo di documenti epigrafici  e decorativi di carattere bizantino la seguente iscrizione, conservantesi  nell'altare della chiesa parrocchiale di S. Antioco: O Signore abbi pietà  del tuo servo Torcotorio, protospatario e di Salusio arconte e della moglie [Ni spella. Sarcufago romano nel Museo di Cajj;liari. [Taramelli, Iscrizioni Bizantine ecc. ecc. In una parete esterna della chiesa è murato un bassorilievo, che  reca una porzione di figura umana, vista di fronte, con lunsj^a tunica a  maniche, con colletto ornato e con larga fascia al petto (i). Da (|uest() non indifferente materiale epigrafico rinvenuto in una  ristretta porzione dell'isola il Prof. Solmi pervenne col suo fine discerni-  mento di storico e di critico a  congetture, che sono sprazzi di  luce nel buio che avvolge l'ori-  gine dei giudicati '^l,   Fiondandosi nell'avvicenda-  mento del nome di Torcotorio  a quello di Salusio. il Solmi  distingue il nome personale del  giudice dal lìome pubblico o di  governo. Mentre ([uesto è sempre identico, Torcotorio o Sa-  lusio, invece, il nome personale,  che talora si identifica col nome  di governo, può essere qualche  volta da cjuesto essenzialmente  diverso.   E questo avvicendamento  dei due nomi , (qualunque sia  quello privato che abbia il giudice, permette insieme al contenuto delle iscrizioni bizantine  d'integrare la serie dei giudici,  iniziandola col Torcotorio, im-  periale protospatario e arconte di Sardegna, ricordato nell'iscrizione di  S. Giovanni d'Assemini. A questi, che ebbe per moglie Geti e che regnò  probabilmente intorno alla metà del X secolo succedette il figlio Salusio,  già aggregato, come risulta dalle iscrizioni di S. Sofia al trono del padre, ed  [Testa di Bacco. |i) A. Taramelli, Iscrizioni nizantìne ecc. ecc.Solmi, Le carte volgari dell' Arcliivio Arcivescovile di Canliari, I-'irenze, Tip. Ga  lileiana, pag. 69. erede poi dei suoi titoli e del suo potere. Sulla fine del X secolo e nei  primi decenni del seguente governò il giudicato di Cagliari il Torcotorio  della lapide di S. Antioco, marito a Sinispella e contemporaneo di  S. Giorgio di Snelli, Con Mariano Salusio, menzionato in una carta   greca di S. Vittore di Marsiglia, s'inizia  la serie dei giudici precedentemente ac-  certati dagli storici sardi. Questi risultati confermano il lento  ed amichevole distacco dalla Sardegna  dalla dominazione di Oriente.   L'ultimo ricordo di un'effettiva dipendenza da Bisanzio appartiene all'anno  687 e mostra l'esarca residente in Ceuta,  ancora a capo di un « Africauìis excr-  citìts » e di im exercitiis de Sardinia,  costituito come corpo distinto entro l'esarcato africano. Caduta Cartagine e Ceuta, scrive Solmi, agli ultimi del VII secolo e   mancati così gli ultimi centri dell'antico esarcato d'Africa, l'impero Greco  « lasciò in pieno abbandono anche l'isola, che n'era parte, separata ormai  « da un ampio mare, che divenne il  « campo pericoloso delle imprese saracene; ne più la flotta greca varcò oltre  « le coste della Sicilia, dove si accentrò  « l'estrema punta occidentale del dominio bizantino. Il duca di Cagliari  « restò a capo deWe.rerciins Sardiniae  « sotto la signoria nominale dell'impero  f. greco; si vestì forse dei pomposi titoli  « delle alte magistrature bizantine, ma in realtà divenuta la soggezione vuota apparenza, resa ereditaria la carica, ogni rapporto coll'impero  « bizantino venne ad essere illanguidito e sui primi anni del secolo VIII la Sardegna sembra restare esclusa dall'organizzazione tematica Orien-  « tale e interamente libera da o^ni dominazione di Bisanzio ». Madonna detta di  nel Duomo di C;  Onesto per i ris^r.ardi storici; dal punto di vista dell'arte i numerosi  tVainnieiui l)i/antini. ai ([uali fino ad ora non si dette importanza alcuna,  le Chiese di S. Ciio\anni di Sinis, di S. Giovanni d'Assemini. di S. Sofia Chiesa di S. Ciiovaimi di Sinis (tìanci)!.   di \'iilas()r, di S. Stefano di Maracala^-onis, di S. Antioco di Sulcis, di  S. Saturnino di Cagliari, sfui^i^ite alle indai:rini de-^ii studiosi, attestano un Chiesa di S. (Giovanni di Sinis i abside).   periodo architettonico bizantino, che <^ià si presenta intenso e che lo sarà  ma}j^_t(iormente, quando con indai^ini sistematiche si procederà allo studio  di tante strutture ora nascoste sotto gl'intonaci e gli stucchi seicentisti I Altri franinienti bizantini rinvenni nel paramento della chiesa inedioevale di .S. Gemi-  nano in Saniassi. D. ScANo — storia dell'Arte in Sardegna.  Né poteva esser altrimenti e le conclusioni storiche che traggonsi  dalle iscrizioni bizantine e le congetture che su di esse e su altre prove  poterono formarsi, rendono attendibile quest'influsso e questo fiorimento  d'arte bizantina nell'isola, che non poteva sottrarsi alle manifestazioni di  vita dell'impero che la congiungeva al mondo latino.   Queste forme greche perdurarono anche (juando venne a mancare  la effettiva, se non nominale, dipendenza agli imperatori d'Oriente.   Discendenti dagli arconti o patrizi della corte di Bisanzio, i giudici  conservarono negli atti ufficiali colle cariche bizantine le forme diploma-  tiche e la lingua greca; e come queste forme si mantennero fino al XI  secolo, così anche gli allievi ed i discendenti degli artefici greci conservarono le norme costruttive bizantine, fino a quando si dischiuse per la  Sardegna una nuova fase col rinnovamento, che prorompe nel XI secolo  al contatto delle fresche energie delle civiltà di Pisa e di Genova. Placido Cherchi. Keywords: implicature sarda, filosofia sarda, etnos, etnicicita italiana, sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerchi” – The Swimming-Pool Library

 

Grice e Cheremone: l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofio italiano.  Cheremone di Alessandria. Cheremone di Alessandria è un filosofo Italiano. Cheremone, figlio di Leonida, e sovrintendente della porzione della biblioteca di Alessandria che si trova nel Serapeo e, in quanto custode e commentatore dei libri sacri, appartene ai più alti ranghi del sacerdozio. E convocato a Roma, con Alessandro di Aegae, per diventare tutore di Nerone.  Può essere identificato con il Cheremone che accompagna Elio Gallo, prefetto d'Egitto, in un viaggio nell'entroterra. E autore di una Storia dell'Egitto, di opere sulle comete, sull'astrologia egizia e sui geroglifici, oltre ad un trattato grammaticale. Tuttavia, di queste opere, non restano che frammenti. Notevoli, dall'opera sui geroglifici, 14 frammenti, riportati soprattutto da Porfirio, che se ne serve ampiamente nel De abstinentia e nella sua Lettera ad Anebo.  Cheremone descrive la religione come una mera ALLEGORIA del culto della natura. In tale direzione, il suo principale obbiettivo e quello di descrivere i segreti simbolici e religiosi. Si veda la lettera dell'imperatore Claudio, in Corpus Papyrorum Iudaicarum, ICambridge, Suda, s.v. "Alessandro Egeo". ^ Strabone, XVII, 806C. ^ Flavio Giuseppe, Contro Apione, Tradotti e commentati in I. Ramelli, Allegoristi dell'età classica. Opere e frammenti, Milano, Bompiani, Horst, Chaeremon, Egyptian Priest and Stoic Philosopher. The fragments collected and translated, Leiden, Brill, Ramelli, Giulio Lucchetta, Allegoria. L'età classica, Milano, Vita e Pensiero, Ramelli, Allegoristi dell'età classica. Opere e frammenti, Milano, Bompiani, Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana; Cheremone, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, V · D · M Grammatici greci antichi Portale Antico Egitto   Portale Biografie   Portale Ellenismo Categorie: Filosofi egiz iStorici iFilosofi Storici Capo-bibliotecari della biblioteca di Alessandria Grammatici egiziani Grammatici greci antichiStoici. Ceremone.

 

Grice e Chiappelli: l’implicatura conversazionale dell’academici – Cicerone e il segno di Marte – filosofia italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italiano. Grice: “One of my most recent reflections is on the distinction and striking parallelisms I draw between the Athenian dialectic – best represented in Raffaello’s “La scuola di Atene” at Rome – and the Oxonian dialectic – but represented in those reeky meeting at the Philosophy Room at Merton – or better, my Saturday mornings at St. John’s with Austin! Chiappelli provides us with a most brilliant hermeneutic of the iconography in Raffaello’s painting – Strawson tried to emulate him with some caricatures of Austin, Grice, and the rest of the Play Group – but his doodlings ccouldn’t compare!” Figlio del fisiologo Francesco C., zio del pittore omonimo, si laurea in lettere e filosofia all'istituto superiore di Firenze ed inizia la carriera universitaria a Napoli, dove è stato titolare della cattedra di storia della filosofia e incaricato dell'insegnamento di pedagogia e direttore dell'annesso museo. Ha inoltre insegnato storia delle chiese a Pisa, Bologna e Firenze. È stato membro della Società reale di Napoli, delle accademie dei Lincei di Roma, delle scienze di Torino, pontaniana di Napoli e della Crusca di Firenze. Consigliere comunale a Firenze è stato incaricato di una missione di ricerche e studi negli archivi e biblioteche di Firenze sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro della commissione provinciale di Firenze per la conservazione dei monumenti e delle opere d'arte. Altre opere: “Della interpretazione panteistica di Platone, Firenze: Succ. Le Monnier); La dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia moderna prima di Kant” (Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica letteratura cristiana, Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma, Forzani e C. Tipografi del Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta Nicola Zanichelli); “Il socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le Monnier); “Leopardi e la poesia della natura” (Roma, Alighieri); “Leggendo e meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e scienza sociale, Roma, Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul cristianesimo antico, Firenze: succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina, Firenze, Lumachi); “Dalla critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine di critica letteraria, Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, Ancona, Puccini). Dizionario biografico degli italiani. Crusca. Cicerone affronta e sviluppa la problematica semiotica in due importanti ambiti della sua produzione teorica: le opere di argomento retorico; le opere che parlano dei se­ gni divinatori. Se prendiamo in considerazione il primo di questo ambi­ to, possiamo osservare che l'interesse per i segni non è ugualmente centrale in tutti i testi. Infatti, da una parte, ci sono il De oratore, I'Orator, il Brutus, il De optimo genere oratorum che affrontano una problematica a carattere so­ cio-politico, volta a definire la figura deli'oratore perfetto, il suo ruolo nella società romana, la sua posizione rispetto alla scuola attica e a quella di Pergamo; in queste opere tut­ to ciò che costituisce l'apparato tecnico tradizionale della retorica (e con esso anche la problematica sui segni e sulle prove indiziarie) appare non tanto trascurato, quanto dato per scontato: esso si confi:ura come un vasto campo di competenza che rimane implicito sullo sfondo e affiora solo nei termini di un uso personalissimo che ne fa l'autore, in prima persona o attraverso i personaggi del dialogo. Dall'altra parte ci sono, poi, il De inventione, le Partitio­ nes oratoriae e i Topica, opere molto diverse tra loro, ma accomunate dalla caratteristica di prendere in considerazio­ ne e di sistematizzare la gran massa delle nozioni che com­ pongono l'apparato tecnico della retorica. Un limite di que­ ste opere, in generale, è rintracciabile nella minuziosità del procedimento classificatorio, che raggiunge talvolta il pa­ rossismo, come nel De inventione, e che spesso non trova un'adeguta giustificazione teoretica. Tuttavia è proprio ali'interno di queste opere che è dato rintracciare gli spunti e i documenti per la ricostruzione di una teoria ciceroniana del segno. Il "De inventione" Il De inventione di Cicerone con­densa l'ampia tradizione retorica che da Aristotele giunge fino a Ermagora: è quindi naturale che al suo interno si tro­ vino riprodotti alcuni aspetti della concezione del segno che in quell'ambito si è sedimentata. In particolare è presente la concezione del segno in forma proposizionale, come an­tecedente che permette di scoprire un conseguente. Viene poi confermata l'attenzione verso i segni involontari (l'im­ pallidire, l'arrossire, il balbettare dell'imputato) come indi­ zi di colpevolezza. Infine compare la classica divisione degli indizi secondo la loro relazione temporale con il fatto crimi­ noso (anteriorità, contemporaneità, posteriorità). Questi i punti di contatto con la tradizione. Ma bisogna anche dire che la classificazione dei segni proposta da Cice­rone è in larga misura diversa da quelle precedenti. Essa ap­ pare infatti all'interno della teoria della argumentatio (ar­ gomentazione), cioè del procedimento attraverso il quale vengono addotte delle prove per confermare una certa tesi: "L'argomentazione sembra essere qualche cosa che si esco­ gita da qualche genere e che rivela un'altra cosa in maniera probabile (probabiliter ostendens), o la dimostra in un mo­do necessario (necessarie demonstrans)" (De inv.). Anche se non viene usato il normale lessico semiotico, ciò che è in gioco in questa definizione è proprio il meccanismo del segno: infatti, qualcosa che è stato trovato (un indizio che viene depositato nel dossier deli'avvocato) rinvia a qualcos'altro. Compare, a questo punto, la distinzione (già aristotelica) tra una forza argomentativa debole (probabili­ ter ostendens) e un'inferenza necessaria (necessarie demon­ strans). Rinvio necessario e non necessario I segni necessari sono così definiti: "Viene dimostrato in modo necessario ciò che non può verificarsi né essere pro­ vato diversamente da come viene detto" (ibidem). Ne sono esempi: "Se ha partorito, è stata con un uomo" (ibidem); "Se respira, è vivo", "Se è giorno, c'è luce" (De inv.). Come Cicerone spiega in un altro passo, in casi di questo genere l'antecedente e il conseguente sono legati da una re­ lazione inscindibile (cum priore necessario posterius cohae­ rere videtur, De inv.). Il rapporto di rinvio non necessario viene poi cosi defini­ to: "Probabile è poi ciò che suole generalmente accadere, o che è basato sulla comune opinione, o che ha in sé qualche somiglianza con questa qualità, sia esso vero o sia falso" (De inv., l, 46). Con questa definizione Cicerone mette in evidenza due caratteri: (i) quello probabilistico e (ii) quello doxastico; il primo di questi era da Aristotele attribuito peculiarmente all'eikos (verisimile). E infatti i primi due esempi sono di un tipo che Aristotele avrebbe classificato come eikos: "Se è madre, ama suo figlio", "Se è avido, non fa gran caso del giuramento" (De inv.). In essi compare anche il tipico rapporto di generalizzazio­ ne che per Aristotele definisce il verosimile (Arist., Rhet.). C'è però un terzo esempio, "Se c'era molta polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un viaggio" (De inv.), che non sembra dello stesso tipo, ma è più vicino al smeion aristotelico. La categoria di signum, poi, compare come una sottopar­tizione dei segni non necessari, accanto al credibile (credibi­ le), ali'iudicatum (giudicato) e al comparabile (paragonabi­le). Se le ultime tre nozioni appaiono distinte in base a crite­ ri estrinseci (e scompariranno nelle trattazioni successive), il signum corrisponde a una categoria di fenomeni abbastan­za particolare: "Segno è ciò che cade sotto qualcuno dei no­ stri sensi e indica (significar) un qualcosa che sembra deri­ vato dal fatto stesso, e che può essere verificato prima del fatto, durante il fatto, o può averlo seguito, e tuttavia ha bisogno di una prova e di una conferma più sicura" (De inv. ). Ne sono esempi: "il sangue", "il pallore", "la fuga", "la poivere". Si tratta, come si vede, degli indizi, intesi come fenomeni percepibili, scarsamente codificati e generalmente non vo­ lontari. Qui sono presentati in una forma non proposizio­ nale; ma niente vieta che vengano sviluppati in proposizio­ ni, come dimostra il caso deli'indizio "polvere": "Se c'era molta polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un viaggio". Gli indizi, infine, vengono suddivisi secondo la nota relazione temporale con il fatto criminoso. Possiamo quindi schematizzare la classificazione propo­ sta nel De inventione.  Le Partitiones oratoriae sono un'opera di Cicerone nella quale la classificazione della materia semiotica presenta alcune differenze e peculiarità rispetto al De Inventione. Innanzitutto la terminologia si sgancia completamente da quella dei modelli greci e viene completa­ mente latinizzata. In secondo luogo gli indizi (qui chiamati  RETORICA LATINA argumentatio necessaria probsbilis (quod fero solet fiori élut quod in opi­ nione positum est") es.: .. "pallore'", ..polvere" vestigiafactl) non compaiono più come sottopartizione di un'altra categoria, ma assumono un ruolo autonomo. (·ea quae alitar ac discuntur nec fieri nec probari pos­ sunt"l es . : ·se ha partorito, è stata con un uomo'" (.,quod sub sensum aliquem cadit, et quiddam sig nificat , quod ex ipso profectum est'") es.: ·sangue", ·ruga"', Sa è madre, ama suo fi\]lio  -- signum erodibile indicBtLm comparabile. Infine viene accettata la distinzione aristotelica tra "luo­ ghi estrinseci" (corrispondenti alle "prove extratecniche", titechnol) e "luoghi intrinseci'' (corrispondenti alle "prove tecniche", éntechno1), che veniva criticata nel De inventione e che invece sarà sviluppata nei Topica. È curioso notare come tra i luoghi estrinseci (sine arte) trovino posto, accanto alle testirnonianze umane, anche quelle "divine": gli oracoli, gli auspici, i vaticini, i responsi sacri (di sacerdoti, aruspici, interpreti onirici) (Part. or.). Tutto ciò è sicuramente un residuo di una concezione orda­ lica e antichissima deli'amministrazione della giustizia; tut­ tavia è anche un indizio di un continuo riaffiorare del para­ digma divinatorio all'interno dei fatti semiolici, anche quando ormai i segni si sono completamente laicizzati.  CICERONE Né questo è un caso isolato in ambito giuridico. Per quel che riguarda la cultura greca, si ricorderà L ,orazione per /,uccisione di Erode, in cui Antifonte così si esprimeva: "Tutto quel che era provabile con indizi e testimonianze umane l'avete udito, ma in questo caso dovete votare dopo aver trattato indizi anche dai segni che vengono dagli dei" (V, 81; Lanza Il verisimile e il segno caratteristico I segni umani sono invece trattati tra gl’argomenti intrin­seci, in particolare tra quelli che riguardano lo stato di cau­sa congetturale. Infatti, la congettura può essere tratta da due tipi di segni: i verisimilia e le notae propriae rerum. Il verisimile, come dice Cicerone, è "ciò che accade per lo più" (Part. or.), come a esempio "la gioventù è incline al piacere in modo particolare". Questo tipo di segno corri­ sponde ali'eik6s aristotelico, di cui ha il carattere probabili­ stico e generalizzante. La nnta propria rei viene definita come "una prova che non si verifica mai direttamente e indica una cosa certa, co­ me il fumo indica il fuoco" (Part. or.). Si tratta, evi­ dentemente, del segno necessario, come è dimostrato anche dall'esempio e dall'uso dell'aggettivo proprius, che riman­ da alla nozione di fdion semeion (segno proprio). Per Ari­ stotele il segno proprio era la caratteristica specifica di un certo genere, come, ad esempio, il fatto che i leoni avessero grandi estremità, segno del coraggio (An. Pr.). Per le scuole postaristoteliche il segno proprio aveva carat­ tere di necessità e si definiva come quel segno che non può esistere se non esiste la cosa a cui rimanda (Philod., De si­gnis). Ci sono, poi, i vestigia facti, dei quali vengono dati questi esempi: "un'arma, macchie di sangue, grida, lamenti, imbarazzo, alterazione del colorito, discor­ so contraddittorio, tremore [...], gli indizi materiali della premeditazione, le confidenze sulle intenzioni delittuose, le risultanze visive, uditive, rivelate" (Pari. or.). Cicerone non definisce QUf)tO tipo di segni, se non dicendo che si tratta di ''fenomeni avvertibili con i sensi", caratte­ristica condivisa anche dai signa del De inventione, in cui ricorrono esempi analoghi, e dagli argumenta di Cor­nificio (Rhet. adHer.). I commentatori si sono chiesti se i vestigiafacti siano più in relazione con le “notae propriae rerum” o con il “verisimile” (Crapis). In realtà questa sembra una categoria abbastanza autonoma non avendo la necessità dei primi, ma nemmeno le caratteristi­ che degli ultimi. È plausibile che essa corrisponda alla cate­ goria dei semefa aristotelici, diversi tanto dai tekmoria quanto dagli eik6ta. Da un altro passo delle Partitiones oratoria, dove ricorrono esempi analoghi, i vestigiafacti (chiamati lì anche signa) vengono definiti come consequentia, cioè inferenze che si traggono dal conseguente, caratteristica che definiva appunto, per Aristotele, i segni non necessari. Ma mentre Aristotele condannava i semefa da un punto di vista episte­ mologico per la loro insicurezza, Cicerone è pronto a rico­ noscerne l'efficacia qualora si presentino in gran numero (coacervata proficiunt, 40). Possiamo quindi schematizzare la classificazione cicero­ niana nelle Partitiones oratoriae. Le opere sulla divinazione Molte cose collegano la retorica giudiziaria alla divina­ zione. Innanzitutto il fatto che entrambe si avvalgano dei segni per arrivare alla conoscenza di fatti non direttamente accessibili alla percezione. In secondo luogo, in entrambe viene operata una distinzione tra aspetti che sono eminente­ mente congetturali e altri aspetti che sono invece naturali o  trt•) (sensu percipi potest) es .sangue - uccisione· es.: adolescenza­ inclinazione alla libidine coniecturs  verisimilie (quod plerumque rta notse proprise rerum (quod numquam alrter frt certumque declarat) es.: '"fumo-fuoco· vestigia fecti o signa dati: alla dicotomia retorica tra prove tecniche (o congettu­ rali) e prove extratecniche corrisponde la distinzione tra di­ vinazione artificiale (basata sull'interpretazione e sulla con­ gettura) e divinazione naturale. Infine, come Cicerone pole­ micamente rileva (De div), i segni della divinazione sono talvolta interpretati in maniera diametralmente oppo­ sta, proprio come avviene nel processo, in cui l'accusa e la difesa propongono dello stesso fatto due interpretazioni di­ verse ed entrambe plausibili. Ma Cicerone apprezza i metodi deli'indagine giudiziaria, mentre nutre una diffidenza enorme nei confronti della di­ vinazione. In linea, infatti, con un vasto gruppo di intellet­ tuali della sua epoca, educati ai metodi di indagine della fi­ losofia greca, a fondamento razionalistico, e contempora­ neamente impegnato in politica, sente l'esigenza di operare una distinzione netta tra religione e superstizione, di cui la divinazione fa, per lui, parte. La religione appartiene alla più antica tradizione romana e, posta come è ai fondamenti dello stato, deve essere conservata, pena la disgregazione dello stato stessso; la superstizione, invece, costituita dal coacervo degli elementi spuri che inquinano e rendono poco credibile la religione stessa, dev'essere respinta, anche per­ ché non venga limitata la libertà del cittadino romano nel suo impegno di gestione della repubblica. Cicerone affronta questi argomenti nel De natura deo­ rum, nel De fato e, soprattutto, nel De divinatione. Que­ st'ultima opera è scritta in forma di dialogo tra l'autore e il fratello Quinto, il quale difende l'arte divinatoria basandosi sulle teorie storiche che legavano la divinazione all'esistenza degli dei. Le osservazioni di Cicerone contro la teoria soste­ nuta da Quinto sono particolarmente interessanti perché costituiscono una vera e propria critica a un meccanismo semiotico settoriale e contribuiscono, in negativo, a una concezione generale del segno. Secondo la teoria di Quinto, gli dei si pongono come fon­ te dell'informazione e come emittenti nei processi di comu­ nicazione divinatoria, dei quali gli uomini sono i destinata­ ri. Ma, a seconda dei due specifici tipi di divinazione, il pro­ cesso comunicativo si struttura in modo differente. Il primo tipo è costituito dalla divinatio artificialis, in cui l'interpretazione dei segni è legata a un'ars, ovvero a una tecnica professionale di decriptazione, demandata a specia­ listi, ciascuno esperto in un settore: extispices (esaminatori delle viscere), interpretes monstrorum et fu/gurum (inter­ preti dei fatti prodigiosi e dei fulmini), augures (interpreti del volo degli uccelli), astrologi (interpreti delle stelle), in­ terpretes sortium (interpreti delle combinazioni di tavolette mescolate in un'urna ed estratte a caso). In tale divinazione l'informazione proveniente dalla divinità si materializza prima di tutto in una sostanza espressiva percepibile, a cui l'ars permetterà di abbinare un contenuto semantico. I presupposti su cui si basano le interpretazioni di questo tipo sono dati dalla teoria, di origine stoica, secondo cui tutti i fenomeni sono legati tra di loro in una catena di cau­ se ed effetti, senza soluzione di continuità. Questa catena che ha come fondamento primo il /6gos divino e costituisce il fato (heimarméne), non è conoscibile per intero da parte degli uomini, dato che l'onniscienza è prerogativa della sola divinità (De div.). Tuttavia viene prevista l'esistenza di un tempo ciclico che "può essere paragonato con lo srotolarsi di una gomena, in quanto non dà mai luogo a fatti nuovi, ma ripete sempre quantoprimaèaccaduto"(Dediv.,l, 127).Questofasìche gli uomini, attraverso l'osservazione attenta, colgano il mo­ do in cui gli eventi si ripetono e, pur non potendo conoscere direttamente le cause, possono però arrivare a coglierne gli indizi caratteristici (signa tamc.z causarum et notas cernunt) (ibidem). Dato poi che è possibile tramandare memoria dalle con­ nessioni passate, si crea un vero e proprio codice basato sul­ la iteratività. Si può schematizzare così il processo: emittente divino-segni di cause-eventi futuri codice basato sulla iterattività La divinazione "naturale" Il secondo tipo di divinazione è quello definito naturalis, in quanto indipendente da qualunque tecnica professionale, ma derivante piuttosto da una diretta ispirazione divina, senza passare attraverso la mediazione di un segno esterno. Fanno parte di questo tipo le forme di preveggenza derivan­ ti da invasamento profetico, cioè le vaticinationes e quelle derivanti dai sogni. Il palinsesto filosofico ·a cui è legato questo secondo tipo di divinazione è quello delle teorie peri­ patetiche (Dicearco e Cratippo vengono esplicitamente no­ minati, De div. , II, 100), secondo le quali l'anima, per il suo legame naturale con la divinità, una volta che sia spinta da una divina follia o sciolta, nel sonno, dai vincoli che la legano al corpo, partecipa direttamente della conoscenza del dio. Il ruolo del codice è in questo caso ridotto, se non addirittura sostituito da una parziale identificazione tra emittente e ricevente, secondo lo schema:  RETORICA LATINA emittente divino - segno interno - evento futuro .... ricevente umano 9.2.3 .3 Critiche "semiologiche" contro i segni divinatori Le obiezioni che Cicerone muove ai sostenitori della divi­ nazione si basano su argomenti specificamente semiotici. La tesi generale, mediante la quale Cicerone nega valore alla divinazione, è che essa non abbia veramente carattere semiotico, e cioè che i fenomeni che essa interpreta come se­ gni non siano veramente tali, ovvero che non si comportino veramente come degli antecedenti rispetto a dei conse­ guenti. Per distinguere i segni veri rispetto a quelli presunti della divinazione, Cicerone istituisce un paragone tra le tecniche scientifiche (come la medicina, la meteorologia, la nautica, la tecnica previsionale del contadino e deli'astronomo) e la divinazione. In entrambi i casi è in gioco la predizione del futuro a partire da certi indizi; ma, mentre le pratiche pro­ fessionali adottano una vera e propria metodologia che comporta "scienza (ars), ragionamento (ratio), esperienza (usus) e congettura (coniectura)" (De div. , II, 14), le prati­ che divinatorie si basano sul "capriccio della sorte, tanto che nemmeno la divinità sembra che possa avere, fra le sue prerogative, quella di sapere quali fatti il caso farà accade­ re" (De div., II, 18). Questa opposizione tra ciò che, in definitiva, è il codice (anche se 1si tratta di legami naturali basati sulla frequenza statistica) e il caso è del resto la stessa con cui i medici ip­ pocratici tendevano a distinguere la propria scienza profes­ sionale dalla divinazione e dalla medicina magica (Antica medicina, cap. XII). Cicerone poi si sbarazza in termini razionalistici della teoria secondo cui anche nel caso della divinazione tecnica si farebbe appello ali'osservazione iterata delle coincidenze, ritenendola ridicola e insostenibile (De div., II, 28). Ma ci sono altri gravi difetti che la divinazione presenta dal punto di vista semiotico: (i) le interpretazioni di uno stesso segno sono spesso diametralmente opposte (De div. , Il, 83); (ii) si verificano frequentemente fenomeni di falsa identificazione dell'antecedente, per cui un certo evento non è connesso a quello individuato come segno prodigio­ so, ma a ben diverse cause naturali (De div., II, 62); (iii) l'interpretazione avviene a posteriori e così toglie ogni ne­ cessità di rapporto tra antecedente e conseguente (De div.); (iv) in certi casi l'interpretazione è motivata da ra­ gioni di faziosità politica e quindi è priva di oggettività (De div.). Cicero composed this treatise immediately after that on the Nature of  the Gods; the two subjects being indeed very closely connected. In the first book all kinds of divination are represented as maintained by his brother Quintus, on the principles of the Porch. It is an old opinion, derived as far back asfrom the heroic times, and confirmed by the unanimous agreement of the rather superstitious Roman people, and indeed of other nations, too, that  there is a species of divination in existence among men, which the Greeks call “xarrt/c^,”  that is to say, a presentiment, and foreknowledge  of future events. A truly splendid and serviceable gift, if it only exists in reality; and one by which our mortal nature makes its nearest  approach to the power of the gods. Therefore, as we have done many other  things better than the Greeks, so, most especially have we excelled them in giving a name to this most admirable  endowment, since our nation derives the name which it gives to it, “divination,” from  the gods  (“divis”),  while the Greeks derive the  title  which  they  give  it,  namely,  “juavn/cr/,”  from  madness  (juai'ia).  For  that  is  Plato's  interpretatin  of  the  word.  Now,  as  far  as  I  know,  there  is  no  nation  whatever,  how  ever  polished  and  learned,  or  however  barbarous  and  un  civilized,  which  does  not  believe  it  possible  that  future  events  may  be  indicated,  and  understood,  and  predicted  by  certain  persons.   In  the  first  place  the  Assyrians,  that  I  may  trace  back  the  authority  for  this  belief  to  the  most  remote  ages  and  countries,  as  a  natural  consequence  of  the  champaign  country  in  which  they  lived,  and  of  the  vast  extent  of  their  territories,  which  led  them  to  observe  the  heavens  which  lay  open  to  their  view  in  every  direction,  began  to  take  notice  also  of  the  paths  and  motions  of  the  stars;  and  having  taken  these  observations  for  some  time,  they  handed  down  to  their  posterity  informa  tion  as  to  what  was  indicated  by  their  various  positions  and    revolutions.  And  among  the  Assyrians,  the  Chaldaeans,  a  tribe  who  had  this  name  not  from  any  art  which  they  professe,  but  from  the  district  which  they  inhabited,  by  a  very  long  course  of  observation  of  the  stars  are  considered  to  have  established  a  complete  science,  so  that  it  became  possible  to  predict  what  would  happen  to  each  individual,  and  with  what  destiny  each  separate  person  was  born.  The  Egyptians  also  are  believed tohave  acquired  the  knowledge  of  the  same  art  by  a  continued  practice  of  it  extending  through  countless  ages.  But  the  nature  of  the  Cilicians  and  Pisidians,  and  the  Pamphylians,  who  border  on  them,  nations  which  we  ourselves  have  had  under  our  government,1  think  that  future  events  are  pointed  out  by  the  flight  and  voices  of  birds  as  the  surest  of  all  indications.  And  when  was  there  ever  an  instance  of  Greece  sending  any  colony  into  yEolia,  Ionia,  Asia,  Sicily  or  Italy,  without  consulting  the  Pythian  or  Dodonrean  oracle,  or  that  of  Jupiter  Hammon?  or  when  did  that  nation  ever  undertake  a  war  without  first  asking  counsel  of  the  Gods  1 Nor  is  there  only  one  kind  of  divination  celebrated  both  in  public  and  private.  For,  (to  say  nothing  of  the  practice  of  other  nations.)  how  many  different  kinds  have  been  adopted  by  our  own  people.  In  the  first  place,  the  founder  of  this  city,  Romulus,  is  said  not  only  to  have  founded  the  city  in  obedience  to  the  auspices; but also to have been himself an augur of the highest reputation. After him the other kings also had recourse to soothsayers;  and  after  the  kings  were  driven  out,  no  public  business  was  ever  transacted,  either  at  home  or  in  war,  without  reference  to  the  auspices.  And  as  there  appeared  to  be  great  power  and  usefulness  in  the  system  of  the  soothsayers  (haruspices),2  in  reference  to  the  people's  succeeding  in  their  objects,  and  consulting  the  Gods,  and  arriving  at  an  understanding  of  the  meaning  of  prodigies  and  averting  evil  omens,  they  introduced  the  whole  of  their  science from Etruria, to prevent the appearance [Cicero had  been  proconsul  of  Cilicia,  and  had  gained  a  very  high  reputation by the integrity  andenergy which he displayed  in  that  government.  Aruspex  is  derived  from  the  Greek  word  Ifptiv,  and  specio,  to  behold,  because  the  Aruspex  prophesied  from  the  omens  which  he  drew  from  an  inspection  of  the  entrails  of the victims. Augur, from avis, and garrio, to chatter;  because  the  omens  were  drawn  from  the  noise  made  by  the  birds  in  their  flight  of  allowing  any  kind  of  divination  to  be  neglected.  And  as  men's  minds  were  often  seen  to be  excited  in  two  manners,  without  any  rules  of  reason  or  science,  by  their  own  mere  uncontrolled  and  free  motion,  being  sometimes  under  the  influence  of  frenzy,  and  at  others under that  of  dreams,  our  ancestors,  thinking  that  the  divination which  proceeded  from  frenzy  was  contained  chiefly  in  verses  of  the  Sibyl,  ordained  that  there  should  be  ten  citizens  chosen  as  interpreters of these compositions.  And  in  the  same  spirit  they  have  also,  at  times,  thought  the  frantic  predictions  of  conjurors  and prophets worth, attending to; as they did in the Octavianl  war  in  the  case  of  Cornelius  Culleolus.  Nor  indeed  have  men  of  the  greatest  wisdom  thought  it  beneath  them  to  attend  to  the  warnings  of  important  dreams,  if  at  any  time  any  such  appeared  to  have  reference  to  the  interests  of  the  republic.  Moreover,  even  in  our  own  time,  Lucius  Junius,  who  was  consul,  as  colleague  of  Publius  Rutilius,  was  ordered  by  a  vote  of  the  senate  to  erect  a  temple  to  Juno  Sospita,  in  compliance  with  a  dream  seen  by  Csecilia,  the  daughter  of  Balearicus.2   III.  And,  as  I  apprehend,  our  ancestors  were  induced  to  establish  this  custom  more  because  they  had  been  warned,  by  the  events  which  they  saw,  to  do  so,  than  from  any  previous  conclusion  of  reason.  But  some  exquisite  arguments  of  philo  sophers  have  been  collected  to  prove  why  divination  may  well  be  a  true  science.  Now  of  these  philosophers,  to  go  back  to  the  most  ancient  ones,  Xenophanes  the  Colophonian  appears  to  have  been  the  only  one  who  admitted  the  existence  of  Gods,  and  yet  utterly  denied  the  efficacy  of  divination.  But  every  other  philosopher  except  Epicurus,  who  talks  so  childishly  about  the  nature  of  the  Gods,  has  sanctioned  a  belief  in  divination;  though  they  have  not  all  spoken  in  the  same  manner.  For,  though  Socrates,  and  all  his  followers,  and  Zeno,  and  all  those  of  his  school,  adhered  to  the  opinion  of  the  ancient  philosophers,  and  the  Old  Academy  and  the   1  This  was  the  civil  war  in  the  consulship  of  Cinna  and  Octavius, which  ended  in  Octavius  being  put  to  death  by  the  orders  of  Cinna  and  Mariu?.   2  This  was  Quintus  Caecilius  Metellua  (the  eldest  son  of  Metellus  Macedonians),  who  was  consul with  T.  Quinctius  Flamininus:  in  which  consulship  he  cleared  the  Balearic  Isles  of  pirates,  and  founded  several  cities  in  the  islands.    Peripatetics  agreed  with  them;  and  though  Pythagoras,  who  lived  some  time  before  these  men;  had  added  a  great  weight  of  authority  to  this  belief — and  indeed  he  himself  wished  to  acquire  the  skill  of  an  augur, — and  though  that  most  im  portant  authority,  Democritus,  had  in  very  many  passages  of  his  writings  sanctioned  a  belief  in  the  foreknowledge  of  future  events;  yet  Dicsearchus  the  Peripatetic,  on  the  other  hand,  denied  all  other  kinds  of  divination,  and  left  none  except  those  which  proceed  from  frenzy  or  from  dreams.  And  my  own  friend  Cratippus,  whom  I  consider  equal  to  the  most  ancient  among  the  Peripatetics,  confined  his  belief  to  the  same  matters,  and  denied  the  correctness  of  any  other  kind  of  divination.   But  as  the  Stoics  defended  nearly  every  kind,  because  Zeno  in  his  Commentaries  had  scattered  some  seeds  of  such  a  belief,  and  Cleanthes  had  amplified  and  extended  his  predecessor's  observations;  Chrysippus  succeeded  them,  a  man  of  the  most  acute  and  vivid  genius;  who  discussed  the  whole  belief  in,  and  question  about  divination  in  two  books  on  that  subject,  and  a  third  on  oracles,  and  a  fourth  on  dreams.  And  he  was  followed  by  Diogenes  the  Babylonian,  a  pupil  of  his  OATH,  who  published  one  treatise  on  the  same  subject;  by  Antipater,  who  wrote  two  books,  and  our  friend  Posidonius,  who  wrote  five.  But  Pantetius,  the  tutor  of  Posidonius  and  pupil  of  Antipater,  has  degenerated  in  some  degree  from  the  Stoics,  or  at  least  from  the  most  eminent  men  of  that  school;  and  yet  he  did  not  dare  absolutelyto  deny  that  there  was  a  power  of  divina  tion,  but  said  that  he  had  doubts  on  the  subject.  Now  if  he,  aStoic,  was  allowed  to  express  a  doubt  on  a  matter  very  much  against  the  inclination  of  the  rest  of  that  school,  shall  we  not  obtain  leave  from  the  Stoics  to  behave  in  a  similar  manner  with  respect  to  other  subjects'?  especially  when  that  very  question  which  is  a  matter  of  doubt  to  Paneetius,  is  generally  considered  a  thing  as  clear  as  day  to  the  other  philosophers  of  that  sect.  However,  this  praise  of  the  Academy  has  been  confirmed  by  the  testimony  and  deliberate  judgment  of  a  most  admirable  philosopher.   IV.  Indeed,  since  we  are  ourselves  inquiring  what  we  are  to  think  of  divination,  because  Carneades  maintained  a  very  long  argument  against  the  Stoics  with  great  acuteness  and  variety  of  resource,  and  as  we  wish  to  be  on  our  guard  against  admitting  rashly  any  assertion  which  is  incorrect,  or  the  truth  of  which  is  riot  sufficiently  ascertained,  it  appears  neces  sary  for  us  to  compare  over  and  over  again  the  arguments  on  one  side  with  those  on  the  other,  as  we  have  done  in  the  three  books  which  we  have  written  on  the  Nature  of  the  Gods.  For,  as  in  every  discussion,  rashness  in  assenting  to  propositions  of  others,  and  error  in  asserting  such  ourselves,  is  very  discreditable,  so  above  all  is  it  in  a  discussion  where  the  question  for  our  decision  is  how  much  weight  we  are  to  attribute  to  auspices,  and  to  divine  ceremonies,  and  to  religion.  For  there  is  danger  lest,  if  we  neglect  these  things,  we  may  become  involved  in  the  guilt  of  blasphemous  impiety,  or  if  we  embrace  them,  we  may  become  liable  to  the  reproach  of  old  women's  superstition.   V.  Now  these  topics  I  have  often  discussed,  and  I  did  so  lately  with  more  than  usual  minuteness,  when  I  was  with  my  brother  Quintus,  in  my  villa  at  Tusculum.  For  when,  for  the  purpose  of  taking  walking  exercise,  we  had  come  into  the  Lyceum,  (for  that  is  the  name  of  the  upper  Gymnasium) —  I  read,  said  he,  a  little  while  ago  your  third  book  on  the  Nature  of  the  Gods;  in  which,  although  the  arguments  of  Cotta  have  not  wholly  changed  my  previous  opinions,  they  have  undoubtedly  a  good  deal  shaken  them.  You  are  very  right  to  say  so,  I  replied;  for,  indeed,  Cotta  himself  ai'gues  rather  with  a  view  to  confute  the  arguments  of  the  Stoics,  than  to  eradicate  religion  from  men's  minds.  Then,  said  Quintus,  that  is  what  Cotta  himself  says,  and  indeed  he  repeats  it  very  often;  I  imagine,  because  he  does  not  wish  to  seem  to  depart  from  the  ordinary  opinions;  but  still  the  zeal  with  which  he  argues  against  the  Stoics  seems  to  cany  him  on  to  the  extent  of  wholly  denying  the  existence  of  the  Gods.  I  do  not  indeed  think  it  necessary  to  reply  to  all  he  says,  for  religion  has  been  sufficiently  defended  in  your  second  book  by  Lucilius;  whose  arguments,  as  you  say  at  the  end  of  the  third  book,  appear  to  you  yourself  to  be  much  nearer  to  the  truth.  But  with  reference  to  the  point  which  has  been  passed  over  in  those  books,  because,  I  presume,  you  con  sidered  that  the  inquiry  into  it  could  be  carried  on,  and  an  argument  held  upon  it  with  more  convenience  if  it  were  taken  separately,  I  mean  Divination — which  is  a  foreknowledge  and  A  foretelling  of  those  events  which  arc  usually  considered fortuitous, — I  should  like  very  much  at  this  moment,  if  you  please,  to  examine  what  power  that  science  really  has,  and  what  its  character  is.  For  my  own  opinion  is  this;  that  if  those  kinds  of  divination  which  we  have  been  in  the  habit  of  hearing  of  and  respecting,  are  real,  then  there  are  Gods;  and  on  the  other  hand  that,  if  there  really  are  Gods,  then  there  certainly  are  men  who  are  possessed  of  the  art  of  divination. You  are  defending,  I  reply,  the  very  citadel  of  the  Stoics, O Quintus,  by  asserting  the  reciprocal  dependence  of  these  two  conditions  on  one  another;  so  that  if  there  be  such  an  art  as  divination,  then  there  are  Gods,  and  if  there  be  such  beings  as  Gods,  then  there  is  such  an  art  as  divination.  But  neither  of  these  points  is  admitted  as  easily  as  you  imagine.  For  future  events  may  possibly  be  indicated  by  nature  without  the  intervention  of  any  God;  and,  even  although  there  may  be  such  beings  as  Gods,  still  it  is  pos  sible  that  no  such  art  as  divination  may  be  given  by  them  to  the  human  race.   He  replied, — But  to  me  it  is  quite  proof  enough,  both  that  there  are  Gods  and  that  they  have  a  regard  for  the  welfare  of  mankind,  that  I  perceive  that  there  are  manifest  and  undeni  able  kinds  of  divination.  With  respect  to  which,  I  will,  if  you  please,  recount  to  you  my  own  sentiments,  provided  at  least  that  you  have  leisure  and  inclination  to  hear  me,  and  have  nothing  which  you  would  like  in  preference  to  this  discussion.  But  I,  said  I,  my  dear  Quintus,  have  always  leisure  for  philosophical  discussion;  but  at  this  moment,  when  I  have  actually  nothing  whatever  which  I  wish  to  do,  I  shall  be  all  the  more  glad  to  hear  your  sentiments  on  divination.   