Grice e Cerebotani: l’implicatura conversazionale
della botanica linguistica – e il
prontuario -- il toscano di Ceretti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Lonato). Filosofo. Grice: “Ceere-botani is a genius, and I’m amused of his
surname, since a linguistic botanisit he surely was! His ‘prontuario del
periodare classico’ charmed everyone, including his ‘paesani’ of Brescia – the
little bit on Lago di Garda! There’s a stadium in his name! He also played with
Morse, which means he was a Griceian, since he was into the most efficient way
of ‘transmit’ information! ‘quod-quod-libet, he called it, what
Austin had as Symbolo!” Presentato da Marconi. Linceo. Altre opere: “L’organismo
e l’estetica della lingua italiana classica” Inventa il teletopo-metro, l’auto-le-meteoro-metro,
il tele-spiralo-grafo, ecc. Il pan-tele-grafo-cerobotani o tele-grafo
fac-simile, cioè apparecchio a comunicare immediatamente e per via elettrica il
movimento di una penna scrivente o disegnante ad altre comunque distanti.
Emise idee sulla tele-grafia multipla. Fonda il Club elettro-tecnico, coll’intervento
della regia Legazione italiana. Inventa il tele-topo-metro, uno strumento che
serve misurare la distanza tra due punti. Altre opere: 'La tachimetria senza
stadia'. Fa costruire una stazione meteorological. Amico di Marconi. Riesce a
trasmettere La Divina Commedia a 600 km di distanza. Nel settore della
geodesia, inventa il teletopometro, un apparecchio che serve a misurare le
distanze fra due punti che sperimenta sulla marina da guerra. Inventa il nefo-metro,
per misurare le nubi. Costruzione di una stazione meteorologica automatizzata
nelle montagne del Caucaso. Questa stazione e dotata di strumentazione in grado
di comunicare le variazioni atmosferiche direttamente a Roma attraverso segnali
a radiofrequenza, ed era alimentata elettricamente con delle batterie che si
dovevano ricare ogni due o tre anni. Il teletopometro serve a misurare la
distanza tra un punto mobile ed un punto fisso. Il Santo Padre l’esegue la
misura della distanza tra la cupola della basilica di San Pietro e le stanze
papali. Il teletopometro fu usato a inizio secolo per eseguire i primi rilievi
topografici in Liguria, ed è stato soppiantato poi dal telemetro
monostatico. Inventore di un telegrafo a caratteri, che fu sperimentato
con successo tra Roma e Como. Inventa un ricevitore a caratteri senza filo, che
rende più docile il Coherer.Inventa una serie di strumenti per le miscurazioni,
come il autotelemetereografo e il tele-curvo-grafo. Inoltre, ha anche costruito
un pantelegrafo, ed è stato il primo a tentare una trasmissione radio inter-continentale,
esperimento che riuscì a Marconi. Il tele-autografo è uno strumento che sirve a
trasmettere un segno (disegno o scritto) a distanza. Costruì un teleautografo
che, con un penna, permetteva di comandare il moto di una penna ricevente, comandata
elettricamente. Grazie al suo apparecchio, riuscì a trasmettere un segno a 600
chilometri di distanza. Il sistema di rilevazione della posizione del pennino,
e di comando, è completamente diverso da quello del pantelegrafo Caselli. Nel
settore della telefonia, inventa un selettore per una chiamata individuale, per
centralini telefonici e telegrafici inseriti in un circuito; il
'Qui-Quo-Libet', oggi chiamato telegrafo stampante. il teletipografo, o
telefono scrivente, o telegrafo stampante. Il teletipografo è una macchina da
scrivere collegata ad un telegrafo, il quale a sua volta viene collegato ad una
ruota, il 'tipo', sul quale sono impresse le lettere dell'abecedario. In
trasmissione, l'operatore scrive sulla macchina da scrivere, e il telegrafo
invia una serie di impulsi elettrici che codificano il carattere inviato, come
nel codice morse. In ricezione, il telegrafo riceve gli impulsi, e, in base al
segno, comanda il 'tipo', con il quale viene stampato su carta il carattere
ricevuto. Lo stesso apparecchio è utilizzabile sia in ricezione che in
trasmissione, e sfrutta la normale linea telefonica. Questo strumento
permette di trasmettere un carattere alfanumerico ad una velocità di 450 segni
al minuto (più di 90 parole, come una normale macchina da scrivere dell'epoca),
e quindi tre volte superiore rispetto al codice morse. Usato per le
comunicazioni tra la Segreteria di Stato e gli uffici vaticani. Inventa
un orologio elettrico senza fili, capace di regolare il movimento di altri
orologi collegati con la stessa fonte d'energia. Studia la luce fredda.
La lampadina ad incandescenza sfrutta l'energia della corrente elettrica per
effetto Joule, mentre la luce fredda è luce generata sfruttando la corrente con
dei condensatori, in modo tale da eliminare il calore. Questo tipo di
illuminazione ha trovato impiego nelle lampade al neon. Lo stesso principio
della luce fredda è anche alla base della tele-visione. Altre opere: Direttorio
e Prontuario della Lingua Italiana. Dizionario biografico degli italiani UN
SAGGIO DELL’OPERA. Nervatura del periodare e dire classico italiano (“I ()
i.ABBOZZI E LINEE I ) I l N DIRETTORIO E PRONTUARIO DELLA LINGUA ITALIANA sI:(1
) NI ) () (i I, I S(H: I l 'I ()1: I ANTICHI a) V 1, I ' () N A “. 'I' AI;.
'I'I l'. Vl. I; l 'I l'IN EI. I, l E i FROENAIO ('n i grande mov/r,
l'archi: o c', ''a / ) a italiana - (, e mesi da V /i ) i o / /i, le gio. a m.
' - /Xivisione -. 1//a f, ggio in cem, l ’ abi/e, intangibile il valore dimo,
fra l ' - l ' 7 de /fo di scrittori gratissimi e figure rºt/or he, le me/a/ore
non sono la lingua - Voi: i stile senza la lingua - V)all'integrit. 1 del
tessuto la psiche della lingua italiana - Via lingua italiana adopera al
risveglio del sopito genio italiano - Prima demolire e poi riedificare - L'una
e l'altra cosa dal Direttorio imp, ric a. miun senso da lingua, chi ct // ruga
a ſe la c/o cuzione può essere cosa convenzionale e arbitraria. I mularne un
mom/i le//a ne va dell’'intrinseco valore e dell’importanza adunque e valore
ancora didattico del DIRETTORIO. Opportunissimo ad ogni pemma e gradevolissimo
il PRONTUARIO l/aniera di la S (17 ) a 62. Sono agli sgoccioli
della povera vita mia, e sarebbe gran peccato se mancando questo uomo mancasse
anche quel po’ di bene che mi sono lavorato per la patria mia adorata.
sicura, un repertorio, l’archivio della sua bella lingua. Se niun’opera
dell'uomo può essere mai si conipletº e perfettº che non sia anche suscettibile
di modificazione e di ammenda, molto più devesi ciò affermare di un saggio
che vorrebbe aver cerche tutte le innumerevoli regioni e più riposte di una
lingua, e particolarmente di un saggio siffatto, il cui indirizzo. o dirò
meglio il cui voto Sarebbe di somministrare ordinatamente e con la scorta di
acconce riflessioni, le devizie, le grazie, e le pieghe tutre dell’italico
idioma. Sarebbe quindi temerità, milanteria a dargli nome di opera perfetta e
completa. Il modegi i.clo che per: in fronte, cioè, non altro che di semplice ABBOZZO
E DI LINEE vuole adunque temperare il malsuone che farebbe dirlo alla scoperta:
DIRETTORIO E PRONTUARIO. Uscito dall'aringo delle scuole, ove lo spirito
comincia sanamente a vedere, e prende triove forme, ed è avido di nuove cose,
ed agile e svelto si addestra ad imporare, lui tosto sollecito di lavorarmi mano
maro una certa maniera di altre tanti 'dde-Aic, un quante le discipli te nelle
quali l’ufficio mio portava che mi erudissi, e delle quali era vago. E così col
decorrere degli anni mi vennero riempiti parecchi vade-mrcum, sia delle Sacre
Scritture, sia della Morale e della dogmatica, e sia ancora delle cosidette
scienze esatte, della storia, di alcune lingue moderne e finalmente di una maniera
di scrivere dei nostri classici italiani, che mi º brava non solo diversa dalla
comune e vol gare d’oggidi, ma che mi piaceva e mi andava all’animo che nulla
più. Andò poi tanto nn, i 'anore, la delizia, la vigoria che veniva il sito
spirito dailo strid e ibri di quei gloriosi dei 300 e 500 che mi misi alla dura
di farini gia dentro terra, scandagliarne le ragioni ieg he, sapere dell’onde e
perchè di questo notevolissimo, sostanzialissirio divario, e presi subito a
sviscerarne tutti gli autori che quel l’Accademia slie il più bel fior ne coglie
i propone si come maestri di;ingua ed ai quali dà nome di “classici”. II
l'ade-Meetini della linea italiana cresceva indi a dismisura, di che man in no
che si accumulava il materiale, anche l’aculeo della me, e venivº ogrori più
assottigliandosi, ghiotta come n'era, avi da vi più e brenese di elaborarsi
sicuri, costanti criteri qual che la m sria e lo stile del saggio classico si
fosse, mercè dei quali riconoscer ip os e I i s ! º º ci, sicuº, che giammai in
n saggio volgare e moderno. Sgom:onto e in caſi piacciº insieme a ripensare le
aspre fatiche Che con diuturnº i reità ho durate per anni ed ºnni, solo di
vederla a purtg di ragione e chiarirmi di quel tanto encomiato ma non mai
spiegato non so che. Stupendo, meraviglioso i tito quello che il lorno i.ll l I
l CAN/ A r ci lasciarono scritto un Varchi, un Bembo, un Cinonio, un
Corticelli, e molti altri. Sottili le disanime di un Bartoli, amplissime le
ricerche, gli si udi di un Gherardini, da sim fuor g. gr mi. Ai. le
dissertazioni di un Padre Cesari, ma dopo tutto ciò, dello scrivere classico
non si è porta e discussa altra cosa che gli accidenti e le apparenze dell’essere,
non il suo vero essere vitale, quidditativo, sostanziale. L'essere. ia ma, ura
dell’ELEGANZA si rii i ſino tuttavia og cilta, e cgili a loro h e rg, vi i
ce.re ch: i ganzo è al postutto un non so che. Ma è appunto questo non so che
che io voglio a tutt’uomo tor di mezzo, e farla intuire, non che sentire,
l'essenza, la quiddità immanente di quello che dicesi: Il ci N / A.E stimulato dall’ardore di questa idea
tenacissima misi mano ad un lavoro arduo e faticoso quanto niun’altro: mettere
cioè a riscontro di tutti quegli infiniti luoghi del 300 e 500 che più mi
ferirono la medesima cosa detta mºdernar:ente. Riempiti poi che mi vennero per
siffatta guisa ben cento e cento fascicoli, e pºstº luindi nenie a tute le più
minuti circostanze del differire che fa IL LINGUAGGIO di riº: d l 'ic:
classico, mettendo di ogni luogo in rilievo quelle voci, tutti quei momenti del
logos, quelle curve, quelle pieghe, e quella maniera di costrurre che è sol proprietà
di ogni scrittura antica e classica, di º cosa all’opposto niente cc:nsine º
una cenna volgare e moderna mi notai da prima di ogni penna classica, e di ogni
stile, il mantene e ripetersi inalterato, sia di un medesimo assetto e tornio
periodale, sia di certe singolarissime locuzioni: ci; mi sfuſi i denti
qui.iti i s. a più i ngo e la virtù 2 e di 3 ti -, ingr. l Ti s. I e investigandone
ad un tempo, e quanto possibile acutamente, gli intimi rispetti e le più
riposte correlazioni logiche, mi vennero a non molto veduti e costantemente
confermati tre ordini distinti di quella cosa onde a mio senno di genera l’eleganza:
e sono appunto le parti della prima sezione di questo saggio. Cose di indole
organica e che più strettamente si rife riscotto al tessuto periodale:
inversioni, separazioni, compagini, locuzioni elittiche ecc. Parole e forni e
notevoli, e il cui retto uso adopera anche alla l'ila del DISCORSO e
all'ossetto costruttivo.Verbi e alcune altre voci generalmente note, ma dal cui
retto uso alla elocuzione garbo si deriva e vigoria. E' in 'b e ci reggi e 1 in to ge s ort che: - 'n - 1 v
altri studi, altre sollecitudini me ne impedivano, l’avrei già allora consegnato
alle stampe, malgrado l’indole del tempo che abborrisce dal cosidetto purismo. Era
naturale che, compenetrato come era di questo purismo, gli scritti che misi poi
fuori intorno alle mie elucubrazioni scientifiche v-vºno essi pire ris mire del 300 e 500. A
vedere lo spirito al tutto singolare e diverso onde sono guidate le lettere d’oggidì,
basti ricordare come siano mal capitati i miei manoscritti, e come gli inca
ricari della stampa, non che loro andassero all’animo, ma neanche può e re. p
v. i, c gion di ssinpio, aveva scritto che quel litogo era oscuro che nulla
uscita vi si scorgea» (simile a: selle scura el la dii iita via era smarrita)
per la stampa si volle ritoccare e completare: a quel luogo era tanto oscuro
che.... ». E dove: i n sºn va che l in', se a condiscºndervi o se rimanerme ne
» (simile a: non Sap 'a che farsi. Se su 'i salisse o se si stesse, l3ecc.) iº
lo vidi inve::: Inp. 1a così: non sapeva che cosa do vessi farc. Se vi dovessi
accondiscendere ecc. ). Dove: « nè questo già ner sancr farmi sl, al viadon sss
(tolto di peso dal Bartoli) si sta impò invece: nè questo già perchè egli vi
adoperasse sapere darmi o li dove ancora affermava di avere fatto a una cosa a
spasso », di « esserini pensato non so che di a arer cessato una mala ventura,
di giºcº l'aiiiino a checchessia » ecc. ecc., oimè, dolente mè! che invece mi
freero dir el vevo ! alla cosa al risseggio » che ci aveva pensato di noti so
che, che la mala l’entura era ceS Sgla o che aveva un’arimo grande per ecc.. !
! l: di questi pretesi titocchi ed ammende Sono Sconciamente straziati e
snaturati i miei manoscritti che si pubblicarono cella mediazione di chi non
aveva paia o di rivonica, i nº chi classici.E' quindi agevole immaginare lo si
to del mio animo (ora che fi palmente mi accingo a pubblicarle queste mie
fatiche giovanili) di frºnte all'indirizzo del mondo linguistico d’oggidì.
Forse si griderà al retrogrado, al pedante, che vuole imporre cose vecchie e
smesse, e rimettere sul mercato masserizie da rigattiere e da cassoni. Ma ad
enta di tutto ciò tri pensiero già ſin d’ora mi sorregge e mi conforta, ed è
che di questo saggio, quantunque in contrario sia per seguirne, col l’immensa
copia di esempi tolti dai saggi mastri, e di ogni forma e di ogni stile, riun
critico, per acre e spiacevole, potrà mai impugnarne il lato DlMOSTRATIVO, che
cioè il Glamiera di Scrivere degli antichi è gitelia che ti si dimostre, ed è
altra dalla comune e volgare dei mestri giorni. E qui lascio la parola a nomi autorevolissimi,
e prima a quell’entusiasta che fu del 300 e 500, l’abate Giuberti, il quale
pieno di sdegno verso lo scrivere moderno, lo dice, nel suo PRIMATO, senza
una pietà al mondo. Pedestre, terragnuolo, ermafrodita, evirato, senza nervo e
colore, di mezza temperatura, non si alza dal suolo e striscia per ordinario,
allia e svolazza, non vola mai, una fosca meteora, non un astro che scintilla. E
più avanti si rifà all'affrontata, e lo chiama scucito, sfibrato, spettinato, sregolato,
scompaginato, rugginoso, diluto, cascante, floscio, gretto, goffo, deforme, un
bastardume: un intruglio, un centone, un viluppo di brandelli, e ciarpe
straniere, uno stile da fare stomaco, spirito francese camuffato alla nostra le
ecc. ecc. ), mentre, tutto ammirazione e venerazione verso gli antichi prosegue
e scrive: a Paiono talvolta ritrarre gli aculei sentenziosi dei proverbi e le
folgori dei profeti. Quanta leggiadria e gentilezza non annidassero nel maschio
petto di quegli uomini a cui la schifiltà moderna dà il nome di barbari! In
quella era vera coltura Ciò che oggi chiamasi coltura è in molti piuttosto
un'attillata barbarie. Anche il laconico ma forbitissimo Gozzi lamenta che l'Italia
non sa più come parli e ognuno che scrive fa come vuole, una fiera dove corrono
tutte le nazioni e dove tutti i linguaggi si sentono. S’impa racchi a II n a I
l m g II a S m 0 I I i C a td e tr 0 Il Cd, S e Il I a a r red 0, S e n 1 a 0 n
0 re, St 0 p er di re S e Il I d l ibertà e dà quindi sulla voce agli scrittorelli
senza studio e fatica necessaria ad acquistare un sicuro possedimento di quella
lingua in cui si scrive, i quali scrittorelli non avendola per infingardaggine
curata mai, atterriscono tutti col dire, che essa è inutile e col farsi beffe
di chi vi li a p er d II t 0 d e II tr 0 gli 0 C C h i. Il melodico e terso
Salvini deplora esso pure i traviamenti letterari dei suoi tempi, presagisce e
nota. Guai alla LINGUA ITALIANA, quando sarà perduta affatto a quei primi padri
la riverenza! Darassi in una babilonia di stili e di favelle orribili, ognuno
farà testo nella lingua, inonderanno i solecismi e si farà un gergo e un
mescuglio barbarissimo. Chi non sa che il grande Davanzati, è una maestà, un
portento in opera di lingua? Ma ecco come alloguisce coloro che già ai suoi
tempi facevano a fidanza con lo studio e con l’uso della lingua. Fingete di
vederla (la nostra antica favella) dinanzi a voi quì comparire in figura di
nobilissima donna, maravigliosamente adornata, con la faccia in sè bella,
quanto amorevole, ma ferita sconciamente, e travolta le sue fattezze e tutta
laida di fango, e che ella vi dica piangendo e vergognando. Guai a me, che
straziata sì m’hanno, come voi, quì mi vedete, quelle mani straniere. Io vi chieggo mercè. E ora sia lecito anche a
me, sotto l’egida e fra le trincee di questi valorosi, di dire brevemente
quello che ne sento, ciò è a dire chiarirci di alcune idee, ed anche discorrere
l’opportunità ed il valore non solo dimostrativo, ma anche didattico di questo
DIRETTORIO. Asserendo che nei dettati alla moderna non vi sento quella leggiadria,
quel garbo, quel CANDORE, quel non so che di soprasensibile che regli antichi,
non è già mia intenzione di censurarne le alte concezioni e menomarne
comechessia il valore e la spigliatezza, e sia nella scelta e convenienza delle
metafore e delle immagini, sia nella vivacità e pompa delle descrizioni, e sia
in questa o quella cosa, che del resto, i cn è, vi, p v': c velli rs it:li no,
ma che può essere comune e sº bene neiie in altre lingue. Se l’essere, il
valore di una lingua dimorasse sol nei vocaboli e nelle figure rettoriche, cioè
ièci traslati, nelle metafore e nelle immagini, non sarebbe l'idioma, e ne
andrebbe del carattere non ch’altro e dell’estetica della lingua in quanto
lingua le varie lingue tornerebbero ad una, e renderebbero immagine di III la
sola cantilena che sia suonata ora con uno, ora così altro istrumento,
differendo l’una dal l’altra solo quanto può differire il suon di una tromba da
quello di: 1): l ri: ti:.I e concezioni, il modo di pensare, la disposizione e
l’ordine del le idee sono di una persona che ne ha la lingua, non altro che il
suo stile, cioè un fatto suo individuale, una maniera di DISCORRERE secondo
intende e sente. Come non può essere che un uomo si cessi la sua individualità
e ne prenda un’altra, così sarebbe opera disperata chi si affidasse di pigliarsi
lo stile d’altri. Ma la cosa che negli ameni dettati degli antichi si impone
alla nostra ammirazione e vuol essere oggetto di considerazione e di stu si o,
è l'intrinsec. e sei le ferma sostanziale, c S nip e la medesima, di
qualsivoglia stile, dalla quale allo spirito più che al senso quella soavità
viene cottel diletto che mal si cercherebbe nella materialità delle voci, è la
grazia, quel vago ascoso e nudico onde ogni stile torna a quello che dicesi
stile elegante: simile alla luce che, mentre senza di essa ogni cosa è spenta e
al senso della vista non è solo che un suo raggio apparisca, la natura tutta
subitamente risveglia, e alle molteplici individualità del visibile dà vita e
vigoria di ghºzzo infinito, la lingua è rispetto allo stile quello che la luce,
la forma sostanziale delle cose, rispetto alle individualità. Comr l’origine e l’essere
di tutte le infinite individualità della luce, le quali sono perchè sono i
sensi, è un solo, oltre la barriera dei sensi e fuori di cifra, fuori della
ragion di quantità, fuori delle angustie delle individualità, e come al
- tresì la sostanza delle cose è costantemente e universalmente
una, inaccessibile ai sensi, e, come che essa pure non sia ai sensi
che per le sue individualità, cioè per quello che dicesi materia seconda,
specie od accidenti, ell’è tuttavia ben altra cosa che le infinite sue individualità,
così l’essenza della vera lingua non può essere che costantemente UNA, un “non
so che” di soprasensibile, quantunque ai sensi svariatissima nelle sue
individualità, che sono appunto quello che ha nome stile. Si parla di stile più
o meno elegante, più o meno piacevole, ma non si pon mente alla ragione
intrinseca di quel grato che per lo stile allo spirito si deriva, il quale, non
nella materialità dello stile, ma bensì nell’intima vitalità della lingua
essenzialmente dimora; simile al vago della bella natura, di cui più che il
senso lo spirito nostro si diletta, e che non dal sensibile si genera e dagli
accidenti, ma da quel l’occulto che ne è l’essenza vera, il principio di vita. E
poichè ci venne dato nei veri della natura, notisi ancora una acutissima
considerazione onde la natura stessa ci è maestra, che cioè come cosa qualsiasi
non può essere individualità di una forma sostanziale ove ne manchi la sostanza
(a cagion d’esempio individualità del l'oro, del legno. ove manchi la sostanza
dell’uno e dell’altro, individualità di un essere sia vegetale che animale ove
manchi la vita) così non solo non può essere lo stile di una lingua stile
elegante, ma addirittura non ci può essere stile veruno ove manchi la lingua.l:
ora si capirà anche meglio l’eff to di soc”:inzi.. he cioè la natura, la forma
sostanziale di una lingua, e più che di ogni altra della nostra cara lingua
italiana, nei cui visceri ogni cosa è vita, delizia, soa vità e pace, è ben
altra cosa della materialità dei vocaboli, sia nel proprio che nel traslato,
non altrimenti che di un ricamo, di un disegno il cui pregio agli occhi della
mente nulla si muta mutandosene la materia. Che monta all’estetica, al valore
architettonico, al concento delle linee di un monumento, di un edificio, l’essere
costruito più tosto con una che con altra pietra? Siano pur preziose le parti
organiche di un essere vivente quanto si vuole, che giova se vi manca la vita?
Di Apelle si narra che, invitato da un giovane pittore a dare il suo giudi zio
intorno all’effige della bella Elena, esclamasse. Non la hai saputo fare bella,
l'hai fatta ricca. Metto pegno che chi discorre queste pagine e non ha colºu' º
di lettere altro che moderna, gli nar di tre o mare, di sm morire, e poco si
tiene che non mi mandi con Dio e mi dia anche nonne di esaltato e di
sofisticone. Non meraviglio. Il medesimo sarebbe di chi è abituato alle cantilene
da villanzoni o solo alle canzonette da piazza e da trivio e
altri volesse di punto in bianco ringentilire il suo udito volgare e
bastardo, e recarlo per niun’altra via che tessendone gli elogi, a dilettarsi
delle grazie vereconde di un Pergolese, delle profondità pottoniche di un
Palestrina, di un Orlando di Lasso, dei portenti delle fughe di un Bach, delle
poderosità melodiche di un Beethoven, di un Heyden, di un Haendel: od anche di
chi non vede più là delle Sorde larve e Sozze di certe oleografie, più i degli
imbratti di un pennello pedestre e terragnuolo, ed altri ne deplorasse la
decadenza, lamentasse le turpitudini volgari e moderne a petto delle inarrivabili
sublimità degli antichi in opera di pittura e di scultura. Ah! siamo sinceri, e
confessiamo ch’è oggimai agonizzante la psiche del metafisico e dell’estetico,
e non che sopito il senno antico, ma anche il senso del genio e del bello che
irradia nelle opere dei nostri padri, è oggi a termini del più miserando
languore. Che altro ci rimane adunque se non di por mano a tutti quei mezzi che
adoperano, secondo scrivono l'8artoli, Costa, Casati, ed al tri molti, alla
riforma, ad una sostanziale elaborazione del pensiero, ridestando e rivocando a
vita l’originale candore, il sopito e per poco spento GENIO ITALIANO è l’elaborato
mentale, soggiunge a tal uopo Giuberti, è di sì intimo messo inoculato al
linguaggio, che sarebbe violato e guasto il concetto, ove la parola mutasse, o
l'ariasse un nonnulla. Nè altri opponga che se la bisogna sta come qui si
afferma, e si tratti veramente di guasto vitale e sostanziale più che organico
del l’umana intelligenza, vano sia per essere ed inefficace ogni umano conato,
e che solo il miracolo di una nuova creazione potrebbe ripararvi. Ma non è
così, ed è la cosa appunto che vuolsi ora sanamente ponderare. Non è vero che
lo spirito eletto dei nostri padri, la mente italiana sia il tuttº esiint: e lo
dimostrano i dettati e le opere più recenti di quei chiari nomi che sulle orme
dei gloriosi antichi, e frutto di dittti i rime fºriche, riverberano il genio
antico. O l’indole dei tempi, o i periodi delle invenzioni e delle macchine,
che fanno del pensiero fantasia, o il grido della ribellione al soprasensibile,
onde è incatenata la mente, l’ontologico dilegua, è in onore e si prende lo
scettro del magistero didattico, la menzogna dell’essere, il mondo dei sensi,
l’individuo, la materia, o questa o qual altra mai si fosse cagione, la mente nostra
è oggimai avvizzita e recata a una ciarpa, a un intruglio, il senso del vero e
dell’estetico sciancato, evirato, l’imaginativa incespicata, aggrovigliata, e
non è quindi non solo a stupire, se la maestà e la virtù dell’italico idioma
non è più sulle penne dei moderni dettatori, ma se è altresì e tal mente
soffocato il senso del vero essere della lingua italiana, che ne è misconosciuta
e recata a vilipendio l’alta virtù, ignorato vergognosamente il sublime lavorio
che questa lingua privilegiata mirabilmente adopera negli aringhi della vita
intellettuale. Con queste mie calde parole parmi di avere toccato dove veramente
ci duole e penso che saranno poi tanto più autorevoli in quanto esse collimano
coll’enfatico sentire di un Davanzati, di un Bartoli, di un Bembo, di un
Varchi, di un Salvini, e ultimamente di un Mamiani, di un Giuberti, e perfino
di quell’ammiratore delle nostre glorie letterarie, il grande Goethe. Non si
pensi poi che con queste affermazioni io mi lusinghi di avere senza più
conquistato il favore e l’omaggio di chi è fuori dell’orbita di queste ai suoi
sensi inesplorate regioni. Nò, non ho altro in animo che di agitzzarne la voglio,
e che si mett meno ti volt, quegli argomenti con cui inoltrarci, ed esplorarle
queste opulentissime regioni.Considerando la profondità e la vastità dei miei
studi in opera di lingua, ripensando le trite disamine di quanto trovasi
scritto su questo materia e rifacendomi mi oi ist cei eri che mi sei elaborato
intorno a quello che costituisce il fascino dell’eleganza, non mi perito di
asserire che codesto mio DIRETTORIO è per essere appunto il saggio desiderato,
quella scorta sicura ed unica, quella palestra nella giale addestrerº: chi vi
si ºccire con i i rivocare l'avito sentire, LE OCCULTE VIRTÙ DELL’ITALICO
IDIOMA. Con un terreno vergine e di fresco dissodato è agevol cosa farvi di
buoni seminati, ed anche conseguire sana e coniosa messe. Ma se il terreno è
stracco, illanguidito, e per male erbe che vi crebbero im bastardito. nulla
giova il farvi ritrove seminagioni; gli è mestieri estir parne dapprima la
zizania, ucciderne i parassiti e non prima riseminarvi in sulla vanga che non
sia accuratamente purgato e risanato. Anche con un corpo ammalato di febbre
maligna e male in essere di visceri e di stomaco nulla approderebbero, anzi
guasterebbero, i corro boranti e le vivande, se mercè di opportuni farmaci non
sia stato prima guarito di ogni male e tornato perfettamente sano. E così è di
chi si disponesse a ricevere nuovi semi di quella lingua che egli non può nè sentire
nè ipperire perchè il suo senso, rigoglioso tuttavia di cesti e mºssº bestardº,
non può altro che sdegnare e ribellarsene, o di chi volesse nutrirsi di quei
cibi prelibati che gli ammaniscono le letture antiche e classiche, essendone lo
stomaco ricalcitrante, come quello che lº paciucche volgari e mederne hanno
viziato e guasto. Sarà dunque opportuno, chi veramente vuole rigenerare e
tornare t:sso e si misuoo Ioio top cluoulli, il lusi li op lºI033. Osloo
lº::.looue liuis o oltu l ' ºssige il gp o ti lº si p ºsòssi pilºp ºliº ºpei.l.
It us el ' i' i ti - e ! ss outigui illuu.ioldsoul Oiesstv. Un li vº: i bl) ºl!
Sº! ).le daiºlº slioni i euuuo5 oliomb u lius sºli o i M o duº lºop i silos
gllep luo!. ilo Ao olloilo,S Ip lo33s o lo s ſ olt.loqt lº 0 ai i ti: osto
o.lilt: uou o 55eniull ouuuun, Ilop ollos e o uuuoò il AS o ºlsiiqo. OI -toni
civili lonn 'ouo; o il 9 AIR alloni si sn p op su o!! ). Il ti -Issºlº 3 atlº,
lui: ºtti.lo ol olodlu o l illoulillº ºa so Qrº uviu:I i poi il tt i tr.
ss Lt: lº), ci uo:t., e o isoluo5 eu o optAn.. ui, oggi, i 'ti i ti:: ti io lº
t:l lido su tre et 't i3: lIou 'Il 2005U )It is It ul it e sul i ti cieloiti i
lili è il trilos i luopll S i tit il sot! ti) º il lo, st 3, 8 l.it, º t ti
3llit 8 º A i el: tlii lp 't ult: ulti del 9 l lu ti iº - il so, si
s... 'ti i.i....lºli i; ss ',...... i - i ! i ti&ui o soli º in
l It:ISS º o loti u - Rutp li ºt toº, ti o, i poi tu º 3 lt è loM o.lgIl
lli t..li) op. N..lo slp: 01S, clti, pu Sclip ci, i Ip º lossº t'il pº 'it:5 s:
i isl il pºp OiiSAS º al! Se oè, si va 1 otIº tifos. º ºlio p: 0.it tios oso.I
-05! A osio; op: i n.lip top t millus G, i tº o 3 As il il 3 osseti lap ei liti
in el o Isoi cui il bis '09: loui.it o!!isso) ſi è is 'Glös tipicº -.10ul ti o
º lill A i, 5 ti! Sii ! s ºu (olis 10S il q.li i ſiti allº guas iA liliti Il ci
º ! A O, 0i) (ſili) i lº!a il p iù.tvi336 | Il ſul SI, riu aus ottiliº I iosi
pe.oſse.I l º d lp Girl: Iº tunio.lui uli olei è eluoul el gu: A è tºiplit; o
tiri uſi:p 3iiiiSpo otto i p up:I o Aoati olsanb Ip 3Juulo n.ISUS | E.li o
illo5 luntti iiiis ol.Iodp e oilun W o S.- “Si - Si – s S. S -
S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole organica e che più strettamente si riferiscono
al tessuto periodale Il grato e l’efficacia del dire dimora assai volte
più che nel VALORE DEI VOCABOLI e delle l gla o ini) tali lui,ppi: Rida A au ºi
i tg ei p..iiil I pil, ivi op oi il I attº cul.o, ind oilºni -lallagui gi! A p
!.lvi 5i A º 3 op.It: ci.vt mt! pſ. I; ii ti Iguas sº Aoin:il nr. - i s
Istºnli a reput. 5 o islip i 51 o 3: Ss li Ili oipnlS ossenb oput ºss ºi
i IIIess: lp Oliput ouvs 1: i su Ifil si al c. 5 i.In 15i giri i rp:5ucu. li
odita, uno º Iovi ouault: sti: è o niti: ti; olio; Itzu Io ip a ol! Ilds OI
aulluas Ip o piis lgido opuali ti OIAi().L.: St | (l Gisonb Ip guided uso
'ofoni dr5 lui ig.it, i Jr. sp: l o, aiuougers -ued eua3del loo eliricituo3
oood: oSod il mio zn glpo. I p o puoizilouºp Ip riodo esami ottº oro:ni oirs e
insis AIA e W ologIpo o Soduco l oillouap bus Uieto n.. nip o Ies gipol.I
riolle pº oluopeA lap e Cisgiº Iap 5 i5sti p.s. p r, iº le p.It, i gol
q -uoo 'oullios opinismq Ons Iap oua.I.io II euil. Iddrp o Iri Ind otte! Ieri
i pure di vertiginosi cicli, e di un tempo oltre ogni misura, e di cui
niun atto, niuna parte potrebbe mai mutare senza guastarne l’equilibrio, la
Pace. Lungi da me la pazza ipotesi, la chimera del così detto equivalente
meccanico, ma è pur cosa ſi afes iter d’ogni dubbio che la vita, il principio
semplice di un corpo animale non è, e non può essere sorza i qualitative e ri e
che gii è (are a ciò di si intimo nesso coll’integrità del tessuto organico,
che tanto sol che intristisca questo f 12 f.f. º gt eii, i si.. i tiri i d. -,
uf,3 giui tura o cosa qualsiasi anche minima, non solo ne soffre l’organismo,
ma talora si spegne, è finita la vita stessa animale. E altrettale è appunto
della bella, delicatissima lingua nostra italiana. Ne va del valore intrinseco
e della vita non ch’altro, ove sia ignorato o male osservato il retto uso di
certe articolazioni e particelle, o o sia a la siruttura e la curva sconciata,
l’ordine dell’azione traviato, e l’occulto di certe voci previlegiate mal sentito
od esso pure ignorato. E qui non accade ch’io ne dica di più, che con queste
parole e coll’anzidetto ti è ora molto bene palese quello che il DIRETTORIO
vuol darti, ed anche come usarne rettamente ed utilmente. Non dovremo poi
starci contenti all’esserne soltanto risanati, del guasto sentire e dei torti
appetiti, ma saremo anche vaghi di avere a nostro piacere e commando e
avvenendo di trovarci sulla penna le grazie, le dovizie di questa lingua troppo
cara e più che aitre efficacissima e poderosa. Ed ecco che a tal uopo ti verrà
assai volte opportuno ed utilissimo il PRONTUARIO, che fa seguito al Dl RETTORIO,
e col quale si completa l’ardito torneo di questa mia palestra. Mentre col
DIRETTORIO, cioè collo studio assiduo sulle linee del medesimo, ti troverai la
mente uscire gagliarda e serena dai vincigli di una morbosa rigidità, e la
parola altresì più leggiadra nelle forme, e nei movimenti agile e destra, il
PRONTUARIO sarà per ogni penna vuoi da ringhiera, vuoi da pergamo, vuoi da
effemeridi, o che altro mai, fornitore, ove bisogni, di costrutti classici e di
un corredo di lingua proprio di quella cosa che altri venisse ragionando. Ed
ecco come ne userai. Ti farai a quella parola, verbo o sostantivo che hai sulla
penna, ed anche al nome di quel tema, cosa, luogo, fatto, forza, passione,
virtù, vizio, arte, disciplina onde prendi a ragionare, e il PRONTUARIO ti da
tutto quello che ti bisogna, cemento grammaticale e materiale di lingua. ii
fornirà di ogni idea generale un copioso corredo di vocaboli e di modi di dire
con brevi istruzioni ed esempi che ti ammoniscano come e quando
rettamente adoperarli. Ti dice quale verbo o predicato sia proprio o meglio
convenga a quel tal nome, cioè alla cosa di cui è nome, soggetto od oggetto che
egli sia, quale attributo all’uno e all’altro, quali epiteti, aggettivi od
avverbi deno tanti con proprietà di espressione la maniera o il grado di essere
o di agire. Ed anche ti dirà i nomi delle parti componenti ciò che ha parti,
cioè a dire come rettamente e con eletti vocaboli e propri denminare i
componenti e le attinenze di cosa qualsiasi. Ti forne da ultimo o più veramente
vorrebbe fornirti, e lo fa completamente quando è opera compiuta i vocaboli
propri di quella tal arte o professione, e così di puro ingegno come altresì di
mano, e degli affetti dell'animo, dell’esterno operare e del muoversi ed agire
di checchessia, e in ciascun argomento i particolari e propri modi di
ragionarne, usati nello scrivere che ne han fatto gl’antichi, e dove questi ci
mancano, presi da quel che ne abbiamo in voce viva adope rati da maestri di
buona lingua. SAGGIO DIRETTORIO cioè ritagli di alcuni vapitoli
delle sue tre parti. S.- “Si - Si – s. S. S - S 2 s - s- S 2 s. Cose di indole
organica e che più strettamente si riferiscono al tessuto periodale. Il grato e
l’efficacia del dire dimora assai volte più che nel valore dei vocaboli e
delle frasi, in un certo spiro di virtù occulta, procedente vuoi da una
singolare disposizione e collocamento delle parole, vuoi da una certa forma
compaginativa, e vuoi finalmente da certi vezzi di finissimo intaglio, e di
raſſilature e tagli a corona. Ed ecco tracciati i quattro capi che ci
forniscono a larga mano il materiale di questa prima parte. Inversione e
separazione. Particelle e compagini a foggia ed uso classico. Virtù organica di
alcune altre voci. Locuzione elittica. Sel a aranzi o 1, i cº II, N cºrsi
o 1, i SEC.) NI): ) (; I, I ANTI ('I I I SC'It I'l' To) RI E ('I, ASSI
("I Intendiamoci, non è del I per lui lo ch i l' igi I lill e, ch' io
voglia pur allegare esempi d’iperbuto. Non farei che ripeter quello che ne
hanno scritto ii (il lio, il l'1 l. ll (1 li !li, il Zilli il li, il Ct - il e
tanti altri, i quali al postutto conchiudono che quegli soltanto può giudicarne
e servirsene rettamente che ha l’orecchio educato alla scuola dei buoni
scrittori. In opera di lettere e di estetica nè mi picco di superiorità,
nè mi darebbe mai l’animo di prolierirne giudizi, e nè anche di elaborarne
acute e sollili delinizioni con le ſa ad esempio TOMMASEO), e molto meno di
porgerne teorie e Ilorine da seguire. Uscirei dall’indole e scopo di questo
saggio, che è semplicemente quello di mostrare ordinatamente e con grande copia
di esempi il dicario che ella IL LINGUAGGIO così dello classico e quello di
oggidi, ed anche di somministi al c. chi ne losse mai cugo, un modo
opportunissimo, collo studio cioè degl’esempi, di rieccitare nei nostri pelli
lo spirito classico, e di tornare a quella forma di dire e di pensare che è la
le penne di quei grandi. Siavi di 11 11 I po' balo, che a litrios 1 a 1 lo
col vorrebbe prima far vedere come l'ordine inverso – L’INVERSIONE --, sia il
diritto o questo l’inverso, raccolgo solto questo capitolo, e Ini diviso
secondo un certo criterio buona copia di quel costrutti antichi, nei quali il
collocamento delle parole e l’accozzamento delle parti è altro dal colgare e
comune dei nostri giorni. Non è però il differire soltanto di un costrutto
antico, e come che egli sia, dal moderno, che ciecamente Ini Imuove ad
allegarlo e proporne lo studio, ma scelgo quelle maniere che sono più che altre
frequenti e più in uso appo i classici, e nelle quali il singolare costrutto è
qualità dirò così in lernet, e ormai al III sapore, ad il garbo che lº li a V
l'elolo a pezzi il dili al dolo. La sola TRASPOSIZIONE di questa o quella
particella p. es. non vi essere, non lo vedere, non vi rimanere, ecc. - a e ne,
la creslllla, per non o vi essere stata valevole gia sei anni che regnò (doardo,
la calca degli accorrenti allogava i vescovi e lav.: è necessario che tu per
niente a non rispondessi a persona, ma sempre acessi vista di non li vedere e
non ii udire l’irren: noi possiamo i ce le si avagali lettori di non le
motteggiare (gli al ll il a niere? a non vi prosperare? a non vi proteggere?
Segn.: si potrebbe a Ialun contenere di non se gli avventare egli stesso alla
vita? Scull.: o una semplice inversione di parole umana cosa è aver
compassione degli allilli. Zali.. e me anche quel tanto a loro il vello il
fine, il li sono oggetto e materia di questo Caploio, ma quella trasposizionr e
inversione, onde al periodo, come si è detto, viene talora vaghezza ed anche alla
frase maggior forza e gravità: one che allore verullo, ch io mi sappia, le
abbia ma da quindi addiello rilevate, e messe in Vislia siccome prerogativa
dello scrivere antico e classico, lo è la cosa al punto che prendo io ora a
dimostrare, ma senza apparato e pompa veruna d lunghe e trite discussioni, e in
un forma semplice al possibile ed evidenlo. Ma prima di farmi a quest’opera
mia e di mostrare queste separazioni e dulle le altre cose di questo saggio
divisale in articoli, la mi di richiedere il le loro benevolo che gli piaccia
di rimanersi da ogni commento e giudizi sopra i singoli articoli, che a
guardarli lo singolo non sono allo che mini vie, ma di aver l’occhio a Illella
gran massa d'oro, della quale ogni articolo non vuol essere che una imponderabile
particella NON DER … CHE … MA in luogo di non perchè …ma … Ciò è a dire: il per
disgiunto dal clie e frammessovi l’oggetto o predicato. 1. ignal, o poco
pi illico irl cosl li e o per dar rassic, valido V. gl’illel'11lare clic:
non llll'olio cagione di... lecchessia gl' Insulti e le Villalie che il ri
limiti gli lanciasse, ma il suo procedere indecoroso cec. esporrebbe il silo a
11 ello solo sopra cosi: non pºi clie ei mi dicesse insulto o rillania, ma
ecc. L'esperto il 1vece, o chi ha e sente le maniere antiche e classiche
disgilige il bell il l vigo assi Is e ci si non per insulto o rillania che ei
mi i licesse, il t.... Pochi esempi e basteranno a farlerle assaporare il
grato, ed anche inlerider e la relaliva il rip, rli - IliII1ento che niun
articolo, per esiguo, è cosa di sì poco momento che, a conserto di mille e
IIIille altre ond è forni ore codesto direttorio, non sia anch’esso un
argomento di vita, per quali lo II il loscopico, un umile virgulto di quell’albero
rigogliosissimo e poi il post che è il linguaggio classico. Signor mio,
io non vengo nella tua presenza per rendella ch’io attenda dell’ingiuria che nn
è stata ſul lat... ma... o 13occaccio. Nè questo già per saper d ai mi ch’egli
vi alopei disse che in quello s in arrimento non ci rimase al riso dai la
milo..... l li..... smarri, ma pur di nsi per l'ergogna che per animi o che gli
bastasse a tanto, ſullosi cuore disse. Bartoli. Non opera ra per appello o
propensione che si sentisse a questa ed a quella cosa, ma pure a guida della
ragione e del placer di Ilio Cesari, Ed anche senza la correlazione di non e'
mai può talora aver luogo si alla disgi Illzi 11. Standosi adunque l’uggieri
nella camera, ed aspettando la donna, a rendo, o per la lice, durata o per cibo
saluto che nel nulla lo stresse, o forse per usanza, una grandissimo sole, gli
renne reali lui....... I; i carri. rispose che ben si ricordava che andalo era
ad albergare con la fante del maestro Mazzèo nella camera della quale area
bevuta acqua per gran se le ch'a rca a 13o crio.« e riponessegli l’anima sua
sicuramente in mano, chè ben potea farlo, per l'uomo santo e lollo che sapere:
lui 'Nsri e litrioli,Ed in generale, sempre che la cagione o non cagione. Il
1olivo, ocra sione di checchessia è l'oggetto stesso, non il rispellivo verbo,
si pºne primieramente quello a guida di per per cagione, per motivo,
quindi il relativo che e finalmente il verbo: sol per l'amore che io nutro per
le, non perchè io nutro ec e per i lucia le mia ch'io porto » ecc. ecc. Nolisi
da ultimo che la stessa forma per... che... può avere altresì forza di: per
quiet n lo ch. Al, i ciò sara: i i ben altro e più rile V al I ri-Si liti nel [..
lil. io il tv: i 1. ci zioni elillich r. Cilf: pronome relativo di
quello, questo, costui, tale, quanto, uno ecc. si disgiunge dalla voce cui si
attiene posponendolo al verbo e appar tenenza relativa al primo
inciso. a... il sole è alto e la per lo i tignon, culi o cd ha tutte le
pietre asciulle: perchè tali parola 'slo lo sci di p ii, le ri sono che la mi
all in di tmzi li il solo l'abbia i ts ull, poi i n n...... I3oce. “. Quanti
leggiadri gorani, li quali, non l'alli, ma Gallieno, Ip poci di li' o li si
illui puo di ri i no 1 li li all ' s NN, mi - la nullino lesinarono coi lor per
l en ll, con poter mi col ct mi ci che lº, la sera i 1 nºn lo appresso nel
l'alli o non lo conti on lli lo i passi li li a lo.e colui è più car o ai ril,
e più la mis, i se si un ali signori onorato con pl e mi gi o nolissimi i cºsti
letto, che poi il lom in roli parole dice, o a alli; 1 i cin (lo l i gogna, l
rol, il l mondo pi esºn le ed argomento assai, rielen le che le rii li li la I
l poi i lil si l anno nella leccia dei rizii i mise i rice'n li di blu nel
nulli. I 3 c.La speranza del per loro si è data a chi lo ruolo: e colui l'ha
per mio dono, che del suo peccato duole la l'odi.(nche di esse e il conlessore
nello in poi i la penitenza discreto. ll e alcuna cosa pruolº la re o sos le me
l'e' una persona, che non può l'alll rai o. IPassa. Con questa melajora e somma
bi erità diciamo: uno aver dipinto 1) Anche la lingua francese offre
esempi di costruzione non guari dIsstmlle; tel brllle au second rang qui
s'éclypse au premier. che dello o lalto ha cosa calzante per l'appunto che
non polea star me glio. Davanzati. Quando.... tal cosa verrà ben falla che non
si pensa. Dav. « Qualche gran fallo dee esser costui che riballo mi putre o
l?occ (coslui che.... dee essere...(Oggi si direbbe saper di guerra o ragion di
stato che fa lecito ciò che e utile. Il popolo la direbbe un time in I)av. i gi
ii) si | | il ll es.. si direbbe. E in colal guisa, non senza grandissima
utilità, per presto accorgi mento, fece coloro, rimane e scherniti, che lui.
Iogliendosi la penna, a rea il ('r('alli lo sch e l'm iro so. I3 cc. E quello
essere che era s'in aginò l?arſ. a 1)issele: non isl in sti c. moglie mia, uomo
tlcuno mai essere nostro amico, il quale la reggia on I ro il nos/ I o cuoi e
o, IP: Indolfini.co Colui non fate citt e Neri i tio. che non rºtolo rirºre sul
no e' lie / - di ilſilli. Quegli al bisogna di poco che poco desidera ».
Albertano. a 1 ssai son di quegli che a capital pena son dannati, che non sono
dai prigionieri con tanta guati liti sei riti. Rocc.a Indò per questa selra
gridando e chiamando a tal'ora tornando indietro, che elli si crºllera in noi
in zi di malare o lº scr.« E i ri si riduce rat no come a un porto, in perocchè
saperano che ('hristo ri remira, e non gli polerano andare dietro in ogni luogo
e ta lora crederano che fosse in un luogo, ch'egli era in un altro ma vener, do
in Iº e la mia. Cav. Solo Iddio sa i nostri occulti ed il nostro fine, che il
giudicio umano molto è fallace: che spesse volte tal cosa ci parrà buona ch'è
ria, e tal uomo ci pare rio ch'è buono Cav.rispose che delle sue cose e ai nel
suo rolere quel farne che più gli piacesse. Bocc. Propose di rolere andare al
mostra lo luogo, e di redere se ciò fosse rero che nel sonno l'era pari lo.
I3ore.a I)a Pietro martire a Solo quel lirario era che già S. (toslino futc, ct
da Futu sfo mi al nicheo, suo maestro, a S. (n broſio: l'uno lullo fiori e
legge rezze. l'altro frutti e saldezza, Dav.a l)i I)icembre dicono che nulla
nasce che si semini, pur semina o i zo, o fare in su lui ranga. piselli e sul
ri le fu mi. I)il V.a Quella potenza con ragione si stima maggiore d'ogni
altra, la quale con sussidio di minori mezzi può conseguire più felice nºn lº
il suo line o Segneri.a gitta l'ammo e tal pesce li rerrà pigliato che ralfa il
tributo per lite » (esari. Due nomi, aggettivi od avverbi relativi ad un
sol Soggetto 0 verb0 a) Si separano frapponendovi il verbo. Anche il
complemento indiretto disgiungesi talora dal rispettivo diretto, pure frapponendovi
i verbo. c) Gli aggettivi si trovano talvolta framezzati dal
sostantivo. \ l 1 g.... l sl e silli, i - i scolla la, l I l: - Il
l i pez, a il II iscir: \l::: ' s." ; i viaggi chi
blo s.... il liri. I sing il il suº pensi li stili e li - si si i. II. Il
li sºlº lirli resi i vigli, sl 1 il II, Lici II l ' s l; in
ºsservazioni. Vs sa sono li al rialli, ss nel s', i rºssi,. maestri s, l.
I li alll I castigatori. I 3. l: ln i ritiri il ', con i tiri, l isp, N..
ll delle sue cose era nel suº i, lei e quel farne cºl pari ai li pºrti ss
i \ ella quale gran parte i ipoti di un de sui soldati \ l. i qui i rolli
per chi mi ieri sono, nel n. ilio alle donne stanno cli, agli ucnini, in
quanto, pii alle donne che ci il rion lui ii molto pati la rº e lungo, quando
si n: a 'sso si mossa la si l: Nali, lº si l ri'il miº l.l l ' i '', un
fiero i nº, l un forte. I 3, i. lº, i Trori i no, in luogo, le loro
i rom: mi stanchi. Il grossi piloti reni buoni.I)i ſanta ma i tiri lui e di
cosi nuova in i pieni..... l3 o. E l appresso, questo non si lanci le la rozza
rocr' e rustica in con le il l e o il latili nel riclit NN, il ct oli canto
lire' i no mi tr Nl l o r, li suono, e nel cui calcoli e nelle cose bellich
cosi noti in come li lei i t. snc: lissim ſi l lira' il n. li mi rilici e, in
grandissimi ti i pomerili e con presti aliula nel lit.... I 3 c'e' I n uomo di
scellerata vita e di corrotta, il quale lui chiamato le lo il lla Alu Nsti e.
lº ce.I' mi nella nostra città un grandioso in cui la nl e ricco. l ore. A piè
di una bellissima fontana e chiara, che nel giardino era, a sluirsi se n'urnalò
». Bocc. Voi ordineremo onorevole compagnia di buone donne, e anche
di buoni uomini e forti, che li possano portare, e larci cessare la gente
ulosso. Cavalca. e questo addicenne che quanto è maggiore la infermità e più
puz zolenie, lanlo il medico, s' egli è buono, più s'appressa all'inlermo, e di
più si studia di guarirlo losſo. Cavalca. e (in cort disse loro, il lil tulo
come al rºssºro la re, e' eleggere atlcune buone persone e fedeli che rendessero
queste cose, sicchè. Cavalca. Essendosi tutto il bianco vestimento e sottile
loro appiccato alle ('t l'ni...... ». 13,:C.1ncora quegli rampolli che sono
occhiuli di molte e grosse gen me e spesse, impe occhè dore sa di moltitudine
delle gemme e spesse iri ſia l'abbondanza della genei a lira rili. Cresc.«....
oltre al credere di chi non lo uli presto pati la loro val ornato Giambillari.«
Patira questo ignorante popolo e rozzo quelle lungherie, e parere rallen le chi
altra ra l il ll, un ali di uli I e. l): I V ill.1 rera ad un'ora di sè stesso
paura e della sua giovane la quale lullaria gli pur era di reale e o lui oi so
o del lupo si rangolare... I3 cc « e oggi se fiore ho di sapere e nome rie il
più la rel si cl e lui gli ai 1 - ringhi, e roglio oggi mai rimane mene o.
I)avaliz.a Tu che di nascosta ch'ella era ed impercettibile. la remule's li
molti ' I rut / la bile il ricorut at i Neri Si...., Stºgli.« Non prima dir
parola le rolle di correzione che dileguato si foss' ogni accusa lorº. Sºgn.chi
men riuſ ut I lui al lungo studio e sollecito da lui adoperarlo in lui piccolo
a rincere ogni pazioncello e Cesari.a Belli sono i fiori e vezzosi; mi ai coni
e dice il prorerbio, in mol no all In I l i non islam l), no... Silvi! i.a I
greci panegirici ancora non ci amo mica una pura oziosa lode, ed inutile
ma...... Salvini.a lalalore se questo spirito, di carità ma nca che insieme le
leniſti ed unite le irre in bici di ('ris lo blu / le e in orle qui il li catal
'rc rºm ſono ut ſul rsi. S: il Villi.a lunque non li par questo luogo buono,
lorº iò si gran copia di erbe e si saporite, un fiume che mena i più dolci
pisciatelli di questi potesi ed assai, e alore non ci bazzica mollat gen I e
che ci possa i tr lui il miº r. I 'i l'el l/. NON … PRIMA … CHE.... quando
in luogo di: Il0ml.... prima che e quando a valore di: C0mle prima....; come....
così.. II0Il Si toSto.... che....; appena.... che. il IIIala pcIld.... Che... ;Non
selzi il l ' 1 lo senso di co; il 'la li l' ' gl., Inl \ 1 Il Sºl la colla
illica l 'Inghi e prol di sci i tagli, il lis, rag olio logica, la Virli, il
vigo e l'uso vario e rello di questa e di cento e cento alle singolarissime
strutture, molto più che se vi sono per avventura esempi di una forli alcun
poco diversa, sono questi, esempi di autori non alili hi, ma che solari lo
hanno scritto sulle orme degli antichi Inºltre colle scril (Il re del 300 e 500
colesto I)il el Iorio è veramente, e senza eccezione vertina, il sicuro
Direttorio, e appena che vi si trovi un sol esempio, che colmi il III e con i
radisca. Mello ſui due periodoli di origine antica e classica, con parole
quasi egli li SI 'I Il III non... prima... che..., ma che l' Illo e l'all si
ass: il live si. e la sala si li va il rialli si sia Il pi IIs li sl: non..
primat. che.., e sia l'on.le dell'ulio e dell'altro sigllili. Non lo volle prima al suo cospello che egli si
fosse pentito e avesse le testato il sile) fallo no. Non venne prima al
suo cospello che egli nel cuore con punse e sl, il sl 1, ſtillo Mentre il
vago del primo periodello consiste manifestamente nella separazione dei due
incisi della forma avverbiale demolante precedenza di tempo: prima che: lasciando cioè il che solo al posto suo e
antiponendo il prima, cioè avanti il verbo del primo inciso ed accanto alla
rispettiva negazione e parlicella negativa, non o nè che ella sia: nel secondo
pe riodello la stessa forma: non... prima.. che.., indica invece simultaneità
di azione, è ormai ci ripagilialiva che il lilli il ra lingua, e orna al 'il II
ra: con e prima...; come... prima: come pill los lo..; poichè prima..., con
'... così: ecc. Noli Irli esſendo il considerazioni che, più che le mie
parole, ſi darà materia di senſirle, non che di falle, il grillo, la
spontaneità del costrutto, la morbidezza e soavità della curva, il velluto
negli esempi che quì li allego. SSEM L'I DI UN: Il0Il.... prima.... Che....
ed anche senza la negazione, I)I UN: prima... che …in luogo della forma volgare:
Il0m... prima che; oppure:.... prima che Delºrm inò di non prima mi torri
e a lui il riglia che egli gli arresse alloltrinali e costumi ali ai la licati
e I), v. 12.perche' essa rc i goſ n. Nani e le lissº, si esse il piu' recel et
lui ci al ogni suo comando: ma prima non potei e che l e onl, inola lo Iosse in
Purgatorio ». Doce.Mouli, a cui rullo, col ti l'a 1 / i ti al cio: in prima all
I o le c', che ella s in ſegnò li reale i lielli di tiro …dirò come una di
queste sui ti 'ºssº, il cosi l mi 1 e si lil e si mostri - li, osse lui ll, il
ſei no, l'unº su di lui ci ti i prima al N. nl I e il I moi ll rull: con dolla
che i lioli di rºsse con sei il I.lasciano slal e i pensieri....... e gli e li:
i in I so mi ci li. che prima siamo sli acchi, che i libici mi disposto, e
apparecchio lo le cose oppo lui ne (('un l'ºliº e li ill ci, la r il.Prima
prelerirebbe cioe' ini, l be tullo il mondo, che Idilio fosse lºslini onio di
falsità pure in un primº lo Iºr (ii rel. a nè prima ri formò che il di s.
gueul, 13oce. perchè messosi in cammino prima non si listelle che in Londra per
rºmanº o. I 3 cc.« rolle non solo disporre, ma intera nºn le conchiudere il
patrºn letali, nè prima reslò li lire che non utlisse: l'in l?elier cui ci
ritmi le Segr. 13 Così coperse lui nuli di lell'utilull ºrti, di lui con lolla
nel le mi pio, quando non prima di parola le rolle di correziose, che dileguato
si fosse ogni accusa lo re... Segri.« ('osì comerse la nudità della Santrilotti
at. a lui sopraggiunta presso una fonte, quando non prima rimprororare la rolle
di disonestà, che rili ralo si fosse ciascun apostolo. Segni. I 1.« e rolera
parlargli, se ne scusò Luigi per non arene licenza, nè prima lo rolle ascoltare
che il generale l'a resse a ciò licenziato, di che il cardinale ne prese
grandissima edificazione ». (es.« Quiri riposatisi alquanto, non prima a larola
andarono, che sei canzonette cºn tale furono . Prima sofferirebbe d'esser e
squal lato che tal cosa contro l'onor del suo signore nè in sè nè in altri
consentisse, Doce. ESEMPI DELLE FORMI E COMPAGINATIVE, DIMOSTRANTI
CONTEMI L’ORA NEITA I)I AZIONE Il0II prima l Il0Il...... I10Il Si toSto.....
che... ilppella il IIIilla perla.EI) ANCII E DELLE EQUIVALENTI: C0mle
primiù....; C0mle.... prima....; come piuttosto poichè prima....; come -...
così... slli il tille V lgi l'I e ci li Nlo che su bilo, che, ci. I. Non
prima e libri al boillu lo il gºl in cesto in lei l a che la cugion, della noi
lo lei mi isºli a mio n li a ppoi i re. I 3.Il ct c'Ncat e 5 in bella, per ogni
sorta di tici ll e non li di prima Nºli - di alo uno che gli li o I il sºlo se
mio lo sta la a lola. Caro. l. Il ct: l tesle in tilt ne reni ſono i pi ppo, e
il so il 1 l po'. Ne' non prima la l rila che gli l'ha. I lav …l doll, che
sarà, io li promello cli gli non ne senti il prima l' al re', che lei riti liti
e li isl il l il c. l 1 l'. Idilio. lisse, li Il 1 li lo i cui, e non elilu il
n 1 l o di lirilli, lo che ſli si coni in tal il pil irli, e lº ri.e non elil,
e li rile, l'intillnerali la mia sl i il che il reti lo si l irolse al l l. in
on lui ma i Nplut mi, su bilo il n 1 l l.Non prima al talli lo ri mi li a mo di
ril lo i ti noi, che lo slo, Nlton no ci ri li di lui. I l at col 1. se non lo
sº e nelle di ''I I I nosissimi al ligut. Segl. Nè prima il rule o che pi
ruppero in lullo da disperati, in gen il il ct o. Se gliL'isl, Nso (io li ho li
sui bocca in lesina lo conferma l'orch è mor prima, l lorº letto: \ un
renis/is. el modo ricºnles plagotn mi rotn linells. che nel rersell seguente
soggiunse su bilo: \ un quid dia i: a lei le mili il l cle su lislam lidi resl
rat clona le mih l'. Segli. Inzi non prima r han con le rila una grazia
alquanto spesiosi, ch'essi pretendono tosto che lui lo il dì roi li dobbiate e
accompagnar ne' corteggi, e apportar ne' cocchi, e servire nelle anticamere ».
Segn. \ on rel lissº io º non prima io roglio, cominciare a parlare, che il
Santo P ofele I)a riele mi toglie le parole di bocca ». Se gli. Non prima riule
ro ossequiosi sol lorni eIlersi i mari alle loro pianle'. e tributarie
stemperarsi le murole ai loro palali: non prima sperimentarne a loro pro
luminosa la molle, ombrato il giorno, rugiadose le pietre, fe conda la
solitudine, non prima cominciarono a debellare i popoli con la forza o a
premerli con l'impero, che si ribellarono arrogantemente dal culto del vero Dio
ecc.. Segn. Non prima contemplò quiri assisa la forma pubblica di giudizio ap
prestatosi a condannarlo, non prima i giudici apparsi nel tribunale, non prima
gli (ircustlori uscesi sui l os/ri, nºn prima il popolo concorso (t)) ol
lalamente a mirarlo, che non potendo più reggere alla rergogna, ristelle un
poco, e di poi, tra lo furiosamente uno stile, si diº la mortr. Segn. Troppo
indegna cosa è il reale e che non prima risolva usi quelli donna, quel
cittadino, quel catrali, re, o ai rºslire con maggior sempli cità, o a con
rersare con maggior riserbo, o di ricere con maggior rili ratezza, che subito
cento male lingue si ci fu zzino al molleggiarli. Segli Non prima l'innocente
colomba uscì fuor del nido, che diede fra le ugne di un rapace sparriere.
Segn.IIa un ingegno diabolico e pronto, un proceder ſardo, un pati lar grare,
un arriso subito, un ritratta i si in su l la II, che non gli c prima messo un
lascio innanzi che r la I l o a lui la sua riſortolot o. Caro. « Non si
tosto poi la riſolse in mano, che la fece di sorpe ritornar gut ». Sºgli.
E appena ebbe letto le predelle parole, che li subito sopra di loro renne una
luce con la n la chiarezza, che essendo il rore nelle oscuro e' si redeano
innanzi chiaramente come di bello di chi ti o. Cavill a. ()uiri appena ) il che
ecco l'ar male degli Areni, i quali quali lo pl in al riale ro i nostri, diede
l o l u llo insieme in col mal e latin li li li. I 3: l'1. Appena egli posò il
piede in terra, che mentre si mira col (l'ul ll ' 'n i. quiri
l'inchiolarono..... Si gn.E a mala pena e libe apri la la bocca, che gii, o
rinò misert nºn le. l'iore 17.Ed appena erano le parole della sua risposta
ſimile, che ella Nºn li il tempo del mar Iorire esser renulo o Docr'.a.... e'l
figliuolo essendo andato per il n calino per lat (lolcit. appena era il ferro
entrato nella carne un'oncia che il porco cominciò a gridare i Sacchi.« Appena
si sollera ra un leggiero, diletica nºn lo di senso negli animi i di un lierna
raſo, di un Franco, di un lemºdello, che in con lui nºn le I lilli ignuoli
correrano chi ad allui)arsi nei ghiacci chi.... Segn.« Appena era comparsa nel
campo la generose (iiudillo che l'atlli subito quasi alla risſa di un insolito,
lune, rintser lilli incitmlali a si gran beltà ». Segn.Il ralen l'uomo senza
più tranti andare, come prima chlie tempo questo racconlò.... ). I3cc ('.a riri
sicuro che come prima addormenta lo ſi fossi saresti slalo (tm mazzalo) ».
ROCC. a dore egli come prima ebbe agio fece al messere grandissima festa
». Docc. -. E in altro luogo ripel e il 13 cc. la stessissima frase: « Ella,
come prima el be agio fece il Saladino, grandissima festa »..... la qual cosa
come prima si udi per la Lombardia, lolse laul (li credi lo o, (iiamb. “e
promellendogli ancora largamente di levarsi in aiuto suo. come egli prima possº
in campagna. (iianl).la cui poichè prima ne in lese, si son li prende i si.
che…). 3il 'l. « L (quila come piuttosto di ciò s'accorso'. enl, è lui la
sol lo sopra e così s'andò la (iiore, e con togli il caso, lo pregò che......
l'iorenz. e quando egli ci sarà, io lo me è e come tu mi senti, cosi il ia en
li ai r in questa cassa e se i ra i cl clen I ro. I3 cc. con le prima, lº sl he.
Come lu gii, disceso cosi il lil o I russe. I 3 ('.Come ti ſei rola il sen li
tono cosi se ne scese o alla sl 1 di lui lº ce Come ride corre e al pozzo. cosi
ricorerò in casa e se i rossi le uli o 3 ).... per le quali parole il mio
marito incolla nºn le s'allo nºn lo e' ccme al lorni en la lo il set le cosi
tipi e l'uscio e riense ne dem l'o, º slots si con m cco e questo non la lla
mai e lº il S.Come io giunsi ed ecco sopi arreni, l'irl ro 13ore 19 NOte e
Aggi U1 1 m te all' articolo 8 12) Simile alla coes-ruzione
tedesca: nicht eher... als.... Il luogo di ehe oppure bevor, che sta per l'
itero prima che,13, Quel non, che li i lo I r. I s-li alti - Ilpi, a 1 lie
della sesso Segneri, è lorse scivolato di liti per il la ai valori e i
Segneri, ai quale sapeva male, pensº io, o gli veniva del guasto e dello storp
Io a dire: che udisse. 14, l'oni Ine!lte il lesto e i i pr. e le 11 e le
1 di... II, 'il:lo all'ait, si rassolini, li, i lle 11. Il perdori sl il 1.
l)llº I – Il re 1 il ll li si, gol i. 15 Il Corticelli si l plico Ia, il
il 1, par. 1, se qui con le e di ragione, imperocchè rilerenido, lo stesso -
Impio, osserva che la par ticci la prima con la negativa ha la proprieta di
significare talvolta infi nattanto che, e talvolta subito che. I - Il ll il 1,
si l: i 1ei la se conda parte di questo Inedesimo al tiroio S. Mia che li
citato non prima fol mi da se S lo frase o modo avverbiale colli e vorrebbe e
valga infin tanto che, non so cui possa Ilia I capire nella 'lini, che il grato
sente e intende (lei II l 'ti er-e III l i lill 1. Il nel significato di
infintanto che, lira Ilei la s partiz le due lil - la l l'avverbi, prima che,
tra li l'11 | tendov -: o li e -il-sogllita o leve sllssegllire. 16 Qil -
o prima 1 e 1::l'i; 1: de l eher li di piuttosto, più presto. Ma ad ogni modo,
resta sempre il grafo della di sgiunzione e trasposizione dell'inciso
che, 1, Binda che i ll'en III al clie fa r, ti ra questa o qllelia for
Inti in coInfronto di un'altra clle III i dl o con i lille e volgare, non è In
lo avviso che questa sia sempre lilello bilonia, e sia la sli: 1 ter addlr
IIura. \ che i Inodi tos:o che, subito che non solo a ragi m d' s III pi - II:
il 1 li che non ne usasse quando ben torni, anche il I recenti e cinque º to
Simile a questo subito che, IIIa in Iorma piu gaia e pil ſorte è il da te si o
ratto che:..ed r si lev o ratto Ch', la ci vide passarsi (l: V: l Int (m.
18) Al che i Latini usarono ut i greci o snello stesso siglli l'rim.1 di
passare a l alti e altri tazi, i no: voglio qui rimanermi di ºsservare che (Il
testº: come.... così..... è ben altra cosa della forma coin. parativa, p. es.,
del sieguente passo: nè sia chi ne stupisca, perche come l'uomo è vissuto cosi
generalmente muore. Notisi però che di questa forili º comparativa ai buoni
scrittori piu che il diretto: come... così..., a: a Va assil I
lll'ill Ilio l'assetto in V clso: cosi... come...; che cosi in alti e non come
l'ho citato lo trovi questo inedesimo passo nel testo originale del pil dre
Seglieri: li siti e li I tre still list il per le cosi l'ul, irlo lilllore
generali Irelle, come è vissuto n.Assaporalo il grata di codesta lli versi rime
anche negli eseIl pi se gllenti:Queste sono le operazioni (le l' ill: Ino: all
III: estrº l e, a Irl III ollire...., l - gli cosi Coni e lº, il 1 lt il ſil 1
l. - e ce, aci per i re cosi lo III: i glie loro come lo Ilge gli ed
intelligenza il ogli i sa, e pera º norevole I l Ill sa.... » l' 1:1 lo l
Illi.Io potrei cercare lulla Siena e Ilol Ve ne troverei illmo, che cosi II i
s.esse belle come il si.La li la dre, che le tl, l ire l: I 1:. ll ll l: I g il
va Il ferirla, poi, le le seppe Il rito Il. dI S. l a no esco con lido che cosi
or: la p 1 l el l e l'Isll st 11: l III, I | 1, come, Zi l', i Vrebbe potuto
risal lia l' iller IIl l: illo. ll, cosi i ns, come gli 1 ll dal V a ntl gli si
gel1 o 1 pl il 1, rot! S si III in id), Il Irgli ». I3: l.«...... ll I II li
assi. Il ril. ll I 1:1 e-1 r il pil sapere di V (I, cosi II slla l la
legg.. I 1st a 1 il ss 1 vs 1 1, come voi ora il I persl 1: i let ss. l
la s. l '. I 3: l. e … se li, V. - ti.. ll cosi !) il liti e In Il lidosi come
il l V el'elil e la V il si, 13a l.« A Ilzi cosi il ssista Idcl I o il V revole
il Il le:is eri come i 1:ì ll pil II: i n1 il Se tl.Se l'uomo la il sottil I
geg. l lo i teli e lo chiali o, il salda me noria, loli se li puo e l'1, i re:
le cosi -: S I lllll liti de Vizi, come li virtll,. lPass: l V.lº, il vero, li,
cosi come lei, il... - Illesi: da li ll. I l il l re i ti li.. -. I 3, i.“. -
il ilse la V I rl I si sa delle liti.... per le cosi come, lisa V Vedula
trielite: so - ei 1, si via tre il - i l: spegnere per o!: ºr i li ll li
i' l I l: il ct, lì 11. - lo Il Vila: “i sa slla i livi gli in stra quella cosa
la qual e egli ha più cara, a flernlando che se egli potesse, cosi come questo,
ma lto pit volentieri gli mostreria il suo cuore », l?occ. “e che cosi fosse
servita cosi ei come se sua propria moglie « I (lsse ». I3C) (('.«..... rispose
che così era il vero come quello Irti le aveva detto ». Fioretti.« E son certo
che cosi a V verrebbe come voi dite, dove così a ndasse la e bisogna come
avvisate ». I3 a.« Ma non illte:ldendº essa che questa fosse così l'ultima come
era sta e ta la prima ». Bocc.e Sio Irli conoscessi cosi li pietre preziose,
come i ini, sarei e buon gioielliere ». I.ib Motl.19; Ho annesso agli ani e li
liti in li Il testo esempi di un come.... e...., e sì per mostrare l'allal -
ia, mie a 1 he per rilevar e la diffe renza. A cenlla bellsl 1 il l Il s.o
come.... e.... alla con impara nella di dlle atti, Ina Vi senti al che la
relazione | 11:1 lo di: in quel mentre, in quella che..., precisamente al fora...,
e qlla ido, di quando..., tanto....; di che ti sia l all o p III, l i rili pari
le lilli e si ra., il 1 e l'allegato, gli esempi che seguono:e IO Ini leva
diritto, e come i i vole: l IIIa ridare chi fosse, e che a Vesse, ed e., Iri
esser I.: Inler 1 1: v. I l sul l. 1 litot e 2, 3oCome noi pro lia il e s II h,
a e ge')till III: I mie!'e V (Ing Il i: ll' ! ! li,, (si ri.Come pili i vecchia
la V. AV relIl mio tilt li in li iori -: l:di. l il bit. ll e pill ripostigli,
e più si cerebb il le s II -, e come piti adoperate e liti per ferite e ! ti ve
nio, poi io che si lo i come le vesciche, le quali come pili solo lo rientate,
e pii - empiono,. (.ar.()sserverai lili -1 e si pllo talora sotſi' il lil re,
ti: nel I e torni bene, e punto illlia n soffra il senso. l'rima di
uscire di questo come, cli i lili: lelli voci re Illonti sulle penne degli alti
li, p la eliri per il III: il clii il 7 Zii e collettivita, di completare e
mette e qui il Vppenali ll l a rigor di ordine s: rebbe materia del capit, i
gli ºli,,,, il ll li - Il pi l'1 ol':i, sia di un semplice come, che, -: l li a
lli I chi, lui ora Iorzi di siccome, poscia che, conci ossia che, subito che,
li quale il. col... quale, precedute dalle voci modo, via ecc., e quali (lo di
che, di finchè ed anche di quanto n 1 modi: come spesso, come presso?) e talora
lillalrilen e di im, con, di qual maniera, guisa e simili, sia de 'I I riport
come che, a valore quali ido, di avvegnache, I: I: Ido li in qualunque marie ra
che, e talora anche di uli semplice come (siccome. “e com'è Illisse di verilo
e'l freddo gra il le, V eg. ) io l'ill l'e ll 11 di que” bacherozzoli o F,
ronz. a Come villan che egli era il canili, di lilltalli, gli illò della
s lll'e a sulla testa sì piacevolmente che … Fier liz. I concia -si: chè
egli era villa li, cosi ſi celido come si lol la r llli Villa lì
lì. ti e come colui che pi col l lev:I | Il ra a V V a 9. l 3
ct'. un giorno verso la sera elitrò li ei gia i dilio illi: gi valle hella
e vistosi, come quella che Ioriº ita era di vestiti riti di seta e
d'argelli avea intorno le piu nuove ed is;uisite legge che si lisa-ser,
(iozzi a.... e com'e' vedeva i lºlirici in posi, novella illelite ridava
all'arle º Bart. e dissegli che come nona sonasse il chiamasse» Bocca Come la
donna udi ques.o levatasi in pie, comincio a dire....» Doce. E dire il
vero, com'e' l: rai, Ild ri. Illesla (til lido ilz:i di l)io il lin llc, l'e, è
lllli il n. St gli...... e com'ei Ill iIII per li re, lei scaccia la... ft III
l'il' li lllllg, si eliſ on I ); i V.a Questo animale, come sentirà l'odo e del
pesce, ilscira fuori e con il a ciera a mi: ng la rsi di Ill peso 1 il ni,
Fiºrenz.“ -come pervennero alla città di Gaza li l iuoli inlerinarolio si gra veli
elite d'ulio Inc. rilo e le el'a ll lisleri It I l (il Val 1. Io voglio andare
a trovar modo come il s 1 di qlla elitro » lº - e segretamente deliberero io
che si dovesse trovare ogni via e ogni modo, come poi sistro la r 1:1 ril e
(ies Il Cav.... e da quivi innanzi penso sempre modo e via come e glieli potesse
ll l':ll'e o li l el'. … che per certo se p ssibili fosse ad avere pi e ebbe
come i il V esse » i 3. li Il l..... l Ebbe l: nuova come (ialobal era il is l
il V..... come ti se lui spesso ad Ira.. I3llon: i ferrilli!):l, come il
cºlessi I ea voi? Vlessere, dlle tl):17 /:ll di ma lo » 13. In Itlal I l
'lieri, i 11: il prezzo).Come è il V, si ro Il le? e il V I l come li, il 'll?
e lº quale, di ſlal lo fila. e... e di li a 1 lo come li -: -st:: Il a
I.:i giova:le, plai lig il, l ' s -. ll avev. a - la li paglia nei a selva sli
tirrita, i ri. I come presso lo ss o il Vlag::l, i cui I l bilo: ll il si
se...... l3 e. I ) Iss i llora l: i giova il lº come i l so io: l italizi
presso di di ver il berga l'? » I 3 i.Veduti e gli allegati i seri ini i lil 1
| li i lisi di tiri come il form la selm plice, passiamo ora agli esempi del
collip - come che, in quell'lls, e val(il chilo (li: i rizi: (*) Notale
queste forme: come avete mom e? com'è il vostro nome? Vostro padre corn e ha
nome? Sono st m.lli alle tedesche ed inglesi: Wie heissen Sie? Wi e ist der
Name? What is the name? ecc.Usane anche tu, e la sera il francesismo: come vi
chiamate? ecc. e simili. Si che l'ha anche il Boccaccio questo chiamarsi in
significato di aver nome, ma ne us a tm maniera ben diversa e più leggiadra,
che non fa il moderno. Esempio. « Domandò Giosefo un buon uomo, il quale a capo
del ponte si sedea, come qui vi si chiamasse. Al quale il buon uom, rispose: M
a sera qui si chiama il ponte all'oca ». I) al qual esempio ognuno intende che
quel si non è particella pronominale riferita a quivi, qui, ma sta per gente,
uomo, on, man th ey the people - e qui si chia:n a vuol dire: qui la gente
dice, qui si dice, qui tutti chiamano, o cosa stmlle. Di esempi del modo aver
nome in luogo di chiamarsi abbonda ogni libro classico: “ Beata Margherita fu
fi gli uola d'uno ch'ebbe nome Teodosio, Il quale era Patriarca ed era gentile
uomo e adorav gli Idoli... “ Cav., ed io non Glan noto, ma Giuffredi ho nome
Bocc. ec. - Nel tempo d'un Imperatore pietoso e santissimo, il quale ebbe nome
Teodosio Iu un senatore della città di Roma, il quale ebbe nome An tigo no,
uomo di grande affare, e molto congiunto al detto Imperatore... Tolse questi
mog te, una donna, la quale ave a nome Eufrasia, donna religiosa, e molto
temente l ddlo n. CaV. 33 a) L'avverbio come che non ha quel senso
di perciocche nel quale tanto frequentemente è in bocca d'alcuno. Il suo
natural significato e d'avvegnache, ancora che, ben che (Bar toli). Notisi però
che anche in questo senso trovasi il piu SOVC Ilte, l) Ull al principio del
periodo, ma entro a questo acconciamente innestato. In testa al periodo
prelerilai: quantunque, quantunque volte, benche, avve gnaCChe ecc. «
AVVisando che dell'acqua, come che ella gli piacesse poco, trovereb º be in
ogni parte » Fierenz. “......e sempre che presso gli veniva quinlo poica (n
mano, come e che poca forza l'avesse, la lontanaval o 13o. "......
ed oltre a questo, come che io sia al titº, io sono inoltro, colite « gli
altri, e con le voi vedete, io: io, i s a I r; i vec li a Lioce. º......
il quale, come che II lotto - ingegnassi di pir, r, salito:ier, º al flat
ol' della fede e l'isi d l'1, i ra Ilon III. Il tono liv st 1. alore di hi a
piena a V ºa la b rsa e li li rli dI - ii a lei le s III sse » l?occ. a Ella ll
(lilediCa Il li l' ', conne che li l s, il lit: i rito, se la ll I li « fallo
llli crede. 1 e esser III, I » I 3 t.« L'ira in fervelllissili lo Il rore
accenti si r.:; e come che e questo -C Vento 1: egli iol 1, 1, 1 a VV 11: 1, 1:
là con ni:::::: danni s'è nelle donne Veillllº º Bocc. º...... si è
adoperato i 111a Iliera di ri..., come cime inolfi il Liegano, a ((Il dann, a
lido d'errore il dire.... » I3: l'I. «...... e come che gran moja nel
cuor fi nis e, º eriza n. il tar viso, in braccio la pose al famigliare e
dissegli: te..... 13 cc. « I Inalla cosa è aver rimp.issione d gli: Il Il
ti; e ceme che il claso una a persona stea bene, a colori e mass III, III e 11
e 'I l ' st, ' quali.... » 13 r. b) Anche per comunque, in qualunque
maniera, e ad i era lui si desimo come che, scrive Il I al I l l', - lizia
Illi. Il sospet lo d'errore.In questo caso pero e il come non il come che)
l'avverbio risolv: toile lei sului (le111enti: in qualunque maniera, e ii che
li e la rispettiva. giunzione o pronome realivo, congiuntivº: nella quale ecc.
o Nuovi tormenti e nuovi torinºlltilt i Mli V gg, Ill. l'I1, come che io, « mli
Inuova, E come che lo li li V l il.... » l)a ille. « Come che questo sia stato
o no.... o lorº. a Come che in processi di tempo s'avvelisso. Docc. « Come che
loro venisse fatto » l?occ. « Ora come che la superbia si li renali, o per l'un
modo, o per l'al.ro...» Passavanti.« Ma come ch'ella li governi e volga l?rili
lavora per me non tol la « mai » Petrarca. c) Notevole anche il come che
dei seguenti esempi, nei quali sia il valore di un complice come i
siccome, « E come che il povero corvo fosse persona antica e di gran
ripºrta « zione....., molti lo venivano a visitare, e come si usa, pil con le
parole « che con fatti, ognuno gli profferiva e aiuto e favore ».
l'iel'eliz. 3 - - - - - - m: disposi a non voler più la
dimestichezza di lui e per non averne ragione, nè sua lettera, nè sula 1
Imbasciata più volli ricevere; come che io e l'elo, se li lu fosse
perseverato,..... veggendolo io consu « Illare, colli e si fa la neve al
sole, il limito dll r, proponilla mt, si sarebbe a piegato » Boce. I3mila
però che il come che di questi ed allrl siiiiili esempi senza nu Intero, 11, li
si vuol leggere i dlli filo e pr. llllll iare con quell'accento che il comme
che a valore il quantunque, benchè, che sarebbe imbra il o troppo rincrescevole
e noi ne aver sti a lei in senso, ma profferirlo in guisa che il come risalti e
recli egli solo l'impronta di siccome, im perocchè. La congiunzione che non ha
qui a far nulla col come, nè sta ad al.ro ulfficio, oliº di semplice collg
Illizione o nesso di puro OrnaIlento, e la portersene all'he l'Il rialle e',
'Irle appllll., fece, tra l'altri, e assai si velli e il
lºlere:lzuola. Particelle e compagini a foggia ed uso classico;
avverloi, cioè, col ngiu 11 azioni e voci il n go - I nera n lo è o li in iu 11
i valore altro cl neº rela a tivo, 1 r) a tu ltto i 1 n t rii msec », i1 in in
nea 1 nerì te Clirò cosi, e il nero 1 i te al costruutto, con i lcº il gran to
del tcsst 1to l crio la ale, il va ago. lo il coro lit collega - 1T nel
nto gli slo: nrtite i lec. Ad alculle di sili. Il l Irella l. I li gi i
tiri lici li nomine di 1 - pieno, e ci sono ce le colali particel.... ess,
proprie della lingua toscana, le quali, oli e il 11 11 11 -si l i i s ll la III,
il alla tela gl a - Intili: Ile, clie pi l'eblo sl. 1' st 117 -s. l II l' - I
lil a cle aggli Ingallo a - l'orazione forza, grazil. ori a 111 mil... se li n.
I ro. Il cerla maliva pr - prietà di linguaggio... C. rl Icelli. CIl mio ed
altri. Ma vorrei qui rilevare che codesti autori fanno appunto oggetto di
particolare osservazione le l ' Vlt i l (..l'.I l.E che non inati, o ti ifici o
altro cile di ornamento e di ripieno; men.re le l ' V l l I (I, I l l. e 4 t ),
il V º il N I, e le V () ('I IN (i I, NIEI è VI,E, di cui e parola in questo e
in altri capitoli del I)II E I'l'ORl(), sono argomento di studio da quindi
addietro al tutto igno rato e assai più rilevante che non sia cosa puramen le
ori:arm2miale, come quello che adopera all'origitial candore e alia NEI VA I V
del perio dare classic. NON SI (tanto)... CiiE NON... Per squadernare che
io faccia un libro, il derio di penna volgare o colta, a gran pena ch'io vi
Irovi pure il periodo a lornia e sll'ulltila clie negli esempi che qui ſi
allego. E dire ci clia è si bella, strella, evidente e di un garbo tutto ilaliano
! L'ebbero a grado assai ed usarolila di Irequente scrittori non pur del
[recento ma e ti i cinquecento ed anche dei piu recenti, – di età cioè, non di
sonno e di ullura, ch'ella è antica e non invecchia mai. ltisport pressa
poi al 11 sl 1 o: per quanto... lulla via..., e talora a 11 ne ai cori e tali
vo: qui un lo... all.rellan lo.... Cili è però mestieri di ben altri, i lilo a
1 il ri: il lique suscellibile sia dell'uno che dell'altro 1 ggi il coinvºlte i
Sy Pochi esempi, ma quanto basti ad aguzzarlene l'appetito: .... e
le giustizial to a sioni in calesine in diverse lor pan li debbono a re e
al rei si nun li, nè si l ruora alcuno muri e o cosi bello e leggiadro, che
ustio li', pur intenſe non luiuslidisca e generi sazietà. Varchi. E dunqu su
penso che l'osse un re libero di carila, che non è si poco site noti avarizi, e,
a lui pia, che li lle le cose ci colle, onde ella di mld l'a, più te, e l'uni,
e in. ch ella non la ceca se medesima. Cavalca. .... m. a e la loro si
alla lo alla mia che una paroluzza si che la non si può dire, che fiori
si senta o. liocc. ....pei e che mai uomo non mi vuol si sce, e lo parla e
che egli non roglia la sia pari udu e, e se ci cruene che... i 13ove..... Mi ss,
i disse la donna, il giovane con che alle il laccio non so, ma egli non e un
casa uscio si serrate, che come egli il tlocca non s a lui a... I c.percio, che
egli non c alcun si o bito, al quale io non ardisca di da ciò cl, bisogna, ne
si lui o o zolico che io non annoi bidisca l'ºnº r, il il di ciò che io cori di
litrº.il in ii...... ancora che egli non loss mollo chiuti o il dì, ed egli s
ci sº in sso il cappuccio in util: li li occhi, non si seppe si, io ci o cali
non posso prestamente conosciuto dalla donna - lº no: si p co che oltre a
diecimila dobbre non calesse e lº ins, s. capelletto: Messer lo piale, non dil
cosi, io non mi onirs se ne tatto e le nè si spesso, che i sempre non mi i
colºssi i sa, i n i 'mente di lulli i miei in rili. che io mi ricordassi dal
ci, ci e, a qui, in lino a quello che con lº stilo mi sºnº i 80 t. ve mai enti
e così ci rendo cedrete coi, niuna spesa lalla si ſnºdº, è si s., lo sa, ne
tanto magnifica, che ella non sia di molli, per molli mancatinenti, biasimarla
l' º '.e 1,i, il re in guardi, che i cari sia le nulle si lº lui il li) con l
rul 'lo alla fase a degli uomini quanto l'ºrº ristº: niuna è si chiut l'ut ('
eccci fetil e in la quale non stia oscura, e sconosciutº sºlº l'u n'atrizia ».
l', i licli il. - - E la chi potremo noi lidire' più il vero, che da voi, il
quale si" riputato sion tanto spendente che in roi non slot onesta
mºsso" " si le massaie, tale che non dobbiale ºsserº reputato
liberale? ». andolº. si eli, a I, sperar mi ero cºſiº I)i quella ſera la
gaietta pelle.; del I n po, la dolce slogionº, Ma non si, che paura non mi
dºssº La rista che mi apparre di un lºrº º l)ante. - - - - - i vini campo, fu
mai si ben collirottº, che in esso º orticº ". o alcun primo non si
l'orossº mescolato fra l'erbe migliori º l' iamme" « Non ci sarà tanto
dolce la consolazinoe che prenderete del sºlire,.... che egli non vi debba
altresì essere utilissimo il al re... C - sari. (29).« e dilellami di pensare
di lei maggiormente, che reca maggio: virtù e maggior ſortezza: e so bene ch'io
non potrei tanto mensa, che più non ci avesse da pensare a Caval a.«... e' l
dimonio disse: Al mondo non è per cui lo si gr. 1 nel, che I, lali, non gli
perdoni, se si converte, ma qualunque uomo si accal.. per I l pºnilºnso o per
altro modo, se llio non gli ha misericordi, si e ci rius I., Cavalca. non è si
aspra e malatgerole che alcun pur non la les, le i Cav.« non è si magro carallo
che alla bietola non rigni in il 1 lo.. S º..... con piacere inci 'dibile del
mio stillin, che son d se la trº Sloi (), che per si la lo on i re non si l is
'n lor e il tr..... );...a Io ne ho parecchi esempi ma per dir crro, non son
cos: i ſissini: che non possan ricevere latin lo accorcia in n 1 l in I pm la l...
li « Qual luogo è si sui grossi nto, che i c. coli non ti tra il ct 1 nel 1:
insidie alla loro incut u lui one's là?, S gl, 30« un lento morire di dodici
anni, per una penosissimi a: i riti iii: nè tanto leggiera, che quasi sempre
non isl ess, in agonia. se tanto il re alle forze della sua carità, che sempi e
non in licasse i sei zio di Dio e delle anime n. 13a l'I.« Non istelle o però
sempre quiri in Tucuscima fermi si ciºe l'uno e l'altro non iscor esser tal
rolla a seminatre e mielere il lle tll re isole di quel contorno ». Bart.« Che
se non è mai tanto aspro dolore che il len per non lº distri li ed anco non lo
annulli, perchè la prudenza e la costati ai rom l dr G almer in itigare? ».
Caro.a Secolo non però tanto di rii li sterile che qualch. n e si ri; i non
producesse ». Dav. - « Sicchè bisogna guarda i ri da animo delittº ºlo. perchè
alla osti, nazione non è si difficile impresa che non riesca. Fiºr º.a V ero è
nondimeno che in questa pati (e di nasconi, si tl riti º gli renne fatto di
conseguirlo si interamente che ti º di quello, che fuor che agli occhi di Dio
egli pensava essere occill I, r; l uſ gli atll ri. nºn si palesasse ».
Dart. – 38 – NOte all clrticolo 7. ?S) To II: Ilive e per
i 1:1 1: la..... Il Not so.... but that.... Es.: I noi so but that I l l:lve g
ancd at rva - sonº l'1: v. l. ll, Willls ver not so Il 1 l v d... A cºl
bu:i tinat i -li si stile t: 2!) ();: non si u, le motº..... ! ! (r -,, e
al I li e !::i ll l: llll rºl, l tall ll...... o si pºte:to... o tre....
vi il lla -. v. l i non meno,,, cime VI, ina: qui li a l. egi 12 linette
i'a, la cosa e i'altra; I l V i l IV V:) 11 egua i rincari e il pregio di virtù
e in nuriero di lei le!. l....., l i i 30 (). li è in ſo..! i; iprimo incis, l'
ri: Ni: in It:ogo è si s -:: cin e voi i pl: i non te !, trici 1 e ti.
13 n0n Ciii... (anzi, ma...) l' vi l' non rli slli gg ad Il col: il
liso, ci chi si l i delle in circ venti li e ſi ha - - il l e per le
fornire e c i cl: ssi i: I l. E li ul: ssaggio dei model i i non cli: « E
vi la lo il tg ci li:. spicca il I l. non v li e' viali ecc. il III il s
lis.. l si gli e il solo cile gialnili: li si riliv li i ll ': 1' ll -:
il lassiche, | Non sº, l l: li lilai i ". I sici in l:il guisa, ma
luitino, se lingua a que” gloriosi. l:s il de vi: il re ciò e,i
lire: si oln in he uscir de condo pari a me, pole a riti per il che | Il
il colport Isse, lanlo è diverso questo modo, non che dall'antico e lui si li
l'ente sulla Appo i classici vale a dunque quando non solo, (Illando non
solo non. Il Bartoli e parecchi altri sottili investigatori in opera di lingua
appuntarono il Vocabolario che definì il non che: Particella e crersalir. e di
negazione, e corressero aggiungendo: alcune role sì, alcune colte no ma e del
si e del no niuna regola. Io non pretendo crear regole; rife risco l'Osservato
e se altri fai assene regola, al sia di lui.Dico adunque che Dante. Doccaccio,
Cavalca, 13a Ioli, di altri li grande autorità dànno al non che senso di non
solo non quando regge in passato e talora anche il presente del modo
congiuntivo: in altri casi vale sempre o quasi sempre non solo.Il Cesari però
adopera l'un per l'altro. Forse ch'io inal, apponga o che il valoroso Cesari
(lui sgarrasso? Non oserei asseverarlo. Il ma od anzi del secondo inciso
ordinariamente non ha luogo di lando. vi è inversione di frase, e però il non
che sussegue, non precede, come si farebbe direttamente. Nè per questo torna al
non che moderno, che la relazione di non solo non e mai vi si sente ſul lavi,
ed è lontano le mille miglia di assumere il torto significato di siccome anche
e ancora (C('.Senza inversione di frase può per altro il mal precedere l
rrelativo non che, come fecero, Boccaccio. Partoli e tant'altri senza rimerci.
Loggi e dimmi se vi ravvisi il non che moderno ! E' affare di ori ginal
candore, integrità e vago non pur della frase, ma del peri do ancora, che i
moderni non curano affaſ (c, lo bistrattano, e pare che i cciano a chi più lo
strazia.(38). Non che io faccia questo.... ma se roi mi dicesſe ch'io
dirorassi nel fuoco, credendori io piacere, mi sarebbe diletto ». Borc.« Non
che la mattina, ma qualora il sole era più alto..... ra si poteva (1 ntl (tre
). T30CC.a non che a roi ma a me han contristati gli occhi ! ! ». Bocc. « Di
qua, di là, di giù, di su li mena. Nulla speranza li conforta mai, non che di
posa, ma di minor pena ». Dante.a Quanti leggiadri giovani, li quali non
ch'altri, ma Gallieno, Ippo crate o Esculapio arrieno giudicati sanissimi.....
». Bocc.« Ed oltre a questo non che alcuna donna, quando fu fatta (la legge ci
prestasse giuramento, ma niuna ce ne fù mai chiamata ». Rocc. (30). « Ma non
che punto giovasse a rimetterlo in miglior senno, che anzi ne riportò parole
disconce e di non liere strapazzo ». Bart. 40'. «... e da questa tanto generosa
e salda risposta rimase il buon capi tano si commosso e sì mutato nel cuore,
che non che prunlo (tltro dicesse per isrolgere il santo dal suo stabile
proponimento, ma egli medesimo determinò di rimanersi, e correr quella medesima
fortuna che lui, nulla curando, nè la perdita della sua mare, nè il pericolo
della vita ». Bari. «... e non che il desse al ballesimo, ma da indi innanzi
cominciò una sanguinosa persecuzione ». I2art.« Sostenne (Socrate, con
grandissimo animo la porertà. intanto che, non che egli mai alcun richiedesse
per bisogno il quale avesse ma ancora i doni da' grandi uomini offeritegli
ricusò m. Rocc. (Comm. sopra la Co media di Dante). « Li quali
piaceri lauto all' una parte ed all'altra aggradirono, che non che l'un
dall'alli o aspettasse l'essere in ritato a ciò, anzi a doverci essºre si lot e
cct in nl ro l'un atll al! I o, in rilanci.. l occ.() la che il San lo ri in
tre line di calci i giù a rompicollo in rati i temi pi di ſtuciulli e il mal dl
mi ma che di ragione, ballendo sopra dei sassi a pil del nº iro, poi l' noi in
all zza di reano º immaner imiranti, in ton che la ni avvenisse il lor che anzi
non mi andarono pur leg gri li ul, li si ºr a nolo di Sai, i rol rol, della
promessa, in risibile mi il lit ma il ct - sl n. 1 li s l alti i l. ll. I 3, l.Il
Sult 1 io non che si mostrasse il till I N l li li, l.. o si ritirasse in sè i
cd 'simi per non lo si ut e r, i ma, ma anzi con sembian Ie e modi d' ui a
schiella ci ſia balili e il ct pi e l i tiri i tiri in li, lui lo aggradira,
fino a bere per man loro..... l?arl. - - « l' rciorch è c'illi era di sì l in
Nsrl rilai, e li e non che egli l'ultrui on le con giustizia vendicasse, anzi
in limite con valup eroli, illà a lui fattene Nosl e ne rai. I 3 cc.«.... e
questo set persi sì con la meml, la e, che quasi mini no, non che il sapesse,
ma nè suspicat, a o lº c.Ma con ciò non che li domasse che anzi maggio in ente
gli inasprì: itl che.... ». I3:art.« Ma non che cessasse con ciò la l. 1, in e
la suoi i rallelli, che anzi maggiormente le crebbe a 13ari.a Le mie scrilure.
e de nei passati, allora e poi le lemmi occulle rinchiuse, le quali non che
ella potess lega re nè ancora rederle º, IP:ulldolf.« Ma, non che il corno
nasca egli non se ne put e nº pedala nè ombra o. l 31 t ('.a... se ce li rai in
corte di lotti si e' reale la scellerata e lorda rila dº coi lipi, poi, non che,
gli ºli (il malco si juta la cris' il mio, ma s', gli lossº cºn i si tro la
sen-a fell, giudeo si ritornerebbe l'oce.illiri o il rili, e scorallo, non che
se ne adontasse. I remi il mulo lui il ſì dal tempio per nascondersi doc,
chessia de Cristo che lo minacciava, (es. 41).e nessun alito di le ter, di luci
costume, nè di sentimento, non che gentile ma nè un erno si è mai potuto
appiccare in Intel srl rigºrio animo v (s. Il salarmino cielo, non che
gli altri, piorera a noi ", il ſiorno ch'elli nacquero. Filoe. (ſ2.Non che
polare è cosa perniciosissima salire sopra i lrulli e scull picciarli molli
anazzosi, o auando è nebbia che gli fa sdºrnire º, l)av. (ppena el io a dissi
di crederlo non che li scriverlo ». Bocr'. 13', si r, tutti di tingere a tale
alle ot, ch' minali ali alberi non che a ritm-i le bicicl, o. Segn (1 ).« Tutto
'I I, in po di cita, che mi può dare ancor let maltra, ſia pocº a rammemorare,
non che a rendere all'Accademici lo ſtraziº che io debbº ". T):) V.« I)i
cosa, che egli roglia, ma io dico si' rolesse l'asin nostro, non ch' altro, non
gli sia detto di no ». Bocc. (ſf).« Madonna, se voi mi date una camicia io mi
ſtellerò nel fuoco non ch' altro ». BOCC. «.... e sfacciati più ancor
dell'antico Cam non dubitate per beffa nudar chi dorme non che in ritare di
molti a mirarne la nudità º ). Sogn. «.1 dunque, come ha rerun di roi gran
premura di assicurare l'eterna sua salvazione, mentre passeranno i dì in lieri,
non che le notti, senza che di ciò mai ri ricorra alla mente un leggier
fantasma? ». Segn. (46). «... non sorrenendoli prima, per sommo loro dispregio
neppur di un salmo, non che di alcun più onorevole funerale ». Segn.«... al
sentirsi rimbombare quellº ch m ! nella mente, Don Abbondio non che pensare a
trasgredire una tal legge si pentiva anche dell'aver ciarlato con Perpetua ».
Manzoni. (47). NOte e Aggiunte all'Articolo 13. (38) Non
sarai poi di si corta vista che non ti avvegga di equivoca zione, a volere,
come fanno certuni, sempre e non altro vedere e inten dere che il ragionato
modo non che, sol che si trovi un che accanto alla particella non. Il seguente
esempio ſe ne chiarisca: « Come, disse il ge « loso, non dicesti così e cosi al
prete che ti confesso? La donna disse: « Non che egli te l'abbia ridello, Irla
ogli basterebbe se tu fossi stato « presente: Inai si che io gliele dissi: ».
I3occ. Separa quel non dal che, intendilo nel senso di non già che ecc., o
altro di simile, e la frase è chiarissima. Ma col senso (li nonche lì lì le
cavi alcun costrutto. (39) Traduci: non solamente niuna donna ci prestò
giuramento. Ina. Poni mente costrutto egualissimo dol seguente esempio: « Il re
udendo « questo e rendendosi certo che IRuggeri il ver disse, non solamente che
« egli a peggio dover operare procedesse, ma di ciò che fatto avea gl'in crebbe
». I30 ('. cioè: non solamente non procedè a peggior operare, ma.... E chi
dubitare a dunque che in costrutli si fatti il non che ha senso di non
solamente che, e l'uno e l'altro, come che altra voce non segua che comunque il
neghi, vaga e breve forma avversativa e di ne gazione? Osserva come in molti
degli esempi (e potrei allegarne a centinaia) che fanno seguito a questo primo
del Boccaccio il non che ha senso di non solo non, o come a tutti codesti non
che risponde un'im perfetto o presente congiuntivo, il quale solo che al non
che si sostituisca il non solo non, torna al passato o presente indicativo. Ma
quanto è migliore quel costruito! Ammira stretta commessura e soavità di
tornio! Traduci come sopra: non solo non giovò, e così nei seguenti
esempi.41) In questo esempio del Cesari non vi senti forse quel vigore che nei
precedenti. Vuoi saperlo? Manca il ma od il che anzi come suol fare il Bar (li.
Inseriscilo il fatti ed oti leni subito un tornio COI'l'ettis simo, e al tutto
col fornire a quello costan.emente adoperato dal Bartoli e dal I3Occaccio.(2)
Non t'illuda la costruzione, il vertisei e trovi sempre il non che il discorso:
o Non che gli altri, ma il saturnino cielo pioveva a InOre ». E di siffatti
modi a migliaia ne troverai soluadernando i classici, di ogni età e di ogni
sfile. (43) Inversione: non che di scriverlo ma nè di crederlo. 44) Invers,
come sopra, e così negli esempi (le seguono (5) Qui piacque al liocc. di
esprimerlo il ma non ostante l'inver. sione. Noterai di quesio e del seguente
esempio la naniera non ch'altro, la quale pare che andasse assai all'animo al
nostro valente oratore I3arbieri. L'ha sempre sulla penna e ben dieci o dodici
volte la trovi in una sola predica. Vale: non solo, checchessia d'altro che voi
pensi nte, ma perfino....(6) Se ti sorge dubbio intorno al senso di quel non
che, non hai che a consultare il contes, e saprai subito se vale: siccome
anche, oppure non solo, l'arla di coloro che neppur lesti si sentono una a sol
volta rapire violentemente i pensieri a Dio ».(7) l'8occaccio, l)a Valnzali e
lº arti li avrebbero 'se, coerentemento all'ossorvato, costruita la frase un
po' diversamente. « Al sentirsi rim « bombaro (Illell'ehm' nella mente, l)on
\bbondio, non che pensasse a « trasgredire una tal leg e ma si pentiva persino
del'aver ciarlato con « IPerpetua ». I3ada veli' che non ho detto con ciò che
sia errato o men bello il poriodo del Vlanzoni. l'olga il cielo ch'io a ridisca
di censurare od appuntare comecchessia quelle troppo care, adora le pagine. SE
NON SE NON CHE SE NON FOSSE (che, giù) forli e li dire
costantemente risale dagli antichi e buoni scrittori, ed oggi invece s degli
sani enl e neglelle e al lullo smesse, se non che ad alcuni oratori,
specialmente da chiesa, pare di rammentarsene profferendo assai volle un
solenne se non che, ma a grande sproposito, e insignificato di ma che non l'
ha. (48;.40) Sulla penna a classici le dette forme hanno ben altro valore
e vo gliono dire: se non fosse stato che, a meno che, lollo che, salvo se,
salvo che, altrimenti che. Il Bartoli ragionando di questa ed altre
sorniglianti maniere, cui il periodo deve nesso, brevità e leggiadria | IIIa
italiana, soggiunge: (((“ () - Inuti Ilie poi abbiano a servirvi, o sol per
cognizione o ancora, per uso ». Grazie dell'avvertimento, ma noi seguiremo più
che le parole il suo e Sempio. L' Asia del Bartoli è uno stupendo velluto
contesto e lavorato ad opera di ricami, Irapunti e compassi di così fa la
gioielli, º le sullò tali Nso e se non che ci lui lo sl 1 o, e ralsesi
del calore, ella ne ſacerat mille pezzi. Fiorenz.º (i rotn cosa è slitta col
slot. e se non che la lati della Iu, io non la ('re' le roi,. I 'i rel/.()nde
non è lui in pºi lati e in sè a lijello il non di rerlo, nè di colpa (trerne l
l'oppo; se non fosse già che atll li desse o all' uno o all'altro la cagione,
la quale....?... Passav« Il miglior piacere, e 'l più sano è il ſitcºre
boccone, o quasi, peroc ch è tutte le menº brut clen I l o sl i rino, nel loro
luogo: se non fosse già che la persont a resse losso o asmat. o altro in ſei
mili, che lo facesse ambascia, o noja lo slar boccone. Passav.« E se non fosse
che egli temera del Zeppa egli arrebbe della alla moglie una gran rillatnici
così rinchiuso con e era ». I3oce.a e se non fosse ch'io non coglio
mostratrº.... io direi che dimani...». I 3 co.a e se non fosse ch' egli era
giovane, e sopra i remira il caldo, eſili arrebbe a rulo troppo a sostenere ».
Dolci -.« E arrei gridato, se non che egli, che ancor dentro non era, mi chiese
mercè per Dio e per roi ». Tocc.« E se non che di tutti un poco riene del
caprino, troppo sarebbe più piacevole il pianto loro ». Rocc. (49.« Cosa che non
fosse mai stata redula, non ri crederei io sapere in segnare, se ciò non fosser
già starnuti ». Rocc. (traduci: a meno che si trattasso di....).« Era la terra
per guastarsi se non fosserò i Lucchesi, che rennero in Firori: o yo. G. Vill.«
Se non fosse il soccorso, che il nostro Comune ri mandò così Sit bito. la città
di Rologna era perduta per la Chiesa. G. Vill.« Se non fosse il rifugio della
terra, pochi ne sarebbero scampali ». (; Vill. (5ſ).« E se non fosse che i
Fiorentini ci mandarono inconta nºn le lorº ambasciatori,.... Iologna era
l'ulta guasta ». M. Vill.«... e niuno seppe mai il fallo suo, se non ch'ella il
confessò in peni lenzia al prete, dicendo la cagione e 'l processo del sito
isriamento, e la grazia ricevuta m. Passav.« Queste nuove cotanto felici fecero
alzare al Saverio le mani al cielo, e piangere d'allegrezza, poichè gli
giunsero agli orecchi colà nella costa di Comorin, dore laticara nelle opere
che di sopra contammo: e se non che Tuiri (tre a presente alla mano una troppa
gran messe d'anime che rac cogliera, sarebbe incontamente ilo a Celebes a farvi
grande quella piccola cristiani di m. I3art. º -..... baluardi non
commessi come oggidi nelle nostre fortezze, con (tl di cortina fra mezzo, ma
srelli e isolati, se non quanto cerli pomli vanno (i con il nicare il passo
della gola dell'uno, a quella dell'altro ». Bart. Era donna di gran
nascimento e ricchissima, se non quanto i Bonzi l'acerano a poco a poco smunta
fino a spolparla ». Bart. 51). « E non sarebbe rimaso riro capo di loro, se
non che gilardo l'armi e gridando mercè, rende ono i legni rinti e sè schiari
». I3art. (.... e l'arrebbon linito, se non che un di loro gridò che il
serbassero (Il riscatto ». I3art. º - - - - - -. ri diò in altra parte
con la nla foga, che del tutto arenò: e se non che tagliarono tosto da piè
l'albero della rela maestra, agli spessi e gran colpi che dara, coll'alzarsi e
'l calar della poppa mobile e ondeg giante, si aprira » lºart. « Egli (un
cerlo 13onzo tanto più infuriara e ne faceva con lulli alle peggiori: finchè il
re il mandò cacciare come un ribaldo fuori di palagio. e disse: che se non che
egli era in quell'abito di religioso, a poco si ter rebbe di fargli spiccar la
testa dal busto ». I3art. NOte all'articolo 1 f. (48). Quante
vol. e si vedono questi ora Iori riprender fiato, mutar sembiante o proseguire,
con vi quando più grave e quando più di messa, e lentamente, articolando un
solenne: Se non che! lo non so di ninno scrittore antico e se del più recenti
almeno puro e corre.to, che adoperasse mai il se non che in quella forma e
senso che in certi dettati o a dir meglio imbratti moderni.(49). Da questi
esempi del Boccaccio si vede che gli era tutt'uno il se non che e il se non
fosse che, ed usava indifferentemente l'un per altro. (50). Pare che a G. Vill.
sapesse meglio il costruito diretto e senza la congiunzione che, il quale sol
che s'inverta o s'inserisca un verbo torlìa (Vidolltelnonte all'anzidetto: « Se
non fosse che 'l nostro Comune « Imandò così sul [o il Soccorso occº. ».(51).
Nota bella elissi: se non fosse stato che i Bonzi la impoverirono a segno che....
oppure: a meno che ella s'impoverì di tanto di quanto potevano sul suo cuore i
Bonzi i quali la smunsero fino a.... NON Stranissimo e fuor d'ogni regola
positiva, come che di buona, anzi ottima lega parve all'autorevolissimo
Bartoli l'uso di questa particella. « Però che, dicº egli, considerandola
secondo la natura e la forza che ha di negare e distruggere quello a che
s'appicca, pare che contradica, dove talvolta, se nulla opera. Inaggiormente
afferma; e sol un buon orecchio sa dirci quando vi stia bene e quando no
». Così avvisa il Bartoli, e con lui ogni allro scrittore cui occorse di
ragionarne. Ma io non m'acquelai e volli non per tanto esaminarla e stu diarvi
dentro, e vederla a punta di ragione, intenderne cioè e discernerne il come,
quando e perchè. E non fu fatica inutile, parini anzi averla colta che nulla
più. Tre costantissime osservazioni mi vennero fatte che ogni caso comprendono
del non che non nega. Non oso erigerle a norma o regola di eleganza.
Menzionerolle e me ne passo. a). La congiunzione salvo, salvo se, salvo
che, a meno che e simili, e l'ammonizione altresì di guardia, cautela,
accortezza, vigilanza che cosa non si faccia, non si dica o l avvenga, che poi
dispiaccia o comunque metta male, è costantemente susseguita, –- simile al se
garder dei Francesi – dalla particella non. b, che, commessura di
comparazione risolvibile nel suo equiva. lente: di quello che, è susseguito dal
non sempre che nel primo inciso non vi abbia non od altra voce negativa o
comunque avversativa. In caso contrario non ha mai non che vi aderisca. –
Appunto come avviene del que dei Francesi, nesso comparativo or seguito or nò
dal ne senza il pas. – (55). c). L'inciso dipondente dai verbi: temere,
dubitare, sospettare, suspi care, ed anche dalle voci: per timore, paura, e
simili – espresse o sol tintese – il quale si governa comunemente a guida di
che o che non, solº reggosi e sta elegantemente senza il che pure a nodo o tramezzo
della particella non, ma sì che il soggetto tramezzi e l'una e l'altro.
Seguono gli esempi divisati, conformemente al ragionato, in tre dif ferenti
gruppi. « La casa mia non è troppo grande, e perciò esser non vi si
potrebbe salvo chi non volesse starvi a modo di mulolo, senza far mollo o zillo
alcuno ». BOCC. « salvo se i Bonzi non levassero popolo e li ci
allizzassero contro ». Bart. “ Una cosa vi ricordo, che cost, che io ei
dica. voi vi guardiate di non dire ad alcuna persona. Iº occ.º l'irºgli da
parte mia, che si guardi di non arer ll’oppo cre - dilo o di non credere
alle lavole di Giannotto, l3 cc. º l Ittºsto la rete, che coi diciate
bene i desideri l' Nl li, e guardatevi che non ri renisse nominato un po' il n
till I...... 13,. « e sta bene accorto che egli non li l'ºnºs le luci ni
tdosso o locc. º e lì la loro lo luna in quello che la olerano più la col
e vole, che ('SSi medesimi non dimandavano,. 13,ce.“ Ma lullo al rinculi
addicenne che ella arrivato non avea ». Boce. º tºndo più animo che a sci co
non si appartenera, Bocc. º... Se non ci chi è di rim alo e pli lori che non s
no io o l?art. (.... che io ho l'oro lo donna da molto piu che tu non se', che
meglio mi ha conosciuto che tu non laces, 13(Compagni, non ci lui bale, l'opera
sia altrimenti che voi non pen Sale ». DOcc.« Se io vi polºssi più esser la nu
lui che a non sono, la ulo più ri strei, (1tl am lo più cara cosa, che non son
io mi i sensi. I ne mi rende le m. 130ce. « rispose che per più spazio che non
ha da l a iulino al cielo era fuoco ardente ». Passav.« Assai volte già ne
potete aver recluta i clico, delli e di scacchi troppo più cari che io non sono.
l o e... più assai ce n'erano, e li oppo più belle che queste non sono ». IB )
c.« Voi m'ono ale assai più che non docerale una persona non cono sciula e di
sì poco alla re ci ne son io, (aro.« Ma troppo altro gli incolse che non avere
di risalo. Ces. « Perchè dunque sì rall risluti ri, che gli altri facciano la m
lo bene di più che non ſale voi: e però inquiela, li deriderli, disturbarli? ».
Segn. « Ben conosco per me medesimo la grave: sa del mio pericolo mag giore
ancor che non di le...... Segm.« Forse a rete voi li rido il rosli o pello la
più frequenti percolimenti di pietra, che non portare nel suo slam pali irolamo.
Segn. l « Nelle donne è grandissimo tre alimento il set persi guardare del
prendersi dello amore di maggio e uomo ch'ella non è o. Boce. « Dubitando
non ella confessasse cosa, per la quale.... ». lRocc. «.... temette non per
isciagura gli renisse smarrita la via ». Boce. « I)i che egli prese sospetto
non così fosse come era ». 13occ. « Chi vuol fa, e la cosa ancor non rielala,
la fa con timore non ella si vieti ». Davanz. "Forte temeva, non forse
di questo alcun s'accorgesse ». Bocc. “.... i quali dubitavan forte non Ser
Giappelletto gl'inganasse ». Boce. “ Di che Alessandro si maravigliò ſorte e
dubito non forse quegli da disonesto amore preso, si moresse a così l'attamente
toccarlo ». Doce. «... sospettando non Cesare gli togliesse lo stato ».
Davanz.« Tenealo a bada (Cesare Ienea a bada il Cardinal Polo ch' era ancora al
lago di Garda) perchè le nozze di Filippo si compiessero prima che ('gli
arrivasse, temendo non la sua presenza le intorbidasse ». I)avanz. « La quale
udendo questo, temendo non lorse le donne per troppa lrella tanto l'uscio
sospignessero che s'aprisse..... ». I3occ.(0r questo gli dava lroppo gran pena:
conciossiachè egli temeva non lorse egli losse caduto in quella durezza di
cuore.... ». Cesari. « tanto i santi sono teneri e sfiduciati d'ogni lor
desiderio, non forse la natura ne gabelli qualche cosa sottº inteso: per timore
che... o temendo mon....) ». Bart.« Ma gli parve di soprastare alcun poco non
forse la troppa sua sollecitudine gli noiasse (tenendo non forse....) ».
Cesari. «... presso in che di letizia non morì ». Barl. « Io temo non colui
m'abbia ris lo ). I 30cc. - NOte all'articolo 18, (55). A
prova di quanto atºserisco non basta si alleghino esempi col nom, questi
confermano il primo caso, ma occorre anche mostrare come il che del secondo
inciso allora soltanto va senza il non che nel primo inciso si trova un non o
altra forma comunque avversativa.Eccone però un saggio: «..tutti presti, tutti
pronti ad ogni vostro « piacere verranno nè più (più tempo) staranno che a voi
aggradi». Bocc. « Conservate il vostro, non ispendete più che portino le vostre
facoltà» Pandolf«.... nè avete voi più desiderio di udirmi, che io ho di farvi
mas Sai ». Pandolf.Alla parte 2. articolo 11 si ragiona tra l'altre cose anche
di questo che a valore di: di quello che, e si allegano molti altri esempi con
o senza non in conformità a quello che qui mi avviso. E' poi tanto vero
che, in locuzioni si fatte, cotesto non l'una o l'altra volta ci deve essere,
che ove al Boccaccio, non sapeva buono (come che di ragion ci stesse, ma per
suono forse men grato che all'orecchio ne veniva) la seconda volta, no !
lasciava la prima avvegna che non ci avesse luogo: « E chi negherà questo i
contorto ) quantunque egli si « sia, non molto più alle vaghe donne, che agli
uomini, convenirsi dona « re?» (In cambio di: molto più alle vaghe donne che
non agli uomini...) Alcune altre voci il cui valore ed uso
vario secol ndo lo scriverc clegli arm tichi ed anche de 1 migliori nºn
oderrni, reca a talora al l'assetto di nuove e vaghe fornme, così che al
periodo non nel no che alla frase, e vicle I nza 1 ne vierne, garbo e
sapore. Nel precedente capitolo allegai ed illustrai maniere –
particelle, compagini e tramezzi – di una forma e ragione tulla interna,
coesiva dirò così e inerente alla struttura e nervatura del periodo. Ora
vuolsi invece studiare e prelibare il grato di tal'altre voci, le quali
quantunque rechino un senso delerminato ed adoperino sull'esteriore soltanto
del pe riodo, son però tali e tal collocale che a lasciarle, sostituirne altre
o co munque tramutarle sconcerebbe e n'anderebbe di quel candore ed ele ganza
che è sol retaggio della lingua antica.Dada neh ! che nel commendare che farò
questa e quella maniera, non è mia intenzione che tu poi la usi a tutto pasto,
come fanno certi scrittori i quali si danno l'aria di purissimi imitatori del
trecento, dove non ne sono, a dir il vero, che odiosi conl raffattori e lo
mettono così in discre dito anche ai meno avversi. Questi colali non sanno far
alll'o che infar cire i loro dettati di maniere solo antiche e male
accozzale.Tienlo ben mente, non è scrillo sì elegante che non sia anche semi
plice e spontaneo, nè può esser mai bellezza quella che si distacca ed esce
comechessia di euritmia.Più che la teoria siati adunque criterio e guida un
buon orecchio, conformato però – mercè di lungo studio e severo - al ſorbito
perio dare soavissimo e grave dei nostri classici. ARTICOLO 4
MISSfil Delle novità che ci venite a raccontare! Chi non sa degli
italiani, per idiota che il vogliate, che la voce assai è altrettale che molto?
Con buona pace vostra, risponderei a chiunque fosse quel benigno che volesse
mai censurarmi ed opporre ch'io ridico cose molissime, non è il valore
4 soltanto, ma l'uso altresì di alcune voci e particelle, anzi questo più
che altro ch'io mi proposi di ragionare. Mai, sol rarissime volte, leggendo un
qualunque moderno di mezza inta mi venne scontrato l'avverbio ed anche
aggettivo assai al locato e si vago che negli esempi, fra mille e mille, che
quivi appresso.Quale aumentativo (sehr, ti s. very di aggettivo e di avverbio,
si che l'adopera e forse l roppo, anche il moderno, ma giammai, o quasi mai.
accoppiato a sostantivo, o sostantivo egli medesimo in ogni genere e numero
come che invarialbile.E quant'altri e più minuti scandagli restano tuttavia a
fare prima che e siamo rivocale e ristorale le avite bellezze dell'italico
periodare ! VIIro che piali e ciance! Sollecitiamo a che la via lunga ne
sospinge ». (71). E disse parole assai a Paganino le quali non montarono
un frullo ». l 30 (”.Ed assai n'e' uno che nella strada pubblica o di dì o di
molle lini a mo. l 3occº.senza le rostre parole, mi hanno gli effetti assai
dimostrato delia ros rai bene colenza n. 13 cc....Spero di tre e assai di buon
lempo con le co. lioco. Entrati in ragionamento della valle delle donne, assai
di bene e di lode ne dissero o. I 3 ' ('.... applicò subito l'animo a guadagna
lo, e gli si dia a dire assai delle cose da farlo ra eredere della sua cecità
lioco. Il I occotccio l'usò delle volte assai. I 3arl. «... ed a Luigi non ebbe
assai delle volte questo rispello riguardo) º. Cesari.« Minuzzatolo e messori
di buone spezie assai, ne fece un manicº retto troppo buono ». Bocc.a La prima
persecuzione ſu mossa alla Religione essendo anche tiri assai degli apostoli ».
Ces.« Nè vi stelle guari che egli ride assai da discoslo ritornare il Car
pignat con assai allegra faccia ». Fiorenz.In compagnia di assai numero di
soldati per andare di danni il l live) lo. (iiamb.... la mia guardia ne prende,
e si stretta la lenca, che forse assai sºn di quegli, che a capital pena son
dannati, che non sono da prigionieri con lan la guardia serrati ». Bocr'. ()r
chi sarebbe quella sì ci udele Ch'a rendo un damerino si d'assai, Non
direntasse dolce come il miele? ». Lorenzo de' Medici (73). E oltre a ciò
rireggiamo (acciocch'io laccia, per mºno ºrgognº di noi, i ghiottoni, i
tarermieri e gli altri di simile lordura disonesti uomini assai, i quali....
essendo buoni uomini repulati dagli ignoranti, (tl lim0mº di sì gran legno son
posti ». Bocº. t. A rispondere, assai ragioni vengono prontissime ». Bocc.
«..... nel quale erano perle mai simili non vedute, con altre care pietre assai
). Bocc.« Assai sono li quali essendo stoltissimi, maestri si lanno degli altri
e castigatori ». Bocc.«... dove molti dei nostri irali e d'altre religioni
trovai assai ). Bocc. «... che assai faccenda ce ne troveremº tuttavia ).
Ces. NOte all'articolo 4 (71) Della frase: essere assai a
checchessia (per basilare a,...) che l'ha delle volte assai e il Boccaccio e il
Cav. e loro più scelti imitatori, parlerassi ad altro luogo. (72) Nota il
genitivo. La voce assai non è qui avverbio Ina sostantivo oggetto, e va unito
col complemento della vostra ecc. La forma obbligua assai di, del.... suona
talora Ineglio che la diretta. Osservala negli esempi seguenti. Conf.:
tanto tanto di... alquanto di...). (73). Uomo d'assai significa valoroso.
NUIIIII, NIENTE NONNUlillſ, NUlill0, NIUN0 ecc. Negli esempi che senza
più qui allego – alcuni dei moltissimi che ho raccolto, e recanti ciascuno
l'una o l'altra delle proposte voci – vuolsi singolarmente notare: a)
come le particelle negativo niente, nullo, nulla, niuno escano ta lora, ed
anche elegantemente dai confini che il vocabolario loro inesora bilmente
prescrive e si lasciano governare, sol che l'orecchio e la cosa il consenta, a
maniera di aggettivo e sostantivo; b) come in nostra lingua il niente e
il nulla, oppure non nulla, (simili al rien dei francesi) si spendono per
qualche cosa, e il niuno e il nulla pur vagliano per alcuno. Alcuni
Grammatici ne fecero regola ch'io non so come a tanti e sì autorevoli esempi,
che dimostrano il contrario, non sia mai stata impu gnata e ripudiata. « Quando
si usano, scrive tra l'altri il Corticelli, per « via di dimandare, di
ricercare, o di dubitare, oppure con la negazione « o particella senza, hanno
senso affermativo... Sì che alcuni esempi ve n ha, ma ve n'ha allresì in cui le
delle voci affermano e tuttavia non negazione, non senza non dubbio o dimanda
comechessia. Leggili questi esempi, intendili, assaporali, e sii certo
che come il senso avrai libero e sano, questo, più che niun'altra norma, ti
guiderà sicuro alla scelta convenevole di questa o quella voce ed anche in
quella forma e ragione che nei libri mastri di nostra lingua. ....
invincibili dicendo i romani cui nulla ſorza vincea ». Dav. .... si stava
così a spellando senza piegare a nulla parte ». a Inall'ulfizio naturale
delle nozze nulla ricerca impedimento all'eser cizio libero delle più nobili
sue operazioni ». Bart. «... in tal modo che nullo più mai ardito fosse
d'andare all'eremo Cav. « Se nulla potenza a reste, bastava uno ad
uccidermi ». Cav. senza molti segni che si nolano, com' egli si ha niente
indizio della cosa, l'iel'eliz. .... di subito si rivolse al sasso
brancolando con le mani se a cosa nessuna si potesse appigliare ». Cav. 1
llora disse la 13adessa: se tu hai a disporre niun luo l'alto, o l'ºro se ruoi
pensa e nulla di questa tua fanciulla, pensanº losto, impercioc ch º.......
(.av. Quando la mia opinione resti denudata e senza ippoggio di ragion
nessuna...... o. Martelli. Ed a ogni modo è, se non maggior brºne, minor
male pendere in questo caso, anzi nel troppo che nel poco, acciò transi più
tosto alcuna cosa che ne manchi nessuna e. Varchi. non intendo però di
quella lunghezza asiatica fastidiosa, della quale fu ripreso Galeno, ma di
quella di Cicerone, al quale non si poteri aggiungere cosa nessuna, come a
Demostene cosa nessuna lerare si po le ru m. Varchi. Se nulla ri cal
della nostra amicizia abbia le compassione alla mia miseria n. Fiorellº.
tssaggiare qua e là un nonnulla di... ». Bocc. a... alla quale
(allezioncella) mi sento attaccato un nonnulla ». Ces. “ e se li hai nulla
a lare con lei tornerai domani e non ci far questa Seccaggine stanotte ». Bocc.
« Ciascuno che ha niente d'intendimento ». Passav. 82. « remuta meno l'acqua e
gli uomini e il cammello, affogarano di sºlº, º cºrcando d' intorno se niente
d'acqua trovassero, e non trovando t'enº, -1 mlonio..... ». Cav.“ Su bilanente
corsi a cercarmi il lato se niente (qualche cosa) v'avessi ». Docc. «
Potrebb'egli essere ch' io a ressi nulla? o I3oce. “ Gli si fece incontro e
salutandolo il domandò s'egli si sentisse niente ). I30cc.(Come noi facciam
nulla nulla, e non hannº allro in bocca: quel l'allra lacera e quell'altra
diceva.... ». Fier.º... º forſe nºn lº ſa resistenza al nemico, giammai in niun
modo acconsentendogli acciocchi il rinca, e poi del tuo sposo (G. c. possi
essere coron (tl (1, peroco lº 'gli il nemico e le bole, come ſu uno, a chi
ardita in en le se ne fa brile, e anche fori come leone a chi in nulla nulla
gli con sente ». Cav.« Non perciò a me si mostra ragione che nulla basli a
derogare l'autorità e la ſede o. I3ari.«... e per sangue e per rilli d'animo
superiore ad ogni interesse, che punto nulla sentisse del basso, non che, come
questo dell'empio, Bart. « Mostrare se egli ralesse nulla ». I3occ.... ri potr
questa scusa legittima, scusa sa ria, o non piuttosto una scusa che se vai
nulla prorerebbe anche che non dovreste coltivare i ro stri poderi con lanta
diligenza, che non... ». Segn.« al quale io debbo quel poco ch'io raglio nel
predicare, se nulla raglio ». Segn.« Vecchi che, perdute le gambe, pare ram
sempre pronti, chi nulla nulla gli aizasse. a digrignar le gengive ». Manz.« Se
nulla può sull'animo rostro la voce della ragione, sia le religioso, perchè
religione e ragione è tutt'uno ». Tomm.« per la qual cosa furono tutte le
castella dei baroni tolte ad Ales sandro, nè alcun' altra rendita era che di
niente gli rispondesse » Rocc. (83). « Ed arrisandosi che fatto non gli
verrebbe se a Nuto ne dicesse niente, gli disse.... ». Docc.« Trorossi in
Milano niuno che contradicesse alla potestade? ». No Vellino antico.«.... e se
egli ce n'è niuno che voglia metter su una cena a doverla dare... ». Bocc.«...
ma se nessuno di quelli che, o si burlassero del fatto tito, o... ». Fier.«....
e dovunque sapeva che niuno cristiano adorasse Cristo, il fa ceva pigliare e
mettere in prigione.... ». Cav.« egli sarebbe necessario che tu li guardassi da
una cosa: e questo si è, che se nessuno ti domandasse di qualche cosa, che lui
per niente non rispondessi a persona, ma... ». Bocc. (84). NOte
all'articolo 9 S?, voleva ci lir qualche cosa, alcun che di..... e così
il niente e nulla di tutti gli I tri es IIIp di Iu -! IIIedesimio gruppo S3).
Il niente d quest, i del s..: 1: es n i I Il tv l':la a in l'il
llll tiltra II la lllera della si sºsi V, niente, ed i ll Il..:ll (Ill. ll
ilìtelis IV, di negazi rile, si inile all'avverbi, punto del N. edente. Torna
sottoso pra alle forme; un menomc olle, in n in mo,do ive Iles Wegs, iIn gering
S[.(ºll ((''.E spaurita e sbig || 1o per le pelle e per gli gravi tormenti che
e aveva veduti sostenere a per at ri nell'altra v.a, la rendogli i
parenti e gli amici carezze e le sta, non si ra! grava niente ». Pass. «....il
quale l'est e. Irle lº rili la si vide i pescatori adosso, salito e a
galla, senza Inlli versi niente, mostrando l'esser in ort, tu preso ». Fier'.«
Niente avevano sonno o pensiero d'andarsi a riposare in sul « letto, niente,
vevano voglia d'esser consola | I, quando vedevano, () a pensavano che la
infinita carita di I) o aveva dato il suo figliuolo a a patire tante pene e
tale morte senza niun peccatº o colpa sua». Cav Si avverſa, si rive il
Pil ti, che questo niente in sentimento di non) quando si usa senza il non si
mette piu comunemente avanti il verbo, e quando si unisce col non si pospone al
verbo. (84). No.a anche qui la maniera per niente in quel senso che nella
nota precedente. ARTICOLO 21 IIITRI (che) – filiIR0 (che) –
AllTRIMENTI (che) Quan! inque il significato e l'impiego di queste tre
voci a base di una medesima radice e a governo di un comune valore, poichè in
ognuna vi senti con prevalenza l'allributo allro cioè altra persona, allra
cosa, altro modo non sia cosa lanlo singolare e peregrina che anche una penna
volgare talvolta non ne usi, tuttavia la maniera di usarne appo i classici è sì
diversa e molteplice, e indi anche il vago e vario foggial' della frase sì
notevole e commendevole, che credo ſarò cosa non meno grata che utile a dirne
alcunchè partitamente, e profferirne di ciascuna e di ogni uso distintamente
alcuni esempi.a). Altri o altrui (non altro, che è fallo) posto assolutamente è
pronome, e suona quanto: allr'uomo, altra persona, un altro, uno, alcu mo,
chicchessia. Si trova appo i classici tanto in caso retto che obliquo. «
Molto dee indurre a dolore o al dispiacere del peccalo, considerando che
l'anima è lavata e purificata nel sangue di G. C'. e altri l'abbia im brattata
e lorda nella bruttura dei peccati ». Passav.« Per non fidarmi ad altri, io
medesimo tel son renulo a significare ». I30cc'.« Sentendo la reint, che lº
milia della sua morella, s'era (le liberala, e' che ad altri non resta rai (t
(lire.... ». I30cc. « Il che la donna non da lui, ma da altri sentì ). I30(''.
«... in tanto che a senno di minima persona rolea fati e alcuna cosa, nè altri
far la colera a suo m. Bocc.«. (ndiamo con esso lui a Itomai ad impetrare....:
ma ciò non si ritolº con altrui ragionare ». Bocc. « Oh quanto a me tarda che
altri qui giunga ! ». Dante. « Irrere pertugio dentro da la muda La qual per me
ha 'l litol della fame. E 'n che con rien che ancor ch'altri si chiuda, Dante.«
La confessione per la quale altri si rappresenta a quegli che... ». Passa V.a...
non solamente i peccati veniali, ma esiandio i mortali i quali altrui (tresse
al lutto dimentica li ). Passa V.« Il secondo modo, come si dee studiare, e
cercare la divina sciens(1. si è innocentemente, cioè a dire, che altrui riva
santa mente ». L'assav. « Si restiemo una cotta, che non si potea reslire senza
aiuto di altri. Vill.« Non hanno altro mestiere che di pescare altri perle,
altri pesce p. 3a l't.a... che per accorto e sottile intelletto che altri abbia
mai non ne giunge al chiaro ». Bart.« Quanto altri più sa della lingua ben
ripresa nelle sue radici lºnſo più va ritenuto in condannare ». Bari.... nè
teme punto ciò che altri di lei dirà. Segn.... e partirane con quel disprezzo
che altri fa delle cose sogge e della bruttura ». Ces.« Egli mi pare, che niuna
persona, la quale abbia alcun polso, º dore possa andare, come noi abbiamo, ci
sia rimast. altri che noi n. 13 del. Inverti e vi riconosci il ragionato altri:
Egli mi pare che altri clº noi ci sia rimaso, il quale.... b). ll i clº,
altro che vagliono entrambi fuor che, ma sì che altri che non si riferisce che
a persone e torna al dire: altruomo, qualunque alla prºsolia che..... ed altro
che ad altra cosa qualsiasi. Questo altro, (illº che, in significato di
altrimenti, in altra maniera... che, ecc., è una di quelle forme che andavano
assai all'animo al valoroso Bartoli, e l'usa Spessissimo in Inel miracolo di
facondia che è la Storia dell'Asia. Ma os serva come e con quanta grazia:
Io non so potersi dire di... altro che bene o. E altrove: « Ma poichè º il
videro felino di non conceder la disputa altro che a questi patti, sel presero
in pazienza ed accellarono. Traduci: non in altra forma che. “ E ancora: « E
perciocchè quivi non era per rimanere altro che inutil mente, gli ispirò al
cuore di andarsene al Meaco o, ecc. ecc. che ad allegarli tutti codesti esempi
non ne verrei a capo in parecchie centinaia di migliaia. Al lllllo simile
a questi luoghi del Bartoli è l'altro del Bocc.: « non º avendo avuto in quello
convif [o) cosa altro che laudevole o: e altrove: (AV ea grandissima vergogna,
quando uno dei suoi strumenti fosse altro che falso Irovalo ». Nè guari
dissimile quel del Davanzati: « Con gente « sì accagna, crudele e superba
puoss'egli altro che mantener libertà o « morire? ». ſar al Ira cosa).
Bammento l'intercalare non chi alti o, di cui si è ragionato al Capo Secondo -
Articolo 13, e piacermi ancora menzionare il modo: senz'altro..., che opplre, e
talvolta anche rileglio: senza... altro che: « senza amici altro che di mondo o
invece di senza all i amici che...: « senza famiglia allro che bastarda o, o
senza affelli altro che brutali o ecc.. IBart). Ed oltre a questo anche il
seguente, gli alissimo: niuno, nessuno, reruno... altro che....: « aspirando a
niun fine all ro che nobile ». « Portatovi da mium stimolo di senso altro che
puerile e rello o a...inteso a rerum lavoro altro che di mente ». «... I
rallenendosi con niuna femmina altro che onestissima ». I3ar[.. Segm. ecc. ecc.
Nola qui l'allro a forma di averbio, mentre congiunto al senza, niuno, reruno
ecc. sarebbe ad uſicio di ag gettivo. Chi legge e studia ne' classici le ritrae
queste forme anche senza avvedersene. « II vietare con semplici parole, senza
autorità altro che « privata non si direbbe propriamente divieto, ma sì quel di
legge e di « decreto ». Tom. c). Analoga a questº forma avverbiale altro
che è l'altra, anche oggi nola e continissima non altrimenti che.« Noi
dimoriamo qui, al parer mio, non altrimenti che se esser vo lessimo testimone
di quanti corpi morti ci siano alla sepoltura recati ». Doco.« Non gli concedè
che si ritornasse altrimenti che promettendo di ri « tornare altro volte a
rivederlo ». I3art. (Cioè gli concedè... non in altro modo che promettendo,
oppure sì reramente che promettesse. Conf. Cap. II. A rticolo 25).Ma nota da
ultimo di questo altrimenti (altrimenti che) un uso ben diverso delle forme che
qui sopra: come cioè la voce altrimenti in molte guisa ad altre
collegata e con un costrutto e commessura di ottima ra gione entro il periodo
leggiadramente contesta, sia talora altresì sol orna mento e tramezzo, non mai
inutile e superfluo, se pur non necessario, e non altro, a dirla col
Corticelli, che pura proprietà di lingua. Rinforza la negazione e vale in
nessun altro modo. a Della sua pelle senza ſorarla altrimenti se ne
sarebbe potuto fare un bel vaglio ». I30cc.«... e pauroso della mercatanzia non
s'impacciò d'investirne altri menti i suoi danari, ma..... ». I3oce.« recita
fino a un punto il contenuto senza altramente leggerlo ». Caro. « I Siluri,
oggi estinti, mostra Tacito nel suo Agricola, che ri renis sero già di Spagna,
e al guiscelo da molti segni, che io non replico ora altrimenti non potendo per
ria di quelli sapere quando e' ri siano venuti ». Giambulari..... il nostro
bene, la nostra rera felicità non dipende altrimenti no, dall'amore che noi
portiamo a persona, la quale all rºllan lo ne porti a noi,..... ». I3arbieri.«
E' dunque mestieri fermamente attenersi a quelle idee, a quelle speranze
immutabili, che non sono l'opera dell' uomo, che non dipendono altrimenti, da
una opinione passeggera, che rengono acconce a "ulli i bi sogni, che....
». I3arbieri.« e senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la ſede.... ».
Giall bulari.« E tanto basti aver accennato di quelle, che per poco che sia, al
niente che riliera il saperlo, non può altramente che non sia troppo ». Ball «...
non aspettò altrimenti che il disegno si colorisse ». Giamb. «... non arendo
altrimenti che dargli si lerara il cornon da collo (iiamb.« Le sue cose e sè
parimente, senza sapere altrimenti chi egli si fosse rimise nelle sue mani ».
Bocc. un ful I e.tlsou e Iop olooos Ufonq lºp uomiios ilf ouuxupuoqqu
o.luluud lp onloAuslp o toluetu ºttº º ſullº I I ouu Auuuulo ot ouo. I touo A
olsenb ll I luttuº nId otor I allop luou ouulloAul lp ipotu itino le outleti
oli elzºti l' º l.zzoIl fu A ip otl.) os º trou olto.o un o o Iuliud lop
el Aol I lol 55tui ti º º S otto it: i tºlsoni) cl ouol Ru.i uoo Illu) I tollo
olios cui lu u uutti i litio o.ilto. llo i - lo tºllo Alun ottu.tellulos 'ortll
lito.Ioll lui Ruo IV o op.otto: 1 o. ll 'llout Ill.I. “ Isopullios o
Iosso otiosso i “olu.opluuuuuuli ella A e allo Ip:lloti - lllllº º oil.
Issi III, II F o ollo.o! I -.tuti o o luouo td 1 o olio A o.it: i sºli. Il 1 li
tºlsl-º sonl) o o lo stºp ll out. I votolelu o il 'u Iso:) Il ) A LI - Ipotti i
lotti e io lº otlos IA ". eodo]uttlollo outsioloou otus olos: li
titoli onl) Ip A o.Il ol Iso.IddV out Ao;iuniti o totu lo vos luo. I lºtti I
I.) o, dt: ti Il plº o il uAInfioso oln) eo.lolol o eluuun oli l'illS º il
ossImpo.Il tetto SIS Il l III euto ollo]Jo uono lº o lod os os, ou o alle p
letti ossitto, ve º tº IV e void 1. ll il l e o la tollo un 1: Is ll It,
looluu.Iou;il p o Iul e n.InsIl pl. I sei “I lumbs un.oltº otto puºiolli:
Iduloso liuloop) Ied otto.III') ott o lo Isol.Ioli onl Ip ottil. Il od oil.Il
leso, e il -ulououout outIoztto Vito e il p.olio III lo o.olio o.I l: \ Il “Il
d | 12 | | Il sollia.osop o lou.oo Iuulio II lo ottoutele in lull l' "lº
ºlotºs º o | II. Il -Iu.Iouoi ouopuolo.ld o Inddºl otto le vo.In lon.o utin o
55es e Ilillº.ilsotti lod o su Islenb uru lp otto voi o utili ulds ezilos
essudiº.I | Il III ed l miº o ns o olios ouour pidui orie, o vo otlriori olio
lord III trim opotu u onios eupulo, etil e oil.on. l oil o Ip olfettes oil.it
il a ºsteo il o negli Ion A ou ouo olio in Ile e se il N. Ierio. In oiloti in
love u “ouoduloo is opito illed ollop elziloti o le zut: sos ld Ilesse
litolzltifo. ouuuiosi di lui os usul [.. etti e il Ip o | | | | | | |. ll tº o
lo l.tolto) sod l) ouopzlullop el o optito. Io l ott e elliot II o II) ml. ll
los o utopuoli, ) allo, Ao eI.Io.osolio.ol.i e lpini oil.o nello,osi Iloil
oliolli. I ti o Atº III. Il N i lºl li Idl tioli o I.). Il luttoso oft: A
otl.oltelloouoptIoonppe 'otiuillirio o ostili osti i millepitoli Itito.
el.IIIIIIop olilout -eoplollo.I n.InfII e III: lo esonb o lo s oliº o In VoI o
Iellios II, lo (s) osogssu Io e Iuº pop.Ieo I o UUIpsspn U IUP55oIo,I
-Iep eIes II e eu OIun Oo l-IoU I II epU IO “I UIop t Iu II5olo o IoA
-I.Ios OI Opuooos 'eooA u IIon I O unsenb pp e UIopssIULuo po auloIllla
Iuolzno oT sillessi, enalagge, anòfora, iperbate, tropi, metonimia,
iperbole, prolipsi catacresi eutimema, epicherema e va discorrendo.Lessi e
m'imparai i relativi saggi, assaporando a brevi tratti oi l'uno, or l'altro dei
più celebrati componimenti. E qui vi ammirarsi la Pura semplicità del Villani,
e là la nobile dolcezza del Giambulari e quando celebrarsi la faconda brevità
del l)avanzali, quando la rigida su blimità del Machiavelli. E or questo or
quello esaltarsi, e la severa ele ganza del Varchi, e l'abbondante gravità del
Guicciardini.Ma dopo tutto ciò, venendo ai fatti. falliva ogni prova. In opera
di eleganza, meno alcune frasi che a forza di udirle pil l' Ine ne ricordava e
le inseriva sforzatamente, e anche le più volte a sproposito, tra le ciarpe di
una dizione sempre mia e di un periodare sconveniente, avveniva di me quel che
di un gastronomo, il quale senza impararne altrimenti il me stiere e nulla
suppellettile avendo di cognizioni pratiche, pure al saggio di questo e quel
manicarello e mercè di un buon corredo di nomi, a. cesse professione d'arte
cucinaria.Quarle sconciature ! quanle ingrale dissonanze ! quanti piastricci
rincrescevoli ed insipidi! E non se ne può altrimenti. Il commettere ordire di
frasi e periodi più tosto ad una che ad altra foggia è cosa tutta soggettiva, è
affar di sentimento e vigor mentale. Il quale se guasto o Inal composto, ed il
linguaggio altresì. La ridice adunque, il midollo, non le foglie e i fiori si
vuole medicare, riformare, ringentilire, a volere che l'albero di selvatico e
malvagio risani, Trulli buoni renda e soavi. – Chiesto parecchie volle dai
Tedeschi, Francesi ed Inglesi del modo ond'io mi resi lo studio di lor ſavelle
proſi! Ievole a segno da reputarini si al parlare che allo scrivere un lor
connazionale, diei risposta che fa ap punto pel caso nostro. Perare la mia
mente, il mio pensiero ad eſligiarsi in delineamenti e forme straniere non
importa appo me l'accostare alla 'nia l'altrui favella, mettere a riscontro
l'una parola all'altra e violentare lue e più disparatissimi linguaggi, mercò
di contusioni e scontorcimenti, a combaciarsi l'uno all'altro, fatica da farla
i provetti ed investigatori delle ultime recondite ragioni filologiche, non via
ad imparare lingue fo. restiere: sistema orſo, le diosissimo, lunghissimo e mal
sici Iro. Il metodo delle sempiterno raduzioni è una bizzarria, un perditempo,
tortura delle menti, inutile, anzi esiziale. E' sempre il linguaggio a
conflitto col lin guaggio: non il concetto ad assisa dicevole e sua, e quindi
il parlare e scri vere insipido, barbaresco, a urti, a stropiccio, a
singhiozzi; indi il de turparsi della propria ed altrui favella; indi lo
studiare che si fa ben otto anni la lingua latina ed uscirne appena
balbuzienti, quando due anni – chi veramente slidiasse ed avesse alleli o da
ciò – basterebbero a farne poco men che un Cicerone. A dunque il ripeto, recare
il mio pen siero a riprodursi in effigie di altro idioma vale, a casa mia,
legare imme diatamente la parola all'idea, suscitare, a forza di leggere,
trascrivere e ripetere ad alta voce e pensatamente gl' idioſismi, le frasi più
elette, i per riodi più caratteristici ed anche lunghi tratti, un senso, cioè a
dire, im pressioni e senzazioni, pari alla natura ed indole di quel medesimo
idioma. ma sì che facendomi a quel linguaggio, le risento e al risentirsi
spontaneo scorre dalla lingua il linguaggio stesso. E' un fatto incontestabile.
Io ho memoria assai tapina, ho studiato sempre solo e senza guida, non ho mai
salto tradizioni, eppure, la mercè di un tal sistema, e a tirocinio di po
chissimo tempo mi son reso signore di alire lingue.Egli è il dunque per
convnizione di fatto ch'io dico e sostengo che ſilichè l' italiallo d'oggidì si
contenta di vederla soltanto ed ammirarla l'eleganza e non è punto del mondo
sollecito di recare a proprio sentire il caratteristico elegante e classico,
non gli verrà mai fatto per fantasti gare, lambicare, comporre e travagliarsi
ch ei faccia, di ritrarre il grato dei gloriosi antichi, ma il suo linguaggio
sarà sempre suo, ritratto sempre del suo sentire, del suo pensare. Egli è
mestiere di una radicale riforma. Noli erudi e dissertazioni, non indagini, non
rile analisi o scrutini filolo gici. Troppo presto. Lo ſaremo sul nostro quando
sapremo parlare. Ora lia li sll'o compito studiare accuratamente il magistero
del favellare periodare classico; decomporne le parti e quegli elementi
imprimerci che ne costituiscono il caratteristico e bello.I ritornando a d'ondo
il giusto sdegno, mi trasviò, dico che ad apprendere con sicuro profilo ed
anche usare convenientemente quella figura che si chiama con il nemici le
elissi, ci bisogna prelibare assen natamente, e leggere, e poi rileggere ancora
quegli esempi che in varie guisa la contengono, e ch' io li porgo, gentil
lettore, schierati in due di sliIl le classi e solo: I. Voci e il dtsi che
comporlot no, e licenza. II. l'articelle e il ct si cui si alliene il prete mi
esso. ("LASSE I. Voci e frasi che comportano reticenza
l: previlegio di alcune voci o parole, che hanno luogo nel discorso, e luttavia
non vi sono, di poterle, chiunque legge ed ascolta, agevolmente intendere, e
sentire, e lorse più che non si otterrebbe esprimendole. Molte di colali
reticenze sono in uso anche oggidì, e le ha il popolº continuamente in bocca, e
di queste non accade occupal selle. Ma ne sono alcune che il moderno
ordinariamente non usa, e solº pur quelle onde, a mio senno, vagamente si
abbellano e prendono sa pore e forza gli ameni dellali dei migliori
scrittori. Te ne offro, caro lettore, che mi lusingo di averlene ogginai
in vaghito, eletti e copiosi esempi, colli la maggior parte nell' Eden deli
ziosissimo del trecento e cinquecento, e che mi parve di ordinare lº articoli
recanti in fronte il segno di quella voce che secondo il sºntinº degli esperti
in opera di lettere, in qualche modo si omette, e va Pº intesa. Torno a
dire che non è l'assetto della collezione ch'io metto innanzi, e quello che io
ne sento– che non mi dà niente noja se ad altri non piace o se ne facesse anche
beffe – ma oggetto del mio lavoro è la Lingua degli antichi, e non altro che la
lingua. cioè il costruire e fraseggiar clas sico in quanto differisce dal
volgare e moderno, mostrato con esempi, e di tante e sì diverse forme, e di
autori colali e in numero tanti ! ARTICOLO 1. Ifilif; IMIlMENTE: (si
bene; in guisa ecc.) L' omettersi a suo tempo e luogo l'una o l'altra di
queste particelle dà alla frase un garbo che il profferirle non farebbe.Dove,
quando e come te lo diranno assai chiaramente gli esempi. (101). «... e
così dicendo, con le pugna le quali aveva che parevan di ferro tutto il viso
gli ruppe ). Bocc. (Traduci: le quali aveva sì ialle). « Di ciò che... so
io grado alla ſottunu più che a voi, la quale ad ora vi colse in cammino che
bisogno ci ſi di renire a casa mia ». tale) Docc. « Diceva un chirie e un
sanctus che pareva un asino che ragliasse ». BOCC. (ad ora'
Alfermando sè, di spezial grazia da Dio, avere una donna per moglie, che lorse
in Italia ne losse un'altra ». I3occ.« Parti egli d'aver fatta cosa che i moli
ci abbian luogo? ». Bocc. «... e andronno in parte, che mai nè a lui nè a te,
di me perverrà alcuna novella ). I30 cc.« E messa in terra parte della lor
gente, con balestra e bene armata, in parte la fecero andare, che...... ».
Bari. (102)« E guardi bene colui che avendo l'autorità di prosciogliere della mag
giore escomunicazione, assolvi altrui che non lasci della forma della chiesa
niente; però che gravemente peccherebbe ». Pass. (ass. altrui in guisa che).«....
e tanto andò d'una in altra (parola), ch'egli si ſu accordato con lei, e seco
nella sua cella ne la menò, che niuna persona s'accorse ». Bocc. (talmente - sì
chetamente e furtivamente).« Costei è una bella giovane ed è qui che niuna
persona del mondo il sa ». Bocc. (in tal luogo e maniera). “...
Sere, andiamocene qui nella capanna che non ci vien mai per Soma ». Bocc. (lal
nascosta e sicura che,º pensando che in quelle contrade non area luogo dove
egli potesse stare nascoso che non fosse conosciuto pensossi di iuggire ad
alcuna isola rimola ». Cav. in guisa, sì perfettamente.“... con inciò a gillar
le lagrime che pareano nocciuole ». Bocc. “ cºddº, l'ºppºsi la coscia e per lo
dolor sentito, cominciò a mug ghiar che pareva un leone ». Lo c.“ Dirºmulo nel
viso quale è la molto secca terra, e la scolorita co mºre ». Bocc. (103).« IIa
roi adunque in parte la lortuna posto che in cui discernere pole le quello che
ancora giani ma non potesſe vedere... Bocc. E da indi innanzi penso sempre modo
e via come ei glieli potesse lurare ». Fier. 104.() h. non li ricordi della
cosa dell'Aquila e dello Scarafaggio, che non lui moli la più bello rende la '
o Fierenz. Iale, sì bene ordita, che...). Egli allora con una superbia che mai
la maggio e... ». Fierenz. (105).... roi l'a re le colta che niente meglio...
Ces. talmente, sì bene che...), \ on gli bastando più l'animo di andare in
procaccio, si condusse ad atto talora, che... m. Fiel'eliz. (t... ...
e conchiuso di appiallargli un bel figliuolo che non vedeva altro che lui n.
Fiorenz un igliuolo, l'altrº ente bello e caro, che non vedeva.... « Guarda
come ciascun membro se la rassomiglia, che egli non ne perde nulla. Fier. (in
modo, il glisa, sì perfettamente. « Per ciò bestemmia, che non par suo fallo.
Malin. Se ne scantona, che non par suo allo. Malm. - 1)ice le cose, che non par
suo fatto o. I 3el ll. lilli. « Se non fosse lo scrivere, sarebbe un modo di
vivere che non m'arrem mo bisogno, ed in rece sua serrirebbe il tener a mente
». Caro. (un modo di vivere tale che..).« E questo pensiero la innamorara sì
l'orte di Dio, che non si po - Irebbe dire, e ricrescevale l'odio di sè e della
sua vita passata, che con - - grande empito si sarebbe molla, s'ella tresse
credulo che piacesse a Dio o. º CaV. «... che se io fossi serrata e
rinchiusa tullo di domane in prigione e tenuta ch' io non potessi andare a
cercare di lui, penso mi che immansi che fosse sera, io sarei trova la
morla ». Cav. - «... e andò la infermità montando che i medici il disfidaro
(l'ebbero. per disperato). Cavalca.- a Giunse alla porta e con una verghella.
L'aperse che non ebbe alcun - rilegno ». Dante (106), in modo, sì presto, sì
facilmente. « Si reslieno una cotta che non si potra reslire senza aiulo
d'allri ». - Vill. (Iale foggiata che...). NOte all'articolo
1, i101) Analizza un po' la frase nostra lombarda: egli è afflitto come
mai, e mille altre di somiglianti, nelle quali vi senti oltre l'elissi di tale
talmente, anche quella de verbo essere che regge la frase: la quale omis sione
è, tra l'altre cose, oggetto di ossrvazione nel seguente articolo. (102) Guarda
come ai valenti in itatori del Trecento uscissero della penna spontanee le
frasi e maniere dei loro Inaestri.(103) Qui si è forse la voce quale che con
leggiadria sta sola e cessa la corrispondenza di tale. Simile all'allegato è
quel del Petrarca: « Piaceni a almen che i Iniei sospir sieni quali Spera il
Tevere e l'Arno ». (caliz. 29). (104) cioè quel tal modo acconcio e sicuro; non
un, nè il, la cui onis sione dice assai piu che l'articolo non farebbe.(105) E'
forma superlativa adoperata spessissimo dai buoni scrittori. (106) E cosi
dovrebbesi intendere, a In 1o avviso, anche il secondo verso della Divina CUII,
III edia: « Nel II mezzo del cali Iilin di nostra vita -- Mi « ritrovai per una
selva oscura – Che la diritta via era sinarrita ». Cioè oscura tanto, a segno
che.... E nºn dare a quel che, senso, chi di poichè, perchè (Tomm.) e chi di
per dove i Cinomio ed altri). Con questo modo di sentire (tanto, si
fattamente), è l'uomo che pervenuto all'età delle tumultuanti passioni si trova
coine in una selva tale oscura che non ne vede più uscita, Inentre col chè,
perchè ne risulta un senso al tutto opposto; quello che è causa diventa
effetto. ARTICOLO 2. flilSSI DI UN VERB0, quando in maniera
subordinata e quando a SS0luta u). I no stesso verbo di due incisi
o membri l'uno all'altro comunque copulati, l'una o l'altra volta, si lace, ove
nol vieti pericolo di ambiguità o bisogno di precisione. (« Ti avrei rii a modo
che alla Maddalena ». Fior. – che avvenne alla Maddalena). Si sopprime il più
nell'inciso secondario, dipendente subsunto, il quale talvolta il primo
luogo occupa e tal'altra il secondo. Assai vaga e commendabilissima è
l'ommissione, non pur del verbo, ma e di sua appartenenza dopo un che pron.) nesso
comparativo, il cui membro principale suona, espresso o sottinteso; tale,
così...., in quel modo e grado, quel... che: ecc. (« avere in quell' onore che
padre ». Bocc. – cioè nel quale si ha o si deve avere un padre. Si osservi di
più che ornettesi talora tal verbo, che anche nel primo inciso è sottinteso («
Richiedersi un uomo del saper che il Padre Nugnez ». Bart. – cioè a dire che
sia del sapere onde è il Padre Nugnez, opp.: fornito di quel... ond' è
fornito). b). Anche il verbo soggetto ad un che congiunzione (dass, als,
ut, quam) ed al quale risponda un modo – qualità o grado di azione – che sia
più che il verbo da avvertire e rilevare, si tralascia molte volte non senza
leggiadria di frase e sapor di stile. Il vescovo rispose che vo lentieri ».
Bocc. – cioè che il farebbe volentieri la qual cosa avviene non solo di un che
a governo di altro verbo (es.: disse, rispose che...), ma altresì del che
correlativo di tale, così, il più e « lºd egli con una Su perbia che mai la
maggiore, Fier – che non ebbe o non fu mai la mag giore). Gli esempi che
li reco, disposti in quell'ordine che dianzi, non solo vogliono dirti che è
veramente crisi, ma anche farlene sentire il grato e stimolarli allo studio
assiduo ed elica e di questa e mille altre somi glianti venustà. ...
perchè egli chiama rimedii, quei che gli atlli i Ncellerat lesse o. l)av. quei
che gli altri chiamano a rate ciri, ha questa tarola della penitenzia da
quello mºdº da cui la navicella dell'innocenza, cioè da Gesù Cristo e dallº
Sltº Pº sione ». Passa V. « E poichè non potevano sassi si colsero a
gittar maledizioni e calun nie ». 13art. e poichè non potevano gilla'
sassi. ... se la faceva la maggior parte dell'anno, all'ºstºsº
(lell'Indie, con riso; e quando più sontuosamente, con un pºco d'ºrlº condite
sol di lor medesime n. 13arl. e... se la faceva tºll llli lº d'erbe...) º
107): a punzecchiò un poco la donna e disse: ºdi l' quel ch' io? ». Bocc.
(quel che odo io). Io non so, disse... se a coi sia intervenuto quello
che a me, che tutto il dormire di questa notte m'è andato in un sºgnº"
continuo di...». Ces. e però re intervenuto quello che (tll'eremila col
suo con lo 0 n 0 º. lierell?. « I)eh, non..., che redi che ho così rilla
la ren Iurat les lè che non c'è persona ». lSocc. - - «... sforzandosi
tutto di di non parere quei dessi che dianzi, tanti oltraggi gli dissero e così
luidi: l)av. ierata del parto e daranti di linº renula, quella reverenza
gli fece che a Padre ». Bocc. «... i quali tenevano il Saverio in
quell'amore che Padre, e in quella reverenza che santo ». Bart. si
tiene un santo). º indicasso di ufficio e nei lºdºsini ierri che il re,
inviato a... ». Barl. (ed essendo ºi medesimi ferri nei quali era stato il re
). (nel quale si tiene un Padre..., nella quale “... fare a modo
che la madre al lº ºillo quando lo ſa bramare la pOppſl n. Fioretti. « Ma
di sè non curò punto più che se non bramasse di rivere, e non le messe di
morire ». Bar. di vivere). «... stimerebbono le anime del l'ill galorio
rose quel che noi Spine: chiamerebbono rugiade quel che noi solli. Segni.
ºi Iliello che avrebbe curato se non braInasse “... trendosi a credere
che Tºllo a lor si convenga e non disdica Che alle altre. I3occ.... che si
conviene e l 1 l I disdice alle altre..« E quelle medesime forse hanno in India
l'iti li e gl'ingegni che in lºlºgna: e in quello medesimo pregio sono i
lottolº roli costumi in Austro che in Aquilone » Bocc.« Come il Paragone l'oro,
così l'arrersi di dimostra chi è amico ». I 3 c'e'. “ Ed intendi sanamente,
Pietro, che io Non l'n minº, come l'alt e, ed ho voglia di quel che l'altre; sì
che l'ºrch º io non me ne l) l'ocutc''i non cºndonº da te, non è da di menº
male, I3 cc'.“ - ºgli medesimo determinò di rimanersi e Correre quella medesima
fortuna che lui, nulla curando me la pºi dila della sua mare, nè il pericol,
della sua vita ». Bocc." Iº lº uomini della condizione che essi, maestri e
promotori del l' idolatria, altro non era da (t Spell (Irsi... I 3ar[.."
l'Ili all'incontro era fermo di rimanersi al mi e lesimo rischio che ºsi, parendogli
la r da mercenaio, non da buon poi sloi e', se at bbandonass la greggia... o.
I3art. Se io piango ho di che o. I; rec. di che | Iilliger. “ La ſan le
piangeva forte come colei che arera di che, Boce. “ Le quali ſcortesie, molti
si sforzano di fare, che benchè abbian di che, sì mal far le sanno, che prima
le l'anno assai più comperar che non ragliano che ſale l'abbiano. I loce. (di
che doversi sforzare a farle, º Dirò quello ch' io avrò fatto e quel che no,
Ifoc,« Voi l'avete colta che niente meglio ». (les in maniera che meglio non si
poteva cogliere).“ Di certo non lu mai uomo innamorato così l'alcuna persona
che ne facesse o sentisse quello che Luigi per amore di Dio « Dice il
Sere che gran mercè, e che... ». Il che vi tiene obbligo di gran mercè).
« E rispose a sè medesimo che mai no o l'assav. “... e se di niente ri
domandasse, non dite altro che quello che vi ho detto. Messer Lambertuccio
disse che volentieri e tirato fuori il coltello... come la donna gl' impose
così fece p. Bocc. - « Tornali a Sacai, si ad una ono loro intorno tutti
i cristiani a udire voda Lorenzo che norelle recasse: ed egli a tutti,
che felicissime: e contò...». I3: il 1.Prese una tal gentilezza e proprietà che
mai la maggiore ». Ces.... ri con cerrebbe a lui lornare e sarebbe più geloso
che mai ». l3 ('.llli 2 di Giugno 1S33 lu incorona la 1 nn 13olena con la
maggior pompa che lei ma mai o. I )av.Fracassata l'armalat. g) e mite le lilora
di cadaveri, con più virtù e lierezza che mai quasi ci esciutti di numero....
Dav. 108).... godendo che l'ossei o così vilipesi e br amando che peggio ».
Fier. li e li avveri sso di peggio.Vli repliche il lorse... V e di mente che
si, ma.... Caro. ! Il rint ºn li, come lo dimosissimo del noti li io, sarebbe
quinci pus sotto dentro le l a a predica e ad l abi e a Persiani, con quella
riuscita che pochi mesi aranti un lei ren le religioso dell'ordine di S.
Francesco, e certi all il seco, li aliili con stelle e mo) li la saraceni.
Bart. N Ote all' alrticolo 2. 10), I, I.issi, a lui lo
rigore, sarebbe anz doppia: e quando la faceva pI i sontuosame te, se la faceva
con.Troppo ci sarebbe che dire se tutte si adducessero le reticenze vaghe
parimenti e vigorose di questo potentissimo scrittore Guarda, per dirne pur
qualche cosa, con quanta grazia. I 13artoli adoperasse un altra eissi simile a
questa che abbiam tra Irlano e, non qualche volta soltanto, Irla soven, che due
e tre la riscontri talora nella Imedesima pagina, cd e quei 1 di una
proposizione al pit ve li recati ad un solo mercè di ll li V el'ho (olillllle e
generale, cioè in lire di valore lil delel'Illinato essere fare, mettere,
ecc.), che !., una sola volta ed a cui guida reggonsi le altre voci di riol:
liti il che, come, dove e della diversa azione attri butiva: debboni prenderla
alla scoperta contro de lºonzi, rivelare gli rrendi e le andi or vizi, e
metterne gli insegnamenti in dispregio e i costi tini in abboninazione del
popolo ». « Ciò farebbono levando popolo in Funai come si era fatto in
Amangucci, e mettendo le mer anzie de Pol togliesi in preda, la nave a fuoco, e
quanti v'avea di loro al taglio delle scimitarre o invece dei gerundi predando,
incendiando e tagliando) – I) in Sancio, come padre comune, a tutti dava
albergo, (a tutti largamente di che sustentarsi ».10s Simile il modo nostro
lombardo: contento, allegro, tristo, afflit, come mai, che fu già menzionato
alla nota 101. Anche la lingua te desca ci somministra esempi non guari
dissimili, ARTICOLO 12. I VERBI: VOIERE, DOVERE, p0IERE
(mögen, können. diirien) comportano reticenza ove all'ombra di altra idea,
verbo o qual altro sia si termine, sì leggiadrati len le riparano che più grata
ed eſlicace torna la loro parte assenti, che non ſarebbero presenti. Come
e in quanlc guisa e li chiaris ono gli esempi. Non leggerli soltanto, ma
studiali, assaporali e fil di prenderne dilello. Egli è in questa maniera che
il pensare e, per conseguente, anche il dire prende a mano a mano quel tornio
di azione, quelli Iorina al resi di eleganza che nei dettati dei migliori
scrittori. « E vede ra la bruttura dei peccati suoi, e i demoni d'
intorno ag gravando queste parole in molti modi, vedendo ch ella non sapeva
ancora che si rispondere ». Cav. che cosa dovesse o polesse rispondere. « Qui
ha questa cena e non saria chi mangiarla ». Cav. chi potesse O volesse
mangiarla). « Qui è buona cena e non è chi mangiarla ». I30cc. «... ſecesi
compagno..., per lasciar chi succedere ». Dav. « I)i tanta santili che li dei
nomi non al re ritmo a cui entrar dentro o. Fiorelli. (non avevano persona in
cui polessero entrare”.« Viene il demonio per sospignerlo quindi giuso. Di che
S. Francesc non avendo dove fuggire si rivolse al sasso lo stucolando con le mani...».
Cav. i non avendo luogo dove potesse filggire.« Allora disse la liadessa:
ligliuola mia, e non ci ha dove tu dorma: ed ella disse: «lore coi dormi in
ele, e io dormirò.... ». C: V.« ('h e la mia rila acerba, Lagrimi a nolo II o
rasse ove acquietarsi ». Pelr. « Non sapiendo dove andarsi, se non come il suo
ronzino stesso dore più gli parera ne la porta ro ». 13 cc.« Non sapeva nè che
mi fare, nè che mi dire se non che l'rale Ri naldo nostro compare ci renne in
quella... I 3 t.« I)i Giusea, do ho io già meco preso partito che farne, ma di
te stillo Iddio, che io non so che farmi. I 3 ('C'.« Imperocchè quello libro
(l' ipocalisse è di grande solligliezza ad intenderlo ). I3ll I. Corn. l)all I
e.« E redendosi il leone ingiurialo lanlo, e ſi rendo preso un ſolo slot di
intra due, o dargli morte o perdonargli n. Volg. Es p. (se dovesse dargli
morte....). º Tullº la rila sua acra spesa in lontanissimi pellegrinaggi,
cer cºndo i luoghi santi del Giappone, doru nque e, a qualche idolo o cerimonia
con che prosciogliersi dai peccati a Bari.ln lendi sºnº nºn lo, marito mio, che
se io volessi far male, io tro l'ºri ben con cui: che egli ci sono le ben
leggiadri che mi amano, e co gliomini bene l'oro con cui poterlo lare.Sr lossº
un palagio, e l'osse e siandio lullo d'oro e d'argento e bello quanto pil
polºsso essere, e non fosse chi l' abitare e non ci stesse per sonti, il n grande
peccato sarebbe questo lº Giord.Perche... chi saperlo? chi ride nel secreto di
Dio il perchè di que sto gore i nutrsi così '. Cesari.e l.odulo sia lalello, se
io non ho in casa per cui mandare a dire che lui non si aspellato 13 non ho
persona... per cui io possa mandare). E se ci losso chi farli, per lullo
dolorosi pianti udiremmo o. Dav. Il loroso qui i lo mai alcun altro (19.trasporta
casi dove il vento.... Bari dove voleva il vento). (110). (atlandrini... pºi
c'e' lissimo librº srco medesimo d'esser malato lilllo sºlo tra il latlo qli
doni di nullò: Che fo? l)isse lº uno: A me pare, che tu torni a casa, e i lilli
in sul lello. I clie dello io il re?... A me pare l'ori i ba riare a...V (Ilen
l uomo, io ho la più persone in leso, che lui se sa essimo, º nelle cose al l
si l i n olio e col nºi: e per ciò io saprei colentieri da le, I tale delle l e
l'afgi l il repuli la cerace, o la giudaica o la saracena, o la cristiana loce.
Vorrei sapereli a dalla per la sua presto a dore fare ciò ch'ella gli
comandasse ». I 3 (''. | | |.Ella rimase lulla con lenta, pur e ch'ella polesse
fa, e cosa che gia piacessº, e rimase a pensa e con queste cose si facessero
più presto mm e mi l '. (il V: il n.\ 'il' atli Illes la dolorosa notal re
lulli mori, e, e mirando or l' uno or l'altro, non saprei qui al primo si
piangesse o Cav. si dovesse piangere. l?irollosi tutto a docet li orare modo
come il giudeo il servisse, s' av risò di lot rºlli una forza d'alcuna ragion
colo, alla s. Bocc.a 1 me pai rebbe che noi andassimo a cerca senza star più ».
Bocc che noi li ll'emiro, dovremmo andare.Ma se alcuno si moresse e dicesse:
perchè non fu questo rivelat, ad 1 ml mio innanzi che quel li atle morisse,
che, come sorerenne all'uno, così avesse sovvenuto all' all I o ”. Cav. avesse
potuto..... E fallo questo, gli disse: quello che a me parrebbe che tu facessi
sarebbe questo, che tu pigliassi di molti pesci e ponessegli l'um dopo l'altro
dalla bocca di questa lana sino al buco della serpe.... ». Fierenz. a N on
sapeva che farsi, se su vi salisse o se si stesse ». Botc. (che ci si dovesse
fare, se dovesse...).« Io non so quale io mi dica ch' io faccia più, o il mio o
il tuo pia cer,. I3, c. non saprei qual dei due io debba, o mella conto ch' io
faccia, se il lilio o il lli i piacere.a Ond' io a lui: dimandal tu ancora Di
quel che credi che a me satisfaccia: 'h'io non potrei, tanta pietà mi accordi
». Dante. (mi vogliº, ini debba, o mi abbia a sodisfare). « Nastagio
udendo queste parole, tutto limido dire nulo.... cominciò ad aspettare quello
che facesse il catraliere n. Docc. « E perciò dunque proromper ('risto in
eccessi a lui così disusati di maraviglia? ». Segn. (volle, dovette Cristo
prorompere). NOte all'articolo 12. (109 ) Forma di grado
superlativo, frequell Issillo -lilla penna i classici e con lume alla lingua
tedesca e inglese. (110) Negli esempi fin qui allegati avrai osserva lo
clic e una delle voci: chi, cui, che, dove, onde, ove, se il soggetto, oggi 11
o o circost: i nz: principale cui - riferisce con il lique l'azione del III do
elit Iro. i 111) Gustalo, anche negli esempi che a questo film Ilo segui
o, quel congiuntivo che cessa l'all l'o, veri o ill de si gllida. 'l'ori la loro
is: I lente al: mögen, dirfen delle solite forme tedesche. E dire che si è
scritto e di scusso tanto intorno a quei facessimo del l'assava iti. Non per
opere « di giustizia che li oi facessimo » (oè che noi potessimo Irlai fare V.
- sione del testo di S. Iº:nolo: « non ex operibus ill-titi que facimus nos. E
chi la disse scorrezion degli stampa [ori, che e il rilugio ordinario degli
ostinati; chi licenza del traduttore e chi l'una e chi l'altra (º belleria. Il
Bartoli all'incontro, che se l'era il trecento tornato, per così dire, in
natura, sente in quel facessimo non il fecimus e II è anche il face remus, che
sta bene, dicegli, nell'italiano quel che nel la Inal sone. rebbe; ma un non so
che di elittico, come sarebbe a dire: quantunque ne facessimo o altro di
somigliarmi e. Vielle a dire in 1 nelllsi i le cºllº, i militi che lion lo dica
e nessuno, ch'io sappia, l'abbia mai deti', espressamente, in tale e simili
costrutti vi è sempre clissi di uno dei verbi potere, volere,
dovere. Il'INDEfINITO DI UN VERB0 obbligato ad uno dei verbi potere,
role e, sapere, dovere, si trala scia alcune volte, con un sapore e con un
garbo ſullo italiano. L'oppostº del ragionato all'articolo precedente: là
questi verbi, non espressi, erano sottintesi in un altro verbo; qui sono
appunto questi medesimi verbi che ne sottintendono un altro. Quando e come agli
esempi. “ Ti orºlli (o di notti in ono onor quanti seppe ingegno e amore
». l3 cc. seppe o il mare e Irovare Sºnº lºro non può l tono un cibo, ma
desidera di variare ». Doce. (non può soffrire. l: I tiri spesso rolle
insicuri e si la cella rai no, ma più a ranli, per la solenne guardia del
geloso, non si poteva. I; ci ma di più non si po teva fare).º... non c'n li tlc
mi cco in preconi nè in prologhi. Quando volete cose Che io possa, but N
lui il m con lo... (il l'. lo era un asinaccio che non poteva la rila, Fiorenz.
non poteva reggere).l'ºr la qual cosa ci ri unº, che ci e scendo in lei a mor
con linuamente, ed una malinconici sopralli di aggiungendosi, la bella giovane,
più non potendo, in fermò ed eridem le mente di giorno in giorno, come la neve
al sole, si consumara o. I3 cc. pil non potendo reggere.Voi mi ſono aste e mi
accarezza sle allo, a assai più che non dove vate una persona non conosciula e
di sì poco a fare come son io o, Caro. che non doveva e onorare una persona, o
fare con una....... Spatccia la mente si lerò e come il meglio seppe, si resti
al buio...». I3 cc.« Il percosse Iddio in la parte che non potea meglio per
isrergo (/n (trlo ». Cesari, che li in pole a fare, accadere meglio.....lºra
bassello di persona, e pieno e grasso quanto potea (quanto pol ea mai esserlo,
divenirlo.E già tra per lo gridare, e per lo piangere e per la paura, e per lo
lungo digiuno, era sì rinto che più a ranli non potea. ». Bocc. non po leva
andare, reggere, sostenero).('on gen le sì laccagna, crudele e superba puoss'
egli altro che man temere libertà o morire º v. l); V al 17.E tanto basti a rer
accennato di quelle che per poco che sia, al niente che riliera il saperlo, non
può altrimenti che non sia troppo ». Bari (non può essere, non può fare).« Ma
lulli erano a campar la vita, se potessero con la fuga o. Dav. (se potessero
mai farlo con).« Ora con quante più dimostrazioni di riverenza sapevano, di
nuovo l'imarbora ramo. I3art, la croce sapevano fare, esprimere, tributare). «
Adorni il meglio che sapevano ». Rart.« La lena m'era del polmon sì munta
Vell'andar su, ch'io non potea più oltre a Dante, Maniera comune ad altre
lingue).« l 'ea finalmente preso sì allo grado di perfezione che non si potea
più là ». Ces.« La natura della cosa porta così e non se ne può altro ». Ces.
(dire. fare altro). «... se ne rennero in un pratello nel quale non vi
poteva d' alcuna parte il sole ». Bocc. (non poteva avere azione... -- Nolalo
anche negli esempi che seguono questo particolare uso del verbo potere, che è
bello, forte e tutto italiano). « La bottega dello speziale debbº essere
posta in luogo, dove non possano l'ºn li e solo o. I): I V. (... pendici
boscose, per i venti di tramontana che molto vi possono smaltate di così duro
ghiaccio... ». I;art. Segn. «... in paese di terren magro e sil restro, e
in lornia la i là d'allis simi monti, onde il lreddo vi può eccessivamente: e
pur r è caro di Ie gne ». Bart. () [LASSE II. Voci e frasi cui si
attiene il pretermesso Meritano all'enzione in modo particolare e studio
quei costrulli che l'erario ad l Il senso che grammaticalmente non hanno, od è
altro, e ! all le avanza il malural valore delle parti onde si compongono. La
qual costi procede, io m'avviso, da un colal modo di significare, dirò così la
lente e lºroprio soltanto di questa o quella voce, alla quale, in tale lal all
ra forma ad perala e convenientemente collocata, viene una forza e indi alla
mente un' idea che il senso e l'intelletto subitamente appren dono, ma il
maniera assai più vaga ed evidente che non farebbe un se gno di valore
letterale ed esplicito. Le elissi della classe precedente erano quelle di
certe voci mani festamente pretermesse ed alle tuttavia a sol lin[endere. Ora
vuolsi al l' incontro allegare e proporre allo studio del giovane filologo
molti esempi di quelle voci le quali, non che si tralascino, ma stanno per più
altre dicono più assai che non faccia il material suono. (). () A me
sembra, dirò col Gherardini, che, indirizzando la mente a ritrovar questi
ascosi concetti, si abbia a ritrarre dalla lettura un diletto ignoto a chi non
penetra più là dai lievi egni delle idee che l'autore intende
risvegliare. PreVengo che per non isparlire, più che non l'isogni, la
materta. pillºvelli di alcune menſi varle soltanto e rimandare il lettore ad
altro capitolo di altre ragionarne anche oltre i lerimini dell'Articolo e dire
di altri usi più notevoli. ARTICoLo 1. lascio le discussioni
intorno alla natura di questa particella, se sia O possa essere, secoli l g'
sci il lori, alla cosa che semplice preposizione, se si verili e il posto il
luogo di altre voci, e se finalmente, i saldi si ad i Ilicic, che di semplice
pi e posizione, si i lorº clip i cicli con i voti lolio, li a gli altri, il Ghe
rardini, da lui le ho idea pl e le press e soliti esa, o sia dessa all' in con
l'o, e così pare il mio, e lo ſcroll l: di Iroppe altre idee, torna a l lIn Se
gli e la l li se il l il si l radl Il l'ebbe sull' rogando il re parole, la con
i ponenti in ci o la sintesi e slenuandone Illindi il sapore e il vago di II li
ascosa vi li Islà: e comincio subito co; - l' addii re, prima di lillo, esempi
di un ct ad Iso ben diverso che di sem plice preposizione, e di un gol I loro,
di rina belli, virli cd elicacia, che non si potrebbe a pezza con la lunque al
ra v. e. ()sserver: li: il come l'essere una al parlicella ora articolata
e ora no, iol è, con le dicono, allar di colli o di ſol ma sl l'iore soltanto,
ma adopera sull'essenziale valore e quiddi là del liscorso. Le frasi, a cagion
d'esempio: con lo scudo di pello: stendersi di un vento a poppa: pianura di
mare: quardare al concupiscenza, ecc. ecc. si scollcierebbero e guaste rebbero
non chi altro ad incorporare comunque l' articolo con un a co tale; laddove
altre coll'articolo, p. es.: male allo al camminare: virer.' all' altrui
mercede ecc. ecc., perderebbero lor sapore e forza sopprimen (l lo): lo) come
assai sovente colesl a risveglia nell'animo un senso che torna pressº a poco ai
modi: allo scopo, a fine di, ad elfello di, al hoe ul: in confronto, per
rispello a..., al rispello di..: in forma di.., in modo di... a guisa di..,
conforme, i clatira nºn le t... quanto d..: a lorsa di....ricorrendo a... con,
col mezzo: dopo, di lì a., a distanza, ad inter rallo, della durata di..:
intorno a: ecc. ecc.. e come talvolta li par che codosi a come acutamente
osserva il Gherardini, si continui alle ideº sottintese: inducendosi,
recandosi, nellendosi.......: guardando, ponendo mente: esposto, occupato,
inteso, raccomandato, solo posto ecc.Dopo gli esempi di un a che mi avviso
altra cosa che una semplice preposizione e voce cui si attiene evidentemente il
pretermesso, porrò, quasi a complemento di quello che parmi doversi dire
intorno all'uso antico e commendevole della particella a, altri esempi di un a
che, se pur è segno di semplice preposizione, non però a quel modo comune e
volgare d'oggidì. Si leggano e rileggano colesti esempi, ma attentamente,
assennata mente, ed ad alta voce, così cioè da gustarne il vago e sentirne
proprio la forza, il peregrino che lor viene dalla particella a, e gioverà a
render sene al tutto padroni, e ridirli e riſarne, occorrendo, de somiglianti,
ma sì che appariscano cosa naturale e tua, non opera di studio e d'artificio,
gioverà, dico, più assai che non ſarebbero vaghe teorie, mille sacciute
definizioni e divisioni, che in materia di eleganza guastano talora, non
che n'aiutino lo studio, ciò è a dire il pratico profitto. (138) « Mi
metterò la roba mia dello scarlatto a vedere se la briga lui si roll legrerà n.
13 cc. tafline di... opp. e sarò vago di...a Che senza dolerlene ad alcun tuo
parente, lasci fare a me a vedere se io posso raffrenare questo dia rolo
scatena lo m. Bocc.« Vè caghezza di preda, nè odio ch' io abbia con ra di roi,
mi i lºrº partir di Cipri a dovervi in mezzo mare con armata mano assali, c.
lioccº, º allo scopo di... aſlinchè vi dovessi.....() ne's la cosa º perdonare
ai poreri quando errano, ed esot minuti e sè stessi a vedere se negli animi
suoi alcuno diſello per arren litrº nascoso si stesse ! ». Casa, Uff.a ()ra ci
raccomandiamo a questo Santo morello a vedere s' ('Ili lº niuna forza in mare
che ci faccia riare e l'ancore nostre, V. SS Pad. « I ccise un suo mimico, e
per camparsi dalle forze della Itaſſio nº si fuggì a franchigia in un monastero
». Barl.«... disse che egli sarebbe a sepultura ricerulo in chiesa ». I3ocr'. «...
or mi bacia ben mille volte a vedere se lui di rºm o. I3o e'. «Spessissime
volte io ho mangiato e bruto non a necessità, ma a volontà sensuale ». San
Bern. Tral. Cosc. Cioè: ho mangiato e bevutº non a fine di soddisfare t....«
Per quanto io posso, a guida mi l'accosto. l)alle. mi accompa gno pronto a
esserli guida,a Ver è ch'io dissi a lui, parlando a giuoco: lo mi saprei lerar
per l'aere a rolo. Dante. (a fine di pigliarini giuoco.« Se tu studi nella
continenzia, fa di abitare non a diletto ma a sanº tade ». I)on Gio. Cell.«
Leggi non solamente a consolazione e diletto degli orecchi, mi con pensamento,
intelletto e fatica d'animo. lºsop. Cod. Fars. « onde se il frutto ti piace più
che il fiore, cioè leggere il librº º trarne ammaestramento....... guarda
al line che importano le parole ». Esop. Cod. Fars.E andando il leone, poco
dopo queste cose, a diletto sprovveduta mente gli renne dato nel laccio del
cacciatore ». Pass. 139.... nondimeno a cautela si ordinò che....... Caro. « Io
ro che l campo là do Sul (teini l omani a spasso andiamo a risilare ». I'illci
Luig. Morg. (a scopo a titolo, a modo di... ). Caro figliuolo, se roi amarale
avere a donna questa damigella. roi non lorº rotte le nºr bargagno -. Vill. M.
destinandola a esser vostra moglie.l 'endo... una gru ammazza la.... quella
mandò ad un suo buon cloco...... e sì gli mandò dicendo che a cena l'arrostisse
o Bo, c. Federigo andò a V inezia, e gillossi a piedi del... Papa a miser -
cordia, per ottenere, o implorando... Vill. G.Molle colle si conduce l'uomo a
ben fare a speranza di merito, od altro suo rantaggio, più che per propria
rirli o Nov. ant.« Chi potrebbe dire quanti già a diletto lasciarono le proprie
sedie, e alloga romsi nell'altrui? ». I3oce.('osa ordinaria, dic 'egli, che chi
è rivit lo dissolutamente a fidanza della divina misericordia, morendo ne
sconlidi ». I3art. 140). Maledello è da l io ogni uomo che pecca a speranza ».
Pass. (141). La speranza del perdono. Si è data a chi la ruole: E colui l'ha
per mio dono. Che del suo peccato duole: \ on chi a speme peccar suole, Ch' io
non faccia la rengianza la l'ond.Paolo, sepulto rilmente in terra, risusciterà
con gloria: roi, coi sepolcri de ma mi ed esquisiti ed a trali, risusciterele a
pena ». Vit. SS. IP: l d.Trasse di prigione la della ln per il rice, e
isposolla a moglie nella e il là ali Patriot, Vill. (i. i trad. destillandola a
esser moglie. E Maddalena, piena di contrizione, si seri è l'uscio dietro e spo
gliossi alla disciplina, diessi a piatti nei e amarissimo mente i suoi peccati
». Caval.... e da rasi ne' piedi e nelle gambe, e da casi nelle braccia, e lo
gliera la cintola sua spianata la fornita di spranghe, ch'ella solera por lare
a vanità, e spogliarasi ignuda, e batte casi con essa tutta dal capo (il piò,
sicchè ella filatra lilla san Ilie o, Caval.a I)i lui rimase uno figliuolo che
ebbe non e' l rrigo, che 'l ſece eleſſ gere a Re de Vomani ». Vill. (i. 142).I)ormendo
in sieme... nel suo lello piccolo a due, ma ben fornito ». Sacch. cioè fatto
per servire a due persone), Ed assai bene circonda la di donne e
d'uomini, da tutti conforta la al negare. I3 # 1 (3). a V elele com' io
son gra ricciuola e male alla al camminare ». Fier. a Rincorandolo al
taglio ». I3occ. a soffrire, a volersi permettere il taglio. “ Chi adunque
s'interporrà a che voi coll'anima non possiate a ro stri amici andare, e stare
con loro, e ragionare, e rallegrarsi e dolersi? ». Boce. (ad impedire che...,
opp. con tale effetto che...):º 1 roi non sarebbe onore che vostro lignaggio
andasse a pover tade ». Nov. ant. (a languire nella povertà).“... di poi sempre
meco medesimo dedussi quei suoi deli, sentenz º ammonimenti a mio proposito ».
Pand.«... e molti altri che a narrar li saria fastidio ». Giamb. a volerli
narrare, se si dovessero narrare, opp. facendosi a narrarli.« Vom prima
decaduti ri mirano a ril fortuna che los lo suonano a ritirata, a raccolta, se
non fors'anche a vergognosissima fuga. Segn. Sta ma nº, anzi che io qui
renissi, io trovati con la donna mia ir casa una femmina a stretto consiglio ».
I3 cc.« Chiamare, venire a parlamento.... o. I)av. – (osì dicesi: Suonare a
capitolo dei fra i).« Il santo fra le fu insieme col priore del luogo, e fallo
sonare a ca pitolo, alli irali raunali in quello mostrò Ser ('appellello essere
stato un s(1n lo so. E la C.« ('ongiurarsi alla rovina, alla morte di... ».
I3arl. (a conseguire la.. «... e saranno solleciti a quello che da maggio i sa,
i loro coman dalo ». Pand. (a far quello). « I)i seta, d'oro e d'osli o
era coperto E dipinto a bellissime figure Alaiml. Gir. (con ornamento di...).«
Una coltre la corala a certi compassi di perle grossissime ». I3 cc. (a forma,
il maniera di..., col...).« ('ollirare a campagne di seminali e giardini di
delizie ». I3a (a modo..., in tal malliera....« ('olesti luoi denti falli a
bischeri n. 3 cc. (a guisa di... a simili! Il dine di...).« Volendo ciascuno la
propria insegna, e ſu forza d'allargarsi in più colori, e quel medesimi in
dirersi modi formare a doghe, a sbarre a traverse, a onde, a scacchi, ed in
mille altre maniere o. I3orgh. V. « E quelle recchie loro col fazzoletto sul
riso a saltero.... V e contº elle ci ſan gli occhiacci torti ! ». I3uon Fier.
(144.« I pesci nolar redeam per lo lago a grandissime schiere ». Ioce. la modo
di..., – schaaren Weise, Zll...).« Venite a me ispesso, ma non venite a troppi
insieme che forse non sarebbe il meglio ». Sacch. (145).«... renendo da me, non
renile a molti, ma a due o tre o. I3ocr'. (non molti insieme, ma due o tre per
volta).« E come gli parve tempo cominciò a mettere coperta nºn le ſanli in
Faenza a pochi insieme o Vill. (i.a Il conte vedendo che la Chiesa non gli mandara
da mari se non ti slenlo e a pochi insieme, le melle... ». Vill. (i.« Le
gocciole del sudore del sangue di G. C. che per tullo il suo lº nero corpo a
onde discorrevano in terra.... ». Med. Alb. Cr. (Fºcerſili grande onore
regnendogli incontro a processione con molli armeggiatori o Vill. (i.“ Come da
più lelisia pinti e l ralli Alla liata quei che vanno a rºta, Lºran la voce e
l'allegrano gli alli: Cos... ». Dante, vanno in modo simile a ruota,(0r chi se
lui che ruoi sedere a scranna? ». Dante. (sentenziare a lnodo che fa il
(iiudice in tribunale.« La licina prese a vero la parola e incontamente la
significò al Re di lºro ucit sito fra lello » (i Vill, per cosa simile, o
conforme al vero). “ Se io parlassi a lingua d'angelo e a lingua d'uomo, e non
avessi col rilà sì la I ei rom e la campana che si ball e o. (ir. S. Gir. in
modo sº. mille a Illello che puo mai fare un angelo ecc.,li gli amando la
nudità serrò la resle di (risto: voi, vestiti a seta, arcle perduto il
reslimento di Cristo - Vit. SS Pad. (146). Vom scºrre mai se non a suo senno, I
): ille, Conv. 147. v I na gioranº... bella li a lull e l'alli e...
ma sopra ogni altra bizzarra, spiacevole e ril rosa intanto, che a senno di
niuna persona voleva fare al c'll not cost, nd” (il tri ſul l lut role ra a suo,
l 3,.\ (ii resse l?omolo a senno suo. V una tecon ciò il popolo a Religione e
Divinità,. I ): V.lo roglio del I e di costui che renne lui di, alel mio a mio
senno, arri'. gnacchi non l'abbia merita lo. Pass, come mi pare e piace)....
fallo a ress' io a senno del mio cane figliuolo e non egli del rec chio padre !.
l)av.Dorma ri e da cantar l'usignuolo a suo senno liocc. quanto e col le V Il
le.Ma non si arendo con quei pesci caratlo a suo senno la fame.... ». I I'....
l (t m lo c'h e a senno vostro io, lo debbo tre le l il 1 le pel contralatte
no. (i il b.\ on ne corrò meno di li cºn l' ollo, come egli me ne prestò e jam
mene questo piacere, perchè io gli misi a suo senno e l'occ. 1 (S). e in somma
si pose in cuore di colei e io e contrario a tutte quelle cose. eh ella si
dilella ra quando ella era rana: e questo lutto a senno e volontà del suo
maestro, e con e ci lui piacesse Cav.... e atmcora pensatrano di domandati lo
che modo e che rila t ressero a tenere, e ancora quello che dovessero fare
delle cose corporali, impe rocchè ogni cosa volerano che fosse a suo senno e a
sua volontà ». Cav. i 149). ... tutto quel rimanente di pianura a mare n.
13art. 150). (posta vicina al mare, che si illiene al mare, e anche piana come
il mare. ('a mm e rut a tetto, (la zzi. I Ncio a strada.
I3oe('. ... e se la collut ne' loro luoghi a mare l ro raramo riso....,
allora de lizia ramo ). I3arl. ... incontra un rento che le si stende a
poppa. l?art. I che sollia e spinge innanzi investendo soavemente la
poppa). « Portava a carne cilicio aspro. Cav. ſrad. a strazio di
viva carne “... faceva asprissima penitenza, portando a carne sacco
asprissimo e di sopra un rozzo vestimento o. Cav. “... negozi che non si
fanno tutta ria col notaio a cintola, ma con fede e lealtà di semplice parola.
liocc. (par che dica: col nolajo attaccato O appeso alla cintola. ma con
ballerano pianali, dove i nostri con iscudo a petto e spada in pugno,
sloccheggiarano quelle menº bront o. Dav. « Messa si prestamente una
delle robe del prete con un cappuccio grande a gote,... si mise a sedere in
coro... I ce che arrivava fino alle... o da coprirsi le gole) a La moglie
ne lece piccolo lamento a ciò che ella dovea fare ». Vill. G. a petto, in
confronto di....« Ma io credo a rei rene dello pure assai. Aſſà sì, a quello
che porla il tempo, non a quello che ſulla ria rimarrebbe n. Ces.« Troppo ci è
da lungi a fatti miei, ma se più presso ci fosse...... Bocc. (per rispetto,
relativamente a....« Ciò che daranti dello ſtremo, poco è a quello che dire
intendiamo ». I3 cc.« E tanto basti a rer accennato di quelle che per poco che
sia, al niente che riliera il saperlo, non può all rimenti che non sia lroppo
». Bart. « Che è questa pena a quello che merita sti? ». I3occ.« Ma che è a Dio
la oll racola la superbia di un rerne? ». Dav. « Dall' età di Demostene a
questa ci corre 400 anni, o poco più, che alla frale vita nostra possono parere
spazio lungo; ma alla natura de' secoli e all' eterno è un batter di ciglia ».
I)av. (15 l.« V ent'anni ! che spazio son dessi all'eterno? tu se' ma la merce
tanlessa se ruoi ch' io li baralli a quello o. l)av. (1 o 2.« Ma lasciamo
andare questa comparazione e simili, le quali sono piccole all'altre spese, che
si fanno soperchie ». Pandolf.« Le cacce, i parchi, le conigliere, le
colombaie, i boschi e i giardini che ri sono già inviati, sono cose ordinarie,
a quelle che si possono fare ». Caro.« Essendo conosciuta così allera, Che
tullo il mondo a sè le pſ rºot vile ». Ariosto. (cioè: tutto il mondo,
paragonato a sè, le parea vile). « Noi abbiam casa d'aranzo, alla famiglia che
siamo ». Cecch. « Domandò quanto egli dimorasse presso a Parigi: a che
gli ill risposto che forse a sei miglia ad un suo luogo ». Bocc. (153). Ch'era
presso alla città forse a due miglia ». Fioretti « Appresso delle sue terre a
tre giornate ». Sacch. «... io vi era presso a men di dieci braccia ».
BOCC. Onde seguì a poco tempo che 'l predetto Irale non resse all'Ordine e
lorn Ossi (al secolo ! ». Vit. SS. Pad. “ Lo l'isloit rispose, a lui
parere gran fatto, ma dovendosi a pochi di lorni (tre redrebbe chi di loro
losse che dicesse il cero ». Sacch. “ Egli è la fantasina, della quale io
ho avuta a queste notti la maggior lºtti l'a che mi ti s'a rºsse o lºocc.
(intorno a queste...., in una o alcune delle scorse notti. (154).Forse a otto
dì alla sua promessa vicini. I3 cc. Fiam. lla nosli a lo desiderio grandissimo
e in certo modo certezza d'ac col lo..., non ostanti le cose delle a questi
giorni in contrario ». Caro. E a questo sci irri e toscano basta la lezione
delli rostri tre primi l'atmlº, l'ºl rarcati e l'occaccio, e di certi buoni che
hanno scritto a questi tempi ». Caro (circa, in lorno a questi tempi « Il
cui dilello a rendo il maestro redulo, disse a suoi parenti che dove un osso
lracido, il quale area nella gamba, non gli si carasse, a costui si con renica
del lullo o tagliare l’ulla la gamba o morire, ed a trargli l'osso potrebbe
guarire ». Boc ricorrendo al mezzo di... appigliandosi al partito di...).
(155).« A grave e crudel morte ti fa i ) morire o, Cav. di morte cagionata da
grave e crudel supplizio).c... in un suo orlo che egli la cort ra a sue mani,
l?occ. A buone lanciate li ribullarano rovescioni giù dalle scale ». Bart. (a
forza di..«... aggrappandosi a mani e piedi su per greppi inaccessibili ».
Bart.... miun alti o di sua grandezza aver avuto due nipoli a un corpo:
recandosi le cose ancor di fortuna a gloria ». Dav. (156).« Vi dico che 'l cui
rallo è mul rilo a latte d'asint... Ed ln l'ennero clº il puledro ſu noi ricato
a latte d'asina ». Nov. ant. 157).« Il Demonio tutto di pugne a coltello i
peccatori, e non gridano, e non s'agitano, e non si difendono, e non se ne
curano: ma lo sto sentiranno il duolo delle fedile, se non se ne medica no ».
Fra Gior (cioè: « punge cacciando mano a coltello ». Gherardini). « I
rrecarci in collo un fascio di legne, e rende alo a pane ed ad altre cose da
mangiare ». Fioretti. (gegen Brod., mediante permuta di...). a che parimente l'
uman sangue, anzi il cristiano, e le dirime cose a danari e renderano e compra
citno o l'80cc.« Qual colpa, qual giudicio, qual destino, Fastidire il vicino
Porero, e le fortune alflitte e sparte Perseguire, e 'n disparte Cercar gente,
e gradire Che sparga il sangue, e venda l'alma a prezzo ». Petrarca, Non
per vendere poi la sua scienza a minuto, come molti fanno o. Bocc.
Schiacciara noci, e rendera i gusci a ritaglio ». I;occ. “ Vicere
all'altrui mercede ». Giamb. (appoggiato, mercè dell'altrui... (158). -º 1
ndando un dì a vela relocissimamente la mare... ». I;occ. (cioè: la nave
commessa a la vela. 159.“ Malacca, tornata peggio che prima su gli sparenti e
su la diffi. denza era tutta a popolo ed a romore, l art. 160,“... e mise il
mare in così sforma la tempesta che quattro di e qual tro molti corsero perduti
a fortuna, senz'altro miglior governo che..., Bart. abbandonati alla fortuna,
in balia della....; 1 - « Non è sì magro cavallo che alla biada non
rigni un tratto ». Fie. renz. (che al Vedere la biada.« Non possiamo a certe
stravaganze tenerci di non le motteggiare. Caro. « E molte volle al fatto il
dir riem menu) p. I)alte. « Se tu non te ne al redessi ad altro, si le ne dei a
rivedere a questo, che noi siam sempre apparecchiate a ciò, Bocc.ſt Ma dimmi:
al tempo de dolci sospiri. A che e come concedette Amore Che conoscesſe i
dubbiosi desiri? ». I)ante. al vedere che cosa, facendo attenzione a che cosa.
« Conoscere all'abilo. alla furella, e simili. « La città si reggeva a
consoli o Vill. (i. (con governo di.... (161. « La della città si resse gran
tempo a governo e signoria degli Impe r(Ilori di Roma ». Vill. G.« Se li vorrai
ricordare di qual patria lu sii nato, conoscerai che ella non si regge a
popolo, come ſacera già quella degli Ateniesi, ma è gorer nata da un signore
solo ». Varchi.« ("h e la città allora si reggesse a Consoli o con
l'autorità del suo con siglio o senato, lo dicono chiaramente gli
scrittori nostri » Bargh. Vin. Seguono altri esempi di un'a ad altro
valore che di semplice pre posizione e di usi assai diversi, ed in parte anche
noti. Non ne faccio serie distinte, che sarebbe troppo lungo, ma ne scelgo
alcuni e li di spongo qui alla meglio, l' un dopo l'altro. " " º
"gli º º º ninno che voglia metter su una cena a doverla dare a chi vince
». Bocc. la quale sia da darsi a chi ": lº º l'"ºn lºrº in su
un ronzino a vettura venendosene ». Docc. destinato a lirar la vel | I
ra”. “... con le note rele a chi più mi esalli, I; art. tale [llo, ad
hoc: chi pil...). Inler indire a morte o l'iel'eliz. º lº Iºsti a
baldanza del Signore si il batteo rillanamente... ». Bocc con lº e' Illanti da
compiacere all'ardire...).a l?ilo) ma ndo a d'onde mi era poi l'lilo...... Fier
eliz. (al luogo onde). 1 cc (sotti nel castello... vicinissimo a dove ºggi all
blano 13asilea (iia il (al luogo dove.('on atmdò a pena della testa. I3 c. (bel
Todesstrafe). 1 ml e pare essere a campo, tanto cento viene su questo letto »
Sicch. Fr. esposto all'aria del campo.lº a mal rete in sino a Pisa a questi
freddi i... Cecchi, (cioè esposto a | Iesi freddi lo i diesel villeº la donna
rimasti sola, racconciò il larselto da uomo a suo dorso, l30cc. (sì che facesse
pel suo dorso (162).“ Qualunque altro trilla la resse, quantunque il tuo amore
onest., slalo fosse, l'arrebbe egli a sè amata p) i loslo che a te. l oce.
(cioè: l'avrebbe egli ama la destinandola a sè per sposa, piuttosto che cederla
ti le o. (illerardilli.“ Ed il popolo tutto a grandi voci ringraziò ladio. Vi
ss Pad. (163, l'ill d.In abito di peregrini ben forniti a denari e care
gioie... ». Doec. cioè: il lallo, per quello che spella, relativamente.....1
Firenze il luglio e l'agosto si sta male a pesce, perchè si arriva sempre i
radicio e pazzolen le o. I Redi I e II. I 64.l'ol re, in li a prendere q. c. ad
istanza, ad indotta di alcuno o. I3oce. I ): I V. I 3:ll'1. I tesla
finalmente a mostrare come anche l' a copulativo e ad ufficio di semplice
particella prepositiva venisse allora adoperato dagli autori classici il lima i
maniera assai diversa che non si faccia comunemente e volgarmente col
linguaggio di oggidì ed è pur degna di osservazione e di studio. « lo
estimo, ch'egli sia gran senno a pigliarsi del bene, quando Do menedio me manda
altrui o. IBocc. (165). c ('he cosa è a ſarellare ed a usar co' sa ri? ».
I3oce. lo dico che è cosa commendevolissima a mangiare e dormire con
sobrieldì m. 13art. Giunto (un cervo) a una stalla di buoi, entrò fra
essi: de' qua'i buoi uno parlò al cerro lali parole: Questa è cosa nuova e
disusata a star con noi ». I sop. Cod. Fars. « Misericordia si è a
perdonare l'olese che sono fatte...., a consigliar chi dubilat, e ammaestrare
chi non sa m. Fior. Virl. A. M. « Mi si arricciano i capelli a ricordarmi
di quella orrenda entrata, e sola vittoria di Gallia o. Dav. (166. «...
ed ultimamente per renne l'anello) alle mani ad uno, il quale area figliuoli
belli e virtuosi, e molto al padre loro obbedienti ». Bocc. « 1 cciò che
a mano di rile uomo la gentil giovane non renisse, si dee credere che quello
che arrenne, Egli Iddio per sua benignità per mettesse ». Bocc. (167. ...
ed egli ricercò di more colmen le La basso che stesse contento a dazi ordinari,
senza metter muore angherie, (iial b. Ma siccome noi reggiano l' appetito
degli uomini a miun termine star contento...». Bocc. (168. «... e len
negli ſarella infino a vendemia. I3occ. (169. « L'ora ju a sospetto; la
cagione presa per colpa: e la procura la quiete le rò rumore ». DaV. « Da
lui le parti si allolla cano allo no a fidanza di sentirlo parlare. Bari.
« Non ti nara rigliar se io le dimesticamente ed a fidanza richiederò I3occ.
(con conſidenza) (170. «.....passalo a Mantova il cerno, il Padre lo tra
millò a Casliglione a speranza che l'aria ma lira e la bella postura del luogo
lo risanatsse di... S. « Non pensando che li mandassero a processione
cerli re rsi con l' gli han manda li p. Caro. Era fornito l' altare a
bellissimo disegno e con molto splendore col (tlchè..... » IBarl. « Gli
parlava a capo scoperto ed occhi bassi (es. « Arregnacchè a sua colpa la
naricella sia fracassata e rolla º l'assav. « Il peccato nº ha quegli che
'l ja, perocchè l la a mala intenzione o I'l'. (iiol (l. « In due maniere
sono perdule l'orazioni dell'uomo: s'egli non le fot a buon cuore; o s'egli le
fa, e non perdona a colui che natº lº ". (i l'. S. Gir. a
1)unque loi lu ricordanza al Sere! Fo bolo a Dio che mi vien voglia di darli un
sergozzone n. 13, c. e Slot che lo: io li lai di medico re al mastro
13anco che è molto mi o (1 mlico. Sacch. i 2;.Signor mio, io son presto a
contessori ci il vero, ma fatevi a ciascun che mi accusa dire quando e dove io
gli tagliai la borsa, ed io vi dirò quello cli e io ci ri ) la llo, e quel che
. (173.l'ulte queste cose in lesi io gia i ceti a 1 e a uno ricchissimo padre e
lº la miglior rosli o di colo, l'alla loll.l clendo º l'ucidide l e lui e ad
Erodoto le sue storie, s'accese cla (I 'nº' Noi ci il bi: i ne'. Salvi i
li. I 4. e l not figliol lat.... non essendo ci slui ma, e udendo a molti
cristiani.. -- mollo con nºi, la l e lui ci is list not leale..... l oce.
i menduni o alibi due li fece pigliare a tre suoi servitori ». Bocc. ll fece
prende e a' suoi uomini ». Sacch.chiunque per le circostanti parli passa ra
rubar faceva a suoi soldati.. l) co.e appresso. Nè lece la rare e sl i picciare
alle schiave ». Bocc..... Può e deve per sè dei irare a tutti questi capi
infiniti ed efficci - cissimi i corili rli, (al. I 5.a guisa che la veggiamo a
questi palloni Francesi ». Bocc. a quella guisa che far veggiamo a coloro che
per allogar sono, quatrº - clo prendono alcuna cosa. 13o.Mollo a reali le donne
riso del cattivello di Calandrino, e più n ci - ri e libri ancora se slalo non
fosse, che lo inci ebbe di vedergli torrº' ancora i rapponi a coloro che lollo
gli avevano il porco. Docc. I., ol, ndo la r e nè più nè meno che s'acesse
ceduto fare al maestrº - ct tal, le... l i r.l mal ripo' a gillossi alla mano
di Paolo: la qual cosa (per la un tal e si relendo quei ba) bat i prende e la
mano di Paolo a quella bestia. - - - - alls Nero..... A li apost. | | 6.Sbigottiti
per le pene e per li tra ci tormenti che avea veduti Sos tº 7 ti, a peccatori
li l': il ril Vlli... l'assveggendosi guastati e a quelli che c'eran
d'intorno... ». Boce.... e ad infiniti ribaldi con l'occhio me l'ho ceduto
straziare (il mai ») I 3, (-.. goira, di qui e beni che li reali gode) e a
questi padri ». Ces: a ! Lasciarsi ingannare ad una rana e slolla speranza ».
Pass. (177). Lasciarsi colgere al piacere all rui. Caro.Lasciarsi colge
all'obbedienza del superiore, Ces. Lasciarsi rincor e' a questa gente,
l?art.Lasciarsi occi pare e vince e alla paura, per forma che... ». C º Ed egli
tutto fuoco lasciandosi tira e al suo usalo ferro e d'alletto. Ed io roglio che
lui gli conosca, acciocchè regga quanto discre º º men le tu li lasci agli
impeti dell'ira trasportare ». 130cc. t « V assene pregalo da suoi a
Chiassi, quiri vede cacciare ad un ca valiere una giovane, ed ucciderla, e
diroiarla da due cani o Doce. (178). « ILa giovane sentendosi toccare a:
- nºani di c li l il, il 1 le ella sor, i l tutte le cose amara..... senti i l
la erº nell'a mm, quanto, se ios se stata in Paradiso ». Bocc. 179). NO
te e Aggiti inte all'Articolo 1. :138) Gli esempi che ti allego,
divisati e ord. nati come meglio seppi, sono in numero Inolti e di Iliolte
forme e baster: illo; ma son ben pochi del resto, anzi pochissimi a quelli che
mi vennero a mano. Non ne ver rei a capo in parecchie centinaia di pagine se
Illſ e prendessi a recitare le proprietà, i privilegi, le perogative, gli usi
iroll eplici di cosi fatta particella, scandagliarne e discuterne le intime
ragioni logiche, erigerne teorie e apprestarne criteri; fallica, del restº, di
n. llli pro e per poco no civa. Ella è assai spesso elemento essenziale di Ip
idiotismo, o maniera di dire leggiadra e propria della lingua italia tra es.
fare a chi piu Iman gia, beve, grida, ecc., e come tali e non in par (Illi
luogo da ragionarne, si come quella che d'Illi si intimo, lodo si lega, o per
cosi dire si ſolide cogli altri elementi, che ad estrarla, appena la riconos i,
e vi si però sell irrle, gustarne ed apprezza; II e la fa, zii, il ll - da sè
sola, Ina nel suo tutto; il che pili convenientemente ſaremo alla terza parte
di questo I)irettorio. I)i più l' a articolata (III en, preti ess: a 1 in
li od altre voci di II, la moltitudine sterminata di maniere avverbiali, nelle
quali quella medesima preposizione a, che talora il lica spartiſamente
disposizione: a uno a uno; a decine a decine ecc.; tal'altra del ta III do,
Iorma: andare a piedi, a cavallo; fare checchessia alla buona, alla carlona; a
poco a poco, a otta a otta; vesti a oro, drappo a fiorami ecc., e signi a 1:1,
ora, quan-- do imitazione: vestire alla francese ecc., e quando fisica e morale
disposi Ziolle: a viso aperto; a occhi chiusi; a malgrado ecc., lIiolti dei
quali nodi, cioè i meno noti e pur degni da inci Ilcarsi, si addiirra:ino,
corredati al solito di buona scelta di esempi, quando ratteremº degli avverbi o
for me avverbiali in particolare, (139). Nota il modo andare a diporto, a
diletto cioè a scopo di diletto ecc. Simile anche l'altro del Passavanti:
Guardare a concupiscenza cioè con appettito di rea concupiscenza. Cosi si
dovrebbe intendere anche il modo (divenuto) Volgaro: andare a spasso, cioè non
nel significato di an dare a passeggio, ma in quello di andare scrivere,
leggere ecc.) al scopo di svago, di diletto, di passo. al 10,. Ti aſiuc.: (ull'allino,
col intelizione che confidando e ricorrendo alla livina il seriº rili: lle soglia
poi la V V ed Incillo e perdono. I 1, l: la traduzione del molo luogo:
maledictus homo qui peccat in spe. Ma Ilia lil, e lº iu vaga e lo I e la Irase
italiana! Vi senti l'anilino 11 i - osl, illo e resi resi li ti so a ore, il
cliale, Vinto dalla pas sic, Ile, Inti Illit do pur spel I li ai li la V Vt di
Irle:lto e perdono continua Iel 1, ne a 1 I test Illlarsi i pc.I? Nota la rase:
eleggere a re, a maestro, a direttore, cioè ad uf I l i, (il... SIII il
ricevere a servitore. l'elilella, che Griseida non I s se l'all 1', ai loro
presi, e per lui el'. ll v pendendo, ricevere mol \ -- a servidore... l 3, l
'Il sl, avere a maestro, a padre, a si giore, l Ne l il roll, il Sesil I
allegri da poi che l'elobo lo a signore, l'av. S. Analoghi anche i modi: avere
ad o more ad orrore:..... ed s, il fr. ta lite nostre sord, de zze, ma n
avrà ad crrore d'esser da noi i co, da 11 Segn.; avere, tenere; a schifo,
a vile; recarsi a vergogna; tenere, avere alcuno a savio, a folle: N Il tr es.
i tu a molto folle e la l... » e c. Sell. l'Isl.: avere a tale: « Mlo - rand i
poverta lolio Ila e l re r1 llezza l'eo, acciocchè noi il do vessli, i a tale
avere. » (ill 111. l.eli.: avere checchessia a misfatto: « A non « minor
misfatto aveano il lei e una pulce che un uomo ». Bart. avere a niente. Anni 1
-1 a i l’aut re che il luno, per lui sia in istato di gran polenza, prenda il
dire di Villa il gelare e arrogantare i miseri e pic averli a niente.» l'isp.
Cod. Fars.| 13, l. a. arti, lata Ilo, di questo e del seguenti esempi,
dipendente lei il l l e V g. In - re: a portare, a dovere, a fare ecc. o in a 1
l di sol: Igli, l,, sia il il logº dell’ull o dell'altro verbo (vd: l'ast di
Illi e ! ll I lil.S: il l V el sl at le porti li o le inonache. 115 C1 e fra
l'era da cori veri e li molli alla volta. E' proprio il zii viel del I cd si
li. Ed an li a due, a tre e si traduce zu zwei, zu drei e.I 6 Simile: Sopra
vestito a bianco come neve, Vlirac. Madd., ed a 1 le l: i rinse notissimi la
vestire a lutto, a bruno: E vedrai mella morte l ' Illi. Il I | 'ltte vestite a
brum le li:lle l'el -, l'etrarca, \ mire - della quale si sedeva il la
limatrona tutta piena di lagrime vestita a bruno., l'i. e z! modo, secondo,
rili e il senno suo. No alo anche lº: li es. I | i le segli no, lui e sto
mollo: la re checchessia a suo senno, a seiºno altrui.. che è bello e proprio
della Lingua italiana.1 - Si!! i:ll": lo misi a suo senno, a senno, a
talento di..., è l'altra a sua posta, a suo avviso, a posta di....... cºli e lo
ss 1 in do per il ri sultº all, pie o altri membri in sua volontà se iroli a
posta d'altri. IPal d lf. Conf. Parte II, Cap. III, Serie 3: Modi avverbiali a
governo di a.)l º Vl: si ro (i valra pare che piu che il modo: a senno piacesse
ta lo 1 l'altro: a senno e volontà.150 l 'a d (Illesti esempi ha alcun che di
comune a tutti, ma non è - "Il pre il nº de into. Si infilo, gli slalo,
che è evidente e di un sapore che lo: si potrebbe dire. (151) Ha ripetuto
la nota frase di Dante:....mill'all ni..., e l'Iti “tºo Sli zio all'eterno, che
un muover di ciglia Al cerchio che più tai di ill e leio è tOrtO ». (152) Nota
il costrutto: barattare a... Con il Premiº Ilari (153). Senza entrare in
discussioni nulili a chi, noi la filos list della lingua, ma la lingua stessa
si vuole (Il racemente imparare, li II lºttº Illi alcuni esempi di un a che si
riferisce allo spazio sia di 1 li luogo e torna press'a poco ai modi: indi, di
li a, in capo a, Icntano, di stante tante ore, tanti metri ecc. Le frasi
dell'uso: oggi a otto; lettera di cambio a sei mesi lida per sei mesi) e
simili, sono modi di un a a quell'ilso e valore º il gli esempi che quivi
arreco.(154) Questo a è somigliantissimo all' a dei precedenti esempi la to
alla forma, non quanto al senso che manifesta Iriente è assai diverso. (155 )
Questi esempi recano una che par significhi col mezzo, mercè di, ricorrendo a
ecc.(156) Nota qui anche la frase: recarsi a gloria. (inf. V b. Recare, Parte
III).(157) Così dicessi: Quadro a olio, ad acquarello e va dicendo. (158) L' a
di questi eseIIIpi ha i rain (li: abbandonato a, appoggiato a, in balia di ecc.(159
) Crinf. sotto Nave IP ultitario) - VIa niere propri della Natiti a (160) Nota
la bella frase: essere una città a popolo ed a rumore, cioè in rivoluzione, in
balia del popolo ecc. – E piaceni (Illi II, il vantº le altre: andare a rumore
Bart, levarsi a rumore, levar popolo Iº i rt., I)av. ecc. ecc.).(161) Mefferai
a sacco anche questa frase: reggersi a re, a consoli, a popolo ecc.(162) Simile
anche l'altro, pure del Boccaccio: La donna li fece a p. prestare panni stati
del marito di lei, poco tempo davanti morto, li ciuali « come vestiti s'ebbe, a
suo dosso fatti parevano ».(163) Dicesi anche, ed è notissimo. a bocca aperta,
a struarcia gola, a braccia tese. « I)al sommo d'una rovina si vede Ina
donn:i..., la quale « avendo il figliuolo in mano, lo geſta ad un suo... che
sta nella strada « in punta di piedi a braccia tese per ricevere il fanciullº o
Vasari. (164) Prima di passare ad altro ti piaccia altresì por In, nto, tra le
altre molte che le son notissimo e non accade occuparsene, alle maniere: essere
a studiare, a giocare, a desinare, a dormire, e nºn ho: trovare, ve dere, stare
a giacere; porsi a sedere e simili; il cui a, si bev, rifl 'fi, e si è quella
semplice preposizione di vincolo o relazioni o come: venire, andare,
cominciare, disporsi a far checchessia, ma necenna attualità di azione ed
implica il senso delle parole: nello stato di, occupato in, attento, inteso,
dato, ridotto e simile. « Io mi credo che le Suore sien l'uffe a dormire ».
Bocc.: « Che Venerdì che viene, voi facci:lto sì che M Iºa olo Trav orsari « e
la moglie e la figliuola o tutte le don; e lor parenti, e il l'e. In A i a
piacerà qui sieno a desinare moco ». Rocc.:. Venuta a dunque a con « fessarsi
la donna allo abate, ed a piè posta glisi a sedere... » Bocc.: « Costoro
avendola veduli'a a sedere e cucire.... o IBC) c.:. Altre stallino « a giacere,
altre stanno ºrie », l)n mtc.; e Sfi:lmo:) Inc it:) veder l:i gli ri:
a Inostra ». Petr.; e Veduti gli alberelli de silli i colori, quale a
giacere e quale sottº sopra, e penneli tutti git at qua e là e le figure tutte
il Illbrattate e gli isl, -: i bit, p lisò... » Sa ll.: Si III osse correndo
verso a la Cl re e trovandola a mungere e 1: i...., (a: « I); pinse un re a (sedere
coll ol'e lli lilli gli lss II e V dl ialli. - l am dei Incrdi: am Studie ren,
am lesen, am spielen sein, e simili di alcune provincie della Ger II l: l Ilia,
e appllini o l'a del c: la lol V e In altri casi l'a di un in finito soggetto a
V el'lno, loli a m - Vlt; tl, i dll re, la zu.165, l 'a di questi esempi st:
l'a rti oli per altra preposizione articolata e sappi ch'elli e V zzo 1, si a n
a preporre talvolta all'infini, o, a maniera di sostantivo e soggetto
comunqil di una proposizione assolu ta o dipendente, la preposizione a live e
dell'articolo, ecc. (166. Trad. lel I l rilarini, e lui 'i gli 1 volta che mi
avvenga il ricorda l'ini, so oft, quoties recordor ecc.167 i Venire alle mani;
a mano di alcuno e anche Iriodo figurato i le significa: venire in potere
d'alcuno.16S) Nota la frase: star contento a qualche cosa. Cont. Contento,
l'arte II, Capo V.).169) Simili i modi andare a città Vo' in fino a città per
alcuna « Irli:l vicelli la o lº si... per Vai l'll lno illo, cle andava « a
città, l o in illera el tº:ca e vale i nda, e per fatti suoi al capoluogo. Di
un viaggiº (ore. ll e la sºsta di ll'i: in altri, iº fa e non dicessi che va a
città; andare a santo;.. ll v. l t. ll li i possº andare a santo, e nè il niun
bila il luogo ». Boc.; andare, recare a marito –.... e questa Il l:nti ! nº ll
e lo o ire a marito, e le festa bis lo fa a è apparecchiaio, Do..:.. lo - a: a
re dei di delle feste che io recai « a marito » l 30..: essere a riva di... e l
', a riva di Reno dllo est l' e citi » I), v.: menare a prigione l'a e il gºl
al de ll cisiolle di ri e Illiri... che ella si illlllo ne menarono a prigione,
ma tutti li misero al a taglio delle spade ». V ill. G. ecc. ecc.(170) Non lo
scambiare con l'a fidanza del primo gruppo di questo medesimo numero. Lo stesso
dicas del In lo seguente a speranza. i 17 1) I 'a di questi esempi sta
evidentemente in luogo di una delle pre posizioni: con, per, in, da.17?) Coi
verbi: fare, lasciare, vedere, udire e qualche altro simile, che reggono
un'azione in infinito, il sol getto operante di questa, osserva assennatamen e
il Fornaciari, si suole, per distinguerlo nettamolto dal l'oggetto, cºstruire
collo preposizione a, che corrisponde all'accusativo a - gente melle locuzioni
latine con jubeo, sino, video, andio ecc. – Messo to scalmanente si pone il
soggetto colla preposizione da, riguardandolo come semplice causa dell'azione.
Laddove a dire a esprimesi ancora il rispetto, l'ordine di moto, dirò così, a
chicchessia o checchessia hin, her), l'atten zione, il concorso positivo della
volontà, l'azione comunque diretta del soggetto principale verso l'agenl e, o,
come dice il Fornaciari, verso il soggetto operante, cui egli ſa fare, od al
cui ar o dire porge l'orecchio, volge lo sguardo ecc.Ed ora ritorna agli esempi
e sappi s'egli è indifferente e affare di garbo soltanto, con lo molti
asseriscono, e tra gli altri lo stesso IP. Cesari, il porre in sifatte
locuzioni l'a per da o viceversa. Trattandosi poi di
cosa dicevolissima se pur non necessaria ed opportuna all'interezza
e verità del discorso e tuttavia dai moderni niente osservata, parvelli di
allegarle un buon numero, e ciò all'effetto di toglierne il mal vezzo se Inai
bi sognasse di riformarne il gusto.(173) Ognuno sa che il fare dei modi: far
portare, far lavorare, far medicare ecc. equivale ad ordin: re, coma Ildare che
si porti e, altro di somigliante. Ora vuoi vedere se quell'a lla sua forza e il
n vuºl essere scambiato col da: costruisci ((il comandare, e il 1:1 l 'lie
chessia: chicchessia, sarà nè piu nè meno di colmal, dare a chicchessia 'io di
reatamente) che ei faccia ecce. quando il far fare che chi sia da l 1 es sia è
comandare che si faccia da chi li essia e -- la fa ! (sia cioè che il comando
venga da lui li et la III elte o - li sta r il till iſlie trasmesso).; 174) Se
avesse detto: udendo da.... sal ebbe stata, l'horen 1 e O ll ricevere materiale
involſrl)ti l'io, e aslla le cºlle a l' lel st sia che lo si ascolti, sia che
llo, con l at Inzi - nzi; Il lil I l e i leti, udendo a, volle precisamente
significare l'an. zuhoren, l star o ce clio, tender l'11 di o, l'udire (oli
attenzione e concorso li vol ! 11a. 175) Cioè: dee fare che da 11, l I questi
capi si derivi Quel deri vare è qui adoperato a forma di verbo callsativo e
sigla I a far deriva re (conf. parte II. Natura ed essere val o di alcuni verbi
e(176) Tra (luci: volge:ldo la vista, gli ardi li do a Illella ln l lin, la ti:
i le prendeva la mano di Paolo.177) Sostituisci l'al fine permettere e saprai
li ferenza da a. (178) Questo esempio ci porge ma era di altre osservazio i cle
non fanno qui. Conf. Natura ed essere vario di alcuni verbi ci l'arte II. (179)
Il Gherardini spiega cosi: La giovane sentendosi ti recare venuta o pervenuta
alle madri di colui occ.; pare al Gherardini di sentire il quell' alle mani, la
voglia altresi che aveva di pervenire a...180) Nota differenza tra la frase:
sentir dello scemo e l'altra: sentir di scemo in checchessia, cioè aver
difetto, ecc. Conſ. Verbo Sentire, l': i e III).181) Nota la questa frase far
del...., simile alla precede le sentire, ave re del...), che è Imaniera
bellissima e nostro.º 182) E altrove: « Come state dello stomaco? » cioè per
rispetto in fatto di...., in quanto a... Cilf (cong.) Prima di
farmi all'oggetto da trattarsi, piaceni premettere cosa la quale non li verrà
si strana e Irivola che non ſi sia anche il lile e a grado altresì d'averla
udita. “ (lº è prontone, dice il vocabolario, ma è anche congiunzione
di frequentissimo uso dipendente di verbo, da avverlio, e da comparativi;
º coll'accento sta per poiché, perchè - l' “osi la pensano granai e
filºlogi che l'urolio e che sono, nè sa prei º solº cui cadesse in animo
di contraddirvi. l' olga il cielo ch'io ººº º lilli di tenerla a leva, ma a
censore di sì tillo, autorevole magistero º il falli, che in omaggio a al do
Irina pongo qui il chº, S! " ºn liti il tonº, o il la sa cli, il ragionato
estè. Ma se li pur in mia i a V, e - - irº che questo che di frequentis
sillo liso. I pendente ci v. l - Si p. ssa:ili le intendere o sentire
tuttavia pronone, cioè lº chº, nè più nè meno, del precendente numero A lizi,
diro 'll 'i'i, lº sll sl tit, ti ma il rale di semplificare e vedere il lill lo
tiri I l ss,, - i gºl.... l III di strano ch'io abbio di concepire, io
non so e A cdr e sentire nella voce che, adope, sola o al I e di altra
voce, Se non il pl o non e' e non altro mai che il promonte, | Il lido in una,
quando in altra forma. l' essi i S \ ºpi ilarli poi di questa ini
era l' intendere e sentire, ti Pºi lui appressº i monti e pon i no e
l'intrinseco valore Virli sillclica di Irla i - l\ ini: gli orsi, chi ben
la consi deri, in altre voci pron nera' i ritmi le gi annuali ali:l'irroli
cinque differenti manici e di un colal che cong. | i l. I l a sla al riti
il che vo non, sale. I3 cc. 2a Mio fratello è pil dello che pio. :3a...
che vºli che li cosi rilla la ventilra che non è persona, Boc. ſa « Non era
ancora arriva lo che io e gi i partito.. ;)a lº si pensava che ingannando
i l i crilin fosse appresso al tutto signore n. Vill. (i. Questi
esempi reali, il che dei casi nellovati dal Vocabolario, e che ippo i Cirali ma
ci addini in asi rigorosamente congiunzione. Ma se ci testo che la fa il resì,
e li si sv: r al guisa, da pronome (v. numero precedente, e il qui il lice
cilalo che comporta decomposizione in una ad altra gilisa dello stessº i rom
ne, chi ini viola di riguardarlo, senza inello con le pronoln e sen| Irlie al
suolo i rispellivi elementi? Il che del primo esempio lesla in me il senso dei
modi: di quello che, di quella cosa la quale. Quel del secondo vale, a mio
intendere, quanto le voci: di ciò di questa cosa il verbo del secondo incis,
virtù di elissi, omesso. ll Ierzo lo riconosci agevolmente quale il che del
numero precedente, solo che nell'avverbio così ſi intenda l'equivalente: in tal
modo. Anche il quarlo lo ravvisi evidentemente pronome framellendovi la voce
allora che va lui forse sol ſintesa, ed i cro che la frase torna subito
all'altra: in quell'ora, in quel tempo nel quale ecc. Più malagevole a
concepirsi pronomi pare, a prima giunta, il che del quinto caso, nè mi
basterebbe l'animo di asserirne la possibilità se testimonianze ai
lorevolissime non li vi confortassero. Come infatti ri guardarlo questo, stesso
che quale pari ella ad ollicio di pura e semplice congiunzione e punto
capace di virtù pronominale, se non vi è paro' a cui congiungersi, non un
congiuntivo od indicativo che sia comunque obbligato al che, ma un indefinito?
Eppure ant'è. Proprio il verbo del citato esempio, ch'io voltai al congiuntivo,
il Villani e lo mette all'inde finito, ed eccolo nella sua originale
integrità: « E si pensava che, in “ gannando i Fiorentini, e venendo della
città al suo intendimento, es. sere appresso, al tutto Signore ».l'erchè parini
da ragionarla così: Se quello stesso che, cui noi avremº Ilio obbligalo un
congiuntivo od indicativo, sì come nodo, il ppoggio tramezzo di questo ed altro
verbo, appio i classici rinviensi Ialora susse. guito dall' indefinito, che a
nostro modo di intendere mol palirebbe a - solutamente, egli è pur gioco forza
che quegli antichi, usando egualmente ol l'uno ol' l'altro modo, avessero di un
colal che alla apprensione, allro senso che di semplice appoggio di tramezzo
che si voglia.l) e molti esempi che, oltre l'allegato, mi vennero qua e la
scontrati le tre poligo (Illi alcuni pochi. l eggili allentarne le e di rini se
io mi li In apponga.« Manifesta cosa è che, come le cose temporali sono
transitorio nortali, così in sè e fuor di sè essere piene di noia. I3 cc.
\ - giamo che poichè i buoi alcuna parte del giorno hanno faticato, solo il
giogo ristrelli, quegli essere dal giogo alle viali, I3oce. -– a Si ve dova
della sua speranza privare, nella quale portava che, se I lor « misda non
la prendeva, ſeriamente doverla avere egli n. Bocc. i E parendo loro che quanto
più si stellava, venire il maggior indegna « zione dei Fiorentini.... ». Vill.
– (Proposto s'avea al lutto nell'animo che, se necessario caso l'avesse
rilenillo, di rinunciare l'Iſlicio... Vill. – « Seco deliberarono che, come
prima tempo si vedessero, di rubarlo o Bocc. -– « Pirro per partito aveva preso
che, se ella a lui ritornasse, ci fare altra risposta n. Bocc. – «.... la
precedente novella ini lira a « dover simili nelle ragionare d'Il geloso,
estimando che ciò che si a fa loro dalle lor donne, e massimamente quando senza
cagione inge «losiscono, esser bel ſalto m. I3 cc. – ecc. ecc. ecc.
Costruzione stranissima, e al nostro orecchio per poco errata, quali lo a
colesto che ogni altro flicio si disdica che di semplice congiunzione, I
'allo invece pronorme, recalo - con inque si opponga il rigido gramina - tico –
a valore di ciò, o questa cosa, e la sintassi è chiarissima, logico il
nesso, e l'orecchio pienamente soddisfatto. E quanti altri luoghi piani ci
vengono ed evidenti mercè di sì fa II: interpretazione, senza la quale
stranissimi li credi ed anche errali. Ti basti, per ogni altro, il seguente del
Boccaccio: « E lui come po a rai mostrare questo che ſi affermi? Disse lo
Scalza: Che il mostrerò « per sì fatta ragione, che non che lui, ma costui che
il niega dirà che i « dica il vero ». – E che ha mai qui a fare quel che se noi
vale questo, questa cosa?Ella è pur cosa degna di osservazione che altre lingue
ancora a dir perano ad officio o valor di congiunzione quella stessa voce che è
all'esi pronome, e pronome non pur relativo, ma anche dimostrativo, cioè: oi
tos. quod, que, dass (anticamente anche das si scriveva dass, lh tl ecc. ecc.
Talchè io mi figuro che quegli antichi della prima scuola, dicendo, a
cagion d'esempio: comandò ch'ei studiasse – er befahl, dass er sl il dieren
sollte. – ecc., volessero dire, oppur suonasse loro quanto: collan lº
questa cosa (dasº: studiasse »: ed anche nei medi composti di che ed
altra voce – ll'eposizione od altri i - intendessero tuttavia e vi
sentissero non altro le il proliome, orti relativo, ora dimostrativo. 239.
Neh! lo ripeto, è una mia opinione e resti lì.lº riprendendo ora il filo del
nostro assunto, dico che il che cong.; ha virtù dirò così concentrativa e
Irovasi nei libri mastri di nostra lingua assai solvente. - I di
comparazione e recante senso di: di quello che - l. il significa di affinchè,
sinchè, prima che, senza che, Ne m on, jlto i cºllº e sillili.. llpl calo a
lil:inlera e valore dell'avverbio di tempo: quando.... quando, alcuna
rolla... alcuna rolla, di quando in quando ch'è, ch'è ed anche parle....
ma le. Il che, per dacchè 210, poichè, posciacchè, perchè 241 poi che
(242) è notissimo e comunissimo, nè porla il pregio di ragionarne.
\ iuno dice a trovarsi, il quale meglio nè più acconciamente ser risse al limit
la rolul dl mi m signor e, che se i ri rut ella, l?occ lo non coglio che
lui ne I l a rl pii la coscienza che ne bisogni o. I 3 (' '. \ orella non
quali i meno di pericoli in sè contenente che la mar l a lui li I tu roll (t ).
I 3 cc. ... che io non so il no ben mesce e ch'io set ppia informare ».
Bocc. lº migliori ol) e le dando che li sali non e' di no..... lSocc. \ on le
doti più dolore che la si abbia. l occ. (n si era la cosa cºn il lut ut
lanto che non illi in en li si curatra degli uomini che morire no che ora si
cui e're bbe di capre l occ. \ on li molea renir molto più ni di doll in,
nè di speranza, nè d'autorità, nè di gloria, che di già s'a rºsse acquista lo.
Caro. « I fallo i sono poco solleciti, e prima cercano l'utile loro che
del padrone. Pandolf. che quello del..... a I)arano rista di non tener
più con lo di lui, che si facessero cogli allri ». Ces. ... io ri a cillà
e poi lo queste cose a Se) lontcorri, che m' (tilli di non so che mi ha ſallo
richiedere. I3 cc. allinchè mi aiuti a questo ggello ch'è..... (i uan da
ra d'intorno dove porre si potesse che uddosso non gli mc rigasse ».
Bocc. «... gli menarono innanzi una sua nipol e ch c'ra rimasta, di
sºlli' anni, ch are rai nomi e Maria, e lasciatron gliela che egli la gol'ºrnd
Ssº Comº gli paresse. Cav. a... recatasi per mano la slanga dell'uscio
non restò di ballºrni che per isl racco la slanga le calde di mano o l'ierenz.
(243). ... precetto che non parlisse che non me lo pagasse ». Caro.
«... juggì via e non riposò mai che egli ebbe ritrovato Riondello
Bocc. ((... nè mai ristette ch'ella ebbe tutto acconcio ed
ordinato p). ROCC. - non si ricordò di dire alla fante che tanto aspettasse che
Fede l g0 l'emisse ». Bocc. ... si pensò di dovere per quello pertugio i
tante volte gualare che ella redrebbe il giorane in atto di polergli parlare ».
Docc. - “ Ma fermamente lui non mi scapperai dalle mani, che io non ti
paghi sì delle opere lue, che mai di niun uomo farai beife, che di me non ti
ricordi ». Doce. 244;. º sempre gli (al rilano mancherà qualche cosa mai
ſi farellerà che non ti rechi spesa. I'and. ((... “ Von posso
passare per la strada che non mi regga additare o I;oce. “... e l 'nsò non
potere alcuna di queste li e, più l' ma che l'altra lodarº, che il Saladino non
a resse la sua intenzione ». Bocc.« Mai la sera non rimetterete a riposare che
prima non abbiate fatto ſes(tmº della coscienza n. [3art.Giarda le adunque quelle
grelole che sono sotto l'abbeveratoio della rostra gabbia, che per la molla
acqua che ci si versa sopra sono im fradiciale in modo che voi non ri da rete
su due roll e col becco che voi le spezzerete e farete una buca sì grande che
re ne potrete andare a vostro bell'agio ». Fierenz.«... non canterà stanotte il
gallo due volte, che lui ben tre alla fila arrai negato di conoscermi ed esser
de' miei o. (es. 2..« E questo è il riro della fortezza al tutto inespugnabile
ad ogni altra forza che d'assedio e di fame o filorchè, se non. I art. «
I)onolle che in gioie e che in ratsella nºn li d' o o e al di rien lo e che in
danari, quello che ralse meglio d'altre decimila dobbre o. I3oce. «
Questo regnò anni trentaselle, che re dei lomani, e che impera loro n. I)a
V. « I'(Il li ch' è ch' è Ne m (t lo) l'i n. l): I V. « Fu ascolto
con giubilo unirersale e m' ebbe in ricompensat, che in danari e che in roba,
un ricco presente ). I3art. NOte all'articolo 11, 239) Alle
congiunzioni perchè, sicchè, fuorchè, affinchè, che se, poi chè, dopo che ecc.
rispollidono le le lesclle lielle quali il che rendesi tra - dotto ora vo ()
was ed ora da 0 den – coll1 razioni (riduzioni di was e das, e sono: warum,
darum, so dass, ausserdem, damit wofern, nach dem. ecc., 240). Dalla prima
volta in poi che io risposi alla vostra non vi ho pIù Scrillo ». Calo.. Essendo
limiti i due anni che Luigi era entrato « lella compagnia ». Ces.241 Nè solo
per l'enim, etenim, mam, ma anche per l'eo quod, e cur; « Vlla prima giunta mi
fece un cappello che io non l'avessi aspettato ». Caro.Disse: Beatrice, l da di
l)io vero Chè non soccorri quei, che ti amò alto Che Ilsi io per te della
V o!gare s ll el l ' » - I), i lite. 242). Nota per o costruzione fuori della
quale il che per poichè, dopo chè lì lì la lr 1:1 i lu go: tuttº si disarmo e
cenato che egli ebbe se ne e andò a ripos lire ». Fier. - è poi che egli ebbe
cenato - e... ci condurrà alla stanza della serpe, dove condotto che sarà, io
ti prometto ch'egli lloli ne sentirà prima l'od re, i lle da naturale istinto
forzato, e le torrà la vita ». Fierenzuola. Ci si dl lano e compito ch'io ebbi;
e gua rito ch'io fui; e letto ch'egli ebbe: e discesi cine noi fummo ecc. ecc.
243 Vlla pari e I V rti. S è par li di tl: la costruzione nolì guari dis simile
a quella di questo e dei tre seguenti esempi; potendo differire l'una
dall'altra solo in ciò: che, ve in quella la V ore prima è espressa, in que sta
può essere soltintesa. Ma sia che quest, che si trovi ad ufficio di finchè, sia
che si senta nel periodo l' omissione della voce prima, è sem pre vero che a
questo che si attiene alcunchè di sentito e non espresso. 21 ). Il primo che
vale: finchè, prima che; il second: senza che, Nota anche i tre seglie, nei
quali il che ha evidentemente senso di senza che,2 (5). Fallo futuro presente
il verbo reſto da' che e il costrutto è unum et idem che il pre edeinte del F.
e enzuola. (illarda l' erenz: e non vi da rete su due volte col be, che voi le
spezzeret (n Ces N ºn canterà sta notte il gallo dlle volte che lui ben 1 l'e
negllera 1 dl conosce l'Illi. CHI In questo e nel segui le n il
loro li porgo una maniera di dire, che il lis; Izzo grammi, i lico (listi prova
add ril lilla e se lendola se ne slrignº gli vien del concio e si con loro e,
per il la col l?arloli, più che non fanno i cedri troll (Iula ndo sentono il
tutor, Vla 1, il s o di lui. Chi -a all'epos lo e sente il..., e la virtù che
viene alla frase per l'elissi di alcune parti del dl scorso ci si allengono a
certe voci ecc., non che intenderla questa In Iniera per l la ed in quel pregio
che un vezzo assai grazioso Il ll garbo sl l'.E sappi alunque che anche la
particella chi la quale bene adoperata, dice il Puoti, dà molta grazia al
discorso – simile alla poch'anzi ragionata che, ha lal virtù sulla penna a
valorosi nostri classici, ch. dice altro e più che non dica il letteral suono
della voce. Tien luogo quando dei casi obliqui a vario rispetto, cioè senza il
segnacaso di, a, da, per, con, che, e quando di chiunque, chicchessia, ed anche
di se chicchessia, se all ri muti ecc.Mlal però si potrebbe stabilire quando il
segnacaso e quando altra roce sia da sottintendersi, che le più volte l'una e
l'altra spiegazione egualmente 1a. « I biloni cosl III li, scrive l'Alamanni,
mal si ponno il 11 a parare chi troppo invecchia, ciò è a dire, soggiunge certo
lale, da chi troppo invecchia. E son con lui. Ma chi mi vieta d'intenderla
anche così: se altri, se l'uomo, o quando l'uomo l roppo invecchia, o in allra
sì fatta guisa? « Ma qualunque spiegazione piaccia, l'asta andar d' cordo su
questo che il chi (son parole del Fornaciari per proprietà º i « lingua si usa
spesso ed eleganlelneri le cosi in certi modo assoluto. « Di rado avverrà di
potere le proprietà delle lingue in I lilli i luoghi « spiegare a puntino nel
modo stesso ».Sentilo questo chi e gustalo negli esempi del Trecento ed anche
del simpatico nostro Manzoni. o «... la casa mia non è troppo grande, e
perciò essº non ci si por trebbe, salvo chi non volesse star a modo di mulolo,
senso la r moll o zitto alcuno ». I30(C.« Molto da dolersene è e da
piangerne... chi ha punto di sentimento, o di conoscimento, o zelo delle anime
o. Passa V.«... e con tutto ciò non si potevano difendere da lui, chi in lui si
scontrava solo: e per paura di questo lupo e cºn nºi o ſi lan lo che nºs suno
era ardilo d'uscir fuori della terra n. Fiorelli.« E non è da farsene
maraviglia, chi pensasse lo sterminato bene ch'elleno portavano alla persona
sua. Cav.Sì come veder si può chi ben riguarda... ». Dante (CoirV.. « Quinci si
van, chi vuol andar per pace ». Danle. potransi far più forti piantamenti, chi
vorrà...». Cresc. « Sì come la candela luce, chi ben la cela ». I3 l'un. « Come
pienamente si legge per Lucano Poeta, chi le storie 'orri cercare ». G. Vill.«
Sì come per lo dello suo trallalo si può reale e', e intendo re, chi º di
sottile intelletto ». G. Vill.« Furonri sventuratamente sconfitti, e così
arrien e chi è in rºllº di fortuna ». G. Vill.« Da volar sopra 'I Ciel gli area
dal'ali Per le cose mortali, lº son scala al Fattor, chi ben le slima ». Pelr.
(per chi, a chi, se allli mai « Invoco lei (la SS. Vergine, che ben sempre
rispose Chi la chitml ) con ſede ». Petr.« I quali trionfando degli animi dei
pazzi cittadini, la misera città variamente lacerarono, con acerba ricordazione
di quelli inlºlici secoli liſt con non minor gioia, chi queste cose andrà
considerando, della tran (I lillità dei presenti ». Scipione Ammir. Stor ſior.
- Le quali lui le cose sono esempi rarissimi di gran povertà, umiltà cd (in
negamento di sè medesimo, chi pensa che talora per mantenere una di Iºsle loro
ragioni, sogliono i mondani nellere a sbaraglio ogni aver loro, e la loro anche
la vita un duello... Ces.º V ºcchi che, perdule le zanne, parcram sempre
pronti, chi nulla nulla gli dissasse, a digi ignar le gengive.....; o,
Manzoni.('osì il lurore contro costui il ricario, che si sarebbe scatenato
peggio, chi l'avesse preso con le brusche e non gli avesse voluto conce der
nulla, o a con quella promessa di soddisfazione, con quell' osso in bocca
s'acque la ra un poco e... ». Manz. ARTICOLO 20 Sf (C0mg.)
Anche la particella se vuoi qual congiunzione sospensiva e condizio nale, vuoi
qual desideraliva, è appo i classici una di quelle voci previ legiale sotto
cºlli ripari in parole, ossia aggiunti, laciuli talora o non
completamente espressi. Il che avviene di un se. – a. recante senso:ì così, e
in certa forma di gi Iran lenlo, volo e simili: lo esprimente ricerca, indagini
ecc. soppresso e si linteso il verbo che lo precede: per ve: dei e, per
sentire, osservare e va dicendo. Non misteri della lingua al dunque, non
licenze degli scrittori come sano sentenziare alcuni (i rammatici dall'orecchio
volgare e guasto, (246) | ma virtù e proprietà delle particelle, onde cioè la
ragione intrinseca di cerle contrazioni e maniere si relle e vigorose, le quali
sien pur strane e niente intese a pochi sperli, ma a chi sa di lingua, non
altro sono, all'incontro, che vezzi e gioie. l;oce. Così l dio mi dea
bene, con l'egli è vero, ch'io mi veniva...). Se Dio mi aiuti, io non l'utri ei
mai credulo o. I 30cc'.a se m'aiuti Iddio, tu se' pore o, ma egli sarebbe mercè
che tu fossi | Se Dio mi dea bene, che io mi i re mira a slitr con le co
un pezzo. molto più o. l occ. a se Dio mi salvi, di così alle ſemine non
si vorrebbe aver miseri cordia ). I 3 cc'. « I), h, se Iddio ti dea buona
ventura, diccelo come tu la guada gnasti ». Bocc. « Subilamente
corsi a cercarmi il lato se niente r'avessi ». (per sentire se). Bocc.«... l'un
degli asini, che grandissima se le arera, tratto il capo del capestro, era
uscito della stalla ed ogni cosa andava fiutando, se forse trovasse dell'acqua
». Bocc.«... s'egli è pur così, ruolsi realer ria, se noi sappiamo di riaverlo
» Bocc.« Cercando d'intorno se niente d'acqua trovassero ». V. SS. PIP. «...
brancolando con le mani, se a cosa nessuna si potesse appi gliare ». (per
vedere, per sentire se..... Cav.« Corse per tutta la città se per centura la
polesse trovare ». Cav. « Lesse come Libona area lallo gillar l'arte, se egli
avrebbe mai tanti danari clie..., e colali scempiaggini e canità da increscere
buona mente di lui ». (per sapere, scoprire se...). DaV.« Venite qua, guardate
bene... Toccale i polsi se han molo tasta º il cuore se palpita ». (per
sentire...). Segn. (247). NOte all'articolo 20 (246). Uno di
questi cotali poi ch'ebbe ragionato della sinchisi, con fusione di costruzione
nel periodo e dell'anacoluthon, che è quando, lice egli, si pone qualche cosa
in aria, e senza filo di costruzione, e intendeva appunto di parlare degli
esempi di questo numero, del precedente e di al tri che ragioneremo, riprende
fiato e soggiunge: a l)i queste figure non « mancano esempi e nei latini e le
lorstri allt l'i, ma non si vogliallo a imitare, essendo anzi errori che mo.
Sono | Igure, scrisse il valent'll In « inventate per iscusare i falli, nei
quali sono talvolta incorsi per una la « fiacchezza anche i più celebri autori
». –- Cavalca, Boccaccio, Dante, l'e trarca ecc. ecc. ecc., che duraste gli
alli e i decellºni in escogitare e ci Ill porre gl'immortali nostri libri, e vi
si udiaste di l: rlo più chiaramente e leggiadramente che per voi si potesse,
solleci'i, sopra tutto, di dare alla vaga, tersa precisa vostra lingua un
tornio ed una forma facile ad un tempo, decorosa ed elegante, siatene pur grati
agli acliti a sservatori della posterità che a guardarne noi poco sperti vostri
lettori scopersero ne vorstri componimenti i solecisilli, le magagne, gli
scerpelloni nei quali voi pure, e quel che più monta, tutti ad un modo, con
tutto lo studio e saper vostra, portatevelo pur in pace, talvolta
incorreste!.... (247) Alcune volte l'omissione di per vedere, per sapere
e simili la luogo molto leggiadramente anche senza la soggiuntiva se. « Ed è
lecito º il nrola d'usare queste sorte negli olſi i temporali a cui prima
tocchi « la volta: come si fa degli ufficiali della città... ». Pass. cioè per
sapere, per stabilire ecc.) ARTICOLO 24 VENIRE l)el Vario uso
e valore così del verbo venire come di molti altri se n parlerà alla distesa
nella III." Parle di questo Direttorio. Quello che ora piacermi
merilovare è una certa forma di dire, bella, brevissima ed evidente in cui il
verbo reni e non è quell'ausiliare comu I missili o con le guidasi e lorº la
passivº in qualsiasi verbo transitivo-attivo, e che tien luogo dell'ausilia e
essere, ma è al arnese mercò cui l'azione transiliva-alliva volge ad altro
rispello, prende un ordine, dirò così, in verso e ci fa l'effetto di cosa che
dall'oggetto soppravvenga al soggetto o di azione emessa indipendente nelle dal
concorso di mente e volontà del soggetto, sì che il sol parli ipio aiutato dal
verbo venire semplifica e t duce ad una parola le voci: a crenire ad alcuno lo
lui la mente, impensatla mente che.... (286i. Intendila questa bella
maniera nei pochi esempi che ti allego. E' tutta italiana e classica, nè so di
altra lingua che ne appresti un'altret tale. Solo coi verbi così del li dei
netti dei l alini, parmi di sentire alcun che di somigliante. Ma lasciamo ora
questa cosa, che troppo vi sarebbe che dire, ed anche a ragionarlo e discuterne
poco o nulla rimonterebbe; e passiamo subito agli esempi. «... e
venutogli guardato là dove questo Messer sedea e... il renne considerando ».
I3occ. e essendo avvenuto ch'egli vide.... « A queste la rete che coi diciale
bene e pienamente i desideri ro stri: e guardatevi che non vi venisse nominato
un per un altro: e come delli li arrete elle si parliranno o l'occ. (che per
mala ventura non tv venisse di nominare).a Credetlimi, quando presi la penna,
dovervi scrivere una convene role lettera: ed egli mi venne scritto presso che
un libro ». Bocc. (ma trovo all'incontro di avervi scrillo.«... spacciatamente
si levò e, come il meglio seppe, si restì al buio, e credendosi tor certi veli
piegati, li quali in capo portano, le venner tolte le brache (li.... m. 130cc.«
La prima cosa che venne lor presa per cercare lu la bisaccia ». Bocc. «...
le quali i bisaccie, son si somiglianti l'una all'altra che spesse volte mi
vien presa l'una per l'altra ». Bocc.« Fornito il suo ragiona e disse a Simone:
melliti più dentro mare, e gilla le reti a vedere se nulla ti venisse pigliato
». Ces.« V atti al mare, gilla l'anno, ti verrà pigliato un pesce sbarragli la
bocca e ci troverai lal monela che raglia il tributo per due o. Ces. «... così
andando si venne scontrato in quei due suoi compagni ». I30 c.a... facendovi
qua e là nola, quelle bellezze nelle quali ci venisse scontrato ). ((S.« Perchè
io entrando in ragionamento con lui delle cose di que paesi, per arrentura mi
venne ricordato Lelio. Filoc.Fu un giorno al suo Padre lui lo ama ricalo d' un
grave sospetto: cioè che cercando la propria coscienza con ogni possibile
diligenza, non gli veniva trovato mai nulla che a suo parere, arrivasse a
peccato re miale... gianni mai avvertiva ch'egli sapesse miai trovare.... Ces.«...
gli venne per ventura posto il piè sopra una tavola, la quale dalla conti
apposta parte scom)illa dal li a ricello, con lui insieme se n'andò quindi
giuso ». (avvenne ch'egli perse per ventura il piè....). Bocc. «... venne
questa cosa sentita al Fontarrigo ». Bocc.« I ll imamente essendo ciascun
sollecito venne al giovane veduta una ria da potere alla sua donna
occultissimamente andare ». Bocc. a Mira lavoro di tribulazioni e d'affanni che
ti dee venir adoperato nell'anima...». Bart, che ti avverà di dovere anche a
tuo malgrado ado perare..... (287). NOte all'articolo 24
(286). IRecasi, la mercè di un sil fatto costruito, ogni verbo a quella cotal
proprietà che è sol privilegio di alcuni, i quali senza mutarne altri menti la
voce si trasformiano d'uno in altro es - ºre; e dresi p. es. perdere alcuno
irreparabilmente fare che altri rovilli, spari-ra) e perdere, altre si,
checchessia (cioè rimanerne privo, sì che il primo d ce azione diretta, il
secondo quella che non dal sºggetto all'oggettº, ma oggettivamente in relazione
al soggetto intervielle Conf. Natura e essere di alcuni verbi et. IParte
II.). (287)Che tu dei adoperare -offrire) non solo è inen bello e
languido, Intl am(:lle inesatto e lìoll V (l'O). N. ll Vi -(ºlti l'idea della
le cessità dell'atto, indipendentemente dal concorso della volontà.: Tra. Dizioni
e forme notevoli e il cui retto uso adopera anche alla vita e all'assetto
C0Struttivo Le cose che abbiamo vedute ſin qui sono senza dubbio gran
parte di quello oride il costruirre classico è altro dal volgare e moderno. Ma
non si starà contento a questo solo, chi desidera istruirsi davvero ed è
veramente vago di riformare il suo dire e conformarlo a quello dei clas sici,
recarlo cioè a quel candor di coricelli, Vigor di espressioni e tornio di
periodo che è sol proprietà della lingua degli antichi. E però, prima di
passare alla Parte il I., la quale somministra ordi natamente il correlazi. I1
e coesione con certi verbi e voci previlegiate un copiosissimo corredo di
lingua, e le dizioni più elette dell'italico idioma piaceni mentovare
collettivamente alcuni altri capi nei quali il moderno non sempre s'accorda
coll'antico º dai quali la costruzione italiana prende talora sapore e
leggiadria. Natura ecl essere vario «li alcu 11 n i vo rl,i, suscettibili
cioè di vario foggiare riflessivo o irriflessivo, coll'affisso o scenza, e
capaci di Cloppia ragioi i ce li agire O Cli valore a cloppio orcli 1 ne cº
rispetto, tra 1 1sitivo e il n transitivo, attivo e I neutro. Intendo qui
di offrirli, o mio le! I re, partite serie di esempi che i mostrino quasi in
azione corle proprietà e passioni di alcuni verbi, negli accompagnamenti che
prendono, nei casi che reggono e Irelle lalicelle che in cellano o rigellano
13arloli, e come essi prendano or un essere ed or un allro, e diventino quel
che vuol siano chi gli ado pera, puri alliri o puri neutri, o neutri passivi o
assoluti. Ho detto negli accompagnamenti che prendono, avuto cioè riguardo al
vario ordine dell'azione, non al vario messo o rispello in che sta ogni verbo,
e in ogni lingua, col suo corredo; chè non si vogliono qui riprodurre tutte
quelle inſi nite categorie, classi, divisioni e suddivisioni che fecero e fanno
tuttavia grammatici e linguisti: il lime, del resto, e in Filosofia utilissime,
ma non mai a far di leggiadria, sapore ed eleganza. Di que verbi poi, il cui
governo, sulla penna e lingua a classici, relativamente al loro oggetti,
dipendenza e corredo si discosta come chessia, o è altro che il volgare e
comune d'oggidì, ed anche dell'uso e valore vario di molti altri verbi, si dirà
alla dislesa nella Parte III., ove, lra l'altre cose, si ragiona in proprio
delle convenienze grammaticali e concordanze reciproche.NEUTR [ ASSOLUTI, CIO È
VERBI coMUNQUE RECIPROCI o RIFLESSIVI – NEUTRI PASSIVI, ATTI V I PIt() NOMINA
LI () TRANSITIVI PASSIVI – A IDOPERATI ASS() LUTAMENTE Sono alcuni verbi
che nelle menti e sulle penne de Imigliori nostri scrittori si trasformano
assai voli e dallo esser loro comune e volgare e tornano di attivi prol li il trali,
o trailsitivi passivi, neutri assoluti, liberi da ogni affisso o
particella. Piaceni fornirtene un elet o saggio: per lui del rest o, anzi
pochissimi al gran numero che potrei allegare. Studiali, intendili e senti il
garbo, il sapore, la forza che viene alla frase dall'uso dicevole e giusto di
una tal malliera e striltli. ACCIECARE - « In prima si commette in
occulto, poi l'uomo accieca, in e tanto che pecca manifestamente e fa faccia, e
non si vergogna » Cavalca. Al)I)Ol.ORARE – « Or lorniamo a Maria
Maddalena, ch'era illella ca a Imera e addolorava sopra i suoi peccati ».
Cavalca. Al FONDARE andare a fondo) – « E più galee delle sue affondarono
in « Inare con le genti ». Vill.- - v. - - - - - - - «....più volte si
videro su l'affondare, e poichè non potevano dar volta, « gran che fare ebbero
a una litenersi e torcere finchè.... » Bart. AGGHIACCIARE – «Come fa l'uomo che
spaventato agghiaccia » I)ante. « Ghiacciò il mare...., fu grande freddura e
ghiacciò l'Arno » Vlil. ALZARE - ABBASSARE – « Ma già innalzando il solo, parve
a tutti di « ritornare ». Bocc. – Simile al to rise degli inglesi -- il cui
causativo to raise).SCInarido al continuo per la ci là tutte le campane delle
chiese, infillo che non alzò l'acqua.... ». Vill.L'altezza del corso del fiume,
che per lo detto ring rgamento era to nuta, abbassò e cesso la piena dell'acqua
». Vill. – Equivalente dl sinkem tedesco e to sink inglese – attivo senken, to
sink).« Poichè il sole cornincia abbassare e allentare il caldo.... » Cresc.
ANNEGARE - AFFOGARE – e Mescolansi le compagnie con l'acqua ora « a petto e ora
a gola; perduto il fondo, sbaraglia i si, annegano » I)a V.« Mal credendo che
un legno si lacero potesse esser sicuro, mentre faceva tant'acqua e le
pareva di continui annegare ». I3art. « Alla guisa che far veggiamo a
coloro che per affogare solº quan « do prendºno alcuna cosa.... » Bocc.
APPIGLIARE – e Sugano l'umor del campo, e non lasciano esser nu « triti i
sogni nè debitamente vivere e appigliare ». Cresc. APPRESSARE – « Più e più
appressando in ver la sponda Fuggelni er « ror ». I): lillte. «
Quando il cinquecentesimo anno appressa ». I)ante APRIRE – « La terra
aperse non molto da poi... – qui non ti conto con, e « la terra aperse ». I) il
tam.ARRATBBIARE – «..... per quanto ne arrabbiassero i demoni, mai però a
non ardirono più a valti che... » Bart. «...ed all'uscio della casa, la donna
che arrabbiava, lato vi delle Ina lli, « il mallClò oltre.... » I20 cc. »«...nel
soddisfare alle loro passi il arrabbiano, sinºni: no, sono infe. « lici ». Cosa
riASSALIRE – «Il fante di Rinaldo veggendolo assalire, come cattivo, mi ha «
cosa al suo aiuto adoperò » Bocc. (cioè: veggendolo che era assalit, lui essere
assalito).ASSII)ER ARE – «...assiderarono tutta la notte, senza pallini la
ascill « garsi, senza fuoco, ignudi, infranti ». I): v.ASSOTIGLIARE -
INGROSSARE - -. Il collo digrada va sottile, e nel ven « tre ingrossava, e poi
assotigliava, digradando con ragione ſino alla « punta della coda ». Vill.
Parla di certa serpe di fuoco apparsa in aria). ATTENERE – «.... lanciato
da banda tutt'o ciò che attiene a costumi ». Bart. ATTENTARE – «...
desidera ido e nº n attentando a fare imprese e ho a non fanno, che non
attentano di fare gli altri ». Bocc. BISOGNARE –- Questo verbo mi darà ina)
eria da ragionare le più ava lli). « Come costoro ebbero udito questo, non
bisognò più avanti ». B c. – Il Bartoli guarda come l'ha egli pure identica la
stessa frase. I « Bonzi come riseppero di quel così vituperevole
cacciamento, non « bisognò più avanti, perchè si inettessero tutti a rumore ».
– E qui dagli ai puristi, ai trecentisti, quando un Bartoli non solo ne parlava
con sommo rispetto, ma di loro da vizi e studiosamente si arricchiva.
CALMARE – «.... il vento calmò e un altro 1; e scosse e le dava alla nave «
appunto per poppa ». Bal'. COMPUNGERE – e Forte nel cuor per la pietà
compunsi ». Dittain. (.()NCIARE i maltrattare – E la fa Iligiia di casi
vellendo costoro cosi a conciare, corsero a (iesti cori gri a n pianto, e
sl gli si inginº celli:ì rono « a piedi, e dissero: Signore, la Maddalena e
caduta in terra e pare « limorta e... ». Cavalca.Il Puoti nota che li el
vocabolario noi e registrato questo verbo in forma neutra, come ve lº si qui
adoperato, CONFONDERE – «.... onde se si messo nel pianto confondo,
maraviglia non « è ». Dittam. CONTIA ISTARE - Allora, vedendola la
badessa e si contristare, disse « a lei: or che t'è addivenuto, figliu la mia
Fufragia, perchè così a crudelinelli e piangi e contristi? » (avalca.
CONVERTIRE - Si prop, sero di convertire alla fede di Cristo ». Vill.
DEGNARE - «... nè v'è uomo, benchè povero, che degni far servizio della « sua
persona ». Bari. Simile al daigner dei francesi). I )EI,IZIARIE a.... e
se talvolta le llloghi a mare trovava llo ad avere « un uovo di testuggini e
alcun poco di pesce allora deliziavano ». Bari. IDILETTA IXE - Vergognisi
chi le reglia in virtude e diletta in lus « suria ». Nov. Ant. DIMAGRARE
- INGRASSARE - I primi quindici di dimagrano e negli a altri quindici di ingrassano
». Cresc. a Ingrassando e arricchendo indebitamente.... ». Vill. I)
ISFARE a E di vero inali ſul lis fatta nè disfarà in eterno, se non al di « del
giudizio ». Vill. DOLERE –. E cortamente di lui tanto dolsi quanto donna
del far di « buon marito ». I)itta in« La speranza del perdono si è data a chi
la vuole. E colui l'ha per a mio dono, Che del suo per rat, duole ». Jac.
Tod. ESALTARE – « Della detta pugna esaltò si esaltò il capitano di Mela
a no, e il re Giovanni abbassò. Vill.a IDC lla sopra detta vittoria la città di
Firenze esaltò molto ». Vill. FENDERE - Vnche se ne fanno convenevolmente
taglieri, e bossoli, « i quali radissime volte fendono ». Cresc.GLORIARE - –...
pensomi che l'ºmºnima sua fosse tratta a quella beata a contemplazione di
vedere Gesù, Figliuolo, suo carissimo, così gio a riare, attorniato dagli
angeli suoi, i quali così volentieri gli face « vano festa con somma letizia ».
Cav. Traduci: colmo, circondato di gloria).IMPICCARE - – Di questo verbo, otlre
a molti altri di egual forma enatura, si è il senso passivo assoluto (non per
riflessione si ggettiva cioè, ma d'altronde) di cui è capace, e senz'altrimenti
variarla – simile al vapulo dei latini – la forma attiva. Pare però che solo
l'infinito di tali verbi abbia il privilegio di ricevere un cotal senso
passivo.« Fu condannato ad impiccare ». Vill. I cioè ad essere impiccato). « La
battaglia fu ordinata, e le forche ritte, e 'l figliuolo messovisi a «
piè per impiccare ». Vill. – Conf. più avanti sbranare. INCHINARE (far
riverenza a... } – « E voleseIni al Maestro, o quei mi fe a segno Ch' io
stessi cheto ed inchinassi ad esso ». Dante. INEBRIARE – « I)ando loro lle
celli) a beccare, Sillbito inebriano e lloll « possono volare ». Cresc. «
Egli giuocava ed oltre a ciò inebriava alcuna volta ». Bocc. INERPICARE – «
All'alba scassano i fossi, riempiendoli di fascine, inerpi « Cano Sll lo
steccato.... » I)a VINFERMARE (anmmalare) – a.... E da questo discorse un uso
che niuna « donna infermando, non curava d'avere a suoi servigi un uomo..... Ol
Che.... » BOCC'.« Egli è alcuna persona, la quale ha in casa un suo servo, il
quale inferma gravemente.... ». BOCc. « Avvenne che per soverchio di noia
infermò. Bocc. « Avvenne che il detto Patriarca ammalò a Imorte ». Vill. «
infermare, ammalare a morte ». Bocc. Vill. Caval ecc. « La povera donna cadde
tramortita e ammalò gravemente ». Gozzi. INFINGARIDIRE – « Non badavano n.ITe
faccende pubbliche, e insegna « vano a cavalieri Romani infingardire ». I)av.
(Conf. Pigrizia Pron tuario).INFRACIDARE – « Infracidinsi l'ossa di quella
persona che fa cose de « gne di confusione e di vergogna. Lo infradicidare
dell'ossa signifl « Ca..... ». Passa V.« Il nutrimento dei frutti infracida
leggermente, perocchè la natura « non l'ordinò, nè produsse ad altro fine, se non
accio hè infracidas « se ». Cresc.INNAMORARE – « Concede alle anime che di lei
innamorano agevolezza « di Volare in cielo ». Fioretti. INVII,IRE -
RINVELIRE – « Ma poichè si vide ferito invili sì forte... ». Part.«....la quale
(merce) allora appunto rinvili che egli non la voler ». Rart. « Il ladro
surpreso nel fallo invilisce ». Vill. LAMENTARE – « Una donna in pianto
scapigliata e scinta o forte ia « mentando.... ». NOV. Ant. e Giusto duol certo
a lamentar mi mena ». Potrarca. LAVARE – «... prestamonto lo menai a lavare ».
Firenz. LEVARE – « Io sono costumato di levare a provedere le stelle ». Nov.
aInt. « Ma vedendolo furioso levare per batter e glie... » BC (c.
º llll'altra volta la ino MARAVIGLIARE – L'anime... maravigliando
doventare sinorte ». Dante. « Con tutto il maravigliare n'eran lietissimi
Mll I,TI l?ILIC.ARE – « Mla cldo e l'a llie lìte: « adosso in aggiore »,
lºore. « I)ebb no alunque studiare i padri come ». Fia Ill.
multiplichi e con clue Iniestier ed uso s'allmeriti, e divenga fortunata
ſilli. -..... que rime 1tlti i cresce a io e moltip Il lonte ».
I)av. l'ENTIIAE – « SI cl, e pentendo e per lollando l)allte. «
Assolver non si può li noli si sieme puossi ». l)ante. « (.lli (li trolls
PROVARE -- La Marza car, vellla cert: quali a Inosca dello Iara ca l'ovello dl
lilll'allle o lo Provan benissimo alla ril nei luoglli caldi Prontuario. I?
AFFIXEI)I).ARE IN IS(..VI.l) \ I RIE (tale a lui a contro il Sallesi ». V
Ill. al s'affr, tti si s old fa di pentire ». la calca gli multiplicava
ognora a ſalniglia, ! ». lPall.lol licheranno llaraviglio -:1
fo, l'a ll vita Ne pentire e llSciIlllllo ». V,iere iil
l'laln. la ll pero in sul nero e - apore ». l):) V. (..
ll noso aleli f. Pianta - a è quasi sempre d ' e a ed e leggieri a
pesarla, e tosto raffredda e io sto riscalda. Cresc. « I Fiorentini si tennero
forte gravati, e il riscaldarono nell'i gue: ra IRIIP AI: AIRE L'inglese
to repaire (on I. lo stesso verbo, IParte Il I. « Nella quale Fiesole º gran
parte riparavano dei suoi seguaci ». Amet. « Come vide correre al pozzo, corsi
ricoverò in casa e sorrossi dentro ». I30 ('. «.... tutta la lla V
e dis armi: i ta dalle opere in m te, mal nu:i:a e dalla tempesta,
e.. aver bisogno di ricoverare a Mºnla ca e Iulvi a sverl):n l'e ».
13:art. ROVINARE - Piuttosto vuoi rovinar colla caparbietà tua, che
esaltati a col buon consiglio di chi li vuol bene ». l 'ieronz. a Mentre
che io rovinava e li è col reva precipitosamente a fiacca collo) o in
basso loco, Dinanzi agli occhi mi si fu offerto Chi per lungo si a lenzio
parea fioco ». Dallite. a L'altissima scimmia del tempio di S. lteparata
ſu da un fulmino, il a tanta furia percossa, le gran parte di quel
M:I (Ini:n volli. e Rovinò g il mister, mente da un lalzo della montagna
». a l'asst, l' illla volta sull traileo che Il tº t. (A') fatto ».
Segn. pilona lo rovino ). l3,) i t. rovinare... non è
gradi a lºietro aveva gia preso la china giù rovinando... se non che...
» Cesari. e Clio non rovini, lli vi i l i lil: r.:i bali: l'i slli
trabocchetti, i 'l:º a sopra saldisini p.I vini: i I, lov Ilie troverete?.
Segn. SALI) AIRE - It.A MI Al AIR(i IN AIRI. I rite g randi non è mal
trovato - e a saldino in ventiquattr'ore e che perfettamente rammarginino ».
Red. SBANI)ARE --.... le (-a coiiil ritte isselli iti, perchè al grido a
del st ) Ve li sbandarono, l... SI3I(r()TTI I º I. – La li ill:1 - 1/:
pll'1 o sbigottire, con voce assai piace vele rie, ose.... » I3oce.
SRR.AN ARF - Illvii “i i sll Ille. la do iº la annata di lui ad un e
desinare, l: qual, v. d. ll -t: IIIedesima giovane sbranare ». B.)cc. Aggiungi
i modi: mandare o menare chicchessia ad annegare, a uc cidere, e simili, ci e
ad essere annegato, ucciso Indi a quattro dl, col ta:nto -piarne, scope, ta, fu
mandata uccidere, I3a t. ccc., cliº li son frequentissimi in tutti i lor
li bilogia il guai del trecento e cinque ei to; e li segi:iti a bella cosa a
vedere: dura a sof frire; – « Case vaghissime a vedere, comodissime ad abitare
». 3:1 rt. Demonia crribili a vedere ). V |!! - V si lt l'1, l'ille, elle mi
racolo furono a riguardare ». I3... solº i maravigliose e pau rose a riguardare
». Vili.... l: Il l: -:1 e l'il 1:1 i lt, il N' - a stagio gravosa a
comportare, che per lo loro piu' volte gli venne dosi dºri di ll 1 le; - l. I3,
Forl II (ll dire che abbia Illo cºntinua in mt boscº 1, scrivi il 13 arioli,
IIIa Il li sempre si agevoli e piare a intendere che i 1: pia in di....i e, v.
altri si av veng: i il: l II; 1 - il 1 l ' I - I riti l' ignII llo. I ' ' ncere
poi di troppo ilt! - In ant III:I: 1 re, che amp ma, o creda po tersi mai
trovare un verbo:itti, o chi in qui, sta o simile gui-, non siasi talora uscito
a riche in significazione assolut: niente passiva. E s che i rutissimili (.ss e
v. 11 ri. di lirl II i qual. In Forli' ciarl,.le.::i: dimi ed altri la
intendono e - i ga: o l Iversalme, sarei tº itato il rigil:i ril: i re corri ti
'i: 1:1, li i leli iti:itti vi si getti: l II l de' verbi: fare, lasciare,
vedere, udire. Ho veduto, udito, lasciato... a mare liare, biasimare... Tizio a
Sempronio - rubare, prendere, por tare, lavorare e il na cosa a chicchessia o
checchessia.Mlal, l. Io: Ilo il cli: no i lil I la 'ti i lil Il di al front i
rili e Inl Itt e il:ì il tro: i:l ll 1: i: li si. I l it,Vli sia però lecito di
osservare le villa di irolti esempi in cui il soggetto i porant e il preposizione
a ion piò cssere l'i cells itivo a rentrº dei lati; li, e li:: lì il ve li vi
ttiva, a tri menti che - orcendo e guar 1:1 dollo la sintassi: e bast, per
tutti il - guente del Boern cio: Va -- e l og: 1o di suoi a Chiassi, qui ivi a
vede cacciare i d uli i Vallicº: il nº. io va ti ucciderla e divorarla a da due
cani ». Si di: • i:) I cacciare, 'l'uccidere e divorare che l'l1:ì. Il no di mi
li ssi: -si V., (belle sta, il lil:) di scorretto: velt e-ser i: i ti li lì i
rivali, il lill cavalli ºre ed eserla cioè: e la stessa essere ) u (Isa e
divorata da due cani. Qual'1 do invece s'oncordanza sarebbe e sconnessione
troppo rincrescevole e male ancora si atterrebbero le parti al loro tutto, se
si volesse riguar (lare il cacciare quale verbo di significazione, noi Imeno
che di fur ma, attivo, il cui soggetto, cioe', cavalliere accusativo agente, ed
og gettº, una giovane. Ed oltra ciò si ponga mente a quel che segue, che e
appunto il suallegato esempio: Illvita i suoi parenti ecc., Qiii è omessa o
sottintesa la ra tisa dell'aziº alle o l a o da, e però lo sbranare di senso
non altro che assoluto passivo. Ma e non e egli forse quel medesimo cacciare,
uccidere e divorare del periodo precedente? SI) IRI 'CIRE - « Esse Ildo
essi li oli gular sopra Majolica, sentirono la nave a sdrucire » I30 ('.
SERIRARE rinchiudere ecc., Olm! che dolore ti venne quando tu il vede sti
serrare là dentro, fra le mani dei lupi rapaci, che desideravano di velldicarsi
di lui ». Caval.E pensonni che questo ti fosse si gravide il dolore di vederlo
così rinchiudere e con lui non potere essere alcuno di voi, che quello del la
morte non fu maggiore. » Caval.Allora una delle suore, la quale vide
visibilmiente gittare lnel poz u ( e zo, gridando forte.... » Cava!
Tra due l: essere gittata (lal dellº - lli, nel pozzº ). SM V I, I'IRE - - «
(..il iarolo a smaltire ». Cres. STANCARE a E avvenendomi così piu volte,
e io pure volendº mi me - a tere per entrare, stancai, sicchè io rimasi tutta
rotta del corpo... ». Ca.Val.STRANGOLARE - Aveva ad un'ora di se stesso paura o
della giovane, « la quale gli pare, vedere o da orso o da lupo strangolare. »
Boce. TEI)IARE - Alquanti cominciarono a tediare e a dire.... » Fier. TIRARIRE
i tirare) --. E come a messagger che porta uliv. Tragge la gente « per udir
novelle, E di calcar nessun si mostra schivo... » Dante. a () (corso lor
l'asilmondo, il quale con un gran last me in mano al « rumor traeva. » I30
('C'.º..... il topo che nelle sue branche era stato, riconosciuta la voce del «
leone, trasse al suo rumore, e ricordandosi di tanta grazia....» Voi gar. di
Esopo. a Maravigliando pur trassi a lei. » I)ittani. « Vide ontrare un topo per
la fenestrella, che trasse all'odore. » Nov. V nt.« E la fama di questa opera
di santa Marta s'incominciò a spandore e per tutte le contrade d'intorno, e per
tutta la Giudea di questo modo a ch'ella teneva, sicchè tutti gl'infermi e
poveri traevano a Betania, « e chi non poteva venire si faceva recare, e vi si
riducevano come a « un porto. » Cavalca. e Un piovºnº i grillorando a
scacchi, vincendo il compagno, suona a a martello per mostrare a chi trae come
ha dato scaccontato, o quan ti do gli ºrde la casa i lillllo Vi trae. »
Sacchi,«... tutto quasi ad un fine tiravano assai crudele. » Bocc. – Nota
la questa frase: tirare ad un fine, per aver la mira ecc. Anche del vento del
mare ecc. di cesi che tira, v. gr. violentissimamente a ll e beccio ». I3a 1
t.Per nº lì tornare a 1', dire le stesse cose, vi piaccia qui di por mente ad
altre II1:ì il lere che si ill bllo: le e dell'ils. Tirare da uno e cioè sol
Ili gliarlo); tirar via un lavoro, tirar giù un lavoro cioè non badare che a
finirlo in fretta, anche st; pazza idol; tirar giù di una persona (dirne male
se, za Ibla discrezione al III ndo,: tirare al peggiore: a Egli 1tlti io che ſi
evin (i i lil I::lco tirava al peggiore ». Da V.; ecc. « Ari ippò
l'insegna e trasse:: - la il I grida 'I l... » I)av. “...... e scorrendo per le
vie s'intoppano negli alimbasciatori, che udito « il l ril 1g (111 di (i e II,
1 lli, a llll traevano, e svillaneggianli...» I)a V «.... la vaghezza di ricolº
oscere i gran personaggi, sicche in calca la « gelite - ll al trarre il
vederli., (es. l ri. TI IRB.ARE –. Il cielo e lill!) io:i turbare. » Nov All.
VERGOGNARE - SVERGOGNA IRE.... a qual cosa -oste no, per lui, li a sia il lo,
temendo e vergognado ». 13ocr'.« Allor: il crav: lo tilt, svergrgnò ». I v.
Esoi). Conf. Disonorare, svergognare – Prontuario). V()I,(iERE - V () I,
I AI? E. ()r volge, sign(l' In 1, l'ill decimo allllo, Ch'io a fili sommessº,
al di-. go ». I'et: Noto e 'n ulso anche og gi(lì, ma chi pensa e
vi sento Ina i 'a fol'Irla assoluta?) a Noril lan'lo III oltr a voiger pr. In
queste ruote., I)ante. « Il tifone voltò e preso altra via, la burrasca subito
rallentò...» VERBI RIFILESSIVI o con L'AFFisso, AvveC NAcri è superfluo, o NoN
NE CESSARIO ALL'INTEGRITA DEL SENSO, L' posto di quello le si è vedi o
lestè. Egli è un colal vezzo de gli scrittori, oggi rarissimo e per pc o
smesso, render reciproci alcuni verli: he (li la III l'a ll l solo. I
'alliss, mi li, ci, si.: Il paglia verbo si rive il Ft il naciari, a come forse
meglio lirebbesi, riflessivo, ha virli al l'a di concenl '::: l'azione nel si
ggello, quasi come quella sperie di cerbo medio greco che i grai lilli alici
dicono sul biellivo. Nella Serie IV seguente ragioni: Isi di alcuni
verbi, il cui soggellº non è agente, ma causa dell'azione d'allronde. E come
altretta i mi parer ble da riguardare i pronominali di questa serie: pensarsi,
sedersi. cominciarsi, entrarsi, morirsi, ecc. ecc. volendosi esprimere azione
che il soggetto non solo fa, ma si fa fare: e però, per esempio, mi penso,
voler dire: faccio me o a me pensare, o faccio sì che io penso: mi vede, chec
chessia, mi entro, mi comincio, mi muoio V. g. di cordoglio, di crepa cuore,
ecc. ecc., significare: faccio mie vedere, entrare, cominciare, morire. e, che
è lo stesso, faccio si che io vegg, entro ecc. E quanti più altri co. strutti e
modi, che misteri della lingua si appellano, ci verrebbero piani e ne sentiremino
la ragione intrinseca e logica, l'original candore, se l' genio studiassimo e
l'indole della lingua, la natura cioè dei verbi, l'ordine dell'azione, il vero,
non storto valore delle frasi ecc.! Sturdiali i seguenti esempi, e saprai
come e con quanta grazia. V V EIASI Sapete ormai che a far vi avete se la
sua vita vi è cara.» lo c. AVVIS ARSI –..... la qual cosa veggendo, troppº
s'avvisarono ciò che « era e..... » IBO (('. e perchè... s'avvisò troppo
bene con lo dovesse fare a... » Boer, « Ma io vi ricordo che ella e piu
malagevole cosa a fare che voi per avvelt Ilvo lli v'avvisate. » l Bo.CAMPARSI
- - « Appena si campano le dºnne con gli occhi adosso; che a farebbero sdlmenti
a te gli anni e quasi rimandate?» I)av. (()NTINI AI? SI e... liguarda ll
do Emilia sembianti le fe”, che a grado li fossitº, che essa i coloro che detto
a Veano, dicendo si continuasse». I3 cc. I) I BITARSI - « e saravvi, mi dubito,
condannato in perpetuo. » Caro. EN'ITIRA IRSI «E grillingtºndo alla terra, in vendo
l'entrata, senza uccision a vi S'entrarono o. Vill. a Ruperto vi s'entrò
dentro. » Vill. l'SSERSI - «... e messosi la via tra piedi non ristette, si fu
a casa di «lei ed entrato disse.... » B i.Sempiterne si son le mºzzate, le
ferite, i vermi crudi, le stati ran. « golose ecc. ) I):) Vanz.“ In ogni parte
dov le noi ci siamo, con eguali leggi siamo dalla a lla tll ril trattati. » Boi
('.“ Io mi sono stato, da echè..., il più del tempo a Frascati. » Caro. l'AIRSI
- e Che monta a te quello che i grandissimi re si facciamo?» Boce. “ Divano º
sta di non tener più conto di lui che si facessero cogli nl « tiri. »
(esari.MORIRSI – « Finalmente, dopo due anni, fra le lupo si mori di
vecchiaia». Fioretti. «... e così morendosi in poco d'ora, mostrò quanto
ciascun uomo sia « mal Infol InatO.....» SCglì. NEGARSI – « E' il vero
che l'amore, il quale io vi porto, è di tanti forzi « che io non so come io mi
vi nieghi cosa. Tra luci: che io faccia al lile, « induca me a negare a voi
cosa ecc., che voi vogliate che io faccia º BOCC. PARTIRSI (v. Dividere –
IProntuario, –... dell'isola non si parti ». I3ocr'. PENSARSI – (Conf. Pensare
- IParte III,. – SoInigliantissimo il sich denken dei tedeschi. –
Pensarsi è una specie di pensiero, una fol'Inil d'induzione, d'imaginazi
lie, d'invenzi Ile. Nel pensarsi e sovellle ll il iImaginamento o supposizione
non tutta conforme al vero; nel cre dersi è il silnile, Ina Ilon talnto. --
Solº parole del Tollll I laseo. Le Spa - lo per quel che valgono. Io dico che
pensare viale formar giudizi, e pen sarsi, un imaginarsi pensando, un farsi o
formarsi pellsieri relativa IIlente a checchessia.« Quale la vita loro in
cattività si fosse ciascun sel può pensare ». BOCC.« La sera ripensandosi di
quello che egli aveva fatto il dì... ». Fioretti «...mi disse Parole per le
quali io mi pensai Che qual Voi siete tal « gente venisse ». I)ante.“
sappiellolo che nella casa, la quale era allato alla slla, a Veva « alcun
giovane e bello e piacevole, si pensò (Traduci: si fece, si recò a pellsare,
escºgitare) Se per lugio alcuno fosse nel Inllro...». Bocc. º...... e si pensò
il buon uomo che ora era tempo d'andare.... ». Bocc. SPERARSI –- «... e
sperandosi che di giorno in giorno tra il figliuolo e 'l « padre dovesse esser
pace.... ». Bocc.USCIRSI – «....io vi voglio mostrar la via per la quale voi
possiate « uscirvi di prigione ». Fier.« S'usci di casa costei e venne dove
usavano gli altri Inerendaliti ». TBocc. VERBI CAUSATIVI, cioè
INTRANSITIVI o NEUTRI – siA si MPLICI, si A PASSIVI – I&I,CATI AID USO E
FORZA TRANSITIVA. Alcuni grammatici non la guardano tanto da presso e
mettono in fascio liransitivi e intransitici, o transitivi di fallo e di
apparenza soltanto, dando nome di attivi transitivi o di azione transitiva
(imperfetta, come dicono essi) a certi verbi di lor natura neutri e però sempre
intransitivaper Iliesto sol che loro risponde nell'oggetto in cui, per cui, su
cui, od a ºi º è o si riferisce l'azione, non un caso obliquo, come vorrebbe il
natura messo o rispello, ma, per certo lui il vezzo di lingua o tornio di
frase, l'accusativo o caso rel.. - ll che avviene, vi i per elissi di I lº
svela is o preposizione espri mente "in dell'azione, rispetto aila i
stanza o termine cui si ri "sº, lº sºnº:. io h Fei io se stesso, e la sua
donna comini c'Io ct piange e. I 3 º li, o solº a se stesso...:....
cominciò º ſi correre il regno saccheggiando I; I. io è il dire pel
regno: ( Ma pure ingendo di non aver posto mente alle sue parole
passeggiò º due o tre volte il giardino, sempre ril, inava (iozzi: « venivano
il giorno cerli pescatori al lago di Ghiandaia per pescarlo ». Fier., º Tristo
chi vi per cui rimando aliora le solita te libiche pianure '. Stroc chi;
e ci si dicesi: nº l'11tri il liti in se', nel I e le scale, il monte, ecc.:
rotſionati e discorre e un jail!; liti ti un pº' irolo: andai e una riu. –...
la via che ad andare abbiamo. I ce. passati e il fiume: passare ll no con il
coltello dare ad una donna in uno stocco per inezze il pelo e passarla
dall'altra parte I, centi si, desinarsi qualche ºsº, ecc. ecc., vuoi per rili
li erla p i licelli, preposizione, o altro aderente al verbo con piani e ai per
- con i re un paese: obe dire - ob - audire il padre, la madr: riandare un
lavoro, la vita ecc. – (ili cominciò a spiana e quella grand'ella, qual gli pareva
che fosse riandare l'ulta da capo la sua vita. I; il I., n. ll per reva azione
di rella che dal soggello agente Irapassi all'oggetto paziente. Ma lo è
di verbi si illi e li vuolsi o li ragionare. Nella Serie II. allegai ai verbi
al liri-pi o nominali che sulla penna a classici ci si pre sellli II l ' il
lillili il neutri se in plici, la cui azione, cioè transitiva e ri Ilessi sul
soggello li a emoli si rel: il lasitiva, non più emessa. lira il rimanente e
inerente al soggello. Qui invece mi pongo alcuni altri neitli i di lor nallira.
In alli al sl 1 il lei e altresì il cagionars, altronde della rispelliva azi si
rie, si gg i è riori: hi la fa, ma a chi la la lare. Nolissimo, a cagi li
d'esempio, il doppio uso del verbo Non ci re. l)i esi: la campana, l'isl 1 lu
meri lo suona, lila allresì e bene: io suono, ed anche: io suono la campana, il
cembalo ecc. Il primo è neutro in Iran silivo: l'azione del sil riare, ni:
ridar lu ri suono, aderente al seg. gello, del sogg l sogge! I ci: il si rondo
e il lerzo invece non è verbo che dica azione chi si s Io, il cli: i ar. vale:
io laccio sonare io faccio sì che un isl 1 Imen lo renda silon Vl tried sino
modo spiegasi il III zionare al livo dei verbi qui soll shie ali: e il di p.
es. cessare chec chessia torna a questo: fare che una cosa essi,
linisca. (*) I, a lingua tedesca è ricca pi assai che l' Italiana,
francese ed inglese di tal maniera neutri intransitivi. Lasciando stare il gran
vantaggio che ha di collegare a nodo di una sol voce qualsivoglia verbo con la
rispettiva dipendente preposizione sia dell'oggetto diretto che indiretto o
complemento, gran numero di verbi neutri (che, spogli di ogni affisso, reggono
un caso obbliquo, o l'accusatlvo con preposizione, e però d'ordine e rispetto
indiretto relativamente al loro corredo) trasforma ad altro rispetto e indole
quasi transitiva attiva, premettendo ed affigen dovi la particella be, Es: den
Rath be folgen (den Rath folgen): dem Herrn bedienen (dem IIerrn dienen; einen
Freund beschenken; don Feind bedrohen; Etwas bezweifeln Etwas be sorgen; Jemand
behelfen, beweisen, befallen, belasten ecc. ecc.Si che di alcuni anche il
Vocabolario ne riconosce l'uso attivo, ma li pºne accanto tal altro verbo che
risponde bensì al senso della cosa, ini non n è l'equivalente letterale e non
ſi mostra come il suo valor ma lui l'ale, l'azione neutra resta lullaria,
avveglia che dipendente e soggetta a chi la ſa fare. Dice p. es. che cessare,
attivo, vale rimuovere, sospendere, sºlirſtrº ecc. e ne convengo quanto al
senso, ma non quanto alla ra. gione intrinseca e letterale della parola,
secondo la quale il cessare non è propriamente azion transitiva del soggetto
che cessa, v. gr. un pericolo come sarebbe il dirsi rimuovere un pericolo ecc.,
ma egli è sempre azion leutra della cosa che cessa. Si è il pericolo che cessa,
e il cessarlo non è, a rigor di frase, un rimuover!, che si Iacria, ma vale far
sì che il pericolo, comunque non abbia più luogo. Il qual modo far fare, onde
spiegasi la forza transitiva di cui è capace il verbo neutro, vuolsi applicato
a qua lunque altro che comechessia il comporti. NI3. – Si fa qui menzione
di quei verbi soltanto il cui uso alliro - causaliro – il V Vegnachè
ordinariamente assoluti o costruiti neutral mente – è virtù, è particolarità
antica e classica. Di allri molli, dei quali una tal proprietà è tuttavia
comune di generalmente nola, non accade or cuparcene. Nostro compito è
richiamare a vita le smarrite o poco nole hellezze, proprietà, virtù e dovizie
dell'avilo, italico idioma. (*) Di tal fatta verbi è ricchissima fra
tutte l'altre viventi) la lingua inglese. E per menzionartene alcuni eccoti: to
fall (cadere e far cadere, to drop (cader giù, gocciolare e far cadere o
gocciolare, to drink (ubriacarsi e far......), to fly (volare e far.....), to
sink (calare, andar giù e far.....), to wave (ondeggiare e far.....), to fire,
to well, to play, to please ecc. –. Nella lingua tedesca, invece, si è mercè di
una piccola alterazione che il verbo di neutro si rende nel modo esposto attivo:
Steigen (ascendere), steigern (far ascendere); folgen-folgern; nahen - nahern
(e anche nahen cucire); sinken - se nicen; trinken – tranken, dringen -
drāngen; schwanken - schwänken; erharten - erhärten; erkranken - krānken;
fallen - fallen, stiche In - stechen; schwimmen - schwemmen; springen -
sprengen; wiegen - wagen; einschlafen - einschläfern; liegen - legen; sitzen -
setzen; stehen - stellen; rauchen - rauchern; abprallen - ab prelien; fliessen
- flössen; schwallen - schwelten, lauten - làuten; (es laPomba so...., es wird
gelePomba) ecc. ecc. Io non so di niun grammatico o filologo il quale
parlasse mai od accennasse a coteste verbali analogie, rispetti e relazioni
etimologiche. E quanti, a cagion d'esempio – non esclusi Ollendorf, Filippi e
Fornaciarl –, s'ingegnano per molte altre vie e a tutto lor potere, e per
dichiarazioni e per esempi, di mostrare e far capace il lor discepolo dell'uso
e valore, l'un dal l'altro assai diverso, di clascuno dei surri feriti verbi
stellen, setzen, legen, quando una parola soltanto basterebbe e farebbe più
assai; dicendo cloè che ll son verbi causitivi: stellen di stehen, setzen di sitzen,
e legen di liegen. S'io lavorassi o dettassi comunque una grammatica,
distinguerei quattro gran classi di verbi: I.a – Attivi transitivi – lo
anno. L'azione transitiva è mia. II.a –. Attivi causativi. – lo guariseo
alcuno, io risano, io suono, io cesso ecc. – Mio l'atto causativo, ma non
gli l'azione stessa del guarire ecc. III.a – Meutri relativi. – Io corro
(una via), io piango (alcuno) ecc. (Conf Il ragionato testè).IV.a – Meutri
assoluti. – io vivo, io dormo, ecc. Il dire: vivere una vita. tranquilla,
dormire un sonno dolce, placido ecc. non toglie al vivere, al dormire la sua
forza neutra assoluta, ma é sol modo elegante che torna nè più nè meno
all'altro: vivere, dor mire placidamente, e pºrò altro non è l' accusativo che
un verbale o simile spiegativo dell'a zione o qualità del soggetto, non già
vero accusativo od oggetto paziente. “ Dormito hai, bella donna, un breve
sonno., Petrarca.CESSARE – «...da troppo più erano in lorze, ma il Saverio ne
cessò ogni pericolo ». Bari.«...e cominciò a sperare - e nza sia per clie, ed
al quallo a cessare il desiderio (lell: l III olt. l 3o t.Così a dilnque, l la
sua pr inta e si riazzevol risposta, Chichibio cessò la mala ventura e la
il 1 ossi col sito -... ». Bove. E se pure i liti e li rig. Vi volesse soprarſi
lº cessatelo con pazienza e sopp rti / i 'le..... l'a ll dollini. Eglino
si l vera lo sotto i rii il l i s'1-s......it, livºr cessare la neve e la
notte e le sov l instil V a. l ore 11 i. Cristo pregò il lº; i dr. lle cessasse
il calice le! l -- i il di lui ». ( la Val. e l'el terna li slla voli e,
lil cessossi e la lº tissi da FI l elize ». V ll I.: s cessarsi di q. c. 1 -
lei tºls e, rilla nerselle. (:) | Astenersi lº l'a lt 1 l:ì i l. La terra fu
cessata dai livelli lº stilt la c. l. « l'el cessare i pesi d llllo si,
it: i cl l - e gli stessi, con la Illiato ». (es: ali. « Per cessare ogni
vista di tiri, la gran le zza s. Cesari. CONVENIRE. - indi convenuto, le ini, e
il dizi: io, che è participio non del neutro, ma del call sativo ccn
venire, e si n 1 l I a chi è fatto con venire o gli fu intimato di convenire«
Questa (l'anima, dinanzi da sè, il Clti i lu lu parte del mondo, può a
convenire chi le aggrada » (iitll.a Chi conviene altrui il giustizia di pi st
Ilnolli ». (iiulo. « I)ilmalizi a gillsto gill di 1, i: i - o sia le convenuto
». Bo c. cioè siate stato chi: Irlat, (1:111 o vi è lll' '.CIRESCERE - « Questo
luovo tono di vita, crebbe in lui lo studio della Virtuſ ». Cesari.E indi a
poche linee torna a in ora la stessa frase:. Questa piena de « di alzi alle
crebbe il lui lo stll dio della Virt il il segno... ». « E crebbono assai l: l
'ilt: i (li tºis: l... V Ill.E questo pellsiero la illlia Ino a va sì forte di
l io: che lì lì si potrebbe a dire, e ricrescevale l'odio di sè e della sulla
vita passata, che con grande empito si sarebbe morta s'ella avesse ci eduto che
piacesse più a I)io». Ca Valca. Il testo li rincrescevale, ma niuno degli
intelli gellti dubitò mai ch'egli sia altrº tale che ricrescevale, il quale sta
qui non in significato neutro, come nota qualche espositore, ma cau
sativo retto da pensiero, il quale non solo la innamorava ecc. ma adoperava ad
accrescere vie più l'odio di sè e c. Noterai qui anche l'altro causativo: si
sarebbe morta. E chi dubitarne se da quel che segue chiaro, a parisce che per
lei sola si rimase che d'odio non morì? DERIVARE. - «.... cºme il giardino con
fare il solco deriva l'acqua alle piante, così.... ». Segn.«....che può e deve
per sè, senza ch'io e litri in queste vane dispute, « derivare (il folgern dei
tedeschi) a tutti questi capi infiniti ed effica cissimi con forti ».