You  will  hear,  said  he,  nothing  new  from  me,  nor  do  I  entertain  any  ideas  on  the  subject  different  from  the  rest  of  the  world.  For  the  opinion  which  I  follow  is  not  only  the  most  ancient,  but  that  which  has  been  sanctioned  by  the  unanimous  consent  of  all  nations  and  countries.  For  there  are  two  methods  of  divining;  one  dependent  on  art,  the  other  on  nature.  Be.!;  what  nation  is  there,  or  what  state,  which  is  not  influenced  by  the  omens  derived  from  the  entrails  of  victims,  or  by  the  predictions  of  those  who  interpret  pro  digies,  or  strange  lights,  or  of  augurs,  or  astrologers,  or  by  those  who  expound  lots  (for  these  are  about  what  come  under  the  head  of  art);  or,  again,  by  the  prophecies  derived  from dreams,  or  soothsayers  (for  these  two  are  considered  natural  kinds  of  divination)  ?  And  I  think  it  more  desirable  to  examine  into  the  results  of  these  things  than  into  the  causes.  For  there  is  a  certain  power  and  nature,  which,  by  means  of  indications  which  have  been  observed  a  long  time,  and  also  by  some  instinct  and  divine  inspiration,  pronounces  a  judg  ment  on  future  events. So  that  Carneades  may  well  give  up  pressing  what  Pansetius  used  also  to  insist  upon,  when  he  asked  whether  it  was  Jupiter  who  had  ordained  the  crow  to  croak  on  the  right-  hand,  or  the  raven  on  the  left.     For  these  occurrences  have  been  observed  for  an  immense  series  of  time,  and  have  been  remarked  and  noted  from  the  signification  given  to  them  by  subsequent  events.   But  there  is  nothing  which  a  great  length  of  time  may  not  effect  and  establish  by  the  use  of  memory  retaining  the  different  events,  and  handing  them  down  in  durable  monuments.     We  may  wonder  at  the  way  in  which  the  different  kinds  of  herbs  and  roots  have  been  observed  by  physicians  as  good  for  the  bites  of  beasts,  for  complaints  of  the  eyes,  and  for  wounds,  the  power  and  nature  of  which  reason  has  never  explained,  but  yet  both  the  art  and  inventor  of  these  medicines  have  gained  iiniversal  approval  from  their  utility. Let  us  also  look  at  those  things  which,  though  of  another  kind,  still  have  a  resemblance  to  divination.   And  often,  too,  the  agitated  sea   Gives  certain  tokens  of  impending  storms,   When  through  the  deep  with  sudden  rage  it  swells,   And  the  fierce  rocks,  white  with  the  briny  foam,   Vie  with  hoarse  Neptune  in  their  sullen  roar,   While  the  sad  whistlins  o'er  the  mountain's  brow   Adds  horror  to  the  crash  of  the  iron  coast. And  all  your  prognostics  are  full  of  presentiments  derived  from  occurrences  of  this  sort.     Who,  then,  can  trace  back  the  causes  of  these  presentiments  1     Though,  indeed,  I  am  aware  that  Boethus  the  Stoic  has  endeavoured  to  do  so.  And  indeed  he  has  done  some  good  to  this  extent,  that  he  has  explained  the  principle  of  those  occurrences  which  take  place  iu  the  sea,  or  in  the  heaven.  But  still,  who  has  ever  explained,  with  any  appearance  of  probability,  why  they  take  place  at  all  1   And  the  white  gull,  uprising  from  the  waves,  With  horrid  scream  foretells  th'  impending  storm,  Straining  its  trembling  throat  in  ceaseless  cry.  Oft,  too,  the  woodlark  from  his  chest  pours  forth  Notes  of  unusual  sadness,  wnking  up  The  morn  with  grievous  fear  and  endless  plaint.  When  first  Aurora  routs  the  nightly  dew,  Sometimes  the  dusky  crow  runs  o'er  the  shore,  Dipping  its  head  beneath  the  rising  surf.1   IX.  And  we  see  that  these  signs  of  the  weather  scarcely  ever  deceive  us,  though  we  certainly  do  not  understand  why  they  are  so  correct.   You  too  perceive  the  signs  of  future  times,   Children  of  sweetest  waters;  and  prepare   To  utter  warnings  loud  and  salutary,   Rousing  the  springs  and  marshes  with  your  cries.   Yet  who  could  ever  have  suspected  frogs  of  having  such  per  ception  1     However,  there  is  in  rivulets,  and  in  frogs  too,  a  certain  nature  indicating  something  which  is  clear  enough  by  itself,  but  more  obscure  to  the  knowledge  of  men.  And  cloven-footed  oxen  gazing  up  To heaven's  expense,  have  often  inhaled  the  air  Laden  with  moisture   I    do   not   inquire   why  all   this   takes   place,   since    I    am  acquainted  with  the  fact  that  it  does  take  place —  The  mastic,  ever  green  and  ever  laden  With  its  rich  fruit,  which  thrice  in  every  year  Doth  swell  to  ripeness,  by  its  triple  crop  Points  out  three  times  when  men  should  till  the  earth.  Here  too,  again,  I  do  not  ask  why  this  one  tree  should  bloom  three  times  a  year,  or  why  it  should  adapt  the  proper  season  for  ploughing  the  land  to  the  token  given  by  its  bloom.  I  am  content  with  this,  that,  even  if  I  do  not  know  how  everything  is  done,  I  nevertheless  do  know  what  is  done.     And  so  in  respect  of  every  kind  of  divination  I  will  answer  as  I  have  done  in  the  cases  which  I  have  already  mentioned.   X.  Now  I  know  what  effect  the  root  of  the  scamniony  has  as  a  purgative,  and  what  the  efficacy  of  the  aristolochia  is  in  the  case  of  bites  of  serpents,  (and  this  herb  has  derived  its  name  from  its  discoverer,  who  discovered  it  in  consequence  o  a  dream.)  and  that  knowledge  is   quite   emnigh.      I  do  not  know  why  these  herbs  are  so  efficacious;  and  in  the  same  way  I  do  not  know  on  what  principle  the  omens  which  we  draw  from  the  signs  furnished  to  us  by  the  winds  and  storms  proceed;  but  I  do  know,  and  arn  certain  of,  and  thankful  for  their  power,  and  the  results  which  flow  from  it.     Again,  in   1  All  these  predictions  are  translated  by  Cicero  from  Aratus.  the  same  way  I  know  what  is  indicated  by  a  fissure  in  the  entrails  of  a  victim,  or  by  the  appearance  of  the  fibres;  but  what  the  cause  is  that  these  appearances  have  this  meaning  I  know  not.  And  life  is  full  of  such  things ;  for  nearly  every  one  has  recourse  to  the  entrails  of  animals.  Need  I  say  more  1  Is  it  possible  for  any  one  to  doubt  about  the  power  of  thunder-storms  ?  Is  not  this  too  one  of  the  most  marvel  lous  of  marvellous  things  ?  When  Summanus,1  which  was  a  figure  made  of  clay,  standing  on  the  top  of  the  temple  of  the  all-powerful  and  all-good  Jupiter,  was  struck  by  lightning,  and  the  head  of  the  statue  could  not  be  found  anywhere,  the  soothsayers  said  that  it  had  been  thrown  down  into  the  Tiber,  and  it  was  found  in  that  very  place  which  had  been  pointed  out  by  the  soothsayer.But  who  is  there  to  whom  I  may  more  fitly  appeal  as  an  authority  and  as  a  witness  than  you  yourself?  For  I  have  learnt  the  verses,  and  that  with  great  pleasure,  which  the  muse  Urania  pronounces  in  the  second  book  of  your  "  Con  sulship  " —   See  how  almighty  Jnve,  inflamed  and  bright,   With  heavenly  fire  fills  the  spacious  world,   And  lights  up  heaven  and  earth  with  wondrous  rays   Of  his  divine  intelligence  and  mind  ;   Which  pierces  all  the  inmost  sense  of  men,   And  vivifies  their  souls,  hold  fast  within   The  boundless  caverns  of  eternal  air.   And  would  you  know  the  high  sublimest  paths   And  ever  revolving  orbits  of  the  stars,   And  in  what  constellations  they  abide, —   Stars  which  the  Greeks  erratic  falsely  call,   For  certain  order  and  fixed  laws  direct   Their  onward  course  ;  then  shall  you  learn  that  all   Is  by  divinest  wisdom  fitly  ruled.   For  when  you  ruled  the  state,  a  consul  wise,   You  noted,  and  with  victims  due  approach'd,   Propitiating  the  rapid  stars,  and  strange   Concurrence  of  the  fiery  constellations.   Then,  when  you  purified  the  Alban  mount,   And  celebrated  the  great  Latin  feast,   Bringing  pure  milk,  meet  offering  for  the  gods,   You  saw  fierce  comets  bright  and  quivering   With  light  unheard  of.     In  the  sky  you  saw   1  This  is  usually  understood  to  have  been  a  statue  of  Pluto.     The   new  consuls   used  to  celebrate   the   Ferioe    Latinaj   on  the  Albanus  Mons.    Fierce  wars  and  dread  nocturnal  massacre That  Latin  feast  on  mournful  days  did  fall,  When  the  pale  moon  with  di     m  and  muffled  light  Conceal'd  her  head,  and  fled,  and  in  the  midst  Of  starry  night  became  invisible.  Why  should  I  say  how  Phoebus'  fiery  beam,  Sure  herald  of  sad  war,  in  mid-day  set,  Hastening  at  undue  season  to  its  rest,  Or  how  a  citizen  struck  with  th'  awful  bolt,  Hurl'd  by  high  Jove  from  out  a  cloudless  sky,  Left  the  glad  light  of  life;  or  how  the  earth  Quaked  with  affright  and  shook  in  every  part  ?  Then  dreadful  forms,  strange  visions  stalk  d  abroad,  Scarce  shrouded  by  the  darkness  of  the  night,And  wam'd  the  nations  and  the  land  of  war.  Then  many  an  oracle  and  augury,  Pregnant  with  evil  fate,  the  soothsayers  Pour'd  from  their  agitated  breasts.     And  e'en  The  Father  of  the  Gods  fill'd  heaven  and  earth  With  signs,  and  tokens,  and  presages  sure  Of  all  the  things  which  have  befallen  us  since.  XII.   So  now  the  year  when  you  are  at  the  helm,  Collects  upon  itself  each  omen  dire,  Which  when  Torquatus,  with  his  colleague  Gotta,  Sat  in  the  curule  chairs,  the  Lydian  seer  Of  Tuscan  blood  breathed  to  affrighted  Borne.  For  the  great  Father  of  the  Gods,  whose  home  Is  on  Olympus'  height,  with  glowing  hand  Himself  attack'd  his  sacred  shrines  and  temples,  And  hurl'd  his  darts  against  the  Capitol.  Then  fell  the  brazen  statue,  honour'd  long,  Of  noble  Natta ;  then  fell  down  the  laws  Graved  on  the  sacred  tablets ;  while  the  bolts  Spared  not  the  images  of  the  immortal  gods.  Here  was  that  noble  nurse  o'  the  Roman  name,  The  Wolf  of  Mars,  who  from  her  kindly  breast  Fed  the  immortal  children  of  her  god  With  the  life-giving  dew  of  sweetest  milk.  E'en  her  the  lightning  spared  not;  down  she  fell.  Bearing  the  royal  babes  in  her  descent,  Leaving  her  footmarks  on  the  pedestal.1   1  Great  interest  is  attached  to  this  passage  by  antiquaries,  from  the  fact  of  there  being  a  bronze  statue  still  at  Home  of  a  wolf  suckling  two  children,  with  manifest  marks  of  lightning  on  it,  which  is  believed  to  be  the  very  statue  here  mentioned  by  Cicero,  and  also  in  his  third  Oration  asrainst  Catiline,  c.  viii. ;  it  is  described  by  Virgil  too  : —   Fecerat  et  viridi  foetam  Mavorf  is  in  antro  Procubuisse  lupam;  geminos  huic  ubcra  circum   [Ludere   And  who,  unfolding  records  of  old  time,  Has  found  no  words  of  sad  prediction  In  the  dark  pages  of  Etruscan  books  ] —  All  men,  all  writings,  all  events  combined,  To  warn  the  citizens  of  freeborn  race    Ludere  pendentes  pueros,  et  lambere  matrem   Impavidos;  ilhun  tereti  cervice  reflexam   Mulcere  alternos  et  corpora  fingere  linguiL — jEn. The cave  of  Mars  was  dress'd  with  mossy  greens  ;  There  by  the  wolf  were  laid  the  martial  twins; Intrepid,  on  her  swelling  dugs  they  hung,   The  foster-dam  loll'd  out  her  fawning  tongue ;   They  suck'd  secure,  while  bending  back  her  head,   She  lick'd  their  tender  limbs,  and  form'd  them  as  they  fed.   Dryden,  ^En. The  statue  in  its  present  state  is  beautifully  described  by  Byron  :And  thou  the  thunder-stricken  nurse  of  Rome,  She-wolf  !  whose  brazen  imaged  dugs  impart  The  milk  of  conquest  yet  within  the  dome,  Where,  as  a  monument  of  antique  art,  Thou  standest,  mother  of  the  mighty  heart,  Which  the  great  founder  suck'd  from  thy  wild  teat,  Scorch'd  by  the  Roman  Jove's  ethereal  dart,  And  thy  limbs  black  with  lightning, — dost  thou  yet  Guard  thy  immortal  cubs,  nor  thy  fond  charge  forget]  Thou  dost— but  all  thy  foster-babes  are  dead,  The  men  of  iron  ;  and  the  world  hath  rear'd  Cities  from  out  their  sepulchres. —Childe  Harold,  book  iv.  It  may  not  be  out  of  place  here,  to  set  before  the  reader  the  beautiful   description,  in  the  first  Georgic,  of  the  prodigies  which  happened  at   Rome  on  the  death  of  Cresar : —   Denique  quid  vesper  serus  vehat.  unde  serenas   Ventus  agat  nubes,  quid  cogitet  humidus  Auster,   Sol  tibi  signa  dabit :  Solem  quis  dicere  falsum   Audeat?  ille  etiam  csecos  instare  tumultus   Saspe  monet,  fraudemque,  et  aperta  tumescere  bella ;   Ille  etiam  extincto  miseratus  Caesare  Romam   Cum  caput  obscurS,  nitidum  ferrugine  texit   Impiaque  rcternam  timuerunt  sajcula  noctem,   Tempore  quanquam  illo  tellus  quoque  et  aequora  ponti,   Obsccenique  canes,  importunaeque  volucres   Signa  dabant :  quoties  Cyclopum  effervere  in  auras   Vidimus  undantem  rnptis  fornacibus Etnam,   Flammarumque  globos  liquef'actaque  volvere  saxa.   Armorum  sonitus  toto  Germania  coe'.o   Audiit;  insolitis  tremuerunt  motibus  Alpes.   [Vox    To  dread  impending  wars  of  civil  strife,  And  wicked  bloodshed  ;  when  the  laws  should  fall  In  one  dark  rain,  trampled  and  o'erthrown:  Then  men  were  warn'd  to  save  their  holy  shrines,  The  statues  of  the  irods,  their  city  and  lands,   Vox  quoque  per  lucos  vulgo  exaudita  recentes  Ingens,  ei  simulacra  rnodis  pallentia  miris   Visa  sub  obscurum  noctis ;  pecudesque  locutae,   Infandum  !  sistunt  amnes  terrseque  dehiscunt   Et  moestum  illacryinat  templis  ebur,  oeraque  sudant:   Proluit  insano  contorquens  vertice  sylvas   Pluviorum  Rex Eridanus  ;  camposque  per  omnes   Cum  stabulis  armenta  trahit ;  nee  tempore  eodcm   Tristibus  aut  extis  fibrae  apparere  minaces   Aut  puteis  manare  cruor  cessavit,  et  alte   Per  noctcm  resonare  lupis  ululautibus  urbe?  ;   Non  alias  coilo  cecidcruut  plura  sereno   Fulgura,  nee  diri  toties  arsere  cometae  ;   Ergo,  etc. —  Virgil,  Georg.  i.  488.   Which  is  translated  by  Dryden  : —The  Sun  reveals  the  secrets  of  the  sky,  And  who  dares  give  the  source  of  light  the  lie?  The  change  of  empires  he  oft  declares,  Fierce  tumults,  hidden  treasons,  open  wars;  He  first  the  fate  of  Caesar  did  foretell,  And  pitied  Rome  when  Rome  in  Caesar  fell :  In  iron  clouds  conceal'd  the  public  light,  And  impious  mortals  fear'd  eternal  night.  Nor  was  the  fact  foretold  by  him  alone,  Nature  her-elf  stood  forth  and  seconded  the  Sun.  Earth,  air,  and  seas  with  prodigies  were  sign'd,  And  birds  obscene  and  howlin g  dogs  divin'd.  What  rocks  did  ^Etna's  bellowing  mouth  expire  From  her  torn  entrails,  and  what  floods  of  fire  !  What  clanks  were  heard  in  German  skies  afar,  Of  arms  and  armies  rushing  to  the  war  !  Dire  earthquakes  rent  the  solid  Alps  below,  And  from  their  summits  shook  th'  eternal  snow;  Pale  spectres  in  the  close  of  night  were  seen,  And  voices  heard  of  more  than  mortal  men.  In  silent  groves  dumb  sheep  and  oxen  spoke  ;  And  streams  ran  backward,  and  their  beds  forsook  ;  The  yawning  earth  disclosed  th'  abyss  of  hell,  The  weeping  statues  did  the  wars  foretell,  And  holy  sweat  from  brazen  idols  fell.  Then  rising  in  his  might  the  king  of  floods  Uush'd  through  the  forests,  tore  the  lofty  woods;  And  rolling  onward  with  a  sweepy  sway,  Bore  houses,  herds,  and  labouring  hinds  away.   Blood    From  slaughter  and  destruction,  and  preserve  Their  ancient  customs  unimpair'd  and  free.  And  this  kind  hint  of  safety  was  subjoin'd,  That  when  a  splendid  statue  of  great  Jove,1  In  godlike  beauty,  on  its  base  was  raised,  With  eyes  directed  to  Sol's  eastern  gate  ;  Then  both  the  senate  and  the  people's  bands,  Duly  forewarn'd,  should  see  the  secret  plots  Of  wicked  men,  and  disappoint  their  spite.  This  statue,  slowly  form'd  and  long  delay 'd,  At  length  by  you,  when  consul,  has  been  placed  Upon  its  holy  pedestal ; — 'tis  now  That  the  great  sceptred  Jupiter  has  graced  His  column,  on  a  well-appointed  hour  :  And  at  the  self-same  moment  faction's  crimes    Blood  sprang  from  wells;  wolves  howl'd  in  towns  by  night;  And  boding  victims  did  the  priests  affright.  Such  peals  of  thunder  never  pour'd  from  high,  Nor  forky  lightnings  flash'd  from  such  a  sullen  sky  :  Red  meteors  ran  across  the  ethereal  space  ;  Stars  disappear'd,  and  comets  took  their  place.  Which  Shakspeare  has  imitated  with  reference  to  the  same  event : Cal.  Caesar,  I  never  stood  on  ceremonies,   Yet  now  they  fright  me:  there  is  one  within,   Besides  the  things  that  we  have  heard  and  seen,   Recounts  most  horrid  sights  seen  by  the  watch:   A  lioness  hath  whelped  in  the  streets,   And  graves  have  yawn'd  and  yielded  up  their  dead.   Fierce,  fiery  warriors  fight  upon  the  clouds,   In  ranks  and  squadrons  and  right  form  of  war,   Which  drizzled  blood  upon  the  Capitol:   The  noise  of  battle  hurtled  in  the  air;   Horses  did  neigh,  and  dying  men  did  groan;   And  ghosts  did  shriek  and  squeak  t  the  streets.   O  Caesar,  these  things  are  beyond  all  use,   And  I  do  fear  them   When  beggars  die  there  are  no  comets  seen  ;   The  heavens  themselves  blaze  forth  the  death  of  princes.   Cats.  What  say  the  augurers?   Serv.  They  would  not  have  you  to  stir  forth  to-day.  Plucking  the  entrails  of  an  offering  forth,  They  could  not  find  a  heart  within  the  beast.   1  This  refers  to  the  column  meant  to  serve  as  a  pedestal  for  the  statue  of  Jupiter,  mentioned  in  the  second  book  of  this  treatise,  and  also  in  the  second  oration  against  Catiline,  as  having  been  ordered  in  the  consulship  of  Torquatus  and  Cotta,  but  not  completed  till  the  year  of  Cicero's  consulship.    Were  by  the  loyal  Gauls  reveal'd  and  shown  To  the  astonish'd  multitude  and  senate.  XIII.    Well  then  did  ancient  men,  whose  monuments  You  keep  among  you,—they  who  will  maintain  Virtue  and  moderation ;  by  these  arts  Ruling  the  lands  an<l  people  subject  to  them:  Well,  too,  your  holy  sires,  whose  spotless  faith,  And  piety,  and  deep  sagacity  Have  far  surpass'd  the  men  of  other  lands,  Worshipp'd  in  every  age  the  mighty  Gods.  They  with  sagacious  care  these  things  foresaw,  Spending  in  virtuous  studies  all  their  leisure,  And  in  the  shady  Academic  groves,  And  fair  Lyceum :  where  they  well  pour'd  forth  The  treasures  of  their  pure  and  learned  hearts.  And,  like  them,  you  have  been  by  virtue  placed,  To  save  your  country,  in  the  imminent,  breach ;  Still  with  philosophy  you  soothe  your  cares,  With  prudent  care  dividing  all  your  hours  Between  the  Muses  and  your  country's  claims.   Will  you  then  be  able  to  persuade  your  mind  to  speak  against  the  arguments  which  I  adduce  on  the  subject  of  divination,  you  being  a  man  who  have  performed  such  exploits  as  you  have  done,  and  who  have  so  admirably  com  posed  those  verses  which  I  have  just  recited  1  What — do  you  ask  me,  Carneades,  why  these  things  take  place  in  this  manner,  or  by  what  art  it  is  possible  for  them  to  be  brought  about  ?  I  confess  that  I  do  not  know ;  but  that  they  do  happen,  I  assert  that  you  yourself  are  a  witness.  Yes,  they  happen  by  chance,  you  say.  Is  it  so  1  Can  anything  be  done  by  chance  which  has  in  itself  all  the  features  of  reality  ?  Four  dice  when  thrown  may  by  chance  come  up  sixes.  Do  you  think  that  if  you  were  to  throw  four  hundred  dice  it  would  be  possible  for  them  all  to  come  up  sixes  by  any  chance  in  the  world  1  Paints  scattered  at  random  on  a  canvass  may  by  chance  represent  the  features  of  a  human  face ;  but  do  you  think  that  you  could  by  any  chance  scat  tering  of  colours  represent  the  beauty  of  the  Coan  Venus'?1  Suppose  a  pig  by  burrowing  in  the  ground  with  his  snout  were  to  make  the  letter  A,  would  you  on  that  account  think  it  possible  that  the  animal  should  by  chance  write  out  the  Andromache  of  Ennius  1  Carneades  used  to  tell  a  story  that   1  This  refers  to  the  celebrated  picture  of  Venus  Anadyomene,  painted  by  Apelles,  who  was  a  native  of  Cos.      in  cutting  stones  in  the  stone- quarries  at  Chios,  there  was  once  discovered  a  natural  head  of  a  Pan.  I  dare  say  there  may  have  been  a  figure  not  wholly  unlike  such  a  head,  but  still  certainly  it  was  not  such  that  you  could  fancy  it  wrought  by  Scopns.1  For  this  is  the  nature  of  things,  that  chance  can  never  imitate  reality  to  perfection.  But,  you  will  say,  things  which  have  been  predicted  sometimes  fail  to  happen.  What  act  is  not  liable  to  this  observation  1  I  mean  of  those  acts  which  proceed  on  con  jecture,  and  are  founded  on  opinion.  Is  not  medicine  to  be  considered  a  real  art  ?  And  yet  how  often  is  it  deceived  !  Need  I  say  more  1  Are  not  pilots  of  ships  often  deceived?  Did  not  the  army  of  the  Greeks,  and  the  captains  of  all  that  numerous  fleet,  depart  from  Troy,  as  Pacuvius  says —   So  glad  at  their  departure,  that  they  gazed  In  idle  mirth  upon  the  wanton  fish,  And  never  ceased  from  laughing  at  their  gambols  ;  Meanwhile  at  sunset  the  vast  sea  grows  rough,  The  darkness  lowers,  black  night  and  clouds  surround  them.  Did,  however,  the  shipwreck  of  so  many  illustrious  generals  and  sovereigns  prove  that  there  was  no  such  art  as  naviga  tion  ?     Or  is  the  science  of  generals  good  for  nothing  because  a  most  illustrious  general  was  lately  put  to  flight,  after  the  total  loss  of  his  army  1  Or  are  we  to  say  that  there  is  no  room  for  the  display  of  sound  principles  of  politics,  or  wis  dom  in  the  administration  of  affairs  of  state,  because  Cnseus  Ponipeius  was  often  .deceived,  and  even  Cato  and  you  your  self  have  been  deceived  in  more  instances  than  one?     The  same  rule  applies  to  the  answers  of  soothsayers,  and  to  all  divination  which  rests  on  opinion  :  for  it  depends  wholly  on  conjecture,  and  has  no  means  of  advancing  further.     And  that  perhaps  sometimes  deceives  us,  but  still  it  more  fre  quently  directs  us  to  the  truth.     For  it  is  traced  back  to  all  eternity.  And  as  in  the  infinite  duration  of  time,  things  have  happened  in  an  almost  countless  number  of  ways  with  the  self-same  indications  preceding  each   occurrence,  an  art  has   1  Scopas  was  a  Parian,  nourishing. He  was  one  of  the  greatest  architects  and  sculptors  of  antiquity,  and  is  mentioned  as  such  by  Horace,  who  says: —   Divite  me  scilicet  artium  Quas  aut  Parrhasius  protulit  aut  Scopas,  Hie  saxo,  liquidis  ille  colorilius  Solera  nunc  hominem  nonere  mmr.  TV « been  concocted  and  reduced  to  rules  from  a  frequent  obser  vation  and  notice  of  the  same  circumstances. But  your  auspices,  how  clear — how  sure  they  are !  which  at  this  time  are  known  nothing  of  by  the  Roman  augurs,  (excuse  me  for  saying  this  so  plainly,)  though  they  are  main  tained  by  the  Cilicians,  Pamphylians,  Pisidians,  and  Lycians.  For  why  should  I  mention  that  man  connected  with  us  in  ties  of  hospitality,  that  most  illustrious  and  excellent  ^man,  king  Deiotarus  1  He  never  does  anything  whatever  without  taking  the  auspices.  And  it  happened  once  that  he  had  started  on  a  journey  which  he  had  arranged  and  determined  some  time  before;  but,  being  warned  by  the  flight  of  an  eagle,  he  returned  back  again,  and  the  very  next  night  the  house  in  which  he  would  have  been  lodging  if  he  had  per  sisted  in  his  journey,  fell  to  the  ground.  And  he  was  so  moved  by  this  occurrence,  that,  as  he  himself  used  to  tell  me,  he  often  turned  back  in  the  same  way  in  a  journey,  even  when  he  had  advanced  many  days  on  it.  And  what  is  most  remarkable  in  his  conduct  is,  that  after  he  had  been  deprived  by  Csesar  of  his  tetrarchy,  his  kingdom,  and  his  property,  he  still  asserted  that  he  did  not  repent  of  obeying  those  auspices  which  had  promised  success  to  him  when  he  was  setting  out  to  join  Pompey:  for  he  considered  that  the  authority  of  the  senate,  and  the  liberty  of  the  Roman  people,  and  the  dignity  of  the  empire  had  been  upheld  by  his  arms;  and  that  those  birds  had  taken  good  care  of  his  honour  and  real  interests,  inasmuch  as  they  had  been  his  counsellors  in  adhering  to  the  claims  of  good  faith  and  duty ;  for  that  character  was  a  thing  dearer  to  him  than  his  possessions.  .  And  in  saying  this  he  seems  to  me  to  form  a  very  just  estimate.  For  our  magis  trates  at  times  use  compulsion.  For  it  is  quite  impossible,  if  a  cake  is  thrown  down  before  a  chicken,  but  what  some  crumbs  must  fall  out  of  his  mouth  when  he  feeds.  And  as  you  have  it  set  down  in  your  books  that  a  tripudium  takes  place  if  any  of  the  food  falls  on  the  ground,  so  you  also  call  this  compulsory  augury  which  I  have  spoken  of  tripudium  solistimum.1  And  so,  as  that  wise  Cato  complains,  owing  to   i  "Tripudium,  from  terripavium  (Cic  Div.),  a  stamping  on  the  ground  In  divination,  tripudium,  or  tripudium  solistimum,  when-  the  birds  (pulli)  ate  so  greedily  that  the  food  fell  from  their  mouths,  and  so  rebounded  on  the  ground,  which  was  regarded  as  a  good  omen."  — Riddle  and  Arnold,  Lat.  Diet.  the  negligence  of  the  college,  many  auguries  and  many  auspices  have  been  wholly  lost  and  abandoned.  Formerly  there  was,  I  may  almost  say,  no  ariair  of  importance,  not  even  if  it  only  related  to  private  business,  which  was  transacted  \vithout  taking  the  auspices.  And  this  is  proved  even  now  by  the  Auspices Nuptiarum,  who,  though  the  custom  has  fallen  into  disuse,  still  preserve  the  name.  For  just  as  we  now  consult  the  entrails  of  victims,  though  even  that  very  practice  is  observed  less  now  than  it  used  to  be,  so  in  ancient  times,  before  all  transactions  of  importance,  men  used  to  consult  birds;  and,  therefore,  from  want  of  paying  proper  regard  to  ill  omens,  we  often  run  into  alarming  and  destructive  dangers  : — as  Publius  Claudius,  the  son  of  Appius  Csecus,  and  his  colleague  Lucius  Junius,  lost  a  fine  fleet,  because  they  had  put  to  sea  in  defiance  of  the  omens.  And,  indeed,  something  of  the  same  kind  befel  Agamemnon;  for  he,  when  the  Grecians  had  begun   To  murmur  loudly,  and  with  open  scorn  T'  asperse  the  skill  of  th'  holy  soothsayers,  Bade  the  crew  bend  the  sails  and  put  to  sea,  Choosing  the  people's  voice  before  the  omens.   But  why  need  we  look  for  old  examples  of  this  1  We  have  ourselves  seen  what  happened  to  Marcus  Crassus,  because  he  neglected  the  notice  which  was  given  to  him  that  the  omens  were  unfavourable.  On  which  occasion,  Appius,  your  col  league,  a  good  augur,  as  I  have  often  heard  you  say,  branded,  when  he  was  censor,  an  excellent  man  and  a  most  illustrious  citizen,  Caius  Ateius,  without  sufficient  consideration,  because  he  had  cooperated  in  falsifying  the  auspices.  However,  let  that  pass.  It  may  have  been  the  duty  of  the  censor  to  do  so,  if  he  thought  that  the  auspices  were  falsified.  But  it  certainly  was  not  the  duty  of  an  augur  to  set  down  in  the  books  that  this  was  the  cause  of  a  fearful  calamity  befalling  the  Roman  people.  For  even  if  that  was  the  cause  of  the  calamity,  still  the  fault  was  not  in  the  man  who  announced  the  state  of  the  auspices,  but  in  him  who  disregarded  the  announcement.  For  that  the  announcement  wTas  a  correct  one,  as  the  same  augur  and  censor  bears  witness,  was  proved  by  the  event;  for  if  the  announcement  had  been  false,  it  could  not  possibly  have  caused  any  calamity  at  all.  In  truth, prognostics  of  calamity,  like  other  auspices,  and  omens,  and  tokens,  do  not  produce  causes  why  anything  should  happen,  but  merely  give  notice  of  what  will  happen  unless  you  pro  vide  against  it.  It  was  not,  therefore,  the  announcement  of  unfavourable  omens,  made  by  Ateius,  which  was  the  cause  of  calamity;  all  that  he  did  was,  by  declaring  to  him  what  signs  had  been  seen,  to  warn  him  what  would  happen  if  he  did  not  take  precautions  against  it.  Accordingly,  either  that  announcement  had  no  effect  at  all,  or  else  if,  as  Appius  thinks,  it  had  an  effect,  the  effect  was  this,  that  guilt  was  attached,  not  to  the  man  who  gave  the  warning,  but  to  him  who  did  not  attend  to  it. What  shall  I  say  more  1  From  whence  have  you  received  that  staff  (lituus)  of  yours,  which  is  the  most  cele  brated  ensign  of  your  augurship  ?  That  is  the  staff  with  which  Komulus  parted  out  the  several  districts,  when  he  founded  the  city.  And  that  staff  of  Romulus,  (that  is  to  say,  a  stick  curved  and  slightly  bent  forward  at  the  top,  which  has  derived  its  name  from  its  resemblance  to  the  trumpet  (lituus)  used  in  sounding  signals,)  having  been  laid  up  in  the  meeting-house  of  the  Salii,  which  was  in  the  Pala  tine-hill,  when  that  house  was  burnt  to  the  ground,  was  found  unhurt.  What  more  need  I  say  1  Who  of  the  ancient  authors  is  there  who  does  not  relate  what  an  arrangement  of  the  districts  of  the  city  was  made,  many  years  after  the  time  of  Romulus,  in  the  reign  of  Tarqninius  Priscus,  by  Attius  Xavius,  who  employed  his  staff  in  this  manner  ?  And  it  is  said  that  he,  when  a  boy,  was  forced  through  poverty  to  act  as  a  swineherd;  and  one  day,  having  lost  one  of  his  pigs,  he  made  a  vow  that  if  he  recovered  it,  he  would  give  the  god  the  finest  grape  which  there  was  in  the  whole  vineyard.  Accordingly,  when  he  had  found  the  pig,  he  placed  himself  in  the  middle  of  the  vineyard,  with  his  eyes  directed  towards  the  south;  and  after  he  had  divided  the  vineyard  into  four  divisions,  and  had  been  directed  by  the  birds  to  disregard  three  of  the  portions,  in  the  fourth  division,  which  remained,  he  found  a  grape  of  most  wonderful  size,  as  we  find  recorded  in  our  books.  And  when  this  fact  became  known,  all  the  neighbours  used  to  consult  him  on  all  their  affairs,  until  he.  gained  a  great  name  and  reputation ;  in  consequence  of  which  kin<r  Priscus  sent  for  him.  And  when  he  had  come  to  the  king,  he,  wishing  to  make  proof  of  his  skill  in  augury,  told  him  that  he  was  thinking  of  something,  and  asked  him  whether  it  could  possibly  be  done.  He,  having  taken  an  auguiy,  answered  that  it  could.  But  Tarquin  said  that  he  had  been  thinking  that  it  was  possible  that  a  whetstone  might  be  cut  through  by  a  razor.  On  this  Attius  bade  him  try ;  and  accordingly  a  whetstone  was  brought  into  the  assembly,  and,  in  the  sight  of  king  and  people,  cut  through  with  a  razor.  And  in  consequence  of  this,  it  happened  that  Tarquinius  always  consulted  Attius  Navius  as  an  augur,  and  that  the  people  also  were  used  to  refer  their  private  affairs  to  him.  And  we  are  told  that  that  whetstone  and  that  razor  were  buried  in  the  comitium,  and  that  the  puteal  was  built  over  it.   Let  us  deny  everything;  let  us  burn  our  annals;  let  us  say  that  all  these  statements  are  false ;  let  us,  in  short,  confess  everything  rather  than  that  the  Gods  regard  the  affairs  of  mankind.  What  1  do  not  even  your  writings  about  Tiberius  Gracchus  sanction  the  theories  df  augurs  ami  haruspices  1  For  when  he  had  unintentionally  erected  a  tent  to  take  the  auspices  informally,  because  he  had  crossed  the  pomcerium  without  taking  the  auspices,  he  held  there  the  comitia  for  the  election  of  the  consuls.  (The  matter  is  one  of  notoriety,  and  committed  to  writing  by  you  yourself.)  However,  Tiberius  Gracchus,  who  was  himself  an  augur,  ratified  the  authority  of  the  auspices  by  a  confession  of  his  error,  and  added  great  authority  to  the  sj'steui  of  the  harus  pices  ;  who,  having  at  the  recent  comitia  been  introduced  into  the  senate,  asserted  that  the  person  who  proposed  the  candi  dates  to  the  comitia  had  no  right  to  do  so. I  therefore  agree  with  those  authors  who  have  asserted  that  there  are  two  kinds  of  divination;  one  par  taking  of  art,  and  the  other  wholly  devoid  of  it.  For  art  is  visible  in  those  persons  who  pursue  anything  new  by  conjec  ture,  and  have  learnt  to  judge  of  what  is  old  by  observation.  But  those  men,  on  the  other  hand,  are  devoid  of  art,  who  give  way  to  presentiments  of  future  events,  not  proceeding  by  reason  or  conjecture,  nor  on  the  observation  and  considera  tion  of  particular  signs,  but  yielding  to  some  excitement  of  mind,  or  to  some  unknown  influence  subject  to  no  precise  rules  or  restraint,  (as  is  often  the  case  with  men  who  dream,   and  sometimes  with  those  who  deliver  predictions  in  n  frenzied  manner,)  as  Bacis'  of  Boeotia,  Epimenides2  the  Cretan,  and  the  Erythrean  Sib}'!.  And  under  this  head  we  ought  also  to  rank  oracles;  not  those  which  are  drawn  by  lot,  but  those  which  are  uttered  under  the  influence  of  some  divine  instinct  and  inspiration.  Although  even  lots  are  not  to  be  despised  where  they  are  sanctioned  by  the  authority  of  antiquity,  like  those  which  we  are  told  used  to  rise  out  of  the  earth  ;  which,  however,  are  drawn  in  such  a  manner  as  to  be  apposite  to  the  subject  under  consideration,  which,  indeed,  is  a  thing  that  I  conceive  to  be  very  possible  by  divine  management.  The  interpreters  of  all  of  which  appear  to  me  to  come  very  near  to  the  divining  power  of  those  whose  interpreters  they  are  (just  as  those  grammarians  do  who  are  the  interpreters  of  poets).  What  proof  of  sagacity  is  it,  then,  to  wish  to  disparage  things  sanctioned  by  antiquity,  by  vile  calumnies  ?  I  admit  that  I  cannot  discover  the  cause.  Perhaps  it  lies  hid,  involved  in  the  obscurity  of  nature.  For  God  has  not  int  nded  me  to  understand  these  matters,  but  only  to  use  them.  I  will  use  them,  then ;  nor  will  I  be  persuaded  to  think,  either  that  all  Etruria  is  mad  on  the  subject  of  the  entrails  of  victims,  or  that  the  same  nation  is  all  wrong  about  lightnings,  or  that  it  interprets  prodigies  fallaciously,  when  it  has  often  happened  that  sub  terranean  noises  and  crashes,  often  that  earthquakes,  have  predicted,  with  terrible  truth,  many  of  the  evils  which  have  befallen  our  own  republic  and  other  states.   Why  should  I  say  more  ?  The  fact  of  a  mule  having  brought  forth  is  much  ridiculed  by  some  people;  but  because  this  parturition  did  take  place  in  the  case  of  an  animal  of  natural  barrenness,  was  there  not  an  incredible  crop  of  evils  predicted  by  the  soothsayers  1  Need  I  go  further  1  Did  not  Tiberius  Gracchus,  the. son  of  Publius  Gracchus,  who  had  been  twice  consul  and  censor,  and  who  was  also  an  augur  of  the   1  Bacis  was  believed  to  have  lived  and   prophesied  at  Heleon,  in  Bceotia,  being  inspired  by  the  nymphs  of  the  Corycian  cave.     Some  of  hjs  prophecies  are  given  us  by  Herodotus    (See  also  Aristophanes,  Eq.;  Pax) Epimenides  was  a  poet  and  prophet  of  Crete. He  was  sent  for  by  the  Athenians  to  purify  Athens  when  it was  visited  by  a  plague,  in  consequence  of  the  sacrilege  of  Cylon.  He  is  said  to  have  lived  to  a  great  age.highest  skill  and  reputation,  and  a  wise  man,  and  a  most  virtuous  citizen, — did  not  he  (as  Caius  Gracchus,  his  son,  has  left  recorded  in  his  writings),  when  two  snakes  were  caught  in  his  house,  convoke  the  soothsayers  ?  And  the  answer  which  they  gave  him  was,  that  if  he  let  the  male  escape,  his  wife  would  die  in  a  short  time ;  but  if  he  let  the  female  escape,  he  would  die  himself:  on  which  he  thought  it  more  becoming  to  encounter  an  early  death  himself,  than  to  expose  the  youthful  daughter  of  Publius  Africanus  to  it.  Accordingly,  he  released  the  female  snake,  and  died  himself  a  few  days  afterwards. Let  us,  after  this,  laugh  at  the  soothsayers;  let  us  call  them  useless  and  triflers,  and  despise  those  men  whose  principles  the  wisest  men,  and  subsequent  events  and  occur  rences,  have  often  proved.  Let  us  despise  also  the  Baby  lonians,  and  those  who  on  mount  Caucasus  observe  the  stars  of  heaven,  and  follow  all  their  revolutions  in  regular  number  and  motion.  Let  us,  say  I,  condemn  all  those  people  for  folly,  or  vanity,  or  impudence,  who,  as  they  themselves  assert,  have  exact  records  for  four  hundred  and  seventy  thousand  years  carefully  noted  down,  and  let  us  decide  that  they  are  telling  lies,  and  have  no  regard  as  to  what  the  judgment  of  future  ages  concerning  them  will  be.  Come,  then,  you  vain  and  deceitful  barbarians,  has  the  history  of  the  Greeks  likewise  spoken  falsely?  Who  is  ignorant  of  the  answer  (that  I  may  speak  at  present  of  natural  divination)  which  the  Pythian  Apollo  gave  to  Croesus,  to  the  Athenians,  the  Lacedaemonians,  the  Tegeans,  the  Argives,  and  the  Corinthians?  Chrysippus  has  collected  a  countless  list  of  oracles — not  one  without  a  witness  and  authority  of  sufficient  weight;  but  as  they  are  known  to  you,  I  will  pass  them  over.  This  one  I  will  mention  and  defend.  Would  that  oracle  at  Delphi  have  ever  been  so  celebrated  and  illustrious,  and  so  loaded  with  such  splendid  gifts  from  all  nations  and  kings,  if  all  ages  had  not  had  experience  of  the  truth  of  its  predic  tions  1  At  present,  you  will  say,  it  has  no  such  reputation.  Granted,  then,  that  it  has  a  lower  reputation  now,  because  the  truth  of  oracles  is  less  notorious;  still  I  affirm  that  it  would  not  have  had  such  a  reputation  then,  if  it  had  not  been  distinguished  for  extraordinary  accuracy.  But  it  is  possible  that  that  power  in  the  earth,  which  excited  the  mind  of  the  Pythian  priestess  by  divine  inspiration,  may  have disappeared  through  old  age,  just  as  we  know  that  some  rivers  have  dried  up,  or  become  changed  and  diverted  into  another  channel.  However,  let  it  be  owing  to  whatever  you  please;  for  it  is  a  great  question:  only  let  this  fact  remain  —which  cannot  be  denied,  unless  we  will  overthrow  all  his  tory—that  that  oracle  told  the  truth  for  many  ages. However,  let  us  pass  over  the  oracles;  let  us  come  to  dreams.  And  Chrysippus  discussing  them,  after  collecting  many  minute  instances,  does  the  same  that  Antipater  does  when  he  investigates  this  subject,  and  those  dreams  which  were  explained  according  to  the  interpretation  of  Antipho,  which  indeed  prove  the  acuteness  of  the  interpreter,  but  still  are  not  examples  of  such  importance  as  to  have  been  worthy  of  being  brought  forward.   The  mother  of  Dionysius— of  that  Dionysius,  I  mean,  who  was  the  tyrant  of  Syracuse,  as  it  is  recorded  by  Philistus,  a  man  of  learning  and  diligence,  and  who  was  a  contem  porary  of  the  tyrant— when  she  was  pregnant  with  this  very  Dionysius,  dreamt  that  she  had  become  the  mother  of  a  little  Satyr.  The  interpreters  of  prodigies,  who  at  that  time  were  in  Sicily  called  Galeotse,  gave  her  for  answer  when  she  con  sulted  them  about  it,  (according  to  the  story  told  by  Philistus,)  that  the  child  whom  she  was  about  to  bring  forth  would  be  the  most  illustrious  man  of  Greece,  with  very  lasting  good  fortune.  Am  I  recalling  you  to  the  fables  of  the  Greek  poets  and  those  of  our  country?  For  the  Vestal  Virgin,  in  Ennius,  says —   The  agitated  dame  with  trembling  limbs   Brings  in  a  lamp,  and  with  unbridled  tears,   Starting  from  broken  sleep,  pours  forth  these  words  :•   0  daughter  of  the  fair  Eurydice,   You  whom  rny  father  loved,  see  strength  and  life  Desert  my  limbs,  and  leave  me  helpless  all.   1  thought  I  saw  a  man  of  handsome  form   Seize  me,  and  bear  me  through  the  willow  groves,  Along  the  river  banks  and  places  yet  unknown.  And  then  alone, — T  tell  you  true,  my  sister, —  I  seem'd  to  wander,  and  with  tardy  steps  To  seek  to  trace  you,  but  my  efforts  fail'd;  While  no  clear  path  did  guide  my  doubtful  feet.  And  then,  I  thought,  my  father  thus  address'd  me,  With  evil-boding  voice  : — Alas  !  my  daughter,  What  numerous  woes  by  you  must  be  endured  ;  Though  fortune  shall  in  after  times  arise   From  out  of  the  waters  of  this  river  here.  Thus,  sister,  spake  my  father,  and  then  vanish'd  •  2STor,  though  much  wish'd  for,  did  he  once  return!  In  vain,  with  many  tears,  I  raised  my  hands  Up  to  the  azure  vault  of  the  highest  heaven,  And  with  caressing  voice  invoked  his  name,  Or  seem'd  to  do  so.     And  'twas  long  ere  sleep,  Freighted  with  such  sad  dreams,  did  quit  my  breast. Now  these  accounts,  though  they  perhaps  may  be  the  mere  inventions  of  the  poets,  still  are  not  inconsistent  with  the  general  character  of  dreams.     We  may  grant  that  that  is  a  fictitious  one  by  which  Priam  is  represented  to  have  been  disturbed  : —   Queen  Hecuba  dream'd — an  ominous  dream  of  fate-  That  she  did  bear  no  human  child  of  flesh,  But  a  fierce  blazing  torch.     Priam,  alarm'd,  Ponder'd  with  anxious  fear  the  fatal  dream  ;  And  sought  the  gods  with  smoking  sacrifice.  Then  the  diviner's  aid  he  did  entreat,  With  many  a  prayer  to  the  prophetic  god,  If  haply  he  might  learn  the  dream's  intent.  