Caro.FALLIRE – « Ma il barbaro amore questa promessa falli ». Rart. « Guarda in
che li fidi ! Risposi: nel Signor che mai fallito Non ha « promessa a clli si
fida in llli ». IPetr.« Onori avevano grandissimi e sfolgorantissimi; come
altresì fallendo il loro voto, erano seppellite vive ». Cesari.Nola qui le
frasi: fallire il colpo, alli, e la ria. Fallire neutro, vale: li tallº all'e,
V Cnil lilello - le lire e - V el sagi li ''I raro, commellere fallo,
andare a vuolo - si leiler n: - la debolezza vostra per conto della « carlie è
maggiore che non crediale, ed a passi folli la lena vi fallirà o. Cesari. – «
Sentendosi il marchese agli sll'eli e pallendogli tutti i pal a lili da
scioglierne..... (es. \ i rolli: il falli la speranza ». I liv. Ml. (Conſ.
Dilello ecc. Pi ritira iFINIRE –– a Per cessare il pericolo o finir la vergogna
dell'essere sl Iriale sullla bºcca dei suoi 1 ratelli.... ». Bart. «
Chiedeva lo riposo per interce e di non morire in quelle fatiche, a Ina finire,
con il pi di viver, si duro soldo o l)av.« Finite i peccati.... Io vi prega v.
1 che finiste le oscenità dei teatri ». Ceskani.« III camera dell'ill fºr III
o, (Ill: Indo peggiori, gli albarelli e le alilpolle « Inoltiplicano e
l'apuzzano e lui aggravano e finiscono». l)av. – IPoni niente triplice rispe:to
o ti e differenti maniere del verbo finire: a) - a... di sollecitarlo non
finiva glanina i p. Bocc. – Finire di vivere O finire Selz'altro: a Mall vive
il do 11 ll IIi erit:i Ilo di bell finire ). Passa V. b) - « Un lavoro di
grande artista dagli altri si giudica terminato « quand'egli illon l'ha all ra
finito a suo inodo ». Grassi,c) - Finire la vergogna, finire le oscenità,
finire un infermo, come sopra. –- Nel primo modo è neutro, 11el secondo attivo
tra lisitivo, nel terzo attivo ('allSativo.FUGGIRE – (Conf. Fuggire - Parte
III. Chi avea cose rare o mercanzie « le fuggia in chiese e in luoghi religiosi
si ll ' ». Vill. MANCARE - « Questa asprezza delle grida era Imaggiore
che dell'arme « per attrarre l'aiuto a quella parte di quei dentro, e mancarlo
ov'era e l'agguato ». Vill.« Nè a lui basta l'avermi mancato la sua difensione
e l'osserni il v - a cato, ch'egli rsi ride della Inia rovina ». Fiorenz«
Mancare ad alcuno il proprio soccorso ». (iillb. A on f. ll - i vari di questo
verbo - Parte III. MONTAIRE a..... e così in poco d'ora si mutò la falla
co fortuna ai Fio. « rentini, che in prima con falso viso di felicità li avea
lusingati e « montati in tanta pompa e vittoria ». Vill.Anche i francosi dà mmo
nl loro il rallsitivo monter va l'il'e altresì i rall - sitivo. I tedeschi
mutano steigen in steigern, e gli inglesi to rise I'm to raise. MORIRE –
Nei preteriti) a Messere, fammi diritto di quegli che a torto « m'ha morto lo
figliuolo ». Bocc.« Tutti gli altri, coll'arme in mano, uccidendo, l'illmo
presso dell'altro a furono morti ». Bart.)lss 13 rullo plaliani e ite:
Velestlla? l?ispose Caliandrillº: oimè si! ella m'ha morto o lº i.
- - - - - e ln, il i gl I l va 1, l. (.li la lill Il lesti nostri Pontefici e
Sa cerlot, º hanno morto questo Gesù Nazzareno, per cui... » Cavalca., Vedi un
altrº º semplo dei Cava a s. ti o Crescere,. Mista l'o di illma: la pel
lidinº la super bla era il veleno che avea morto l'umana natura ». (es.Fu
incarcerato ed a ghiado di coltello, morto ». Dav. Avendovi morto la ſua
11 l o elito | I solle.... » l)a V. Fra l III olti isl lel verbi, morire le
ultra linelli e il toreno: e Morire di alcuno e lº i loro esser:le l'i: la
morato, morire v. gr. d, uno scoglio, di una spiaggia i fili: I l a tºrto e lº
iallo el'a lln sentiero s gli Imbo. (.li e in liesse il 1 l la n o della
lacca Là ove piu. he a mezzo muore il lembo ». l)ante.l'ASS ARI. Conf. Passare
- p.lli III. (i la Iri Irla i lioli fu qui ponte, Il 1. lo si lui e passo
slli li e spille Illit lillique... » e l'rego un ge:11: le li i portasse a a.ti
a riva di un fiume. Quegli,, per natural cort sia, o per che pur gi a lesse
dell'anima, volen e tieri il compla llli e passo llo ». Bart.I mi: rilla I e i
soldat,, lire il v vien le lunghe navigaziºni passa vano il tempo e la noia
giocando illrsieme alle carte ». Bart. - Passare il tempo, frase notissima e
volgare, non vale adunque, rigo rosamente parlando, trascorrerlo zubringen)
come comunemente si crede, Ina sì rimuoverlo, scacciarlo, farselo passare (sich
die Zeit Ver tre ben, cioe parsa lo in senso causativo. Se così non fosse come
il lig e vi: e la noia? I a noia non si trascorre, ma si rimuove di Zeit Ilind
di I.: ll e W. Il vertreiben, non zul rilmgeilm), MI: il l?o, le o, moli e
l'altri, con i fertili e la cla scudo al mio pensiero. ') po.. er detto che
alla donna conviene talvolta di Inorrarsi in ma 'I: onla e gravi i 1:1, se
questa la nuovi ragionamenti non è rimossa -:: - il l '::: il cli, degli
innamorati il lilini i lorº avviene. Essi, se:I l il 1: Irri li vezza il I l '
- I ', gli i filigge, lì:almn Ino di, di illl:: 1:1 re a da passare quelle ». l
'r erni..I )i, he lo n vedi che codesto passare e il rimuovere sopra
detto. I 'I l? I)I.I E Tinete eum qui potest animi: In et corpus perdere
in gehell ma li ig: tris, Vlath.: ' '|... Il cui numero la loi, scritto essendo
completo, ed egli tolse di I lil: do e lo ebbe perduto senza riparo »
Cesari, Perdidit I)eus II emoria III: Iddio ha perduta, cioè distrutta, la nº e
Ilioria dei sll per l'i ll Illini ». l'assia V. (!) È ben altra cosa il
dire perdere checchessia – cioè rimanerne privo – e dire: perdere uno, perderne
l'avere, la riputazione ecc. Quì perdere denota azione diretta di volontà
che fa che altri si perda, rovini; quando nel primo modo è cosa che,
indipendentemente dalla mente e volontà del soggetto, al soggetto co me clessia
avviene. A gli esperti del Breviario romano ricordo la bella discussione
di S. Agostino intorno al doppio senso dell'espressione: perdet eam del noto
eflato di G. C.: qui amat animam suam perdet eam, cioè o l'uno, o l'altro:
colui che ama veramente la sua anima, perchè sia beata l'IOVERE - NEVICARE -
TONARE – Sue beltà piovon fiammelle di e fuoco alimate d'uno spirito gentile ».
Dante (Convito).a.... e però dico che la belta di quella piove fiammelle di
fuoco ». Dante altrove Conv.)« Il Saturnino cielo, non che gli altri, pioveva
amore il giorno che a e ili nacquero ». Filocolo.Sospira e suda all'opra di
Vulca 'lo, IPer rinfrescar l'aspre saette il Giove, Il quale, tuona, rnevica,
or piove ». Petr.Questo e i precedenti esempi in strano chi la o non esser
certi verbi, che si chiami lo illip I somali, si rigi il sili, elle lilli che
non siano slali Ialora adoperati - e lo si può ſulla via anche a maniera di al
livi, sia retti solamente Vegge il la cagi li che il lato priore ». l)ante:
Innanzi che la ballaglia si comincli - si porre una piccola acqua ». Vill. Pio
rele, o Jian ne, e li o in lei il voraci le possessioni. Segn. Quando il
giali (ii ve lona Pell. e par el l e il libe che squarciata « lona, l anti, sia
reggeri li ricorsi il II Il caso. Nè pol rassi perciò mai lidariri i re di
errore il dire come elletri e le till illegali: le stelle pio rono in luenze: i
nu voli pio con sassi, e c. SOLAZZARE - Non avvali pe: ne, Irla di
pipistrello era lor inodo, e e quelle solazzava, - che ti venti si trovean da
ello ». Dante TIR.ASTI I,I. ARE e \l trastullare i fanciulli ill el le;l
p. 13ocr'. VENIRE - - - E l' ste detta fu quasi tutta se la raſsi e
venuta al niente senza colpa dei nermi. I n. Vill. nell'eternità,
darà opera che sia perduta, eloè resa inerme, la farà perdere nel tempo:
oppure: colui che ama la sua anima nel tempo la perderà nell'eterno.Quanto
all'uso di perdere a maniera assoluta ti è forse noto, ma non ti verrà discaro
un qualche esempio: «... Essere tutto della persona perduto e rattratto » Bocc.
«... e mise il mare in così sformata tempesta che quattro dì e qnattro notti
corsero per « duti a fortuna senz'altro inlglior governo che... » Bart.“ Guarda
come ciascun membro se le rassomiglia ch'egli non ne perde nulla, Fler. Nota
ancora gli usi: andar perduto di checchessia o dietro a chicchessia i perdersi
d'animo; amare perdutamente ecc. ecc.CAPITOLO III. Voci e rnaniere il
noleclinabili Non sarà certo alcuno, per ignaro e poco sperto in opera di
lingua - il quale leggendo e studiando nel clasisci non s'avvegga che anche nel
l'uso di certe voci o maniere indeclinabili - oltre a quelle che ad altro
oggetto l'agiolai ed illustra i più sopra - consiste talora il vago e l'effica
cia del discorso, e vi è molte volte diversità tra l'antico e il model'In..
Anche a queste forme vuolsi adunque por mente, e farne oggetto di | esame e di
studio. Le dispongo a ordine di classi o serie sol per divisarne comunque la
materia, non per logica ragione che me ne richiegga. Assapora, studia e sappi
quando e con le usarne, discretamente cioè e con lo senno, sì che alla frase
lorni garbo e naturalezza, non mai al fetta la e l'ill ('l'eso e vole
ricercatezza.Ti verranno anche qui, come al rove, scontrati esempi già addot.i.
Se il ripetere lalora annoia, in opera di forma al tutto didattica torna anzi -
utile e grato, e vale qui più che in altre discipline il noto proverbio: Re
petita iuvant. SERI E I. MIA NIERE A VVER BIALI o I o RM: IN C: EN
FIRA I, E Albo PERATE FREQUENTE M ENTE I) A I (I, A Ssl ('I A I) Fs l' RIM l.
1: E l I, GI: A l M (N ) (E SU'PERLATIVO 1) I QU' ALITA, AzioNE, o Cosv Ql A
LSI Asl. Le quali tornano solo sopra alle volgari: immensamente:
incompare: bilmente; inesprimibilmente, assoluta non le: onnina nºn lo nel modo
mi. glio e, possibile ecc. ecc. COMI E ME(il,I(); II, MIlGI.I () ('ll E.....;
CI IE NIENTE MEGLIO; CIll: NUl.l.A l'III'; ECC. ECC. - – - Spacciatamente
si levò e, come il meglio seppe, si a vestì al bllio ». 13, c.« Senza liti, la
cura e prestamente come si potè il meglio... » Boc. . - “..... riprese
animo, e cominciò come il meglio seppe..... » Bocc.. “...... a dorni il meglio
che sapevano m. Bart.“..... tutti pomposamente in armi dorate e in vestimenti i
più ricchi a e gai che per ciascun si possa ». Bart.AI, « Voi
l'avete colta che niente meglio». Cos. «.... con quella modestia che io potea
la maggiore ». Fierenz. Inv. costr. con quella maggior modestia ch'io potea.
) - - POSSIBILE; QUANTO PUO' ESSERE; AL TI "ITO; IN TUTTO;
ECC. «.... purissinra l'aria ed asciutta e secca al possibile ». Bocc.« Vi
terrò sermone di nel quale io sarò parco al possibile ». Cesari, º.....
pregandolo di porgere, quanto per lui si potesse, alcuni subitº, « ed efficace
l'ilno (lio ». Balt. e Luigi ne fu lieto quanto potea essere, ma..... » Ces. «
E però al tutto è da levarsi di qui ». Bocc. « () che il prete fosse al tutto
ignorante, che non si pesse discernere i peccati. o fare l'assoluzione..... »
Passav.a Fortezza al tutto illespugnabile ad ogni altra forza che d'assedio «
() (li fa II le o. B:ì rt.« Si pose in cuore e determinò al tutto di visitarlo
personalmente ». Fi, retti.a Malvagia femmina. io so ciò che tu gli dicesti, e
convien del tutto l'io sappia...... » Boce. “..... non ha bisogno delle
11 i lodi ſi è cll'io l'a lti le lodi slle e e però Inc le taccio in tutto ». i
l IIll). PIU' CHE ALTRA COSA; QUANTO NII N ALTIA(); ecc. « Assai più
che a altra femmina dolente, a casa se ne tornò ». I3o. e Lo scolare più
che altro uomo lieto, al tempo impostogli andò alla a casa della donna.... »
Boc ('. “..... il che voi, meglio che altro uomo ch'io vidi mai, sapete
fare con a Vostro sºllino e col V (Stre ll (Vello ». I30 ('.a Vergine madre,
figlia del tuo Figlio, l'Ilile ed alta più che crea a tura, Te: Irlino fisso
d'eterni i collisiglio.... » I)allte.«.... d'altezza d'allirno e di sottili
avvedimenti quanto niun'altra dalla « I):ltº Ira dotata ». Bocc.« Più tosto si
richiede onostà e modestia, la quale fu in lei quanto a in alcuna altra ».
IPandolf.a... la rendi (Malacca j, collo industrie della sua carita e coll la
virtù e dei miracoli, illustre quanto mi un'altra ». Bart. PER COS.A
I)EI, MONI)(); C()I, AI, MIA (i (i I()R... l)EI, MONI)(); II, ME GI,IO
IDEL MONDO: PUNTO DEL MONI)(); SENZA.... AI, MONI)(); ecc. – a.... e
quantulinque in contrario avesse della vita di lei udito, per a cosa del mondo
nol volea credere ». lºoc ('. --- (Simile la fraso del l'uso: per tutto l'oro
del mondo – nicht um die ganze Welt) « Alla maggior fatica del mondo rotta la
calca, là pervennero dove... » Bo(('.« Alla maggior fatica del mondo gliel
trassero di mano, così rabbuf a fat () o mal concio d'Olm l' orº ». Fior.a Io
gli ho ragionato di voi, e vuol vi il meglio del mondo ». Rocc.« Punto del
mondo iron potea posare ne di, nè notte ». Bocc. « Ne la Inella Vano senza una
fatica al mondo ». Fiel'enz. A CHIEI)ERIE \ I, IN(il \: \I. I)I SC) I PR
A: (() MIE I)I() VEI, I)ICA:....E' I N.A FAV ()I..A \ I)IIXE; Sl: NZ A
VIISI IN A: ec....... ed a chiedere « a lingua sapeva onorare cui nell'alimo
gli capeva che il valesse ». l30 cc. « Il popolazzi,.. asso, st L. e ti
emend al di sopra, ridicolo, impau e rito ». I ): v.... un catarro che li
accolla io questi gi il 'ni come Dio vel dica». Caro. «.... colle l'a II lilli,
fierall 'i! te è una favola a dire. Flereinz. « La giovane, la quale senza
misura della partita di Martuccio era stata dolente, ti derido illi e il li:iltri.
sser. In rto, lungamente pialise ». Doce. AVVERBI I) I TEMl PO Ass
v I I REQUEN I I VI po I (I. AssicI E D AI MoloERNI RARE VOI,TE EI) AN('l I E S
(' ) N V ENI ENTF VI l.N l'F, A l)() l'ERATI. Solº, e ben si vel. io il
amezzi e talora anche vºi per sè insignIl lill. I l l sentire e del pensare
rivelano assa i volle, chi li Is I l s, che di gentil e di fino. Ad intendere a
che li gli oli | lesl Iraniere avverbiali siano cosa da non dove si l rais li
tre pas e il por nelle alla sconve nienza di allre voci che venissero sul gale,
per quanto equivalenti c (lell'lls. I, A I PI? I VI \ (.()S \ \loid
'il: 1 o, e st. In tla prima cosa che faceva, clle dI va, che li l' I, le ill e
I e I blie i. (olf. Al llla si Sel ie. I - il I l I so: volte, i vi si va via,
la prima cosa a visit to il corpo di l l lo so S. Z:lolo º lº i:li. (n'egli
era a levati, la prima cosa spendº via il rile, i ora zione mentale. »
l3: l 't. (o s.VI.I. \ l'IRI MI V di primo in alto il prima giunti (.lle lisogli
a sciolla Il 1 Se la l - i lrn 1. ll il I alla prima acconsentono º, l):n V (in
tilt to li alla prima ti sti lou, i l:t lizione... o V ill I ) \ Iº lº I M.A...
Illando l'alto livlio Vl sse da prima quelle cose a bello. » I ): l.llto.«
Lasso che male accorto lui da prima ! » l'elr. Parla dei primi istanti
dell'amor sul.)IN PRIMA – « In prima si commette in occulto, poi l'uomo accieca
in « tanto che pecca manifestamente ». Caval. « Io voglio in prima andare a
Roma ». Bocc. DI PRESENTE subitamente incontamente). Matteo Villani
elle questa forma di di e continuo alla penna, e per quanto a me ne paia, non
mai usata a significare il ro che su bila mente: nel qual senso la rove ete nel
primo libro della sua Cronica delle vol, allilelio cinquanta. I3artoli. Ma non
inferire la ciò che sia inal Isa! anche il senso di: al presente. L'ha il Caro,
il Lasca, il Segneri e noi, altri: « Ma forse che di presente non v'è
l'Ics Iso? Segn di presente e gli cadde li Iurore ». I3ore. a... tutte le
Imadri che avessero fºr ll illlli ferirli gli o tav: l'1, l. detto monastero e
la badessa li piglia va e pi Vagli llel mezzo del a chiesa...., e di presente
erano saniati d'ogni info, Irlita., Cav.... e poi le fece il segno della Santa
Croce nella sua fronte. All ra « il demonio incominciò di presente a gridare
e... » (a V.Se l'andò di presente alla madre e contolle tutta l'ambasciatº. »
Nov. Ant. Le illimicizie. In riali trascono di presente. » (ia la teo. a \ppena
avvisato da lui questo peso l'intrepidimento, di presente º so ne riscosso ».
CesI)I TIRATTO – a...il domandò se..., ed egli di tratto rispo- di si. (-. I) \
INI)I INNANZI – « E da indi innanzi si guardò di Inai piti.. » I3o:. a
Chianrossi da indi innanzi non più... Ila.... » (iia lill).l'EIR INNANZI – «....o
tennero per innanzi Messer Betto sottile ed iniel: a dellte cavaliere. » Boicº
a...o fatene per innanzi vºstro piacere. » Rocc. I).A ORA INNANZI - «...da ora
innanzi spenderemo la nostra diligenza « in cose... » Bart. « In fede
buona, discio, io voglio da ora innanzi credere come il re, e cioè in nulla ».
Da V.– Così dicessi: da oggi a 20, 30....dì: Mi seguiterai da oggi a venti di
º. Vit. S. Girol.DA QUELL'ORA INNANZI –. E da quell'ora innanzi gli pºrtò
sempre « onore e river olza. » Fioret. I) I MOLTI MESI INNANZI....... con
le collli cl) o l or Ill ort, l':n ve: i rii a molti mesi inmanzi. » Rocc.DA
QUINDI ADDIETRO. A te, corpo mio, sia pena e vergog vi e « confusione la
tua mala vita che ti hai fatta da quindi addietro, se a tu ci vivessi conto
migliaia d'anni. » Cav. DI POCO Inolfo) TEMPO VV VNTI... Di poco tempo
avanti a marito a vomiltºn lº..... » IBoc ('. DA POI IN QI A CIIE.... - -
« Da poi in qua ch'io servo a stia Vltezza a non ebbi mai motivo di querelarmi.
» POI AD UN GRAN TEMPO per buona pozza di poi -, senza che a poi ad
un gran tempo non poteva mai andare per via che... » Fioret.- IPOS(.I.A A NON
MIOLTO): IP()SCIA \ I) l E, TRE... ANNI. –....benchè il « perfido, che
convertito non dalla verita, lira dall'interesse, si era illdotto non ti d essere,
lila a filigersi cristiano, poscia a non molto apostasse. » I3 irt.A lui al che
si deve la conversione cleposcia a due anni si ſè di... e d'InCli: sllo forlin.
o I 3: i rt.l'OI. – v. Poi in significato di poichè, congiunzione, Serio 5.) «
tue giorni poi lo i lidir no rel: ma la detti (iialma. » I)a V.a Le mie
scritture e dei miei passati allora e poi le tenni occulte, e e
l'inchillse, le quali non chi e la potesse leggere, nè anche vedere ».
IPalld()|f.DI POI, I).AIPPOI postea, la liber. dal au I e - Il giorno di
poi a che Curiazio Materno lo sse il suo Cat ne... » I)av. Fecesi questo
primo ufficio a mano e di poi se ne fù borsa. » Cron. M () l'(ºll.
- S'arrende Cappiali, si lv ro a dappoi la rocca, -aivo - a l'avel e o V
Ill. l) A IPOI CI IE...: POI CIIE.. posi ea quan Ne furono assai allegri,
« da poi che l'ebbe il signor Tav rit. a E molti enºni, quasi me
razionali, poi che pasciuti erano be; le e il giorno, la molte alle lor, a se,
senza al il correggimento di pa store, si tornav: lo satolli. I3 ). r. «
Quale i fioretti dal lot il no gelo, li lati e chiusi, poi che il sol r e
l'imbianca si drizzi in tu! ti: pe: ti il loro stel.. » l)a nte. - Poi
che innalzai un co pit 'e riglia vidi il maestro di color che saillmo se dor
tra la fil sofi a larniglia o l)ante. IN QUEI, TANTO in quel frattempo i
17 w is henº « Quando -: ti o a un colore e quando sotto un'altrº
allungava sempre la cosa, e secre e tamente in quel tanto attendeva a In
tte, si in I tinto., (iiaml). I F. I I I V () I TIC: \SS \ I I) ELI E V () I
'TE. Non a quella chiesa che.... a ma alla più vi in: le più volte il
portavano. Doce..... ed a Luigi non ebbe assai delle volte questo riguardo ».
Cos. I N MIFIDESIMO. - Gelò in un medesimo per timore e avampò per a rabbia ».
I3art. IN (*) Nota uso altro del comune d'oggidi. « Da poi o di
poi, scrive il Bartoli, sono avverbi | - « di tempo come il poste a dei
lattni: non così dopo, che è preposizione e vale post, nè riceve « dopo sè la
particella che, come i due primi. Perciò i professori di questa lingua
condannano « chi stravolta e confonde l'uso di queste voci facendo valere
l'avverbio per preposizione, e « questa per quello che è quando si dice: da poi
desinare, o dopo che avrò destinato; da poi « la colonna, da poi mille
anni, dovendosi dire dopo desinare, da poi che avrò desinato, - « dopo la
colonna, dopo mille anni..... Due testi son prodotti da un osservatore in prova
di « quello ch'egli credette che in essi la particella dopo abbia forza
d'avverbio di tempo: ma, « o 1o mal veggio, o egli in ciò non vide bene, però
che poco dopo e picciolo spazio dopo, « che leggiam nel Filocolo (e ve ne ha
d'altre opere esempi in moltitudine) sono altrettanto che « dire dopo poco e
dopo picciolo spazio: nè perciò che dopo si posponga per leggiadria « perde il
proprio suo essere di preposizione, cambiando natura solo perciò che muta
luogo. » (Torto e diritto),TUTTO A UN TEMPO. –- Si vide egli una volta venire
innanzi quel « figliuolo scialaquatore che tutto a un tempo illil izzito
di freddo e e smunto di farne, a gr. ll fatica poi i più reggere lo spirito lli
sulle a labbra ». Segn.AI) I NA; AI) (N () R V. - I. - lio, e il riº lite illl
collo ad una le l gi che e l'azioliali. (iiillo.E fatto questo al padre - i ti
e, con i ti o dino li avere ad un'ora a cio che in sei mesi gi loves - e dal re
». I3 cc.a Tu puoi quali lo ti vogli ad un'ora piacere a Dio ed al tuo signore
». l3a) (.FII ad un'ora l: ti inta II: i r; V Igli, e il ti: i ta a rieg l'ezza
solº l'appli -, ch, a pena sapeva che ſi rs dovesse Bar!.a S'io avessi mille
cuori in corpo, credo, tutti scoppierebbero a e un'ora ». (a vill.....e lo slle
- rel. l: elie l l' il, clli ' lei i 'o che ella fosse spira 1:1, a un'ora
piangevano i figlill lo e la IIIa - dl e o. (..i Val.AI) () IR.A: A TEVI IP()
ZIl re e lit, Zeit, frilli - e il '..... il III la ll (lſ) ll ll (le' suoi
quanto al ra i vos- li Illi.: I 'a via e se ad ora giunger e potesse d'elitro
rvi. l?oce.Io so grado alla ſor. I: I: pi oi, la III: ll ad ora vi colse In a
cammino che bis 2: o vi Ill di ve la mia piccola ci sa. Bocc.. – Quell'ad ora,
se il il ring oliato al (.: p. Locuzioni e lillich e, pilò al 11 le
sigllifici:'e': in u il trio mi cºn lo ſtile - e i l Zeit Ve! llia! 1
llissell.ALI,()R \, CI IE.... - MIo -s. (r, l il all ora che - guardali do voi
egli crederebbe º li voi sapete l'in - ll - ci, Bocc. - - Allora che e il coin:
sto li ai l'ora che, cioe a quell'olti nella quale. Vu, i vederlo? «....
cominciò a rilere e disse: (iiot ſo a che ora, verº e il di qua allo 'n oltr i
di noi in fo: - ti re, che mai voluto moll t'avesse, credi ti cºllo e gli ori
(le -se che tu fo: - i il ln igli r di « pi:itore del miº endo, con le ti - \
clii (iioti o prestamen! e rispose: a Messore, e ved, i cllo e: i il ''t l
'oblio allora che......., col Ile sopri). AI.I,()R \ \ I, I.() R.... E allora
allora ve: i cori in 1 il to a venire ill a torno alle gote il poco di
lanuggine ». Fierenz. « Se la Irla il giò allora allora in sl1: pro - ilza ».
Fiºr liz. «.... fil percosso da un accidente di filºiosissima gocciola, la
quale allora allora i 'a in atto di sopraffarlo e co- Il lorº ndosi... ». Segn.
CIII E' CHIE E'. a... fatti ch'è ch'è solº l'1 t.. ri o. I ):) v.
CIIE..., CIIE parte.... parte () e - o re: ni) che re dei rom inni e che a
imperatore ». Dav.QI ANDO..., QI VNI)(). Quando sotto lº col re prº testo e
quando a sotto il li filtro.... ». I3: i rt « Quando a piè, quando a
cavallo, º eco il che il destrº gli vi lliva ». T30C ('.l'N POCO.... I N
AI.TIRO (un po o orn, il poco di noi - Intanto ecco a (Illi, cianº i l un poco
e ci:n nci i un altro..... noi siamo a.. ». Cos. I)I CORTO, DI POCO. I)I FIRESC()
(id), l di corto si attºri il tv l e a quindi a mezzo anno seguì. I3art.« I più
furono dei grandi, che di nuovo eran stati rubelli, rimessi in a Firenze di
poco ». Vill.a....mercecchè questo era timore di uno che aveva di poco
cominciato « a peccare ». Segn.a... forma generica di teli fare che sul l usa
l'e il demonio a riguada a gnarsi quei che l'ha di fresco lasciato per darsi a
1)io ». Segn. A (i IRANI)E ()IR.A. -. Va, figli la mira, e clla Ina queste mie
suore, che a ti aiutillo, e fatelo buono assai l'unguento e domattina il lande
ete a a grande ora, si colme tll la i detl () ». (a V.Si parla dell'unguento
col quale la Maddalena di ve:a ungere il corpo del Maestro suo nel. ionumento.
E adunque fuori di dubbio (le la frase a grande ora è altretta le cli a
buon'ora. Ma il valoroso Cesari nota questo modo nei dia gli di S. (i regol io,
e gli pare clie signi! Ichi anzi l'opposto, cioe' tardi, ad ora avanzata.I
PRIMI A (III: A (i I? AN VI \ I I IN() -... ll e il colpagno prima che a a gran
mattino, chiamandolo e scotendo o per farlo lisen Ire del sonno, se º le
avviole». I 3:art.A I, I NOi (), V IP () (.() A NI) \ I I: I ) () l ' () I, I N
(, () V Nl) \ IRI.. A V Vlsa: l.losi o cle a lungo andare o per lorº o per il
litore le converrebbe venire a dovere i piaceri di Pericoli fare, con altezza
d'animo seco pro pose.... ». I3 cc. e.... (ºd In questo con 1 il tar lì,
ll la lollo la pezza a vanti e le perso la se ne avvedesse l'ul e a lungo
andare, essendo un giorno il Zeppa il casa, Spinelloccio venne a chiamarlo ».
Borc. Così si dilra fatica a difenderlo, ma spero che a lungo andare la
verità verra pur sopra. Caro.« Chi si vergogna di apparire malvagio è facile a
lungo andare che all ora si vergoglli di essere tale o. Segl). I)ev'egli
telider sull'uditorio le masse deila divina parola, senza restarsi per
stanchezza di lati, che a lungo andare gli succeda, o sºlldol' di fronte.... ».
Segn.e Dopo lungo andare, vincendo le naturali opportunità il mio piacere,
soavemente m'a (ld l'Inel tai o, Borº. Si dostò il silo mal illnore, e
che a poco andare livelltò l'ov (ºllo, fl'e lesia, rabbia ».
Giuberti. Non so però di millm altro scrittore e li ll sasse mai il modo
a poco andare il luogo dell'altrº, a non lungo andare. V me pare di sentire
nell'a lungo andare dei citati esempi non tanto il significato di dopo lungo
tempo, quanto quello di continuando su quel tenore, andando avanti cosi, il
quale significato mal si cercherebbe nel modo: a poco andare.IPrima di passare
ad altro ti piaccia, o luon lettore, notare di questo andare un altro uso
avverbiale bollissimo ad andare d'alcuno, e si gnifica: conforme alla durata
del tempo che impiega quel tale a fare un determinato cammino a l)icosi che, ad
andare di corrieri, sono sel e ovvero otto giornate; ma elli vi peliaro
ad andare più di due mesi ». Mold. Vit G. C. NON MOLTO STANTE; POCO
STANTE. perchè..... non molto stante partorì un bel figliuolo maschio ». Bocc.“
E il buon pastore vegliava sopra le pecore sue; e io nni stava allora “ presso
a lui e piangeva di cuore, imperocchè io vedeva bene a che partito e ci
conveniva venire. E poco stante e disse... ». Cav. “... dissº; e poco stante -
e ne vide il buon esito ». Bart.IN POCO ID OR A -- E cosi in poco d'ora si mutò
la fallace fortuna ». Vill..... quandº le si coinil: i) a cambiare il sereno in
torbido e 'l vento I'l'ospel'evole in coli'; il rio e si font, che in poco
d'ora ruppe un'or ribile tempesta. Barte così i lorendosi in poco d'ora,
irrostrò quanto ciascun uo, lo sia sempre Inal in Ioriato, di ciò che passi
nell'intimo di se stesso ». Segn. SEMPRE (il E., 2 ni, olta ch....: per
tutto il tempo che...; - so. It als...: so l' Ilge:ils.. sempre che p -so
gli veniva, quanto poteri “ll In: i fo: zii li i vesse, la lont: in: va ». I
30 ....ti fa l'ſ, con il iº lira? I ra che tu io da uno li ricorderai.
Sempre che l Il 'I viverili. (I e Il III lili,, lº e - Add II e le forme
avverbiali, bisognerebbe compi l'opera e porre Iri al mi allri modi di In li e
costruire il to italiano, dai quali ap prendere le lo Izi li varie ri la
livinnelli e il tempi, e corre cioè accell li: l' e il I e II limiti e il
quando di un fallo, e con le esprimere la durata di checchessia. I cori e lo
spazio di lempo decorso. o la decorrere da un prelisso le minº, e come gli
aggiunti, le circostanze per rispello al pre semle, al passato e al ſul tiro,
ecc. e c. Ma questo lo vedrai nel Prontuario s: II, la parola Tempo.
AVVERBI I I Morbo A: UII A Ioi A, oi: v. SEMPLICE E e RA AR ricolATA (*)
A I3U ()N.A FEI)E (red 1. ll Il lllll III a buona fede llo la Cagioli della a
ai 1 l' - Il I la lorº ita. ll I)1, ». (.a V. Di buona fede, con bucna
fede in buona fede solo i nodi, loli si lo dl f. ſei eliti dall' Ilegato,
ma anche diversi fra di loro: Semplice uomo e di buona fede o V ill. Il pr,
ritente ritrovisi in buona fede » a 'I'utti gli il milli del boilo enti
lorº porta i con buona fede ci è con le alta o. 'I Irl. A ſ;I ()NA EQI
ITA' -. il suº - gliore si ptio a buona equità lo le: (o ri lilllari cari l ' s
ll lo » lºt),Sill','': a buon diritto li lil I l di ragione; a Sotto nome
di Ghibellino occupa questo patrimonio, che di ragione s'a spetta il Guelfo ».
Salv. (*) Conf. Particella A, Cep. I v.A ROTTA –... In zzando in un
tratto il bel discorso di suo fratello, e si parti a rotta ». Fier. cioe pieno
di mal talento, stizzito,tutto veleno ecc).In tal guisa scrivendo a rotta se ne
compilerebbero i grossi volumi. (es. Simili le frasi scrivere in borra,
borrevolmente --- abboracciare un libro. I)av - Caro - Gillb. A I) ()V EIRE - (osa
fatta a dovere overnarsi a dovere » A FII) \NZA - Non ti maraviglia e se lo te
dimesticamente ed a fidanza a rielli e del do o. IBoc.A FI RORE: A FURIA -
Quando il rumore contro il re si levò nella terra, il popolo a furore
corse alla prigione a Bari. e Temevano gli uomni li lt il:giurio ed esso (i ('.
lº sostoli ho gran dissime essendo dannato così ingiustamente (a furore di
popolo ». Cav. ci è abband intito, dato in preda... ) a Carlo v'andò
coll'esſere to, a furia ». l, l'll i. A SI º V VIENI ()... prende questo servo
e quello per lo braccio: Te, ficcal qui. Fuggono a spavento, di lino nel luine:
rimas() al blli ggiIrlai della morte, con due colpi si sventra ». Da V.A (.() I
'SO I. \ NCI VI'().... volmita le sue bestemmie in una foga di ben nove versi a
corso lanciato, senza il fiatar di mezzo ». Ces. \ SI, A SCI (): \ I 'I V ((A (()
I.I,() Cori ele, precipitarsi a slascio, a fiacca collo v. Correre, IProntuario).e
due schiere di lenici a fiaccacollo, della selva nel piano e del a piano nella
selva si fuggirono in intro a Dav.E gia so: i gialliti dove il fossi on firma
l'resso alla terra, e la fin tanto forte. Ognilli a fiaccacollo VI ruina: Chè
'l ponte è alzato e si in chiuse le porte ». Bern.A SGORGO; A RIBOCCO....
fonti... le quali doccia no a sgorgo per dar a bere e saziare a ribocco i slloi
V ml: nfi di Villo dolce ». Medit. del | Vlb. (lollº (l' ) ((º A (IR AN I
'IN A a.... ll'el a tanta la grande gol to che vi veniva, che a a gran pena vi
capeva » Cav.A ((i RAN) E ATIC V.... (con le luci tanto confitte dentro di
quelli e occhi) che a fatica vi si vedevano ». (iiamb. a I)i cento mila,
a gran fatica un solo ». Segn. Traduce il noto effato di S. (ii l'olio in co:
Vix (lo con tull) l Il till I lolls lllllls ». )a Quel figliuolo scialacquatore
che tutto a un tempo intirizzito di freddo e smunto di fame a gran fatica potea
più reggere lo spirito in e sulle labbra ». Segn.a Quella povera vedova, la
quale vi avea a gran fatica riposti due soli piccoli... » Segm. duo
minuta). ... a fatica poterono le insegne campare dalle folate del vento
». Dav. ()ttone, contro alla dignità dello imperio, si rizzò in sul letto e con
e preghi e lagrime gli raffronò a fatica ». Dav.« A fatica, risposi io, gli ha
potuti per un grosso nuovo cacciar di a mail a un pescatore ». Fir. As. \
MAI O STENTO a mala pena) -.... e a malo stento si tonno ch'ella nol a fe (o o.
Iº nt ('.A GRANDE AGIO -- a... tanto che a grande agio vi potea metter la
mano « e il braccio ». Bocc. A TORTO – « Messer, fa IIIIII diritto,
di quegli che a torto In'ha morto a lo figliuolo ». I30cc. .A NI IN
PARTITO; A NI UN IP. \ I Tt ) egli a niun partito s'indl Isse a coin a
piacermelo ». Dart. (Conf. Partito, parte III. « E certaIllelìte se ciò non
fosse, il clitori, li li credo i già che Irli sarei « contentato a patto veruno
(li comparire stamane su questo pulpito ». Segn.– Keilles Wegs, un keine il
Preis. - Simile l'altro avverbio dell'uso e classico: per niun verso, per
niente, v. Serie seguente). A CREDENZA (senza proposito, non serialmente
e daddovero) –. E' a debbono essere da sei o sette anni che un brigante
di quei lilli ha a tolto a litigar III eco a credienza e Vieille alla volta
lnia ard Itamente ». Car().« Sicchè lion (1 edo far I)io bravate a credenza
quandº i lºg 'i a fferma a che repentina succedera la morte ai mormoratori ».
Segn. A BALl).ANZA -- a...e questi a baldanza del Signore si il batteo
villana III e ille.... » Bo(:('. – « Che a dirlo latilio, soggiunge il
Cesari, non si direbbe più breve di a questo: I) Inini patrocini fretllesi.
A MAN SALVA senza tiri re di punizione o vendetta ecc.; impunemente) a....e
quello con tutta la ciurma ebbero a man salva ). I3oce « Senza che al ll no, o
marinaio o altri se l'acci orgesse, una galea di corsari sopra venne, la quale
tutti a man salva gli prese ed andò a Via ». RO(('.« E perchè tante diligenze?
non potea egli averlo a man salva ovun a que volesse? » Segn. (parla del
fratricidio di Caino). A MIA POSTA; A TI"A, A SI' A POSTA; ecc. –
Somiglia all'altro mento vato sotto A, Cap. IV: a suo senno; e significa
gosì in disgrosso: con for Ine all'ordino posto, secºndo aggrada ecc.« Io non
posso far caldo e freddo a mia posta, come tu forse vorresti». BOCC.«.... mi
disse che tu avevi (Illinci una vignetta che tu tenevi a tua posta ).a... Ma
quell'altro magnanimo, a cui posta Restato In'era, non mutò aspetto ». Dante al
cui ordine). Lascia pur dire il mondo a sua posta » Caro. aspettava solza
mandarsi a lui dinunziando od entrare a sua posta, come avrebbe potuto ».
Ces.... del resto se volesse andarsene, facesse pure a sua posta ». Ces. Il
tempo è cosa nostra..., e a nostra posta sarà d'altrui, e quando Vorremo
ritornerà nostra ». IPandolf. Farassi, disse Malerno, altra volta a tua posta
». Dav. Non si doe a posta d'alcuni milensi levare a mariti le loro consorti de
beni e del mali, e lasciare questo fra le sesso scompagnato in preda alle
vanità sue e alle voglie aliene ». Dav.«... ma lascia dire e tien gli orecchi
chiusi, Non ti piccar di ciò, sta pure al quia; Gracchi a sua posta, tu non le
dar bere ». Malm. (r (l\ A \ \ A .A
V - Oltre agli altri significati della V o posta, olre i son noti o del
l'uso, nota anche quello di agguato, e però la frase: stare in posta. – Si
pºsero il cuore di trovare quest'agnolo e di sapere se egli sa pesse Volare: e
piu notti stettero in posta ». Doce. MIIC), A SI () AVVISO zza e
chiarita, che a suo º avviso a Vanzi va per sette a rili la bellezza del sole
». Cav. (il II).A – Vennono i Magi a guida della stella, V it. SS. PP.
"... (Illi, l'alt alllll III e lo gliti li l'Israel a guida della colonna
». Vit. SS IPI. SECOND A - Venendº giù a seconda di l iilline eri in un
grosso al e bero attraversato il l leti o le! ! util, a (-1)ITO: A MISNAI) ITO
per i pp, li o Illiile ()Inbre Ilio e St l'OI Il Ill I e il Il l a dito... I l
liteINDOTTA - Scrive e in a indotta di un qualche amico ». Giub. TENI () NE; A
RILEN l'() co. l l:: Fal e clle clessi:i, opei a re, lavorare a tentone;
il nºda, procedere a rilento. SI PI? () lº() SI 'I'() - Fra - della era te a
sproposito, gramma t (a 1 rbitraria..., Mla lizl3 Al RI)()SS(): \ BISI) ()SS()
I.el l. Ville a cavallo senza sella e guarni Il lent: fig. alla peggio, alla
buona, alla carlona.“... titlito è Irleglio, il dicit re lº tºga rozza e a
bardosso che in cotta las Iva da Irie reti I ce.. l): V...... tilt.
I3rotier.... E ogni liofil Ill se le scolla, Veggendogli una cupola a bisdos «
So )). Bll roll.I II)()SS() Non un sol l'eroerin º ome in l'annonia, nè soldati
veg º gentisi pit | rti seri ti a ridosso, ma molti a viso aperto alzavan « le
Voci ». l)a V.Ridosso, sost. vale: renaio lasciato il secco dalle acque. –-
Cavalcare a ridosso è lo stesso che cavalcare a bisdosso.RANI) A \ RANDA
(appresso, rasente, ed anche a mala pena, per l'ap punto). Dal tedesco Rand
margine, orlo, estremità....«... A randa a randa, cioè risente rasente la rena,
coiè tanto at costo a e tanto rasente che non si poteva andar più là un minino
che, a IBl1t. « Quivi fermammo i piedi a randa a randa ». l)ante. «...era
apparita l'alba a randa a randa ». Morg. «...e poi gli mise in bocca l'na
gocciola d'acqua a randa a randa » Segr. Fior. IBACIO (al rozzo, all'uggia º
contrario di: a solatio. « I susini simiani nelle orti, lungo i muri, a bacio
fanno bene. Dav. (.()NTR VILI,l ME (che ll ) m l'i(ove il llllll (º il dirittll
l':ì \ Qlla dro a con trallume – faro che li ossi:ì a contrallume.
SPRAZZO (sparso di mil utissime macchie l'anºni a sprazzo, lavorati a
sprazzo.SEST'A misuratamente, precisamente, per l'appunto) -- I)a sesta,
com passo. Nota il modo: colle seste. Parlare celle seste, cioè parlare
cal colato, misurato, compassato. «...e menandogli un gran colpo che
passò a sesta per la commettitura « dell'osso, gli spiccammo il braccio »
Bocc.A SCHIANCIO – Da schiancire – schrag treffen, schief Schlagen. «
Tagliandolo a schiancio in giu dall'urna parte, salvo il Imidollo... » Pallad.
Fobbr.« Le sue pertiche del salcio, si ricidano rotondamente, o almeno li n «
molto a schiancio ». Cl.A SGHEMBO: A SGIIIMBESCI() / di traverso, obliquamente,
– «Sull'elirio a sgembo giunse il colpo crudo. Bern. Orl. «...campi divisati
Per piano, a pl Imbo, a sghembo ». Bllº lì. Fier. « Capito al pizzicagnol,
chieggo un pezzo di salsiciotto, ed ei Inel ta grlia a sghembo ». Buon. Fiei'.
«... Se non che a sghembo la lancia lo prese ». Morg. « Pare ogni palco appunto
un cataletti IRestato, come dire, in Iºlel a Galestro. Che la natura fece per
l'Ispetto, Ed ogni tetto a sghimbescio « Il Il canestro... » Alleg. – Tagliare,
lavorare, operare, camminare a sghimbescio. A MICCINO a poco a poco, a poco per
volta) – Fare a miccino, collº all Imare con gran risparmio; dare a miccino;
parlare a miccino.«... E' un dare a miccin la ciccia a putt I, Vccio ch'ella
moli fila cia poi « lor male ». Fil', rim.«... Senza chè qui fra noi I)el buon
si debbe far sempre a miccino ». Alleg.« Favellare a spizzico, a spilluzzico, a
spicchio e a miccino a è dir poco e adagio per n In dir poco e male ». Varch.A
GHIAIDO – « Fu incarcerato ed a ghiado morto » (cioè di coltello). l)a V. A M
AI, OCCHIO – « Antonio, mirando quel dischetto a mal occhio, dice « va e pensa
Va infrì sè stesso: ond'è... » Cº V. A SOLO A SOLO; A TU PER TU a quattrocchi,
da solo a solo). « I)esidero di fa Vollare a solo a solo )). V. S. (i. l3. «...mangiare
un poco con lui a solo a solo ». Rini. Ant. « E' mio marito, e non è
ragionevole ch'io Ini p inga a colitenderla a seco a tu per tu v. Varch.« A tu
per tu d'ordinario indica, se non contesa, almeno un non s. che di lì (r))
amichevole o di riottoso ». Tomln).A IOSA – a Idiotismi lombardi a iosa, frasi
adoperate a sproposito, « periodi sgangherati.... » Mlalz.– Simili: a ufo, a
macco, a diluvio, a masse, a larga mano, ad usura, a oltranza, a gola, a buona
misura ecc. e Iddio renderà al bonda lito a mente, a buona misura, tormento e
pena a coloro che fanno la su « perbia». Passav. – Retribuet abundanter
facientibus superbiam. Sai:Il A GUISA CIIE...: A MODO CIIE..., DI... – « A
guisa che far veggiamo a h a questi palloni francesi.... ». Rocc. i a...
schiccherare a guisa che fa la lumaca ». Bocc. ti « Fare a modo che la madre al
fanciullo quando lo fa bramaro la « poppa ». Fioretti. « F: l'(a
modo che alla Maddalol)a.... » Fioretti. entrò in una siepe molto folta,
la quale molti pruni e arboscel « li avevano acconcio a modo d'un covacciolo o
d'una capannetta ». Fior.A PEZZA: A GRAN PEZZA di gran lunga, di lunga mano, a
dilungo )« Iddio la IIIa lì dato 1 elill, a lille desll'i: - i lol prendo, per
avvell « tura S III lile a pezza li rl III i ti l'lleri ». lSucc. « Tu non la
pareggi a gran pezza ». l 3 a... che Villce a pezza le forze il ii il II alla
natura ». Ces. «... che a pezza li in poterono i no, l'1:li a liostrº ». Giuli....al
qual peso pollai e gli a gran pezza lo! I SI se lliva sufficien a te n. Ces. ET
- A buona pezza, a pezza sia al 1 ora per: da un pezzo. Il Corticelli lo fa
altresì avverbio di tempo a vu i tre, º io e a dire col significato di: a lungo
andare, indi a gran tempo e.:: il l: l V a Illel lil - go della Nov..º in cui
il 13o a clo, il ricolllla lir di Tebaldo, l'e putato uccisº dal 1. l re:
ti sºlo i clie: l i vº: lo ſtesso, dice: l' 1. l e I edeva no all or I e II la
lr e 11, se i vi ebber iatto a pezza i in li e a lilolto l'Irl | o s, il 1 o l
-se che lor e lì i rio « chi fosse stato l'll (iso.Pezza per tratto di teli e
ti In e te l: il sito dai classici:...a e le quali, quando a lei i i nip.. -
rido e la buona pezza di mot a te...., l 3,. \ V, l: do ss 1 di buona
pezza di notte e il ogpl I lioli o il l ' Illi: e... l.... ed i: questo con I
lilla rotto una buona pezza iva il l i soli: si ll il V.. desse º lº). Erano a
buona pezza pia. Il l... » lº. A I) II, l'NG ()...lila po. I sa – 1, piti il V
".go, a dilungo le pi Vinci e ill « gannò ». l)a V.A (..ATA FASCI () Fa
cela di voi gli l a catafascio ». l 'a taff. Io non fu mai. lle solo di
gloria Vago, lº vivi, a raso e scrivo a Ca « tafascio ». Vlatt. Fraliz. l.ibli (i
rte a catafascio. \ I,I, I S.ANZA ()ltre i cliest.: se si lal::lo ba
nelletti regali... ll !) e inoln Ine: l'e, all'usanza (li (1:la, di co- e
dl gla il valore, ll lì.... ». Calo. «.... se la faceva la maggi. parte le 'a
nero, all'usanza dell'Indie, e con l'iso, e quando pit sontuosa ine:lie oil...
» Bart. ALI, I SAT(); AI, SOI, IT().... lle resta V a dl di rilli
all'usato di strane « tentel)llate ». Fiel'.«... e ne rinfocola V a l'iberio,
per ll è al solito lllllga lllente in lui a V a vampati, ne uscisse o saette il
rov in se. l)av.“..... non ga e al solito, Irla cori tlc it to... e co; i visi,
benchè a ce on e ci ai ln (stizia, pil V (ralli elite cagles lli.... l):ì
V. AI, CONTINU () Sonando al continuo, per la città tutte le campane... »
V ill. AI, TUTTO - Conf. Tutto, Cap. III e l'elisorili che Marta
s'inginoc a chiò a piedi di lei e disse: Madre dolcissima, al tutto sono appa a
recchiata d'ubbidire, chi io sento n. ll'admin la mia che l vostro par « lare
Imi conforta ». (.a V. AI, CERTO – - a Se....., al Certo i denloni ne
farebbero, gran rumore ». Iºart. AI.I.A SCOPERTA –..... potè poi mettersi
con lui alla scoperta in più a ragionamenti. » Bart.Al, DIRITTO – « Il
Sole..... feriva alla scoperta ed al diritto sopra il te « nero e delicato
colpo di costei. » Bocc.ALLA DISPERATA – «....nnellare d'attorno bastonate alla
disperata. » BaI l.ALLA SPIEGATA – «.... appunto culme la nave... sulla quale
tornò non e potesse levar mille fasci di lettere, che dicessero alla spiegata
quan a to egli veniva a raccontare. » Bart. ALLA SPICCIOLATA –. Tagliare a
pezzi alla spicciolata. » l)av. – Andare alla spicciolata o spicciolati vale:
andare pochi per volta e non ilì Ordinanza: l'O(o dopo si Inossero gli altri
bravi e discesero « spicciolati, per non parere una compagnia. » Manz.ALLA
SPARTITA –. Le varie scienze brancate non hanno più alcun « Vincolo coinline
che insieme le c' III ponga e le organizzi; si no a ce « fali, vivono alla
spartita e tenzonano fra di loro. iub. ALLA STAGI,IATA – Andare alla stagliata
per la via più corta i: «.... E vanno giorno e inotte alla stagliata. Non
creder sempre per la a calpestata ». Morg.ALLA DISTESA – « Ben è vero che
quella grandine di concettini e di « figure non continua cosi alla distesa per
tutta l'opera ». Manz. ALLA 1)IROTTA – Piovere alla dirotta. « Che lavorio non
si pigli alla dirotta per alcuna cupidità, ma piut « tosto per servizio dello
spirito ». Ca V.ALLA SCAPESTRATA senza ritegno, – « Ruzzando..... troppo alla
sca « pestrata..... ». Bocc.a Correndo alla scapestrata e senza ordine niuno,
cadono nell' ag a guato ». M. V. – Simili, all'impensata; all'improvviso; alla
spensie rata; alla sciammanata – « Mi diletta oltre Imodo quel vostro scrivere
a alla sciammanata cioè scomposto, se llcito, o, Caro; a fanfara – “..... non
usavano i vecchi nostri far le cose a fanfara ». Allegri; alla carlona; alla
rinfusa; alla sbracata; alla cieca; a mosca cieca; a chius'occhi –. Negligolza
dc lettori che passa lo il vizio, a chius'occni» V ill. ecc. ecc. ALL'
AVVENANTE (a proporzione, a ragguaglio... dispensavanº loro a oltrate
all'avvenante ». DaV. a.... e fece fare... le monete dell'argento all'avvenante
». G. V. ALLA MEN TRISTA (a farla bucina) –. Passato il quarto di,
Lorenzo, se a condo il consertato, non ritornò; talcli è già altri il farºvano
molti, « altri, alla men trista, prigione ». Bart.« Stava in gran dubbio di sè,
certamente credendo che il re, alla men « trista, il disgrazierebbe ». I3art.
ALLA CIIINA – «... i piaceri sono monti di ghiaccio, dove i giovani cor. «
rOIlU alla china ». I)a V. ALI,A BRUNA – « Uscire di casa, ritornare, il
sene alla bruna, i di notte « tempo ).PA RTE TERZA Verbi e alcune altre
voci generalmente note, ma dal cui retto uso all'elocuzione garbo ne deriva e
vigoria (APITOLO I. Verloi di particolare osserva, Aio1 ne
non quanto all'ordine dell'azione, che se ne è parlato alla Parte ll º Cap. 2º,
ma quanto alla varia maniera di usarne, così cioè da risultarne ora un senso e
ora un'altro, e quando una frase più che altra concellosa eſlicare e chiara, e
quando Ina forma di dire piacevolis ima. In assello di espressioni
elegantissime, nulla comuni ad altre lingue e al tutto con forini all'indole,
all'original candore dell'italico litigliaggio.Uno dei capi che formano il
carattere di una lingua è, senza dubbio, l'uso frequente e vario di certi verbi
previleggiati, onde quel tal linguaggio prende una piega, una forma che lo
distingue da ogni altro, reca un'im pronta decisa e sua, e rivela l'indole, la
natura della nazione che lo parla I; sli a entra al to do, io ſo, lo gri, i
sel. I pul, lo li arr, lo li hº to trill, lo shall ecc. ecc. degli inglesi: al
bringen, Schlagen, selsºn, lath rºm ziehen, reissen, allen, hallen e er. l i l
des hi: al lati e doti lºrº mºtivº quel gal dler, falloir, aller, ceni, e crc.
d. I rili esi.Niuno per fermo potrà mai farsi a credere di saperlo l'inglese,
il tedesco, il francese se non conosce appieno l'uso molteplice di cotali
verbi. Ma e dovrà poi dirsi che noi italiani conosciamo l'italiano, lo par
liano, lo scriviamo, quando molti usi e vaghissimi di alcuni verbi sºli º gli
scrittori nostri del trecento e cinquecento e loro valenti imitatori, o ci sono
al tutto ignoti, o non vi badiamo gran fallo, fuggono al sensº º quel ch'è
peggio, non pigliano al rina ſatiri di apprenderli?Mentre nel Prontuario
trovarsi in diversi luoghi. “ioè quando sºlº una parola e quando sotto
un'altra, l'uso e il significato altresì diversodi ognuno il ſitº si re bi, in
questo Capitolo sono invece raccolti in pro prio, ci si il li del is fli e,
iro, i molti sensi e gli usi inoll piici di questi si illli i crli. \' scopo
poi il liv sarne in qualche non lo la I al ria, i, li i di li 'il ſole e
portata loro, due orditi (listi, ci:V ci li pi li, si incli di più ampia sv al
l: VitaliiD. llli i cºrti non si li prºnti, il che anche di questi, cioè dei
'oro Ilso l g.gior grazia e vigoria. Il dis(ºr sor. - S 1 º
Verbi più notevoli, ciò è a dire rigogliosi e fecondi di più ampia e svariata
vitalità, e sono: andat e, dare, fare, prendere, levare, met tere, recare,
portare. it jutlatre, sentire, stare, tornare, venire. Arm ci are
Noli II l via di etill irli qll il I agioli alimenti e andarmene in discus si
ti sul come e ind, che a fil e ass. I li II e i di ºrgan, a il più delle volte
a lin, ia, gialli rina approda e laio a anche trilore; imperocchè allo si ling
r. a p. l si la fatica con (edio e danno di chi legge e li in pro º cli il lr
Iriesi e gli anni in istu diare, raccogliere, e vergar car lei e per passi di
quanto scrisserº grammatici e il logi rh, e li arreco subito alcuni sempi colti
li i migliori libri di Ilarsi i lingua, dai quali potrai di leg gieri a ndere
l'uso vario e vagilissimi del vei bo andare: e metto anche pegno che pur
leggendoli nel tendovi un po' di studio, saprai senza scandagliarne altrimenti
le rip. ste ragioni il logiche, convenevolmente imitarli e rifarne, occorrerlo,
d aitrella!. ... e son cerlissimo che cosi a cre' l e blu conto coi dile,
dove così andasse la bisogna come a risale: ma lla andrà all imenti. Boce.
(410). Manda vanglisi di Ilona e d'Italia gli aguzzamenti dell'appelile; le
poste correrano dall'uno all'altro mare: se n'andavano in banchetti i grandi
delle città: rovinavansi esse cillà..... Dav. ll.(neste cose belle dicerano in
pubblico: ma in sè discorrera ciascuno: questa colonia in piano potersi
pigliare con assalti e di molte col medesim, a dire e più licenza di rubare:
aspettando il giorno se n'andrieno in ae cordi e lagrime: un poco di gloria
rana e pietà pagherieno lor fatiche º sangite ». Da V.“. Somiglianº si può dire
anche il genio e la natura degli abitatori I tillo va in delizie e in piaceri
di musiche e di odori e di n. 13al l “ Lo ingegno di Verone degli anni teneri
se n'andò in di pignºre, in tagliare, cantare, cavalcare ». Dav. “....
lullo il dormire di questo molte m'è andato in un sognar continua di nomi,
cerbi crc. ). (es. “... e per non andare in troppe parole... Se in.
Che fama andrebbe al lui mi i secoli di ieri e I;a, 2... ºbbºlo per rili poi ci
li ti resi nel l' u tutti e ne andò gran timore per lullo, il regno. I al I. I
tempi vanno u mi irli, N ſi i St ! ! 1. l’ulla la città di isti i patiti ne
andava a rumore I3. I 413,... la gen I e andò a fil di spada q io ti l ne volle
l'ira e il giorno... l ralosi il pool ogni cosa andava a ruba. (0 utndo questa
cili, la l 'dei lgo in presa, andatoci a ruba ogni CoSa..ln questi mutnici e si
li sº quel luogo il quale andò a ruba ed a Sa CC0. I.Ma º non crei propri iani
e il liri i titoli I e il I il enci si che face rain, i monaci qualche li ha o
di quelli in blio che, le quali miseramente anda vano a ruba T, il lil. º
mi ios li si i 'le, che li ci mi i ssis si incli il non irresi ſtiamº mai
andando me la vita?In queste cose l'isogna andar cauto; ma lo si e va il capo
cantis sino.... \:. A chi con in el l e così i ti e mi isl 1 il ris
va la vita pºi giustizia i a... e giudicò che e' lusse al pi p si
andassene G che volesse dire che egli ci ſi presto al gni suo placer. Fi,
l'. ... vi andasse anche la vita, io sono e sarò si mpre al l ostro pit (e
re... Ci s a I', il lil, i cl e ne andrebbe dell'onor stuo...... (: l',
n. a E se n'andasse il collo, sempre il rero son per dir li Sacchi.
() ual delle due ri pa; lunque più con i nerole: che ne vada l'onor vostre,
orrei o che ne vada l'onor divino? Si, si. r ho inteso: ne vada pur, (lile. ne
ratula l'onor divino. pl i cli, sull' isl il nostro. Segli a Sim il cosa
diceran quel di Tci n. eh il pm a rosso le ren d'Ital e andrebbe a male se la V
era si spirl issa'..... I ... ma in vano andaremo i pri, gli i?. «
Lo stral rolò: con lo sl rale un volo Subito mi sci. che vada il colpo a
vôto o l'iissi).Allora domanda consiglio di tua salute quando vedi le cose del
mondo andarti molto prospere, e fa ragione che tu se' alto allora a sdruc.
ciolare ». Mar lili. V es. º I) il nulla º quando Ma io ride che li detti
lei Sacerdole andavano a quel medesimo ch'egli intendea... Sal Isl.
Ortando la cosa fosse andata per lo contrario....... Fier. (416). “ (r se
li tºsle i tgton son in mileste. Se le tocchi con mano, s' elle ti vanno, con
chi intoli..... I 3el ll. i na circºla dirà: quell'uomo mi gol in una
fanciulla saggia: quel l'uomo mi andrebbe. Son molte le cose che la bano al
gusto e che non vanno (tl e il roll le re. l'orn Ill. () irando tlcuno o
non intende, o non ruol intende e alcuna ragio ne chi della gli Nict. Nuole
dire: ella non mi va, non mi entra, non mi ralsa, non mi rape, non mi quadra, e
il re parole così lalle o. Varchi. ... l'ira e li cruccio, il 'nendo,
andava disposto di lui li rituperosa mente morire 13 cc. (418).... ma non che
la nl o di rivenisse di loro, che anzi non ne andarono pur leggermente
offesi... I3arl. « Quanto all i più sa della lingua ben app s. nelle sue
radici, lanto più va ritenuto in condannare ». Bart.... e da principio va
ritenuto lipoi comincia a poco a poco ad arricinarsi alle pristino compagni. Si
gri i 19«.... se prorar lo potesse, andrebbe asciolta ». Ariosto. a Le trecce
d'or, che dorruen fare il sole. D'invidia molta ir pieno, IE A1 at li fre'don
ne va poco contento IPull. Mi l'.« Perchè lal, che qui grande ha sugli Argiri
Tutti possanza, e a cui l' (cheo s'inchina, N'andrà, per mio pensar, molto
sdegnoso ». Monli. «... nè però fu tale La pena, ch'al delitto andasse eguale
». Ariosto, « Si potrebbe indovinare che noi andassimo facendo e forse farlo
essi all res) n. 130cc.« Concediamo che spendiale in Noren li con rili, in
allegrie e, quel che anco conceduto non andrebbe in men che onesti amori o
Menz. pros. () uesto ſarà il mestier come va fatto. Mtilln).a Le ragioni
contrarie, a roler che sieno bene e pienamente rifiutate. vanno con chiarezza e
con fedeltà esposte. Salv.e dunque non va segnato mai in principio d'alcuna
parola quesi 3 segno. Salv. a... acciocchè resti si potesse e forni di
cavalcatura cd andare orrevole. I 3 o. (20. ... o Nseri utili al loro i
I3oluzi: con unº º l'andarsene rasi barba e ca pegli ». Bari « Von area
cominciato nella religione ad andar dispetto e vilmente ». vestire alla buona,
cienciosanielle. Fior. Ces.«... perocchè il rigore toglie la con lidenza: e
dove questa lor manchi andranno con voi copertamente, che appunto è quello di
che il demonio si varrà m. Bart. Con lor più lunga via con rien ch'io
vada. Petr. (421. «... io vi porterò gran parte della ria, che ad andare
abbiamo, a carallo. Bocr'.a... ma la bestia voleva pur andare a suo cammino.
Continuare, proseguire. Fier.«... e dove..... da niuna parte il loro cammino a
sè vietato sentono ii fiumi, riposa la mente le lor umide bellezze menando
seco, pura º cheta se ne vanno la lor via. I 3: Illo.... Lu (lor lco se
n'andò al suo viaggio... l' 1 r.... Ma lasciandoli gridare balassi a ir pel
fatto tuo v. Fior. 122,.... ed ella colal salratichella, facendo rista di non
avvedersene, andava pur oltre in contegno ». Bocc. «... un vento
sempre intavolato per poppa e così fresco che anda vano a più di cento miglia
al giorno. Bart. a Siale in procinto di rela, che non andrà a due anni
che di costà chiamerò molli uli roi n. 13arl. (23. - -« Tulli i cristiani di
quel poi lo iurono intorno al l'. Cosimo, a pre garlo con lagrime che non
frammettesse troppo a campar la vita, chè il perderla andava a momenti...
Ilari.a... Ma poco tempo andrà che l'uoi ricini Faranno sì che lu potrai
c'hiosarlo... T)il rile.«... e costoro si levarono tutti smar il talendo questa
parola: poco andò che noi reulen mo....». (.av.« Essendo già la metà della
notte andata, non s'era ancor potuto Telmullalo adultorm en la re. I30cc.«
Ouesla notte che è andata, si sognai ciò che l'è apparito ». Stor. S. Ells
[ach. « () uei area poco andare ad esser morto. Pelr. Si notino Jin (il
men le le ini (iniere: son..... anni e va per......: « Io la persi, son
quattro anni finiti e va per cinque, quant'è da settembre in qua n.
13occ. a Signor mio, son questi 1)ebili premi a chi l'ado di e cole? Che
sola senza te già un anno resti, E e va per l'altro, e ancor non te ne duole?
». Ariosto. Vada questo per quello: «... e non credo errare ad
aggiugne di mio oi namenti e forze a'concetti di Cornelio alcune colte vada per
quando io lo peggioro ». Dav. Andar del pari con...: 42.1..- - - - - ma i fatti
non andaron del pari con le promesse o. Bocc. - Bart. Ncn andavano in lui del
pari la gagliarda del corpo e la genero sità dello spirito. I3art. - Basti
Germanico privilegiare che in consiglio dal senato, non un con le da giudice si
conosca della sua morte, del resto vada del pari I)aV. Andare a chi più..... «....
perciò dove il fatto andava a chi più può in forze e in armi, i cristiani di
quelle spiagge quasi sempre i rstarano al di sotto. Bart. I t 425.
Note al verbo Andare 41() Similmente di resi con le vanno l la cellule? N
lì so come vada questa cosa. Come va la sanita? Gli affari non vanno
bene, 4 1 1 - - Nota la frase andarsene in chechessia, e io è a dire:
distrug gersi dietro a cherchessia, perdersi, ma -sare il tempo, non far altro
che.... i 12) - L'andare di qui sto e del seguenti i senipi e al ufficio
pressa poco di essere, correre, trovarsi, mettere, soggiacere e Ma è
chiaro che -arebbe guasta la frase, non le andarne d l grato, a voler mettere
un di questi verbi al luogo di andare.i 13) – Maniera bellissima. Simile le
seguenti: andare a ferro, a fuoco, a sacco, a ruba; andare a fil di spada, e
vale essere in preda, abbandonato a... ecc. Frasi, del rost, che a tradurle in
altre lingue converrebbe dire: uccidere, consumare incendiando, rubando ecc. o
che altro di somigliante, – « L' andare a ruba, osserva il Tommaseo, affermasi
di tutte o quasi tutte « le cose in un luogo co; tenute, quando l'essere rubato
può riferirsi ad a una o poche (se tra moltissime ». Mi par di poter asserire
con sicu rezza che ne anche il tedesco idi Ima si apprestarci un modo simile a
questo andare a...., o altra frase che torni se ttosopra il medesimo. 11) –
L'andare chechessia di questo e del seguenti esempi significa: trattarsi di....;
essere in pericolo, esposto a perdere; avvenire, seguire che chessia ecc.
Leggili, intendili, che è maniera vaghissima e nostra. (415) - Ognuno vede che
l'andare di questi esempi andare a male, andare a vuoto, andare in vano, andar
bene, andare a chechessia, andare per lo contrario )val quanto: riuscire,
battere, cogliere, tornare e simili. 416 – Significa: non riuscire, riuscire
altrimenti che il concetto avviso, riuscire nel contrario. Bocc.417 – E' il
Zusagen, anstehen affarsi dei tedeschi. Simile a questo andare è l'entrare dei
modi: mi entra. ci entro; questo non mi entrerà mai, ecc. e significa, l'uno e
l'altro: capacitare, appagare, sodisfare. 418 – Andare, coniugato con
certi partecipi pass. Ovvero con certi ag gettivi, piglia talvolta il valore
del verbo essere, conservando però seni pre l'idea di una cotale progressione e
continuazione nella cosa di che Si tratta, (andar disposto di...; aridar ornato
di...; andarne offeso, andar ne contento; andar metto da una colpa ecc.) e
tal'altra fa l'ufficio del ge rundio passivo de' latini, e vale: dover essere,
voler essere, doversi ecc. (Gheraldini); - - Quel tal delitto va punito;
quell'atto caritatevole va pre miato e Cc 419 – Nota la questa
frase andar ritenuto, guarda i si da.., proceder con riserbo ecc.120 – Anche
l'andare di questi esempi, accompagnato da altra voce agg. partic. o
avverb.) che ne indica il modo, e ad ufficio del verbo essere, o meglio di
contenersi, di portarsi, governarsi, procedere e va dicendo.421 – Pon mente
costruzione o maniera di connettersi delle par le che si attengono a cotesto
andare (andare una via, andare a suo cammi mo, andare oltre, andare a tante
miglia ecc.) Il quale la senso di percor rere, proseguire, seguitare, il suo
viaggio e simili,422 – I nbekil Inl Inert seilles VV egs gehell SI Inile a Illmina
l'e al V lag gio suo: « Ma poichè i regni e gli stati camminano sempre al
viaggio loro a e dove prima furono diritti indirizzati, non fla Inal li or an.
Il a passo ». Giamb.423 – Andare, parlandosi di tempo, indica lo scorrere, il
trapassare del tempo, e la durata del tempo impiegato in checchessia. Nota
costruzione andare a..... – Ricordo qui il modo avverbiale, affine a questa
forma di dire, a lungo, a poco andare ecc. v. lProntuario, Tempo - avv.) Un
altro lISO molº. In alto dissimile, di llll a ndare, cioè, il sºlliso di
passare ecc., è quello della nota frase: « ma lasciamo ora andare questo: «
quando e dove potrem noi essere insieme?» Doce.424 – Questa maniera è simile
all'altra già addotta: andar eguale, andar vilmente, copertamente ecc. ma è
forma di un assetto singolare e va però notata a parte.425 – Chi non ha le
belle ma Iliere italialle Ilon uscirebbe dalla forma comune: trattasi di..... a
perciò dove non trattavasi che di chi prevaleva in forze....... NoDare Il
suo valore, dirò così, naturale e comune all'equivalente di altre lin gue (dare
- latino, geben, to give, donner ecc.) è quello di trasferire una cosa da sè in
all'ul, consegnarla, renderla e simili. Ma poni mente va ghissimi altri usi ed
efficacissimi di un colal verbo, assai diversi dall'or dinario di altre lingue,
inoll plici e ſanti che appena se ne potrebbe rac C () l'l'(il mul) el'.
Gli esempi che allego contengono quei costi utli e quelle maniere, ch. mi
parvero meno note oggidì ti volgari, cioè, e a poco sperti), ma opportu nissimi
e ancora a sapersi, chi vuole impararla daddovvero la lingua ita liana e usarne
l'el talmente Metto prima alcuni esempi di un dare quasi assoluto, cioè
adoperato. per elissi od altro, senza l'oggellº e il mal i ra di assoluto cec.
Poi altri i un delel'inilla lo costrullo, egliali di lornia, non di significato
i dare im, mel: dare del: dare per mezzo a ecc. Seguono undi alcune maniere di
un dare ti forma transitiva, e inallelle all i nodi o Irasi antiche e
dell'uso. Il sole e alto e dà per lo Inugnone entro, ed ha tutte le
pietre ra st it ltte- o lºo...37. "...... Sono posti i primi, quando
lo veggano li ella vernata già secco, a levar la scure e dargli alla cieca tra
capo e collo, tra tronco e rami ». Segn. “...... e ancora raddoppia V. Il
dolore e il piant e davasi nel petto e diceva: or II lisera.... ». (a V.
a l)icoti, Signore, ch'io loll lo virt tl da clò, e tll il sai. E davasi
nel petto e piangeva sì forte che pareva che il cuore se le spezzasse in
corpo, (:) V.“..... e gittato il cappuccio per le ra e dandogli tuttavia
forte.... ». Boce. « Un muletto di Libia avendo scorto nel fiume
l'imagine del suo corpo e meravigliato di sua grandezza e bellezza, dati i
crini al vento volle cor rore come il cavallo ». Adriani. “..... (con
questa tenzone il porco, uscito lorº tra le brache, corre per ulo androne e
l'altro porco dietroli, e dànno su per una scala.... Torello levatosi e 'l
figliuolo dicono: o imiè! Inale in lobiamo fatto. Dànno su per la scala dietro
ai porci, là dove il sangue per tutto zampillava. Giunti in sala, caccia di
quà, caccia di là, e quello ferito dà in una scanceria (scº sinº tra bicchieri
ed orciuoli per forma e per modo che pochi ve ne rimasero Salvi ». Sacc.
(438). a Su, andiamo, diss'ella, ma sei mi dà nelle unghie lo concerò io
come ei merita ». I):) V. « Non prima l'innocente colomba uscì fuori del
mido, che diede fra le ugne di un rapace sparviero ». Segn. e Poichè si
diede nel sangue e che "a nominanza era rovina, si attese a cose più sagge
». Dav.a Lorenzo de' Medici a uno che voleva dar nel sangue, ricordò che gli
agiamenti a Filenze si vuota: no di notte ». Da V.La prima e ben grailde II al
I vigº.ia che dava loro negli occhi si era Che uomini di quel conto.... ».
Bart.«.... raccogliere alla rintlls i ciò che dà alle mani ». Macchiav. E come
e vedeva i nemici in posa, nuovamente ridava all'ar. Ino ». Bart.« Il colore
del tuo abit dà che si fornaio ». Cav. 'Inostra, appalesa – verriith).Diamo che
a casa vostra nulla deloba arrecare di pregiudizio l'iniIni cizia divina. Diamo
che col malvagi conquistamenti voi la dobbiate eter 11are. Diamo i le le
lobbiate a l escere credito, aggiuli:go le autorità, a qlli stare a dereilza:
vi pal' però che vi torlli (olllo di farlo? ». Segll. Coil ed la II 10,
assentianro) t439.« Per la qual cosa la confida:izi dentro le dava pe: lo fermi
o li e la pure si convertirebbe. Cav. i 10« Non mi dà il cuore di venire il
cilielli o con sl potlºrosi nellli i n. Segn. 441.E vi dà il cuore di
lasciarveli sta, e nel Purgatoriº piu lungamente?» egn « La mia coscienza non
mi dà di piacere a Dio ». I3ari. S IVARE IN NEI.: a Essere venuti
quatti quattº pe; tl a getto di mare per noi dare in chi gli pettoreggi. cacci
e prema.... I)av. gerathen).Il sali o, facendo intramesse al ra. colito, dava
in affettuose preglio re ». Bart. prorompeva.a Ma su, fingiamo che abbiate
tiato in amici di lor natura piu libera li.... ». Sogindovrà egli dura una gr
ali fatica per mandarla a live) o a r Inter e in uno scoglio, o ad arenar lolle
secche, o a dare nei corsari ». Da V. « Allora Sonzio fece dar ma corni, nelle
trombe: piantare scale, salire al bastione.... ». Giali) b.“..... i quali,
quanto prima videro i nostri, diedero tutto insieme in corna e tamburi e grida
disso! la ntissimi e all'usanza dei barbari ». B: rt. a l'erò qualvolta voi
scorgerete alcune persone che volentieri in luo gli tali convengono a
trastullarsi, dite pur senza rischio di dare in temerità, dite che...... ».
Segm.« Allora il Bonzo, dato in un rider sboccato, volse le spalle ai Padri
C..... ». Barf. (442). T).AIRE I)I l NA (()SA IN, PER.....: a... e, dato
dei remi in acqua, si rili se', al ritornare ». BO. a... comandò che de' remi
dessero in acqua ed andasser via ». lRocc. a Se...., io gli darei tale
talmente) di questo ciotto nelle calcagna, che cgli si ricorderebbe forse
un mese di questa beffa, e il dir le parole e l'aprirsi e 'l dar del ciotto
nel calcagno a Calandrino fu tutt'uno ». Bocc.“..... e inginocchiavansegli
dinanzi e dicevanº: Ave rex Judeorum, pro fetizza chi li percuote; e davangli
delle canne in sul capo, tanto clie le Spille gli si ficcari no insino al
cervello ». Cav. «... le dicevano l'altro suore: e verrà a 1 e Eufragia e
daratti del ba stone. E in Illantille lite che la ll dl va ricordare Eufragia,
cessava il dia Volo (li tol'Illentarla a. (.a V. “..... poscia a se ne
disino die di un coltello per niezzo il ventre e.... ». l)a V. « Cielò ll
llll Inedesimo per timore e avvampo per rabbia, e dato barba ramente di un'asta
per mezzo il petto a quell'infelice lo squartò ». Bari. «.... Si chè,
(Itlillido venne l origine e diede della lancia per lo costato e si a perse il
cuore del corpo di Cl isto, il s a ligu, li us i fuori tutto ». Cav. «... vi
possono dar su di spugna liberamente i pittori sopra un qua dro, ». Segn.
A 13. |) \ IR PEIR A | EZZO) (l, li... (alla e mi l un ct, ct mi scot
ciertt. - - - - - ond'è conseguentemente il dare che la lino per mezzo a tutte
le l"il bill leriº ». Bari. «.... le altre filsto dessero per mezzo
delle nellll ll, il V Ve!ltandº i fuoclli e ſerell (lo (l'ast:) o (li Ill (Selletta
». l 3ii l'1.“..... Inl egli la diede per mezzo alla si apestrata e senza
ragione ». I):av. • I) AIR V ()I, I'E: a Tu dai tali volte per lo letto,
che.... » lº i c dimen trsi. a Messa la chiave nella toppa, dandovi da quattro
a cinque volte, l'aper se e....» (i Ozzi I ) \ E SI () I RIPI E I) \ N NI
IN... e simili Dava ilì ogni cosa storpi e danni al lilli li I); v. « Solo coſa
li scioperati che noi: sanno la l' altro e le illeli:ì 'e la font ini, e
e dare storpi e danni nella fama altrui. » Ces. l.Alt E I E SPALLE collar
le spalle o I)all'aiuto di l)io e dal vostro, gentilissime don me, nel cluale
io sperº. armato, e di buona pazienza, con esso pro ederò avanti, dando
le spalle a questo vento (della mormoraziolie e lasciandol soffiare »
Roce. I) \ IRE STIR A MAZZATE: e.... i quali cavalli in quel terren il
sangue loro e di loto molliccio. davano stramazzate e sprangavan calci.,
Dav. DARE PIRES\ a, di... (dal pretesto, motivo: dare appicco -
reranlassen, « Vero e che queste osservazioni.... daranno presa al lettore
svagato e malevolo d'affibbiarmi un altro bottone che però non mi farà
troppo noia avell (lo l'occhiello. » (iiub,DARE CARICA AD UNO DI Q. C.:
«.....lo Volle seco...., lo colmo di onori e linalmente gli die carica di VI i
eri. » Balt. DAI BRIGA (sich michts aus Eturas muchen): « Ne anco Imi dà
molta briga se, per compiacere a un amico, ho dato da dire u molti curiosi. »
Caro. I)AR NOIA A... Ed accordatisi insieme d'aver per giudice Piero
Fiorentino, in casa cui lano, ed andatiseme a lui e tutti gli altri appresso
per vedere perdere lo Scalza e dargli noia, ogni cosa detta gli
raccontarono. » Boce. DARE GRAN VISTA) (sich schòn, gul ausnehmen -- onde
vistoso): « Tutto va in delizie, in piaceri di musiche e d'odori, di portar la
Vita con grazia, di vestire abiti che dànno gran vista. » Part.
appariscenti, I) ARSI IN (ERIE(.(XIIESSIA, A (III (CHIESSI A (applicarsi,
abbandonarsi t...): e Calalndrilio, Veggendo che.... si diede in
sul bere. » Boce.. si diede allo studio e della filosofia e della teologia. »
Bocc. I ).AIRE NEL MIC), NEI TU () In mein Fach einschlagen –- in casa
mia, nella mia bev (t:a Voi date proprio nel mio: l entrare in discussione
intorno a questo [. lll tr. » (es. - I 3:ì l'1. l3. I ) \RI (III: IRII) I
13 E (da e male riut dal ridere: e Diè tanto che ridere a tutta la compagnia,
che illlllo v'era a cui non di lessero le lnascelle. » Boi ('. I) AIVE I
MOLTO BENE I) A MANGIARE ecc. a A te sta ora darmi ben da mangiare, ed io darò
a te ben da bere. » Bocc. a Dar molto ben da far colazione. » Fiel'. I )
\ IX I ) I CC) LIP(). I ) I CC)ZZ() (in... ('('('.: - - Si scagliano di anci,
il verso lui e Vanillo a dar di colpo sopra i di rupi del fondo, dove
s'infrangono. » Bart. “..... e V: Illasi a dar di cozzo in una ville. n
Bart. I).AIRE | ) I SIP.VI.I.A: º Adoperò la sua Madre, che già conosceva
assai disposta, a dargli di spalla n. a S. Luigi per indurre il Padre a...).
Ces. I) A IRE I)I SCI() (CC). I )l.I.I l IRIETICC) ecc. l) Al l I)I IR E,
l)| (()NT E e il lilolo) di “Se mi avesse l'o (ld lIo so clic m'avrebber dato
di sciocco il vulu l'e che l'oratore sia di necessità legista e filosofo ».
I)av.benche gli tolgon ) ogni appiglio di darmi dell'eretico e del miscre
dellte. » Giul).Non vi do di signorie, per le, quando scrivo a certi uomini che
sono uomini daddovero, soglio sempre parlare piu voleliti ri a essi medesimi
che a certe loro terze persone in astratto. » Caro.« Augusto si trovò questo
vocabolo di sovranita per non darsi di re, nè di dittatore. e pur III ostrarsi
con qualche nome il maggiore. » Da V. I ) AIRE AI)l)| | | | | () (ilira
si, in limorirsi, sbigollirsi Sich u b Schrecken a Vinti dal timor della morte,
davano addietro e rinnegavano ». Bart. I) AIA NE' IRI LI, l vale sulla
e', i lazzare, r. Scherza) e, saltare, Prontuario): « Ora è ben tempo, soz I,
I)a stare allegramente, E dar ne' rulli e saltare e cantare l'er questo
rovinevolo accidente. Buon. l'ier DARE VDOSSO VI I NO, VI) (N V Cosv
(investirlo con parole e con jalli - angrºijen, sich re g 1 e il n. 444 ):
con le fa un ser it, che, vedendo l' - le sue l e al cosi il gulal dia. Colì a
ver le bagaglie abbandonate, non quello investe ma dà adosso a quelle e fallì (Sllo
bolt Ill (n. l)il V. I ) \ IR E AI ) (SSC) \ I ) (N I \ V () IR )
significa: alle mele ri con assiduità). I ) \ I RI SI |.I.A V () (l V | )
\ I,(il N (): Diasi pur sulla voce al presuntuoso che sale - ha o ha i ed io
di... » IDa V. « Io conosco un auto e a cui per questo peccato si diede più
volte sulla voce e, sventurata nel. e, n loro profilo. » (iiill).IIa i sentito
come mi ha dato sulla voce, con le so avessi detto qualche sproposito? Io non
ne n solo la tio caso punto ». Mlanz. – E' Vgnese l r r l le ricorda a
Lucia (lulei ripiglio sgarbato della signora i 15) I) AIRE A VISI) EIR l,
l) \ I l A (IRI,I ) Il RI: «....e dato a vedere al padre una domenica dopo
mangiare, che andar voleva alla perdonanza.... » Bocc. « Fra Alberto dà a
vedere ad una donna che l'agnolo Gabriello è di lei Innamorato ». Bocc.
Conf Far vista, far sembiante, far veduto - sotto fare). 1)ARLA TRA CAPO E
COLLO (sentenziare di chicchessia o checchessia senza pietà, senza alcun
riguardo, con poco senno ecc.) – l)Ali DI MANO, DAR DI PIGLIO: «...
die di mano al coltello e sì l'uccise ». Pass. “ Noi per questo, dato di
mano alla rivestita ampolla, col marchio.... ce l'andammo.... ».
Alleg. « Lo duca mio allor mi die di piglio, E con parole e con mani e
con enni, Riverenti mi fà le gambe e il ciglio ». Dante. «... i più
severi centurioni dànno di piglio all'armi, montano a cavallo... »
IDaV. « Draghignozzo anch'ei volle dar di piglio ». I)ante. DARE I
TRATTI (essere allo stremo della vita: «.... braino che ella, che nelle sue
mani dava i tratti e boccheggiava, nelle mie basisse, spirasse e
intrafatto perisse ». Dav. «... e incominciò ad entrare nel passo della morte e
dare i tratti ». Cav. 446). Note al verbo Dare 437 – ll dare di questi
primi esempi torna sottosopra ai verbi: bat lere, percuotere, arrivare,
colpire, cogliere ecc. Prova, recalo in altre lingue, p. es. in tedesco, e non
lo potrai far meglio che usando le voci proprie: schlagen, elnschlagen,
klopfen, gera then ecc. ecc. 438 – Dànno su per una scala è lo stesso
che: fuggono, si diſilano. Dare o darla è spesso verbo di moto, nota il Fornacciari,
e ac cenna per lo più a un moto violento e quasi di urto. 439 – In questo
caso anche il tedesco adopera il suo geben (zu geben); anzi è la forma di dire
ordinaria questo: vir geben zu, per: concediamo, accordiamo ecc. 440) – E'
appunto l'einreden ed anche l'eingeben dei tedeschi. 441) – Simile anche il
modo: dar l'animo (Conf animo, Parte III). 442) – Aggiungi le maniere
consimili: dare in vacillamenti, in ver tigini, in frenesie (Segn.); lare
in escandescenze; dar nelle gi relle, nei rulli; dar nel ge mio ecc.443 – Anche
il modo: dar di morso a.... va annoverato qui: « E lu darai di morso al
calcagno di lei io. Ces. (Et tu insidia beris...). 444 – « Dare
adosso ad alcuno, figuratamente, vale anche nuocergli COi detti, co Cattivi il
flizi... (il) el'ardini. – Simile al detto: l'agliar le legne addosso ad uno. –
« Tal ti loda in presenza che lontano Di darti addosso bene spesso gode
o. Leopardi. – Nota altri modi con questa voce addosso: andare addosso a mimici
- I bav: l are un processo addosso ad alcuno (Bart. - DaV.) ecc. 445 –
I)are sulla voce è un riprendere, biasimare, censurare, chia rnando all'ordine
per vie indirette, per certi segni, avvisi, ml Ila/CCe GCC. 446) – Dicesi
anche: fare i tratti, e pare che significhi, anche questo, dare i tralli; cioè
agonizzare:... e la Madre e tutte le altre stettero chete, in silenzio, mentre
Gesù faceva i tratti e pas (sava di questa vita o º av Fare Lascio
le dissertazioni intorno a questo verbo, e mi faccio subito agli esempi, non
trascritti dalla Crusca e d'altri Vocabolari, come fanno ecelli compilatori di
grammatiche e dizionari dei quali tutti, quando presi a lavorare questo libro,
io non avea nozione alcuna –, ma colti, al solito, nei migliori autori, lilli
da me diligentemente cerchi e stu diosamente analizzali e sviscerali. A
maggior chiarezza di idee e ad agevolarne alche meglio lo studio.
distinguerello sei ordini liere di lare: la - che sta per quali il tre altro
verbo dianzi menzionato. IIº - aggiunto ad un indefinito sì come vezzo od ornamento
di frase (il pianger che faceva, che vede a fare ecc.IIIa - a valore di esse e
o così che potrebbe stare anche essere (esser ll lile, esser buono eI Va - ad
uso di varia significazione, cioè in luogo e forza di uno dei verbi: giudicare,
ripulare, ottenere, conseguire, importare, fare in modo, passare, renire
(parlandosi di piante).Va - pronominale farsi) e col significato di inoltrarsi,
sporgersi, af facciarsi e simili.VIº - finalmente, ad usi diversi e come parte
di questa e quella frase, cioè a connubio di altre voci e di un significato
inseparabile dal medesimo. (449). --- -- I. «..... onde ella amava
piu te e l'amore tuo, ch'ella non faceva sè me desitna. » CaV. (450)« l?el lo
co.municare ille,iorire s'avventava ai suoi, loll all l'illelit I che fac cia
il fut.co alle cose urtte. » l3o.- - - - - che io ho trovato dolllla (la III
lto più che tu non se, che li leglio m'ha conosciuto che tu non facesti. »
130cc.« Il cuore non altrimenti che faccia la neve al sole, in acqua si
risolves se.... ». Bocc. «.... le dice che se ne guardi; eila noi fa e
avvienle. » I3 a « Quantunque quivi così muoiono i lavoratori come qui fanno i
cittad. ( Figliuolo, Messer (ieri non ti manda a me. Il che raffermando
piu volte il falinigliare, nè potendo altra risposta a Vele, 1o 11, in (ieri e
sl gli li dis se: – Tornavi e digli che si fo ci re: che ti mando. – Il
lamigliare, torna a to, disse: –Cisti, per certo Messer (ieri mi manda pure a
te. Al quale Ci - sti rispose: – Per certo, figliuol, non fa ci e, non mi ti
manda, o Bocc. « I)i spettacoli e d'ogni maniera divagamenti non potea
pur patir di sen tirsene dir parola e partivane coli quel disprezzo che altri
fa delle cose Sozze e della Dl'll tll ra. » (es. a.... e percio' che
amore merita più tºsto diletto che afflizione a lungº andare, con molto
maggior piacere, della presente materia parlando, obbe dirò la Reina, che della
precedente non feci il IRe. » Bocc.a non meno la grazia (i a Inor del Soldano
acquistò i l suo bene adope rare, che quella del (..italano avesse fatto, i 13.'I'll
ci il celll quasi coine se noi non conoscessimo I l 3 a 1 con i collle
fac ci tu. ) Bocc. a.... li quali per avventura voi non conoscete come fa
egli. » Bocc. Itil V Vedeti oggi Ill:li e torna ll II 1, coiile tll escº l' -
le Vi, e non fa l' far beffe di I e ti chi conosce i filo di tllo come fo
io., B º a Tu diventerai molto migliore e piu costumirato e piti da bent
la che qui e non faresti. » Bocc. a... e nol credevano ancor
fermamente, nè forse avrebbe fatto a pezza (indi i lì0m molto), se ll: l
caso a V Velllllo 11oIl 1 sse ch'e lor cllia l' elli fosse stato l' ll
cciso ». 130cc. e prega V: i lil. Inolf (ll II, il III trite ch'ella di V --
andare il lil 1 l 'a sua, com'ella prima faceva, e molto piu..... m (il
V. a Quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio, ad perare, che
a fatto non avea il: altra parte. » Bocc. Ed ecco venire in camicia il
Fontarrigo, i quale per torre i panni come a fatto avea i dalmari,
veniva..... l3o a... non v'è oggina, chi ad un amicº, terreno non creda pil di
quello, che faccia a I)io. » Segn. a I)avano vista di non tener più conto
di lui, che si facessero degli al a tri. » Balºt. Ces. « Ma
veggiamo forse che Tebaldo meritò questi cose? certo non fece: voi
medesimi già confessato l'avete. l 3o. a Niuna cosa è al mondo che a lui
dispiaccia, colme fai tu. ) 13 r. 151 a.... ilſſuale non altrimenti gli lol
corpi cali di li nascondeva che fareb be una vermiglia rosa un softil
vetro o Bocc. « Come suol far bene spesso molti altri, non m'ingannava.,
Fier. 1t)Non potendo egli per le sue malattie intendere agii studi quanto
face vano gli a Irl, º d egi I l Istora Va Illesi e il 'dite coll..... »
(.es. a Dio tranquillasi assai piu ti sto che in li fan l'onde di turbata
peschie a ra al posar (l, vei iti. » Salv. a Amatemi coln, io fo Vol.
(io/ zi. ) ! e Cosi l i poppavano colti i madre avrebber fatto ».
lSocc. S'io mi conoscessi così di lieti e preziose, ci rime io fo
d'uomini, sarei blloli gioielliere. I,il Vlati II. Ed era si gri il de il
percuotere che facevano il Sielli e le lololar,, che slavi, la V il 110 Il loro
o il il iie l relli.Nel fuggir ch'egli Assi i lill ta faceva lie, una foltissi
Irla sei vil, gii in cell le ll ' la g 1, l. 1 Isg, i Zl: 1. S - li.l'el Issa i
cori e se li 1, l su tv li intendere e del guardare, ch'egli i' leva ch'esso
facesse le,i di 1 min. 13,.()n l'e (olls gli::. in l. ii dare che fanno per
mezzº a tutte le ribal (l, l' e.....! I3: il t.Qlle rigoglio dal scperchiar che
fanno le linesse de gli il ll ' (ssell (lo 'll - I ll. (..:Per esaminar che
facesse egli in desino, ogni azion sua..., con quella Sotlill-siIrla a ' ll
ratezza º le farebbe ! l... I l di pill roso e maie a milm:a “ to........
!! (sali 1,3; - Il III ore il plli ſi te e il martellar che faceva
il povero cuor di l.u cia.! Mla liz.pero che tro) po lisa: il si logorava a
disciplina del santo, la l'ecò il pit l i-erlo, si illo e Irl) Il lt, il
battersi che facevano con alcune a discipi ille, o il de ci si ill si Vºle, tl
a V a Ill quella dei santo.... Dari. a... al Illale il saporito bere che a
Cisti vedea fare, sete avea generato ». I 3 mcc.« I)a (Illel ol'l'el' che gli
viddero fare il lla volta (ll... I3:l rt. colll'elera il d a loro, per venir
me: io dissecar che questo faccia, non perciò se lº svil I llia.. ll::lzi... »
13 arb.I l piangere che lo l il re in teneriti fino alle la grini e vedevamo
fare al mostro fratello, ci reco ad altri pensieri, e avremlino a condisceso,
se non clie...... a I3: l l'1. Ne I llli loro a spe, e ne vide i gli
eletti, quando nel darsi che fecero per lo mezzo dei barbari, mist ro tale sp:
vento... ». Iºart. il l. Il liv fa l la teli per atissima stagione di pri
Il l: i ver, l.. I 3: l...... ll vi fa lin'. I l la derisi e greve º I ai t. )l
re a ciò al spiaggia di Malacca fanno venti freschissimi, o l'art. l'etiche, a
ragione di tr Inn ti che vi fanno spessi e gagliardi, esse « (case) non abbiano
il mio volte sopra al chi. » l?art.a Ben so che per te farebbe di lasciare il
vincoli e li poso della carne a e alrdarne a Cristo ». C: Vali.. io -il ebbe il
lile).e Niente ha i sapor di biada e perciò tu non ti fai a me, nè io mi foa te
». Fav. Esop.« Non fa per te lo star tra gente allegra, Vedova sconsolata in
veste negra ». Petr.Fanno pei gran disegni e mutazi e Ilori e da la dare ove la
posa piu ti rovina clie la tern rità. » I)ava zMa perchè nell'acqua chiara ! !
- i lig lio la l et le ia V gg li: la torbida fà per chi gli vilol piglia ',
III: ng ſare. l)avanz. Noli può fare li Ill re: I l e - - al 1ori la lol (III
il tal11:1. Sºg Il ..-e egli dice, N 1 il por io può fare ch'ei rion si p
it, e se n'esce ri le 'le, quell'avel tº Inlito gii accresce il dl!. » Da
V. in quanto piu' alie d ' Iº che agli uomini, l' I, olto parlare e ling
o quando senza esso si possa fare si disdl Bo 155 l Ia' tll a Irli
in olii o li or fan sedici anni, i l... (l Slla V a 56 IV. a Suo cimitero
di Illelia part la lino (1 Epi:ll'o ti 111 i su: i seglia - e ci, (le
l'anima col corpo morta fanno. » l)a 1; e I epili i go, suppongo io, giII
il 1 a 1 Ma il popolo che vuol ci ala e il faceva chiari at ali adozio e, a I)
avanz « L'anſica III e Imoria fa il torri pi di icato dal..., I): v.a La tua
loquela ti fa mi i lifesto manifesti rien! Di qui la riobi! pa tria nati. Alla
quale lo sa lui troppo mio' si o I): inte. i s'ipno, ti appalesa – verráth
dich.a I), Pietro in ritiro a Solo quel divario era oli e la S. Vg -tillo
faceva da Fausto Manicheo si primo mi:i stro: S. \ mily g io. L'uno tilt 'tori
e leggerezze, l'a lt) o frutti e -: il lezz' o I): V. Lc fo partito per di qltà
». Fier. a Dunque hai tu fatto lui bevit re. e V., o di siti - 'e gli dai
taccia) Colli i clie ha il ll ll gli fa l'i....... 11: li l 3, i ll l 1:1, Illeſ
le co; to fa lrlestitºri E questo fa cli: i lio: e Itil, i ni li stili lo i
libri li. (s. i Mla poi li è 11 11 si | lo fare i lic lºl - 1, ' - ri - i
l. 1,,, l a dio alcuno, nè posso - I gri e 'a e l' a i 'tr... ll '
Ina - - a ledir Cadmo e chiunque fosse altri di quelle teste matte che
ritrovarono a questa maledizione dello scrivere. » Caro ottenere, fare a
meno) « Mentre che.... io non poteva fare ch'io non mi doleSSì
almaramente. » Fieren. rate che al nostro ritorno la cena sia in essere.
» Caro fate in modo, procurate) I)eh se vi cal di me, fate che noi se ne
ineniamo una colassù di queste papere. » Borg.e perciò una canzone fa che tu ne
dici qual più ti piace. » Bocc. l'areva che non ti l'i sole, il la a
Sinigaglia avesse fatto la state. » lºo:. passaio, trascorso (ono fatto fù ii
(li chiaro verso la si dl lizzò., Bocc. | - Il sul far della lotte e presso
della torricella nascoso. » Bocc. 157) l'altra urla de l'en li colli
l?olna li.... Susilli non se lº cura; fanno per tutto, purchè grasso vi sia. »
I)avanz. Colne ogni altro frutto tra piantasi il noce: fa per tutto viene
adagio: dura assai: appirasi agevole: la ombra nociva, onde egli lla il nome, o
Da V. 458) V.. Il quale come egli vide fattoglisi incontro gli die lel
viso un gran punzone. » Boc i 150. « Onde non è mai raviglia, che la
llclo, la lit I anni al presso come si e det to, vider co'a ll no della
compagli 1.1, gli si facesero tutti incontro a domall darlo del loro padre, e
se v'era speranza di mai piu rivederlo ». Bartoli. « Chi volesse cimi (1 lt; lr
sl lol a V i rl facessesi innanzi a l):ì V. « Ma ancora aspettano di dirle
altro, e fannosi innanzi, e mettonle un cotale pensiero. » Caval.a e allora si
leva rollo costoro, e il maledetto Giuda si fece innanzi, e ba (“iolla) e
disse. » (a val. a Ver me si fece ed io aver lui mi fei ». l)a lite, Non posso
farmi nè ad uscio, nè a finestra nè uscir di casa, che egli incontamente non mi
si pari innanzi ». Bocc.« in vista tutta sonnachiosa, fattasi alla fenestra,
proverbiosamente disse: chi picchia laggiù? » Bocc.« Fattoni in capo della
scala vidi e sentii tutto ciò che passò tra loro. » Bocc.« Spinelloccio è
andato a disinare stamane con un suo amico, ed ha la a donna sua asciata sola,
fatti alla fenestra, e chiamala, e dì che venga a « dosillal' coll (esso lì oi
». ROC Cº.« Fattosi alquanto per lo mare, il quale era tranquillo, e per gli
capelli a presolo, con tutta la cassa il tirò in terra. » Boce,a li contemplava
dalla riva in lotta con le onde, perchè da oli passion « Inosso fattosi
alquanto per lo IImare, dopo Illolto affaticarsi, li l aggiullse, a li prese
entrambi per le vesti e tirolli a terra. » Bart. « Così senz'altro dire,
la buona quaglia starnazzando l'ali per ia gabbia con più empito che poteva
fece tanto rumore che il padrone senti, e fattosi e alla fenestra cacciò via lo
sparviere. » Fi(l'enz. « E facendomi dal primo dico.... ». Ces.
460). a Fatevi con Dio, e di Iile non fate ragione. » Sarch. COllſ. l' 1
rte I. Ca po III.) a Fannosi a credere, che da purita d'animo proceda il
non saper tra le « dolllle, e co' valelnt'uomini favellare. » Bo -. 161« Il che
se la natura avesse voluto, come elle si fanno a credere, per al tro Inodo in
Vrebbe lorº limitato il cinguettare. Bocc.« facendosi a credere che quello a
lºr si convenga e non di sºli a che al e le all re. » IBO(''.« I vestimenti,
gli ol'namenti e le caliere piene di superflue delicatezze, le quali le donne
si fanno a credere essere al ben vivere opportune o Bocc. « Ma questo io mi fo
a credere che fu un giuoco, l'n tranello, un lavoro « l)i quel malvagio |
risto!.... » Buonar.e Pognano il torto a tua gente, la quale molestando i paesi
pacifici, si a fa ad uccidire uomini, bruciare templi, sparare donne, sforzare
vergini!...» Lett. Pap. Nic. « Chiunque si farà a considerare quanto..... !!, (l'ulse:
i « La vide in capo della scala farsi ad aspettarlo. ) Bocc. VI. FARE COL
SENNO, COLL' UMILTA' (e simili. 462). (rl lidogllerra ebbe morire ed in sua
vita. Fece col senno assai e con la « spada. » IDante« Fd ella incontalmente
lasciò quella risposta, e prese conforto e disse: e io farò come la Cananea,
coll'umiltà e coll'improtitudine e colla perseve « ranza, pure per avere da lui
misericordia, perocchè m'è detto ch'egli è tut « to benigno e misericordioso. »
Cavalca. F VIR SENNO (53). « Senno non fai se llor: lla i telli ſi gli
Idi. » l)ittaln. « Meglio di beffare altri li Vi glla rderete, e fareste gran
senno. Bocc. Fl\l8 RAGIONE (che..., di..., con...I. Ma io fo ragione che
i nessi tornassero tutti affrettati, e dissero: ve « duto abbiamo che questo
maestro è testè passato per cotale contrada... » Cavalca i 464)« Allora domanda
consiglio di tua salute quando vedi le cose del mondo « andarti molto prospere,
e fa ragione che tu se' atto allora a sdrucciolare. » Martin Vesc.rai: e
Ora per non i petere.... io fo ragione di non tenere un disteso ragiona
lIlCl1to. » CCsari. « E peroc he.... fece seco ragione di rimandarmelo ». Ces.
« Ma volentieri farei un poco ragione con esso teco, per saper di che tu e ti
rammarichi. o lº intenderIileia con..,« E pero a te, siccome a Savio,... ti
convien confortare, e far ragione che Inal ve lli: a 11 mln l'avessi, e lº si
lalia a indare. » I30 c. 465)« E - I fate ragione, che pe: quellito egli potra,
Sara Selmpre il primo a a rovesciare sopra di voi la sua colpa o Segn.lº co; i
forni 1 e lo ch sll edette allo sventurato Saulle fate pur ragio « me, l
tito:i, che avveni del bri a tutti i peccatori. » Segn.« E in esso luoco, fate
ragione che il Signore venga a purificar quelle anime, quasi lentro un cro,
illolo terribilissimo, finchè depongono tutta « l'antica storia. » Segn.E
pensonni che Gesti i Marta disse: fa ragione che tu mi vedessi in a ferino,
come si mo. -toro, hº giacciono qui entro, e in così gran Drsogno, « pensa
quello che li fa resti a ine, e fa a loro ». Cav.« E però dico che i lutti l
sua sollecitudine pose di far bene l'ufficio, che a le era dato di lui, il quai
ella vedeva che tanto gli piaceva, che poneva in sè la p rsona e l'era se:
vita. Ed ella cosi faceva ragione di non partirsi a da lui punto; e qua:ldo
serviva il povero e l'infermo pareva a lei servire Cri e sto nella sua persona,
o (v. a E fa ragione ch'i' ti sia sempre allato ». l)ante. \ V EI ) l I ()
- – I VIR SEM1 I \ V IS I \ \ V IS | | | ) | --- l' A | 31.VN Tl.....,
ella a tal - i vitiche1ia, facendo vista di non avvedersene anda va i colti e
in colite- io. Boa l l' allora fe vista di: andare a dire all'allergo che egli
non fosse atteso a en I, p. I d p moltº ragionamenti, postisi a cena, e
splendida In nte li riti, va i se viti, astutamente quella menò per lunga fila
al l: il l - lll'a. » l oe l'appa ma i ti r; parevano molto religiosi e molto
costumati, e gran vista facevano di cosi essere ». Cavalca (66).l'il, l'io li
in voi i 1. ll scostarsi da Itolina, e ogni anno faceva le vi « sto li voler
visit lº serviti e le provincie. Mettevasi a ordine. Ineve vasi, fermavasi, o,
ivi in inet, orire la ti gallo, onde di evano gallopiè. » l):n V:ll 17. a
E fatto prima sembiante il sere la Ninetti messa in un sacco, doverla a qu. te
t - il. 1. Inizzerare, se la rimeno alla sua sorel a l:n. » i 3 t. E
quando i s rso i litro fecero sembiante di meravigliarsi forte. » H3 ).. Fatto
adunque sembiante d', li conoscerlo, gli si pose a sedere a pie a di.. I8o.«
Quindi vicini di terzi levatosi, essendo gia l'uscio della casa aperto, a
facendo sembiante gli vs si a' tr Inde se ne salì in casa e desinò. » Boceº -....
e cosl ad Andreuccio fecero veduto l'avviso lol'. » Pocº. 'diedero a vedere, a
conoscere) 467, FARE AI L'AI TALENA, ALI..\ IP.AI.I.A, A I.I.E (..AIRTE,
AI.I E (I ) I, TELLATE, A SASSI, AL MAGI IO, (e simili). a e per vilificarsi
faceva al giudo dell'altalena. » Fioretti. « QuiVi si fa al pallone, alla
pillotta. » Lippi 468) « Noi abbialno carte a fare alla basetta. » Cant. Carli.
« IDicesi che c'era un tratto un certo tempione, che si trovava un paio di si
gran tempiali, che facendo alle pugna con chiunque si fosse..., non si a poteva
mai tanto riparare che ogni pugno non lo investisse nelle tempia. » Caro.«
Siccome, se tu fossi nato ill (il e ia, dove e corrottºv le esercitar l'a rti a
In e cora giocose, e gli Iddii ti avesſero fatto nerboruto coine Nicostrato, iº
non « patirei che quei braccioni nati a combattere si perdessimo in fare a
sassi a o al maglio, così ora dalle accademie e dalle scene ti richiaino a
giudizi, e alle cause, alle vere battaglie. Dav.« E' facevano al tocco, per li
avea a Inter: 1 primo di loro. IBllonerotti. (469) FARE A CIII PIU'....:
FAIRE A FARE CII ECCIIESSIA a gara – um die W ette). « i quali con altri
magistrati fanno a chi più adula. » I)av. « Ma lldendosi allora ()tone e
Vitelio, con iscellerate all'Illi, fare delle cose) umane a chi più tira.... ».
I)a V.a che è quanto dire che più di mille e mille lingue fanno continuamen a
te a chi più squarcia il buon noi, e degli innocenti. » Giul).« Vennero subito
gran guantiere colme di dolci, che filro presentati pri « ma alla sposina, e
dopo al parenti. Mentre alcune monache facevano a a rubarsela, e altre
complimentavan la IIIadre, altre il principino, la bindes sa fece pregare il
pricipe che..... Manz. ſ'.ARE A FII) ANZA, V SI(U IRTA' con..... a
perdonatemi s'io fo così a fidanza con voi. Bocc. « Coloro che fanno a sicurtà
colle riputazioni e per sin colle vite, non solo (le” cittadini, ma.... »
(iilib. FARE ALLE PEGGIORI con i contenersi, governarsi nel modo
peggiore) « Augusto senza dubbio inizio l'I: neilla a fare alle peggiori con
Agrip a pina. » Dav. « Egli tanto più il 1 furiava, e facea con tutti
alle peggiori, fin lì è il re il a Inandò cacciare come il Il ril):I l I
liori li pii l:ì gi. » I3:urt.FARE A MICCINO: consumare, od altro, con gran
risparmio. Miccino vale pochino e a muccino a poco a poco. 170) FARE A
SAPEI? E a crerti, e, ammonire e simili. « E quando tu la intenda altrimenti,
io ti fo a sapere da parte sua ch'egli « Sala tanto (Illa Into e ispetta a Sua
Maesta. » Fier. FARE DEI. SAVIO, DEL SUPERBO - I)I.IL PAZZO -- DEL BUON
COMPAGNO –- DELl. UOMO e simili da sl l'aria... den gelehrten spielen
ecc).Allora il corvo, che tacea del savio e dell'astuto prese carico sopra di e
- d'esserne (il re... o lº le reliz.« Il che udendo la testuggine e volendo far
del superbo anzi del pazzo, « senza rico: darsi dei e aminionizioni datele,
plena di vanagloria disse.. » Fier. Volelrd, far dell'uomo essendo lo stie,
Illalrdano llla e e rovinano « non stilainelli e.. » Fiel'.« Ho fatto tanto del
buon compagno che me – il lio acquistati tutti. » Caro. FARl, \, FARSEI,
A CON contentarsi.... stai con lento a....). e Domandò come Silv: la facesse,
quello che fosse della moglie e.. » Fier. « Se la faceva la miaggior parte
dell'itino all'usanza dell'Indie con riso; e e quando piu sontuosamenie con in
poi, d'erbe condite sol di ior mede « Sime. » I3art. FAIRE I,i,() V.. l)
il liut ) Ni lºrº in l. FARE ILE BELLE PAROLE e simili. « acconciarsi le parole
in locca. » l80 parlare lorbito, in quinci e quin di ecc.)« Ed ella, facendo le
belle parole, rispondeva che le era a grado assai, ma « la dimora, l'eta,
l'ufficio.... e º no pur cose (la polmderarsi.. » Fier. FAI? FORZA AI ) A
I CI NO) – FAIR FC) I Z \ l)l Q. C. I 'ARE I)i FORZA ci avvisò di fargli una
forza da al ll ma l agioli colorata. » Bocc. « Colnili ciò a gridar forte:
Aiuto, aiuto, che conte d'Anguersa mi vuol far forza. » Bocc., il « La reina
faceva ai giudici forza dell'appello. » Dav. « sa tanto ben ciurmare che
incorrendo in contumacia, turbando posses a sioni, e facendo di forza, la
cagion gliene comporta.... » Bocc. F AR M1 T TO AI) ALCUNO (v. Parlare Proml.).
'FAR FALLO A abjallen). a donne le quali per denari a lor mariti facessero
fallo. » Bocc.F A R CONTO DI... CHE (daraui gefasst sein, sich cturas u oill be
mer ken – bedenken ecc.).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui,
trionfali dolo ill lor stessi, a e faccian conto che i pericoli passati
son minori di quelli che sopravver « ranno. » Bart. e sappiamo che...., e
sian prevenuti che....., e ponderino bene che....) a Dunque dovrò
starmene tutto l'inverno tra questi geli e durare si lun « ga fatica...?
Fa tuo conto. » Gozzi a Le saranno adunque, ripigliava il ragazzo, candele? Fa
tuo conto, diceva il padre, le sono appunto candele. » Gozzi. FAR
BISOGNO A. Q. C. a e le nozze e ciò che a festa bisogno fa e apparecchiato.
» Hocc. FARE AI) ALCUNO SEI? VIZIO IDI SUE I3ISOGNA Bocc. I)av.
I3art., I ARE CEFF ().472. a farebbe ceffo a questa fiorentilliera che
cosi le propri la nostre appe. con barbarisino goffo e sllo e cellsll
rel'ebbe così. I a V. l'ARE ACQUA a Cercar di al III la sorgente ove
farvi buon acqua. I3art. Fier. a poi ripigliò: forse il dite perche quella nave
qui una volta fè acqua. » l3al rt. 473; I AI? CARNIE: I n di
ch'ella acquiia, era ita a far carne. » Fier. º e Ini venne veduto
quell'iniquit so giovane colla spada ignuda per ogni canto far carne, e gia
giacerne i suoi piedi tre, tutti imbrodolati di sangue, che ancor davano i trat.....
» Fierenz. | FARF II. TOMC) Conf. Cadere Pront.. FAR CERA (da Kairen). “
lo indusse a....., a far gran cera. » I)av. FAR GREPPO quel raggrinzar la bocca
che fanno i bambini quando vogliono cominciare a piangere) Crusca (474)FAR
GESU' congiunger le mani in atto di preghiera – vive in Toscana FARCI II, CAP().-
FAI? E TANT ()Farci il capo vale averci pensato tanto o pen-acchiato o
provatosi di pensarci, che nºn se ne intenda più nulla, nè anco le cose chiare
e che si vedevano alla bella prima.Fare tanto di capo vale sentirsi stordito o
da pensieri noiosi o da mal CSS el'e o da rumori.M'avete fatto tanto di capo,
dicesi ad un uomo parolajo ancor che ne in parli a voce alta, purchè coºfonda
ed uggisca la mente. Così Tommaseo, Gherardini, ed altri. FARSI RELI.O:“......
che se ne fa bello per aver tradito le tre legioni smembrate ». Dav. l'AIRSI
LARGO allargarsi, agevolarsi la strada – avere i mezzi di farci rispettare e di
avanzare presto nella via che prendiamo.) « Coloro che per le corti colla virtù
e colla fedeltà si fanno far largo ». Iºierenz. « se non vi fate largo coi
donare.... ». Cecchi. --- Farsi largo colle chiacchere, coll'ingegno. -- C'è
chi llell'ultimo altrui si fa largo donando, chi domandando, chi piangendo, chi
ridendo, chi co mandando, chi in Inacciando, chi lo dando e via Via. \ V ER A
FARE CO)N..... I)I a bella donna con cui lo imperatore ebbe a fare ». Dav. che
ho io a fare di tuo farsetto? » l8oce, Note al verbo Fare
449, – Non curo di molti altri usi, vi oi con uni ad altre lingue, vuoi
notissimi e frequentissimi an ha oggi, p. es. far lare nel doppio significato
di ordinare di fare, e di cagionare di fare fare apparecchiare
checchessia anferlingen lassen – fare all'l'ossire ullo – l'hre Arligkeiten
mitchen mich erròthen – Lessing. fo0 Anche il to do degli Inglesi
ha tra gli altri molli, un uso pres. sochè eguale. Es. The day techn J sau him
ho looked belle lham he does nou'. fol - Quel come lai lu sta per come
dispiace a te. Nola inversione illicola di costrullo e dell'ordine
l'azione. 4,2, (iozzi chiude parecchie volte le sire lettere così.
3 - Nola anche il secondo: che ſarebbe il fare cioè del primo gruppo com'egli
stà per un verbo del primo inciso sottinteso adoperando..., che
adopererebbe..... º, o per l'anzi detto esa m in tre: colla quale esaminerebbe
ecc. 4, Per dimolare lo slalo di essere del tempo, dell'aria, del mare
sillili, o loperano i buoni scrillori assai sovente il verbo ſul re': come
latino i francesi il loro laire. – Guarda come, i, - Mlodo a lille
l'altro antic e dell'uso far senza (una cosa) ci è pol el sºl le limitinº l'e -
esser star bene senza.... ». fºſi - I granimalici li apprestano indi la
regola: « Fare stà per lº minare, compire, rattandosi di Iempo, e ad esprimere
quan lilì passa la lo mi trovo più semplice la formula che anche il Tuesto caso
il verbo far fa pel verbo essere,157) – Nota di questo gruppo le maniere: lorº
la state, l'autunno ecc. il farsi del dì, della notte ecc. 458) –
Analoghi a questo fare sono i mºdi lar buona proºº, fa, gran prova, provare.
Conſ. Pianta. Pront. 459, – Metti a serbo i modi: idr si incontro: larsi
ºººoi farsi in nanzi...; larsi alla porta, alla fenestra: larsi a credere e
simili. 460) – Simile: « E iatlosi dalla in attina venne lo
raccontando... » Ces. - - - - - Dicesi anche: farsi dappiº, per cominciare dal
primo prin cipio. it:I – Pon mente al senso del pronominale farsi degli
esempi an tecgdenti, e ti sarà agevole intendere come il modo farsi a credere
non sia come melle qualche vocabolario, un credere a dirittura ma un
accostarsi, recarsi, darsi, inclinare a credere. Simile anche l'altro: larsi a
fare checchessia – cioè mettersi prendere a... 4(2 – E' ingegnarsi,
studiarsi, faticare ecc., adoperando il senno, l'umiltà ecc. – Far colla cosa
sua. Non gli dar noia.... chè egli la colla cosa sua Cavalca pare che dica
sempli cernente adoperar del suo. 463) – Vale operare saviamente, metter
giudizio emendarsi. E' modo elittico, simile al precedente ma di significato
assai più ristretto e talora diverso. s 464) – Traſduci: mi penso, mi
arriso. Si adopera questo: far ragione che..., di..., a più altri usi e
significa quando supporre, repu tare, e quando stimar bene, opportuno ecc.;
mentre far ra gione con alcuno vale intendersela, fare i conti e simili.
465) – Far conto che, dicono i...ombardi. Simile anche il seguente del
Segneri. 466) – Far vista, far le viste di ecc. è altrettale che fingere,
dare a vedere (v. Dare); sich stellem als ob....., Miene machem, sich den
Anschein, das Aussehen ſi bem. Pilò però significare anche semplicemente
sembrare, parere: « non facendo l'acqua alcuna a vista di dover ristare, presi
dal N. N. in prestanza due mar lelli. » Bocc. Anche il nodo detr vista (conf.
1)are) è usato dal Sacch. e dal Cesari (e lorse anche da altri che non ricordo):
senso di lar rista, sich slellen ecc. « 1)avano vista di volervi « andare. »
Sacc. « I)avano rista di non tener più conto di lui « che si facessero degli
ºltri. » Ces. 468) – Nel traslato: fare alla palla dei quattrini vale
spendere senza riguardo.Si fa alla palla di checchessia quando avendone a josa,
non si bada a risparmio. Anche la frase: lare alla palla d'uno ha senso non
guari dissimile e vale traslullarsene, dargli la balta, prenderne giuoco, fare
a sicurlà de fatti suoi ecc. 467) – Questo modo far veduto pare che abbia
un doppio senso, e si usi tanto a significare far si che altri pegga o gli paja
di vedere, quanto dare a vedere, lar sembiante ecc. « le iè ve duto di
uccldorli » BOCC.Così pure dicesi: « far vedulo di commettere, di perpetrare
ecc. In questo senso usasi anche l'altro: far vedere. » venne un medico con un
beverag 21, e lattogli reale e che per lotuſosta ICIulu. I « e lo 5 allop
oddo.15 Un'; Iso, o IoitIt: otp lºp o puqquI I ouuº ollo IS.It All I lºp
olioIA os IOI o II.) BAIA ost.I I » – (3 li - ll T. -uui uu.o Idl I «
mhop Imi lood ºzuos e.lolu uluti ſoli al QuUIels e][0.Alu l ol[.) e Illo,I u Ip
(IIIII O]UIelo.) (UIII º II ) o, pullo Iod pm bam api Ip osn, I o IIIssItini il
o, o od o lou il timbrº p Is.IopeAAO.Id Q olduioso 0.Illi, lot o I] Ioli
manlaodm oil al pm b uod mh.op, I le.I]tto toIIIUlis onl. I pi ln()
eztl.).Io]Ilp eloN - - (gli uol.opu or) p. I: ossa: I a 9.Iu 5IoA opotti
lot ou. Il sopo I oddiº o IliioosLI o IIo N. tºzuoloIA In I “uz.Io e Insn
alu.I -oUoS UII eoUIuisis (olduttoso ottil III liop) pc lol lp o. Di opotti II
un illup llp, mo:) Iols )llo, no!) loo oolpe, il Co, sopo II o II.) o | | Il I
Isti.Il '.I]od (OloA [oſ [0, oluooo IlS sopueSu lost Oiolo le prof pl.oool I o:
OICI e ouuu è Iopulso.Id el ouo ez.Io] el º.it / l'Is Out oli ut: qui o ostº.I
| Ip Ici.I e “o.IoSuII.ilso,o un N (Io.I I o Io ti uli Iso, JUIO )) o.Ioi
II.I]s -oo Iap ouo o Iez loſs ottºz.it I lop Il pd to Il prato i pl II IIenb
eplau ooo ufos « lama luo pm ns. oi ml III o uso o il n.IIIIGI ) dd SS IA (o.llitt.top
non lº pztof l l lo Io: l UIonios o Ilop mz.tol ) un loo ollopns Istº.Il flop
“ps.iol pun o. pf pr.toi trof. II lod o e opuoguoo UION luppoI SS )IA (mr lo?
oso).to.) o un ll fiopuo.rmi o e o Iel 5ueu e olotto; Ind lºttout IIIonb
oIopuolo.A » oso).Ioo o oIlluo3 opoUII UI! QUIolº II io.A.Al ' IoitII.I so,o un
o.I(Ittios o po “pzuol asoluoo pun otni ollout: Qn i S o,oo I luoloIA o Inslui
“o.Iol -od p osnque po osta,p o IoA).Ionº olle (Inp QoloIII ons IoToA In
olrmu5epuniº o olio;iuti.Ilso,o ol.In pur o ooºoooº I top ellione ulu.5oIUe,I
opuooos ole.A oum.o)p pm vs.tol pum olmi o pcaoſ 1D.I – Ily outloollll D
o 1 pp out.), lui lo o.tpll pd oII.) Ie IsooICI – (), luooo) glo e opuºluo,
“l.It ds-p o lred as ou5oAtto II opu0.oos o elp mld o oun opuello 5 l Is
o “eso.) eull UI! Il looo) lu o lº odopo.A o[U.A O.).ool / D olm, I –
(6), (o topo.to llbollmſ ollo ossols ol ooogl. lg olt, uouLIOppe otto
“llens o lo)s QUI o loq ooo I lo! [5 e Aup OlogIS Ital Ip o luouaol Ili
iFrenciere (Pigliare) sia lº cºsi di lºro - il mo: into a chi non ha mai
o l: lingua italiana – quello che si è mola, sin 'I I. (Il les (il n ad (SS (l'
\ i re cosi di questo cori li ai ri veri tra loro - r. 1,ºrticolarità di della
I i licli, e lassici, q o no in una º i il Zii, il colal girlo che non la clin
a pezza, ali di si ! "i sanno che cosa voglia di e prende, ma i I l ' s ci
ii, alla l' hissimi, che ne usano i d, e, l in A, is simo e i I i di classici
del medesimi sono da Lilli il si e al ci a uno lors, ma li avºltº il peregrino.
Chi lo intende, a cargoli d'ese p. Il valore, ma i le poli 1 ai linelli all'uso:
bo i l'rende e dilello, prende i mali con ri. p, i lorº con l i........
consolazione: prendere p, i ti; i mal. ): i i 'ti li' li ti, prendler guardia.
Sospello; lo: l ' s. losi, i di qualcuno
e.: pt ºutlc i l preso ad atleti no bene, ci pass. p pºi lº i dire: il fare
clic li ssi, i pi nel I e il I i gio EpptI re li. Il sol li: V g: li e lode. I
re. E ci l si si | | | e cose. e prei I l i s 1 si lilire e maniera li i
pir. - di il Italo. “.... pil per istrazia, lo li, pr diletto
pigliare i: l si e Iſ) di Illesl e os º prendendo annni irazione...... il
II l r chi alla toll:I n. I),li (1. (... a Ella d'altra parte o il I e -
e clerlo; o secondo l' ill Iorli; i vi, i i miglior tempo del lo II e il
- mondi è mrendendo il li tl (. Il li l, l si o di non avvedersi di qll
st. a Tu puoi di quindi v lere il 1 l - i N si - li l Inattilla va
tlitto solo, prendendo di porto i. (illata Hilaldo e I liv. ri.I l ril, 1, E
molta ammiarzio i seco prendea, a Chè gli parea ognun fiero e gagli E \ -
jardo » l'ulc. Luigi Morg. a Ed ella Maddale: 1: il corti. Il nte la s lo [Il ',,,
- -ti e prese confor. to e disse: io farò come la Callanea ». Caval l. a Laonde
(gli diceva: Se io (Il test gli dis, la di me e.... le mi metterà il odio, e
cos l III li il l: l li, i « moll avrò ». Bocc.a Bergamino dopo il Illanti ril,
li ! I vi - ge:Idosi il lil IIIa l'', li richie a - I prenderà g
-dere a cosa, che a suo inestier partenesse, ed oilr a ciò consumarsi nell'al
bergo co' suoi cavalli e o suoi fan incominciò a prendere malinconia:
r ma pure aspettava, non la endogli lie: far li partirsl. Bocc. «... e
nondimeno di queste parole di Gesù presero un grande conforto nel.. ll or
loro». (.a Valca.e Nol) Vi si l a 1 i lil l e la coinsolazione li vo:
prenderete le! Seilt il'.... che egli non vi debba essere altresì utilissimo il
vedere....». Cesari. Senza questo, i lus, ira vºi li i ogni fatica, che ci si
prenda intorno » Borg. « La seconda cosa che e efll ace rimedio contro alla
disperazione, si è la virtu deila e ilterza, che la prendono vigo
osaliment. col) folt:ì e sostit ss i v. « Menagli questo cammielo e
digli che ne prenda servizio ». Cavalca. a E voi appresso con III e o insieme
quel partito ne prenderemo che vi pal rà il migliore ». Bo c.« Ora il n dl
avendo gia lº l l: presa grande amistà con esso loro, il tanto che lui si la l
util Vallº li l l'o, - zia 'liente per lì è Vedea no l el' fettamente in lei
Cristo abitare; per la qual cosa di lei niuna guardia o sospetto prende
anc..... » (. I v.: 1.« Di che la donna avvedendosi, prese sdegno, e...» Bocc.
« A \ onla I sta i presi -. 3 i ari. o Il re, o la - sciarlo a B) c. 5?
I V edi, a noi e presa compassion di te » I 3o o??”. La buona Iellini il
l Ill st V e del do, me le prese pietà ». 13o e. «....subitamente il prese una
vergogna tale che ella ebbe forza di fargli v II, il l l Il l3,Gran duolo mi
prese al cor, quando io intesi ». Dante. a l 'Il cavaliere la domandò, se ella
ne togliesse a fare un altro: rispose « che nò; che non le era preso si ben di
lei, che ella si dilettasse di farlo » IB() ('.« Con la piacevolezza sua aveva
- la sua donna presa, che ella non tro « vava luogo....». Bocc. (fatto
innamorare di sè). Prenderete subito tiltti a Iuliilli il re i tº o di
me... » l)a V, 'comince rete,23).Il quale facendo rumore, che molte strade
d'Italia eran rotte, e non abitevoli per misleanza dei conducenti e trascuranza
dei magistrati, le prese a rassettare ». I)a V.sol per onore di lui prendeva a
condurre quella, per altro troppo mai - e gevole impresa ». I3art.
e voltosi al popolo prese a dire in questa guisa ». l'8art. -.... stabilito
com'egli fu nel trono, pigliò di modo a preseguitare i Catto « liri
che.... » Segm.« Ed ecco che ella medesima prese a trattar di rimuovere
dall'Imperio « Neron, suo figliuolo ». Segn. « Anzi cred'io, che il
rigetterebbe la se, ed in cambio di voler più protog e gerlo contro ogni altro,
lo prenderebbe egli il primo a perseguitar » Segm. E così in piedi, prima
di deporre ancor gli abiti di campagna, prende a a fare una lunghissima dice
ia.... o Seg. Ti piaccia ancora di por niente ad alcune altre frasi
nolevolissime oi verbo prendere ed anche i cerli usi del derivato Pi esa.
PI (ENI) Eli TERRA – di una mare, approdare, alle ra e PI ENI) Eli MIARE – PI º
ENI) I.I è IP()IAT ().In quel ritorno g.i avv (-lili, di prender terra il C: la
lorº. I3art. e così le rinaio, alle ore il ſos - Illor: li sta gioli, prese
mare e navigo... » I3:ì l't.Erano i quattro d'ottobre, quando i nemici, preso
terra, e ordinatisi in pit squarire, baldanz si | 1 o il 11ti -- lo ii il solº
a li l e, si ill via l'olio al il 1 l l'olta rsi St...., l il l'1.
1 | | | NI) EI? (..AS.A SI' A NZ V ſe i nati e slanza, cºn l rai e ad albergo,
slan zare, I 'I? I.NI ) ERE I IP.ASSI o Nimili ). 4 a ci ritornò e presa
casa nella via... non vi li gitali di litorato le... » Bocc. a colsero in
gran numero chi a prendere i passi, e li ad avvisare di lui per tutto il
paese di cola fino al mare e l'art. a Floro s'ammacchiò; vedendosi poi presi i
passi dell'uscita succise Da V. « si spartirono chi quà chi là, e in un
tratto presero i passi ». Fiorenz. 1 l? l.N1) EIRE l'N SAI,T (). « e
posta la mano sopra... prese un salto e lussi gittato da l'aitra parte
Docc. I RENDERE UN VOLTO, UN VSPETTO sereno, allegro, soltre, giocondo,
grare, terribile ecc. UN MI \SCIIIO ARI)Itli e simili lari. ('('N. ecc...
l I (; LIAIA LA MIA LE - sbaglia r la struttlet. « Ma io mi accapiglio
teco, o Materno, che aver il ti la natura l'latitatº lº « su la rocca
dell'eloquenza tu la pigli male, hai cons - uito il megliº º il « attieni al
peggio ». l) V. 525. l'RENDERE Q. C. IN FESTA EI ) IN GABBC) – PIGLIARE A
GABBO. « Inteso il motto, è quello in festa ed in gabbo preso, mise mano in
al a tre lnovelle ». HOC ('. « Che non è impresa da pigliare a gabbo
Descriver fondo a tutto l'uni “ Verso Nè da lingua che chiami Mamma o Babbo
». Dante. I ]RENI)ERE SC)N NO. “ Aveano ciascuno per suo letto un
ciliccio in terra ampio un gomito, e lungo ti e, e in questi cotale letto
prendeano un poco di sonno ). Cavalca. I 'RESA – Pretesto, molico,
Anlass, V eranlassung) AVER PRESA, 13UON V PRES \ V DIRE A FARE – opportunità,
ap picco, buon gitto o l)Al? PRESA A...... r. l)ai e. a Sesto Pompejo con
questo presa di minicare Marco Lepido lo disse da ! ! iellto, lmorto di fame,
vergogna di casa sua....». I)aV. FAR PRESA. a Sono imbarazzo da leva l V
la colli e le centine e l'arma dura quando la r vòlta ha fatto presa ». l)a V.
Note al verbo Prendere 520 – E' il to take degli inglesi nelle note
forme: To take delight; to take pleasure; to take cold; to take a turn; to take
airs; to take a run; to take ship; to be taken ill; to take up, ecc. ecc.
521 – Conf. voce Partito, Parte l Il. 522 – Notalo bene l'uso e
costruzione singolarissima di questo prendere. Torna quanto al senso,
pressapoco, all'appiglialºsi, apprendersi di una cosa ad un altra. « Amor che
al cor gentile ratto s'apprende » Dante – « E veggio il meglio, ed al peggior
m'appiglio ». Petr video meliora, proboque, deteriora se quor). 523 – li
alla lettera il fangen (an lungen dei tedeschi. 524 – lnvece di occupare ecc.
Si dice anche « dell'occhio che prende un vasto ozzi onle ». Bart. –- l)i una
sedia, di un posto ven duto e simili, dicesi che è preso. 525 – Cioè in
cambio di far l'ol'alore fai il poeta.ne rarr Le vere Ha molti
vaghissimi usi, e voglio si principalmente notare i seguenti: I,EV AIRSI
IN CONTI? ()..... . Ma vedendolo furioso levare la r battere un altra
volta la moglie, leva º tiglisi allo incontro il ritennero, dicendo di queste
cose niuna colpa aver la do Illna.» BUcc. Coll dollnes a placevolezza
levatiglisi incontro, prese a garrirne lo e.... » I30 ('. “ La quale
veggelidol venire, levatiglisi incontro, con grandissima festa il l'it'eVotte.
» BO C'('. LEV. A IRE I)I V. ANZI « E non pareva potesse avere niti
il 1 Imedi, pensando che quel corpo del Maestro suo le fosse levato dinanzi,
ch'ella nol potesse vedere, nè toccare; e gri(lº Va..... » ('i Valt:a.
LEV AIRIE I)'INN ANZI V..... .... Veduta la alterata, e poi dirotta nel
pianto, parve da levarlesi d'in manzi e fare il rimanente per via di messaggio.
» I)av.a Pensonni che Malia il 1 ori il ciava a ridere e a Caltare, e a levarsi
loro dinanzi a quei clie la riprendevanº duramente, e non le stava a Illire,
sicchè costoro riºna e Vallo con Vie n1:1ggior dolore.» Cavalca. 600). I.I
V VIRSI IN SU PI: I RI; I \, IN (() \ | IPI A | NZA I ) I l NA COSA (Bart. (es.
! (50 l. I,EV VIXSI IN AI, I'() . ()h Imadre carissimi, noi ti
levasti in alto, perchè tu lossi Inadre di cotale figliuolo, e per lui.... anzi
quanto era inaggi ºre la prosperità, tanto piu ti profondasti in umiltà. Cavalca.
60?. I,I V VIRSI A VI () IR E I,I \ AIR IR l VI ()| è l I (50.3. LEVAR
MoltMORIO bisbiglio ecc. d. q. c. I E VAR POPOLO (604) « E ben liè....
alti esi non line o ani: Ived va le I' 1to l'lti l'll tºru si leverebbe a
rumore. » l3:i l'1.leva losi il popolo a rumore, andava ogni cosa a l ulba o
Giamb. il popolo della citta di Modena si levò a rumore gridando pace, e ('a
ccia l'11e fuori la Signo; in e solº l: t., V ill. (i.“ Alqualiti discepoli
s'avallo e (i lilda, e l'elison che alcuno di loro lo riprende Vallo le iniglia
lilelle, e ci lil e li aveva levato gran mormorio del l'unguento intra tutta
Itl lla g it sºli e i tutto indegnato per la ver gogna e Ile a V ed i VllI:I (I
V: l' ipells lni le si levasse un gran bisgiglio i le genti, e molti gri di V
le liti Illi e sa, e il ti? han:no In orto (ies Il Nazza l'en lo... (:)
V:. Salvo S i lº 'lzi non levassero popolo, attizz: tssero contro. » I3a r. Ciò
li rebl o I levando pc polo il Fuli Ine si era latto ill Arnull gucci, e il bel
tendo le rile: il lizie d l'ortogliesi a ruba, l'1 nave a fuoco, e la li1, V e
allo li l al t. LEVA IRI IN V VI \ | | | | VZI () N E ſe i protra riq lui
e l'iello il palese illello, le. - -s. I lilt lil e i parvoli; e nel se
greto rise! V: lui l', lo l ss, levi in ammirazione l'altissimi e menti. » VI )
l'ill. S. (il'. I l V V | | | | (()N | | (50), ll el l e levare i
conti. lle: vev: i l)i V (llll le ll ' o sospiro...., Dari LEV
VIRSI IN COLI le reti di lei la e meller sulle spalle .... pastore, e li e
o per la l a sti, il liti e riti o vandola, la si a Ievò in collo e le elle l
'i g! ea zii e les", l'ass: v.ti ovò un pover Iº e mio obbi lido lato, ed
egli si levò in collo costui e portollo in lei in luogo, dove egli il servi sei
mesi e lasciò la pace e la a quiet, sia per anno del prossimi » (vale a I,lº
V V | RSI I ) \ SI | )| | RI, I ) \ I ) ) I? \l ll l... l) \ I.l.(i (il l RE,
l) \ SCIRI V l.IR l.. e simili. . La quale non altrimenti lo se da dormir
si levasse, soffiando inco Inilli i.... a l?o. LEV Alt SI \ COIAS \
rale nellersi a fuggire relocemente, ed è bel modo di nostra lingua.lº dicendo
queste parole Antonio, quell'animale si levò a corsa, e fuggi.» (il
Villt':l.Piacermi finalmente inclilovare alcune altre maniere più notevoli a
dell'ilso: LEVARSI IN PUNT A l)I PIEI)I. e e la madre guata va se
fosse irreali, i fattori il suo dolce figliuºlo, e per a chè ella non era
molto grande, e levossi in punta di piedi, guatò in mez « zo degli
armati, e Vlde il dolce Maestro legato colle mani di dietro sic Irle l:1 di
o,.... » C: Va a. I,EV Al? E l) \ I, SA (IA ! ) l'() N | E l e il re e la
l I e Nilm o U.EV \ I? E \ I, S.V (IR() I ()NTI: II. N () \ | | | | I....
13 (I l (rli I.EV AI? SI I)EI, VIENT(); I3art. – LEVARE LA PIAN I \ ali un
edificio, di un terreno – I.E V AR MI I LIZIE – J.E \ AI? LA LEPIRE – I
E\ \ RSI AI ) IIRA, ecc. ecc. Note al Verbo Levare 600 -
Questo le rarsi al in nanzi al l gli In vede, ma l' tirsi, andarsene ecc. I
bicesi al che le reti si dannan si clicchessia, o levarsi checchessia dagli
occhi e significa liberarsene, sgra varselle. lol'selo di dosso.. (olle (l'eslerà
di darle, ella [ 1'0 verà sue scuse per le retrse lo d'innanzi. » Fier.Si
inile: le rarsi dagli occhi checchessiat: le rare cl i dosso. « Si risolverono
gli l'iorentini per bli. Inolo le rai si dagli occhi in alto e Iale ostacolo e
per millma) gilisti più confortarlo. a Stol'. Sonniſ. –- I)i le rarlo mi
l'ululosso Irli studiel'ò » L'occ. (01 - Simile: salire in baldanza. «
I)a si felice principio i litori salirono in tanta baldanza, come nulla potesse
durare innanzi alle loro armi » Barl. (2 - - ()sserva la correlazione (li
le rarsi in alto -– hoch lalren – e profondarsi in umiltà. 603 -- Simile
la frase: la r rumore di checchessia, indurre cioè a tu nullo. dare, da
discorrere, prorompere il disdegno ecc. « Il quale facendo rumore che molte
strade d'Italia erano rotte.... le prese a rasseſ are. » I)av. 604
Piaceini ricordare anche il nodo: essere a popolo, a rumore ec' ('.605 –
Simile: « lerare le partite, p. es. della coscienza con Dio. » I3: i
rt,N/lettere (Porre) fili a quegli degli prºl e lo sel degli inglesi isº
º lº gri, º l ' s ii del mettre dei fran i ' s I. Al ii l ' - I -
volgarissimi 629, nè la li si l sl i l pi. Ma sono alcuni
altri non corrono spedita reni e li - maniere poi di quo l | laii (i l I
t. ! ! - l - l - ss la gran lunatica, sa l' i crº, ci: ci - il - i e il
vago della frase il sisl ei s ci, il ss; li il sia, è ad ufficio e valol
e º il signi lº i - s porli il suo proprio let i r, i -: i i no del verbo
con altre pa i. \ I soli linelle, che anzi li li ii considerazioni
e all is | | | i l ! l sl glº: i \ | | | | | | | | | N A S.,
VI A V, l SU ). (All I I I I Rl, | N A | | | | | | | | | | | | | | | | V | V (il
l V l l ' Simili. mise cinque mila fiorini d'oro contro a mitic ',
i l. -, metter su una cena a lovella da re i.... l 3 -): l l.. i. - i i lo s; i
ti sul metter de' pegni pegnº tra loro messo loro, I, nºtito pegno i - i;.
- i l: i nei i ore il collo a tagliare, e i: lessano che la Verità l); i
V. : l l., (-. il \ | | | | | | | | | | ll piatti lº t'
('. I mette ld, e più forte illli, Va'. (I t si - 11: -, -1; I l -
e mai il tronco avrebbe i l: mettere I l il 1 fi...... (i In li vere - i
rii e assai lo il sull mettere e gel' moglia e o, Ces. 630)METTERE SIPAV EN I ()
- VI I I I I I E \ N I \ I () \ | | | | | | | |, A \ | | | | |.. AIETTERE A
VIVIII RAZI() N. \ | | | | | | | | | | N SI El ' () e Nilli lli. Cadde e
voltandosi i ra i ple li a 'a - e rite, messe tanto spavento e odio le i
soldati si li filº roi o li I ): t: Ig it li, eſ. Quel giovane.... fu il primo
a mettere in lino agli altri. I3e: 1. (ell. I ri vo:aggia li, confortarliQuando
Agricola mise animo a tre coorti Bavere e lui l ingi e di venire a alle Inalli
con le spade ». Da V 63 Ali (III, i se mettevi l'amore tuo. F (a Per la qual
cosa, vedendola di tanta buona f riliezza, sommo amore l'avea posto ». Bocr'. «
Con quei ti:lti lo avi In Irli d mirazione ». Salv. VI a ie. it - lo il I l s. :::
I l lit: i mettono inella moltitudine am. a me, miser pensiero,.lon gli
voles - Il tel rili lpe, pari o all'alltica. l tirar « d ll rallle 11ttº ». I
)d V.i diedero a pensare, fecero sospet e den Verdacht erregten 63?
\IETTIEIR AI.E MI ETTEI E r. g. Il PEI I; I \ N(\ | | TT | | | | V.. STIt II)
A. muggli, i niggili. MI ETTEI MEZZI e simili. l?el ſ to loos o il fiel (il
V al mette ale, l ' ll I, II ig. Vlorg. (figura, a III, corre col gra il
V el. it: “...... nel quale era e il ratto il diavolo, e -la s a costei
legati colle catene le malli e i piedi, e giti vi.. sº i e ai lo schilli e
strideva co' sl1 i denti, e crudeli mugghi e strida mettea, il 1: lit, che
chiunque l'udiiva spa. ve: lta Va ». Cavalca. Allora qllella
stridento, e mettendo grandi e crudeli ruggiti, lol telr1ente l'assilli.... » (a
Val n. º il 'tli la milizia lioli nello che l'eta avea messo il pel
bianco ». Bart. .... per la qual cosa non gli valse il metter mezzi e
pregare. Cesari. \I ETTEI N E. VI V | E. \ | | | | | | | V | | (i | | ()
\ | | | | | | | (() NT (). “ E (Ill si ciò fosse poco, come metteva bene
al suo interesse, ci si faceva girls ligia, dando ragione a chi se la comperava.
Bart. -L'esser bistrattato non e' in previlegio mio o....., ma di tutti univer.
saliente se onlo che il farlo gli metteva bene ». Giub." l'elisa ggiInai e
delibera a quale partito ti metta meglio appigliarti, ('esari.11on perhè alla
l'epillollica mettesse conto patire mali cittadini ». l): v. nè i
figliuoli, ma i rovinati; sovvertendo i cavilli dei cercatori ogni casa ». DaV.
\ | | | | | | | | | N N | () M ET l'EItE IN ASSETTI, IN Alt NESE – MIET I ERE
IN ESSERE di far q. e. MIETTERE IN CAR I \ zu Pap er bringen nel tre par
ècril – lo sel clou n. e se l e la III e li e il Ille, i nto Ittendeva a
mettersi in punto ». Giamb. il pll'esso (Ill sto lilli - misero in assetto di
lar bella grande e lieta est: l. 13,.l'ol le e- il ribe dato o lille con Colpo
del colle e del quando,e che e si luroli messi in arnese di cio che la eva l '
bisogno ». Fierenz. (si for I S il ('si il.... e – l llla la si metteva in
essere di baſ taglia. l 31 lt. l)a V.Irli la bisogno mettere qui in carta (o
poi le ll leo I contorni delle co -1 l Ilia l'ille..... o l8al t. V | | |
| | | | | VV () |, V \ | | | | | | | | V I \ V (V. lolla li l'al' e sl
per ol li tºlti mettevan tavola il s si.ora che l'usato si meteSser le
tavole.. \ | | | | | | | V S |; N V (\I | | | | | | | V l, A l' (C ),
Mll. l l'EIRE | N VV V | N | | | | V, l le 'il l Illia di Illesle lol o
l'agielli soglio li, i li; li il mettere a sbaraglio le la Vita il, (es. i vi
G3 istelli, minacciava di met ierlc a ferro e a fuoco, - t, sto lioli i l V lo
i prigl n. o l8al l. 635 l lº sa e con lì io, e, a disposto a metter la
vita in avventura, e lui e il venil -, al site Ina ri. l'8art. esporsi al
pe: i per i volo li lo del l - l at si \ | | | | | | | | V |, N | |
N | | | \ | | | | | | | | V | | | | | | V \] | I'l'll è l: l"N I)l S(() |
| | )| |, I N SI | | | (\ | | | V | | V,, Nim ili. Se.... I certo I
(lelli rebl.......... ll tiro e, e ogni forza use; per metterla al niente. I 3.
l.(), si va Il lino, si saprò mettervi a terra si reo pretesto. » Segn. N i
letto i ri; 1, l'a! di di l: i ve: Irle fù per mettere la repubblica, se I rsſ
o ll -i (V V in discordie C armi civili. l) a V.dols e si li..... ll e il V e
il messo (es al'e in su le cattiviià e risse. m l)a V.MIETTEIRIE (i UERRA,
CONFLITTI. discordia. dissapore, e va dicendo, tra cristiani, amici ecc. l)av.
Bari. Ces. METTER Por giù r. g. I \ P Al IRA, L'ALTERIGIA, UN PENSIEIRO,
UN AI3IT (I )NE ecc. - e tanto che, posta giù la paura del l e- e dei i
atelli e lii - il colore in tal guisa si addimesticò cl io ne ma qui e son: le
qu'il 1 l III I Voll. 13, a Pon giù l'alterigia e studi:iti di prendere
un viso ilare e gli vi e.» lº art . Pon giù i ferventi amori e lascia i
pensieri triatli o Bo MI ETTEI RE IN N ()N CALE \ | | | | | | | E IN I 3
ASS() - MIE I TI lº l: l N S() )() - MIE IT EIRE IN I () IRSl - \ | | | | | | |
I: IN IP AI ' ()|.I. Per lilla di lina ho messo E. ll 1 II lite in non
cale ogli i l el-i (. l ' ' 1 l'ill ('il.E chi, per esser salto virili solº
rosso, Spel a 4 ellenza: e sol lº l Ill Sto brama Che 'l sia di sir grandezza
il basso messo. 1)ante.«... mi par necessario definire prima e mettere in sodo
il sostanziale valore di alcune espressioni.... » I3art.Chi farebbe i re votare
i loro tesori, pr (Il ce ne Impi sotto la III i loro popoli, e mettere in forse
la loro maestà, se questa spera la non fosse? I 30.e in altro non volle prender
e I - i nº di lover'a mettere in parole se lo delle sue galli; la', e....
» I3o MIETTERE IN V.JA con.... \li raftivella, cattivella, elia non
sapeva ben, donne mie, che cosa è il mettere in aja con gli scolari.» I;
º cimentarsi, intrigarsi, avventurarsi a voltº la fa r, voler l' il cºlle agli
scolari, misura le sue forze cogli - METTER MI VNO A o per q. c. “....
e messo mano un di di noi per un tagliente coltello, e nella logli un gran
colpo...., gli spicca inno il braccio., Fiereni. e Messo mano ad un coltello,
quellº apri nelle reni, Bo 3;I All. N l VI (III (S \ () \ Q. C. - ....
pose mente alla sl i 1: 1. I s e, ponete mente le carni mostre e lui è
stallino. » I3 n. 1:. Ponete mente atroci spasimi, lil: se l: in lenti e
divili la li l: i les li Se i 1. Ponete mente effetto i li e le e il via
il cºsi della lor debolezza. E \ | | | | | | | | | | | |,((| | | SSI \ A
SI N N () | ) l...... (3,, e gli misi a suo senno, e iroli -
\ | | | | | | | S | A N \:3S \ | | | | | | RSl Al, l'ACElAE – \ | | | | | | |
SI SI | | NZ | () \ | | | | | | RSI IN | A | è (Il I (C.llESSIA – MIET | | | RS
| S (| | | V () | | | \ | | | | | | | SI l N V V | V. dal si misero al
ritornare.» Bocc. I rimisero al ritornare. l 3 al E mettiamoci ai ritorno. 4, N
-- li siti, si s Illal alle; te si posero al iacere. I 3:: 1........ i si metie
siienzio. l 3 l: i. () il l i VI inelli - la si mette al niego.» I ). l.le
sia l i lliesto. Meini. S'era messo in prestare Scpra castella, l in tre loro
entrate. » netiersi sulle volte e lo i leggi i ve. » l?ari. cioè, tor isl
l l: i veri il si per la via, l No!:l, si mise. » l 3o. \I E I I I
I I I I I I I V \ I | A PEIR VI CI N ) da e la sua vita per Nell'all. \ |
| | | | | | | | | V \ I I V. I V S \ NI | V. I l. SOS I \ NZE ecc. Udas le
ben (''.. ll l in 1 m., 'il bis. Nel ' ' li l: osi e se c'è bisogno,
mettiamoci la vita.. (i ll.(i e il (! ! !, il III le pose la sua vita per la
nostra redenzione.» (: v. l ':l.«.... e lui beato che fu il primo che ci mise
la vita! » Cesari. « Però vi esorto a passarli travagli per il lodo, le no, ci
mettiate della sanità. » Cal O. MIETTERE SU UNC), c) MIETTERI AI, l' N I ().
« è istigare alcuno e stimul i r, a dov e dli o la r il il na Inglilia o V
Il a lania, dicendogli il modo, lil po-sd. (del liti o lill la, o lil a.
i litº, - - si chiama generalmente commettere male i l a 'ti i liolo e ! Iltro,....
r Inti o al Ilici che sia imo. Val li Nola gli appellativi: commellinale,
un teco meco: « d'uli con melli a male, il quale sotto spezie d'amicizia
vada la riferendo i testi, e ora a quelli si dice egli è un leco nero.
Varchi. METTERSI AL TIEIRZ() I (C. I )].I, (il V | ) \ (iN (). e Andavano
dotto letti sto i rieg Li, messi al terzo e alla metà ! ! gli: - dagno, a
cercar le case, e le var i ti Irer -- las, i a o l'edità colltro alla
legge, i l): I V. Note al Verbo Mettere -. 628 – Eccone un saggio:
to set al monuſ li I linellere il niente: lo.. set ad usork (porre in opera: to
sel on llame li eſtere a fuo- - co: lo sºt sail nel tere vela: lo set aside
mettere da parte, - - " lo set one s self (imettersi a....: so se lo m in
l. ere giù - lo se out (metter fuori, pubblica e lo pul dorn por gilt,
nettere a terra: lo put in u riling In Ilere in isc l'illput in mind mettere in
alti, ricordare i to put a question; lo put to death ecc. ecc. 269 –
Mettere in abbandono: nelle e tulosso una cosa ecc., nellere le mani adosso,
mettere sol lo l'armi; mette i si in tla i mº; mºl tersi a correre: mettersi,
porsi in animo di 'jar checchessia: mettere in campo; ecc. ecc. i30 –
lndi l'appellativo messa, pallone o germoglio della pianta. « Quel rigòglio è
pur vago. I rallo e l'odio dal soperchia che fanno le mºsse degli alberi,
essendo il succhio... Cesari.Analogo al mettere delle piante è l'altro modo:
mettere pr - sona, cioè crescere di corporali Ira. 631 – Si dice anche,
con valore di egual significato, dar animo. Il modo meltersi in animo di far 1.
c. vale proporsi di farla ». (5:32 (5.3.3 (3 (53,
(5.3(5 (5:3, io m'ho più volte messo in animo.... di volere con
questo nu ſolo provare se così è p. Bocc. Conſ. avanti Voce Animo. Neh!
questo metter pensiero non.... è ben altra cosa che il mettere in pensiero.
- Avrai avvertito differenza i ra il meller tarola (a, e metter la
tar'ola. Il primo è la r lanchetti, dal pranzi, il secondo ap parecchiar la
tavola. Sinile mettere a repentaglio - Giuberti adopera il verbo git lare
ecc. • Pronto al meno no cenno di gillare ad ogni sba l'uti/lio o. Noli
ricol (lo si allo stesso modo e valore siasi mai usata la rnia nelle e al
sacco: Giul), ed altri l'adoperano in senso dii ripio, 1 e, mette da parte, far
tesoro. « Debbo saper grado al Padre Curci che non abbia sdegnato di mettere a
sacco la lingua e lo stile delle mie opere. Giub. Melte mano in
checchessia o di lar checchessia significa co m in cicli di palla rue e c. Col
I Muno (al). 2. (Se il m o l?a l'1 e I. Al clersi al ritorno re, e
simili, è il laniera elitica e vale accin gol si all'azione, all'ill, presa
del..... Mettersi o porsi, in ge le tale, e la r q. c. è all rolla e che il
cori linciare, apparecchiar si, porsi nello stato di farla. Si dice anche
mettersi coll'anima e col col lo t... (Si mºlle con l'anima e col corpo al dice
al la r l ich '5 st. lºl'. (ii il d.Re care Sil primo significato è il l
di poi la e, si rire. Il talu, i (Illali cosi' io llllle di ſua coli n e o di
votarne il recai ed holl 1 e... 13oº'. e con il significa i resi in li lig Il
al miele a recare d'una ill alil a liligi la v. ecc. Mia poli III lil al
li isl 1 l issi di quies era, e il I rili li alle 11 la Iliere: lº e' st e il
no, una cosa ci l 'c li ºss lat, a far lecci es. sia, recarsi a....... liele
Illilli il V e io i reati e sigilli, i ſilando condill re, ridurre, indul re, e
quando i riliire. I l...., il V (l e va dicendo). .. li Ille-t Il l: l ' 1
tl i i l: - i mini recasti. I3 o 20 I - I i ls ' il - l si l: recarsi a
condizione di privato. a (a s. .... sol che esso si recasse a prender 11
glie. I3. Vedi modo e sappi -, oli di l: parole il pil i recare al piacer mio.
13o. II lis- 5000 fiori il loro i litro a 1000.. ll e io la sll, di reche a rei
a miei piaceri. I3o.il Vello già liledira: o gli animi d i s.it i baroni, e
recatigli alla vo glia sua.» (riallil,I ti: l l'orri i- di 1. I l s. vel. l i
r, casse la madre e prin cipi e..... a dover esser cori I lit ' (1
- i Qllesti recando a suo proprio quel con il Villlierlo di I o Izi, a
poco si 1611 le clle coll..... » I Bill'1. - - l'eputaldo, considerando
sullo la r pri... e Ne recava a prestigio i miracoli, e la santità ad
ipocrisia. l?art. attribuiva, o aveva il conto di..... a recava la mia
rettitudine ad ipocrisia. (iiil lill).. niun altro l'olila 11, di sua grandezza
il V e il V l Ito dlle lipot i il ll 1 i corpi, recandosi le cose ancor di Iori
il la a gloria. Da V.«... lle v'è uomo che legni di fir se Vilio della slla
persona che sel reche rebbono a viltà. » I3:1 rt.Mangiavanº i carne il venerdi
e il sabato, e come cosa orali ai passata e in usanza e comune, nè a coscienza
sel recavano, nè a vergogna. Bart. 52, « Non si recava a vergogna di fare,
bisognandolo, l'arbitro con lo dal la belti.... » Balt.« E dicesi nella storia
di Santa Marta che non sia niuno che creda ch'ella desse il corpo suo a ſanta
vergogna: chè quello unoli lo sarebbesollel to, le ll I ratello cogli altri su
i parenti e amici l'avrebbero e li al celata, impero, le se l'avrebbero recato
a vergogna.» Cavalca (528) E vi sara cli per contrario se la rechi una carica a
piacere, a premio, a riposo, e.... S -:).e generalmente o il lancio, il ril ci
rechiamo ad un genere di empietà e offesa a qualsivogia a ilmale, quando egli
non ci dà noia?» Segn. ll – e le: l le, Fi, al di l orlìa 1 di sl, ll la l'ott
1, e 11 in fillelllo d'in sse; li t. It con 1 l ils: l ', no; i clle Vilì c'ere
i - ilì molte haitaglie, ne recò a più alto principio la cagiona e oltre
- io ho veralmente era, i sse i ll, si era il V V ei lilli, il vi: ill, 'i. I l
i pic lo es reit, del re doll i – l. e/ se \, Va. l. ; le I) i l
rist l li, a. l sei za niun risparmio, N si | | | (V.I RSI | N S.
il strelto alla 1 si sta i ltto in se mediesimo si recò, e con sembiante
1 a V e a 'e ll it l aºs i tre lisse l3, i li. | R |,(V | è SI IN VIA N ()
| V | | Si VI \ N () I RI (AI SI IN (() l.I.t ) (| | | ((II ESSIA \ oi vi
recherete in mano il vostro coltello ignudo, e con un malviso e tilt to tu balo
V e l'anall et g ti per le sca', el a idrete dice: do; lo ſo lot, il l)i lle o
il cog el'o... l ' ve. I 33llfli liti o recatosi in mano uno de' ciottoli elle
1 a volti a Vea, disse: l)el V ed si -se egli teste nelle l e lil a Calandrino,
e:... o I 31...(olli e il li elobe Il., 1, li lega i recatasi per mano la
stanga dell'uscio, lioni e sto prima di latte. Il 1 le pel si la stanga le
raddo di malmo.» I el l /.e recatosi suo sacco in collo riposo ni li che egli
ehloe vinto il ſolito.... 13: l'I. l: I VIRSI CO) I I ESE teme le
mani al petto, per riverenza, di rosione, piu'll. i let: Illesi, e latto,
recandosi cortese disse.... » Sacch. | V | | | IN |,l (I Iſetti, il
gran tempo, sia i mas osi, ci appare chiamo a recare in a luce o all's Licht lo
ingen). Giamb.r- a - li ECARSI UBBIA DI....... « Per dilungarsi dal
morto, e Iliggi l'ubbia e le seri prº si recava le « Inolti.» Sacch.
IRECARSI A MIENTE (Itidui si a memoria, sorreni e. a Và, e non volere
oggi mai piu pecca e. Recati a mente, e vedrai che.... a I Passa V.Onde meglio
è, sostenere la vergogna degli Iloii, Ini che quella di Dio, a recandoci a
mente (Illello che dice la Sci Itt il ra 11 l lilol della « parlando in persona
di coloro che il rollo di risori, cioe Sapienza, is ll terril itoli le
giusti; i (It.all.... » l?assa V. IRECARE IN I N ) nellere insieme, a
comunanza, in cui molo, la re un fascio ecc. ). « Voi siete ricchissili,
i giovani, li lello e le llo, i soli io: il ve voi vogliate a recare le vostre
ricchezze in uno e in lar terzo possell: ore oli V oi insieme e di quelle....,
senz'alcun fallo mi da il cuor di la, e, le.... Bocc. l? EC.Alº:SELA (o
anche recarsi assoluta non le maniera elettica e ralle offendersi, pigliare il
traie, pigliare in offesa come falli a sè, o coll'a blatiro della persona, o
coll'espression della cagione ecc.. e recaronsi che gli aretini avesso i loro
rotta la pace, a V Ill. « Checchè egli l'abbia di III detto, io no, voglio, che
il vi rechiate, e se 11oli corile da uno ubbriaco. o 13, la consideria oli le
c, fatta vi da un ubbriaco). -in da 11 a V I Nota al Verbo
Recare 526 – Simili i modi: recare a fine, a perfezione checchessia cioè ſi
nirlo, perfezionarlo, recarsi a menſe, recare in uso ecc. V. il presso.527 – Nota
qui la frase: recarsi checchessia a coscienza, ciºè lº ninrderne la conoscenza,
e simili.52S – Così dicesi recarsi checchessia a noia, a onore, a Ilºil, º
lº rore ecc. cioè stimar nojos, ecc., reputa il “ Mi liº una grande
ingiuria a stili, mi di si p o giudizio che ll il mi debba ripulare a
farore, che li esser N. N. si degli di stºri verini ». Cal'.F corta re Al
l lano i rili Is, elellico di portarsi per portar rici. Qui vogliº lisl
rilenzi, il re alculli usi notevolissimi e ina niere assai fre le li sºllia per
il la ai classici quello che li li fa il moder li e poco spello del pari tre
latliano, cioè l'uso del verbo portare a va lore di esigere, richiedere, in
prorla e, comportare, sopportare e simili; e le maniere: portati dolo e, poi,
la r no a uli che chessia: portar osservan sot, onore, ricerca sa, l ispello a
lui li sssia, portar amore; portar pena: portar per i lenza; portati pericolo
di al'.... poi la r il pregio valer la pena: portar opinione. I rl (es. porla
in pace checchessia: portarsi d'ai il no e Val di elido () i noli e gli
ºri Ilde - i tizi ile, lollo prº sstuma oltre alla sua forza, e fa cia le
imprese piu che non porta il sito potere? » l'assav. e lº sta che i polelli
ssilli dispor di lei, e se non quanto porta e il dovere. » (all'o.Nelle
passioni l'a lliIl r. Il liti S.s: lite portar dov: ebhe la sua lla il ril, lIl
l.. ll la V, º l?a l'lo.Il segreto della profondi - si lli: za di l) lo
portava, che solamente dopo 10 secoli.... » Cers.a Vennero le due g lov il
lette il dile giallo) e di zºld º do bellissime con due grandissimi piatelli
d'argento in mano pieni di varii 1 litti secondo. lle il 1 l... loli portava. o
lºMla io credo IV e ne dett pil re assai. A |fe si a quello che porta il tempo,
11 le lilt:: via l il 1 l Ces. I:i natura del l s i porta così e io, il -
e lº può altro. » (-. Non portavano quelle idee che egli dovesse avere presto
un numero « o d'i!) finite V i..... » (' -. Conservate il vostro, lion
spendete piu che portino le vostre facoltà, fuggite i vizi, seguitate la
virtù. » Pandolfini..... questa volta parmi aver la cosa certa che il sogno
portasse che... Ces. a Portando egli di questi cosa grandissima noia, non
sapendo che falsi, propose di averne parere con mosse lo prele. » Bocc.
So, i testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che le neva
di farvi grande. Caro. l'ex donerà questa inia presunzione all'amore che
le porto da fedel solº Vito l'e. » (art). ... i quali del giovane
portavano si gran dolore che... » loce. « E bene bisognava ch'egli li
fortificasse, chè da ivi a pochi di avevano a a portare smisurato dolore. »
Cavalca,« Di che il padre, e la madre del giovane portavano si gran dolore e
malinconia, che in aggiore non si siria potuta portare.» 13o.« Ma Iddio, giusto
riguardatore degli alti il merili, 'e mobile Iemmina - conoscendo,
e senza colpa penitenza portar de l'al: ru pe cato, altra mente dispose. »
Bocc. - « Percio' lì è quando io gli dissi l'amore il quale io a
costui portava, e la dimestichezza che io aveva si o, Irli capo II li spaventa,
(livelli loin l..... I 3,. le all o!' « E da quell'ora il li illzi
gli pcrtò sempre onore e riverenza. » Fioret I. E 11 lì è da falsene il
raviglia. I lil pensisse lo sterminato bene ch'el leno portavano alla persona
sia o C i va. a. « E se il confessore lo riprendesse dei suoi vizi, porti
lo pazientemente: chè sono inolti che, per essere tanto umili e gli isti,
spesse volte si biasi mano eglino stessi: ma se interviene, che altri gli
riprenda, non lo portano pazientemente, ma iº degli I no.... » Passav.«....porterà
espresso pericolo di riceve e vergog:i e dal lillo., (iia lill). a
Sfirmiamo che pcrti il pregio rilett: s tl dl Ill st luoghi. » Segn.
a... lion portava il pregio ch V | V I rom pesi e il sonno per risponderº a III
e, di cosa massimamente chi lilla II, II i V a l o Ma sai che e'
portatelo in pace. » I 3. « So tu ti porterai bene d'altrui, convien cli altri
si porti di te, e Fioretti.Ajutare L'aiutare dei pochi esempi che qui
arreco non è l'ordinario e comune di presta aiuto, socco so (ail lelen, ma si
rassomiglia al to help degli inglesi, nei costruiti fig.li lo help forucard, lo
help of the time, to help lo ecc. ecc., e dice cosa, in generale, che cresce
altrui virtù, o dà I nodo d'operare. Noterai ancora i nodi aiuta, e alcuno,
aiutarsi da chec chessia; aiutare uno di una cosa: aiuta, si al lar checchessia
ecc. “.... e che l'Inilia cantasse il na. il Zone dal Lillto di l)ione
aiutata. » Bocr'. (guidata, accompagnata.e Ritornò si notand piu da patira, le
da forza aiutato. » Docc. sorret to, sospinto j.Fa Itisi tirare a paiiscalini
ed aiutati dal mare, si accostarono al pic ciol legno. » Bocc. sorretti e
sospinti.Ma quel povero Iritto, per aver a con le tar troppi vervelli, e di
varie e mature, spacciata Iriente si inti e di l::i i: si iroli e forte aiutato
di lavo a recci e di concime. l):tv.« Al lllla lolloni - e al 12a lo! ese, e il
lile!:l ajutaio, lº rese nulov, con siglio. I 3 r..... llQlle - le parti si
posso lo aiutare e collo balillage e co.i soppalli.» Fierenz 571).E se Illesio
può fare il senno per se Inedesimo, quanto maggiormente Il dee 1are chi dalla
opportunita, intendi necessita e aiutato o sospinto.» l30 c.Ajutava le parole
col piangere, col darsi delle mani nel viso e nel letto. Se n. aggiungeva
Virtti alle parole.Ma se il lla pl o la par li a lia del celerino per via di
medicina se ne a prenda, con lierà lo stomaco, e aiuterà la Virtu digestiva, e
farà buono il lito. » Cl es.. ll orrera a rinforzare, a ravvivare, a
promuovere). « Per fare ancora i vini piccanti, saporiti e dolci, aiuta assai,
dopo la prima sera, che siell 1messi... i grappoli inel tino. Soder Vit. (gi
va, adopera. Tuttavia, se la pers, ma fece quel cle eila potè, e non ci
commise ne e gligenza, e ledettesi a vel i- il mio confessore, la buona fede in
questo caso l'aiuta, e 'l sommo sacerdote lidio compie quello che mancò nel
de fettuoso prele, o Passav. A.IUTARE I) A CIll.CCIIESSIA, E ANCHE
DI CIIECCHESSIA. « Vedi la bestia, per cui io mi volsi, Ajutami da lei, famoso
saggio e Cln'ella mi fa tremar le vene e i polsi. » IDante,(difendimi da....
()ppure maniera clittica: aiutami a fuggire a difendermi da loi).« Or ov'è 'l
naso ch'avevi per odorare? Non ti potesſi dai vermi aiu « tare? » Jac. Tod.«
Anche::lolto è da col Sidlerare e da Il 1t la Vigliare che, essendo solo, tutti
i 11 st.li idoli gittò il: tel l'a, e iº li ill la cosa gli poterono luocere,
nè da lui aiutarsi. » Caval. (life! 1tlersi. a Pero ('ll è: i Frances lli
non atavano li Romani dalle ingiurie de I,OIII e liardi e dei Toscani; ne
il Pap 1, ne la Chiesa l ' tiranni che lo perse a guic 11t). » Vill. (i. 572.
e lo fo voto a Dio, l'ajutarmene al Sindacato. ioe d'aiutarmi da que sta cosa
al...., o di li, 1 l'ere, il ll'ajuto le l...., Boc.Io vò infino a città per a
illla m a Vi enda, e porto queste cose a Ser a l 3olla corri d' (i inestre, o,
c le m'ajuti di non so che nn ha fatto richiedere per una comparigione.... il
giull e del dificio. Bocc.a Sempre o poveri di Dio [ile!!o che lo giadagnato ho
partito per n mezzo, la lilia Ineta col Veri e il l is tra Iletà
dall do loro; e di ciò m'ha si il mio Creatore aiutato, che io ho sempre di
loelle ill me - glio fatti i fil 11 l inici. n 130. e Alberſ o d'Arezzo
era te ! 111 egio, le per delolto il quale gli era addolmandato e mitra
ragione: onde e si ra Intl lido a S. Franco che di ciò il dovesse aiutare. » V;1.
SS. Tad. A.I l I'.Al ' SI A...... a.... Ti o, ipo -olio rimasto dei
lise le mie speranze: III lºt'e Voi, lìoll O sta inte si g l al lilot I V, di
rai VV i dervi, il V e il test i pillttosto a prevaricare, e non vegognandovi,
quasi clissi di al collo la lite ingorde, indisciplina e, le quali allora si
aiutano a darsi bei tempo, era pola 11do per ogni piaggia, carola ndo per ogni
prato, quando antivegg, no che gia sovrasta procella, Segn. s'ingegnano, pro iº
lo trachten, tàchent). Nota al Verbo Aiutare 571 – Parla del seno
delle donne che per parer più pieno si può..... 572 – Così l'ediz. fior.; – La
Cro Sca e La stampa delle Soc. tip. Class. ital. leggono un po'
diversalmente: lion atavano (aiutat vano, nè liberatrano i lio mani. S e
ritire \' illo solillo al Isi pi ii e in no comuni oggidì. Si ado lº' i
''l ct ''l Nºttso, il gºl l pprensione, coscienza, notizia di chec lºssli, li
guardi come il latº glise. Nota i nodi: sentirsi, sentirsi (il capo......; Nºn
li re dl il 1 l gelsi, avvertirlo, la r sentire ad alcuno; N. il lir (le'l gli
e' cio, li ul, l'', l'a mia l o ecc scºni lir bene, mi alle di checchessia, e
simili. lo soli i ll ella sento di me., Rocc. \ V e i tit Illa ira solº
ai la lollia le quasi non si sentia. » Bocc. ll (Illi, le si alte: il letta
ogni parte del corpo loro avea considerata, lls, el l -se deli a Illa, le chi
ai? I n l'avesse pulito, non si sarebbe sen tºto. » Bo se al 1 o l'avesse punto
mi li ne avrebbe avuto il senso). l) l'1 e le lla I d glli il test i e le ii
senti al capo. » l3oce. I me ne sento alla borsa. (... ll I. S. Bernardo
di e li mi ni loro stupido e che non si sente, è più di º ll I ligi
la lla Salt l' 1 ss. l 1 no li il senso li sè stessº, i. (olli lel quale - la i
vizio della super leia, e non si sente, cade nel V Iz lo lella lissili la
del' 1 a 1 ne, e I diio palese il suo peccato, acciocchè la co. fusione e
la nla li la lel peccato brutto lo fa la risentire, che prima er: il
sensibile, l ' s sv. \ V e I talit ezza per l ' s lllite dell'allina, che
della morte del si sentia niente. ti i.a Il rumore dell' 1 al 1::: van ls li a
grande, e quello che più lor gr. l V il V a el.. ll e-- oteva no sapere, il l
ossero stati coloro che i pita la V e vallo. VI: (li, il l Illa 'e liti e le
atl a il no altro ne calea li in aspettº i di li lov erlo in Ischia sentire,
fatta armare una fregata, S I \ i ll lito. (... l 3o. le: le [lli li
elite, e con le addormentato il sente, cosi apre l'uscio e vi sene dentro. o
lºo ('. \la poi che ella il senti tacer disse: o l?o « Non potrei sentir cosa
alcu ma che mi osse più grata, che ierl'esser le!la slla lollolla gl azil. » (asil.si
mise in cuore, se alla giovane piacesse, di far che questa cosa avreb be per
effetto; e per interpositi persona sentito che a grado l'era, con lei si col
venire di doversi e in lui di IRoll la fuggire. » l'8o c. 529). IPer io hº se
rigli' rdat, v'av: ssi, non ti sento di sì grosso imgegno clle tll essi Illella,
oliosi ill to rose, che.... » l'80cc,I a giovane d'esser pil in terra che lº
mare, niente sentiva. » IBoce. (530). (ollo il tavola il solitº l'olio, così se
le scesero alla strada, o Doc C,e Senza farne alcuna cosa sentire al giov., III
- III Ise o il via a Bocc. “ E col mandato alla lor fa nie, le opi: ' viº, per
la quale quivi son trava, dimorasse, e gli 11 -e se a 1.1o v In Is-e, e loro il
facesse sentire, tiltlc e sette sl si vogliarono i l ent: i l el laglietto. »
I3o.\ Vvellº le 1:ll' 11 Ille cl, (.ri, e' o, (Irlino al palo con un stio a
Inico a ce la I e e fatto lo sentire i (i la l.lole, compose con lui, che
quando un certo enno a esse, egli vi -- e troverebbe l'uscio aperto, La
fante d'altra parte lui nte di Ille- o si prend, fece sentire a Minghino clo
(iia corilino l:ori vi. ilava e gli dissi » Bocc. Venuſ o il dl si
alleint e l -sendosi a Vl: ddi le ha 11 ovata morta, III rono alcuni clie per
invidia e l dio h a l gli tto portavano, sul lita III ()11 (:il l)ll a l'ebbero
fatto sentire. » le non si ppiendo per il I | tergli presta mia disposizion
fargli sen tire più accornei:unc)lle cle per te. i ti collinettere la voglio
13o. « Come il sapore del V Ilio vo clio, che per vecchiezza sente
d'amaro....» Sollec. I Pist. 03.Non era nel bilono investigator. l i pieni a
ve: la borsa, che di chi e di scemo nella fede sentisse., I3o.a Io il quale
sento dello scemo a 17 i che lui, lei vi debbo esser caro.» Bocc. « Ed oltr'a e
io disse ti co- li questi - la bellezza, che lui un fa. s|ilio) ad Il dire.
Fl'ite \ Il melt, li costei sentiva dello scemo. » Bocc. 531,. Ttl st -:)
Vissililo, e riel; e se li I)io senti molto avanti. » I3t) 5.3?). Vll'ill ontro
chi, colli e tº. Sente si poco avanti lelle slle file desillo e se, che di se
goli si ricorda, nè sa qual si vivesse sotto gl'innullerabili stati e che nel
decorso dell'eternità ha mutati, segno è che.... » l' irrcllo morl) sente molto
avanti nelle regi lli delle bilolle e l'eanze.» (i illlo. a S. Greg. S.
Agost., S. Ambr., S Girol., che sono i quattro i principali dottori (li Sa.'lta
Chiesa, sentono tutti concordemente l'opposto. » Segn. e Cerf:n ci sa è, che nè
lileno i suoi ni: i levoli stessi ne sentono si empia mente; anzi molti ancor
de genili lo reputaron profeta di gran virtù.» Segui. a I Jacobiti sollo (l'isti
a 'li...., londillelli) male della fede cristiana Sen « tono. » IPºtl'. lloril.
ill.e Della provvidenza degli Iddii niente mi pare che voi sentiate. » Bocc. «
Allora udi: direttamente senti, Se bene intendi perchè la ripose Tra le
sustanze. » Danſe (Par. 24.).e Ciascuno studias-e sopra la questioni della
vision º de Santi, e faces a sene a lui relazione, secondo che ciascuno
sentisse, o del pri) o del con a tro. » (i. Vill.a Del suo pelo del cavallo)
diversi uomini diverse cose sentirono: Ima s pare a più. che baio scuro è da
lodar sopra tutti. » Cresca Questo Inedesillo pare che senta Santo Agostino,
quando parla della « l'esul'l'eziolle di Cristo. » Vled. Vit. (r. e
Virtù, dice, è diritta niente di Dio sentire e dirittamente tra gli uomini a
vivere, e operare. » Caval. Conferisca gli tutto quelio le ella sente,
come farebbe a me proprio. » Casa. Nota al Verbo Sentire 2!) Il V
el'inchineri dei tedeschi: Analoga l'altra frase (v. appresso): la c all rul
sentire chi ce li ossia cioè operare fare in modo che la non i via Venga
il suo l'ecclli ecc. lo 0 lo che li on s. Il ll grazie del 13 o accio ed
altri), osservava qui il Valiolli, e ne sono del III to pl Ivo, avrei detto: «
La gio valle non si accorgeva se fosse il lerra o in mal'e o, il che sarebbe
dello gl. ss lallali e rile. Il lºoccaccio, invece di dire: non si accorgeva,
dice: nien l Neri li ai clie è molo di dire più scello; e disponi le parole il
selli e lo ſullo con molta mag gior vaghezza. Zali ell ' e io li a Lib.
I. 53 | Noli e ulivo re: Senli, di scºm, o v. g. nella fede) vale nati l'
aver diſello di.....; e sentir dello scemo è aver poco senno, aver la
qualità di clil è scenio. Sentir dello scemo stà da sè. e senti di scemio è
predica o di checchessia. Analogo a questo sentire è il sostantivo
sentiva della nota fra se sentita di guerra. 32 .... mia egli con
miglior sen lite di guerra, si era posto in ag gilato dietro alle spalle di una
montagna, per rammezzal loro la via, e cogliergli improvvisi. I
3art.Stare Lascio le definizioni, le discussioni, lascio i numerazione di
qlI clie cose che o tutti sanno o nulla montano – che uscirei del mio assunto,
e troppo vi sarebbe che dire a voler anche sol accennare a lui ii i modi e
forme particolari dell'uso di questo verbo -, e mi starò contento ad ilculli
esempi lei quali il verbo slare è ad Iso, e ad Ilicio di un valore che lnai o
quasi Inai nei costrulli di una locazione moderna, cioè di chi solo sente e
pensa moderna li crite. Noterai le forme: slare checchessia ad alcuno,
per convenirgli, osser gli dicevole anstehen, zustehen, ed anche per costare:
stare bene per com venire, meritarc. esser ben disposto: stai si, stare per
astenersi, rimanersi: slare (di checchessia per alcuno, per non essere, non
aver luogo per call sa di alcullo: slare uno, due giorni ecc., per indugiare:
stati si bene, ma le ecc. per contenersi: slare, assolillimetile, per non mi i
versi stati e di clie chessia, per essere il ſiles', ei lo slalo, condizioni e
cec.: slal e a lot I e cli ºcchessia, cioè il dicali e il l IIailili di azioli
e le siglli ſi alo del Vello che seglie ecc. ecc. I qui li II lotti per i
clie oriev - olio i 't alle donne stanno che i gli uomini, il quarto pit. Il ti
line e le agli il fil III l Iliolto par e la re e lui lg, si disdire. I3o.e E
sev o volete essere di quella legge - se il loro, a voi sta: Ina a valli
lle...., I 3 s -1 el l 1 l el Ill 'le) l.Sillito la vo' veller', s', la dovessi
la r per III: li o lil II rini, che la a non mi stà. » I, rºll Zo di Mleclici.
V el l l ll: l: l s;ì l II e Il non mi Sta. » I 3,. Bene non istà a lei
il clillo. A | V era la III gel'' (la ril - il sil 1 e il il ti (Il'io Sollo,
'1: iStà bene l'attelldere il d all1, l'. » l 3 m. Frate, bene sta, io li e me
li di roteste cos Ill:..., l o '. Frate, bene sta; baste: ebbe se egli li
avesse ricolta dal fallgo. » Do. S78. e Io non son ancilllla alla quale questi
ill: la III o almeniti stiamo oggi mai bene., Bocc. -i al ddi allo).2ssendo
egli bianco º bi º 1 lo; e legg l'1 li o molto e standogli ben la V li il l30
('.e io potrei cercare luita Sie:a, e non ve ne troverei uno che così ini a
stesse bene e me quiesto. » Docc.« Avendo studiato a Parigi per saper la
ragioli delle rose e la cagio: a di esse, il che sta bene il gentile lloli 1..
l 3o.« At colleerò i fatti Vostri (i miei il III: lliera e le Starà bene. »
l'80. a La qualcosa veggendo Stecchi e Marchese cominciavano a dire che a
la cosa stava male. » l'8o c. a.... di che noi in ogni guisa stiam male
se cosl li lilllore.... » Bor ri troviamo a mal pallito).dis- l' ill V: e se
avviso lui Ilai non doversi la a veduto, avesse: ina pur niente perden a lov i
Si Stette. si aste i: il liss 1, il rio - a listelmell I30 ('C'. N isl, li lev
si stava.. l)av. N si s si s i s; i liss.. - Si stesse, e l'80. lº l' 1: v. I l
il sitº Il le stessero. V...:lle cessassero, si fer Il luss (l ', --
ero (i a noi o non istette per questo che egli passati alquanti di, non
gli r! Inovesse sin – li pirole l 3. Per me non iStara -: i sia. » I 3,
cº. l' egali dolo, l e se per lei stesse di non venire al suo contado,
gliele si li, ſi iss, l 3,. S!),. Senza troppo stare t a il lino e
il territo visto gli rispose. » Bocc. - il 1, sich lange besinnen).l ve: i IIIa
pe: il nº te i ni ivi e no 1 po' Stare un giorno che li ssi. 3,Siette al quanti
l i renz. l i no in Stara molto i l:ì l's il 1., l lel. Stando pochi giorni....
l l as it giorni. Ne stette poi guari tempo e le si. la Iltale della Illin
molte ful lieta is: l BtNè sta poi grande spazio le elli, si ni la Giustizia e
la potenzia il I I ) I V - -, l sºl l e.. l 3 SS0'. l I e Ilio - li - Il
d. si iellza stavasi innocentemente. » Ca \ si... li o 1 i vasi. lº, e lo
statti pianamente fino all'i nia tol nata.. liocc. (.l, polendo stare,
via, - ius o è he mal suo grado a terra: i l ier'.Compa il lato l'opera sta
altrimenti che voi non pensate.» Bocc. L'opera sta pur cosi, ti i sa. I l
Vtloi, stare il II; eglio del miº lido. » lºt,E relet, porrete irrente le carni
nostre come stanno.» Bocc. Staremo a vedere, olle V i governel e le,
Calo. Se volete chiarirvelle state ad udire. » Se n.«Che dunque mi state a dire
non aver voi punto i rotta di convertirvi.» Segn.. « Non mi state a descriver
di I lique il ll'Iliferi, caverne oscuro, schifezze - º stomacose. »
Segn. 881;. - lºra i liolli all'i lli li col V e lo slal e' gran parte
moli e dell' Is Ilo ſereno: STARE CONTENTO A QUALCI E COSA con lei la
serie - ed egli rice! cò almorevolmente. La basso che stesse contento a
dazi ordi a mari. » (iiali. - e Ma siccome noi Veggiano l'appetito degli
uomini a niun termine star e contento. » Bo(C. « A me li li pare buono
collli, il quale lo ista contento al suo pro prio. » Palld. STAIRE
SOPRA SE In ne halten SS2, a Alquanto sopra sè stette e cominciò a
pensare quello che la dovesse o Bo), Li Volse dire, senza pit | ns. vi
clie e - e u ss (Il 1 l: proli: tt i Vl a guardandolo fis, nel volto, per V del
e se egli diceva la V cro, le venner a Vedliti quegli occhi spal V n1 i ti...:
stette sopra di se e li e però disse: l'otrebbe esser clic... Fierenz.
ST'.\ I º I, SU I,.... - - ST AIR E SI |, (il V V | | | | | | | | | ((I (). (sillli
| | | 3 (- ST AIRIE SU LA RIPI I \ZI() N E. SI I, IPI N I () | | | | | A (VV
VI.I.E I? I A, I) EL (()N V EN I V () I.I. - SI' A | ' I SU I. (VNI) E
c'e'. a Stavano sempre sul contradirsi e difendere la propria lt - i «
Inigliore. » Bart. e Stalino Irti su la riputazione e gli ideg: « Messer lo
corvo io lo paura che il vostro star sull'onorevole non vi a faccia lIlarcire
in questa prigione. » Fierenz.a E stanno in ciò tanto sul punto della
cavalleria che persona di Volgo « è Inai alm Inc.-- a loro col Vogli. »
Bart. : gli 1 il ri., l3 l: i. STAIRE A PETTO | ener fronte, reggere
al paragone, « si scusò col dire che non ave: gente di stargli a petto. »
(iia Ilil). STAI? I, IN FIEI)E a Pochi ne corruppe, gli altri
stettero in fede. » l)av. SI \ RE IN SOLI ECI l'UI) INE V. g. de lalli altrui
prendersi briga, es serne lui lo premi tra SI \ It I A Ll.((il crisi
liti, elorca, la II nella liti... reggersi secondo... ) l Il e no, le
tuito, stava a legge ma umettana, gli si ribellò... » Bart. S I \ I Rl
l?I l l N () / e mi e' e la llo su di lui l Nilo partito – STAR BENE IN
(i \\llº E forſe da la persona SI \ RE IN CEIRV El.I () (saldo alla pr 111 ss S
I \ RE \ | I \ PIR ) \ A di Probe bestelen – STAR SEN E NEI.I. \ SENI ENZ V NO
a lire al visi – STARE I).AI - I 'OCCIII () (A | | | V (). \la V to
io, che gli stava dall'occhio cattivo, non lo volle udil e....» l'occ. S | V |
| | | N N | | | | | SI' A | R| | N | | N | | N N l. (o la base del 1 al
pil e quasi ai li o sta in puntelli il mondo.» Fier. si eI tto, le li se in
esilio, p - e lo Io e il ti: i piè Inail o, stava in tentenne. o l: le (liz
Si ponga nelle da li Ilio all'uso del sosta livo slanza per slare, tral le mº)
sl. in lui ſia i c', lino e lo micilio e c. (il voll:i li in lato veri
pla, endogli la stanza, là g: i (oln e 1 I pia e in stanza in Ille ta i ltta?
Fiel enz. E come le g. a V e li palesse il partire, pur tenendo moli la troppa
stanza gli osse agio e di voli e l'avil o dilettº in tristizia, se n'andò. » l
31.I ra gli alti Vlo i l o, cavaliere celebratissimo, e primo perso maggio
nella dell'imperato e in petrò al padr e la stanza stabile nel. Mlea o, e per i
o is reti ministri se ne spedire al regie patenti. » Bart. IPensando voler fare
stanza il ga e continua fuor di Roma, e per la sei i re a l), il so solo ova
rinai il consolato,... » l)a V.Note al Verbo. Stare S7S – Questo bene sla
è maniera in personale e orna all'altra: () - ſimamente, sono con voi, siamo
intesi, basta così ecc.; oppure all'interiezione: capita, buono allè ecc. –
Simile il modo del l'uso: ben gli sta, cioè l'ha il ritata, e
simili. S79 – Conf. Rimanere – maniera eguale: rimane e per alcuno od -
una cosa dipendere da.... SSO – Alialogo a codesto slare è il sigili il
lo del trio(lo avverliale - poco slan le, non mollo slot n lº..... disse e poco
slante se ne - vide il buon esito. I3a rI., se li il climpo del pari orire ess
torì un bel figliuolo maschi. I3 cc. SSI – Simile lo slare dei modi:
stare al campo è iè eſsser accani palo, – stare a buona spel al nsot. Pioli di
compassione il conforlò e gli disse che a buona speranza stesse,
perciocchè se.... Iddio il riporrebbe li onde lorº lina l'avea gillalo o.
13ore. ser venuto; perchè dalla ma di e ijilala non molto stante, par- -
CC (”. SS2 - - Esprime l'alto di chi si pone al pensiero, in dubbio, in
so spetto. -- I tiri la nel libblos, sostene e, sopraslaT corri a re Si
lsi ci sia le molle per lo nare a essere, divenire, diventare, lor 1 (tre il
90S, pºi renire. ridurre, ripori e, iar ritornare, iar diventare lsali\ al
lile. l iuscii, l i londa e ed anche per essere di nuovo ciò che alli i ſo alla
cosa ci si innanzi ecc., finalmeno per andare a stare, prendere Nl ct mi s (t.;)(!
). l oggi, poli legali le lito, lo costruzione e l'ordine del l'azione, e
lo si liri, clie lori ci ſi poi accadendo cosa tua. lº a V v l It il il I
e torna uomo Ine tll esser solevi, e lì Olì fal far l ' I l3...l'alto i a | 11
he tutt, torno li sudole, e tutto trangosciava. » Ca valca 910,\ l spill 1, si
rende l'ono alla Verità, e battez z.it tornarono non solamente cristiani, ma
predicatori di Cristo. » IBart.. La nl IV Coletta - I lista e torna in aria. o
Fr. Glord.l)el lle tornò in istatua di sale. » CeSari. I loro pompose botteghe
tornano a orciuoli e zolfanelli. » Sacc. di v si liti il collo il l essere.....()
il 1 ltra il ro lo ai la tornavano al buon ll mio forse tre e mezzo. » Sacc.? E
il V V elli, colle del buon cotto che a mezzo torna. » CreSc. a S1, ll ' I g
Ill la l effa iornò a vero. o l?art.a (i la, la Valle, le carni i listinte...
Egli era tornato ossa e pelle nuda. » (es: l l'.La caduta di lºietro torno in
fondamento piu solido del suo innalzarsi le lege poi. Ces.Ogni vizio puo in
grandissima noia tornare di colui che l'usa. » (ri doll dare il.... l o C.A
dunque le parole di Crist, tornavano a questa sentenza... » Cesari, a
tanto lo stropiccio on a qua calda che in lui ritornò lo smarrito colore ed
alqua lte delle perdute forze, e le e rivivere) Boce.a inſer ma di gravissime
ed i maldite infermità intanto che la purgatura del naso e le lagrime degli
occhi e il fra ido Ilmore che le usciva dagli lui, cºn le lido: il terra in
ontanelli e ritornava in vermini. » Cavalca. La qual cosa ti memdo l'aolo,
fuggi al deserto e quivi aspettando la fine della persecuzione, con le piacque
a l)io, che sa trarre d'ogni male belle, la necessità tornò in volontà, e
incominciossi a dilettare dello stato dell'eremo per amor di Dio, dove prima
era fuggito per paura mondana....» ( l'avalca. I, lu go studio della
volontaria servitude, la consuetudine avea tornata in natura. » Cavalca. º sel
l'eca un inferno) a casa, e con gran sollecitudine, e con ispesa il torna nella
prima Sanità. Io e. e la quale ſia inina, rapida Ilente consiln io e
tornò in cenere quel poco a che l'era rimasto, o (es. le e divenir,.Ma il Si
Verio tormolle all'abito e al ritirarmento..... I 3:1 I t. io e le ſei e
ritornare.“ Qil lio stesso ill, la I a bbona e Io e torno il vento in poppa.
onde sall'ite l'ancore, ripiglia o! I l vi i gio. 13ari. Ie e tornare,.... e Sp
111a gli 1 11:1, V., inza, i - II i cd 1, tcrnò in amicizia i parenti i degli
ammazzati. » l?il l di t-se il l....... e dei suoi zii - lli di II lo ristor.
tornandogli in buono stato. Bocc. 911).a Tornato il re in istato e la città
come era in tranquillo.... » Bocc. i -e fosse stato il piacere a Dio di
tornarlo in istato, tutto.. s - si gulalaglia Va all i lede. » I 3art. No Il
Solalilei 11, avea tornato l'uomo nel primo stato. Il la a V vantaggian (loit
di 1 1 cippi pill dolli l'a Vea - Il bil II la.... (.esil loIII e di.... lIl
lla nella memoria tornato una novella.... » I3o c. Tacitarmente il tornarono
nell'ivello., 13, riposero a l'ill ('a la clle IIIali in casa tornatalaSi.....
I 30. lIn giorno di salvato se lei lo costo: il la 'nzi alia chiesa di S.
(i lill allo, a nella quale tornavano. I regim V allo I; ost l' V (st Vo Nll II
lo, Ca Valca. a lº fa venire Simone, il quale torna in casa di Simone coiaio. »
Cavalca fatti Aspo-toli).a colmando il dile sll Zelli che il - Itassero, e
consider: ss l' in quale albergo tornava il vescovo che i veri predirato a
Cavalca. Simile al ragioni lo è il tornare delle frasi: II, (.()NT ()
T()IANA cioè non c'è errore i cl calici lo. I | Ierale: il collo si riproduce
bene, risulta esalto, riviene 912. TORNAIR 13ENE esser utile, di
piacere...... « Coloro i quali sono grati perchè torna loro bene cosi,
non sono grati se a non quando e quanto torna ben loro. » Varchi.a Scrisse
quello che a suoi i teressi tornava bene di far l'edere. Bill I. e fatela
quando e come ben vi torna., Bocc. l'()lº N VIRE IN A (() N (I () \...... stal
utile lºlºsa che se a Dio fosse piaciuto di prosperarla, tornava mirabil
mente in acconcio al desiderio del Palavi, e a grande utile alla Corona a dl
l'ortogallo., Bart. l'() I N VI RE IN NI EN I E lil liti º se
assai, le ſtia li tutte in vento convertite tornarono in niente.. I; ) -.
l' )| | N VIRl V (il l ()| | | ((I | | | )| la Illal e sa tornandogli
alle orecchie., Fier. Il testo la r o' e tornate agli orecchi di.... »
l?art. l' N VI E \ I ) | | | | V | VIRI e c. si pa rtl e tornosSi
stare in Verona, e (ii:alm! Note al Verbo Tornare !)()S Sinile al
tour ner dei francesi e più ancora al to turn degli in glesi: The milk, the
beer, the urine, le cream, ere g thing li (ul lunn ed sour. l he jeu is going
to turn christian. – l'his young mall first intended to study Ihe lav,
but after W:ards lle l urned Soldiel ecc. ecc. 909 l'illlo simile anche
in ciò all'inglese: lo turn in an inn, e va dicendo. 9 () Nolalo questo
modo: tornare in sudore, lornare in aria, tor mare in sangue e simili cioè
diventare, convertirsi in.... !) | | Nola, la maniera: tornare alcuno in
islalo, in vita etc. Co testo tornare tiene alcuanto della natura ed essere di
quei ver lui che mi piadue di contrassegnare col nome di causativi (Par le 2.
Cap. 2. Serie 4. Ma è l'uso e la forma al tutto singolare che vuolsi qui ancora
notare. 912 – Tornar con lo simile a metter conto, metter bene, metter:
me glio - è altra cosa: « Non li torna con lo recare all'anima tua un
minimo pregiudizio º Segn.Vernire Olire alle cose delle alla parte I.
Cap. IV Classe II, noterai di que sto verbo i seguelli usi:\ EN Il 3 E A.... V
EN Il ' E IN....: e il ct rich o V | N | | | | CI I IE(CIIESSI \ ecc., per dire
nire, la rsi, rialli rsi di..... lo ruoli e c' Nini ill, sul Pil l'as tre
rulen, su I l l'ots ka) mi mi ºn e le. gli il II pe: a lo; i erano venuti
a quattro, il le All - lls-ii e dtle (e-il rl., (iia lill)..... ades, a ndo i
piti leggeri di cervello, il bril iati il danari, preci pitosi i ga bligli,
venne a tale che.... l)a Valz. e assile la Itosi.... a patire la la lire,
il s II', sei, con tutti gli altri st Illi e disagil.clic..., era gia venuto a
un termine. lle il disagio non lo olfendeva e dell'agio noi si ci a V a (riali
W e il briligen dass...., 11 -: dosi illeri, il venire a volte si furioso....
(i, allil, il (ſlale il tori, ea lilelli e il nºt e V a 1 il 1 l l li do a V e
1 - o ti il to Il sito altri 11 venuto in povertà, il ire gli il li ri.:)
V:llieri, c. I I I I I I I 1, divenne a tania triSiizia e mia iin coinia il si
volev l l I-; e il l. » l' 1-- I v. desiderosi vennero il 1 I l l: V.. le;
e...., I 3, «... sino a tanto, he venuta discordia civile tra l ti: io e l'altro
paese...., (i 1,1 mil).« Tanto pili viene lor piacevole. Ili: i to li aggi e
stata del salire e dello slli (olti ro la gri V. Zza. » Bo ('. VIEN II? |
IN ()| I. IN |) ISIPI,I VZ |() N l e Nili i li V | N | | | | IN S(I R].ZI ()
(.() N.. V | N | | | | | N | V \ | | (i i | V V | N | | | | V..... per renire,
di l riraro. venutasene in somno furore...., l 3, ('. calo il 1 alta
trisi izia e il la; iia a irli: i - I ne vengo in dispe razione. » Fit,
l'.Veilezia turbata li. Il testa per lita sarebbe venuta in qualche disor dine.
» (ii: Il j).a M: la Belcolo: e venne in screzio col Sero, i telli e li fa
Vella....» Boc. « Non ostante che tutti venuti fossero in famiglia, uniti che
mai strabo - -, le oltre le spel ea. » I3 ge.Chi mi sta pagatore l'Io
venga a dimani. » Bart. Ces. Questa parola parve lol te olltraria alla donna, a
quello a che di ve nire intendeva. I 3,. VENIRE AI) Al Ct N ) che che
sia, conseguire, meritare. – VENIR | N (()N (I ) \ ENIRE I 3 EN E ad ai tirio
per riuscire. arrenir bene, al maltro all'attimo. VEN | | | V ((N SEI RT () V
l'Nllº I; l'()N PUNTO). Nori gli potea venir molto polti tre li dottrina,
ne di speranza, nè di autorita nè li gio! a s'avesse acquistal n. » C aro.(Il
le veniva loro in concio di Il gere, ed essi ll facevano con lor sen e 11. »
I3: i rt.Col forte le 'la falli e la ali lo si levar l'assedio e tutto venne
bene.» Dav. MI l'asciassero a pi: el e e bilo: empo per le foreste e discorrere
a Irle ben mi venisse. l' el'el./partiamo d. ordo li la sto la soro, il to he
ognuno possa fare della parte sua quello che ben gli viene. Fiorenz.ma per le
ogni cosa gli venisse a conserto, appena fu in porto che s'incontrò il l.... o
IX I l i.\ Iſili hè dove gl ii e venisse buon punto, al re lo mostrasse. »
lºart V ENIRE, VENIR A \ VN 'I per occo, e, v. occorrere, apparire, mo
strarsi, affacciarsi. - Aguzzato lo ingegno gli venne prestamente avanti
quello che dir do a vessº. » I Bot (. « A rispondere assa glon vengono
prontissime. » Bocc. VIENIRE A l) ALCUN () ll. F AIR CIIECCHIESSIA
(loccare, Jemand die lei le kommel, . A te viene ora il dover dire. o
Boct'. VENIRE AI) ALCUNO DEI CENCIO VENIRE Pl ZZ0) – VENIRE DEl. CAPRINO
e simili - ed anche solo venire per venir fuori uscirne odore, esala l'e
ecc. E quando ella andava per via, sì forte le veniva del concio che
altro che torcere il muso non faceva, quasi puzzo le venisse, di chiunque ve «
desse o scontrasse. » Bot ('. 920). E se non che di tutti un poco vien
del caprino, troppo sarebbe più a piacevole il pianto loro. » Bove,
Dianzi io imbiancai miei veli col sulfo...., sì che ancora ne viene. » Lipp, \
ENIRE DELLE PIANTE per reni, su, mettere, crescere, « Quella che mezzaliani
ente - lo iglia, a liglia e viene. Cresc. VENIRE ALLA MIA, ALLA | UA.....
a Venuto s'è alla tua di condurmi oltre Imonti. » Vill e da hin bringen \
EN II? MI EN ) a chicchessia - gli ºli p. I l:i, i lobi o delle promessº
e simili) \ niti il partito il 1 e il l via lo venir meno al debito delle
loro promesse. I)a V. Risl -, si il ve: a 'I 111 ssa: l' 1 si lill la le
giova il 18 di:lli, al quale non intendeva venir meno. B si ti: 11 e 1 li
della s la propria ssi, V EN II I \ (ENI ) (). I ) I (I,N | ) (),.......
e tll (l: ll II il l:lti S1 ll verrete sostenendo. I 3 i '. e venutogli glia
ridato la d... [ 1 - Vi - e se l a...... il venne con siderando., I3. Fi: no
alla porta a S. Galio, il vennero lapidando., (ovale, e fattosi dall, Illia!
til:: venna lor raccontando.... (- I ri. L'utilita dell'udi e le ville º si liti
di ora in colloscere, e le nel venirli stirpando.» Cers. la lo) l'o a
salitificazioli (poll istal Ile! llo!) il Vel difetti, l'Il Note al
Verbo Venire ecc. è, in Irli Is. Il li sll l'e 'oli 920 - - V
oniro (lel cºncio ll - [llella spiace storcimenti e con l'azioni di viso
e di p l'Stllil, - - - volezza o nausca che al rila di ce:icio o cosa
illilipsilica che gli verrisse vedi la. scillili, il lills il 1.: -) () s
2". Altri verbi di particoiare osservazione, del cui retto uso si
adorna il discorso, ed anche l'idea prende talora maggior grazia e vigoria; e
sono: accadere, acconciare, adoperare, apporre, appostare, appuntare, avvisare,
bastare, confortare, cercare, conoscere, correre, divisare, entrare, fitggire,
guardare, investire, lasciare, mancare, mantenere, menare, mattare, occorrere,
occºrpare, ordinare, passare, pensare, perdonare, procacciare, ragionare,
rimanere, rispondere, riuscire, rompere, sapere scusare, spedire, studiare,
tenere, toccare, togliere, usare, itscire, vedere, volere. Accaci e
re Il suo significato con Ilie, e proprio, e lello di arrenire per caso,
inopina la mente, in lei venire, seguire ecc. Il lorno a questo non accade
esemplificare che e molissilio e dell'uso anche più che non bisogni. Mla gli
all i classici: l i al dissi i vagano il l sless, verbo accadere, in un senso
assai pil ial, o elill Icannelli e vario. Gli esempi li diranno come alcune vo'
e si rii ti: con il lotto, con il corso, ed altre con cºn il '. venir in
acconcio, caler a proposito, reni e ad uopo, loccare, di parlenere, e si ilsi
anche a sigilli al e, ora la r di mestieri, bisognare ecc., ed ora preceduto
dalla particella non non essere bisogno, nichl brauchem ecc. (cc. Conſ. Pall.
I. Cap. III. E in ende ai ancora come un sifalto acca dere si avvenga alla
frase e acizi ci si direbbe sostituendo altra voce o quello che egli
pressapoco º similica. IPerche io ho compero un podero e voglio o pagare,
e fa ne ini, le altri a Iati i miei come accade, a Fiera Inz. come si l: Il
tali e il costanze, o collis bell Illi Vielle, (c'e'.. lolina illo...., e
iº gli risposi a ogni osa come gli accadeva. » Fier. i cioè colive.lientemente,
adeguatamente, o come lui la V e ol)poi tullo', e.... e accadendo ti
serva di me, o l'iorenz. all'uopo, al bisogno). Io potrei, per
confortarla, venire per infinite alti e vie: ma non accade con una donna di
tanto intelletto entrare a discorrere sopra luoghi volgoli e comuni della
risoluzio. e. (i ro, non ſa di mestieri, o Illegio, lo i è oli velici e,
dicevole, opportuali, i c.. Etl alla donna, a cui il ll, lº i io li
pi i lito, li: ()r elle s'aspetta? So correi qui non la grini accade. A io sto
conviene, fa d'uopo. Ma dell'Ilso di Inett l'It gelift zio insieme, come nelle
Real di Sl'ilari: I e di Ilioli i sigli i al rilan: e in alci e l'Italia si
vede, essendo ti-, olt: a 111 inta no e 1 li l 11o-tri, a noi non accade tratta
e o l?orgh. lon 1. (t, il gli si app:i: tiene a.... e a III e il rio cadesse il
ri; e il vi 11e di ei, avendo rigi a: il che '...., Bo.. t.. ss, - appar
lesse, , i so, li i i ll io V Non dis-e: i a lizi (ſt 1: Io la r
cadde lº do il le?, (es. o o se, a V. Vell veli:.-. ll ii l'.... accada: il la
di II lº - stieri..Fece cos e colla pr -: i o!!a spada che non accade adorna le
di l: I: (e, p Cirle...., (: l 'o. i liti e, iroli e le ossa ri..Qll:) !ldo il
rili di leit I e II li ſi l acca dcno altre ti -si l: azioni.. (ri, Zzi. lion,
li li la d'ltopt di..... E lic, chi i: istiani - li Iile ! I po a si'l citudine
di sal º:: -i. ] il ce: i letti I l accade, Sia il I l II toi, le cºl
ltsinglliaIlio. è lI::l 'life-ti- iII:, S.....Ali, il non accade, i 1- I lii: i
g male! » Sºgli. Iila: lor: i ti lit li lit.....N li accadrà, -. -i, li d'oro
il 1 l izi l: i i sta il listino giornal li le t in. i ! e col Salinis a.... l)
ils IIiti in In.. Segm. non sara bi - Ogil (....Non accade per ta: to i lie i t
II li' li -so di lui l'in - l'Ize. lol dl }ivi, i, l1 Il cli..... ll 1: i ', -,
Il li Sºg lì.Vi bast ri e ai la s; e iº li mi l britto a o che fu commesso, mln...
il mio lo; e qlla ido, altri, il e o lo o ign ra lite. A olesse e spritri, o,
avvis it, lo amorevolmente che non accade. Segn, non con vie: -i - Vie. l.Il
qui e disse al detto Fed rigo: \ndate a trovare un certo giovane ore e fice che
ha il III e le velluto: quello vi servira li ti belli e gel o non e gli accade
II io disegno: ma poi li è voi non pen-iale che di tal piccola cosa io v e in
fila giro l ' ſ tiche. Inolto v lentieri vi l'iro Il m po o di di a segno. »
Bell Cell (non è bisogno che egli abbia, o io gli fa ria Il litio (lisegllo.A
cc orm ciare la ssi sºlº il ro - se e se li rai ii garbo e non so che di
eletto, ll Viºli alla II se la Iso i si litio di questo verbo. Guarda come, e
il lilli | is ssi I, elio che non là ordinariamente il Il 1 del'11. Sgrill I l
pl plio, acconi da e, assellare, disporre accon cui mi cºn le mºlle e in buon
ordine al l inger, si richten, lo dress, allogare ssi i i ssa a conciati e le
gambe, le braccia, la testa, ll il ct col Not, il luci col tr. (. ll 1 l. ll.....
di colecisti e cut ralli, uccelli, diamanti, l'ilari e ce: lesto verbo,
costrutti e maniere leggi: i dri, e li ill sigli il l più aplo e
figurato. Acconcio le braccia i li, l l io l'. (.lle si s.... e, a da l
idel e.. averla veduta quali lo s'acconciava la testa. (Illanta diligenza, con
qualita il ll Iel: l i - -, l SI | o! | i ti va, la V Via Va, intreccia Va, ol'
il via i l lil'Il sil i l i 11 il lo e le li li sappiamo acconciare le camere,
ne lar, in olte, sa le a.. si lati: lo sta si richieggono.» Bocc. E e il tro i
la si pe ll it lta, la quale molti pruni e al loscelli avevano acconcio il modo
di iolo o d'una capillnet a. » l'ioret, Racconciava, i le, (.es.E' e all'il: ci
lire i diamanti non si possa lo acconciar soli, i l': i, il l: -- l tra l
' o. » l8ell. Cell. i vz: ezioli e le lezza elle e si veggo:lt il lili iE si
acconci i lil,......... i lor ronzini, e il lesse l ' va ige, e lº \ sl e I I I
I se li ve: ero a F l'elize. I 3 r. ri è st l'illi, il ll(ili ni: elido. lle a
vela l': i slis- gl tl, e g O\ el'll Ssel:ì bene. Chi libio, acconcia la grù,
la II - a filoco, e col sollecitudine a cuo.VI esse l'...... preso, e per
acconciar uccelli viene in notizia al -.Acconcia il tuo i i possº esser
tolto....; se l:ai d. ll: acconciali per modo li si sappia sieno tuoi.... »
Morell. (1. (1, il\ vello a tu qll il Coni e il figliuolo e la figliuola
acconci, pensò di più a li le cliniora e il l Inglilterra e lº allogati, i
messi a posto”. Seglioli al time parlicola i manici e usi diversi del
verbo Vccon cia e conciare.ACCONCIARSI p. es. alla mensa. Fior.: ed anche in
significato di porsi a sedere, mettersi a giacere acconcia mente, assellarsi
ecc.. Si acconciò gentil IIlell, e i ti voi:. Egli verrà la 1 Voi
il 11a bestia nera e o li liti,... (Illa ndo a costata vi salà e Voi
allora Vi Salil Salso. e colli e slls, vi siete acconcio, così a Irl) do e che
se steste e ries. Vi rc II e IIiani a tito, se:iza piu o ai la bestia. »
I 30 ('. \ ((()N (I \ ItSi esser utcconcio ut, o li lati che ce li
c'Nslal ciclot I lati si, russº gnarsi, esser disposto. Il to, tppa i
cech lato..... Io lo:l po-so acconciarmi a l el I e re.... » l 3,.
\ (livelli le li I): 111... a pl i ro a... - l'e. sospil i.... non pote;
gli rendere la lei dili i donila: per i quali cosa oli | il pazienza s'acconciò
a scstenere l'aver perduto la -la pl es Inza I 3,.e Io non posso acconciarmi a
perdere il fi l'io a file si cal. Cesari. « Io mi sono acconcio a biasimar to I
11 che Asp), gli lotli. » I): I V. Io sono acconcio a voler vincere Il -:
i cºnti. » I 3. E come io sarò acconcio, V -st ) e alla va º lº i. Non è
ia carli e acconcia di sostenere. r i ve l Fr. (ii in l. Quanto più se
puro, piti se acccncio di ricevere Iddio e Fr. Ci lo d. Quivi volti i navi in
tiri ſia rico, in acconcio di lavorarvi. » Bali. i la V l',1: vi m
a E ve le; do l' Argilla i in concio di cavalcare. 13o (disposto, appa l'
chi lt).... i A((()N (I \ RSI ctconciati e atlcino (() N (I | I ((I l
ESSI A conciliarsi, (te cordarsi pacificatrsi. \lla fine...
s'acconciò col Fiore: il il li:lti i (illelli (li l si allit, to: Il ssi
iI Vleli agli 1. o V ill. (i. Lo e pri: la II:ito il ole, per
racconciarlo con Messer:) lo li Valois. o Vill. (i. ... col quale entrata
in parole, con lui s'acconciò per servitore facen a dosi elli: II; il r
l: Fiºmille. » I 3 (. Nola questa forma singolare: acconciarsi con alcuno
pºi se ritore. \CCONCI \ ItSI NEI I VNIMI ) capacitarsi. I 'carsi a crede
e persua tlersi. (ili ei trul. \lti Silli SI, V ii e !:i 'li, l'Isalli, e ci
sia - acconciar nell'animo. ) aCCc: i ciar ine! l'aninno, l l3 - li V.
I distinzione e \ ietti li ! I Ve!'l, l: (i iallllo. (ieil.
la melitoria e le |! l -, vi E acconciare nel mio animo, e non ini parea
lecita - l - e-- l - lº s; - li S liatori. » I 3: u.
Lat. \ (C )N (I \ A Nl VI \ / i pati si alla no le col ricevere l
Set 1 e mi cºn li li il ciliotti lº si con ll li ecc. Vi es. (acconciasse
i fatti dell'anima t: glla le, e l a li: il 1 e il .. l l: l. sl a i
(lisse 'lie egli susa, i l si che egli la voleva Z: eri Vil. SS. I Pil
(ll'. v((() N (I \ | RS | | | | | | A N | VI \ il n. i da i falli
dell'anima. ct no io rsi in ciò che riguar N e ciate dell'anima Il
n al! Si li: i pilli ! sto cle vi accon - i lì piu al tempo,
V ((() N (I \ N () \ V | N V | | | | | | (il ('c'e'. F.1: e volesse
stare a ctl i l'u. - I l a bottega. E Vi, l Acconcio con Maestro,
la rasse i.... l acconciateli I tl. lillo, a io lì è inil \
l. (N (I \ I tl. VI (Il N ) pr millo. Il tra Ilia I l. l i nºn lati lo
ecc. su l ich len. \ ii farò acconciare i l Illia lii º l
i si tr..... lle tll ci vive: ai. » l 3o. ... Aloi li. m'acconciò
questi ll e g le I); o V el li o, o (a ri. Sll: il l lilli 1, l is s'. ll
I Il 1 littl. I);l V. lliti sei lili la ll !! ll glie lo concierò
l'eli io lº \ IR E. I ESSI A IN A (C ) N (I ) li.... in vantaggio...,
facen do cioè se r, e checchè sia a suoi lini ecc. l?erg: lilino i lor:i,
senza pil nl o pensi e, quasi molto tempo pelsato a il V e -- e, subitamente in
acconcio de' fatti suoi disse questa novella. » lºoct'. ( \l) Eli li reni e, lo
ma, I N A l in 1 l propºsito, reni in luglio, rec.. Qui cade in acconcio, I, i:
i S. l l si i lºrº di ioso voli in..., se iTorna in acconcio l i -. I l S.,,, i
Nºi voi i 11 - i º se stiti - il re: il 1. º, a tra i -, z º di e, dal e
più acconcio ci veniva, i l ingrºssare il vo. Il V Ad operare
Per poco che al li sappia di Lingua, si accorge ben osſo che il voi, di
loperare dei seglie il I sei il pi è ai l i costi dei lorº il rio e con illo ad
ºgni pelli volgare. - No ai soli a l I I I I: alopei a e bene, ma le o anche
solo taloperai e, per lipo i lati si, gore, narsi, con le nei si; alope) tre,
operare, la r opei a con alcuno li e..... l 'pri ti e', operati e che.... pºr
lati sì, procacciatºre ci: e inali, il ciclopici ai ci... per conferi e, esser
utile, gioca c', o con lo si i e oggi lo on influire. l eggi a Iuo prò e
al dile o al resi. V i lido col e si e-s, li iii, ol, i quaie avea l
adoperato per le a slie III: li I., I o el1 I (verrichtei). a ll re quariiunque
adoperasse i º pr. a, an's Werk seizen). a Mi la V z1: ve il nr ad operaio
i i il 1 il lil... 13:1 rl. Ne ſilesi, gia ch'egli vi adici rosse.
l - - -o sl 11:1, l'III e l11 Il 1:1 s..., vis il l i |,, v – i V, 'l 1 l
il 1 Isse, Irlett -- ed egli il pil ct, i vi l -i, iniorino ai i quali
s'adoperava con l' it (... ss. (); il roli e il lil cli: a C0pera l.ene o y I l
a co; i do ci i ri! tura il - ii Is Izia, - li l ad opera male e vizir - Viv |
- li si diporta, Si ccntiene lº: 1 –- verfahri, vvandoli, iti).e.... li oli mi
ero la gr. z,: i Si - berte a deperare, che [ileia (i (ri: la no tv e ! 1,
governo di vita, ecc.)e il V, e le si illi, o il la il lili, la liene,
virtuosi, troppo modesti, le belle adoperando i lileil lido - lo
appregiati....» Dav. Col, iv. I l l ita 1! Il sºlfi.. niente ad opera
malamente, tutto fa bene, ogni - le glova, e il s Salvani non agit perperamº.
lo II el'o, il rio, dove il confortar ti vogli, si adoperare, e il e...... l:
-, redo re al novelle, le soli i lilli 1 º te ti -Cosi certante iº e Ari it – V
ssc, adoperò colla famiglia. » (i s. si \'.v)lli: li: Il la l o i ri: le tv l
In- ll It ! ! a, e tali o col Re adope rarono. l'egi e 1, il l / s la i3
(fecero sl, operarono in modo, procacciarono).i lil:n le li so il il vi: ti ſia
di m 1, operò con l'apa Gregorio -, hº.... » (1 ialml). id.)ed egli, di e,
operò talmente con Cesare, s. ll e li perdonato il 1 l id.E tº it, adoperarc no
gial l V el:a che... o Bal t. ferirla ndo ll ma l operarono li, il 1 e Carlo,
ripassata la Mosa si torllasse llel rºg il s; I (- i........ e farebbe opera li.
it la liri º la sc a lìoln n. » I) tv. id. Io vorrei che i 1, ne faceste opera
di villa N.N. » Caro (vi adopera sl pressoºl li º il colle per a sua
gracilità Es ) vi il dl -: ma, in egli era il s ii ei cui i valta - at,
di si' nza, di compagno, di luogo, gli sempre adoperar tanto e S: il
riori, ch... » Cesari. che dunque a soste itali: rito dell'onore
adoperano le ricchezze, che la poverta non la ia molto piu i.lilalizi? Io:. il
fluisce, conferisce, giova, « Ma loll di Ilent la ceV a, che poteva, per
rientrarle lnell'allini: li la trielit parenti e li adoperare, si disperse, -
Il 1 ne dove - sº, di par la rl esso stesso, lº giovane, effettuare,
procacciare). State alle li e di buona v glia; che molto più adopera il
valore e l'ardire dei pochi che la inutilissimi i tumba ro, a, quando la fusse
ben t infinita. » (iiamb pro accia.. ol' 'Isre). Si moli da ultimo
la maniera: in opei a li.... i pel in fallo di.....) lonio (i lissimo e
di gran traffi o in cpera di drapperie. » lºocº. e trovato le in opera di buon
garbo, di de enza e di dottrina Vill e va l'aspettativa, mi sentii i
liar, al c il rilore. (i illh.App orre Olll' ai valori e ieller. Il
proprio i tggiungere, arroga e poi so pi di Sel, il re la confusione del polso
e PI 11 cipio tu del mal della il tale, con le li N appi ne........ l () ll il
l i lieti di appori e il 1 - i gi li - - iulo., p e iº le: li ra i sl: i lig il
'... di ripula 1 e' accusa e, in colpare all riti di qualcosa, aldossati
gliela, nel lase apporre ad uno una cosa: l li il 1 i v. l i - gi; ella follia
| I l il 1ale: cippo i si Imparano Is, c live, l ' gi! I lag
esempi. I rito 1 a l er... agi 1 -- lei, e ora apporle questo per i- usi
li - e.. Bo,.E- ii e il V o cl II, l ' Irli i g IIIai sonº la mente io sven t 1
at )::: V, le la cui marie e apposta al mio marito, la quale luorte io l it ti:
B..E le appeni tu ad alcuni quello il 1 i il III col silio t'hai fatto e
iiii?, 13, (r, i 'lo: i --: ci t st: l) il che mi apponete di coolnestare
| e e lil iio la c. 1, l Illa.. (i illl).E Ve; 111 e il rili lag ill: r. 1 lo
si, e s'appose, (l'eli t loss (sua 'Iloglie, ei sºlo a l'i! ). » Mallia !
11. l'att i l 'sti 1, lis - e li, il dr. Ino. l la illg. elier asse non
ti apporre sti a cento.. l):ì s'. Il 21 i liti, vi resti li li lilla i lorº le
co; 1 o Corsi di relli i quei gr. ll li il mini, i l io l.go per certo
che si appor rebbcno. » - n. Inoli s': i galil; e) ebbe o Nota al Verbo
Apporre 5,3 I) a º nel segno. ragionando, è il pporsi, le collge lire, o
forcare il lasſo e piglia e il nel bo della cosa. Var cºlli.App ostare
(Dar posta, star a posta) ''sl - di chicchessia o si illeso, cioè
(lulalido si: s -, l.\ - è issa e il luogo e le tipo s'. Il V: - s ci si
s s' il ct ch ein dei tedeschi, l suo pit ) e', e in quel luºgo | | | i
rt (I sua posta, con I. Parte II (I l. ll i, i', º i apposio c;uando i
lollio. si - i disse l'ogii quella :I - le glali lint re è e.... l'.
I l l - l'avea apposiaia | 1 g l'allo., (i azi. Appostato il piu ienebroso
tempo i l tacite,, lei, ioè nel quale il so: i s - l.: -, i lil a:. ll sell on
clie:almente. ll.:is: i............... (si ll e lo appostasse sull'ingresso del
Campidoglio. ll mi - la al liri o di s in ital re, di frecce e l Segì).I:: dove
aveva appostato, l et al pullm: o ill sul villf 3e; n. l va o, lis- llo, i
retto il colpo).VI it l'ill si Is sennaio. Si sta, la Iat il asta illega vi lo,
i. Apposta ove colpisca, on a o va l), l ' orlo tutto gli l'avvenuta I l o (il
l.\ v... l l ego lº appostar gli Austriaci, a..... ti tasse il la a sul pi
e-iudizio. » Botta te:I n lo lo i in loli - li alidati i ti. le r data
posta il l lie tiva e noi i vlt il cli'io il vi trovi a Quel mal. Ieri in
una siette due anni a posta d'un sold it. » lo c.App urntare 'A | | | | |
| | | | Il lo si ' i loli - li ai i. riprei il l 'o r. tippli il latre il
ct cosa al di la uno. l'l'ov l'. (ppm ti litri e li e.... ii.... l'i: il 1 III
e appuntiti e un colp, e | illlo presi di illil: l. I gi i - t ' ' ) - !.....
l; i si. -: i l fu appuntai o V tº!:lli lo sono, i Padri - -, i::: ' I in
pirole., I):ì v. I l.... I t'i.- I: - - I., fi, i I l - I li.. I ):
I V , le liti, il li il.... -; l -... l is -si l i - i l. S: 1'
iot: vi si appunterà l l i' 13 º 1. E di li a coloro la II, il 1,
Ser Appuntini., (S. S l it 1: AppuntoSSi che s- i t...,
I ) l V. Appuntò coi detti l' 1 l i tutto ciò l: 1:1 Vl:. S.
11, l appuntò un ci: Ip o l: film inò il capit: o o | Ianti lo ci illavº
i. Avvisare (Avvisarsi - a v vi sco) Allego si ripi non del
verbo il livo a rristi e I tir e risapev. le. I vv. 1 i re, I
menſe, il quale in viso a chi og: g:iela i Il lº 1.. i.
s', i lice: i:l I l il altro, si al l o rimase agli sciope::lti l 3
l: ali in lil (: I )i, ci si lti liasin i d il il; ºlio rilli
- ,, l ' il 's si t. e tt l'olarsi, ordilla) e tº. i di l: colpire
il l' -. ! ! !:ì 1 -, i ri'app lº ri: sv ) I s II, V a 1, gl,
\ si appuntar noi l - I l ' ' il il i il appuntare: eppur un apice,
'i - e tutto appuntano, a l - i; - !:) li... la isso il
pari pt Ito, e noi la r il riso, il vell, I tivvisi, e. l' Ili..
issili i i -s (l' i l'i: l' " Il liti i ligi ri.. loli l'illoleri. Ira del
leill ro assoluto, o prono I l hº gli sli, le il valore simile al s'avis 1 e
avis dei francesi li irri in tutina i si. I ti sei sl, la si a: ci lei e co.,
il cili i so, se ben in avviso, I l si ggi ci si po spelli in opera di
lingua ed è a ' s i cli l'oli gli esser:ili le liti e il prelibar l
I l: !. I si li: al avigliosa gran !...... v avviº arcno: lei, i -
in esser velenosa dive I il avvisava li ss e passa r. » Bocc. sup I
l.. li-:i avvisando - - iº l e dissoluti. » I30 ('. - i l avviso il s.se;
desso. » Bocc. lo avvisò i li i' alcuni luogo ebbro lo II: -i, si l e o lº.i l
s ! I 1... ss, il ssetto, 1 ist e dolente se ne tornò; s.l, avvisando - ti - r.
-I:It i..., Bo,li-s, E e Seco avviso illi Illa, i no ll doversi I ve -- l 3o.avvisando
i l e ella gii piacesse poco) trove s ii e lº.l I | tesi. ll e l: e avvisò il
vocabo l'. I ells l'e li it, S'avvisò a coluso ss e trova: e
di... l... l ' ', | 2,. I atto e deliberò I l e' s si s i vi e - ssi di
vole sapere -: ! ed avvisossi del modo nel quale ciò gli i i l3,... l, S (avvisati
- - In che Illes o così ti faccia? Saccº. I.V -: i -. S'avviso il l li llll:n ſ
l /a d'alt lº lì:a: i |....E per ivi set s'avvisò troppo bene, come egli - V. -
ll ': i.Il pil), io si à il lia, s'io ben m'avviso, rispetto ad un altra
assai Il l: si Se; ll. Se gli al riso al ris di un sinificato
ill: i go sl, lº sllo di crisi i '.: i l'avviso, le ''I I I Ilia della sua
bellezza il V i 1 l in tºs, l \l::lli il II lili il. V e e l o il
sallo avviso. l): \ « Nè fù lungi l'effel si o avviso. » B cc. « A cui 11 in
era avviso, li fosse tempo da clan, l ier. e li è già per -: per l'ill Ie 'il'
gli vi ad pe risse, ci il qll 'lo smarrimento non vi rimase avviso da tanto. »
Bocc. 579, acc ol - rilentoe fatti suoi avvisi accettò la proposta. I3 po; id I
a ta li li le e l'i cosa.siccoli le usanzi su l ess, le li fatti suoi avvisi,
spedI.. 13 i fattl i s Il ri. al li,.I)omi: i lidò il pilot se vi era avviso
del I a lisca il lº i rt s si s orgea a Apple la avvisato da lui questo
peso il il p. In 11 e-cºit se ne riscosso a Ces: l'i. Note al
Verbo Avvisare 5, S - Nola il linº al 1 al riso rsi li ti ma i sat. d i
siti si il mal cosa, e vale la d ' a lei la pens. Il ct, i | I l s rie, ci -
ci) ruſ e rsone'. I )i si ti li hº i risa e il noi cosa, per il rei tir lei,
notarla. Appena arrisalo da lui questo peso di ieri di I e di presente se ne
riscosso (esari,579 – Quanto è vago o lorev | Iesſo il is gg si direbbe: Il
- | perocchè a tali strette, non vi fu empo li peli sare, escogitare, o
che altro cli si limigliari i c. E a stare Polli menſo doppio sensº
di basſati e le seg: lili o il violi: ()nte sl'arle basta a me, cioè in è sul
lirielli e li li li i lis alli: iº basto a quest'arte ho mezzi e forza per.....
le lili l: i lil, le liri, l' 17 e il livalho ad imprendere... La prima è
comunissima e volgare, le tre le chiali con esempi. La seconda all'incontro è
maniera eletti, e di quei pochi che sentono un po' avanti nelle rose della
lingulil. Anche il bastare della frase buts/a r l'animo o Se vi basta
l'ulmino di far che in accelli offritenegli Caro Conf.. il Valli l nino - è
al purito il bastare di questa seconda lo ilzi lie, e indica pressa poi
esser (l'animo da tanto, giungere, per renire (l'unino a tanto, e vi dicendo.i
la ro: ra. al its bastiamo, a 13occ. 5S0). - i r re i al l i rbicati e
cresciuti, i il bastiamo a stir : l. bastere;li e.. 13 or sar hl) e ta......
n...... risentirle una copia i ra i on v'avv a quivi dipintore, che a ta,
nto bastasse, I le dele (li. I 3; i 1. Note al Verbo Bastare
) Sſ) l'id è lo stesso lº il ci l dll e il vece, con le diremmo noi, il si
delle donne lo slot l'atl e l l'uso e l'arcolaio, non disse lui slot, Ilia è
assai. il so, orsi e rifigio di quelle che ama mio per i celi è all'all
ssati l'atto e 'l luso e l'arcolaio il di l': i Cercare E il
cristalli lil e I l nl 'l Nucl e il Salili i re, slidiare con il tenzione, I l
is e, il laga l', col sill' 11 lt ll ſi asi: ci ce l un libro, cercar le di se
ci I citi una perso il ct -. l)i si il cc i col 1 e una città, una terra
sigilli passa ossei validi.. ei clo, la co. li oli al lilli e soli i
pi: ()li le!'a il e lilli e, V agli illi: il litigo studio, e 'l grande
cercar lo il volume. o l)il lte.i Lercol 3 al 1, e, i li, li i e i buloi. »
Caro (ricercare una persona sig: i ii a il l e 1 i lie i ': li.\ clotto) etti
si -si il te: zo e alla metà del gua dagno, a cercar le case, e ieva l s: il
1:1, e, per trovar e li godesse lasci lita C, alla l):l V.I 'e'.rso li corcarne
la divina voi omià i ll Zio, le altrui, o l'ior, n iºgge.a Cli ben cerca
tutto il vangelo forse non trovera che un siffatto acqui e sto di tanto pop lo
il solo un tratto in esse mila i lle sue prediche (i ( (Ill:llito il Sola ([llesi
a breve (r; i t. e S. Iºietro, a (.. º rivolse ogli diligenza - l' e di
Illili i lile. ll i s loi a cercar della sa e nità. » Gianllo. Elissi: cercar:
utti i mezzi. Inet r. - mi premi per ria - V el'.a Sillitti,.a Augusto cercò di
successore il rasa slla. l)a A allA. - 1; 1: o lio. Indigo per il
Vere.... e si liliso coli - I li stili (l: iige: z a ricercare falda a
falda della Velità. » Fiel'eliz “ El a Ve lº io cerche molte provincie
cristiane, - per Lolibardia, a º al rallelo, lei passare º I II: iti, i vs en
le le ali da 1 lo di Melano a l'avia, ed essendo gia Vespl o, si s litri
l'olio in 1:1 e il il l Ilio. » Boc. Mla poi li è tutto il ponente, i
senza gia i ſalti:i, ebbe cercato, i 11 t l'ito il IIIa l'e s ile 1:: 1(),
i V ess: il n 13,.. «.... e pot; ei cercare tutta Siena, e io ve li
troverei uno che..., Boc. a A Vell dol' cercata iutta 'a. li col e ssell gia
stali o Ill l II li-i ill l'itori la re. o Fle::lz.Tutta la vita si fa a sposa
l'i loliti li-simi pellegrinaggi, cercando i luoghi santi del Giappone. I 3
art.« E con i grandi ravvolgime liti Filire i quali ora alla ti inontrº la, ed
ora all'opposta parte si aggira ricercandola la terra, quasi per tutto..... »
(iiil Illb. C confortare (sc e riferta re - Conf. D is sua ciere.
Pront.) (on)orla e alcuno a qualche cosa, che si faccia q. c. ecc. e pel
sili derlo, so Iarlo, in arlo, spirig, l' i lil e. S ºf I larinel è l' p oslo.
N i li per i recari e alcuni esempi. Ed issa i beni a impa -, I li
la trie e il torri li da tutti confortata al li gire, la valuti il podesta V
litta, il III lo col l Ilio Viso, e ce li saldi v e quello, che egli a iei
dotina li lasse B I 'oi del suo alti i lite ri o li li lo- i' (Ill: el:
otto lil (st 1, assa preso di quivi, aveva in un io a ccnfortar Pietro
che s'andasse a letto per io che tempo ne a o l'o.e primi i che di quivi si pr
isson, a cio confortandogli il Podestà, i mi odificarono il grillel
statuto.... º lºFresco conforta la nipote che non si specchi, se gli
spiacevoli, come ll e A 1, e ti º 1 ): Ve lei lo i si. l o.I testo ma i ti o
confortati da lor parenti e amici, che riconosces se oli e voli ſessare. » G.
Vill.V e il nero, il V a 11, l Il 1 confortarmelo che ubbidisse al ri. o I): I
V.Gcnforto tutti a lasciar. si sa – glie, l'orazioni e comunioni Zulin::lli li,
Il l i. l)a V.s confortandomi al tornarmene a casa. » Fiel' )nz. - I serio i
silo il confortavano di temperarsi e di allentare l'in i siti il sil i alti ('esa
ri.Se io vi -si p a le!! come tu mi conforti, l'anima mia a noi e le ai le li/
si e io ho dato la carne lli: i.... (il V.\la verido, sto o portata l'. I bias
ial a ad Ell fragia, e a ciò per molte l a io li confortata - l is - e s' i
lisse i olte l'ag: ille, e coll a Inaro pi: il Quai a voi li s oi.. he a
cosi i lte cose m'inducete.... » C o noscere (FR i cc n cos
cere) (o mosco i NI ci li tra i set. -il ii so se con noi il re de I
cl., significa in l'ulci se il '. 'onosce il no,,, l 'ce lessic clu
allro, è di s'ill il 1 I l, is. ('onosce e o riconosce e una grazia, un ja col
e la.... è lov e la, il I l il lirla a... i liti rare di averla da..... -
omose, e della morte e simili li il no, vale riconoscerlo, dichiararlo eo
li..... l?iu', il N.......... l ', l ' l?iconoscersi di una colpa, di un
è liſossal l. s io mi conoscessi cosi di pietre preziose, II e io ſo
d'uomini, sarei il i vi ! lle e º I, Il Matt.per quello ne mi dice lº ſietto
che sa che si conosce cosi bene di q: lesti pallºni sbia vati, e lº r.o i ll (º
non si conoscono il l fſe 1 l punto d'architettura.... » (es.
\, il donº la rispose: I o la o si: Iddio, se io non conosco ancora lui
da un altro. n l3, l. V qui - unità si conosce dal mondano lo spirito di Gesù
Cristo. » (si ri. a Opera da dover far da Irlatti, il che si conoscon meglio le
nere dalle bianche. » Boc.a.... perchè levati quelli, la plebe irrilla
oserebbe: e riconosceriensi po scia i complici dagli amici, o l)av. « Dal
tuo I (rdere e dalla i i la lo! lla le Riconosce il grazi e l: i vi itti It.
l):al 11 e. “ Basti G e Inalli o privilegiare che in consiglio dal
senato, non in corte º da giudice, si conosca della sua morte, el r. -t val del
pari. l)av. º.... e riconoscendosi dell'ingiuria atta a questi frati. »
l'ioretti, e Allora egli riconoscendo la sua colpa, fece penitenza, e
donandogli perdonº. » Vis. S. S. IPad. Correre (Disc correre)
I la molli e vari Isi e formarsi di belle maniere. Nota le principali linello e
Iri III li le seguelli esel pi. e I | rall cesi a ºltrati delit corserc
la terra senza il loll col trasto. » Vill. 585)..... coli in id):i correre il
regno -a loggia il clo. » IBartoli. Illustre predicatore che corre i puipiti
d'Italia fra gli applausi le do a voti » (iiillo.e I (Ini di Ibi: o il r.) vi
Il viate corsa questa preminenza. » (a l o. «... assai mi aggrada d', ssere co
ei clic corra il primo arringo. » Bocc. 5S6. Me felice s potessi correre questo
arringo i velido aiutato l'opo la del « Vangelo. » Cesari.....egli II le
lesiIII, del I II lillò (li l'iri la liersi e correre la medesima for tuna che
lui, nulla curando, nè la perdita della slla nave, nè il pericolo della slla
Vita. » IBart.« Di sette lance che corse li rilppe cinqlle con allegrezza e
meraviglia (l'ogli tl 110. » (1 l'o. a.... queste ragioni mi conforta ono
a correre anch'io la mia lancia in questo al gºl nonto. » Cesari. a
Lasserò correr questo campo della poesia a voi altri Academici che siete
giovani. » Caro affendere a quella, dal e opera alla medesima).· I l II o tempo
correndo le luci la citt non perciò meno l sta inte. ontado., Bo.si li live
sale e contagiosa fù l'infezione che fra loro corse quel l'a ll 3a l'1.tra gli
11 corre un intezione di febbri di... - I pessima ragione, ll... (i vzi. Nello
st: 11 - che allora correva. (rilllo. I ), l'eta di Demoste le: il testa ci
corre 400 anni o poco più...» Dav. 587). \: corresse spazio di un ora. l3.Corre
quest'isola in lungo sette miglia, e tre sole in largo. » Bart. Pe o
mezzo a l.it, l e sa l:ndia corre di itamente da Setten I una catena di monti,
e le sl - a da Call caso e scende a... » l 3: il I agii occhi gli corse a
--. I3o elle gli SS E al cor mi corse (ia i colli e persona ſr. I l...
l): i. ln - correva per l'animo e.... » IBart. (( I il pericolo
slle liner all tizie di gran avrebbo in corso in mare. 13:1 I 1 S) (N ()
l) l. | 3 | | | ill). (() | | | | | | | | | N V | | (). I | Sl.lº \ l/l () l)
l.... In questo a so dove corre il servizio e l'invito d'un mio padrone.
» Caro i. se son pi ve lo disco, cre, usato a significatº: cºn
lº ami e la scom e e, derira e ecc. si lelle che nelal. Mii la- i
ere e buon tempo per le foreste, e discorrere cc me mi venisse, l'it''.e da
questo discorse un uso quasi davanti mai non usatº, che...» l'80C'e'. a io lo -
i tiri la discorrimento per l'ulta la casa º Bart. - mi - nza discorrere il
fine, si lan io subito alla scurre e misesi a pende, in li di quei ciuoli, o l
e ºlz. Senza lºnsºlº al come sia l'elobe : il data a lillire la
cos:lº.Note al Verbo Correre 585 - l' idoperato quasi al livamente, ma
con significato più esteso, figurato, che non farebbe a pezza un equivalente al
letterale ('O l 'Cºm'e'.5Si - Notilla Illesla frase: col rer l'arringo, e similmente
le altre che seguono: correr una lancia, con i ri il campo ecc. Si - Noli
ſtesſo impersonali ci col re. I corre di questi sei ripi, è del tempo e del
luogo che, fila si scorrendo, prende e traccia di ill pillo all'alli o dei lo
spazio I: la determina la linea.5SS –- Qui con lei e e ad uſiiclo di occurre e
venire andare. Nola e frasi correre al cuore, correr per l'animo, e simili.Sº
Q1 slo Iriodo: cori ei pericolo è con uno a molte al re lingue alie (i clah r
lui ieri, ecc. Divisare Senlio questo di risare nei pochi i serpi
che ſi appresso: a signi irare ci è mai rai o dimalamente a uscinander scizen
dispore con ordine, scomparti, e parli e ed i licli, pensati si arrivare (cc.
li loro l'illi i i parlare i 'loli i c. v. gr., ho di risalo, mi son di
risotto, per dillol: l' 'i la propos, o, deliberato, deciso, non ad esprimere,
come ſarebbe chi selle e parla i alianamenſe, che si è pen safo, ha disegnato,
arriserebbe che..... a tenelidº, per la rino che la cosa -- e passa 1:1
con i giiela avea egli di visata. » Fiel eliz.a.... ed appresso ciò, che i la'
e il V sse, il ritº e il silo reggimento due rasse gli divisò » a
useiirald, setzte. 13o e dagli scritti del salto trasse materia di comporre il
sil: ingata Irla tel', la II Il libro, Ill e li cºl bel ': dillº diviso | Iti:
la tra i cia (leil;a l'olen zione del II loli (lo. » I3:ll'1. «....
ed e-sendo: -s: i feriali lente dalla donna ri vili, le disse che cosi la resse
l'il la r la corre Melissa, divisasse., l?o r. a.... la donna.... 1 i
clonna Ilula 1 e (iiosef Illello che vola via si la cessi da desinare. Egli il
divisò, e poi Illand fil ora lo ri:lli, toltinianielli e gli a cosa, e secondo
l'ordine dato, ti ovaron fatlo., lo.Voi avete divisata la cosa assai bene,
sicchè mi vi pare compresa tutta e a Ilatelia dell'eleganza, o disposta,
ordinati. Ces.di ſilelle sole vivande divisò a sti i cuochi per lo convitto
reale.» Bocc. a Verall I e II la i lill. ll ora per te, da avarizia assalito
fui: ma io la via e o con gli el l istone, le tu li redesimo hai divisato.»
m'hai fatto il pil e B... Sl, ma i Ilie la sinagolarissili la differenza,
ch'io sopra vi divisava.» lei o lì a te il sito per le usa da vel un buon
scrittore, e si Il bo a al volgo. (sl se la divisavan Ilie doti, i quali.... »
Ball. si elisavallo, avvisa vi 1..\l l'i mi diviso, le rimastis: Iuori quav
dalla soglia, vi mirino filgl ill::ld. Segli Ini figli l'o).si che io mi diviso
che non a rilisse; o i miseri di alzar occhio, non li orli: l pil le.. Se
gli.11 ilare un vocabolario d'un per il: Itti i vei bl, divisatevi le nature e
le proprietà di ciascuno. » Bart. do- ni di tal ne trarrazione, se non che
troppo a me lungo, e forse a li legge in si evole: ills in elole, divisar qui
le tante dispute chi egli ebbe.» 3:ì nºi.vestiti superbamente all'usanza,
d'abiti divisati a più maniere di colori, con i filisslilli - il milli ntl...
Bart. Ermtrare Notevoli di questo verbo le manie e bellissime
a ENTRARE. MI ENTI VIRE IN CIIECCIIESSIA, ENTRARE A...., per cominciare,
prendere a latº e ecc. lºrin la che tu m'entri in altro, dimmi, -oli io
vivo o morto. » Sacch. Non m'entrate in preccnii, nè in prologhi. Quando volete
(lualche cosa che io possa, basta un centro. (art.lira non a 1 le con una donna
di tanto intelletto entrare e discorrere e sopra luoghi volgari e comuni della
consolazione. » Caro.I) una in altra parola entrammo ne fatti della fanciulla.»
Bocc. poichè io entrando in ragionamento con un delle cºse di quei
paesi, per avv. tu a mi venne ricordato Lelio. » Filoc. | EN l'It
Ali E \ All.SS \, ENTI VIRE \ I \ Vol. V, ENTRARE A MENSA c'Ca'. La
confessione generale che fa il prele quando entra a messa. » Pass.c ENTIRAI? E
IN TIM ()I? E, IN ESI | ) EIRI (), IN PI.NSI EIRC), IN SC)SIPI, l' I (), e c (t
(lice nulo. entrata in timore - sei o III. Il cap tº re Ba 1 t. IP re i
'clie a g, ilt i, \ l). go l'e l... I mili: i le - -:llito Vivo: e º dell'ill
ia 1 1: era r. ll - I ldei prossimi, entrarono in desiderio ci si pre e, in
ancora spo: desse li ll, l ' t”. tº ll tº si ri' o 1.... 3 I l Iin una settii
malizia entrato, i vo i es - a l It I lilt il 1 e il - d ENTIR ARl,
ad alcuno Al Al I EV VI (E per..... ed io v'entro mallevadore per lui li l
e se è le. llla III It. Fi..Chi entra mallevadore, entra pagatore. - -.: Ilss
II: Il V tº I,N | | è A | I, I | |}I; | Rl, I V | | è \ \ | ) \ |, l N ();
| N I | | VI è E SA | VN I \. I; IRA \ I \ I ) I.....: - N | | | V | | | | N (i
| | () SI \ e c. I ) | VI (l N (): EN V IRE NEI. (VIP ) \ I ) \ I (il Nº in cig
in cui si, clarsi ad intendere, osti il dirsi (t (red º l ', Ils. ll lo)
I | riti si illi -:1; Iz.l i i dis, 7 entrò una febbri cella, e l'inna se lei
III omistero.. (la Valcº. I, qui ii a o o in a. I riti animi entrò smania
nel Ilici; ve a lolli eti, dl e Vil:1. (li paz/ 1. l): i V. per la qual
cosa disse che gli entrò si gran paura º le calde il tºrº, e quasi tutto
stupefatto, ſi angosciando e sud (lii n non Kyrie eleison. » Cavalra. a
Di che la Minetta accorgendosi, entro di lui in tanta gelosia che ce li
non poteva andare in pisso, l e ella non ri - --, l al! -- º
) l'ole e col cºl ll i lili (:: 1, il... tl bol: Issº. I 3 a gli entrò
nel capo li li dove li te: --... lle e-s; il vos - 1 - liotalmente vivere nella
lor povertà. e 13,. I, MI ENTRA CI ENTIRO. (ne son persuaso, mi capacita.
m i quali (t. mi ra.Fuggire l Is: s e il re il sito proprio di partirsi I
l il si alla I - - llando di evitare una cosa, Nºn solº, º ssd i si la clie' ci
essia, e sinii, e quando con forma tran si vi o il sito va si' al re di li
alligare, la luggire, la r portar via ! I l sillili. N Ss, le Ieggi il 1
l I fuggire.» I 3. « Fuggendo la - i liz si i vas i: in entenne ºri e o
Cavalca. N fuggire il i f. sse a l?o. (l III a - l: le fuggia in chiesa e in
luoghi di re I: gl -, il l V, il - ro c n una lettera che seco avea fuggita a
quel li s Il \lo, lisl (r,, lº; i l 1. Si il paiolo, e vale
l'ergiversare, cer ir si l gi, scappa! Io, gelli e. v le lis lo
stilli - e o il modo di prendere il battesimo, egli con si t! lle astuzia se ne
fuggiva in parole, il ia i ghe giallo con promesse, l'... a lºrº rt.
Guarciare Pongo esempi di I guai dare ad al ro uso che il suo proprio di
dirizzar la vista verso il ciggello. Significa quando preservare, difen le re
li ulem, bel dilem, 'lalido cusl uli e, con sei retro', e lalora anche con
siderati e poi non le, gli ai lati bene, sta r bene in guai clic prendre
garde), pone le dire, in gri ma 1 si ecc. Dal qual errore desidera il no
di guardare quei che non hanno l'ngua la lilla.... n 13...I lolio, il --, ti
guardi la bocca, e ebl e II lili, li dirgliel, che gli si con lic Io ad
imputridire., Bart. Dalla stanza poi l ddio le guardi a ni. » (..) l'. Dagli
amici mi guardi Iddi, he da nemici mi guard'io.», noto proverbio). Ill IIIesso
l' 1 lgiolie e il III lilliga III si ria guardato.. º Te, rarissili lo I rate,
Ille, l la guarda « diligelli e Illelite. » Fiol etiia li crisi fi, al IIIe: i
la guardavano il ritta Vi elit . Al fine di guardar la sua pºlvezza a l
'i: e che guardasse molto bene l Llls 1, ii le leſi i [ll: e
bedie:lte. e fedele: e p. io guarda li: i I lilllla pel solla senta giallllli:.
- sia II, il si n. 13, S: l | | | | º io i ſoli posso credere, le
lil - te lo i « per io guarda quello che ti la li: e se l'11 e l: 3 onsidera,
poi i lr 1 lite. io lion ſarei a lili si alti guarda i ti piti di sl
latte cose in ragi, li I. I3 - li ii glia i Non accade esemplificare il
rito al moli li ll Is: (il Altl) Alt I.E FEST E cioe ossei reti e lui e quello
oli e presº i il lo (il V ) \ I RI, V IN IP() (| | | () (V | | | | | N |
I l its e il I ti q. c. con sler lo tsl - - nºn lo si ecc'. (il VI
I ) \ I V S() I I I I VI IN | E c'Na mi in tl e con il l. (i l ' A IRI) \ I? I.
\ (. \ VII.I? \, e Nilm ili. Nolerai da illlllllo il ſigilli il del s II
lil e o si ri.................. che guarda un all ra: que!! piagge, le
quali gt ai lava, l, l i b - lei li di qll illo, o, l rivestire Il suo
primo significa lo è quello di ill e il I ss di II la cal. d'uno slalo, d'un
beneficio ecc. il cili, VIII l iris I/ l il so stalli ivo. In restitui a
concessioni di dollli li \la di essi il li: li ti in resli e il luindi 1
o, (i l i rili –: l in resti e il mio i gl ii li –: c in cºsti di liti i
v. a enti e, d. l, poi, i - l – cioè adoperarlo in compere o si
assalirlo, all'olitarlo (ali fallen, ali in uno scoglio, in una sceca – ci è 'i
- gli sll'alidell, allf cilie Sand i.: \ (il suo in un anello investito,
il c Valli era: 11.... e i I os - ini; d) l'investira altrimenti i lo; dal I
ri, Iii: gli tv va, dato e s, li ve:lli i l. it: l investire e il.
I li, e la i si l aº, li è per molto l, li e li si - ll s: i gli i
il tisse, si lº ric:a li ai tanto i parti e le ore li li: l. Io
investisse nelle tempia. » Caro, «.... liles is a so di il l I e spiaggi
(ii Zeila: d, a dove investi e l II, e l3:ll Lasciare Lascio
gli isi più contini 60i e poligo al solito alcune maniere fro quel ſenelle
adopei al dai Classici, ma niente volgari e poco note oggidì. | \ S(I \ V
| R V | { l N (l \S(I \ | | | | | | | VI (U N () tra lo i veri a lasciate
far me con lui, che voglio conciarlo si Il riti e lº.l) Iss le, l io vi sºs l,
lasciate far pur me, lì e con l'io la troverò, os a bai ei, tanto bella e
Vo: li I \ S(I \ VN | ) \ | Rl, l. \SCI Vlt ST VIRE I a lasciati di dire,
l'assare in silenzio. A on ne parla ro”. \ on lire ecc.() a di: se... [llo da
pozzi sono d [li, pull e, s lº elle lunga mate ria. Lasciamo andare,
l'air (Illesto e le ini, che,.. » Fr. (iiord. lºred. I rosl 1 Ile poi li e - le
quai, lascio andare.. Fr. (, i..Ma lasciamo andare questa corn parazic ne,;
- al: i re si s. ll - il 1 i l Io lascio andare e li I, to! i i se' st -
e il top (', - l l'oi. ll (lasciato andare - -- - lei la lr1 si rii i i li: i
li: i I l g il 1 li:i re S e il se i - \li - - -- li tit. º Slº. - l.: don 1,
lasciamo stare.... / es. a rl I 1. - se, o il piu' il 1, i -: i in ' t:lti li'
les. I titºs « Lasciamo stare, l..... ll II, i::. - l l: Iss, l', ' di lt 11t.
Il... » V ill.lo lascerò stare la rabbia: l. l s s i M. ss: -, lazio: i re: re.
I 3. Mla oli e - - Il ti il V 11 i Lasciaria sia re ciº'egi i t -to - a io | Il
! io. e.. l........... () 1: - -. Lasciamo stare continuo (li I) io li li' l
zi, 11 - di e 1, il il: il: il, par i (s; I l i (50!). - 1, V S(I \ I I \ N | )
\ | | | | N (:() N S \ SS (). (VI (li si di lui i lo - e (),. ll lo un man rc
vescio antia r gli gi i.ascia l s -.. I) li ve li. I !, i i t -. e
lasciato andare, – i l ss (i li lasciai andare in paio di calci pi: l'i: l'.
Vli lascio andare un si fatto tempi orie, (li Il I p. e I3: il FI, r,10.
I, VS (I \ | RSI \ N | ) \ | | | | | | | V Sºs - - I V con lisce nel 'I e
a.... Ne' in luti e lei i son ; - la si lasciava andare al motteggiare. l...
V ºsci.. ire in dotaria il 1: l ' il solº Irla li hit: l.. Il V l (il
l. Il tir,..... -: i li' si lascian andare alle vogl e le liti i:
Segni, Arist IR Nota al Verbo Lasciare (it), Q Ielo per es., a
ce lo valore elillico, di lasciar fare « Que s il 1 lili i dirlo io: liti Iddio
non lo lascia. » Fr. (i:ord io di pl el', mollere, lasciar di lire ecc. t di di
iroli scrivo se non la soli, rila: l'alli e parole la scio. l ' (il d. ed alle
la li lasciar scritto nel testamento..... clie..... e la I Cina lasciò che vi
e' in non po\ esse lorro, moglie se del silo ligliaggio. VI il Pol. ecc. ecc.\
di lascia i colli o alcuno | rascurarlo, non promilo verlo lasciati si indiel I
o al no si perarlo: lasciar di fare, ecc. (il l. (''NN (I l ' () mi e't le I e
Iºl ll. soli, col nullissimi e del i ls e bassi era avelli a crel II l. (I
) S I l esso la I l: non che potesse.... oppure non clima molti i se s'ella
poli's e..... ll l il..... In generale questo lasciatmo sloti e che,
lasciar stati e checchessia ecc. è quando ſolº il di livelli il che colliva i
non clico, e quando significa mºlle', ', li atletsciuti e ecc., si li alll a
lasciar andare. (I )!) \ ggiIl ligi alici e li slo: "li si ispiri
lascia lo stare il cli de' pitler nos li l.... l o c.(, N, ivi, di ques'a
ll'ast: la scia i trialo colpi, calci ecc. l.i v s ital, e fa gr. Il colp.
N/1 arm care I )ell'uso di mancati e', e similmente di allire a forma
transaliva (man tr. I i l etillo, il soccorsº, Valli e all' ui la promessa
ecc.) se n'è par la o alla I al I 2 Cap. 2 Seric. Il mancare dei seguenti
esempi equivale ai nodi venir meno, ſar di ſello di... l e star di lare, restar
di essere e simili. Ma nota singolar for lira e costi illo di un sì al incotro
che non so se alcun moderno, il p co sperto cioè ed ignaro delle occaille
bellezze e proprietà di nostra li igili, l'Isasse lnai. e anc, di questo
lo endeva la Maddai e ma un grande conſolio, che la mi irta di Gesù s'indugia,
a pill tempo: nelle era certa non poteva mancare che non morisse, ma quel
chiavello, che l'era litto ºlel cºllo e suo, lui penso la faceva spesse vol e
riscuotere, e gittar degli amari sospiri. » Cavalca (620) (Juan o a... vedete
che il tempo mi e tolto, domani forse non mangherò ch'io vi soddisfaccia. » l
3o.. 621).a Io non potei mancare ai molti obblighi che li ti pareva avere con
ºutta « la casa vostra. » Fiel (liz venir Illello.a L'aquilla... se n'andò da
Giove e lo pregò.... Giove che si teneva dae lei bell Sel Vit, nella [llisto il
I (i:I lillili le, non le potè mancare.. I Z. Onile ancor sindusse a e rito,
che per lui si po teva II!aggiore, pagandoli, i lile il - III - l I riti o 1 -:
ni si evil, goli il e borsa di Dio che rilai non gli mancava di quanto v' - -
riti a me a lºro sllo e l'alt l'lli. m I3a l't. non gli fa reva d fel!,
li Note al Verbo Mancare ſi20 – Proprio l'aus bleiben dei cdeschi.
Ma i la bell il 1 o governo e ci si l IIZl llº.621 – ()sservo i li. di Illes, c
del ese, il pi. l' Iso di ill siſal o mancati e ai sbloiben). I l
personale. N/i a nte nere Si Ils. I 1 A il l si i li isºl V: l che
è il ', e ci li ulissillo, I la ill: le li soste il l ', i rºſſº', si l' eſiſ,
i c'; cli) e il clero e slm Ili. (i: la rla i 'i ll ll 1'. - manu e
nitori di un altra g Cstra l': I l (.:I:. Mante:rere a pianta d'armi, i lil. a....
\, - ri ), l e l'i; e cli), a mantenersi, I te, I? I l. ragioni colle quali
essi mantengono la ior causa. I3: r" non - ea mantenere sue ragicmi - ti
li lo..... i, li: l 't a r. e semplice (r se I e ! -.... a.... e per chi l'inge
o iv h e le la V [a fisica lo Tta mantener le proposizioni, i clie e gli 1, i
i. N/1 e ri a re Ne ad Ilico gli usi e le maniere più cara.
Ieristiche, frequietilissime 622, tippo i classici. I lilello, il
sile, V (ilga l'illelle. (ggiuli. \I EN VI I I VIA NI - All.N VIR I 3 VST (N
VTE – MI ENAIA COLPI e simili. ll 1: V e menava l is lo le mani.» Da V. i Imei
far le mani le.... » (ii:lln), (. I meitai:: in Ceip 3, l ità ell.... Fi,
Uilz. (l' - er tulla la casa, gii -- menanrio d'attorno bastonate alla l sperata,
e ciò per rac i '::: l 'mena ti ma ceffata Il latita i lilla di mano I alla
spada e menò un fendente e lo tig iato un recellio.. l i menandogli
un gran colpo... \ | | N, \! I N VI: 'I SCI di un lago, fiume...... –
MENAIR \ N VI A [...... \ l.N VI R | | | | | | | – Al I.N A | è \ I \ V N '' i;
i nne. I vant 2 figli di eli. - !. !. I I li i. pia di ellite si - nema i piu
dolci pesciatelli di questi paesi ed l.. ssa Iar danno. 2, Fierenz. I: i i li l
è l'ozze, alla I ºne man o cro. S i vii !..l. I l v..... I menava tant'acqua:I
pm i I l ergli o vetture e le quali neri ino V I - I menava vermini.. (a val n.
ll e illlia dell ', o di fuori gliela "; l., i menando marcia e
vermini, e un puzzo intol l si, il til - i lº': i \ | | N V |
| Vlt ) (i | | | | (52 Iliesti nel sima festa, per.............. l e, g i |
tesse la l cha () rimis la i mera:ºsse incºglie, l'. ll di 1 l le (lulello lì
ledesimo Parsin:unda menasse Efigenia, Ill o Ormisda menasse Cassandra ».
º... » lº, \ | | N V 2, i v 11, 1, 1: i menarlo il Saverio) con c ss; 13
i: del pari. I 3': Mlſ, N.VI è SMI-AN | E lie il Viglil I |.... l - ne
menava smanie, In il a il l: il b :ljat per poterla va le 13
c. t 11: me itava smanie. All.N.Al ' () IR(i () (i LI () (li..
I) esi, it , l.: 1:: il l nenare orgoglio., I'l' se Fi \ I f.N
AIR E S | | | V (i V | N A -, l lorº ! ! ! !, i. nmenava ovu: ii
qua si ragiº e rovina,, (1:: Illi. \ | | N A | (i il li. (º
'N. | 3 | () N l i ce li ' NN / 1 - il lui lotto 1, per il miti i lui
'cr. l al 1 l. A | | N VI, IN | V | | | | | | “ Il N V qui \] [ N \ (il ..
!. i: l '::l IN | IM V Nl lemer a pari ole. I ciance ecc. I nne
maio il re i re giorni in parole i I 3 l. El! l i 11 il
pi meno per lunga ſino I l. i rmerava d'oggi in dimani. B:
i (i:º: (52 \1 l a li e on e o menava d'oggi in dimani. (-
i. i lo si si, l'. I I Ili Note al Verbo Menare S i li
cias si i. i issili li e v. " I ri. E volgare, ed è a 11 le lis si, i lr 1
tl, mi e' mai rsu Il le, lilli il la la niglia e fa gli menar su. Si h.
Il menati e di questi li li. pare il re tale che produrre, tre I ecati e º sil
I lili. L'u rore mi dicere le; la lini. Si rile: I rail al giudicati e al
l una sl 1 e qui. N. Il cice gi li all' al i sii isl l'allerile cli li il.
I l sse e qiuali, atto alla medesi ma stre'ſ ut, (iiill). N/lutare Tra r
utare, perrr utare) S li li ma alle li e oggidì, sulla: i la il alla
liturnelite, le maniere: p, i lati si o nº i lati e li ce li ssia lui il mi
luogo, da una cosa cioè toglier via, 'I si po' mi i lati e ulio ed una
cosa al li li lu. I - ll 1, i \ I) Iss l Suff: Inarco: () 1);
13 i bel veduto, se egii liol muta di là, i iS - opravvenga, replli o i
mutarci di qui e andarne e. 13o. il l e l'en veder lui mºnti iava mai gli
occhi da lui. m (S. I s VI tramutò a Castiglione, a sp e.i, 1 'la, le col
piedli nè con i llla, ol' (luà, ol là si tra mutava piangendo, lº(- e il
telº dove ci permutiamo? » S - e si l ss e luoghi dove l'uomo si
per N tre chicchessia del suo proponimento, si l si º li ille, la Mlad
l'o e la lºadessa si sse per lui un modo la pole lel suo pl o poi, in cºn l. ll
li l la ll al re dal monastero. t i vi l I C c correre e di
bisognare, far i sli, i i i s I, -, il ll pal i lide si con i poli e ob, a
Valli, incontro, e il 1 l ' ', ci º l: in lei venire, il reen il ', reni e
incontro a... –- vorkom men, 'n l I 'I ml, li mi cºn silli Ill.« Egli occorse
al III si lillo il caso. I gol so se ne voglia piuttosto dire « cl'udele che
strallo. » Fiel elz.« Nella prima apri lira di uº, il cccorse quei la parola...
» Flor. « Dopo molte parole occorse di villa e l' a Bart.« Occorrendo le AIII e
igo viene il servil e V. E. In'è pirso, poi li è per so: la fida |a,
scrivere.... » al V Vell:ldo. VI: I ti: I.teneva la V [lli b. I servito ne l'a
lllisto di (ialli e no: gli occorrendo per allora luogo pit si le lis- c.
ll -- sl ful (iioVe, e le si Ilierle. Inoli le liote Iria Il 1: e, a
cltro da porvi le ll v a -1 e ſa | | 0. » Fiel'eliz. lli ll V e' ('il
logli il lil, il to,. C c cup a re E | 11 n.... i violsi: esse e
occupato da un aſ ſello, dalla rirti di cliccchessia. «... I l l da
grandissimo sito pi qll st: giovalle, occupato. I 3o. «.... (Illasi da
alcuna i timosità (l, - occupato a V e so. «... e l: la Virtti di II la
bev: 1 la occupato... in lo ev ra Iliori, (iia Irl). Io lili Ss, il l)i, e l Il
gla i ll I ssa Il II li altra volta vi dissi, o il gi:: le pi e in molti
i vi: occupato; ch'io I lli sul pe: lo....» l': -- I v. C rci in
are con leggi: iri. I l gli allori clas prescrivere, nel loro in
ordine III: il liclle li (il lill li I o II l sici ti significa l'e ll ll
st il colpº: il lill. cliecchessia ecc. colli e ſil, e li li si lal iil I Il
lil del ll. sporre, s'abilire, di risati e, con l'ori e con clic li e ssia ali
di mºlti l ', li ſu l e' N, la la ſi l'Irla: orolin (tre con atleti no, oralini
rc in Nic mi e che, con l' ('i. (º 'C.l ordinarono V eg::leil I e
tiltti e tre fos sero insieme, a e l: il l: st i ta.... lo..... se crdinatc
Cine dovessero fare e dire..... I 3,. E st e, con lui ordinò d'avere ad
illl'ora rid) le si gli ºli, sOrdinò con lui, il V: i villi llles (la li le
lºssle le) e, Il ll lºE l evano stimola [o, e siccome egl o avevano
ordinato, i. Il 1 a 1 i lil a ze: \ are i suoi peccati....» (v. l. E
crdinarcino insieme come elle love-sero uscire Il lo; i il 1/ Ca Val:i. E li si
s. p le i s / iol la; e? I doperarli in corsº lle - e il l. crdinare che niuno
di lo; o per la I lOrdinata il v lo s. I l Ilioto grigia: - tlil. » I) i
v. Fassare Nella Sez Io l' 1 l ' 2 (p. 2 Sel e 1, solo allegali
esempi il Il passati e ai lo li li a usi il ct. I soglielli in sl ratio
al 1 li: l ' si e li alie e di questo verbo, note volissimo, e il I e Ilissili
le s Illa pellia si classici. lli: passa i tlc il no (t. «la banda di
banda, puts sare olli e, passati e i lorni in i lisci la l le puts Noire d'uno
in ali o luogo, passati al vino di bellezza, di sotp e, passa la bene, passar
notissimi, sola e simili. I l soli i pll'ic le solo alcli e oggi
(lell' Is. I: l: vi l le passò tra loro.» I ti it) Ml lit e
passavanº il cºi si l: - lì la le!!:i li... o lº i. E o tiſi into
le It V, e passan le cose, o l'it l (',! l /. te lo do per te li o l la
cosa fosse passata colli e gliela aveva egli divis: ta.. o l'iter
l/. Conto lo quanto avea passato col l e Fierenz.« Le quali tutte Ccse
passano su Inza a V - Vellg 11o.. » l'ier Iz. Deside. I va in il caso passa. 13,.
e - l III:: l - l si l sia sempre mal i Irlato, il che passi,, ni III o
li si s -., Sog Il. ()g! li cos: passo al contrario. l. I V. 6, lº,':ls, ci; e
le CCSe il - passar bene. 13: 1. si III dialie i cvelle ci passiamo., s -
I 3 i “.. i: -1: l I l. I jel, lo ero il tie-t: -: i Ill 1: II i l:: se - ll
Iss di passarserie adita niente | 3 ll, st 1, s. ll 1 (- Iº, io -, si S sa: i
lei | 1. l se ne passo. I 3, ti i? I l bene passare. » (: l V l. 1:i.: l 'N. ll
si It... sll (! - I i s l e Ileli |, se ne passava.:I passo mene qui ora
brievemente. Vi SS. l'.lo a V ! ! ! ! ! It, passarmi al tutto di muover
parola.... (iiill. - Ma per che io ci, l... - Za li Ire, mi pare di pc cr
passare - al pr - li e, vi li: l la lierli lie) - Ss ('ll lo 'll C (i 1: Il 1
so di volersi del fallo commesso » da lui mansue lamente passare. I 3.ei e li i
1: o li passandosi paziente. Fior. E - l: l'agglia - se, io, Ill. Il lo ! ! ! !
I V (le, l si passava assai leggermente. -. l3 i. Il II III: 1. ll bh, l'
- rili i li li I e il... Ma me ne voglio passare di leggieri. pe. ll 11: -
illili allilnali.... po;: quelli li ti Nolti i ricorsi i lorº li: I ASS \
| | | | | | N () IN VI, I E l va il l per passare ol: ti III lili.... B i I) v
e il 1 l si passare in Toscana. Ci si ri. - - - - - p, e vedendo...... - ll I |,
il de / Il l l io, s'ils - lli, del a - o e passò in una gora i lì e il 1 l Z.
I lanieliti passarono in icmulto. » l) i v. Iº V SS \ I? I, I ) I V l 'I
V S it | 11:1 - ss: li gli 1:1 c'evade s'inti, e le passavano in questa
via; ma egli non gli all'anima di G. C.) si re -si l e. (a V al:i.Comiso, 1 la
tila doll i i [llai - mi 1, lo le tu di questa vita passasti, stil a iº l ',
ill: l 3 a Dopo non guai i spaz, passo delia presente vita. » I3.
Note al verbo Passare () () Il passo re di Illesi i sei tipi e il
rella le cle accadere, avvenire. in terreni e seguire ecc. Al: sserva particola
le cosl l’ullo e for ll lt l. (i Nola la testa litanie a passare al
contrario, cioè non riuscire, avvenire col il rari Iliello - e il che la segue
le passare bene', ci è l'illscire ('. (i 12 () uesto passo rsi di una
cosa si: il tal se passer de q. c. dei l'alicesi è di varia significa i me.
Vaio nºn arne parola, Illasi lºol forli al sl a pal la no, lasciarlo correre,
quasi lo fermarsi a pulirla: ora con le n la sene, li lasi non fermar si a ll
lov e o lillicoili, e si lili un gelien, il bergehen ecc.) (i 1:3 Scilli
ilel passa, si mansu e la mente, paziente mente, le fermi cºn le e simili per
non farne caso, proceder sen sul lig, l ' loli e il rall e il till ', loll dal
Selle fastidio bliga (('c). (i i l'. Il ſilenlissimo l'uso di passati e
per parlirsi, andarsene da lIl 1 ll I go.. ll ti i lo ) q c'h ('ll.
Ferm sare Cerlamelle che a definirlo sia, come la il Tommaseo, esercitare
il pen sie o | Iasi clic il pensiero si alll: cosa del pensare - sia come ſe
c'ero già il lolli al rililologi, esser conscio a sè delle proprie impressioni
– quello che io mi dil ei più vera nelle coscienza, non pensare, – non è Ian,
facile e il rarvici e intendere il colme dei diversi usi di questo ver bo.
Deliniamolo all'incolillo con più semplicità, e quello che veramente è, ſa e
cioè giudizi con la mente, ed è subito manifesto e piano (così pare a me il
valore logico, la ragione il lº inseca dei modi: a pensarla –- sinonimo
di lenlellarla -, sovraslare inne hallen, ille si elen, rallenere cioè la mente
il riflessioni e considerazioni, sen za conchillolere, risolvere o Vellire ad
allo; lo pensare una cosa, cioè indagarla, e Ncogitarla, cercarla e
trovarla pensando:c) pensarsi, immaginare pensando - fare sè o a sè pensare,
ecc. – ed anche: d) pensare, senza l'allisso e in modo assoluto, simile
ai verbi della 2 Serie, Parte 2 Cap. 2. Non parlo dei 111 di pari sa i
cui l i na cosa, pensare sopra i na cosa, di una cosa, che è l'uso
ordinario del V b pelsare. ... era li a lui la pensava, l... l), V. lº da
il di illi i 21 pcnso sempre modo e via gli li p s- ll ril l'e. » Fiero lº y. e
Con I liti o id) abbiamo pensato un rimedio.... l Z E siccome a Veduto loli,.
p; estini i ebbe pensato quello che eri da la ! e, e il Salil il llo il
disse. l 8, a pensò un suo nuovo tratto il: 1 st z:1. o C sa li. a Oil:ia
e la Viſ n loro il c i i liv - I loss,. i: 1- li il Sel può pensare.» 13,. E si
pensò il bilo n uomo che era l'elipo, d i rid: si me alla B colore. » I3. Mi
disse parole, le qll al 1' mi pensai (li II: il V oi i tal gelite e Vellisse. o
l): l ' i te. « Pensossi di ener modo, il quale il ddl esse.... o loce. « Sla
tanto li me che pensiamo sarà presto gilari o del Il lo. » Caro 533. a Illa 11
in si a Va - lo s... Il la la III e, pen a Sando forse, che si ill a rl),, lov
e l'll el', e: Il lido, V ne sarebbe e quali l'un altro si vi -:ils pe:Isa:
dosi, irrina - ni ndosi. Fiereliz. Nota del verbo Pensare 533
-- trir den kºn er l'ird balal tricole, gi / se in \1 dl, (li lico come si è
del [. e sta per ci pensiamo. Perci con a re (C coro ci cori a
re) Solio liolevoli sopra illlo i modi: per donare la rila ad alcuno,
cioè lasciargliela, non ſorgliella: perdonare, condonare ad alcuno di fare,
cioè accordargli, per le lere ecc., perlonare al jeri o al luoco e simili,
slarsi. rimanervi dal applicare il ferro, il fuoco ecc., e finalmente non
perdonare a denaro, a lot lica od all ro, cioè il sarne più che si può, senza
riguardo ecc. l o elli v - se perdonare la vita. o l'iere 12. ll I po V e
le dosi di III, lta p. egava il leone che lo la s Isse e perdonasse gli ia
vita. V, l ' i' / II; di Es po. N perciorasse pietosamente la vita a Roma
già - Il l il I I I I I I e l Si l Perde maie, i, pcrdonate il lil, alle
ricchezze, le i:ì li all'ute, e il l i -, i isl al lilia? e. Ed a 'e la
in condonisi di recar lo ve / le pendenti agli a ol'eccl I. » Se ll.Che:lol V -
si ill o il litri interessi unani, io li Vi perdono ciºe arrischiate la I loa,
che avventulliate | lº ri lli: zio, il che li ss i sa, i ta, li l... » Segìn.
-col e gli... oi, illi, e le e' ſù perdonato al ferro e al fuoco. (ii:Tilti i
1, non perdonando a memorie, magnificenze, librerie, spi: i lito, l I e I do la
V el - 1, V., – lla slal'e il nido. » I );l v. se polesle.., 1 l l i gia
che perdonereste a denaro.. Segn. \ V e perdonato a fatiche a spese a
industrie, ed avrebbe tollerato di veder l illa del tri: 1 il pe: i - se poi li
fa render beata?» Fºro cacciare llo is o V al I e il I e il I l re
di pi curarsi, o procu 1 a 1 e ad al Illo che chi essi, i licl il sels,
VII l essere illeso anche il I 1 (lo: di malati e il p o ti º lo gi la di
più l'allino di andare il procaccio, si e' li Is simile a quello del p,
r'alizi l'agi li lo stilope ti e' piu' al '. Si gli assi lilla nelle fare in
molo, ingegnarsi, inclusi i inti si o si riiii. (il è per or |, se |
-s,l, le to e ad i vi i procaccerebbe come i 'avesse.» l '.frastaglia trieli: e
vi dico, i lle i procaccerò s. viza la, che voi di nostra e brigata si ete. »
I3.Volla procacciar col papa che i voli llli d 1- elisasse. » l?o. « Il llla e
Veggendo la nave, sul tallenta in Irlaginò ciò che era, e coa Ina ndò ad un de
lalnigli, che si li/a. Il dilg 1, procacciasse di su montarvi, e e L, i
lati. Itasse ciò che Vi 1 - - o lº. r a )ra si procaccia Viati.i:i di
avell are agli al s oli, (! elisol II: la Vellasse e loro IIIo o il milmente, e
co., lilolte lag rili. (ilValca.« Procacciante in atto di mercatanzia., lº.. )
- I tos, l l Ilsl rios,. a Procacciam di salir loria che si abiti: (.li gia lo
si pollici se il dl Il: l iode. » Dalì e.gli venne illio va cile i litoria, i
i' si della reli gione, si, ra ils it la', pro cacciava tornare al regno. (i: i
i. E pensolini che la lon:.: 11 1 1 l vi aveva del o i S. (iii) valli che -
procacciasse d'andare i l leili, e Il 1:1 11 e disse loro, a dire i lic
va ri-s..... - il i: i lila i lilla. E pensº irri ste e - 1 elle e - I
sl11: rr, te.... procacciava di favellare loro. (il via l. e º pe; soli i clie
il vºltº il rii (- si VI: i dolina, e li ci sse: Carissili. Ma il c. v ! le li
li, V e lere chi e gli scril I e F: i sei procacceranno che questo corpo sia
ben guardato, e Irla. 1 ler: li li i di l: -- li si li li li sa l bl e
11est: i stanza li li l: - tra, (. I v Sſare.Procacciando d'aver libri i -1: l
silt: l o (.es: l'i..... e senili e procacciava in vero studio di accompagnarsi
coi laici, e c. l e perso le di l -si l III: ( Ragionare Notevole
l'uso di Illesi i verbo I I I I I I I I I rilisi iv livo, col caso l'ello ecc.
2, a val I e di disco, ci e, se il pli e il di pi la re, emersi parla di di
checchessia ecc. e t -, la e 1 l, i -; tiri. I ll zza. ll (iesti ila -s,
e per ragionare con lui quello, lo delibe: il to Insiellº., Cavalca, a IP Srla
e le m'ebbe ragionato questo l i l: i grilla li do vr ilse; a Per liò mi i
ferº, del veli il pil pro-lo. a l)a te.e forse mi sarebbe igev che ragionato
m'avete, a che Iriella: il rili al V Ita el l Ila. » I 3.« Come il di Ill
venili o ella Inandò per Illi si sale e ragionato con lui a questo fatto. »
Borc.« All (li:llmo 11oi coll e-st, il il lºonia ad Impellare che..., ma ciò
non si a vuole con altrui ragionare. » lº cc.Collllll iarollo il ragionare di
diverse novelle, o Bocc. -.... insieme con il rarono a ragionare delle virtù di
diverse pietre.» Bocc. E' stato ragionato quello che il maginato, avea di
ragionare.» Bocc. Io gli ho gia ragionato di voi, e vlt lvi il meglio del
mondo. » Bocc. “ Se io sentirò ragionar di venderla, io vi dirò si e torrolla
per te.» Sacch. Nola da ultimo i nodi: entra e in ragionamento v.
Entrare: stare d'uno in all o ragiona nºn lo tre i tgionamento: cader nel
ragionare, i sul l tgionali e ecc. e.... e di questi ragionamenti in
aitri stili sul ſua, lo caddero in sul ra e gionare delle orazioni li gl: i
lori i l a l)io. » B cc. Rinn a ro e re Restare) (ill: il da
colli i lill li si l Ill li Ilsill', li, elillica nelle, il Voll)o rima nei '.
I in nºi sl, per cessare, lasciati li la re ecc., ed anche dicevano ri li di me
si, i 'sl di I Ni (li che lessi:i, il logo della folla ordinaria, asle lie
selle, non la re ecc.e Valli il picchiar si rimane. » l'80cc. l'er g. I li, che
nel e li li e di Ille, le i l onllo e le el o nido, si stoppal on i detti art
firi per il lo, che si rimase il detto sucno. V Ill.Per voi non rimase, il st
il dele, che egli non si il 1 les-e colle - lle 11 la Ili. l 36a Tull ti via In
li vo che per questo rimanga che voi non li ne facciate il pia e vostro. 13 i n
i VV e il 1. pl te! is a, si tl al msci).Per questo non rimanga che li per
venil e il II lo al corpo sanlo tro Verò io le; l lodo. 13, i.a Madonna, per
questo non rimanga la r il na notte o per dile, intallo che i pensi.... » Doc.a
IPercio hº, quando io gli dissi al collessore l'amore il quale io a a costi li
portava.... mi ero un rullo e in apo che ancor mi spaventa, di condomi, se io
non me ne rimanessi, io li'a il re in bocca del diavolo nel profondo de l'i
nferno. o lº e'.quanto pochI - n 1 lei che rimangonsi dalle colpe! » Segn.. ()
il -. o è mal I atto, e dei tll egli ve ne convien rimanere. » loce. - - - - -
ess idono da alcullio loda l rossiva e inos l'avallº tra i dolori, che, pure
per non dargli quella lanta noia, si rimanevano dalle sue lodi.» (es. r ....
e oggi se ſiore ho di sapere, e nome, vien più da Volsi che dalli al a ringhi e
voglio oggiinai rimanermene; perchè que: codazzi, riverenze ea corteggi a me
sono con i bronzi e io iIII il gilli, e li riti li Il cast: li o!' « contro a
Illia voglia. o I)av.º per cinque anni era con Intlalileite nel pt at, e li pil
re: che se a ne potesse rimanere. » (es: ri.a sfolzil Vasi di oli dll l'1 e l:
I); Vill: l 3 lit: i d i lilli olii i cºlori di - i lo a padre che restasse di
più opporre imp, dillio Io...., (es. “.... ei percossº. Il lin fascio di legno,
e tratti ne II: il « e nocchieru o che vi fosse, non restò mai di battermi. »
Fie A. 537 Note al Verbo l?ipararsi o al clie ripara i º il so, il
II lil in qualche luogo, è rill Rimanere 536 – Maliera elillica e vuoi
dire che i lu solo di peso da lui se la costi non ebbe effello, ma che per la
ri', la da lui sarebbe anzi il V Venll: 1.537 – - Aggi Iligi la frase: l in an
rsi con alcuno, cioè resi il l'accor d. « e cosi gli raccollò IIa lo si era
rimasto col giudice.. lierellz. | | - Riparare giarvisi, ricoverarvisi,
prendervi stallizzi, il bergo o si riili. l ipoti e rsi la checchessia,
prenderne riparo, e di lenale sene, schermi il seno ecc. e lº co-l
facendo, riparandosi in casa di lil I rate! l la li (Illivi ad Isllr:
prestavano e ili pe: I lil. I d' I, ss MIli ci: Vd io e Il rito, al V Vellino
che (ºgli il [..'Irld). o I3,,« Nella quale, Fiesole, gran parte riparavano le
sito soldati. Aln. « Nella corte del quale il conto alcuna vol 1, l gii ed il
figliuolo, per a Ver (la Illa ligiare, molto si riparavano. » I3o. «.... e
avendo ll dito il nuovo riparo preso da lui.... » I 3 c. « tempeste terribili
con poco schermo dell'a! | a ripararsene, per cal gione dei grandi spezza
Irnelli i che vi la line, le cellule.... I a r. FRispondere Si lis: per l
en le e, l ali che si appr. pria ad usci, finestre li ries si | I go ecc.Vi si
st l'1, ed ali e loro entrate,, le quali di gran vantaggio bene gli
rispondevano. l'8 c.E,si i si l:n linzi li o gli rispon deva.... » I I.il
rolliri to, di che gli rispondeva a stia p.'ol s olle, o Ces. \ la ti
tale sopra il maggior canal rispondea, e (Illindi s (si d. io, e - ta la
io el l altra parle dell'andit, I Gime r spondeva nei cortile..... Vl in
1/. (::llo iella (.li es, e a tinto dal lato che rispendeva verso la casa
parrocchiale, a in la I bitulo, il 1 bugi a: il ii Il \ l: il la.
Riuscire la I e di jiu il '..... in li le rispoliciere V. g., di una fi I
solº i di qualche logo. il ri si il V lente a che il fatto riuscisse, l V
e Illel inisero me li: i sliI l l: vi ll. e qui riusci la fede di Il sºlte. lti...
» l al [.. 5.3S l..... il che riusciva º;; l'orto della sua casa. I leveliz. !...
ll le gabbia e gli altri o il certo I, li sl re d'un palazzo che riescono sopra
una bella pescaia di dettº Villa. » l'itº l'eliz.E le 'tero a dove riuscire ad
cdio e inimicizia Illani le 1:1, ed il (s. Note al Verbo
Riuscire 5:'S -- Nota anche il modo: riuscire nel contº aio (l?art. Fier.
Ces: C' ('C'. IRorn pere assolti alle il c. e di 1, il I e pºi e' ipi di
isl, scoppiati e, a Isbrerli li, re nir fuori, mosl riti Ni, renire al 1 ll il
1 ot, la nulli), il ſuo Srl, il l i tic li e si il ()sserva Colle. spia º
la r la e i d g romper nelle I):ì v. che il mare ſta il lo rompe la fortuna, si
i º la ve.... » Bart. Ma:ì colm pass ºli d'ºl - lo d lo c. lI l a zato a
rompere in questo lamento. » (il.... Si V ) ll 11 e - I | Il ri - Ci10 ruppe la
più Sfornata tempesta... » I3: it..... ll si l il Iss....... si ricco d'a ll
sor, enti e pio a 'le. verno rompe, i cli è noli ha pºi il l si 3 l rt. Al
romper de' primi alberi 13: e () li liseri e vili e le colle vele, il re i
riposare, per lo irill (o di veli! rompete l il sit I'' | il ti» li: il tragi,
l)a 1! (Convit.« IP:lrla il santo I)otlo e della penitenza, l silligli: il 7:
che rcrmpono in mare. 5 (), IPass. A 11aloghi al I o mi per e silciello,
solo i lil (ii: l'olio di chi ce li ºssidi I l -, di risi) di cui i ne sfr
millili e le alli: il ri: (ii Ili. l'uol li | redica o di persona e val lira
hi:il di ogni vizi e delillo, si bilo il l'il': rollo palla e se l'I l ºrº al l
(t poi i lil si al I olla e. A vizio di lussuria fui si rotta, (ll iil I
I: i (il bi' -ilm o ill che e' il ci li lo | 1:1,.. ); I l ' e li o di po; con
roito parlare disse a I io -, i di loro chi sono pi posti a go. erno dei
legni. li enz. !, si parti:: rotta ». a MIozy Iºirellz. In t....ti,
i a crive a rotta. si 1, ero i rossi V lillili ». CCS. Note al
verbo Rompere , 4ſ) Quando il discorso non è di na Il giro e si vuol
sare la so irriglianza del mal frigio si dice l o nº perc in m al
'.Sapere Nola il sale dei seguenli esempi, e osserva come sia usato a
inves ce di conosce e, cioè il lal luogo e follia che penna volgare inon sapere
di lole la conosce e lo elli in etile per saper lare, saper trovare,...... lill
il sels l o spiacevoli e cagionato da checches si se pºi li rion Nat per lu nº,
se per male, saper meglio, peggio e o il il I - sapeva ed il luogo
della donna, e la t o!: liss. 13,. V sapete bene il legnaiuolo, Il
tale era l'area, dove noi I Ille- i le lel lmondo ». ... si il gialli avi,
le tl - e i llino da ni:aggiori miracoli, che lima losse, per ine sapevano bene
la sua infermità di prima, e tutta la gas. s tripli di gelle (i val.i (o si º
li elit: rl, impero che sapeva l'animo Stio (a V alcºl.I ll (lº vi o li sapendo
la mala volontà di Alberto, (ii:alml). l'er certi ti metti da campi che a gli
sapea molto bene ». Balt. Non sapea aiIro bene o vantaggio che lolli li Ino; i
do ». Cosa ri. b) l urono oli ri quanti seppe ingegno e amore ». I o.Sappi
s'ella:): voi a 1 e e ingegliati di rilene) e la n. 13oce. Se e- l si, val lsi
ve lel via, se noi sappiamo, di riaverlo ». l 3oce. \ li i: it: l. Il tº
sappiate come stà ». I3.V e li li io e sappi se con dolci parole il piloi
recare al piacer mio a. l 31 \ lorni il meglio che sapevamo l?o
l?art. a 'l'empi rirs delle cose che sanno buono alla bocca » (che
piacciono, il 1 ml, rano i gusto, vanno i versi, i l:llelli, l'iol'. a
Nell'all pero di chitidere o si arta la io, per riporlo, mi sapeva male e che
una storia cosi bella dove - se l'Iliialle'e lllt la via sconoscilla ».
Manzoni.Note al verbo Sapere 5 (1 – Lascio i 111 di: super gi atolo.... e
noi ve lº sappiamo grado quanto Dio vel dica... Fierenz. --,saper di q. c. –.....
In li li perciò che li lo sappiamo « d'armi, sono punto rimane selli. Il
prolili id arri, eggiar per poco. I3art. –, ed al ricli si generalmente noti ed
all che usati. Sc usare Scusare ad alcuno checchessia significa lui e per.....
rale rgli checcles sia. Scusa i si da un incarico. di un onore è l'alleli
nen dei ledeschi, dispen strNene, declinarlo. gli Scusava altresi
tavolino da scrivere, (es. I) Io g! scusò .... ll Il gi! io lli: It i li
(. Il lun atto di III: rivºglio - a 11 in Ita. ll Ior- e la vi a a la
fortezza degli altri due, gli val-e, gli compe: so. I3: rt.:I III l st 1:1 -
lli -, e o l il l: N velli re º il l il lii lutti, vo: ebbro
piuttosto scusarsi. I), l:iz..... e vi va parla gli uli (a: di: 1 e se ne scuso
I, pe... li: l ' li enza. Iº e prima lo volle as lta: e cli... (-.
Sp e dire (Spacciare) Dicesi | III o spedire che spacciati e
negozi, alla ri e val - igarli, dar fine e in prestezza, dar loro crimine od eseguirne
lo ecc. I 'tillo e l'altro sti, per sbrigare. libera e mandati in orina,
distrug gere: li la lida che spacciare in tal senso è piu forte ed incli e
violente ed espresssivo talora più di spedil e.spot ist e il ses, i ve: id I e,
esilare presto, agevolmente non E spedirsi, all'incolillo, il senso di
Irellarsi, sbrogliarsi, sarà tal \ l igliore di spacciati si.Sp li e lº si usi
il ho io l in rial c. 1 | li la relole spacciare; sicci lire - Il s s',
si e' li i I ispedire erti legozi. lle gli erano assai l | 3: i t ()
s Vli - s III Ill: ll spacciare l'Imundò Lui l (- l a \ si essendo
espediti, e partir dovendosi, Messer (I espedita; e le so, i1 il - ! i, i
l 3, lº 1, si l SI II il 1 e ia li e si inseparabili, li ! Si va per
ispedirsene lo sv. Il relit tº ai assa la primo all'ultimo, N es 1 - oi i: Il
mat. Seg Il. \ llllllll cosa, cioè alla dol. il pot, i ni spedire e mi spedirò
brevissima e la pill dolce dell'I latina, tanto i vol a 1 e e V al cliI..... In
li spedito e "ri i colli li sa e la col vento in poppa, o ll Illl),
\ si vºli l e spedito in nel rito l'llo delle fatiche, V sgombro, libero,
franco di \ si lss 1 e 2 ti el: - S, (Spacciato se ge il tº l l ) rls, l
il s ol'l'eva.. » I): I V. spacciarsi la qua le briga. o liocc. E dello
spacciatamente se a divise o tra loro. » l'ierenz. l est.l. I li: il li li di
analoghi, con lo spaccia i nuove, ſandonie, chiac li c', ': spot cicli ll mi
lit l. la sci: lil el l Spetcciarsi lºt'....... si li util Napoli, il
rils......... Stu ci ia re Stu ci I co N sl 1 la sl, slultati
e di che ce li essa, il checchessia, le studia e clicci li essa, i cºsse V so,
il lendervi con solle Ilic, pigli, il si al cloro c.a e convolſolo per lo
fa rig. I titti i panni i ' iosso gli stracciò: e sì a que sto fatto si
studiava che pull e una volta, dalla prima innanzi, non gli pote, Bionde'lo,
dire una pa! o 1, mi doll::l lavo ler, li è qll sto fa -se o. I3ore. No:i
lasciò il II la 11: i si studiava, - - ll il ei lidi i maggiori bo-coni ».