Thus  spake  Apollo  with  all-knowing  mind  :—  "  The  queen  shall  have  a  son,  who,  if  he  grow  To  man's  estate,  shall  set  ajl  Troy  in  flames—  The  ruin  of  his  city  and  his  land."   Let  us  grant,  then,  that  these  dreams  are,  as  I  have  said,  merely  poetic  fictions,  and  let  us  add  the  dream  of  ^Eneas,  which  Numerius  Fabius  Pictor  relates  in  his  Annals,  as  one  of  the  same  kind;  in  which  ^Eneas  is  represented  as  foreseeing,  in  his  trance,  all  his  future  exploits  and  adventures.  But  let  us  come  nearer  home.  What  kind  of  dream  was  that  of  Tarquin  the  Proud,  which  the  poet  Accius,  m  his  Tragedy  of  Brutus,  puts  into  the  mouth  of  Tarquin  himself? —   Sleep  closed  my  weary  eyelids,  when  a  shepherd  Brought  me  two  rams.     The  one  1  sacrificed;  The  other  rushing  at  me  with  wild  force  Hurl'd  me  upon  the  ground.     Prostrate  I  gazed  Upon  the  heavens,  when  a  new  prodigy  Dazzled  my  eyes.     The  flashing  orb  of  day  Took  a  new  course,  diverging  to  the  right,  With  all  his  kindling  beams  strangely  transversed.   Of  this  dream  the  diviners  gave  the  following  interpretation   Dreams  are  in  general  reflex  images  Of  things  that  men  in  waking  hours  have  known;  But  sometimes  dreams  of  loftier  character Rise  in  the  tranced  soul,  inspired  by  Jove,   Prophetic  of  the  future. Then  beware   Of  him,  whom  thou  dost  think  as  stupid  as   The  ram  thou  dreamest  of.     For  in  his  breast   Dwells  manliest  wisdom.     He  may  yet  expel   Thee  from  thy  kingdom.     Mark  the  prophecy  :   That  change  in  the  sun's  course  thou  didst  behold,   Betoken'd  revolution  in  the  state,   And  as  the  sun  did  turn  from  left  to  right,  we  predict   So  shall  that  revolution  meet  success.  Let  us  again  return  to  foreign  events.  Heraclides  of  Pontus,  an  intelligent  man,  who  was  one  of  Plato's  disciples  and  followers,  writes  that  the  mother  of  Phalaris  fancied  that  she  saw  in  a  drearn  the  statues  of  the  gods  whom  Phalaris  had  consecrated  in  his  house.  Among  them  it  appeared  to  her  that  Mercury  held  a  cup  in  his  right  hand,  from  which  he  poured  blood,  which  as  soon  as  it  touched  the  earth  gushed  forth  like  a  fresh  fountain,  and  filled  the  house  with  streaming  gore.  The  dream  of  the  mother  was  too  fatally  realized  by  the  cruelty  of  the  son.   Why  need  I  also  relate,  out  of  the  history  of  Persia  by  Dinon,  the  interpretations  which  the  Magi  gave  to  the  cele  brated  prince,  Cyrus?  For  he  dreamed  that  beholding  the  sun  at  his  feet,  he  thrice  endeavoured  to  grasp  it  in  his  hands,  but  the  sun  rolled  away  and  departed,  and  escaped  from  him.  The Magi  (who  were  accounted  sages  and  teachers  in  Persia)  thus  interpreted  the  dream,  saying,  that  the  three  attempts  of  Cyrus  to  catch  the  sun  in  his  hands,  signified  that  he  would  reign  thirty  years ;  and  what  they  predicted  really  came  to  pass ;  for  he  was  forty  years  old  when  he  began  to  reign,  and  he  reached  the  age  of  seventy.  Among  all  barbarous  nations,  indeed,  we  meet  with  proof  that  they  likewise  possess  the  gift  of  divination  and  presentiment.  The  Indian  Calanus,  when  led  to  execution,  said,  while  ascending  the  funeral  pile,  "  0  what  a  glorious  departure  from  life !  when,  as  happened  to  Hercules ,  after  niy  body  has  been  consumed  by  fire,  my  soul  shall  depart  to  a  world  of  light."  And  when  Alexander  asked  him  if  he  had  anything  to  say  to  him  ;  "  Yes,"  replied  he,  ".we  shall  soon  meet  again  ;"  and  this  prophecy  was  soon  fulfilled,  for  a  few  days  afterwards  Alexander  died  in  Babylon.'   I  will  quit  the  subject  of  dreams  for  awhile,  and  return  to  them  presently.  On  the  very  night  that  Olympias  was  delivered  of  Alexander,  the  temple  of  Diana  of  the  Ephesiaus  was  burned ;  and  when  the  morning  dawned,  the  Magi  declared  that  the  ruin  and  destroyer  of  Asia  had  been  born  that  night.  So  much  for  the  Magi  and  the  Indians.  Now  let  us  return  to  dreams.   Ccelius  relates  that  Hannibal,  wishing  to  remove  a  golden  column  from  the  temple  of  Juno  Lacinia,  and  not  knowing  whether  it  was  solid  gold  or  merely  gilt,  bored  a  hole  in  it ;  and  as  he  had  found  it  solid,  he  determined  to  take  it  away.  But  the  following  night  Juno  appeai-ed  to  him  in  a  dream,  and  warned  him  against  doing  so,  and  threatened  him  that  if  he  did,  she  would  take  care  that  he  should  lose  an  eye  with  which  he  could  see  well.  He  was  too  prudent  a  man  to  neglect  this  threat ;  and  therefore,  of  the  gold  which  had  been  abstracted  from  the  column  in  boring  it,  he  made  a  little  heifer,  which  he  fixed  on  the  capital.   And  the  same  story  is  told  in  the  Grecian  history  of  Silenus,  whom  Ccelius  follows.  And  he  was  an  author  who  was  particularly  diligent  in  relating  the  exploits  of  Hannibal.  He  says  that  when  Hannibal  had  taken  Saguntum,  he  dreamed  in  his  sleep  that  he  was  summoned  to  a  council  of  the  gods,  and  that  when  he  arrived  at  it,  Jupiter  commanded  him  to  carry  the  war  into  Italy,  and  one  of  the  deities  in  council  was  appointed  to  be  his  conductor  in  the  enterprise.  He  therefore  began  his  march  under  the  direction  of  this  divine  protector,  who  enjoined  him  not  to  look  behind  him .  Hannibal,  however,  could  not  long  keep  in  his  obedience,  but  yielded  to  a  great  desire  to  look  back,  when  he  immediately  beheld  a  huge  and  terrible  monster,  surrounded  with  ser  pents,  which,  wherever  it  advanced,  destroyed  all  the  trees,  and  shrubs,  and  buildings.  He  then,  marvelling  at  this,  inquired  of  the  god  what  this  monster  might  mean  ;  and  the  god  replied, that  it signified  the  desolation  of  Italy ;  and  com  manded  him  to  advance  without  delay,  and  not  to  concern  himself  with  the  evils  that  lay  behind  him  and  in  his  rear.   In  the  history  of  Agathocles  it  is  said,  that  Hamilcar  the  Carthaginian,  when  he  was  besieging  Syracuse,  dreamed  that  he  heard  a  voice  announcing  to  him,  that  he -should  sup  on  the  succeeding  day  in  Syracuse.  When  the  morning  dawned  a  great  sedition  arose  in  his  camp  between  the  Carthaginian  and  Sicilian  soldiers.  And  when  the  Syracusans  found  this out,  they  made  a  vigorous  sally  and  attacked  the  camp  un  expectedly,  and  succeeded  in  making  Hamilcar  prisoner  while  alive,  and  thus  his  dream  was  verified.  All  history  is  full  of  similar  accounts;  and  the  experience  of  real  life  is  equally  rich  in  them.   That  illustrious  man,  Publius  Decius,  the  son  of  Quintus  Decius,  the  first  of  the  Decii  who  was  a  consul,  being  a  military  tribune  in  the  consulship  of  Marcus  Valerius  and  Aulus  Cornelius,  when  our  army  was  sorely  pressed  by  the  Samnites,  and  being  accustomed  to  expose  himself  to  great  personal  danger  in  battle,  was  warned  to  take  greater  care  of  himself;  on  which  he  replied  (as  our  annals  report),  that  he  had  had  a  dream,  which  informed  him  that  he  should  die  with  the  greatest  glory,  while  engaged  in  the  midst  of  the  enemy.  For  that  time  he  succeeded  in  happily  rescuing  our  army  from  the  perils  that  surrounded  it.  But  three  years  after,  when  he  was  consul,  he  devoted  himself  to  death  for  his  country,  and  threw  himself  armed  among  the  ranks  of  the  Latins;  by  which gallant action the Latins were defeated and destroyed: and his death was so glorious that his son desired a similar fate.But let us now come, if you please, to the dreams of philosophers. We read  in  Plato  that  Socrates,  when  he  was  in  the  public  prison  at  Athens,  said  to  his  friend  Crito  that  he  should  die  in  three  day,  for  that  he  had  seen  in  a  dream  a  woman  of  extreme  beauty  who  called  him  by  his  name,  and  quoted  in  his  presence  this  verse  of  HomerOn  the  third  day  you'll  reach  the  fruitful  Phthia."  1  And  it  is  said  that  it  happened  just  as  it  had  been  foretold.   Again,  what  a  man,  and  how  great  a  man,  is  Xenophon  the  pupil  of  Socrates!  He,  too,  in  his  account  of  that  war  in  which  he  accompanied  the  younger  Cyrus,  relates  the  dreams  which  he  sawthe  accomplishment  of  which  was  marvellous.  Shall  we  then  say  that  Xenophon  was  a  liar  or  dotard  ?  What  shall  we  say,  too,  of  Aristotle,  a  man  of  singular  and  almost  divine  genius?  Was  he  deceived  himself,  or  does  he  wish  others  to  be  deceived,  when  he  informs  us  that  Eudemus  of  Cyprus,  his  own  intimate  friend,  on  his  way  to  Macedonia,  came  to  Pherae,  a  celebrated  city  of  Thessaly,   1  Horn.   :"Hfjari  Kfv  rpirdrca  $0ii)v  tpi$ta\ov  IKO(U.TIV.   which  was  then  under  the  cruel  sway  of  the  tyrant  Alexander.  In  that  town  he  was  seized  with  a  severe  illness,  so  that  he  was  given  over  by  all  the  physicians,  when  he  beheld  in  a  dream  a  young  man  of  extreme  beauty,  who  informed  him  that  in  a  short  time  he  should  recover,  and  also  the  tyrant  Alexander  would  die  in  a  few  days;  and  that  Eudemus  himself  would,  after  five  years'  absence,  at  length  return  home.  Aristotle  relates  that  the  first  two  predictions  of  this  dream  were  immediately  accomplished;  for  Eudemus  speedily  recovered,  and  the  tyrant  perished  at  the  hands  of  his  wife's  brother  ;  and  that  towards  the  end  of  the  fifth  year,  when,  in  consequence  of  that  dream,  there  was  a  hope  that  he  would  return  into  Cyprus  from  Sicily,  they  heard  that  he  had  been  slain  in  a  battle  near  Syracuse  ;  from  which  it  appeared  that  his  dream  was  susceptible  of  being  interpreted  as  meaning,  that  when  the  soul  of  Eudemus  had  quitted  his  body,  it  would  then  appear  to  have  signified  the  return  home.   To  the  philosophers  we  may  add  the  testimony  of  Scpho-  cles,  a  most  learned  man,  and  as  a  poet  quite  divine,  who,  when  a  golden  goblet  of  great  weight  had  been  stolen  from  the  temple  of  Hercules,  saw  in  a  dream  the  god  himself  appearing  to  him,  and  declaring  who  was  the  robber.  Sopho  cles  paid  no  attention  to  this  vision,  though  it  was  repeated  more  than  once.  When  it  had  presented  itself  to  him  several  times,  he  proceeded  up  to  the  court  of  Areopagus,  and  laid  the  matter  before  them.  On  this,  the  judges  issued  an  order  for  the  arrest  of  the  offender  nominated  by  Sophocles.  On  the  application  of  the  torture  the  criminal  confessed  his  guilt,  and  restored the goblet; from which event this temple of Hercules was afterwards called the temple of Hercules the Indicate. But why do I continue to cite the Greeks? when, somehow or other, I feel more interest in the examples of my ellowcountrymen. All our historians,the  Fabii,  the  Gellii,  and,  more  recently,  Ccelius,  bear  witness  to  similar  facts.  In  the  Latin  war,  when  they  first  celebrated  the  votive  games  in  honour  of  the  gods,  the  city  was  suddenly  roused  to  arms,  and  the  games  being  thus  interrupted,  it  was  necessary  to  appoint  new  ones Before their commencemen,however,  just  as  the  people  had  taken  their  places  in  the  circus,  a  slave  who  had  been  beaten  with  rods  was  led  through  the  circus,  bearing  a  gibbet.  After  this  event,  a  certain  Roman  rustic  had  a  dream,  in  which  an  apparition  informed  him  that  he  had  been  displeased  with  the  president  of  the  games,  and  the  rustic  was  ordered  to  apprise  the  senate  of  that  fact.  He,  however,  did  not  dare  to  do  so;  on  which  the  apparition  appeared  a  second  time,  and  warned  him  not  to  provoke  him  to  exert  his  power.  Even  then  he  could  not  summon  courage  to  obey,  and  presently  his  son  died.  After  this,  the  same  admonition was repeated in his dreams for the third time. Then the peasant himself became extremely ill, and related the cause of his trouble to his friends, by whose advice he was carried on a litter to the senatehouse;  and  as  soon  as  he  had  related  his  dreams  to  the  senate,  he  recovered  his  health  and  strength,  and  returned  home  on  foot  perfectly  cured.  Thereupon,  the  truth  of  his  dreams  being  admitted  by  the  senate,  it  is  related  that  these  games  were  repeated  a  second  time.   It  is  recorded  in  the  history  of  the  same  Crelius,  that  Caius  Gracchus  informed  many  persons  that  during  the  time  that  he  was  soliciting  the  qusestorship,  his  brother  Tiberius  Gracchus  appeared  to  him  in  a  dream,  and  said  to  him,  that  he  might  delay  as  much  as  he  pleased,  but  that  nevertheless  he  was  fated  to  die  by  the  same  death  which  e  himself  had  suffered.  Coclius  asserts  that  he  heard  this  fact,  and  related  it  to  many  persons,  before  Caius  Gracchus  had  become  tribune  of  the  people.  And  what  can  be  more  certain  than  such  a  dream  as  this  1 Who,  again,  can  despise  those  two  dreams,  which  are  so  frequently  dwelt  upon  by  the  Stoics?one  concerning  Simonides,  who,  having  found  the  dead  body  of  a  man  who  was  a  stranger  to  him  lying  in  the  road,  buried  it.  Having  performed  this  office,  he  was  about  to  embark  in  a  ship,  when  the  man  whom  he  had  buried  appeared  to  him  in  a  dream  at  night,  and  warned  him  not  to  undertake  the  voyage, for that if he did he would perish by shipwreck. Therefore, he returned home  again,  but  all  the  other  people  who  sailed  in  that vessel were lost. The other dream, which is a very celebrated one, is related in the following manner:Two  Arcadians,  who  were  in  timate  friends,  were  travelling  together,  and  arriving  at  Megara,  one  of  them  took  up  his  quarters  at  an  inn,  the  other  at  a  friend's  house.  After  supper,  when  they  had  both  gone  to  bed,  the  Arcadian,  who  was  staying  at  his  friend's  house,  saw  an  apparition  of  his  fellowtraveller  at  the  inn,  who  prayed  him  to  come  to  his  assistance  immediately,  as  the  innkeeper  was  going  to  murder  him.  Alarmed  at  this  intimation,  he  started  from  his  sleep;  but  on  recollection,  thinking  it  nothing  but  an  idle  dream,  he  lay  down  again.  Presently,  the  apparition  appeared  to  him  again  in  his  sleep,  and  entreated  him,  though  he  would  not  come  to  his  as  sistance  while  yet  alive,  at  least  not  to  leave  his  death  unavenged.  He  told  him  further,  that  the  innkeeper  had  first  murdered  him,  and  then  cast  him  into  a  dungcart,  where  he  lay  covered  with  filth;  and  begged  him  to  go  early  to  the  gate  of  the  town,  before  any  cart  could  leave  the  town.  Much  excited  by  this  second  vision,  he  went  early  next  morning  to  the  gate  of  the  town,  and  met  with  the  driver  of  the  cart,  and  asked  him  what  he  had  in  his  waggon.  The  driver,  upon  this  question,  ran  away  in  a  fright.  The  dead  body  was  then  discovered,  and  the  innkeeper,  the  evidence  being  clear  against  him,  was  brought  to  punishment. What  can  be  more  akin  to  divination  than  such  a  dream  as  this  ?   But  why  do  I  relate  any  more  ancient  instances  of  similar  things,  when  such  dreams  have  occurred  to  ourselves?  for  I  have  often  told  you  mine,  and  I  have  as  often  heard  you  talk  of  yours.   When  I  was  proconsul  in  Asia,  it  appeared  to  me  as  I  slept,  that  I  saw  you  riding  on  horseback  till  you  reached  the  banks  of  a  great  river,  and  that  you  were  suddenly  thrown  off  and  precipitated  into  the  waters,  and  so  disappeared.  At  this  I  trembled  exceedingly,  being  overcome  with  fear  and  apprehension.  But  suddenly  you  reappeared  before  me  with  a  joyful  countenance,  and,  with  the  same  horse,  ascended  the  opposite  bank,  and  then  we  embraced  each  other.  It  is  easy  to  conjecture  the  signification  of  such  a  dream  as  this;  and  hence  the  learned  inten  <reters  of  Asia  predicted  to  me  that  those  events  would  take  place  which  afterwards  did  come  to  pass.   I  now  come  to  your  own  dream,  which  I  have  sometimes  heard  from  yourself,  but  more  often  from  our  friend  Sallust.  He  used  to  say,  that  in  that  flight  and  exile  of  yours,  which  was  so  glorious  for  you,  so  calamitous  for  our  country,  you  stayed  awhile  in  a  certain  villa  of  the  territory  of  Atina,  when,  having  sat  up  a  great  part  of  the  night,  you  fell  into  a  deep  and  heavy  slumber  towards  the  morning.  And  from  this  slumber  your  attendants  would  not  awake  you,  as  you  had  given  orders  that  you  were  not  to  be  disturbed, though your journey was sufficiently urgent. When at length you awoke about the second hour of the day, you related to Sallust the following dream:That  it  had  seemed  to  you  that,  as  you  were  wandering  sorrowfully  through  some  solitary  district,  Caius  Marius  appeared  to  you  with  his  fasces  covered  with  laurel,  and  that  he  asked  you  why  you  were  afflicted.  And  when  you  informed  him  that  you  had  been  driven  from  your  country  by  the  violence  of  the  disaffected,  he  seized  your  right  hand,  and  urged  you  to  be  of  good  cheer,  and  ordered  the  lictor  nearest  to  him  to  lead  you  to  his  monument,  saying,  that  there  you  should  find  security.  Sallust  told  me,  that  upon  hearing  this  dream,  he  himself  exclaimed  at  once  that  your  return  would  be  speedy  and  glorious;  and  that  you  also  appeared  to  be  de  lighted  with  your  dream.  A  short  time  afterwards  I  was  informed,  as  you  well  know,  that  it  was  in  the  monument  of  Marius  that,  on  the  instance  of  that  excellent  and  famous  consul  Lentulus,  that  most  honourable  decree  of  the  senate  was  passed  for  your  recal,  which  was  applauded  with  shouts  of  incredible  exultation  in  a  very  full  assembly;  so  that,  as  you  yourself  observed,  no  dream  could  have  a  higher  character  of  divination  than  this  which  occurred  to  you  at  Atina. But  you  will  say  that  there  are  likewise  many  false  dreams.  No  doubt  there  are  some  which  are  perhaps  obscure  to  us;  but,  even  allow  that  there  are  some  which  are  actually false, what argument is that against those which are true ?of  which,  indeed,  there  would  be  a  great  many  more  if  we  went  to  bed  in  perfect  health;  but  as  it  is,  from  our  being  over  charged  with  wine  and  luxuries,  all  our  perceptions  become  troubled  and  confused.  Consider  what  Socrates,  in  the  Republic  of  Plato,  says  on  this  subject.   "  When,"  says  he,  "  that  part  of  the  soul  which  is  capable  of  intelligence  and  reason  is  subdued  and  reduced  to  languor, then that part in which there is a species  of  ferocity  and uncivilized  savageness  being  excited  by  immoderate  eating  and  drinking,  exults  in  our  sleep  and  wantons  about  unre  strainedly;  and  therefore  all  kinds  of  visions  present  them  selves  to  it,  such  as  are  destitute  of  all  sense  or  reason,  in  which  we  appear  to  be  giving  ourselves  up  to  incest  and  all  kinds  of  bestiality,  or  to  be  committing  bloody  murders,  and  massacres,  and  all  kinds  of  execrable  deeds,  with  a  triumphant  defiance  of  all  prudence  and  decency.  But  in  the  case  of  a  man  who  is  accustomed  to  a  sober  and  regular  life,  when  he  commits  himself  to  sleep,  then  that  part  of  his  soul  which  is  the  seat  of  intellect  and  reason  is  still  active  and  awake,  being  replenished  with  a  banquet  of  virtuous  thoughts;  and  that  portion  which is  nourished  by  pleasure,  is  neither  destroyed  by  exhaustion  nor  swollen  by  satiety,  either  of  which  is  accustomed  to  impair  the  vigour  of  the  soul,  whether  nature  is  deficient  in  anything,  or  super  abundant  or  overstocked;  and  that  third  division  also,  ill  which  the  vehemence  of  anger  is  situated,  is  lulled  and  restrained;  so,  consequently,  it  happens,  that  owing  to  the  due  regulation  of  the  two  more  violent  portions  of  the  soul,  the  third,  or  intellectual  part,  shines  forth  conspicuously,  and  is  fresh  and  active  for  the  admission  of  dreams;  and  therefore  the  visions  of  sleep  which  present  themselves  before  it  are  tranquil  and  true."  Such  are  the  very  words  of  Plato.  Shall  we,  then,  prefer  listening  to  the  doctrine  of  Epicurus  on  this  point  ?  As  for  Carneades,  he  sometimes  says  one  thing  and  sometimes  another,  from  his  mere  fondness  for  discussion.  And  yet,  what  are  the  sentiments  which  he  utters  ?  At  all  events,  they  are  never  expressed  either  with  elegance  or  propriety.  And  will  you  prefer  such  a  man  as  this  to  Plato  and  Socrates  1  men  who,  even  if  they  were  to  give  no  reason  for  their  tenets,  should,  by  the  mere  authority  of  their  names,  outweigh  these  minute  philosophers.   Plato  then  asserts  that  we  should  bring  our  bodies  into  such  a  disposition  before  we  go  to  sleep  as  to  leave  nothing  which  may  occasion  error  or  perturbation  in  our  dreams.  For  this  reason,  perhaps,  Pythagoras  laid  it  down  as  a  rule,  that  his  disciples  should  not  eat  beans,  because  this  food  is  very  flatulent,  and  contrary  to  that  tranquillity  of  mind  which  a  truthseeking  spirit  should  possess.  When,  therefore,  the  mind  is  thus  separated  from  the  society  and  contagion  of  the  body,  it  recollects  things  past,  examines  things  present,  and  anticipates  things  to  come.  For  the  body  of  one  who  is  asleep  lies  like  that  of  one  who  is  dead,  while the spirit is full of vitality  and  vigour.  And  it  will  be  yet  more  so  after  death,  when  it  will  have  got  rid  of  the  body  altogether;  and  therefore  we  _see  that  even  on  the  approach  of  death  it  becomes  much  more  divine.  For  it  often  happens  that  those  who  are  attacked  by  a  severe  and  mortal  malady,  foresee  that  their  death  is at  hand.  And  in  this  state  they  often  behold  ghosts  and  phantoms  of  the  dead.  Then  they  are  more  than  ever  anxious  about  their  reputations;  and  they  who  have  lived  otherwise  than  as  they  ought,  then  most  especially  repent  of  their  sins.   And  that  the  dying  are  often  possessed  of  the  gift  of  divi  nation,  Posidonius  confirms  by  that  notorious  example  of  a  certain  Rhodian  who,  being  on  his  deathbed,  named  six  of  his  contemporaries,  saying  which  of  them  would  die  first,  which  second,  which,  next  to  him,  and  so  on.   There  are,  he  imagines,  besides  this,  three  ways  in  which  men  dream  under  the  immediate  impulse  of  the  Gods  :  one,  when  the  mind  intuitively  perceives  things  by  the  relation  which  it  bears  to  the  Gods;  the  second,  arising  from  the  fact  of  the  air  being  full  of  immortal  spirits,  in  whom  all  the  signs  of  truth  are,  as  it  were,  stamped  and  visible;  the  third,  when  the  Gods  themselves converse with sleepers,and  that,  as  I  have  said  before,  takes  place  more  especially  at  the  approach  of  death,  enabling  the  minds  of  the  dying  to  anti  cipate  future  events.  An  instance  of  this  is  the  prediction  of  Calanus,  of  whom  I  have  already spoken. Another is that of Hector, in Homer,  who, when  dying  himself,  foretels  the  approaching  death  of  Achilles. If  there  were  no  such  thing  as  divination,  Plautus  would  not  have  been  so  much  applauded  for  the  following  line  : — My  mind presaged  (prcesagibat),  when  I  first  went  out,  That  I  was  going  on  a  fruitless  journey  : —  for the verb sagio means,  to  feel  shrewdly.  Hence  old  women  are  sometimes  called  sagce  (witches), because  they  are  ambi  tious  of  knowing  many  things;  and  dogs  are  called  sagacioiis.  Whoever,  therefore,  say  it  (knows)  before  the  event  has  come  to  pass,  is  said  prcesagire  (to  have  the  power  of  knowing  the  future  beforehand).   There  exists,  therefore,  in  the  mind  a  presentiment,  which  strikes  the  soul  from  without,  and  which  is  enclosed  in  the  soul  by  divine operation.  If  this  becomes  very  vivid,  it  is  termed  frenzy,  as  happens  when  the  soul,  being  abstracted  from  the  body,  is  stirred  up  by  a  divine  inspiration. What  sudden  transport  fires  my  virgin  soul !   Jly  mother,  oh,  my  mother  ! — dearest  name  Of  all  dear  names  !     But  oh,  my  breast  is  full  Of  divination  and  impending  fates,  While  dread  Apollo  with  his  mighty  impulse  Urges  me  onward.     Sisters,  my  sweet  sisters  !  I  grieve  to  anticipate  the  coming  fate  Of  our  most  royal  parents.     You  are  all  More  filial  and  more  dutiful  than  I.  I  only  am enjoin'd  this  cruel  task, To  utter  imminent  ruin.     You  do  serve  them;  I  injure  them ;  and  your  obedience  Shines  well,  set-off  by  my  disloyal  rage.1   0  what  a  tender,   moral,   and  delicate  poem !    though  the  beauty  of  it  does  not  affect  the  question.     What  I  wish  to  prove  is,  that  that  frenzy  often  predicts  what  is  true  and  real.   I  see  the  blazing  torch  of  Troy's  last  doom,  Fire,  and  massacre,  and  death.     Arm,  citizens  !  Bring  aid  and  quench  the  flames.   In  the  following  lines,  it  is  not  so  much  Cassandra  who  speaks,  as the  Deity  enclosed  in  human  form:Already  is  the  fleet  prepared  to  sail;  It  bears  destruction — rapidly  it  speeds:  A  dreadful  army  traverses  the  shores,  Destined  to  slaughter.   1  seem  to   be    doing  nothing  but   quoting  tragedies  and  fables. I  would  mention  a  story  I  have  heard  from  your  self,  and  that  not  an  imaginary,  but  a  real  circumstance,  and  closely  related  to  our  present  discussion.  Caius  Coponius,  a  skilful  general,  and  a  man  of  the  highest  character  for  learn  ing  and  wisdom,  who  commanded  the  fleet  of  the  Rhodians,  with  the  appointment  of  praetor,  came  to  you  at  Dyrrha-  chium,  and  informed,  you  that  a  certain  sailor  in  a  Khodiau  galley  had  predicted  that,  in  less  than  a  month,  Greece  would   1  This  is  a  quotation  from  Pacuvius's  play  of  Hercules ;  the  speaker  is  Cassandra. be  deluged  with  blood,  that  Dyrrhachium  would  be  pillaged,  and  that  the  people  would  flee  and  take  to  their  ships;  that,  looking  back  in  their  flight,  they  would  see  a  terrible  con  flagration.  He  added,  moreover,  that  the  fleet  of  the  lihodians  would  soon  return,  and  retire  to  Rhodes.  You  told  me  that  you  yourself  were  surprised  at  this  intelligence,  and  that  Marcus  Varro  and  Marcus  Cato,  both  men  of  great  learning,  who  were  with  you,  were  exceedingly  alarmed.  A  few  days  afterwards,  Labienus,  having  escaped  from  the  battle  of  Phar-  salia,  arrived  and  brought  an  account  of  the  defeat  of  the  army:  and  the  rest  of  the  prediction  was  soon  accomplished;  for  the  corn  was  dragged  out  of  the  granaries,  and  strewed  about  all  the  streets  and  alleys,  and  destroyed.  Yoxi  all  embarked  on  board  the  ships  in  haste  and  alarm;  and  at  night,  when  you  looked  back  towai-ds  the  town,  you  beheld  the  barges  on  fire,  which  were  burned  by  the  soldiers  because  they  would  not  follow.  At  last  you  were  deserted  by  the  fleet  of  the  Rhodians,  and  then  you  found  that  the  prophet  had  been  a  true  one.   I  have  explained  as  concisely  as  possible  the  fore  warnings  of  dreams  and  frenzy,  with  which  I  said  that  art  had  nothing  to  do;  for  both  these  kinds  of  prediction  arise  from  the  same  cause,  which  our  friend  Cratippus  adopts  as  the  true  explana  tion  —namely,  that  the  souls  of  men  are  partly  inspired  and  agitated  from  without.  By  which  he  meant  to  say,  that  there  is  in  the  exterior  world  a  sort  of  divine  soul,  whence  the  human  soul  is  derived;  and  that  that  portion  of  the  human  soul  which  is  the  fountain  of  sensation,  motion,  and  appetite,  is  not  separate  from  the  action  of  the  body;  but  that  portion  which  partakes  of  reason  and  intelligence  is  then  most  ener  getic,  when  it  is  most  completely  abstracted  from  the  body.   Therefore,  after  having  recounted  veritable  instances  of  presentiments  and  dreams,  Cratippus  used  to  sum  up  his  conclusions  in  this  manner:" If,"  he  would  say,  "the  exist  ence  of  the  eyes  is  necessary  to  the  existence  and  operation  of  the  function  of  sight,  though  the  eyes  may  not  be  always  exercising  that  function,  still  he  who  has  once  made  use  of  his  eyes  so  as  to  see  correctly,  is  possessed  of  eyes  capable  of  the  sensation  of  correct  sight:  just  so  if  the  function  and  gift  of  divination  cannot  exist  without  the  exercise  of  divination,  and  yet  a  man  who  has  this  gift  may  sometimes  err  in  its exercise,  and  not  foresee  correctly;  then  it  is  sufficient  to  prove  the  existence  of  divination,  that  some  event  should  have  been  once  so  correctly  divined  that  none  of  its  circum  stances  appear  to  have  happened  fortuitously.  And  as  a  multitude  of  such  events  have  occurred,  the  existence  of  divination  ought  not  to  be  doubted.But  as  to  those  divinations  which  are  explained  by  conjecture,  or  by  the  observation  of  events;  these,  as  I  have  said  before,  are  not  of  the  natural,  but  artificial  order;  in  which  artificial  class  are  the  haruspices,  and  augurs,  and  interpreters.  These  are  discredited  by  the  Peripatetics,  and  defended  by  the  Stoics.  Some  of  them  are  established  by  certain  monuments  and  systems,  as  is  evident  from  the  ritual  books  of  the  ancient  Etruscans  respecting  electrical  interpre  tation  of  the  omens  conveyed  by  the  entrails  of  victims  and  by  lightning,  and  by  our  own  books  on  the  discipline  of  the  augurs  Other  divinations  are  explained  at  once  by  con  jecture,  without  reference  to  any  written  authorities;  such  as  the  prophecy  of  Calchas  in  Homer,  who,  by  a  certain  num  ber  of  flying  sparrows,  predicted  the  number  of  years  which  would  be  occupied  in  the  siege  of  Troy;  and  as  an  event  which  we  read  recorded  in  the  history  of  Sylla,  which  hap  pened  under  your  own  eyes.  For  when  Sylla  was  in  the  territory  of  Nola,  and  was  sacrificing  in  front  of  his  tent,  a  serpent  suddenly  glided  out  from  beneath  the  altar;  and  when,  upon  this,  the  soothsayer  Posthumius  exhorted  him  to  give  orders  for  the  immediate  march  of  the  army,  Sylla  obeyed  the  injunction,  and  entirely  defeated  the  Samnites,  who  lay  before  Nola,  and  took  possession  of  their  richly-  provided  camp.   It  was  by  this  kind  of  conjectural  divination  that  the  fortune  of  the  tyrant  Dionysius  was  announced  a  little  before  the  commencement  of  his  reign;  for  when  he  was  travelling  through  the  territory  of  Leontini,  he  dismounted  and  drove  his  horse  into  a  river;  but  the  horse  was  carried  away  by  the  current,  and  Dionysius,  not  being  able  with  all  his  efforts  to  extricate  him,  departed,  as  Philistus  reports,  lamenting  his  loss.  Some  time  afterwards,  as  he  was  journeying  further  down  the  river,  he  suddenly  heard  a  neighing,  and  to  his  great  joy  found  his  horse  in  very  comfortable  condition,  with  a  swarm  of  bees  hanging  on  his  mane.  And  this  prodigy intimated  the  event  which  took  place  a  few  days  after  this,  when  Dionysius  was  called  to  the  throne.  Need  I  say  more  1     Ho\v  many  intimations  were  given  to  the  Lacedaemonians  a  short  time  before  the  disaster  of  Leuctra,  when  arms  rattled  in  the  temple  of  Hercules,  and  his  statue  streamed  with  profuse  sweat!     At  the  same  time,  at  Thebes  (as  Callisthenes  relates),  the  foldingdoors  in  the  temple  of  Hercules,  which  were  closed  with  bars,  opened  of  their  own  accord,  and  the  armour  which  was  suspended  on  the  walls  was  found  fallen  to  the  ground. And  at  the  same  period,  at  Lebadia,  where  divine  rites  were  being  performed  in  honour  of  Trophonius,  all  the  cocks  in  the  neighbourhood  began  to  crow  so  incessantly  as  never  to  leave  off  at  all;  and  the  Boeotian  augurs  affirmed  that  this  was  a  sign  of  victory  to  the  Thebans.  because  these  birds  crow  only  on  occasions  of  victory,  and  maintain  silence  in  case  of  defeat.   Many  other  signs,  at  this  time,  announced  to  the  Spartans  the  calamities  of  the  battle  of  Leuctra;  for,  at  Delphi,  on  the  head  of  the  statue  of  Lysander,  who  was  the  most  famous  of  the  Lacedaemonians,  there  suddenly  appeared  a  garland  of  wild  prickly  herbs.  And  the  golden  stars  which  the  Lacedae  monians  had  set  up  as  symbols  of  Castor  and  Pollux,  in  the  temple  of  Delphi,  after  the  famous  naval  victory  of  Lysander,  in  which  the  power  of  Athens  was  broken,  because  those  divinities  were  reported  to  have  appeared  in  the  Lacedaj-  monian  fleet  during  that  engagement,  fell  down,  and  were  seen  no  more.   And  the  greatest  of  all  the  prodigies  which  were  sent  as  warnings  to  those  same  Lacedaemonians,  happened  when  they  sent  to  consult  the  oracle  of  Jupiter  at  Dodona  on  the  success  of  the  combat;  and  when  the  ambassadors  had  cast  their  questions  into  the  urn  from  which  the  responses  were  to  be  drawn,  an  ape,  whom  the  king  of  Molossus  kept  as  a  pet,  dis  turbed  and  confounded  all  the  lots,  and  everything  else  which  had  been  prepared  for  the  purpose  of  giving  a  reply  in  due  form.  Upon  which  the  priestess  who  presided  at  the  oracular  rites,  declared  that  the  Lacedaemonians  must  rather  look  to  their  safety  than  expect  a  victory. Must  I  say  more  1    In  the  second  Punic  war,  when  Flaminius,  being  consul  for  the  second  time,  despised  the  signs  of  future  events,  did  he  not  by  such  conduct  occasion  great  disasters  to  the  state  ?  For  when,  after,  having  reviewed  the  troops,  he  was  moving  his  camp  towards  Arezzo,  and  leading  his  legions  against  Hannibal,  his  horse  suddenly  fell  with  him  before  the  statue  of  Jupiter  Stator,  without  any  apparent  cause.  But  though  those  who  were  skilful  in  divina  tion  declared  it  was  an  evident  sign  from  the  Gods  that  he  should  not  engage  in  battle,  he  paid  no  attention  to  it.  After  wards,  when  it  was  proposed  to  consult  the  auspices  by  the  consecrated  chickens,  the  augur  indicated  the  propriety  of  deferring  the  battle.  Flaminius  asked  him  what  was  to  be  done  the  next  day,  if  the  chickens  still  refused  to  feed  ?  He  replied  that  in  that  case  he  must  still  rest  quiet.  "  Fine  auspices,  indeed,"  replied  Flaminius, "  if  we  may  only  fight  when  the  chickens  are  hungry,  but  must  do  nothing  if  they  are  full."  And  so  he  commanded  the  standards  to  be  moved  forward,  and  the  army  to  follow  him;  on  which  occasion,  the  standard-bearer  of  the  first  battalion  could  not  extricate  his  standard  from  the  ground  in  which  it  was  pitched,  and  several  soldiers  who  endeavoured  to  assist  him  were  foiled  in  the  attempt.  Flaminius,  to  whom  they  related  this  incident,  despised  the  warning,  as  was  usual  with  him;  and  in  the  course  of  three  hours  from  that  time,  the  whole  of  his  army  was  routed,  and  he  himself  slain.   And  it  is  a  wonderful  story,  too,  that  is  told  by  Coelius,  as  having  happened  at  this  very  time,  that  such  great  earth  quakes  took  place  in  Liguria,  Gallia,  and  many  of  the  islands,  and  throughout  all  Italy,  that  many  cities  were  destrojred,  and  the  earth  was  broken  into  chasms  in  many  places,  and  rivers  rolled  backwards,  while  the  waters  of  the  sea  rushed  into  their  channels. Skilful  diviners  can  certainly  derive  correct  pre  sentiments  from  slight  circumstances.  When  Midas,  who  be  came  king  of  Phrygia,  was  yet  an  infant,  some  ants  crammed  some  grains  of  wheat  into  his  mouth  while  he  was  sleep  ing.  On  this  the  diviners  predicted  that  he  would  become  exceedingly  rich, as  indeed  afterwards  happened.  While  Plato  was  an  infant  in  his  cradle,  a  swarm  of  bees  settled  on  his  lips  during  his  slumbers;  and  the  diviners  answered  that  he would  become  extremely  eloquent;  and  this  prediction  of  his  future  eloquence  was  made  before  he  even  knew  how  to  speak.  Why  should  I  speak  of  your  dear  and  delightful  friend,  Roscius  1  Did  he  tell  lies  himself,  or  did  the  whole  city  of  Lanuvium  tell  lies  for  him  ?  When  he was in his cradle at Solonium,  where  he  was  being  brought  up,— (a  place  which  belongs  to  the  Lanuvian  territory.) the  story  goes,  that  one  night,  there  being  a  light  in  the  room,  his  nurse  arose  and  found  a  serpent  coiled  around  him,  and  in  her  alarm  at  this  sight  she  made  a  great  outcry.  The  father  of  Roscius  related  the  circumstance  to  the  soothsayers,  and  they  answered  that  the  child  would  become  preeminently  distinguished  and  illus  trious.  This  adventure  was  afterwards  engraved  by  Praxiteles  in  silver,  and  our  friend  Archias  celebrated  it  in  verse.   What,  then,  are  we  waiting  for  1  Are  we  to  wait  till  the  Gods  are  conversant  with  us  and  our  affairs,  while  we  are  in  the  forum,  and  on  our  journeys,  and  when  we  are  at  home?  yet  though  they  do  not  openly  discover  themselves  to  us,  they  diffuse  their  divine  influence  far  and  wide — an  influence  which  they  not  only  inclose  in  the  caverns  of  the  earth,  but  sometimes  extend  to  the  constitutions  of  men.  For  it  was  this  divine  influence  of  the  earth  which  inspired  the  Pythia  at  Delphi,  while  the  Sibyl  received  her  power  of  divination  from  nature.  Why  should  we  wonder  at  this  1  Do  we  not  see  how  various  are  the  species  and  specific  properties  of  earths  1  — of  which  some  parts  are  injurious,  as  the  earth  of  Amp-  sanctus  in  Hirpinum,  and  the  Plutonian  land  in  Asia:  and  some  portions of  the  soil  of  the  fields  are  pestilential,  others  salubrious;  some  spots  produce  acute  capacities,  others  heavy  characters.  All  which  things  depend  on  the  varieties  of  atmosphere,  and  are  inequalities  of  the  exhalations  of  the  different  soils.   It  likewise  often  happens  that  minds  are  affected  more  or  less  powerfully  by  certain  expressions  of  countenance,  and  certain  tones  of  voice  and  modulations, — often  also  by  fits  of  anxiety  and  terror — a  condition  indicated  in  these  lines  of  the  poet : —   Madden'd  in  heart,  and  weeping  like  as  one  By  the  mysterious  rites  of  Bacchus  wrought  Into  wild  ecstasy,  she  wanders  lone  Amid  the  tombs,  and  mourns  her  Teucer  lost. And  this  state  of  excitement  also  proves  that  there  is  a  divine  energy  in  human  souls.  And  so  Democritus asserts,  that  without  something  of  this  ecstasy  no  man  can  become  a  great  poet ;  and  Plato  utters  the  same  sentiment :  and  he  may  call  this  poetic  inspiration  an  ecstasy  or  madness  as  much  as  he  pleases,  so  long  as  he  eulogizes  it  as  eloquently  as  he  does  in  his  Phecdon.   What  is  your  art  of  oratory  in  pleading  causes  1  What  is  your  action  ?  Can  it  be  forcible,  commanding,  and  copious,  unless  your  mind  and  heart  are  in  some  degree  animated  by  a  kind  of  inspiration  1  I  have  often  beheld  in  yourself,  and,  to  descend  to  a  less  dignified  example,  even  in  your  friend  ufEsop,  such  fire  and  splendour  of  expression  and  action,  that  it  seemed  as  if  some  potent  inspiration  had  altogether  ab  stracted  him  from  all  present  sensation  and  thought.   Besides  this,  forms  often  come  across  us  which  have  no  real  existence,  but  which  nevertheless  have  a  distinct  appear  ance.  Such  an  apparition  is  said  to  have  occurred  to  Bren-  ims,  and  to  his  Gallic  troops,  when  he  was  waging  an  impious  war  upon  the  temple  of  Apollo  at  Delphi.  For  on  that  occa  sion  it  is  reported  that  the  Pythian  priestess  pronounced  these  words  :"I  and  the  white  virgins  will  provide  for  the  future."  In  accordance  with  which,  it  happened  that  the  Gauls  fancied  that  they  saw  white  virgins  bearing  arms  against  them,  and  that  their  entire  army  was  overwhelmed  in  the  snow.   Aristotle  thinks  that  those  who  become  ecstatic  or  furious  through  some  disease,  especially  melancholy  persons,  possess  a  divine  gift  of  presentiment  in  their  minds. But  I  know  not  whether  it  is  right  to  attribute  anything  of  this  kind  to  men  with  diseases  of  the  stomach,  or  to  persons  in  a  frenzy,  for  time  divination  rather appertains to  a  sound  mind  than  to a sick  body.   The  Stoics  attempt  to  prove  the  reality  of  divination  in  this  way: — If  there  are  Gods,  and  they  do  not  intimate  future  events  to  men,  they  either  do  not  love  men,  or  they  are  ignorant  of  the  future;  or  else  they  conceive  that  know  ledge  of  the  future  can  be  of  no  service  to  men;  or  they  con  ceive  that  it  does  not  become  their  majesty  to  condescend  to  intimate  beforehand  what  must  be  hereafter;  or  lastly,  we  must  say  that  even  the  Gods  themselves  cannot  tell  how  to  forewarn  us  of  them.   But  it  is  not  true  that  the  Gods  do  not  love  men,  for  they are  essentially  benevolent  and  philanthropic;  and  they  cannot  be  ignorant  of  those  events  which  take  place  by  their  own  direction  and  appointment.  Again,  it  cannot  be  a  matter  of  indifference  to  us  to  be  apprised  of  what  is  about  to  happen,  for  we  shall  become  more  cautious  if  we  do  know  such  things.  Nor  do  they  think  it  beneath  their  dignity  to  give  such  inti  mations,  for  nothing  is  more  excellent  than  beneficence.  And  lastly,  the  Gods  cannot  be  ignorant  of  future  events.  There  fore  there  are  no  Gods,  and  they  do  not  give  intimations  of  the  future.  But  there  are  Gods:  so  therefore  they  do  give  such  intimations;  and  if  they  do  give  such  intimations,  they  must  have  given  us  the  means  of  understanding  them,  or  else  they  would  give  their  information  to  no  purpose.  And  if  they  do  give  us  such  means,  divination  must  needs  exist;  therefore  divination  does  exist.  Such  is  the  argument  in  favour  of  divination  by  which  Chrysippus,  Diogenes,  and  Antipater  endeavour  to  demonstrate  their  side  of  the  question.  Why,  then,  should  any  doubt  be  entertained  that  the  arguments  that  I  have  advanced  are  entirely  true?  If  both  reason  and  fact  are  on  my  side,— if  whole  nations  and  peoples,  Greeks and barbarians,  and  our  own  ancestors  also,  confirm  all  my  assertions, — if  also  it  has  always  been  maintained  by  the  greatest  philosophers  and  poets,  and  by  the  wisest  legislators  who  have  framed  constitutions  and  founded  cities,  must  we  wait  till  the  very  animals  give  their  verdict?  and  may  not  we  be  content  with  the  unanimous  authority  of  all  mankind1?  Nor  indeed  is  any  other  argument  brought  forward  to  prove  that  all  these  kinds  of  divination  which  I  uphold  have  no  existe  nce,  than  that  it  appears  difficult  to  explain  what  are  the  different  principles  and  causes  of  each  kind  of  divination.  For  what  reason  can  the  soothsayer  allege  why  an  injury  in  the  lungs  of  otherwise  favourable  entrails  should  compel  us  to  alter  a  day  previously  appointed,  and  defer  au  enterprise?  How  can  an  augur  ex  plain  why  the  croak  of  a  raven  on  the  right  hand,  and  a  crow  on  the  left,  should  be  reckoned  a  good  omen?  What  can  an  astrologer  say  by  way  of  explaining  why  a  conjunction  of  the  planet  Jupiter  or  Venus  with  the  moon  is  propitious  at  the  birth  of  a  child,  and  why  the  conjunction  of  Saturn  or  Mars  is  injurious?  or  why  God  should  warn  us  during  sleep,  and  neglect  us  when  we  are  awake  ?  or  lastly,  what  is  the  reason why  the  frantic  Cassandra  could  foresee  future  events,  while  the  sage  Priam  remained  ignorant  of  them?   Do  you  ask  why  everything  takes  place  as  it  does?  Very  right;  but  that  is  not  the  question  now;  what  we  are  trying  to  find  out  is  whether  such  is  the  case  or  not.  As,  if  I  were  to  assert  that  the  magnet  is  a  kind  of  stone  which  attracts  and  draws  iron  to  itself,  but  were  unable  to  give  the  reason  why  that  is  the  case,  would  you  deny  the  fact  altogether  ?  And  you  treat  the  subject  of  divination  in  the  same  way,  though  we  see  it,  and  hear  of  it,  and  read  of  it,  and  have  received  it  as  a  tradition  from  our  ancestors.  Nor  did  the  world  in  general  ever  doubt  of  it  before  the  introduction  of  that  philosophy  which  has  recently  been  invented,  and  even  since  the  appearance  of  philosophy,  no  philosopher  who  was  of  any  authority  at  all  has  been  of  a  contrary  opinion.  I  have  already  quoted  in  its  favour  Pythagoras,  Democritus,  and  Socrates.  There  is  no  exception  but  Xenophanes  among  the  ancients.  I  have  likewise  added  the  old  Academicians,  the  Peripatetics,  and  the  Stoics:  all  supported  divination;  Epi  curus  alone  was  of  the  opposite  opinion.  But  what  can  be  more  shameless  than  such  a  man  as  he,  who  asserted  that  there  was  no  gratuitous  and  disinterested  virtue  in  the  world?   XL.  But  what  man  is  there  who  is  not  moved  by  the  testi  mony  and  declarations  of  antiquity?  Homer  writes  that  Cal-  chas  was  a  most  excellent  augur,  and  that  he  conducted  the  fleet  of  the  Greeks  to  Troy, — more,  I  imagine,  by  his  know  ledge  of  the  auspices  than  of  the  country.  Amphilochus  and  Mopsus  were  kings  of  the  Argives,  and  also  augurs,  and  built  the  Greek  cities  on  the  coast  of  Cilicia.  And  before  them  lived  Amphiaraus  and  Tiresias,  men of no lowly  rank  or  ob  scure  fame,  not  like  those  men  of  whom  Ennius  says —They  hire  out  their  prophecies  for  gold  :   no;  they  were  renowned  and  first  rate  men,  who  predicted  the  future  by  means  of  the  knowledge  which  they  derived  from  birds  and  omens;  and  Homer,  speaking  of  the  latter  even  in  the  infernal  regions,  says  that  he  alone  was  con  sistently  wise,  while  others  were  wandering  about  like  shadows.  As  to  Amphiaraus,  he  was  so  honoured  by  the  general  praise  of  all  Greece,  that  he  was  accounted  a  god,  and  oracles  were  established  at  the  spot  where  he  was  buried.   Why  need  I  speak  of  Priam  king  of  Asia?  had  not  he  two  children  possessed  of  this  gift  of  divination,  namely  a  son  named  Helenus,  and  a  daughter  named  Cassandra,  who  both  prophesied,  one  by  means  of  auspices,  the  other  through  an  excited  state  of  mind  and  divine  inspiration1?  of  which  de  scription  likewise  were  two  brothers  of  the  noble  family  of  the  Marcii,  who  are  recorded  as  having  lived  in  the  days  of  our  ancestors.  Does  not  Homer  inform  us,  too,  that  Polyidus  the  Corinthian  predicted  the  various  fates  of  many  persons,  and  the  death  of  his  son  when  he  was  going  to  the  siege  of  Troy?  And  as  a  general  rule,  among  the  ancients,  those  who  were  possessed  of  authority  \asually  also  possessed  the  know  ledge  of  auguries;  for,  as  they  thought  wisdom  a  regal  attri  bute,  so  also  did  they  esteem  divination.  And  of  this  our  state  of  Rome  is  an  instance,  in  which  several  of  our  kings  were  also  augurs,  and  afterwards  even  private  persons,  endued  with  the  same  sacerdotal  office,  ruled  the  commonwealth  by  the  authority  of  religion. And  this  kind  of  divination  has  not  been  neglected  even  by  barbarous  nations;  for  the  Druids  in  Gaul  are  diviners,  among  whom  I  myself  have  been  acquainted  with  Divitiacus  vEduus,  your  own  friend  and  panegyrist,  who  pretends  to  the  science  of  nature  which  the  Greeks  call  physiology,  and  who  asserts  that,  partly  by  auguries  and  partly  by  conjecture,  he  foresees  future  events.  Among  the  Persians  they  have  augurs  and  diviners,  called  magi,  who  at  certain  seasons  all  assemble  in  a  temple  for  mutual  conference  and  consultation;  as  your  college  also  used  once  to  do  on  the  nones  of  the  month.  And  no  man  can  become  a  king  of  Persia  who  is  not  previously  initiated  in  the  doctrine  of  the  magi.   There  are  even  whole  families  and  nations  devoted  to  divina  tion.  The  entire  city  of  Telmessus  in  Caria  is  such.  Likewise  in  Elis,  a  city  of  Peloponnesus,  there  are  two  families,  called  lamidse  and  ClutidoD,  distinguished  for  their  proficiency  in  divination.  And  in  Syria  the  Chaldeans  have  become  famous  for  their  astrological  predictions,  and  the  subtlety  of  their  genius.  Etruria  is  especially  famous  for  possessing  an  inti  mate  acquaintance  with  omens  connected  with  thunderbolts  and  things  of  that  kind,  and  the  art  of  explaining  the  signi  fication  of  prodigies  and  portents.  This  is  the  reason  why  our  ancestors,  during  the  flourishing  days  of  the  empire, enacted  that  six  of  the  children  of  the  principal  senators  should  be  sent,  one  to  each  of  the  Etrurian  tribes,  to  be  instructed  in  the  divination  of  the  Etrurians,  in  order  that  this  science  of  divination,  so  intimately  connected  with  reli  gion,  might  not,  owing  to  the  poverty  of  its  professors,  be  cultivated  for  merely  mercenary  motives,  and  falsified  by  bribery.   The  Phrygians,  the  Pisidians,  the  Cilicians,  and  Arabians  are  accustomed  to  regulate  many  of  their  affairs  by  the  omens  which  they  derive  from  birds.  And  the  Umbrians  do  the  same,  according  to  report.  It  appears  to  me  that  the  different  characteristics  of  divination  have  originated  in  the  nature  of  the  localities  themselves  in  which  they  have  been  cultivated.  For  as  the  Egyptians  and  Babylonians,  who  reside  in  vast  plains,  where  no  mountains  obstruct  their  view  of  the  entire  hemisphere,  have  applied  themselves  principally  to  that  kind  of  divination  called  astrology,  the  Etrurians,  on  the  other  hand,  because  they,  as  men  more  devoted  to  the  rites  of  religion,  were  used  to  sacrifice  victims  with  more  zeal  and  frequency,  have  espe  cially  applied  themselves  to  the  examination  of  the  entrails  of  animals;  and  as,  from  the  character  of  their  climate  and  the  denseness  of  their  atmosphere,  they  are  accustomed  to  witness  many  meteorological  phenomena,  and  because  for  the  same  reason  many  singular  prodigies  take  place  among  them,  arising  alike  from  heaven  or  from  earth,  and  even  from  the  concep  tions  or  offspring  of  men  or  cattle,  they  have  become  won  derfully  skilful  in  the  interpretation  of  such  curiosities,  the  force  of  which,  as  you  often  say,  is  clearly  declared  by  the  very  names  given  to  them  by  our  ancestors,  for  because  they  point  out  (ostendunt},  portend,  show  (monstrant),  and  predict,  they  are  called  ostents,  portents,  monsters,  and  prodigies.   Again,  the  Arabians,  the  Phrygians,  and  Cilicians,  because  they  rear  large  herds  of  cattle,  and,  both  in  summer  and  winter,  traverse  the  plains  and  mountainous  districts,  have  on  that  account  taken  especial  notice  of  the  songs  and  flight  of  birds.  The  Pisidians,  and  in  our  country  the  Umbrians,  have  applied  themselves  to  the  same  art  for  the  same  reason.  The  whole  nation  of  the  Carians,  and  most  especially  the  Telmessians,  who  reside  in  the  most  productive  and  fertile  plains,  in  which  the  exuberance  of  nature  gives  birth  to  many  extraordinary productions,  have  been  very  careful  in  the  observation  of  prodigies.  But  who  can  shut  his  eyes  to  the  fact  that  in  every  well  constituted  state  auspices,  and  other  kinds  of  divi  nation,  have  been  much  esteemed?  What  monarch  or  what  people  has  ever  neglected  to  make  use  of  them  in  the  trans  actions  of  peace,  and  still  more  especially  in  time  of  war,  when  the  safety  or  welfare  of  the  commonwealth  is  implicated  in  a  greater  degree?  I  do  not  speak  merely  of  our  own  countrymen, — who  have  never  undertaken  any  martial  enter  prise  without  inspection  of  the  entrails,  and  who  never  con  duct  the  affairs  of  the  city  without  consulting  the  auspices, —  I  rather  allude  to  foreign  nations.  The  Athenians,  for  ex  ample,  always  consulted  certain  divining  priests,  (whom  they  called  yaavrei?,)  when  they  convoked  their  public  assemblies.  The  Spartans  always  appointed  an  augur  as  the  assessor  of  their  king,  and  also  they  ordained  that  an  augur  should  be  present  at  the  council  of  their  Elders,  which  was  the  name  they  gave  to  their  public  council;  and  in  every  important  transaction  they  invariably  consulted  the  oracle  of  Apollo  at  Delphi,  or  that  of  Jupiter  Harnmon,  or  that  of  Dodona.  Lycurgus,  who  formed  the  Lacedaemonian  commonwealth,  desired  that  his  code  of  laws  should  receive  confirmation  from  the  authority  of  Apollo  at  Delphi;  and  when  Lysander  sought  to  change  them,  the  same  authority  forbade  his  innovations.  Moreovei',  the  Spartan  magistrates,  not  content  with  a  careful  superintendence  of  the  state  affairs,  went  occasionally  to  spend  a  night  in  the  temple  of  Pasiphae,  which  is  in  the  country  in  the  neighbourhood  of  their  city,  for  the  sake  of  dreaming  there,  because  they  considered  the  oracles  received  in  sleep  to  be  true.   But  I  return  to  the  divination  of  the  Eomans.  How  often  has  our  senate  enjoined  the  decemvirs  to  consult  the  books  of  the  Sibyls!  For  instance,  when  two  suns  had  been  seen,  or  when  three  moons  had  appeared,  and  when  flames  of  fire  were  noticed  in  the  sky;  or  on  that  other  occasion,  when  the  sun  was  beheld  in  the  night,  when  noises  were  heard  in  the  sky,  and  the  heaven  itself  seemed  to  burst  open,  and  strange  globes  were  remarked  in  it.  Again,  information  was  laid  before  the  senate,  that  a  portion  of  the  territory  of  Privernum  had  been  swallowed  up,  and  that  the  land  had  sunk  down  to an  incredible  depth,  and  that  Apulia  had  been  convulsed  by  terrific  earthquakes;  which  portentous  events  announced  to  the  Romans  terrible  wars  and  disastrous  seditions.  On  all  these  occasions  the  diviners  and  their  auspices  were  in  perfect  accordance  with  the  prophetic  verses  of  the  Sibyl.   Again,  when  the  statue  of  Apollo  at  Cuma  was  covered  with  a  miraculous  sweat,  and  that  of  Victory  was  found  in  the  same  condition  at  Capua,  and  when  the  hermaphrodite  was  born, — were  not  these  things  significant  of  horrible  dis  asters?  Or  again,  when  the  Tiber  was  discoloured  writh  blood,  or  when,  as  has  often  happened,  showers  of  stones,  or  sometimes  of  blood,  or  of  mud,  or  of  milk,  have  fallen, — when  the  thunder  bolt  fell  on  the  Centaur  of  the  Capitol,  and  struck  the  gates  of  Mount  Aventine,  and  slew  some  of  the  inhabitants;  or  again,  when  it  struck  the  temple  of  Castor  and  Pollux  at  Tusculum,  and  the  temple  of  Piety  at  Rome, — did  not  the  soothsayers  in  reply  announce  the  events  which  subsequently  took  place,  and  were  not  similar  predictions  found  in  the  Sibylline  volumes'?    How  often  has  the  senate  commanded  the  decemvirs  to  consult  the  Sibylline  books!  In  what  important  affairs,  and  how  often  has  it  not  been  guided  wholly  by  the  answers  of  the  soothsayers!  In  the  Marsic  war,  not  long  ago,  the  temple  of  Juno  the  Protectress  was  restored  by  the  senate,  which  was  excited  to  this  holy  act  by  a  dream  of  Csccilia,  the  daughter  of  Quintus  Metellus.  But  after  Sisenna,  who  men  tions  this  dream,  had  related  the  wonderful  correspondence  of  the  event  with  the  prediction,  he  nevertheless  (being  influ  enced,  I  suppose,  by  some  Epicurean)  proceeded  to  argue  that  dreams  should  never  be  trusted:  however,  he  states  nothing  against  the  credit  of  the  prodigies  wrhich  took  place,  and  which  he  reports,  at  the  beginning  of  the  Marsic  war1,  when  the  images  of  the  gods  were  seen  to  sweat,  and  blood  flowed  in  the  streams,  and  the  heavens  opened,  and  voices  were  heard  from  secret  places,  which  foretold  the  dangers  of  the  combat;  and  at  Lanuvium  the  sacred  bucklers  were  found  to  have  been  gnawed  by  mice,  which  appeared  to  the  augurs  the  worst  presage  of  all.   Shall  I  add  further  what  we  read  recorded  in  our  annals,  thnt  in  the  war  against  the  Veientes,  when  the  Alban  lake  had  risen  enormously,  one  of  their  most  distinguished  nobles came  over  to  us  and  said,  that  it  \vas  predicted  in  the  sacred  books  concerning  the  destinies  of  the  Veientes,  which  they  had  in  their  own  possession,  that  their  city  could  never  be  captured  while  the  lake  remained  full;  and  that  if,  when  the  lake  was  opened,  its  waters  were allowed  to  run  into  the  sea,  the  .Romans  would  suffer  loss, — if,  on  the  contrary,  they  were  so  drawn  off  that  they  did  not  reach  the  sea,  then  we  should  have  good  success?  And  from  this  circumstance  arose  the  series  of  immense  labours,  subsequently  undertaken  by  our  ancestors  in  conducting  away  the  waters  of  the  Alban  lake.  But  when  the  Veientes,  being  weary  of  war,  sent  ambassadors  to  the  Roman  senate,  one  of  them  exclaimed  that  that  de  serter  had  not  ventured  to  tell  them  all  he  knew,  for  that  in  those  same  sacred  books  it  was  predicted  that Rome  should  soon  be  ravaged  by  the  Gauls, — an  event  which  happened  six  years  after  the  city  of  Veii  surrendered. The  cry  of  the  fauns,  too,  has  often  been  heard  in  battle;  and  prophetic  voices  have  often  sounded  from  secret  places  in  periods  of  trouble ;  of  which,  among  others,  we  have  two  notable  examples, — for  shortly  before  the  capture  of  Rome  a  voice  was  heard  which  proceeded  from  the  grove  of  Vesta,  which  skirts  the  new  road  at  the  foot  of  the  Palatine  Hill,  exhorting  the  citizens  to  repair  the  walls  and  gates,  for  that  if  they  were  not  taken  care  of  the  city  would  be  taken.  The  injunction  was  neglected  till  it  was  too  late,  and  it  after  wards  was  awfully  confirmed  by  the  fact.  After  the  disaster  had  occurred,  our  citizens  erected  an  altar  to  Aius  the  Speaker,  which  we  may  still  see  carefully  fenced  round,  opposite  the  spot  where  the  warning  was  uttered.  Many  authors  have  reported  that  once,  after  a  great  earthquake  had  happened,  they  heard  a  voice  from  the  temple  of  Juno,  commanding  that  expiation  should  be  made  by  the  sacrifice  of  a  pregnant  sow,  and  hence  it  was  afterwards  called  the  temple  of  Juno  the  Admonitress.  Shall  we  then  despise  these  oracular  inti  mations,  which  the  Gods  themselves  vouchsafed  us,  and  which  our  ancestors  have  confirmed  by  their  testimony  ?   The  Pythagoreans  had  not  only  high  reverence  for  the  voice  of  the  Gods,  but  they  likewise  respected  the  warnings  of  men  (hominum),  which  they  call  omina.  And  our  ancestors  were  persuaded  that  much  virtue  resides  in  certain  words,  and  therefore  prefaced  their  various  enterprises  with  certain auspicious  phrases,  such  as,  "May  good  and  prosperous  and  happy  fortune  attend."  They  commenced  all  the  public  ceremonies  of  religion  with  these  words, — "  Keep  silence;  "  and  when  they  announced  any  holidays,  they  commanded  that  all  lawsuits  and  quarrels  should  be  suspended.  Likewise,  wheu  the  chief  who  forms  a  colony  makes  a  lustration  and  review  of  it,  or  when  a  general  musters  an  arm,  or  a  censor  the  people,  they  always  choose  those  who  have  lucky  names  to  prepare  the  sacrifices.  The  consuls  in  their  military  enrol  ments  likewise  take  care  that  the  first  soldier  enrolled  shall  be  one  with  a  fortunate  name;  and  you  know  that  you  your  self  were  very  attentive  to  these  ceremonial  observances  when  you  were  consul  and  imperator.  Our  ancestors  have  likewise  enjoined  that  the  name  of  the  tribe  which  had  the  precedence  should  be  regarded  as  the  presage  of  a  legitimate  assembly  of  the  Comitia.  And  of  presages  of  this  kind  I  can  relate  to  you  several  celebi'ated  examples.  Under  the  second  consulship  of  Lucius  Paulus,  when  the  charge  of  making  war  against  the  king  Perses  had  been  allotted  to  him,  it  happened  that  on  the  evening  of  that  very  same  day,  when  he  returned  home  and  kissed  his  little  daughter  Tertia,  he  noticed  that  she  was  very  sorrowful.  "  What  is  the  matter,  my  Tertia,"  said  he,  "  why  are  you  so  sad?"  "  My  father,"  replied  she,  "  Perses  has  perished."  Upon  which  he  caught  her  in  his  arms,  and  caressing  her,  exclaimed,  "  I  embrace  the  omen,  my  daughter."  But  the  real  truth  was,  that  her  dog,  who  happened  to  be  called  Perses,  had  died.   I  have  heard  Lucius  Flaccus,  a  priest  of  Mars,  say,  that  Csecilia,  the  daughter  of  Metellus,  intending  to  make  a  matri  monial  engagement  for  her  sister's  daughter,  went  to  a  certain  temple,  in  order  to  procure  an  omen,  according  to  the  ancient  custom.  Here  the  maiden  stood,  and  Ctecilia  sat  for  a  long  time  without  hearing  any  sound,  till  the  girl,  who  grew  tired  of  standing,  begged  her  aunt  to  allow  her  to  occupy  her  seat  for  a  short  period,  in  order  to  rest  herself.  Csecilia  replied,  "Yes,  my  child,  I  willingly  resign  my  seat  to  you."  And  this  reply  of  hers  was  an  omen,  confirmed  by  the  event,  for  Ceecilia  died  soon  after,  and  her  niece  married  her  aunt's  husband.  I  know  that  men  may  despise  such  stories,  or  even  laugh  at  them,  but  such  conduct  amounts  to  a  disbelief in the existence  of  the  Gods  themselves,  and  to  a  contempt  of  their  revealed  will. Why  need  I  speak  of  the  augurs  1 — that  part  of  the  qxiestion  concerns  you.  The  defence  of  the  auguries,  I  say,  belongs  peculiarly  to  you.  When  you  were  a  consul,  Publius  Claudius,  who  was  one  of  the  augurs,  announced  to  you,  when  the  augury  of  the  Goddess  Salus  was  doubted,  that  a  disas  trous  domestic  and  civil  war  would  take  place,  which  happened  a  few  months  afterwards,  but  was  suppressed  by  your  exer  tions  in  still  fewer  days.  And  I  highly  approve  of  this  augur,  who  alone  for  a  long  period  remained  constant  to  the  study  of  divination,  without  making  a  parade  of  his  auguries,  while  his  colleagues  and  yours  persisted  in  laughing  at  him,  sometimes  terming  him  an  augur  of  Pisidia  or  Sora  by  way  of  ridicule.   Those  who  assert  that  neither  auguries  nor  auspices  can  give  us  any  insight  into  or  foreknowledge  of  the  future,  say  that  they  are  mere  superstitious  practices,  wisely  invented  to  impose  on  the  ignorant;  which,  however,  is  far  from  being  the  case  :  for  our  pastoral  ancestors  under  Romulus  were  not,  nor  indeed  was  Romulus  himself,  so  crafty  and  cunning  as  to  in  vent  religious  impositions  for  the  purpose  of  deceiving  the  mul  titude.  But  the  difficulty  of  acquiring  a  thorough  knowledge  of  the  auspices  renders  many  who  are  indifferent  to  them  eloquent  in  their  disparagement,  for  they  would  rather  deny  that  there  is  anything  in  the  auspices  than  take  the  pains  of  studying  what  there  really  is.  What  can  be  more  divine  than  that  prediction,  which  you  cite  in  your  poem  of  Marius,  that  I  may  quote  your  owrn  authority  in  favour  of  my  argument? —   Jove's  eagle,  wounded  by  a  serpent's  bite,   In  his  strong  talons  caught  the  writhing  snake,   And  with  his  goring  beak  tortured  his  foe   And  slaked  his  vengeance  in  his  blood.     At  last   He  let,  the  venomous  reptile  from  on  high   Fall  in  the  whelming  flood,  then  wing'd  his  flight   To  the  far  east.     Marius  beheld,  and  mark'd   The  augury  divine,  and  inly  smiled   To  view  the  presage  of  his  coming  fame  ;   Meanwhile  the  thunder  sounded  on  the  left,   And  thus  confirm'd  the  omen.  Moreover,  the  augurial  system  of  Romulus  was a  pastoral  rather  than  a  civic  institution.  Nor  was  it  framed  to  suit  the  opinions  of  the  ignorant,  but  derived  from  men  of  approved  skill,  and  so  handed  down  to  posterity  by  tradition.  Therefore  Romulus  was  himself  an  augur  as  well  as  his  brother  Remus,  if  we  may  trust  the  authority  of  Ennius. Both  wish'd  to  reign,  arid  both  agreed  to  abide   The  fair  decision  of  the  augury   Here  Remus  sat  alone,  and  watch 'd  for  signs   Of  fav'ring  omen,  while  fair  Eomulus   On  the  Aventine  summit  raised  his  eyes   To  see  what  lofty  flying  birds  should  pass.   A  goodly  contest  which  should  rule,  and  which   With  his  own  name  should  stamp  the  future  city.   Now  like  spectators  in  the  circus,  till   The  consul's  signal  looses  from  the  goal   The  eager  chariots,  so  the  obedient  crowd   Awaited  the  strife's  victor  and  their  king.   The  golden  sun  departed  into  night,   And  the  pale  moon  shone  with  reflected  ray,   When on  the  left  a  joyful  bird  appear'd,   And  golden  Sol  brought  back  the  radiant  day.   Twelve  holy  forms  of  Jove-directed  birds   Wing'd  their  propitious  flight.     Great  Romulus   The  omen  hail'd,  for  now  to  him  was  given   The  power  to  found  and  name  th"  eternal  city.   Now,  however,  let  us  return  to  the  original  point  from  which  we  have  been  digressing.  Though  I  cannot  give  you  a  reason  for  all  these  separate  facts,  and  can  only  distinctly  assert  that  those  things  which  I  have  spoken  of  did  really  happen,  yet  have  I  not  sufficiently  answered  Epicurus  and  Carneades  by  proving  the  facts  themselves'?  Why  may  I  not  admit,  that  though  it  may  be  easy  to  find  principles  on  which  to  explain  artificial  presages,  the  subject  of  divine  intimations  is  more  obscure?  for  the  presages  which  we  deduce  from  an  examination  of  a  victim's  entrailsfrom  thunder  and  lightning,  from  prodigies,  and  from  the  stars,  are  founded  on  the  accurate  observation  of  many  centuries.  Now  it  is  certain,  that  a  long  course  of  careful  observation,  thus  carefully  conducted  for  a  series  of  ages,  usually  brings with  it  an  incredible  accuracy  of  knowledge;  and  this  can  exist  even  without  the  inspiration  of  the  Gods,  when  it  has  been  once  ascertained  by  constant  obser  vation  what  follows  after  each  omen,  and  what  is  indicated  by  each  prodigy.   The  other  kind  of  divination  is  natural,  as  I  have  said before,  and  may  by  physical  subtlety  of  reasoning  appeal-  referable  to  the  nature  of  the  Gods,  from  which,  as  the  wisest  men  acknowledge,  we  derive  and  enjoy  the  energies  of  our  souls;  and  as  everything  is  filled  and  pervaded  by  a  divine  intelligence  and  eternal  sense,  it  follows  of  necessity  that  the  soul  of  man  must  be  influenced  by  its  kindred  wTith  the  soul  of  the  Deity.  But  when  we  are  not  asleep,  our  faculties  are  employed  on  the  necessary  affairs  of  life,  and  so  are  hindered  from  communication  with  the  Deity  by  the  bondage  of  the  body.   There  are,  however,  a  small  number  of  persons,  who,  as  it  were,  detach  their  souls  from  the  body,  and  addict  themselves,  with  the  utmost  anxiety  and  diligence,  to  the  study  of  the  nature  of  the  Gods.  The  presentiments  of  men  like  these  are  derived  not  from  divine  inspiration,  but  from  human  reason ;  for  from  a  contemplation  of  nature,  they  anticipate  things  to  come, — as  deluges  of  water,  and  the  future  deflagration,  at  some  time  or  other,  of  heaven  and  earth.   There  are  others  who,  being  concerned  in  the  government  of  states,  as  we  have  heard  of  the  Athenian  Solon,  foresee  the  rise  of  new  tyrannies.  Such  we  usually  term  prudent  men ;  like  Thales  the  Milesian,  who,  wishing  to  convict  his  slanderers,  and  to  show  that  even  a  philosopher  could  make  money,  if  he  should  be  so  inclined,  bought  up  all  the  olive-trees  in  Miletus  before  they  were  in  flower;  for  he  had  probably,  by  some  knowledge  of  his  own,  calculated  that  there  would  be  a  heavy  crop  of  olives.  And  Thales  is  said  to  have  been  the  first  man  by  whom  an  eclipse  of  the  sun  was  ever  predicted,  which  happened  under  the  reign  of  Astyages.   L.  Physicians,  pilots,  and  husbandmen  have  likewise  pre  sentiments  of  many  events :  but  I  do  not  choose  to  call  this  divination ;  as  neither  do  I  call  that  warning  which  was  given  by  the  natural  philosopher  Anaximander  to  the  Lacedae  monians,  when  he  forewarned  them  to  quit  their  city  and  their  homes,  and  to  spend  the  whole  night  in  arms  on  the  plain,  because  he  foresaw  the  approach  of  a  great  earthquake,  which  took  place  that  very  night,  and  demolished  the  whole  town;  and  even  the  lower  part  of  Mount  Taygetus  was  torn  away    from  the  rest,  like  the  stern  of  a  ship  might  be.  In  the  same  way,  it  is  not  so  much  as  a  diviner,  as  a  natural  philosopher  that  we  should  esteem  Pherecydes,  the  master  of  Pythagoras who,  when  he  beheld  the  water  exhausted  in  a  running  spring,  predicted  that  an  earthquake  was  nigh  at  hand.   The  mind  of  man,  however,  never  exerts  the  power  of  natural  divination,  unless  when  it  is  so  free  and  disengaged  as  to  be  wholly  disentangled  from  the  body,  as  happens  ia  the  case  of  prophets  and  sleepers.   Therefore,  as  I  have  said  before,  Diceearchus  and  our  friend  Cratippus  approve  of  these  two  sorts  of  divination,  as  long  as  it  is  understood  that,  inasmuch  as  they  proceed  from  nature,  though  they  may  be  the  highest,  they  are  not  the  only  kind.  But  if  they  deny  that  there  is  any  force  in  observation,  then  by  such  denial  they  exclude  many  things  which  are  connected  with  the  common  experience  and  institutions  of  mankind.  However,  since  they  grant  us  some,  and  those  not  insignifi  cant  things,  namely,  prophecies  and  dreams,  there  is  no  reason  why  we  should  consider  these  as  very  formidable  antagonists,  especially  when  there  are  some  who  deny  the  existence  of  divination  altogether.   Those,  therefore,  whose  minds,  as  it  were,  despising  their  bodies,  fly  forth,  and  wander  freely  through  the  universe,  being  inspired  and  influenced  by  a  certain  divine  ardour,  doubtless  perceive  those  things  which  those  who  prophecy  predict.  And  spirits  like  these  are  excited  by  many  influ  ences  that  have  no  connexion  with  the  body,  as  those  which  are  excited  by  certain  intonations  of  voice,  and  by  Phrygian  melodies,  or  by  the  silence  of  groves  and  forests,  or  the  murmur  of  torrents,  or  the  roar  of  the  sea.  Such  are  the  minds  which  are  susceptible  of  ecstasies,  and  which  long  beforehand  foresee  the  events  of  futurity;  to  which  the  following  lines  refer: —   Ah,  see  you  not  the  vengeance  apt  to  come,  Because  a  mortal  has  presumed  to  judge  Between  three  rival  goddesses'? — he's  doom'd  To  fall  a  victim  to  the  Spartan  dame,  More  dreadful  than  all  furies.   Many  things  have  in  the  same  way  been  predicted  by  pro  phets,  and  not  only  in  ordinary  language,  but  also   In  verses  which  the  fauns  of  olden  times   And  white-hair'd  prophets  chanted.   It  was  thus  that  the  diviners;  Marcius  and  Publicius,  are  said  to  have  sung  their  predictions.  The  mysterious  responses  of  Apollo  were  of  the  same  nature.  I  believe  also  that  there  were  certain  exhalations  of  certain  earths,  by  which  gifted minds  were  inspired  to  utter  oracles.     These,  then,  are   the  views  which  we  must  entertain  of  prophets. Divinations  by  dreams  are  of  a  similar  order,  because  presentiments  which  happen  to  diviners  when  awake,  happen  to  ourselves  during  sleep.  For  in  sleep  the  soul  is  vigorous,  and  free  from  the  senses,  and  the  obstruction  of  the  cares  of  the  body,  which  lies  prostrate  and  deathlike;  and,  since  the  soul  has  lived  from  all  eternity,  and  is  engaged  with  spirits  innumerable,  it  therefore  beholds  all  things  in  the  universe,  if  it  only  preserves  a  watchful  attitude,  unencumbered  by  excess  of  food  or  drinking,  so  that  the  mind  is  awake  during  the  slumber  of  the  body,  — this  is  the  divination  of  dreamers.   Here,  then,  comes  in  an  important,  and  far  from  natural,  but  a  very  artificial  interpretation  of  dreams  by  Antiphon  :  and  he  interprets  oracles  and  prophecies  in  the  same  way;  for  there  are  explainers  of  these  things  just  as  grammarians  are  expounders  of  poets.  For,  as  it  would  have  been  in  vain  for  nature  to  have  produced  gold,  silver,  iron,  and  copper,  if  she  had  not  taught  us  the  means  of  extracting  them  from  her  bosom  for  our  use  and  benefit;  and  as  it  would  have  been  in  vain  for  her  to  have  bestowed  seeds  and  fruits  upon  men,  if  she  had  not  taught  them  to  distinguish  and  cultivate  them,  — for  what  use  would  any  materials  whatsoever  be  to  us,  if  we  had  no  means  of  working  them  up? —thus  with  every  useful  thing  which  the  Gods  have  bestowed  on  us,  they  have  vouchsafed  us  the  sagacity  by  which  its  utility  may  be  appre  ciated  ;  and  so,  because  in  dreams,  oracles,  and  prophecies  there  are  many  things  necessarily  obscure  and  ambiguous,  some  have  received  the  gift  of  interpretation  of  them.   But  by  what  means  prophets  and  sleepers  behold  those  things,  which  do  not  at  the  time  exist  in  sensible  reality,  is  a  great  question.  But  when  we  have  once  cleared  up  those  points  which  ought  to  be  investigated  first,  then  the  other  subjects  of  our  examination  will  be  easier.  For  the  discussion  about  the  Nature  of  the  Gods,  which  you  have  so  clearly  ex  plained  in  your  second  book  on  that  subject,  embraces  the  whole  question;  for  if  we  grant  that  there  are  Gods,  and  that  their  providence  governs  the  universe,  and  that  they  consult  for  the  best  management  of  all  human  affairs,  and  that  not  only  in  general,  but  in  particular, — if  we  grant  this,  which  indeed  appears  to  me  to  be  undeniable,  then  we  must  hold  it as  a  necessary  consequence  that  these  Gods  have  bestowed  on  men  the  signs  and  indications  of  futurity.   The  mode,  however,  by  which  the  Gods  endue  us  with  the  gift  and  power  of  divination  requires  some  notice.  The  Porch  will  not  allow  that  the  Deity  can  be  in  terested  in  each  cleft  in  entrails,  or  in  the  chirping  of  birds.  They  affirm  that  such  interference  is  altogether  indecorous—  unworthy  of  the  majesty  of  the  Gods,  and  an  incredible  im  possibility.  They  maintain  that  from  the  beginning  of  the  world  it  has  been  ordained  that  certain  signs  must  needs  precede  certain  events,  some  of  which  are  drawn  from  the  entrails  of  animals,  some  from  the  note  and  flight  of  birds,  some  from  the  sight  of  lightning,  some  from  prodigies,  some  from  stars,  some  from  visions  of  dreamers,  and  some  from  exclamations  of  men  in  frenzy:  and  those  who  have  a  clear  perception  of  these  things  are  not  often  deceived.  Bad  con  jectures  and  incorrect  interpretations  are  false,  not  because  of  any  imposture  in  the  signs  themselves,  but  because  of  the  ignorance  of  their  expounders.   It  being,  therefore,  granted  and  conceded  that  there  exists  a  certain  divine  energy,  by  which  human  life  is  supported  and  surrounded,  it  is  not  hard  to  conceive  how  all  that  hap  pens  to  men  may  happen  by  the  direction  of  heaven;  for  this  divine  and  sentient  energy,  which  expands  throughout  the  universe,  may  select  a  victim  for  sacrifice,  and  may,  by  exterior  agency,  effect  any  change  in  the  condition  of  its  entrails  at  the  period  of  its  immolation:  so  that  any  given  characteristic  may  be  found  excessive  or  defective  in  the  animal's  body.  For  by  very  trifling  exertions  nature  can  alter,  or  new-model,  or  diminish  many  things.  And  the  prodigies  which  happened  a  little  before  Caesar's  death  are  of  great  weight  in  preventing  iis  from  doubting  this, — when  on  that  very  day  on  which  he  first  sat  on  the  golden  throne  and  went  forth  clad  in  a  purple  robe,  when  he  was  sacrificing,  no  heart  was  found  in  the  intestines  of  the  fat  ox.  Do  you  then  suppose  that  any  warm-blooded  animal,  unless  by  divine  interference,  can  live  an  instant  without  a  heart  1  He  was  himself  surprised  at  the  novelty  of  the  phenomenon  ;  on  which  Spuriuna  observed  that  he  had  reason  to  fear  that  he  would  lose  both  sense  and  life,  since  both  of  these  proceed  from  the  heart.  The  next  day  the  liver  of  the  victim  was found  defective  in  the  upper  extremity.  Doubtless  the  im  mortal  Gods  vouchsafed  Ceesar  these  signs  to  apprize  him  of  his  approaching  death,  though  not  to  enable  him  to  guard  against  it.   When,  therefore,  we  cannot  discover  in  the  entrails  of  the  victim  those  organs  without  which  the  animal  cannot  live,  we  must  necessarily  suppose  that  they  have  been  annihilated  by  a  superintending  Providence  at  the  very  instant  that  the  sacrifice  is  offered.   LI II.  And  the  same  divine  influence  may  likewise  be  the  cause  why  birds  fly  in  different  directions  on  different  occa  sions,  why  they  hide  themselves  sometimes  in  one  place  and  sometimes  in  anothei',  and  why  they  sing  on  the  right  hand  or  on  the  left.  For  if  every  animal  according  to  its  own  will  can  direct  the  motions  of  its  body,  so  as  to  stoop,  to  look  on  one  side,  or  to  look  up,  and  can  bend,  twist,  contract,  or  extend  its  limbs  as  it  pleases,  and  does  those  things  almost  before  think  ing  of  doing  them,  how  much  more  easy  is  it  for  a  God  to  do  so,  whose  deity  governs  and  regulates  all  things.   It  is  the  Deity,  too,  which  presents  various  signs  to  us,  many  of  which  history  has  recorded  for  us;  as  for  instance,  we  find  it  stated  that  if  the  moon  was  eclipsed  a  little  before  sunrise  in  the  sign  of  Leo,  it  was  a  sign  that  Darius  should  be  slain  and  the  Persians  be  defeated  by  Alexander  and  the  Macedonians.  And  if  a  girl  was  born  with  two  heads,  it  was  a  sign  that  there  was  to  be  a  sedition  among  the  people  and  corruption  and  adultery  at  home.  If  a  woman  should  dream  that  she  was  delivered  of  a  lion,  the  country  in  which  such  an  occurrence  took  place  would  soon  be  subjected  to  foreign  domination.  Of  the  same  kind  is  the  fact  mentioned  by  Herodotus,  that  the  son  of  Croesus  spoke,  though  the  gift  of  speech  was  by  nature  denied  him;  which  prodigy  was  au  indication  that  his  father's  kingdom  and  family  would  be  utterly  destroyed.  And  all  our  histories  relate  that  the  head  of  Servius  Tullius  while  sleeping  appeared  to  be  on  fire,  which  was  a  sign  of  the  extraordinary  events  which  followed.   As,  therefore,  a  man  who  falls  asleep  while  his  mind  is  full  of  pure  meditations,  and  all  circumstances  around  him  adapted  to  tranquillity,  will  experience  in  his  dreams  true  and  certain  presentiments;  so  also  the  chaste  and  pure  mind  of  a  waking  man  is  better  suited  to  the  observation  of  the  course  of  the  stars,  or  the  flight  of  birds,  and  the  intima  tions  of  the  truth  to  be  collected  from  entrails.  And  connected  with  this  principle  is  the  tradition  which  we  have  received  concerning  Socrates,  which  is  often  affirmed  by  himself  in  the  books  of  his  disciples— that  he  possessed  a  certain  divinity,  which  he  called  a  demon,  and  to  which  he  was  always  obedient, — a  genius  which  never  com  pelled  him  to  action,  but  often  deterred  him  from  it.  The  same  Socrates  (and  where  can  we  find  a  better  authority  ?)  being  consulted  by  Xenophon,  whether  he  should  follow  Cyrus  to  the  wars,  gave  him  his  counsel,  and  then  added  these  words, —"  The  advice  I  give  you  is  merely  human  :  in  such  obscure  and  uncertain  cases,  it  is  best  to  consult  the  oracle  of  Apollo,  to  whom  the  Athenians  have  always  pub  licly  appealed  in  questions  of  importance."   It  is  likewise  written  of  Socrates,  that  having  once  seen  his  friend  Crito  with  his  eye  bandaged,  and  having  asked  him  what  was  the  matter  with  it,  he  received  for  answer,  that  as  he  was  walking  in  the  fields,  a  branch  of  a  tree  he  had  attempted  to  bend  sprang  back,  and  hit  him  in  the  eye.  Upon  this,  Socrates  replied,  "  This  is  the  consequence  of  your  not  having  obeyed  me  when  I  recalled  you,  following  the  divine  presentiment,  according  to  my  custom."   Another  remarkable  story  is  told  of  Socrates.  After  the  battle  in  which  the  Athenians  were  defeated  at  Delium,  under  the  command  of  Laches,  he  was  obliged  to  fly  with  that  unfortunate  general.  At  length  reaching  a  spot  where  three  ways  met,  he  refused  to  pursue  the  same  track  as  the  rest.  When  they  inquired  the  cause  of  his  behaviour,  he  said  that  he  was  restrained  by  a  God.  The  others,  who  left  Socrates,  fell  in  with  the  enemy's  cavalry.   Antipater  has  collected  many  other  instances  of  the  admi  rable  divination  of  Socrates,  which  I  omit,  for  they  are  quite  familiar  to  you,  and  I  need  not  further  enumerate  them.  I  cannot,  however,  avoid  mentioning  one  fact  in  the  history  of  this  philosopher,  which  strikes  me  as  magnificent,  and  almost  divine  ; — namely,  that  when  he  had  been  condemned  by  the  sentence  of  impious  men,  he  said,  he  was  prepared  to  die  with  the  most  perfect  equanimity;  because  the  God  within  him  had  not  suffered  him  to  be  afflicted  with  any  idea  of   o2  impending  evil,  either  when  he  left  his  home,  or  when  he  appeared  before  the  court. I  think,  therefore,  that  true  divination  exists,  although  those  men  are  often  deceived  who  appear  to  proceed  on  con  jecture,  or  on  artificial  rule?.  For  men  are  fallible  in  all  arts,  and  we  cannot  suppose  tliey  are  infallible  here.  It  may  happen  that  some  sign,  which  has  an  ambiguous  signification,  is  received  in  a  certain  one.  It  may  happen  that  some  par  ticular  has  escaped  the  notice  of  the  inquirer,  or  is  purposely  concealed  by  him,  because  opposed  to  his  interest.   I  should,  however,  consider  my  plea  for  divination  suffi  ciently  established,  if  only  a  few  well-authenticated  cases  of  presentiment  and  prophecies  could  be  discovered;  whereas,  in  truth,  there  are  many.  I  will  even  declare  without  hesi  tation,  that  a  single  instance  of  presage  and  prediction,  all  the  points  of  which  are  borne  out  by  subsequent  events—  and  that  definitely  and  regularly,  not  casually  and  fortuitously  — would  suffice  to  compel  an  admission  of  the  reality  of  divi  nation  from  all  reasonable  minds.   It  appears  to  me,  moreover,  that  we  should  refer  all  the  virtue  and  power  of  divination  to  the  Divinity,  as  Posi-  donius  has  done,  as  before  observed;  in  the  next  place  to  Fate,  and  afterwards  to  the  nature  of  things.  For  reason  compels  us  to  admit  that  by  Fate  all  things  take  place.  By  Fate  I  mean  that  which  the  Greeks  call  ei/mp^e'i'^,  that  is,  a  certain  order  and  series  of  causes — for  cause  linked  to  caiise  produces  all  things :  and  in  this  connexion  of  cause  consists  the  constant  truth  which  flows  through  all  eternity.  