Pass. Forto studiare il l re. ll - ll -si l... I3 e “ Va (lo zel: i vezzosa li
studi in ben parere, 1 A v. lI I ſi per il Ver nonni e pregio di ie lezzi, -se
la gli ali a nſi an:ata: sper a chiati le molti mieli i pieni d'alloni: vi ss
v.e Il campo - I: il c hene studiaio I l i il to - - (il v; l'. No ! I V il r!
- a te, ma studiate il passo, I): Il fe Analogo a questo studiati e e il
- si liv sl ulio le s - le I sei pi Sta per cultura, affezione,
indistria, premi di li solleci il ne. I bassi, si per 'o litig, e, oli!
studio, si ri-sezza dello el'r: i clivelli e le lissil II, e odori | ero III !E
fi1g e 11 lo og Ili studio di V: la s i Z: st: si e n. (il V: Il l.lº ! ) ll è
lo studio il "l: V (", 11 l 'I:I - tll (le, 'il rolls il tt (line
avea t riati il vo! I Si r I e II, l'i: 1. ll I-tri: l'si, lo si ll -
l3llo lo studio Vill. I l l'illll! ». lPl', el'. lºrosſo si fa tl o studio di
vita perfetta e I l lito, veline ogni l in questa «:i va ilzi 11(lo..... r. C
-a l'I.Questi pie: i l dicazione.... crebbe r 'lii lo studio della vir' il n.
Bart. Ma per le egli i il la ſi va in ai li sºlo - e io, conferi la corsa e l e
s ii: i re, i quali i:ilm ira o di ſalito studio di perlezione, ne lo scoll
fortd) ». (es: l'i.(ollsidera, a studiosamente III: le V irti - -in a livelli e
in larni il | il il 'Si a..... i. i: l st il n; i ri'. Il te:i, ed
il 1 st ): -, il 1 l l il 1 a e santi invidia, dall'uno il riprende i: - il:
zi, d ' 'ta, l o: la mi i suoi lidine di tie-fo, ed la carta li seguita l'o si
sfu diava ». (a val. 1 bello slurli. in re o si riali, per ni.
Slare di sl italio è ſl se elilli, il V,le. - I li - ci del liti.......Term e
re (Attero ere) Se lº ritieni disco rere il conto e l'onde, che
allo stringere va poi I che non per altro è così se non per l is si, il re sul
lo alcuni esempi i più notevoli fra i molti i 'i ll il 1 di II lo nºi e vi gali
ci o di operato e di varie significazioni - Il l l: i clivel st Iori e cosi
lilzi ille. N gli ese, il clie sogliolo: lº I. I so di lenere per
legge e, ritenere, in porta e portare, occupare,: lire, ci si r, si ri:ll.I
terrebbe - - l:lza non l'attelluasse U al tutto ! -s....., l 3 l:\ e V: l
l'ill: il la terrebbe llll esel - i l): I V.I le llll:lollo solo ne teneva
mille di l.... Il il l lei sul i... (ii: Inl). stava di.....)I i s tengcno, le:
l li vuol divenir beato mo Bo, ritengono, insegnano). -, s.............
-: teneva i li, i liatura di quelli non si tor Ita 1 - lasse la lollo le arli
». l)av. (portava, il l, l. S S.,' ' A ripagne che tengono gran i - i loTe', se
-: i e letto a filo il lo ». l ', SS. ) l\l I l emete li - i l: l 3oce. Te', si.
'ls ll' Illol te lº guarda Ito rov 1, appena gli amici ten riero I l l'... I tl
V. º li I nel si e' isl e le st. a rl - la si river pillole di se ecc. E
nctendosene tenere, subita il file con le braccia aperte gli corse. N
potendosene tenere, il dolla Il lo se li gliese losse o forestiera. » Il
lo il vide: o, ſemnersi, o Nºvell anl. I si tennero, si llll'olio in
Inghilterra.» Bocc. (non sl arrestarono li: l.S - e li l silio, e si tiene e
per il cosi è adulatore di sè ss., V º l'eli,3º di Tenersi, allen ci si il...
attaccato, legato, olbligato il per l'e,.. al c. aver fode, esser a
L'eredità s'aiteneva i mie, i lire pi stretto parente, Ambra. « I'('la, cals! e
1, V s'a tiene il..., l 3a lr. Ere le d'Il 1o, la lo; i t'atticºne quasi nulla
Attenendosene S il li, gellolt Ztl....). Si vl it -:: l si. « E
pure con esse si forte o d si gran colpo quell'albero e con tenersi a tante
sarte, ll l'Int irli E' pi 1, la volta gl si caricano sopra bufere di vi
1!...., l?art SS6, ſ" I e Irla Iliere: i l: NEIt (SCI(), IP ()I? I \
I.N | | | V I \, e si lill. l'ingresso, non sto con l'altro 'co'. i
ſicali e le per rielar l' (Illa lo uscio ſi fù III' i l nut o? l. (.. Il
lilli lo il 1 ll 1 i gli:iltri i l ll il l Se Ml 17 Zeo vo) esse venire,
a lui g a Iri Iri: i porta gli -se tenuta. S'i ll. Lo Ialo a Illore delle
cose. Il 1 la tiene la intrata della pelli tºllzil. » l3elti. Simile:
TENEI? FA \ El.I. \ per i sloti e di pali la I e cco MI, l' 13e! oli e
veri e I l Is rezIo coi Sere.. (ennegli ſavella illlino a V (“Il l'Ill III 1:1.
» I3 r. l'ISN EIRE. VI I I NIEI E I. \ IPI: All.SS \ e simili per N
S. I l ct i lui, mi e' lere in esecuzione, al lendere la cosa pi o mi
essa. E co-i v. illy i lo; p - attenuiC S: MI i beni vi prego le vi
ricordi il l: III e l attenermi la promessa. I. l'ENEI E I) \ N VI
CI N ) per stare per alcuno, a lei il c ecc.. e anche l'ENI.IRE A I) \ I CI N.
per esse gli diroto, allo zio ma lo e' ra dicendo. Chi stupis e, li gºlia. In
sella ma li la e per tenere da chi vin cesse. n I):l V. a 'I'll.t: 'ls V -,
cini | Cnea C 9 l l'uno, V ed I ad un'altra donna tenere i s il 1 l
(''le. » I 3:. ch, coll'altro, l 3. III, i ql el l.... I | Il t.
Il I | NIEIR (IREI)| NZ V, Sl (il t El () il mat cosa, poi oss. (la
e il secreto di ser lui i c. 1 li tr\la V e V,i In 1 in la di tenerlomi
credenza. » Bocc. Se lo ci º lº si le ti li tenessi credenza, io ti direi un
pensiero che l lo II v.... 3. Il 1 s ii il va onle lo so tener segreto? »
Boce. l'ENEIR E I) I. I) El. per are le qualità di..... \li e l - -
Fiesole ab in ritiro, E tiene ancor del mcnte del macigno, I si fi; a per tuo
ben far nemico, o I ): l ll ta”. Tenendo egli del semplice e molto spesso
atto e piano de Laudesi.» 3 m. I Per si s ZZ I l: l'ill orrore che
tiene insieme del ri tirato e del venerando, (il ri. | | N EI ) \
VI, l N () | N \ (() SA, lu' i lat, i guardarla ('() )llº dolla, procu i
ctta la ecc. Tengo da te lite o lei lo 'I EN EIR (i It VN I \ \l I
(il I \ I loss leben. I anche di grand -- TENEIR SI (i N ()| I \ S() | | | V. e
sillili. il il l'ono a spendere, tenendo gran il l'I) leggiando....
» - z: il l ll dissima famiglia...... ontinua in lite corle, di mando ed
I 3 ). Illelle e il laie, e tutti insieme li Ilenò se il gºl, l 'e ivi teneva
signoria sopra di loro....» | | (ºl (': l/. I EN EIt All NI E q c. S.Si
Til lo) ll till al pl. I Tienlo ben mente. Clie di tu di lui? » IPass,
l'ENEIRE \ Vl Vlt | El I () per i cºſtiere alla pi ora. Se o elillirill I - o
d'a i to, lo Il varellol danaio, perciocchè I lill I l: e le terrebbe a
nnartello, o lº s. Silll I | \ / solisti, cli, li i rilio a ppa: eliza di
vero, e poi lo reggono al martello. I renzo Vledici, I | N | | | |
V Iº Alì ()],l. il grand slmo lolor punto, ve gelid si l ubare a costui, ed ora
te nersi a parole. » I3ore. SS8).TENEIRSI A POC ) CIIE o li.... per
mancati e poco, a un polo che..... l il pcco mi tengo e il 11 si l V: l...
l 3a rt. a poco si terrebbe di fargli sp a r i: esla dal busto. » I)av. e Tull
lossi il giil l a poco si tenne che lol li la ndasse ill I)io. » I3ti l.Qll
('sli l' 1 l V il ll per lei l'8olizi a poco si tenne che non rompesse i trezzo
le parole in bocca al re. » 13ari. e a po22 si tenne ll Il 'l g.. lIl l: ss e
ll l: 1. ll lentº. » I3a l.\ III:il t 'ito si tenne, li ll i no! I lºo. po o II
lancò che). e non so a quello che io mi tengo che io li sego le reni. o loce.
S89) Liis lo i titoli lelier: teme i campo disp. Il re, e nel parlamento;
lemer cuslità: l 'ner con lo. le ne I e di metri les li tr. di matri simil N..
ed all 'i lllolli le sollo I: fissilli ed il 1 l 'g: i 'li e le
Isilli, Note al verbo Tenere S85 - Si inile ſi ſti, slo, le
nei c. ss it ella di Illi, Irla il clii: lento a dirvi. Ieri lo li | | | | | |
|.. l..., ecc. I r; I li prelie. l 'il pollai, li li sl i ti ci l e. Non voglio
sollelizia I cle sia l al dlel', Il si ſti e mi ero lei libri di il. SS5º
- Tè per lieni vasi spesso it is lil III e il liclio e classiche. Si ginifica:
prendi prende le simile il lencz dei francesi. SS6 Vlialogo è il modo:
esser tenuto ad alcuno, per essergli obbli galo ecc. e di clic i sell e vi sat)
) le nu lo. I3 cc. SS - E' lei il ra cosa che poi mi cºn le len ci ai
miei le. Tener men le è la cli il lool e, ii l'l'ic loli -i. I li N le lui li I
Na'im. (sil I lili. SSS -- Simile l'alli, lene e a piuolo e la spella
lunganielle, ed a li che tener a bala, cioè il... I per il lig, dal pascoli
loil, lo parole (t' '. ('. S80 – I radici: lo si si il... o da qual
cosa i, sia | ralleli. Il. obblig: il, che il... E' il tenersi cl Ilia
cos: ad un allla come sopra. Si si | or al l 'e ll il ', il l 'I l l e', tipº
partºnº re, spettare, riguardare, con c'e' li l ', mi lui, l ' i', con il l
ecc. (i II l la collo e il lido: Nella lira e bri It i 'i: occo rit... »
Fie: enze. 892) e la \ e l'e lloln Inai in quelle cose che a lui non l occano.,
all el l Z S9.3le leggi il mio esse: oliill ill, e l: tl e oli collºelntill
lento di coloro, a cui toccano.... l. I 3 ),Qi lel il li illli le l mondo si
spenga di fall le, si lle l. ll i non ne tocchi una.. l o. - TI (ccchera il va!
ii, li ho perduto non hai. » Bocc. Eliorniti che li toccano il III | orsoli 1.
Giul, che non riguarda lo) ()iles o ti togli il tº it e toccò l'animo dello
alate.» Bocc. Nill riso si v l.., liti ma les!: il tocca, niun giuoco. » Bembo.
rili on le li rilate e tocche s on III te. l) avE pur i s l it toccavano i
soliti dieci assi per un danario il giorno. » ve....... l):ì V. \ i le li
si – li -se esser tocca. » rubata) BUcc. Nola al re niti ie e ci si
parlicola i del verbo loccare e suoi deri \ ai li: l occo, locco line (C
VIRE I;l SSE, 13 VS N \ I l e simili, cioè ricererle, guadagnarsele. S!)
Si occo l: ve li e la sto male. » l'a!. l.llig. º l:Il quale, il V e ilo dal
canto leg 'i Vitellesi una buona piccata toccato, l'Is - il l: i ti,, V al
cell.I l toccarne il 1, lº strappatella di fullle, e fa - e peggio il loro a. m
I.: si Stavano olle ſelleri li non toccar qualche tentennatº. » Lase. | ()((V
| | | | |, I ()| S(). i tcccatogli il polso, i' 1, V o li s. Il: le... »
l'8art g l Il losſ o, egli non si risemi occandogli il polso e il settimº il lo
trovandogli, tutti per costante ell ss (lilor | o » l 30''. I N A 13ESTI
\ perchè cammini, \ lid: V a ill: zi toccando l'asinello., V S. (, l.l'ARE
AL TOCCO cioè cedere a chi tocchi Sºſ, « E' facevano al tocco Per chi
avea a morir prima di loro. » Buonerotti. DARE UN TOCCO SOPRA UN
ARGOMENTO dare un cenno e passa oltre). I N A TOCCATINA I)I..Rizzasi in
più con gran prosopopea, Ed una toccatina di cappello.» Lippi. l'() ((C)
I )I.I.I.A (..AN II º VN V. Che li cºlli pa 11: l'o, un toc co. »
Vill l: I I'()((AIRE I N I VV ()|? (). « Ne i pittori le sºno
ritoccare il lavoro a fresco, quando è sec o. » Bor. glini. Note al
verbo Toccare 892 – Si dico anche oggi, e col e gil: il forli la e
sigilili: mi locci, gli toccò di redere ecc. ecc. 893 – Simile il modo
volgare: tocca a me, locca e le ecc. No a dop pio significato della
maniera: tocca e al alcuno a la r che che sia. Vale cioè allo apparle nel si a
lui il lati lo Quel che loc a cara allora a lare a ('alone nel Senato, e di che
veniva pro « cisamente incaricato, si era la reiazione dell'operato da lui in
Africa..... » Salvini, che essergli forza il farlo. Se così ſia toccheran ni a
star e le Mlach..306. « Trovall a domi in prigione de l'Il cili, mi toccò a
navigare sul quo e sſo Irla l'e. Magal. Va l'. () per il. 894 – Si
costruisce non solo col caso olli | Io o l: l'ivo di chi le riceve - – toccare
tal alcu no basl 1 i le ec. li l: i col l'ello e loInilia livo, cioè ad Iso e
va' l' oli verbo neutro assolulo (Conf. Parte 2, Cap. 2 Serie 2 loccati e
alcuno delle busse, simile all'esempio di sopra: l occati sconſille crc. - -: e
dicesi anche elillicarnelle toccarne, se 17 il ro. (ili esempi che allego sono
citati anche dal (il era l'elilli. 895 -- Si ſa gillando uno o più dita,
e secondo, il convegno Se pari o dispari, contando a chi lo cehi.Togliere
(Torre) Il sil prillo e volgare si gli ſcalo è ſuello di pigliare, le rar
via. Ma guardi colli e le e vago I al I silli: i polli ai classici, e notevole
l'uso il liche il lal senso. Trovasi poi anche il lill glisi sa che pare
significhi l'opposto li loglie i ri la I e lo gli hecclessia, e li on è altro,
a mio il vviso, ci Il loglie i re Isiliv, cioè la re che al rilolga
ecc. Ollil tit, il... V e le cºlle il lempo m'è tolto; lo illa!)i 1orse
non li lall, ll: il ch'io vi soddisfa la l 3 Sº)Ilena i logli i dosso Iliel
poi, l'esercito, il l aggiunse a Marsiglia, togliendogli il tempo da...., (amb.No
orre alcuno. » l)ante. (le il ſierº del li i tolse. » l): ll e. «... che pole! (ll
gli abbia N ' i torrà si endere questa roccia.» lº: i ll tºEl e o pit and: I mi
tolse il rio, e lì in mi impedi, mi vietò Ma lui li do, io mi tolsi di soi o al
letto... I levenz. 900 Togliersi dal sonno e dal letto, e lº renz.per lo
miglior loro e Illrolio, lo zali a tormisi d'in su le spalle. » Fier. E per io
hº il solo la so sl: i o non li aveva tolto, che egli non con - scesse, llle
slo sllo e Irl, l e ss. r. ll rd venienza, si comio savio, a millno il palesava,
13o 90 |.... Irla I e il iv si dissº: l) il nullle toi tu ricordanza per no al
Sere? Io boto a l)i che mi vien voglia di dirti un gran se - gozzole ». IB ).e
tolta buona licenza, se n. a do. Fier senza la li complimenti, si prese a
liberta...Se vogliamo tor via che gente tillova i sopravvºlga reputo op portino
di mill' arci li lill, (and l: le altrove. B 90?) Itender enn, Ianto che app,
ma il potea o, chio, torre. » l)ari e 903 e dal a rito il questa l'alti e
toglien l'anda e la de e ratle. » I)ante. si toglievano gli uni agli
altri quel piccolo soccorso che loro polevano di re i silli, o l?: il 1. 00....
o ad Illbra li do il vose o ai proprio, o:i sperandovi con rili pro averi, o
togliendovi il modo di fare un'alimenda onorevole. » (iilllmer. mise o el ºnn i
molato Cirio: le pe: dè la sua liſl la lag iata, senza altro averle tolto, che
alcun “ In ci si fa la guisa i. e genia, poi, o dav:ì il i la llli gl
bacio. » l?occ. (cioè dato)« perchè or che difender non ti potrai conven per
certo clie così morta a e Irle tu se', io alcun bacio ti tolga. I 3... io ti
dia, Ili venga a Ito di darſi). 905) Nola alla ora le bolle illalli, l ':
TOGLIERE () TOlt It E | I. \ la checchessia, cioè preferire, con len larsi
di....., e Tiberio tolse a comparire in le; so I, a ! !', e o, e di
ndere.... » I) i V. « Vinco io le battaglie pil pericolo e pil dire e per
la giustizi:i tol « gono di morire. » I3: rt. a MI:ì io sono illttavia il
di Ir i l:I l orrei di bel patto a portare a i loro libri. » (es. ll i.
si ripuli e ebbe o beati sº I ssa r, slie, l 1 l'ido io torrei di bel paſſo,
d'esser qual s'e di loro il pil abietto e pov... » (a r. a Togliendo anzi
per la sempre tra i - llai, e li rili: r per quali mille. » I30, c.
TOGLIERE A far che che sia, cioè cominciare, intraprendere. « l Il
cavalie e la donna idò e ella ne togliesse a fare un'altro: rispo e º che nºi
le era preso si inen, l ui, ch', l: sl d let se li Ial lo...., Sacch. a E
debbono esser da ci o e i lini, l III lo igani e di quei film ha tolto a
liiigar II le. (recl, liz I e V, l: il lil V III in: l di alle 11 e o (a ro. a
ciascuno tolse a studiare l sprint re il e la parte del suo in e gigio. »
(iiub.N il so, III: Cºstro l?ier, Ill r l)i I l st: In: lov i lilla Inalarl a
collin, Ch'io ho tolto V ri-lotele a lodare, e l'8 l Il. r. 1 Il.Questo sci, o
dello Sf i villa ha telto a voler vincere d'astuzia le volpi. » Cecch.
'I'()| RSI | )'I N A (()S \ T IRSI N V C s V, I) \ I PENSIEIRO.... rim (I
morsi. Nn c / le re 90(5, Si tolse del tilt to di comparire i. a
Cosi i miei avversari si terranno giù dal pensiero di più rispondermi e e dalla
speranza di vincere. » (le-ari.T()| | |? I | )I VITA -- 'I'() IR I)| | | | | |
| V | | | | | | | | | | | | VI () NI)() ll ('ciulo l'o, a ()li re a cento
inili, creatur il mare si redo per cerlo. sser stati di a vita tolti, o lo.
a Acciocchè una medesimi la ola togliesse di terra i dile amalli I ed il lor e
figliuolo. » I30. Vle o immaginati di voi s' ingerla a formi del mondo.»
Label. « vera niente io Illi fa i in V a Il, se i di terra mol tolgo. I 3.
T()RSI I) AVANTI. a l?oichè gli si fu tolto davanti, pieno di trial tal
to n ebbe con gli altri a parole III olto disco lice.... » l?art. l' IRIRE I V
F VME – I V SET E ToItNE UNA SATOLIA (907. lei li l o, le i vi ve l e li
la volta con esso te o, pur per veder fare il forli Ille: Irla il l' e tormene
una satolla. » I3occ. Note al verbo (T cogliere, S!)!) - Nola
la lesia inti i ra: ii lempo m'è lollo: togliere il tempo (tel alle 11 il
lui.... 4)()() Tor I e, Torst, li dot... sigli ſi scostarsi dilungarsi
levarsi. 901 - VI li ra e il lic.. bella tanto, la quale torna al dire:
non gli a reci ſolo l'uso dell'intelle lo si che egli non conoscesse....,
od all' di s ti riglialle. !) º I 'io lo l via, ma il varo, vedere pren
loro modo e rut, ci si lal si ch. 903 - ci è ricco gel sole, i VV e li '.
90, cioè si prestavano. !)(lo - l li libilarle? Parla di lilla slla alla
la, ma non amalo, la Il le liti l'a si l): il re. !)()(i lº pro isalire
le ictu) gelo in lei l'edeschi. Simile il modo: p. I giù smettere Pon gli i
ſervenli amori, lascia i pensieri in atti I3 cc. 007 - Si riii: una
corpaccia la la ne, prenderne una buona si ll: l. l 'iel el Z. U
sare l sai e ad un luogo, ed anche usati e con alcuno, usare insieme'.
Rollo nraniero buonissime, di frequentissimo uso nei migliori libri di nostra
lingua. e sarebbe gran pc calo non farne conto e non volerne più usare, checchè
ne dica il l'on il laser, il quale assel is e che non sono della lin gua
parlata ecc. ecc. Significano i requentarlo, praticarvi, bazzicare, es ser solito
a l ora i si, al csson e', o l e molare e Pilegen; l mgang mil Jº il, and
pilºgan e. Notevole anche il modo: esse usato, esse uso di fare, cioè
aver l'a bil udine, esser solilo, non essere usatlo di checchessia, e
simili. (), a avvenne, che usando questa donna alla chiesa maggiore.... »
l'80ct'. a S'uscì di casa costei, e venne dove la usavano gli altri mercadanti.
» Bocc.« Le taverne e gli altri disonesti luoghi visitava volentieri e
usavagli. » Bocc.« ma pure accontatosi con una povera fon; Ili i clie molto
nella casa usava, non potendola ad altro in li!: la 1; i ''i corruppe.... »
Bocc. «.... io cercherei qui sta po- - ssi i li !... ciov e ne filmi, nè ruine
di piove me li potassolio tv utº assortº iacircncelli, e l'el che rei che vi
ſul - -. l'::::) ): l ': - - « In quel tempo usavano relia coi ti atia
li., Fioretti. « non colli e g ill', esse I, vi vi foc3e usato da molti anni.,
l 3' r. (ſ « Si (lio (le a Cl essi i gi ad usare « con coloro che ri !!i
e !,; - i dile tt - « Vallo. » PO (('.«.... il quale il più del ' t com........
i usava. » Bocc. « Quanto più uso con voi. lii i l'.« Questi due giovani s II:
usava: 2 insieme e pe tiello che ino « strassono, così - al vario, o pi iri
li.... Ave id si « adunque quesi a pl (III essi il litº, e l'insieme conti:
uamente usando. » Bart. « senza che, con le era usata di fare, li l --:
lì la lite. » Bo. a º miglii, l'i oli 1 e (l'1 I l tº Sa: i erati 0..
« In quella cav, i 1, dove di piangersi e dolersi era usa, si ra ornò » Bocr'.
«Noi siano molto usati di far ria cr:::º, i s; » I30. « Della quº: l'
orizi in e non era usato i (- a e que.li o n t e li ti o 1: i e i piu «
di tali servigi non usati. » l': i Uscire (915) (illal'da b l'1!si,
e i ti: i usci) e di che che sia: ed aliche uscii e s e 7 il l '. Uscir
di mendicume – - Usai: cºi gaſ to selvatico –- Uscir de' Cenci – Uscir del
manico (916) S « Con la doſe - ll: il il l:. i usci de panni ve « dovili
-si. I 2 c. « Se io uscirò di mia natura. l re li li alcuno, sianni qui e
perdonato ». Da V.e dilungandosi di veder costei olla gli usci dell'animo ».
Bocc. - E benchè quelle bastona: in avessero fatto uscir di passo, come a
quegli che i trial, la rile: e li lti la illo, vi invea fatto il callo ». Fier.
e Mla usciamo di Papa Urisi, io e All III: a un parti a clie mi diceste.»
Tel'.l lo i tir i pi s v - e, si usci di lui.» (par issi, an dl -- elle.. cs:i
l'1.. Questa lilla s'incon, in Il 1 lo ci Vi l ao e quando l'Aprile, ma in «
Aprile finl- ed esce. » (i o d.Via ve: o l' rola v... esº, ere li | ra! ti ».
Cosari. e uscito poi della furia...., t, i fillo. Nola alle ol a l: Il
cosi la gºl l ': l S(| | | | | N (VN V (i N V (ii: l: l. l S(I | Rl, V |
3 V | | V (V e si irrill a Il [il 1 nº.. ! !::: sa: uscire non a bat e taglia,
lo; i titi i ti i ):, e filiali nell' l'all ss:: I SCII? E al
alcuno (N I \ N VII I. \ NIE, CON IVAI313UFFI, (()N I \I IPI si, il i. a
Ella m'usci con tºn;, rºm r Gb: i to adesso ). BOCC. Note al verbo
Uscire 915 – Collſ. I liuscire. 916 – disine Iere i cos vi: Irasandare i
termini del proprio cº Silllll ((. t ('. N/ e clere E' elegante l'uso del
vello redere per gliardale, in luire, esaminare, scaldaglia e, investigal e, (s.srl....
llle: « Pre il lo non dove ero li ' t.. corsi stili alimente credere,
senza « vederne altro. 13, l l lle, l'indagi, li º ) «.... di che l'altra
parte, che per avventura aveva più ragion che danaro, « fieramente sdegnata,
volle vedarla a punta d'armi, e farsi da se giustizia « con le sue mani ».
I3art. « Vedere il vero e il falso l ' pt: 11 i ti: i3a t. «
Avvisato di vedere de' fatti dell'i: II.. itti « e.... ». Bari.«.... Vola e
Inill il 1 e a veder de' fatti dell'a inima sua e le - - - « in
altra religione pil di gºla o li. I |. « e vedi con lui insieme i fatti
nostri ). I. « Vedi modo, e si ppi se con lo! I le, pli i a º il pi
Inio». BOCC. « Tosto pone la querela; propone di rili o le " I to I.
vegga, l a. « mansi a furia i padr: per gl a Il cas.:: i I), i. « S'egli
è pur cosi, vuolsi veder via - 1 i sai io li lo.» I3 917. Fra i molti
altri usi di questo verlo. I l I e voi li ricorderò: AVER VIST.A con ulla
rislut (t l'ºut, li lli il 1 l 3 ). FAR VISTA I AI R LI V ISTI, I A [. \ EI ) (I
) - I ) \ | R| V I STA – I)ARE A VEDERE I Vedi sopra l)arr, Fare Note al
verbo Vedere 917 – Notale queste maniere, realer modo a ria se....:
re ler l fatti dell'anima: senza reale, ne all ro; reale, il re o, il falso,
vederla a punta d'armi di r i co. Volere Si usa a) per convenire,
dore, si in vari modi, il più cºll'allisso ed impersonalmente, sì al singolare
che il plurale -: b per essere per segui re una cosa, mancar poco che....: (per
opinati '. a rl'isti e' Noterai da ultimo il modo voler bene. Il quale si
adopera a siglliſi care tanto amare germ ha ben che sta lenº, o cosa simile.
922. « S'egli è pur così, vuolsi veder via se noi ºppºlinº (i li: i Veio.
I 3 (. l « E' opera si grande e malagevole che di io si vuole
chiedere consiglio, º Fior,« Andiam noi con esso lui a Roma ad impetrare
dal santo Padre che..., « ma ciò non si vuole con altri ragionare ». Bocc.«Se
I)i() mi salvi, di così fatte femmine non si vorrebbe aver misericordia». Rocc.
(923). « Elle si vorrebbon vive vive mettel llel fuoco ». BOCC. « Al combattere
si vucI l en uscir spedito, ma nel ritorno delle fatiche, a qual conforto più
onesto che la moglie? » Dav.« Comlare, egli non si vuol dire». Bccc. nº n
convien che si dica). « Questi lombardi cani non ci si vogliono più sostenere »
Bocc. (non con « vien, noi dobbiamo sostenerli.« Il beneficio si vuol fare con
faccia l'ela, non vi lana, nè dispettosa... ». IDa V.a.... e che insegnando
egli la verita, e la da chiunque si porga, vuol a prendersi e profittarne e si
vuol prendere Bart.a colme.... così l'animo quando è in lotta o o infetta, e di
focose libidini arde e languisce, con altre tali rimedi ferro e fuoco si vuole
attutare ». Segn. « Per 'rattat de Tai rl'iti usciti d'Arezzo volle ossel
tradito e tolto ai « Fiorentini il castello di Larel no. Vill, cioè fu per
essere, a un pelo cho....).« Pietro, veggendosi quo la via impedita, per la
quale sola si credeva « potere al suo desio pervenire, volte morir di dolore ».
Doce. (In fondi: le fu sì dolente che per poco ci me lova la vita). « Gli volle
dire che..... –- In:a.... ». Fiel'. « Pitagora ed altri vollero che esse
tutte procedessero dalle stelle ». Sacc. (a V Vista l'olio, ills e gla l'o; 1
). « Pa: ente nè attrico lascia o s'avea che ben gli volesse ».
Doce. « Vi vo' bene, perchè vo cli e il lla ln rinto Siele ». Bocc.
« V cali io voglio tutto il mio bene ». I3o. « Tra lol' 11oli Ill lin: i
lite o di ſe' liza. VI:ì d'accordo volevansi un ben « matto ». Malma lì
i. « Con le pugna ſul to il viso le ruppe, nè gli lasciò in capº un ca a
pollo e le ben gli volesse » l Note al verbo Volere 922 –-.
\nche il lo rill degli inglesi la usi pressoche eguali, oltre a molti altri che
il nostro colei e non ha, fra i quali singola rissimo è quello di far l'ufficio
di ausilia e alla formazione del tempo futuro di ogni altro i b – I rill come,
oppure I shall come – secondo cli l' –.923 – Come il verbo volere sia per
lorere, così pare che anche il verbo dovere abbia alcune volle senso di
colºre.« Richiese i chierici di là en! l'o che ad Abraaln (loressero dale « il
ballesimo ». I30cc,« e con molta riverenza mandò lºro galido la Madre sita che
le « dovesse piacere di veri e il tie l logo di ve egli era o. Ca valca.Trovo
inolta analogia dell'uli ell'altro, di testi verbi, ado perali in questa
follia, e il nigen dei tedeschi ed anche col to may degli inglesi, i quali veri
si costruiscono in guisa che non sapresti se meglio radurli rolere o dove
e.CAPITOLO II. Uso va a rio di alcune altre voci Olli i Verli di
illzi l'ecilali, si o alcune altre voci (animo, argomen lo, talalosso, lui
nolo, colpo, con lo iori und, l'onlc, latica, latto, mano, netto, pello, pºi i
lio, pati lo stomaco, cerso.... il cui uso frequente e vario è par li i lili di
elogi rii si rili il. Si lornali o con esse di molte e belle ma nici e e le
viene al discorso quel gri lo sapore, quel colorito, quella pu I A /a (li - il
cºllo e il la al telistica del linguaggio antico e classico. \len Ire le
palli elle e le voci in generale della Parte I. di questo Di i 'llo io, li li
sono che si ni vaghi, e adoperano più che altro all'assetto tegli in mi collosi
e non li alla si irl Il ct del lisco so, i vocaboli di que sla l'arte, ed il l
cie: la p. l rile, sºlo per sè, e precipuamente, for me cloculi e, con
l'icienti di lingua. Da quelle le compagini e la curva, da [lles e il salgle e
la polpa. Arm irro co (illarla come e in tranſ e guisa ne usano i
buoni scrittori. Suona press'a poco quando disposizione d'animo, condizione,
slalo di essere mo rale, e quando intenzione 926, voglia, mi a. lalento,
inclinazione e simili. Son, poi nolev li i modi: a re e, anda) l'animo a...;
patir l'animo; essere, anal 1 e all'animo, la stati l'inimo: nelle e animo,
acconciarsi nel l'animo r. acconcia e Cap. pl cc: dole ne all'animo; dire
l'animo ad uno di....: rivolger per l'utnino; ecc. già d'e è di 16 a li,
i veri l piu animo che a servo non s'apparteneva, l lo la villa della se: vi in
lizio il... » l 3o.... e se tu non li li cuell'animo che e tue parole
dimostrano non mi pas er di vana speranza ». l o. se dicessimo per
correzione e non per animo di disonorarlo ». Mae Struzzo. « Son
testimonio dell'amore ch'egli vi portava e dell'animo che teneva « di farvi
grande.» Caro.« Con animo di ienersi le liti e li ſale: l it il venisse miglior
« fortuna ». Gialnl). « Il valente uomo ſe e 1 og: i...., che giurerebbe
Con animo di ' on oss. l: r. cosa:. « secondº, che lle.i'animo gli
caºgai. º...... parlit - i li fellone aniins r i pieno di mal i alCºllt
();. « Così slibiti i la forza di « fargli Inllta: animo ». I. «
IParii-si a dillolti e i S::i,... gra:idissimo animo, se « via gli durasse, e I
- 1,; s, di fare a Il « (ora non Ini: - se. I3 ). « Ed avendo l'animo al
di v gli 1 il gione, ed « Ogni giustizia dal lilla delle i i ti. li li lo il
suo lellsiel di « Spose.» IBO.« Non gli va l'animo ad 1 [. a dre. » l' Issa V.
« Consigliata a mari a 1 si ebbe l'animo a at o...ite di De « Voin, ma tols e
Filippi, figlillo., l: (: V., lº: V.« Tu badi ad l? A lizi ho sempre l'animo a
casi vostri, e sempre « mai ruguino cose... » Anibl. « Luigi non avea l'animo ch:
a li, l i il i -. » (es. « Se pure questo vi è all'animo, i d a li.. r?S.
Cesari. « Ed a Ile liento. Il lei lo va all'animo (Ill si g ) della prima
novella.» Cesari. « Egli che sapeva, che io ero felimini, perchè per
moglie mi prendeva, « se le femmine contro all'animo gli erano.?, lº. «
Se vi basta l'animo di ſei rail. l 'in...... Il 1 li li. ) !!) (.:ll' ). « Non
gli bastando pºi l'animo di 1 i si Il dll -- e ad « atto talora....» l'itel ei
17.« E Irli basta l'animo di A ti..... l ie. liz. « Vi basta l'animo di I l Il
« atterrirvi?» Sog n.« E mi basta l'animo di 1 V il 1 ll - 1/.l il i 1. »
Fiel'('ll Z. « A noi non dice l'animo di pa..... i da!. di ti liti libri e si
lolloni.» Cesari.a se avrete farne del'a paroli di Vill: il lidi: ) di potere,
in que a sta Quaresima, ancor piac º v', in se i mi dà l'animo ». Segn.« Ma vi
dà l'animo in Illi t Impo si lill, i. e 'I ! clie, è peggio si illl' « bolento
e sì tetro, quale si è l'ultimo della Vila, apparecchia i vi con Csame a
distinto a tal confessione....?» Se n.« nè di fare morire alcuno dei suoi lion
gli pati mai l'animo ». DaV.Il Ina le è ce ne ſiu cic ai l'anim 2. o C s.
Part. Qì la - i i, ' ' nette 1 - 3::inno:: i ri. » I3(11v. Cell Qll'il.
ll - oscia chè così e Irli se rintuzzato l'attinº 5 si'C is r r;o.....
9.30 « Qlla lido, lili si rivolge per 3 a: rap ità... » Fierenz. a rivoltandomi
per l'animo i: i uli. o l'ierenz Note alla voce Animo 92C, Simile
al n. inl degl ii i: la mind lo buy one. – IIa e yon di minal lo ti il 2 v 92i
– cioè secondo le g, i l va. W i, es il m su Mulh ucur. 92S -- FsNel ct ll a 1,
il ss. cc: i andar all'animo è sil lillio i: sè i ct g ci li chè a grado l'era,
di lui facesse ndr ) e a sangue quand'el li a noi ci ss a sangue, io la voglio
per disp. ll si o apacissimi di calun liare i lolloni º il lor casi di
reisi, Giub., andare («Se l [llesl e l'agl il sol li a Il slo, si troll
ii ranno ». I3uonerotti (('('. 929 - - Sinili: Sich gel i due n; sici: u
n t then: cs dal in brigen: se latire l'orl.... Vlt i ti li I l eguali sono le
maniere: (la re', di e l'utilimio, il cui oi, i n i cldi il cuore di Venire a
il meno con si p del si li ti I. S gli. « E vi dà il cuore di las, la veli slal
e il l IP. Il gol l il lill gamelle? » Segn.); pali e l' animo, sentirsela. Il
teleti si co. e la (ſuale – inten zi Il senza l'agi o vosli o n li li allilo di
poter condurre » (tiro a Se io non la riveggo i n n't li do di descrivere.»
Caro, S affidano di poter brava e lilli e di vincerla colla provvi dellza.
(iilll)..N 'isi singolare trasformia, i tre graduazione delicatissima" di
significati: Chi dice mai basta l'otti in indica con ciò e di polere e di
volere: chi dice non mi basta l'animo indica non già di non volere ma di lì in
pole Vli dà l'animo, il cuore', suona a un di presso: il cºllº il ri: della, mi
sento inclinato, avrei voglia, sarei vago ecc. l indoº l. Iuantunque suppo sla,
dall'idea di potere; non mi dà l'animo, torna a: non mi sento punto inclinato,
sento, provo i tignanza, avversione a fa re, a dire ecc. Che se questi ri:
'lalanza venisse da senti mento di delicata e ſuità o di colli issione, o di
simile affet to e non per pura avversioni alla cosa stessa da fare, da di ro
ecc., allora esprimerolla assai meglio, che non farei con l'una o l'altra di
delle frasi, dicendo: non mi soffre l'animo, il cuòre (« Ad Adamo non patì il
cuore di contristar la suadonna » Ces. – «nè di far in rii e alcuno dei suoi
non gli pali mai l'animo ). Dav. – A on mi basta l'animo esprime adun que
impotenza: non mi dà l' animo ripiglianza in generale; non mi solire il cuoi e
lip glianza ri e del iva da un particolar Sentimento.930 – Itintuzzare è lett.
rivolgere a pil: Isi, ripiegare il filo – stumpi m(tellºn, e il di la l lla in
ſol:i, l in lui zzati l'anima, ci è di venire avverso. Ilijuſſi e l'animo è il
'ril e addirittura, Argorn e nto « Argomento è voce che ha molte
significazioni, e tra esse quella « di istrumento d'invenzione, di modo,
d'auto, di provvedimento e si « mili ». Pedi 931, « Qllivi: i foli era
chi con i (Ilia 1 l di l:1, argomento, le sn la r. a l'ile f. Ze l iv (): --. »
I3....« I medici con grandiss mi argomenti e con presti aiutandolo, appena a
dopo alquan ) di tempo il poter no di nervi gºla: ire ». B e fa la l la fra il
l. 1, e gi. I l 'gli il i vi i suoi altri argomenti fºnt li fa re, Illas gli y
olesse... - III: I rila vita e il sentirne il o l'eV 0 0 l'e.... » I3 ('.«....
a zi, o che il natur:) del III:I e no! p. Iss e, o le la ig it anza de'
Inedicanº i non conosco -se di clie si in vesse, e poi consigli il debito
« argomento non vi prende- se non - li te pi h I gilarivano, i pizi.... a Bocc.
o presi e li argomenti per 13 « con quali argomenti di fila li II lit: i sl il...?
l): V. « Gridò: fa ſi che le giºrno, chi ci li' Ecco l'angel di Dio!
piega le na ri! ()Inai vedrai di si fatti uſi illi, V (li che sºlº gna gli
argemcnti umi ini, Sì che remo non vi lol li è nll: o Velo, chi le ali slle tra
liti sl lo: alli. » I)alit. « E d'onde debbono prendere cagi no e
argomento di non pill l urt, ed eglino più per callo.» l'assav. «.... il
quale fermamen e ''avrebl ero il riso, se un argomento non fosso « stato,
il quale il March se subit Ilmente prese..... » l. ll Il Illotivo, llli
appicco.)Note alla voce Argomento 931 – « Le malattie delle femmine,
prosegue il Redi, di molti argo menti della fisica son bisognevoli. – Per lo
che i medici han potuto dar generalmente nome d'argomento a tutte quante le
loro medicine. – Può dul que esse avvenuto che essendo il serviziale il
più frequente di tutti i medicamenti, sia rimasto a esso serviziale il noir e
di argomento. Può anche essere che sia slalo chiamato ci go onlo perchè il
serviziale è un aiuto che per poterlo usa e vi è bisogno d'un argomento, cioè
d'un istrumento, quale appai,lo il cannone dei serviziati». Aci
osso (A ci cossa re) Guarda come si unisca a molte idee e ne renda
più evidente l'ordine dell'azione verso chicchessia o che cle sia s inili
all'hin, her, hiniiber, hine in ecc. dei tedeschi. « Escono i cani adosso
al poverello ». I)ante, « Ella m'uscì con un gran rabulff o adosso. »
Boce. « Entra il l)iavolo adosso ad alcuni, e per la lingua loro predice
le cose « ch'egli sa.» Passa V. 933) « fa che tll gli metti gli ul gli
ioni adossº, sì che tu lo scuoi ». I)ante. « Oll - io veggo porre mano
adosso a tua persona senza riverenza, cer ta Inente il III io dole, le cºlore -
col piera.... » (a Valca. « Non pensando che, se fosse chi adosso o
indosso gliene ponesse, un « asino ne porterebbe 'roppo piu che alcuna di
loro.» Doce. 1934) « por gli occhi a dosso ». 13 i c. « Stammi
adosso (amore e lpoler ch'ha 'n voi raccolto.» Petrarca. (935) « Recarsi
sopra di sè, e no.n appoggiarsi adosso altrui.» Casa. a 'I'll rarogli gli
occhi, e a impeto gli corsono adosso colle pietre.» Cavalca. « No.l,
altrimenti che ad un c. n 1 l estiere tutti qui,i della contrada « abbajano
adosso.» B, c. « Avrebbe avuto mal giuoco a darmi adosso mentre i padri
mi levano « a cielo.» Giub.Gridare adosso ad uno Vil. di Cristo) – darla adosso
– Gridar la croce adosso a uno – Dandir la croce adosso a uno (nodo vivo, cioè
dirne il miglior male possibile, perseguitare. Formare, lare altrui un processo
adosso. (Bocc.) « Addossandosi a lei s'ella s'arresta. I)an e. « A Celso
adossava gli el'l'oli alf rili. » I)a Val)Z. Note alla voce
Adosso 933 – Così dicesi: avere il diavolo adosso Passav), andare,
correre adosso ad alcuno. – «Gli corsono adosso con le pietre. » Ca
Valca. 934 – Parla di soverchi ornamenti delle femmine. 935 – Stare
adosso, in generale significa insistere, importunare. E a ri ci co
(E a n ci i re) Un pajo di esempi, che ti anni niscano del valore ed uso
legittimo di questa voce. « Mi rallegro che abbiate ricuperato il bando
di casa vostra.» (decreto, pubblicità, ecc.). Caro« E per bando il popolo
ammoni, non queste esequie come l'altre del « divino Giulio scompigliassero ».
l)av.« fece ordinare bando la testa sopra chi fosse trovato reo di tanta bar «
bara (l'Uldeltà.» I3art.« v'avea colà strettissimo divieto e bando la testa o
la prigione in vita, a a....» Bart.« Diede bando di male amministrata
repubblica a....» DaV. (940 i liò i S 1: a li i vºli lº s...... II. l. 1 la lo
bandire per coià ir, lo, e al passato i tiri l o il si.... » B irl i: e-
si io ev, e l.llis i in itine del fra tello la bardi, e l l i. E 'lo, li
- a, noi lo handiamo a ti: l ':17 Bandire la croca adesso ad uno v
addS80. Note alla voce Bando () () I )al band, gli che che
sia al cicli uo, è condannarlo per giu dizio, caccia l da un lu go e porlo a
morte se vi ritorna. Testa (capo) I sei i modi anche oggi con il
missili:i e \ lgari ed accenno ai me ll, lsali (lal V. lgo Far capo ad
uno:) I lil I e i i ti to o: io » – Far capo in un luogo ai da quivi, º l'in
visi, fa: mia ss 1 – Mctter capo di un ſi li le: 1) Inn l a t: o ti li(illi
lava i tl, la la il li, e I ll (ill:belli la faceva capo a lui. » Giov. V lll.I
fr: ti.... v. lllero a l'i: l e, suggellº). dºtti, e fecer capo agli anziani
del popolo., (i. Vi!!.Così fa cia il l dl e della famiglia, distingua le sue
cose, e tengale a i l II odo che a lui sclo faccia n capo, ed a lui i sien,
ovdi l'ate....» l?andolfini, E l d -omi che quando il Sig 1 e era l, ella
città, continuamente si a torºla in allergo il più delle volte a lima ig e qu'
a era grande all'e « grezza e consolazione a tutti i suoi divoti, ch. vi
facevano capo.» Cavalca. « E i... Firenze facevano e ai le dette fontane ad uno
grande palagio, a che si cimiamava Termine, Caput aquae. » G. V.« Quelli, che
per con rada non usata camminano, qualora essi a parte « venuti dove parimenti
molte vie faccian capo, in qual più tosto sia da « mettersi, stanno sul piè dui
bit si, e sospesi.» B(Imbo. « Per lo fiulrle del Nilo, e li fa i c' a l)
I lili i: l in Egil [o, e mette capo « nel nostro mare. » (i. Vill. Fare
di suo capo º 1 a slo, - sulo mi do. - - Dir.... far.... di miº, tuo, suo capo
il 1 l il V, Iz« NCE, sapendo far d suo capo. In Illini i sa del mio, il lo.,
A.le. « Ma questa cosa I)inni li li on li fece di suo capo, IIIa i- I is - e,
i.i: la zi « al suo padre, e il suo p li dlel l i l: nza. » V it. Plth.«
Affel'Int) non di mio capo, III.) di s.it: te de lla ll rati « ma d'alculli (le
Teologi, li la vostra le lezza è lº l'aria delle cose celesti. »
Riel'el)Z. Farsi da capo. « Qui si dimostra che il ift: - si e' qua
« di riconfessarsi da capo. « Me-sala, qui si da capo rifai! csi, disse: "
I)av. l la ci sonº e lenti a Tirare a capo – Venire a capo
ondulr a fi; e, v ir, illa e il si le.. « Tiriamo crmai a capo Gueata tela, o
lº« Se io ve le vo! re, io non ne verrei a capo in parecchi « Iniglia.»
I3o e'. « Volendo e pil fla III It, i no - e e, o ve le, sa o di troppº
fatica, « e nº !) st 11 venire a capo. F: (iio: l: li. « Iº gli 11 Il si
verrebbe a capo il 1 le tl1te le co. (..» La l). Ccrrer per lo capo a
llar pe: la fa ta sia Entrar nel capo il lilaginarsi, darsi ad intendere, sli,
la rsi a credere,. E qll si o libi o Ini corsero mille altre o per lo capo.
Amle[.. a (i li entrò nel capo, !, V: seve, lie - -; il V t's - o - I lie a
famente vivere nella lod povertà o I3o. Farci il capo - fare tanto di
capo V. Verli, Fare (ip. I pala l'. I – Venire in Capo arra (!. re, sll len e,
illt (ve: i re.“ Sicchè lene Inostrò e trovò vi o illel elle V | olio li aveva
s pitt, a cioè che in b ºve l'ira di Dio gli verrebbe in capo., Cav: a. «
Mi lide ) d. l''i vos: a In te, e farò li ffe e sche, n. di voi, qui nn
lo a quello che ell: V. I vi verrà in capo. » l' issava il 1.A capo erto,
a capo chino – Andar a capo chino, ecc. ecc. Si usa tanto letteralmente
che metaforicamente, cioè a indicare dipinta mente la franchezza, la baldanza o
la umiliazione di alcuno. Ricordo da ultimo alcuni del ti proverbiali: Cosa fatta
capo ha (Dante l loc. G. Vill.), Scambiare il capo pel rivagno, pigliare una
cosa per un altra, Mangiare col capo nel sacco vivere senza darsi pensiero, o
briga di cosa, alcuna). Note alla voce Testa 941 – Di sua testa non
pare il medesimo. Significa: giusta il suo proprio intendimento, senza altrui
aiuto o consiglio.« Diedegli certe scritture di sua testa compilate ». M. Vill.
« Io non ardirei rispondere di mia testa a sì grave quistio (ne ». Dav.Non è da
credere che scrivesse questo particolare di sua a testa o Fierenz. A
proposito di Ics'a lon sala inutile far osservare alcuni usi di que sta voce al
cui luogo non ſarebbe capo. Sta a per persona: « Si levò una tramontana
pericolosa che nelle secche di Barberia la galea) percosse, nè ne scampò lesta
». Iº c.; b per l'estremità della lunghezza di qua lunque si voglia cosa, con
le: l'esta del ponte, della camera, della tavola, della tela e simili: (Egli ha
allo in lesla d'una sua gran pergola....» Caro; e per intelletto ingegno: o
l'ira u no al suo tempo ripulato astuto e di buona testa. M. Vill. di buon capo
farebbe ridere). Dicesi finalmente: senza testa non senza capo: Gridare a
testa (ad alta voce); Gridare in testa altrui garrirlo: fan e all' ui un gran
rumore in testa (Doce); far lesla (fermarsi, resistere, difendersi); tener
testa, rifar testa ». G. Vill. (v. I3attaglia, Prontuario). Cornto
Sono noti e dell'uso i modi: Conto aperto (od acceso), conto spento, conto
corrente, conto a parte, a buon conto, aver a conto una cosa, ricevere a conto,
lar i conti con alcuno, la r conto di che che sia (farne stima, averlo in
pregio, farne assegnamento, far capitale), domandarconto di una cosa, render
conto, dar conto d'alcuna cosa (darne avviso, notizia, e anche render ragione
dell'operato, arere in buon conto (in buon concetto), avere chi che sia o che
che sia in conto di....., tener conto di checchessia, per averne cui i: « Non
gli restarono altri ninnici che i suoi figliuoli ecc. da tenerne conto Sogli.
Si r., ed anche per orenderne memoria, in Letraclit zieh en, il V e il
considerazione: « senza tenere altrimenti conto della sua obbliga la fede.
(iiallo. ecc. ecc. Di molti altri usi di questa voce niente volgari o
meno comuni oggidì piaceni menzionare i seguenti: Persona, uomo di conto ioè di
stima, di 1 pillazione. « davagli in commende i conveni a uomini di conto. »
Dav. « In verità che io non sapeva di essere un personaggio di tal contu, « che
potessi turbare i sonni e stancar l'1 pelllia di un ministro.» Giul). Far
conto che.... ), pensatsi, in Imagina si, sal ersi, supporsi, darauf gefasst
sein).« Si addestrino a vincere il demonio in altrui trionfandolo in loro
stessi, « e faccian conto che i pericoli passati son minori di quelli che
sopravver « rannO.» Bari.« Facciam conto, che in campo alla pastura Un oro, sia
costui, o un a cavallo.» Malrn.« I)unque dovrò si armene tutto l'inverno tra
questi geli, e durare sì « lunga fatica?.... Fa tuo conto. » (iozzi.« Le sar i
rillo a dll nelll.', ripiglia via i ragazzi, i lidele? Fa tuo conto di a ceva
il padre, le sono appunto candele., (iozzi. Metter conto, tornar conto es
- or utio, tornar bene, zutreffen). « A Gel'Irla Ilico mise conto voltare.» I):
I V. « Non perchè alla repubblica mettesse conto patire mali cittadini.» Dav. «
In ragioli di Stato, il conto lo l iornar IIIa i -, li ti si fa con un solo
»I)a V. Levare i conti. º nel cominciare a levare i conti che avea
con Dio, cavò un lento sc « spiro.» Bart.Fortuna liscio gli esempi nei
quali questa voce è adoperata a significare ora condizione, stato, essere a Ahi
quanto è misera la fortuna delle dollll.... lº.. col l'a tt con intento
indeterminato, caso, avventura e lasciaio ai re a beneficio i fortuna ».
Fierenz.), e quando ven tu rot, ct r r nini e il I, buono ed è talora anche
l'opposto cioè disgrazia, av rom in n le calli ro ecc. e le n lo [ili alcuni di
un uso men comune, ci è il sig li tre pi elle, lui asco di noti e, mare
l'ortunoso e simili. Si crt ti ma i ve: lt, A sì forte, e in petuoso, che
- 1: Vili.l'ill st, s, il 1 l e gran fortuna di pioggia gli sorprese.» (i.
Viil.a \ Ife, in lio, io l a cos. Il l tempestosa fortuna esser na º |:) » l. e
Ond ei pi, e ne rive in fortuna, l): nte. I.: fcrtuna - i lob pople:ì. » B art.
li ria: e ci I l lo rempe fortuna, si or endi colpi la batte (na V ('..... I 3:
l ' 1.e li i- e l' In ill, sl -, mi ata la nipes: elle qualtro di e quattro
molli corsero perdutº a fortuna, senz' ' 'o miglior governo che....» Bart. N: \
e li coi reva a fortuna il t:: il e o IBari, 950) \ ndo si seni fortuneggiando
con avvenimenti or prosperi or a V V e 'si. I 3a 1 t.I questo li lo si elli, la
va a il 1 l iltà fortuneggiando.» G. Vil. I bella, li in azione lei - i to Iri
Il re, quando più fortuneggia, per « alleggi: l' a la rca. » (oll. l'al'.
Note alla voce Fortuna !),() N Iala questa frase: correre a Fortuna
correre perduto a for i una, l he la sc itelle lo i rineggiare che ha un uso e
si niſi il lassi e giale, ci è ali birrasca, avventurarsi agli accidenti
forlilli si del mare e li i lamente, essere tra civili empeste.Faccia
(Fronte) Adduco esempi di faccia o fronte in senso analogo ai derivati
slac Ciato e sfrontato. I.i soli chiarissimili ed il e lell'uso. « Pure
di dal e il ci II la l1 lilli e li S.,... ll, l el taccia. « Con qual
faccia, s a ci: il I II, - l. Il lidi e « la fede?» (il lido (iiudl ('. «
Adunque con (.. I faccia « add Llcile? ». (iil I l. a Ol' e il 1 - le
fronte il il 1: ' ', i -........ « Poi che l'uoli o si º le vi! ll 1 o,
fa callo º iro iile, i - - - a ratamente a ogni In. » (IV al a 95 « Hai |
ll ll lla fronte cosi incallita, i lle ', il l i « di doverti call Il bial'e il
el Vis? S, - il. .... l « Con faccia tosta - e 17 i pi Va: ll 11,
Il). 9, è « In prima si coniII e II in o Ill o. I l tanto che i «
manifeslainen e li faccia, e li ri.. « Quel che tu in, l): a l ha fa coia, (i,
li i ll v o Lasca. Rilne. 9) i. « UOII10 Senza faccia - Il v.i.Vede e 'a
lliere: i iacul, e « rere Iſlale., Fl'. (1 o l'il. « Don Roi Igo 11, l avrà
faccia l: Note alla voce Faccia Fronte 951 – Cioè diventa
sfortunato, si ucciulo.... l on li ha poi mol [i al li Ilsi e lo; i s'eri le
sco perla, cioè aver bilona fali i tºni i l I (n le; Mostrare la fronte (slare
al posto la r II on le pp rsi: a prima onl, ecc. 952 – Un ragazzo ha
faccia tosta, lº li ha ſron le incalli lat. 953 – Far faccia vale prender
il II e, a lei il pil i Far crlr facce di olio in Toscana per la ri. ligure, e
poi, i a dover dire o far cose. Il li li llo ci livelli rili il l ' il.
954 – ci è chi noli la senso di ver: liti e di 1 ss ('. 955 – non si
ardirà a far....... 16Fatica (Faticare) Ricordo i modi poc'anzi
addoti: senza una fatica al mondo, alle mag gio) i folliche del mondo, di tr
fatica, prender latica intorno ad una cosa, a la lira il V V el l con ſali, i
pºli, a gre, ai) alicarsi una cosa (cioè alla lira si per i lilisla la ed i gi
o alcuni esempi di un altro uso men nol e mieille comune agli sci Il ri di oggi
di cioè della voce fatica il sigilili lo li li a raglio, per il latino
sostenuto o lato, e dell'analogo la licati e il no, una cosa, ciò è l raglia,
lo, allige) lo tempestarlo alal, V e voll e, i l ligar. E I: la turiſti e
!). ll la ed ass: i n, e in riini della persona, per la fatica il Irla l pa evano le sue fattezze bel e is si lite,
l ',,,,, - (il'er le. In le, i ai altro pensare che di lui, e ogni altra cosi
le v 1 - a eva grandissima fatica e per dil 1 lite si l V a oli, il 1 l quali,
essendo cia si -, i faticarono la nave, dove la donna era, e' marinariLa loro
si el e, e faticatº o ezia radio gli ali inni de savi. » Amm. Ant. l ' Illal
(iiii, e ora il mare, ora la terra, cra il cielo di paura fatica Ill lo II e il
I l fatigat.» S. Agost. C. l). PRT atto Mi acio, i nodi dell'iso,
che li li è fallo mio: si fallo (di tal fatta di tal maniera: li fallo e Te!
ivan n[ 9:50): in fallo, in fatti: fatto sta che.....: in sul fallo in orielli-:
iallo l'arme: uomo Vallo, cavallo jallo, il lilla, biale. o si lili, latte e 9
l. e piacenti porre alcuni esempi di un riso assai ſi ſui lil e il loro i cl
siri e non comunemenie osservato oggidi. (ilar la II Il nle iel, l a che va a
mente, si adoperi que sta voce alto il significa e il negozio, faccenda,
affare, interesse, e ora torerno della p rs not n 1 micr, ii, ' i cliessia e
Nolerai le frasi: dire ſare, esse e checchessia di lall prici, le falli suoi
(cioè di me, di lui ecc): andatr pei falli sui ri; a 1 e i lalli su i non
potrer suo fallo (non mo strar che si faccia a posſa essere fatto mio, fallo
suo (cosa che appartie ne a me....: disporre ordinati e i lorº li suoi: entra e
nei fatti altrui ecc. Masopratutto porrai mente al vario uso del nodo gran
fatto: non essere gran fatto che....; parere gran fallo che...... essere
clicchessia o chec chessia un gran fatto ecc. « Noi abbiamo de' fatti
suoi pessimo parli o alle milani. » Borr. « Ed in questa guisa Bruno e
Dil falli la II o, « traevano de' fatti di Calandrino il III - « E se non
era il g... l in 1:1 lit, il 1 l i de' fatti - Il l III !! a dire.»
Berni. « Mossi a col il pass oli del fatto suo.... l « Come se egli
- lo so, o de' fatti ric stri - I ' ': l. i l - li i ll it, l.E
mangiato, e bevuto, s'and: i pe' fatti loro, B « Egli sarebbe necessario che ti
l. Ia la ss da il: cosa, e l: sto s « è, che se nessuno ſi domanda ss e di cosa,
l..., o la r. - del fatto iuo..., a che tu per niente non rispoli il -si
- l: i si v; st: (ii « non li vede
l'e (11, Il li Ildil e. ll tº 1 - in 1 l 'i a ir pel « fatto ſuo. » Fiert':1z.
« Non lili da r no], e, a pe fati i tuoi. VI 'In. « Chi fa i fatti suoi non si
ill, i ti:I l 11, l s. « Perseguitava una val Int. a quia li i - «
giungerli, on.le la line - li illa non ve li: l rime tii a fatti suoi, l a - a
comandò ad illlo scarafaggi l.. Flei ei 12. « Senza che paresse lor
fatto, li colli, i cono a lorº, i lit: qi, lu - « qll Csto Sllo Illari) o. »
Fiere:la. « Se ne sta ritorna, che non par suo fatto. Vi rili. «
Dice le cose, che non par suo fatto. I3 i « Renzo al suo posto, senza che
paresse suso fatto la il clo « Inessun altro.» Manzolli. « Il padre si
lamenta del ſigilli lo, e si rie e di pin egli il a fatto suo., Cavalca.« Un
solo anno stette e visse in questa º o, linellza ed avendo tutti i « suoi fatti
di votamente disposti, con grande part se ne andò i (iesi (ri « sto.» Cavalca.«
Ed (rrdilla () in Egitto (ng li suo fatto, - i: il l... » I3.. « ID'ulna in
altra parol. I entrammo ne' fatti dell':«.... e sta bene accorto che egli non
ti ponesse le mani adosso, per i « ch'egli ti darebbe il mal di ed avresti
guasti i fatti miei. Bo, c.« Troppo ci è da lungi a fatti miei, ma se più
presso ci fosse, bon tia dico che io vi verrei una volta con esso teco pur per
vedere a fare il tomo a quei linac lei ogni e lo limºne una satolla o,
Bocc. « Non sarà gran fatto ch'egli getti qualche bottone, col qual io
discopra il suo pens. ro.» Flei e la.- - - - - e 11: -: la gran fatto. ll al
ti: o ce le cincischi.» Da Van. e le per esse -il), A di I'll imo, non sarà
forse gran fatto li a l loba l l ulmanità.» Segn..... pe. indos I di -s non è
gran fatto, che per livore o innato vi doig: vedere in alti io, li noli e
conceduto acquistare a voi. Segn.« Pare a voi di tre gran fatie, l: i Cielo a
voi debba costare qualche leggie di s. l ' It, i lil II l S. In cli
I), o vi debba º si º gran fatto oll i- ato, per un ossequio che piu proi, il
merile poi il re - l ni:il lil:i. Se n.e 11 il bis – il l gran ta! to: Vi l e
a, per lº....» Bart. « Nè avi il gran fatto: ' ', p s a h si rai slm litato dal
pic a col le li,, l ': l /Ed il la 1/ gran fatto in là, ella arrivò ad
una a certa ri; l:1. o lº. I fior enti i: il: i a fiorini d'oro,
senza a quelli li vi ii fit is ºn grati fa 11 o.» (i. V ill.(gras, a to - I l
ini l e.» I3o. E I. e illliamolata di me cli, ti pal ei gran tetto, lº il l: i
1.1. I vig, l.()il -, vi i: 1 -... sse, e cado: le gran tolli, i loro i
no, mºltº gra.: 1a!! 3. (A, i tl ad. grandi e sanliº. Note alla voce
Fatto !)(,() si,s, li oi i pi si nºi il cli: li presente, sui biſamente,
in mantinente si rii di 1, il calde nori o nella piana el' i l. l'Iron,
pi si..... e di fatto, e senza alcun soggiorno tutti fu I no il pic i fi.
Mi Vili. - (i \nche allo per cosa falla. I rili, in pposizione a dello, è
s illli bocc. di I lilli. - Che mille volte al ſal'o il lir vien meno. Dalle. «
I fatti son maschi e le li role so' felimininº o ProV. ital.N/l a n co E'
Voce Ilsalissimi, si, i 11. I pelle molle Il lamiere, gran parte volgi il s -
che ad al lI'e lillgue 961, si go, il 1 - I l guidi, quelle tavia sulla lingua
del p '. (il 1. leggiadria od eccellenza di senſi nellº si i... a no, la tale
solo per certa analogia ila mano, avuto cioè riguardo ai vari lilli i ti che
iene la mano, a quello che li, al per: per a signi cioè che Ilon V elig l
srli. I -, - i.. l'l'ono ll ( ficare potere, forza azione au il pri, tra i là
di o l'uori lilli, soc corso, aiulo, banda, lutto ecc. « Acciocche a mano
di si', il ri non vertisse. I3o ('. « Venendo a mano il it - - il II, le
V elite e l'i « Stiano.» Vit. SS. I': l. « Molti dei quali lug - I l a
mano de' nemici « uſ. Inini II lontani pervennero. «I terno forte di II
lilli i r... i t. 1, i ir: imam l lilllico. » l?et l'. « La republic tilt
i, in mano. Dav. « La saliti del V sl l fi I l l i nº lla ntitº i l l3 ('.
« E quale le an a -, i la mano a prestalica, io l'auto « rità dei prelati della
sim mila (li a. il 1 l: Ali - oli?» PasSV. « Fare i voti in mano di....,
l 3:1 i t. Cºs « Manda il la lizi una marmo l.. « I entulli, Vlt
telli, l.li ra: no ci º randi. I: l.. « far guardare a mano di soldati.
I « rifiorir la calunnia coi li la mano ri: di doppiezza. » Giub. «
Carlo con potente mano v V on gi al quantità di gente a rinata. « nè
Inolo poi con piccola mano di armati V, il 1, a S. Iplone.... a lºoce.
(Lett.) « Sopra i detti fili si da lol: ill. it e s'ilm « ponga
grossa i lile l'a lt 1:: e io i Irella mano « di terra, che s'è la [a di
sotto. 13 Inv. (e'!. () i « Andando egli per di la, molta mano l'Il III liri de
la ri; in Iglia l'incon « trarono.» Benibo. « ma.... fu loro adosso
subitnmento una mano di ribaldi....» l?art.di lini.... l) o lo veggia, e
porgami la sua rºmano, - 1, li, i - ca. » V il SS. IPad. I is: i o, che
tenevano mano al fatto, t e del mondo.» Bocc. 965) \ qi te li-, e tenienc mano
molti baroni del Regno.» G. Vill. !. (ii i e Isolmi e le Gesù mise mano
& i serrano ine li piu se e, più per ſette che mai avesse I t. l. ti
l a, fere cenno ch'esse (le pie i ! !, l i º S rimise mano e disse que le
parole che - il pi su ro, e colli e gli entrò l. Ili, soggiunse e di
Sese). VI: messo matto in Alberto da Siena seguirò di dire di lui ll o
lº I l ott... m Se ntano in altre novelle., Bocc. 966). i:ili º di.oli
perdere lo stato suo, mise mano, l s... Il miº l 'ils li a l e E da', e,
Vit. S. Giov. Batta. I ss; Il li i lill I, il I.. ll mi venne a mano,
l'infrascritta cosa.» Vit. SS I.(olis derare oltre. ll he primi i gli venisse a
mano.» Bocc. (967) li li avendo il pri' il o la ello a mano lavorava con guinzagli
di I l (-: i ri.() la d [.li mi viene ai le mani al lli i giovanetta, che mi
piaccia...» Bocc. I li pervenuta gli fosse. I 3, > cade per mano, la gio ma
no di cambi.» I3occ. lt 'e llla l' e il I dil e che li cation [ra mano.»
Ces. rss e il dover lol dire, con lo costoſi alle mani Era il pi
vo! Il no del mondo, e le più nuove novelle avea per le mani, o lº e'.l'o-se va
le e lo ill, e pretºre dei sogni i qua l abbiamo fra le mani.» l', - li
ttiallo). Se \ (i, e li gli ha fra mano ». l) il tam. \ Inzi mi prego il cast
lo l l se io m'avessi a cuno alle mani, e i la S. » l'8 eNoi abbiamo die ia | i
sit i | -sino l'irtito alle mani.» Bocc. (: e quelli, che lo li pi Ili, d
minare hanno alle mani.» Galat. S. ll p il sier in o o d'i: lur e o amichevolmente
o levargli la mano, a e li, lo ſi l e, i sºli, Ina grado. » Nell. I. A. Com.
(968)C 'i ll nini innamorati bisogna lar come coi polledri: con essi ci v(( la
briglia, frusta e fil d'erba; o: i rile, i li, o a casfig rli, a
lusingarli; « altrimenti, se ci piglian la rinano la si o ti noi quel che
ben ioro torna.» Nelli. I. A. COnl. (( (( (( (t « Non so...., nè a
quale di i i il 1 l si ri le! V il gelo I.lligi dovesse ceder la mano. » (es.
« Boezio pruova, che l'll in pole, il II ci ha peggio, che l'uomo di bassa
mano. » (il V: il l.« Se tll II letti ll ! !: i lil:) il il l il bassa mano l.
I (', o lì (vl) è mai per roba, che ella vi p. i, t: a Ilio., (io l. Spor. «
Anzi prova il va il V 'o sſ 1: laici e colle persone di bassa mano. Ci s.« Non
sieno di vite i ro? (d alta, Ina - Ierio di vi... i mezza rilano.
l' « Ull chiassº lillo assai fuor di mano. l t. « Torrestela voi fuor di
mano i ve lo i si V elido; lo più vili. » Pandorlf. « Luogo molto solingo e
fuor di mano. I3) c. « E quello con lui fa la ciurma ebbero a man salva.
13o c. sicuramente, impuneInel1te). (( (t (I « Senza
che al lillo, Iri: i i, ga e 1 di Col - sari sopravvenne, la Ilta e tu ti a man
salva - I pl - e el andò via.» l?oce. « E perchè tante diligenze? 11 i
poteri e gli averlo a man salva ovunque volesse?.» Segn. parla del fratricidio
di Cal no. « Vedendo il caso Ill ! I limiti e li -. V - il era vinta
della mano Nerone era spacciat. » I)av.« Tutti studiava lisi di Ig Il: i rl I
se non vincerli della mano. » Cesari. « e il buon Gesù Maestro utili per
il pa le, e ilppelo, e così bene disse tulle le tavole, e lo ile dall'una mano
e dall'altra a coloro che gli erano più presso. » (.. V: il 1. 9ti!) «
Va', gli disse dalla mano dritta d ' s dica, ed egii andò dalla mano sinistra.
Iº, re « Così tornava per 'o cerchio t. 4 r. Da ogni mano, all'apposito
punto.» Dante Inf. 7, 32 970) « Così duo spirti, l'uno all'allro
chili, « Ragionava ll di Intº ivi a man dritta « Poi fer li visi,
per dirmi, supini.» Dante. l'urg. 14.'(o)upds popuSIs Inb) ooogI v'o.IlIO Qpunu
II “lumi ollop paol pp “u Au ICICIe II º oul o uutlop tº | I nuovi ed estro el
l - Il -IV » - 'lue AoN « ossip o:ppp) Non ſi pl), li our il pl), l'
op.elp outdooo!!) Iosso l\ » sslo I sl. Il l is o ollo llo, li eICI o zUIo,
Iolel « OI.).otº. I | ottili Il 1 ls 5 -opupuotu o “ollo)lo. o) n. il
film l u n t al I ti Ip (in on ott oss, il o »: IIus o otodlam oliil Ip le oumi
in l 'oupu Inl. -0p3 uol.IIUISIS plssol.o.ool. III our li lp i pp o II. In po
'pso.o) on li tod o p oumul lo), ti: opoit | o olistino ti il litis oi
ri: - red o o Tupou Ituo) e olltils o u? o una o lo)). Il 2n ils.... N
(pupoIV) optio. Il sip I n. p oso.Iotti: o s -oI) Ip Isopu ellu.Il 'tele i cd
in 51 | tell, il lil III o II l ' op opulooos II oz.Io un Ip Ipniri, il ti mid
o Iod: II o II: il onpoque ouuoi luis oumu lp tou, l oum il trito.I
lollflot ſpum il: uoſol) l) lt 1) II l lº fu i pup II t, l. 1, l ' ul, N li
pill) I -.0 l 'll 30 l) il pul) lt.)() () 'l l: il 2 l. N S I. W N il p pli) II
cºl l ’s ..o): I.).o: ls o “al IpUIoA Ip o Ille.it | | | | | | te, Ip o
netto e l our, il tool, pi). IOI QuoopUIo,oos Isso od li elil I un ul. l I, pp.I:
) « oupul pl oood un lap. tifi oil o sotto ll op. pddos uoi o! Io e,op is,
l lo -ſim:(usu ) « oum il plm lui o il ulson lì Ip o] Iod o [op e ti º lo
utI UIou ott.Ia:S Ip oso - It?, Ilo) dolo) olim il mo) molti i pl. ): l o il lo
ſi un lp: i -lad pl app:(Utlopl) oum lti li lui il 'lo. I pps: s i lo) -ulo plm
luput ollo. Il N:ol n. ll o in lui lo pu Inl si.lol::: - -souloootlo
otIIIss.Io.A.Iod o letti i l o, on i lou, il miti il: msoo mun oumu to. I p.),
o), mi: ps spel up it I pi: oss. I lupu ol o toam:o)pſi.o) ll put, l.. ):p)
spel il lunni, l -IIu.IoqII o Insn pſ up) o umi p), p: s e -ed IuI I] Iolod lp
output pluti il 1 ol ss (I -od) oumtl ul.lo, m: In Ir) our li mi i nomi o l
oil..I l 5, so uotp o[.Inq UIoN ) Tn1) o un mit ti, i no 1 o s - Ied II5o au »
– ollu. I Il o v. Id e il pil un omone: i -oq IIosnI.I n el IIIquº plssolo.,ol.)
un omi piu pitono i p i ns o ai -nole uzUIos) olon lupul p: olio: rºns e o os
“Il p. I ºIIe aolo) oum.olm,p ou put il o al piu. l) o is i a i ) I
ll,, 1 ) N N, i: ls, - TeInzza) ' uo) lupu opm o.lu,,, losso: ss s IlTOUI
e ouput ul oumu lp o Ioi o is I, opIV -- o, epi in pu Intro3 o otto Inpulition
i volti, oros Ip II o un p on pu p. “mIIadno nun III olio novo Iorio ſi o IIIod
s our in un ou put np “oumtl p on pnti p: Io I Il tº - il vi:.) e p), il
-issmu.out o Issoptions o I, Ill.) o 5 - -1)ll,9lll:(o)uo III el.oIII).In n our
li in e ss « ouml5 ml o unl ſi u mu.l IV fi, l ' li' in :(IoI, I « IoIIIn
IIfop oi 15 º oliº olpoul “olzIpn15 solo emb lp e los I, -on T ): opcIt II e a
1. o un triplº: It: [.Ied ſoup oi lotte o lesn po o li li so I I I s | | |
| Oue IAI eooA e le emoN !): ſi - (i I:)(i967 –
Questo venire a mano o alle mani significa capitare, occor rerº, scontrarsi,
non renire in potere come negli esempi del primo gruppo. 968 – Lerare la
mano ad alcuno significa sottrarsi all'obbedienza, usurparne l'autorità,
comandare in sua vece. (Gherardini). In senso analogo dicesi pigliar la mano,
cioè non curar più il fl'eno, ed anche guadagna la mano. 969 – Nola
singolare costruzione, l 970 - Ci è tanto da destra che da sinistra. Dicesi
anche (v. ap l'ºssº e con egual sigili caſo, ad ogni mano, a mano de Sl
r(t, a mano sinistra. N etto E' un agge livº e significa pulito, se
ilza macchia o lordura ed anche buono, senza risio o magagna, leale, schietto.
E però dicesi: coscenza nella. « () dignitosa coscienza, e nella Colle l'è
picciol fallo amaro Inol'so! » I alle º I l'allava con nella coscienza ogni
negoziuccio ». Fr. Giord.; di mºlta rila a liv. M.: animo nello, ed intero ».
M. V. ecc. Ma si usa altresì a modo di avverbio, e talora anche
sostantivamente. Si notino tra l'altro, le forme seguenti: Averla netta,
andarne netto, passarla metta. « Non ebbono netta del tutto l'avventurosa vi
torla.» M. Vil. « Niuno ne andò così netto che non piangesse qualcuno.»
Dav. Uscirne netto opp. uscirne al pullo, in do toscano – Farla netta
980) « Io mi credeva d'averla fatta netta di que la vesſa, e aveva la se... »
Fiel'enz. Coglierla netta. « Io non vo' che la colghino così netta »,
Ambr. Giuocar netto (cioè con lealta, senza frode, ed anche andar call'o, e
simili) – Mettere in netto 981, --- Tagliar di netto, portar, gittar, saltar,
far chec chessia di netto i cioè con precisi rie, interamente affatto, in un
tratto), « E con -sa sospintolsi d'addosso, di netto col capo innanzi il gettò
». Bocc.« E rimessa la briglia al suo giannetto, Come un pardo, saltovvi su di
« netto ». Malm.« Senza certa violenza pare non si possano recidere di netto
certe grandi | « quistioni ». Tomm. Il netto di una cosa il chiaro, il fatto
preciso). Note alla voce Netto 980 – Significa in generale fare un
male con garbo senza farsi scor gere. l)icesi anche larla pulita, farle
pulite. 981 – Meglio il modo lo scano: mettere al pulito.
Fetto L'uso della voce petto nel traslato non è oggidì sì noto e comune
che non sia profittevole proporne lo studio con alcuni esempi. E' dizione
eletta e si adopera a denotare l'interno dell'animo, la regione del cuore, la
stanza degli affetti e dei l ensieri, ed anche l'intero uomo, la sua persona,
la sua corporatura quasi fortezza e baluardo del suo essere. « Camminando
adunque l'abate al quale nulove cose si volgean per lo « petto del veduto
Alessandro ». I3o.« Non altrimenti che un giovanetto, quelle nel maturo petto
ricevo te ». 20 cc.« ()nde dì e notte si rinversa Il gran desio, per isfogare l
petto, Che for a Ina tien del variato aspetto ». lPetr.« Era con sì fatto
spavento questa tribulazione entrata ne' petti degli « uomini, e delle donne,
che l'un fratello l'altro abbandonava ». Bocc. «....benchè tu non se' savio nè
fosti da quell'ora in quà, che tu ti la « Sciasti nel petto entrare il maligno
spirito della gelosia ». Bocc. « Ogni indugio, ogni vità disgombri il vostro
petto ». Fier. « E troppo mi dispiacciono alcuni mari'i, che si consigliano
colle mo « gli, nè sanno serbarsi nel petto alcun secreto ». Pandolf.« Ma pria
vorrei, che mettessi ad effetto Quella impresa per me, che, « come sai, Per
comandarti In'ho serbata in petto ». Bern. Orl. (985) « Se le prime
novelle li petti delle vaghe donne avean contristati, questa « ultima di Dioneo
le fece le tarili o ridere.... che » Boce, « Le miserie degli infelici
anni) l'i raccontate non che a Voi, donne, Ina « a me hanno già contristati gli
occhi e 'i petto ». Bocc. « Agli occhi miei ricominciò diletlo Tosto ch'i
uscii fuor dell'aura morta Che In'avea contristati gli occhi e 'l petto
». I)ante (986). ma i loro petti empire di far là da poter disputare del
bene... ». Da V. « Come innesterebbe principi di legge in petti che.....? » Bart.
«... e luogo prestarvi da potere la sapienza dei vostri petti, e la dottrina «
e l'eloquenza diffondere ». D: V. « Arnol di I) io, che avvampagli dentro al
petto ». Seg Il. Avvampare il petto d'indignazi (rnº ». Seg Il. « Ammollire
gl'iniqui petti ». Barl. « E voi Cristian I ll, Il avete petto (la la re
un'egual protesta in 'Ocſe all « cora più scellerate, piu sozze, piu abbori
inevoli? » Segn. º...... allora sì che Dio non potè contenere l'ira nel
petto.... ». Ces. « Ma son del cerchio, ove son gli occhi casti Di Marzia
tua, che n Vista ancor ti prega, O santo petto, che per tua la tegni ».
I)ante. Si notino da ultimo lo seguenti li laniere, Stare a petto. «
Stettono arringati l'una schiera a petto all'altra buona pezza ». G. Vill. «
facilissimo a risentirsi di ogni emulo, che pretenda di stargli a petto ».
Segn.« scusandosi col dire che non aveva gente di stargli a petto ».
GiaInb. Pigliare a petto checchessia (cioè impegnarsi in checchessia con
prelnura) – Mettere a petto confron a re A petto dirimpetto, a paragone, a com
parazione di). « ed avevanvi fatto a petto il Castello del Montale ». G. Vill.
« Egli non ha in questa terra medico che s'intenda d'orina d'asino, a « petto a
costui o. Boec. « Nè..... ma Volse a petto a lui se Inlorare un oro ». l)a V. «
Ma tutte l'allegrezze furono nulla a petto a quando vide la fanciulla » Bocc.«
Tutte le pene di questo mondo sono niente a petto che loro (i demoni) a vedere
». Vit. S. Girol. trad. a petto a questa cosa: vedere i demoni).Note alla voce
Petto 985 – Il tedesco nel parlar famigliare adopera anch'esso la nostra
voce petto e dice: Ich habe in petto ect. per esprimere anch'e gli che si serve
in pello o in animo di far checchessia. 986 – Nola eglalissima dizione di
I)anle e I3occaccio: Contristare gli occhi e 'l petto. Fartito
(sost) Il significato dell'uso, secondo il quale cioè ques'a voce è sulla
boc ca di tutti, è quello di palle, frazione ed anche di occasione parlandosi
di matrimonio o cosa simile. Ma è il sala da buoni scrittori anche diver
samente, a conserlo ci è di altre voci e ad esprimere molte altre idee, e
piacemi di allegarne alcuni esempi non avendole queste forme, secondo pare a
ine, il volgare linguaggio, e al che chi sa di lettere, non essendone per
avventura ben sicuro, leggi e vedrai come alcune volte questa voce partito ha
senso di modo, guisa, el al re di patto condizione, conven sione, accordo,
stato, disposizione d'animo, e lalora denota risoluzione, determinazione, tal
altra termine, pericolo, cimento ecc. ecc. e biasimarongii forte ciò, che
egli voleva fare; e d'altra parte fecero a dire a Giglinozzo Saullo, che a niun
partito attendesse alle parole di Pie o tro, perciocchè sel facesse, ma per
amico, nè per paren e l'avrebbe ». Boce. a Parendogli in ogni altra cosa
si del tutto esser divisato, che esser da « lei riconosciuta a niun partito
credeva. Doce. « Ma il mulo ora da questa parte della via, ed 'a da
quella attraver « sandosi, e lalvolta indietro tornando, per niun partito
passar volea.» Bocc. “.. ma egli a niun partito s'indusse a compiacerne
io ». Bart. (990) « In verita, madol, na, di vol in'incresce, che io vi
veggio a questo partito a perder l'anima ». Boce. 991; a Noi abbiamo da
fatti suoi pessimo partito alle mani ». Bocc. a....chè in verità vi dico
che se ll dio mi mettesse al partito, piuttosto « elegger l la povera Ionica di
Paolo e ' Ineriti suoi, che le porpore del re co' « redini suoi ». Cavalca
(cioè mi desse la facolta di eleggere tra due cose l'uma). « Di S.Gregorio
si legge, che posto al partito per un piccolo suo pec « cato, quale voleva
innanzi, o essere sempre infermo o in avversità, o « stare tre dì in
purgatorio, elesse piuttosto d'ossere sempre infermo ». Ca Valca. « E
così tra l sì, e 'l no vinse il partito, che non gliel darebbe ». Nov. anl. «
Ma a cagi n che di questo li stro partito n li l'Inter venisse scandalo e
alcuno, egli sarebbe liere - il 1 he tu ti guardassi da una cosa, che...» Fie
renZ.« Laonde egli si delllier, il tutto e pi UI | o di pigliarvi su qualche «
partito; ed ebbe: p ir, e con lIn – Imbe, o h el a dottore in legge.» Fierenz.
« Ma dei piu cattivi parti bisogna pigliare il migliore ». Fierenz. « S'avvisò
di voler prima vedere e li tosse, e p i prender partito ». Borr. « E pc:nsando
seco lei in lo, prese per partito di volere quesì a morte ». Bocc.« Prese per
partito di voler e in tempo e -se e appresso ad Alfonso Re « d'Ispagna ». Bocc.
99?« E sentivasi si forte il lo!..e, l'e..a sl Imav i pure lnorile, e non sa
peva la Maddalena che partito pigliarsi ». (..aval a. a Adunque a cosi
fatto partito il folle amore di Rest Ignolie e l'ira della Nilletta, se collº
llls - el'o e il 1 ll 1 ll l n. 13 -. (( « Ora approssima in dosi Impo
cle (i e su lov, a noi in e per la salute Il Ost l'ºl, e....... gli Srl ii) e F
vedeva l'1-1: mal partito, per blè 'll tta la « gente credeva a llli..... (il 1
l. ſt a.... dell'anno li. ll irl I e I e - il li fili l'a ll III
lo.. lle al partito a m'ha recata che | Il lill V li ». l 3 993 º..... ed
essi tutti e tre a Firenze, il veli lo dirilenti, il to a qual partito gli a
avesse lo sconcio spendere altra vi lta recati, non ostante che in famiglia a
tutti venuti fossero piu le mai tralocchevolmente spendevano. » Bocc. «
Per io chè se io veli di al II li volessi, riglli ridando a che partito tll po
a nesti l'anima Inia, la tua loli lili basterebbe ». Bo. Si irolillo da
Illino lº ſi rime: Mettere il partito (904) « Pilato termè, ma pur, vola i dol
liberare, lo ritenne, e fece mettere il par e tito cui eglino volessero
liberare in quella l'asqua, o (i sti o 13:ll'abba ch'era « ladro ».
Cavalca. Andare a partito Mandare a partito Mettere il cervello a
partito. « E poi quel, che per i consiglio si vince - e, andava a partito ai
consiglio « delle capitudini dell'alli maggiori ». G. Vill.« Con codesto tuo
discorso tu II li hai messo il cervello a partito ». Fièrenz. « Coss oro han
messomi il cervello a partito ». Amh. - - -Note alla voce Partito 990 – A
miun partito, per nium pa tito è modo avverbiale di frequen tissimo uso, e vale
in niun modo, per niun verso, a niun pat lo, keinesu egs, un keinem
Preis. 991 – cioè: con questa maniera di agire, su questa ria, a tal
termine, Slºtto, disposizione d'animo, e simili. Parla di una che si con fessa e
non è punto disposta a cessare i peccati. º2 - Nolale queste maniere:
prendere partito, pigliarvi su qualche partito, prendere per partito. Coif.
Verbo Prendere par. 1. Capitolo precedente. Simile quello del proverbio: «Preso
il par tito cessato l'aſalino, Palafſ – a partito preso è forma av Verbiale e
vale analogamello, le maniere sudelte, pensata mente, dele, minalamente. « Per
cogliere i nostri a partito pre No, e a V alllaggio loro o, M. V ill. 993
- Era inferna. 994 – Non mi pare al lutto sino in dell'altro: mettere,
mandare a partito, cioè porre in deliberazione, Fºarte Voglionsi
notare di questa voce i nodi seguenti: Salutare, dire, fare da parte
di..., per parte di.... (995) « Con lieto Vir-o salutatigli, lo ro a loro
disposizione fe” malli Testa, e pre « gogli per parte di tutti che.... »
Bocc. « Signore, io mando a V. M. il signor Amalrile Rucella, perchè le
faccia a reverenza da parte mia ». C sn. « V. S. gli dica da parte mia,
che se non si fa forza, diventerà ipondria e co ». Red. lett. Dalla parte
di.... - - Dalla parte mia, sua... v:ale dal conto mio, dal inio lato. Sono
frasi quasi di modestia, o almeno di riserva. Tom.). a Egli era dalla sua
parte presſo i d V i), ch'ella irli comandasse ». I3', cº.« Perchè noi dalla
parte nostra saremo sempre e pronti e presti». Cas. lett. Lasciar da
parte – Porre da parte « Si pone o si mette da parte per ripor itare, per
serbare, per discernere, Tomm., ed anche per non farne conto, non farne cap ale.
« Ma lasciando questo da parte se io ci elº -si...... » H (-Illb. 996 «
Lasciando l' altre ragioni da parte una - la basti per tutte. Borgh. Tosr. A
questo do.. I nn l r noi, posti da parte tu! l i t. In di 1, st i. Va:
lli. Trar da parte a pmi te – Ghia mar da parte – Star da parte in disp:te
– Tener, fare a parte, Star da parte vale non confondersi con
altri. Tirar a parte è alline a lirar in disparte. Si dirà: tener
conto a parte, far cucina a parte ecc. e non altrimenti. a Tratto Pirro
da parte, quinto seppe il mie li, l'. IIIb:is glata gli fece di l a Slla donna
». Bo, « Chiamate i altre (lo! llle da una par c... »l 3o. « Quello
che già è passato si sta da parte tra le cose sicure ». Varchi. a Tris -
stando i in dispart..... o I Piety'. a Cl teneva il flz, li i parte, I3
r. ll ! Il. Prendere pigliare, terra re in buona, in mala parte ecc. I) e
lui lo:li e 1: lt i tºv - '' i, ve: t 'i nt i presi in mala parte, e non in
buon grado, dl-so un inti, li' gli gli porgeva colla le stri, l'a.tro
colla a sinistra prendeva gli o. Salv. Note alla voce Parte
995 – «Diremo: fategli una visita da parte mia, meglio che a nome mio.»
Tommaseo.906 – E' inaliera simile all'altra: lasciar sta i c. V. Verloo
Lasciare « Lasciar da parte è più scelto di lasciar da banda.
Tolim.Storna c co E' voce usatissima anche nel famigliare linguaggio, e
tanto nel pro prio che nel traslato, cioè per indignazione, commozione e
simili. Ricordo alcuni modi e l'asterà: Dare di stomaco il cibo
recello, i militarlo Fare, dire.... con istomaco. « Onde i veri padri con
grande stormaco ricorrono al senato ». I)av. « (..he da Ine si noill Illi, noi
con istomaco o. Call. Fare stomaco, venire a stomaco, avere a stomaco. «
I no stile da fare si omaco a tutti gli animi i livn contornati ». Giuber, 1. «
Non si lesse il testamento, per le al popolo non facesse stonaco l'in a giuria
e l'odio dell'aver i là (p - o al ligliuolo il figliastro ». I) a V. « La
sofisteria, e l'incivili a li quest'uomo è venuta a stomaco alla gente ».
Caro.Fare sopra stomaco a male in cor) – Esser contra stomaco (contra voglia).«
Io vi dò questa commissione in al volentieri perchè so che v'è contra «
stomaco, come a me » (in o. n il vi v 1 a Versl.a Tengan per me e do i miuse,
conte di Virgilio, tra quelle sagre om « bre e fontane, fuori di solle il l cul
e e mi sta di far cose tutto di contra sto « maco, libero da ci rte lla e va
ill: e Irla ». I), i Vanz.« Mi lascio trasporta a questa a Iv: us inza, ancora
che gli voglia « Inale e lo faccia sopra stomaco ». (il NA erso
Tutti sanno che ci sa è il re so in poesia, il verso sciolto ecc., il verso
degli uccelli Gli uccelli, su per gli verdi rami cantandº piacevoli versi, ne
davano agli orecchi testimonianza, l'occ. « E gli augelli incominciar lor rersi.»
Pelr.: ed è altresi comune ad ogni penna l'uso vario sia del la preposizione
verso, verso di..... l' 'No ! )..... che del sostant. verso per banda o
palle. « Questa è la cagione che ſa che gli scrittori d'agricoltura
concedono che per un verso le piante si pongono più presso che per altro.»
Vatt, Colt). E così va intesa la forma pure dell'uso: pigliare una cosa per suo
trerso.Verso per riga, linea, l'ha tra l'altri il Caro. « Scrivetemi solo un
rerso clie le V, slle cose valli lelle. Ma ciò non è tullo. La v e rcrso,
ed è quella delle forme qui appres so, si adopera alcol a a sigllil: l'e:
manici di modo, ria modus, ratio). Per Cgni verso –- Per mium verso -
andare per un medesimo, per un altro verso. \ niIn: ' di e tre i ri. 11,1 per
cgn, mai verso. Iº lº I. (.: s. Ne pilò per verso alcun l era -i a el re li oi
i to; a sfa l I mali. Varell. El'col.Andando la cosa Itta via per un medesimo
verso gli Is g: va pe: lo; za li: rtir di lllel il 1 g... FI el'eliz. - e (II),
si vi: il 1 l' II it: i 1, se vanno verso. (ia!. Si-t. l'er 1:1 r.- 'i..
v verso i cui il non vi fu mai ». I 3 l': 1. () rl. Trovar verso, ()
ribe, II; s -. 1 (orv... - se i trovai 9 verSc 1Z. I 11:). mi ri. ll It - ir: -
si rl:. Mutar verso. « I l in un li versa i Z. Andare a verei andargli al
versc. Q). l io.... ci segui i aridare ai versi, - l'ill Il '11 l..... ll::
V.i i-silli i tii: il il 1 che lor non vannº a ver, i il lo « S: si orz:
v. li:: Isili andarle ai versa, e !: I)1s, il l. - ir.Di alcune parole ad uso e
valore di voci e parti del periodo collegative e talora anche
integrative. E e n e – NA1 a 1 e al 13 EN E. lasci º si va il
riavvi i bio: giustamente, acconcia nºn le, con la mente, l'ulo non le,
sicuramente e ecc., ed anche le no le Irasi: ben bene, il no per bene di garbo,
la coro fallo per bene, or bene, bene sta, condurre a bene a lilot line ecc...,
e mi piace di offrir li al II li esempi in cui bene e la cosa piu o meno
riempiliva che l'ene il s. la sicci esce lo si e o, e tiene alcuni poco del
tedesco li li l. (5(i Ma egli Iul bene, qui intlin [ue s
elevatissili, proporzionato alla lama e Vita di Ill il s'e ll 11 l' e st. l l
): l 11/.Nel l bene i l.. a l In, io che | o-s, ! ». ! 3:1 t.MI,a con i ti I
t'l spes-, a lirato? o, disse S 1 (i appelletto, contesto e vi dico io bene,
che io lo tiroll o spesso la II l3, r.a Egli e qua un trialv lo uomo, le trili
i l: - l alo a l sa º il ben cento lior ºli d'olo a. lº. Ma se vi pi e, io o le
insegnero bene tutta n. Boc. Voi - i pete bene il legnaiuolo, dirimpelto, al
quale era l'area.» Bocr'. \ te sta ora dal ni ben da 11 g 1:1 re, ed io a te
ben da bere». I 3 r. º lll gli da ra. Il mito lei e la la l la.Si le, e visti
di tratta e lui - tra i 1. I l incn ill - I l n; l)av: 'lz. Bene i ll vel, che....
l o.Bene e vero, di vo tra Irle, se lº tibel i lido li nº i lorº liti o, ben è
vero a che quella grandine di coli e lini e di li tir e il 1 o nlinua cosi alla
distesa I r lil, a l'opie 1. ManzBene e il vel... he il l e le::i riti - nte
d'Illi: lo za sull e iol e, e la a !:ilta, il ri il 1 e 1 il 1 l. I lirt 'nzi
e, il vetl, i ver li ille, di lora a ple a rlo., (art.e e appresso gli dimorava
una serpa, la quale bene spesso gli divorava i figliuoli poichè erano
grandicelli ». Fi. I ciz.a vomita lo slla - Il perba lº stermini: i i ben il V
e V el - i:n corso a lanciato senza un l I l tar di II lezzo ». (es.b.
M.Al.E. – Tulli sanno che male è predi alo di tutto ciò che è coll trari, il
bilono e al bene: in ſei mili, pena, Iorli, il, inisſallo, danno di sgrazia,
lenſazi ne dolorosa e c... Si li e al ra e volgarissime le frasi: a rer a male,
a malati e di male, a re e il malanno e l'uscio adosso (lina di sgrazia dopo
l'all ecc. ecc. Via li li so. I rile dei moderni o volgari scril lo i c li si a
la vo male, Isi Ina in ſilella forma, vuoi di aggettivo, vuoi di avverbio, che
nei seguirli i esempi. Leggili, rileggili e fa di sentir - lie la forza e il l
non so clie di vago e per gl II, che è il lilà di così d'arti l'isl ic. (li el
II zi, le elegi Ssic li. a... st V: l III mal conceito fuoco. I 3. «....:).
Il coll mal viso - Il l I am li ri- -e. l. «.... il rinai.. Se; (iappa letto i
lic - i pm rai 1, si, l ma le agiato el' 1 (-a del II lo; lidº, o. I 3 ).maie
agiato l' –, li la a gil: i il.. 11, l Inl, o male agiato esse, e male,
pe. lli, a - io, e -::: a male i:n bocca si, vitili era, o e, l 3:1. I 1
A. « c' 11 se l' ', male: l e \ Il..li, lili i lo nia?.... (, l. Il n.
volt': li la III, i mal piglio, l.ll è lie: \ e le colli e iº sº io -, il V
rºtale lili, i.. » I el'eºlz.Il ragi la I (l ai: le maie a lo)ia si convenesse.
l...chi v e iilipov rito: chi vi: ini: i il a, l.. i: ti: ti l i male arrivati
)). I.a do III', nd Indo pier lorº i val, l l', l ' I mal degno n. 1 ss, loſ
nig ill: I li.Voi sie (o grilli vecchio (pole le male durar fatica, l ', di
liri a III nte, l'8 ('. e I, il III lo zi le: i riz liz li mai -; l I
e a:I III lil (i: /:1 e n. la t al I ): v. lll. “..... rip, ta io a lor
lui gli le male accozzate i - V a essere male in essere di d. Il l ri, li -: li
i l ':.. l 3. l l'I..... poi ho li ſu Io!Io avanti pre o di mal talento i lo! «
parole molto lis o eo. 13ar [.. e.... tutto pe o, se male a me non ne pare.. l
3 l. e Onde pa, che male si a latino al vstro lº so, si fa i lma iº e d'ill «
si fa ». Si li.a e finalmente la gatta gli pose la io a lica a iº --, e non lo
's io i ri vare alla male abbandonata e sta ». (i 22. Vi esort era il 10
al 1- e' di vi con più 1 ri') o quando ancor vi conosca a l male in gambe ». Si.
n. 8s. (S: - I:ile i siti: il ma! - be il s.. i: e i nº, lo re I ma
le:nctiuisi o V i S:s lº i l: i Note alle voci Bene - Male
(iſ, 1, di bello - con i | II e, e lipiello di forza, è noto e volgi si li esel
i pi e me ne passo: l' ' belle sei il le li i l l'illmo all'allro ». 13 cc (li
l: ss e le liti in tv l' e la lle legare in anella e... I V l'elol) cli, l V !
ss. 13 o.Noi la frase: esse i lr me (ni le li alcuno: le pallel'elmo al i pi lo
lingua (i, II, i posſo in li si ma le ali a 1, del 13a l' oli, del Gozzi,
e di tali li: ll is, del 13occaccio, e come i g, e l' ai c. Il riso le li
ell'avili, la V eliti el'Iluissero sponta e dalla lingia e dalla per le lo; e
inalier e del glorioso tre i º (S Sla i bene, male in gambe è I l
is li fissili ira, ma l'ho volli a poi le pol chè si vegga quali male si ali
ngano certi autori di gi il nome, i rial: ci si ali i lalora certe frasi, l li
trial lo scadille, snoss, alli e, siccome appunto il male il disco so, e il li
s'avv goli che pur vivono nella lin gli col nulle. N/I a i l
'avverini, ma, el: vale più che il latino unque n. e li il cli, sia con il il
S. liv e il l li, lui li i maestri di lin gli IPI Il v'ha del con la I - i: il
13 irl li, esempi, e non |. lli al clic so, ci li e la leg ai la lil loro e la
non si sia rolla o. lº si rip; il lilli. I il silio il I ti: le e, già
gran lenipo, stral ci gidi (lelilli- e mai a V cl sels, l'in alcun len o, e
d'in nessun empo; e lei l'uno o dell'all ', cliave e indizio non solo I! I lil
si le lilla legil'i; il cos! i le Alti i basta ad ill riderlo il si mai e
cºsì dicasi delle molle \ lo io e con i renda e allo studioso l. il
li igil: clic ci velisso Inai si lill egli allori fonti e mae l | |
–– 281 – stri di lingili ilaiii. Il II ci del e di averne senza più
conseguito il 1 ello scultri, i si p.. si, Direttorio, al quale più che
le definizio i l sl 1: i il [.. assioli, lei relalvi e semi pi Ne li Ilo (ſi
alcºli - anche di qlles la mi ai -, i lili li diranno in Irla: 'e vi gie li ti
li l.. i li' ci li - Illia di II li ignaro delle classiche venisſà, lo si pel
lo i c' rss, i indi, sia cli e Villga in al cºn l 'mi pi.... ll il 'Nsui
le nip. S roll e li ll (). o per arren lui ci. i ! iº i l i cli, si mi, ti se
il l i. intellsivo della s. ssi ma mi tiro i si, a Pe! l III list,
1 l g io, i tic, l l. si mai nascesse.. I 3, i. C. ll pill IIIa li e p.
mai drappi ! -- dialli, IB,. m Coln in 1 il i i il mai !:
esse MI, sl l'a ll il Ver mai. I 3,.. “..... i isl - se mai i
piaccia, ti con i le itto i pal.11 st: Il lit -.... più che mai i - a che
VoIIIeri le spalle, a II. 13o..E se egli avvi e che ti mai vi Il « che..... »
I30. e I)isse Fer Ildo: () li mai. ll Ill 2 a I)i - se il III lil SI, li Idilio
V il. () Il l - - I l S I a mai, io sarò il III: gli 'Iri It, il l in I l.. 13,....
l'av: elie | r in 1 e 3 - 1 r. ll più - che mai lº. E venivasi li rila lirlo !
! oppo, i ve lº ſi tº e ! - ll gian: mai:, a connesse, e piang nel loi i riti,
sop.......... e sop a che n 1 - i poli ebbe dire. Cavill. a... ma per
certo i test i lia la sez/ i l che tu ci farai mai».. a Questo e i pili allo
Stato li Itc 'igi ssi mai e lº I l. le quali fili o no e primi clie -, e le sei
mai: l ill). Fl: assalti i al IIIa la..., l mai, i [.ra ti:lel cliore ». (iiil
III l. e.... ed oli voi fel ci, il litori - e il -1 V, il lill a fa rii mai
santi!. Sºgli. a Ed è possibil. che mai gli 11-:. «.. quali lo In'a ci r.,
ma andr: il 1:: i pi che mai. - 1. « Mla l: Ve: i ti ti, i lil il gºl ! I mai e
Cmpre. « Se i II a i º I)isse Nicostra [o: Maisi, i pizi - li lo i
vi " lº i l II 30 U. a credeva, º ile - egli dieci anni Sempre mai ! ll -,
a che ella mai:i cosi fatti novello: l il. a Corne, disse Terondo, dunque
so io, io in l? Diss il 1 Mai31. I 3 pt i'. derili ti far sempre
mai il i. I lil -Note alla voce IM ai 70 - Vive nei diale l'i: Come mai?;
è afflillo come mai, ecc. (li si voglia di si ill di gr. ss, ognun sel
sa, ma gli esempi più che le parole i cli, tris li rello so e vero
significato della voce lia, a |iliale og i è sl Irola o la le adolierala,
che pur talvolta non sè ne abºsi o ti liori si lasci li il 1 orla non
disdirebbe. \li i e,: i fia l' -. / lia la tll ci ! ll li Ill'ai». l 3oni
e.. I voi, il te: i ia questo ). l 'lei'.- - - - - | li i - li i si ve l fia il
presente º il tilli: i I !: )st l': l 'li l'tl S... - 1:11 -
I ll v;t, fin l v.. l 3o.. le fia, 13. Qui i fia ir: le l Sel lembre.
Caro. l fia..... I v.I! ! -, l ia suggel che ogni uomo sganni ». Ces. Dante) \
i li - lo ill go fia llº:i li fesl:i., (iianl). ll (: | | | l fia l e l'1 a 1
a: perchè - º la piovana -.. n Il re deila t rra ». l)av. !, lil: il -......
p le i, illi, e alle fia di loro, se l' - I no ll v i l il 1 li i:''i. I
l ' l : i .... le St i t, i s. i mi vo'il a sito dispe to
lanni di chi fia la colpa? » Se ll. V et cine e gli oli Illi i: l i
tº vi N ſia mai vero, il l. Si i pil I: I: 1' i rp - a io i
vi prosperare? a non ºn l fia mai vero. » Segl). sul gio: li l' osti i
Ira d rupi scoscesi, che fia iera ſºnº la nºn la l e in cima a titlei
precipizii, a tracciare sì belle prede. Segni. non oltri, he pli il...
ma hi l - ve..a sino alla fine, quegli fia salvo ». Salviºli.N/1 e rc e
Non in senso di mercede, che se l'ha pur questo, ma in quello più co Illume e
assai in list, il pp i classi, d'aiuto, di soccorsº, di grazia, di cor lesia,
di merito, di pietà, misericordia, compassione ecc. vuolsi qui si diata la voce
nei cº. I il quale non solo forma alla francese merci, o all'in glese mºrcy,
111 i clide e ci III, Illasi ad III in do si governa che nell'una e nell'all la
lingua I e Iris a ragion d'esempio; merci, a la merci de.... se ne tre il la
III er i cie..: grand mri ci 1)ieu merci; o quest'altro: for mercy salvº': al
lli e nºi ci o, e si o le medesime, cl e le Isale comune menſe dei nostri
classici. Eccone alcuni esempi. 4. a Marfe, lºro gridava mercè per Dio; e
quanto poteva sa - il1stava: ma... ». HOC ('.“..... II e io ll li ll 'oi, i
vostra mercè. lI loro de ll ' 'e volevate ». I30 ('..... di e il Si r. le gran
mercè, e che... ». Bocr'. ()r ecco clle veli le (esil, e Lazzaro, gli andò
incontro, e lil - sl tutto in to i ra, e ba io i sºli i pit li, dicendo e grida
i lo: gli Into e, mercede a te ril: e º si ro, cli(ti - e' leg lì: i di V (I
lil alla casa dei servi Illo I., (a Valca 6; a Voi la vostra mercè a vel e il '
Il lili Vito ed io voglio oliora i vori. o I3 r. I Io pe ril o, il torn all i
vostra mercè., Borr. I 1 Dic mercè, e la vostra, io li io, che io il - i lel',
i vi....: la II o II a dosi a el l te, noi li per iniet e si i l i mercè di
Dio, Irla consapevole della slia i degnita. » lº i rt.a.... io lli soli,
condotto per tl, to il viaggio senza slo e felice le te. mercè del passo, dei
sussidii, ecc. e, Caro.a E be: hi, quelle bastonato i fili o non Ini avessero
fallo liscir di a passo, con quegli che oramai, la mercè di quel fanciullo, vi
aveva fatto il callo. o Fierenz.« Non vi par che sarebbero stati auda i, presi
Intuosi, protervi, e in dºg li a di quel perdono, che ri verono mercè la loro
prontezza? Segiº.Questo e imbiò la in Egit o II il Vlosè di I l e --as-In, il
divoto Illo « ma o, mercè di una sola predica dell'Ill lerno da lui -:llitti,
Il lillitllll Ille « per accidente.» Sogli. a e gran mercè vostra che peggio
non abbia fa ſto. » Bo. Chiede il 1o mercè a l)io per lo merito del pr omesso
liberatore. Ces.Note alla voce Mercè sserverai bella elissi, quand della
preposizione per e quando del verbo essere – virtù del resto e proprietà non
esclusiva della V e nel cº, li la collllllle all ora ad altre, v. gl'.
grazia, ne il o, col 1, sia e c. buona grazia costra: e tru vo, grazia d'Id
duo, che io mi sono conserva lo ſtian lo più posso... » Pandolf.: merito
l'assicIllita dei vostri stildi, ecc. ecc. – Conf. Elissi – IP: I l e l.N erai
lili ancora come la c ligi inzione, notissima, merce chè, non è che un composto
di mercè e di che. « Non pote lono essere preferiti, me cechº I ddio non si
lascia adescar da doni. Seg.iti – Mercè a, ed anche nei cede a, è modo di
ringraziare proprio del la litiglia italia, la.) - I fissi del segna as del non
le I)i, dipendente da mercè (tut I simile al francese I)i i merci. La qual
omissione però i li ha pºi il luogo quando il no di l)io si posponga a mercè:
Itri lire le velini dore ne è l'Iddio e di questa gentil don li scali Io sono.
I3, c. I li li ho bisogno di sue cose, rei li la mercè di Ilio, e il l marito
mio, io ho tante borse, e alle cillole, ch'io V e l'alloghel ei elillo ».
l?occ. Fºurnto E sl il. e lui le avverlio viene la voce punto assai
volte º: ri: i vi il ci ills e. I e - n 11 lissili, lira gli eserº i pi
li animi niscano quando e come me gli Ils: il tre, si ch il per i clo, lerivi
grazia e buon sapore di eleganza. I pil con i col sos intivo soli: essere in
punto in assello, in accon io il precipilo, in istalo. grado e nelle re in
punto (cioè all'ordine: nellere al punto aizzare, cimentare con il lesia,
l'uomro perchè fac cia.... in buon punto opportunali e le at buon punto: al mal
punto; dare nel punto: di punto in bianco all'improvviso: di lui lo punto ecc.
ecc. I vverbio ci fornisce: a ln di che legano con maggior intelnsilà, li
r es.: punto, punto; nè punlo nè poco; punto nulla e qui tiene alquan Io del
point dei francesi); b) un certo grazioso riempitivo che torna ad a lui un lo;
un nonnulla ecc. ecc.... Le previsioni siano in punto a lor tempo.» Ci
sa, Piuttosto tre cavalli buoni, grassi e in punto, che qui il tro affannati e
a Inale forniti.» IPandolf.« Navi lornite di tutto punto, o Si Lerdonali.
« In mal punto si ori emino il mare ondoso.» Menzini. “ Dunque, ripiglio
I rail all' inte (i riso, messo cosi al punto.» Mla zoni, « Cosi già in
punto d'ogni cosa bisognevol a qil passaggio, prima di « Inettersi in mare, il
dl IIIessa.» Bal'.. « Alcuni di essi, parte torchi di mia e, pari opp.
e-si da, e ritiche, ſu « l'oil in punto di lasciarvi la vita. 13a I. .... coli
11el (i imporre si sl: e- si va in te sul punto da i
convenevole. ... e stalli, il ciò tintº sul punto della Cavaileria che....,
9, i 3 art..... affinche', dove gli ne venisse Euan putil o al n o in strasse.
o Bºri. º volea dire, secondo - i no 11 i 1,,, li: soli iti e litta a ce ngiura
« era in punto. l)av.« Cento e piu loliiiiii li quel lite, li i luro, i ti o al
lav.o, e, Inque « di le filsle e il Cat Ir furc no in punio di navigare i
IlilitIero, o l a v. e Miille navi, lurono las, i voli lº stalli 1 e ! il....
in punto.» I)ava inz. le Illali e se li ril s gloiro, altri li a gr. -
era punto di rievolezza. Boce. « Punto Inoll I Il l: II le gital (ial s.
i «Qllegii che hº illio con il prat: 11 le li: Il to punto nè fiore. SI).
Se n. l'ist. « Punto del mcndo il 11 poi ea posare il ll. Il li otto. o I
i I ti. « All re ragioni di non punto men grave il il 1, lizi.»
l?art. a e lei si riglia e li rvirill d. I 1111, si lire, i 1. I tigli:
il re - se le punto « nulla sentisse del bar -o il 1 e il 1 olii Illesi,
l 'empio., 13 art. a che punto ch'un tral, li. I o v sta a igi si trova
in l.1 o ſu il lie la lite « in boc. a. » Cal') « Moltº è la
plance..... ll 1 11:1 punto di ieri interni o... l ' i -. « S Voi mi volete
punto di bene, il 1 e il v; 1..... B... Sc Il legna illolo e punto abile. I...
Il D... - il l.« Con l'e rabbuia punto, lo sl 1 l o il il i li. « Ma no: percio
che ino:o -aio i lil i: li, sa p.ti, i 3 malteschi, le « pronti il d
urlneggia 1 e l - la li: i « a finire lº ll'Illia delle illa', o li co.. e.,
li;..... si l.l.i.« loli sara forse gl.lli la o, ll il Il l il 'cloro. Cili
punta 1 I li le « d'umanità.» Seg ll.a El io 1 orno a dirvi co; i pl º tes, e
del Si io che li punto confida « ll (ille Sile forza dov l'à (il dere. » Stg,
()gni donna che punto bella 1 -se vol 1. l) I V. E nn la di ea. ch'e g: ai le
pericolo a.i II, II, scprasſare punto nella « immaginazione, qua l.do gli vi..
li. a Ine: te l zza d'ill felillila, a pe: occhiº soprastandovi punte ri le
volle a l livi rie, ch'ezi, i lio un'anima « molto in onda in castità, le ril
ma ne per os - l II l i lilla.» (1 Valia. a (iò sarebbe, da re a discutere la
Legge di crisi la ni a Sriali lasci dolo a e a Cicondono a quaii, ve ella pa in
punti necevole al lo le pillol!: o a degi strati, agevolmen e riuscirà
d'indurre il (.ali - a Irla a disdire al Vil a lela la grazia e col finarlo
fuor del Giappone, a Bart.Note alla voce Punto i – Punlo, nullat,
un non nulla, niente, sono talvolta perfetti si li lilli, e di till inedesillo,
IIS, e ci si rilai ille. Conſ. Parle I. Cap. 3.7S Sinile: vesti di punto. I
rili o di lui lo punto; armato (º ('tº.79 -– Nola il modo: stare sul pil n lo
le l con rene role, dell'onorevole, della cui l'alleria ecc.St – ci è punto
punto, li ill.; II l Il significato di punto, niente, un non nulla ecc. Il 1 si
il 1, il ppo gli antichi, e ha sli la nota frase di Danie: Peli a orinai per le
s'hai jior d'in gegno, Qual lo divenni! SIII le litel del Manzoni: Ma di che i
julo gli p lesse esser il Ila o al l: che già brillo ricorre Va al fiasco per
l'Irnell e i il cerv ello, il tale circostanza, chi la lio di se uno lo dica. E
i lichi il sito quale intensivo di non: « I giovani e maggiori e le I compagni
di Celso, non si s not guti o no ! io e, anzi li i più i dirali contro la
plebe....» l.iv. M. \nche il mica dei Lombardi vuol essere qui menzio Ita' che
li li è poi la lil I lilli: rido che li in fosse già sulle I rili e al recello..
V | lale l'ill, rispose: Signor mio non so gli nè mica, li è voi a che li li:
ogni le, alzi vi dimenale ben si, che...... l occ. e Vale le ali le illla nica,
un miccino, Il lanlio, l'idea, nè pun lo nè poco - a I greci panegirici ti
l'ora li li el'alio mica una pill', i vi -a lode ed inutile!....... Sal
Villi.SI – Tra di lei quel rialleschi: pl o lili il menar le mani. (schlagfertig,
Tutto l'referisco qui le lole Iorme avverbiali: lull'uno, lullo da vero,
al lullo, innanzi tullo, lui lo di, dai, per lullo, tu ll'ora ecc. ecc. il tui
tut lo, aggettivo o sostantivo che si voglia, è il variabile e sempre di un ge
nere e numero, e piaceni allegare esempi di un lullo avvel bio e pur de
cliliabile o si scel libile di genere e lllllllel'. Aggiunge energia, e
vale interamente, oli minaliente ecc. ma non sì identici, che sostille dosi
questo a quelli non ne soffra lalora il tornio e sconcio ne venga non meno alla
Irase che al periodo. Tiene alquanto del toul dei Francesi, come che troppo
diverso, che non è il francese, sia il governo ed uso del nostro lullo, e ben
più vago. Polmi mente sopra lill t virlù sintetica dei modi: tull'orecchi:
l’ullo gambe; tutto leggi: lullostoria; tutto musica ecc. e par che si dica: a
tutta forza e vigore, non alllo illeso che... immerso in..., non d'altro
occupato che..., anima e colpo abbandonato a... ecc. ecc. (85) « Io
conosco assai apertamente niun altra cosa che tutta buona dir po e t. 1 -i (li
Illirlti li(Il 1 s'è l'Illi di costoro.» I3oce.a Qllel. e gge le fila li il
carro di tl’amon[ana gla l'olava, e l'allo tutto e loost let Ii di Illo:
Illoli, di frascilli....» I 30 cc.a delibera o li tollla! si ill It llia, tutto
solotto si mise ll call Illillo. » l 3o '. « Il fallig', io trovò la gent. l
giovane tutta [imida star las Stil. » I3(º. « Senza - I tal l' -, e sollecitata
da suo, cosi tutta vaga cominciò a a parla ! e.. I3).I)imo a lido il giov: in
tutto solº nella. orle del suo palagio, una ſe II lillell'i.. i l lo lill sill:
l., IB ). Tuito a piè fa - i loro il colli l o ! il 1 do disse.... » l 3. o i
lut. In te la II: sua la Ilte ne ſei a spiare. (trovo che Verºl Incli e I giova
e il 11 l'a trii n, dormiva tutto solo., 86 Bocc. il qua e es-endo tutto leggi
e tutto antichita... » Bari.....i-1 l'1 lis, (llella e la i i, il ll 1tl i) la
l la ll illli, s v l'Ve i gli ill le liri, tutto e il o li in soli ordia.
Dal t. Chiamò Mosè, e qui si tutto dolente del suo fallire: Su diss'egli ch'io
Il il 'l' Illi)., Se. ll.Io dovrei di file stamane esor farvi con grand'ardore
ad essere tutti zelo; l sl? SC:: 1.\l di Iliori tuttº animo, tutti ardire,
tutti baldanza, ma nel di dentro roll ovall-i o l'abb 1::. » Sºgli.a MI, oli
qua e. l e Iron al ro sonº parimer: e. ch'a ffelli di un animo a tutt'orrore il
quale per la 'pa già stimasi dato in preda a tutte le più ſiel e ! Il
re.» Sºgli. Note alla voce Tutto S, I ), ſu Io ci ligi Illzioli e
il vv e glachi, ben cºlli, solo o elemento di all i spressione col lutto che,
con tutto, tutto che, indeclinabi io o il rialliera di agge livo con lullo che
mi sia le amico; con I tilt a lui costi (t a mi ci si darà ragione di parlarne
più a V: Illi.Anche del modo elettico: tutto quanto, tutti quanti, e dell'altro
con il missili o: lutti e due, lu lli e l re avremo occasione di ragio irare ad
altro proposito. 86 -- Agiungi a questi esempi del Boccaccio, le frasi
anche oggi in Irs lop late al rilie volte dai 'le si esso I;occaccio: esser
tullo i, in Il lavoro: vino da bersi a lui lo pasto: essere i ullo della pr i
soli i perdillo e rall rallo, e simili.U n tratto – Urna volta Non credo
alla liri erra' o asserendo esser oggi smessi, scordati e per | oro discº li si
illi i lodi: un trillo, una volta in quella forma e valore cli negli esempi il
si a i cii noi 'Iali a volersi prendere un tratto nel sigliific l una sola, e
una colla spacciarlo per quel che su na sareb be sl la hit si e da il crescerne
buona mente di chi sell liss si p vi 1, il i l di liligº la, e non ne vedesse
più là. I modi una colla, un l al lo le, i cser I i l n al di l l sch si:
si h mail al n. Non mi 'mal her, guck 'mal hin, n un link in all '. (r.I e II
si li primi o li allo; anzi !: allo, d'un tratto, dare il tratto; dare i tratti
di olz en Zi pensare un irrillo ecc. ecc. Si, non spettan quì, -, li o lo
così in di grosso l'ein Ilù ſiti il presº il nosli a cui la li li igl
lill ('. N la non l gni un tratto.» Sacch. i u;3a volta li. ri che tu n'a
Vesti. » l80cc.: i i Vo: 'rei una volta con esso i lì: lº; o li. » E ('. N un
tratto a voi..... I 3, c.I un iratº o. Vol. sse il Vesl il il re. » Fiere Z. il
lb t i d si facesse un tratto l'l V v tl le l V, e, le in: Va l'allino un
tratto « non ci si va a il t.a E 11 i mill ! - ! i l l anno grazia e mer º o un
tratto dal funesto letargo, il chav si g la lolla, i vv i, illuminato gli o chi?
lla loro mente....» Barbieri. a cede per or. Fa1, del late che si
sveg Note alla voce Un tratto - Una volta S; - - e pensò un
suo nuovo l rallo da lei il re la sua costanza» (I30cc. 3art. (es. cioè cercò
un altro tell alivo, astuzia ecc. (Conſ. (.., p. 1. verbo Dare.Forte
Forte è sos la livo, agg IIIA ed avverbio. Oltre all'appellarsi forte un luogo
qualunque for Il calo, di esi, e bene: il forte di una persona la capaci i
maggiore della si essi, il Joi Ie di In'opera, di un componi niente, di un
impresa, di II live in Illo, di checchessia, cioè il fiore, il lierlo, il III
rl, ecc.. Il l io le lel (li 'al si e del lill loversi dei soldati ». (esilli,
ecc. Foi (e, e chi liol -, è predica al l esi di persona o cosa che ha lº
rlezzal, gaglia. I clia, si l //, illle Isili, ecc.E fin III al I cºlli e Iri
del I i l ero e se il III lilo. Ma non si gra dilo e si cornuti oggi li è il
forte avverbio, assai li ute le sulla penna dei classici, in sºlis cioè di
assai, lici a menſe, gaglia, la mente, profonda nel te'. role'n la mente, ln
tºni sui mi cºn te, tal alla rocr', e clillo alle alicola ve. inenza d'animo,
che lalillo anzi non lo disgrazi, 1: Il che sa per gli buono, e gridi
all'anticaglia, se ad altri anche oggi piacesse mai di usarle. Per chè non ſi
sia grave assaporarlo lic pochi esempi, fra i moltissimi, che IIIi a º plesso,
r le id, lilei e il III al II a Telli, ci se, ed azioni il lamelle si
convenga.a essendo assa i giova rie, e lelli, e lo I. I lei s'innamorò si forte
e il Podesta del paese, che pill ſita le piu la non vedev., 88 Bocr'. e Avell
(lo V (lll v. " (il V (, l: i re, is l'all: lui (º littº «
piacendogli, forte desiderava di aver, ma pur non s'att | I vi li do e Irl:ì ll
l: l ' (). » I3 ). a e saputosi il fat o forte fu biasimato.» Bocc. E biasimarongli
ferte o li' gli voleva fare. » I3 Cornº che ci si liri o altro dormisse forte,
ci illli cli. l 'i lei la stato era, a 11 mln (lo l'1Iliv:ì a 11 ol': 1. o lºa
I ca li presa forte la giov i tre li ſi ill: lli. Bo. e....o vede; dol dormir
ſorte, di li rsa gli rasse (Illa: li egli avea. » I3o r. a \ ndl e il rio, go!)
risponde dogli il la illl'o, cominciò più forte a chia a mare. » I3C).commendolia
forte, tanto nel suo desio a cellulºil (lo-i, (Illanto da più a i rovava essere
la reilla che la sti i passatº - il la.... o I30. a I)i Alessand o si
meravigliò forte, e illibitò noi foss....» Bocc. E avendo la barba grande, o,
ieri, e il vita, gli par si forte esser bello e piacevole ch'egli s': 1.
Vis:I.... » I30.e.... e quando ella a ridiva per via si forte le veniva del
cencio che allro llo t r ore il III Ilso l1 Il ſºl, Va.... » I3..a.... i quali
dubitavan forte non S (ii i ppel º lo gº ingannasse.» I3 c. « Questa parola
parve forte contraria alla donna, a quello a clie di ve a lil e intende
va. » Pocº. a.... e perchè mio marito non ci sia di che forſe mi grava, io ti
saprò a b(an.... » I20 ('. a.... per le quali - oso, messer o prete ne
'nvaghi si forte... l'occ a Forte nel cuor noi la pietà compunsi.» Dittani.a....
ma poichè si vide ferito invili si forte.» Bart. «... Allora come a cose di
sapore che pare a loro aver forte dell'agro....» Bart, Note alla voce
Forte NN Il Cavalca idoi era anche l'avverbio fortemente e significa il
gra su per la livº di illi: azione. « E in questo tempo slalido ci si, e I
Zzaro, in je' m ) ſorte nºn le; [ueste due suore MI; il l: e Mlal a jo) le men
le l'ut, al ramo, perch'egli era così buono e perchè sapevano che Gesù mollo
l'amava». Troppo () lesta voce li rila alla memoria la pacifica
contesa ch'io ebbi, or è già l'anno, e l'ol Si fra ello intollio al cone
letteral li e si, e l el'e pi le del sacro leso: Mei ces tua magna gli is. Noli
è il l al nimis che del basi qui li adurre, sentenziava egli. (º lesto mi mis è
Il lal V e// li Ill 'e lle lol la ad un massimo grado slip I lal V, che la llli
gli i alla lia li li ha. A li io, che quali (lo si ll alla di vedere il V el a
pillºla di Iagione, la voglio sempre spuntare nè nulla a Ilorilà si li li porti
li al ere. Ials, falsissimo replicai. La lingua ila lialia l'ha sì bello e ſol
le clic li il so se all ra lingua possa mai fornircene il III colale. Ed è
appli l'e lliv le le italiano dello stesso minis, trop po onde forma si Vil: il
cli Illi: i l: il V (e un così fatto superlativo. ln pero lì è la voce li
oppo sulla pena al classici non significa soltanto il lellera' e minimis
Ilia il minis all resì lollo, assai – del citato luogo S9, a ch'io perciò li
l'avviso non potersi meglio tradurre che colla Iorma troppo più grande, che
ecc. Al Boccaccio e ai suoi valenti inni la Iori, andava all'animo assai la
fºrma comparativa, la quale poi tor la mercè della V e troppo ad un massimo
grado di comparazione, dirò così. superlativa. Leggi e dilnini s'io mal
in'a ppoliga a \-l-ai volte già ne potete aver veduli i dico de li re di
scacchi troppo « più cari che io non sono » Boce.« più assi li ve n'erano e
troppo più belle che queste non sono.» Boce,"IIa colui è troppo più
malvaggio che non t'avvisi.» Bocc. « Non pensaldo che, los- e chi addosso
o indo-c o glieli e polie-se, ull a: illo ne porterebbe troppo più che
alculla di lei., 90, Bo e. « IlliSe lIlano ad una Vlt. troppo più dura e
rigida della menata pre Sente.» E0cc. « E se Inoll ('lle di tult i
ll li lo o viene citi l aprillo, iroppo sarebbe più piacevole il pianto
loro. Bocc. e Vi tl o V () la II, e tali ltto, le V a - troppo più cle
tll la la spesa. » Borg. Egli e' troppo più malvaggio e h - li ll s'a
vvisa. » I 30 cc. E Annibale l il troppo più accei io a l.Allti e, lle a suoi
Cartaginesi Stato il n era. E assai lostri con il i adill I si lio gla di
troppo più splendida fama stati al presso le nazio; li esl 1 in nee e le app
lºsso ioi. » I3, c. «.... a Badagi, che da troppo più erano in forze, numero e
ardimento; Ina il Saverio la cesso ogni per i lio. » I 3. l'i. «.... ed
era la piu bella lei mi a, le si rov a -- I l II onl, silvo la Vergine
Maria, la quale era troppo più bella di lei senza niuna compara zione,
pill e cori raimlt ita'. » Cav al 1. e.... il giova il tilt o il 'li i lil III
e col il III (-s Si l' 11 le alle sºle Iila li; e lo II, li e il V e --, pill
lo i soglio d'es s-it rs', mila anzi eg i pl egava lui a lioli a biorrirlo nè
rifiut l 'lo, per occhè era troppo maggior pecca (cre che forse egli mcn
credeva. I3: i rt. 91, e Ma to li 1:1 tii, Signori, I il III, che troppo ancor
più alto con via li le Val SI. o Segli. III' troppo altro gi ill ols e le:lo
I, a.... livi- i lo., (- a li. a dimosti o che troppo più che alle
pratiche e negoziati.... era da repliare alle orazioni lºr Ille-to
elietto da il latte a l)io. » (s. a N in sol: III e il I e tornò i llo II lo
nel primo lato, lil:i, a V Valit: - º in Indolo di troppo più doni, lo sll blin
lo... (e il li. Note alla voce Troppo 8) –. Troppo, il re al
significato di soverchiamente, vale anche mol lo, e questo significato
s'incontra spessissimo ne buoni autori. (orlicelli.90 – Parla dei soverchi
ol'nalienti delle felillirile del suo tempo, 91 – L'ho preso questo esempio un
po' più da lontano che non biso gliasso al fallo nostro, come ho alſo gia
più oltre volle assai, e ſarò sempre che ti potrà tornare non solo in utile ma
ed in piace re. Qui, a cagion d'esempio, oltre a quello onde questo luogo vuol
essere esempio, hassi al resì a gustare e quel non che...., ma anzi, e quel non
–- non credera (di cui al Cap. 2 Part. I.).Là ºggi si griderebbe
l'affellazione, oh! oh! egli è il purista dàgli la bili e colali all'e ciance,
chi alla Boccaccio e alla l)ante insegnasse mai rile all'oro, il cloro e all'onde
sia lic volmente da premettere il correla livº li Illillo si voglia far
emergere l'idea di colà, appunto colà, pro prio lino a quel luogo ecc.
l'icinsi clicccè si vogliano a me non dà l'animo di partirmi da una sºlola
iroppo più aulorevole e veneranda che la moderna a pezza non è li potrai li li
essere. l Irisi: più là che bello: più la v. g. che l bruzzi ecc. ti
mostrano corti e si governi, secondo sellire e sapore classico, il comparativo
del l'avverbi di luogo, di slalo e di invio: là e quà. Non gia: più in là, più
in quà. I ro: piu in là di ecc. Irra: pii là che ecc. e in brieve grida
lidosi a luogo, la logo, là pervennero ove il corp, di S. Ai 1 Igo el:a i -1o.
13,. (º A t'll il li ai lo cli, avanti ora di Inangiare pervenne là
dove l il bio: e el in. a i là onde r, il o se al povero non ritornasse.»
l'80cc. E Il lesto letto, in Il l to a l...... - 11/a lista le colà pervenne
ove Sep a leilltil a la la loli tra lº '.e coli lei il sieri e niti 11 o il 1:
vi o, e presero il rallini in verso Alagna, là e dove l'ietl o aveva certi anni,
dei quali es - o mi l o si confidava.» Bocc. Vli rispingeva là dove il sol ti º
lì l'ite.Chi (Illin l e gli scelse la ll mi e pianti, cotal si rilla ue
subitamenſ e là onde l:i svolso. » I ): ll I e.lº fa l l'ill lento ordina ono
ins II, con le elle dovessero uscire fuori anzi di, e a: la l e a Irio: il
Calvario, là dov'era il mio lillimento. » Cavalca. vuolsi cosi colà dove si
pllo: e (io e le si vllo, e... » l)ante.a li de ella de sl 1 i lo, l III ell lo
l'esser fedita; ma e ricordandº - i là dove era, tutti i lis. ss 1-1, tel o del
luogo, di quel tal Illuogo). 13, Di lei sil, la norò sì Iorſe che più quà
nè più là non ve! va.» Boce, e l' (Ill: ll e II lig.i: ci li h? Maso is º I la
elle pill dl millanta, che tutta e lotte tali a. l) is - e Cai: noi il 1: I)lln
Ills dee e ssel e più là che Abruzzi. Si - lo, ine, rispose M -, si e
avei ('. » lº. « avea preso -i alto grado di perfezion, he non si potea più là.
o Cesari. e V vº: lo pl o ede: p in là, ci sia i cose, i veri:a il vedute
che...» (.esi...... ll 1 più là li oli lo i possibile a ridare. » (...Quello
Il Boccaccio, il Passavi, il. il Pil dl Iſi, il (il Vilca, ed il valentissimo
Dal loli, il mila i d. l II mila serie di ira ori e discepoli della
scuola tallica, Ilsa l'olio assai, e i le stra, il guidi e poco grato al
viziato nostro ore o il prosione dimostrativo quello posto a glisi di 11
Il ro, ci si d. it -igi, i lic la lino Illul lI d l Di esempi ve li ha a
bizelle. Ne a I ero al ini e piaceri di aggiunge e d in quello, in
quella, pari alle lorni e avverl: i: in quel menti o, nel menti e, in quel
momento ecc. e si dis: quello li n. - - id. v..... vi i e quello li vi -
e' ii 1 e l'Il l il e io vi - ll 1, v.... I3.-: Itt - il 1 se. l ' a 1 il 1. l
it; l quello tl a Valli I e (lo V ess, lil ('.: l o.lutti; - i fri lis. quello
li da N i e:: si iro l'1 -, -1.. » 3 ).l'In/ li lis- I - - I, quel ch'io? » I3.
I -, quello le 1, III -- il l sa io vi li essi. o lº '. i 1:1 ! I, ve l i. -i
potrei lo Viºla e quello che noi a id:assino ſ: o ll il. » I 30 t. ... e
io! I si, a quell cche io mi tengo l i le sc (l ' e 'li.» I3. 92. o Seguiti
rolio, il sil, no, i ti l'e. sse) l da l. (III l 'o più a ll'Iva n, piu
lui iro il lit. 2' l'1 e va e le, i di 1 e ven re a quello, al quale dopo
lo I - ra l III antila li -si, er., FIl colo. Itispos, il III ), gua a lile. ll
III i lII il 1 o quello clic pil III e il bis: - rizi - - I..A questo II e les,
il II, II - Il to si It, l e il q"1ello che è det o a lI - l... l'a - sav
1:1ti.I, -era ril II- I 1 -i di quello che: ' ' Vt a la l.... » Fioretti.
E p. lito, ve li quello che i li' Inita col suo compagno » 'i e il
v. I:: v. i: quello che i lr che, è.... » (,s In quella cli..., l.
E le IRillall stro, col il l e, c in quella. I 3.. QII, il q: le! Io o
clic si s la fa in quella a Che il 1 l vi le Cllº gir 1 m -:1, III: qlla
- là saltelli, a Vil'i, lo Mill it: il ri. f: l'.. it: l'.. l): "ll. « In quel
che si appiattò IIIi-ºr li denti« E quel di ace, il 1 o a b) allo a
ll'ano e Pol sen portar quelle membra dolenti. I pante. 93) e con
[aii ingegni...., che il ponte sarebbe mancato a lui sotto i piedi « In quello
clie e gli pas.. a.. Ces. Note alla voce Quello !)2 () i la fa da
relativo e ville: qual cosa: non so a quale cosa io mi le fa, o che è lo
stesso, non sò qual cosa mai ini | l'attenga | lo li li lo se gli I e rolli ('
Ill. V el'b, le nuºre. 93 – lº è) ssere che colesto in quel vaglia non in
quel momento, ma nell'uno di quei due che col revano, il quale per istracco
s'ap cli i non le segli le relil (Inl verbo le nei cº. U Corn
Co (li li li si l - valol e del sostali livo il rio? Che ha a far lui l
eleganza? I tagione e Il li se no e loli più là. Eppure alche uomo è al V
re sulla penna a classici che alcune volte, più che il l a essa pul e al grato
velluto, al tornio e saper della II se. (lsserva quanto è vago quell'uomo in
senso di un e ualunque uomo, di chicchessia, e in luogo della particella a
verbo su. VIa avverli a ricola sul gills o governo, costruzione. lº.....
ll III li ucnnc lo i ri: i V li l: e cl’egli non voglia “..... pl
il l n t il to in ebbe con gli all i pm role irollo (lis once, e il l d'uomo. l
3 l i.e si e il II ll e uomo in:li in quel e cose che a lui l 7(t, lo uamo il l
im. it - l'alcuna persona clie ne fa cesse e sei a -- quello le Luigi per
il mio e di I)io. Cesa l'i. « E nel vero l' 1, a: per lo I e uom dice he
io lº blo essere a Imo:tº giudiruto. io no! oli in Is I niti i r. 13.“
Fra sè Inedesimo disse: ve mente è (Iliºli così magnifico comio uom «
dice ». Bocc. “ Non è rosa piu naturali ai li! I v.le e giusti e li Illel
piacere e le « uomo sente dall'esse; ama o la si oi ratelli. 94;
Cesari. Note alla voce Uomo 94 – Che cosa è l'ou dei fr: il
cesi - e li li Il collll al ci di home? (il man dei [ d sch è altra cosa li ler
Alain n il trio? (ili inglesi poi dicon, they, I he people say ([. he loria al
nostro: la gelle dice ecc. Fers o n a L' Iso odier 1 esſi voce è il
rilalissili, e non si ado pera in milli a 'I ro -iglili clie di II lil il
genere, o, a dirla coi fi losofi, d'essere si issisi e e rigi nev, le, ma si l
rispello alla sua sussi s ente individi la fila, e lo scili del l s e ido, di s
la essenza o la lira. Il male di elog: I: / Is e virili si che a ra vale colpo,
e poi il ras e li li | Il l: il no irla eziandi tii animale, l o al significa I
" Il li h Ss 1, c. ed il li inalmente ha senso di ver: i, n. ss II, il li
do le app i ll'all cesi l'aurun, per Non ti c'. )sservill e gli sla i li
a presto. I )elle frasi cl in 1: la III | I molte re persona crescere di
corpora Ira: fare di e in persona di... () le lil del a | Iel primo superbo in
persona di lulli gli allri, Isti: prolcl:: 1)i, isli in corde lilo e Passav.:
far la persona di.... li l: lle spielen, sostenere la parte. «I di quie Por ogi
si che ſce, a chi l il suo personaggio nella gloriosa e parsa la valli al I e I
r!. 9, la la persona adosso ad alcuno, soperchiarlo 96: mettere in persona di
alcuno qualche cosa v. g. una r lidi:i, costi i lirl li di essi, 97 e.. ci sarà
poi la cril sio: e li i la rli id al l silo. Iº, i cºl logli -s e
II l bel fante della persona. l a IP o cle ella era lei a del c 'po, i giovane:
11 ol, issai, e destra a e atante della persona ». 13,.... te, i bil 1 E
le iclè ella fosse contraffatta della persona.» B ita', e.... essere tutto
della persona perduto e rattratto.» loce, l'1 va: la lo- i mal disposto della
persona, e le, la inelite lion molto sallo.» (11:llillo,\bbiati i cavalli i ve
li lilli- al grande colpo, cioè persona.» V ol-: i rizzº / l':lli li.il se - ll
o chi a losso, e con grandissima af lº ziº e la persona di lui, e i silo i siti
mi onsiderand d'o culto alliore t. vt', ll tell it | º li li: ss e.. l 31,,la
li e ti e i, till ia persona piglia e va i, senza lasciarle in capo -, i
periti, o oss - so, li i n e -se. I 3,..ed i a º s', 1 e la piu role belle e ri
che al dosso a l'una e ine, i viri della persona - i pareva che la giovanetta,
la qll ', a pl p - o li -: i B, l stat 'i: si val.etta....) S
-- ti:. ss e i stesse persona, il 1 - si l qll il il 1 1 1 o cava tv:ai.
i cºllo persona se n'av v (lº - e lº t. Io li n..... I, l l la ventura
lestè, che non è pcrscina. 13 \ i i vi li Ilia i persona.» l'8oce.
Io e li (s'o, che tu non facci liliale le a lui ne a persona.» e al ll un
altro Fio: etli. I la ll l'a cos l: e questo si è, - - al lil. I - - -
che se nessuno ti doni i -- 'I gira li cost, che lui per niente non ri
spondes; a pcrscita, tra seri li essi vista di n. 1 l ele: è e noi li
udire.» l3. I | p. g v, se i persona come fosse ivi, edl li non v
il giov, il sillo º l'io etli. Ed ho da mio at oli ed za, lº io lºn la possa
dare a perscrma.» l'1 r, Ili.li i per ſuo - o il 1: ini: 1. ll il a persona del
In illo., Bocc. « E ' il l - tira perso ia mi li, e ! i Zzo perdonato. » l 3o.
I; rulli, a non salirà persona se: it 11 Note alla voce
Persona ), simili ma in tal caso spogliandosi il principiº la lºrsonº di
principe, e mescolandosi egualmente coi titºli di sè, gºl l-l il tilar la gi al
lezza, piglia un'altra grandezza, Castigl. Corle- giallo. «Mi pareva appunto di
scherzare ſuttavia fra le conver sazioni soli e di Brusseles, e l'avia di far
la persona di cor legiano il luogo di quella che mi conviene fare ora di
viaggia lo l'eo. I3C Ill. 96 - Lo stesso che la re l'uomo adulosso al
altrui, cioè cercar d'aſfe l'irl, col le minacce. E volendosene al non so che
esecuzione il lido ſilio a S. Giovanni a Irovar mio fratello, e gli bastò
l'animo di ſoli gli persona addosso, Illando egli meritava d'esserne casi i g:
l '. (a l..il Diil (iherardini. Voci e maniere. - 9' - l'orili, il
francese sui la le te e il gosl o volgare in testa d'al clino. (ili
rilizio l'Abbadie per me lei le in persona d'un al ll o, Calo. S e
lºro orie di terza persona d'arri lo i lilli neri e genitºri, che si riferisce
| | sempre al soggello del verbo, adoperandi si lui e lei negli
altri casi. II o Irascritto di peso la definizione che ne da la Crusca, e
basterà. Come piacesse p i al Boccacci re di all i trolli. In colal sè
in In lo assolti, o e coll'i: definii, l gicli e Illasi si ºss, V edilo,
di con Io e mille che ve li ha, in ſilesti p. chi esempi. a Per un
cali o ambasciatori gli signifi ) sè i ssº; il l ogni sll ' Illall « dal Il ().
» I30.“ 'ostili... dir. se, sè con gli li ri ins me essere in questa opinione.»
Iyoce. s “ Gli altri llitti, che alle tavole e rallo, illli I sienne dissero,
sè elier a quello che da Nico, uccio era sta lo risp sto). Bo.Aiess. Il dr )
gli 'e il dè grazie del cori l to, i sè a l og: li sll, collandin - In li o di
-se esser presto. Boce.e loro, che di queste co-a lui il rili, or -: van,,
strillse a confes º - ll sè i sien: con Folco esser il la mo: del a Maddale, la
colpevoli. » I3o. “.... - e pel I i ll e le slla pit l il lill e liceva Ilo, sè
aver a Vli, o e da lei, non essere incor, di tanto tempi gri, il 1, che | i
leta potesse es e Stºre la crea llra. o loce. Questi e Quegli
Si che lo scrittore il derll, lo usa, e l'uno e l'all ', posto assoluta nell le
in senso di costui e colui. Ma non la iſo a colifortarli all'uso quanto a
mostrarlene sil vero uso e legittimo piacermi riferirne qui alcuni esempi.oru I
ond II o luotiIoluogtro vito ottimisti es lllo ollo ofunifiiu o pil minl -la.os
mlnuto un olo luou l. In ott Insi non lº oALI sold o! Il lo Ieoo.A II I tuºi-Io
v o ottussIssotti Ip ons e 1.Il 'lo s: l'impolli o lo I II Is v.ll st..ol. Il “odſuo
ul lui opeo li o outpur, ep li out optio o lo vº oppull o! Iº lº up.uºni; ios
uº.In ln. ezzotti Ip e I potti o.I | Il los. I volo “ol I pm Ilio. I l'i: i) a
luito o illu po olso outlolzilotti o esonl lo v Iloil Ip los il I _ e
ne» \:sºlº. I « opinpu u Aupututuop ou. 115amb Ip ): IR il p to eve) op e
idos il ci lop o oulo “ollomb o.: ), ond is oli otti. I l III II e III Is
l'otti o solll V Aussu. I « usolt [..) Eleti o o si ) Il “1159mio l 'esoi II)
l'Ilop º oluto tuupu euro. oI tod el IIes tddl - riti ei lod otto Iss o IIIo lº
I so.I ) e il V Il 5 UI,i. S ): IIoII. 113enb Ip o Io, lui il di lui se li ti
os o II. o Il s o II is º III o II, 1132mb VIII A 1) « ott zu.Il 113 onb I 'll
A ). l is tº lo 118omb e p. Io ſº i Is I V | o v N.« o in IRII ol o) toni tu
III o l on tº il 118anº il - IV l. 1: I 'l: i sanò “I I V r) « e ſu
di ni: I.I I I I Il 11;anb N N I I V l t, vi | l 'ItI A o « Us II. t: l '
I l. ) A l: II. 18anb º il l il l: li I “I: I l l i n. I I I..I ) \ I? i.)
I vi: - st, l III! - - I II -Issluti Inl o II oul o 1139mb p I ogI sl
II-nd in euro a Ion A ott fops i samb 13 anò lIl ll o III ), i. I | III F III l
st ) ) somb o-s II s l. I olti (I e ssa: Il sanò olII trOI s sono o sanò uºi In
I tºl In A III o Noll - sanò o il III: -nIossº o ollo.I costi. Il cºlson
l olloni (i i l Is soulotte etti ln)soo “lm)o. Ind Itoli o in º.oo.A o allo l o
oum. Il I I I I I I I I | 11: Il i li osso il s II II l s ri: o II.
ii l' oil. ss I.) o VI i.I o III II. I | anbuntuoo ºpttodsI.I 15 o infossils
o Iod opilenlo “Il q o se ti o in ouaq els ſolluſosutti - o Ielofuſs
illionh outoo soo o illel e il pr i ] N sempre e come gli talenta, mercè
che il saperne usare a dovere è già in dizio di buon gusto, e mostra altitudine
al concepire classico, e indi lo scrivere che altri fa vago ed ornato.Ma usarne
debitamente, e voglio di e il m a casaccio, storpiandone il senso, o il maniere
e concelli orestieri che ne l comportano. Perchè dirò della voce guari –
che vale molto, assai ! III o l'opposto del francese ſuºre o fuºri's e il di il
colllllllissimi i: non ha guarì, a significare non º gran tempo, ed è sempre
precedIIIa da particella negativa - quello che di ogni altra onde presi a
rallare, che cioè il verº mezzo, il più efficace, il piu' sicuro, di rendersene
veramente padroni, è quello di leggerne e rilegge le slli di saniell e i molli
e sei ripi, e le belle maniere di uri si fa l guai. e cosi conseguirne un rello
sentire, e riconoscervelo sì come palle del disco so non decol a lira soltanto
ma ed in regrativa altresì. a.... nè stette guari che addormi itato ill.