From  whence  it  follows  that  nothing  happens  which  is  not  pre  destined  to  happen;  and  in  the  same  way  nothing  is  predes  tined  to  happen,  the  nature  of  which  does  not  contain  the  efficient  causes  of  its  happening.   From  which  it  must  be  understood  that  fate  is  not  a  mere  superstitious  imagination,  but  is  what  is  called,  in  the  lan  guage  of  natural  philosophy,  the  eternal  cause  of  things;  the  cause  why  past  things  have  happened,  why  present  things  do  happen,  and  why  future  things  will  happen.  And  thus  we  are  taught  by  exact  observation,  what  consequences  are  usually  produced,  by  what  causes,  though  not  invariably..  And  thus  the  causes  of  future  events  may  truly  be  discerned  by  those  who  behold  them  in  states  of  ecstasy  or  quiet.  Since,  then,  all  things  happen  by  a  certain  fate,  (as  will  be  shown  in  another  place.)  if  any  man  could  exist  who  could  comprehend  this  succession  of  causes  in  his  intellectual  view,  such  a  man  would  be  infallible.  For  being  in  possession  of  a  knowledge  of  the  causes  of  all  events,  he  would  neces  sarily  foresee  how  and  when  all  events  would  take  place.   But  as  no  being  except  the  Deity  alone  can  do  this,  man  can  attain  no  more  than  a  kind  of  presentiment  of  futurity,  by  observing  the  events  which  are  the  usual  consequences  of  certain  signs.  For  those  events  that  are  to  happen  in  future  do  not  start  into  existence  on  a  sudden.  But  the  regular  course  of  time  resembles  the  untwisting  of  a  cable,  producing  nothing  absolutely  new,  but  all  things  in  a  grand  concatena  tion  or  series  of  repetitions.   And  this  has  been  observed  by  those  who  possess  the  gift  of  natural  divination,  and  by  those  who  study  the  regular  successions  of  certain  things.  For  though  they  do  not  always  apprehend  the  causes,  yet  they  clearly  discern  the  signs  and  marks  of  the  causes.  And  by  diligently  investi  gating  and  committing  to  memory  all  such  signs,  and  the  traditions  of  our  ancestors  concerning  them,  they  produce  an  elaborate  system  of  that  divination  which  is  termed  technical  respecting  the  entrails  of  victims,  thunder  and  lightning,  prodigies,  and  celestial  phenomena.   We  must  not,  therefore,  be  astonished  that  those  who  addict  themselves  to  divination  foresee  many  events  which  have  no  place  of  existence.  For  all  things  do  even  now  exist,  though  they  are  removed  in  point  of  time.  And  as  the  vital  embryo  of  all  vegetation  exists  in  seeds,  from  which  they  afterwards  germinate,  so  are  all  things  even  now  hidden  in  their  causes,  and  perceived  as  hereafter  to  happen  by  the  mind  when  it  is  thrown  into  an  ecstasy,  or  relaxed  in  sleep,  and  cool  reason  and  calculation  is  often  granted  a  presenti  ment  of  them.  And  as  the  astrologers  who  watch  the  risings,  settings,  and  various  courses  of  the  sun,  moon,  and  other  stars,  can  predict  long  before  all  their  revolutions  and  phenomena  ;  so  those  who  have  noted  the  series  and  conse  quence  of  events,  with  constant  and  indefatigable  atten  tion,  during  a  very  long  period,  do  generally,  or  (if  that  is  too  difficult)  at  least  occasionally,  foresee  with  certainty  the  things  that  are  to  come  to  pass.  Such  are  some  of  the  arguments  derived  from  the  nature  of  fate,  by  which  the  reality  of  divination  may  be  proved.  Another  powerful  plea  in  favour  of  divination,  may  be  drawn  from  Nature  herself,  which  teaches  us  how  great  is  the  energy  of  the  mind  when  abstracted  from  the  bodily  senses,  as  it  is  most  especially  in  ecstasy  and  sleep.  For  even  as  the  Gods  know  what  passes  in  our  minds  without  the  aid  of  eyes,  ears  or  tongues,  (on  which  divine  omniscience  is  founded  the  feeling  of  men,  that  when  they  wish  in  silence  for,  or  offer  up  a  prayer  for  anything,  the  Gods  hear  them,)  so  when  the  soul  of  man  is  disengaged  from  corporeal  impe  diments,  and  set  at  freedom,  either  from  being  relaxed  in  sleep,  or  in  a  state  of  mental  excitement,  it  beholds  those  wonders  which,  when  entangled  beneath  the  veil  of  the  flesh,  it  is  unable  to  see.   It  may  be  difficult,  perhaps,  to  connect  this  piinciple  of  nature  with  that  kind  of  divination  which  we  have  stated  to  result  from  study  and  art.  Posidonius,  however,  thinks  that  there  are  in  nature  certain  signs  and  symbols  of  future  events.  We  are  informed  that  the  inhabitants  of  Cea,  according  to  the  report  of  Heraclides  of  Pontus,  are  accus  tomed  carefully  to  observe  the  circumstances  attending  the  rising  of  the  Dog  Star,  in  order  to  know  the  character  of  the  ensuing  season,  and  how  far  it  will  prove  salubrious  or  pestilential.  For  if  the  star  rose  with  an  obscure  and  dim  appearance,  it  proved  that  the  atmosphere  was  gross  and  foggy,  and  its  respiration  would  be  heavy  and  unwhole  some.  But  if  it  appeared  bright  and  lucid,  then  that  was  a  sign  that  the  air  was  light  and  pure,  and  therefore  healthful.   Democritus  believed  that  the  ancients  had  wisely  enjoined  the  inspection  of  the  entrails  of  animals  which  had  been  sacrificed,  because  by  their  condition  and  colour  it  is  possible  to  determine  the  salubrity  or  pestilential  state  of  the  atmo  sphere,  and  sometimes  even  what  is  likely  to  be  the  fertility  or  sterility  of  the  earth.  And  if  careful  observation  and  practice  recognise  these  rules  as  proceeding  from  nature,  then  every  day  might  bring  us  many  examples  which  might  deserve  notice  and   remark;  so  that  the  natural  philosopher  whom  Pacuvius  introduces  in  his  Chryses,  seems  to  me  very  ignorant  of  the  nature  of  things,  wlien  he  says, —    All  those  who  understand  the  speech  of  birds  And  hearts  of  victims  better  than  their  own,  May  be  just  listen'd  to,  but  not  obey'd.   Why  should  he  make  such  a  remark  here,  when  a  little  after  he  speaks  thus  plainly  in  a  contrary  sense  1 —   Whatever  God  may  be,  'tis  he  who  forms,  Preserves  and  nurtures  all.     Unto  himself  Ho  back  absorbs  all  beings, — evermore  The  universal  Sire,— at  once  the  source  And  end  of  nature.   Why,  then,  since  the  universe  is  the  sole  and  common  home  of  all  creatures,  and  since  the  minds  of  men  always  have  existed,  and  will  exist,  why,  I  say,  should  they  not  be  able  to  perceive  the  consequences,  and  what  is  the  result  indicated  by  each  sign,  and  what  events  each  sign  foreshows  r(   These  are  the  arguments  which  I  had  to  bring  forward  on  the  subject  of  divination.  For  the  rest,  I  in  nowise  believe  in  those  who  predict  by  lots,  or  those  who  tell  fortunes  for  the  sake  of  gain,  nor  those  necromancers  who  evoke  the  manes,  whom  your  friend  Appius  consulted.   Of  little  service  are  the  Morsian  prophet,   The  Haruspi  of  the  village,  the  astrologer   Of  the  throng'd  circus,  or  the  priest  of  Isis,   Or  the  imposturous  interpreter   Of  dreams.     All  these  are  but  false  conjurors,   Who  have  no  skill  to  read  futurity,   They  are  but  hypocrites,  urged  on  by  hunger ;   Ignorant  of  themselves,  they  would  teach  others,   To  whom  they  promise  boundless  wealth,  and  beg   A  penny  in  return,  paid  in  advance.   Such  is  the  style  in  which  Ennius  speaks  of  those  pre  tenders  of  divination;  and  a  few  verses  before,  he  lias  affirmed  that  though  the  Gods  exist,  they  take  no  care  of  the  human  race.  I  am  of  a  contrary  opinion,  and  approve  01  divination,  because  I  believe  that  the  Gods  do  watch  over  men,  and  admonish  them,  and  presignify  many  things  to  them,  all  levity,  vanity,  and  malice  being  excluded.   And  when  Quintus  had  said  this,  You  are,  indeed,  said  I,  admirably  prepared. When I  have  been  considering,  as  I  frequentlj7  have,  vnth  deep  and  prolonged  cogitation,  by  what  means  I  might  serve  as  many  persons  as  possible,  so  as  never  to  cease  from  doing  service  to  my  country,  no  better  method  has  occurred  to  me  than  that  of  instructing  my  fellow-citizens  in  the  noblest  arts.  And  this  I  natter  myself  thai  I  have  already  in  some  degree  effected  in  the  numerous  works  which  I  have  written.  In  the  treatise  which  I  have  entitled  "  Hortensius,"  I  have  earnestly  recommended  them  to  the  study  of  philoso  phy  ;  and  in  the  four  books  of  Academic  Questions,  I  have  laid  open  that  species  of  philosophy  which  I  think  the  least  arrogant,  and  at  the  same  time  the  most  consistent  and  elegant.   Again,  as  the  foundation  of  all  philosophy  is  the  knowledge  of  the  chief  good  and  evil  which  we  should  seek  or  shun,  I  have  thoroughly  discussed  these  topics  in  five  books,  in  order  to  explain  the  different  arguments  and  objections  of  the  various  schools  in  relation  thereto.1  In  five  other  books  of  Tusculan  Questions,  I  have  explained  what  most  conduces  to  render  life  happy.  In  the  first,  I  treat  of  the  contempt  of  death ;  in  the  second,  of  the  endurance  of  pain  and  sorrow ;  in  the  third,  of  mitigating  melancholy;  in  the  fourth,  of  the  other  perturbations  of  the  mind;  and  in  the  fifth,  I  elaborate  that  most  glorious  of  all  philosophic  doctrines —  the  all-sufficiency  of  virtue ;  and  prove  that  virtue  can  secure  our  perpetual  bliss  without  foreign  appliances  and  assistances.   When  these  works  were  completed,  I  wrote  three  books  on   the  Nature  of  the  Gods.     I  have  discussed  all  the  different   bearings  and  topics  of  that  subject,  and  now  I  proceed  in   the  composition  of  a  treatise  on  Divination,  in  order  to  give   1  He  is  here  referring  to  the  treatise  De  Finibus.  that  subject  the  amplest  development.  And  if,  when  this  is  finished,  I  add  another  on  Fate,  I  shall  have  abundantly  examined  the  whole  of  that  question.   To  this  catalogue  of  my  writings,  I  must  likewise  add  my  six  books  on  the  Republic,  which  I  composed  when  I  was  directing  the  government  of  the  State.  A  grand  subject,  indeed,  and  peculiarly  connected  with  philosophy,  and  one  which  has  been  richly  elaborated  by  Plato,  Aristotle,  Theo-  phrastus,  and  the  whole  tribe  of  the  Peripatetics.   I  must  not  forget  to  mention  my  Essay  on  Consolation,  which  afforded  me  myself  no  inconsiderable  comfort,  and  will,  I  trust,  be  of  some  benefit  to  others.  Besides  this,  I  lately  wrote  a  work  on  Old  Age,  which  I  addressed  to  Atticus ;  and  since  it  is  owing  to  philosophy  that  our  friend  Cato  is  the  good  and  brave  man  that  he  is,  he  is  well  entitled  to  an  honourable  place  in  the  list  of  my  writings.   Moreover,  as  Aristotle  and  Theophrastus,  two  authors  emi  nently  distinguished  both  for  the  penetration  and  fertility  of  their  genius,  have  united  with  their  philosophy  precepts  like  wise  for  eloquence,  so  I  think  that  I  too  may  class  among  my  philosophical  writings  my  treatise  on  the  Oratorical  Art.  So  there  are  three  books  on  Oratory,  a  fourth  Essay  entitled  Brutus,  and  a  fifth  named  the  Orator. Such  are  the  works  I  have  already  written,  and  I  am  girding  myself  up  to  what  remains,  with  the  desire  (if  I  am  not  hindered  by  weightier  business)  of  leaving  no  philosophical  topic  otherwise  than  fully  explained  and  illustrated  in  the  Latin  language.  For  what  greater  or  better  service  can  we  render  to  our  country,  than  by  thus  educating  and  instructing  the  rising  generation,  especially  in  times  like  these,  and  in  the  present  state  of  morality,  when  society  has  fallen  into  such  disorders  as  to  require  every  one  to  use  his  best  exertions  to  check  and  restrain  it  ?   Not  that  I  expect  to  succeed  (for  that,  indeed,  cannot  be  even  hoped)  in  winning  all  the  young  to  the  study  of  philo  sophy.  I  shall  be  glad  to  gain  even  a  few,  the  fruits  of  whose  industry  may  have  an  extended  effect  on  the  republic.   Indeed,  I  already  begin  to  gather  some  fruit  of  my  labour,  from  those  of  more  advanced  years,  who  are  pleased  with  my  various  books.  By  their  eagerness  for  reading  what  I  write,  my  ambition  for  writing  is  from  day  to  day  more  vehemently  excited.  And  indeed  such  individuals  are  far  more  numerous  than  I  could  have  imagined.  A  magnificent  thing-  it  will  be,  and  glorious  indeed  for  the  Romans,  when  they  shall  no  longer  find  it  necessary  to  resort  to  the  Greeks  for  philosophical  literature.  And  this  desideratum  I  shall  cer  tainly  effect  for  them,  if  I  do  but  succeed  in  accomplishing  my  design.   To  the  undertaking  of  explaining  philosophy  I  was  origi  nally  prompted  by  disastrous  circumstances  of  the  state.  For  during  the  civil  wars  I  could  not  defend  the  common  wealth  by  professional  exertions;  while  at  the  same  time  I  could  not  remain  inactive.  And  yet  I  could  not  find  anything  worthy  of  myself  for  me  to  undertake.  My  fellow-citizens,  therefore,  will  pardon  me,  or  rather  will  thank  me;  because  when  Rome  had  become  the  property  of  one  man.  I  neither  concealed  myself,  nor  deserted  them,  nor  yielded  to  grief,  nor  conducted  myself  like  a  politician  indignant  at  either  an  individual  or  the  times, — nor  played  the  part  of  a  flatterer  of,  or  courtier  to,  the  power  of  another,  so  as  to  be  ashamed  of  myself.  For  from  Plato  and  philosophy  I  had  learnt  this  lesson,  that  certain  revolutions  are  natural  to  all  republics,  which  alternately  come  under  the  power  of  monarchs,  and  democracies,  and  aiistocracies.   And  when  this  fate  had  befallen  our  own  Commonwealth,  then,  being  deprived  of  my  customary  employments,  I  applied  myself  anew  to  the  study  of  philosophy,  doing  so  both  to  alleviate  my  own  sorrow  for  the  calamities  of  the  state,  and  also  in  the  hope  of  serving  my  fellow-countrymen  by  rny  writings.  And  thus  in  my  books  I  continued  to  plead  and  to  harangue,  and  took  the  same  care  to  advance  the  interests  of  philosophy  as  I  had  before  to  promote  the  cause  of  the  Republic.  Now,  however,  since  I  am  again  engaged  in  the  affairs  of  government,  I  must  devote  my  attention  to  the  state,  or  I  should  rather  say,  all  my  labours  and  cares  must  be  occupied  about  that ;  and  I  shall  only  be  able  to  give  to  philosophy  whatever  little  leisure  I  can  steal  from  public  business  and  public  employments.  Of  these  matters,  however,  I  shall  find  a  better  occasion  to  speak;  let  me  now  return  to  the  subject  of  divination.  For  when  my  brother  Quintus  had  concluded  his  arguments  on  the  subject  of  divination,  con  tained  in  the  preceding  book,  and  we  had  walked  enough  to satisfy  us,  we  sat  down  in  my  library,   which,  as  I  before  noticed,  is  in  my  Lyceum.   III.  Then  I  said, — Quintus,  you  have  defended  the  doctrine  of  the  Stoics,  respecting  divination,  with  great  accuracy,  and  on  the  strictest  Stoical  principles.  And  what  particularly  pleased  me  was,  that  you  supported  your  cause  chiefly  by  authorities,  and  those,  too,  of  great  force  and  dignity,  borrowed  from  our  own  countrymen.  It  is  now  my  part  to  notice  what  you  have  advanced.  But  I  shall  do  so  without  offering  anything  absolutely  on  one  side  or  the  other,  examining  all  your  argu  ments,  often  expressing  doubts  and  distrusting  myself.  For  if  I  assumed  anything  I  could  say  on  this  subject  as  certain,  I  should  play  the  part  of  a  diviner  even  while  denying  divination.   I  am,  no  doubt,  greatly  influenced  by  that  preliminary  question  which  Carneades  used  to  raise, — namely,  What  is  the  subject  matter  of  divination  1  Is  it  things  perceived  by  the  senses,  or  not  1  Such  things  we  see,  or  hear,  or  taste,  or  smell,  or  touch.  Is  there,  then,  among  such,  anything  which  we  perceive  more  by  some  foreseeing  power,  or  agitation  of  the  mind,  than  through  nature  herself]  Or  could  a  diviner,  if  he  were  blind  as  Tiresias,  somehow  or  other  distinguish  between  white  and  black  1  or  if  he  were  deaf,  could  he  distinguish  between  the  articulations  and  modulations  of  voices  ?  Divi  nation,  therefore,  cannot  be  applied  to  those  objects  which  come  under  the  cognisance  of  the  senses.   Nor  is  it  of  much  use,  even  in  matters  of  art  and  science.  In  medicine  for  instance,  if  a  person  is  sick  we  do  not  call  in  the  diviner  or  the  conjuror,  but  the  physician ;  and  in  music,  if  we  wish  to  learn  the  flute  or  the  harp,  we  do  not  take  lessons  from  the  soothsayer,  but  from  the  musician.   It  is  the  same  in  literature,  and  in  all  those  sciences  which  are  matters  of  education  and  discipline.  Do  you  think  that  those  who  addict  themselves  to  the  art  of  divination  can  thereby  inform  us  whether  the  sun  is  larger  than  the  earth  or  of  the  same  size  as  it  appears,  or  whether  the  moon  shines  by  her  own  light  or  by  a  radiance  borrowed  from  the  sun,  or  what  are  the  laws  of  motion  obeyed  by  these  orbs,  or  by  those  other  five  stars  which  are  termed  the  planets [None  of  those  who  pass  for  diviners  pretend  to  be  able  to  instruct  mankind  in  these  matters,  nor  can  they  prove  the    204  ON   DIVINATION.   truth  or  falsehood  of  the  problems  of  geometry.     Such  mat  ters  belong  to  the  mathematician,  not  to  conjurors. And  in  those  questions  which  are  agitated  in  moral  philosophy,  is  there  any  one  with  respect  to  which  any  diviner  ever  gives  an  answer,  or  is  ever  consulted  as  to  what  is  good,  bad,  or  indifferent  ?  For  such  topics  properly  belong  to  philosophers.  As  to  duties,  who  ever  consulted  a  diviner  how  to  regulate  his  behaviour  to  his  parents,  his  brethren,  or  his  friends  1  or  in  what  light  he  should  regard  wealth,  and  honour,  and  authority  ?  These  things  are  referred  to  sages,  not  diviners.   Again,  as  to  the  subjects  which  belong  to  dialecticians,  or  natural  philosophers.  What  diviner  can  tell  whether  there  is  one  world  or  more  than  one  1  what  are  the  principles  of  things  from  which  all  things  derive  their  being1?  That  is  the  science  of  the  natural  philosopher.  Or  who  asks  a  diviner  how  to  solve  the  difficulty  of  a  fallacy,  or  disentangle  the  perplexity  of  a  sorites,  which  we  may  render  by  the  Latin  word  acervalem  (an  accumulation),  though  it  is  unnecessary  ;  for  just  as  the  word  philosophy,  and  many  other  Grecian  terms,  have  become  naturalized  in  our  language,  so  this  word  sorites  is  already  sufficiently  familiar  among  us.  These  subjects  belong  to  the  logician,  not  to  the  diviner.   Again,  if  the  question  be,  which  is  the  best  form  of  govern  ment,  what  are  the  relative  advantages  or  disadvantages  of  such  and  such  laws  and  moral  regulations,  should  we  dream  of  advising  with  a  soothsayer  from  Etruria,  or  with  princes  and  chosen  men  experienced  in  political  matters  1   Now,  if  divination  regards  neither  those  things  which  are  perceived  by  the  senses,  nor  those  which  are  taught  by  art,  nor  those  which  are  discussed  by  philosophy,  nor  those  which  affect  the  politics  of  the  state,  I  scarcely  understand  what  can  be  its  object.  It  must  either  bear  upon  all  topics,  or  else  some  particular  one  must  be  allotted  to  it  in  which  it  may  be  exercised.  Now  common  sense  certifies  us  that  it  does  not  bear  on  all  topics,  and  we  are  at  a  loss  to  discover  what  particular  topic,  or  subject  matter,  it  can  embrace.  It  follows,  therefore,  that  divination  does  not  exist.   V.  There  is  a  common  Greek  proverb  to  this  effect : —   The  wisest  prophet 's  he  who  guesses  best.  Will,  then,  a  soothsayer  conjecture  what  sort  of  weather  is coming  better  than  a  pilot?  or  will  he  divine  the  character  of  an  illness  more  acutely  than  a  doctor  ?  or  the  proper  way  to  carry  on  a  war  better  than  a  general '?   But  I  observe,  0  Quintus,  that  you  have  pnidently  dis  tinguished  the  topics  of  divination  from  those  matters  which  lie  within  the  sphere  of  art  and  skill,  and  from  those  which  are  perceived  by  the  observation  of  the  senses,  or  by  any  system.  You  have  denned  it  thus  : — Divination  is  the  pre  sentiment  and  power  of  foretelling  or  predicting  those  things  which  axe  fortuitous.  But,  in  the  first  place,  you  are  only  arguing  in  a  circle.  For  does  not  a  pilot,  or  a  physician,  or  a  general  foresee  the  probabilities  of  things  fortuitous  as  well  as  your  diviner?  Can,  then,  any  augur  whatsoever,  or  sooth  sayer,  or  diviner,  conjecture  better  whether  a  patient  will  escape  from  sickness,  or  a  ship  from  peril,  or  the  army  from  the  manoeuvres  of  the  enemy,  than  a  physician,  or  pilot,  or  general  ?   But  you  said  that  these  matters  did  not  belong  to  the  diviner;  but  that  men  could  foresee  impending  winds  or  showers  by  certain  signs ;  and  to  confirm  this  argument,  you  have  cited  certain  verses  of  my  translation  of  Ai-atus.  And  yet  these  atmospheric  phenomena  are  fortuitous ;  for  they  only  happen  occasionally,  and  not  always.  What,  then,  is  this  presentiment  of  things  fortuitous,  which  you  call  divina  tion,  and  to  what  can  it  be  applied?  For  those  things  of  which  we  can  have  a  previous  notion  by  some  art  or  reason,  you  speak  of  as  belonging  not  to  diviners,  but  to  men  of  skill  in  them.  Thus  you  have  left  divination  nothing  but  the  power  of  predicting  those  fortuitous  things  which  cannot  be  foreseen  by  any  art  or  any  prudence.   If,  for  example,  any  one  had,  many  years  before,  predicted  that  Marcus  Marcellus,  who  was  thrice  consul,  was  to  perish  by  a  shipwreck,  he  would,  doubtless,  have  been  a  true  diviner,  because  such  a  fact  could  not  have  been  foreseen  by  any  other  means  than  that  of  divination.  Divination,  there  fore,  is  a  foreknowledge  of  events  which  depend  on  fortune.  But  can  there  be  a  just  presentiment  of  those  things  which  do  not  admit  of  any  rational  conjecture  to  explain  why  they  will  happen?  For  what  do  we  mean  when  we  say  a  thing  happens  by  chance,  or  fortune,  or  hazard,  or  accident,  but  that  something  has  happened  or  taken  place  wnich  might never  have  happened  or  taken  place  at  all,  or  -which  might  have  happened  or  taken  place  in  a  different  manner  ?  Now  how  can  that  be  fairly  foreseen  or  predicted  which  thus  takes  place  by  chance,  and  the  mere  caprice  of  fortune  ?   It  is  by  reason  that  the  physician  foresees  that  a  malady  will  increase,  a  pilot  that  a  tempest  will  descend,  and  a  general  that  the  enemy  will  make  certain  diversions.  And  yet  these  men,  who  have  generally  good  reasons  on  which  their  opinions  respecting  relative  probabilities  are  founded,  are  themselves  often  deceived.  As when  the  husbandman  sees  his  olive-trees  in  blossom,  he  ventures  to  expect  that  they  will  also  bear  fruit;  nevertheless,  he  is  sometimes  mistaken.   Now,  if  those  who  never  assert  anything  but  from  some  probable  conjecture  founded  on  reason,  are  often  mistaken,  what  are  we  to  think  of  the  conjectures  of  those  men  who  derive  their  presages  of  futurity  from  the  entrails  of  victims,  or  birds,  or  prodigies,  or  oracles,  or  dreams.  I  have  not  as  yet  come  to  show  how  utterly  null  and  vain  such  signs  are,  as  the  cleft  of  a  liver,  the  note  of  a  crow,  the  flight  of  an  eagle,  the  shooting  of  a  star,  the  voices  of  people  in  frenzy,  lots  and  dreams,  of  each  of  which  I  shall  speak  in  its  turn ;  at  present  I  dwell  only  on  the  general  argument.  How  can  it  be  fore  seen  that  anything  will  happen  which  has  neither  any  as  signable  cause,  or  mark,  to  show  why  it  will  happen  1   The  eclipses  of  the  sun  and  moon  are  predicted  for  a  series  of  many  years  before  they  happen,  by  those  who  make  regular  calculations  of  the  courses  and  motions  of  the  stars.  They  only  foretell  that  which  the  invariable  order  of  natuie  will  necessarily  bring  about.  For  they  perceive  that  in  the  un-  deviating  course  of  the  moon's  motions,  she  will  arrive  at  a  given  period  at  a  point  opposite  the  sun,  and  become  so  exactly  under  the  shadow  of  the  earth,  which  is  the  boundary  of  night,  that  she  must  be  eclipsed.  They  likewise  know,  that  when  the  same  moon  comes  between  the  earth  and  the  sun,  the  latter  must  appear  eclipsed  to  the  eyes  of  men.  They  know  in  what  sign  each  of  the  wandering  stars  will  be  at  a  future  pariod,  and  when  each  sign  will  rise  and  set  on  any  specific  day.  So  that  you  know  on  what  principles  those  men  proceed  who  predict  these  things. But  what  rational  rule  can  guide  those  men  who  predict  the  discovery  of  a  treasure,  or  the  accession  to  an  estate  1  And  by  what  series  of  cause  and  effect  are  the  approach  of  events  of  this  kind  indicated  1  If  these  events,  and  others  of  the  same  kind,  happen  by  any  kind  of  neces  sity,  then  what  is  there  that  we  can  suppose  to  be  brought  about  by  chance  or  fortune  1  For  nothing  is  so  opposite  to  regularity  and  reason  as  this  same  fortune ;  so  that  it  seems  to  me  that  God  himself  cannot  foreknow  absolutely  those  things  which  are  to  happen  by  chance  and  fortune.  For  if  he  knows  it.  ilien  it  will  certainly  happen;  and  if  it  will  certainly  happen,  there  is  no  chance  in  the  matter.  But  there  is  chance;  therefore  there  is  no  such  thing  as  a  pre  sentiment  of  the  future.   If,  however,  you  maintain  that  there  is  no  such  thing  as  fortune,  and  that  all  things  which  happen,  and  which  are  about  to  happen,  are  determined  by  fate  from  all  eternity,  then  you  must  change  your  definition  of  divination,  which  you  have  termed  the  presentiment  of  thing's  fortuitous.  For  if  nothing  can  happen,  or  come  to  pass,  or  take  place,  unless  it  has  been  determined  from  all  eternity  that  it  shall  happen  at  a  certain  time  what,  chance  can  there  be  in  anything  1  And  if  there  is  no  such  thing  as  chance,  what  becomes  of  your  definition  of  divination,  which  you  have  called  "a  pre  sentiment  of  fortuitous  events'?"  although  you  said  that  everything  which  happened,  or  which  was  about  to  happen,  depended  on  fate.  [Nevertheless,  a  great  deal  is  said  on  this  subject  of  fate  by  the  Stoics.  But  of  this  elsewhere.   To  return  to  the  question  at  issue.  If  all  things  happen  by  fate,  what  is  the  use  of  divination. For  that  which  he  who  divines  predicts,  will  truly  come  to  pass ;  so  that  I  do  not  know  what  character  to  affix  to  that  circumstance  of  an  eagle  making  our  friend  King  Deiotaris  renounce  his  journey;  when,  if  he  had  not  turned  back,  he  would  have  slept  in  a  chamber  which  fell  down  in  the  ensuing  night,  and  have  been  crushed  to  death  in  the  ruins.  For  if  his  death  had  been  decreed  by  fate,  he  could  not  have  avoided  it  by  divination ;  and  if  it  was  not  decreed  by  fate,  he  could  not  have  experienced  it.   What,  then,  is  the  use  of  divination,  or  what  reason  is  there  why  I  should  be  moved  by  lots,  or  entrails,  or  any  kind  of  prediction  1  For  if  in  the  first  Punic  war  it  had  beesettled  by  fate,  that  one  of  the  Roman  fleets,  commanded  by  the  consuls  Lucius  Junius  and  Publius  Clodius,  should  perish  by  a  tempest,  and  that  the  other  should  be  defeated  by  the  Carthaginians,  then  even  if  the  chickens  had  eaten  ever  so  greedily,  still  the  fleets  must  have  been  lost.  But  if  the  fleets  would  not  have  perished,  if  the  auspices  had  been  obeyed,  then  they  were  not  destroyed  by  fate.  But  you  say  that  everything  is  owing  to  fate;  therefore  there  is  no  such  thing  as  divination.   If  fate  had  determined,  that  in  the  second  Punic  war  the  army  of  the  Komans  should  be  defeated  near  the  lake  Thra-  simenus,  then  could  this  event  have  been  avoided,  even  if  Flaminius  the  consul  had  been  obedient  to  those  signs  f  and  those  auspices  which  forbade  him  to  engage  in  battle'?  Cer  tainly  it  might.  Either,  then,  the  army  did  not  perish  by  fate — for  the  fates  cannot  be  changed, — or  if  it  did  perish  by  fate  (as  you  are  bound  to  assert),  then,  even  if  Flaminius  had  obeyed  the  auspices,  he  must  still  have  been  defeated.   Where,  then,  is  the  divination  of  the  Stoics  1  which  is  of  no  use  to  us  whatever  to  warn  us  to  be  more  prudent,  if  all  things  happen  by  destiny.  For  do  what  we  will,  that  which  is  fated  to  happen,  must  happen.  On  the  other  hand,  what  ever  event  may  be  averted  is  not  fated.  There  is,  there  fore,  no  divination,  since  this  appertains  to  things  which  are  certain  to  happen;  and  nothing  is  certain  to  happen,  which  may  by  any  means  be  frustrated.  Moreover,  I  do  not  even  think  that  the  knowledge  of  futurity  would  be  useful  to  us.  How  miserable  would  have  been  the  life  of  King  Priam  if  from  his  youth  he  could  have  foreseen  the  calamities  which  awaited  his  old  age  !  Let  us,  however,  leave  alone  fables,  arid  come  to  facts  that  are  more  near  to  us.  I  have  recounted,  in  my  essay  entitled  "  Conso  lation,"  the  misfortunes  which  have  happened  to  the  greatest  men  of  our  commonwealth.  Omitting,  therefore,  the  ancients,  do  you  think  that  it  would  have  been  any  advantage  to  Marcus  Crassus,  when  he  was  flourishing  with  the  amplest  riches  and  gifts  of  fortune,  to  have  foreknown  that  he  should  behold  his  son  Publius  slain,  his  forces  defeated,  and  lose  his  own  life  beyond  the  Euphrates  with  ignominy  and  disgrace  ?  Or  do  you  think  that  Pompey  would  have  experienced  much  satisfaction  in  being  thrice  made  consxil,  and  having  received   three  triumphs,  and  having  attained  the  summit  of  glory  by  his  heroic  actions,  if  he  could  have  foreseen  that  he  should  be  assassinated  in  the  deserts  of  Egypt  after  the  defeat  of  his  army,  and  that  after  his  death  those  disasters  should  happen  which  we  cannot  mention  without  tears  ?   What  do  we  think  of  Caesar  1  Would  it  have  been  any  pleasure  to  Caesar  to  have  anticipated  by  divination,  that  one  day,  in  the  midst  of  the  throng  of  senators  whom  he  himself  had  elected,  in  the  temple  of  Victory  built  by  Pompey,  and  before  that  general's  statue,  and  before  the  eyes  of  so  many  of  his  own  centurions,  he  should  be  slain  by  the  noblest  citizens,  some  of  whom  were  indebted  to  him  for  their  digni  ties, — aye,  slain  under  such  circumstances  that  not  one  of  his  friends,  or  even  of  his  servants,  would  venture  to  approach  him  ?  Could  he  have  foreseen  all  this,  in  what  wretchedness  would  he  have  passed  his  life  1   It  is,  therefore,  certainly  more  advantageous  for  man  to  be  ignorant  of  future  evils  than  to  know  them.  For  it  cannot  be  said,  at  least  not  by  the  Stoics,  that  Pornpey  would  not  have  taken  up  arms,  nor  Crassus  passed  the  Euphrates,  nor  Csesar  engaged  in  the  civil  war,  if  they  had  foreseen the  future;  therefore  the  end  which  they  met  with  was  not  in  evitably  ordained  by  fate.  For  you  insist  upon  it  that  all  things  happen  by  fate,  therefore  divination  would  have  availed  them  nothing.  It  would  even  have  deprived  them  of  all  enjoy  ment  in  the  earlier  part  of  their  lives;  for  what  gratification  could  they  have  enjoyed  if  they  had  been  always  thinking  of  their  end  I   Therefore,  to  whatever  argument  the  Stoics  resort  in  defence  of  divination,  their  ingenuity  is  always  baffled.  For  if  that  which  is  to  happen  may  happen  in  different  mode;,  then,  indeed,  fortune  may  have  great power;  but  that  which  is  fortuitous  cannot  be  certain.  If,  on  the  other  hand,  every  event  is  absolutely  determined  by  fate,  and  the  time  and  cir  cumstance  in  connexion  with  which  it  is  to  take  place,  what  service  can  diviners  render  us  by  informing  us  that  very  sad  events  arc  portended  for  us. They  add,  moreover,  that  when  we  are  duly  attentive  to  religious  ceremonies,  all  things  will  fall  more  lightly  on  us.  But  if  everything  happens  by  fate,  no  religioxis  ceremonies  cau  lighten  the  event.  Homer  acknowledges  this,  when  he introduces  Jupiter  uttering  complaints  that  he  cannot  save  the  life  of  his  son  Sarpedon  against  the  order  of  fate;  and  the  same  sentiment  is  expressed  in  the  Greek  verse—   Great  Destiny  o'ermaster's  Jove  himself.   It  appears  to  me  that  such  a  fate  as  this  is  justly  ridiculed  by  the  Atellane  plays  ;  but  on  such  a  serious  subject  we  must  not  allow  ourselves  to  be  facetious.   I  therefore  conclude  with  this  observation.  If  we  cannot  foresee  anything  which  happens  by  chance,  since  that  thing  is  necessarily  uncertain,  therefore  there  is  no  divination;  and  if,  on  the  contrary,  things  that  are  to  happen  can  be  foreseen  because  they  happen  by  an  infallible  fatality,  there  is  no  divination,  because  you  say  divination  only  relates  to  for  tuitous  events.   But  what  I  have  hitherto  said  respecting  divination  may  be  looked  upon  as  a  mere  slight  skirmishing  of  oratory.  I  must  now  enter  on  the  contest  in  good  earnest,  and  prepare  to  encounter  the  most  formidable  arguments  of  your  cause. For  you  say  that  there  exist  two  kinds  of  divination,  —  one  artificial,  the  other  natural.  The  artificial  consists  partly  in  conjecture,  partly  in  continued  observation.   The  natural,  on  the  other  hand,  is  what  the  mind  lays  hold  of  or  receives  externally  from  the  divinity,  from  which  we  all  derive  the  origin,  and  fashioning,  and  preservation  of  our  minds.  Under  the  artificial  divination  you  enumerate  several  varieties  of  divination  connected  with  the  inspection  of  entrails,  the  observation  of  thunderstorms  and  prodigies,  and  the  auguries  of  those  who  deal  in  signs  and  omens.  And  under  this  artificial  class  you  include  all  kindsof  conjectural  divination.   As  to  the  natural  species  of  divination,  it  appears  to  be  sent  forth  and  to  issue  either  from  a  certain  ecstasy  of  the  spirit,  or  to  be  conceived  by  the  mind  when  disengaged  from  the  senses  and  from  cares  by  sleep.  But  you  suppose  that  all  divination  is  derived  from  three  things God,  Fate,  and  Nature.  But  as  you  could  give  no  sound  explanation,  you  laboured  to  confirm  it  by  a  wonderful  multitude  of  imaginary  examples,  concerning  which  you  must  permit  me  to  say,  that  a  philosopher  ought  not  to  use  evidences  which  may  be  true  through  accident,  or  false  and  fictitious  through  malice.  It  behoves  you  to  show,  by  reason  and  argument,  why  each  circtimstance  happens  as  it  does,  rather  than  by  the  events,  especially  when  they  are  such  as  I  am  quite  unable  to  give  credit  to.   XII.  To  begin  then  with  the  Soothsayers,  whose  science  I  believe  that  the  interest  of  Religion  and  the  State  requires  to  be  upheld.    But  as  we  are  alone,  it  behoves  us,  and  myself  more  especially,   to  examine   the   truth  without  partiality,  since  I  am  in  doubt  on  many  points.   Let  us  proceed,  if  you  please,  first  to  consider  the  inspec  tion  of  the  entrails  of  victims.  Can  you  then  persuade  any  man  in  his  senses,  that  those  events  which  are  said  to  be  signified  by  the  entrails,  are  known  by  the  augurs  in  con  sequence  of  a  long  series  of  observations [How  long,  I  wonder  !  For  what  period  of  time  can  such  observations  have  been  continued  1  What  conferences  must  the  augurs  hold  among  themselves  to  determine  which  part  of  the  victim's  entrails  represents  the  enemy,  and  which  the  people ;  what  sort  of  cleft  in  the  liver  denoted  danger,  and  what  sort  presaged  advantage?  Have  the  augurs  of  the  Etrurians,  the  Eleans,  the  Egyptians,  and  the  Carthaginians  arranged  these  matters  with  one  another  ?  But  that,  besides  that  it  is  quite  impossi  ble,  cannot  be  imagined.  For  we  see  that  some  interpret  the  auspices  in  one  way,  and  some  in  another,  and  no  common  rule  of  discipline  is  acknowledged  among  the  professors  of  the  art;  and  certainly  if  some  secret  virtue  existed  in  the  victim's  entrails  which  clearly  declared  the  future,  it  must  either  belong  to  the  universal  nature  of  things,  or  be  connected  in  some  way  or  other  with  the  Deity  himself.  But  what  com  munication  can  there  exist  between  so  great  and  so  divine  a  natuz-e  of  things,  one  so  beautiful,  and  so  admirably  diffused  throughout  every  part  and  motion,  and  (I  will  not  say)  the  gall  of  the  cock,  (though  that,  indeed,  is  said  by  many  to  be  the  most  significant  of  all  signs,)  but  the  liver,  or  heart,  or  lungs  of  a  fat  bullock  1  Can  such  things  possibly  teach  us  the  hidden  mysteries  of  futurity?  Democritus,  speaking  as  a  natural  philosopher,  than  which  no  class  of  men  are  more  arrogant,  on  this  subject,  trifles  ingeniously  enough.   Man,  who  knows  not  the  common  facts  of  earth,  Must  waste  his  time  in  star-gazing.   He  remarks,  that  the  colour  and  condition  of  the  victim's  entrails  may  indicate  the  nature  of  the  pasturage,  and  the abundance  or  scarcity  of  those  things  which  the  earth  brings  forth.  He  even  supposes  they  may  guide  our  opinions  respecting  the  wholesonieness  or  pestilential  state  of  the  atmosphere.  0  happy  man!  such  a  person  can  certainly  never  want  amusement.  The  idea  of  any  one  being  so  enchanted  with  such  trifling,  as  not  to  see  that  this  theory  might  be  plausible,  if,  indeed,  the  entrails  of  all  animals  assumed  the  same  appearance  and  colour  at  one  and  the  same  time  !  But  if  we  discover  that  the  liver  of  one  animal  is  sound  and  healthy,  and  that  of  another  withered  and  diseased  at  the  same  moment,  what  indication  can  we  draw  from  the  state  and  colour  of  the  entrails'?   Does  this  at  all  resemble  the  indications  from  which  that  Pherecydes,  in  a  case  which  you  have  cited,  predicted  the  approach  of  an  earthquake  from  the  drying  up  of  a  spring?  It  required  a  little  confidence,  I  think,  after  the  earthquake  had  taken  place,  to  presume  to  say  what  power  had  produced  it ;  [but]  could  they  even  foresee  that  it  would  take  place  at  all  from  the  appearance  of  a  running  spring?  Many  such  stories  are  recounted  in  the  schools,  but  we  are  not  obliged  to  believe  the  whole  of  them.  But  even  supposing  that  what  Democritus  says  is  true,  when  do  we  seek  to  know  the  general  phenomena  of  nature  by  an  examination  of  entrails;  or  when  did  soothsayers  ever  tell  us  anything  of  the  sort  from  such  an  inspection?  They  warn  us  of  danger  from  fire  or  water.  Sometimes  they  predict  that  inheritances  will  be  added  to  our  fortunes,  and  .sometimes  that  we  shall  lose  what  we  already  possess.  They  regard  the  cleft  in  the  lungs  as  a  matter  of  vital  importance  to  our  property  and  our  very  life ;  they  in  vestigate  the  top  of  the  liver  on  all  sides  with  the  most  scrupulous  exactness,  and  if  by  any  chance  they  cannot  dis  cover  it,  they  affirm  that  nothing  more  disastrous  could  have  happened. It  is  impossible,  as  I  have  before  observed,  that  such  a  system  of  observation  can  have  any  certainty  about  it;  such  divination  as  this  nourished  not  among  the  ancients;  it  is  the  invention  of  mere  art,  if,  indeed,  there  can  be  any  art,  properly  so  called,  of  things  unknown.  But  what  connexion  has  it  with  the  nature  of  things?  And  even  if  it  were  united  and  joined  therewith,  so  as  to  form  one  harmonious  whole,  which  I  see  is  the  opinion  of  the  natural  philosophers,    Ulo   and  especially  of  those  who  say  that  all  things  that  exist  are  but  one  whole ;  still  what  correspondence  can  there  be  between  the  order  of  the  universe  and  the  discovery  of  a  treasure?  For  if  an  increase  of  my  wealth  is  indicated  by  the  entrails  of  a  victim,  and  this  fact  is  a  necessary  link  in  the  chain  of  nature,  then  it  follows,  in  the  first  place,  that  we  must  suppose  that  the  entrails  themselves  form  other  links;  and  secondly,  that  my  private  gain  is  connected  with  the  nature  of  things.  Are  not  the  natural  philosophers  ashamed  to  say  such  things  as  these?  For,  although  there may be some connexion in the nature of things, which  I admit to be possible, — (for  the  Stoics  have  collected  many  cases  which  they  think  confirm  the  notion,  as  when  they  assert  that  the  little  livers  of  little  mice  increase  in  winter,  and  that  dry  pennyroyal  flourishes  in  the  coldest  weather,  and  that  the  distended  vesicles,  in  which  the  seeds  of  its  berries  are  contained,  then  burst  asunder;  that  the  chords  of  a  stringed  instrument  at  times  give  notes  different  from  their  usual  ones;  that  oysters  and  other  shell-fish  increase  and  decrease  with  the  growth  and  waning  of  the  moon ;  and  that  trees  lose  their  vitality  as  the  moon  declines,  just  as  they  dry  up  in  winter,  and  that  this  is  the  time  to\cut  them.  Why  need  I  speak  of  the  seas,  and  the  tides  of  the  ocean,  the  flow  and  ebb  of  which  are  said  to  be  governed  by  the  moon  ?  and  many  other  examples  might  be  related  to  prove  that  some  natural  connexion  subsists  between  objects  appa  rently  remote  and  incongruous. Let  us  grant  this,  for  it  does  not  in  the  least  make  against  our  argument ;) — granting,  I  say,  that  there  is  a  cleft  of  some  kind  in  a  liver,  does  that  indicate  gain  to  any  one?  By  what  natural  affinity,  by  what  harmony,  by  what  secret  accord  of  nature,  or,  to  use  the  Greek  term,  by  what  sympathy  can  you  discern  a  necessary  relation  between  a  cleft  liver  and  my  gain,  or  between  my  gain  and  heaven  and  earth,  and  the  universal  nature  of  things  ?   I  may  even  grant  you  this,  though  I  shall  be  greatly  damaging  my  argument  if  I  allow  that  there  is  any  connexion  between  nature  and  entrails.   But  suppose  I  make  this  concession,  how  does  it  happen  that  he  who  would  obtain  some  benefit  from  the  Gods  can  discover,  just  when  he  wishes,  a  victim  exactly  adapted  to  his  purpose  ?  I  had  thought  this  objection  was  unanswerable,  but  see  how  cleverly  you  get  over  it.  I  do  not  blame  you  for  this,  I  rather  commend  your  memory.  But  I  am  ashamed  of  Antipater,  Chrysippus,  and  Posidonius,  who  all  assert  the  same  proposition — namely,  that  the  divine  and  sentient  energy  which  extends  through  the  universe,  directs  us  even  in  the  choice  of  the  victim  by  whose  entrails  we  are  to  frame  our  divinations.  And  to  improve  upon  this  theory,  you  agree  with  them  in  asserting  that  at  the  very  instant  that  the  sacrifice  is  offered,  a  certain  appropriate  change  takes  place  in  the  victim's  entrails,  so  that  we  can  therein  discover  some  sig  nificant  addition  or  deficiency,  since  all  things  are  obedient  to  the  will  of  the  Gods.   Believe  me,  there  is  not  an  old  woman  in  the  world  so  superstitious  as  gravely  to  believe  these  things.  Can  you  imagine  that  the  same  bullock,  if  chosen  by  one  man,  will  have  the  head  of  the  liver,  and  if  chosen  by  another  will  not  have  it  1  Can  this  same  head  come  and  go  at  the  instant  just  to  accommodate  the  individual  who  offers  the  sacrifice  1  Do  you  not  perceive  that  there  must  be  considerable  chance  in  the  choice  of  the  victim  1  and  in  fact  the  thing  speaks  for  itself,  that  this  must  be  the  case.  For  when  one  ill-omened  victim  is  discovered  to  have  had  no  head  to  its  liver,  it  often  happens  that  the  one  which  is  offered  immediately  afterwards  has  the  most  perfect  entrails  imaginable.  What  then  becomes  of  the  menaces  of  the  first  victim's  entrails,  or  how  have  the  Gods  been  so  suddenly  appeased? But  you  will  say,  that  in  the  entrails  of  the  fat  bull  which  Caesar  offered,  there  was  no  heart,  and  since  it  was  not  possible  that  this  animal  could  have  lived  without  a  heart,  we  must  suppose  that  the  heart  was  annihilated  at  the  instant  of  immolation.  How  is  it  that  you  think  it  impossi  ble  that  an  animal  can  live  without  a  heart,  and  yet  do  not  think  it  impossible  that t  its  heart  could  vanish  so  suddenly,  nobody  knows  whither?  For  myself,  I  know  not  how  much  vigour  in  a  heart  is  necessary  to  carry  on  the  vital  function,  and  suspect  that  if  afflicted  by  any  disease,  the  heart  of  a  victim  may  be  found  so  withered,  and  wasted,  and  small,  as  to  be  quite  unlike  a  heart.  But  on  what  argument  can  you  build  an  opinion  that  the  heart  of  this  same  fat  bullock,  if  it  existed  in  him  before,  disappeared  at  the  instant  of  immola-lion?  Did  the  bullock  behold  Ceesar  in  a  heartless  condition  even  while  arrayed  in  the  purple,  and  thus  lose  its  own  heart  by  mere  force  of  sympathy?   Believe  me,  you  are  betraying  the  city  of  philosophy  while  defending  its  castles.  In  trying  to  prove  the  truth  of  the  auguries,  you  are  overturning  the  whole  system  of  physics.  A  victim  has  a  heart,  and  head  of  the  liver :  the  moment  that  you  sprinkle  him  with  meal  and  wine  they  depart,  some  God  carries  them  off,  some  power  destroys  or  consumes  them.  It  is  not  nature  alone,  therefore,  which  causes  the  decay  and  destruction  of  everything;  and  there  are  some  things  which  arise  out  of  nothing,  and  some  which  suddenly  perish  and  become  nothing.  What  natural  philosopher  ever  said  such  a  thing  as  this?  The  soothsayers  affirm  it.  Do  you  then  think  that  you  are  to  believe  them  rather  than  the  natural  philosophers?   XVII.  Again,  when  you  sacrifice  to  several  Gods  at  the  same  time,  how  is  it  that  the  sacrifice  is  favourably  received  by  some,  and  is  rejected  by  others  ?  And  what  inconsistency  must  there  be  among  the  Gods,  if  they  threaten  by  the  first  entrails,  and  promise  good  fortune  by  the  second !  Or  is  there  such  strong  dissension  among  the  Deities,  even  when  they  are  nearly  related  to  each  other,  that  certain  entrails  bode  good  when  offered  to  Apollo,  and  evil  when  offered  to  his  sister  Diana  ?  It  is  clear  that  since  the  victims  are  brought  by  chance,  the  entrails  must  in  the  case  of  each  sacrificer  depend  upon  what  victim  falls  to  his  share,  and  that  very  thing  requires  some  divination  to  know  what  victim  falls  to  each  person's  share,  as,  in  the  case  of  lots,  what  is  drawn  by  each  person.   Then  you  will  speak  of  lots,  though  you  are  not  strengthen  ing  the  authority  of  sacrifices  by  comparing  them  to  lots,  but  weakening  that  of  lots  by  comparing  them  to  sacrifices.   Do  you  think,  when  we  send  a  messenger  to  ^Equime-  lium  to  bring  us  a  lamb  to  sacrifice,  and  the  lamb  which  is  brought  to  me  possesses  entrails  peculiarly  accommodated  to  the  circumstances  of  the  case,  that  the  messenger  has  been  guided  to  him  not  by  chance,  but  by  divine  direction  ?  For  if  you  wish  to  signify  that  in  this  case  chance  interferes,  as  being  some  lot  connected  with  the  will  of  the  Gods,  I  am  sony  that  your  friends  the  Stoics  should  give  the  Epicureans such  occasion  to  ridicule  them,  for  you  know  well  how  they  deride  oil  such  ideas.   And,  indeed,  it  is  no  hard  matter  to  be  facetious  on  such  an  idea.  Epicurus,  in  order  to  show  his  wit  on  the  subject,  introduced  transparent  airy  deities,  residing,  as  it  were,  be  tween  the  two  worlds  as  between  two  groves,  that  they  may  avoid  destruction  from  the  fall  of  either.  These  deities,  it  seems,  possess  bodies  like  ourselves,  though  I  cannot  find  that  they  make  any  use  of  them.   Epicurus  therefore,  who,  by  a  roundabout  argument  of  this  kind,  takes  away  the  Gods,  naturally  feels  no  hesitation  in  taking  away  divination  also.  But  though  he  is  consistent  with  himself,  the  Stoics  are  not ;  for  as  the  God  of  Epicurus  never  troubles  himself  with  any  business,  either  regarding  himself  or  others;  he,  therefore,  cannot  grant  divination  to  men.  On  the  other  hand,  the  God  of  the  Stoics,  even  though  lie  does  not  grant  divination,  must  still  regulate  the  affairs  of  the  universe  and  take  care  of  mankind.   Why,  then,  do  you  involve  yourself  in  these  dilemmas  which  you  can  never  disentangle  ?  For  this  is  the  way  in  which,  when  they  are  in  a  hurry,  they  usually  sum  up  the  matter- — a  If  there  are  Gods,  there  must  be  divination;  but  there  are  gods,  therefore  there  is  divination."  It  would  be  much  more  plausible  to  say — "  There  is  no  divination,  there  fore  there  are  no  Gods."  Observe  how  imprudently  the  Stoics  make  this  assertion,  that  if  there  is  no  divination,  there  are  no  Gods ;  for  divination  is  plainly  discarded,  and  yet  we  must  retain  a  belief  in  Gods. After  having  thus  destroyed  divination  by  the  in  spection  of  entrails,  all  the  rest  of  the  science  of  the  sooth  sayers  is  at  an  end ;  for  prodigies  and  lightning  follow  in  the  same  category.  With  respect  to  the  latter,  their  predictions  are  founded  on  a  long  series  of  observations,  while  the  interpretation  of  prodigies  proceeds  chiefly  on  inference  and  conjecture.   What  observations,  then,,  have  been  made  about  lightning?  The  Etrurians,  forsooth,  have  divided  heaven  into  sixteen  parts;  for  it  was  not  very  difficult  to  double  the  four  quarters,  which  we  recognise,  into  eight,  and  then  to  repeat  the  process,  so  as  by  that  means  to  say  from  what  direc  tion  the  lightning  had  come.  But  in  the  first  place,  what difference  does  it  make  ?  Secondly,  what  does  such  a  thing  intimate  1   Is  it  not  plain  from  the  astonishment  which  was  at  first  excited  in  men's  minds,  because  they  feared  the  thunder  and  the  hurling  of  the  thunderbolt,  that  they  believed  that  they  were  the  immediate  manifestations  brought  about  by  the  all-powerful  ruler  of  all  things,  Jupiter  ?  This  is  the  reason  of  the  enactment  in  the  public  registers,  that  the  comitia  of  the  people  shall  not  be  held  when  Jupiter  thunders  and  lightens.  It  was  enacted,  perhaps  with  a  view  to  the  interest  of  the  state,  for  our  ancestors  wished  to  have  pretexts  for  not  holding  the  comitia.  Therefore,  in  the  case  of  the  comitia,  lightning  is  the  only  vitiating  irregularity.  But  in  all  other  matters  it  is  a  most  favourable  auspice  if  it  comes  on  the  left  hand.  But  we  will  speak  of  the  auspices  hereafter ;  at  present  we  will  confine  ourselves  to  lightning. What  can  be  less  proper  for  natural  philosophers  to  say,  than  that  anything  certain  is  indicated  by  things  which  are  uncertain  1  I  cannot  believe  that  you  are  one  of  those  who  imagine  that  there  were  Cyclopes  in  mount  ^Etna  who  forged  Jove's  thunderbolt,  for  it  would  be  wonderful  indeed  if  Jupiter  should  so  often  throw  it  away  when  he  had  but  one.  Nor  would  he  warn  men  by  his  thunderbolts  what  they  should  do  or  what  thoy  should  avoid.   For  the  opinion  of  the  Stoics  on  this  point  is,  that  the  exhalations  of  the  earth  which  are  cold,  when  they  begin  to  flow  abroad,  become  winds ;  and  when  they  form  themselves  into  clouds,  and  begin  to  divide  and  break  up  their  fine  particles  by  repeated  and  vehement  gusts,  then  thunder  and  lightning  ensue ;  and  that  when  by  the  conflict  of  the  clouds  the  heat  is  squeezed  out  so  as  to  emit  itself,  then  there  is  lightning.  Can  we,  then,  look  for  any  intimation  of  futurity  in  a  thing  which  we  see  brought  about  by  the  mere  force  of  nature,  without  any  regularity  or  any  determined  pei'iods  1   If  Jupiter  wished  that  we  should  form  divinations  by  lightnings,  would  he  throw  away  so  many  flashes  in  vain  ]  For  what  good  does  he  do  when  he  throws  a  thunderbolt  into  the  middle  of  the  sea,  or  upon  lofty  mountains,  which  is  very  common,  or  upon  deserts,  or  in  the  countries  of  those  nations  among  which  no  meteorological  observations  are  made  ]  Oh !  but  a  head  was  discovered  in  the  Tybcr.  As  if  I    affirmed  that  those  soothsayers  had  no  skill !  What  I  deny  is  only  their  divination.  For  the  distribution  of  the  firma  ment,  which  we  have  just  mentioned,  and  their  various  observations,  enable  them  to  note  the  direction  from  which  the  lightning  has  proceeded,  and  where  it  falls.  But  no  reason  can  inform  us  of  its  signification. You  will,  however,  urge  against  me  my  own  verses —   The  father  of  the  Gods  who  reigns  supreme   On  high  Olympus,  smote  his  proper  fane,   And  hurl'd  his  lightnings  through  the  heart  of  Rome.   At  the  same  time  the  statue  of  Natta  and  the  images  of  the  Gods,  and  Romulus  and  Remus,  with  that  of  the  beast  who  was  nursing  them,  were  struck  by  the  thunderbolt  and  thrown  down ;  and  the  answers  of  the  soothsayers,  with  reference  to  these  prodigies,  were  found  perfectly  correct.  That  also  was  a  surprising  thing,  that  the  statue  of  Jupiter  was  placed  in  the  Capitol,  two  years  later  than  it  had  been  contracted  for,  at  the  very  time  that  information  of  the  conspiracy  was  being  laid  before  the  senate.  Will  you,  then,  (for  this  is  the  way  you  are  used  to  argue  with  me,)  bring  yourself  to  uphold  that  side  of  the  question  in  opposition  to  your  own  actions  and  writings  ?   You  are  my  brother,  and  all  you  say  is  entitled  to  my  respect.  Yet  what  is  there  here  that  offends  you?  Is  it  the  thing  itself,  which  is  of  such  and  such  a  character,  or  I  myself,  who  only  wish  to  get  at  the  truth  ?  I  therefore  say  nothing  upon  it  for  the  sake  of  contradiction,  and  only  seek  from  you  yourself  information  respecting  all  the  prin  ciples  of  the  art  of  soothsaying.   But  you  have  involved  yourself  in  an  inextricable  dilemma;  for  foreseeing  that  you  would  be  hard  pressed,  when  I  should  urge  you  to  explain  the  cause  of  every  divination,  you  made  many  excuses  to  show  why,  when  you  were  sure  of  the  fact,  you  did  not  inquire  into  its  principles  and  causes, — that  the  question  was,  what  was  done,  and  not  why  it  was  done  ;  as  if  I  granted  that  it  was  done  at  all,  or  as  if  it  were  not  the  duty  of  a  philosopher  to  inquire  into  the  reason  why  every  thing  takes  place.  At  the  same  time  you  quoted  my  prog  nostics,  and  spoke  of  the  scammony,  the  aristoloch,  and  other  herbs,  whose  virtues  were  evident  to  you  from  their  effects,  though  the  law  of  their  operation  was  unknown  to  you. All  this  is,  however,  beside  the  main  question.  For  the  Stoic  Boethus,  whose  name  you  have  cited,  and  even  our  friend  Posidonius  have  investigated  the  causes  of  prognostics,  and  though  it  is  not  easy  to  discover  the  cause  of  such  occult  mysteries,  yet  the  facts  themselves  may  be  observed  and  animadverted  upon.   But  as  to  the  statue  of  Natta  and  the  tables  of  the  law  which  were  struck  by  lightning,  what  observations  were  made,  or  what  was  there  ancient  connected  with  the  matter  1  The  Pinarii  Nattse  are  noble,  therefore  danger  was  to  be  feared  from  the  nobility.  This  was  a  very  cunning  device  of  Jupiter  !  Romulus,  represented  by  the  sculptor  as  sucking  a  she-wolf,  was  likewise  smitten  by  the  lightning.  Hence,  according  to  you,  some  danger  to  the  city  of  Rome  was  threatened.  How  cleverly  does  Jupiter  make  us  acquainted  with  future  events  by  such  signs  as  these  !  Again,  his  statue  was  being  erected  at  the  very  same  time  that  the  conspiracy  was  being  discovered  in  the  senate,  and  you  conceive  this  coincidence  happened  rather  by  the  providence  of  God  than  by  any  chance  of  fortune.  And  you  think  that  the  statuary  who  had  contracted  for  the  making  of  that  column  with  Torquatus  and  Cotta,  was  not  so  long  delayed  in  accomplishing  his  work  by  idleness  or  poverty,  but  by  the  special  interposition  of  the  immortal  Gods.   Now  I  do  not  absolutely  deny  that  such  might  possibly  be  the  case;  but  I  do  not  know  that  it  was,  and  wish  to  be  instructed  by  you.  For  when  some  things  appeared  to  me  to  have  happened  by  chance  in  the  way  in  which  the  sooth  sayers  had  predicted,  you  launched  out  into  a  long  discourse  on  the  doctrine  of  chances,  saying  that  four  dice  thrown  at  hazard  may  produce  Venus  by  accident,  but  that  four  hundred  dice  cannot  produce  a  hundred  Venuses.  In  the  first  place,  I  know  no  reason  in  the  nature  of  things  why  they  should  not  do  even  this ;  but  I  will  not  argue  that  point,  for  you  have  plenty  of  similar  examples,  and  talk  about  a  chance  dashing  of  colours,  the  snout  of  a  pig,  and  many  other  similar  instances.  You  say  that  Carneades  argued  in  the  same  way  about  the  head  of  a  little  Pan  ;  as  if  that  might  not  have  happened  by  chance,  and  as  if  there  must  not  be  in  all  marble  the  raw  material  of  even  such  a  head  as  Praxiteles  would  have  made.  For  a  perfect  head  is  only  formed  by cutting  away.  Praxiteles  adds  nothing  to  the  marble,  but  when  much  that  was  superfluous  is  removed,  and  the  features  are  arrived  at,  then  you  learn  that  that  which  is  now  polished  up  was  always  contained  within.   Such  a  figure,  therefore,  may  have  spontaneously  existed  in  the  quarries  of  Chios.  But  grant  that  this  is  a  fiction,  have  you  never  fancied  that  you  could  discover  in  the  clouds  the  figures  of  lions  and  centaurs  1  Accident  may,  therefore,  some  times  imitate  nature,  though  you  denied  that  just  now.  But  as  we  have  sufficiently  discussed  divination  by  entrails  and  lightning,  we  must  now  consider  portents  and  prodigies,  in  order  that  we  may  leave  no  branch  of  the  system  of  the  soothsayers  untouched.   You  have  mentioned  a  wonderful  story  of  a  mule  that  was  delivered  of  a  colt;  a  strange  event,  because  of  its  extreme  rarity.  But  if  such  a  thing  were  impossible,  it  would  never  happen  at  all;  and  this  may  be  said  against  all  sorts  of  pro  digies,  that  those  things  which  are  impossible  never  happened  at  all;  and  if  they  are  possible,  it  need  not  surprise  us  that  they  happen  occasionally.   Besides,  in  extraordinary  events,  ignorance  of  their  causes  produces  astonishment;  but  in  ordinary  events  such  igno  rance  occasions  no  such  result.  The  man  who  is  astonished  if  a  mule  brings  forth  a  colt,  does  not  know  how  it  is  that  a  mare  brings  forth  a  foal,  or  indeed  how,  in  any  case,  nature  effects  the  birth  of  a  living  animal;  but  he  is  not  surprised  at  what  he  sees  frequently,  even  if  he  does  not  know  why  it  happens;  but  if  that  which  he  never  beheld  before  happens,  then  he  calls  it  a  prodigy.  In  this  case,  is  it  a  prodigy  when  the  mule  conceives,  or  when  she  brings  forth  1  Perhaps  the  conception  may  have  been  contrary  to  nature,  but  after  that  her  delivery  is  almost  necessary.   But  we  have  spoken  enough  on  this  topic:  let  us  examine  the  origin  of  the  establishment  of  soothsayers.  For  when  we  are  acquainted  with  it,  we  shall  be  better  able  to  judge  what  degree  of  credit  it  is  entitled  to.  They   tell   us  that  as   a   labourer  one  day  was  ploughing  in  a  field  in  the  territory  of  Tarquinium,  and  his  ploughshare  made  a  deeper  furrow  than  usual,  all  of  a  sudden  there  sprung  out  of  this  same  furrow  a  certain  Tages,  who,  as  it  is  recorded  in  the  books  of  the  Etrurians,  possessed  the visage  of  a  child,  but  the  prudence  of  a  sage.  When  the  labourer  was  surprised  at  seeing  him,  and  in  his  astonishment  made  a  great  outcry,  a  number  of  people  assembled  round  him,  and  before  long  all  the  Etrurians  came  together  at  the  spot.  Tages  then  discoursed  in  the  presence  of  an  immense  crowd,  who  treasured  up  his  words  with  the  greatest  care,  and  after  wards  committed  them  to  writing.  The  information  they  derived  from  this  Tages  was  the  foundation  of  the  science  of  the  soothsayers,  and  was  subsequently  improved  by  the  accession  of  many  new  facts,  all  of  which  confirmed  the  same  principles.   Here  is  the  story  that  the  Etrurians  give  out  to  the  world.  This  record  is  preserved  in  their  sacred  books,  and  from  it  their  augurial  discipline  is  deduced.   Now  do  you  imagine  that  we  need  a  Carneades  or  Epicurus  to  refute  such  a  fable  as  this1?  Lives  there  any  one  so  absurd  as  to  believe  that  this  (shall  I  say  god,  or  man  1)  was  thus  ploughed  up  out  of  the  earth  1  If  he  was  a  god,  why  did  he  conceal  himself  under  the  earth  against  the  order  of  nature,  so  as  not  to  behold  the  light  till  he  was  ploughed  up]  Could  not  that  same  god  have  instructed  mankind  from  a  station  somewhat  more  elevated  ?  And  if  this  Tages  was  a  man,  how  could  he  have  lived  thus  buried  and  smothered  in  the  earth  1  and  how  could  he  have  learnt  the  wonders  he  taught  to  others  ?   But  I  am  even  more  foolish  than  those  who  believe  such  nonsense,  for  thus  wasting  so  much  time  in  refxiting  them. There  is  an  old  saying  of  Cato,  familiar  enough  to  everybody,  that  "  he  wondered  that  when  one  soothsayer  met  another,  he  could  help  laughing."  For  of  all  the  events  pre  dicted  by  them,  how  very  few  actually  happen  ?  And  when  one  of  them  does  take  place,  where  is  the  proof  that  it  does  not  take  place  by  mere  accident  1   When  Hannibal  fled  to  king  Prusias,  and  was  eager  to  wage  war  with  the  enemy,  that  monarch  replied  that  he  dared  not  do  so,  because  the  entrails  of  the  sacrifice  wore  an  unfavourable  aspect.  "  Would  you,  then,"  said  Hannibal,  "rather  trust  a  bit  of  calf's  flesh  than  a  veteran  general?"  And  as  to  Caesar,  when  he  was  warned  by  the  chief  sooth  sayer  not  to  venture  into  Africa  before  the  winter,  did  he  not  cross?  If  he  had  not  done  so,  all  the  forces  of  the  enemy  would  have  assembled  in  one  place.  Why  need  I  enumeratethe  responses  of  the  soothsayers,  of  which  I  could  cite  an  infinite  number,  which  have  either  received  no  accomplishment  at  all,  or  an  accomplishment  exactly  the  reverse  of  the  prediction  1  In  this  last  Civil  War,  for  instance — good Heavens  !  how  often  were  their  responses  utterly  falsified  by  the  result !  How  many  false  prophecies  were  sent  to  us  from  Rome  into  Gi'eece  !  How  many  oracles  in  favour  of  Pompey  !  For  that  general  was  not  a  little  affected  by  entrails  and  prodigies.  I  have  no  wish  to  recount  these  things  to  you,  nor  indeed  is  it  necessary,  for  you  were  present.  But  you  see  that  nearly  all  the  events  took  place  in  the  manner  exactly  contrary  to  the  predictions.  So  much  for  responses.  Let  us  now  say  a  word  or  two  on  prodigies.  You  have  mentioned  several  things  on  this  topic  which  I  wrote  during  my  consulship.     You  have  brought  up  many  of  those  anecdotes  collected  by  Sisenna  before  the  Mar-  sian  War,  and  many  recorded  by  Callisthenes  before  the  un  fortunate  battle  of  the  Spartans  at  Leuctra,  of  each  of  which  I  will  speak  separately,  as  far  as  seems  necessary;  but  at  present  we  must  discuss  of  prodigies  in  general.   For  what  is  the  meaning  of  this  kind  of  divination — this  dreadful  denouncing  of  impending  calamities — derived  from  the  Gods  1  In  the  first  place,  what  is  the  object  of  the  Gods,  in  giving  us  prodigies  and  signs  which  we  cannot  understand  without  interpreters,  and  in  advertising  us  of  disasters  which  we  cannot  avoid  1  But  even  honest  men  do  not  act  thus,  giving  notice  to  their  friends  of  impending  misfortune  which  they  cannot  possibly  avoid;  and  physicians,  though  they  are  often  aware  of  the  fact,  yet  never  tell  their  patients  that  they  must  needs  die  of  the  complaint  from  which  they  are  suffering.  For  the  prediction  of  an  evil  is  only  beneficial  when  we  can  point  out  some  means  of  avoiding  it  or  miti  gating  it.   What  good,  then,  did  these  prodigies,  or  their  interpreters,  do  to  the  Spartans,  or  more  recently  to  the  Romans  1  If  they  are  to  be  considered  as  the  signs  of  the  Gods,  why  were  they  so  obscure  ?  For  if  they  were  sent  in  order  that  we  might understand  what  was  about  to  happen,  then  it  ought  to  have  been,  declared  intelligibly;  and  if  we  were  not  intended  to  know,  then  they  should  not  have  been  given  even  obscurely. As  for  all  conjectures  on  which  this  kind  of  divination  depends,  the  opinions  of  men  differ  so  much  from  each  other  that  they  often  make  very  opposite  deductions  from  the  same  thing.  For  as  in  legal  suits,  the  plea  of  the  plaintiff  is  contrary  to  that  of  the  defendant,  and  yet  both  are  within  the  limits  of  credibility, — so  in  all  those  affairs  which  only  admit  of  conjectural  interpretation,  the  reasoning  must  be  extremely  uncertain.  And  as  for  those  things  which  are  caused  at  times  by  nature,  and  at  others  by  chance,  (some  times,  too,  likeness  gives  rise  to  mistakes,)  it  is  very  foolish  to  attribute  all  these  things  to  the  interpositions  of  the  Gods,  without  examining  their  proximate  causes.   You  believe  that  the  Boeotian  diviners  of  Lebadia  foreknew  by  the  crowing  of  the  cocks  that  the  victory  belonged  to  the  Thebans,  because  these  birds  only  crow  when  they  are  vic  torious,  and  hold  their  peace  when  they  are  beaten.  Did,  then,  Jupiter  give  a  signal  to  so  important  a  city  by  the  means  of  hens  1  But  do  cocks  only  crow  when  they  are  vic  torious  1  At  that  time  they  were  crowing,  and  they  had  not  conquered.  You  say  that  this  was  a  prodigy.  It  would  have  been  a  prodigy,  and  a  very  great  one,  if  the  crowing  had  pro  ceeded  from  fishes  instead  of  birds.  But  what  hour  is  there  of  day,  or  of  night,  when  cocks  do  not  crow  1  and  if  they  are  sometimes  excited  to  crow  by  their  joy  in  victory,  they  may  likewise  be  excited  to  do  the  same  by  some  other  kind  of  joy.   Democritus,  indeed,  states  a  very  good  reason  why  cocks  crow  before  the  dawn;  for,  as  the  food  is  then  driven  out  of  their  stomachs,  and  distributed  over  their  whole  body  and  digested,  they  utter  a  crowing,  being  satiated  with  rest.  But  in  the  silence  of  the  night,  says  Ennius,  "  they  indulge  their  throats,  which  are  hoarse  with  crowing,  and  give  their  wings  repose."  As,  then,  this  animal  is  so  much  inclined  to  crow  of  its  own  accord,  what  made  it  occur  to  Callisthenes  to  assert  that  the  Gods  had  given  the  cocks  a  signal  to -crow;  since  either  nature  or  chance  might  have  done  it  ?  It  was  announced  to  the  senate  that  it  had  rained  blood,  that  the  river  had  become  blackened  with  blood,  and  that  the  statues  of  the  immortal  gods  were  covered  with  sweat.  Do  you  imagine  that  Thales  or  Anaxagoras,  or  any  other  natural  philosopher,  would  have  given  credence  to  such  news?  Blood  and  sweat  only  proceed  from  the  animal  body;  there  might  have  been  some  discoloration  caused  by  some    22 4  ox  contagion  of  earth  very  like  blood,  and  some  moisture  may  have  fallen  on  the  statues  from  without,  resembling  perspira  tion,  as  \ve  see  sometimes  in  plaster  during  the  prevalence  of  a  south  wind;  and  in  time  of  war  such  phenomena  appeal-  more  numerous  and  more  important  than  usual,  as  men  are  then  in  a  state  of  alarm,  while  they  are  not  noticed  in  peace.  Besides,  in  such  periods  of  fear  and  peril,  such  stories  are  more  easily  believed,  and  invented  with  more  impunity.   We  are,  however,  so  silly  and  inconsiderate,  that  if  mice,  which  are  always  at  that  work,  happen  to  gnaw  anything,  we  immediately  regard  it  as  a  prodigy.  So  because,  a  little  before  the  Marsian  war,  the  mice  gnawed  the  shields  at  Lanuvium,  the  soothsayers  declared  it  to  be  a  most  important  prodigy  ;  as  if  it  could  make  any  difference  whether  mice,  who  day  and  night  are  gnawing  something,  had  gnawed  bucklers  or  sieves.  For  if  we  are  to  be  guided  by  such  things,  I  ought  to  tremble  for  the  safety  of  the  commonwealth,  because  the  mice  lately  gnawed  Plato's  Republic  in  my  library;  and  if  they  had  eaten  the  book  of  Epicurus  on  Pleasure,  I  ought  to  have  expected  that  corn  would  rise  in  the  market.  Are  we,  then,  alarmed  if  at  any  time  any  unna  tural  productions  are  reported  as  having  proceeded  from  man  or  beast?  One  of  which  occurrences,  to  be  brief,  may  be  accounted  for  on  one  principle.  Whatever  is  born,  of  whatever  kind  it  may  be,  must  have  some  cause  in  nature,  so  that  even  though  it  may  be  contrary  to  custom,  it  cannot  possibly  be  contrary  to  nature.  Investigate,  if  you  can,  the  natural  cause  of  every  novel  and  extraordinary  circumstance: —  even  if  you  cannot  discover  the  cause,  still  you  may 'feel  sure  that  nothing  can  have  taken  place  without  a  cause  ;  and,  by  the  principles  of  nature,  drive  away  that  terror  which  the  novelty  of  the  thing  may  have  occasioned  you.  Then  neither  earthquakes,  nor  thunderstorms,  nor  showers  of  blood  and  stones,  nor  shooting  stars,  nor  glancing  torches  will  alarm  you  any  more.   If  you  ask  Chrysippus  to  explain  the  laws  hat  govern  these  phenomena,  though  he  is  a  great  defender  of  divina  tion,  he  will  never  tell  you  that  they  have  happened  by  chance,  but  he  will  give  you  a  natural  explanation  of  all  of  them.  For,  as  it  has  been  before  stated,  nothing  can  happen  without  a  cause,  and  nothing  happens  which  is  impossible;  iior,  if  that  has  happened  which  could  happen,  ought  it  to  be  regarded  as  a  prodigy.  Therefore  there  are  no  such  things  as  prodigies.  For  if  we  place  in  the  rank  of  prodigies  every  rare  occurrence,  it  follows  that  a  wise  man  is  one  of  the  greatest  prodigies.  For  I  believe  there  are  fewer  instances  of  wise  men  in  the  world,  than  of  mules  which  have  brought  forth  young.   So  this  principle  concludes  that  that  which  cannot  take  place  in  the  nature  of  things  never  does  take  place;  and  that  that  which  can  take  place  in  the  nature  of  things,  is  not  a  prodigy,  and  therefore  there  are  no  prodigies  at  all.  Therefore  a  diviner  and  interpreter  of  prodigies  being  con  sulted  by  a  man  who  informed  him,  as  a  great  prodigy,  that  he  had  discovered  in  his  house  a  serpent  coiled  around  a  bar,  answered  very  discreetly,  that  there  was  nothing  very  wonderful  in  this,  but  if  he  had  found  the  bar  coiled  around  the  serpent,  this  would  have  been  a  prodigy  indeed.  By  this  reply,  he  plainly  indicated  that  nothing  can  be  a  prodigy  which  is  consistent  with  the  nature  of  things.   XXIX.  Caius  Gracchus  wrote  to  Marcus  Pomponius,  that  his  father  having  caught  two  serpents  in  his  house,  sent  to  consult  the  soothsayers.  Why  were  two  serpents  entitled  to  such  an  honour  more  than  two  lizards  or  two  mice  1  Because  these  are  every  day  occurrences,  you  would  reply,  while  ser  pents  were  comparatively  rare  ;  as  if  it  signified  how  often  a  thing  which  was  possible  took  place.  But  I  marvel,  if  the  release  of  the  female  snake  caused  the  death  of  Tiberius  Gracchus,  and  that  of  the  male  was  to  be  fatal  to  Cornelia,  why  he  let  either  of  them  escape.  For  he  does  not  record  that  the  soothsayers  had  told  him  what  would  happen  if  he  let  neither  of  the  snakes  escape.  But  it  seems  T.  Gracchus  died  soon  after,  doubtless  of  some  natural  malady  which  destroyed  his  constitution,  and  not  because  he  had  saved  the  life  of  a  viper.   Not  that  the  infelicity  of  the  haruspices  is  so  great  that  their  predictions  are  never  fulfilled  by  any  chance  whatever.  And,  I  must  confess,  if  I  could  but  believe  it,  I  should  exceedingly  wonder  at  the  story  which  you  have  cited  from  Homer  respecting  the  prediction  of  Calchas,  who,  from  observing  the  number  of  a  flock  of  sparrows,  foretold  the  number  of  years  that  would  be  expended  in  the  siege  of  Troy.   DE  NAT.  ETC.  Q    2-6  ON Of  which  conjecture  Homer  makes  Agamemnon1  speak  thus,  if  I  may  repeat  you  a  translation  of  the  passage  which.  I  made  in  a  leisure  hour   Not  for  their  grief  the  Grecian  host  I  blame  ;  But  vanqui.sh'd  !  baffled  !  oh,  eternal  shame  !  Expect  the  time  to  Troy's  destruction  giv'n,  And  try  the  faith  of  Calchas  and  of  heav'n.  What  pass'd  at  Aulis,  Greece  can  witness  bear,  And  all  who  live  to  breathe  this  Phrygian  air,  Beside  a  fountain's  sacred  brink  was  raised  Our  verdant  altars,  and  the  victims  blazed  ;  ('Twas  where  the  plane-tree  spreads  its  shades  around)  The  altars  heaved  ;  and  from  the  crumbling  ground  A  mighty  dragon  shot,  of  dire  portent;  From  Jove  himself  the  dreadful  sign  was  sent.  Straight  to  the  tree  his  sanguine  spires  he  roll'd,  And  curl'd  around  in  many  a  winding  fold.  The  topmost  branch  a  mother-bird  possest ;  Eight  callow  infants  fill'd  the  mossy  nest  ;  Herself  the  ninth  :  the  serpent  as  he  hung,  Stretch'd  his  black  jaws,  and  crush'd  the  crying  young;  While  hov'ring  near,  with  miserable  moan,  The  drooping  mother  wail'd  her  children  gone.  The  mother  last,  as  round  the  nest  she  flew,  Seized  by  the  beating  wing,  the  monster  slew ;  Nor  long  survived,  to  marble  turn'd  he  stands  A  lasting  prodigy  on  Aulis'  sands.  Such  was  the  will  of  Jove ;  and  hence  we  dare  Trust  in  his  omen  and  support  the  war.  For  while  around  we  gazed  with  wond'ring  eyes,  And  trembling  sought  the  Pow'rs  with  sacrifice,  Full  of  his  god,  the  rev'rend  Calchas  cried :  Ye  Grecian  warriors,  lay  your  fears  aside,  This  wondrous  signal  Jove  himself  displays,  Of  long,  long  labours,  but  eternal  praise.  As  many  birds  as  by  the  snake  were  slain,  So  many  years  the  toils  of  Greece  remain  ;  But  wait  the  tenth,  for  llion's  fall  decreed.  Thus  spoke  the  prophet,  thus  the  fates  succeed.   Now  is  not  this  a  curious  mode  of  augury1? — to  conjecture  by  the  number  of  sparrows  eaten by  a  serpent,  the  number  of  years  expended  in  the  Trojan  war.  Why  years  rather  than  months  or  days?  And  how  -was  it  that  Calchas  selected  sparrows,  in  which  there  is  nothing  supernatural,  for  the  signs  of  his  prophecy  1  while  he  is  silent  about  the  serpent,  which   1  This  is  a  mistake  of  Cicero's.  It  is  Ulysses  who  speaks.  The  pas  sage  occurs in Iliad . JTU  changed,  as  it  is  said,  into  stone  (an  event  which  is  im  possible).  Lastly,  what  analogy  or  relatkfe  can  subsist  between  the  sparrows  seen  and  the  years  predicted  1   As  to  what  you  have  said  respecting  the  serpent  which  appeared  to  Sylla  while  he  was  sacrificing,  I  recollect  the  whole  circumstance  ;  and  remember  that  just  as  Sylla  was  about  to  attack  the  enemy  at  Nola,  he  made  a  sacrifice,  and  that  at  the  moment  the  victim  was  offered,  a  serpent  issued  from  beneath  the  altar,  and  that  the  same  day  a  glorious  victoiy  was  gained,  — not  l;wing  to  the  advice  of  the  soothsayers,  but  to  the  skill  of  the  general. And  prodigies  of  this  kind  have  nothing  miracu  lous  in  them ;  which,  when  they  have  taken  place,  are  brought  under  conjecture  by  some  particular  interpretation,  as  in  the  case  of  the  grain  of  wheat  found  in  the  mouth  of  Midas  while  an  infant,  or  that  of  the  bees,  which  are  said  to  have  settled  on  the  lips  of  the  infant  Plato.  Such  things  are  less  admirable  for  themselves  than  for  the  conjectures  they  gave  rise  to ;  for  they  may  either  not  have  taken  place  at  the  time  specified,  or  have  been  fulfilled  by  mere  accident.   I  likewise  suspect  the  truth  of  the  report  which  you  have  related  respecting  Roscius — namely,  that  a  serpent  was  found  coiled  round  him  when  he  was  in  his  cradle.  But  even  if  it  be  a  fact  that  a  serpent  was  thus  in  the  cradle,  it  is  not  very  wonderful,  especially  in  Solonium,  where  snakes  are  in  the  habit  of  basking  before  the  fire.  As  to  the  interpretation  which  the  soothsayers  gave  of  the  circumstance,  that  the  child  would  become  most  illustrious  and  most  celebrated,  I.  am  astonished  that  the  immortal  Gods  should  have  announced  such  great  glory  to  a  comedian,  and  preserved  such  an  obsti  nate  silence  respecting  Scipio  Africanus.   You  have  related  several  prodigies  whicli  happened  to  Flaminiusj  for  instance,  that  his  horse  suddenly  fell  with  him, — there  is  surely  nothing  very  astonishing  in  that.  Also,  that  the  standard  of  the  first  centurion  could  not  easily  be  pulled  out  of  the  earth.  Perhaps  the  standard-bearer  was  pulling  but  timidly  at  the  stick  which  he  had  fixed  in  the  ground  with  confident  resolution.  What  is  the  wonder  in  the  horse  of  Dionysius  having  escaped  out  of  the  river,  and  in  his  afterwards  having  had  a  swarm  of  bees  cluster  on  his  mane?  But  because  Dionvsius  happened  to  ascend  the throne  of  Syracuse  soon  after  this  event,  what  had  happened  by  chance  was  regarded  as  an  extraordinary  prodigy  and  prognostic.   You  go  on  to  say,  that  at  Lacedsemon,  the  armour  in  the  temple  of  Hercules  rattled.  At  Thebes  the  closed  gates  of  the  temple  of  the  same  God  suddenly  burst  open  of  their  own  accord,  and  the  bucklers  which  had  been  suspended  on  the  walls  fell  to  the  ground.  Certainly  nothing  of  this  kind  could  have  happened  without  some  motion  or  impulse ;  but  why  need  we  impute  such  motion  to  the  Gods  rather  than  call  it  an  accident1?  At  Delphi,  you  say,  that  a  chaplet  of  wild  herbs  suddenly  appeared  growing  on  the  head  of  Lysander's  statue.  Do  you  think  then  that  the  chaplet  of  herbs  existed  before  any  seed  was  ripened  1  These  seeds  were  probably  carried  there  by  birds,  not  by  human  agency,  and  whatever  is  on  a  head  may  seem  to  resemble  a  crown.  And  as  to  the  circum  stance  which  you  add,  that  about  the  same  time  the  golden  stars  of  Castor  and  Pollux,  placed  in  the  temple  of  Delphi,  suddenly  vanished,  and  could  nowhere  be  discovei'ed ;  this  seems  to  me  not  so  much  the  work  of  the  Gods,  as  the  sacrilege  of  thieves.   I  certainly  do  wonder  at  the  roguery  of  the  Ape  of  Dodona  being  recorded  in  the  Greek  histories.  For  what  is  less  strange  than  that  a  most  mischievous  animal  should  have  upset  the  urn,  and  scattered  the  oracular  lots  ?  The  his  torians,  however,  deny  that  this  prodigy  was  followed  by  any  disastrous  event  occurring  among  the  Lacedaemonians.   Now  to  come  to  what  you  have  reported  respecting  the  citizen  of  Veii,  who  declared  to  the  Senate  that  if  the.  Lake  Albanus  overflowed,  and  ran  into  the  sea,  Rome  would  perish,  and  that  if  its  course  were  diverted  elsewhere,  Veii  must  fall.  Accordingly  the  water  of  the  Alban  lake  was  subsequently  drained  away  by  new  channels,  not  for  the  safety  of  the  citadel  and  the  city,  but  solely  for  the  benefit  of  the  suburban  district.   A  short  time  afterwards,  a  voice  was  heard,  warning  cer  tain  individuals  to  beware  lest  Rome  should  be  taken  by  the  Gauls;  and  upon  this  they  consecrated  an  altar  on  the  New  Road,  to  Aius  the  Speaker.  What,  then,  did  this  Aius  the  Speaker  speak  and  talk,  and  derive  his  name  from  that  circumstance,  when  no  one  knew  him ;  and  has  he  been  silent  ever  since  he  has  had  an  habitation,  an  altar,  and  a  name  1  And  the  same  remark  will  apply  to  Juno  the  Admonitress;  for  what  warning  has  she  ever  given  us,  except  the  one  respecting  the  full  sow  1   XXXIII.  This  is  enough  to  say  about  prodigies.     Let  me  now  speak  of  auspices  and  of  lots — those,  I  mean,  which  are  thrown  at  hazard,  not  those  which  are  announced  by  vati  cination,  which  we  more  properly  call  oracles,  and  which  we  shall  discuss  when  we  investigate  divination  of  the  natural  order;  and  after  this  we  will  consider  the  astrology  of  the  Chaldeans.    But  first  let  us  consider  the  question  of  auspices.  It  is  a  very  delicate  matter  for  an  augur  to  speak  against  them.    Yes,  to  a  Marsian  perhaps,  but  not  to  a  Roman.     For  we  are  not  like  those  who  attempt  to  predict  the  future  by  the  flight  of  birds,  and  the  observation  of  other  signs ;  and  yet  I  believe  that  Romulus,  who  founded  our  city  by  the  auspices,  considered  the  augural  science   of  great  utility  in  foreseeing  matters.      For  antiquity  was  deceived  in  many  things,  which  time,  custom,  and   enlarged  experience  have  corrected.     And  the  custom  of  reverence  for,  and  discipline  and  rights  of,  the  augurs,  and  the  authority  of  the  college,  are  still  retained  for  the  sake  of  their  influence  on  the  minds  of  the  common  people.   And  certainly  the  consuls  P.  Claudius  and  L.  Junius  de  served  severe  punishment,  who  set  sail  in  defiance  of  the  auspices ;  for  they  ought  to  have  been  obedient  to  the  esta  blished  religion,  and  not  to  have  rejected  so  obstinately  the  national  ceremonials.  Justly,  therefore,  was  one  of  them  condemned  by  the  judgment  of  the  people,  while  the  other  perished  by  his  own  hand.  Flaminius,  likewise,  was  not  duly  submissive  to  the  auspices;  and  that  was  the  reason,  you  say,  why  he  was  defeated.  But,  the  year  afterwards,  Paullus  was  guided  by  them.  Did  he  the  less  for  that  perish  with  his  army  in  the  battle  of  Cannes  1   Even  allowing  the  existence  of  auspices,  which  I  do  not,  certainly  those  at  present  in  use,  whether  by  means  of  birds  or  celestial  signs,  are  but  mere  semblances  of  auspices,  and  not  real  ones.  "  Quintus  Fabius,  I  pray  thee,  assist  me  in  the  auspices."    He  answers,  "  I  have  heard."    The  augurial  officer  among  our  forefathers  was  a  skilful  and  learned  man ;  now  they  take  the  first  that  offers.  For  a  man  must  needs  be  skilful  and  learned  who  understands  the  meaning  of  silence.  For  in  auspices  we  call  that  silence  which  is  free  from  all  Irregularity.  