» Bocc. 6 nè stette guari che si vider i frutti il rie- dei loro allorazzo. »
Bari. inè vi stette guari ch'egli vi le as-: i la dis, sl, ' t ) l'11 l: Il Cil
l' « piglia con assai a.legra fa e a.» I ierenz..... non istette guari a
tornare. » Fie: e ilz. e...., il quale non istette guari che i rap issò mori; o
lo e.... ed essendosene entrati in cani ra, non istette guari che il Zeppa
ornò, il (Illale con le a loli n. 1 - ell: l.... » I30.ti e credendola acqua da
bere, a li ce:i postal:usi, tutta la bevve: nè a stette guari, che il lì
gl al S. ll:lo il prese e Ills- I l ltdori nell' ato.» I30' ('. a... ll è il ro
i ti elideva, che da llli (ssere richiesta: il che non guari « stette che
avvenire; ed irisieli le fil rollo ed il ti: i Volta e l all 'a.» I30 ('.
«.... di paese non guari al suo lo litri:). » I3:1 l'I. a Ella non fu
guari con Gualtieri di mcrata, che la ingr i vidò, ed al tempo « I rarº ori. »
Bocc. « Il quale non durò guari che, lavorando la povere, a costili venne
un « sollllo sllbito e fiero llella testa. » I 3, c. e Si mi isero in via
nè guari più d'un miglio ſull'olio al 1 la i clie....» Bart. e....
novella non guari meno di pericoli in se.. ll I e nel II e che la narrata e di
I.allretti. » I30. « Dopo non guari di spazio,.... » Fier. «.... nè
guari tempo passò.... » I3. a Fermila lire e, se tul il terrai guari in bocca,
e gli ti gli asterà quelli che : oli dallalo. o 6, Bocc. « Essendo essi
non guari sopra Majolica, seni l'ono, la nave sdrucire. » lo c.Note alla
voce Guari (- Nola II sto In lo leggiadro del I occaccio e suoi
valenti imi il li: non isl le quali i clie.... per dire: non andò a lungo; non
l' Iss po; e indi a I l in iſo, ecc. iti - l' illo dei litri casi nei
quali la voce guari non è a governo di ll () ll t ) Il t '. N/1 c r ) ci
ci li del non lo al mondo aggiunto ad altra voce qualsiasi, non le "
"lilli ºli il III si p. I livi, è a nella livo e intensivo della stessa,
" Sºlº sºlº sºpra all'allo, incomparabile, qual che si voglia minimo,; il
t N.Nll) l ('C'. \li gli esempi soli si chiari ed i maestri di ogni età
si autorevoli che rebbe superi il rallenervici a lungo, e discorrerne più che
tanto. ºsserva l'ºl di II lire qualche cosa, a come l'occaccio, per esprimere
il mirino, ed anche a singolarità e superiorità assoluta di oggetto o sa
(ITalsiasi id per asse con più forza e più garbo che non farebbe un illi a V
cc, la II lillici a: con persona.... del mondo, e come quel gran il lacsl lo i
pera di lingua, che è l'eloquenlissimo 13artoli quasi lette l'alleli e lo
imitasse: lo come a 13 ccaccio, a Fiorenzuola, per tacere di il ri molli, si
possero i loro i nodi superalivi: punto del mondo, senza una la licet (tl
mondo, alla maggior ottico del mondo, e va dicendo – il lilali alla lelleria
dal Villellissillo (esal I. Senl e al lillo del l rall cese non le, in:
le moins du monde, e simili. Ala non sarelli, sì vigliacchi di gridare per i
lesi o al gallicismo: o lon dovremmo dire più lº slo cle toscanismi si illi, i
nodi di I.inguadoca che i li oscilli si rass lirigliani? a.... e 1 litto
in se ined sillo si rodea, lo l tell lo del barattiero cosa del mondo l'all ('.,
l 3o t.a.... perchè Ferondo se stesso e la su i donna cominciò a piagnere, le
più nuove cose del mondo dicendo.... l 3, c.E quantunque in contrario avesse
della vita di lei il dito buccinare, per cosa del mondo lol Vole: i creilere. »
l3.benchè i cittadini non abbiano a fare cosa del mondo a palagio.» I3'll [.«
Cominciò ad avere di lui il più bel tempo del mondo con sue novelle.» 3
('.« Costei è una bella giovane, ed è qui, che niuna persona del mondo il «
Sa.» I30 (('.a Io gli ho ragionato di voi e vuolvi il meglio del mondo.»
Dart. a Alla maggior fatica del mondo, l'otta la calca là pervennero
dove...» Dori'. a Punto del mondo non potea posare nè di, li è noli e.» Fior«....
perciocchè io ebbi già un Ilio virillo, che al maggior torto del mondo, non
facea al ro che batter la moglie, sì che.....a presero il volo e le l: Inen:I
rollo senza una fatica al mondo.» Fier. a se li Inangio senza una discrezione
al limondo, o Fier, » I30 ('. a gente che vuol conseguir la salute
senza pigliarsi però un incomodo ill Inoli dC). » Seg Il. « Alla maggior
fatica del mondo gliel trassero di mano, si rabbuffato e lnal con o com'era. »
Fier. « Lo spirito di l)io il Irava si fortemente in quei pii affetti, e
con ſale unzione il saziava di sè, che alla maggior fatica del mondo egli potea
scol pir le parole e venirne al filo., Cesari. ſr L'Opinione
giornale, con la stessa serenita olimpica con cui sentenzia che il quart'alto
della Cecilia è il pitt bel quar alto del teatro moderno, senza un riguardo al
mondo a Cluel poveri drali li i clia il: i no I re a 1 | i soli, SIIIeltisce a
Ilo izia. » Il Fanfulla del 1875. !)!) Note alla voce Mondo 99 –
Leggeva allora il Fanfulla, solo per amor della lingua di quel giornale, che è
buona, non bastarda come quella di molli al ri. | Bene è vero che così lo
studio di cer ti detti e sentenze come anche la Retorica sono ben altra cosa
delle intrinseche dovizie, degli scandagli linguistici di questa nuova
palestra, ma avuto riguardo all'assetto singolarissimo di alcuni effati che,
stu diando negli autori classici, più mi ferirono, e che non sono così ge
nerici e acconci ad ogni linguaggio, come sono ad esempio le così dette figure
retoriche, che non siano anche particolarità italiana e inerenti al carattere e
alla natura della lingua italiana, non mi pare iuor di luogo di compiere l'opera
e mettere qui alcuni di questi modi che, se con metafora, hanno anche nome di
gerghi e proverbi. l t. N. 1 l il miº cl. ii e il ct mi al buio. l
' e' l lo sa il n 1 uct I tuolo li l'. I l ' il mio cºnci li elolco'. Iº
- appropria lo a uno che iene del semi I lice. l'ut I lo i colle si sle
la Nesla, allico sll lllllelo la misura. Slc re e il m li se li
diglllllare, Vlcºl l'1 si in capo l'alcolaio gli ribizzare,
fantasticare. l'atl e il III milita in all 'cati si im sul qual mquam –
darsi aria d'im li. l. I cºllo l'e' in sul quat mi qua mi - col ridicola
gl avità. Spacciati e il quinque mi voler farsi lenere il gran
fallo, \ 'il tr le cellula ne alla les la Scilli si allera o da qualche
impressio il 1, di dispei lo d'ali re ecc. li mpri e la scopa l si a Vila
disonesla. lo son litigliato a questa misura Ambra - esser fatto così, di
que s Iella la luna. lisse'r la Ilio lo bene o male, l'irla pºi
punta di lo) chella con grande affelazione, l'aitre e gracchiare come i
cani e ranocchi alla luna. Giub. – gri di I e il Vallo. Trorarsi
nelle secche a gola. Caro - esser povero. Mºller l'ali - a Tre Iarsi.Alzar le
corna – il super bile. Restare sull'a mm allona lo – l'Illia nel poveri. -
Stare in Apolline – Irlangiare lautamente inodo di lire del valo da una
stanza dedicata ad Apolline in cirl Lllo lillº laceva la illissili le
celle. Mangiare a ballisca i put - maligiare i piedi, il II elli. Esser
al coniile mini – il punto d. Il 1 l le. l scire il jislolo da dosso tl i no 13
i. logiici si da il lalso sci spetto, cessare di ang. Isi il gli ill li
li il l i gilli il I, si spelli gri si ecc. E nodo basso. (i li fanno afa
i beccalichi e gli pizzo no i li, i i lati in to fai il l ll - calo, il
fastidioso delle cose pit s ti Isile. \ on Nat per cli Nº – Il ciglio del
volgari esser li li (li si. Esser nell'ol o di gola –- riccone, ricco di
rili. Esser innanzi con uno -- essergli il gri 7, i vi Vlesser Al
dighieri fu gi al ci ladino e molto innanzi con il tessel (i: Viscolli Saccl. e
Fui figlill il di illi: i giallole e gelilli. I l lale e' il molto in mani si
coll’ili per il I e. (a V. Torsi giù dal pensiero di fare... (o mi
mettersi a... lasciò il cilli ri ma mi 'lendosi di I Dio e alla sua provvi le
12:1..... Civ. ('ori e re boll len clo e II lilo cli, le legi, i l. ri ci,
i Nº but I lemulo. I)av. Sillili: ballo e il gri sil. lo, il lersela.
Esser in pie' e plando (alba era in piè lenne la col ſole. l)av. 1 rer
l'alli più grandi clel nido illa / I s; l' Iss: li si illa col Cli/i 'le il
cili si riac | Ie. l'ut I e il loro o di ll (mc (l ci lidi ri. il II e il
I l: cos: 1. (iel I al I e il m (t mica, clic'I l o lut No il re i v. l
il li Is I l iss. aggi. Il gel (lalli al clarin. Mellere il pel bianco –-
e il III la mia vi: il l' ii a V messo il pel bianco. 13arl. Pagare di
moneta senza comio spacciar Iole. I, Ils, I)alle e il 1 l e I3 ccaccio
rili lo II e la loro e i lli li li Il selli Vallo si illl'allino che
spesso ne fa les r, il III: Iggio elica li col l mali e il del sl1,
clile. Tener a piuolo (inf. tenere. l otre all rili il lettino
ſalgli il lates l' 1 all ss. Promelter Itoma e Toma – più di ciò che si
può ottenei e la mit le tel'. è luogo almeno. 1 mln usdtrº uno
indovinarlo, conoscerlo per quel che è. Fotr uno scilo m (l parlare a
lungo per indurre alcun a la c o non ſi l'e. Scoprir paese. Ma il 1/.
veli al chiaro di talche cosa. ('a calcare la capra in rerso il climo. I3
cc. Irovarsi in pericolo di i l'l': l ', l ' ('. I malati sºnº col
cºlei ci ſoio. I3 cc, palli fischiandosele.– fog -- 'l): - ol,l DS. l.los
1)llop ).Im. I “ollllooo oscio o il telos Oosol limp o idol pl Ivan,
'oooº I 'º elodlid oolIdillos Ip: l'ol e ope, too util plo) lo m olmpoli low up
Au - In) on upl ls not o lo l cofi, li o plo) ul. D o plot lo. ol soli. ll u n
t pel lº lodo ! Il.I |llº, letto.Ils lod o luo5t. Il to All I lod ollo
Ato. ll still s'o.Il... [Illel ore -II All.) Iloio; il 2.It I.) II.Il lod
o letto iu'. Ooli llli lo l opoli ll o, p. 1,:los.lop 5 º ) - ol. I ti ll)
1)(l. p) ll. 1) / S (p lo ) Spp uo.Iopul) olp lo) lo! I top oſ) p I loI – l.ool
o l. Il ll o l.oo, o o l o I: 0.I |llº, olt IIS - olto, o l. Ill) ll ſi o p. ll
l l ll olios o I Il d lºs o I o II ): ossopu o il n. 1: s ).Ill).Iod o
O)tºllo..)Il 0 [.lli | Il so,oll) ol, o ol. l p ou puo ul l tool pd l olltilt
il.lol - D) ll plcl. ) ol I.... ll N o Illy) li ll lo) lo IV lUI.).llº A (OIis
Ol.top Is p Il l: sl) Ios il l o Il 7,top II (ls -l.I O ).IopUIodsl. I lli
Iloit...... Ip (o.lios III. Il l.Il vi:.). I.).I.).) olt: Il II “olon.A ottenb
Oulla pu o.llp o Il sºl l: Il 15 IS ) pl I.), m il plli) opos I DIS
o]llottle Illllio II o III o III: VI.Il Dl I.), p il 1. ll I – Dll.).))) ll
plli) ledttii: s.l Il pl.. p il plp pso.o ol.) i pm b l l), I l'Iss) I
|.).)ol|.) In I e o luouletin).Iodi III oli ell. Ilos ll mi pm ossopp o Ispº)
ll o p.l.loS pNN Il l)llo li lop il pil ll I Dsl (). I plo l pm N ))) I m, 0. I
opomp l.) o, op o un ddl n. 1 p.).)o l “od.Ion Il solº tu e otto Issolo. Il le
i ti ).Il 1. l is lº) io. I p. 1) I p.ll.I. elu.II).I e o Ioli: mlpo il pil 1)
l.I lo.tpllo3m ) ) ). ell.In letti e sulle op ten. lº ziios l: 1: lsi I l:, I 5
o II. I | | | | | | Isenb oso.) ol lº)lo.I e rozzo.Id | V: o il II o I pil V ol
I., p. 1) 1) ll il d.ll' I pl uopo, il plss..... ) I pu to.I o | Ioli -o
AIIo,oul IIIfo e opotuli o luo.Id lo ve lo io l I l spl I lil Los ei
leitilissi: prºo Impoutuo o senb epito o on I e II li.tel li olo il 1 l.... ll
o.lo) lo IV popd ns addez ellop step (lo). )))) il dl Nill o 1 pllo.). l e \ vi
s o I e II º I - ºlns Il pl ſild ou. m. p I Isti, d (Ioli.I l o Io te stili npd
a IA QIo III “o.I lº IIaq lp Isl: le... ! I pun'I plio il pls ns il loI 'Ioi l
occod ll o no) in olon. I loro l out o n pm olto toll I pm.op..) un supp
loſioli os– uodlo)s upſilo N uomo io) ) – pnbon, p. ll lº un il dl pliol - - u,
li updsfiniid uop lo) un molosſ) olci - lon) li supi il oi p. ll ' ºllº IV op)
o il lou pm b.o) l i plso. I p.olpo i pl o od uto) ll oi pl). ſuo tolto a sp IV
pun uoldo II - orodns ll Po o in l ' loI lod oliſmo lo pnh.o o lo) lo IVmlnpoolpo
Intti epp An – mumpm10 in p.l lod ()) lo Il ll ).I.) p.l.' I oITuttI III
ottonlaAu ozuos o InluoAAu In II.Iossº a Ip – mlmſ illolo, il sºlº !
"l.l (uoſ Dil pup)s.to.A up loſium IV) - m) lolloq Dl pudos ollo,lto.
ll to, l' (uobollſ lnplV sul u Il uoqnm.L uo uo) p.t lo 0 olp csmp 10 nml
0 1GI) – Dl-lod D p.). oil o oufi pspl ol implodsy tuorlos dou).top!) tunc
MoogI uo(I) – 0dnl ll plp.tmnſ ul paoood pl oam (I o.It: Iso – onbop onp m. i
tm)S vo) lo I l Iolu.lnu 'ltoſi lotti lob.to IV) – o.pso.to pºllo,l o I.)
olli), D.) Dlfium IV oiltiºp o eso(Is Uztlos o.IO.I.Io o oli; io -tu!
oil.olenb tºp Islu.loqll – mſn.o pllop ollo. ll tod ouapssmd o outlos. l mld
(lm):) A o Iedd e osi lo I o lui ottio 5.It: III los IIIl regolº (Ideos e
un “o5 old I un o.In.Ao.I | – plo) o ſi o l.olmnb tod ll sn plo/v. ſi pl
tm no. L i lums millim. ſi otto op Is tr.lo.) Iº puoti in ſqu;Il pells optIo:o.Io
s.It:puntuonº.oe.I o II.) o sol) I d o III. I tessed Iod o. Il -opze.Ilslp lod
Isoo Ilopulº)) eai luus lop o Id e out s Iseill): 1.I.ood I.If I “esInI?lo
Id utin lp e.I srl III o II: I –.ooo I o in l uld lp olio lpold l I m/) p.1:).ooo!
I ouolfim. plums lp o un atollm:I'ouoizu: un lp Is.Il luod – ottenso) osta Iop
– oli luod und ll amfium IV ro5.Ioi ole; o Inº Ilop osuos ll lpitI i lo!
lo Io lop olzl.it: A1: os Izi Il sod o Iop e Iru.lo Iui ol. -It! - l oro,oo! I
II e il III | Io e Aol 5 o [ tt. Ieri lo tel o - o.topro. of I lu um, -ol!) S
ll plc) ſi mºllop plumnl muon pun uo. luput al lm Il m lou ſi )lo I l soIAtop
lollipº I o il lossl.AA) - Iſſ.Il lº oil.oul e In.).ooo,oº o].Io.. n...Iosso
titill l'Ilodes - ppo. pl uali olo,amp ll o, op todps – outp) todms 'oliloti in
lito – o.Il D opup.oul.Ilm mosul pl oulo. o impul loInbul “os III e IIIs a 5II
o Im)um. pl/m opII, sotto lo v o 5 e I º plo) tnam.L - I topi.oon o o oddº. Io
ottes.I:II.Ipaduti.Iopulo. In “of.In loIII: Ip o Ill.ols Ozzotti II (IIII!)
“o.It:) (p lo) um. m / mons ml opuo.oos ouons ll lao.Il II5 (lo olim on.ipenlis
e III.Id nei rioti o Iſo.).on Ip e li s III3o Iod. I -Io(ſti IIA o noso etI -
plo) una pl ons pl opuo.o, is ouons ll o un pm im o il (InIr) e ions IoIIII.oti
Iq.lodins l oil.i ſi lod pu nu aºasi il Iollos ICI Iso:) o o Io od oris III
olio.Ar - o unopm ofli ſi lod i puo IV i trie.Io Ifr I 5o. elos-.InI e o.non ſi
ton eso.Il l'Iionſ la vi: - l I.),ol.) o, 1 m.)lum il tonº to, l' I.).Il V e
lipo.oo ll ſi opt odm ou up il lun.olui !:..Ip Ions Is II-latile.Il l I op e
III ed otti).I ve IIoII o II o o olni sotto, oi i s.I. I o I.Ialoni ti:III a
oIodde.Il l oilo o Ie.Il sotit.Iod » – i loro lºſ oliodm ouum lui.nu. I
ouolfin.I n.Il.Iod o orifi-osICI o II love II li Io I o o lo IosnoLI a Io ns i
5o II.) eso.o Ip ol.I.) Io RI... ] I III o Ip Iso. Il n o In.oso) opo III
I – oliſm) l p los lop. () il 0.1 O) ſpi o N. I.IRSI Ind e J a o o-neidsip o II
lºso. lei in oso III IoAn – onl.).oo tollou o ond pum o. p. lug oosn
IIIIIIo I. - a.Teit v -o oltratuo.IoluI e III o IIIIp mld a IIIqm IositiI nid
IzIA Iop o In mezIo opleIII “Iuotze.IouI.Iotti IlunoIptII Ipo IV » – ddl
I on.o o mlfm) o lo pnfull pun a.taa V – III.Io:I – RIssoII o oli I.) e ossopp
ouogo mi fi li “ou upd ll tml ſip.I Izzotti In olnsuod Io Am mzttas
nsa.IdIIII In e Is.Inpſ IIn – noo! I rollo osul ruos polmſ ul tolla IV
IIIo o Iop o Iaisund IsInp nziros editrua o estInIII Iulo Ip -– o opms lou odm
o lo o imbum IVIpa e ansa – poi gere occasione – ansa lett. è maniglia, nel
figurato appicco, pretesto. Arei mantello a ogni acqua – esser
pronto al bene e al male, accu In dal si a togli 'osta. Arriluppar l rasche e
riole – inventa e se lalse. Mentre il rasli ello - predare, saccheggiare.
Gianl). Super di barcamenare – essere ac orto e destro nel condurre i negozi.
Mangiare a bertolotto - senza darsi briga o pensiero di dover poi pagare. Il
langiare a lla ecc.I?accoglie e i biocc. - ascoltare gli all rili discorsi per
poi rappol largli - da bloccolo, particella di lana spiccata dal vello. iellar
la broda adosso ad uno – Il colpa l'e. lºom per la cuccu ma li portuliare,
alloial e. l?idere agli angeli - l idel e per chè i dolo gii all'1. l?idere sol
lo rºm li o le ba)) sori dere di nascosº o con gioia li ali ziosa di cosa
che ad all ', oli sia pia ere nè oliole e che palesa la tollell (le
l'el)))e. l'issi pissi ciò al lavato i pissi pissi d' A Iglisla. l)av. v
Vo I rinata dallo sl repllo che l'anno e labbra di chi lavella piano perchè: il
l 'i ll ll sell la. l)a V. ('olo il c un disegno ed egli lon dal lido si
sta al lina o indugio ai colorire il disegno suo. (ilan, b.: effel! lla e
ſulello che si era progettato. (''rcati e ai ſalula di ſalula V g. della
verilà lorse da Fallen, piega – scandagliare, investigail e, indagare.
(''rc at ) e della Notn il dl rivolse ogni diligenza sua e dei medici suoi di
cercati e della sanità ». l al. l'utre un laccio ſolise di 'as dei l si
compulo all'ingrosso, slagliare il ci lil, al tribuire al lavoreccio, un
valore così in massa senza calcolare per la inintità a ragion di elipo e ti
tanti è, fai tutto un moni.lasciar alcuno sul latº metico v. g. di andar
cercando... I3oce. I)ire a sor do.... ma se li la cavi di dosso io non li con i
radico. Non disse a sordo, che di subito codesto povero gli cavò la tunica di
«dosso ». Fiorelll. Prendere, pigliare, cercar lingua di...... Qllesli
andò e cercando lins gua di lui nella cillà....... » Bari. « Poscia mandalo da
ogni parte a prender lingua del vero ». I3arl.Fare del buon compagno - fare bus
na compagnia. IIo l'alto tanto del buon compagno, che ini gli ho guadagna i
fulli o. CaroFa alti ui tornar sulla testa la loro la mei e le Isar I. - farla
paga ('il l'il.Guardare, ridere sollecchi – di soppiatſo, alla sfuggita ecc. (V
on der Stºile (tm) schielem Valo sbirciaro ).Scaponire - vincere l'altrui
ostinazione. Dal pronominale incaponir si, osſimarsi in mºdo duro e
goffo.Sgarare – le I. vincer la gara è affine a scaponire, nella frase
sgarare un ragazzo, vincere cioè a forza un suo capriccio. Non lo scam biare
con sgarrare. (V. Errare - Pronſ). Sentire del guercio, sentir di scomo –- V.
Sentire.'A1'CI 't Old nu duu! OIoolpI.1 'BI (los!p [u optioutod) w' los to
Ossip o 'ozzl?IOdoºl H » - UZZou Ip u!A Q. o 110u 'ou JIt', o outu, o –
los o ossm () ' 'I.).»r's P.) 12“IU10! (l)ou?uu0s O! (Iool2CI It: 'U.111]utoA
tº II u – 1)oot.) m.)so nu m d.tv.).0n1; ) 'o IOIl.A IS JAOI) vr] [toUUlt'.lo(III
uu?put! - 1) tilll!), m.) 1)/.).t.) 1.to.)S 'ou01Zu? Iop1st 10.) t'ZUIJS -
0.o0.1.).) op iſ.).Jo V '. D.)« » v, IBloJJIds 'd III) tºp tºt! Is to t's Is
oilo o] |n) up - opont) tot 1 m/oy.).yoſis '001 un) nu 1 op 11.)sm -- Izzo.I
III III Isr).»! 0.10||otils!D - - loud, op - Ool/l), los o//mſ lp
orum.omputorit ºp ty.)s ) 'old UU10 |su (I - Oulu pm ! tto.1 dl 11)
1.).), do. t/S : 9IUA 'old U]SI115513.1 al.IU! 15u11:55 U.u oIJ U uit: Ids
-- O.tn)so.)./l 1 v.10.1/12/ 'o1.IU UIoo tº los.IUUI5 Upt?Inn - DSO.) Dun
gs.tv.)./of/ '.I)! I 'Or]UJUI - putd] !! ) () [qtis 'out I tºp ! 11.1 | 11:
o.11: oo. I - Out of tºub 12 1//s,ºf mun t mel 'OssOpt: " ) 1 ]sorbt u| |
| |5.11:J 'ou!]1: | | | |11. | |lt: o.11:D - OUIL1. »It! |'t! ONN op D ! uit
1)(l ! ) to/ju1.1/S 0.1 n itt l!, 01.)sn,l D.1/ ).to/jult/N 'ZL11? IV 't
PZ -11,0.1.11.). O ! | 150 l 1! ) | | | | | | | | | | | | |ollo Z) |O 14 l 12t
II 1.1) | 115. | | | | | | | | | |s. Lopo V | 911 01.10.11: | |Ilso 'Oum lll
lll Cºlo/s.) 'tt |! o III) lous Is, 111.) 'out? Ao A1 o II.) o.lolpIto.)
- 1:] oII. 12u011 | 0.11.11: o III 1.) [1: " 1:ssop:(te ) 0111) til lll
(7/0)N.) til ll 1.)," ) Boſn.I 1: ).to | | III II) (silos II! 0.)
-)))N ll o.1 l/1) 1:|ON |l 12% | | |1.1 ||1: o.IJ.Al? | | |) - O.).0ns ll l 1)/
'0.).) DN /l d 11)(I 'lol, | | | o IO It?.)sod III tº trul) lll lp u 1)
1.).nl).) t ss.In Ill lod I]11 |0 | ol | | | | |rt | 1! » " -
IIIIIIls,, ! 11.01un.ºop 'L11:11 tºp 5: \ ou nu ºp 1 m.).jp. » 'ſ al l '
().II.'s 11.11 » II tºt 11op (9.11p 1112111 ºp tot 12 (11: 111 ºp: 1: Ao. Ip 1
o/m.to it, fi /.nl ). 1) 1.).)nds II,7 o | » -10 A ollllll tern Ill Vios tº
\"An IIFo, t] too.” Ip 0115os! | 1 o Amº o.112.1 solid 1: Aolo.A » UIou
oq.todns o]tiotulp.In 112u trio otl) 115 pal n i1.10 | '',,IL1 | 1: is 110II 1:
Is -sor op Kotlon III o In Lied rºtti III?looſ) 11:d 11: Oslo.'s!) |. o IoTIII
| |sol Istolov rºzilos Is Irºn LICIs op: \ » - t/m 1.) nofi ol)ns in/s o
In tomtof jod o I nl.) mods ', ' II, rs.It?,II). » 12ZI I. »s 't II II !!
A visso, 1110.) ost).), 'I l ºp 11 f: [1: I. st: 1) u! iſ.) p/lp non I.nl
), 11 pun inlosm'I fjm/nl)S nu out. Inm noſ.nl / lo,n Z – 0,7 ml min 1)
10 l/10/0) dºn)' dat dpild tal 'nfin. 1.)s omp o omſifi.nl, un 1m /
'l.In: 4 | 't OLIII » -oji I n Ilsnq oilo oIodus onnºl oil tot 1 ol ozilot lop
oIsº IIImºl orn: \ oIlonb Ip » nºu, IJ.).on III u?I nl)n1 m.tto) m osso1)oni o
IptºcI ('lul'S II rtloulon.In IIIIIssIntlood » Ip 1: 1.) tºol IJ0 te]II nrub II
(),). ) IIIoI5n.I opIes lp '127 IOJ lenb IIO.) I() » 'I InfoS 't Olso] -ord
ooit Is pito) m 1a io)jou oIdus oI - o - o Ioll nſ|(In: - 10.1 lol in dit ollo
IV ooo optim: IIIA olte illustr! 15u eIssoipolulo allodsa oInnoptieſ ºm -
Onl In dtplosDT 'opond m tav ) I I I I Il.I. t: o Illaptto.) olttotill
litio. I tºp - lo sl m puo.).opſ o un m oldm.o.).l ma l (IIII!)o.Ioppi lp elli.
A olo.A: o od il plli ll o).olo, lo o ollo. Il rolli Ip oieA Iosso - tel.In I:
o lui o li tºp - O.It:) o un.olm p o lui olfi ll o.tolo V so ) (put.to, ll p.ll.osn
ottetto) otI. Il tal. Il tº I otto. Isl: Ill o. I Is - bol oIloo tepul: Il 0.1
[ulos lui, o tu As o le volp lº lll.lo.llol).ll.)N ) quel!)..I RUIos Ilºp ou
lost. prº.soood o oloA | otteAopuol o le los ti otitº.All. Iuºl, vi: II.os I e
zz -UIG.Ii eulº tuo.I tº I o II.it I col eztloloIA:l 55o o II. I ll pp l Il
pm.os. I tolti “ouolzuºu e un ostello e Aoi.Iod otto sou.lº 1: tos Il 15o lo os
oil. I l -Uuoso Iliou ol! UIoS oleo, ill. Il II si ulltiltos o il tri.I potti
il 15 III e III. ll: as op.Iool.I tioN o Ido. Ito. Ip oi lotti:p o.I I I I II,
I l o I, lun. 'N Al (I It:p los Iop 751.I. ile lugds up o A.Ied il 5 pp.to,
plus p.).oo. pl o ibIII p opup Is e III Is o o..ot: -) e,l o.IeIddo,os Iod II
ll losso - foltº.I s o II il 1 olt: \ l: p.lo. Iº | 12.I | | | | Il trooo.I] e
[op o A n.) Il teo.oul º u.).ooo, pp.to, ºlns ul p.). o, pl o il S “.),oo! |
Iliº AI.Iolo. I Is tº I., l:.........“olons n olons o I veti olioti opzitelli.
Io li oi oil I II Is oillo. Io vi: pt. Il'eAlls (ossoI) ollo il Il po o l?.I s
S olo ns m, lo s. l'Aopo.I.) Is o [.) o[[onl) Ip (I. 1.I luo. Iº o II la V A: l
I. A 1:(l.) lp Qss pd o ICI: onb.me l o lo us. Il No SN1). I -.). Il re I Il lp
1, 1, do il I so ). l. (l -oud ul o e lied n.Io Illn e o intito. Il viso | | |
| ol i do tal ul A l:(:s-oo e o.Iluo.o tutti i lopuloid lp muli, uo. Il pi is
ulloII I llllº solo.Id I o Is.Imp.Io.. e o III o VII. il 1) il fi. ll o il l
eso.o e o Ao.ol. oil. I l o A Il 5 o il - vi III i -tito) Ip o Iniel Ip
miss, loolII. Il. Is.I tºp IO.), lº ol n.), uo, pl) lim) I l / es.) Il fo:
III | o elle ol; poi li osto. Noi i pl in I o.lui iuta il tºp.Io vu: toll
o l..).l. o loo.l.) I l I o II lotti o I e II li. mld II l.lo I i v. ri
II: I pn: I I I I I Il il tul.). Il vl'Ifo II: ool.IntIo5 outot a o,opo –
olº.Iotti: lui o Iosso pri uop uo, o, pil ll.. l oliºfolli: lo ol o elusi o II
(1 ptt pil “eIollo.II on.A mlnq – oſinod III e II o riſpºl u ntlmi il miº
ll, i NN, i ll l all I toulos popu o top li V – pu u m. pl tolo. Il ml),
l ' Ill) Il ll I m sl IV (uopolosa oa si ſomus.o!) I. (I pillso i tm l lo
o psso l'on. 'I l I.) ſuoqmaſoo run II tap ) foll pdl – ma lo u VI top / SI. IN
DCI - -und ll mys unb: osodsII el'uoloA elis e o Infioso e vo vop Is
otto. Il 5 l.lo il po “Ipnos Ip op IISIui Iod olose oilo elodi:).II In
lui: oddo l II ale.II Ionb e olinqII 'u ottIssluſo un ollo II ), - o lund ll o
Ippo) ln () arou alloo olmuuaſi l' opumnh (n.IlIn Iin Io o olibri.nlm.nl) nso.)
oa pl pp m II ro.Ino o non limp out il l pts No I.).ool. o.tplli o .IoI I
II.).I l? \.I - «I – pose II III opud Ip – otInoso) opoIV – ouol)fillo.mſ ul
ott 1 V p impos 'vllob.ll, il ll Dul Ssn il lolill L uo(I) o lo pſipd
D.lluo o.topm,tollmut pulu. ll.) looo.) o lito.t.too losso noti i plimd lp
opuol losso lou I milſild l) il dſ II o Il pl) il 5 il ril oi lotti lop
plAtº t.I sotu ! ! Io l: - olso.it) o toplſ llli uou opolds llo.ool o lo opm ſi
pull Dl Ippll llſ lou o tolto. llo.ool o lo upo ) Izzo!) o tool -ms ll o
oli uos lp di qll ollllll lp od too ul pllio, ll plotto, un uld lp l loll
(I lo Spºl uo il lun. I tu n = bupl os I loli fini M to(I, 'odulo. ls oillſ plm
o lo pnbop,l lod o lo tol ma o um,l lo! I lons,oo Ilſi o llllllls,o.
lllullS lo! I Dl.ol)lli p.t.to) m opp.lli ons ll li o l.) e olsn ſi pl,
m. l opm. I m/s opuolod l 1 ) Iollfill, l.lo. I l II), noſ) | I l N.1 o V, D.ln
/ uo, plm tl pl.).om.) m. n.) Duom:I o l.los D. l Il p.) od tuoi olto i ton.) A
eCI ) un lato i po.t o, ul, olpm Is u. I (- Il n.ll l uo il lo)) SNI)| Dp
Isl 1 I.)lli S I lil souloI Nm \\ - l 10 pl pluſ ml luo).om.I.L) - di pls lospl
oa mi ps lou l I,) lo Iel lli),l o l.lo.) o I molfin. pl Dz.iol pl o il
to, Atº (l o utild lo, “ollo) Il D.l ol li Out o l)ssol l)lloli o topi).
l) o. pplli) 0.ool.) ll opo, l I, A 'CI olfils to.) o I.) olod il l lulti ou up
I l) li p.to il filºl!)o lotto) oil. Il 1 | Iloil polo lui) li o) p.) Il to il
l.s lou lons ll pot l oi l I, ) ufos ll put o lon. ll piu ! I, 'oli.I e le
lotti e liti tetti o I. pl ſi fiou.tp.) mlfi fio) sof l I, oliuls l.ol pol I
ssop osso lo po. I u.osso M oum. ll u lp o o upd lllllll pol lt lo l
mm.it/ ol). 1. ll l / D I SI onl:) Nm p... W i tons ) un I.iol 1 m. pl/mq uoq
loss o o d Il 5 o II o II.oni, ons lop Ile ond o Intini - l I..)oufi mi
spºt pms pl).op i pl Qnd un ufi () epº.I s I.).ol. II. o II. olio Alio.
es. otI.), tºnfi le id o Ie Ip e lo IIIIIII.I Iloil III o o lu mſ plº (lm ollo,
lo pſ lou l I, puo il m ollo il pilo.) p.). Dallon, o l.) Ollon h o, o la toil
o lom p ll ſi o I.) ollonh lp pp roll l I.) m.).oo) ll ſi o lo onl) ps ls uoi
p.).) o il o l uop pl pil in o I. ll I “) lugl o I][..losO Ip III)
-nlillotti e Iluotti lep mln out e tio.Ipel otrosso Joid lp o.I 'elopſ o 5o lp
“m.i.a) oa l uop l.luc[.Ieq i lutti lop e tituli lod o.Iugl - p.t.to) O.I luop
mld oluti.Ioli onp sulllo alle ol) optio.) ng » - o Imu o. I top m.llo) 0.I
luo(I rooogI « allo Iod olionl uonq un lui li ott o) ups m oampum ossOd lo
IIOII otlo olopo.A o II.) » – oln.) O.Iones li oli ed i pilo.Id – Olups o o
ampu V roo nelll.) lens e lº slº.), i ti so I ep III lº Ions I l I sè.A o II o
I z-utellIA In p oil.oun po 'oion lode. In lons illie od o Iupire ole.A o n.oI)
Il n.roluntII I II..ms o epilo.o! A nſiti nunoIl lod p) Il p o V ».).oogI pl/lo.
m l), m)pum OUI.) oll) Ollion | In AO.I] () otI.).oo!.).Iod » – p) ll. m o
impuyChi ha terra ha guerra. Giamb. Volpe recchia non teme laccio. Fier. A buon
intenditor poche parole – dal latino intelligenti pauca. Così le intelligenze
equilibrate e l'ele. Ma il tedesco pedante: Gelehrten ist gul predigen.
L'inglese fa lo spiritoso: rith a clerer one word. Al fran cese è troppo una
parola: è un home d'esprit un lemi mot. Indi l'indole (ielle nazioni.Inran si
pesca se l'ago non ha esca –, W e nicht gut schmierl, faehrt nich l ſul\ on è
il più bel messo che se stesso. Selbst isl del Mann. \ iun bene senza pene. A
cine Freud oline Leid).l'aga ben chi paga lo slo - VV e rasch giebl, giebl
doppellº. \ on scherzare collo so se non ruoi essere morso. 'Mil grossen
11erren isl nich l ſul lv il Ncl en essen.() gni santo ruol la sua candela. Ehi
e le m Eh re gebili rl). l dl ct sino al tiro but N lom tl i ro au) cinem gl o
ben I lotz gehört e in I rober A e ill)i quel che non li cale non di nè ben nè
male. W as ist nicht ucciss, match t mich nich I heiss. Il ledesco è limigliore
dell'iltiliano.Più ricino è il mio dente che nessun parente, leder ist sich
sclbst der \ aechsle Nell'italiano, senti l'uomo coscienle della individualità
del Sll 'S.Stº l'.Dopo il bere ognun lice il suo parere. Del V e in lisl die
Zunge). Pal ere e non essere si è come lila) e e non tessere.Chi di galla
nasce, so ci piglia. Dic Ralze latess das Mausen nicht'. (cqua che la cerni
mºna. (com). Menare Stille VV asser sind tie'ſ. () / mi legno ha il suo latº lo
ogni ctgio ha il suo disagio. ('hi dell'altrui prende le sue liber là rende,
('hi ha dentro fiele non può spillar miele. Dopo il con len lo riene il lor men
lo. ('hi parla semina, chi lace, accoglie vergogna! snellere questa sen lenza
che è losſ 'a e ricullissima, e si sliluirvi la ledesca, malerialissima: Redeli
isl Silber, Schweigheli isl (i old.l grande molle gi andi lan le ne (i rosse i
bel erſo dern grosse Mittel). ('ol mollo non sta bene, col poco si sostiene. Mi
riclem hatell man (tl N, mi il trºnig kon mi l man (tus).Morla la bestia, morto
il veleno. Todle II und beiszt nicht mehr). E' meglio esser capo di gallo che
coda di leone.Non si può cantare e portar la croce Gule Mirne zum bisen Spiel
mi (tch e nº.Shºm (tco digiuno non spregia cibo alcuno. Il un ger ist der beste
Koch. Giuoco che li oppo dura, di ren la seccatura.('hi li oppo l'assottiglia,
la scarezza. Ill: uscha, i machl schartig). Chi è bella in rista spesso dentro
è Irisla. Fier (Der schinste (piel li atl oil einem VV trim.La donna è come una
castagna ch'è bella di fuori e ha dentro la ma il magnat. l oce. I quali ino a
quattrino si fa il fiorino.Le fave nel nolaccio, il gran nel polveraccio. Dav.
Chi è reo e buono è lenulo può fare il male e non è credulo. Bocc. ('hi ha
allar con Tosco non ruol esser losco. Bocc.Alle giovani i buoni bocconi e alle
vecchie gli strangulioni. Docc. strangulione lett. è angina, infiammazione
delle tonsili. Chi lava la testa all'asino perde il ranno ed il sapone.
Ciaballin rimanli al cuoio Schuster bleil bei deinen Leislen). Mal fan coloro
che voglion far l'altrui mestiere. Fier. Qual guaina, tal coltello. Qual asino
dà in parete, al licere – a chi ſe la fa, fagliele, o se ſu non puoi, tienloli
a mente linchè lui possa, acciocchè qual asino dà in a parete la ricerca n.
13oce. Secondo la misura che lati, misura lo sarai. Paga e di tal nome la quali
furono le derra le vendulº. Q ual proposta tal risposta. l?ender pan per
focaccia - (i leiches mit (, leichem rergellºn. Chi la la, l'aspetti. Chi altri
tribola, sè non posa. Chi offende s'offende. 1?l'overbi bellissimi, il [ichi e
dell'Ilsci, «che, dice il Meini, giovel'ob be rallimentar sempre, e più a chil'
igne ha più lunghe». A confortator non duole il capo–e dal confortare
all'operare è gran (le diffel'eliza edistanza, e dove l'uno è molto agevole,
l'allro è somma Inoli o malagevolo). Bocc. La
determinazione suprema della
voce, «la favella,
cioè la pronuncia
articolata della dialettica
psichica» ('), è
il vero fondamento
dello scibile (*),
perchè concreta sensibilmente
lo sdoppiarsi del
pensiero: è «la
formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione
spirituale» (*). Sebbenené la favela, né la facoltà di
acquistarla siano necessariamente richieste per determinarela posizione
dell'uomo nella natura (•) il sorgere del linguaggio, è, come il pudore,
sintomo della spiritualità che nasce e si afferma. Lo studio della linguistica
che sembrerebbe poter procedere sopra un terreno libero da qualsivoglia
passione( [Introduzione alla coltura generale, pag. 141. ][Op. cit., pag. 144.
]Prolegomeni I, pag. 367. (*) Introduzione alla Coltura generale, pag. 121. (*)
Massime e Dialoghi^ Fasc. 86, pag. 8. (•) Prolegomeni I, pag. 368. 390 1^0
Spirito oggetiivo] sione partigiana,
invece cammina sotto vane bandiere teologiche,
o in balla del liberalismo naturalistico o finalmente asseconda le
simpatie e avversioni etniche. «Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di
essere il primo popolo della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di
possedere la più perfetta di tutte le lingue» (') opinione che naturalmente
osta ad un bilanciodel contributo che ogni idioma portò all'educazione dello
spirito umano. Il problema dell'origine delle lingue, cosi come fu posto per
tanto tempo, è assurdo, giacché
«presuppone prenato alla
lingua il pensiero, il quale
mediante essa debba
riferirne l’origine. L'unica
ricerca genetica che, fuori del dominio speculativo, possa condurre a
utile risultato, è la
determinazione di un
periodo riconoscibile nelle vicende storiche, dal quale si siano
sviluppate le attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l'idea e
le primissime radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente
definibile, perchè è meramente naturale: è una ragione psichica immediata come
quella per la quale il riso è foneticamente altro dal lamento e significa
diversa condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle
forme materiali e radicali: giacché agevolmente si capisce come una radice
viva, ossia espressiva di un solo concetto determinato,patisca in questa
determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione; anzi,
la (*) Considerazioni ecc., pag. 12. Lo
spirito oggettivo 391 radice e l'idea si legano reciprocamente, e così l'una e
l'altra sono arrestate nel loro metamorfico svolgimento. Si
può dire che il pensiero
di un popolo
tanto più li-
beramente si svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato
dalle radici vive della propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia
dialettica conserva le radici vive come l'attività le
corrompe e spegne ('). Molta
importanza ha lo studio
delle lingue per la istruzione e
l'educazione del pensiero: l'uomo è tante volte uomo quante
lingue conosce, giacché tale studio concerne vari modi
che rispondono ai vari
gradi del pensiero (*). Infatti
l'idioma accennò progressivamente a) a dare le forme
sensibili, 3) le intellettive, e) le concettuali(*). Quanto più il pensiero si
avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze
tutte formali della lingua. «Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è
occasionato il pensiero; più
tardi capii che la
lingua è mezzo
necessario alla sua formulazione; finalmente
concepii che la
vera forma intrinseca del pensiero non può essere
manifestata da questo
mezzo estrinseco, che
è la lingua»
(*). Il che
significa che essa, giunta
che sia di
fronte alla speculazione pura, o per dir meglio, al
sistema contemplative si esautora da sé medesima, riconoscendosi insufficiente
a esprimerlo concretamente: anzi, «la lingua
(*) Idee radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive.
Fasc. I e 2. (^) Introduzione alla
coltura generale, pag. 121. (*) Prolegomeni, pag. 368. (*) Massime e Dialoghi^
Fase. 18, pag. 18. 392 Lo spirito oggettivo volgare, per l’uso pratico della
vita, vuol essere studiata assai differentemente che la letteraria e la
filosofica, perocché lo scopo delle varie forme linguistiche non è menomamente
identico» C)«Anche la semplice nozione storica di un paese è assai collegata colla
conoscenza del suo idioma speciale. Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di
uno de' suoi tanti romanzi, il Ceretti dice: «Il mio protagonista studia vasi
sopratutto di famigliarizzarsi coi
singoli idiomche erano
svariatissimi e giudicava che la nozione à\ un certo paese supponesse quella
del minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale» (*). E vedemmo che
così si comportò nei suoi viaggi egli stesso. Quanto alla
questione circa la
preminenzadel toscano sugli altri dialetti nella nostra lingua
letteraria, ecco le osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano
originali, ma per dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo
avesse il Ceretti in ogni questione, che si affacciasse al suo intelletto: «La
lingua italiana possiede, come tutte le altre, il suo proprio genio
caratteristico, per il quale non può essere confusa con veruna delle lingue
romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e svariatissimi, si distinguono fra loro
singolarmente per il loro specifico carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli
dialetti d'una lingua altrimenti che l'italiana: questo avviene eperchè fra
tante differenze essi posseggono un caratter comune(') Memorie postunte,
Fasc.13, pag. 6. (') Itinerario di un inqualificabile, Fasc., i, pag. 14. Lo
Spirito oggettivo 393 grammaticale e lessicale; e l'unità dello spirito
italiano, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in questo
generalissimo tipo comune dei dialetti.
Oggidì da letterati si disputa seriamente se il solo toscano sia il tipo
classico della lingua italiana, ovvero se il genio della nostra lingua, essendo sparso in vari dialetti, si debba
ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione. Il
toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il
più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è
senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano; ma non si deve
dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto-sivoglia buona, è pur
sempre un dialetto, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente:
nessun popolo scrive come parla; le lingue parlate nascono e crescono nel
popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica
sviluppano il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze
progressive delle lettere e delle scienze. Ora questo materiale della lingua
parlata sarà tanto più sufficiente quanto più ampiamente sarà desunto da tutti
i dialetti italiani: ognuno di essi possiede certe locuzioni così proprie
all'idea, quali non sono specificamente possedute da verun altro. Di queste
precellenze particolari la lingua delle lettere e della scienza deve
liberamente approfittare e non immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia.
Seguitiamo il buon esempio del grande Alighieri,che, quantunque toscano, esordì
a scrivere la sua Commedia non nell'idioma toscano, ma in una lingua
veramente italiana. 394 ^ Spirito oggettivo.Molte forme grammaticali e lessiche
sono riducibili allo spirito generale della lingua italiana, talune non lo
sono: il buon criterio del letterato deve scernere quelle da queste, e, se
l'idea esige neologismi, li deve creare conformemente al genio della lingua, e
omogeneamente ai materiali idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella lingua
italiana. Coll'idioma esclusivamente toscano s'immiserisce
non solo la
lingua, ma con-
seguentemente anche l'idea, la
quale trascende le
limitazionilocali e popolari»
(*). Luigi Cerebotani. Keywords: implicature, la lingua e lo spirito
d’Italia, Hegel, il Tedesco e lo spirito della Germania. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Cerebotani” – The Swimming-Pool Library.
Grice
e Ceremonte: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Teacher
of Nerone. Member of the Porch. He took a materialist view of the world,
claiming that the gods should be IDENTIFIED with the planets, and that
everything in the world can be explained in physical terms.
Grice e Ceretti: l’implicatura
conversazionale del PASŒLOGICES SPECIMEN -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Intra).
Filosofo italiano. Grice: “I love Ceretti; and I wish Strawson would, too!
Ceretti distinguishes three stages in the development of a communication
system. The first is very primitive, obviously, and avoids the reference to
‘io’ and ‘tu’ as metaphysical – ‘hic’ and ‘nunc’ will do. The second stage he
says may be all that some societies need – ‘green’ for this plant – The third
stage involves the general concept of ‘plant’ and this is where a soul-endowed
entity (animal) can refer to a plant or to an animal like himself or his
companion – at this last stage, Ceretti speaks of ‘soul’ (anima), and the
affectations of the mind being what is communicated – if that’s not Griceian, I
do not know what is!” -- I suoi genitori, Pietro e da Caterina Rabbaglietti, di
condizioni agiate, lo affidarono all'insegnamento privato di ecclesiastici e
successivamente ai docenti del seminario di Arona dove si distinse per il suo
carattere refrattario ai vecchi metodi didattici e ribelle alle rigide regole
di disciplina. Quasi al termine degli studi si appassiona all'approfondimento
della lingua latina e alla composizione di poesie che lo fecero conoscere come
poeta a braccio. Frequenta come alunno esterno un collegio di gesuiti a Novara
dove risulta primo in retorica tanto che il suo maestro lo spinse a comporre la
tragedia “Il duca di Guisa” sulla base della Storia delle guerre civili di Francia
di Davila. Soggiorna successivamente a Firenze dove ebbe modo di frequentare i
membri del gabinetto Vieusseux.
Dedicatosi agli studi scientifici e storico-filologici e soprattutto a
quelli filosofici, scrisse il poemetto incompiuto Eleonora da Toledo dove dà
prova di penetrazione psicologica dei personaggi e di abile descrizione
ambientale. Nello stesso periodo compose poesia a contenuto filosofico, il
romanzo “Ultime lettere di un profugo” sul modello foscoliano, e infine le
riflessioni “Pellegrinaggio in Italia”, nate a seguito di numerosi viaggi
avventurosi per l'Europa in compagnia di zingari e vagabondi, che gli permisero
di apprendere diverse lingue. Opere queste che mostrano la singolarità del suo
mondo spirituale profondamente diverso e in contrasto con quello degli
altri. Soggiorna nella villetta "La
Chaumière", presso Chambéry, dove lavora alla “Pellegrinaggio in Italia” dato
alla stampe a Intra con lo pseudonimo d’Goreni. Trasferitosi alle Cascine a
Firenze, pubblica “La idea circa la genesi e la natura della Forza”. Adere
all'hegelismo, di cui tenta una revisione in senso soggettivistico in una
grande opera in latino, “Pasaelogices Specimen”, che non riscosse alcun
successo di pubblico. Decide quindi non pubblicare più nulla. Tuttavia continua
a comporre una grande varietà di saggi filosofici. Si dedica esclusivamente
alle meditazioni filosofiche espresse in numerose opere tra le quali i “Sogni e
favole” (Torino), le Grullerie poetiche (Torino) e le Massime e dialoghi
(Torino). La sua opera è stata pressoché
sconosciuta. Solo Gentile gli ha assegnato un ruolo di rilievo in “Le origini
della filosofia contemporanea in Italia” (‘C. e la corruzione dell'hegelismo’).
A lui oggi viene riconosciuta una certa influenza sul pensiero filosofico della
scuola torinese. e sulla formazione della filosofia di Martinetti. A lui è
dedicata la Biblioteca di Verbania. Dizionario Biografico degli Italianim Martinetti
C. “La natura logica di tutte le cose” e pubblicata presso la POMBA di Torino. Gentile.
Cfr. G. Colombo, La filosofia come soteriologia, Milano, Vigorelli. Dizionario biografico degli italiani, Opera Omnia D'Ercole, Torino, Vittore
Alemanni, C.. L'uomo, il poeta, il filosofo, Hoepli, Pasquale D'Ercole, La
filosofia della natura di C., POMBA, Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia,
Vita e Pensiero, Fiorenzo Ferrari, Il filosofo di Intra. L'idealismo di Ceretti,
in Verbanus, Vigorelli, Martinetti. La metafisica civile di un filosofo
dimenticato, Milano, Bruno Mondadori. L'uomo vuol essere considerato come
l’ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Questo
massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello sviluppo
minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre, considerato come
il frutto più recente dell'albero zoologico. E qui nasce oggidi rispetto all’uomo
una contestazione circa la sua produzione immediata o derivata da’ più prossimi
animali inferiori. Questa contestazione non può ammettersi dalla speculazione,
e neppure dalle discipline naturali empirico-induttive; ma la si agita sopra un
terreno affatto estraneo a quello della speculazione, e della scibilità
empirico-induttiva, fomentata da ogni sorta di passioni, partigiana di
religiosità, di moralità, e così via. È assurdo supporre che una specie si
tramuti in una nuova specie come tale; perocchè le specie sono mere distinzioni
teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non
facit saltum; e conseguentemente la distinzione caratteristica che costituisce
le specie “Homo sapiens” non risulta se non in quanto si prendono in
considerazione termini sufficientemente lontani e si trascurano i termini
intermedii. Infatti, se noi consideriamo gli animali superiori dell'albero
zoologico, nei quali le differenze ci sono più sensibilmente manifeste,
troveremo che le specie si suddividono in razze differenti fra loro sotto varii
rapporti, e che le razze si suddividono in varietà differenti, e che dette
varietà si suddividono in varii individui pur differenti fra loro. Inoltre,
troveremo che queste differenze sono a noi tanto più evidentemente manifeste
quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed a noi più vicina sia la
specie che si prende a considerare. La vera trasformazione della specie perciò
non si deve investigare nelle specie come tali, ma piuttosto nei minimi termini
della specie, ossia nella variazione individuale del specimen. Questa
variazione, tuttochè lentissima, modifica col volgere dei secoli le specie,
così come la conchiglia microscopica, variando la propria natura, varia il
terreno che ne risulta. Gli agenti che effettuano la suddetta progressiva variazione
sono di tre ordini, vale a dire: planetarii, psichici, e spirituali. Questi
agenti sono progressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella
efficacia spirituale. L’agenti del primo ordine planetario modifica
semplicemente il corpo e l’organismo, e indirettamente, ma assai lentamente, la
facoltà istintuale. E un agente puramente planetarii, p. es., la natura del
suolo e dell'aria, ossia generalmente il clima, la condizione geografica e
topografica, e cosi via. L’agente planetario si possono chiamare elementare,
perocchè opera su tutta l'animalità senza distinzione veruna, e sono
presupposti dagli altri agenti succennati. Si può dire in tesi generale che gli
animali inferiori non subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie
degli animali inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire
le modificazioni necessitate dalle progressive variazioni dell'aria e del suolo.
L’istinto delle specie animali inferiori e rigido e difficilmente modificabile,
appunto perchè e un istinti poco variato, che non puo neutralizzarsi fra se in
una ricca varietà di modificazione. L’agente del secondo ordine e psichico (e
no ‘psicologico’ ma veramente psichico), epperciò più intimo nell’organismo,
ossia più essenziale. Un agente psichico modifica l'animale nella sua intima facoltà,
ossia una attitudine, assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti
naturali succennali. Questo secondo agente e nella sua essenzialità un maggiore
sviluppo del primo agente naturale plantario, epperciò si manifesta nella
generazione susseguente come una profonda modificazione dell’organismo e
dell’sstintualità. Questa modificazione non e più mera variazione giusta una
astratta affinità, per le quale, p. es., una facoltà diventa minore di altra
facoltà, vale a dire, si manifesta come una pura variazione quantitativa
dell’istintualità. E una modificazione profonda che diventa la proprietà
caratteristica dell'animale (un tigre che tigrizza) e qualche volta e affatto
estranea e contra-dittoria o opposta, o contraria, alla facoltà della
generazione pre-esistente. Allora si dice che una nuove specie (Homo sapiens) e
venuta all'esistenza, e la vecchia si e spenta. La facoltà psichica si modifica
sulla base di un istinto più svariato, il quale si neutralizza appunto fra loro
tanto più facilmente quanto più svariati. L’istinto dell’animali inferiore e
tanto più fermo e rigido quanto meno
molteplice e svariato. Questa modificazione causata da un fattore psichico
modifica il sistema anatomico e fisiologico, perocchè non e possibile una
modificazione psichica sulla base d'una invariabilità anatomico-fisiologica. E
una modificazione profonde, la quale, se qualche volta poco modifica l'ordine
anatomico-fisiologico sensibilmente manifesto, e però effettuata piuttosto
nell’elementi anatomico, nel così detto ordine istologico. La modificazione
psichica non spetta, come quelle generali, ad una specie o ad una razza, ma
sono più profonde modificazioni dell’organismo e della corrispettiva
istintualità. Essa rifletta piuttosto la mera individualità animale, epperciò e
variabile indefinitamente. La condizione causale di questa modificazione e data
dalla ciscostanza nella quale versa un certo individuo animale. Cosi non è solo
la varia natura geografica e topografica del suolo e dell'aria in che vive, ma anche
i varii vegetabili e animali con che vive; perocchè dette varia condizione e
sufficiente a modificare l'anima (la psiche) dell'animale. Le delle varia
circostanza costringe un certo individuo a esercitare preferibilmente una certa
facoltà psichica, e per conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca
molteplicità e varietà della facoltà istintuale proprie della specie di “Homo
sapiens”, questa facoltà variamente si combina e si neutralizza. L’istinto cosi
neutralizzato, ossia radicalmente variato, si trasmette alla generazione
veniente; e cosi le condizioni succennate, variando l’atttudini dell’anima
individuale, preparano il terreno alla più ricca e più profonda azione del fattore
veramente spirituale. Il fattore spirituale modifica quell’attitudine che
appartene non alla specie, ma all'individuo animale, ed e un fattore che non
più modifica l'anima senziente, ma lo spirito (animus, psiche, sofflo) ideante
dell’animale. Tuttochè questo fattore, nel su concreto sviluppo, appartene allo
spirito umano, pure gli animali superiori (p. es., una scimia antropomorfa)
possegge un certo quale esercizio equivoco e parziale del suddetto fattore.
Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’individui più
vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani. È questa la ragione per
la quale l’animale non solamente si aggrega ma si organizza gerarchicamente
giusta un certi statuto di un sentimento comune. È importante che un individuo
animale possa profittare della proprie osservazione; perocchè dello profitto
provoca una maggiore perizia pratica, la quale dal più vecchio è partecipata al
più giovane e trasmessa alla generazione vegnente come una dialettica della
categoria istintuale che più tardi si sviluppe in una vera mentalità. La
categoria spirituale (spiritus, animus) funziona qui come sviluppata categoria
psichica (psiche), epperciò la lingua, il linguaggio e la communicazione, nel
suo amplo uso, vera sintesi e genesi manifesta della categoria spirituale,
arriva all’esistenza come linguaggio no planetario o naturale, ma puramente
psichico; o come linguaggio equivoco o misto, ossia psichico-spirituale; o come
linguaggio assolutamente o puramente spirituale o oggettivato (communicazione
proposizionale – la logica di tutte e cose). Qui non occorre accennare al terzo
ed ultimo stadio, ossia al linguaggio puramente o assolutamente spirituale,
proprietà *esclusiva* (alla Grice) dell'uomo o Homo sapiens sapiens, ma
solamente al primo stadio (psichico) e al secondo stadio (misto) del linguaggio
che nasce e si sviluppa nell’animalità sub-umana, pre-razionale. Il fattore
caratteristico di questa crisi, ossia lo sviluppo dell’anima senziente inter-soggetiva
nella spiritualità pensante proposizionale, è manifesto piuttosto dal
linguaggio ‘muto’ o il gesto di una emozione del corpo e principalmente di quell’emozione
della fisio-nomia. Quest’emozione formula un sistema comunicativo, in quantochè
manifesta una definita emozione intima con una certa categoria, che, non
essendo destinate alla mera soprevivenza o conservazione dello specimen o della
specie, non si puo chiamare semplicemente psichica, ovverosia istintuale. L’animale
sub-umano, p. es., lussureggia per una mera sensualità erotica – omo-erotica,
come Socrate ed Alcibiade --, la quale non può essere destinata in verun modo
alla propagazione della specie dei Grecci! Così pure due specimen giovani di
animale giocano (la lotta greco-romana) colla vivacità propria dell’età loro,
la qualcosa può giovare, ma indirettamente, all’educazione e destrezza
corporale dell’individualità. Così il padre non solo alimenta il suo figlio, ma
l’educa e disciplina ad una pratica operazione requisita dalla propria specie,
locchè dimostra che l’ingenita istintualità non puo bastare, ed abbisogna
dell’ammaestramento dell’osservazione data a lui che ha già vissuto praticamente
nella vita. Il linguaggio misto, o equivoco, ossia psichico-spirituale, è quel
tale sistema di comunicazione che non consta semplicemente di questo o quello
gesto, il quale segna non solo una definita emozione dell’animo, ma una certa
anfi-bologica determinazione della ‘mente’ (mentatio, mentare, mentire). Così,
per es., il cane, alla presentazione d'una cosa che altre volte fu nocivo, puo involuntariamente
fuggire guaiolando. Il gesto segna naturalmente la paura. Qui certo v’ha una
psichica emozione provocata da una simile cosa, ma quest’emozione del cane dev'essere
legata alla *memoria* della *sensazione* originaria, la quale memoria appunto
costituisce una determinazione *equivoca*, mista, psichica o
mentale-spirituale. L’animale superiore possesse una facoltà che incluse un
svariatissimo repertorio di questo o quello segno o gesto, mediante una
modulazione combinatorial di questa equivoca determinazione. Quando l’animale
arriva definitivamente alla soggettivazione della propria coscienza, ossia al
suo “lo” distinto categoricamente dal “non-lo” (cfr. Grice, “Privazione e
negazione), entra categoricamente nella coscienza spirituale – del spirito
oggetivo. Questo passaggio costituisce la creazione o mutazione o trasmutazione
o trassustanzazione (metaeousia) dell’uomo, Homo sapiens sapiens, e solamente
questo passaggio colla propria manifestazione può segnare un soggetto umano che
puo attuare in inter-soggetivita con un altro soggeto umano. Qui l’”umanismo” si
manifesta categoricamente nel proprio caratteristico (la definita soggettivazione
del ‘ego’ come ‘ego’ e del ‘tu’ come ‘tu’), e si manifesta colla parola (parabola)
non certo col documento anatomico-fisiologico, che non puo bastare se non a
certa ampla generalità della distinzione o del genus animale. Prima di entrare
a caratterizzare questa crisi importantissima, ossia lo sviluppo dell’anima
nello spirito, dobbiamo assumere la speculazione retro-spettiva della coscienza
da un ordine uranico nel ordine planetario e nel ordine vegeto-animale. In un
ordine uranico, la coscienza procede verso un’individuazione dalla nebulosa al
cometa, al sole ed al pianeta. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo,
assai più caratteristico di quell’antichissima vaga definizione dell'uomo ragionevole,
animale rationale homo est, è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione
di questa soggettivazione è fatta con l’inezzo spiritualmente formolato. Conformemente
a ciò, più innanzi, l’uomo (Homo sapiens sapiens) è designato anzi definito
come coscienza inter-soggettivata. Quest’individuazione, qualunque la si voglia
supporre, non può essere una soggettivazione; perocchè l'individuo (Erberto) non
si distingue dalla specie (Homo sapiens sapiens), e le varie specie dei corpi
celesti si confondono colle varie età di un solo individuo. Cosi pure,
speculando in un ordine generalissimo, una specie animale e una età
dell’animalità. Nella specie animale piu infima, l'individuo si distingue dalla
specie (una rosa piu bella dall’altra). Nella specie animale superiore, non solo lo specimen si distingue dalla
specie, ma anche il soggetto dallo specimen ė progressivamente distinto. Cosi,
p. es., il corpo di un animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate
ed organizzate fra loro, le quali, svolgendosi dall’una in altra fase,
costituiscono l’organo (dell’organismo), l’apparecchio, e la funzione vitale
dell’animale. Ma la coscienza resuntiva di questo individuo vivente è
nell’organismo dell’animale concreto, e non negli animalcoli gregarii che lo costituiscono.
L'animale resuntivo della propria soggettività costituisce lo svolgimento del
senso del pensiero. Qui dobbiamo definire la distinzione del senso e del
pensiero. Il senso non può supporsi astratto dalla coscienza; perocchè in
questo caso sarebbe un senso che non sente (il senso non sente, l’animale
sente), ma può supporsi astratto dalla *co-scienza* del senso; perocchè la co-scienza
e il senso funzionano indistintamente. Finchè la co-scienza non si distingue
categoricamente dal proprio oggetto. E una co-scienza identica alla sua forma
esteriore, la quale è una sensibile esistenza. Quando però la co-scienza si
distingue categoricamente dal proprio oggetto, allora dice: “Io sono e
l'oggetto è” – “Io sono quello che sono, e l’oggetto quello che è, cioè l’ “lo”
e il “non-lo” (p. es., il tu) *siamo* due termini distinti in relazione
d’intersoggetivita. Quest’idea fondamentale che si percepisce un “lo”
(pirothood) è la soggettività; ossia, la nascita dello spirito. Nascita dello
spirito e nascita del pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente
in questo. A conferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei
vuole fare appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel
susseguente paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il
principio sensitivo non come pura e semplice *sensazione*, ma come *sentimento*.
Sulla predetta distinzione, del resto, ritorno nei paragrafi susseguenti. Lo
spirito consta di tre fasi: il sentimento (aisthetikon), l’intelletto (noetikon)
ed il concetto – il A e B – concetto soggetto, concetto predicato). Lo spirito
nel sentimento è uno spirito immediato che poco si distingue dall’anima
senziente. Ma quest’anima senziente appartiene allo spirito, perocchè si *percepisce*
soggetto (un ‘lo’). Il sentimento consta di tre termini: l’attenzione (la
risposta ad un stimolo), la memoria (il riflesso condizionato), e l’imaginazione
(la risposta ipotetica o condizionale). La funzione più o meno complessa di
questi tre termini crea la *soggettività*, che lentamente si svolge dal
sensibile nel cogitabile (co-gitatum, cogito; ergo sum). L’attenzione deve funzionare
nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve *sentire* *che* il senso della
natura – ossia, l’istinto -- più non gli basta. Questo sentimento dell’insufficienza
del proprio istinto l’avverte *che* necessita osservare ed imparare la pratica
della vita. E la prima funzione della mentalità. Epperciò la lingua ariana
conserva più la traccia della parentela del concetto di “manere” e “mens” -- quasichè
pensare e fermarsi, ossia il soggeto ferma l’attenzione sopra un oggetto – che
puo essere un altro soggetto --, siano due operazioni molto affini. Veramente,
tuttochè sommamente dissomiglino queste operazioni, nella loro sensibile inanifestazione
esteriore s’identificano in un fatto comune, quello dell’arrestarsi – la
risposta ad un stimolo. La co-scienza che fissa l’attenzione sopra un oggetto
(che puo essere un altro soggetto), cerca nell’oggetto qualcosa *oltre* il sensibile
immediato, quando esso oggetto non sia la funzione di una mera sensazione immanente,
ma la funzione di una sensazione trascendente. Una seconda funzione del
sentimento è la memoria. Mediante la memoria, una sensazione o attenzione
presente si può risuscitare quando non sia più presente. La co-scienza
attentiva all'oggetto studia un oggetto esteriore ed abbisogna della presenza
di esso oggetto per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa
l’oggetto osservato (che puo essere il ‘lo’ – l’identita personale come
memoria), epperciò si costituisce in-dipendente dalla presenza del medesimo
oggetto. Una terza funzione del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione
non solo conserva l’oggetto osservato, ma *crea* l'oggetto possibile che non ha
osservato. Questa funzione emancipa o libera la co-scienza, non solo, come la memoria,
dalla presenza dell’oggetto (s’ricorda o imagina un oggetto assente), ma anche
dalla sensibile esteriore realtà del medesimo oggetto, epperciò l’imaginazione
può liberamente crearsi una propria oggettività, alla Meinong. Questa facoltà
crea non solo l’oggetto composto (compesso combinato) di due oggetti (obble 1 e
obble 2) osservati, ossia non crea solo la mera composizione, addizione o
combinazione, ma puo creare un oggetto che non consta di questo o quello
elemento osservato, ma un oggetto radicalmente imaginario (un circolo quadrato,
un numero imaginario), tuttochè le semplici categorie dello spirito e della
natura debbano necessariamente fornire all’imaginazione se stesse per possibilitare
questa creazione imaginativa o predittiva. Il passaggio dalla coscienza
senziente alla cogitante, ossia dalla bestia all’uomo, è pure una progressiva
distinzione della co-scienza in soggettiva ed intersoggetiva. Qui la distinzione
de soggetivita e intersoggetivita è una mera distinzione generale dell'”io” dal
“non-io” (il ‘tu’). L’ “io” si suppone vivente e pensante *altro* dal non-io
(il tu, in combinazione, il noi), in sè stesso parimenti vivente e pensante. La
natura si rivela come un *popolo*, popolazione, aggreggato, organismo sociale,
di piroti viventi e di pensanti, non si suppone ancora l'altro dal vivente-pensante,
ossia il non-vivente e il non-pensante. Si suppone semplicemente l’altro dal
moio lo vivente e pensante. Perciò la natura uranica, la terrestre,
stochiologica e minerale, la vegetabile o l’animale si suppone distinta dal mio
io, non però distinta dall’io generalmente parlando, ossia si suppone possedere
un loro io analogo a quello della mia co-scienza. Esaminate la radice, ossia
gli antichissimi elementi della comunicazione e troverete ogni dove segnata
l'universa natura (physis) come vivente e pensante analogicamente alla mia co-scienza.
Non vi troverete mai la natura morta colla sua forza cieca, governata da
necessità parimenti cieca, vale a dire, la natura della riflessione. Il
sentimento esplicito dalla mia co-scienza soggettiva può essere comunicato
dall'uno all'altro individuo. È questa comunicazione (o conversazione, nel
senso biblico) la prima proprietà per cui una idea cogitabile è distinta da una
mera sensazione per definizione non-condivisibile. Nessun sistema di
comunicazione puo fornire una sensazione, se questa non sia stata data dal
senso (il ‘dato del senso) come tale – nihil est in communicatione quo prius
non fuerit in sensu). Potrò, p. es., parlare in qualsivoglia modo di un oggetti
visibile. Ma un cieco nato non puo mai ne sentire ne comprendere che sia la
visibilità. Se un soggetto abbia un tempo posseduta la facoltà visiva puo,
parlando di un oggetto veduto, richiamarli alla memoria quasi visibilmente
presente, ma non puo mai fare che tale visione sostituisca la concreta visibile
realtà colla semplice imaginazione. La prima conseguenza della co-scienza
senziente che si sviluppa nella cogitante è che, siccome l’idea o concetto come
tale, ossia nella forma della co-scienza cogitante, può essere *trasmessa* (il
trasmesso) dal l'uno soggeto all'altro soggetto, non può essere trasmesso il
senso come tale, ossia nella forma della co-scienza senziente. Cosi un soggetto
è abilitato a sapere quello che non egli, ma l’altro soggetto ha percepito col
senso (“Una serpe!”), oppure quello che egli in altro tempo ha percepito col
senso, oppure indurre un’idea da quello che presentemente percepisce col senso.
Cosi, p. es., la pecora condotta al macello *vede* macellare la sua simile e fortunatamente
non solo *non* induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce
che questa presente operazione segna un'uccisione; perocchè non possiede l'idea
o il concetto della morte. Cosi il soggetto pensante o intellettivo può sapere
quello che il senziente non può sapere, e questo sapere nasce dalla facoltà
cogitativa o concettuale, per la quale da una sensazione si astrae un’idea
generale o un concetto. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel passato
colla memoria, e nell'avvenire (possibile o reale) coll'imaginazione; il
soggetto senziente, o bestia, vive astrattamente nella sua sensazione presente.
In virtù della sensazione che non può essere indotta in un’idea, egli non
possiede, come il pensante, la distinzione di una natura predominante ed
insubordinabile al soggetto e di una natura subordinabile e passibile del
soggetto. Quest’idea prototipa della forza è un’idea cardinale dello spirito, è
stata il primo germe del sacro. Osservate il sacro e lo troverete Dio, non
perchè sommamente ragionevole, ma perchè onnipotente. Nella religione
spiritualmente più adulta rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto
che quella della ragionevolezza, l’attributo eminentissimo del sacro. Mediante
questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato, di
essere stato lattante, di essere stato partorito, e cosi pure può sapere che
OGNI soggetto, nessuno eccettuato, non vissi oltre una certa mnassima età, ma
morirono in quella o prima di quella. Conseguentemente egli sa *che* il soggetto
non solo nasce (si genera) e muore (corruption), ma può nascere in varie
condizioni e morire in qualsivoglia momento della sua vita. La nozione della
nascita e della morte del soggetto è un fenomeno della co-scienza realizzato la
prima volta che la co-scienza senzienle si svolge nella pensante; perciò
sapientemente nella “Genesi” è detto che l’uomo (Adamo) prima di peccare, ossia
di gustare il frutto del bene e del male, non moriva, ed avendolo gustato dovrà
morire. Veramente la co-scienza senziente non può sapere di nascere e di
morire; perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione *trasmessa* (il
trasmesso) da un soggeto ad altro soggetto, ovvero un'idea indotta dal fatto
costante della morte. Questa crisi della co-scienza, ci manifesta che la co-scienza,
dalla sensazione svolgendosi nella mentalità, procede in un sistema di
distinzioni ideali o possibile o concettuali e astratte che non sono possibili
nella mera sensazione. La mentalità, che nasce dalla sensazione, è prototipicamente
*imitatrice* o inconica della sensazione, e porta seco nel suo sviluppo la *forma
logica* della sensazione stessa, che progressivamente si trasforma in quella
del pensiero. La mentalità è prototipicamente sentiment e funziona in tre caratteristiche
funzioni -- attenzione, memoria, ed imaginazione. Da queste tre prototipiche
funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La
mentalità non più vive nell’immediata sensazione ma crea il conflato
temporaneo, e vive nella retrospettiva del passato, e nella prospettiva
dell'avvenire. Questo conflato temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre
l’immediato sensibile presente, e conseguentemente un'idealità inducibile
dall'osservazione. Da quest’osservazione nasce una seconda idea elementare
della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza
subordinabile alla nostra. Di qui la mentalità si esercita per subordinare le
forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un
fatto costante che l’uomo nasce e muore, e finalmente che *io*, come uomo, ma
no come persona, sono nato e devo morire. L'idea della morte come necessità,
tuttochè sembri un’idea comunissima, è lungi dall'essere tale. La co-scienza
primitiva, come quella di certi selvaggi oggidi viventi, percepisce la morte
come un fatto costante. Ma, come la riſlessione, non arguisce punto che questo
fatto, tuttochè costante, sia necessario. Suppongono questi selvaggi che la
natura umana o sovrumana abbia sempre ucciso l’uomo. Ma suppongono parimenti
che quest'uccisione non sia una necessità, ma una sfortunata accidentalità. La
co-scienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un
sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria
determinazione individuale. Ma proprie determinazioni non affettano un sistema
generale della co-scienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune. Mentre
questo sistema generale della co-scienza è pienamente uniforme al senso comune,
il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo sistema
si aliena dal senso comune in on sistema d'idealità più misteriosa, e trascende
con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si dice, che
questo soggetto è inspirato, ossia profetico, taumaturgico, e così via.
Generalmente parlando, questa co-scienza trascendente subordina la comune, come
provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità romana ed etrusca. Quando il soggetto si
aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità prestigiosa, ed
esercita una pratica contradittoria o contraria o opposta a sè stessa, ovvero
incompatibile colle esigenze generali della pratica oggettività, allora si dice
che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente. L'alienazione
vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal mero senso
comune (in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi furono
alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze pratiche
dell'oggettività naturale e spirituale (in questo senso gli alienati sono
coloro che comunemente si chiamano pazzi). La co-scienza trascendentale, ossia
la co-scienza dominata dall'idealismo, co-scienza essenzialmente poetica, è il
polo opposto della co-scienza dominata dalla sensazione, co-scienza essenzialmente
prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità, a
questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura
primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di
quest'opposizione archetipica della sua storia. La funzione più essenziale e
più generale della mentalità è la comunicazione (il trasmesso). Il primo stadio
del trasmesso è l'uso di una radice designativa – de-segna – segna. Qui io non
segno che una presentazione o un modo di una presentazione, e sempre si riduce
alle semplici categorie dello spazio e del tempo. Il pronome personali non fu
primitivamente io e tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a
questo primo stadio della lingua, ma, “qui”, “là” (Bradley, this, that, and
th’other, thatness, thisness), ecc., categorie dello spazio. Un sistema di
comunicazione che consta di radici semplicemente per la che io de-segno non può
soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo
stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo stadio.
Il secondo stadio consta della combinazione di una radice con la che de-segno
con una radice pre-dicativa, ma tuttavia legate a una sensibile determinazione;
cosi, p. es., per designare un oggetto, si sceglie l'attributo sensibile più
esplicito in quel l'oggetto, p.es., il verde per designar la pianta, il bianco
per designer la neve. Quest’attributo sensibile, sendo necessariamente variabile
o contingente nell'oggetto, non può costituire una specie. In questo secondo
stadio si trovano molte lingue dei selvaggi o barbari, i quali scelgono un
attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente non possono
arrivare a formolare le specie o il genus o l’universale, ma semplicemente
oggetti in certe sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria
della mentalità esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggelto;
come, p. es., define la pianta non l'individuo verde, ma l’individuo polare, i
cui poli cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende
ogni pianta; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della
pianta. Il gesto è posseduto da ogni animale come inezzo psichico di movimenti
o di formalità; ma il gesto che caratterizza la soggettività è appunto il
trasmesso psichico che si svolse nella spirituale. La prima radice segna una
mera affezioni dell'anima e più tardi si svolse in un segnato meta-forico, per
rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il canale
fisico *espresso* dall'anima e l'anima esprimente (segnante) è quello stesso
rapporto, ma più complesso, per il quale un animale segna con un certo definite
gesto certa definite affezione della sua anima. L'uomo, sviluppando in sè
stesso la propria mentalità e l’inezzo per segnarla, si conobbe come specie
comune. Il primo sistema di comunicazione quasi naturale deve essere stato
pressochè identico in ogni umano, come ogni pecora bela, ogni cani abbaia ed
urla. Dovette essere un inezzo nato con lui e trasmesso senza il minimo bisogno
di convenzionalismo e di pratica convivenza per essere capita. La
communicazione è stata realmente uno degli argomenti più favoriti e più frequentemente
trattati dal filosofo, il quale la conosceva, ed a fondo, in molte forme
antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha trattato,
infatti, in molte sue opere. Ne ha accennato nel primo volume della sua grande
opera, cioè Saggio circa la ragione
logica di tutte le cose “Prolegomeni,, Torino, pag. 43 e ss. (confr. anche ibid.,
pag. 291 e susseguenti). Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già
pubblicale in Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale, pag. 26 e seg.;
nella Introduzione alla cultura generale (facente parte del predetto vol.),
pag. 120 e seguenti. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite.
L'uomo che possedette questo sistema di communicazione visse nelle foreste in una
aggregazione o società piuttosto fortuita, poco dissimili da quelle dei
quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo
facea più fragile degli altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa
nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria
scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello
dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore
o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario.
Le aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità
dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è caratteristicamente
manifestata dalla perversione di certi istinti essenzialissimi alla
conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es., nessuna specie animale
s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi mangiano indifferentemente i
loro nemici, amici, consanguinei, figliuoli, ed alimentano le donne, affinchè
ingrassino e siano buone a essere mangiate quando partoriscono più figliuoli da
mangiare. Quest’enorme perversione d’un istinto cosi radicale (l’affezione alla
progenitura) segna quanto sia profonda la crisi che svolge l'istintualità nella
mentalità. Sono certo che la quasi totalità de’ filosofi non sarà d'accordo su
questo puntoe riterrà l’associazione umana come una necessità e non già come
un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da
lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo
particolare carattere. E una mentalita che si manifesta come un'orribile
perversione dell'istinto, ma è una mentalità volente, non un mero modo
d'ingenita istintualità. Questo titolo è quello, che nonostante la massima
perversione, può nobilitare l’uomo antropofago sopra la bestia istintualmente
tutrice della prole. Cosi pure, relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio
o barbaro in procinto di essere cattivato dai suoi nemici, può suicidarsi, la
bestia non mai (penguino?). L'istinto della propria conservazione individuale è
un istinto comune a tutti i viventi nella natura, come pure quello della
conservazione della propria specie non offre eccezione veruna nel regno della
natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno generalissimo della vita si trovano
fra gli animali pensanti come il penguino. Tuttochè qui dobbiamo parlare del
soggetto della natura, astratto da qualsivoglia organizzazione necessitata
dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii caratteristici della
comunicazione, come quella che può essere comunicata da soggetto a soggett, senza
convenzione, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla
nessuna organizzazione. La comunicazione appartiene cosi al soggetto solitario
(il Deutero-Esperanto di Grice ch’inventa al bagno) come al soggetto socievole,
e generalmente al soggetto solitario che profitta segnatamente delle occasioni
dell’amore. L’uomo solitario pratica qualche volta questo rapporto colla
femmina come un mero rapporto erotico occasionale. Abbandona la femmina alle
conseguenze della fecondità, non conosce i suoi figliuoli che sono allattati,
nudriti ed educati dalla madre. Ma la comunicazione, che persuase la copula
dell'amore, è la medesima colla quale la madre educa i suoi figliuoli. Cosi la
comunicazione può dirsi radicalmente una creazione della specie ed assume
dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa della spiritualità. Si
può dire in tesi generale che la comunicazione genera la storia nella sua più
semplice elementarità; e dallo svolgimento della lingua si conosce lo svolgimento
dell'umana mentalità e conseguentemente, delle gesta che ne sono conseguite. Mi
furono mandati a casa, in Torino, dal benemerito libraio Loescher tre
grossissimi volumi intitolati Paselogices Specimen Theoo editum. Intri, etc. Un
filosofo di nome Teofilo Eleutero è a tutti ignoto; e non fu poca la mia mera
viglia nel vedere come un'opera filosofica così voluminosa, scritta e stampata
in latino, avesse potuto sfuggirmi; giacchè, come adesso ancora nella mia tarda
età, specialmente allora ho sempre seguito con vivo interesse il movimento
filosofico. La curiosità quindi di sapere chi egli fosse, e qual valore avesse,
mi fe' tosto gittare gli occhi sul primo volume che portava la designazione di
Prolegomena, e che, come subito vidi, era una Introduzione, o Propedeutica che
voglia dirsi, a tutta l'opera. La mia meraviglia crebbe dopo la lettura delle
prime pagine del volume, tanto più che ad essa si congiunse il sentimento del
l'ammirazione: sentimento che col proseguimento della lettura di venne un vero
entusiasmo. Io mi trovava dinanzi ad un hegeliano, e, per giunta, un hegeliano
di alto ingegno e di larghi propo siti: i quali propositi erano nientemeno che
quelli di una Riforma dell'hegelianismo mediante principii dell'hegelianismo
stesso. Comunicai la mia impressione e il mio entusiasmo al signor Loescher, il
quale m'informò che l'autore dell'opera era un intrese, di nome C., dalla cui
figlia aveva ricevuto l'esemplare dell'opera che mandò a me per prenderne
conoscenza. L'impres sione e l'entusiamo potettero ancora, per mezzo della
figlia, essere comunicati al filosofo, che era già assai infermo e che poco di
poi morì della malattia che da parecchi anni lo travagliava, la paralisi
progressiva. Io continuai, naturalmente, a leggere e stu diare la preziosa
opera, ed è di essa che accennerò maggiormente in questo ricordo del filosofo,
essendo essa indubbiamente il maggior titolo del valore e della posizione
filosofica del medesimo. Senonchè, a render meno incompiuto il ricordo, mi si
conceda che rilevi alcuni altri particolari della sua complessa personalità.
Per cio che concerne biografia e bibliografia mi limiterò alle poche notizie
seguenti. Assolti bene o male, anzi piuttosto male che bene, i primi elementi
della sua istruzione, comincia a trarre qualche profitto in un collegio di gesuiti
a Novara. È una singolare circostanza questa, che un uomo che ebbe sempre uno
spirito non solo diverso, ma anche opposto a quello de' gesuiti, avesse proprio
da questi avuto il primo impulso e il primo profitto agli studi Ma un profitto
maggiore e un vero inizio di studi serii sono da lui fatti a Firenze, ove si
reca subito dopo, mettendosi in relazione cogli uomini del famoso Gabinetto
Viessieux e consacrandosi tutto agli studî' di lingue, lettere e scienze.
Quanto a lingue, tra il tempo che e a Firenze e gli anni che immediatamente
seguirono, ne apprese parecchie tra antiche e moderne, allo scopo non solo di
legger la filosofia negli idiomi originali, ma anche di viaggiare, per prender
diretta notizia di uomini e cose. Infatti, comincia subito a viaggiare
percorrendo in lungo e in largo non solo l'Italia, ma anche la Svizzera, la
Francia, la Germania, l'Olanda e l'Inghilterra. Gli studî che fa nella prima
giovinezza si allargano e diveneno più intensi, quando dopo i viaggi si ritira
nella nativa Intra, nella quale accanto agli studi comincia anche a scrivere
opere di vario genere, segnatamente filosofiche. Nella sua carriera di filosofo
passa per varie fasi, che io (nella mia opera intitolata Notizia degli scritti
e del pensiero filosofico di Ceretti) designo e describo come fase poetica,
fase filosofica in genere ed hegeliana in ispecie, fase di transizione, fase
utopistica e riformativa della società civile, e fase ultima del pensiero
cerettiano, la quale è quella del cosìdetto sistema contemplativo. Ad ognuna di
queste fasi corrispondono opere, e non poche, che si muovono nell’orbita del
pensiero cerettiano gradatamente svolgentesi ed esprimentesi in essa. Le quali
opere, se si considera il complesso di esse tutte, costituiscono una massa
addirittura ingente, che versa su tutte le parti dello scibile. E, infatti, un filosofo
universale. Tanto per dare una idea della predetta massa di saggi, ricordo innanzi
tutto quelli che si riferiscono alla fase poetica, la quale gli scalda tanto la
mente ed il cuore, che gli fe ' dire: Cari poeti, voi dell'alma mia foste il
primo verissimo Messia. Ad essa appartengono le opere poetiche di genere romantico:
Eleonora di Toledo; il Prometeo; il Pellegrinaggio in Italia; le Poesie liriche:
inoltre, queste altre di genere giocoso, satirico e filosofico e scritte anche
in tempo posteriore alla giovinezza: le Avventure di Cecchino, e le Grullerie
poetiche. A queste opere scritte in versi se ne potrebbe aggiungere un'altra
scritta in prosa e pur facente parte di questa prima fase, cioè quella
intitolata Ultime Lettere d'un profugo e costituente un romanzo sul genere del
Werther di Goethe e del Jacopo Ortis di Foscolo. Questa prima fase nella quale
la sua mente è ancora incomposta ed in via di formazione – è caratterizzata
dall'aspirazione di lui ad incarnare in sè stesso i pensieri e i sentimenti de'
grandi uomini del suo tempo e di quello che immediatamente lo precede
(Cenobium). Il che egli stesso riepiloga ed esprime dicendo. In giovinezza io
fui innamorato e delirante alla Werther, patriota furibondo alla Ortis,
stravagante alla Byron, dolorante alla Leopardi, misantropico alla Rousseau,
satanico alla Voltaire, ateo materialista alla La Mettrie, e finalmente
miserabile alla mia propria maniera. Alla seconda fase, che contiene la sua
filosofia più eminente e più compiuta, appartiene -- oltre ad un primo abbozzo
di opera intitolata Idea circa la genesi e la natura della forza — la grande
opera latina predetta “Pasælogices Specimen”. La filosofia di questa fase ha il
fondo hegeliano, ma però da lui riformato. Le ultime fasi costituiscono poi una
ulteriore deviazione tanto dal pensiero hegeliano in genere, quanto
dall'istesso pensiero hegeliano da lui riformato ed esposto in que st'ultima.
Come prima deviazione e ad un tempo come transizione alle fasi susseguenti si
possono considerare la “Sinossi del l'Enciclopedia speculative”, le “Considerazioni
sul sistema della natura e dello spirito; l'Insegnamento filosofico: le quali saggi
hanno ancora spiccatamente il carattere di filosofia teoretica ed
enciclopedica. La nota principale della suddetta deviazione è che al logo
assoluto, il quale nella grande opera latina diviene il principio cerettiano
riformativo dell'Idea hegeliana, viene più de terminatamente e accentuatamente
sostituito il principio della coscienza assoluta, Coscienza, che, a dir vero, e
già apparsa nella stessa opera latina. Quale ulteriore deviazione, ma
specificamente appartenenti alla fase utopistica riformativa della società civile,
si ricordano le opere intitolate “Sogni e favole” e “Proposta di una riforma
civile”. Oltre ad esse, vanno ricordate anche queste altre, le quali però sono
scritte in forma di romanzi, cioè, i Viaggi utopistici; l'Inconcludente; Don
Simplicio; Don Gregorio; il Protagonista, e qualche altra. La deviazione
massima è in quegli altri saggi, che rappresentano più spiccatamente l'ultima
fase, nella quale perviene ad una specie di subbiettivismo nullistico, da lui
designato, come è detto, col nome di sistema contemplativo. I pensieri di
quest'ultima fase appaiono in parecchi altri scritti dell'ultimo tempo di sua
vita, come per esempio, per nominarne alcuni, nella Vita di Caramella e nelle
Memorie postume. Ma gli scritti mentovati delle diverse fasi, benchè già numerosi,
non costituiscono neppur gli scritti tutti del filosofo d'Intra, essendovene
una quantità ancora notevole, che possono esser nominati scritti varii ed ai
quali appartengono: Biografie, Autobiografie (tra queste, notevolissima, La mia
Celebrità), Commedie, Novelle morali, ecc. e persino un Trattato d'Astronomia e
un Trattato di Medicina. Come vede il lettore, quella che io chiamava una
ingente massa di scritti, e versante sulla universalità dello scibile, non è
una denominazione esagerata, ma interamente reale. E ciò basti a dare una idea
sommaria degli scritti del filosofo intrese. Per cio che concerne il filosofo
propriamente detto, va considerato rispetto al corso della filosofia in genere
ed al periodo filosofico idealistico tedesco in ispecie, nel qual periodo si
riattacca alla maggiore manifestazione speculativa del medesimo, che è la
hegeliana. Si apparecchiò a pigliare il suo posto in quest'ultima, con uno
studio e conoscenza non comune, primamente delle varie discipline dello
scibile, sopratutto di quelle concernenti la Storia universale e le Scienze
positive e naturali d'ogni specie; secondamente, di quelle attinenti alla filosofia
propriamente detta. Rispetto a quest'ultima, è veramente ammirabile l'opera del
nostro filosofo, che – dopo i suoi profondi studi sui filosofi delle diverse
età (non esclusa quella stessa della filosofia indiana ) e in genere ne' testi
originali de' medesimi ne ha dato un saggio notevolissimo egli stesso nel primo
volume della sua opera latina, cioè ne' mentovati Prolegomeni. Ma nella Storia
della filosofia uno de' periodi che più studia e conosciuto è il predetto
periodo filosofico tedesco sì ne' filosofi massimi di essa, come Kant, Fichte,
Schelling ed Hegel, si ne' secondarii e pur importanti del medesimo, come
Herbart, Schopenhauer ed altri. In questo periodo e naturale che quello che
massimamente attraesse e legasse il suo spirito fosse Hegel, siccome quello che
compendia in sè, primamente la Storia filosofica generale e, in secondo luogo,
lo stesso speciale periodo tedesco. Hegel, in fatti, è da lui considerato come
quello che ha raggiunta la più alta forma di speculazione nella scienza filosofica,
sopratutto nella disciplina logica. Considerando il filosofo tedesco in tal
modo, è naturale che nel complesso ne accogliesse le idee e si riattaccasse a
lui. Senonchè, pur accogliendole, non le riteneva scevre di vizii o errori che
voglian dirsi. In conseguenza di ciò si propose da una parte, di additare
questi vizii, dall'altra, di correggerli. E la correzione, che costituiva per
lui una riformazione dell'hegelianismo, non è poi altro che la filosofia
cerettiana stessa, quale è concepita ed esposta nella predetta grande opera
latina. Ciò posto, seguiamo ora tal pensiero filosofico cerettiano ne suoi
tratti fondamentali. Primamente, accogliendo l'hegelianismo come la predetta
suprema manifestazione della coscienza filosofica, ei l'accoglie nel general
fondo e pensiero del medesimo, fondo e pensiere, che vengono da lui riassunti
ne' seguenti principii generali. Primo, L'assoluto è l'Idea. Secondo, l'Idea
concreta è lo spirito. Terzo, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito è
l'Idea logica. Inoltre, l'evoluzione dialettica del l'Idea, nella quale
evoluzione consiste il processo metodico di quest'ultima, avviene e deve
avvenire secondo la Nozione, ossia secondo il Concetto, come dice Hegel (dem
Begriffe nach). Rispetto a tali principii designati come hegeliani non che come
veri e inoppugnabili, e quindi da lui stesso accolti, va però osservato, che di
essi non può essere ritenuto come schiettamente e veramente hegeliano il terzo;
giacchè, secondo Hegel, l'essenza concreta ed assoluta dello Spirito non è
l'Idea logica. Questa è per Hegel l’Idea pura e semplice soltanto, e però
immediata ed astratta, non ancora dialetticamente esplicata e, mediante
l'esplicazione, fatta concreta. L'essenza assoluta e concreta dello Spirito è
per lui invece l’Idea che da puramente e semplicemente logica (da Idea logica )
si è estrinsecata nella Natura (cioè si è fatta Idea naturale o Natura), e,
attraverso di questa, è giunta a coscienza di sè, ossia è divenuta spirituale,
o, che vale lo stesso, è divenuta Spirito. In altri termini, l'essenza concreta
assoluta dello spirito è la coscienza dell'idea, ovvero è l'idea conscia di sé,
mentre l'idea logica hegeliana è ancora inconscia. Per cio che concerne i
mancamenti e vizii della dottrina hegeliana, essi, secondo C. concernono
l'evoluzione dialettica dell’idea, o, che vale lo stesso, concernono l'idea nel
suo processo (esplicazione) dialettico. Un primo vizio generale in tale
evoluzione è per lui quello che nella logica hegeliana concerne il prius e il risultato
dell'idea. Notoriamente per Hegel, benchè l'idea sia, da una parte, il
principio universale assoluto, e, dall'altra il principio iniziale
dell'evoluzione dialettica assoluta, principio iniziale che farebbe come il prius
ideale dialettico, pur non di meno pel filosofo tedesco il vero prius dell'idea
non è questo iniziale, ma quello finale a cui l'idea perviene come risultato
del processo dialettico, risultato finale che è propriamente lo spirito, ossia
l'idea pervenuta a coscienza di sè. È per questo che Hegel sostiene che il vero
prius non è l'idea logica, ossia l'idea pura ed estratta, ma lo spirito, che è
l'idea che col processo dialettico si è fatta veramente reale e concreta. Or
questo prius che Hegel pensa e pone come vero è invece dal Ceretti ritenuto
falso, perchè pensato ed ottenuto secondo un procedimento dialettico
prestigioso e sconforme al vero ordine logico, che deve avere e seguire il logo
(logo che, come tosto si vedrà, è il principio specifico assoluto cerettiano
sostituito all’idea hegeliana). Accanto a questo vizio generale, trova e addita
vizii particolari affettanti l'idea come logica naturale e spirituale. I vizii
spettanti all'idea logica e al corrispondente processo dialettico sono tre. Il
primo vizio è che nell'esplicazione dialettica dell'idea logica la genesi di
questa sia una genesi della nozione dalla non-nozione. Il secondo vizio è che
l'esplicazione dialettica dell'idea logica è piuttosto un'astratta esplicazione
delle categorie, anzichè un concreto un rimmanente processo di esplicazione ed IMPLICAZIONE.
Il terzo vizio è che il processo dialettico dell'idea logica hegeliana è
piuttosto un logo astratto astrattamente esplicantesi e riassumentesi insultato,
anzichè la sanzione (o affermazione) di sè stesso nella concreta immanente ed
assoluta verificazione della propria posizione, dialettica e riassunzione. Il
primo de' tre vizii indicati, riproducendo il mentovato general vizio del prius,
ei lo determina meglio designandolo come processo inconscio dell'idea logica,
processo che Hegel pensa appunto come inconscio ed C. pensa e vuole invece come
conscio. E può dirsi che su tal coscienza dell'idea logica poggia il punto
cardinale della differenza dell'idea hegeliana dal logo cerettiano. Quanto al
vizio concernente l'idea naturale, esso è in grosso quello stesso
dell'astrattezza, testè rilevato, o, che vale lo stesso, della non raggiunta
realtà dell'idea nel farsi naturale. Infatti, l'idea logica, estrinsecandosi e
divenendo natura, rimane in quello stato astratto e puramente e semplicemente
ideale che ha come idea logica, e non giunge a veramente naturarsi, com'ei dice,
cioè a farsi vera realtà naturale. E finalmente, quanto allo spirito, od idea
hegeliana spirituale, il filosofo intrese vi trova il vizio di quella stessa
prestigiosità speculativa (speculativa prestigiositas), che ha trovata e
rilevata per la logica. Ed osserva, per giunta, che il general vizio innanzi
mentovato dell'idea hegeliana, che cioè essa sia un risultato, diviene più
specifico nello spirito, in quanto questo, concepito da Hegel come l'idea che
dal suo esser-altro (cioè dalla sua esistenza naturale ) ritorna a sè stessa,
ha appunto il carattere speciale di essere un risultato e non una realtà, a dir
cosi, originaria. Accanto ai predetti vizii fondamentali concernenti l'idea
nelle sue varie forme, logica, naturale e spirituale, ne rileva alcuni altri
secondarii; ma noi, limitandoci alla indicazione de ' fondamentali, passiamo ad
indicare le corrispondenti emendazioni di essi. Preposto che all’idea hegeliana
egli in genere sostituisce il logo, principio universale ed assoluto anch'esso,
la prima generale emendazione, concernente il prius ed il risultato dell'idea
innanzi esposti, è fatta da C. nel senso che il logo è oiginariamente conscio e
non già tale per risultato. Rispetto ai tre vizii dell'idea logica propone come
emendazione (Mi piace di riferire colle stesse parole latine del Ceretti il
predetto triplice vizio. Hegelianæ logicæ tractationis defectuositas, in exitu
prolegome norum designata, est primo, quatenus notionis a non-notione
progenesis; secundo, quatenus categoriarum abstracta explicativ, potiusquam
concreta explicationis et IMPLICATIONIS immanens contraprocessu osilas; tertio,
quatenus abstractus er plicativce dialectica LOGUS in abstracta resumptione,
potiusquam in concreta positionis, dialectica et remsumptionis immanente
absoluta verificatione suun ipsum sanciens. Pasael. Spec., CENOBIUM) e però
riformazione, che il primo venga emendato mediante il principio della generale
coscienza logica della nozione od idea hegeliana: il che importa che il logo
sia una nozione (idea) che si genera dalla nozione stessa e non già dalla non-nozione
(nozione inconscia). La emendazione di questo primo vizio coincide in grosso
anche colla generale emendazione predetta del prius e del risultato. La
emendazione del secondo vizio è dal nostro filosofo ottenuta col propugnare ed
effettuare che la genesi delle categorie logiche non avvenga secondo un
processo astratto di sola esplicazione, ma secondo un processo concreto di
esplicazione ED IMPLICAZIONE insieme: nel qual processo concreto i momenti
astratti di esplicazione si negano come astrattamente tali ed affermano perciò
la loro unità. Il terzo finalmente viene emendato, pensando e determinando il logo
assoluto in guisa che esso non rimanga un momento astratto di riassunzione (risultato),
ma che divenga assoluta ed immanente affermazione (sanzione) di tutto il corso
esplicativo, costituendo così un processo e contro-processo, in cui ogni
momento è unità dell'astratto e del concreto. Quanto ai vizi relativi all'idea
naturale hegeliana, la emendazione (stata già implicitamente accennata nella
critica fatta di essi ) consiste in quella che C. appella la NATURAZIONE del logo.
E cioè, mentre Hegel concepisce la natura siccome l'idea ritornante a sè stessa
dal suo esser-altro (dalla sua esternazione ed alterazione), il Ceretti invece
pensa che la natura non è sol tanto ciò, ma è e dev'essere reale naturazione
del logo, ossia reale incarnazione ed obbiettivazione del medesimo. E da
ultimo, quanto all'emendazione del vizio dell'idea spirituale, essa nel
complesso è quella già rilevata nella critica fatta del vizio, e consiste nel
concepir la medesima, ossia lo spirito, siccome logo originariamente conscio e
non divenente tale per risultato d'un processo. Le predette generali e
fondamentali emendazioni, accanto ad altre subordinate e secondarie, son quelle
che nella esposizione ed esecuzione delle idee filosofiche costituiscono la
filosofia cerettiana riformativa della hegeliana, e filosofia riformativa che
forma il contenuto della più volte mentovata grande opera di C., intitolata “Saggio
di Panlogica.” Questo Saggio è un'opera veramente colossale ed è l'enciclopedia
filosofica cerettiana, modellata sulla nota corrispondente Enciclopedia
hegeliana (Encyclopädie der philosophischen duissen schaften) in tre volumi. Concepì
la propria enciclopedia vasto disegno da assolversi in otto volume. Il primo (i
prolegomeni) come propedeutica a tutta l'opera, propedeutica che ad un tempo
contenesse in germe il pensiere della stessa Enciclopedia. Il secondo
contenente (col nome di “ESO-LOGIA”) l'esposizione della logica e metafisica.
Il terzo, il quarto, ed il una con un quinto (col nome di ‘ESSO-LOGIA’)
costituenti la trattazione ed esposizione della filosofia della natura nelle
sue tre parti della Meccanica, della Fisica e della Biologia (od Organica). Il sesto,
il settimo e l'ottavo (col nome di “SINAUTOLOGIA”) designati a trattare la filosofia
dello spirito, distinta anch'essa in tre parti denomi nate Antropologia,
Antropo-pedeutica ed Antropo-sofia. Di questa vasta concezione ed esecuzione il
principio fondamentale ed assoluto è il Logo, che il lettore vede essere in
fondo alla Esologia, Essologia e Sinautologia: Logo che, come si è detto, in
Ceretti piglia il posto e la generale significazione del l'idea di Hegel. Il logo
Cerettiano, come quest'ultima, è l'universa ed assoluta realtà, e realtà con
preminente carattere ideale, comprendente in sè la realtà logica, la naturale e
la spirituale. Per tal carattere anche la filosofia cerettiana è idealismo;
tanto più veramente assoluto, in quanto, non meno e forse ancor più
dell'hegeliano, abbraccia in sè in complessiva unità tutte le forme di
Idealismo apparse nel corso storico della filosofia, si in generale le
antecedenti all'Idealismo tedesco, si in modo più speciale quelle di
quest'ultimo, cioè gli Idealismi subbiettivi Kantiano e Fichtiano, l'Idealismo
obbiettivo Schellinghiano, non che lo stesso Idealismo assoluto Hegeliano.
Questo carattere di universalità ed assolutezza dell'Idealismo cerettiano è una
delle cose più spiccanti, più notevoli ed anche più rilevate dell'Enciclopedia
filosofica del filosofo intrese. Quanto al principio assoluto del Logo, va
parimenti rilevato, che, per la natura conscia del medesimo innanzi additata,
esso vien da C. designato anche come puramente e semplicemente coscienza: per
modo che coscienza e logo ricorrono quasi pro miscuamente nell’enciclopedia
cerettiana ed anche in altre opere posteriori) come espressive e determinative
del principio assoluto. È bene, inoltre, rilevare che tal principio assoluto e
dal nostro filosofo anche puramente e semplicemente detto l'assoluto, il quale
corrisponde in tutto e per tutto al logo e alla coscienza consi derati come
assoluti. Ciò fa intendere come per C. l'elemento conscio costituisce il
carattere essenziale del suo principio assoluto, ossia del suo Logo in tutto il
suo ambito, mentre per Hegel l'elemento conscio è caratteristico e specifico
dello spirito propriamente detto, ossia dell'idea giunta a coscienza di sé. Ciò
farà, d'altra parte, pari menti intendere come il filosofo intrese ponga come
riformativa dell'hegelianismo la proposizione: L'assoluto è la coscienza. Per
cio che concerne la designazione del principio assoluto, rilevo ancora che, ad
esprimere il predetto principio assoluto, egli adopera tante altre volte anche
le parole idea, nozione, persin Pensiere, come Hegel. Ma, se le espressioni son
varie, il senso e valore fondamentale del suo principio è quello del logo
pensato come Logo conscio o coscienza assoluta. Conformemente a ciò (e in
grosso conformemente all'hegelianismo) il Logo vien pensato nella sua IN-TRINSECA
natura e nel suo processo dialettico. Nella sua natura il Logo vien considerato
in tre diverse forme di esistenza, cioè: quale è IN sè, quale è PER sè, e quale
è IN sè E PER sè. La considerazione del Logo IN sè stesso costituisce la
predetta “ESO-LOGIA”, da sis, és, dentro e logos, ossia la dottrina
logico-metafisica del logo. Quella del Logo FUORI DI sè costituisce la “ESSO-LOGIA” (da few, fuori,
in latino, “Exologia”), ossia la dottrina filosofica della Natura. Quella del
Logo IN sè E PER sė, o come il Ceretti la dice, del Logo IN sè e SON sè,
costituisce la “SIN-AUTO-LOGIA”, da “syn” e “autos”, con stesso ), ossia la
dottrina dello spirito. Degno di rilievo è inoltre che il logo IN sè è il logo
nella sua subbiettività. Il logo FUORI DI sè è il logo nella sua obbiettività.
Il logo IN sè e sè e il logo nella unità della sua subbiettività e della sua obbiettività,
ossia è il logo subbiettivo-obiettivo, che è poi il logo assoluto. È bene
parimenti rilevare che come il logo è per eccellenza il logo conscio, il quale
è poi lo spirito o la coscienza, così si designano egualmente lo spirito e la coscienza
nella loro subbiettività, nella loro obbiettività, e nell'unità della subbiettività
e dell'obbiettività. Il predetto triplice modo di essere della natura del logo
soggiace ad un processo esplicativo, che costituisce il processo dialettico,
appellato anche metodo dialettico. Questo processo metodico ha, tanto per Hegel
quanto per Ceretti, tre momenti anch'esso. Questi momenti, che il filosofo
tedesco appella comunemente dell'IN sè, del PER sè e dell'IN sè e del PER sè,
dando loro il valore e significato di momento immediato o intellettivo (della
speculazione dell'idea ), di momento mediato o razionale negativo, e di momento
immediato e mediato insieme, o razionale positivo, vengono invece dal Ceretti
appellati (nel complesso però con valore e significato simili a quelli di
Hegel) momenti della posizione (thesis, positio), ri-flessione e con-cezione.
La posizione, come la parola stessa indica, ha il valore e significato di
quella che comunemente (in Fichte, Schelling ed Hegel), ricorre come “tesi”, mentre
la ri-flessione ha significato e valore di contraddizione (opposizione, ob-positio,
contra-posizione, antitesi ) e la concezione significato e valore di
conciliazione (com-posizione, sintesi) degli opposti, sintesi della tesi e
dall'antitesi. La triplicità delle forme di esistenza del logo (quelle di Eso-Logo,
posizione; Esso-Logo; contra-posizione; e Sinauto-Logo, com-posizione, con le
corrispondenti dottrine di Esologia, Essologia e Sinantologia, costituisce per
C. i tre Cicli di quest'ultimo. Cicli che, mentre son tre, pur ne costitui solo
sotto triplice forma: costituiscono cioè il logo assoluto uni-trino. Un altro
punto pur degno di rilievo e caratteristico è il modo come determina la
considerazione filosofica o speculativa de tre cicli. La considerazione del
primo, ossia dell'Esologia (posizione) per lui il pensiero del Pensiero (“cogitatio
cogitationis”, l’implicazione o impiegazione dell’impiegazione) quella del
scono un ma secondo o dell'Essologia è il Pensiero del Pensato (“cogitatio cogitatis”
– implicazione dell’implicato, o impiegazione dell’impiegato, e quella del
terzo, o della Sinautologia, è il Pensiero del Pensante (“cogitatio cogitantis,”
implicazione dell’implicante, impiegazione dell’impiegante). Anche
nell'hegelianismo il Pensiero assoluto è identificato col l'idea assoluta, in
quella guisa che il Ceretti identifica parimenti il Pensiero assoluto col Logo
assoluto. Però nella espressione e determinazione cerettiana la cosa ha un significato
più specifico, e propriamente questo, che cioè l'Esologia (posizione) è la
considerazione del Pensiero in sè stesso, del pensiero puro hegeliano e potrei
anche soggiungere, della ragion pura kantiana. L’Essologia (contra-posizione,
impiegato) è la considerazione del Pensiero del Pensato, cioè del Pensiero non
più in sè, puro ed astratto, del Pensiero estrinsecato (fatto per sè),
obbiettivato. La Sinautologia (com-posizione) la considerazione del Pensiero
del Pensante (impiegante: implicazione come relazione tra il implicante e
l’implicato) cioè del pensiero come esistente ed esercitantesi nel subbietto
pensante. Potrei dire che la predetta triplice considerazione è quella del
Pensiero puro e semplice, quella del Pensiero come obbietto di sè medesimo (estrinsecatosi
fuori di sè nella natura), e quella del pensiero astratto ed operante come
proprio subbietto (nella coscienza del pensiero stesso o nello Spirito ). Dopo
le antecedenti generalità, passiamo a considerare parte per parte il logo nelle
sue tre forme di esistenza nella logico metafisica (Esogia, posizione), nella
naturale (Essologia, contra-posizione) e nella spirituale (Sinautologia,
composizione). La dottrina logico-metafisica, conformemente alla hegeliana, è
pur distinta in tre parti che anche per lui, come per Hegel, son quelle
dell'Essere, dell’Essenza e del Concetto: solo che queste nel filosofo tedesco
si susseguono nel modo indicato e nel filosofo intrese mutan posto, diventando
primo il Concetto, secondo l'Essere e terzo l’Essenza. Questo mutamento diposto
nella serie porta poi naturalmente con sè un corrispondente mutamento nel
processo dialettico. Le dottrine di queste tre parti così spostate hanno in
Ceretti i nomi speciali di “PRO-LOGIA” (concetto); “DIA-LOGIA” (essere); e “AUTO-LOGIA”
(essenza). La PRO-LOGIA con sidera il Logo esologico (ESO-LOGO) o
logico-metafisico, nella astratta identità del Pensiero (impiegazione). La
DIA-LOGIA (CONTRA-POSIZIONE) considera il logo nella differenza (IMPIEGATO) di
esso. La AUTO-LOGIA (COM-POSIZIONE) considera il logo nella unità sintetica (IMPIEGANTE)
dell'identità E della differenza del Pensiero stesso. Non credo che il nostro
filosofo abbia avuto giusta ragione d'invertire l'ordine de' tre principii
fondamentali predetti. Ma, checchè sia di ciò, è bene di allegare la ragione
dell'invertimento da lui ritenuto razionale e necessario. La quale, a suo
credere, è che per il logo conscio, o che vale lo stesso, per la Coscienza il
primo (prius) PRO-LOGICO (cioè il primo con cui deve cominciar la logica) non
dev'essere nè indeterminato, come sono l'essere di Hegel e di Rosmini-Serbati,
nè determinato (impiegato), come sono l'Io di Fichte e la predetta Ragione di
Schelling, ma dev'essere lo stesso prius, nel quale sieno implicitamente
contenute tanto la indeterminazione quanto la determinazione. E un sì fatto prius
è la PRO-POSIZIONE, che è il primo ed iniziale momento della sua Pro-logia, il
quale è più primitivo e più semplice del giudizio (A e B) che ne costituisce il
secondo, al quale poi segue il terzo unitivo de' due primi, che è il Sillogismo
(CONIUNCTIO, CO-RAZIONALE). Quanto alla natura de suddetti momenti della Pro-logia,
la Pro-posizione è la immediata ed indistinta coscienza logica, la quale,
appunto per la sua indistinzione, non è nè subbiettiva nè obbiettiva. Il
Giudizio (la proposizione pensata) invece è la coscienza logica, che dalla
indistinzione od indifferenza si esplica e passa nella subbiettività ed
obbiettività di sè medesima. E da ultimo il Sillogismo (coniuctio,
co-razionale) è la subbiettività della coscienza logica, la cui attività
consiste nell'esplicare se stessa, esplicazione di sè stessa, che in fondo è
poi una obbiettivazione della subbiettività. Dato tal concetto generale de'
momenti della pro-logia, il nostro autore passa a considerare e determinar
ciascuno in se medesimo, ed inoltre secondo il predetto processo metodico
tricotomico della Posizione (Proposizione, impiegazione), della Riflessione (contra-posizione,
impiegato) e della Concezione (com-posizione, impiegante). Conformemente a ciò,
distingue la Pro-posizione in “posta”, ri-flessa e concepita; e in posto,
riflesso e concepito, distingue e determina parimenti sì il giudizio (proposizione
pensato) che il Sillogismo (impiegante, composizione). La trattazione ed
esposizione di ciò è amplissima, specialmente quella del Sillogismo; ed è non
solo amplissima, ma anche note volissima per le molteplici determinazioni
logiche ed ontologiche non che illustrazioni ed applicazioni d'ogni genere alle
diverse parti dello scibile e della stessa realtà. La trattazione è di tanto
interesse che è degnissima di esser presa da ognuno in considerazione anche
oggi alla distanza di una sessantina d'anni, dacchè fu pensata ed esposta. Non
potendo entrare nelle particolarità a far intendere il pensiero cerettiano sì
nella concezione de' momenti della predetta pro-logia sì nel passaggio da
questa alla Dia-logia, allegherò un luogo nel quale l'autore lo ri-epiloga, e
che è questo. Il pensiero pro-logico, uscito e passato dalla sua generalità
formale (cioè, dalla pro-posizione) colla particolarità formale della sua
generalità (cioè, col giudizio, impiegato) nell'unità formale della sua
generalità e della sua particolarità (cioè, nel sillogismo, la com-posizione,
impiegante), si concepisce come sistema metodico della RAZIONALITà, ossia come
forma assoluta delle forme. La forma sillogistica delle forme pensabili insegna
che il pensiero è essenzialmente il sistema di sè, e non v'è sistema all'in
fuori del sistema del pensiero, poichè l'altro del pensiero non può essere
fatto (posto) da altro che dal pensiero. Inoltre, insegna che il sistema
assoluto del pensiero è il sillogismo giudicativo della proposizione, perciò l'assoluto
non può esser concepito altrimenti. Cosi a pag. 125 della Ragione Logica di
tutte le cose, vol. II. Esologia, nella versione dal latino (Torino, Baldini)) che
nella forma sillogistica. Questa concezione porta con sè la necessità logica di
sè, poichè è la nozione della nozione. Il sillogismo assoluto, come pro-logico,
non è più che la formalità (la forma assoluta del logo, la quale invoca
l'essenzialità assoluta di sè da esplicare in sè da sè stesso. Quindi il
sillogismo passa dalla sua subbiettività assoluta ad esplicare la sua
obbiettività IMPLICITA assoluta. Questa obbiettività è la verità della
subbiettività sillogistica assoluta. Ciò posto, quella che ora effettua il
passaggio e progresso dalla forma e dalla subbiettività del Pensiero alla
essenzialità ed obbiettività del medesimo è la Dia-logia, che per eccellenza è
la dottrina delle categorie logiche del Pensiero. Corrispondendo la dottrina
dialogica cerettiana alle dottrine logiche hegeliane dell'Essere e dell'Essenza
prese insieme, ne segue che le categorie, onde qui è parola, sono in grosso
quelle che ricorrono nelle predette due dottrine hegeliane. Quanto al concetto
della categoria e alla funzione logica della categorizzazione, sono importanti
queste parole del filosofo intrese. La categoria (predicamento) è propriamente
la predicazione del Pensiere fondata dallo stesso pensiere come necessaria; e
la categorizzazione del Pensiere è l'atto più nobile della speculazione
filosofica e la più alta concezione dal Pensiere umano. Nè meno importanti in
proposito sono gli additamenti che fa intorno alla evoluzione storica delle
categorie presso i diversi filosofi e corrispondenti scuole che spiccano
intorno ad esse. Percio che concerne le categorie trattate e sviluppate nella
Dialogia, le fondamentali son quelle dell'Essere, dell’Essenza, e del
l'Esistenza, come costituenti la triplicità dialogica per eccellenza; e da
queste fondamentali se ne sviluppano altre costituenti momenti subordinati, ma
non meno importanti. L'Essere, infatti, è da prima il Logo generale ed
indeterminato (est logus conscentiæ generalis), ma esso si particolarizza e de
termina in sè medesimo in ulteriori principii categorici. Per esempio, si
distingue e particolarizza come QUALITATIVO, QUANTITATIVO, E MODALE, sorgendo
così LE TRE CATEGORIE DELLA QUALITà, della QUANTITà e della MODALITà (misura).
Ed inoltre l'Essere nella sua stessa generità (innanzi alla predetta
particolarizzazione dunque) è essere (pro-posizione), non-essere (opposizione o
contraposizione) e divenire (composizione): (esse, non-esse, latino FIERI,
perduto nel volgare). Come, d'altra parte, le TRE CATEGORIE della QUALITà, QUANTITà
e MODALITà alla lor volta si distinguono e particolarizzano in altre. Chi
conosce la logica di Hegel vede subito nelle predette categorie cerettiane la
simiglianza con le corrispondenti hegeliane. Ed è forse questa la parte, nella
quale si tiene più da vicino a quello, mentre in altre parti vi sono non poche
dissimiglianze. Nel predetto citato volume della Esologia, pag. 132. 4ecc.
Dall'essere il processo dia-logico conduce alla seconda categoria fondamentale
predetta, cioè alla Essenza la quale non è altro che la particolarizzazione
dello stesso Essere (Esse suam absolutam particolaritatem adeptum est
Essentia). Ciò che si è detto avvenire per la categoria fondamentale del l'essere
avviene anche per l’essenza, che cioè anche questa, alla sua volta
distinguendosi e particolarizzandosi in sè medesima, ne produce di ulteriori,
come quelle del fondamento, della sostanza, della materia, ecc. E quanto alla
terza categoria fondamentale, cioè l'esistenza, essa è l'unità dell'essere e
dell'essenza (INSISTENZA, ESISTENZA, CONSISTENZA). Ognuno nella “Ex-istentia” riconosce
l'Esse come particolarizzato. Ma d'altra parte, nella particolarizzazione
dell'Essere si specifica e manifesta anche l'elemento dell'Essenza, per forma
che l'esistenza risulta siccome una manifestazione dell'essenza (“EX-SISTENTIA
est essentia manifesta ). E da ultimo l'Esistenza (E-SISTENZA, EX-SISTENZA) dà
anch'essa origine ad altre categorie subordinate, come realtà, necessità, La
terza parte della Logica (o della Eso-logia ) cerettiana, cioè l'Auto-logia, si
fonda, sviluppa e sistematizza in tre categorie fondamentali, che son quelle di
Sapere, Volere, Agire (Scire, Velle, Agere ), le quali sono in corrispondenza
di quelle che ricorrono nella terza parte della Logica hegeliana, e che sono l'idea
del conoscere (die idee des erkennens ), l'idea del bene (die idee des guten) e
l'idea assoluta (die absolute idee). Va però osservato che il volere e l'agire
che in Hegel si congiungono nell’idea del bene, e costituiscono l’idea pratica,
in C. appariscono, al contrario, come momenti e categorie distinte. Questa
terza parte della Logica del Ceretti è una delle più belle e ad un tempo una di
quelle in cui il Ceretti è come più originale e più indipendente da Hegel. Il
modo come vede la distinzione, la relazione e la unificazione del sapere, del
Volere e dell'Agire è qualche cosa di profondo, di stupendo e di vero, e lo si
vede più chiaramente e più determinatamente di quel che possa vedersi nel, pure
grandissimo, filosofo tedesco. Ciò viene dal perchè i tre momenti, che in Hegel
sono come ancora implicati e inviluppati, in C. ricorrono come più sviluppati e
ad un tempo più sistemati. Il pensiero cerettiano dell'auto-logia è (secondo
che lo espressi nella mia Notizia degli scritti del pensiere filosofico del
Ceretti) che l'assoluto è la coscienza logica che si sistematizza in se stessa,
per quindi sistemarsi fuori di sè allo scopo finale di sistemarsi in sè e per
sè come assoluta unità di sè stessa. L'Auto-logia costituisce un sillogismo
assoluto (cioè una connessa triplicità assoluta), i cui termini sono i predetti
di Sapere, Volere, Agire. Nella Coscienza assoluta il Sapere è l'essere del
Volere. Nel Volere c'è, infatti, esterîorazione del Saputo. Il volere è
l'essenza del Sapere. L’agire è l'esistenza del Volere. Tutti e tre insieme
costituiscono l'unitrinità della Coscienza. Anche le tre predette categorie si
distinguono e particolarizzano in altre. Il Sapere si svolge ne ' momenti
subordinati (i quali son tre sotto-categorie anch'essi) la prima sottocategoria
di sapere immediato, la seconda sottocategoria di sapere mediato, e la terza
sottocategoria di sapere assoluto. Il Volere si distingue e particolarizza alla
sua volta nelle tre forme sottocategoriche. Prima sottocategoria del Volere
subbiettivo. Seconda categoria del volere obbiettivo. Terza categoria del
volere assoluto. La categoria auto-logica dell’Agire si particolarizza nelle
sue corrispondenti tre sottocategorie. Prima sottocategoria di “agire attuoso”,
aagire come atto puro e semplice. Una seconda sottocategoria come Agire
volonteroso. Terza sottocategoria come Agire concettuale.Queste tre azioni o
funzioni categoriche dell’Agire le designa come Agere actum, Agere voluntatem e
Agere notionem. Questo è in breve il concetto e disegno della prima parte della
grande opera enciclopedica del nostro filosofo. La seconda parte, quella del
Logo FUORI sè (EXO-LOGO, esso-logo) o del Logo nella sua obbiettivazione, cioè
la Filosofia della Natura, ha avuta una estesissima trattazione; e trattazione
in cui il nostro filosofo si mostra non poco originale ed indipendente rispetto
alla corrispondente parte della Enciclopedia hegeliana. Essa è PER NOI ITALIANI
TANTO più importante, in quanto non vi è in Italia, neppure presso i nostri
filosofi maggiori moderni, una sola opera che, prima di questa di C., meriti il
nome di filosofia della Natura nel senso ampio, vero e moderno della parola. Io
ho scritto su questa parte della grande opera cerettiana tre lunghissime
Introduzioni ai tre volumi che vi si riferiscono, le quali, riunite insieme e
pubblicate sotto il titolo di “Filosofia della Natura” formano un'opera di ben
487 pagine; e in questa ho ampiamente chiarita e dimostrata la verità di tutto
ciò. Quanto al cenno che posso farne qui, specialmente a cagione della vastità
di trattazione che ha in C., esso non può consistere in altro se non nella pura
e semplice indicazione del disegno, della materia e dell'andamento della
trattazione stessa. Premessa la determinazione della posizione e del concetto
della filosofia della Natura nel Sistema pan-logico, passa alla considerazione
di un punto importantissimo, quello cioè della evoluzione storica della
concezione filosofica della natura, evoluzione che, secondo lui, passa per tre
gradi e corrispondenti forme della coscienza filosofica, la forma
estetico-teologica (o sentimentale) la forma empirico -matematica (o
intellettiva e riflessiva ) e la forma speculativa propriamente detta (o
concetturale). E fa in propo sito una stupenda rassegna storica di queste
forme, giungendo all'ultima, ossia alla hegeliana, alla quale egli si
riattacca, ulteriormente sviluppandola e riformandola in ciò che ha di
difettivo. Procede quindi alla partizione della Filosofia della Natura,
dividendola come abbiam detto in Meccanica, Fisica e Biologia, conformemente
alla Natura distinta in sè stessa in meccanica, fisica, e biotica (vivente). Carattere
costitutivo della Natura meccanica è la QUANTITà, della fisica la qualità, e
della vivente l'UNITà (composizione) della quantità e della qualità, la quale
unità è poi la MODALITà o la misura della medesima. Quanto all'unità
inscindibile delle tre parti distinte e de' corrispondenti tre' caratteri della
natura, sono notevoli e riassuntive queste parole del filosofo intrese. Cioè:
Il meccanismo é ove è la fisica (la natura fisica), e la fisica é ove è il
meccanismo; e se vi sono il meccanismo e la fisica, vi è anche la natura
vivente. Ad intendere meglio il rapporto ed il corrispondente concetto
filosofico delle predette tre parti e de' tre predetti corrispondenti caratteri,
arreca un esempio illustrativo, che è bene di riprodurre anche qui. Il
meccanismo suppone necessariamente l'esteriorità reciproca dei suoi termini. Quando
questa esteriorità, passata nella sua interiorità, nella sua unità
inseparabile, trascenda sé a sè esteriore, non versa più in un piano o campo meccanico,
il quale ammetta per sè alcuna intrinsecazione qualitativa della esteriorità
meccanica, ma versa propriamente nella natura fisica del meccanismo (in
mechanismi physi), la quale è la à passatQUANTITa nella sua QUALITà che deve
esplicarsi. Così, ad esempio, in qualunque modo supponiamo il ferro, diviso,
figurato, posto in movimento, ecc., esso non cessa di essere ferro. E quando
per azioni esterne, come ad esempio, per l'ossidazione, cessi di essere ferro,
non consideriamo tali azioni come meccaniche, perchè due modi della materia
(l'ossigeno e il ferro) sono divenuti un solo modo (neutrale), il quale non
ammette più alcuna co-alteriorità esterna di fattori (essenzialissima al
meccanismo, ma è in sè l'unità qualificata de' quanti, la natura fisica del
meccanismo. La quale unità è poi LA VITA, ossia, quel principio grazie al quale
l'alteriorità meccanica si neutralizza fisicamente, e la neutralità fisica si
alteriora (si fa altra ) meccanicamente: il che, in quanto è nella
circoscrizione essologica (naturale), è la vita. Ciò posto, concependo la
natura meccanica o il meccanismo come il sistema della quantità, passa alla
reale considerazione e corrispondente sistemazione filosofica di tutti i
principii (detti anche categorie naturali) della medesima come spazio, tempo,
moto, ecc. Conformemente a ciò, concependo la natura fisica parimenti come il
sistema della qualità, svolge i principii o categorie naturali di essa, come
etere (o materia eterea), luce calore, magnetismo, elettricità ecc. E s'intende
che ciò che è detto della natura meccanica e della fisica, va detto anche della
NATURA VIVENTE, della quale, come unità concreta delle due antecedenti, si
vvolgono, determinano e sistematizzano i corrispondenti principii e momenti.
Questi principii, coi relativi sistemi vitali, sono nella loro generalità e
progressività evolutiva la vita cosmica od URANICA, la vita geologica e la vita
fito-zoologica. Per questa intende la predetta reciproca esteriorità de'
termini. La vastità di conoscenza delle discipline naturali non che la forza
speculativa ch'ei mostra nell'intenderne e collocarne i principii nel suo vasto
disegno del sistema panto-logico sono tali da fare de C. una delle menti
filosofiche più vaste e più profonde del nostro paese. Col terzo volume della
Filosofia della Natura, che è il quinto della grande opera pan-logica, questa
rimase interrotta; però se rimase interrotta, la iattura non è stata nè intera
nè irreparabile. Giacchè i cenni e relativi concetti riformativi anche della
terza parte del sistema pan-logico già delineati primamente ne' Prolegomeni,
poscia qua e là considerati negli stessi quattro susseguenti volumi, son tali e
tanti da potersi fare un concetto chiaro e de terminato anche di esso. Ma, per
giunta ed ulteriore integrazione di questa, lascia due saggi che concernono
proprio questa terza parte, cioè le due già mentovate intitolate, l'una,
Considerazioni sopra il sistema generale dello spirito ecc. (Torino), l'altra,
Sinossi del l'enciclopedia speculativa (Torino). Un brevissimo cenno anche di
questa terza parte è il seguente. Quanto al concetto, obbietto e partizione di
essa, rappresen tando la prima parte la subbiettività del logo o della coscienza
assoluta, e la seconda la obbiettività, questa terza rappresenta l'assoluta
unità delle medesime: assoluta unità, che vien cosi ad essere la Coscienza
subbiettiva obbiettivata e ad un tempo la Coscienza obbiettiva subbiettivata.
Or questa Coscienza risultata tale è ciò che C. (conformemente ad Hegel)
appella comune mente anche spirito, il quale è appunto l'obbietto di questa
parte da lui denominata sin-auto-logia. Intanto, siccome lo Spirito, benchè già
sorgente nella stessa animalità, pur non giunge alla sua reale manifestazione,
esistenza e verità se non nella umanità, così divien questa lo speciale
obbietto della sin-auto-logia. La quale perciò è dal nostro filosofo, designata
come speculante l'Uomo, primamente nella Subbiettività secondamente nella
Obbiettività, e in terzo luogo nella Assolutezza del medesimo: Assolutezza, che
è l'unità della Subbiettività e dell'Obbiettività. Di questa triplice
considerazione, o meglio speculazione, la prima costituisce ciò che egli chiama
l'Antropo-logia, la seconda l'Antropo-pedeutica, la terza, l'Antropo-sofia. I
lettori che conoscono la dottrina hegeliana vedranno tosto la simiglianza della
dottrina cerettiana colla dottrina hegeliana dello Spirito, distinta in quella
di Spirito subbiettivo, spirito obbiettivo e Spirito assoluto. Senonché, se c'è
simiglianza nella generale concezione, c'è anche una notevole differenza nella portico.
L'uomo è la concreta verità dello Spirito (Homo est spiritus concreta veritas).
lare trattazione della medesima. Per dire ancora qualche cosa della concezione
e partizione cerettiana della predetta Sin-auto-logia rilevo che l'Antropo-logia
considera l'Uomo come Subbietto generale. E come tal Subbietto consiste
dell'elemento fisico o corporeo e dell'elemento meta-fisico ossia animico, così
essa è primamente Psico-fisio-logia. Indi considera nel generale subbietto
umano l'elemento, dirò così specificamente umano, ossia la mente, ed è Noo-logia;
in terzo luogo, la mente, o l'attività teoretica, si realizza come attività
pratica e allora l’Antropo-logia nel suo terzo momento è Prasseo-logia o
dottrina del l'azione spirituale. La Psico-fisio-logia, la Noo-logia e la
Prasseo-logia hanno alla lor volta principii, ossia momenti subordinati, e
vengono anche questi considerati, accolti e sistemati nella Antropo-logia
L'Antropo-pedeutica, all'opposto della Antro-pologia che consi sidera l'Uomo
subbiettivo, considera l'Uomo obbiettivo, ossia l'uomo nella obbiettivazione
della propria subbiettività: la quale obbiettivazione costituisce, primamente,
la dialettica mondiale umana e produce ciocchè si appella la storia; è in
secondo luogo il logo sistematico della dialettica obbiettiva, che in senso
lato è ciocchè si appella la didattica; e in terzo luogo è la stessa
obbiettività sistemata nel Subbietto, che è quella che si designa col nome di DIRITTO.
Che anche queste tre parti dell'Antropo-pedeutica (Storia, Didattica, Diritto),
si sviluppino, particolarizzino e sistematizzino in ulteriori sfere, attività,
principii, ecc., lo s'intende da sè. E cosi viene assolta anche questa parte
della Sinautologia. E finalmente vien considerata e trattata l'ultima sfera di
questa, cioè l'Antropo-sofia, la quale ha che fare coll'uomo considerato nella
sua assolutezza, ovvero nella sua Coscienza assoluta, e com prende la sua
attività artistica, religiosa e filosofica. L'Arte è la contemplazione e
produzione del bello, del buono e del vero mediante l'ispirazione estetica: la
Religione e l'apprensione, rivelazione e culto del divino, e tramezza la
manifestazione estetica e la concezione filosofica; la FILO-SOFIA sviluppa la
immediata apprensione religiosa nella mediata concezione del pensiero assoluto.
La triplice ed assoluta attività dello spirito, artistica, religiosa e
filosofica costituisce l'ultimo e supremo sillogismo del Logo assoluto o della
Coscienza assoluta, e con esso si chiude il Sistema pan-logico. Tale è in nuce
il vasto pensiere filosofico cerettiano e la vasta esecuzione del medesimo. Per
ciò che è riferito in queste poche pagine rimando il lettore ai miei molteplici
lavori intorno al Ceretti, specialmente alla Notizia degli scritti e del
pensiere filosofico non che alla Filosofia della Natura » del medesimo. E
soggiungo e annunzio qui volentieri che intorno a quest'uomo, che ha occupato
due decenni di studi della mia vita, son presso a finire l'ultima mia opera:
opera che consiste in una estesa e particolareggiata esposizione di tutto
intero il suo sistema panlogico, compresa la sinautologia. Ho forse speso
intorno a lui più tempo di quel che conveniva per i miei propri studî e lavori.
Ma non me nepento, non solo perchè è stato di giovamento a questi stessi, ma
specialmente perchè ho contribuito a far conoscere un uomo, che fa onore
grandissimo alla filosofia in genere e alla filosofia italiana in ispecie. Grazie!
Diamo a giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora com-
pleto, delle opere postume di C.: Traduzioni
varie dal latino, francese, tedesco, inglese. (VIRGILIO, ORAZIO, Lamartine,
Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e Thompson). Orig. Leonora di
Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti con liriche intercalate,
varie liriche. Ulttime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa, t
volume. Pellegrinaggio in Italia. Canti. Poesie Uriche. Prometeo. Poema. Storia del diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee
filosofiche. Scienze naturali e considerazioni storiche. Scritti. Salùi. Sogni e Favole (umorismo
trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con versione latina
(imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva). Opuscolo. Grullerie
Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I Conferenti. Commedia
nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell' Enciclopédia Siwr.idatirn -TSimplizio.
Romanzo. Idee radicali delle discipline finite e delle matematiche
empirico-induttive. Cavalier Sriovannino. Romanzo. Manuale di medicina pratica. L'Inconcludente. Romanzo. Lo Zio
Giuseppe. Commedia. Considerazioni sopra il anatema generale dello spirito
entro i limiti ' della riflessione. Considerazion i circa il
sustema della natura entro i limiti della riflessione. Viaggi utopistici. Il
Protagonista. Proposta di una riforma sociale. Considerazioni generali circa la
caratteristica spiritualità dell'Italia. Insegnamento filosofico.Gregorio.
Romanzo. Novellette morali Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato di
Astronomia. Introduzione alla coltura generale. I volume. _ Id. La
Divina Commedia. Vita di Giustino Caramella scritta da se stesso. 1
volume. Id. Vita di due Comici. 1 volume, ld. Vita di Virginia
Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità. Inventario delle mie vicissitudini
mondane. Memorie Posthume. Stramberie philosophiche. La pubblicazione, che si
inizia con questo primo volume, è un monumento che una figlia pia innalza
alla memoria di un amatissimo padre, non per adempiere ad una espressa o
tacita di lui volontà, ma piuttosto in contrasto a questa, e perchè
gli studiosi conoscano, almeno dopo la di lui morte, la profondità
del sapere che egli aveva potuto condensare nella propria mente, e le
diuturne e dotte speculazioni da lui compiute nella sua non lunga
vita. E affinchè niuna meraviglia possa solére .dalla pubblicazione
stessa, e dalle opere che ne sono l'oggetto, in quanto che e l'una, e le
altre, si differenziano alquanto dal comune, parve opportuno e
conveniente di premettere una breve notizia, che dica al lettore chi sia
stalo, e come abbia vissuto fautore, e con quali intendi- menti, e con
quali criteri si diano alla luce i suoi scritti, che egli non ha creduto
di diffondere. C. ha i suoi natali in Intra, la città più popolosa tra quelle
che si adagiano sulle amenissime rive del Lago Maggiore, e meritamente
celebrata per le sue potenti industrie, dal cav. Pietro. Il padre suo,
uomo di chiaro ingegno, tutto compreso della necessità dell'istruzione e
della educazione, prerogativa abbastanza mia in quei tempi, e fervei ile pi
opugualure di ugni istituzione, che ha per iscopo di promuovere quelle due
fonti di civile e materiale benessere, provvide tosto a coltivare
la mente del figliuolo. Seguendo però l'inveterala consuetudine avita,
dapprima l'affida alle cure di questo e quell'abate, che non riuscirono ad
illuminare gran che il di lui intelletto irrequieto, come egli stesso ha
poi umoristicamente narrato in interessantissime pagine. Di poi lo alloga
nel seminario di Arona e nel Collegio di Novara. Ma il giovanetto,
vivace di animo, e la mente precocemente inlesa ad altri ideali, poco o
nulla approdilo di quei primi studi; e liberatosi alfine dalle pastoie
degli insegnanti e del vivere collegiale, tolse a maestro se medesimo, sorretto
solo dalla terrea tenacità del suo volere, e dall'imperioso ed
irresistibile bisogno di sapere. In breve, il diremo con frase che nel
caso nostro non è punlo rellorica, da fondo all'universo scibile; apprese
a parlare ben selle delle moderne lingue, e delle morte, al latino
insegnatogli dai precettori, aggiunse profonde cognizioni del greco,
dell'ebraico e del sanscrito. Si reca a Firenze, dove soggiorna
qualche anno, stringendo amicizia coi primari ingegni di quel tempo,
specie con Capponi, Niccolini, e con quella chiara pleiade di filosofi che
frequentarono il gabinetto del Vieusseux. Più tardi, desioso di vedere
paesi e persone, e fidente nel suo temperamento robusto e nella florida
salute, si da a lunghi e singolari viaggi. Percorse in vero, più
volle, e quasi sempre a piedi, l'Italia peninsulare, la Sicilia, la
Germania, la Francia, e l'Inghilterra, in cui fece lunga dimora. Ed è tanto
in lui il desi- ci) 1 suoi concittadini venerano ancora in lui il
fondatore di un Asilo infantile, die è Ira i pili antichi, eil b modello a
Inlla Italia, e lo zelante Sovra Jtiteiifh'iitf, per più di 'ìi) unni,
delle scuole elementari riviene. derio di penetrare nei più ascosi
recessi e della natura, e dell'animo umano, che attraversa i più malagevoli
passaggi dei Pirenei, accompagnandosi colle frotte di zingari e
malviventi, clie abbondavano in quei paraggi. Nulla lascia in
quelle sue peregrinazioni di intentato, o inesplorato, che può servirgli nello
studio dei suoi simili, e dell’abitudini e costumi dei diversi ordini sociali;
e dalle più alle società, dai primari alberghi, scese alle più umili
taverne, mescolandosi colle infime classi, per indagarne i sentimenti e le
tendenze. Dopo siffatto giro per l'Europa ritornò in patria, ove si compone
nella pace famigliare, e si da tutto a viaggi di altro genere, vogliamo
dire a spedizioni lunghe e laboriose nel campo immenso del sapere,
leggendo, e più meditando, le opere dei massimi filosofi e pensatori
d'Italia, ed arricchendo la mente di un incommensurabile tesoro di cognizioni,
di osservazioni e di pensieri È notabile questo periodo della sua
vita, in cui il nostro autore condensa, per cosi dire, tutta l'umana
sapienza nel suo intelletto; chè dopo d'allora, e in ispecie negli ultimi
anni del viver suo, nei quali fu pur massima la fecondità dello
scrivere, ben poco legge, ed anzi si può asserire che più non consulta nel dettare libro alcuno, ma lutto quanto gli
occorresse, evocasse dalla sua tenacissima memoria, dallo sterminalo
accumulamento di cognizioni, che ha in mente. Leniti e progressiva
paralisi lo ha quasi immobilizzato ; egli dove ricorrere quindi all'alimi
aiuto per ugni «no movimento, e i suoi Lunigliari asseriscono che da anni
ed anni non ha mai ad ordinare di recargli libro alcuno da consultale,
mentre detta continuamente per molte ore del giorno. Era d'altronde ima delle
massime da lui predicate, che l'ingegno vero approfitta poco del
materiale altrui, bensì moltissimo dell'abitudine del coiu-etttrantento e
della riflessione; e solpva dirr fhp gran parte delle sue cognizioni non
le (Tivca acqui- state eolla lettura, ma colla meditazione e quasi per
una catena di messori' derivazioni. Infatti la maggior quantità dui suoi
scritti data dall'epoca che cessa di leggere. Manda ai torcili un
primo saggio del buu ingegno, un'opera letteraria, intitolata: II
Pellegrinaggio in Italia di Alessandro Goreni, poema in ottava rima, ove con
poesia profondamente inlima, sostanzialmente nuova ed originale, da sfogo
ai molti pensieri ed affetti, di cui aveva ripieno l'animo. E poco
dopo pubblica, coll'allro pseudonimo di Tkeophilo Eleutero, un secondo e
ben diverso saggio della profondità del suo sapere, e dell'acume del suo
intelletto, mandando alla luce Ire grossi volumi di un'opera filosofica,
che intitola “Pasaelogices Specimen”, e fa stampare in latino – saggio che
per modestia volle fosse edito in pochi esemplari, ma che in Germania da
argomento a serie critiche nella Rivista filosofica Zcitschrift (Halle)
ed in altri periodici scientifici. Ma qui pur troppo s'arrestano i lavori edili
del nostro Autore; chè all'infuori di qualche scritto di minore
importanza, apparso su giornali locali, nulla ei più permise che si da
alle stampe di quanto anda scrivendo fino alle sue ultime ore.