To  understand  this,  belongs  to  a  perfect  augur.   It  sometimes  happens,  however,  that  when  he  who  wishes  to  consult  the  auspices  has  said  to  the  augur  whom  he  has  chosen  to  assist  him,  "  Say,  if  silence  is  observed,"  the  augur,  without  looking  above  or  around  him,  answers  immediately,  "  Silence  appears  to  be  observed."  On  this  the  consulter  rejoins,  "  Tell  me  whether  the  chickens  are  eating."  The  augur  replies,  "  They  are  eating."  But  when  the  consulter  fur  ther  demands,  "  What  kind  of  fowls  are  they,  and  whence  do  they  come?"  the  augur  answers,  "The  chickens  were  brought  in  a  cage  by  a  person  who  is  termed  a  poulterer."   Such,  then,  are  the  illustrious  birds  whom  we  call,  forsooth,  the  messengers  of  Jupiter ;  and  whether  they  eat  or  not,  what  does  it  signify  ?  Certainly  nothing  to  the  auspices.  But  since,  if  they  eat  at  all,  some  portion  of  food  must  inevitably  fall  on  the  ground  and  strike  (pavire)  the  earth,  this  was  at  first  called  terripavium,  then  terripudium,  and  is  now  called  tripudium.  When,  therefore,  the  chicken  lets  fall  from  its  beak  a  particle  of  its  food,  the  augur  declares  that  the  tripu  dium  solistimum  is  consummated. What  true  divination  can  there  be  in  an  auspice  of  this  nature,  so  artificially  forced  and  tortured  ?  which,  we  have  a  proof,  was  not  used  among  the  most  ancient  augurs  ;  for  we  have  an  ancient  decree  of  the  college  of  augurs,  that  any  bird  may  make  the  tripudium.  So  that,  then,  there  would  be  an  auspice  if  the  bird  was  free  to  show  itself,  and  the  bird  might  appear  to  be  the  messenger  and  interpreter  of  Jupiter.  But  when  a  miserable  bird  is  kept  in  a  cage,  and  ready  to  die  of  hunger, — if  such  an  one,  when  pecking  up  its  food,  happens  to  let  some  particle  fall,  can  you  think  this  an  auspice,  or  do  you  believe  that  Romulus  consulted  the  gods  in  this  manner  ?   Do  you  imagine  that  those  who  pretend  to  augury  apply  themselves  at  the  present  day  to  discern  the  signs  of  heaven  1  No ;  they  give  their  orders  to  the  poulterer.  He  makes  his  report.   It  has  been  reckoned  an  excellent  auspice  on  all  occasions, among  the  Romans,  when  it  thunders  on  the  left  hand,  except  in  reference  to  the  Comitia ;  and  this  exception  was  doubtless  contrived  for  the  benefit  of  the  commonwealth,  in  order  that  the  chiefs  of  the  state  might  be  the  interpreters  of  the  Comitia  in  whatever  concerns  the  judgments  of  the  people,  the  rights  of  the  laws,  and  the  creation  of  the  magistrates.  "  But,"  you  argue,  "  in  consequence  of  the  letters  of  Ti  berius  Gracchus,  Scipio  Nasica  and  Caius  Martins  Figulus  resigned  the  consulship,  because  the  augurs  determined  that  they  had  been  irregularly  created."  Well,  who  denies  that  there  is  a  school  of  Augurs  1  What  I  deny  is,  that  there  is  any  such  thing  as  divination.   "  But  the  soothsayers  are  diviners ;  and  after  Tiberius  Gracchus  had  introduced  them  into  the  senate,  on  account  of  the  sudden  death  of  the  individual  whose  office  it  was  to  report  the  order  of  the  elections,  they  said  that  the  Comitia  had  not  been  legally  constituted."   Now,  in  reference  to  this  case,  observe  that  they  could  not  speak  by  authority  of  the  summoner  of  the  president  of  the  centuries,  for  he  was  dead;  and  conjecture  without  divination  could  say  that.  Or  perhaps  what  they  said  was  no  better  than  the  result  of  chance,  which  prevails  to  a  considerable  extent  in  all  affairs  of  this  nature.  For  what  could  the  sooth  sayers  of  Etruria  know  as  to  whether  the  tent  they  observed  was  as  it  should  be,  and  whether  the  regulations  of  the  pomoerium,  or  circumvallation,  were  exactly  obeyed.   For  myself,  I  agree  with  the  sentiments  of  Caius  Marcellus  rather  than  with  those  of  Appius  Claudius,  who  were  both  of  them  my  colleagues ;  and  I  think  that,  although  the  college  and  law  of  augurs  were  first  instituted  on  account  of  the  reverence  entertained  for  divination  in  ancient  times,  they  were  afterwards  maintained  and  preserved  for  the  sake  of  the  state. Of  this,  however,  more  elsewhere.  At  present,  let  us  examine  the  auguries  of  other  nations  who  have  evinced  therein  more  superstition  than  art.  They  make  use  of  all  kinds  of  birds  for  their  auspices;  we  confine  ourselves  to  few:  and  one  set  of  omens  are  reckoned  unfavourable  by  them,  and  a  different  set  by  us.   King  Deiotarus  often  asked  me  for  an  account  of  our  discipline  and  system  of  divination,  and  I  asked  him  for  information  aoout  nis.  Good  heavens !  how  different  were  the  two  methods ,  in  some  instances,  so  much  so  as  to  be  downright  contradictory  to  one  another.  And  he  had  re  course  to  augurs  on  all  occasions ;  but  how  very  seldom  do  we  apply  to  them  unless  the  auspices  are  required  by  the  people  !   Our  ancestors  were  unwilling  to  wage  any  war  without  consulting  the  auspices.  But  how  many  years  have  elapsed  since  this  ceremony  has  been  neglected  by  our  proconsuls  and  propraetors  ?  They  never  take  auspices ;  they  do  not  pass  over  rivers  by  the  encouragement  of  omens ;  nor  do  they  wait  for  the  intimation  of  the  sacred  chickens.   As  to  that  divination  which  consists  in  observing  the  flight  of  birds  from  some  elevated  spot — once  considered  of  so  much  consequence  in  military  expeditions, — Marcus  Marcellus,  who  was  consul  five  times,  as  well  as  imperator  and  chief  augur  too,  omitted  it  altogether.  What  is  become,  then,  of  divina  tion  by  birds,  which  (as  wars  are  carried  on  by  people  who  take  no  care  about  any  auspices)  seems  to  be  retained  by  the  city  magistrates,  while  it  is  renounced  by  our  military  com  manders  ?  So  much  did  Marcellus  despise  auspices,  that  when  he  was  proceeding  on  any  enterprise,  he  was  accustomed  to  travel  in  a  closed  litter,  that  he  might  not  be  liable  to  be  hindered  by  them.  And  we  augurs  now-a-days  act  much  in  the  same  way,  when,  for  fear  of  what  is  called  a  joint  auspice,  we  order  the  sacrificial  cattle  to  be  separated  from  each  other.  Not  that  I  commend  conduct  like  this ;  for  to  make  these  contrivances,  either  that  an  auspice  should  not  happen  at  all,  or  that  if  it  happens  it  should  not  be  seen, —  what  is  it  but  an  attempt  to  avoid  the  admonitions  of  Jupiter  ?  It  is  ridiculous  enough  for  you  to  assert  that  this  king  Deiotarus  did  not  repent  of  having  believed  the  auspices  which  he  experienced  when  he  went  in  search  of  Pompey,  because  he  had,  by  doing  his  duty,  thus  secured  the  fidelity  and  friendship  of  the  Romans ;  for  that  praise  and  glory  were  dearer  to  him  than  his  kingdom  and  possessions.  I  dare  say  they  were ;  but  this  has  nothing  to  do  with  the  auspices.  Surely  no  crow  could  inform  him  that  it  was  a  piece  of  magnanimity  to  defend  the  liberty  of  the  Roman  people.  It  was  he  himself  who  felt  spontaneously  what  he  did  feel;  and birds  can  do  no  more  than  signify  bare  events,  be  they  for  tunate  or  disastrous.   Thus,  I  conceive  that  Deiotarus  in  this  affair  followed  no  other  auspices  than  those  of  conscience,  which  taught  him  to  prefer  his  duty  to  his  interest.  But  if  the  birds  showed  him  that  the  result  would  be  prosperous,  they  certainly  deceived  him  ;  for  he  fled  from  the  battle,  together  with  Pompey,  and  a  grievous  time  it  was  for  him.  From  this  general  he  was  compelled  to  separate — another  affliction  ;  and,  to  crown  his  troubles,  he  soon  had  Csesar  quartered  upon  him,  both  as  a  guest  and  an  enemy.  What  could  be  more  painful  than  this  ?  Lastly ,  Csesar,  after  having  deprived  him  of  the  tetrarchy  of  the  Trogini,  and  bestowed  it  on  a  certain  Pergamenian  of  his  train, — after  having  likewise  deprived  him  of  Armenia,  which  had  been  granted  him  by  the  senate, — after  having  been  entertained  by  him  with  most  princely  hospitality,  left  his  entertainer  the  king  wholly  stripped  of  his  possessions.   It  is  needless  to  add  more.  I  will  return  to  my  original  subject.  If  we  seek  to  know  events  by  those  auspices  which  are  sought  from  birds,  it  appears  by  this  argument  that  no  birds  could  truly  have  predicted  prosperity  to  king  Deiotarus.  If  we  want  to  know  our  duty,  that  is  not  to  be  sought  from  augury,  but  from  virtue.   I  say  nothing,  then,  of  the  augural  staff  of  Romulus,  which  you  declare  to  have  remained    unconsumed  by  fire  in  the  midst  of  a  general  conflagration ;  and  pass  over  the  razor  of  Attius  Navius,  which  is  reported  to  have  cut  through  a  whetstone.  Such  fables  as  these  should  not  be  admitted  into  philosophical  discussions.   What  a  philosopher  has  to  do  is,  first,  to  examine  the  nature  of  the  augural  science,  to  investigate  its  origin,  and  to  pursue  its  history.  But  how  pitiful  is  the  nature  of  a  science  which  pretends  that  the  eccentric  motions  of  birds  are  full  of  ominous  import,  and  that  all  manner  of  things  must  be  done,  or  left  undone,  as  their  flights  and  songs  may  indicate !  How  can  their  inclinations  to  the  right  or  left  determine  the  power  of  auspices  ?  and  how,  when,  and  by  wrhom  were  such  absurd  regulations  as  these  invented  ?   The  Etrurian  soothsayers  hold  as  the  author  of  their  dis  cipline  a  child  whom  a  ploughshare  suddenly  dug  up  from  a  clod  of  the  earth.  Whom  do  we  Romans  look  upon  as  the author  of  ours  ?  Is  it  Attius  Navius  ?  But  Romulus  and  Remus  lived  several  years  before  him,  and  they  were  both  augurs,  as  we  are  informed.  Shall  we  call  our  system  the  invention  of  the  Pisidians,  the  Cilicians,  or  the  Phrygians  1  Shall  we,  by  speaking  thus,  call  men  devoid  of  all  civilization  the  authors  of  divination  ?  "  But,"  you  say,  "  all  kings,  people,  and  nations  use  auspices ; "  as  if  there  was  anything  in  the  world  so  very  common  as  error  is,  or  as  if  you  yourself,  in  judging,  were  guided  by  the  opinion  of  the  multitude.   How  few,  for  instance,  are  there  who  deny  that  pleasure  is  a  good  :  most  people  even  think  it  the  chief  good.  But  is  the  Stoic  frightened  from  his  creed  by  their  numbers  ?  or  does  the  multitude  follow  their  authority  in  many  things  1  What  wonder  is  there,  then,  if  in  respect  of  auspices,  and  all  kinds  of  divinations,  weak  spirits  are  affected  by  those  popular  superstitions,  though  they  cannot  overturn  the  truth  1   And  what  uniformity  or  settled  agreement  exists  between  augurs [The  poet  Ennius,  referring  to  our  Roman  augurs,  says —   When  on  the  left  it  thunders,  all  goes  well.   In  Homer,  on  the  contrary,  Ajax,1  making  some  complaint  or  other  to  Achilles  about  the  ferocity  of  the  Trojans,  speaks  in  this  manner —   For  them  the  father  of  the  Gods  declares,  His  omens  on  the  right,  his  thunder  theirs.   So  that  omens  on  the  left  appear  fortunate  to  us,  while  the  Greeks  and  barbarians  prefer  those  on  the  right.  Although  I  am  not  unaware  that  our  Romans  call  prosperous  signs  sinistra,  even  if  they  are  in  fact  dextra.  But  certainly  our  countrymen  used  the  term  sinistra,  and  foreigners  the  word  dextra,  because  that  usually  appeared  the  best.  How  great,  however,  is  this  contrariety !  Why  need  I  stop  to  mention  that  they  use  different  birds  and  different  signs  from  our  selves?  they  take  their  observations  in  a  different  way,  and  give  answers  in  a  different  way;  and  it  is  superfluous  to  admit  that  some  of  these  modes  are  adopted  through  error,  some  through  superstition,  and  that  they  often  mislead. To  this  catalogue  of  superstitions  you  have  not  hesi-   1  This  is  another  piece  of  forge tfulness  on  the  part  of  Cicero.— See  Iliad,  ix.  236.   tated  to  add  a  number  of  omens  and  presages.  For  instance,  you  have  quoted  the  words  which  ./Emilia  addressed  to  Paulus,  that  Perses  had  perished  ;  which  Paulus  received  as  an  omen  of  success.  You  quote  likewise  the  speech  that  Cecilia  made  to  her  sister's  daughter — "  I  yield  my  place  to  you."  Nor  is  this  all :  you  cite  the  phrase,  favete  linguis  (keep  silence)  ;  and  you  extol  the  prerogative  presage  derived  from  the  name  of  the  person  who  takes  precedence  in  the  elections  of  the  comitia.  I  call  this  being  ingenious  and  eloquent  against  yourself;  for  how,  if  you  attend  to  things  like  these,  can  your  mind  be  free  and  calm  enough  to  follow,  not  supersti  tion,  but  reason,  as  your  guide  in  action  1  Is  it  not  so  ?  If  any  one,  while  speaking  on  his  own  affairs,  in  the  course  of  his  common  conversation,  drops  a  word  that  may  seem  to  you  to  bear  on  anything  which  you  are  thinking  or  doing,  shall  that  circumstance  inspire  you  with  either  fear  or  energy?   When  Marcus  Crassus  was  embarking  his  army  at  Brundu-  sium,  a.  certain  itinerant  vender  of  figs  from  Caunus  cried  out  in  the  harbour,  "  Will  you  buy  any  cauneas  /"  Let  us  say,  if  you  please,  that  this  was  an  omen  against  Crassus's  expedition ;  for  that  it  was  as  much  as  to  say,  Cave  ne  eas  (Beware  how  you  go),  and  that  if  Crassus  had  obeyed  the  omen  he  would  not  have  perished.  But  if  we  regard  such  omens  as  these,  we  shall  have  to  take  notice  of  sneezes,  the  breaking  of  a  shoe-tie,  or  the  tripping  over  a  pebble  in  walking.   It  now  remains  for  us  to  speak  of  the  lots,  and  the  Chal  dean  astrologers,  vaticinations,  and  dreams.  And  first  let  us  speak  of  lots.  What,  now,  is  a  lot?  Much  the  same  as  the  game  of  mora,  or  dice, !  and  other  games  of  chance,  in  which  luck  and  fortune  are  all  in  all,  and  reason  and  skill  avail  nothing.  These  games  are  full  of  trick  and  deceit,  invented  for  the  object  of  gain,  superstition,  or  error.   But  let  us  examine  the  imputed  origin  of  the  lots,  as  we  did  that  of  the  system  of  the  soothsayers.   We  read  in  the  records  of  the  Prsenestines,  that  Numeriua  Sufnicius,  a  man  of  high  reputation  and  rank,  had  often  been  commanded  by  dreams  (which  at  last  became  very  threaten-   !  The  Latin  has  quod  talos  jacere,  quod  tesseras, — tali  being  dice  with  four  flat  and  two  round  sides,  and  tesserce  dice  with  six  flat  sides.     ing)  to  cut  a  flint-stone  in  two,  at  a  particular  spot.  Being  extremely  alarmed  at  the  vision,  he  began  to  act  in  obedience  to  it,  in  spite  of  the  derision  of  his  fellow-citizens;  and  he  had  no  sooner  divided  the  stone,  than  he  found  therein  certain  lots,  engraved  in  ancient  characters  on  oak.  The  spot  in  •which  this  discovery  took  place  is  now  religiously  guarded,  being  consecrated  to  the  infant  Jupiter,  who  is  represented  with  Juno  as  sitting  in  the  lap  of  Fortune,  and  sucking  her  breasts,  and  is  most  chastely  worshipped  by  all  mothers.   At  the  same  time  and  place  in  which  the  Temple  of  For  tune  is  now  situated,  they  report  that  honey  flowed  out  of  an  olive.  Upon  this  the  augurs  declared  that  the  lots  there  instituted  would  be  held  in  the  highest  honour;  and,  at  their  command,  a  chest  was  forthwith  made  out  of  this  same  olive-  tree,  and  therein  those  lots  are  kept  by  which  the  oracles  of  Fortune  are  still  delivered.  But  how  can  there  be  the  least  degree  of  sure  and  certain  information  in  lots  like  these,  which,  under  Fortune's  direction,  are  shuffled  and  drawn  by  the  hands  of  a  child  ?  How  were  the  lots  conveyed  to  this  particular  spot,  and  who  cut  and  carved  the  oak  of  which  they  are  composed  1   "  Oh,"  say  they,  "  there  is  nothing  which  God  cannot  do."  I  wish  that  he  had  made  these  Stoical  sages  a  little  less  inclined  to  believe  every  idle  tale,  out  of  a  superstitious  and  miserable  solicitude.   The  common  sense  of  men  in  real  life  has  happily  succeeded  in  exploding  this  kind  of  divination.  It  is  only  the  antiquity  and  beauty  of  the  Temple  of  Fortune  that  any  longer  pre  serves  the  Prsenestine  lots  from  contempt  even  among  the  vulgar.  For  what  magistrate,  or  man  of  any  reputation,  ever  resorts  to  them  now?  And  in  all  other  places  they  are  wholly  disregarded  ;  so  that  Clitomachus  informs  us,  that  with  refe  rence  to  this,  Carneades  was  wont  to  say  that  he  had  never  been  so  fortunate  as  when  he  saw  Fortune  at  Prseneste.  So  we  will  say  no  more  on  this  topic.   Let  us  now  consider  the  prodigies  of  the  Chaldeans.  Eudoxus,  who  was  a  disciple  of  Plato,  and,  in  the  judgment  of  the  greatest  men,  the  first  astronomer  of  his  time,  formed  the  opinion,  and  committed  it  to  writing,  that  no  credence  should  be  given  to  the  predictions  of  the  Chaldeans  in  their  calculation  of  a  man's  life  from  the  day  of  his  nativity.  Paneetius,  who  is  almost  the  only  Stoic  who  rejects  astro  logical  prophecies,  says  that  Archelaus  and  Cassander,  the  two  principal  astronomers  of  the  age  in  which  he  himself  lived,  set  no  value  on  judicial  astrology,  though  they  were  very  celebrated  for  their  learning  in  other  parts of astronomy. Scylax  of  Halicarnassus,  a  great  friend  of  Pansetius,  and  a  first-rate  astronomer,  and  chief  magistrate  of  his  own  city,  likewise  rejected  all  the  predictions  of  the  Chaldeans.   But  to  proceed  merely  on  reason,  omitting  for  the  present  the  testimony  of  these  witnesses.   Those  who  put  faith  in  the  Chaldeans,  and  their  calcu  lations  of  nativities,  and  their  various  predictions,  argue  in  this  manner  :  they  affirm  that  in  that  circle  of  constellations  which  the  Greeks  term  the  Zodiac  there  resides  a  ceiiain  energy,  of  such  a  character  that  each  portion  of  its  circum  ference  influences  and  modifies  the  surrounding  heavens  ac  cording  to  what  stars  are  in  those  and  the  neighbouring  parts  at  each  season ;  and  that  this  energy  is  variously  affected  by  those  wandering  stars  which  we  call  planets.  But  when  they  come  into  that  portion  of  the  circle  in  which  is  situated  the  rise  of  that  star  which  appears  anew,  or  into  that  which  has  anything  in  conjunction  or  harmony  with  it,  they  term  it  the  true  or  quadrate  aspect.   And  moreover,  as  there  happen  at  every  season  of  the  year  several  astronomical  revolutions,  owing  to  approximations  and  retirements  of  the  stars  which  we  see,  which  are  affected  by  the  power  of  the  sun, — they  think  it  not  merely  probable,  but  true,  that  according  to  the  temperature  of  the  atmosphere  at  the  time  must  be  the  animation  and  formation  of  children  from  their  mother's  womb  ;  and  that  their  genius,  disposition,  temper,  constitution,  behaviour,  fortune,  and  destiny  through  life  depend  upon  that. What  an  incredible  insanity  is  this !  for  every  error  does  not  deserve  the  mere  name  of  folly.  The  Stoic  Diogenes  grants,  that  the  Chaldeans  possess  the  power  of  foreseeing  certain  events ;  to  the  limit,  that  is,  of  predicting  what  a  child's  disposition  and  his  particular  talent  and  ability  are  likely  to  be.  But  he  denies  that  the  other  things  which  they  profess  can  possibly  be  known.  For  instance ;  two  twins  may  re  semble  each  other  in  appearance,  and  yet  their  lives  and  fortunes  may  be  entirely  dissimilar.  Procles  and  Eurysthenes,  kings  of  the  Laceduemonians,  were  twin-brethren.  But  they  did  not  live  the  same  number  of  years ;  for  Procles  died  a  year  before  his  brother,  and  much  excelled  him  in  the  glory  of  his  actions.   But  I  question  whether  even  that  portion  of  prophetic  power  which  the  worthy  Diogenes  concedes  to  the  Chaldeans,  by  a  sort  of  prevarication  in  argument,  can  be  fairly  ascribed  to  them.  For,  as  according  to  them  the  birth  of  infants  is  regulated  by  the  moon,  and  as  the  Chaldeans  observe  and  take  notice  of  the  natal  stars  with  which  the  moon  happens  to  be  in  conjunction  at  the  moment  of  a  nativity,  they  are  founding  their  judgment  on  the  most  fallacious  evidence  of  their  eyes,  as  to  matters  which  they  ought  to  behold  by  reason  and  intellect.  For  the  science  of  Mathematics,  with  which  they  ought  to  be  acquainted,  should  teach  them  the  comparative  proximity  of  the  moon  to  the  earth,  and  its  re  lative  remoteness  from  the  planets  Venus  and  Mercury,  and  especially  from  the  sun,  whose  light  it  is  supposed  to  borrow.  And  the  other  three  intervals,  those,  namely,  which  separate  the  sun  from  Mars  and  from  Jupiter  and  from  Saturn,  and  the  distance  also  between  that  and  the  heaven,  which  is  the  bound  and  limit  of  our  universe,  are  infinite  and  immense.  What  influence,  then,  can  such  distant  orbs  ti'ansmit  to  the  moon,  or  rather  to  the  earth?  Moreover,  when  these  astrologers  maintain,  as  they  are  bound  to  maintain,  that  all  children  that  are  born  on  the  earth  under  the  same  planet  and  constellation,  having  the  same  signs  of  nativity,  must  experience  the  same  destinies,  they  make  an  assertion  which  evinces  the  greatest  ignorance  of  astronomy.  For  those  circles  which  divide  the  heaven  into  hemispheres — circles  which  the  Greeks  call  horizons,  and  the  Latins  finientes — perpetually  vary  according  to  the  spot  from  which  they  are  drawn ;  and,  therefore,  the  risings  and  settings  of  the  stars  appear  to  take  place  at  different  seasons  to  dif  ferent  races  of  men.   If,  then,  the  condition  of  the  atmosphere  is  affected  by  the  energy  and  virtue  of  the  stars,  sometimes  in  one  way  and  sometimes  in  another,  how  can  those  children  who  are  born  at  the  same  time  in  different  climates  be  subject  to  the  same  starry  influences  in  various  quarters  of  the  globe  1  For  instance,  in  the  country  which  we  Romans  inhabit,  the  dog-star  rises  some  days  after  the  summer  solstice,  while  among  the  Troglodytes,  a  people  of  Africa,  it  is  said  to  rise  before  it.  So  that  if  I  were  to  grant  that  the  heavenly  influences  have  an  effect  upon  all  the  children  who  are  born  upon  the  earth,  it  would  follow,  that  all  who  are  born  at  the  same  time  in  different  regions  of  the  earth,  must  be  born  not  with  the  same  but  with  different  inclinations  according  to  the  different  conditions  of  climate;  which,  however,  they  by  no  means  admit.  For  they  persist  in  maintaining  that  all  chil  dren  who  are  born  at  the  same  period,  have  at  their  nativity  the  same  astrologicl  destinies  allotted  to  them,  whatever  their  native  country  may  be. But  what  folly  is  it  to  imagine,  that  while  attending  to  the  swift  motions  and  revolutions  of  heaven,  we  should  take  no  notice  of  the  changes  of  the  atmosphere  immediately  around  us, — its  weather,  its  winds,  and  rains — when  weather  differs  so  much  even  in  places  which  are  nearest  to  one  another,  that  there  is  often  one  weather  at  Tusculum  and  another  at  Rome;  as  is  especially  remarked  by  sailors,  who,  after  having  doubled  a  cape,  often  find  the  greatest  possible  change  in  the  wind.   When  the  calmness  or  disturbed  state  of  the  weather  is  so  variable,  is  it  the  part  of  a  man  in  his  senses  to  say  that  these  circumstances  have  no  effect  on  the  births  of  children  happen  ing  at  that  moment,  (as,  indeed,  they  have  not,)  and  yet  to  affirm,  that  that  subtle  and  indefinable  thing,  which  cannot  be  felt  at  all,  and  can  scarcely  be  comprehended,  —  namely,  the  conjuncture  which  arises  from  the  moon  and  other  stars,  does  affect  the  birth  of  children  1 — What?  is  it  a  slight  error,  not  to  understand  that  by  this  system  that  energy  of  seminal  principles  which  is  of  so  much  influence  in  begetting  and  procreating  the  child  is  utterly  put  out  of  sight? — for  who  can  help  observing  that  the  parents  impress  on  their  children,  to  a  great  extent,  their  own  forms,  manners,  features,  and  gestures.  Now  this  could  hardly  happen  if  it  were  not  the  power  and  nature  of  the  parents  which  was  the  efficient  cause,  but  the  condition  of  the  moon  and  the  temperature  of  the  heavens.   Why  need  I  press  the  argument  that  those  who  are  born  at  one  and  the  same  moment,  are  dissimilar  in  their  nature,  their  lives,  and  their  circumstances?   Besides,  is  there  any  doubt  that  many  persons,  though  they  were  born  with  great  bodily  defects,  are  never  theless  afterwards  cured  of  them,  and  set  right  by  the  self-  corrective  power  of  their  nature,  or  by  the  attention  of  their  nui-ses,  or  the  skill  of  their  physicians?  or  that  many  chil  dren  have  been  born  so  tongue-tied  that  they  could  not  speak,  and  yet  have  been  cured  by  the  application  of  the  knife'?  Many  likewise  by  meditation  or  exercise  have  removed  their  natural  infirmities.  Thus  Phalereus  records  that  Demos  thenes  when  young  could  not  pronounce  the  letter  R;  but  afterwards  by  constant  practice  he  learnt  to  articulate  it  perfectly.  Now,  if  such  defects  had  been  occasioned  by  the  influence  of  the  stars,  nothing  could  have  altered  them.   Need  I  say  more?  Does  not  difference  of  situation  make  races  of  men  different  1  It  is  easy  enough  to  give  a  list  of  such  instances;  and  to  point  out  what  differences  exist  be  tween  the  Indians  and  Persians,  the  ^Ethiopians  and  Syrians,  in  respect  both  of  their  persons  and  characters,  so  as  to  present  an  incredible  variety  and  dissimilarity.  And  this  fact  proves,  that  the  climate  influences  the  nativities  of  men  far  more  than  the  aspect  of  the  moon  and  stars.  For  though  some  pretend  that  the  Chaldean  astrologers  have  verified  the  nativities  of  children  by  calculations  and  experi  ments  in  the  cases  of  all  the  children  who  have  been  born  for  470,000  years,  this  is  a  mistake.  For  had  they  been  in  the  habit  of  doing  so,  they  would  never  have  given  up  the  practice.  But.  as  it  is,  no  author  remains  who  knows  of  such  a  thing  being  done  now,  or  ever  having  been  done. You  see  that  I  am  not  using  the  arguments  of  Carneades,  but  those  rather  of  Pantetius,  the  chief  of  the  Stoics  But  answer  me  now  this  question.  Were  all  those  persons  who  were  slain  in  the  battle  of  Cannae  born  under  the  same  constellation,  as  they  met  with  one  and  the  same  end?  Again,  have  those  men  who  are  singular  in  their  genius  and  courage,  a  separate,  some  peculiar  star  of  their  own  too  1  For  what  moment  is  there  in  which  a  multitude  of  persons  are  not  born?  and  yet  no  one  has  ever  been  like  Homer.   And  if  the  aspect  of  the  stars  and  the  state  of  the  firma  ment  influenced  the  birth  of  every  being,  it  should,  by  parity  of  reasoning,  influence  inanimate  substances;  yet  what  can  be  more  absurd  than  such  an  idea?  I  grant,  indeed,  that  Lucius  Tarutius  of  Firma,  my  own  personal  friend,  and  a  man  particularly  well  acquainted  with  the  Chaldean  astrology,  traced  back  the  nativity  of  our  own  city,  Rome,  to  those  equinoctial  days  of  the  feast  of  Pales  in  which  Romulus  is  reported  to  have  begun  its  foundations,  and  asserted  that  the  moon  was  at  that  period  in  Libra,  and  on  this  discovery,  he  hesitated  not  to  pronounce  the  destinies  of  Rome.   Oh,  the  mighty  power  of  delusion !  Is  even  the  b'irth-day  of  a  city  subject  to  the  influence  of  the  stars  and  moon'?  Granting  even  that  the  condition  of  the  heavens,  when  he  draws  his  first  breath,  may  influence  the  life  of  a  child,  does  it  follow  that  it  can  have  any  effect  on  brick  or  cement,  of  which  a  city  is  composed?   Why  need  I  say  more?  Such  ideas  as  these  are  refuted  every  day.  How  many  of  these  Chaldean  prophecies  do  I  remember  being  repeated  to  Pompey,  Crassus,  and  to  Caesar  himself !  according  to  which,  not  one  of  these  heroes  was  to  die  except  in  old  age,  in  domestic  felicity,  and  perfect  renown ;  so  that  I  wonder  that  any  living  man  can  yet  believe  in  these  impostors,  whose  predictions  they  see  falsified  daily  by  facts  and  results.   -It  only  remains  for  us  now  to  examine  those  ttfo  sorts  of  divination  which  you  term  natural,  as  distin  guished  from  artificial — namely,  vaticinations  and  dreams.  With  your  permission,  brother  Quiutus,  we  will  now  treat  of  these.   I  shall  be  very  well  pleased  to  hear  you,  (answered  Quintus,)  for  I  entirely  agree  with  all  you  have  hitherto  advanced,  and,  to  tell  you  the  trut,  although  I  have  had  my  feelings  on  the  subject  strengthened  by  your  arguments,  yet  of  my  own  accord  I  looked  upon  the  opinion  of  the  Stoics  respecting  divination  as  rather  too  superstitious,  and  was  more  inclined  to  favour  the  arguments  which have  been  adduced  by  the  Peripatetics,  and  the  ancient  DicEearchus.  and  Cratippus,  who  now  flourishes,  who  all  maintain  that  there  exists  in  the  minds  of  men  a  certain  oracular  and  pro  phetic  power  of  presentiment,  whereby  they  anticipate  future  events,  whether  they  are  inspired  with  a  divine  ecstasy,  or  are  r.s  it  were  disengaged  from  the  body,  and  act  freely  and  easily  during  sleep.  I  wish  therefore  to  know  what  is  your  opinion  respecting  these  vaticinations  and  dreams,  and  by  what  ingenious  devices  you  mean  to  invalidate  them.   When  Quintus  had  thus  spoken,  I  proceeded  again  to  speak,  starting  afresh,  as  it  were,  from  a  new  beginning.   I  am  very  well  aware,  brother  Quintus,  I  replied,  that  you  have  always  entertained  doubts  respecting  the  other  kinds  of  divination;  but  that  you  are  very  favourable  to  the  two  natural  kinds — namely,  ecstasy  and  dreams,  which  appear  to  proceed  from  the  mind  when  at  liberty.  T  will  therefore  tell  you  my  idea  very  candidly  respecting  these  two  species  of  divination,  after  I  have  examined  a  little  the  sentiment  of  the  Stoics,  and  espe  cially  of  our  friend  Cratippus,  on  this  subject.  For  you  said  that  Cratippus,  Diogenes,  and  Antipater  summed  up  the  question  in  this  manner : — "  If  there  are  Gods,  and  they  do  not  inform  men  beforehand  respecting  future  events,  either  they  do  not  love  men,  or  do  not  know  what  is  going  to  happen;  or  they  think  that  the  knowledge  of  the  future  would  be  of  no  service  to  mankind;  or  they  believe  it  incon  sistent  with  the  majesty  of  Gods  to  reveal  to  men  the  things  that  must  come  to  pass;  or,  lastly,  we  must  believe  that  even  the  Gods  themselves  are  incapable  of  declaring  them.  But  we  cannot  say  that  the  Gods  do  not  love  man,  for  they  are  essentially  benevolent  and  philanthropic.  And  they  cannot  be  ignorant  of  those  things,  which  they  themselves  have  appointed  and  designed  :  neither  can  it  be  uninteresting  or  unimportant  to  us  to  know  what  must  happen  to  us,  for  we  should  be  more  prudent  if  we  did  know.  Nor  can  the  Gods  think  it  inconsistent  with  their  dignity  to  advertise  men  of  future  events,  for  nothing  can  be  more  sublime  than  doing-  good.  Nor  are  they  unable  to  perceive  the  future  before  hand.  If,  therefore,  there  are  no  Gods,  they  do  not  declare  the  future  to  us;  but  there  are  Gods,  therefore  they  do  declare.  And  if  the  Gods  declare  future  events  to  us,  they  must  have  furnished  us  with  means  whereby  we  may  appre  hend  them,  otherwise  they  would  declare  them  in  vain;  and  if  they  have  given  us  the  means  of  apprehending  divination,  then  there  is  a  divination  for  us  to  apprehend — therefore  there  is  a  divination."   0  acutest  of  men,  in  what  concise  terms  do  they  think  that  they  have  settled  the  question  for  ever!  They  assume premises  to  draw  their  conclusion  from,  not  one  of  which  is  granted  to  them.  But  the  only  conclusion  of  an  argument  which  can  be  approved,  is  one  in  which  the  point  doubted  of  is  established  by  facts  which  are  not  doubtful.   L.  Do  you  not  see  how  Epicurus,  whom  the  Stoics  forsooth  term  a  blunderer,  reasons  in  order  to  prove  that  the  universe  is  infinite  in  the  very  nature  of  things  ?  That  which  is  finite,  says  he,  has  an  end.  Every  one  will  concede  this.  What  ever  has  an  end,  may  be  seen  externally  from  something  else.  This  also  may  be  granted  him.  Now  that  which  includes  al,  cannot  be  discerned  externally  from  anything  else.  This  proposition  likewise  appears  undeniable.  Therefore  that  which  includes  all,  having  no  end,  is  necessarily  infinite.  Thus  by  the  proposition  which  we  are  compelled  to  admit,  he  clearly  proves  the  point  in  question.   Now  this  is  just  what  you  dialecticians  have  not  yet  done  in  favour  of  divination ;  and  you  not  only  bring  forward  no  pro  position  as  your  premises,  so  self-evident  as  to  be  universally  admitted  ;  but  you  assume  such  premises  as,  even  if  they  be  granted,  your  desired  conclusion  would  be  as  far  as  ever  from  following.  For  instance,  your  first  proposition  is  this:  If  there  are  Gods  they  must  needs  be  benevolent.  Who  will  grant  you  this  1  Will  Epicurus,  who  asserts  that  the  Gods  do  not  care  about  any  business  of  their  own  or  of  others  ?  or  will  our  own  countryman  Ennius,  who  was  applauded  by  all  the  Romans,  when  he  said —   I've  always  argued  that  the  Gods  exist,  But  that  they  care  for  mortals  I  deny ;   and  then  gives  reasons  for  his  opinion;  but  it  is  not  neces  sary  to  quote  him  further.  I  have  said  enough  to  show  that  your  friends  assume  as  certain,  propositions  which  are  matters  of  doubt  and  controversy.  The  next  proposition  is  this,  That  the  Gods  must  needs  know  all  things,  because  they  have  made  all  things.  But  how  great  a  dispute  is  there  as  to  this  fact  among  the  most  learned  men,  several  of  whom  deny  that  all  things  were  created  by  the  immortal  Gods!   Again,  they  assert,  that  it  is  the  interest  of  man  to  know  those  things  which  are  about  to  come  to  pass.  But  Dicsear-  chus  has  written  a  great  book  to  prove  that  ignorance  of  futurity  is  better  than  knowledge  of  futurity.  They  deny  that  it  is  inconsistent  with  the  majesty  of  the  Gods  to  look  into  every  man's  house,  forsooth,  so  as  to  see  what  is  expedient  for  each  individual.  Nor  is  it  possible,  say  they,  for  them  to  be  ignorant  of  the  future.  This  is  denied  by  those  who  will  not  allow  that  what  is  future  can  be  certain.  Do  not  you  see,  therefore,  that  they  have  assumed  as  certain  and  admitted  axioms,  things  which  are  doubtful  ?   After  which,  they  twist  the  argument  about  and  sum  it  up  thus :  "  Therefore,  there  are  no  Gods  ;  and  they  do  not  grant  men  intimations  of  the  future."  And,  having  settled  the  question  thus,  to  their  own  satisfaction,  they  add,  "  But  there  are  Gods  ;"  a  fact  which  is  not  admitted  by  all  men  ;  "  there  fore,  they  do  grant  intimations."  Even  that  consequence  I  cannot  see  ;  for  they  may  grant  no  intimations  of  the  future  and  yet  exist  as  Gods.   Again,  it  is  asserted  ;  If  the  Gods  grant  intimations  to  men  respecting  future  events,  they  must  grant  some  means  of  explaining  these  intimations.  But  surely  the  contrary  may  be  the  case ;  for  the  Gods  may  keep  to  themselves  the  mean  ing  of  the  signs  which  they  impart  to  men ;  for  else,  why  should  they  teach  it  to  the  Etrurians  rather  than  to  the  Romans?   Again,  they  argue,  that  if  the  Gods  have  given  men  the  means  of  understanding  the  signs  they  impart,  then  the  existence  of  divination  is  manifest.  Biit  grant  that  the  Gods  do  give  such  means,  what  does  it  avail,  if  we  happen  to  be  incapable  of  receiving  them  1   Last  of  all,  their  conclusion  is ;  Therefore,  there  certainly  is  such  a  thing  as  divination.  It  may  be  their  conclusion,  but  it  is  not  proved;  for,  as  they  themselves  have  taught  us,  •'  false  premises  cannot  produce  a  true  result."  Therefore,  the  whole  conclusion  falls  to  the  ground.  Let  us  now  consider  the  arguments  of  that  most  excellent  man,  our  friend  Cratippus.  As,  says  he,  the  use  and  function  of  sight  cannot  exist  without  the  eyes — and  yet  the  eyes  do  not  always  perform  their  office, — and,  as  he  who  has  once  enjoyed  correct  sight,  so  as  to  see  what  truly  exists,  is  conscious  of  the  reality  of  vision ; — so,  if  the  practice  of  divination  cannot  exist  without  the  power  of  divination — and  though  in  the  exercise  of  this  power  of  divination  some  errors  may  occur,  and  the  diviner  may  be  misled  so  as  not  to  foresee   the  truth ;  yet  the  existence  of  divination  is  sufficiently  attested  by  the  fact  that  some  true  divinations  have  been  made,  containing  such  exact  predictions  of  all  the  particulars  of  future  events,  that  they  can  never  have  been  made  by  chance,  — of  which  numerous  instances  might  be  cited.  The  exist  ence  of  divination  must  therefore  be  admitted.   The  argument  is  neatly  and  concisely  stated.  But  Cra-  tippus  twice  assumes  what  he  wishes  to  prove  ;  and  even  if  we  were  willing  to  grant  him  very  large  concessions,  we  could  not  possibly  agree  with  his  conclusions.   His  argument  is  this  :  Though  the  eyes  should  sometimes  possess  very  imperfect  sight,  yet,  provided  they  sometimes  see  clearly,  it  is  evident  that  the  power  of  vision  is  in  them.  On  the  same  principle,  if  any  one  has  ever  once  uttered  a  true  divination,  he  must  always  be  considered  as  possessing  the  faculty  of  divining,  even  when  he  blunders.   LIII.  Now  I  entreat  you,  my  dear  Cratippus,  to  consider  how  little  is  the  resemblance  between  these  two  cases.  To  me  there  is  none  at  all.  The  eyes  which  see  clearly  exert  no  more  than  their  natural  faculty  of  sight.  But  minds,  if  they  have  sometimes  truly  foreseen  future  events,  either  in  ecsta  sies  or  dreams,  have  done  so  by  fortune  and  accident ;  unless,  indeed,  you  imagine  those  who  believe  that  dreams  are  but  dreams,  will  grant  you  that  when  they  happen  to  dream  any  thing  that  is  true,  it  is  no  longer  the  effect  of  chance.   But  we  may  concede  for  the  present  these  two  assumptions  of  Cratippus,  which  the  Greek  dialecticians  would  call  lem  mata.  But  we  prefer  speaking  in  Latin  ;  still  the  presump  tion,  which  they  term  prolepsis,  cannot  be  granted.   Cratippus  goes  on  assuming  premises  in  this  manner  :  There  are,  says  he,  presentiments  innumerable  which  are  not  fortuitous.  Now  this  we  absolutely  deny.  See  how  great  is  the  magnitude  of  the  difference  between  us.  Not  being  able  to  agree  with  his  premises,  I  assert  that  he  has  drawn  no  conclusion.  Oh,  but  perhaps  it  is  very  impudent  of  us  not  to  concede  a  point  which  is  so  clear !  But  what  is  clear  ?  "  Why,"  he  replies,  "  that  many  predictions  are  fulfilled."  Yes ;  but  are  there  not  many  more  which  are  not  fulfilled  ?  Does  not  this  very  variation,  which  is  the  peculiar  property  of  fortune,  teach  us  that  fortune,  not  nature,  regulates  such  predictions  ?    Moreover,  if  your  conclusion  is  true,  0  renowned  Cratip-  pus  ! — for  to  you  I  address  myself — do  not  you  perceive  that  the  soothsayers,  and  those  who  predict  by  thunder  and  light  ning,  and  the  interpreters  of  prodigies,  and  the  augurs,  and  the  Chaldean  astrologers,  and  those  who  tell  fortunes  by  drawing  lots,  will  all  bring  forward  the  same  argument  as  yourself  in  their  own  favour?  Not  one  of  these  men  has  been  so  unfortunate  as  never  on  any  occasion  to  find  his  pre  dictions  verified.  This  being  the  case,  you  must  either  admit  all  the  other  kinds  of  divination  which  you  now  most  properly  reject;  or,  if  you  absolutely  condemn  them,  I  do  not  see  how  you  will  be  able  to  defend  those  two  which  you  retain  as  favourable  exceptions.  For  on  the  same  principle  that  you  maintain  these,  the  others  also  may  be  true  which  you  discard.   LIV.  But  what  authority  has  this  same  ecstasy,  which  you  choose  to  call  divine,  that  enables  the  madman  to  foresee  things  inscrutable  to  the  sage,  and  which  invests  with  divine  senses  a  man  who  has  lost  all  his  human  ones  1   We  Romans  preserve  with  solicitude  the  verses  which  the  Sibyl  is  reported  to  have  uttered  when  in  an  ecstasy, — the  interpreter  of  which  is  by  common  report  believed  to  have  recently  uttered  certain  falsities  in  the  senate,  to  the  effect  that  he  whom  we  did  really  treat  as  king  should  also  be  called  king,  if  we  would  be  safe.  If  such  a  prediction  is  indeed  contained  in  the  books  of  the  Sibyl,  to  what  particular  person  or  period  does  it  refer  ?  For,  whoever  was  the  author  of  these  Sibylline  oracles,  they  are  very  ingeniously  com  posed  ;  since,  as  all  specific  definition  of  person  and  period  is  omitted,  they  in  some  way  or  other  appear  to  predict  everything  that  happens.  Besides  this,  the  Sibylline  oracles  are  involved  in  such  profound  obscurity,  that  the  same  verses  might  seem  at  different  times  to  refer  to  different  subjects.   It  is  evident,  however,  that  they  are  not  a  song  composed  by  any  one  in  a  prophetic  ecstasy,  as  the  poem  itself  evinces,  being  far  less  remarkable  for  enthusiasm  and  inspiration  than  for  technicality  and  labour ;  and  as  is  especially  proved  by  that  arrangement  which  the  Greeks  call  acrostics — where,  from  the  first  letter  of  each  verse  in  order,  words  are  formed  which  express  some  particular  meaning ;  as  is  the  case  with some  of  Ennius's  verses,  the  initial  letters  of  which  make,  ""Which  Ennius  wrote."  But  such  verses  indicate  rather  attention  than  ecstasy  in  those  who  write  them.   Now,  in  the  verses  of  the  Sibyl,  the  whole  of  the  paragraph  on  each  subject  is  contained  in  the  initial  letters  of  every  verse  of  that  same  paragraph.  This  is  evidently  the  artifice  of  a  practised  writer,  not  of  one  in  a  frenzy  ;  and  rather  of  a  diligent  mind  than  of  an  insane  one.  Therefore,  let  us  con  sider  the  Sibyl  as  so  distinct  and  isolated  a  character,  that,  according  to  the  ordinance  of  our  ancestors,  the  Sibylline  books  shall  not  even  be  read  except  by  decree  of  the  senate,  and  be  used  rather  for  the  putting  down  than  the  taking  up  of  religious  fancies.  And  let  us  so  arrange  matters  with  the  priests  under  whose  custody  they  remain,  that  they  may  pro  phesy  anything  rather  than  a  king  from  these  mysterious  volumes  ;  for  neither  Gods  nor  men  any  longer  tolerate  the  notion  of  restoring  kingly  government  at  Rome.   LV.  But  many  people,  you  say,  have  in  repeated  instances  uttered  true  predictions ;  as,  for  example,  Cassandra,  when  she  said,  "  Already  is  the  fleet,'' '  &c. ;  and  in  a  subsequent  prophecy,  "Ah!  see  you  not?"  &c.  Do  you  then  expect  me  to  give  credence  to  these  fables  1  I  will  grant  that  they  are  as  delightful  as  you  please  to  call  them, — that  they  are  polished  up  with  every  conceivable  beauty  of  language,  sentiment,  music,  and  rhythm.  LuL  we  are  not  bound  to  invest  fictions  of  this  kind  with  any  authority,  or  to  give  them  any  belief.   And,  on  the  same  principle,  I  do  not  think  any  one  bound  to  pay  any  attention  to  such  diviners  as  Publicius  (whoever  he  may  be),  or  Martius,  or  to  the  secret  oracles  of  Apollo ;  of  which  some  are  notoriously  false,  and  others  uttered  at  i-an-  dom,  so  that  they  command  little  respect,  I  will  not  say  from  learned  men,  but  even  from  any  person  of  plain  common  sense.   "  What !"  you  will  say,  "  did  not  that  old  sailor  of  the  fleet  of  Coponius  predict  truly  the  events  which  took  place  ?"  No  doubt  he  did ;  but  they  happened  to  be  those  very  things  which  at  the  time  everybody  thought  most  likely  to  ensue.  For  we  were  daily  hearing  that  the  two  armies  were  situated  near  each  other  in  Thessaly ;  and  it  appeared  to  us  that  Caesar's  army  had  the  greater  audacity,  inasmuch  as  it  was waging  war  against  its  own  country,  and  the  greater  strength,  being  composed  of  veteran  soldiers.  And  as  to  the  battle,  there  was  not  one  of  us  who  did  not  dread  the  result,  though,  as  brave  men  should,  we  kept  our  anxiety  to  ourselves,  and  expressed  no  alarm.   What  wonder,  however,  was  it  that  this  Greek  sailor  was  forced  from  all  self-possession  and  constancy,  as  is  very  com  mon,  by  the  greatness  of  his  terror  and  affright ;  and  that,  being  driven  to  distraction  by  his  own  cowardice,  he  uttered  those  convictions  when  raving  mad  which  he  had  cherished  when  yet  sane  ?  Which,  in  the  name  of  Gods  and  men,  is  most  likely;  that  a  mad  sailor  should  have  attained  to  a  know  ledge  of  the  counsels  of  the  immortal  Gods,  or  that  some  one  of  us  who  were  on  the  spot  at  the  time — myself,  for  in  stance,  or  Cato,  or  Varro,  or  Coponius  himself — could  have  done  so  ?    I  now  come  to  you,   Apollo,  monarch  of  the  sacred  centre   Of  the  threat  world,  full  of  thy  inspiration,   The  Pythian  priestesses  proclaim  thy  prophecies.   For  Chrysipyus  has  filled  an  entire  volume  with  your  oracles,  many  of  which,  as  I  said  before,  I  consider  utterly  false,  and  many  others  only  true  by  accident,  as  often  happens  in  any  common  conversation.  Others,  again,  are  so  obscure  and  involved,  that  their  very  interpreters  have  need  of  other  interpreters  ;  and  the  decisions  of  one  lot  have  to  be  referred  to  other  lots.  Another  portion  of  them  are  so  ambiguous,  that  they  require  to  be  analysed  by  the  logic  of  dialecticians.  Thus,  when  Fortune  uttered  the  following  oracle  respecting  Croesus,  the  richest  king  of  Asia, — •   "  When  Crocus  has  the  Halys  cross'd,  A  mifdity  kingdom  will  be  lost ;"   that  monarch  expected  he  should  ruin  the  power  of  his  enemies  ;  but  the  empire  that  he  ruined  was  his  own.  And  whichever  result  had  ensued  the  oracle  would  have  been  true.  But,  in  truth,  what  reason  have  I  to  believe  that  such  an  oracle  was  ever  uttered  respecting  Croesus  1  or  why  should  I  think  Herodotus  more  veracious  than  Ennuis'?  Is  the  one  less  full  of  fictions  respecting  Croesus  than  the  other  is  re  specting  Pyrrhus  1  For  who  now  believes  that  the  following  answer  was  given  to  Pyrrhus  by  the  oracle  of  Apollo  ? "You  ask  your  fate;  0  king,  I  answer  you,  yEacides  the  Romans  will  subdue  !"   For,  in  the  first  place,  Apollo  never  uttered  an  oracle  in  Latin;  secondly,  this  oracle  is  altogether  unknown  to  the  Greeks.  Besides,  in  the  days  of  Pyrrhus,  Apollo  had  already  left  off  composing  verses.  Lastly,  although  it  was  always  the  case,  as  is  said  in  these  lines  of  Ennius,—   "  The  JEacids  were  but  a  stupid  race,  More  warlike  than  sagacious," —   yet  even  Pyrrhus  might  without  much  difficulty  have  per  ceived  the  ambiguity  of  the  phrase,   "  ^Eacides  the  Romans  will  subdue;"   and  might  have  seen  that  it  did  not  apply  more  to  himself  than  it  did  to  the  Romans.   As  to  that  ambiguity  which  deceived  Croesus,  it  might  even  have  deceived  Chrysippus.  This  one  could  not  have  deluded  even  Epicurus.  But  the  chief  argument  is,  why  are  the  Delphic  oracles  altered  in  such  a  way  that — I  do  not  mean  only  lately  in  our  own  time,  but  for  a  long  time — nothing  can  have  been  more  contemptible  1   When  we  press  our  antagonists  for  a  reason  for  this,  they  say  that  the  peculiar  virtue  of  the  spot  from  which  those  exhalations  of  the  earth  arose,  under  the  influence  and  excite  ment  of  which  the  Pythian  priestess  uttered  her  oracles,  has  disappeared  by  the  lapse  of  time.  You  might  suppose  they  were  speaking  of  wine  or  salt,  which  do  lose  their  flavour  by  lapse  of  time;  but  they  are  talking  thus  of  the  virtue  of  a  place,  and  that  not  merely  a  natural,  but  a  divine  virtue;  and  how  is  that  to  have  disappeared  ?  By  reason  of  age,  is  your  reply.  But  what  age  can  possibly  destroy  a  divine  virtue  ?  and  what  virtue  can  be  so  divine  as  an  exhalation  of  the  earth  which  has  the  power  of  inspiring  the  mind,  and  ren  dering  it  so  prophetic  of  things  to  come,  that  it  can  not  only  discern  them  long  before  they  happen,  but  even  declare  them  in  verse  and  rhythm  ?  And  when  did  this  magical  virtue  dis  appear  1  Was  it  not  precisely  at  the  time  when  men  began  to  be  less  credulous  ?   Demosthenes,  who  lived  nearly  three  hundred  years  ago,  said  that  even  in  his  time  the  Pythia  Philippized — that  is  to    say,  supported  Philip's  influence;  and  his  expression  was  meant  to  convey  the  imputation  that  she  had  been  bribed  by  Philip.  From  which  we  may  infer  that  other  oracles  besides  those  of  Delphi  were  not  quite  immaculate.  Somehow  or  other,  certain  philosophers  who  are  very  superstitious — not  to  say  fanatical — appear  to  prefer  anything  to  behaving  with  common  sense  themselves  ;  and  so  you  prefer  asserting  that  that  has  vanished,  and  become  extinct,  which,  if  it  ever  had  existed,  must  certainly  have  been  eternal,  rather  than  not  believe  what  is  wholly  incredible. The  error  with  regard  to  the  divination  of  dreams  is  another  of  the  same  kind  ;  their  arguments  for  which  are  extremly  far-fetched  and  obscure.  They  affirm  that  the  minds  of  men  are  divine,  that  they  came  from  God,  and  that  the  universe  is  full  of  these  consenting  intelligences.  That,  therefore,  by  this  inherent  divinity  of  the  mind,  and  by  its  conjunction  with  other  spirits,  it  may  foresee  future  events.  But  Zeno  and  the  Stoics  supposed  the  mind  to  contract,  to  subside,  to  yield,  and  even  to  sleep,  itself.  And  Pythagoras  and  Plato,  authors  of  the  greatest  weight,  advise  men,  with  a  view  of  seeing  things  more  certainly  in  sleep,  to  go  to  bed  after  having  gone  through  a  certain  preparatory  course  of  food  and  other  conduct.  Pythagoras,  for  this  reason,  coun  selled  his  disciples  to  abstain  from  beans;  with  the  idea  that  this  species  of  food  excited  the  mind,  not  the  stomach.  In  short,  somehow  or  other,  I  know  nothing  is  so  absurd  as  not  to  have  found  an  advocate  in  one  of  the  philosophers.   Do  we  then  think  that  the  minds  of  men  during  sleep  move  by  an  intrinsic  internal  energy,  or  that,  as  Democritus  pre  tends,  they  are  affected  with  external  and  adventitious  visions?  On  either  supposition  we  may  mistake  during  our  dreams  many  false  things  for  true.   For  to  people  sailing,  those  things  appear  to  be  in  motion  which  are  stationary,  and  by  a  certain  ocular  deception,  the  light  of  a  candle  sometimes  seems  double.  Why  need  I  in  stance  the  number  of  false  appearances  which  are  presented  to  the  eyes  of  men,  among  those  who  labour  under  drunken  ness,  or  maniacs  ?   Now,  if  we  cannot  trust  such  appearances  as  those,  I  know  not  why  we  are  to  place  any  absolute  reliance  on  the  visions  of  dreams;  for  you  might  as  well,  if  you  pleased,  argue  irom  these  errors  as  from  dreams.  For  instance,  that  if  stationary  objects  appear  to  move,  you  might  say  that  this  appearance  indicated  the  approach  of  an  earthquake,  or  some  sudden  flight ;  and  that  lights  seen  double  presage  wars,  and  discords,  and  seditions. From  the  visions  of  drunkards  and  madmen  one  might,  doubtless,  deduce  innumerable  const  quences  by  con  jecture,  which  might  seem  to  be  presages  of  future  events.  For  what  person  who  aims  at  a  mark  all  day  long  will  not  sometimes  hit  it  1  We  sleep  every  night  ;  and  there  are  very  few  on  which  we  do  not  dream;  can  we  wonder  then  that  what  we  dream  sometimes  comes  to  pass  ?   What  is  so  uncertain  as  the  cast  of  dice  1  and  yet  no  one  plays  dice  often  without  at  times  casting  the  point  of  Venus,  and  sometimes  even  twice  or  thrice  in  succession.  Shall  we,  then,  be  so  absurd  as  to  attribute  such  an  event  to  the  impulse  of  Venus,  rather  than  to  the  doctrine  of  chances'?  If  then,  on  ordinary  occasions,  we  are  not  bound  to  give  credit  to  false  appearances,  I  do  not  see  why  sleep  should  enjoy  this  special  privilege,  that  its  false  seemings  should  be  honoured  as  true  realities.   If  it  were  an  institution  of  nature  that  men  when  they  sleep  really  did  the  things  which  they  dream  about,  it  would  be  necessary  to  bind  all  persons  going  to  bed  both  hand  and  foot,  for  they  would  otherwise  while  dreaming  perpetrate  more  outrages  than  maniacs.  Now  since  we  place  no  confi  dence  in  the  visions  of  madmen,  simply  because  they  are  delusions,  I  do  not  see  why  we  should  rely  on  those  of  dreamers,  which  are  often  the  wilder  of  the  two.  Is  it  because  madmen  do  not  think  it  worth  while  to  relate  their  visions  to  diviners,  but  those  who  dream  do [Once  more  I  put  this  question.  If  I  feel  inclined  to  read  or  write  anything,  or  to  sing  or  play  on  an  instrument,  or  to  pursue  the  sciences  of  geometry,  physics,  or  dialectics,  am  I  to  wait  for  information  in  these  sciences  from  a  dream,  or  shall  I  have  recourse  to  study,  without  which  none  of  those  things  can  be  either  done  or  explained  1  Again,  if  I  were  to  wish  to  take  a  voyage,  I  should  never  regulate  my  steering  by  my  dreams.  For  such  conduct  would  bring  its  own  im  mediate  punishment.   How,  then,  can  it  be  reasonable  for  an  invalid  to  apply  for relief  to  an  interpreter  of  dreams  rather  than  to  a  physician?  Can  Esculapius  or  Serapis,  by  a  dream,  best  prescribe  to  us  the  way  to  obtain  a  cure  for  weak  health  1  And  cannot  Neptune  do  the  same  for  a  pilot  in  his  art  ?  Or  will  Minerva  give  us  medicine  without  troubling  the  doctor?  And  still  will  the  Muses  refuse  to  impart  to  dreamers  the  art  of  writing,  reading,  and  the  other  sciences  ?  But  if  the  blessing  of  health  were  conveyed  to  us  in  dreams,  these  other  good  things  would  certainly  be  so  too.  But  unfortunately  the  science  of  medicine  cannot  be  learnt  in  dreams,  and  the  other  arts  are  in  a  similar  predicament.  And  if  that  be  the  case,  then  all  the  authority  of  dreams  is  at  an  end.   LX.  But  this  is  only  a  superficial  argument.  Let  us  now  penetrate  the  heart  of  this  question.   For  either  some  divine  energy  which  takes  care  of  us,  gives  us  presentiments  in  our  dreams  ;  or  those  who  explain  them  do,  by  a  certain  harmony  and  conjunction  of  nature  which  they  call  a~u/j.Tra.Oeia  (sympathy),  understand  by  means  of  dreams  what  is  suitable  for  everything,  and  what  is  the  con  sequence  of  everything  ;  or,  lastly,  neither  of  these  things  is  true  ;  but  there  is  a  constant  system  of  observation  of  long  standing,  by  which  it  had  been  remarked,  that  after  certain  dreams  certain  events  usually  follow.   The  first  thing  then  for  us  to  understand  is,  that  there  is  no  divine  energy  which  inspires  dreams;  and  this  being  granted,  you  must  also  grant  that  no  visions  of  dreamers  proceed  from  the  agency  of  the  Gods.  For  the  Gods  have  for  our  own  sake  given  us  intellect  sufficiently  to  provide  for  our  future  welfare.  How  few  people  then  attend  to  dreams,  or  under  stand  them,  or  remember  them  !  How  many,  on  the  other  hand,  despise  them,  and  think  any  superstitious  observation  of  them  a  sign  of  a  weak  and  imbecile  mind!   Why  then  should  God  take  the  trouble  to  consult  the  interest  of  this  man,  or  to  warn  that  one  by  dreams,  when  ho  knows  that  they  not  only  do  not  think  them  worth  attending  to,  but  they  do  not  even  condescend  to  remember  them.  For  a  God  cannot  be  ignorant  of  the  sentiments  of  every  man,  and  it  is  unworthy  of  a  God  to  do  anything  in  vain,  or  without  a  cause  ;  nay,  that  would  be  unworthy  of  even  a  wise  man.  If,  therefore,  dreams  are  for  the  most  part  disregarded,  or  despised,  either  God  is  ignorant  of  that  being the  fact,  or  employs  the  intimation  by  dreams  in  vain.  Neither  of  these  suppositions  can  properly  apply  to  God,  and  therefore  it  must  be  confessed,  that  God  gives  men  no  inti  mations  by  means  of  dream. Again,  let  me  ask  you,  if  God  gives  us  visions  of  a  prophetic  nature,  in  order  to  apprise  us  of  future  events,  should  we  not  rather  expect  them  when  we  are  awake  than  when  we  are  asleep  1  For,  whether  it  be  some  external  and  adventitious  impulse  which  affects  the  minds  of  those  who  are  asleep,  or  whether  those  minds  are  affected  voluntarily  by  tiieir  own  agency,  or  whether  there  is  any  other  cause  why  we  seem  to  see  and  hear  or  do  anything  during  sleep,  the  same  impulses  might  surely  operate  on  them  when  awake.  And  if  for  our  sakes  the  Gods  effect  this  during  sleep,  they  might  do  it  for  us  while  awake.   Especially  as  Chrysippus,  wishing  to  refute  the  Acade  micians,  makes  this  remark — That  those  inspirations,  visions,  and  presentiments  which  occur  to  us  awake,  are  much  more  distinct  and  certain  than  those  which  present  themselves  to  dreamers.  It  would,  therefore,  have  been  more  worthy  of  the  divine  beneficence  while  exerting  its  care  for  us,  rather  to  favour  us  with  clear  visions  when we  are  awake,  than  with  the  perplexed  phantasms  of  dreams;  and  since  that  is  not  done,  we  must  believe  that  these  phantasms  are  not  divine  at  all.  Moreover,  what  is  the  use  of  such  round-about  and  circuitous  proceedings,  as  for  it  to  be  necessary  to  employ  interpreters  of  dreams,  rather  than  to  proceed  by  a  straight  forward  course  1  If  God  were  indeed  anxious  for  oxir  interests,  he  would  say,  "  Do  this — do  not  that;"  and  he  would  give  such  intimations  to  a  waking  rather  than  to  a  sleeping  man;  but  as  it  is,  who  would  venture  to  assert  that  all  dreams  are  true  ?  Ennius  says,  that  some  dreams  are  prophetical;  he  adds  also,  that  it  does  not  follow  that  all  are  so. Now  whence  arises  this  distinction  between  true  dreams  and  false  ones  1  and  if  true  dreams  come  from  God,  from  whence  come  the  false  ones  ?  For  if  these  last  do  like  wise  come  from  God,  what  can  be  more  inconsistent  than  God  ?  And  what  can  be  more  ignorant  conduct  than  to  excite  the  minds  of  mortals  by  false  and  deceitful  visions  ?  But  f only  true  dreams  come  from  God,  and  the  false  and groundless  ones  are  merely  human  delusions,  what  authority  have  you  for  making  such  a  distinction  as  is  implied  in  saying,  God  did  this,  and  nature  that  1  Why  not  rather  say  either  that  all  dreams  come  from  God  (which  you  deny),  or  all  from  nature?  which  necessarily  follows,  since  you  deny  that  they  proceed  from  God.   By  nature  I  mean  that  essential  activity  of  the  mind  owing  to  which  it  never  stands  still,  and  is  never  free  from  some  agitation  or  motion  or  other.  When  in  consequence  of  the  weakness  of  the  body  it  loses  the  use  of  both  the  limbs  and  the  senses,  it  is  still  affected  by  various  and  uncertain  visions  aris  ing  (as  Aristotle  observes)  from  the  relics  of  the  several  affairs  which  employed  our  thoughts  and  labours  during  our  waking  hours;  owing  to  the  disturbances  of  which,  marvellous  varieties  of  dreams  and  visions  at  times  arise.  If  some  of  these  are  false,  and  others  true,  I  shall  be  glad  to  be  informed  by  what  definite  art  we  are  to  distinguish  the  true  from  the  false.  If  there  be  no  such  art,  why  do  we  consult  the  inter  preters  1  If  there  be  any  such  art,  then  I  wish  to  know  what  it  is. But  they  will  hesitate.  For  it  is  a  matter  of  ques  tion,  which  is  more  probable;  that  the  supreme  and  im  mortal  Gods,  who  excel  in  every  kind  of  superiority,  employ  themselves  in  visiting  all  night  long  not  merely  the  beds,  but  the  very  pallets  of  men,  and  as  soon  as  they  find  any  person  fairly  snoring,  entertain  his  imagination  with  per  plexed  dreams  and  obscure  visions,  which  sends  him  in  great  alarm  as  soon  as  daylight  dawns  to  consult  the  seer  and  interpreter:  or  whether  these  dreams  are  the  result  of  natural  causes,  and  the  everactive,  everworking  mind  having  seen  things  when  awake,  seems  to  see  them  again  when  asleep.  Which  is  the  more  philosophical  course,  to  interpret  these  phenomena  according  to  the  superstitions  of  old  women,  or  by  natural  explanations  1   So  that  even  if  a  true  interpretation  of  dreams  could  exist,  it  is  certainly  not  in  the  possession  of  those  who  profess  it,  for  these  people  are  the  lowest  and  most  ignorant  of  the  people.  And  it  is  not  without  reason  that  your  friends  the  Stoics  affirm,  that  no  one  can  ever  be  a  diviner  but  a  wise  man.   Chrysippus,  indeed,  defines  divination  in  these  words  :  "  It is,"  says  he,  "  a  power  of  apprehending,  discerning,  and  ex  plaining  those  signs  which  are  given  by  the  Gods  to  men  as  portents;"  and  he  adds,  that  the  proper  office  of  a  sooth  sayer  is  to  know  beforehand  the  disposition  of  the  Gods  hi  regard  to  men,  and  to  declare  what  intimations  they  give,  and  by  what  means  these  prodigies  are  to  be  propitiated  or  averted.  The  interpretation  of  dreams  he  also  defines  in  this  manner.  "  It  is,"  says  he,  " a power  of  beholding  and  revealing  those things  which  the  Gods  signify  to  men  in  dreams."  Well,  then,  does  this  require  but  a  moderate  degree  of  wisdom,  or  rather  consummate  sagacity,  and  perfect  erudition  ?and a  man  so  endowed  we  have  never known. Consider,  therefore, whether  even  if  I  were  to  concede  to  you  that  there  is  such  a  thing  as  divination which  I  never  will  concedeit  would  still  not  follow  that  a  diviner  could  be  found  to  exercise  it  truly.  But  what  strange  ideas  must  the  Gods  have,  if  the  intimations  which  they  give  us  in  dreams  are  such  as  we  cannot  understand  of  ourselves,  and  such,  too,  as  we  cannot  find  interpreters  of:  acting  almost    wisely  as  the  Carthaginians  and  Spaniards  would  do  if  they  were  to  harangue  in  their  native  languages  in  our  Roman  senate  without  an  interpreter.   But  what  is  the  object  of  these  enigmas  and  obscurities  of  dreamers  1  For  the  Gods  ought  to  wish  us  to  under  stand  those  things  which  they  reveal  to  us  for  our  own  sake  and  benefit.  What!  is  no  poet,  no  natural  philoso  pher  obscure  ?  Euphorion  certainly  is  obscure  enough,  but  Homer  is  not;  which,  then,  is  the  best  ?  Heraclitus  is  very  puzzling,  Democritus  is  very  lucid;  are  they  to  be  compared  ?  You,  for  my  own  sake,  give  me  advice  that  I  do  not  understand  !   What  is  it,  then,  that  you  are  advising  me  to  do  ?  Suppose  a  medical  man  were  to  prescribe  to  a  sick  man  an  earth-born,  grass-walking,  housecarrying,  unsanguineous  animal,  in  stead  of  simply  saying,  a  snail;  so  Amphion  in  Pacuvius  speaks  of —   A  four-footed  and  slow going  beast,  Rugged,  debased,  and  harsh  ;  his  head  is  short,  His  neck  is  serpentine,  his  aspect  stern  ;  He  has  no  blood,  but  is  an  animal  Inanimate,  not  voiceless.  When  these  obscure  verses  had  been  duly  recited,  the  Greeks  cried  out,  We  do  not  understand  you  unless  you  tell  us  plainly  what  animal  you  mean  ?  I  mean,  said  Pacuvius,  I  mean  in  one  word,  a  tortoise.  Could  you  not,  then,  said  the  questioner,  have  told  us  so  at  first?  We  read  in  that  volume  which  Chrysippus  has  written  concerning  dreams,  that  some  one  having  dreamed  in  the  night  that  he  saw  an  egg  hanging  on  his  bed-post,  went  to  consult  the  interpreter  about  it.  The  interpreter  informed  him  that  the  dream  signified  that  a  sum  of  money  was  con  cealed  under  his  bed.  He  dug,  and  found  a  little  gold  sur  rounded  by  a  heap  of  silver.  Upon  this,  he  sent  the  inter  preter  as  much  of  the  silver  as  he  thought  a  fair  reward.  Then  said  the  interpreter,  "  What!  none  of  the  yolk  1  "  For  that  part  of  the  egg  appeared  to  have  intimated  gold,  while  the  rest  meant  silver.   But  did  no  one  else  ever  dream  of  eggs  ;  if  others  have,  too,  then  why  is  this  man  the  only  one  who  ever  found  a  treasure  in  consequence  1  How  many  poor  people  are  there  worthy  of  the  help  of  the  Gods,  to  whom  they  vouchsafe  no  such  fortunate  intimations!  And,  again,  why  did  this  indi  vidual  receive  such  an  obscure  sign  of  a  treasure  o,s  could  be  afforded  by  the  resemblance  of  an  egg,  instead  of  being  distinctly  commanded  at  once  to  look  for  a  treasure,  in  the  same  way  as  Simonides  was  expressly  forbidden  to  put  to  sea?  Therefore,  obscure  dreams  are  not  at  all  consistent  with  the  majesty  of  the  Gods.  But  let  us  now  treat  of  those  dreams  which  you  term  clear  and  definite,  such  as  that  of  the  Arcadian  whoso  friend  was  killed  by  the  inn-keeper  at  Megara,  or  that  of  Simonides,  who  was  warned  not  to  set  sail  by  an  apparition  of  a  man  whose  interment  he  had  kindly  superintended.  The  history  of  Alexander  presents  us  with  another  instance  of  this  kind,  which  I  wonder  you  did  not  cite,  who,  after  his  friend  Ptolemy  had  been  wounded  in  battle  by  a  poisoned  arrow,  and  when  he  appeared  to  be  dying  of  the  wound,  and  was  in  great  agony,  fell  asleep  while  sitting  by  his  bed,  and  in  his  slumber  is  said  to  have  seen  a  vision  of  the  serpent  which  his  mother  Olympias  cherished,  bringing  a  root  in  his  mouth,  and  telling  him  that  it  grew  in  a  spot  very  near  at  hand,  and  that  it  possessed  such  medicinal  virtue,  that  it  would  easily  cure  Ptolemy  if  applied  to  his  wound.  On  awaking,  Alexander  related  his  dream,  and  messengers  were  sent  to  look  for  that  plant,  which,  when  it  was  found,  not  only  cured  Ptolemy,  but  likewise  several  other  soldiers,  who  during  the  engagement  had  been  wounded  by  similar  arrows.   You  have  related  a  number  of  dreams  of  this  nature  bor  rowed  from  history.  For  instance,  that  of  the  mother  of  Phalaris — that  of  King  Cyrus — that  of  the  mother  of  Dionysius — that  of  Hamilcar  the  Carthaginian — that  of  Hannibal —  that  of  Publius  Decius — that  notorious  one  of  the  president —  that  of  Caius  Gracchus— and  the  recent  one  of  Ceecilia,  the  daughter  of  Metellus  Balearicus.  But  the  main  part  of  these  dreams  happened  to  strangers,  and  on  that  account  we  know  little  of  their  particular  circumstances  : —some  of  them  may  be  mere  fictions;  for  who  are  they  vouched  by?   As  to  those  dreams  that  have  occurred  in  our  personal  experience,  what  can  we  say  about  them,about  your  dream  respecting  myself  and  my  horse  being  submerged  close  to  the  bank;  or  mine,  that  Marius  with  the  laurelled  fasces  ordered  me  to  be  conducted  into  his  monument? All  these  dreams,  my  brother,  are  of  the  same  character,  and,  by  the  immortal  Gods,  let  us  not  make  so  poor  a  use  of  our  eason,  as  to  subject  it  to  our  superstition  and  delusions.  For  what  do  you  suppose  the  Marius  was  that  appeared  to  me  ?  His  ghost  or  image,  I  suppose,  as  Demo-  critus  would  call  it.  Whence,  then,  did  his  image  come  from  1  For  images,  according  to  him,  flow  from  solid  bodies  and  palpable  forms.  What  body  then  of  Marius  was  in  exist  ence  ?  It  came,  he  would  say,  from  that  body  which  had  existed  ;  for  all  things  are  full  of  images.  It  was,  then,  the  image  of  Marius  that  haunted  me  on  the  Atinian  territory,  for  no  forms  can  be  imagined  except  by  the  impulsion  of  images.   What  are  we  to  think  then  1  Are  those  images  so  obedient  to  our  word  that  they  come  before  us  at  our  bidding  as  soon  as  we  wish  them  ;  and  even  images  of  things  which  have  no  reality  whatsoever?  For  what  form  is  there  so  preposterous  and  absurd  that  the  mind  cannot  form  to  itself  a  picture  of  it  ?  so  much  so  indeed  that  we  can  bring  before  our  minds  even  things  which  we  have  never  seen;  as,  for  instance,  the  situations  of  towns  and  the  figures  of  men. When,  then,  I  dream  of  the  walls  of  Babylon,  or  the  counte  nance  of  Homer,  is  it  because  some  physical  image  of  them  strikes  my  mind1?  All  things,  then,  which  we  desie  to  be  so,  can  be  known  to  us,  for  there  is  nothing  of  which  we  cannot  think.  Therefore,  no  images  steal  in  upon  the  mind  of  the  sleeper  from  without;  nor  indeed  are  such  external  images  flowing  about  at  all;  and  I  never  knew  any  one  who  talked  nonsense  with  greater  authority.   The  energy  and  nature  of  human  minds  is  so  vigorous  that  they  go  on  exerting  themselves  while  awake  by  no  adven  titious  impulse,  but  by  a  motion  of  their  own,  with  a  most  incredible  celerity.  When  these  minds  are  duly  supported  by  the  physical  organs  and  senses  of  the  body,  they  see  and  conceive  and  discern  all  things  with  precision  and  certainty.  But  when  this  support  is  withdrawn,  and  the  mind  is  deserted  by  the  languor  of  the  body,  then  it  is  put  in  motion  by  its  own  force.  Therefore,  forms  and  actions  belong  to  it;  and  many  things  appear  to  be  heard  by,  and  said  to  it.   Then,  when  the  mind  is  in  a  weak  and  relaxed  state,  many  things  present  themselves  to  it  commingled  and  varied  in  every  kind  of  manner  ;  and  most  especially  do  the  reminiscences  of-  those  things  flit  before  the  mind  and  move  about,  which  excited  its  interest  or  employed  its  active  energies  when  awake.  As,  for  instance,  Marius  at  that  time  was  often  pre  sent  to  my  mind  while  I  recollected  with  what  magnanimity  and  constancy  he  had  borne  his  sad  misfortunes  ;  and  this,  I  imagine,  is  the  reason  why  I  dreamed  of  him.  You  also  were  thinking  of  me  with  great  anxiety,  when  suddenly  I  appeared  to  you  to  have  just  escaped  out  of  the  river.  For  there  were  in  both  of  our  minds  the  traces  of  our  waking  thoughts.  In  both  instances,  however,  there  were  certain  additional  circumstances;  as  in  mine,  the  visit  to  the  temple  of  Marius;  and  in  yours,  the  reappearance  of  the  horse  on  which  I  was  riding,  and  who  sunk  at  the  same  time  with  myself.  Do  you  think  then,  you  will  say,  that  any  old  woman  would  be  so  doting  as  to  believe  dreams  if  they  did  not  sometimes  and  at  random  turn  out  true  ?  A  dragon  appeared  to  address  Alexander.  Doubtless  this  might  be  true,  or  it  might  be  false;  but  whichever  the  case  may  have  been,  there  is  surely  nothing  very  wonderful  about  it;  for  he  did  not  hear  this  serpent  speakinglie  onlydreamed  that  he  heard  him;  and  to  make  the  story  more  remarkable,  the  serpent  appeared  with  a  branch  in  its  mouth,  and  yet  spoke:  still  nothing  is  difficult  or  impossible  in  a  dream.   I  would  ask,  however,  how  it  was  that  Alexander  had  this  one  dream  so  remarkable  and  so  certain,  though  he  had  no  such  dream  on  any  other  occasion,  nor  have  other  people  seen  many  such.  For  myself,  excepting  that  about  Marius,  I  do  not  recollect  having  experienced  one  worth  speaking  of.  I  must,  therefore,  have  wasted  to  no  purpose  as  many  nights,  as  I  have  slept  during  my  long  life.   Now,  indeed,  on  account  of  the  intermission  of  my  forensic  labours,  I  have  diminished  my  evening  studies,  and  added  some  noonday  slumbers,  in  which  I  never  indulged  before.  But  yet,  though  I  sleep  so  much  more  than  formerly,  I  am  never  visited  with  a  prophetic  dream,  which  I  should  con  sider  a  singular  favour  now,  though  engaged  in  such  weighty  affairs.  Nor  do  I  seem  ever  to  experience  any  more  important  dream  than  when  I  see  the  magistrates  in  the  forum,  and  the  senate  in  the  senatehouse.  In  truth,  (and  this  is  the  second  branch  of  your  division,)  what  connexion  and  conjunction  of  nature  (which,  as  I  have  said,  the  Greeks  term  avp.ira.6euL,)  is  there  of  such  a  character,  that  a  treasure  is  to  be  understood  by  an  egg?  Physicians,  indeed,  know  of  certain  facts  by  which  they  perceive  the  approaches  and  increase  of  diseases;  there  are  also  some  indications  of  a  return  to  health;  so  that  the  very  fact  whether  we  have  plenty  to  eat  or  whether  we  are  dying  of  hunger,  is  said  to  be  indicated  by  some  kinds  of  dreamn.  But  by  what  rational  connexion  are  treasures,  and  honours,  and  victories,  and  things  of  that  kind,  joined  to  dreams'?   They  tell  us,  that  a  certain  individual  dreaming  of sexual  coition,  ejected  calculi:  I  grant  that  sympathy  may  have  had  something  to  do  in  a  case  like  this,because,  in  sleeping,  his  imagination  might  have  been  so  affected  with  sensual  images,  that  such  an  emission  took  place  by  the  force  of  nature,  rather  than  by  supernatural  phantasms.  But  what  sympathy  could  have  presented  to  Simonides  the  image  of  the  person,  who  in  a  dream  warned  him  not  to  put  to  sea  1  Or  what  sympathy  could  have  occasioned  the  vision  of  Alcibiades,  who,  a  little  before  his  death,  is  said  to  have  dreamed  that     ie  was  arrayed  in  the  robes  of  Timandra  his  mistress?  What  relation  could  this  have  with  the  event  which  afterwards  happened  to  him;  when,  being  slain  and  cast  naked  into  the  street  and  abandoned  by  all  the  world,  his  mistress  took  off  her  mantle  and  covered  his  dead  body  with  it?  Was  this  then  fixed  as  a  piece  of  futurity,  and  had  it  natural  causes,  or  was  it  mere  accident  that  the  dream  was  seen,  and  came  true ?  Do  not  the  conjectures  of  the  interpreters  of  dreams  rather  indicate  the  subtlety  of  their  own  talents,  than  any  natural  sympathy  and  correspondence  in  the  nature  of  things?   A  runner,  who  intended  to  run  in  the  Olympic  games,  dreamed  during  the  night  that  he  was  being  driven  in  a  chariot  drawn  by  four  horses.  In  the  morning  he  applied  to  an  interpreter.  He  replied  to  him,  You  will  win  :  that  is  what  is  intimated  by  the  strength  and  swiftness  of  the  horses.  He  then  applied  to  Antiphon,  who  said  to  him,  By  your  dream  it  appears  that  you  must  lose  the  race  ;  for  do  you  not  see  that  four  reached  the  goal  before  you  ?   Here  is  another  story  respecting  an  athlete;  and  the  books  of  Chrysippus  and  Antipater  are  full  of  such  stories.  How  ever,  I  will  return  to  the  runner.  He  then  went  to  a  sooth  sayer  and  informed  him  that  he  had  just  dreamed  that  he  was  changed  into  an  eagle.  You  have  won  your  race  (said  the  seer),  for  this  eagle  is  the  swiftest  of  all  birds.  He  also  went  to  Antiphon,  who  said  to  him,  You  will  certainly  be  conquered;  for  the  eagle  chases  and  drives  other  birds  which  fly  before  it,  and  consequently  is  always  behind  the  rest.   A  certain  matron,  who  was  very  anxious  to  have  children,  and  who  doubted  whether  she  was  pregnant  or  not,  dreamed  one  night  that  her  womb  was  sealed  up;  she,  therefore,  asked  a  soothsayer  whether  her  dream  signified  her  pregnancy  ?  He  said,  No  ;  for  the  sealing  implied,  that  there  could  be  no  con  ception.  But  another  whom  she  consulted  said,  that  her  dream  plainly  proved  her  pregnancy;  for  vessels  that  have  nothing  in  them  are  never  sealed  at  all.  How  delusive,  then,  is  this  conjectural  art  of  those  interpreters  !  Or  do  these  stories  that  I  have  recited,  and  a  host  of  similar  ones  which  the  Stoics  have  collected,  prove  anything  else  but  the  subtlety  of  men,  who,  from  certain  imaginary  analogies  of  things,  arrive  at  all  sorts  of  opposite  conclusions?   Physicians  derive  certain  indications  from  the  veins   and breath  of  a  sick  man;  and  have  many  other  symptoms  by  which  they  judge  of  the  future.  So,  when  pilots  see  the  cuttlefish  leaping,  and  the  dolphins  betaking  themselves  to  the  harbours,  they  recognise  these  indications  as  sure  signs  of  an  approaching  storm.  Such  signs  may  be  easily  explained  by  reference  to  the  laws  of  nature;  but  those  which  I  was  mentioning  just  now  cannot  possibly  be  accounted  for  in  the  same  mariner. But  the  defenders  of  divination  reply,  (and  this  is  the  last  objection  I  shall  answer,)  that  a  long  continuance  of  observations  has  created  an  art.  Can,  then,  dreams  be  expe  rimented  on?  And  if  so,  how1?  for  the  varieties  of  them  are  innumerable.  Nothing  can  be  imagined  so  preposterous,  so  incredible,  or  so  monstrous,  as  to  be  beyond  our  power  of  dreaming.  And  by  what  method  can  this  infinite  variety  bo  either  fixed  in  memory  or  analysed  by  reason?   Astrologers  have  observed  the  motion  of  the  planets,  for  a  certain  order  and  regularity  in  the  course  of  these  stars  has  been  discovered  which  was  no*  suspected.  But  tell  me,  what  order  or  regularity  can  be  discerned  in  dreams  1  How  can  true  dreams  be  distinguished  from  false  ones  ;  since  the  same  dreams  are  followed  by  different  results  to  different  people,  and,  indeed,  are  not  always  attended  by  the  same  events  in  the  case  of  the  same  persons?   For  this  reason  I  am  extremely  surprised  that,  though  people  have  wit  enough  to  give  no  credit  to  a  notorious  liar,  even  when  he  speaks  the  trilth,  they  still,  if  one  single  dream  has  turned  out  true,  do  not  so  much  distrust  one  single  case  because  of  the  numbers  of  instances  in  which  they  have  been  found  false,  as  think  multitudes  of  dreams  estab  lished  because  of  the  ascertained  truth  of  this  one.   If,  then,  dreams  do  not  come  from  God,  and  if  there  are  ,  no  objects  in  nature  with  which  they  have  a  necessary  sym  pathy  and  connexion,  and  if  it  is  impossible  by  experiments  and  observations  to  arrive  at  a  sure  interpretation  of  them,  the  consequence  is,  that  dreams  are  not  entitled  to  any  credit  or  respect  whatever.   And  this  I  say  with  the  greater  confidence,  since  those  very  persons  who  experience  these  dreams  cannot  by  any  means  understand  them,  and  those  persons  who  pretend  to  interpret  them,  do  so  by  conjecture,  not  by  demonstration.  And  in  the  infinite  series  of  ages,  chance  has  produced  many  more  extraordinary  results  in  every  kind  of  thing  than  it  has  in  dreams;  nor  can  anything  be  more  uncertain  than  that  con jectural interpretation of diviners, which admits not only of several, but often of absolutely contrary senses. Let us reject, therefore, this divination of dreams, as well as all other kinds. For,to  speak  truly,  that  superstition  has  extended  itself  through  all  nation,  and  has  oppressed  the  intellectual  energies  of  almost  all  men,  and  has  betrayed  them  into  endless  imbecilities:  as  I  argued  in  my  treatise  on  the  Nature  of  the  Gods,  and  as  I  have  especially  laboured  to  prove  in  this  dialogue  on  Divination.  For  I  thought  that  I  should  be  doing  an  immense  benefit  both  to  myself  and  to  my  countrymen  if  I  could  entirely  eradicate  all  those  superstitious  errors.   Nor  is  there  any  fear  that  true  religion  can  be  endangered  by  the  demolition  of  this  superstition  ;  for  it  is  the  part  of  a  wise  man  to uphold  the  religious  institutions  of  our  ancestors,  by  the  maintenance  of  their  rites  and  ceremonies.  And  the  beauty  of  the  world  and  the order of all celestial things compels us to confess that there isan excellent and eternal nature which deserves to be worshipped and admired by all mankind. Wherefore, as this religion whichis united with the knowledge of nature is to be propagated, so also are all the roots of superstition to be destroyed. For it presses upon, and pursues, and persecutes you wherever you turn yourself,whether you  consult  a  diviner,  or  have  heard  an  omen,  or  have  im  molated  a  victim,  or  beheld  a  flight  of  birds;  whether  you  have  seen  a  Chaldean  or  a  soothsayer;  if  it  lightens  or  thunders,  or  if  anything  is  struck  by  lightning;  if  any  kind  of  prodigy occurs; some of which events must be frequently coming to pass; so that you can never rest with a tranquil mind. Sleep seems to be the universal refuge from.all  labours  and  anxieties.  And  yet  even  from  this  many  cares  and  perturba  tions  spring  forth  which,  indeed,  would  of  themselves  have  no  influence,  and  would  rather  be  despised,  if  certain  philosophers  had  not  taken  dreams  under  their  special  patronage;  and  those,  too,  not  philosophersof the lowest order,  but men of vast learning, and remai'kable penetration into the consequences and inconsistencies of things, men who are looked upon as absolute and perfect masters of all science. Nayif Carneades  had  not  resisted  their  extravagances,  I  hardly  know  whether  they  would  not  by  this  time  have  been  reckoned  the  only  philosophers worthy of the name. And it is with those men that  nearly  all  our  controversy  and  dispute  re  specting  divination  is  mainly  waged;  not  because we think meanly of their wisdom, but because they appear to defend their theories with the greatest acuteness and cautiousness. But,as it is the peculiar  property  of  the  Academy  to  inter  pose  no  personal  judgment  of  its  own,  but  to  admit  those  opinions  which  appear  most  probable,  to compare arguments, and to set forth all that may be reasonably stated in favour of each proposition; and so, without  putting  forth  any  autthority of its own, to leave the judgment of the hearers free and unprejudiced; we will retain this custom, which has been handed down from Socrates; and this method, dear brother Quintus, if you please, we will adopt as often as possible in all our dialogues together.Indeed, said he, nothing can be more agreeable to me. Having held these conversations we went away. Alessandro Chiappelli. Keyword: academici, Alcibiade, Gli Scipione, la dialettica romana, storia dela filosofia romana, Cicerone, ambassiata, Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external world, internal world, the reality of the external world, iconography, detailed ecphrasis of “La scuola di Atene” – dialettica ateniense, dialettica romana. Grice: To Athens, via Rome.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library

 

 

 

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