Racchiudendosi modestamente, e un poco anche egoisticamente, nelle
soddisfazioni intime delle sue elucubrazioni, più non volle che alle sue
gioie mentali, alle sue indagini filosofiche, ai suoi profondi ed
originali pensieri partecipassero i lettori; e studia e scrive per sè
solo, per esercizio e ginnastica della sua [Pasaelogices specimen,
Tiikophilo Eleutero editimi. Voltimeli pr imitili. Prolegomena. Volumen
secundum. Esologia. Volumen tertium. Natura Medianica — Intra Torino e Firenze,
lilucria di Loeschef. — Ve ne sonu altri due volumi inedili. Ecco
come ne parla, fra gl’altri, il Foglio Centrale Letterario di Lipsia in
un lungo articolo sull'opera stessa, di cui noi riportiamo solo un brano. E
sorto un anonimo italiano. Egli parla nella lingua ecumenica del passato il suo
è un lavoro che ò il risultato di un'escogitazione indefessa di
tanti anni, forse di tutta la sua vita con un'estensione di due mila
pagine, e che tratta di tutte le cose del cielo e della terra, e per di
più della logica dello spirito assoluto; è una continuazione della
speculazione di Hegel, dalla quale perù vuole assolutamente distinguere
la propria dottrina] inenLe elevatissima, del poderoso suo intelletto, per
appagare la sua smania del vero. Medita e scrive, al pari di Gioberti, dodici e più ore al giorno. I
suoi concittadini il ritrovavano spesso solitario per le campagne e i
dolci declivi delle amene montagne che stanno a cavaliere d'Intra, sotto
al vitale raggio del sole, o seduto alle ombre amiclie dei l'aggi e dei
castani, colle lasche zeppe di libri, sempre speculando ed annotando
colla matita sopra la carta i suoi pensieri.Al pari dei peripatetici si
diletta di filosofare camminando nell'aer puro, nella serena festività
della natura, alla luce gaia del sole, o nella tepida ed affascinante
quiete dei boschi. Dal ponderoso lavorio mentale del filosofare egli
trova sollievo nelle arti belle e nelle belle lettere; ed allora detta
quelle innumerevoli poesie, che stanno raccolte sotto il caratteristico
titolo di Grullerie Poetiche, e nelle quali con vena originalissima, non
leziosa o ricercatrice di supposti e romantici ideali, e con spirito
satirico il più fine, spesse volte non facilmente apprezzabile, egli fìssa l'impressione
del momento, o deride le costumanze strane delle mode, o celebra i fasti
cittadini, che giungono col rumore dell'eco all'orecchio suo, lontano
ornai dal consorzio umano, e non abituato che alle voci dei suoi inlimi;
ed allora traeva dal prediletto flauto dolci suoni, o sull'arpa antica
traduce la soave ispirazione dell'animo suo, o sul pianoforte combina le
armonie musicali, consuonanti colle armonie delle idee sue, della natura,
e della verità, che a lui si disvelavano nelle profonde sue speculazioni. Cosi
vive C., tanto grande per intelletto, quanto semplice di modi e di
costumi. L'altezza della sua mente pareggiava la nobiltà affettuosa del suo
cuore. Austero per indole, tollerante delle fatiche, intrepido nei
pericoli, alieno dagl’agi, benché a lui permessi dai beni della fortuna,
schivo del mondano frastuono (non desiderò die una cosa: vivere
sconosciuto), chiuse in petto un'anima temprala a rettitudine, a purezza
quasi primitiva, che lo rese incapace di odio e di avversioni contro chicchessia,
e di qualunque simulazione o maldicenza. Naturale, aborrente da
leziosaggini, si riprodusse, quasi in specchio fedele, nel suo stile
semplice e rigido, tendente ad essere chiaro più che seducente. Affabile,
unitissimo, nel conversare parve un fanciullo; lo si sarebbe detto, anche
per la modestia del vestire e del vivere, un uomo taglialo alia grossa, e
di rozzi sensi ; ed invece di quanto allo sentire, di quanta soavità
d'animo era egli dotato! Un cullo affettuoso ei professa per la consorte,
troppo presto rapitagli; un'inarrivabile tenerezza per l'unica sua
figlia, che ne consola la precoce inferma vecchiaia. Colpito invero
a cinquantanni da lento, ma inesorabile morbo, che gli impedi l'uso delle
gambe, per quasi due lustri non si mosse dalle sue stanze, che volle in
uno spazioso lenimento, sull'alto della città, affine di poter distendere lo
sguardo vivo e sereno sul più ampio tratto possibile di quella natura, in
cui egli ha tanto liberamente voluto vivere fino allora. Il suo
temperamento, pur tanto desioso di moto e di novità, si compone con
ammiranda rassegnazione alla quiete, a spaziare in pochi metri quadrali
di superficie. Con una forza d'animo, che solo può venire o da angelico
spirito, o dal conforto della filosofia, sopporta i dolori fisici e
morali della lunga infermità; e mai un lamento, mai un lagno uscì dalla
bocca sua, neppur quando venne da ultimo costretto al letto, e vi rimane
fermo per gli ultimi diciotlo mesi di vita. Che anzi consola e ravviva lo
spirito afflitto della figliuola; e l'anda preparando con filosofici
pensieri alla sua dipartila da questo mondo, che con spirito antiveggente
e quasi profetico, calcola prossima di mesi e di giorni. Era solito di dire: morire non è, ni un bene,
uè un mule, mn soltanto naturai rosa come il nascere. Siate perciò calmi come
sono io. patimenti fisici non gli tolsero, estrema consolazione
della travagliosa vita, la lucidità e la fecondità del pensiero; e
continua le sue meditazioni e i suoi sludi lavoriti, dettando incessantemente
alla diligente sua lettrice. Fin negli estremi momenti, allorché l'ansia
affannosa del respiro rese inintelligibili i suoi accenti, tenta più
volte di esporre l'ultimo suo pensiero sull'opera che aveva in
corso. Tale in breve la vita del nostro autore, nella quale tu non
trovi da celebrare avventure o fatti straordinari, poiché fu tutta
dedicata, e modestamente dedicala, ad una faticosa, ma tranquilla e
serena lotta mentale, ad umbratili sludi, ad inlime soddisfazioni, originate
dalla scoperta di nuovi veri, al cullo delle arti belle e delle scienze;
ma per compenso in essa ti si rivela un inimitabile esempio di indefesso
amore del sapere, di privale eminentissime virtù, di sublime
rassegnazione ai mali fisici. É in memoria adunque di quell'affettuoso padre,
di quell'alta e modestissima intelligenza, di quello squisito animo, che
la figlia sua, signora Argia Franzosim C., intraprende la pubblicazione
delle numerose opere filosofiche, scientifiche e letterarie, che egli
lascia manoscritte ed inedite. L'abbiamo già detto, e convien ripeterlo,
con questo nè interpreta un desiderio del padre, nè fa un pietoso sfregio alla
volontà di lui. Imperocché, come egli non ha pensato a proibirlo,
cosi non ha imposto nè esplicitamente, né implicitamente, per una
postuma vanità, che le sue opere vedessero la luce. Egli non brama mai in
vila sua di curarne la stampa. Lo sperimento fallo del Pellegrinaggio in
Italia e dello Specimen Pasaelogices gli
prova quante noie e quanti fastidi arreca il sorvegliare
l'edizione di poderosi manoscritti; e, ciò che a lui maggiormente
dispiacque, gli ruba soverchiamente di quel tempo, che egli ha sempre
prezioso. Anda d'altronde convinto che i suoi concetti si discostassero
tanto dal modo volgare di pensare, da sembrare meri paradossi; e
più volle invero nelle opere sue ripete essere a lui consentila la
maggior libertà di pensare e di scrivere, appunto perchè non teme di disgustare
i suoi non-lettori. Questo però non è il parere di chi attende alla presente
pubblicazione; è vero che negli scrini, che vedranno la luce, vi è una
originalità di pensiero, la quale può parer strana ai poco colti, ed
impressionare anche i doni; ma è vero altresì che, anzi che provocare
censure, vi è piuttosto a credere che gli stessi desteranno l'ammirazione per
la novità, la potenza, l'altezza dei concetti che vi si affermano dal
nostro filosofo; è piuttosto a sperare che i lettori andranno lieti di
poter rinvenire, in tanta serie di scrittori o plagiari o volgari, una
intelligenza, che esprime idee tutte proprie, e forti, e vere, meritevoli
insomma della più grande considerazione. La quale originalità, che è
riproduzione fedele del carattere dell'Autore, è con suprema e scrupolosa
cura conservata intatta. Più che ad adornargli la veste in modo, che gli
accaparrasse a primo acchito la simpatia, più che a fornirlo di
allettatici attrattive, si è mirato a presentarlo al pubblico nella fedele e
polente impronta del suo genio. Sicché, ad onla che sarebbe tornato
facile di rimediare ad alcune mende del suo stile, piuttosto tendente a
chiarezza che ad eleganza, e di ammodernare la sua specialissima
ortografia, nulla si volle sostanzialmente immutare, e gli scritti si
pubblicano quali si trovarono dettali, ad eccezione di qualche correzione
di forma, necessaria e solila di farsi anche dagli autori stessi,
allorché i loro manoscritti stanno per essere consegnali al
tipografo. Un'altra dichiarazione occorre porre avanli ; ed è che la pubblicazione
viene cominciata colle due opere conlciiute nel presente [Egli stesso,
parlando rìrlle sue open 1, così si esprime. Miei scritti potrebbero
aen&rare a molti ti» ainmaxsn ili rontrailiziotii, o anche l'eccesso
della trivialità.] volume, pel solo motivo che esse sono quelle che, fra
le poche potute finora disaminare, parvero a preferenza scritte in
modo piano, ordinato e quasi melodico, e perciò facile ad essere compreso
dall'universalità dei lettori ; e quelle altresì, che, trattando di una
materia generale, si prestano a fare in modo riassuntivo rilevare quale
fosse la mente dell'autore e quali le sue dottrine, quali le sue idee su
gran parte delle cose umane. Nell'una invero si discorre dello spirito umano, e
si descrivono e criticano i vari sistemi, che si vennero formando dalla
sua nozione ; nell'altra si tratta di tutti i principi cardinali, dei
quali è la natura costrutta, e si analizzano coi criteri forniti
dall'intelligenza riflessa. Ben si sarebbe potuto seguire o un
ordine cronologico, man- dando alle stampe le opere nella stessa
successione nella quale l'Autore le scrisse, oppure un ordine razionale,
prefiggendosi un punto di partenza, come dal generale al particolare, o
dalle opere letterarie alle filosofiche, e cosi via. Ma da un
lato l'ordine cronologico non ha alcuna base in ragione, dipendendo da
pura casualità materiale che un'opera sia stata scritta prima dell'altra;
dall'altro il razionale, che certo sarebbe stato più logico e
preferibile, richiedeva per essere at- tuato una previa disamina, anche
solo sommaria, delle opere tutte, che si hanno manoscritte; il che
avrebbe cagionato un in- gente lavorio da compiersi, per l'unicità dei
criteri, da una sola persona, e di conseguenza avrebbe ritardato chissà
di quanto tempo l'inizio di questa pubblicazione, che considerazioni
morali di non minor peso delle razionali consigliavano di
intraprendere tosto. Diamo a
giustificazione un elenco, che pur non si può dire ancora completo, delle opere
postum e di C. Traduzioni varie dal latino, francese, tedesco, inglese (VIRGILIO,
ORAZIO, Lamartine, Kozbue, Schiller, Shakespeare, Byron e
Thompson). Orig. Leonora di Toledo. Poemetto in tre canti, versi sciolti
con liriche intercalate, varie liriche. Tale in
succinto lo scopo cui mira, il modo in cui vien falla, e la ragione per
cui si inlraprende in una guisa piullosto che nell'altra, l'edizione
delle Opere postume di Pietro Ceretti. Le quali ben si prevede non
abbiano a riscuotere popolari ap- plausi, altrettanto fragorosi quanto
facili e poco duraturi ; ma si spera in compenso che abbiano a fermare
l'attenzione dei lettori colti, studiosi, meditativi. Noi
neppure ci allentiamo di darne un riassunto analitico, o di sintetizzare
il sistema filosofico dello scrittore, o di esporre quali furono i suoi
ideali, e con quali mezzi assorse alle cognizioni del buono, del bello,
del giusto; poiché, oltrecchè, non essendoci bastato il tempo a leggere i
molti manoscritli da lui lasciati, da- remmo giudizio incompleto ed
immaturo, preferiamo che su di essi si esprima liberamente la pubblica
critica. Per Colei poi, che promuove questa pubblicazione, sarà
in Ultime lettere di un Profugo. Romanzo in prosa, Pellegrinaggio in Italia. Canti, Poesie
Uriche. 1 volume (edito) con alcune liriche. Prometeo. Poema. Storia del
diritto Canonico. Avventure di Cecchino. Poema. Miscellanee filosofiche.
Scienze naturali e considerazioni storiche. Salùi (inedili). # Sogni e
Favole (umorismo trascendente), Apocalypsis (misticismo allegòrico) greco con
versione latina (imitazione del greco e latino della Chiesa primitiva).
Opuscolo. Grullerie Poetiche (umorismo parodiaco) Massime e Dialoghi. I
Conferenti. Commedia nebulosa. Ormuzd. Dramma mistico. Synùp s i dell'
Enciclopédia Siwr.idatirn - Sffnpltcìo. homaiizo. Idee radicali delle
discipline finite e delle matematiche empirico-indut- tive. Cavalier
(riovannino. Romanzo. Manuale di medicina pratica. L'Inconcludente. Romanzo. Lo
Zio Giuseppe. Commedia. ogni caso di
sufficiente conforto l'aver dimostrato con essa come il padre suo, nella
sua apparente inoperosità, abbia invece com- piuto un lavoro immenso,
quasi incredibile potersi compiere da una mente umana in sessantanni di
vita; come, tuttoché da oltre ventanni se ne stesse segregato dal mondo,
tanto che lo si ri- tenne sdegnoso dell'umano consorzio, egli abbia
seguilo e ritenuto con diligenza, memoria, affetto ed acume sorprendenti
tutto il corso dei moderni avvenimenti, e si sia interessato alle
vicende anche più minute della vita umana, la quale egli, trattosene
fuori, contemplò e giudicò dall'alto e spassionatamente; ed infine
con quanta forza d'animo e vigoria di mente abbia, anche ammala to,
continualo l'aspra, diuturna e faticosa ricerca della verità e della luce
spirituale. Che se poi le opere sue potranno servire ad accrescere
le cognizioni odierne, e disvelare nuovi orizzonti, a precisare sistemi. Considerazioni
sopra il anatema generale dello spirito entro i limiti ' della
riflessione. Considerazion i circa il sustema della natura entro i limiti della
riflessione. Viaggi utopistici. Il
Protagonista. Proposta di una riforma sociale.Considerazioni generali circa la
caratteristica spiritualità dell'Italia. Insegnamento filosofico.
Gregorio. Romanzo. Novellette morali. Itinerario d'un Inqualificabile. Trattato
di Astronomia. Introduzione alla coltura generale. La Divina Commedia. Vita di
Giustino Caramella scritta da se stesso.Vita di due Comici. Vita di Virginia
Bonaventura. Sonnambulo. La mia celebrità.
Inventario delle mie vicissitudini mondane. Memorie Posthume.
IStramberie philosophiche. filosofici e speculativi oggidì ancora incerti ed
indefiniti, essa avrà nei contempo raggiunto un altro intento, quello
cioè di far contribuire all'aumento del patrimonio intellettuale scritti
che erano dal loro Autore destinati a rimanere sepolti. E ciò la
conforterà maggiormente nell'adempimento dell'intrapreso assunto, che è
per lei il più sacro e il più caro dei doveri. L'arte della parola è per noi
assai più spirituale che non le arti del disegno e della musica. La
medesima contiene idee definite come nell'arte del disegno, e medesimamente una
succes- sione temporanea come nella musica-, ma queste idee definite
non sono più astrattamente naturali come nell'arte del disegno
(appari- zione), nèuna successione temporanea di spirituali emozioni,
corno nella musica, ma piuttosto idee concrete (physiche e
metaphysiche) colle loro successicni definite di idee pensale non
astrattamente sentite. Si crede comunemente che l'arte della
parola sia la vera resumzione del disegno e della musica; certamente essa può
espri- mere idee proprie, quali non potrebbero essere espresse da
vermi disegno e da veruna musica, ma questa proprietà non
costituisce una vera preminenza nel significato che a lei comunemente
si attribuisce. L'arte poetica riassume in se stessa ed esprime a
proprio modo certe idee, quali non potrebbero essere espresse da quelle
altre due arti, ma non potrebbe in verun modo essere sostituita alle prefate
singole arti. La stessa può esprimere una suc- cessione di pensieri, ma
non una successione temporanea di emozioni spirituali col prestigio proprio
della musica; così pure può esprimere definite rappresentazioni come le
arti del disegno, ma non può presentarle immediatamente e sensibilmente,
al pari di quella, la quale ripete il suo prestigio appunto da questa
immediala sensibile rappresentazione. Cosi generalmente parlando
l'arie poetica da una parte può essere considerala come resumliva unità
delle idee divorziale nella musica e nel disegno, dall'altra però può
essere considerala come il germe inesplicito delle suddette arti, che
esplicandosi nelle loro astrazioni generano il disegno e la musica.
Infatti se l'arte poetica da una parte accompagna il massimo svolgimento
della civiltà, dall'altra parte è stata un'arte assai primitiva e forse
cosi primitiva come il disegno ed assai più che la musica; le idee
l'arte della parola contenute in queste possono considerarsi come
generate da una astrazione ideale, che costituisce le suddette
arti. L'arte della parola si divide in tre periodi capitali: l'arte
poetica come esiste nella letteratura propriamente delta; l'arte
prosaica, come esiste nelle discipline finite empi- rico-matematiche; l’'arte
speculativa, come esiste in tulle le cosi delle p/iilosophie, non
arrivale alla necessità logica del pensiero, cp- pcrciò a quelle
philosophie che devono persuadere o dimostrare in qualche modo la propria
verità. Questi tre periodi costituiscono la concreta arie della
parola, ossia quella che si svolge come manifestazione della
Coscienza pensante. Noi tratteremo brevemente, ma categoricamente
questi tre periodi della parola, che realmente sono anche i periodi
dello spirilo parlante, prima del quale è l'esistenza meramente
psychica e istintiva delle bestie, e oltre il quale il pensiero va in un
altro systema che non è più quello che possa interessare lo spirilo
slesso. Intendiamo arte della parola quell'arte che si svolge nel
pen- siero concreto, epperciò si manifesta sotto le forme concrete
del medesimo, non in qualche sua astrazione, come quelle del
disegno e della musica, le quali si manifestano nell'astratta forma del
senso intimo o del senso esteriore. Denominiamo arte della parola
quella che si svolge mediante una lingua letteraria, non quell'idioma
popolare che nasce e si sviluppa islinlivamenle nel popolo, ed appar-
tiene alla natura piuttosto che allo spirilo pensante. Quest'arte
fu considerala astrattamente come lingua eslhelica, ovvero poesia; ma
essa prosegue il suo svolgimento anche nella lingua prosaica (come nelle
discipline finite), e nella lingua spe- culativa, ossia in quella che si
chiama comunemente phìlosophia. Questo svolgimento appartiene all'arie
della parola, e comprende lo spirilo assoluto (lo spirilo, non la
Coscienza assoluta). ZNello spirilo giova osservare che le categorie
devono essere gerarchicamente coordinate, e non si potrebbe concepire
un'esistenza spi- rituale che non possedesse vizi e virtù, buono e male,
e cosi via. Perciò abbiamo dello che quella pura speculazione (dai
theolo- ganli meritamente chiamata abuso della speculazione) non
appar- tiene allo spirito come tale, ma piuttosto è l'atto
caratteristico, col quale lo spirito si svolge dal pensiero in altro
systema. Questa speculazione pura è manifesta dalla parola, ma è il suo
esilo finale, epperciò nella parola che va via dallo spirilo. Così pure
quel pen- siero che nasce e si svolge istintivamente nel popolo non
appar- tiene all'arte in discorso, ma piuttosto alla natura
creatrice. L'arte della parola suppone uno spirito positivamente
formu- lalo e muore colla morie dello slesso, epperciò la medesima
appartiene essenzialmente allo spirilo, non generalmente alla Coscienza.
Lo spirilo nasce dal non spirilo e muore nel non spirito, ossia è un momento
storico nello svolgimento della Coscienza ; epperciò consideriamo come un
prodotto della natura (ossia di un systema non ancora positivamente
spirituale) quella lingua e quel pensiero che nasce e si svolge istintivamente
nel popolo. È una lingua psychica, che progressivamente e lentamente si
svolge in una spirituale; perciò troviamo nelle lingue esordienti
la parola determinala col semplice elemento delle intonazioni, ed
inoltre che le nostre idee metaphysiche ebbero tutte nelle lingue
primitive un significalo di phenomeno sensibile, e anche oggidì si
trovano negli uomini naturali lingue che possono significare individui,
non generi e specie, caratteristico di quelle spirituali. Nell'infimo
popolo le idee metaphysiche sono ancora mollo equi- voche; cosi per es.
suppongono lo spirito non solo in un tempo ed in un luogo (vale a dire
nella natura), ma anche con un pos- sesso caratteristico del pensiero
humano ; questo non può risul- tare che da uno spirilo in una forma
necessariamente humana. Così quest'arie della parola comprende la
totalità dello spi- rito (Coscienza pensante), ma esclude ogni altro
systema della Coscienza, che non sia quello dello spirilo. È questa la
ragione per la quale coll'arle medesima una verità si deve persuadere
o dimostrare; e quelle verità logicamente necessarie, che riescono
indifferenti a qualunque negazione o affermazione o dubitazione, vale a
dire si confermano con qualunque determinazione del pensiero, non
appartengono allo spirito, ma sono l'alto caratle- [ i/arte poetica] - rìstico
per il quale la Coscienza si svolge dallo spirilo in un altro syslema.
Perciò nell'arie della parola non comprendiamo la spe- culazione pura
nelle sue verità logicamente necessarie. Lo spirito è contenuto
entro i limili della Coscienza pensante; olire questi limiti non è
spirito veruno, ma semplicemente un qualche altro syslema della Coscienza
slessa. Perciò l'arie della parola è quella che si svolge: colle
categorie del sentimento, verbigrazia colla persuasione, colla fede, coli'
ispirazione, e cosi via; colle categorie dell' intelletto, verbigrazia
colla dimo- strazione assiomatica o empirica; colle categorie di una
facoltà concettiva infantile, ver- bigrazia con quelle forme equivoche
della pìdlosophia comune. Una speculazione pura, che introduca le verità
logicamente necessarie (le quali differiscono essenzialmente dalle verità
sue- cennate), è il risultalo d'una facoltà concettiva adulta, la
quale conduce la Coscienza fuori dallo spirilo in un systema più
horno- geneo, perocché quello non potrebbe vivere con siffatte
verità. L'arte poetica è l'esordio dell'arte della parola, e lo
spirilo poetò assai prima di parlare prosaicamente, perchè la
poesia appartiene al sentimento ed all'imaginazione, e la prosa
all'intellettualità riflessa. Si dice che gli uomini primitivi sono
essenzialmente poeti, ed il loro linguaggio non esprime mai un' idea
esalta, ma una forma piuttosto oscillante nel sentimento e
nell'imaginazione. È vero che gli stessi parlavano un linguaggio non
menomamente formulato dalla riflessione, ma semplicemente dal sentimento
c dall'imaginazione, che sono però ben altro da quell'intimità
melaphysica che noi possediamo, ed è piuttosto il risultalo dell'opposizione
d'una mente prosaica con una mente poetica. La loro l'orma poetica è
tuttavia profondamente immersa in un elemento immediatamente sensibile,
che noi potremmo difficilmente imaginare. È questa la somma difficoltà che noi
proviamo nel concepire chiaramente le antichissime forme della
poesia, come per es. quella dei Vedi ed anche della nostra Bibbia.
Originariamente si scrisse ogni cosa in una lingua poetica, se
qualche volta non rigorosamente metrica, almeno tale da suo- nare all'orecchio
con una qualche misura. Troviamo per es. i salmi della nostra Bibbia
scritti in una forma non esattamente metrica, ma nullameno misurala. E
ciò accadde perocché il pen- siero era allora essenzialmente poetico;
Hegel notò mollo assen- natamente che il primo prosatore nel lernpo fu
Aristotele, si scris- sero bensì prima di lui molli pensieri in una
lingua perfettamente non metrica, ma essi, nonostante quest'apparenza
prosaica, etano tuttavia poetici; per es. gli scritti di Platone sono più
poetici che prosaici. Gli argomenti, che oggidì consideriamo come
necessa- riamente prosaici, erano trattali in poesia. Così presso gì'
indiani troviamo arylhmetiche, astronomie, vocabolari etc. distesi in
una lingua metrica, e si può dire generalmente che i primi popoli
civili non sapevano pensare e parlare se non poeticamente. Alcuni popoli, come
gli as ia tici, ve rsano tuttavia in ques t'elemento poetico che loro
impossibilitò una sto ria. La poesia, come esordio dell'arte della
parola, si distingue in tre momenti. È poesia epica, ossia immersa in un
elemento ogget- tivo, in un'unità religiosa o elhnica ; Poesia
lirica, ossia la soggellività che nasce e si svolge da questa
generalità; La drammatica, ossia la poesia che oppone i vari sen-
timenti e le varie convinzioni, giusta le varie soggellività e le varie
oggettività cosliluile. La poesia didattica veramente non è poesia, ma
piuttosto una riflessione legala nelle forme poetiche e misurale; è
piuttosto una vera dissonanza della riflessione colla sua forma, vale a
dire, con una forma che non è quella propria di lei, essenzialmente
prosaica. Generalmente parlando è poesia la forma del pensiero
poetico, il quale perciò reclama tale forma; e sluona lanlo una
forma l'arte POE l ICA metrica con un pensiero prosaico, quanto un
pensiero poetico con una prosa libera, vale a dire, colla forma della
riflessione; il lin- guaggi o ed il pe nsiero devono con sonare in una
sola forma, non in d ue diverse e contra rie. Chiamo poesia
epica quell'essenzialità ideale generalmente immersa in qualche
astrazione objettiva di costituzione religiosa o di nazionalità, non
quell'astratto formalismo di un'epopea o di p una lyrica. Cosi per es.
gli inni di Pyndaro e quelli di Tirteo J* "*^* appartengono
all'epica, pero cché i lo ro soggetti non sono con - y^'^ wfs» ' centrati
nella loro propria soggettività^ ma piuttosto immersi i n y* un'obiettiva
astrazione religiosa e nazionale. Possiamo dire clic
all'epopea appartengono tutte le co mposizioni in ossequio d'una
qualche costituzione religiosa, o d'una qualche nazionalità.. Cosi per
es. il Malia- bahrata è una splendida epopea, tuttoché non contenga
veruna idealità nazionale, il Shah-Nameh dei persiani lo è pure, tuttoché
differisca essenzialmente dal Maha-bahrata. La Theogonia di llesiodo è
pure un'epopea religiosa, e così la Divina Commedia dell'Alighieri, ed il
Paradiso perduto di Milton. Le epopee prettamente nazionali sono Vlliade
d'IIomero, YHeneide di Virgilio, i Lusiadi di Camoens, e altre simili composizioni. Generalmente
nell'epopea si realizza una somma grandiosità poetica , ma l'uomo sj^om
nare, per cosi dire, ne l l'unità religiosa o nazional e, a celebrare le
quali è destinato. All'epopea appartengono pure certe formule satyriche,
come per es. il Don Quijolte di Cervantes, e la Verdine d'Orleans s
critta da Voltaire, le quali veramente non sono destinale a celebrare
il sentimento religioso e l'heroismo nazionale, ma il loro
argomento, tuttoché salyrico, è pur sempre religioso e nazionale. Si
deve avvertire che l'epopea appartiene sempre ad u n'astrazione
objet- liva di costituzione religiosa o nazionale, ma differisce
sommamente per i vari gradi della civiltà, nella quale è nata. Il
secondo momento della poesia è la lyrica propriamente detta. Chiamiamo
lyrica quella poesia del soggetto raccolto in se stesso, o per lo meno,
nella sua vita privata. Gli asiatici generalmente sono troppo immersi
nell'objellivilà costituita religiosa o politica per conoscere una vera
lyrica; si — uebetti, Canaidcr. sul list, rftiier. JeUu
spirilo. I:MI oim:iu5 postumi-: ni hktro
ceretti può diro che essa nacque la prima volla in Grecia ed
in Roma quando il soggetto principiava a sentire l'insufficienza di
una costituzione oggettiva ed i bisogni della sua propria
soggettività. Cosi non quelle forme che si chiamano comunemente
lyriche, come le Odi di Pyndaro, gl'inni religiosi eie, appartengono a
una vera lyrica, ma piuttosto quelle dedicate alla soggettività ; per
es. appartiene alla vera lyrica l'antica poesia di Museo litolata
Eri e Leandr o, le erotiche di Anacreonle, alcune di Horazio, come
anche quelle di Catullo nei suoi rapporti colla Jjilage scherzosa.
Oggidi la poesia lyrica è tuttavia persìstente, ma l'epica è
perfettamente abolita/yA questo genere, come nell' epopea, può
appartenere una poesia piuttosto umoristica, ironica e parodiaca,
perocché la lyrica non è menomamente vincolata alla serietà, ma
semplicemente alla soggettivazione. Il soggetto può poetare delle varie cose
seriamente o ironicamente, purché in essa varia o saly- rica composizione
lasci trapelare una qualche propria convinzione. La transizione da questo
genere alla drammatica è caratte- rizzala da una poesia alquanto
equivoca, nella quale il soggetto tratta le varie cose ironicamente,
parodiacamente eie, ma non lascia trapelare veruna propria convinzione,
così che le delle poesie non contengono un'idea conclusionale; sono
astrattamente negative e non affermano cosa veruna. Queste poesie si
realizzano in un lempo mollo civile, e sostanzialmente vogliono dire che
il poeta rimane semplicemente spettatore , non attore delle cose
ironicamente ricordate. Comunemente si chiamano queste mani- feslazioni
quelle di un genio spossato e di una certa decadenza della civiltà; la
storia, come abbiamo detto, per proseguire la sua vita ha bisogno di
principii serii; la forma dei principii può variarsi quanto si vuole, ma
è necessario che la si fissi, vale a dire, che si fìssi un qualche
systema nel quale si svolga la storia stessa. Ecco la ragione per la
quale una rilassatezza di principii è sempre giudicata un syntomo di
.slorica decadenza; non si avverte però che la rilassatezza di principii
conosciuti è sem pre la nascila vigoros a di principii nuovi e
sconosciuti. Il terzo momento della poesia abbiamo detto è la
dramma tica. Qui sono anlagoni o più soggetti di principii contrari, che
si con- [l'arte poetica] tendono Ira loro, e appurilo in questa conlesa le
antagonc convinzioni si neutralizzano, vale a dire, risulta la loro
reciproca insufficienza. L' un soggetto contende centra l' altro
soggetto avversario, e cosi amendue
difendono la propria convinzione, Ques ta difesa si effettua mediante le
ragioni che tornano favorevoli a esse convinzioni, m a, siccome esse sono due o
giù con- tr arie, ciascheduna difendendo se stessa combatte la
propria avversaria. Non è certo una parte che preferisce un
negativo un positivo ( la quale preferenza sarebbe assurda) , ma
amendue ^che preferiscono un po sitivo a un negativo, cosi che in
ultima analysi amendue vogliono la stessa idea, ossia che il
positivo pre- ( domini sul neg ativo. C o ntestano semplicemente se
questo sia il (positivo e quello il negativo, o viceversa, epperciò disputan
o, circa una cosa phenomenale, non circa un oggetto o un' idea
concreta. Tulli i soggetti reclamano il positivo ed avversano il negativo
(sono due termini dell'opposizione), ma tale soggetto vuole a come un
positivo, ed avversa b come un negativo ; tal alito soggetto vuole ed
avversa inversamente. Giova osservare che l chiamandosi a positivo e b
negativo, quando siano invertiti si de- vono chiamare inversamente: a,
che phenomenalmentc hora funziona come positivo ed hora come negativo, è
un mero giuoco di parole; perocché sono appunto quei rapporti essenziali
che sono stali mutali i quali cosliluiscono l'oggetto. Cosi la
contesa della drammatica, esaminala con un logico criticismo
perderebbe ogni drammatico interesse, perocché non è contesa seria,
ma semplicemente logomachia. Nella drammatica però queste
idee si contendono profonda- mente involute nella for ma de jjsent imenlo
e_d eH'imaginazione , e appunto da questa profonda involuzione risulla
ogni drammatico prestigio. A vero dire in essa non si contendono mai le
idee puramente riflesse, ma piullosto quelle che possono grandeggiare nel
conflato del sentimento e dell'imaginazione. Infatti un interesse
drammatico non si potrebbe conseguire colla fredda e prosaica f v< -7— ^
t.'R'i dimostrazione di un theorema matematico; questo vuol dire, m * m
.% mm *40~—X*l L che l e verità della riflessione non sono le verità^ del
sentimento, K> H — cr- u l'una è impolentissima a surrogare il posto
dell'altra. Cosi pure na bella verità poetica, come sarebbe il conflato di
un'azione lieroica, non potrebbe interessare menomamente un
Iheorema malliemiitico e non potrebbe sostituirsi come
dimostrazione. La drammatica non insegna solamente che ogni ordine
dello spirilo ha le proprie verità, e la verità di un ordine non può
JCT*»**^**» essere q ue |] a di un altro, ma insegna altresì che certe
convin-4 »>u^»*w^l« tìom sono così profondamente radicate nel
soggetto, che non f si lasciano sradicare da veruna eloquenza. Non
consideriamo in * quest'ordine i soggetti che persistono nelle proprie
convinzioni ^semplicemente perchè non le capiscono, nè possono capire
altre Sconvinzioni contrarie; que sj/opposizione non è spirit uale, e
può \ compararsi a quella della forza bruta la qual e dice; parlate
come volet e, via i o faccio co sì. I varii soggetti nella drammatica
pos- seggono le proprie convinzioni e le oppongono alle contrarie;
da quest'opposizione risulla una reciproca soppressione di verità,
ossia la prova drammatica (nel sentimento e nell'imaginazione) che tali
non sono verità, ma gravi errori. Da questa reciproca soppressione di
verità astratte risulla una verità neutralizzala ed assai più concreta,
che se non persuade i contendenti della scena persuade l'uditorio.
Ma un'arle_(ìnissim a di far prevalere nella dispula una prò- i
pria idea preconcetta è quella che, nonostante la manifestazione di tulle
le ragioni favorevoli a una certa idea, lascia fortemente trasparire il
lato debole della medesima. L'avversario traila questo lato debole con
molla generosità, ma appunto con quesla generosità vince una causa che si 6
mostrata troppo impotente. I personaggi delle scene molto incivilite non
si trattano con colle- riche invettive, ma piuttosto colla massima
cortesia; è il diplo- matico che accarezzando il proprio avversario
gentilmente lo strozza. L'arte soprafma non è quella di combattere
viltoriosa- mente le ragio ni dell'avversario , ma piuttosto di cond urre
passo passo l'avversario al proprio traviamento , cos icché sembri
cadere per_un suo proprio fallo, vale a dire, comballa contro se sless
o. Era questa l'arie finissima d'un antico philosopho, il quale non
contrariava mai le ragioni dell'avversario, ma lo raggirava cosi che in
ultima analysi questi contrariava se slesso. [l'arte prosaica] Questa
drammatica nasce da una profonda riflessio ne, ma può vestire forme del
sentimento e dell'imaginazione, e risulia assai più polente di quella
nata da una mera imaginazione e da un mero sentimento. Credete voi che
Dante, Shakespeare e Goethe fossero semplicemente poeti inspirali,
piuttosto che rob usti pensatori? Se fossero slati semplicemente poeti non
avrebbero potuto imaginare le composizioni così pregne di pensieri
profondi, lo non dico_clie i profondi pensatori, se si dedicano all'arte
poetica , debbano riuscire necessariamente drammaturgi, ma dico
semplicemente che questa forma si presta maggiorm en te ad un larg o
svolgimento dell'idea . Goethe fu certamente un profondo pen- satore e
nullameno trattò non solo la drammatica , ma anche Pepopea, la lyrica e d
il romanzo. Questo vuol dire, che il pen- siero, il quale abbia subito un
largo svolgimento, a qualunque forma si dedichi, partorisce
capolavori. Varie prosaica è un secondo periodo nell'arie della
parola, il quale differisce essenzialmente dal primo periodo, ossia
dal- l'arte poetica, perocché quella si volge al sentimento ed
all'imaginazione, ma quesla si volge più particolarmente alla
ri/h'ssint>i'. Quest'arte si distingue pure essenzialmente da
qualsivoglia philosophica eloquenza, perocché quella è dimostrativa o
persua- siva secondo l'opportunità e comprende la totalità dello
spirilo; quesla è astrattamente prosaica e dimostrativa, epperció non
può mai riuscire come philosophia, nè acquistare un drammatico interesse.
Essa è destinala a creare piuttosto quelle tali verità che si chiamano
scientifiche, non a creare veruna concreta verilà dello
spirito. L'arte prosaica esordisce come un mero opinalismo c nasce
dire ttamente dalla religiosità; i primi medici per es., i primi
astronomi, ed i primi chimici furono semplicemente sacerdoti, e
possedevano non una nozione di siffatte cose, ma semplicemente un'inlima
convinzione od un fallo esteriore Le discipline Lulle, che bora versano
nella riilessione, originariamente versavano in una mera convinzione
religiosa di un fallo intimo o esteriore. Perciò noi vediamo che esse
originariamente erano semplici pro- fessioni, o più propriamente,
semplici operazioni sacerdotali, le quali riposavano sopra una fede dogmatica,
non sopra veruna empirica od assiomatica dimostrazione. Tulli sanno che
la prima medicina fu nei tempii, e che la malattia originariamente si
considerava come uno spirito maligno che invadesse l'ammalalo, vale a
dire, gli ammalali erano considerali come ossessi; tulli sanno che
originariamente si curava con semplici pratiche religiose, il cui
risultalo era dovuto alla fede. La reclamazione dell'intelligenza
riflessa non era nata, epperciò una simile medicina non conte- neva
veruna nozione analomica e physiologica, ma riposava semplicemente sulla
pubblica credenza e sulla pubblica ignoranza. Nella civile babilonia gli
ammalali si sponevano pubicamente affinchè ciascheduno dicesse il proprio
parere circa la loro ma- lattia ed i medicamenti requisiti. Il sacerdote,
come religioso, doveva sempre curare con medicamenti prestabiliti e
s'egli for- viasse dalla cura prestabilita era castigalo colla morie,
precisa- mente come un herelico il quale non riconoscesse cerle
verità della fede. Allora non si conosceva cosa veruna e non era
naia veruna facoltà di dubilare, perocché tale facoltà appartiene al
criticismo della riflessione. Tutto era fede e religiosa con- vinzione,
la quale conseguentemente escludeva ogni possibile incertezza; si
trattavano le cose mediche press' a poco come noi trattiamo le verità
logicamente necessarie le quali non si pos- sono in verun modo dubitare,
ossia non si possono dubitare cogitabilmenle. Non dico che
quelle verità primitive somigliassero a quelle essenzialmente
indubitabili delle mathematiche pure, perocché queste reclamano una
dimoslrazione e non sono indubitabili che in questa loro mathematica
dimostrazione. La riflessione neona- ]&nét ìfent* scenle , che
conduce progressivamente il secondo momenlo del- l'arie prosaica, fu una
semplice dimostrazione non intellettuale , come noi la consideriamo, ma
una dimostrazione graphica per la quale ceni phenomeni complessi si
riducevano a presentazioni più semplici, dalla cui unità risultavano i
delti phenomeni complessi. Così fu originalmente la dimostrazione
mathematica, e noi sappiamo che una geometria graphica precedette per molli
secoli mia geometria analylica, e le stesse potenze uno, due eie,
che hora si considerano nella loro algebrica generalità,
originaria- mente si consideravano come linee, super fìci, e così via.
Le dimostrazioni mathematiche, come un risultalo della semplice
riflessione, non sono anche oggidì concepite dai molli nella loro vera
essenzialità. Cosi per es. gli uomini comuni considerano una
dimostrazione graphica come equivalente ad una puramente in- tellettuale;
giova osservare che la dimostrazione graphica è un fatto sensibile, e si
riferisce ad un dato problema presentabile sensibilmente, ma la
dimostrazione intellettuale si riferisce a un fallo cogitabile, la quale
riesce sempre irrefragabile anche per quelle cose che non si possono
presentare sensibilmente, purché siano ridutlibili ad una tale
equazione. L'arte prosaica consiste nel trovare questa dimostrazione,
e nel fare che una verità non sia più semplicemente soggettiva. Le
verità apodittiche si distinguono dalle verità del primo momento appunto
perchè queste sono varie nei varii soggetti (varii soggetti posseggono
varie convinzioni), ma quelle sono identiche in tulli i soggetti. Un soggetto
può possedere una fede ed un altro sog- getto può possederne una
contraria, ma nessuno potrà pensare che un theorema geometrico di
Pithagora per es., non sia necessariamente vero, perocché nessun soggetto può
dubitare che a = a, identità alla quale, come alla propria radice, si
riducono lulle le verità mathematiche. Vi è una terza forma
dell'arte prosaica, che è pure una forma apodilhica, ma differisce
essenzialmente dalla dimostrazione mathematica, perocché quella è semplicemente
un mezzo a conoscere qualche verità naturale o spirituale, questa non è
sempli- cemente un mezzo, ma è immanente al proprio scopo. Qui non
si tratta più di conseguire uno scopo con un mezzo adeguato, ma si traila
di conoscere una verità che ha in se stessa il proprio principio, mezzo e
scopo. L'osservazione esplora ciò clic sia il soggetlo in se stesso, e suppone
che la verità di esso sia in lui recon- dita e mediante l'osservazione si
possa conoscere quello che e. Le mathematiche pure contengono verità
puramente intellettuali, epperciò verità irrefragabili e necessarie; ma
come tali non possono contenere verun scopo naturale o spirituale; debbono
assumere un elemento empirico, epperciò un'essenzialità contingente. Le
verità empiriche differiscono essenzialmente dalle mathematiche, perocché
quelle sono irrefragabili e necessarie, ma queste essenzialmente
controvertibili ; perciò nelle cose mathematiche non si può avere una
propria opinione, e si tratta solamente di sapere se questa sia o non sia
una verità mathematica, ossia una verità mathematicamente dimostrata;
nelle cose empiriche tutto è conlroverlibile, epperciò i varii soggetti
possono possedere varie opinioni e varie convinzioni, ma queste verità
controvertibili possono contenere una natuca concreta o uno spirilo concreto.
L'osservazione insegna esattamente quello che sia ogni ordine
finito, epperciò insegna che ogni ordine empirico versa in una necessaria
contingenza. Presumere di conoscere qualcosa defini- tamente
coll'osservazione è una presunzione puerile, perocché tanto l'oggetto
dell'osservazione, quanto l'osservazione stessa ver- sano in una
necessaria contingenza. Ogni ordine finito appartiene alle discipline
empirico-induttive o alle discipline mathematiche empirico-induttive;
perciò i cultori di queste discipline finite dicono, non vi è verità
assoluta, ma ogni verità è necessaria- mente relativa. Questo è vero,
perocché nelle discipline finite non si può trattare se non la verità
relativa, e quella verità assoluta che possibilità la relazione non
appartiene a delle discipline. Però nelle medesime tutte le verità
relative non sono identiche, ed esse si coordinano gerarchicamente
secondo il grado di relazione. Cosi per es. nelle cose spirituali si
distinguono verità puramente soggettive dalle nazionali, e le nazionali
dalle verità humanilarie, e le humanilarie dalle mondiali. Una
verità positiva nell'ordine finito si chiama quella che possiede rapporti
più generali, cosi che possa essere poco affiena dall'opinalilà
soggettiva. Così per es. che i gravi cadano colle leggi di Galileo è una
verità empirica, ma essa è cosi generale e l'arte speculativa
cosi costante sul nostro globo, che non può essere affetta da
veruna opinalilà soggettiva. La medesima è una verità puramente empirica,
perocché se una pietra non cadesse nello spazio libero sulla terra non si
troverebbe una ragione contraria assolutamente necessitala da opporre al
suddetto phenomeno; la pietra deve cadere nello spazio perocché è sempre
caduta; è un documento costante dell'osservazione; ecco lutto; e questo
lutto non si può trascendere in verun modo dall'intelligenza riflessa
senza cadere in gratuite supposizioni. La riflessione non può opporre per
es. che siccome il centro e la peripheria si suppongono necessaria-
mente, cosi il corpo deve necessariamente procedere dal centro alla
peripheria, e viceversa per conseguire un'esistenza esteriore. Questa
cosa si capisce chiaramente dicendo, che una materia centrale è
necessariamente una materia caduta, ed una peripheria è necessariamente
una materia spostata dal suo centro; cosi una materia è pure
un'oscillazione necessaria fra il centro e la peri- pheria, perocché la
non si può supporre occupare due luoghi nello spazio. Qui non si traila empiricamente
di provare che generalmente la materia debba essere attratta e respinta
dal centro alla peripheria e viceversa, ma semplicemente di provare
che questa tale materia hora e qui sia attratta o respinta, piut- tosto
che altrimenti. Perciò l'osservazione non tratta le verità
generali, ma sem- plicemente quelle nel tempo e nello spazio; ed i
cultori delle discipline finite dicono saggiamente, che tutte le verità
sono rela- tive; s'intende che tulle le verità finite sono lali. [L'arte
speculativa] L'arie prosaica è necessariamente un'arte che tratta il
finito, ed è prosaica perchè appartiene alla riflessione. L'arte
specula- tiva non è più tale, perocché si propone di conoscere non
le verità relative e finite, ma le verità generali, madri dì ogni
ordine finito. Quest' arie differisce essenzialmente lanlo dalla poetica
quanto dalla prosaica, perocché aspira alla nozione, e ad una nozione
indipendente da ogni empirica autorità; sendo tale, la non si può
chiamare un' arte aslrallamente prosaica nè astrattamente poetica,
perocché contiene il suo argomento con- creto, di cui la prosa e la
poesia sono astratte manifestazioni. Cosi lo spirito generalmente
parlando non è poetico astrattamente, perchè anche prosaico, e non è
prosaico aslrallamente perchè anche poetico. Nell'eloquenza philosophica
qualche volta si vuole persuadere (cioè parlare all'imaginazione e al
sentimento, come la poesia); qualche volta però si vuole dimostrare (cioè
parlare alla riflessione, come la didattica finita); in concreto però lo
spirito vuol insinuare la verità, non imporla se sotlo una forma poetica
o prosaica; vuole insinuare una verità concreta di cui la forma poetica e
la prosaica sono forme astraile; lo spirilo vuol trasfondere lo spirilo,
il quale è semplicemente l'attitudine a costituirsi poetico o
prosaico. Quest'arte speculativa per conseguire il proprio scopo si
svolse caratteristicamente per tre momenti, che sono quelli della
philo- sophia comunemente della. Cosi prima è una s peculazione immersa
in un elemento poetico o religioso (come per es. l' ispirazione e la fede).
Poscia è una speculazione immersa in una dimostrazione mathematica o
empirica , cioè una verità generale diesi vuol conseguire col melhodo
delle verità finite. Finalmente è una speculazione scettica che si
rillettc in se stessa, e conchiude che l'inlellellualilà riflessa è
incompetente a conoscere l'assoluto. La FILOSOFIA più o meno
popolarizzata nei vari paesi civili dell'Europa, appartiene sempre al
primo momento, vale a dire, è un sentimento od un'imaginazione più o meno
philosophalc; non si aspira categoricamente alla nozione, ma
semplicemente a persuadere una certa verità generale. Questa persuasione
non può riposarsi se non in una fede nella cosa o nel dichiarante la
cosa. Perciò si fa sempre appello o a un senso comune (come la
scuola scozzese), o a una verità rivelata (come generalmente tutte le
Iheo- sophie, comprese anche quelle che si dicono speculative), o
finalmente a una ragione esplicita colla forza dell'eloquenza, vale a
dire, a una ragione diretta al sentimento. La FILOSOFIA coi/arie
speculativa mune della gente non può essere se non una philosophia più
o meno poetica, religiosa o irreligiosa; checché ne sia, le sue ra-gioni
non sono mai dirette a costituire la nozione, ma semplicemente a commuovere il
sentimento , o provocare l'imaginazione: perciò quest'eloquenza
philosophica non si può chiamare poetica nè prosaica, ma semplicemente
un'arte speculativa che persuade o commuove secondo le varie circostanze.
É la sola possibile FILOSOFIA che si possa popolarizzare, perocché il
sentimento e l' imaginazione nella gente comune possono essere
mediocremente espliciti, ma la riflessione è sempre notevolmente
debole. In questo primo momento si dice, per es., che la philosophia
dev'essere nazionale, ovvero deve servire la Chiesa , ovvero lo Stato,
ovvero la civiltà, e così via; si vuol fare della philosophia una
disciplina finita con uno scopo finito. E veramente questa manifestazione
equivoca della mente humana non potrebbe tra- scendere a una pura
speculazione, e d'altronde non potrebbe costituirsi una technica chiaramente
professionale. Perciò quando? udiamo che una persona ci risponde che il
suo studio sono le mathematiche, la chimica, eie, sappiamo positivamente
quelli ch'essa dice, ma se udiamo che la della persona si dedica
alla) philosophia, rimaniamo piuttosto perplessi. Si é talmente generalizzato
questo nome, che horamai non si sa più cosa si vogli a dire ,, quando lo
si pronuncia. Tra una philosophia dell'ordine succcnnalo, ed una
philosophia come speculazione pura corre una differenza molto maggiore
che non fra la botanica e la giurisprudenza. Un secondo momento
dell'arte speculativa è quello che, abbandonando il campo della fede, si dedica
alla dimostrazione mathematica o empirica, vale a dire, a una philosophia
che vuol conseguire la propria verità col methodo d'una disciplina
finita. Cosi, per es., Spinoza tratta la sua etilica con un methodo
rigorosamente geometrico (proposizione, dimostrazione, corollario). Nel secolo
passato questa manìa d' imitare i malhemalici fu mollo generale nei
philosophi ; non avvertivano che le mathematiche sono rigorosamente
esatte, perocché versano in un'aslratla iden- tità, vale a dire, si
riducono alla loro assiomatica identità a = a, locchè non potrebbe
realizzarsi circa veruno scibile concreto, perocché esso scibile concreto deve
contenere le categorie radicali di qualsivoglia realtà, cioè la qualità e
la quantità. Le mathematiche sono appunto esalte perchè contengono una sola categoria
(la quantità), e le loro verità non sono mai il rapporto di una all'altra
categoria (il quale rapporto costituisce l'essenza di qualsivoglia verità);
questa sola categoria è appunto incontroverlihile, perocché si riferisce
semplicemente a se stessa; perciò si è dello che i theoremi malhemalici
sono giusti, ma non sono veri, appunto perchè non contengono la totale essenza
di quella che noi chiamiamo verità, o, per lo meno, le verità
mathematiche hanno un significalo altro da quello delle altre discipline.
Cosi trattando mathemalicamenle le materie philosophichesi sono dovute
ridurre a un'astratta identità affinchè riuscissero incontrovertibili
come le mathematiche. Spinoza, per es., poneva la massima cardinale
che due cose diverse non possono avere un rapporto fra loro, perocché
nella comunanza di esso rapporto elleno sarebbero iden- tiche; di qui
conchiuse una sostanza universale identica a se slessa, la quale si
manifesta nelle sue varie attribuzioni come la spaziosità, la
temporaneità, eie.; considerava la Coscienza come una mera attribuzione
di essa sostan za. Non avvertiva 1° che nulla può essere reale se non sia
Coscienza e p perc iò la Coscienza non è un attributo ma la sostanza
stess a di ogni cosa: che ja mede sim a non è u j^ realtà, ma piuttosto i
nfinita attitudine a realizzarsi epperciò non si può chiamare nè
universale, nè particolare, nè identica, nè differente; ri on si può
predicarla in verun modo finito. Vi ha pure un'altra forma
della dimostrazione, che assai dif- ferisce dalla mathematica. E la prova
empirica, della quale ab- biamo più sopra riferito il caratteristico
essenziale. Nulla di più ovvio che ascoltare cosi sconsideratamenle dai
philosophanli che la philosophia dev'essere utilitaria, e riposare sopra
i documenti positivi dell'osservazione. Questa proposizione presuppone
una perfettissima ignoranza delle verità puramente philosophiche.
Basta osservare che la philosophia, sendo il termine più generale della
scibilità, non può essere subordinala a uno scopo altro dall'arte
speculativa se stessa; esso scopo suppone necessariamente che vi sia
qual- cosa più concreto della philosophia. Solamente con questa
sup- posizione si possono giudicare positive certe verità, alle
quali deve servire. Il terzo momento dell'eloquenza philosophica è,
propriamente rnm«viAo parlando, un'eloquenza scettic a. Si è scoperto che
ogni idea consta di due termini contrari, ma siccome la riflessione deve
necessa- Se eìticìj riamente affermare o negare, così s i conchiude che
nè la ne iiiL zione nè l'afferma zione contengono le verit à. È questo lo
scelticismo finale, al quale arrivò la speculazione greca. Negli ultimi V
tempi della philosophia greca apparvero tre syslemi, i quali, benché non
fossero prettamente sceltici, riuscirono perù pratica- mente allo
scetticismo. Così, per es., lo stoicismo (il quale non era menomamente
scettico, ed affermava che l'universo è il corpo d'Iddio), conchiudeva
che nel mondo non era cosa veruna pre- azjì^W- .v- V feribile a un'
allra, e così la vera beatitudine dell'uomo saggio, ^ ( non consiste nel
conseguire certe cose ch'egli crede ottime, e f* 1 "* * f /"cansare
certe altre eh egli crede grame; m a piuttosto nella piena indifferenza ad ogni
cosa monda na. Cosi pure i neoplatonici, i quali non erano menomamente
scettici, lant'è che proclamavano che l'assoluto è uno, epperciò non
intelligibile, perocché l'intel- ligenza suppone l'intelligente e
l'oggetto dell'intelligenza, altro F.f te & \ dalla stessa), riuscivano
praticamente all'estasi colla quale si ] z *iit' ,\t;c astraevano
da ogni senso esteriore. Gli scettici propriamente delti e poi avendo
conosciuto che ogni termine ha il suo contrario, aspi ravano ad un
giusto equilibrio (melriopatfna) dei termini contrari, epperciò conchiudevano
doversi speculare continuamente, senza pronunciare giudizio veruno. L’apathia
o ataraxia degli stoici, l’estasi dei neoplatonici, la mctriopathia degli
sceltici, enunciano un solo fatto concreto, ossia rijr.fimp fflp
ny.il riffll' i pio Hifr»"™ h iimang n p.nrirqflire
l'assoluto. Gli stoici trovavano quest'incompetenza nell'assoluta
unità dell'universo, cosicché affermavano che l’intelligenza non
polendo essere se non dualistica, necessariamente non poteva
concepire l'assoluto, il quale è un'unità. I neoplatonici trovavano
quest'incompetenza nell'intelligenza, che presuppone un oggetto essenzialmcnle
altro dall'intelligente. Gli scettici finalmente trovavano
quest'incompetenza nell'assoluta contrarietà delle idee, dalla quale
arguivano l'assoluta incompatibilità di due idee contrarie. Sommariamente si
può conchiudere che il sentimento l’e
imaginazio ne sono^cjjmpe tenti a concepire Tassoluto^ perocché I
ìvA*'tZ~ var j ano ne j varj soggetti; la riflessi one è pure incompetente
a t:|(*M,»*^. concepirlo, perocché deve supporre il suo oggetto
essenzialmente altro da se stessa, e trovando che ogni termine
dell' idea ha il suo contrario, conchiude necessariamente che una tale
idea debba essere un affermativo o un negativo, ma dappoiché non è
astrattamente nè l'uno né l'altro, ossia non è un astratto positivo
perché anche un negativo, e non è un astratto negativo perchè anche un
positivo, arguisce che l’intelletto è incompetente a giudicare. Questo
avviene perchè non si conosce quella facoltà, wr^ÈTche noi chiamiamo
facoltà concettiva , la quale differisce essenzialmente tanto dal sentimento
come dalla riflessione. Il senlimento affermo giustamente la propria
incompetenza a costituirsi t&wtfc-ccìv^vp-un assoluto, l’intelligenza
a ffermò pure la detta incompelcnza, perocché capì che l'assolulo deve
contenere anche la riflessione, epperciò la riflessione non può giudicare
quello che non può essere un suo oggetto altro da se stessa Cosi l'arte
della parola, svolgendosi nel sentimento artistico e nella riflessione
scientifica, arrivò a uno scetticismo filosofico, e si giudica generalmente
incompetente a costituirsi un assoluto. Lo scetticismo è la necessaria
conclusione d'ogni intellettualilà, che abbia trasceso il sentimento, e non
sappia trascendere alla pura speculazione. Il nostro filosofo si propone anche
la celebre questione del progresso, ossia del cammino della civiltà; e trova
che essa fu evolutivamente risolta coir una o coll'altra delle
seguenti tre risposte: Il genere umano invecchia e invecchiando/dgiara
(sentenza prediletta dagli antichi, da parecchi ottimi poeti moderni e
specialmente dai teologi; con essa lo spirito, scorgendo le migliori cose
desiderabili, le illumina col prestigio della distanza nello spazio e del
tempo. Il genere umano scuote le tenebre della sua ignoranza,
ricerca la scienza, con cui recar rimedio alle sue infermità, e accrescere i
beni, insomma migliora; (con essa lo spirito sforzatosi di prendere il governo
del mondo, raggiunge la sua dignità, dalla quale la mistica antichità lo
dichiarò decaduto: ed è prediletta dai novatori in genere). L'uomo né peggiora
né migliora, ma svolge in modo la sua spiritualità, che la prospettiva del suo
processo rimanga duplice, a migliorare per una parte, a peggiorare per l'altra:
lo spirito è una perpetua compensazione attiva del bene e del male, in modo che
l'uno generi l'altro per necessità logica e questa é la soluzione preferita dal
filosofo: soluzione, come si [Prolegomeni] Lo Spirito oggettivo vede, trascendentale,
ma punto strana perchè l'esigenza del trascendentalismo è propria dell'uomo. Esso
è necessario alla spiritualità, cosi come la respirazione al corpo umano,
sebbene, sommando le opposizioni che si sono mosse alla speculazione, si vede
che tutto lo scibile finito iu l'avversario d'ogni trascendentalismo
speculative. La determinazione suprema della voce, LA FAVELLA,
cioè LA PRONUNCIA ARTICOLATA DELLA DIALETTICA PSICHICA è il vero fondamento
dello scibile, perchè concreta sensibilmente lo sdoppiarsi del pensiero. Èla
formula e insieme lo strumento più eminente della manifestazione spirituale.
Sebbene né LA FAVELLA, né la facoltà di acquistarla siano
necessariamente richieste per determinare la posizione dell'uomo nella natura
il sorgere del LINGUAGGIO, È, COME IL PUDORE, SINTOMO della spiritualità che
nasce e si afferma. Lo studio della linguistica che sembrerebbe poter procedere
sopra un terreno libero da qualsivoglia pas-[Introduzione alla coltura
generale, Prolegomeni Massime e Dialoghi, Fase. Spirito oggetiivo] sione
partigiana, invece cammina sotto vane bandiere teologiche, o in balla del
liberalismo naturalistico o finalmente asseconda le simpatie e avversioni
etniche. Come ogni popolo crede ed ha creduto sempre di essere il primo popolo
della terra, cosi crede ed ha creduto sempre di possedere la più perfetta di
tutte le lingue -- opinione che naturalmente osta ad un bilancio del contributo
che ogni idioma porta all'educazione dello spirito umano. Il problema
dell'origine delle lingue, cosi come è posto per tanto tempo, è assurdo,
giacché presuppone pre-nato alla lingua il pensiero, il quale mediante essa
debba riferirne l’origine. L'unica ricerca genetica che, fuori del dominio
speculativo, può condurre a utile risultato, è la determinazione di un periodo
riconoscibile nelle vicende storiche, dal quale si sono sviluppate le
attuali forme linguistiche. Considerando il rapporto tra l’idea e le primissime
radici designative si capisce che detto rapporto non è idealmente definibile,
perchè è meramente naturale. É una ragione psichica immediata come quella per
la quale il RISO è foneticamente altro dal LAMENTO e SIGNIFICA diversa
condizione dell'anima. Ma l'idea progressivamente si emancipa dalle forme
materiali e radicali. Giacché agevolmente si capisce come una radice viva,
ossia espressiva di un solo concetto determinato, patisca in questa
determinazione un impedimento alla sua dialettica e storica evoluzione. Anzi,
la [Considerazioni ecc., Lo spirito oggettivo] radice e l'idea si legano
reciprocamente, e così l'una e l'altra sono arrestate nel loro metamorfico
svolgimento. Si può dire che il pensiero di un popolo tanto più liberamente si
svolge nella storia quanto meno sia spiritualmente legato dalle radici vive della
propria lingua, e che reciprocamente l'inerzia dialettica conserva le radici
vive come l'attività le corrompe e spegne. Molta importanza ha lo studio delle
lingue per la istruzione e l’educazione del pensiero. L’uomo è tante volte uomo
quante lingue conosce, giacché tale studio concerne vari modi che rispondono ai
vari gradi del pensiero. Infatti, l'idioma accenna progressivamente a dare le
forme sensibili, le intellettive, e le concettuali. Quanto più il pensiero si
avvia all'espressione rigorosamente logica tanto più si libera dalle esigenze
tutte formali della lingua. Giovanetto, sperimentai che dalla lingua è
occasionato il pensiero. Più tardi capii che la lingua è mezzo necessario
alla sua formulazione. Finalmente concepii che la vera forma intrinseca del
pensiero non può essere manifestata da questo mezzo estrinseco, che è la
lingua. Il che significa che essa, giunta che sia di fronte alla speculazione
pura, o per dir meglio, al sistema contemplativo si esautora da sé medesima,
riconoscendosi insufficiente a esprimerlo concretamente. Anzi, la lingua [Idee
radicali delle discipline matematiche ed empirico-induttive. Introduzione alla
coltura generale. Prolegomeni. Massime e Dialoghi. Fase. Lo spirito oggettivo]
VOLGARE, per l’uso pratico della vita, vuol essere studiata assai
differentemente che la letteraria e la FILOSOFICA, perocché lo scopo delle
varie forme linguistiche non è menomamente identico. Anche la semplice nozione
storica di un paese è assai collegata colla conoscenza del suo idioma speciale.
Narrando di un viaggio fatto dall'eroe di uno de’suoi tanti romanzi, C. dice. Il
mio protagonista studia sopratutto di famigliarizzarsi coi singoli idiomi che sono
svariatissimi e giudica che la nozione à un certo paese suppone quella del
minuto popolo, epperciò una pratica dell'idioma locale. E vedemmo che così si
comporta nei suoi viaggi egli stesso. Quanto alla questione circa la preminenza
del toscano sugl’altri dialetti nella nostra lingua letteraria, ecco le
osservazioni, che noi riferiamo qui non perchè ci paiano originali, ma per
dimostrare, una volta di più, quale sicurezza di sguardo ha C, in ogni
questione, che si affaccia al suo intelletto. LA LINGUA ITALIANA possiede, come
tutte l’altre, il suo proprio genio caratteristico, per il quale non può essere
confusa con veruna delle lingue romaniche. I suoi dialetti, moltissimi e
svariatissimi, si distinguono fra loro singolarmente per il loro specifico
carattere, ma nessuno potrebbe sospettarli dialetti d'una lingua altrimenti che
l'italiana. Questo avviene perchè, fra tante differenze, essi posseggono un
carattere comune. Memorie postunte, Fase. Itinerario di un
inqualificabile. Fase. Lo spirito oggettivo] grammaticale e lessicale; e L’UNITÀ
DELLO SPIRITO ITALIANO, nonostante le sue profonde differenze, è improntata in
questo generalissimo tipo comune dei dialetti. Oggidì da letterati si disputa
seriamente se il solo toscano sia il tipo classico della lingua italiana,
ovvero se IL GENIO DELLA NOSTRA LINGUA, essendo sparso in vari dialetti, si
debba ecletticamente approfittare di tutti. Esporrò brevemente la mia opinione.
Il toscano è senza dubbio il più ricco, il più venusto e sopratutto, diremo, il
più prettamente italiano dei dialetti parlati nella penisola, e perciò esso è
senza dubbio il repertorio più copioso e più italiano. Ma non si deve
dimenticare che la lingua parlata in Toscana, quanto sivoglia buona, è pur
sempre UN DIALETTO, epperciò non può essere una lingua letteraria sufficiente.
Nessun popolo scrive come parla. Le lingue parlate nascono e crescono nel
popolo, e contengono le mere idee del popolo; la letteraria e la scientifica sviluppano
il materiale linguistico della parlata giusta le esigenze progressive delle
lettere e delle scienze. Ora, questo materiale della lingua parlata è tanto più
sufficiente quanto più ampiamente è desunto da tutti i dialetti italiani: ognuno
di essi possiede certe locuzioni così proprie all'idea, quali non sono
specificamente possedute da verun altro. Di queste precellenze particolari la
lingua delle lettere e della scienza deve liberamente approfittare e non
immiserirsi nell'idioma locale d'una provincia. Seguitiamo il buon esempio del
grande ALIGHIERIi, che, quantunque toscano, esordì a scrivere la sua Commedia
non nell'idioma toscano, ma in una lingua veramente italiana. Spirito
oggettivo. Molte forme grammaticali e lessiche sono riducibili allo SPIRITO
GENERALE DELLA LINGUA ITALIANA, talune non lo sono. Il buon criterio del
letterato deve scernere quelle da queste, e, se l'idea esige neologismi, li
deve creare conformemente al genio della lingua, e omogeneamente ai materiali
idiomaticamente o letterariamente prestabiliti nella lingua italiana.
Coll'idioma esclusivamente toscano s'immiserisce non solo la lingua, ma
conseguentemente anche l'idea, la quale trascende le limitazioni
locali e popolari. Dai Sogni e Favole: Dal Sogno fiiogoologico.
Perfezione ed imperfezione degli enti. Dalla Favola antropologica. Dialogo tra
Fantasia, Lucifero ed il filosofo. Dalla Favola antropopedeutica. Dialogo tra
Favola ed Filosofo. La filosofia e la solitudine. Dalla Favola angelica. La
vita del filosofo. Dal Sogno utopistico. Dialogo fra il filosofo ed un ere
mita della futura società riformata.Dal Sogno utopistico. L’educazione
in un ordinamento utopistico della società. Dalla Favola utopistica. Una gita
in aeroplano nella società riformata. Dalla Favola utopistica. Un «
casus belli » Dalla Favola utopistica. Le condizioni economich
della società riformata dell’anno 2000. Dalla Favola utopistica. Un
disegno di ordinament cittadino nella società riformata dell’anno 2000 .
Dal Sogno assurdo. La società nel secolo xix e nell’e poca
successiva della riforma. Dalla Favola assurda. L’igiene. Dal
Sogno del diluvio riformatore. Un cataclisma. Dalla Favola di F.rato. Poesia,
scienza, speculazione Dalla Favola ili Erato. La danza, la mimica,
la mu¬ sica, la poesia. Dalla Favola di Erato. I grandi poeti sono
spiriti concettivi. Dalla Favola tecnica. Prolusione agli studi tecnici in una
società futura. Dalla Favola filosofica. Manuale pratico di vita civile Dalle
Massime e Dialoghi: Reminiscenza.» Espressione della verità. Recondita
opera della filosofia nella storia dell’ umanità. Gli attori della nostra
storia europea. Gli spiriti forti e la moralità. I filosofi nella società degli
uomini comuni. Debolezza delle facoltà mentali. Celebrità e saggezza. I giudizi
del mondo. Apprendere da sò stesso o dal maestro .II giornaletto umoristico. La
tirannia della debolezza. L’apprezzamento della filosofia del mondo. Stazioni
nell’itinerario degli studi. Dialogo di Patologo e Apatologo.» L’uomo
piacevole. Machiavellismo delle sette. Differenze spirituali. Un quinto
giudizio del mondo.Erutti di una coatta abnegazione. La celebrità ed il sapere.
Dialogo della Luna e della 'ltrra. Lagnanze e contentezze inopportune. »
L’intrinseco del mondo. L’ineccepibile probità. Conosci te stesso. Il
vero sentimento e la costumanza. La predica delle tre sorelle . Metodo per
essere colto e sapiente. Scopo di un filosofo . Catechismo de! medico
praticante. ”Documenti esteriori della soggettività. L’inettitudine dei
filosofi e dei poeti . Annunzio librario. Dialogo di un filosofo con un amico.
Orientazione dello spirito speculativo. L’infelicità degli uomini grandi .
consigli delle persone. La setta. La personificazione delle maggioranze. I
giudizi del mondo. Verità speculativa e verità della riflessione. Sentenziucce.
Le ragioni delle sette. Predilezione del sentimento e della riflessione Le
abitudini della vita pratica e teorica . Insegnamento delle massime pratiche
mondane. L’hegeliana filosofia del diritto . Trascendentalismo. La
divina provvidenza1 diritti della gente. Astrazioni viste sotto un solo
aspetto. Ragioni della verbosità . La solitudine e la città. Le lodi e i
biasimi del nostro tempo. La morte spirituale. L’inavvertenza. Politica. Circa
la musica contemporanea. I desideri del filosofo .L’essenzialità del sistema
contemplativo .Uno stravagante . li soldato. Un rimprovero sconsiderato1.
'esigenza dello spirito. Il lavoro del cervello. L’educazione positive. La
composizione. I ire periodi della storia umana Intensità dell’esistenza
ed annullamento Insegnamento della lingua. I fondamenti dello scibile
finito. La religiosità dell’Asia. La religiosità in ROMA. II
Cristianesimo.L’igiene. L’ozio delle Trascendentalismo. La verità poetica. La
responsabilità. Paradossi. La professione. Il regime. L’educazione del
getter. L’essenza e il formalismo dello scibile umano. Il bello poetico. Il
deputato. Crepuscolo di Milano. Pellegrinaggio. Unione di Torino.
Silorata. Revue franco-italienne di Parigi. Philosophische Monatshefte, Rabus.
Pasaelogices Specimen. Zeitschrift fur Philosophie und philosophische
Kritik, Perseveranza. Antonietti. Considerazioni sopra il sistema dello
Spirito e della Natura. Lorenzi alle Considerazioni. Gazzetta
Letteraria Ercole. Filosofia delle Scuole Italiane, Ercole. Pasaelogices
Specimen. Annuario biografico universale, Articolo d'indole generale. Lorenzi.
Notizia degli scritti e del pensiero
filoso- ficodi Pietro Ceretti accompagnata
da un cenno autobiografico pel medesimo (la
mia celebrità). Ercole. Torino, Unione Tip. Editrice. Prefazione de
IP Autore In Atti deirAccademia
Reale delle scienze di Torino (Classe di scienze
morali, storiche e filosofiche). Adunanza. Nuova Antologia.Valdarnini.
Zeitschrift filr Philosophie und philosophi-sche Kritiky
Halle, Notizia bibliografica.In Rivista Italiana
di Filosofia dNotizia bibliografica del
Prof. Felice Tocco.Introduzione dei traduttori
ai Prolegomeni, Nuova Antologia. Letteratura.Tarozzi. Ercole.
Rivista Italiana di Filosofia, Ercole. Machiavelli, T. C. In Lettere ed
Arti.Lenzoni. Ateneo Veneto.Ift Revue philosophique de la France et de
L’Etranger. Perez. Ercole. Sinossi. Rassegna Nazionale. Un poeta
filosofo.Notizia. Rivista Italiana di Filosofia. Notizia Valdarnini. Risveglio
educativo, La pedagogia di Ceretti. Studio del Val-darnini.
Prefazione dell’autore In La Coltura, La
fama postuma di un Filosofo poeta, del
Prof. G. Zannoni. In Voce del Lago Maggiore, C. poeta, di
Alemanni. La Filosofia della Natura di P.
Ceretti per Pasquale D'Ercole. Torino,
Unione tip. Editrice. The Mind, Benn. Zeitschrift fììr
Philosophie nnd philosophische Kritik, Leipzig, Notizia sulle opere, Hermann.
Rinnovamento Scolastico, Roma, Ceretti nella storia della
Pedagogia, di Fantuzzi. Deutsche Litteraturzeitung, Notizia sul volume
dell'Essologia, del Giovanni Cesca. Rivista Italiana di Filosofia,
Un nuovo
Trattato di Filosofia della Natura del Valdarnini.
Nella Storia della Pedagogia Italiana del
Prof. Angelo Valdarnini, Paravia e C.Idem
nel Dizionario illustrato di pedagogia del
Martinazzoli e Credaro. - Rumori mondani
di GaetanoNegri, Milano Discorso. Ercole. Inaugurazione del
monumento a Ceretti,Intra,Vedetta.Alemanni,Saggi di Filosofia Teoretica.
Valdarnini. Firenze Prefazione dell’Autore. Introduzione.
Ercole. Essologia, Stampa Notizia sul voi. deirEssologia. Alemanni.Rassegna
Nazionale NotiziaAlemanni. Rivista Italiana di
Filosofia, stX.i,-La Coscienza Fisica, studio
Alemanni. Nella Storia Compendiata della Filosofia di
Cantoni (Milano Hoepli) Rivista Pedagogica Italiafia, La
filosofia naturale del Ceretti. Valdarnini.
Coltura, Notizia del Pro- fessore I. Petrone. In
Rivista Italiana di Filosofia, Le dottrine estetiche di Ceretti.
Studio. Alemanni (Literarisches Centralblatt, Essologia. La Fisica. Nella
Enciclopedia universale illustrata, Milano,
Vallardi Editore. Cenno sul Ceretti.
Grundriss der Gcschichte der.Philosophie,Viertel Theil di Ueberweg-Heinze.
Notizia sul Ceretti (Credaro). In Rivista
Filosofica. La filosofia di P. Ceretti.
Alemanni. Ceretti (n. intra), filosofo. implicatio — empiegazzione — ES
implicatum — empiegato — EX implicans — empiegante — SYN. L'uomo nella serie zoologica.L'uomo vuol essere consideralo
come l'ultimo frutto , ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità.
Questo massimo sviluppo presuppone necessariamente i prossimi animali dello
sviluppo minore, e cosi via discorrendo. L'uomo vuol essere, inoltre,
considerato come il frutto più recente dell'albero 200 logico. E qui nasce
oggidi rispetto all'uomo una contestazione circa la sua produzione immediata o
derivata da ' più prossimi animali inferiori. Questa contestazione non può
ammettersi dalla specu lazione, e neppure dalle discipline naturali empirico -
induttive; ma la si agita sopra un terreno affatto estraneo a quello della
speculazione, e della scibilità empirico - induttiva, fomentata da ogni sorta
di passioni , partigiana di religiosità, di moralità, e così via . È assurdo
supporre che una specie si tramuti in una nuova specie come tale ; perocchè le
specie sono mere distin zioni teoriche del nostro intelletto . La natura, come
disse un sommo naturalista, non facit saltum ; e conseguentemente le
distinzioni caratteristiche, che costituiscono le specie, non risul tano se non
in quanto si prendono in considerazione termini sufficientemente lontani e si
trascurano i termini intermedii . Infatti, se noi consideriamo gli animali
superiori dell'albero zoologico , nei quali le differenze ci sono più
sensibilmente mani feste, troveremo che le specie si suddividono in razze
differenti fra loro sotto varii rapporti , e che le razze si suddividono in
varietà differenti, e che dette varietà si suddividono in varii indi vidui pur
differenti fra loro . Inoltre, troveremo che queste differenze sono a noi tanto
più evidentemente manifeste quanto più si salga alto nell'albero zoologico, ed
a noi più vicina sia la specie che si prende a considerare. La vera
trasformazione della specie perciò non si deve inve stigare nelle specie come
tali , ma piuttosto nei minimi termini della specie , ossia nelle variazioni
individuali. Quesle variazioni , tuttochè lentissime, modificano col volgere dei
secoli le specie , così come le conchiglie microscopiche, variando la propria
na tura, variano il terreno che ne risulta. § 109. Gli agenti che effettuano la
suddetta progressiva va riazione sono di tre ordini , vale a dire : agenti
planetarii, agenti psichici, agenti spirituali. Questi agenti sono pro
gressivamente tanto più efficaci quanto più si concretano nella efficacia
spirituale. Gli agenti del primo ordine modificano semplicemente l'orga nismo,
e indirettamente, ma assai lentamente, le facoltà istintuali. Sono gli agenti
puramente planetarii, p . es . , la natura del suolo e dell'aria, ossia
generalmente il clima, le condizioni geografiche e topografiche, e cosi
via.Questi agenti si possono chiamare elementari; perocchè operano su tulla
l'animalità senza distin zione veruna , e sono presupposti dagli altri agenti
succennati. Si può dire in tesi generale , che gli animali inferiori non
subiscono modificazione se non lentissima, e molte specie degli animali
inferiori si sono spente, appunto perchè non hanno potuto subire le
modificazioni necessitate dalle progressive va riazioni dell'aria e del suolo .
Gl’istinti delle specie animali infe riori sono rigidi e difficilmente
modificabili , appunto perchè sono istinti poco variati , che non possono neutralizzarsi
fra loro in una ricca varietà di modificazione. Gli agenti del secondo ordine
sono psichici, epperciò più intimi nell'organismo, ossia più essenziali .
Questi agenti psichici modificano l'animale nelle sue intime facoltà , ossia
attitudini , assai più facilmente e più profondamente che non gli agenti
naturali succennali. Questi secondi agenti sono nella loro essenzialità un
maggiore sviluppo dei primi, epperciò si manifestano nelle generazioni
susseguenti come profonde modificazioni dell'organismo e dell'istinlualità .
Queste modificazioni non sono più mere variazioni giusta una astratta affinità
, per le quali, p. es ., una facoltà diventa minore di altra facoltà, vale a
dire, si manifestano come pure variazioni quantitative dell'istintualità . Sono
modificazioni profonde che diventano la proprietà caratteristica dell'animale e
qualche volta sono affatto estranee e contradittorie alle facoltà delle genera
zioni preesistenti. Allora si dice , che nuove specie sono venute
all'esistenza, e le vecchie si sono spente . Le facoltà psichiche si modificano
sulla base di istinti più svariati , i quali si neutralizzano appunto fra loro
tanto più facilmente quanto più svariati . Gl'istinti degli animali inferiori
sono tanto più fermi e rigidi , quanto meno molteplici e sva riati. Queste
modificazioni causate da fattori psichici modificano realmente il sistema
anatomico e fisiologico ( perocchè non sa rebbe possibile una modificazione
psichica sulla base d'una inva riabilità anatomico - fisiologica ), ma sono
modificazioni profonde , le quali , se qualche volta poco modificano l'ordine
anatomico fisiologico sensibilmente manifesto, sono però effettuate piuttosto
negli elementi anatomici, nel così detto ordine istologico. Le dette
modificazioni psichiche non spettano, come quelle generali, ad una specie o ad
una razza, ma sono più profonde modificazioni dell'organismo e della
corrispettiva istintualità; esse riflettono piuttosto le mere individualità
animali, epperciò sono variabili indefinitamente . Le condizioni causali di
queste modificazioni sono date dalle varie ciscostanze , nelle quali ver sarono
certi individui animali. Cosi non è solo la varia natura geografica e
topografica del suolo e dell'aria in che vivono, ma anche i varii vegetabili e
animali con che vivono ; perocchè dette varie condizioni sono sufficienti a
modificare l'anima dell'animale . Le delle varie circostanze costringono certi
individui a eser citare preferibilmente certe facoltà psichiche, e per
conseguenza a svilupparle preferibilmente. Data la ricca molteplicità e varietà
delle facoltà istintuali proprie della specie, queste facoltà varia mente si
combineranno fra loro e si neutralizzeranno. Gl’istinti cosi neutralizzati,
ossia radicalmente variati , si trasmettono alla generazione veniente; e cosi
le condizioni succennate , variando le altitudini dell ' anima individuale,
preparano il terreno alle più ricche e più profonde azioni dei fattori
veramente spirituali . I fattori spirituali modificano quelle attitudini che
appartengono non alla specie, ma all'individuo animale, e sono fattori che non
più modificano l'anima senziente , ma lo spirito ideante dell'animale. Tuttochè
questi fattori, nel loro concreto sviluppo, appartengano meramente allo spirito
umano, pure gli animali superiori ( p . es . , le scimie antropomorfe)
posseggono un certo quale esercizio equivoco e parziale dei suddetti fattori.
Cosi la scimia impara dalla propria osservazione, epperciò gl’indi vidui più
vecchi sono assai più scaltri e periti dei più giovani . È questa la ragione
per la quale i suddetli animali non sola mente si aggregano fra loro, ma si
organizzano gerarchicamente giusta certi statuti del loro sentimento comune. È
importante che un individuo animale possa profittare delle proprie osser
vazioni ; perocchè dello profitto provoca una maggiore perizia pratica, la
quale dai più vecchi è partecipata ai più giovani e trasmessa alle generazioni
vegnenti come una dialettica delle categorie istintuali , che più tardi si
svilupperanno in una vera mentalità. Le categorie spirituali funzionano qui
come sviluppate cate gorie psichiche, epperciò il linguaggio , nel suo amplo
significato, vera sintesi e genesi manifesta delle categorie spirituali, arriva
all'esistenza : come linguaggio puramente psichico; come linguaggio equivoco,
ossia psichico -spirituale; come linguaggio assolutamente spirituale. Qui non
occorre accennare al terzo stadio, ossia al linguaggio spirituale proprietà
esclusiva dell'uomo, ma solamente al primo e secondo stadio del linguaggio che
nasce e si sviluppa nell'animalità subumana. Il fattore caratteristico di
questa crisi, ossia lo svi luppo dell'anima senziente nella spiritualità
pensante, è manifesto piuttosto dal linguaggio muto delle emozioni del corpo e
princi palmente di quelle della fisionomia. Quest'emozioni possono for mulare
un vero linguaggio, in quantochè manifestano definite emozioni intime con certe
categorie, che, non essendo destinate alla mera conservazione dell'individuo e
della specie, non si pos sono chiamare semplicemente psichiche, ovverosia
istintuali. L'animale, p . es., lussureggia per una mera sensualità erotica, la
quale non può essere destinata in verun modo alla pro pagazione della specie.
Così pure gli animali giovani giocano colla vivacità propria dell'età loro, la
qualcosa può giovare, ma indirettamente, all'educazione e destrezza corporale
dell'indivi dualità . Così i genitori non solo alimentano la loro prole, ma la
educano e disciplinano alle pratiche operazioni requisite dalla propria specie,
locchè significa che l'ingenita istintualità non potrebbe bastare, ed abbisogna
di ammaestramenti delle osser vazioni date a coloro che hanno già vissuto
praticamente nella vita . Il linguaggio che abbiamo chiamato equivoco, ossia
psichico-spirituale , è quel tale linguaggio fonetico, che veramente non consta
di vocaboli , ma semplicemente di VOCIFERAZIONI, le quali significano non solo
definite emozioni dell'animo, ma certe anfibologiche determinazioni della
mente. Così , per es . , i cani , alla presentazione d'un oggetto che altre volte
fu loro nocivo, possono fuggire guaiolando.Qui certo v'ha una psichica emozione
provocata da un simile oggetto, ma quest'emozione dev'essere legata alla
memoria di una sensazione, la quale memoria appunto costituisce una deter
minazione equivoca, psichica o mentale. Gli animali superiori posseggono una
svariatissima facoltà SIGNIFICATIVA, mediante una modulazione fonetica, di
queste equivoche determinazioni. Quando l'animale arriva definitivamente alla
soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suolo distinto
categoricamente dal non- lo, entra categoricamente nella coscienza spirituale.
Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo
passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano. Qui
l'umanismo si manifesta categoricamente nel proprio caratteristico ( la
definita soggettivazione), e si manifesta colla parola non certo coi documenti
anatomico-fisiologici, che non possono bastare se non a certe ample generalità
della distinzione animale.1 Sguardo retrospettivo sullo sviluppo della
Coscienza naturale. Prima di entrare a caratterizzare questa crisi impor
tantissima, ossia lo sviluppo dell'anima nello spirito, dobbiamo
rapidissimamente riassumere la speculazione retrospettiva della Coscienza
dall'ordine uranico nel planetario e vegeto animale. Nell'ordine uranico la
coscienza procede verso un'individuazione dalla nebulosa alle comete, al sole
ed ai pianeti. Quest'individua [Questo punto è espresso molto determinatamente
e chiaramente nel l'altra opera di C. Considerazioni sopra il sistema generale
dello Spirito,, oveè detto. Il solo caratteristico essenziale dell'umanismo
(assai più caratteristico di quell'antichissima vaga definizione dell'uomo
ragio nevole) è senza dubbio la soggettivazione, e la manifestazione di questa
sogget tivazione è fatta con parole, con gesti o altri inezzi spiritualmente
formolati , Conformemente a ciò, più innanzi, l'uomo è designato anzi definito
come coscienza soggettivatazione, qualunque la si voglia supporre , non può
essere una sog gettivazione ; perocchè l'individuo non si distingue dalla
specie , e le varie specie dei corpi celesti si confondono colle varie età di
un solo individuo. Cosi pure, speculando in un ordine generalis siino, le varie
specie vegetabili ed animali sono varie età della vegetazione e dell'animalità.
Ma nelle specie vegetabili l'individuo principia a distinguersi dalla specie .
Nell'ordine animale non solo l'individuo si distingue dalla specie, ma anche il
soggetto dall'individuo ė progressivamente distinto. Cosi, p . es . , il corpo
animale consta d'innumerevoli individualità viventi aggregate ed organizzate
fra loro, le quali , svolgendosi dall'una in altra fase, costituiscono i varii
organi ed apparecchi e funzioni vitali dell'a nimale. Ma la coscienza resuntiva
di questo individuo vivente è nell'animale concreto non negli animalcoli
gregarii che lo costi tuiscono . L'animale resuntivo della propria soggettività
costituisce lo svolgimento del senso del pensiero. Lo Spirito o la Coscienza
spirituale . Senso e pensiero e la loro distinzione. Qui dobbiamo
caratterizzare definitivamente la distin zione del senso e del pensiero. Il
senso non può supporsi astratto dalla Coscienza ; perocchè in questo caso
sarebbe un senso che non sente, ma può supporsi astratto dalla Coscienza del
senso; perocchè la Coscienza e il senso possono funzionare indistinta inente .
Finchè la Coscienza non si distingue categoricamente dal proprio oggetto , è
una coscienza identica alla sua forma esteriore, la quale è una sensibile esistenza.
Quando però la Coscienza si distingue categoricamente dal proprio oggetto,
allora dice: Io sono e l'oggetto è. Io sono quello che sono, e l'oggetto quello
che è, cioè l’lo e il non - lo siamo due termini distinti . Quest'idea
fondamentale che si percepisce un lo è la soggettività ossia la nascita dello
spirito. Quando C. dice qui nascita dello spirito, intende dire nascita del
pensiero, facendo consistere la spiritualità specialmente in questo. A con
ferma di ciò, si noti, primamente, che in questo paragrafo ei vuole fare
appunto la distinzione di senso e pensiero; secondamente, che nel susseguente
paragrafo, parlando dei momenti dello spirito, vi accoglie il principio
sensitivo non come pura e semplice sensazione, ma come sentimento. Sulla
predetta distinzione, del resto , ritorna nei paragrafi susseguenti. Le fasi
dello spirito. Lo spirito consta di tre fasi, il sentimento, l'intel letto ed
il concetto. Lo spirito nel sentimento è uno spirito immediato, che poco si
distingue dall'anima senziente , ma quest'anima senziente appartiene allo
spirito, perocchè si percepisce soggetto. Il sentimento. Qui dobbiamo
brevemente storiare lo spirito nella sua prima fase, ossia nel sentimento. Il
sentimento consta di tre termini: l'attenzione, la memoria, l'imaginazione. La
funzione più o meno complessa di questi tre termini crea la soggettività , che
lentamente si svolge dal sensibile nel cogitabile. L'attenzione deve funzionare
nello spirito esordiente, e cosi lo spirito deve sentire che il senso della
natura, ossia l'istinto, più non gli basta. Questo sentimento
dell'insufficienza del proprio istinto l'avverte, che necessita osservare ed
imparare le pratiche della vita ; è la prima funzione della mentalità .
Epperciò tutte le lingue ariane conservano più o meno esplicite le traccie
della parentela lessica di maneo e mens, quasichè pensare e fermarsi, ossia
fermare l'attenzione sopra un oggetto, siano due opera zioni molto affini.
Veramente, tuttochè sommamente dissomiglino queste ope razioni, nella loro
sensibile inanifestazione esteriore s'identificano in un fatto comune, quello
dell'arrestarsi. La Coscienza che fissa l'attenzione sopra un oggetto, cerca
nell'oggetto qualcosa oltre il sensibile immediato, quando esso oggetto non sia
la funzione di una mera sensazione immanente. La seconda funzione
caratteristica del sentimento è la memoria . Mediante la memoria una sensazione
presente si può risu scitare quando non sia più presente. La coscienza
attentiva all'oggello studia un oggetto esteriore ed abbisogna della pre senza
di esso oggello per osservarlo. Ma la memoria contiene e conserva in sè stessa
l'oggetto osservalo, epperciò si costituisce indipendente dalla presenza del
medesimo.La terza funzione caratteristica del sentimento è la imaginazione. L'imaginazione
non solo conserva l'oggetto osservato, ma crea l'oggetto che non ha osservato.
Questa funzione emancipa la Coscienza, non solo, come la memoria, dalla
presenza dell'oggettto, ma anche dalla sensibile esteriore realtà del medesimo,
epperciò l'imaginazione può liberamente crearsi una propria oggettività .
Questa facoltà crea non solo l'oggetto composto di oggetti osservati, ossia non
crea solo la mera composizione, ma crea gli oggetti che non constano di
elementi osservati , ma oggetti radi calmente imaginari , tuttochè le semplici
categorie dello spirito e della natura debbano necessariamente fornire
all'imaginazione se stesse per possibilitare la creazione. Il passaggio dalla
coscienza senziente alla cogitante , ossia dalla bestia all'uomo, è pure una
progressiva distinzione della Coscienza in soggettiva ed oggettiva . Qui la
detta distinzione è una mera distinzione generale dell'lo dal non-Io . L'lo si
sup pone vivente e pensante altro dal non- lo, in sè stesso parimenti vivente e
pensante. La natura si rivela come un popolo di viventi e di pensanti , non si
suppone ancora l'altro dal vivente -pensante , ossia il non vivente e il non
-pensante ; si suppone semplicemente l'altro dal moio lo vivente e pensante.
Perciò la natura uranica, la terrestre, stochiologica e ininerale, la
vegetabile e l'animale si suppongono distinte dal mio lo, non però distinte
dall’lo generalmente par lando, ossia si suppongono possedere un loro lo
analogo a quello della Coscienza umana . Esaminale le radici, ossia gli antichissimi
suoni elementari del linguaggio e troverete ogni dove significata l'universa
natura come vivenle e pensante analogicamente alla Coscienza umana ; non vi
troverete mai la natura morta colle sue forze cieche, go vernale da necessità
parimenti cieca , vale a dire, la natura della riflessione. Il sentimento
esplicito dalla Coscienza soggettiva può essere comunicato dall'uno all'altro
individuo. È questa comuni cazione la prima proprietà per cui l'idea cogitabile
è distinta dalla mera sensazione. Nessun linguaggio potrà fornire una
sensazione, se questa non sia stala data dal senso come tale lo potrò, p. es. ,
parlare in qualsivoglia modo degli oggetti visibili , ma il cieco nato non
potrà mai comprendere che sia la visibilità. Se un soy getto abbia un tempo
posseduta la facoltà visiva , potrà, parlando degli oggetti veduti ,
richiamarli alla memoria quasi visibilmente presente, ma non potrà mai fare che
tale visione sostituisca la concreta visibile realtà colla semplice
imaginazione.La prima conseguenza della Coscienza senziente che si sviluppa
nella cogitante è che, siccome l'idea come tale , ossia nella forma della
Coscienza cogitante, può essere trasmessa dal l'uno all'altro soggetto, non può
essere trasmesso il senso come tale , ossia nella forma della Coscienza
senziente . Cosi il soggello è abilitato a sapere quello che non egli , ma gli
altri hanno percepito col senso, oppure quello che egli in altro tempo ha per
cepito col senso , oppure indurre un'idea da quello che presen lemente
percepisce col senso C.. Sinossi, ecc. Cosi
, p . es. , la pecora condotta al macello vede macellare la sua simile e non
solo non induce che sarà ella stessa macellala, ma anche non percepisce che
questa presente operazione signi fichi un'uccisione ; perocchè non possiede
l'idea della morte. Cosi il soggetto pensante può sapere quello che il
senziente non può sapere, e questo sapere nasce da una facoltà, per la quale da
una sensazione si astrae un'idea. Cosi, per es., il soggetto pensante vive nel
passato colla memoria, e nell'avvenire coll'ima ginazione; il soggetto
senziente vive astrattamente nella sua sen sazione presente. In virtù della
sensazione, che non può essere indotta in un'idea, egli non possiede, come il
pensante , la distin zione di una natura predominante ed insubordinabile al
soggetlo , e di una natura subordinabile e passibile del soggetto . Quest'idea
prototipa della forza è un'idea cardinale dello spi rito, è stata il primo
germe della religiosità. Osservate il Dio di tutti i popoli, e lo troverete Dio
, non perchè sommamente ragio nevole, ma perchè onnipotente. Nelle religioni
spiritualmente più adulte rimane tultavia l'idea dell'onnipotenza, piuttosto
che quella della ragionevolezza, l'attributo eminentissimo della divinità. Mediante
questa passibilità il soggetto può sapere la prima volta di essere nato , di
essere stato lattante, di essere stalo partorito , e cosi pure può sapere che
tutti i soggetti , nessuno eccettuato, non vissero oltre una certa inassima
età, ma morirono in quella o prima di quella . Conseguentemente egli sa che il
sog getto non solo nasce e nuore, ma può nascere in varie condizioni , e morire
in qualsivoglia momento della sua vita . $ 126. La nozione della nascita e
della morte del soggetto è un fenomeno della Coscienza realizzato la prima
volta che la Coscienza senzienle si svolge nella pensante; perciò sapiente
inente nella genesi è detto che l'uomo prima di peccare, ossia di gustare il
frutto del bene e del male, non inoriva, ed avendolo gustato dovrà morire
.Veramente la Coscienza senziente non può sapere di nascere e di morire;
perocchè questo sapere non si sa se non sia una nozione trasmessa dall'uno
all'altro soggetto , ovvero un'idea in dotta dal fatto costante della morte.
Ricapitolando, questa crisi della Coscienza, ci mani festa che la Coscienza ,
dalla sensazione svolgendosi nella men talità , procede in un sistema di
distinzioni ideali , che non sono possibili nella mera sensazione. La mentalità
, che nasce dalla sensazione , è prolotipicamente imitatrice della sensazione,
e porta seco nel suo sviluppo la forma della sensazione stessa , che pro
gressivamente si trasforma in quella del pensiero . La mentalità è
prototipicamente sentimento, e funziona in tre caratteristiche fun zioni cioè :
come attenzione ; come memoria; come imaginazione . Da queste tre prototipiche
funzioni del sentimento nascono tre forme rudimentali della mentalità. La
mentalità non più vive nell'immediata sensazione, ma crea il conflato
temporaneo e vive nella retrospettiva del passato e prospettiva dell'avvenire.
Questo conflalo temporaneo possibilita un'esistenza ideale oltre l'imme diato
sensibile presente, e conseguentemente un'idealità induci bile
dall'osservazione. Da quest'osservazione nasce una seconda idea elementare
della mentalità, cioè d'una forza naturale che domina la nostra, e d'una forza
subordinabile alla nostra . Di qui la mentalità si esercita per subordinare le
forze predominanti, e da questa generale osservazione si percepisce come un
fatto costante che l'uomo nasce e muore, e finalmente che io come uomo sono
nato e devo morire . L'idea della morte come necessità, tuttochè sembri un'idea
comunissima, è lungi dall'essere tale . La Coscienza primitiva, come quella di
certi selvaggi oggidi viventi , percepisce la morte come un fatto costante ;
ma, come la riſlessione , non arguisce punto che questo fatto , tuttochè
costante , sia necessario . Suppongono questi selvaggi che la natura umana o
sovrumana abbia sempre ucciso l'uomo; ma suppongono pari menti che
quest'uccisione non sia una necessità, ma una sforlu nata accidentalità. La
coscienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un
sentimento pressochè comune alla umanità. Il soggetto possiede la sua propria
determinazione indi viduale ; ma proprie determinazioni non affettano un
sistema generale della Coscienza umana, che perciò ſu chiamato senso comune.
Mentre questo sistema generale della Coscienza è piena mente uniforme al senso
comune, il soggetto è un soggetto comune e spiritualmente normale. Ma quando questo
sistema si aliena dal senso comuue in on sistema d'idealità più misteriosa, e
trascende con un giudizio prestigioso i giudizi comuni degli uomini, allora si
dice, che questo soggetto è inspirato, ossia pro fetico , laumaturgico, e così
via . Generalmente parlando, questa Coscienza trascendente subor dina la
comune, come provano i varii sacerdoti della primitiva religiosità . Quando il
soggetto si aliena dal senso comune senza trascendere in un'idealità
prestigiosa, ed esercita una pratica con tradittoria a sè stessa, ovvero
incompatibile colle esigenze gene rali della pratica oggettività, allora si
dice , che il soggetto è spiritualmente ammalato, ovverosia demente.
L'alienazione vuol essere accuratamente distinta, se cioè sia alienazione dal
mero senso comune ( in questo senso si può dire, che tutti gli uomini grandi
furono alienati), ovvero se sia una alienazione dalle generali esigenze
pratiche dell'oggettività natu rale e spirituale ( in questo senso gli alienati
sono coloro che comunemente si chiamano pazzi ). La Coscienza trascendentale,
ossia la Coscienza domi nata dall'idealismo, Coscienza essenzialmente poetica ,
è il polo opposto della Coscienza dominata dalla sensazione, Coscienza essenzialmente
prosaica. A quella si devono tutte le organizza zioni primitive dell'umanità ,
a questa si deve preferibilmente la tecnica industrialità e la mercatura
primitiva. Vedremo più oltre, che la Coscienza umana progredisce sulla base di
quest'opposizione archetipica della sua storia.Il linguaggio e i suoi stadii.
L'organo più essenziale e più generale della mentalità è LA LINGUA. Il primo
stadio della lingua è l'uso della RADICE DESIGNATIVA. Qui la lingua non designa
che la presentazione o il modo della presentazione, e sempre si riduce alle
semplici categorie del tempo e dello spazio. I pronomi personali non sono
primitivamente Io, Tu, e così via, categorie troppo metafisiche, per servire a
questo primo stadio della lingua, ma: “qui,” “là”, ecc. -- categorie dello
spazio. Una lingua che consta di radici semplicemente designative non può
soddisfare alle esigenze più generali della mentalità, epperciò da questo primo
stadio si sviluppa, per l'implicita esigenza della mentalità, il secondo
stadio. Il secondo stadio consta di una RADICE *PREDICATIVA*, ma tuttavia legata
a una sensibile determinazione. Cosi, p. es., per DE-SIGNARE un oggetto, si
sceglie l'attributo sensibile più esplicito in quel l'oggetto (“shaggy”) p.
es., il verde per DE-SIGNARE la pianta. Quest'attributo sensibile, sendo
necessariamente variabile o contingente nell'oggetto, non può costituire una
specie. In questo secondo stadio si trovano molte lingue dei selvaggi, i quali
scelgono un attributo sensibile dell'oggetto per designarlo, e conseguentemente
non possono arrivare a formolare le specie, ma smplicemente oggetti in certe
sensibili condizioni. Il terzo stadio usa la categoria propria della mentalità
esplicita, la categoria metafisica, per designare l'oggetto; come, p. es.,
definie la pianta non l'individuo verde, ma l'individuo polare, i cui poli
cospirano alla luce ed all'acqua. Questa proprietà generica comprende tutte le
piante ; perocchè la detta polarità è l'attributo cogitabile generale della
pianta. La lingua è posseduta da tutti gli animali come lingua psichica di
movimenti o di formalità. Ma la lingua che caratterizza la soggettività è
appunto la lingua psichica che si svolse nella spirituale. Altrove abbiamo
trattato esplicitamente quest'argomento e crediamo superflua una ripetizione.
Qui giova solamente accennare, che le prime radici della lingua significarono
mere affezioni dell'anima e più tardi si svolsero in significati metaforici,
per rispondere all'esigenze della progressiva mentalità. Il rapporto fra il
suono espresso dall'anima e l'anima esprimente è quello stesso rapporto, ma più
complesso, per il quale DETERMINATI ANIMALI SIGNIFICANO (alla Grice) con certi
definiti suoni cerle definite affezioni dell'anima loro .L'uomo, sviluppando in
sè stesso la propria mentalità e l'organo per significarla, si conobbe come
specie comune. La prima lingua quasi naturale deve essere stata pressochè
identica in tutti i soggetti umani, come TUTTE LE PECORE BELANO, tutti i cani
abbaiano ed urlano. Dovette essere una lingua nata con loro e trasmessa alle
generazioni senza il minimo bisogno di convenzionalismo e di pratica convivenza
per essere capita. La lingua è stata realmente uno degli argomenti più favoriti
e più frequentemente trattati da C., il quale la conosce, ed a fondo, in molte
forme antiche ed in un numero ancora maggiore di forme moderne. Egli ne ha
trattato, infatti , in molte sue saggi. Ne ha accennato nel primo volume della
sua grande opera, cioè Saggio circa la ragione logica di tutte le cose “
Prolegomeni, Torino. Ne ha accennato anche nelle seguenti opere già pubblicale in
Torino, e cioè nella Proposta di riforma sociale; nella Introduzione alla
cultura generale. Ne parla poi in parecchie altre opere ancora inedite . Stato
primitivo dell'uomo.L'uomo che possedetle questa lingua visse nelle foreste in
aggregazioni o società piuttosto fortuite, poco dissimili da quelle dei
quadrumani, ma si armò per esercire la caccia e la pesca. La sua nudità lo
facea più fragile degl’altri animali, epperciò ha dovuto sopperire a questa
nudità e debolezza colle armi artificiali, e sopratutto colla propria
scaltrezza. Questo primo stato dell'uomo vuol essere qui accennato come quello
dell'astratta soggettività abbandonata a sè stessa; perocchè l'uomo, cacciatore
o vivente dei prodotti naturali della terra e del mare, può vivere solitario. Le
aggregazioni o società di questi uomini sono mera accidentalità non necessità
dello stato proprio. In questo primo stato la soggettività nascente è
caratteristicamente manifestata dalla perversione di certi istinti
essenzialissimi alla conservazione del soggetto e della specie. Così, p. es.,
nessuna specie animale s'alimenta del proprio simile, ma certi selvaggi
mangiano indifferentemente i loro nemici, amici, con sanguinei, figliuoli, ed
alimentano le donne, affinchè ingrassino e siano buone a essere mangiate quando
partoriscono più figliuoli da mangiare. Quest'enorme perversione d’un istinto
cosi radicale (l'affezione alla progenitura) segna quanto sia profonda la crisi
che svolge l'istintualità nella mentalità. È una mentalità che si ma [Sono
certo che la quasi totalità de' lettori non sarà d'accordo su questo punto col
Ce., e riterrà l'associazione umana come una necessità e non già come
un'accidentalità. Ma l'autore, per la vita solitaria e un po' misantropica da
lui fatta, è stato come involontariamente tirato a generalizzare questo suo
particolare carattere.] nifesta come un'orribile perversione dell'istinto, ma è
una mentalità volente, non un mero modo d'ingenita istintualità. Questo titolo
è quello, che nonostante la massima perversione, può nobilitare l'uomo
antropofago sopra la bestia istintualmente tutrice della prole. Cosi pure,
relativamente al soggetto individuo, l'uomo selvaggio in procinto di essere
cattivalo dai suoi nemici, può suicidarsi, la bestia non mai. L'istinto della
propria conservazione individuale è un istinto comune a tutti i viventi nella
natura, come pure quello della conservazione della propria specie non offre
eccezione veruna nel regno della natura. Le sole eccezioni a questo fenomeno
generalissimo della vita si trovano fra gl’animali pensanti. Tuttochè qui
dobbiamo parlare del soggetto della natura, astratto da qualsivoglia
organizzazione necessitata dalla sua condizione, abbiamo parlato di tre stadii
caratteristici della lingua, come quella che può essere comunicata da soggetto
a soggetto, indipendentemente dall'organizzazione sociale fra soggetti o dalla
nessuna organizzazione. La lingua appartiene cosi al soggetto solitario come al
soggetto socievole, e generalmente al soggetto solitario che profitta
segnatamente delle occasioni dell'amore. L'uomo solitario pratica qualche volta
questo rapporto colla femmina come un mero rapporto erotico, occasionale.
Abbandona la femmina alle conseguenze della fecondità, non conosce i suoi
figliuoli che sono allattati, nudriti ed educati dalla madre . Ma la lingua,
che persuase la copula dell'amore, è la medesima lingua, colla quale la madre
educa i suoi figliuoli. Cosi la lingua può dirsi radicalmente una creazione
della specie ed assume dignità ed ha il suo svolgimento nella storia universa
della spiritualità. Si può dire in tesi generale, che la lingua genera la
storia nella sua più semplice elementarità; e dallo svolgimento SINOSSI
DELL'ENCICLOPEDIA SPECULATIVA della lingua si conosce lo svolgimento dell'umana
mentalità , e, conseguentemente , delle gesta che ne sono conseguite.
Proseguiamo a speculare circa i fenomeni più radicali della
soggettivitàesologica" Il sillogismo che passa dall'astrazione esologica
nella essologica è il sistema dell'Essere-Essenza-Coscienza, che passa nel
sistema del Meccanismo-Chimismo-Vita. L'Essere esologico è Quantità - Qualità -
Modalità, dall'unità corriflessa delle quali categorie avviene (sorge)
l’Essenza. L'Essere essologico determina la Qualità nell'Alteriorità, la
Quantità nella Esteriorità, la Modalità nell'Apparizione. Quindi l'Alteriorità diventa Temporalità , l'Esteriorità
diventa Spazialità , l’Apparizione diventa Luce... Esologica Alessandro
Goreni’. Pietro Ceretti. Keywords: communication, convention, homo sapiens,
pirothood, inter-subjective, animality, animalness, soul, psichico, psychic,
psychical versus psychological, progression, pirotological progression,
cenobium, neologismo, panlogica, pantologico, logo, esologo, essologo,
sinautologo, prologo, dialogo, autologo, tre categorie: tesi QUANTITA
(meccanica), anti-tesi, QUALITA (fisica), sin-tesi MODALITA (vita) –
arte/religione/filosofia; storia/didattica/diritto, antropologia,
antropopedeutica, antroposofia, prasseologia, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Ceretti” – The Swimming-Pool Library. Ceretti.
Grice
e
Ceronetti: l’implicatura conversazionale
della lanterna – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo
italiano. Grice: “I like Ceronetti; he is a typicall Italaian philosopher; that
is, a typically anti-Oxonian one; he thinks, like Croce and de Santis did, that
philosophy is an infectious disease that some literary types catch! My
favourite of his tracts is “Diognene’s torch”! Genial!” Per essere io morto
all'Assoluto vivo come un innato parricida tra gente già di padre nata priva; pPer
aver detto all'Inaccessibile addio da un cortiletto senza luce vergogna vorrei
gridarmi ma resto muto. Tutto è dispersione, lacerazione, separazione, rotolare
di ruota senza carro, e questo ha nome esilio, o anche mondo. Di vasta
erudizione e di sensibilità umanistica, collabora con vari giornali. Tra le sue
opere più significative vanno ricordate le prose di Un viaggio in Italia e
Albergo Italia, due moderne descrizioni, moderne e direi dantesche, da cui vien
fuori tutto l'orrore del disastro italiano, e le raccolte di aforismi e
riflessioni Il silenzio del corpo e Pensieri del tè. Di rilievo la sua attività
di saggista (Marziale, Catullo, Giovenale, Orazio). Diede vita al teatro dei
Sensibili, allestendo in casa spettacoli di marionette. Le sue marionette
esordivano su un piccolo palcoscenico, nel tinello di casa Ceronetti, ad Albano
Laziale. Si consumavano tè, biscottini (i crumiri di Casale) e mele
cotte." Nel corso degli anni vi assisterono personalità quali
Montale,Piovene, e Fellini. Con la rappresentazione de La iena di San Giorgio,
I Sensibili divenne pubblico e itinerante. Œ In Difesa della Luna, e altri
argomenti di miseria terrestre, suo saggio d'esordio critica il programma
spaziale da prospettive originali e poetiche. Il fondo Guido Ceronetti --
"il fondo senza fondo" -- raccoglie infatti un materiale ricchissimo
e vario: opere edite e inedite, manoscritti, quaderni di poesie e traduzioni,
lettere, appunti su svariate discipline, soggetti cinematografici e radiofonici.
Vi si trovano, inoltre, numerosi disegni di artisti (anche per I Sensibili),
opere grafiche, collage e cartoline. Con queste ultime fu allestita la mostra
intitolata Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. Prese posizione a
favore dell'eutanasia, con la poesia La ballata dell'angelo ferito. Beneficiario
della legge Bacchelli, in quanto cittadino che ha illustrato la Patria e versante
in condizioni di necessità economica. Robbe-Grillet, Moravia e Ceronetti
al Premio letterario internazionale Mondello. Palermo Proposto dal controverso
critico e politico Sgarbi come senatore a vita a Napolitano, declina subito
l'invito. Attento alle tematiche ambientali, era noto per essere un acceso
sostenitore del vegetarismo e per una pratica di vita estremamente frugale,
quasi da moderno anacoreta. Solo un vero vegetariano è capace di vedere
le sardine come cadaveri e la loro scatola come una bara di latta. Un
mangiatore di carne (non mi sento di scrivere un carnivoro perché l'uomo non è
un carnivoro) neanche se lo chiudono nel frigorifero di una macelleria avrà la
sensazione di coabitare con dei cadaveri squartati. C'è come un velo sulla
retina dei non vegetariani, quasi un materializzarsi di un velo sull'anima, che
gli impedisce di vedere il cadavere, il pezzo di cadavere cotto, nel piatto di
carne o di pesce. Alcuni suoi articoli sull'immigrazione (disse che ha "un
carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di guerra sociale
e religiosa") e il Meridione, pubblicati sui quotidiani La Stampa e Il
Foglio, furono tacciati di razzismo, così come scalpore fecero alcune posizioni
da lui espresse sull'omosessualità maschile, accusate di omofobia. In
precedenza sull'argomento si era attirato gli strali dei cattolici per aver
descritto don Bosco come un omosessuale represso. Intervistato nel per Radio Radicale Come articolista,
principalmente su La Stampa e il Corriere della Sera, si occupava spesso di
letteratura, arte, filosofia, costume e cronaca nera (ad esempio scrivendo sul
caso del delitto di Novi Ligure), analizzando il problema del male nel mondo
odierno in una prospettiva gnostica; al contrario giudicava noiosi i processi
di mafia. Notevoli discussioni suscitò, altresì, un suo intervento
giornalistico a difesa del capitano delle SS Erich Priebke (che visitò in
carcere e con cui ebbe uno scambio epistolare), condannato all'ergastolo per la
strage delle Fosse Ardeatine ma che fu soltanto un mero funzionario esecutore,
colpevole della "miseria di non essere un santo" (parafrasi del
saggio di Bloy La tristezza di non essere santi), e creato Mostro delle
Ardeatine, vittima di una giustizia dell'odio. Allo stesso modo, pur esprimendo
sempre la sua simpatia per gli ebrei e per Israele, per convinzioni personali e
la sua parentela acquisita con Giuliana Tedeschi, definì l'ergastolo inflitto a
Hess, al processo di Norimberga, come un crimine politico. La sua posizione
anticonformista pro-Priebke e pro-Hess fece scandalo essendo l'autore un noto
filosemita, con moglie e suocera (superstite di Auschwitz) ebree nonché
convinto filoisraeliano (scrisse articoli di fuoco contro Khomeini e il
terrorismo palestinese). Nel fu
insignito del premio "Inquieto dell'anno" a Finale Ligure. Ostile
al fascismo nella seconda guerra mondiale e al comunismo poi, ma anche
diffidente delle forme della democrazia, non prese mai parte politica attiva, a
parte un brevissimo periodo in cui ebbe la tessera del Partito Socialista dei
Lavoratori Italiani, fino al, quando intervenne al congresso dei Radicali
Italiani, movimento liberale e libertario, e altre volte ai microfoni di Radio
Radicale (era amico di Marco Pannella), anche se si considerava un
"conservatore" e patriota del Risorgimento (descrisse
l'Italia come «una democrazia strangolata sul nascere da tre poteri con il
verme totalitario, democristiano, comunista e sindacale»). Talvolta fu definito
come un "reazionario postmoderno". «Sono sempre stato anticomunista. Il
Mullah Omar e Osama Bin Laden sono modi dell'antiumano. Dietro di loro...
l'ombra di Lenin, inviato della Tenebra, fondatore imitabile dell'universo
concentrazionario, capostipite novecentesco di malvagie entità che non
finiscono di manifestarsi.» (Ti saluto mio secolo crudele) Nel propose in un articolo su la Repubblica,
ispirandosi al fenomeno delle assistenti sessuali per disabili, l'istituzione
di un "servizio erotico volontario" rivolto agli anziani senza che
dovessero rivolgersi a prostitute, per evitare "la barbarie di una
vecchiaia senza sesso". Fece uso di vari pseudonimi, tra i quali Mehmet
Gayuk, il filosofo ignoto (riferimento a Louis Claude de Saint-Martin, filosofo
così chiamato), Ugone di Certoit (quasi l'anagramma di Guido C.) e Geremia
Cassandri. Morì nella sua casa di Cetona (SI) dopo un breve ricovero a
causa di broncopolmonite. Come da disposizione testamentaria, dopo tre giorni e
una cerimonia religiosa a Cetona, fu sepolto sulle colline tra Torino e il
Monferrato, in una tomba a terra situata nel cimitero di Andezeno (Torino), il
paese di origine dei genitori. Disposizione da prendere. Non voglio donne
in calzoni ai miei funerali. Cacciatele via. Almeno in questa pur
insignificante occasione, ma per amore, siano insottanate come le ho sognate
sempre, nella vita.» Altre opere: “Difesa della luna e altri argomenti di
miseria terrestre” (Rusconi, Milano); “Aquilegia, illustrazioni di Erica Tedeschi,
Rusconi, Milano, con il titolo Aquilegia. Favola sommersa, Einaudi, Torino); La
carta è stanca” (Adelphi, Milano); La musa ulcerosa: scritti vari e inediti,
Rusconi, Milano); Il silenzio del corpo. Materiali per studio di medicina,
Adelphi, Milano); La vita apparente, Adelphi, Milano); Un viaggio in Italia, Einaudi,
Torino); Albergo Italia, Einaudi, Torino); Briciole di colonna. La Stampa,
Torino); Pensieri del tè, Adelphi, Milano); L'occhiale malinconico, Adelphi,
Milano); La pazienza dell'arrostito. Giornali e ricordi, Adelphi, Milano); D.D.
Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Tra pensieri, Adelphi, Milano); Cara
incertezza, Adelphi, Milano); Lo scrittore inesistente, La Stampa, Torino, Briciole
di colonna. Inutilità di scrivere, La Stampa, Torino, La fragilità del pensare.
Antologia filosofica personale Emanuela Muratori, BUR, Milano); La vera storia
di Rosa Vercesi e della sua amica Vittoria, Einaudi, Torino, N.U.E.D.D. Nuovi
Ultimi Esasperati Deliri Disarmati, Einaudi, Torino); Piccolo inferno torinese,
Einaudi, Torino); Oltre Chiasso. Collaborazioni ai giornali della Svizzera
italiana, Libreria dell'Orso, Pistoia, La lanterna del filosofo, Adelphi,
Milano); Centoventuno pensieri del Filosofo Ignoto, La Finestra editrice,
Lavis); Insetti senza frontiere, Adelphi, Milano); In un amore felice. Romanzo
in lingua italiana, Adelphi, Milano,, Ti saluto mio secolo crudele. Mistero e
sopravvivenza del XX secolo, illustrazioni Guido Ceronetti e Laura Fatini,
Einaudi, Torino,, L'occhio del barbagianni, Adelphi, Milano,, Tragico
tascabile, Adelphi, Milano,, Per le strade della Vergine, Adelphi, Milano,, Per
non dimenticare la memoria, Adelphi, Milano,, Regie immaginarie, Einaudi, Torino,
Guido Ceronetti, Poesia Nuovi salmi. Psalterium primum, Pacini Mariotti,
Pisa); La ballata dell'infermiere, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Poesie,
frammenti, poesie separate, Einaudi, Torino, Premio Viareggio; Opera Prima;
Poesie: Corbo e Fiore, Venezia); Poesie per vivere e per non vivere, Einaudi,
Torino, Storia d'amore ritrovata nella memoria e altri versi, illustrazioni di
Mimmo Paladino, Castiglioni & Corubolo, Verona); Compassioni e disperazioni.
Tutte le poesie, Einaudi, Torino, Disegnare poesia (con Carlo Cattaneo), San
Marco dei Giustiniani, Genova, Scavi e segnali. Poesie inedited, Alberto
Tallone, Alpignano, Andezeno, Alberto Tallone Editore, Alpignano, La distanza.
Poesie, Edizione riveduta e aggiornata dall'Autore, BUR, Milano, Preghiera
degli inclusi, Alberto Tallone Editore, Alpignano, senza data Francobollo,
Alberto Tallone Editore, Alpignano (sotto lo pseudonimo Mehmet Gayuk), Il
gineceo, Tallone, Alpignano; Adelphi, Milano, In memoriam di Emanuela Muratori,
Alberto Tallone, Alpignano, Messia, Tallone, Alpignano, Adelphi, Milano,,
[nella prima parte del libro] Tre ballate recuperate dalle carte di Lugano, Alberto
Tallone, Alpignano, Tre ballate popolari per il Teatro dei Sensibili, Alberto
Tallone, Alpignano; Pensieri di calma a bordo di un aereo che sta precipitando,
Alberto Tallone, Alpignano; A Roma davanti al Tulliano Notte; , Alberto
Tallone, Alpignano, Con l'armata dell'Ebro morire oggi, Alberto Tallone,
Alpignano; Invocazione al Dottor Buddha perché venga e ci salvi, Alberto
Tallone, Alpignano; Le ballate dell'angelo ferito, Il Notes magico, Padova, Poemi
del Gineceo, Adelphi, Milano,, [riedizione de Il gineceo con inediti e nuova prefazione] Sono fragile
sparo poesia, Einaudi, Torino,, Drammaturgia Furori e poesia della Rivoluzione
francese. Carte Segrete, Roma, Alcuni esperimenti di circo e varietà.
Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore, Alpignano, Mystic
Luna Park. Teatro Stabile-Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, Mystic Luna Park. Spettacolo per marionette ideofore, ricordi
figurativi di Giosetta Fioroni, Becco Giallo, Oderzo; Viaggia viaggia, Rimbaud!,
Il melangolo, Genova, La iena di San Giorgio. Tragedia per marionette, Alberto
Tallone, Einaudi, Torino); Il volto (Ansiktet), Teatro dei Sensibili, Alberto Tallone
Editore, Alpignano, Le marionette del Teatro dei Sensibili, Aragno, Torino
[contiene: I Misteri di Londra e Mystic Luna Park] Rosa Vercesi, un delitto a
Torino negli anni Trenta, Teatro Strehler-Teatro dei Sensibili, Alberto
Tallone, Alpignano, Rosa Vercesi, illustrazioni di Maggioni, Edizioni Corraini,
Mantova; Traduzioni e curatele Marziale, Epigrammi, introduzione di Concetto Marchesi,
Einaudi, Torino, II ed. riveduta, Einaudi, Torino; nuova edizione con un saggio
di G. Ceronetti, Einaudi, Torino; nuova ed. riveduta e nuova prefazione di G.
Ceronetti, La Finestra Editrice, Lavis, I Salmi, Einaudi, Torino; nuova ed.
riveduta, Einaudi, Torino; col titolo Il Libro dei Salmi, Adelphi, Milano; Catullo,
Le poesie, Einaudi, Torino, Adelphi, Milano, Blanchot, Il libro a venire (Le
Livre à venir), trad. G. Ceronetti e Guido Neri, Einaudi, Torino; Il
Saggiatore, Milano,. Qohelet o l'Ecclesiaste, Einaudi, Torino, Alberto Tallone
Editore, Alpignano, nuova traduzione; Qohelet. Colui che prende la parola,
Adelphi, Milano, Decimo Giunio
Giovenale, Le Satire, Einaudi, Torino, La Finestra Editrice, Trento, Il Libro
di Giobbe, Adelphi, Milano, Premio Monselice di traduzione, nuova ed. riveduta,
Adelphi, Milano, Cantico dei cantici, Adelphi, Milano, Alberto Tallone Editore,
Alpignano, nuova versione riveduta,. Il Libro del Profeta Isaia, Adelphi,
Milano; nuova ed. riveduta e ampliata, Adelphi, Milano, Come un talismano.
Libro di traduzioni, Adelphi, Milano; Konstantinos Kavafis, Nel mese di Athir,
Edizioni dell'elefante, Roma. Konstantinos Kavafis, Tombe, Edizioni
dell'Elefante, Roma, Giovenale, Le donne. Satira sesta, Alberto Tallone
Editore, Alpignano, Nostradamus: annunciatore nel secolo 16. della Rivoluzione
che durerà; profezie estratte dalle Centurie di Michel de Nostredame, Alpignano,
Alberto Tallone Editore, Tango delle capinere, Castiglioni & Corubolo,
Verona. Due versioni inedite da Shakespeare e da Céline, Cursi, Pisa, Teatro
dei sensibili, La rivoluzione sconosciuta. Pensieri in libertà per ricordare. Una
scelta di testi Guido Ceronetti, Tallone, Alpignano, col titolo La rivoluzione
sconosciuta, Adelphi, Milano, raccolta di locandine teatrali a fogli sciolti
dalla mostra-spettacolo di Dogliani] Henry d'Ideville, Oggi, Alberto Tallone,
Alpignano, senza data. Constantinos Kavafis, Poesia, Alberto Tallone,
Alpignano, senza data Georges Séféris, Poesia, Alberto Tallone, Alpignano,
senza data. Sofocle, Edipo Tyrannos. Coro, Edizioni dell'Elefante, Roma (con
Chaumont) Sura 99. Al Zalzala (Il tremito della terra) dal Corano, calligrafia
di Mauro Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Il Pater noster. Matteo 6, calligrafia
di Zennaro, Edizioni dell'Elefante, Roma, Léon Bloy, Dagli ebrei la salvezza,
con un saggio di G. Ceronetti, traduzione di Ottavio Fatica e Eva Czerkl,
Piccola Biblioteca; Adelphi, Milano, Giorni di Kavafis. Poesie di Constantinos
Kavafis, Officina Chimerea, Verona, Messia, Alberto Tallone Editore, Alpignano;
Adelphi, Milano,.nella seconda parte del libro, Siamo fragili, Spariamo poesia.
i poeti delle letture pubbliche del Teatro dei Sensibili, Qiqajon, Magnano,
2003 Tito Lucrezio Caro, I terremoti. De Rerum Natura. Alberto Tallone,
Alpignano, Constantinos Kavafis, Un'ombra fuggitiva di piacere, Adelphi,
Milano, Trafitture di tenerezza. Poesia tradotta, Einaudi, Torino, François
Villon, I rimpianti della bella Elmiera, Alberto Tallone Editore, Alpignano,.
Orazio, Odi. Scelte e tradotte da Guido Ceronetti, Adelphi, Milano,. Epistolari
Guido Ceronetti e Giosetta Fioroni, Amor di busta, Milano, Archinto, Due cuori
una vigna. Lettere ad Arturo Bersano, Prefazione di Ernesto Ferrero, Padova, Il
Notes Magico, Guido Ceronetti e Sergio Quinzio, Un tentativo di colmare
l'abisso. Lettere, Milano, Adelphi,. Spettacoli del Teatro dei Sensibili La
Iena di San Giorgio. Tragedia per marionette (allestito in appartamento), prodotto
dal Teatro Stabile di Torino, con Ariella Beddini, Simonetta
Benozzo, Paola Roman e Manuela Tamietti, regia di Egon Paszfory (Guido
Ceronetti), scene e costumi di Carlo Cattaneo Macbeth (spettacolo per
marionette allestito in appartamento) Lo Smemorato di Collegno (anni '70,
spettacolo per marionette allestito in appartamento) Diaboliche imprese,
trionfi e cadute dell'ultimo Faust (spettacolo per marionette allestito in
appartamento); Fu interpretato al Festival di Spoleto da Piera degli Esposti,
Paolo Graziosi e Roberto Herlitzka, con la regia, scene e costumi di Enrico Job
I misteri di Londra (allestito in appartamento); prodotto dal Teatro Stabile di
Torino, regia di Manuela Tamietti, con Patrizia Da Rold (Artemisia), Luca
Mauceri (Baruk), Valeria Sacco (Egeria), Erika Borroz (Remedios) e le
marionette del Teatro dei Sensibili. Furori e poesia della rivoluzione francese.
Tragedia per marionette (allestito in appartamento); al Teatro Flaiano di Roma
con i burattini di Maria Signorelli Omaggio a Luis Buñuel prodotto dal Teatro
Stabile di Torino, Mystic Luna Park (prodotto dal Teatro Stabile di Torino),
spettacolo per marionette ideofore con Armida (Nicoletta Bertorelli), Demetrio
(C.), Irina (Bottacci), Norma (Roman), Yorick (Ciro Buttari) La rivoluzione
sconosciuta, mostra-spettacolo all'ex-convento dei carmelitani a Dogliani
Viaggia viaggia, Rimbaud! (prodotto dal Teatro Araldo di Torino, in occasione
del centenario della morte di Arthur Rimbaud), regia di Jeremy Cassandri (Guido
Ceronetti) con Melissa (Manuela Tamietti), Norma (Paola Roman), Francisco (Gian
Ruggero Manzoni), Yorik (Ciro Bùttari) e Zelda (Roberta Fornier) Per un pugno
di yogurt, collage di poesie Les papillons névrotiques (al Cafè Procope di
Torino) con la partecipazione di Corallina De Maria La carcassa circense, spettacolo
per marionette, azioni mimiche, cartelli, organo di Barberia con Rosanna
Gentili e Bartolo Incoronato Il volto, dedicato a Ingmar Bergman in occasione
dei suoi ottant'anni Ceronetti Circus ovvero Casse da vivo in esposizione
pubblica, letture di poesia, azioni sceniche mimiche e intermezzi musicali con
Elena Ubertalli e Giorgia Senesi M'illumino di tragico, collage di testi e
pantomime liriche; in tournée anche con il titolo I colori del tragico Rosa
Vercesi (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano), con Paola Roman, Simonetta
Benozzo e Luca Mauceri Una mendicante cieca cantava l'amore (prodotto dal
Piccolo Teatro di Milano) con Cecilia Broggini, Luca Maceri, Elena Ubertali e
Filippo Usellini Siamo fragili, spariamo poesia, collage di testi poetici,
ballate e canzoni Strada Nostro Santuario (prodotto dal Piccolo Teatro di
Milano) filastrocche, canzoni, ballate, azioni mimiche, happening e numeri di
repertorio popolare La pedana impaziente (), repertorio di marionette e azioni
sceniche mimiche Finale di teatro (, al Teatro Gobetti di Torino) con Fabio
Banfo, Luca Mauceri, Valeria Sacco, Eleni Molos, Filippo Usellini Pesciolini
fuor d'acqua (), con Luca Mauceri e Eleni Molos Quando il tiro si alzaIl sangue
d'Europa (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, in occasione del centenario
della prima guerra mondiale) con Eleni Molos, Elisa Bartoli, Filippo Usellini,
Luca Mauceri e Valeria Sacco Non solo Otello (al Teatro della Caduta di Torino)
Novant'anni di solitudine (, a Cetona in occasione dei novant'anni
dell'autore), con Luca Mauceri, Filippo Usellini, Eleni Molos, Valeria Sacco,
Fabio Banfo, Salvatore Ragusa e Elisa Bartoli Ceronettiade. Deliri e visioni di
Guido Ceronetti (a Cetona in occasione dell'anniversario della nascita
dell'autore), con Luca Mauceri, Eleni Molos, Valeria Sacco, Filippo Usellini
Cataloghi di mostre L'Atelier dei Sensibili a Dogliani, Michela Pasquali,
Dogliani, Biblioteca civica Einaudi, (catalogo della mostra nell'ex Convento
dei Carmelitani a Dogliani). Dalla buca del tempo: la cartolina racconta. I
collages di cartoline d'epoca del Fondo C.i, cura di Rüesch e Franciolli,
Archivi di cultura contemporanea, Museo Cantonale d'Arte Lugano, Poesia
marionette e viaggi di C. nelle visioni di Cattaneo, Tesi eVivarelli, Comune di
Pistoia, Dare gioia è un mestiere duro: trent'anni più due di Teatro dei
Sensibili di C., Andrea Busto e Paola Roman, fotografie di Mario Monge,
Marcovaldo, Nella gola dell'Eone. Ti saluto mio secolo crudele. Immagini del XX
secolo. Tutti i collages di immagini dedicati al ventesimo dell'era da C.i, Il
melangolo, Genova, "Per le strade" di C., Omaggio allo scrittore, Rüesch
e Stefanski, Cartevive, Biblioteca cantonale, Archivio Prezzolini-Fondo
Ceronetti, Lugano, Opere audiovisive su C. I Misteri di Londra. Tragedia per
marionette e attori, regia di Manuela Tamietti, Teatro Stabile di Torino
(riprese videografiche dello spettacolo, Torino). Sulle rotte del sogno. Parole
musiche storie, di Luca Mauceri (cd e vinile EMA Records, Firenze ). Guido
Ceronetti. Il Filosofo Ignoto, film documentario di Fogliotti ePertichini
(Italia'), prodotto con la collaborazione del Teatro dei Sensibili di Guido
Ceronetti e dei Cinecircoli giovanili socioculturali. C. nei mass-media Cura
cinque Interviste Impossibili per la seconda rete radiofonica rai, in cui
"intervistò" Attila (Bene), Auguste e Louis Lumière (Bianchini e Scaccia),
George Stephenson (Scaccia), Jack Lo Squartatore (Carmelo Bene) e Pellegrino
Artusi (Scaccia). Il cantautore Vinicio Capossela, nella raccolta di brani dal
vivo Nel niente sotto il soleGrand tour, ha inserito come incipit della seconda
traccia (Non trattare)una registrazione di C. che declama i primi versetti del
Qoelet. Note Ha usato per molti anni un
sigillo con scritto "In esilio": Capossela intervista C. Morto lo
scrittore, in Corriere fiorentino, C., Tra pensieri, Adelphi, Milano, Stefano,
In morte. Raffaele La Capria, Ultimi viaggi nell'Italia perduta, Mondadori,
Milano, C. morto, ripubblichiamo la sua ultima intervista al Fatto: “Sono un
patriota orfano di patria. Italia, regno della menzogna” Nello Ajello, Ceronetti. Poesia in forma di
marionette, La Repubblica, ricerca.repubblica/ repubblica/archivio/ repubblica ceronetti-poesia-in-forma-di-marionette.html Samantha, lo spazio e il signor Freud "C. L'inferno del corpo", in Cioran,
Esercizi di ammirazione, Adelphi, Milano,
"Oggi una quantità delle mie carte è partita per Lugano dove tutto
entrerà a far partedegli archivi della Biblioteca Cantonale." Per le
strade della Vergine, Adelphi, Milano,«Urlate urlate urlate urlate. / Non
voglio lacrime. Urlate. Idolo e vittima di opachi riti/ Nutrita a forza in
corpo che giace / Io Eluana grido per non darvi pace Diciassette di coma che
m'impietra Gli anni di stupro mio che non ha fine. Con Decreto del Presidente
della Repubblica (pubblicato nella G.U.) gli è stato infatti attribuito un
assegno straordinario vitalizio ai sensi della legge, l'aiuto della legge
Bacchellila Repubblica, in Archiviola Repubblica. Edizione, "Il nostro
meridionale è attaccato alla propria famiglia e nient'altro, qualsiasi
abbominio, qualsiasi sfacelo pubblico non arrivino a toccargli la Famiglia non
gli faranno il minimo solletico. Sono popoli incapaci di amare
disinteressatamente qualcosa perché bello, al di sopra dell'utile. La loro vera
patria la loro nostalgia prenoachide è il deserto e faticano da ubriachi a
ritrovarlo". La pazienza dell'arrostito, Adelphi, Milano
(comedonchisciotte. Org forum/ index .php?p=/discussion/ ceronetti-dal-mare-il-
pericolo-senza-nome lessiconaturale/ migranti-e-prediche/) (ilfoglio /preservativi/news/il-grande-pan-e-vivo) (ilfoglio/cultura/news/far-torto-o-patirlo) (ilfoglio/ preservativi/ news/ deutschland-pressappoco-uber-alle,
Sugli sbarchi in Sicilia l'europeista C. dice, come altri non oserebbero, che
“hanno ormai un carattere preciso di invasione territoriale, premessa sicura di
guerra sociale e religiosa", C., nel dolore si nasconde una luce) Mario Andrea Rigoni, Ma non bisogna
confondere il nichilismo con il razzismo, Corriere della Sera, Guido Almansi,
Le leggende di Ceronetti, la Repubblica, L'innocente Priebke L'invasione
Africana; “Il male omosessuale” (C. dixit). Albergo Italia (Einaudi, Torino),
capitolo "Elementi per una anti-agiografia", Uno, cento, mille C., C., Priebke. Alcune
domande intorno a un ergastolo, la Stampa
Pietrangelo Buttafuoco, La pietas di C. per Priebke, il Foglio, Sono
sempre stato anticomunista, sempre, Forse, subito dopo la guerra ho avuto una
certa simpatia, però non mi sono iscritto al partito il giorno dopo aver visto
La corazzata Potëmkin, come innumerevoli giovani. Antifascista non è neanche da
dire, da quando ci si è risvegliati. Di quel periodo non ho voglia di parlarne,
ero tra i soliti ragazzini stupidoni che andavano alle adunate, ma non c'è
storia di anima o di pensiero o di famiglia che riguardi il fascismo. I miei
non erano fascisti né antifascisti, erano bravi cittadini come tanti. (Corriere
della sera). Si dice il responso delle urne. Come se un popolo di cretini
potesse fornire oracoli (Per le strade della Vergine) la mia America: “Un baluardo contro l’ideologia
comunista” XIII Congresso Radicali
Italiani ilfoglio/preservativi/ prttttt-in-una-sigla-tutto-pannella-
impenitente-ottimista-e-visionario (corriere/ cultura/c.-in-un-amore-felice Chi era, fustigatore dei vizi degli
italiani Riviste/ Su “Cartevive” omaggio, reazionario postmoderno C.: ‘METTIAMO FINE ALLA BARBARIE DELLA
VECCHIAIA SENZA SESSO: PER DISABILI E CARCERATI QUALCOSA SI È MOSSO MA PER I
VECCHI MASCHI SI MUOVERÀ MAI QUALCUNO? LA PROPOSTA: UN SERVIZIO EROTICO
VOLONTARIO PER GLI OVER 70! Abiterò per tre mesi al N. 4 di via Giolitti a
Torino, per mettere in scena col Teatro dei Sensibili La Iena di San Giorgio.
Sulla porta metto quest'altro mio nome: Geremia Cassandri. La pazienza
dell'arrostito. Giornale e ricordi, Milano, Adelphi, Premio letterario
Viareggio-Rèpaci, su premioletterario viareggiorepaci. I VINCITORI DEL PREMIO
“MONSELICE” PER LA TRADUZIONE, su biblioteca monselice, Alberto Roncaccia,
Guido Ceronetti. Critica e poetica (Bulzoni, Roma) Emil Cioran, Esercizi di
ammirazione (Adelphi, Milano, Guido Ceronetti. L'inferno del corpo) Giosetta
Fioroni, Marionettista. C. e il Teatro dei Sensibili secondo l'alchimia figurativa
(Corraini, Mantova) Giovanni Marinangeli, C., Il veggente di Cetona (Fondazione
Alce Nero, Isola del Piano) Fabrizio Ceccardi, Il Teatro dei Sensibili
(Corraini, Mantova) Andrea De Alberti, Il Teatro dei Sensibili di C. (Junior,
Bergamo) Marco Albertazzi, Fiorenza Lipparini, La luce nella carne. La poesia
(La Finestra Editrice, Lavis) Masetti, A. Scarsella, M. Vercesi, Pareti di
carta. Scritti su C. (Tre Lune, Mantova), Ortese, Le piccole persone (Adelphi,
Milano). Lattuada, Frammenti di una luce incontaminata in C.i, La Finestra
Editrice, Lavis, Cioran Gnosticismo moderno.
Ma io diffido dell'amore universale Guido Ceronetti, la Repubblica,
Archivio. L’ultimo bardo gnostico che cantava il dolore per la bellezza
perduta. Morto il più irregolare degli scrittori italiani. Ernesto Ferrero, La
Stampa, V D M Vincitori del Premio Grinzane Cavour per la narrativa italiana V
D M Vincitori del Premio "Città di Monselice" per la traduzione
letteraria V D M Vincitori del Premio Flaiano per la narrative. "StgvvU
nni GIURISPRUDENZA ROMANA. ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO. PARMA, BATTEI. Le
mie parola sull’istituzioni di diritto romano consentite che sia,
quale il sentimento vivo e sincero dell'anima la richiede. Sia d' omaggio a'
miei maestri, ai quali ritomo qui con ossequio immutato; sia di saluto
fraterno agli studenti, a cui mi presento, e da cui mi bramo accolto,
quale compagno di studi, fiducioso di trar lena, pel compimento del
mio assunto, più che dall' ingegno troppo scarso ed inesperto, dal loro
consentimento amichevole, dallo scambio fra noi , vivo e continuo, d'
affetto fraterno. Da questo scambio io trarrò buon augurio alla carriera
d'insegnante, verso la quale muovo oggi con trepidanza il primo
passo, e alla quale volsi e volgo ogni mio studio, guardando alla
meta con assiduità ferma di volere: del quale io non certo dovrò dolermi,
se, per debole ingegno o per avversa fortuna, quella dovesse per
avventura sfuggirmi. E però consentite che, muovendo il primo passo per
questa via, io qui ricordi l'assidua e amorosa intelligenza di cure del
Maestro illu- stre che ad essa mi guidava, e di cui ognuno ricorda
e r alta vigoria del pensiero, nutrito da corredo mirabile di studi
vari e profondi, e la bontà pura, ideale dell' anima, onde qui, come
ovunque, conquise d'affetto reverente maestri e discepoli. Consentite che
a Brini io mandi un saluto, coU'affetto il più riconoscente e devoto di
discepolo e di fratello. Invoco ora, o Signori, la vostra attenzione
indulgente sopra un tema, che, per sé, non parmi inopportuno a
trat- tarsi al principio d'un corso d'istituzioni di diritto
romano: se e quanto abbiano avuto d'influenza sulla GIURISPRUDENZA IN
ROMA le scuole filosofiche. Perchè, come in tal corso deve studiarsi per
rapidi tratti tutto 1' organamento del diritto privato e i singoli
istituti di esso. Così è conveniente ed opportuno esaminare e valutare quali
elementi sul delinearsi e conformarsi di quelli ebbero efficacia, e
quanto debba attribuirsene a ciascuno. La ricerca può talvolta, è vero,
rasentare e quasi toccare il campo della storia del diritto romano, che
si volle dalle istituzioni disgiunta; ma tali contatti non fa duopo osservare
come in punti non pochi e non lievi siano inevitabili, per quanto
si voglia lasciare al corso d' istituzioni il carattere più prettamente
dommatico. Che invero troppo spesso non può trascurarsi, per lo studio
preciso e compiuto degl’istituti all'ultimo momento giustinianeo, uno
sguardo alla loro origine e alla vita secolare che precede quel momento:
origine € vita di cui alla cattedra di storia vuoisi riserbata la ricerca
più diretta e diffusa. n tema eh' io prescelgo è arduo. Di più esso
entra buon tratto in un campo che non è il mio, nel quale io m'
avanzo peritoso, con un corredo scarso di studi e invocando l'indulgenza
di chi coltivi di proposito la storia della filosofia, e qui segnatamente del
pensatore illustre, che è onore di questa nostra facoltà giuridica alla
quale presiede. All'arduezza del tema se ne aggiunge la vastità. Talché
il tempo riserbato a discorrerne congiurerà colle deboli forze del
disserente a renderne imperfetta per più lati la trattazione; la quale
afifaticò in lavori appositi e in trattati generali d' antichità e di diritto
romano, uno stuolo numeroso di filosofi, fra cui non pochi valenti, dal
Cujacio in poi, e che fu pur di recente ripresa anche in Italia. Fra
altri, da un uomo, il cui nome segna una gloria e un lutto eterno perle
scienze romanistiche: Padelletti. Vanni. Io non certo presumo esaurirla, ma
solo mi propongo riassumerla per larghi tratti, valendomi e delle altrui
ricerche e di quelle ch'io venni compiendo direttamente sulle fonti,
procedendo dunque con modestia d'intenti. D’una cosa però sopra ogni
altra curandomi: di quella serena imparzialità di giudizio, che in temi di
questo genere, che toccano da vicino le varie credenze filosofiche individuali,
è facile troppo lo smarrire. Che invero non ci mancheranno, nel
procedere in questo tema, esempi di aberrazioni stranissime, a cui, privi di
quella, uomini, pur valorosi, riu- scirono. E innanzi tutto vuoisi qui
delineare per cenni la storia delle varie scuole filosofiche che tennero
in Roma il campo: storia per verità ben nota ad ognuno; ma pure non
inutile forse a richiamarsi qui, in brevi tratti , perchè tosto se
ne colgano quegli elementi, che sono essenziali nella trattazione
del nostro tema. Solo però dall' epoca di CICERONE tali cenni debbon
prender le mosse. Che, se può accogliersi che coi nomi di Socrate, e in
ispecie dell’ACCADEMIA e del LIZIO, giungesse già prima in Roma una
qualche eco delle loro dottrine, questa dovè riuscir ben fievole e inefficace,
mentre tanto saldo e fiero durava tuttavia in Roma quello spirito
anti-filosofico, per cui va Famoso CATONE, e da cui fu destata
l'implacabile ironia d’ENNIO. Le dottrine filosofiche dell’ACCADEMIA e del
LIZIO penetrano, benché solo
frammentariamente e indirettamente, coli' insegnamento di Panezio; al
quale V aver abbracciato IL PORTICO non tolse di seguirle e
propugnarle in taluni punti. Ma l’efficacia del PORTICO è però come
maestro di dottrine, nelle quali ebbe discepoli autorevoli e numerosi, e fra
essi giureconsulti di grido. Corrispondendo quelle, pel largo svolgimento che IL
PORTICO da alla morale, con pratici e austeri intenti, alla natura
del genio romano. Nel quale per contrario mal poteva svilupparsi il germe
dell' elevato idealismo dell’ACCADEMIA. Così come non poteva averne
favore la poca praticità diretta delle dottrine del LIZIO, già entrate in
Roma coi libri di Aristotele arrecativi da Siila, colla diffusione
curatane da Andronico da Rodi e da Tirannione. Ne molto di
più potevano avervi efficacia le dottrine della NUOVA accademia,
propugnate da Filone di Larisse e da Antioco. CICERONE, pur abbracciando
sostanzialmente IL PORTICO, coglie e assimila, secondo quella che fu pure
la tendenza di Panezio, e rimase tendenza della filosofia romana in
generale, quasi da ogni altra scuola taluni de' principii che
meglio vi corrispondessero al genio romano. Solo combatte invece la
FILOSOFIA DELL’ORTO, forte allora, e ancor più poco appresso: il quale
dura buon tratto allato alla scuola del PORTICO, fino a che perde teneno.
E, come CICERONE assimila principii estranei allo al PORTICO, altrettanto
ne rigetta ciò eh' era in questo di troppo rigido, e però praticamente
inefficace. Ptr CICERONE, ad esempio, contrariamente al PORTICO, non è
immeritevole di pregio il moderato godimento -- De sen. 14. Se il bene
morale sta al disopra d'ogni altro, esso non è tuttavia il solo bene
possibile e apprezzabile. Se è vero che il dolore dev' essere virilmente
tollerato, non è per questo men vero ch'esso sia un male (Tusc, II, 18;
II, 13). Per tal modo, con quest' opera e di assimilazione e
insieme di selezione. CICERONE procaccia il germe delle dottrine filosofiche
elaborate più tardi. La distinzione dell'corpo e dell’anima, il legame di
origine e finalità comune che unisce tutti gl’uomini e che impone a tutti
l'obbligo di fratellevole aiuto, che trovano trattazione più diffusa negli
scritti di Seneca, e poi di Antonino, son già delineati, chiaramente in
Cicerone (cfr. De rep., VI, 17; Ttisc, I, SI; De off., Ili, 6; De leg,,
I, 23) (1). Dopo Cicerone, frammezzo alle lotte combattute dai FILOSOFI
DELL’ORTO, fra i quali risplende il genio sovrano di Lucrezio, e mentre
pure dalle file dei filosofi del CINARGO partono le satire aspre ed argute di
Varrone, Q. Sestio prosegue, benché intinto della setta di CROTONE, le
tradizioni del PORTICO. Sestio raccolte poi da Fabiano e piti tardi da Attalo,
a cui die' gloria l'esser maestro di Seneca. La tendenza eclettica,
che si ha ognora in tutto questo sviluppo, ci si presenta più che mai
viva e spiccata in Seneca, già inclinevolo alla setta dei Crotonesi,
ammiratore dell’Accademia, né sdegnoso di citare Demetrio del Cinargo ed
Epicuro dell’Orto. E in punti sostanziali egli dissente dal Portico.
Significantissimo é un esempio, che già da altri fu notato e illustrato. Per il
PORTICO non può aversi diversità di natura fra ciò che chiamasi corpo e anima.
Seneca separa i due elementi e finisce per creare una specie di antagonismo,
che spiega la vita. Il corpo é la prigione dell' anima, un peso che la
rattiene verso la terra. Finché è unita al corpo, sta come avvinta in
ceppi (Ep., 65, 22). L’anima, per conservare la sua forza e la sua libertà,
lotta di continuo contro la carne (ibid.). Questa distinzione, così
precisa, del corpo e dell' anima é estranea al vero sistema del Portico e
Seneca è indotto da questa a conseguenze che anche più si allontanano
dalle dottrine de' suoi maestri. Secondo il Portico, l'anima muore, dopo
che il mondo sarà distrutto per mezzo del fuoco. Seneca, esitante su questo
punto, dopo aver detto a Marcia che tutto annienta e strugge la
morte (Com, ad Marc, 19, 5 ), le descrive l’anima del figlio, salente al
cielo, a lato di Catone e dei Scipioni. E scrive altrove senz'altro esser l’anima
eterna e immortale (Ep,, 57, 9). Distacco certo notevole, ma nel
quale troppo volle vedersi oltre il vero, col dar vita air omai
sfatata leggenda che Seneca si ascrivesse alle sette cri- stiane
(6). Seneca riprende con nuova energia V indirizzo morale di
cui già erano i germi in Cicerone: a questo solo rivol- gendo ogni suo
sforzo. Egli non si cura delle discussioni teoriche sul massimo bene, non
formula dogmi; ma segna le norme morali, fin pei rapporti più minuti
della vita. Dopo Seneca, il movimento filosofico prosegue. E dopo la
nube che parve oscurare, sotto i regni di Vespasiano e di Domiziano, la
fortuna dei filosofi, questa rifulge poco appresso più che mai splendida.
Plutarco vien cogliendo nella morale, anche con più ampia libertà
eclettica le regole sostanziali del PORTICO, togliendo a questo però la
rigidità ch'era in Seneca: e benché inclinando verso l’Accademia, col far
presiedere alla vi' a un divino primo, sotto il quale stanno divini di
secondo grado, a cui rimangon dietro, a lor volta, i genii mediatori,
giusta il concetto dell’Accademia, fra l’umano e il divino. E
a quello che potè chiamarsi l'impero dei filosofi, sotto Antonino, si
gittano le basi nel principato d'Adriano. È a questo tempo che la lotta
secolare dell' ellenismo contro il ROMANESIMO finisce colla vittoria completa
di quello. Sì che a Roma accorrono da ogni parte del mondo filosofi,
desiderati ed onorati. Demonace può paragonare Apollonio, che muove co' suoi
discepoli da Atene a Roma, ad un argonauta, che vola al rapimento del
vello d'oro (Luciano, Bem.y 31). È à quel tempo che la filosofia compie
in Roma un passo gigantesco con Epitteto. Questi prosegue la dottrina del
PORTICO, benché con certa tendenza verso il CINARGO. Fissandovi
essenzialmente il pensiero subbiettivo come principio e criterio della verità,
e però riducendo a formale il mondo esteriore. Non dunque dolori, ma fantasie
di dolori; onde la inalterabile fortezza e il disprezzo severo d' ogni
bene umano. E la filosofia d' Epitteto, continuata e propugnata
strenuamente da Flavio Arriano, germoglia più tardi nel sereno ingegno di Antonino,
che, elevando come ad eccelso ideale, il concetto della vita secondo
natura, deducendone, come conseguenze necessarie, la legge più pura della
carità umana, chiude gloriosamente il ciclo del PORTICO in Roma.
Appressa solo qualche bagliore raro e scarso traluce fra le tenebre che
si vengono da ogni lato addensando. IL PORTICO non fa più un passo. Non vale la
filosofia dei così detti accademici eruditi, già prima coltivata, allato
al Portico, da Favorino, da Massimo di Tiro e da Alcinoo, a gittare alcun germe
fruttifero. E le dottrine troppo idealistiche dei accademici, formulate
con nuovo vigore da Plotino, rimangono il culto inefficace di qualche
anima solitaria. Già da questi cenni, benché così rapidi e
incompleti, traluce una singolare coincidenza. I momenti essenziali
per la storia della filosofia in Roma coincidono coi momenti essenziali
per la storia della giurisprudenza. Il genio eclettico di CICERONE
negl’anni della REPUBBLICA, dà in ROMA inizio efficace agli studi della
filosofia, air incirca nel tempo, in cui -- scorse tre generazioni da
quando lo specchio di Gneo Flavio sottrae l'arte del diritto all'arcano
monopolio pontificale e l'insegnamento tentato dal pontefice plebeo
Coruncanio offre i germi, raccolti e rudemente elaborati da Sesto Elio. Q.
Mucio SCEVOLA gitta pure co' suoi XVIII libri iuris civilis i fondamenti
sistematici del diritto. E, al principio del principato d’Ottavinao, la
filosofia, segnatamente del Portico, fiorisce per r insegnamento di
Sestio, al tempo stesso in cui 1'eredità gimidica, tramandata dall' era
repubblicana è raccolta dall' intelletto sovrano di LABEONE, che inizia per
la giurisprudenza l’età delle sue glorie più fulgide e insuperate. Età
che si continua, con isplendore ognor più vivo, fino a Salvie Giuliano,
che colla fissazione deir editto perpetuo, compendia il tesoro elaborato con
continuità meravigliosa d’Ottaviano ad Adriano; nel quale appunto si vien
preparando quello che si disse a buon dritto rimpero dei
filosofi. Questa coincidenza di tempo non deve indurre in noi nessun
preconcetto che valga a sviarci dal sereno esame del nostro tema:
l’analisi dei concetti giurdici. Ma noi
dobbiamo tuttavia notarla, perchè molto soccorso potrà veoin^ene per
spiegazioni .e raffronti nel seguito delle nostre ricerche. Ed
entrando omai neir esame del tema, ricerchiamo se nel principio che
regola gl’istituti e rapporti v'ha alcuno degli elementi filosofici
siamo venuti seguendo. Ne vi spiaccia clie sopra tutto e' intratteniamo in
quest' ufficio modesto e paziente di semplice constatazione e che
riserbiamo a più tardi alcune considerazioni d' ordine generale, che da questa
potranno emergere. Consideriamo tosto i requisiti essenziali al
soggetto del diritto. L’ esistenza fisica e i tre status -- essenzialmente
lo status di libertà. Fra le regole spettanti all'esistenza fìsica
l’influenza del PORTICO ci si presenta spiccata nel concetto teorico
di cui è cenno specialmente in un testo d'Ulpiano, per cui si
considera il feto tuttora entro le viscere materne come parte di queste –
“mulieris portio vel viscerum” -- : Ulp., fr. 1 § 1 D. 25, 4 e prima
Papiniano, fr. 9 §. 1 D. 35, 2 — “homo non recte faisse dicitur”. E però
tosto da osservarsi come questa considerazione astratta, tolta manifestamente
dal PORTICO (Plut., Plac. pML, V, 14, 2: \iripoq eivai Ttig x(X7Tpòq)
rimanne in pratica lettera morta. Perchè, logicamente, dal considerarsi il
feto parte delle viscere materne, verrebbe che, fino al momento del suo
staccarsene e del suo passaggio ad esistenza di per sé stante, esso non dove
dar luogo ad alcun apposito rapporto giuridico. Mentre, contrariamente, stan di
fronte a tal concetto la legge di Numa che proibisce di seppellire la
donna morta incinta, prima di averne estratto il feto (fr. 2 D. 12,
8), le pene contro il procurato aborto, il divieto di Adriano di eseguire
la sentenza di morte contro la con- dannata incinta ( fr. 18 D. 1, 5), la
tutela al ventre pregnante, risalente fino a prima delle XII tavole, e
la “honorum possessio”, che a nome di quello potè chiedersi; istituti e
rapporti intesi tutti alla protezione di un soggetto di diritti sperato, e
dentro altro soggetto. Onde pure la risposta affermativa alla questione,
che tuttavia parve necessario propoiTe. Se il figlio, nato dalla madre
exsecto venire, abbia diritto di succedere ad essa (Ulp., fr. 1 §. 5 D.
38, 17 ) e il considerarsi come un essere già esistente il feto entro lo
viscere materne, benché non ancora a sé stante. Ciò secondo la verità
eterna e precisa delle cose. ( Cfr. Giul., 37 dig,^ fr. 18 D. 36, 2:
Is cui ita legafum est, qìmndoque liberos habuerit, si praegnatc uxore
relieta decesserit, intelligitur expleta conditione dccessisse et legatum
valere, si tamcn posthuììius natus fuerit; Ter. Clem., lib, 11 ad leg.
lui. et Pap., fr. 153 D. 50, 16: IntellegendiiS est mortis tempore fuisse
qui in utero relictus est\ Celso, 16 dig.y fr. 187 D. 50, 17; Ulp.
19 ad Sab., fr. 20 D. 36,1). Espressamente si fa risalire ad Ippocrate la
regola che assegna il tempo di *VII* mesi, come termine minimo
della gestazione (Ulp., fr. 3 §. 12 D. 38,16; Paolo, fr. 1*2 D. 1,
5). Ma, per sé, la necessità di segnare un termine minimo, sufficiente di
regola alla gestazione, si afferma per motivi esclusivamente sociali e
giuridici, e ne porse occasione la Legge Giulia. E la fissazione di
quello ai 7 mesi, giusta la teoria d' Ippocrate, ha un'importanza del tutto
formale. Più importante è per noi l'accoglimento della teoria di
Eraclito e del Portico, che fissa a *XIV* anni la pubertà (Plut., Flac,
pML, V, 24,1; Macrobio, Somn. Scijp., G; Saturn., VII, 7). Accoglimento
che ha una grande importanza pel suo significato giuridico. Esso invero segna
un passo verso quella precisione sicura di linee, onde il diritto,
progredendo, abbisogna, e, anche più, include un riconoscimento fine e delicato
del diritto al pudore. Che ciò io avverta qui, anziché più tardi, non
maravigli; giacche non posso veramente propormi un ordine rigoroso, e mi è
forza lasciare che il discorso trascorra a' vari punti, a cui le
fonti che man mano si offrono, gli porgono il destro. Ne che tale felicissima
alata della scuola dei Proculeiani, nella quale si volle ravvisare più precisa
e più profonda rinfluenza del Portico, sia dovuta veramente a tale
influenza, anziché alla considerazione obiettiva, spregiudicata delle necessità
avanzantesi del diritto, parmi possa sostenersi con alcun serio
argomento. Se influenza vi si ebbe, essa fu tutta nella fissazione formale
del termine al quattordicesimo anno, anziché al dodicesimo o al
quindicesimo, come altrimenti avrebbe potuto aversi. Ma romanamente giuridico e
il senso che fé* avvertire la necessità di quella regola netta e certa e
fé' accoglierla trionfalmente. Proseguendo in tali traccie formali,
l'influenza della filosofia parmi possa avvertirsi anche nella considerazione
del parto trigemino, in caso di gravidanza della madre (Plut.,
Pìcce. pML^ V, 10,4), che ha gravi effetti per l'aspettativa
dei diritti spettanti ai possibili nascituri, fino all'avvenimento
del parto, e che nelle fonti ci si presenta risalente a Sabino e a Cassio
(Giul., fr. 8 §. 1() 1). 40, 7; Gaio, fr. 7 pr. D. 34,5; Paolo, fr. 28
§.4 D. 5,1; Id., fr. 3 D. 5,4). Ma ben altra influenza, sostanziale e
diretta, della filosofia, si sostenne per un tema, che qui dovrà trattenerci
alquanto: lo schiavo. È da tale influenza che si volle determinato l'
affermarsi con moto continuo, dallo scorcio della repubblica al secolo
degli Antonini, di un' intima contraddizione nel concetto di Schiavo. E s'
adduce la dichiarazione tradizionale dei giuristi di questo periodo essere lo
Schiavo contro natura, la protezione che è accordiata man mano alla vita e
air integrità personale dello schiavo contro le eccessive sevizie del
padrone (Gellio, Noci. Att, V, 14; Eliano, Be an,, VII, 48; Gaio, fr.
1 §. 2 D. 1,6; Ulp., fr. 2 D. eod, Modestino, fr. 11 §. 2 D. 48,8)
al cui arbitrio lo schiavo è sottratto, per esser sottoposto, in caso
ch'egli delinqua, ad appositi magistiati, e a procedimento, non
sostanzialmente difforme da quello che vale pel LIBERO (Pomp., fr. 15 D.
12,4; Ulp., fr. 12 D. 2,1; fr. 3 §. 1 D. 29,5; Venul., fr. 12 §. 3 D. 48,2),
e indipendente attività patrimoniale che si riconosce allo schiavo col peculio
( quasi patrimonium Uberi hominis: Paolo, fr. 47 §. 6 D. 15,1). S' adduce
il favor libertatis che inspira in molteplici casi le larghezze con cui si
risolvono le dubbie questioni di stato e s'effettuano i giudizi liberali --
Lege Iimia Petronia si dissonantes pares iudicum existant sententiae pro
libertate prommciari iussuni: Ermog., fr. 24 D. 40,1; e. d' Ant. Pio,
presso Paolo, fr. 38 §. 1 D. 42,1; Ulp., fr. 3 §. 1 D. 2,12),
s'eseguiscono le manomissioni, ordinate per atto d'ultima volontà (Giul., fr.
9 §. 1 D. 33,5; fr. 4 pr. D. 40,2; fr. 16 D. 40,4; fr. 17 §. 3 D.
eod.; presso Paolo, fr. 20 §. 3 D. 40,7; Valente, fr. 87, D. 35,1;
Giavoleno, fr. 37 D. 31; Gaio, fr. 88 D. 35,1; S. C. sotto Adriano, in
Scevola, fr. 83 (84)§. 1 D. 28,5; rescr. di M. Aurelio, in Marciano, fr.
51 pr. D. 28,5, e in Mod., fr. 45 D. 40,4, cost. dello stesso in
Ulp., fr. 2 D. 40,5; Meciano, fr. 32 §. 5 I). 35,2; fr. 35 I).
40,5; Pomp., fr. 4 §. 2 D. 40,4; fr. 5 D. eod.; fr. 20 I). 50,17 ;
Marcello, fr. 3 i. f. D. 28,4 ; fr. 34 D. 35,2; Scevola, fr. 48 §. 1 D.
28,6; fr. 29 D. 40,4; presso Mar- ciano, fr. 50 D. 40,5; Papin., fr. 23
pr. D. 40,5; Paolo, fr. 28 D. 5,2; fr. 40 §. 1 D. 29,1; fr. 14 pr. D. 31;
fr. 96 §. 1 I). 35,1 ; fr. 33 D. 35,2; fr. 36 pr. D. eod. ; fr. 10
§. 1 D. 40,4; fr. 179 D. 50,17; Ulp., fr. 711). 29,2; 9 fr. 29 D. 29,4 ; fr. 1 D. 40,4 ; fr. 24
§. 10 D. 40,5) e in ispecie per fedecommesso, alla cui esecuzione provveggono
già sotto Traiano, e poi sotto Adriano e Commodo, appositi Senatoconsulti
{SS. GC. Bubriano, Dasumiano, Artici, Ulano, Vitrasiano, Iunciano -- s' adduce l’ingenuità
che si vuole accordata al NATO DA UNA SCHIAVA, che gode della
libertà fra il momento del concepimento e quello del parto (Marciano, fr. 5 §.
3 D. 1,5), o che, ordinatane la libertà per fedecommesso, non e manomessa
indebitamente, per mora deirerede (rescr. di Marco Aurelio e Vero e di
Ca- RACALLA in Ulp., fr. 1 §. 1 D. 38,16; Ulp. fr. 1 §. 3 D. 38,17;
fr. 2 §. 3 D. eod.; fr. 26 §. 1 D. 40,5; MARcaNO, fr. 53 pr. D. eod.),
fosse pure casuale (rescr. di Ant. Pio e di Severo e Carac. in Ulp., fr.
26 §§. 1,2, 3D. 40,5; MoDEST., fr. 13 D. 40,5); il concetto che afferma
la libertà inalienabile (Costantino, c. 6 C. 4,8) e la regola che
nega comprendersi nell'usufrutto il parto della schiava (Cic, De
fin., I, 4; Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1: Ulp., fr. 68 pr. D. 7,1).
Fermiamoci su quest'ultimo punto. È famosa la disputa, a cui quella regola die
luogo ai tempi di CICERONE, fra SCEVOLA, Manilio e Bruto, ed è pur
notissimo come la propugnasse vittoriosamente quest'ultimo, adducendo
essere assurdo il computare fra i frutti l'uomo, mentre ogni frutto che
rechi la natura è destinato all'uomo. La qual ragione è riferita da Gaio
e da Ulpiano ( Gaio, fr. 28 §. 1 D. 22,1; Ulp., fr. 68 pr. §. 1 D. 7,1),
ed è tratta genuinamente dalla teoria del Portico, secondo la quale
l'uomo si considera come signore dell'universo (Cic, De off., I, 7; De
nat. Deor., II, 62; De fin., Ili, 20). Ma altrove, (fr. 27 pr. D. 5,3)
Ulpiano stesso adduce a fondamento di questa regola un motivo tutto
economico. Non valutarsi come frutto il parto della schiava, perchè lo
scopo economico, pel quale si tenne schiave, non è quello di procacciarsene i
parti « non temere ancillae eim rei causa comparantur ut pariant » , ossia
perchè i parti della schiava non costituiscono il frutto economicamente
normale di essa. E due fatti inducono a ritenere che sia appunto questa la
ragion vera che determina quella regola: la mancanza, cioè, di
un'industria di allevamento di schiavi e la parificazione del parto della
schiava ad ogni altro frutto, per qualsivoglia rapporto, all' infuori delF
usufrutto. Che la regola, determinata da questa ragione economica, si
volesse poi anche giustificare con un concetto preso al Portico,
non può recar maraviglia, quando si pensi come in altri punti non pochi
la vernice d'una forma filosofica copra un rapporto determinato
essenzialmente da principii tutt' altro che filosofici. E questa
nostra osservazione si riconnette a un altro lato importante del tema: al
freno imposto alle sevizie del padrone: nel quale volle ravvisarsi pur tanto di
stoica influenza. È essenziale la giustificazione datane da un noto testo
di Gaio. Doversi inibire al padrone di far malo uso delle cose sue, allo
stesso modo che ciò si vieta al prodigo (Inst^ I, 53). Regola dunque che
ci si presenta pure determinata non da altro, che dalla considerazione tutta
econo- mica del regolare uso della proprietà. Ed è parimente
una necessità di natura economica, di raflforzare, cioè, Y attività dello
schiavo colla molla del suo proprio interesse individuale, quella che
determina il riconoscimento del peculio, quale patrimonio di fatto
del servo, distinto dal patrimonio del padrone; la cui funzione ha
per ogni lato dell'evoluzione della schiavitù
importanza essenziale. Però codesto elemento economico, che fu
magistralmente seguito dal Pernice nel suo classico libro su Labeone,
e che, pei lati che accennammo, resulta da attestazioni precise delle fonti,
non basterebbe a spiegare per sé il riconoscimento graduale nello schiavo di
altri molteplici diritti e rapporti attinentisi alla personalità, e l'
affermarsi di un vero e proprio sistema giuridico che per esso si crea,
del tutto analogamente al sistema che regola istituti e
rapporti fra liberi. Un altro elemento sostanziale concorre a
dar vita e riconoscimento positivo a quel sistema pei rapporti più
svariati. Questo elemento altro non è che la forza della natura. Forza,
che neirantica convivenza a famiglia regolava nel fatto, quasi
inconsciamente, i rapporti della schiavitù ; ma che, più tardi, «comparsa
la prisca semplice costituzione della familia, ordinate quasi ad
esercito, gerarchicamente, le migliaia di schiavi tratti a Roma dai
popoli vinti, fé' assurgere e fissò a rapporto di diritto quello eh' era
dapprima mero e tacito fatto: affermando nello schiavo la contrapposizione del
concetto di “uomo”, di fronte a quello di “res”. Gli
attributi nello schiavo di ente intelligente e consciente s' impongono air
organismo del diritto, pel quale lo schiavo dove parificarsi a una “res”,
ad una “merx.” Ulpiano, trattando della prestazione dei legati imposti
all'erede, e dei casi in cui l'erede può essere ammesso a prestare, invece
della res legata, Vaestimatio di essa, distingue il legato di una “res”
da quello di uno schiavo, valuta i motivi in cui più probabile in questo
può riuscire la prestazione dell' aestùnatio, ed esce coli' affermazione alia
est condicio ìiominum alia ceterarum rerum (Ulp., fr. 71 §. 4 D.
30). Quest'affermazione coglie e sintetizza l'urto intimo e graduale, di
cui la storia della schiavitù in Roma porge traccio continue ed eloquenti,
e per cui pur riesce infine ad imporsi nella coscienza giuridica e
sociale il riconoscimento nello schiavo degli attributi essenziali della
personalità umana. Tali, l'efficacia del patto adietto alla vendita di
una schiava di non prostituirla. Efficacia che include il riconoscimento
del diritto all'onore (decr. di Vespas., presso Mod., fr. 7 pr. D. 37,14;
Pomp., fr. 34 pr. D. 21,2; Papin., fr. 6 pr. D. 18,7 ; Paolo, fr. 7 D.
40,8 ; Aless. Sey., c. 1 C. 4,56); r azione d' ingiurie per offese allo
schiavo, commisurata secondo il grado d' onorabilità di questo (Ulp., fr.
15 §. 44 D. 47,10). L’ ammissibilità di un giiidizio di calunnia a cagione
dello schiavo, che subì per fatto altrui ingiusto giudizio (Papin., fr. 9
D. 3,6). La valutazione della misericordia usata verso di esso, per
misurare la responsabilità di chi ebbe a procacciarne la fuga (Ulp., fr. 7 §.
7 D. 4,3). Il riconoscimento della famiglia servile, nella quale con
sforzo di finzioni giuridiche si riesce a dar certa configurazione a rapporti
patrimoniali, a somiglianza di quelli che intercedono nella famiglia dei
liberi (Ulp., fr. 39 \D. 23,3 ; Paolo., fr. 27 D. 16,3). E persino il
riconoscimento nello schiavo di rapporti d'indole religiosa (Labeone,
presso Ulp., fr. 13 §. 22 D. 19,1; Ulp., fr. 2 pr. D. 11,7). Che
pure sulle conquiste compiute dagli schiavi contribuiscano considerazioni d'
ordine pubblico e di sicurezza pubblica, son ben lungi dal negare. Non
par dubbio, ad esempio, che sia determinata sopratutto da esse la
legge Petronia. !Aia questa pure (appena occorre avvertirlo) non è
che una conseguenza, benché coatta, dell 'affermantesi peronalità dello schiavo.
Ne tuttavia che le stesse dottrine stoiche, col loro elevato concetto della
personalità umana, abbian per qualche lato favorita o affrettata
quell'evoluzione, non <\serei negare: (nò può invero trascurarsi il
fatto che il momento più intenso di essa cade appunto sotto gli Antonini. Ciò
che parrai invece dover negare si è che quelle dottrine vi abbiano avuta
una influenza immediata , essenziale. Talché senza di esse si avesse
ognora a disconoscere nello schiavo ogni attributo della
personalità. Su altri istituti e rapporti attinenti alle persone non
ci abbisogna lungo discorso. Non occorre, per verità, confutare lo strano concetto
che influenza del Portico sia nell'attenuamento della patria potestà, e nella
liberazione delle donne dalla tutela agnatizia. Fatti determinati
entrambi dal trasmutarsi della funzione e natura politica della familia;
trasmutarsi, che pure ci spiega l’avanzantesi prevalenza del vincolo di sangue
sul rapporto civile d'agnazione; che ha poi eifetti importanti, in
ispecie neir ordine delle successioni. E pur ci spiega l’evoluzione
dell'essenza prisca dell'eredità familiare (comprendente, cioè, il
complesso di diritti politici e religiosi inerenti alla domus
familiaqtte) verso l’eredità patrimoniale. Concetto, che , accennato
in istudi recenti ed egregi (16), forse non si presenta tuttavia
immeritevole di trattazione nuova ed apposita e d' investigazione minuta nelle
fonti. Ne mi fermo su di un punto, sul quale non si peritò d' insistere
qualche sostenitore deir influenza sdel Portico sulla giurisprudenza
romana: il puro ed elevato concetto del matrimonio, tramandatoci dai
giureconsulti, e in ispecie esplicantesi nella tarda definizione di
Modestino. Basta osservare che quel concetto è in Roma tradizionale, fin dalla
sua più antica e genuina costituzione e che vi si esplica allora dalle
stesse forme, con che il ma- trimonio si compie, e che, inerente dapprima
solo al ma- trimonio curri manu, nel quale è veramente la divini et
Immani iuris cornunicatio, esso s'atteggiò poi, per forza di tradizione
sul matrimonio libero, prevalso su quello, e tra- luce idealmente nei
tempi stessi, in cui il matrimonio era di fatto quale ce lo tratteggiano
con foschi colori Giovenale e Marziale. Occorre qui invece, fra i
diritti attinentisi alle persone, accennare ad alcuni altri, nei quali si
ravvisò l’influenza filosofica, e segnatamente del Portico.
Che, per quanto tocca il diritto alla vita, e l'affermazione negativa di
questo, i romani non abbiano riguardato con deciso is favore il suicidio,
come mezzo estremo di salvaguardia a mali maggiori; e ciò molto innanzi al
tempo in cui la filosofia divenne nota in Roma, resulta dalla
natura del carattere romano e dell' ideale ch' esso prefiggeva alla vita,
dalla stessa aureola di gloria onde fu recinta la memoria di Lucrezia, di
Catone e di Bruto. Né dunque può pensarsi ad alcuna influenza del Portico,
se vediamo i giuristi non considerar come dannata la memoria del suicida.
Ma singolarissima è poi la specialità contemplata nel testo che per consueto si
adduce. In esso si riferiscono rescritti di Adriano e d'Antonino Pio, i quali,
considerando il caso, in cui persona accusata di delitto capitale, prima
d' esser sottoposta al giudizio, ponga fine a' suoi giorni taedio vitae
vel doìoris impatientia, dichiarano non incorsi con ciò nella confisca i
beni di quella. Si ha poi nel caso proposto ad Adriano che il suicida era
accusato d' aver ucciso il figlio. Adriano, con sentimento delicatamente
umano, dichiara doversi presumere che non per timor della pena , ma per dolore
del figlio perduto, V accusato sia volontariamente uscito di vita ( Marciano,
fr. 3 §§. 4-5 D. 48,21); non potendosi ad ogni modo ritenere per se
il suicidio deir accusato equivalente a confessione di reità a condanna.
Come poi Papiniano con lucidissima veduta dichiarò e sostenne ( Ibid,,
pr. ; cfr. fr. 29 pr. D. 29,1 ; Paolo, fr. 45 §. 2 D. 49,14 ). Mentre poi
è chiaro che, all' inversa, il suicidio che 1' accusato volle affrontare
non per altro che per timor della pena e ob conscientiam cnminis, non salva
dalla confisca il patrimonio di lui, che si considera quale dannato o
confesso (Ulp., fr. 6 §. 7 D. 28,3; fr. 11 §. 3 D. 3, 2). Il che
davvero s'intende come logico sviluppo, senza che nulla v'appaia
di influenza o reminiscenza filosofica, se pure essa non voglia vedersi
nel ricordo ai filosofi, come a coloro che si uccidono taedio vitae,,.
vel iactationis (fr. 6 §. 7 D. 28,3). E qui pure, a proposito del diritto
naturale alla vita, si avverte il riconoscimento di tal diritto nello
schiavo, là dove è detto da Ulpiano esser lecito etiam scrms fiaturaliter
in sunm corpus saevire (Ulp., fr. 9 §. 7 D. 15,1). Di fronte al qual diritto
affermato perle schiavo, sta l'obbligo in lui di rifondere col suo peculio al
padrone le spese che ha sostenute per curarlo dalle ferite infertesi
tentando d' uccidersi; talché quel diritto si riduce praticamente
ad una curiosa ed amara irrisione. E tocco di un altro fra i diritti
personali. Quello alla religiosità, al quale s'attiene lo sfavore con cui
si riguardò dai giuristi, conformemente agli stoici, il giuramento
(PapiN., fr. 25 §. 1 D. 13,5; Ulp., fr. 7 §. 16 D. 2,14), e in ispecie la
condicio iurisitirmidi, apposta a una liberalità per atto mortis causa (
Labeone, in Giav., fr. 62 pr. D. 29,2 ; Giuliano, fr. 26 D. 28,7;
Marcello, fr. 20 D. 35,1 ; Ulp., fr. 8 §. 5 D. 28,7). Il generale
divieto della condicio iurisiurandi è anteriore a Labeone e posteriore a
Cicerone, e coincide per tempo col fiorire della filosofia del Portico. E
F opinione ch'esso sia determinato da influenze di questa parrebbe tanto più
attendibile, in quanto siamo qui in tema di religiosità, dove
l'istituzione filosofica ebbe veramente, in sullo scorcio della
repubblica e a' primi tempi del principato, efficacia non lieve e assai
diffusa. Senonchè non so astenermi dal proporre una mia modesta
osservazione. Lo sfavore pel giuramento non è già soltanto nel Portico,
ma risale fino tra le scuole presocratiche, a quella di Velia, e al
fondatore stesso di essa, a Senocrate, che nel giuramento ravvisava un
riprovevole privilegio per l'empietà (Arisi., Bhet, I, 15) (19). Forse
quello sfavore, che nello spirito filosofico si manifesta cosi da antico,
era pure in origine nello spirito romano, e durava nel patrimonio
d'idee e di tradizioni, che, specialmente in materia di religione, i due popoli
ritrassero dal ceppo comune? Il che solo accenno, pur non volendovi
troppo insistere, perchè non paia amor di sistema. E, lasciando omai
d' altri rapporti di minore impor- tanza, pure del tutto formali, come,
per ciò che attiensi alla salute, la definizione del morbo, di habitus
cor- poris contra naturam (Sab., fr. 1 §. 9 D. 21,1 e in Gellio,
Noci. Att^lY, 2. cfr. fehris: Giul., fr. 60 D. 42,1) evi- dentemente
tolta dallo stoicismo; il concetto del furiosus, che, come privo di mente,
stoicamente è detto suus fion est (Ulp., fr. 7 §. 9 D. 42,4), passiamo
senz'altro alle cose e ai diritti su di esse. La triplico
partizione delle cose, che ci riferisce Pomponio nel lib. 30 ad Sah. (fr. 30 D.
41,3): F una comprendente quod contìnetur uno spirita, graece yivwjxsvov;
l'altra che abbraccia qiiod ex contingentihus hoc est j)ÌU' rihus interse
coherentibus constat, quod atiVTQjAjjievov, e una terza dei corpora pUira
non solata^ ma uni nomini suhiecta, resultanti ex disfantibiis, b T
applicazione precisa e genuina della distinzione del Portico. Al
frammento di Pomponio fauno riscontro testi di Plutarco, Fraec. coniug.,
34 ; di Sesto Empirico, Adi\ Math,, VII, 102; IX, 7S; di Seneca
J^at. qiiaest., II, 2 ; Epist., 102,6 ; e di Achille Tazio, Isag, in
plten. Arati, 14. Che dunque per essa i giuristi abbiano formalmente
attinto dai filosofi non v' ha dubbio. Il ricordo formale dei filosofi si
ha persino nella esemplificazione consueta nei giuristi delle cose
appartenenti a ciascuna di quelle tre categorie. Ma se ci facciamo a
ricercarne le pratiche applicazioni, tosto ci avvediamo come altri
principi, del tutto indipendenti da essa, inteivengano. E, invero, il diverso
modo con cui si ammette il possesso e l'usucapione, segnatamente
per le res comiexae e le universitates ex distantibus. La regola
che il possesso di una res connexa implica il possesso delle cose singole
da cui risulta composta, come parti, non come cose a se stanti, e
distinte individualmente, si spiega col concetto tutto romano del
requisito A^' animus nel possesso. Il quale, dovendosi rivolgere alla res
connexa nella sua essenza, non si concepiva che contemporaneamente si
rivolgesse alle parti singole di quella; onde appunto la inammissibilità di un
contemporaneo possesso dell' intiero e delle parti, e la impossibilità di
acquistare un diritto sulle parti, in forza del possesso della res
conmxa resultante dalla loro unione. Il che ha segnatamente ef-
fetti importanti per la teoria deirusucapione. Mentre poi, per quanto
tocca in ispecie le regole del possesso e deirusucapione dei tigna onde
resulta composto un edifizio, concorre anche il riguardo tutto civile che
inspirava la lex (le Ugno iuncto (Venuleio, fr. 8 D. 43,24; GiAVOLENO,
fr. 23 pr. D. 41,3; Gaio, fr. 7 §. 11 D. 41,1; Paolo, fr. 23 §. 7 D. 6,1;
Ulp., fr. 7 §. 1 D. 10,4) (21). Meno ancora può trarsi dalla
distinzione fatta dai giuristi delle cose corporali e incorporali. Se per
questa, fra il concetto dei giuristi e quello dei filosofi, può esservi
somiglianza, essa è del tutto apparente. Le cose incorporali dei
filosofi, come essenzialmente il tempo e il vacuo, non hanno nulla di
comune colle cose che son chiamate incorporali dai giuristi per la loro
funzione sociale e giuridica, e che hanno sempre in sé per contenuto cose
corporali, e ciò secondo un concetto che ci si presenta tradizionale
e risalente: in modo sopra tutto preciso e spiccato nella hereditas
(Pomponio, fr. 37 D. 29,2; fr. 119 D. 50,16; Gaio, Inst, II, 14; fr. 1 §.
1 D. 1,8; Apric, fr. 208 D. 50,16; Papin., fr. 50 pr. D. 5,3; Ulp., fr.
178 §. 1 D. 50,16; fr. 3 §. 1 D. 37,1; Paolo, fr. 4 D. 5,3): e
segnatamente, con mirabile evidenza, nel concetto e nelle regole
delF^^t*- capio prò herede (Gaio, II, 54). E di questo concetto
àeìVheredifas, res corporaUs, che ha per contenuto normale appunto cose
corporali, è assai notevole come un filosofo del Portico parli come di
inutile sotigliezza, deridendo i giuristi che raccolsero (Seneca, De
h&n. VI, 5): e offrendoci con ciò, come fu avvertito, ricordo
certo e perenne della differenza sostanziale che correva, a proposito di
quella partizione, fra il pensiero dei filosofi e quello dei
giuristi. Certo, fra i cor para, la distinzione di quelli che ratione vel
anima carente da quelli che careni ratione non anima o di entrambe, è
rivestita di forma del Portico. Ma è necessario ch'io soggiunga che sotto
di essa sta un concetto tanto primitivo, che davvero non occorreva
rivestirlo del lusso d' una veste filosofica ? Un tema, sul quale
insistettero con particolare predilezione tutti i sostenitori dell'influenza del
Portico, è quello che riguarda, tra i modi d' acquisto della proprietà,
la specificazione. L'opera diretta che qui esercitò, pel riconoscimento
del lavoro umano di fronte alla materia, la scuola dei ProculeiaDÌ, porse pure
argomento per ravvisare una particolare inclinazione di quella verso lo
stoicismo: in contrapposto anche qui alla scuola de' Sabioiani. Quasiché,
a spiegare il riconoscimento del lavoro umano non dovesse bastare una
considerazione positiva di natura tutta economica: la normale preminenza di
valore della nuova specie sopra la materia prima, preminenza che doveva
imporsi al concetto proculeiano, ognora così acuto e vivo e libero,
di fronte all'ossequio tradizionale della proprietà, che pur continua un
preminente riguardo al proprietario della materia. Le fonti, a cui ci si
richiama, pel rapporto inverso alla specificazione, appunto la riduzione
della species alla materia, confortano questo concetto. Si riferiscono
invero per consueto due testi d'Ulpiano, nei quali questi asserisce
sembrar scomparsa la cosa, di cui sia mutata la forma, benché ne duri la
materia (fr. 13 §. 1 D. 50,16), e mutata forma prope interemit suhsiantia rei
(fr. 10 §. 9 D. 10,4). Espressamente ciò giustificandosi da Ulpiano
stesso, proprio col criterio economico qmniam plerumque plus est in
manu prctio qtuim in re. E Paolo soggiunge, adducendo l’opinione e di
Labeone e di Sabino, che abest la tabula picta quando ne sia rasa la
pittura, o il vestito quando è scucito, perché appunto earuni rerum
pretium non in substantia sed in arte sit positum (Paolo, fr. 14 pr. D.
50,16). E, partendo da tal concetto, ben s'intende come,
all'inversa, si considerasse economicamente del tutto nuova la cosa
formata per mezzo del lavoro sopra materia già esistente, e come Proculo
e Nerva potesser dire, secondo quello che Gaio ricorda, che dopo subita
l'opera dello specificatore, essa non potesse più considerarsi come
appartenente al proprietario della materia (Gaio, fr. 7 §. 7 D. 41,1; cfr.
Paolo, fr. 3 §. 21 D. 41,2 (24). Né in tema di materia o sabstantia
e species, per r efrore che intervenga su questa o su quella nel
con- tratto di compra vendita, parmi che molto si possa trarre
dalle fonti, per un'essenziale influenza del Portico. Nel noto passo d'
Ulpiano ( fr. 9 §. 2 D. 18,1 ) si riferisce come Marcello ritenesse sussistente
la compra vendita, anche quando, per errore, si fosse dato aceto, invece
del vino dedotto in contratto e rame per oro e piombo per argento. Ciò
giustificandosi da Marcello stesso colla ragione che sul corpus
intervenne il consenso, ed errore vi fu solo nella materia. Ulpiano
consente per l’aceto, perchè qui la sostanza, r oùjta (appunto secondo il
linguaggio del Portico) è quella dedotta in contratto. Mentre vi ha
scambio sostanziale di tale oùjt'a nel caso del rame dato per oro e
del piombo per argento. Talché la preoccupazione erronea che nel
concetto di Marcello sembra ingenerare la reminiscenza del Portico,
scompare in Ulpiano, che ne prescinde recisamente, applicando nel modo
più concetto le regole sull' eiTore nell’oggetto del contratto, non importa poi
ch'esso errore verta in corpore o invece in stibstantia. Lo stesso
testo vivissimo d' Alfeno ( fr. 76 D. 5,1) che riproduce, secondo la
fisica e dell’Orto (Lucrezio, Nat. rer. V) e del Portico (Seneca, Ep. 58
; Plut. Comm. nat. 39; Antonino, II, 17; V, 33), la mutazione
continua della materia, ricordando come il corpo formato da questa sia
sempre lo stesso, per quanto si vengano ognora mutando via via le particelle
che lo compongono, e applica questo principio air organismo di un
jiidicium, che rimane il medesimo col mutarsi de' suoi membri, ritrae in
sostanza un concetto eh' e genetico in Roma, essenzialmente per la
persona giuridica del “populus.” E la fisica del Portico si riduce dunque solo
ad illustrare con veste scientifica ciò che ben prima s'era nella pratica
ravvisato. Influenza del Portico si sostenne in un preteso sfavore
alle usure, che si volle dedune da parole di Papiniano che usura non
natura pervenif ( fr. 62 pr. D. 6,1 ). Quasiché non fosse risalente e
tradizionale il concetto che distiogue dai frutti naturali i frutti
civili, e in materia d'usura non si avesse in Roma, fin da antico,
un'assidua, quanto sterile attività legislativa. Ma basti
ornai anche sul tema delle cose, intorno al quale però non voglio
astenermi dall' offrirvi esempio di taluna di quelle aberrazioni, alle
quali accennai essere pervenuti scrittori egregi, per passione ch'essi posero
nell'esame di questo tema. Scelgo la teoria del Laferrière, secondo
la quale la regola che richiede i due requisiti dell' animus e del
corpus per l'acquisto del possesso e della proprietà per occupazione,
riuscirebbe determinata dal concetto fondamentale del Portico, che distingue
nell' uomo 1' elemento spirituale dall' elemento corporeo. Come analogapaente
sarebbe determinata da questo la necessità della tradizione pel
trasferimento della proprietà. E d'altre taccio, già essendo queste esempio
eloquente, come presentantesi sotto un nome scientificamente
onorato e sotto l'insegna gloriosa dell'Istituto di Francia. Dovrei
ora, accennarvi a tutto il sistema romano delle obbligazioni, al
mutamento eh' esso più specialmente subisce dal rigoroso formalesimo, verso 1'
applicazione più agile e diretta della volontà. Mentre pur tutto il
diritto vien ravvivato da raffronti e adattamenti vitali di elementi
nuovi ed estranei coi prischi ed indigeni, e ricordare come questo sia una
conseguenza immediata de' nuovi orizzonti' che omai ha la vita e il commercio
di Roma e delle influenze straniere così continue e multiformi? E
come, a sua volta, il moto potente e continuo di Roma verso
l'universalità, e 1'alito vivificatore che ne deriva sul diritto,
consegua direttamente dalle nuove condizioni politiche ed economiche? Che
questo moto grandioso e continuo corrispondesse alle dottrine stoiche,
per le quali tutto il mondo è una grande città, non può negarsi. Che per
quello riuscisse ad esse più agevole l'aver diffusione è pur certo. Ne
che per tal modo esse abbiano anche cooperato con quello, talora
forse per via inconscia, allo svolgimento di taluni istituti e l'apporti
, come ad esempio dello schiavo , di rapporti relativi alla religiosità e
simili, non vorrei disdire. Ma chi penserebbe sul serio, solo per
un istante, che il moto di Roma verso l’universalità derivi dal Portico,
da alcun'altra delle scuole filosofiche? E che però da filosofie consegua
mediatamente tutta la trasformazione del diritto? Non però se parmi
di dover negare ogni influenza essenziale della filosofia, e in ispecie il
Portico, sullo sviluppo della giurisprudenza romana, air infuori di quelle influenze
concomitanti con altri elementi che teste toccammo, sopra singoli
rapporti, e delle influenze formali che si vennero annoverando sin qui , voglio
io disdire 1' efficacia che la conoscenza della filosofia ebbe dal secolo
di CICERONE in poi, sempre formalmente, ma pur in campo più generale e
importante, nel dar struttura di ars al itis civile («quae rem dissolutam
divulsamque conglutinaret et ratione quadam constringeret »: Cic, de orat I,
42) (26). Imprimendo con ciò nuova forza e nuovo sviluppo a facoltà e a
tendenze ch'erano in Roma native. che non tolse tuttavia che, ricevuto tale
avviamento nella costruzione logica, la giurisprudenza procedesse poi
da sé, indipendente dalla filosofia, elaborando essenzialmente i
rapporti pratici della vita, aborrente da ideali astrazioni. E dove la
reminiscenza filosofica, cessando d'essere formale intacca la sostanza
giuridica, si ha un fluttuar vago d'idee incerte e confuse, un'
indeterminatezza di linee, che fa eloquente contrasto colla precisione
perfetta, sicura, ond'è in Roma esempio mirabile tutto l'organismo del
diritto. Voi intendete ch'io accénno al im naturale. Fra il concetto
d'Ulpiano che lo designa emanazione della ragione diffusa neir universo, e
quello di Paolo che vi ravvisa un' ideale tendenza verso l’ “aequwn bonum”, o
quello di Gaio che lo riaccosta al “ius gentium”, quale dettato
dalla universa ratio; fra i più diversi significati ed applicazioni
di naturalis ratio, di naturalis, di ìiaturaìiter, che occorrono nelle
fonti, o connessi ad uno di quei tre concetti, od oscillanti fra l’uno e l’altro,
o indipendenti da ognuno, lo studioso procede incertamente. Né certo sta
a me, ne io presumo di portar giudizio sulle varie costruzioni che
modernamente si tentarono del “ifàs naturale”, concepito, o conforme alle
dottrine elaborate in Boma dalla filosofia accademica e del Portico, come
coscienza insita nella umana natura di un diritto universale, e però del tutto
distinto dal ius geniium. O, invece, obiettivamente, come ordine naturale
contrapposto air ordine civile, come dettato dalla ratio. O, di
nuovo subbiettivamente, quale concezione dovuta all' idea del diritto
dettato dalla ragione naturale a tutto il genere umano, atteggiatasi in Roma
sul “ius gentium” e fusasi poi con esso, per esplicarsi poi praticamente
n^Waequita^, che è la forza che s'avanza via via nell'editto pretorio e
gradatamente vi prevale. O invece senz' altro come derivazione e sviluppo dello
stesso ius gentium. A me basta notare sol questo. Quanto d'indeterminato
e d'incerto rimanga tuttavia in ciascuna di quelle costruzioni, e come, s' io
non erro, non sia riuscito ad alcuno, benché ingegni forti e coltissimi
vi si accingessero, di dimostrare che il concetto vago ed astratto del
ius naturOfle scese ad applicazioni pratiche e concrete. Né certo
maggior pregio di linee precise e spiccate o d' importanza diretta e
sostanziale per 1'organico sviluppo del diritto ci presentano nel titolo
de “iustitia” et iure le definizioni astratte, tolte a prestito dal
Portico, di giustizia e di giurisprudenza, e i tre famosi precetti del
diritto. L' artificiosa inutilità di tali concetti, tratti più o
meno fedelmente dalla filosofìa, spicca in guisa vivissima nelle
definizioni del concetto di “legge”; nelle quali, attraverso a vaghe
reminiscenze di Demostene e di Crisippo, ricompare il concetto, romanamente
vero, di coìnmwiìs rei ptiblicae sponsio. La gloria del diritto e dunque
riserbata a Roma; la quale, per opera secolare ed esclusiva del suo
genio, affida ai venturi, con eccellenza insuperata, le leggi eterne
dell'umana vita giuridica. Se v' ha ricordo che debba infiammare
e scuotere i diretti continuatori del sangue e del pensiero latino, è il
ricordo di quella gloria. In questa Università che ha tradizioni nobili e
antiche, proseguite degnamente dal maestro provetto, cui circonda qui da
olti-e cinque lustri reverenza aifettuosa di discepoli, e dall'altro
insegnante che coi lavori acuti e geniali, come coir insegnamento
ef- ficace, onora in Italia le discipline romanistiche, quella
gloria infiammi e riscuota noi pure, o compagni. E com'essa ravviva e
ravvivei-à ognora in me le deboli forze, altrettanto sia come fuoco sacro
ai vostri giovani e ardimentosi intelletti. Cattanei. P erozzi. Un
elenco molto accurato dei lavori appositi scritti sul nostro tema trovasi
nella classica opera deli' Hildenbband, “Gesch. u. System der Rechts und
Siaatsphilos.”, Leipzig. Lo riporto qui,
con alcune aggiunte e avvertenze bibliografiche, che contrassegno
collocandole fra parentesi. Indico con asterisco i lavori che non potei
procacciarmi: Malquytius, De vera non simnìnL<i iurisc, phiL,
Paris., 1626 [ristampalo nella Triga ìibelL rariss., Halae Magdeburg];
Paìjaninus Gaudextius, .2>^ j>/i27o«. ap. Bom. in. et progr. Pisis,
1643, e. 42-3^ pagg. 104-6; | Buaxdes 7->e, vera non simulata iurisc.
phih, Francof. 1626; opuscolo che noto benché certamente privo di valore,
solo per amor di completezza, e seguendo in ciò V e- sempio dello stesso
Hildenbrand, che giustamente tien conto nel suo elenco anche di lavori
senza pregio, come p. e. quelli compresi nella raccolta dello Slevogt] ;
Scuilier, Manud. pliilos. moraliii ad ver, nec simnl. pini., len.,
1696;BonMER, Dephilos, iurisc, stoica^ Halle, 1701 [ristampato nel volume
J)e sectis et philos. iurisc. opusc.^ coli, recogn. et praef. et elog.
Ictor. rem. ac progr. de disp. fori aiixit Slevootius, lenae, 1724];
Buddeus, De errar, stoic, negli Anal. Imt. phiL, Hai., 170G; Voss, De falsis
Ictor. ratiocin. ex parte occas. philos. stoicae enntis, Harderov., 1709;
Ev. Otto, De stoica vet. Ictor. philos.: Id , De vera non simulata
philosoph. Ictor. j nel voi. cit. dello Slevogt; Herjng, De stoica velt.
Roman, philos., ibidem; [Kunholt, Semicenturid comparai, verae et
simul. iurisc. phil., Lipsiae, 1718, che trovo citato dall' Eckardt,
Herm. duriSj *Lips., 1750, cap. 4]; Slevogt, De sectis et philosophia
Icforunif len., 1724; *£ggerde8. De stole, Ictor. roman. eìusqiie
historia et ratioìie, Kostoch, 1727: Hofscaxn, De diàUctica vett, Ictor.,
Francof., 1735, ne' suoi Melemata ad pandectas; Schaumburg, De
iurisprud. ceti. Ictor. stoica tractatiis, hoc est succincta demotutr.
iuriscon- sultos roman. non vita solum sed etiam doc trina stoicam
philoso- phiam esse profes>ios, lenae, 1745; *Pauli, De utilitatibus
quas attulit philos. ad iurisprud. ronianani, Lips., 1753; Meister,
De plùìos. Ictor. Roman, stoica in doctrina de corpor. eorumque
par- tibus, Gott., 1756 [e neW Opusc. Syll., I, n, 10]; VanHoogwerf,
De car. tur. Boni, partibus stoam redolentibus, Traj ad Bhen.,
1760, e nell'OsLRiCH, Thes. noe. voi. Ili, tom. 2, pagg. 63 e segg. ;
Boers^ De antropoì. Ictor. Roman, quatenus stoica est, Lugd. Bat. , 1766
[*Terpstra, De philos., cet. iurtsc, Francof., 1767, che trovo citato
dall*HoLT, Hist. tur. rom. lineam., Leod., 1830] *Ortloff, Ueber den
Eiufluss der stoischen Philosophie auf das rom.Recht.,^ìàng., 1797; *Vax
Vollenhoven, De exigua vi quam philosophia graeca habuìt in effórmanda
iurisprudentia romana, Amstelod.; Ea- TJEN, Hat die stoische Philos.
bedeutenden Einfluss auf die rom. juristischen Schriften gehabt? Kiel,
1839, ristampato nei lahrb. di Sell, in, pagg. 66 e segg.; [Trevisani, Lo
stoicismo coìisìderato in relazione colla gìurisprud.'» roìnana, nella
Gazzetta dei tribunali, VI, 1851, pagg. 821 e segg.; VII, 1852, pagg. 7 e
segg. ]; Voigt, lus natur. bon. ti. Aequum, Leipzig, 1856-75, I '^§.
49-51 pagg. 250-66; [Xaferrière, Memoire concernant V influence du
stoicisme sur la doctrine des iurisc. romains, nelle Mevi. de V Acad.
des scienc. mor. et politiques, X, 1860, pagg. 579-685. Fra noi usciva
nel 1876 il lavoro dottissimo del MoRIA^'I, La filosofia del diritto
nel pensiero dei giureconsulti romani, Firenze, 1876. Sono ancora a
no- tarsi, benché tocchino solo punti speciali del tema: Eherton,
sulla terminologia stoica nel dir. romano, nella Quaterly RevieWj III,
n. 9, 1887, di cui dà un sunto G. Pacciiìoxj, néìV Ardi, ginr.,
XXXVTII, fase. 1-2; Lecrivain, Le terme stoicien verecundia dans la
langue des Dig., nella Nouvelle revue hist. de droit frane, et drang.,
XIV, 1890, pagg. 487-9]. Trattano pure del nostro argomento,
benché non di proposito, i seguenti: [Hopperus, lur. civil. lib. sex,
Lovan., 1555, pagg. 554 e segg.] CuiAcio, Observ.y 56,40; Merillio,
Obsero.,\, 8; Turnebo, Advers., Aurei., 1604, Vili, 20, pag. 151;
Lipsius, Manud. ad stoic. philos..^ nelle Opera.^ Antverpiae, 1737, IV,
473; Io., Physiol. stoic., nelle Opera, IV, 542; Kamos, Tribonianus,
Lugd. Bat., 1728, pag. 249 e segg. [Bodeus, Observat. et elem. phil.
instrumentalis, Halae Sax., 1732, cap. II §. 27, pag. 308, cap. IV g. 14,
pag. 470]; Ma- 'Jìp: SCOTIO, De sectis Sahinian et Proculeian,
in iure civili, [ Lipsiae^ 1728], Alld., 1740; Eokhardt, Ilerm. luris,
Lips., 1750, e. 4; Walch, Opp.^ I, p. 237 [Gravina, De ortu et progr,
iur. civ., Napoli, 1757, I, 35-6; Brucker, Hist. crii, philos., Lipsiae,
1766, II, pagg. 15 e segg.; G. B. Bon, praef. al Leibnitz, Opusc. ad iur.
peri., nel Leib- NiTZ, Oper«, Genevae, 1768, IV, p. d, pag. 5, n. 1;
Eineccio, Antiq. rom., Venet., 1792, lib. 2 e 3, pagg. 17, 30-1, 191 e
segg.] ; Vico, Scienza nova, cap. 4; *Welcker, Die letzten Grilnde von
Recht Staat u. Stafe, Giessen, 1813, pag. 492, 500, 522, 578; *Id.,
Uni- versa! u. Jurist. poh Encyclopadie, Stuttgart, 1829, pagg. 70 e
segg., 556 e segg.; Veder, Hist, phil. jur. ap. veti,, 319; Zimmern,
Gesch. des rum. Privatr. I^ pagg. 23 e segg.; Pcchta, Cursus der Instit,
2 Aufl., pagg. 472 e segg.; Ahrens, Iur. Encyclop., pag. 303, n. 2; 360,
n. 1; [Girard, Hist, du droit rom., Paris Aix, 1841, pagg. 180 e
segg.; OzANAM, Il paganesimo e il cristianesimo nel quinto secolo, trad.
Car- raresi, Firenze, 1857, 1, pagg. 163 e segg.; Voigt, Aeìius und
Sabinus- sijst , pagg.' 19 e segg.; Ianet, Hist. de la science polit., 2
ed., Paris, 1872, I, pag. 281 ; Sumner Maine, Ancien droit, .trad. frane
, Paris, 1874, cap. 3 pagg. 51-5, 64, cap. 4, pagg. 70 e sogg. ; Conti,
Storia della fdosofia^ Firenze, 1876, I, pagg. 401 e segg. ; Renan,
Marc Aurèle, 2 ed., Paris, 1882, pagg. 22-3 ; Gregorovius, Der
Kaiser Hadrian, 2 Aufl., Stuttgart, 1884, pagg. 296 e segg.; Hofmann,
Der Verfall der rom. Rechtswiss., nei Krit. stud. im róm. Bechte,
Wien, 1885, pag. 9; Ferrini, Storia delle fonti del dir. rom., Milano,
1885, pagg. 30-1, 100-1 ; Id., note al Gluck, trad. italiana, voi. I,
pagg. 64-5. ; Krììgeii, Gesch. der Quell. u. Litteratur des rom.
Rechts, Leipzig, 1888, pagg. 45 e segg., 127 e segg.; Carle, La vita del
di- ritto, 2 ed., Torino, 1890, pagg. 153 e segg.]. (2)
Padelletti^ Roma nella storta del diritto, neir Arch. gim\, XII, nota 2
pagg. 210 e segg. (3) Per la storia della filosofia in Roma, e per
ciò che riguarda in ispecie le sue attinenze al diritto, cfr.
principalmente: Hildenbrand, op. cit. I, pagg. 523 e segg.
(4) Cfr. sulla filosofia di Cicerone: Ritter, Hist. de la philos,
trad. frane. Tissot, IV, pagg. 121 e segg.; Hildenbrand, op. cit., I,
pagg. 537 e segg., Branbis, Gesch. der Entiv. der griech. Philos, Berlin,
1862-4, II, pagg. 249 e segg ; Boissusr, La relig. romaine d* Auguste aux
Antonins, Paris, 1878, I, pagg. 4 e segg. (5) BoissiER, op. cit.,
I, pagg. 14 e segg. (6) Leggenda, alla quale porsero principale
argomento i punti di contatto che le dottrine di Seneca presentano con
quelle cristiane, in, ispecie Ruir immortalità dell' anima, sulla
provvidenza, e sui doveri di 3^) NOTE carità
(punti toccati con molta diligenza da Fleury, S. Paul et Se- nèque,
Paris, 1853). Altro argomento estrinseco è la simpatia che mo- strano per
Seneca i Padri della chiesa: Seiuca noster: Tertull., De ,an,, 20;
Hieron., De vir. ili, 12; Io., Adv. lovin., 1,49; Lxct. , Inst. div.y IV,
24. E S. Agostino nota che Seneca non nominò forse i cri- stiani per non
lodarli « cantra suae patriae veterem consuetudine tn », né riprenderli «
cantra propriam forsan volunlatem »: Auc, De civ. dei, VI, 11. Il tèrzo
argomento dell' amicizia di Seneca con S. Paolo si fondava sopra una
grossolana falsificazione delle Kpistolae Senecae ad Paullum.
Ricca è la letteratura riguardante questo argomento, che ha
un'importanza assai notevole pel tema che tocca direttamente dei rap-
porti della morale stoica colla cristiana. Cfr. principalmente, oltre
Topera or accennata del Fleury: Boissier, op. cit., II, pagg. 46 e segg.,
e nella Revue des deux mondes, XCII (1871) pagg. 40-71; Aubkrtjn,
Senèque et Si. Paul^ Paris, 1869; Bau», Seneca ti, Paulus: das VerMltn.
des Stoiciwius zum Ghriat. n. den Schrift. Senecas, neWHe't- delherg.
Zeitschr. f. iviss. Theol, I, 1858 p. 161-246; 441-70; e Abh. zur
(reseli, d. alt. PhiL, heratisg. v. Zeller, Leipzig, 1876, pagg. 377-480;
'Westerburg, Der Ursprung der Saga das Seneca^ christì. gewes. sei,
Berlin 1881. Tutto il contrario si sostenne dall'EcKHARD in un curioso
opuscolo, di cui basta riportare il titolo perchè se ne com- prenda lo
scopo: Obserc. sistens L. A, Senecam in relig. Christian, iniuriosum,
mella Misceli. Lipsiens., Lipsiae, 1706-22, IX, p. 90-107. (7)
GuEGOROvius, op. cit j pagg. 315-7; Renan, op. cit., pag. 35. (8) I
rapporti che verrò enumerando furono notati, quali dall'uno quali
dall'altro degli scrittori che s'occuparono del nostro tema: quali in uno
quali in altro senso. Io non ho creduto di dover per ciascuno di essi
avvertire da chi fu notato, da chi omesso. Saiebbe inutile pel lettore,
al quale ciò che preme sopratutto si è di aver qui, come in un quadro, il
risultato complessivo delle questioni: quadro eh' io mi studiai di
delineare colla maggior cura e fedeltà che mi fu possibile. (9)
Otto a Boekelen, op. cit., pagg. 24 e segg. Contrariamente Eckhard, op.
cit.,; Merillio, obs. I, 27 pag. 260. (10) Brini, Delle due sette
dei giureconsulti romani^ Bologna, 1890, pag. 19. (11)
Malquytius, op. cit.y pagg. 54-5; Gibbon, Hist. de la dee. de Temp. rom.,
I, pagg. 128-31; Eckhard, op, cit., pag. 245; Laperrière, op. cit, pagg.
606-7; Renan, op. cit., pag. 605; Wjllelms, Droit pubi, rom., 5 ed.,
Paris, 1884, pag. 136. (12) Pernice, M. A. Labeo, Halle, 1873-8, I,
pagg. 113 e segg. Cfr. anche Padelletti noWArch. giur., XIF, pag.
213. (13) PucHTA, Inst. l
212, II, pag. 83. (14) Lafehiuère, op. cit.t pagg. 613 e
segg. (15) Cfr. SciALOJA, nel Bull. deìVist. di dir. rom., 1890,
III, pagg. 176-7; BoNFANTE, L'origine deìVìiereditas e dei legati nel
dir. sìACcess. romano, Del cit. Bullettino, IV, 1891, pagg. 97-144.
(16) Lafeuuièue, op. city pagg. 621-8. (17) Il Trevisani, op.
cit., nella Gazz. dei 2'rib., VI, 821 e segg. sostiene che i romani
ebbero ognora in gran sfavore il soicidio. Ri- corda che costituiva vizio
redibitorio per lo schiavo il suo tentativo di suicidio, anteriore alla
vendita; ma davvero non occorre osservare come ciò sia spiegato
chiaramente dalla considerazione economica verso il padrone (fr. 1 l 1,
fr. 23 l 3 D. 21,1). E il. tentativo di suicidio punito per rescr. di
Adriano nel soldato, non è spiegato ab- bastanza da considerazioni di
ordine pubblico e dalle necessità della disciplina militare? Cfr. in
questo senso: Ferii ini, Dir. pen. rom., nel 'Tratt. teor. prat. del
Cogliolo, I, 18f^8, pagg. 28-9. (18) Ferrini, Teoria dei leg. e
fedecomm,, Milano, 1889, p. 346-9. T:oiT(xioLi yi] T:XaYYjvat
TrpoxaXijaiTO. Cfr. Keller, Die philos. der Griechen in ihr.
geschichll. En- tivicklung, 4 Aufl., Leipzig, 1876-9, I, pag. 503.
(20) Ravaisson, Mem. sur le stoicisme, nelle Meni, des inst. imper.
de France ; Acad. des inscr. et beli, lettr.^ XXI, 1857, pag. 29 ; GorpERT,
Ueber einheitl. zusammeìvgesetz. u. gesammt. Sachen, Halle, 1871, pagg.
7-13. (21) Fu oggetto di dispute gravi il fr. 30 §. 1 D. 41,3:
Pomp., 30 ad Sab.: Labeo lìbris epistularuui ait si is, cui ad tegularum
vel columnarum usucapionem decem dies superessent, in aedifìcium
eas coniecisset, nihilo minus cum usucapturum, si aedifìcium
possedisset. quid ergo in bis quae non quidem implicantur rebus soli, sed
mobilia permanent, ut in anulo gemma? in quo veruni est et aurum et
gem- mam possideri et usucapì, cum utrumque maneat integrum.
In esso alcuni scrittori ravvisarono un' eccezione utilitatis causa
alla regola generale formulata nei testi succitati, per la quale ecce-
zione si ammetterebbe il proseguimento deirusucapione delle tegole e
delle colonne, anche pel tempo in cui perdono la loro individua na- tura,
coir entrare a far parte della res connexa^ edifizio. Così Wind- scheid,
Pand , 6 Aufl., Pampaloni, La legge delle XII Tav. de tigno iunclo,
Bologna, 1883, estr. dair^rc^. giur., Altri, invece, si sforzò di
ricercarvi lo stesso senso dei testi citati^ col dare al nihilominus il
sifirnifìcato di non. Così Kjeiiulf, Civilr., pagg. 276 e segg ;
Uxterholzxkii. Verjà'hrungfilehre hearh. v, Schirmer, I, 153 »ì segg.;
SINTE^'Is, uell' Arcìi, f. civiì, Prax., XX, pagg. 75 e segg., e System,
I, pagg. 449-52. Altri ancora cercò in vario modo di togliere al
testo valore sre- nerale, limitandone la i)ortata alla specialità in esso
contemplata. E però, intese che vi si trattasse di tegole e di colonne
non incorporato ' solidamente alFedifìzio: (Savigny, Besitz, pag. 269;
Randa, Besitz, pag. 429); che la regola formulata nel testo valesse
soltanto pel caso in cui l'incorporazione delle tegole e delle colonne
nell'edifizio avvenisse quando questo già era compiuto, quando cioè, per
tal modo, Teventual^ distacco di esse non urta contro la ratio della
legge de tigno iuncta « ne urbe ruinis deformetur » (Scheurl, Ziir Lelire
vom rum. B'e^ sitZf §. 23); oppure valesse solo trattandosi di mobili incorporati
al- Tedifizio, ma non parti essenziali di questo ( Ruggieri, Il
possesso). Sempre in questa tendenza di limitare il valore del testo,
negando ad esso portata generale, altri scrittori intesero restrittiva-
mente il termine dei decem dies, in esso formulato, in applicazione della
massima romana di non tener conto dei minima ( Thibaut nel- YArch, f.
civ. Prax., VII, pagg. 79 e segg.; Puchta, KÌ, civ. Schrift.Pape, Zeitschr. f.
CiviJr. ii, Proc. N. F. XIV, p. 211); spiegarono la sentenza del testo
colla impossibilità dell' ir- surpatio dei materiali nei 10 giorni
mancanti, per la ragione chf , oc- correndo un termine di almeno 10
giorni dalla editio actionis per giungere alla litis contestatio^ se si
agiva qando mancavano 10 soli giorni ad usucapire, la ì'ei vindicatio non
serviva a rendere innocua r usucapione ( Savigny, Besitz, Eisele, lahrh.
/I Bogrn., N. F. o finalmente
intesero che nel testo fosse contemplato il solo caso di unione delle
tegole e delle co- lonne ad un edificio incompiuto e che la legge de
tigno iuncto non impedisse di staccamele, per essere 1' unione recente di
10 giorni (Meischeider, Besitz u. Besilzschntz,Codeste varie
interpretazioni e spiegazioni sono riassunte dal WiNDSCHEiD, c, più
complctamento, dal Pe rozzi, Sui possesso di parti di cosa^ negli Studi
giur. e stor.per VVIII cenfen. delV Università di Bologna, Roma., il
qualo confuta ciascuna di esse, per giungere alla conclusione che le
tegole e le colonne incorporate all'edifizio sì posseggono e s'usucapiscono
non perse, a parte, ma solo in conseguenza del possesso e
dell'usucapione dell'intero, a differenza della gemma e dell' anello che
si posseggono e s'usucapiscono per se. Hering; Eckhaud, La-
rERiuÈRE; Moriani; Cfr. Trevisani, nella Gazz. dei trib., Laperrière; DiRKSEN, Ueheì' CICERONE s unlergegangene
Schri/t: De iure civili in arte redigendo, nelle philol. u. Philos.
Ahhandl. der k. Aka- demie der Wissensch. zu Berlin, Hjljen- BRAND,
Voigt, Aelivs und Sa- hinussìjst.., Si connette a questa influenza
formale d' ordine generale la ri- cerca delle etimologie, comune ai
giuristi, segnatamente dopo Labeone. Qui Timitazione degli stoici fu
riconosciuta quasi da tutti che ebbero ad occuparsi del nostro tema. Cfr.
da ultimo Lersch, Die Sprach- philosoph, der Alien. Senonchè, nonostante
gli sforzi di un accurato lavoro (CECI, Le etimologie dei' giureconsulti
romani, Torino ) persisto nel credere che sull’indole e sul valore
delle ricerche etimologiche dei giuristi rimanga saldo tuttavia il
giudizio severo ch’ha a formularne Pernice, M. A. Laheo, Si veggano i
testi raccolti ed elaborati, non occorre dire con quale diligenza- e
acutezza, dal Voigt, Ius. natur, MoRiANi; Ratio derivazione dall'indiano rita e
ratum, ordinamento dell'universo e della natura terrestre, comprese le
cose umane. Così Leist, Civ. Stad., Katuralis ratio und Natur der Saclie;
Civ. Stud, Gracco ital. Rechtsgesch., Iena, SuMNER Maine, Ancien droit, Etudes
sur Vane, droit; HiLDENBRAND, Cfr. da ultimo l'acuta ricostruzione del Brini,
Ius naturale, Bologna. La condizione patrimoniale del coniage
superstite nel diritto romano classico, Bologna, Fava e Garagnani; Il
diritto privato romano nelle comedie di Plauto, Torino, Fratelli Bocca; Le
azioni exercitoria e institoria nel diritto romano, Parma, Battei. Guido
Ceronetti. Keywords: la lanterna, la lantern di Diogene, poesia latina, Catullo,
Marziale, Orazio, Giovenale, il filosofo ignoto, la pazienza del … --. Aforismi.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceronetti” – The Swimming-Pool Library.
Ceronetti.
Grice e Cerroni: l’implicatura
conversazionale hegeliana -- Gaus e il sistema di diritto romano -- i hegeliani
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Lodi). Filosofo
italiano. Grice: “I like Cerroni; he is very Italian: what other philosopher –
surely not at Oxford – would philosoophise on the precocity of Italian
identity? But his more general philosophical explorations may interest the
Oxonian who is not into “Italian studies”! – My favourites are his “Logic and
Society,” which reminds me of my “Logic and Conversation.” Then he has a
‘dialectiics of feelings,’ which is what all my philosophy of communication is
about; he has also philosophised on anti-contractualist philosophers like
Benjamin Constant --!” Studia a Roma con Albertelli e si laurea in Filosofia
del diritto. Ottenne la libera docenza in Filosofia del diritto e
l'incarico di Storia delle dottrine economiche e di Storia delle dottrine
politiche all'Lecce. Divenne professore di ruolo di Filosofia della
politica e ha insegnato a Salerno e all'Istituto Universitario Orientale di
Napoli. Ha insegnato per piùdi venti anni Scienza della politica nella Facoltà
di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma. Sempre
all'Università "La Sapienza" di Roma, era stato nominato professore
emerito. Macerata gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze
politiche. Altre opere: “Problemi attuali di storia dell'agricoltura
dell'U.R.S.S.” (Milano: Ed. Centro Per La Storia Del Movimento Contadino); “Il
sistema elettorale sovietico” (Roma: Tip. dell'Orso); “Legge sull'ordinamento
giudiziario dell'U.R.S.S.” (Roma: Ed. Associazione Italia-U.R.S.S, sezione
giuridica (Tip. Sagra, Soc. arti grafiche riproduzioni artistiche) Recenti
studi sovietici su problemi di teoria del diritto” Bologna); Sul carattere dei
movimenti contadini in Russia” (Milano: Movimento Operaio); Studi sovietici di
diritto Internazionale: A cura della sezione giuridica della associazione
Italia-urss. [presentazione di Umberto Cerroni, Roma: Tip. Martore e Rotolo); La
dottrina sovietica e il nuovo codice penale dell'URSS, C., .S.l. (Bologna:
STEB); Poeti sovietici d'oggi, Roma: Tip. Studio Tipografico, Per lo sviluppo
degli studi storici sulla Russia, Bologna: STEB); Diritto ed economia:
rilevanza del concetto marxiano di lavoro per una teoria positiva del diritto,
C. Milano: Giuffrè); Idealismo e statalismo nella moderna filosofia tedesca,
Milano: Giuffrè; Individuo e persona nella democrazia, C. Milano: Giuffrè); “Il
problema politico nello Stato moderno, C., .Milano: Giuffrè; Diritto e
sociologia, C., Kelsen e Marx, C. Milano:
Giuffrè); L'etica dei solitari; C., Milano: Giuffrè); Lenin e il problema della
democrazia moderna: saggi e studi (Roma: NAVA) Parlamento e società; C. Edizioni
giuridiche del lavoro); La prospettiva del comunismo, Marx, Engels, Lenin Roma:
Editori Riuniti); Ritorno di Jhering: Edizioni giuridiche del lavoro, (Città di
Castello: Unione arti grafiche) Sulla storicità della distinzione tra diritto
privato e diritto pubblico Milano: Giuffrè); La critica di Marx alla filosofia
hegeliana del diritto pubblico; C., .Milano: Giuffrè); La filosofia politica di
Gentile; C. (Novara: Tip. Stella Alpina) La nuova codificazione penale sovietica
/ Umberto Cerroni. Edizioni giuridiche del lavoro); Concezione normativa e
concezione sociologica del diritto moderno / Umberto Cerroni.S.l.: Edizioni
giuridiche del lavoro); Diritto e rapporto economico / Umberto Cerroni.Milano:
Giuffrè); Kant e la fondazione della categoria giuridica, C. .Milano: Giuffrè);
Marx e il diritto moderno, C., Roma: Editori Riuniti); Teorie sovietiche del
diritto / Stucka...(et al.); C. .Milano: Giuffrè); Saggi / Benjamin Constant;
introduzione di C., Roma: Samonà e Savelli); Il diritto e la storia, C.. Le
origini del socialismo in Russia / C..Roma: Editori Riuniti); Il pensiero
politico dalle origini ai nostri giorni / C..Roma: Editori Riuniti, Un ouvrage recent sur Marx et le droit:
Umberto Cerroni, Marx e il diritto moderno, Rome, par Michel Villey.[Paris]:
Sirey); Che cos'è la proprietà?, o, Ricerche sul principio del diritto e del governo:
prima memoria, Pierre-Proudhon; prefazione, cronologia, C., Bari: Laterza); Considerazioni
sullo stato delle scienze sociali: relazioni sugli aspetti generali, C., .[Milano:
Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, (Milano: Tipografia Ferrari) La funzione
rivoluzionaria del diritto e dello stato” (Torino: Einaudi); Il pensiero
politico dalle origini ai nostri giorni” (Roma, Editori Riuniti); La
rivoluzione giacobina / Maximilien Robespierre; C., Roma: Editori Riuniti); Discorso
sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau” (Bari: Laterza); La libertà
dei moderni” (Bari: De Donato); Metodologia e scienza sociale” (Lecce:
Milella); Problemi della legalità socialista nelle recenti discussioni
sovietiche, C. .Milano: A. Giuffrè); “Sulla natura della politica: utopia e
compromesso” (Milano: Giuffrè); Considerazioni sullo stato delle scienze
sociali”; Il metodo dell'analisi sociale di Lenin” (Bari: Adriatica); Il
pensiero giuridico sovietico” (Roma: Editori Riuniti); La questione ebraica” (Roma: Editori Riuniti);
La società industriale e la condizione dell'uomo” (Lecce: ITES); “Sul metodo
delle scienze sociali: una risposta” (Milano: Giuffrè); Principi di politica, Constant;
Roma: Editori Riuniti); Strade per la libertà” (Roma: Newton Compton); Tecnica
e libertà: conferenza tenuta al Lions club di Bari (Padova: Grafiche Erredici)
Tecnica e libertà / C., Bari: De Donato); Lavoro salariato e capitale / Appunti
sul salario e appendice di F. Engels; Introduzione, cura e note filologiche di C.,
Roma: Newton Compton italiana, La societa industriale e le trasformazioni della
famiglia, C., Milano: Giuffrè); Salario, prezzo e profitto / Marx; introduzione
di C., Roma: Newton Compton); Stato e rivoluzione / Vladimir I. Lenin;
introduzione di C. Roma: Newton Compton italiana); Teoria della crisi sociale
in Marx: Una reinterpretazione, C., Bari: De Donato); Strade per la libertà /
Russell; introduzione di C., Roma: Newton compton italiana); Discorso
sull'economia politica e frammenti politici / Rousseau; traduzione di Celestino
E. Spada; prefazione di C., Bari: Laterza); Caratteristiche del romanticismo
economico / V. I. Lenin; prefazione di C., Roma: Editori Riuniti); Kant e la
fondazione della categoria giuridica / C., .Milano: Giuffrè); La libertà dei
moderni, C., Bari: De Donato); Marx e il diritto moderno / C., .Roma: Editori
Riuniti); Il pensiero di Marx / Antologia C., con la collaborazione di Oreste
Massari e Anna Maria Nassisi.Roma: Editori Riuniti); Il pensiero politico dalle
origini ai nostri giorni / C. Roma: Editori Riuniti); Saggio sui privilegi: che
cosa e il Terzo stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes; introduzione di C., Roma:
Editori Riuniti); Lo sviluppo del capitalismo in Russia; Lenin; introduzione di
C..Roma: Editori Riuniti); In memoria del manifesto dei comunisti, Labriola;
Manifesto del partito comunista / Marx-Engels; introduzione di C., Roma: Newton
Compton); La libertà dei moderni / Umberto Cerroni.2. ed.Bari: De Donato); Teoria
politica e socialismo; Roma); Il pensiero di Marx / antologia C., ; con la
collaborazione di Oreste e Anna Maria Nassisi. 2. ed.Roma: Editori Riuniti); Teoria
della crisi sociale in Marx: una reinterpretazione (Bari: De Donato); Teoria politica
e socialismo” (Roma: Ed.Riuniti); Lavoro salariato e capitale / Marx; con
appunti sul salario e appendice di F. Engels; introduzione, cura e note
filologiche di C., Roma: Newton Compton); Marx e il diritto moderno / C., .Roma:
Editori Riuniti); Il marxismo e l'analisi del presente / C., Politica ed
economia); Societa civile e stato politico in Hegel” (Bari: De Donato); Salario,
prezzo e profitto” (Marx” (Roma: Newton Compton italiana); Il lavoro di un anno:
almanacco, C., .Bari: De Donato); Il pensiero di Marx / Marx; Roma: Editori
Riuniti); Il pensiero politico: dalle origini ai nostri giorni” (Roma: Editori
Riuniti); Il rapporto uomo-donna nella civiltà borghese, ed.Roma: Ed. Riuniti);
Scienza e potere / scritti di C... <et al.>.Milano: Feltrinelli); Stato e
rivoluzione / Vladimir I. Lenin” (Roma: Newton Compton); Lo sviluppo del capitalismo
in Russia” (Roma: Editori Riuniti); La teoria generale del diritto e il
marxismo / Pasukanis; con un saggio introduttivo di C., Bari: De Donato); Introduzione
alla scienza sociale, Roma: Editori Riuniti); Lavoro salariato e capitale /
Marx; con appunti sul salario e appendice di F. Engels; introduzione, cura e
note filologiche di C. .Roma: Newton Compton, Materialismo storico e scienza C.
Lecce: Milella); Il rapporto uomo-donna nella civilta borghese, C., Roma:
Editori Riuniti, Salario, prezzo e profitto / Karl Marx; introduzione di C., Roma:
Newton Compton); Sulla storicità dell'eros: note metodologiche / Umberto
Cerroni, Annarita Buttafuoco); Crisi ideale e transizione al socialismo /
Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti); Scritti economici, Lenin; C., .Roma: Editori Riuniti); Stato e
rivoluzione, Lenin; introduzione di C., Roma: Newton Compton); Carte della
crisi: taccuino politico-filosofico, C., Roma: Editori Riuniti, Crisi del
marxismo? C., intervista di Roberto Romani.Roma: Editori Riuniti); Critica al
programma di Gotha e testi sulla tradizione democratica al socialismo, Marx; C.
.Roma: Editori Riuniti, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione
democratica / V. I. Lenin; Umberto Cerroni.Roma: Editori Riuniti, In memoria
del manifesto / Antonio Labriola; introduzione di Umberto Cerroni.2. ed.Roma:
Newton Compton Editori); Che cos'è la proprietà?: o ricerche sul principio del
diritto e del governo: prima memoria, Proudhon; prefazione, cronologia,
biografia Umberto Cerroni. 3. ed.Roma; Bari: Laterza, Lavoro salariato e
capitale / Karl Marx; con appunti sul salario e appendice di F. Engels;
introduzione... di C. Roma: Newton Compton); Lessico gramsciano / Umberto Cerroni.Roma:
Editori Riuniti); La prospettiva del comunismo, Marx, Engels, Lenin; C., Roma:
Editori riuniti); La questione ebraica e altri scritti giovanili / Marx;
introduzione di C., Roma: Editori riuniti); Saggio sui privilegi: che cosa e il
terzo stato? Sieyes; introduzione di C.,: traduzione di Roberto Giannotti.Roma:
Editori Riuniti, Strade per la liberta, Bertrand Russell; introduzione di C. traduzione
di Pietro Stampa.Roma: Newton Compton); Teoria del partito politico (Roma: Editori
Riuniti, I giovani e il socialismo, Marx, Engels, Lenin, GRAMSCI; C., Roma:
Editori Riuniti); Introduzione alla scienza sociale, Roma; Storia del marxismo
/ Predrag Vranicki; introduzione di C., Roma: Editori Riuniti, Quasi una
vita... e anche meno, poesie di Italo Evangelisti; prefazione di C.” (Milano;
Roma); “Che cosa fanno oggi i filosofi? Milano); “Logica e società: pensare
dopo Marx” (Milano: Bompiani, La democrazia come problema della società di
massa; Principi di politica” (Roma: Editori Riuniti); “Critica della filosofia
hegeliana del diritto pubblico” (Roma: Editori Riuniti); Il pensiero di Marx:
antologia, con la collaborazione di Massari e Nassisi, Roma: Editori Riuniti, Scritti
economici” (Roma: Editori Riuniti); Teoria della società di massa” (Roma:
Editori Riuniti); La rivoluzione giacobina” (Roma: Editori riuniti, Politica:
metodo, teorie, processi, soggetti, istituzioni e categorie, C., Roma: NIS); La
politica post-classica: studi sulle teorie contemporanee” (Taviano: Lit.
Graphosette) Urss e Cina: le riforme economiche” Centro studi paesi socialisti
della Fondazione Gramsci. Milano: F. Angeli, stampa, Che cosa è il terzo stato
con il Saggio sui privilege” (Roma: Editori Riuniti, Democrazia e riforma della
politica: Lo Statuto del nuovo PCI, C., Roma: Partito Comunista Italiano, Regole
e valori nella democrazia: stato di diritto, stato sociale, stato di cultura” Roma:
Ed. Riuniti, La cultura della democrazia, C., Chieti: Metis, Che cosa e il
Terzo Stato? / Emmanuel-Joseph Sieyes; C., Roma: Editori Riuniti, La
rivoluzione giacobina / Robespierre; C.; traduzione di Fabrizio Fabbrini; apparati
biobibliografici di Grazia Farina.Pordenone: Studio Tesi, Manifesto del partito
comunista / Karl Marx, Friedrich Engels; nella traduzione di Antonio Labriola;
seguito da In memoria del manifesto dei comunisti di Antonio Labriola;
introduzione di C., Roma: TEN, Nazione/regione: i contributi regionali alla
costruzione dell'identità nazionale / Battistini, C.,Prospero.Cesena: Il ponte
vecchio, L'ambiente fra cultura tecnica e cultura umanistica: seminario
svoltosi presso l'ANPA Umberto Cerroni; A. Albanesi, M. Maggi e L. Sisti.Roma:
Anpa, [Novecento: almanacco del ventesimo secolo, Cesena: Il ponte vecchio, Il
pensiero politico italiano, C. .Roma: Newton Compton, Il pensiero politico del
Novecento, C., Roma: Tascabili economici Newton); “Le regole del metodo
sociologico” (Roma: Editori Riuniti,Regole e valori nella democrazia: Stato di
diritto, Stato sociale, Stato di cultura / C. Roma: Editori Riuniti, L'identità
civile degli italiani, C., .Lecce: Manni, L'ulivo al governo: come cambia
l'Italia / interventi di U. Cerroni; Paola Piciacchia.Roma: Philos, stampa Politica
/ C. .Roma: Seam, Confronto italiano: atti degli incontri di Cetona, Bechelloni,
C., Firenze: Ed. Regione Toscana, stampa (Firenze: Centro Stampa Giunta
regionale); “L'identità civile degli italiani” (Lecce: Manni, Lo Stato
democratico di diritto: modernità e politica, C. Roma: Philos, stampa, Habeas
mentem: Scuola e vita civile, C., Rionero in Vulture (Pz): Calice, Conoscenza e
societa complessa: per una teoria generale del sensibile” (Roma: Philos, Ricordo
di Marisa De Luca Cerroni / scritti di C. et al.Lecce, stampa Confronto
italiano: atti degli incontri di Cetona, Giovanni Bechelloni (Firenze: Ed.
Regione Toscana, stampa (Centro Stampa
Giunta Regionale) Taccuino politico-filosofico C. .Roma: Philos, Precocità e
ritardo nell'identità italiana, Roma, Precocità e ritardo nell'identità
italiana, Roma: Meltemi, Taccuino politico-filosofico, C. Lecce: Manni, Le
radici culturali dell'Europa, C., Lecce:Manni,
Radici della civiltà europea, Lecce: Manni,Globalizzazione e democrazia, Lecce:
Manni, Taccuino politico-filosofico, Lecce, Taccuino politico-filosofico C., San
Cesario di Lecce: Manni, L'eretico della sinistra: Bruno Rizzi elitista
democratico” (Milano: F. Angeli, Taccuino
politico-filosofico, Lecce; La scienza e una curiosita: scritti in onore di C./
Perrotta; con la collaborazione di Greco” (San Cesario di Lecce: Manni, Manifesto
del partito comunista, Marx, Engels;
nella traduzione di LABRIOLA; seguito da In memoria del Manifesto dei comunisti
di Labriola” (Roma: Newton & Compton, Dialettica dei sentimenti: dialoghi
di psicosociologia, C., , ARinaldi.San Cesario di Lecce: Manni, [Taccuino
politico-filosofico, C. [San Cesario di Lecce]: Manni, Ricordi e riflessioni:
un dialogo con Vagaggini, C., Montepulciano: Le Balze. Le fonti del dritto romao. r
'SeUieae il dritto ocHisiderato astrattamente abbia uoa brigioe ed nn
priocipio onìoo ed assolato, pure quando sf attna come dritto d’un’epoca
e d'un popolo, perchè dipende da tante le condizioni storiche dell'uno e dell'altra,
emana per organii diversi, e prende forme e manifestazioni varie e
conformi allo spirito di esse. Per questo intimo rapporto fra la vita
intima d'un popolo ed il dritto POSITIVO di esso, fra questo e gl’organi esterni
onde si manifesta, i più ingegnosi ed intelligrati che si fecero a trattare del
DRITTO ROMANO, crederono essenziale investigarne avanti tutto le
fonti e gl’organi, per ì quali ebbe vita e realtà. Una
tale investigazione non riesce difficile quantunque volte vi abbia
unità di poteri, o sieno questi armonicamente distinti, sicché la storia
di essi succedendosi pacatamente ed uniformemente è facile intraviNlere l’origine ed
il principio di ciascuna legge. Ma nella storia romana in cui la moltiplicità e
la lotta dei partiti, il tumulto, che non si scompagna da una VITA
AGITATA E GUERRIERA, ed i cambiamenti rapidi e violenti, onde si
avvicenda la storia di Roma, rendono oltromodo difficilè e malagevole lo studio
della genesi e el processo d’ogni fatto storico in generale e di quelli
del dritto in particolare. Per questo saggio però non vi ha difetto
di materiali né di testimonianze storiche. Quando al tumulto dell’esistenza
pubblica tenne dietro il silenzio e la quiete della vita privata, quella
stessa forza che fa il sublime degl’eroi romani, e rese invincibili le
schiere dello repubblica, detta le sentenze dei più grandi giureconsulti che
ricordi la storia. E questi non lasciano nulla a desiderare di
testimonianze e prnove storiche nella ricerca delle fonti del dritto romano.
È ormai indubitato , in che A\i-
§. 0. r. l r. ì. 7. fi. dt jmt. H}ì0^V. i.) CICERONE Té. M
CAJO ferissero il JVS GENTIVM dal JVS CIVILE quale impcnrtanza ed es0i:essìone
avesse il DRITTO PRETORIO nella storia
del dritto romano, quale processo tenevasi nelle determinazioni popolari,
da qual momento ha FORZA LEGISLATIVA. Ciascuno di questi fatti è si
intimamente incarnato nella storia di Roma, che ne forma im eie-,
mento, ed accenna ad uno dei periodi di essa. Non havvi però la medesima
certezza sull’importante questione dà qual tempo i senatoconsulti ebbero forza
legislativa e le opinioni dei moderni sono diverse, come pure discordanti
sono a tal proposito le testimonianze degl’antichi scrittori; giacché alcuni
ritengono per indubitato che i senato-consulti non hanno forza
legislativa prima del tempo di TIBERIO, abbisognandovi avanti tutto che sono
confermati nei comizii perchè valeno come altrettante leggi; mentre
altri sostengono l'opinione contraria, ed avvisano che I SENATO-CONSULTI
SONO UNA FONTE DI DRITTO ANCHE AL TEMPO DELLA REPUBBLICA, giacché molto prima
di Tiberio occorrono senato-consulti sulle materie di dritto privato, e
particolarmente il [Sileniarmm. È necessario avanti tutto far considerazione ,
che in una tale questione importa moltissimo il distinguere quello che
intendesi investigare, se i Senatoconsulti cioè sie no stati semplice fonte del
dritto al tempo della repubblica o abbiano avuto anche FORZA DI LEGGE. Di
quanta importanza sia una tale distinzione basta a provarlo il diritto
pretorio. A tutti è noto qual parte essenziale questo rappresenti nella
storia del dritto Romano co- pica
y cap. 5. -^ TheopkUtis , ad U e. L />• de m^. juris Hugo , SU^ia id driUo ,
Bach. , Histar. jurù Dion. D'JUcamis. Polibio , lib. Vf. p. &62.
— Tacili, Ajffr^ i. 15. um primum e campo comi- Ita ad paires tramlata
sunt ». Dian. Canio, CICERONE, TOPICA, e. 5« « VI SI QVIS IVS CIVILE DICAT ID
ESSE Vi quod in kgibìés ,
senatuicmiultis rebtis judìcaiis , jurisperitorwn auctoritate , ediclis
magistralum eie. consistat. — Theophilus, ad I. Pomponius^ l % § 9. de
origin. jum.Oratiu$ , Ep, ì. i6. WLIA SCOYBftTA sprima
relemmU) umanitario in opposiziose dell’elemento civile romano, sia l' anellp,
per il quale il dritto romano si connette con quello dell’umanità,
di'esso in fine pone le basi del dritto posteriore Romano; e pure non ebbe per
se stesso ed immediatamente FORZA DI LEGGE. Sicché quando si dimanda se i senato-consulti
sono una fonte del dritto al tempo della repubblica non si può affermare il
contrario. La loro ezistenza istessa e l’importanza del Senato ne fa
nuova. Ma da qual tempo ha forza legislativa? Non vi ha alcuna legge che
riconosca loro un tale carattere , mentre per contrario ne’ plebisciti è
detto: ET ITA FACTVM EST, ut inter PLEBISCITA ET LEGEM species
constituendi interessent, potestas autem eadem e^/ i ; e certamente non
sarebbesi mancato di affermare il medesimo dei senato-consulti, quando ciò
fosse stato. Un tal cambiamento dove avvenire nei tempi posteriori alla
republica, quando più difficili e rari addivennero i comizii che confermavano
le determinazioni del Senato a quia difficile PLEBS CONVENIRE coepitj POPVLVS
certo multo diffìcilius in tanta turba homimm necessitas ipsa curam reipublica
ad Senatum dedimit. Questa opinione è conferorota dalle seguenti parole
di GAIO Comm. Senatusconsultum est quod Senatus jubet atque consisterit
idque LEGIS VICEM obtinet quamvis fuit quaesitum. E perchè le ultime
parole “quamvis fuit quaesitum” non accennano alla lotta dei partiti ma alle
diverse opinioni delle due scuole dei Sabiniani e dei Proculejani, ne
segue, che anche al tempo di queste LA CONSUETUDINE per la quale IN DIFETTO DI
LEGGE espressa i senatoconsulti prendevano FORZA LEGISLATIVA, non è
ancora addivenuta un fatto certo ed indubitato. Sul/t/^ hanorarium e
particolarmente l’antica questione, se Y Edictum perpetunm costituisse sotto ADRIANO
un CODICE, che è coi precedenti Editti Preterii nel medesimo rapporto che le
Pandette cogli scritti dei giuristi, o pure fosse un semplice lavoro
privato M CkJO^ i 5 BB&wiiìb dall' Imperadore senza ehe
arrestasse il movimento della legislazione Pretoria, sembra decisa a favore di
quest’ultima opinione colle parole. Jus mttem edicendi habent magistratus popvM
Mo^ mani '^-^ Qu(wst<^res non mittuntur: id Edicium m pt'omnciis
non proponitur. Le nostre conoscenze per contrario non si avvantaggiano in
menomo modo ooUa scoverta delle Istituzioni di Gaio sulle quistioni, che
riguardano i responsi prui dentum , la distinzione del jus scriptum e non
scriptum che ritenevasi communemente di origine greca senza che un tal difetto
fosse un gran aniio giacché le notizie e le conoscenze che ci vennero a
tal proposito per altri scrittori, sodisfano abbastanza ai bisogni della
scienza. Umberto Cerroni. Keywords: Hegel and Roman law -- i hegeliani, categoria
giuridica, Trasimacco, Kelsen, Eduardo Gaus, Hegel, sistema di diritto romano. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cerroni” – The Swimming-Pool Library. Cerroni.
Grice e Certani: l’implicatura
conversazionale del sacrificio – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Bologna).
Filosofo italiano. Grice: “I like Certani – but then in Italy they learn Hebrew
at school, whereas we at Clifton separated Montefiore from the rest!” Grice:
“Certani philosophised, like Kierkegaard later will, on ‘L’Abraamo,’ Insegna a
Bologna. Opere: “Conclusioni di filosofia” e di teologia. Insegna a Cesena, Brescia,
Milano e Bologna. Si laurea a Bologna. Altre opere: “Abramo: Caino ed Abele”
(Venezia); “Francesco Saverio” (Bologna, Ferrosi); “La verità vendicata; cioè
Bologna difesa dalle calunnie di Francesco Guicciardini. Osservazioni Istoriche
dell'Abate Giacomo Certani Canonico Dott. Teologo Colleg. Filosofo, e
nell'Bologna pubblico Professore di Filosofia morale. In Bologna per gli Eredi
del Dozza); “Maria Vergine Coronata. Descrizione, e dichiarazione della divota
Solennità fatta in Reggio per Prospero Vedrotti); “La Chiave del Paradiso;
cioè, invito alla Penitenza alle Cavalieri” (Bologna per Giacomo Monti); “Il
Gerione Politico, Riflessioni profittevoli alla vita civile, alle Repubbliche,
e alle Monarchie” (Milano, Compagnini); “S. Patrizio Canonico Regolare
Lateranense Apostolo, e Primate dell'Ibernia; descritta dall'Abate D. Giacomo
Certani ec.” (Bologna nella Stamperia Camerale); “L'Isacco ed il Giacobbe”
(Bologna, per il Monti); “La Santità Prodigiosa, Vita di S. Brigida Ibernese
Canonichessa Regolare di S.Agostino Scritta dall'Ab. D. Giacomo Certani
Canonico Regolare Lateranense Dott. Filosofo e Teologo Collegiato ec. per gli
eredi di Antonio Pisarri); “La Susanna in versi, notata da Lorenzo Legati: nel
suo museo Cospiano ae la nota ancora Gregorio Leti nell'Italia Regnante parte
III lib. II, ove parla di Questo soggetto. Oltre i sopraccennati ne parla
ancora l'Orlandini negli Scrittori Bolognesi ec. Marco Curzio Lingua
Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando il
dipinto attribuito al Bacchiacca, vedi Marco Curzio (dipinto). Marco Curzio è
un personaggio leggendario della Roma antica, appartenente alla gens
Curtia. Benjamin Haydon, Marco Curzio si getta nella voragine, National
Gallery of Victoria. La leggenda narra che nel 362 a.C. nel Foro Romano si aprì
una voragine apparentemente senza fondo. I sacerdoti interpretarono il fatto
come un segno di sventura, predicendo che la voragine si sarebbe allargata fino
ad inghiottire Roma, a meno che non si fosse gettato in quel baratro quanto di
più prezioso ogni cittadino romano possedeva. Il giovane patrizio Marco
Curzio, uno dei più valorosi guerrieri dell'esercito romano, convinto che il
bene supremo di ogni romano fossero il valore e il coraggio, si lanciò nella
fenditura armato e a cavallo, facendo così cessare l'estendersi della
voragine. Questo autosacrificio agli dei inferi (Mani) era detto
devotio. Il luogo dove si formò la voragine rimase nella leggenda con il
nome di Lacus Curtius. La leggenda è narrata da Tito Livio nei suoi Annali. Una statua equestre della tarda latinità - in
grandezza ridotta rispetto al naturale - rappresentante Marco Curzio si trova a
Carrara, inserita nelle mura Albericiane in corrispondenza della Porta
cittadina. Il grande attore Antonio de Curtis, in arte Totò, sosteneva
che la sua famiglia discendesse da questo personaggio leggendario. Cùrzio,
Marco, su sapere.it, De Agostini. Marco Curzio, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Portale Antica Roma Portale
Biografie Portale Mitologia Ultima modifica 2 anni fa Gens Curtia
famiglie romane che condividevano il nomen Curtius Lacus Curtius Punto
d'interesse nel Foro romano Marco Curzio (dipinto) dipinto attribuito al
Bacchiacca Wikipedia IlGiacomo Cerretani. Jacopo Certani. Giacomo
Certani. Keywords: il sacrificio, Marco Curzio, devozione -- Il cavaliere penitente; ossia, la chiave del
paradiso, chastita, maschile. Christian masculinity, Percival, The Holy Grail,
the knight-penant, cavalier penitente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Certani”
– The Swimming-Pool Library. Certani.
Grice e Ceruti: l’implicatura
conversazionale di Niso -- ovvero, dell’altruismo – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Cremona).
Filosofo italiano. Grice: “Ceruti is a good one – he has philosophised on
solidarity – and previously on altruism – these are VERY different concepts, as
he notes – but also on ‘vinculum,’ a nice Latin word for what I’m into! – “A
Griceian at heart!” -- Grice: “Only one
T!”. Tra i filosofi protagonisti dell'elaborazione del pensiero complesso, è
uno dei pionieri della ricerca contemporanea inter- e trans-disciplinare sui
sistemi complessi. La sua filosofia si produce all'intersezione di una
pluralità di domini di ricerca: epistemologia (filosofia e storia della
scienza, storia delle idee, noologia…), scienze della natura (fisica, biologia,
cosmologia…), scienze dell'uomo (antropologia, sociologia, psicologia,
storia…), scienze dell'organizzazione e del management. Si laurea in filosofia
della scienza con Geymonat con “L'epistemologia genetica di Piaget” nella
quale, attraverso l'analisi dell'epistemologia viene posto il problema del
ruolo della biologia e delle scienze del vivente, nelle varie articolazioni
disciplinari, come decisiva interfaccia fra le scienze fisico-chimiche e le
scienze umane, in grado di favorire processi di circolazione concettuale e di
traduzione reciproca fra vari e multiformi campi del sapere. Nei suoi studi ha
affrontato le questioni del significato filosofico ed epistemologico delle
maggiori rivoluzioni scientifiche del ventesimo secolo (teoria dei quanti,
relatività, teoria dei sistemi, biologia molecolare) focalizzando le sue
ricerche sui temi del cambiamento stilistico e delle relazioni fra stile e
contenuto nella storia delle idee, nonché dello statuto conoscitivo dei
risultati innovativi connessi alle rivoluzioni scientifiche. Una sintesi di
queste ricerche è contenuta nell'opera Disordine e costruzione.
Un'interpretazione epistemologica di Piaget. Assunto da Ginevra, presso la
Facoltà di Psicologia e scienze dell'educazione fondata da Piaget, in qualità
di assistant, svolgendo ricerche nel gruppo di lavoro coordinato da Munari. In
questo periodo approfondisce le relazioni che connettono l'opera di Piaget a
vari modelli e approcci del contesto scientifico a lui contemporaneo: alla
termodinamica di non equilibrio di Prigogine, alle ricerche sul concetto e sui
processi di auto-organizzazione e autopoiesi, all'embriologia di Waddington, ai
nascenti dibattiti sul significato delle ricerche della biologia molecolare. Il
tema chiave di queste convergenze disciplinari è la possibile delineazione di
modelli generali del cambiamento, nonché del ruolo della discontinuità in
questi modelli. L'approfondimento dei singoli filoni disciplinari gli consente
di interrogarsi più estensivamente sul significato profondo e complessivo dei cambiamenti
paradigmatici delle scienze alla fine del ventesimo secolo: dalla convergenza
di varie discipline emerge la prospettiva di una scienza nuova, caratterizzata
da precise assunzioni relativamente alla natura del cambiamento, alla relazione
fra soggetto e mondo, al ruolo del tempo, della storia e della narrazione negli
approcci scientifici. La nozione di complessità costituisce un'utile maniera
sintetica di rapportarsi con tali assunzioni. Per ricostruire queste novità del
contesto scientifico, imposta un programma di ricerca attorno al tema della
epistemologia della complessità, parte integrante del quale è stata a partire l'organizzazione
di convegni internazionali e di seminari, e la pubblicazione del volume La
sfida della complessità. Ricercatore associato presso il Centre d'Etudes
Transdisciplinaires, Sociolgie, Anthropologie, Politique diretto da Morin,
centro di ricerca associato al CNRS e all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences
Sociales di Parigi, presso il quale dirige l'unità di ricerca di filosofia
della scienza. In quegli anni approfondisce le problematiche dell'epistemologia
genetica e della cibernetica, pubblicando Il vincolo e la possibilità e La
danza che crea. Svolge inoltre ricerche sul ruolo giocato dalle scienze
evolutive e dalla teoria dell'evoluzione di tradizione darwiniana nel più
generale mutamento di prospettiva delle valenze cognitive e stilistiche del
contesto scientifico, focalizzandosi sulle conseguenze epistemologiche e
filosofiche dei modelli di cambiamento e delle relazioni fra continuità e
discontinuità conseguenti alla teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge,
ai dibattiti sulle estinzioni di massa e sulle testimonianze paleontologiche,
alle nuove forme di collaborazione fra evoluzionismo e genetica, alle relazioni
fra approcci storici e approcci nomotetici nelle scienze del vivente. Ne deriva
una serie di ricerche compendiate nel volume Origini di storie, in cui il tema
del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e
della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno di un
ampio spettro disciplinare, che connette bio G. Bocchi, 1993), in cui il tema
del cambiamento discontinuo, e i connessi temi dell'evento, della contingenza e
della sensibilità alle condizioni iniziali, vengono discussi all'interno
di un ampio spettro disciplinare, che connette bioogia evolutiva, cosmologia,
fisica del caos, antropologia e storia delle idee. Gli interrogativi sul modo
in cui dallo studio del radicamento naturale delle società umane possano
scaturire nuovi strumenti di comprensione dei fenomeni sociali e culturali
della nostra specie lo portano a entrare in contatto con le ricerche condotte
in questi stessi anni dal Santa Fe Institute, volte all'individuazione di leggi
generali della complessità e di modelli generali sul comportamento dei sistemi
complessi. Una nuova linea di ricerca di filosofia della scienza, che
approfondisce a partire dalla metà degli anni novanta, è lo studio dei modelli
di cambiamento dell'evoluzione umana, in relazione alla teoria degli equilibri
punteggiati, alla visione discontinuista della storia naturale, alle dinamiche
ecologiche e ambientali. Una seconda linea di ricerca epistemologica,
strettamente interrelata alla prima, è lo studio dell'importanza delle analisi
genetiche per la ricostruzione dell'evoluzione e della storia umane, sia dei
tempi lunghi della storia delle varie specie ominidi sia dei tempi medi della
storia della nostra specie Homo sapiens. A partire da Solidarietà o barbarie.
L'Europa delle diversità contro la pulizia etnica, imposta una serie di
seminari e di ricerche di filosofia delle scienze biologiche, evoluzionistiche
e storiche sul tema dei confini e sulle identità nazionali e culturali. Nel far
ciò approfondisce una concezione evolutiva di tali identità, consonante con la
prospettiva epistemologica costruttivistica, e convergente con i presupposti
epistemologici, costruttivisti e antiessenzialisti propri della tradizione
evoluzionistica darwiniana. In queste ricerche, viene affrontata anche la
questione del significato della rivoluzione darwiniana nell'intera storia della
tradizione scientifica occidentale. Un ulteriore studio dedicato a tali
problematiche è il volume Educazione e globalizzazione, che traccia un bilancio
epistemologico degli intrecci disciplinari fra storia, geografia, antropologia,
scienze evolutive e naturali per comprendere il ruolo della diversità culturale
nella storia della specie umana e le radici profonde degli attuali processi di
globalizzazione. Insegna a Palermo, di Milano Bicocca, di Bergamo e a Milano,
dove attualmente insegna e ricopre la carica di direttore del Dipartimento di
Studi umanistici. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia delle
Scienze. Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università
degli studi di Milano Bicocca. Preside della Facoltà di Scienze della
Formazione dell'Bergamo. Direttore del Centro di Ricerca sull'Antropologia e
l'Epistemologia della Complessità che comprendeva la Scuola di dottorato in
Antropologia ed Epistemologia della Complessità a Bergamo. Principali
tematiche presenti negli studi di Ceruti: Antropologia Bioetica
costruttivismo (filosofia); Epistemologia; Epistemologia della complessità;
Epistemologia genetica; Evoluzionismo; Globalizzazione; Scienze cognitive;
Scienze della formazione; Teoria dei sistemi. Membro della Commissione
Nazionale di Bioetica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Nominato,
dal Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, Presidente della
Commissione incaricata di scrivere le nuove Indicazione per il Curricolo per la
Scuola dell'Infanzia e per il Primo Ciclo di Istruzione. Partecipa alla
fase di fondazione del Partito Democratico, venendo eletto all'Assemblea
costituente del partito e assumendo l'incarico di relatore della Commissione
incaricata di redigerne il Manifesto dei Valori. Alle elezioni politiche
italiane della XVI Legislatura eletto al Senato della Repubblica nelle liste
del Partito Democratico. È stato membro della Commissione permanente
(Istruzione pubblica, beni culturali), della Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e della
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Non si è ripresentato
alle elezioni della XVII legislatura. Altre opere: “Il tempo della
complessità” (Cortina, Milano); “La fine dell'onniscienza” (Studium, Roma); “La
nostra Europa” (Raffaello Cortina Editore, Milano); “Organizzare l'altruismo” (Laterza,
Roma); “Una e molteplice: ripensare l'Europa” (Tropea, Milano); “Il vincolo e
la possibilità” (Feltrinelli, Milano); “Origini di storie” (Feltrinelli,
Milano); “La sfida della complessità” (Feltrinelli, Milano); “Le due paci.
Cristianesimo e morte di Dio nel mondo globalizzato” (Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Educazione e globalizzazione, Raffaello Cortina Editore,
Milano); “Formare alla complessità, Carocci, Roma); “Le origini della
scrittura. Genealogie di un'invenzione, Bruno Mondadori Editore, Milano); “Le
radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici” (Bruno
Mondadori Editore, Milano); “Epistemologia e psicoterapia, Raffaello Cortina
Editore, Milano); “Pensare la diversità. Per un'educazione alla complessità
umana, Meltemi, Roma); Evoluzione senza fondamenti” (Laterza, Roma-Bari);
“Solidarietà o barbarie: l’Europa delle diversità contro la pulizia etnica” (Raffaello
Cortina Editore, Milano, Prefazione di Edgar Morin, Il caso e la libertà,
Laterza, Roma-Bari); Evoluzione e conoscenza, Lubrina, Bergamo); “L'Europa
nell'era planetaria” (Sperling & Kupfer, Milano); “Turbare il futuro: un
nuovo inizio per la civiltà planetaria” (Moretti & Vitali, Bergamo); “Che
cos'è la conoscenza, Roma-Bari); “La danza che crea. Evoluzione e cognizione
nell'epistemologia genetica, Feltrinelli, Milano, Prefazione di Francisco
Varela, Lazlo E., Physis: abitare la terra, Feltrinelli, Milano); Dopo Piaget.
Aspetti teorici e prospettive per l'educazione, Edizioni Lavoro, Roma); Modi di
pensare postdarwiniani: saggio sul pluralismo evolutivo” (Dedalo, Bari); L'altro
Piaget. Strategie delle genesi, Emme Edizioni, Milano Bocchi C. M. Disordine
e costruzione. Un'interpretazione epistemologica dell'opera di Jean Piaget, Feltrinelli,
Milano. Direttore delle riviste scientifiche: La Casa di Dedalo (Casa
Editrice Maccari, Parma); Oikos (Pierluigi Lubrina Editore, Bergamo);
Pluriverso (Rcs, Milano). mauroceruti. Pagina nel sito del Senato, su senato.
Ministero della Pubblica Istruzione, Nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo,
su pubblica.istruzione. Presidenza del Consiglio dei ministri, Comitato Nazionale
di Bioetica, su governo. Rome’s national epic displays a tendency to treat sex
and love. The pair of Trojan warriors Nisus and Euryalus are cast in the roles
of erastes and eromenos. Virgil’s narrative of the two valorous young Trojans
has, of course, various thematic functions and will have resonated in various
ways for a roman readiership. Here I focus on only one aspect of the narrative,
namely the eroticization of their relationship, in he interests of esplong wha
this text might suggest about the pre-conceptions of its Roman readership. See
Makowski for an overview of ancient and modern views of the pair, along with
arguments for describing them as erastes and eromenos on the Greek model
(Makowski finds particular parallels with Plato’s Symposium). For literary
discussions of Nisus and Euryalus that take as their starting point the erotic
nature of their relationship see Gordon Williams, pp. 205-7, 226-31, Lyne, pp.
228-9, 235-6, and Hardie, 23-34). Bellincioni, ‘Eurrialo’ in Enciclopedia
Virgiliana (Roma), observing that Virgil has added tdhe motif of their
friendship to his Homeric models summarses thus: “L’AMORE CHE UNISCE EURIALO E
NISO E UN SENTIMENTO INTERMEDIO FRA L’AMCIZIA E LA PASSIONE … PUR NELLA SUA
PUREZZA, TENDE ALL’EROS. COMNQUE E PASSIONE CHE SI PONE FINE A SE STESSA E NON
SI SUBIRDINA A PRINCIPI MORALI, COME LA SLEALTA SPORTIVA DI NISO NEL 5o
CHIARAMENTE DIMOSTRA. Bellincione cites Colant, ‘Le’peisode de Niuses et
Euryale ou le poeme de l’amitie, LEC, 19, 89-100. IThe pair of Trojan warriors
Nisus and Euryalus are cast in the roles of erastes and eromaneos. Virgil’s
narrative of the two valourus young Trojans has, of course, various thematic
functions and will have resonated in various ways of a Roman readership. Here I
focus on only one aspect of the narrative, namely the eroticiation of their
relation Niso ed Eurialo are first introduced in the funeral games in Book 5. ‘Nisus
et Euryalus primi, Eurialus forma insignis viridique iuventa, Nisus ammore pio
pueri’ (Vir. Aen. 5. 2292-6). ‘First came Nisus and Euryalus: Euryalus
outstanding for his beauty and fresh yourhfulness, Nisus for his deveted love
for the boy’. During the ensuing footrace, Nisus indulges ia a questionably bit
of gallantry: starting off in first place, he slips and falls in the blook of
sacrificed heifers, then deliberately trips the man who was in second place, in
order the Euryalus may come up from behind an win first place. Non tamen
Euryali, non ille oblitus amorum (Vir. Aen. 5. 334 -- ‘He was not forgetful of
his love Euryalus, not he! (The plural AMORES is ordinarily used of one’s
sexual partner, one’s LOVE in that sense 0- Liddell Scott ic. Virgil himself
uses the word in the plural to refer to a bull’s mate at Georgics 3 227.
Indeed, Servius, ad Aen. 5 334, writing in a different cultural climate, was
worried by precisely thiat fact, observing that OBLITUS AMORUM AMARE NEC SUPRA
DICTIS CONGRUE: AIT ENIM AMORE PIO PUERI, NUNC AMORUM, QUI PLURALITER NON NISI
TURPITUDINEM SSIGNIFICANT. Virgil’s phrase, OBLITUS AMORUM contradicts his earlier
AMORE PIO PUERI because AMORES in the plural ‘can only SIGNIFY SOMETHING
DISGRACEFUL’ Whereas the description of Nisus’s love for the boy as PIUS
apparently precludes, for Servius, PHYSICALITY. ‘ The two Trojans reappear in a
celebrated episode from Book 9, when they leave the camp at night in an effort
to break through enemy lines and reach Aeneas. They succeed in killing a number
of Italian warriors, ut eventually are themselves both killed. Euryalus first
and then his companion, who, after being morally wounded, flings himself upon
Euryalus’s body. The episode beings with this description of the pair. Nisus
erat portae custos, acerrimus armis, Hyrtacides, comitem Aenea quem miserat Ida
venatrix iaculo celerem levibusque sagittis; et iuxta comes Euryalus, quo
pulchrior alter non fuit Aenaedum Troiana neque induit arma, ora puer prima
signans intonsa iuventa. His amor unus erat pariterque in bella ruebant. Vir.
Aen. 9 176-82. Nisus, sonof Hyrtacus was the guard of the gate, a most fierce
warrior, swift with the javeling and with nimble arrows, sent by Ida the
huntress to accompany Aeneas. And next to him was his companion Euryalus. None
of Aeneas’s followers, none who had shouldered Trojan weapons, was more
beautiful: a boy at the beginning of youth, displaying a face unshaven. These
two shared one love, and rushed into the fightin side by side. Virgil’s wording
is decorous but the emphaisis on Euryalus’s youthful beauty and particularly
the absence of a beard on his fresh young face, as well as the comment that the
THWO SHARED ONE LOVE and fought side by side – imagery that is repeated from
the scene in Book 5 and is continued throughout the episode in Book 9 – is
noteworth For Euryalus’s youth, cf. 217,
276 (puer) and especially the evocation of his beauty even in death (433-7,
language which recalls the erotic imagiery of CATULLUS and Sappho – Lyne, pp.
229. For their INSEPARABILITY, cf. 203: TECUM TALIA GESSI and 244-5 (VIDIMUS …
VENATU ADSIDUO. Note: NEVE HAEC NOSTRIS SPECTENTUSR AB ANNIS QUAE FERIMUS, 235-6,
CONSPEXIMUS. 237. how Nisus gallantly presents his plan to the assembled troops
NOT AS HIS OWN Bt as his AND EURYALUS’S (235-6: Likewise the question that Nisus asks Euryalus
when he first proposes the plan t o him has suggestive resonances: DINE HUNC
ARDOREM MENTIBUS ADDUNT EURYALE, AN SUA CUIQUE DEUS FIT DIRA CUPIDO? Aen 9
184-5. Cf. Makowsky, p. 8 and Hardie, p. 109. For the phrase DIRA CUPIDO,
compare DIRA LIBIDO at Lucretius (De natura rerum, 4. 1046, concerning men’s
desire TO EJACULATE and muta cupido at 4. 1057. Euryyalus, is it the gods who
put this yearning (ardor) into our minds, or does each person’s grim desire
(dira cupido) become a god for him?” In addition to its ostensible subject (a
desire to achieve a military eploit), Nisus’s language of yearning and desire
could also evoke the dynamis of an erotic relationship. So too the poet’s
depiction of Nisus’s reaction to seeing his young companion captured by the
enemy is notable for its emotional urgency and its portrayal of Nisus’s intensely
protective for for the youth. Tum vero exterritus, amens, conclamat Nisus nec
se celare tenebris amplius aut tantum potuit perferre dolorem. Me, me, adsun
qui feci, in me convertite ferrum, o Rutuli, mean fraus omnis, nihil iste nec
ausus nect potuit, caelum hoc et conscia sidera testor, tantum infeliciem
nimium dilet amicum (Vir. Aen 9 424-30. Then, terrified out of his mind, unable
to hid himself any longer in the shadows or to endure such great pain, Nisus
shouts out: “ME! I am the one who did it! Turn your weapons to me, Rutulians!
The deceit was entirely mine, HE was not so bold as to do it; he could not have
done it. I swear by the sky above and the stars who know: the only thing he did
was to love his unahappy friend too much. There is, in short, good reason to
believe that Virgil’s Nisus and Euryalus, whose relationship is described in
the circumspect terms befitting epic poetry, would have been UNDERSTOOD by his
Roma readers as sharing a SEXUAL bond, much like the soldiers in the so-called
SACRED BAND of Thebes constituted of erastai and their eromenoi in
fourth-century B. C. Greece (Note also that 9.199-200 (meme … figis?) seems to
echo Dido’s words to Aeneas at 4.314 (mene fugis?. So too Makowski p. 9-10 and
9.390-3 )Euryale infelix, qua te regione reliqui? Quave sequar? Rurus perplexum
iter omne revolves fallacis sylvae simul et VESTIGIA RETRO observata legit
dumisque silentisu errat) might recall the scene were Aeneas loses Creusa a t
the end of Book 2. Haride p. 26) points to parallels with the story of Orpheus
and Euryide in the Georgics, as well as as to that of Aeneas and Crusa in
Aeneid 2. For the Sacred Band of Thebes, see Plut, Amat. 761B. Pelop, 18-9,
Athen. 13.561F and 602A, and the probable allusion at Pl. Smp. 178e-179a. When
Nisus, mortally wounded, flings himself upon his companion’s lifeless body to
join him in death, the narrator breaks forth into a celebrated eulogy. Tum
super exanimum sese proiecit amicum confossus, placidaque ibi demum morte
quievit. Fortuanati ambo! Si quid mean carmina possunt, nulla dies umquam
memori vos eximet aevo, dun domus Aeneae Capitoli immobile saxum accolet
imperiumque pater Romanus habebit. (Vir. Aen. 9. 444-9). Then he hurdled
himself, pierced through and through, upon his lifeless friend, and there at
last rested in a peaceful death. Blessed pair! If my poetry has any power, no
day shall ever remove you from the remembering ages, as long as he house of
Aenea dwells upon the immovable rok of the Capitol, as thlong as the Roman
father holds sway. The praise of the two loving warriors joined in death ould
hardly be more stirring – cf. Wiliams, 205-7, Lyne, 235, for their ‘elegiac
union of LOVERS IN DEATH’ he adduces Pr0.18 – AMBOS UNA FIDES AUFERET, UNA
DIES, and Tibull. 1 1 59-62 as parallels. op. 2.2, and the language coulnt NOT
BE MORE ROMAN. And Virgil’s words obviously made an impression among those who
wished to EXPRESS FEELINGS OF INTIMACY AND DEVOTION IN PUBLIC CONTEXTS, for we
find his language echoied in funerary instricptions for a husband and his wife
as well as for a woman praised by her male friend. The inscription on a joint
tomb of a grandmother and gradauther explicitly likens them to Nisus and
Euryalus. CLE 1142 = CIL 6. 25427, lines 25-6, husband and wife: FORTUNATI AMBO
– SI QUA EST, EA GLORIA MORTIS QUO IUNGIT TUMULUS, IUNXERAT UT THALAMAS; CLE
491 = CIL 11.654: a woman praised by her male friend: UNUS AMOR MANSIT PAR
QUOQUE VIDA FIDELIS. Cf. Aen. 9. 182. HIS AMOR UNUS ERAT PARITERQUE IN BELLA
RUEBANT. CLE 1848.5-6 granddaumother and granddaughter: SIC LUMINE VERO, TUNC
IACUERE SIMUL NISUS ET EURIALUS. So too Senece
quotes the lines as an illustration of the fact that great writers can
immortalize people who otherwise would have no fame: just as Cicero did for
Atticus, Epicurus for Idomeneus, and Seneca himself can do for Lucilius (an
immodest claim but one that was ultltimately borne out), so ‘our Virgil
promised and gave and everlasting memory to the two,’ whom he does not even
bother to name, so renowned had the poet’s words evidently become (Senc. Epist.
21.5 VERGILIUS NOSTER DUOBUS MEMORIAM AETERNAM PROMISIT ET PRAESTAT; FORUTATI
AMBO SI QUI MEA CARIMA POSSUNT. It is revealing that sometimes Porous boundary
in Roman tets between wwhat we might call friendship and eroticism among males
– and overlaps I hope to discuss in another context – that Ovid citest Nisus
and Euryalus as the ULTIMATE EMBODIMENT OF MALE FRIENDSHIP, putting them in the
company of THESEUS AND PIRITUOUS, ORESTES AND PYLADES ACHILESS AND PATROCLUS,
Tristia 1.5.19-24, 1.9.27-34 but the relationship between ACHILEES AND
PATROCLUS, at least, was openly described as including a sexual element by
classical Greek writers (see n. 92), and with characteristic cluntness by
Martial (11.43), wh cjites the pair as an illustration of the special pleasures
of anal intercourse. The relationships between Cydon and CClytius, Cycnus and
Phaethon, and Juupiter and Ganymede (on Eneas’s shield) all demonstrate that
pedersastic relationships enjoy a comfortable presence in the world of the
Aeneid. Niusus and Euryalus are thus HARDLY ALONE. Some scholars have even
detected an EROTIC ELEMNET in Virgil’s depiction of the relationship between
Aeneas and Evander’s son Pallas. See e. g. Gillis, Putnam, and Moorton. Erasmo
and Lloyd have independently described erotic elements in the relationship
between the young Evander and Anchises, a relationship that, they argue, is
then replicated in the next generation, with Pallas and Aeneas. But their relationship is more complex than
the rather straightforward attraction of Cydon for beautiful boys, of Cycnus
for the well-born young Phaethon, and even of Jupiter for Ganymede. For while
those couples conform unproblematically to the Greek pedrerastic model (one
partner is older and dominant, the other young and sub-ordinate), Nisus and
Eurialus only do so AT FIRST GLANCE. AS the poem progresses they are
transformed from a Hellenic coupling of Erastes and eromanos into a pair of
ROMAN MEN (VIRI). The valosiging distinctions inherent in the pederstaist paradigm
seem to fade with the Roman’s poet remark that the rwo rushed into war side by
side (PARITER – PARITERQUE IN BELLA RUEBANT Vir Aen 9. 182), and they certainly
DISAPPEAR when the old man Aletes, praising them from their bold plan,
addresses the TWO as VIRI (QUAE DIGNA, VIRI, PRO LAUDIBUS ISTIS, PRAEMIA POSSE
REAR SOLVI, 252-3, whe an enemy leader
who catches a glimpse of them shoults out, “Halt, men!” (STATE VIRI, 376), and
most poignantly, when the sight of the two “MEN’S” severed heads pierced on
enemy spears stuns the Trojan soldiers. SIMUL ORA VIRUM PRAEFIXA MOVEBANT NOTA
NIMIS MISERIS ATROQUE FLUENTIA TABO 471-2 . In other words, although Euryalus
is the junior partner in this relationship, not yet endowed with a full beard
and capable of being labeled the PUER, his actions prove him to be, in the end,
as much of a VIR, as capalble of displaying VIRTUS – as his older lover Nisus.
There is a further complication in our interpretation of the pair, and indeed
all the pederstastic relationships in the Aeneid. Virgil’s epic is of course
set in the MYTHIC PAST and cannot be taken as direct evidence for the cultural
setting of Virgil’s own day. Moreover, the poem is suffused with the influence
of Greek poetry. Thus, one might argue that the rather elevated status of
pedersastic relationships in the Aeneid is a SIGN merely of the DISTANCES both
cultural and temporal between Virgil’s contemporaries and the character s of
his epic. Yet, while the influence of Homer is especially strong in these
passages of battle poetry (Virgil’s passing reference to Cydon’s erotic
adventures echoes the Homeric technique of citing some touching details about a
warrior’s past even as he is introduced to the reader and summarily killed
off), is is a much-discussed fact that there are no UNAMIBUOUS, diret
references in the Homeric epics to pedersastic relationships on the classical
model. The relationship between ACHILLES AND PATROCLUS was understood by later
Greek writers to have a seual component see e. g. Aesch. F.r. 135-7 Nauck –
from the Myrmidons), Pl. Symp. 180a-b, Aeschin. 1.133, 141-50, Lyne, crediting
Griffin, adds Bion 12 Gow. But the test of the Iliad itself, while certainly
suggesting a passionate and deeply intense bond between the two, does not
represent them in terms of the classical pederastic model. See further, Clarke,
Achiles and Patroclus in Love, Hermes, v. 106 p. 381-96, Sergent, 250-8, and
Halperin.Virgil might thus be said to ‘out-Greek’ Homer in his description of
Cydon. G. Knauer, Die Aeneis und Homer, Gottingen, cites no Homeric parallel
for these lines. And yet the pederastic relationships in the Aeneid occur NOT
AMONG GREEKS but rather among TROJANS AND ITALIANS, two peoples who are
strictly distinguished din the epic from the Greeks, and who,more importantly,
together constitute the PROGENTIROS of the roman race. Cf. Turnus’s rhetoric at
9.128-58 based on sharp distinctions among the Trojans, Greeks, ndnd Italians,
and the weighty dialogue between Jupiter and June at 12.808-40, where it is
agreed that Trojans and Italians will become ONE RACE. Virgil’s readers found
pederstastic relationships ina n epic on their people’s orgins, and temporal
gap or no, this would have been unthinkable in a cultural context in which
same-se relationships were universally condemned or deeply problematized. But is
it still not the case that, since Nisus and Euryalus are freeborn Trojans,
Virus, and perhaps also Aeneas and Pallas. Significalntly, though, the arua of
a male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of
Aeneas with the would-be univira Dido. In other words, while a MALE-MALE
relationship that corresponds to what would among among Romans of Virgin’s own
day be considered stuprum is capable of being heroized in the epic, a
male-female relationhship that th etet implicitly marks as a kind of stuprum is
not. This tywo types of relationships in the brates, even glamorizes, a
relationship that in his own day would be labeled as instance sos stuprum? Here
the gap between Virgil’s time and the mythis past of his poem has significance.
While, due toe o their freeborn status, analogues of to Nisus and Euryalus in
Virgil’s OWN DAY could not have found their relationship SO OPENLY CELEBRATED,
they did find HEROISED ANCESTORS IN NISUS AND EURYALUS, Cydon, and Clutis. And
perhaps also Aeneas and Pallas. Significantly, though, the aura of the mythic
past does not extend so far as to conceal the moral problematization of a
male-female relationship in the Aeneid, namely the doomed love affair of Aeneas
with the would-be univiria Dido. In other words, while a male-male relationship
that corresponds to what would among Romans of Virgil’s own day be considered
stuprum is capable of being heroized in thee pic, a male-female relationship
that the tect implicitly marks as a kind of stuprum is not. The issue is
complex. Dido is of course neither Roman nor Trojan, and thus at first glance
Aeneas’s relationship with her does not constitute stuprum. But since Dido’s
experiences are, in important ways, seen though a Roman filtre, above all, the
commitment to her first husband that makes her a prototypical univira, her
involvement with Aneas (aculpa 4 19, 172, constitutes an offense within the
moral framework poposed by the text in a way that the relationship between
Nisus and Euryalus does ot. This distintion revelas something about the
relative degrees of problematization of the two types of relationships in the
cultural environment of Virgl’s readership. ‘Blessed pair! If my poetry has any
power no day shall ever remove you from the remembering ages, as lon as the
house of Aeneas dwells upon the immommovable rock of the Capitol, as long as
the Romans father holds sway.’ One can hardly imagine such grandiose prise of
an adulterous couple ina Roman epic!” Mauro Ceruti. Keywords: Niso ed Eurialo;
ovvero, dell’altruismo, dal semplice al complesso, complesso proposizionale,
discover the simple elements, philosophy as deconstructing the complex,
solidarity, altruism, solideratieta, altruismo, sistema complesso, sistema
semplice, etimologia di ‘complesso’. Filosofia della solidarieta, solidarieta:
il semplice della solidarieta, il semplice dell’altruismo, Butler, amore
proprio, amore improprio, altruismo, egoismo, self-love, other-love, benevolence,
organizzare l’altruismo, abitare la complessita, multiple e diverso, unico e
multiple. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Ceruti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cerutti: l’implicatura
conversazionale del leviatano – organicismo politico – il corpo politico nella
costituzione italiana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova).
Filosofo italiano. Grice: “Cerutti is into politics, like Hobbes, and it’s not
surprising he philosophised on ‘il leviatano,’ as the Italians call it – and
represent as a tortoise ridden by Jacob --,” -- “La globalizzazione dei diritti
umani dovrebbe avere il suo culmine con il riconoscimento del diritto che ha il
Genere Umano alla sopravvivenza» Insegna
a Firenze. La sua filosofia verte principalmente sul marxismo occidentale e la
"teoria critica" propria della Scuola di Francoforte da cui, tra
l'altro proviene. Lavora sulla filosofia politica delle relazioni
internazionali ed affari globali, seguendo due diverse tematiche: la teoria
delle sfide globali (armi nucleari e riscaldamento globale), e la questione
dell'identità “politica” (non sociale o culturale) degli europei in relazione
con la legittimazione dell'unione europea. Da ricordare la sua amicizia con Bobbio
del quale Cerutti stesso si ritiene allievo. Altre opere: “Storia e coscienza
di classe” (Milano); “Totalità, bisogni e organizzazione” (Firenze); “Marxismo
e politica. Saggi e interventi, Napoli); “Gli occhi sul mondo. Le relazioni
internazionali in prospettiva interdisciplinare, a cura di, Roma); “Sfide
globali per il Leviatano. Una filosofia politica delle armi nucleari e del
riscaldamento globale” (Milano, Vita e pensiero). Che cosa significa
"Corpi politici"? Organismi che possono essere bersaglio di una
condotta oltraggiosa ex art. 342 in ragione della funzione politica dagli
stessi svolti e dal cui novero risultano esclusi il Governo, il Senato, la
Camera dei Deputati e le Assemblee regionali, rispetto ai quali la tutela
penale viene offerta dall'art. 290. Articoli correlati a "Corpi
politici" Art., Codice Penale - Violenza o minaccia ad un Corpo politico,
amministrativo o giudiziario o ai suoi singoli componenti Art. 342 Codice
Penale - Oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziarioFurio
Cerutti. Keywords: il leviatano, il corpo politico, l’organismo politico, lotta
di classe, Lukacks, Marx, unione europea, identita culturale, identita sociale,
identita politica, corpi politici, I corpi politici, brunetto latini, aquino,
Egidio romano, Dante Banquet, Marsiglio di Padua, Pegula. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Cerutti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cervi
Grice e Cesa
Grice e Cesare – Roma – filosofia
antica. Gaio Giulio Cesare. Cesare had many friends who
followed the philosophy of the Garden, and it is clear that he had ome leanings
towards that philosophy himself. Exactly how far these went is unclear and
whether he ever actually became a member of the sect is a matter of dispute.
Grice e Cesarini – filosofia
italiana– Luigi Speranza (Genzano di Roma). Filosofo italiano. Grice:
“Cesarini was more of a warrior than a philosopher, but I also fought in the
North-Atlantic – in Italy, war trumps philosophy! He wrote a philosophical
story of the war of Velletri – and liked to dress up as one of his ducal
ancestors – a gentleman!” -- There are many philosophers with the name Sforza
Cesarini. Figlio del III duca Lorenzo Sforza Cesarini. Convinto sostenitore del
nuovo Regno d'Italia tanto da nascondere le armi degli insorti nel suo palazzo.
Per questo motivo, il papa confisca tutte le sua proprietà che vennero loro
restituite da Vittorio Emanuele II dopo il suo ingresso a Roma, reso possibile
dalla presa di Porta Pia, accompagnato dallo stesso filosofo in veste di
consigliere del re. Grice: “My mother loved him; but then every Englishman
loved the Kingdom of Italy, or rather, every Englishman hated the Pope!” – Grice:
“Sforza Cesarini should never be confused with the philosopher Cesarini Sforza:
Sforza Cesarini is under “C”; Cesarini Sforza, the jurisprudential philosopher,
is under “S”. IV duca Sforza Cesarini. Francesco II Sforza Cesarini. Francesco
Sforza Cesarini. Sforza Cesarini. Cesarini. Keywords: “Letters of my father,
kingdom of Italy, anti-Popish, Palazzo di Roma. Patria, patriotism,
nazionalismo. Il nuovo regno d’Italia, Vittorio Emanuele II, Porta Pia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Cesarini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cherchi – implicatura sarda
– filosofia sarda – filosofia italiana – Luigi Speranza (Oschiri).
Filosofo italiano. Grice: “Cherchi demonstrates that Jersey exists – if a
philosopher is from Jersey we wouldn’t call him English – neither would he!
Cherchi is from ‘Sardinia,’ and he philosophises mainly about that – which is
very fun! My favourite of his tracts is one on the circle and the ellipse as it
relates to Vinci’s ‘homo vitruviano.’ Anda a scuola al liceo Siotto Pintor a
Cagliari. Placido Cherchi studiò a Cagliari con Ernesto De Martino e Corrado
Maltese, interessandosi contemporaneamente di studi e problemi
etno-antropologici e storico artistici. Come autore di importanti lavori sul
pensiero di Ernesto De Martino e sui problemi dell'identità e della cultura sarda,
fu un membro attivo della Scuola antropologica di Cagliari, dovuta alla
presenza all'Cagliari di maestri come Ernesto de Martino e Alberto Mario
Cirese, come pure di loro allievi quali Clara Gallini, Giulio Angioni e lo
stesso Cherchi. Morì nel all'età di 74 anni a causa di un'emorragia
cerebrale. Altre opere: “Paul Klee teorico, De Donato, Bari); Sciola, percorsi
materici, Stef, Cagliari); “Pittura e mito in Giovanni Nonnis, Alfa, Quartu
S.E.); Nivola, Ilisso, Nuoro); C. Martino: dalla crisi della presenza alla
comunità umana, Liguori, Napoli); “Il signore del limite: tre variazioni
critiche su Martino, Liguori, Napoli); “Il peso dell'ombra: l'etnocentrismo
critico di Ernesto De Martino e il problema dell'autocoscienza culturale,
Liguori, Napoli); “Etnos e apocalisse: mutamento e crisi nella cultura sarda e
in altre culture periferiche, Zonza, Sestu); “Manifesto della gioventù eretica
del comunitarismo e della Confederazione politica dei circoli, organizzazione
non-partitica dei sardi, coautori Francesco Masala ed Eliseo Spiga, Zonza,
Sestu); “Il recupero del significato: dall'utopia all'identità nella cultura
figurativa sarda, Zonza, Sestu); “Crais: su alcune pieghe profonde dell'identità,
Zonza, Sestu); “Il cerchio e l’ellisse. Etnopsichiatria e antropologia
religiosa in Ernesto De Martino: le dialettiche risolventi dell’autocritica,
Aìsara); “La riscrittura oltrepassante, Calimera, Curumuny); “Per un’identità
critica. Alcune incursioni auto-analitiche nel mondo identitario dei sardi”
(Arkadia. Silvano Tagliagambe: Giulio
Angioni, Una scuola sarda di antropologia?, in
(Luciano Marrocu, Francesco Bachis, Valeria Deplano), La Sardegna
contemporanea. Idee, luoghi, processi culturali, Roma, Donzelli,, 649-663 Addio a C., il ricordo di Angioni: "Fu
ideologo del neo sardismo" Archiviato in. Notizie. tiscali È morto Placido Cherchi, vicepresidente della
Fondazione Sardinia Fondazione sardinia.eu
Scuola antropologica di Cagliari Ernesto de Martino Angioni, In morte di C., sito "il
manifesto sardo". Carta, Che cosa è C.? Due o tre cose, per decidere di
essere sardi Po arregordai a C. Enrico Lobina, su enricolobina.org. Silvano
Tagliagambe, L'eredità preziosa di C. La colonizzazione e la penetrazione
romana nell'isola furono oltremodo intense e furono facilitate da
affinità di razza, per cui si può dire che lo spirito latino g-iunse
nell'intimo dell'anima del popolo sardo. Pinza, IMonuineiiti
prUìiHivi della Sardegna in Monumenti Antichi, pubblicati per cura della
Reale Accademia dei Lincei. Taramelli, nel recente lavoro sulla questione
nu- ragica (Arch. Stor. Sardo), ritiene che il carattere prevalentemente
guerresco della schiatta sarda, l'accanimento delle lotte interne
dapprima, poi con lo straniero invasore, abbiano nuociuto allo sviluppo
artistico, che in germe aveva la stessa disposizione che presso altre
genti del Mediterraneo. Quando le legioni romane, in seguito alle
fiere lotte sostenute contro i montanari Olaesi o Iliesi ebbero assoluta
padronanza dell'intera isola, l'arte sarda scomparì con questa che
può definirsi l'ultima ribellione dell'antica civiltà nuragica, e
di essa non rimasero che vaghe reminiscenze presso gli artefici più umili, le
quali perdurarono attraverso il medio evo fino ai nostri
giorni. Nel periodo glorioso dell'impero romano la fusione
fra l'elemento latino ed indigeno fu così intima da potersi asserire che
le nostre sono manifestazioni della civiltà derivante da Roma; le
grandi opere pubbliche mostrano una regione che assurse ad alto grado di
fiorimento civile ed economico; non v'è paese, né plaga nell'isola
che non abbiano traccia dell'opera meravigliosa svolta dai Romani. Nelle
regioni più inaccessibili, in quella stessa Barbagia che raccolse gli
ultimi difensori della civiltà indigena, e che mostrossi. Statuetta
preistorica 1 Museo di Casa;! i a sempre indomita e ribelle
ad ogni forma di potere, sono strade, ponti, ed altri segni
palesanti ima florida colonizzazione romana, tanto intensa da
perdiu-are in molte manifestazioni e iiello stesso linguaggio
, attraverso secoli di bar- barie e di dominazione. Oreficeria
punica nel Museo di Cagliari. gran parte Nello sfasciarsi della
romana potenza lo spirito conservatore delle genti sarde custodì
gelosamente la bella tradizione latina. Mentre nel tempo che segnò il
passaggio dall'evo antico all'evo medio, d'Italia, come scrive Solmi,
soggiacque a una lunga, trasformativa dominazione germanica, la
Sardegna fu invece fra le scarse regioni italiane che ne restarono quasi
pienamente immuni, dando così un nuovo, singolare atteggiamento alla
sua storia, che fu lenta e spontanea elaborazione degli elementi
indigeni e latini. La furia distruggitrice della conquista vanda-
lica, assai breve e poco estesa, non lasciò traccia alcuna d'arte e di
vita e paralizzò quell'ascensione alle più nobili conquiste, che la
Sardegna avea iniziato con la signoria di Roma. Una completa
oscurità avvolge in questo fu- nesto periodo ogni azione isolana, che non
siano le fasi di quelle guerre che dilaniarono l'isola. Tur- bini
di barbarie la dovettero ridurre in un vasto campo funebre e quando
cessarono le irruenze degli invasori, l'opera degli architetti e degli
ar- tisti si svolse come se nel naufragio delle romanità questi
avessero perduto la memoria d'ogni bella forma. La conquista di
Belisario ed il riordinamento amministrativo di GIUSTINIANO, assicurando
la Sardegna al dominio degli imperatori d'Oriente, consentirono lo spontaneo
sviluppo degli elementi latini. Artehci che trassero la loro
arte da Bisanzio svolsero nell'isola quell'architettura, che derivò
da armonica fusione di forme orientali e di bellezze
classiche, sparse quest'ultime con profusione nella terra che vide
erigere l'Acropoli e scolpire la X'enere di Milo. Furono greci gli
artisti che scol- Statuetta ienicia nel Museo di
Cagliari. fase. Arrigo Solmi, La Sardegna e gli studi storici
wnW Arcìiivio Storico Sarda, Cagliari, Dessi. pirone bassorilievi,
iscrizioni ed altre forme ornamentali, che recenti indagini hanno messo
in evidenza e che sistematiche ricerche renderanno indubbiamente tanto
copiose da darci modo di determinare entro limiti detiniti l'influenza
artistica che Bisanzio svolse nell'isola dandole carattere e forme
stilisticamente rilevanti. ampacla cristiana rinv Chic a di
S. Giovanili tli Siiiis in territorio di Cabras nell'antica Tarros. L'arte
romana per opera di greci artefici divenne arte bizantina, la (jLiale
rappresenta non un nuovo stile, ma ima trasformazione dello spirito
latino a contatto delle forme orientali. F.d in Ravenna, in Grado, in
Sicilia, nelle Puglie sorsero quelli edifici, rudi e disadorni
all'esterno, che inter- namente brillano di ricchi mosaici, in cui l'oro
e le gemme preziose sfaccettano in mille raggi la tenue luce
diffondentesi dalle arcuate finestre. Anche nella nostra isola dovettero
svolgersi queste forme architet- toniche giacché dal primo trentennio del
secolo VI e per non breve corso di tempo la Sardegna fu una provincia
dell'impero di Bisanzio. Xè questa signoria fu solo nominale, ma
tanto si compenetrò nella vita e nelle istituzioni che l'infiuenza greca
nel linguaggio, nella diplomatica, nel dritto apparisce evidente anche nel
secolo XI, quando la Sardegna erasi già sottratta di nome e di fatto al
dominio degli impe- ratori di Oriente e ne reggevano le sorti da più che
un secolo i regoli o giudici nazionali. La nostra cattedrale conserva
in una sua cappella una Madonna, splendente d'oro e di bellezza. Intorno
ad essa fiorisce una fine e pia leggenda, comune del resto a molti altri
antichi simulacri d'Italia. Vuoisi che la vaga madonnina sia stata scolpita da
S. Luca e da Costantinopoli trasportata a cura del Cagliaritano Eusebio,
vescovo di Vercelli, alla città di Cagliari, con nave guidata da una
corte di angeli e di cherubini. Il simulacro è indubbiamente opera del
XIV secolo, ma la tenue leggenda può interpretarsi come un poetico
simbolo del tra- [Stele puniclie nel Museo di Cagliari.] piantarsi
dell'ellenismo nell'isola, perpetuato dal nostro popolo attraverso gli
oggetti suoi pili cari. Ed infatti molti frammenti decorativi ed
epigrafici nonché parecchi edifici attestano dell'inlluenza dei
costruttori bizantini neh' architettura dell'alto medio evo in
Sardegna. Tale è la Chiesa di S. Giovanni di Sinis, nell'agro di Cabras
in vicinanza ad Oristano e presso le rovine dell'antica e fiorente città
di artp: preromanica Tarros. Le origini e le vicende di questa
chiesa ci sono ignote; si volle veder in essa la cattedrale di Tarros
cristiana, ma ciò non è che una congettura, giacché nessun
documento veramente ineccepi- bile ci dice quando la città venne
abbandonata e se essa perdurò fino al- l'epoca che gli elementi
costruttivi e stilistici permettono d'assegnare all'antico tempio. L'aver
i presuli d'Oristano assunto il titolo di abate di S. Giovanni di
Sinis fa presumere che a questa chiesa originariamente fosse
annesso un monastero. Essa presentemente è a tre navate Testa
di irrito rin\enuta in Cagliari Punica. coperta da volta a botte e
comunicante per mezzo di arcate poggianti su massicci pilastri. Anche i
due muri |jerimetrali e laterali hanno la struttura a pilastri ed archi,
chiusi questi ultimi posteriormente. Il prospetto, sormontato da im
frontone che segue l'andamento della volta a botte, non ha
ornamentazione alcuna e la porta che in esso è aperta è
rettangolare, semplicemente con- tornata da una fascia di marmo. La
navata centrale è terminata da un'abside circolare e sopra le ul-
JNIaschera rinvenuta in Tarros Punica. D. SCANO — storia dell' Ai le in
Sardegna. time quattro pilastrate si svolge il tamburo, sostenente la
piccola volta a bacino, costituente la cupola. La forma di
questa chiesa è basilicale e non differenzia da quelle di tante altre
chiese medioevali sarde, del XI o XII secolo, se non che alcune forme
costruttive come la cupola e la volta a botte inducono a ritenere che
originariamente dovea avere tutt' altra struttura. Mancando ogni qualsiasi
elemento decorativo, giacché la chiesa ha le pareti nude senza frammenti
di pittura, di scultura o di semplice ornamentazione, che di solito guidano
lo studioso nei riscontri stilistici, pro- cedetti per identificare
le forme primitive ad un esame tecnico delle parti
architettoniche. I risultati confermarono la prima impressione,
giacché potei ri- scontrare: La volta che copre la navata
centrale è relativamente moderna; I muri della navata cen-
trale e delle navatelle furono eretti posteriormente al nucleo
centrale, su cui poggia il cupolino. Della struttura
originaria della Chiesa non resta che detto nucleo centrale e le
braccia trasversali. Ridotte in tal modo le parti originarie
ed eliminate le aggiunte posteriori è facile completare l'iconografia
primitiva, partita in quattro braccia a modo di croce, che s'in-
tersecano secondo quattro piloni sostenenti il tamburo su cui poggia la
cupola per mezzo di quattro pennacchi. Di più i piloni hanno gli angoli
rientranti in modo da permettere il collocamento in dette pilastrate di quattro
colonne, che ora più non esistono. Questa particolarità co- struttiva è
degna di nota, giacche la ritroveremo in altra chiesa, colla quale S.
Giovanni di Sinis presenta molte affinità. Nei muri terminali delle
braccia trasversali della croce sono aperte i nnvc-mita 111 Cai^l
influenza greca). iri l'ui due finestre bifore, in cui la
colonnina è sostituita da un semplice pila- strino in pietra da taglio
senza capitello e senza base. Abbiamo la forma iniziale di quelle bifore,
che posteriormente vennero rese più eleganti e più svelte dalle colonnine
col pulvino, permettente agli archi un'imposta corrispondente allo
spessore della muraglia. Questa forma arcaica con- ferma l'origine
preromanica di S. Giovanni di Sinis. Alle forme costruttive di
questa chiesa dovettero infiuire le catacombe di S. Salvatore, le
quali ne distano circa quattro chilo- metri. Queste catacombe
poste presso ad alcune rovine romane, malgrado non siano state ancora ne
stu- diate, né menzionate, sono interessantissime e costitui-
scono il più pregevole ed interessante monumento isolano dei primi
tempi del cristianesimo. La chiesetta soprasuolo è relativamente
moderna e non presenta niente d' interessante . Ai sotter- ranei s'accede
mediante una gradinata svolgentesi in uno stretto passaggio
coperto da un voltino a botte. In quell'andito sono aperte due
porte, una di fronte all'altra, per le quali si perviene a due camere
rettangolari di m. 4,30 X 3,26 ciascuna, coperte ancor esse con volte a
botte. Lo stretto passaggio fa capo ad un vano circolare, coperto da
volta a bacino ed illuminato dall'alto, che costituisce il nucleo
centrale delle catacombe, comunicando esso con altre due camere laterali
terminate da absidi e con altra circolare, che è l'ultima [Busto
di a rinveiiutu in Tarros Punica influenza
jj;reca). dell'edificio sotterraneo. Si ha una disposizione planimetrica,
che ricorda i più antichi edifici cristiani: la struttura è prettamente
romana con mu- ratura di laterizi opportunamente collegata con altra di
pietrame informe. Ceramica punica nel Museo di Caigliari. Le
pareti delle diverse camere sono intonacate a stucco lucido, const'ivante
tutt'ora traccia di antiche pitture. Più che pitture sono
schi/zi, Sarcofago romano nel Museo di Cagliari.figure eseguite a caso,
alcune abilmente, altre con tecnica ed arte infan- tili. In ima parete di
una camera absidale sono traccie di un gruppo interessantissimo
rappresentante una lotta fra un leone ed un uomo dalle forme erculee.
Nelle altre i)areti e; nell'abside della stessa camera sono schizzate
alcune nax'i, due leoni, un Eros e diverse figure di donne delineate con
maestria dal tipo classicamente pagano. Esse vennero eseguite al di là di
(iualun<[ue preoccu[)azione mistica e sono di gentile arte, piene di
grazia voluttuosa e di vita. L'na di esse dalle linee formose, che
rievoca la Venus (ìcnitri.w solleva con ima mano i veli che le coprono i
turgidi seni e le belle forme. l'"ra ([uesti schizzi e queste figure
di donne ricorre sjx'sso il mouogramiua RI e sono intercalate frasi scritte in
greco corsivo, la di cui esatta interpretazione potrà portare non lieve
luce sulle origini di (|ueste forme pittoriche. Non un simbolo cristiano,
non il monogramma di Cristo che attestino la fede di chi rese nelle
pareti, con [Sarcofajj:o romano nel Museo di Ca.sjliari. decise
linee, figure voluttuose di belle donne. D'altra parte l'iconografia dei
sotterranei segue la disposizione delle prime chiesette cristiane specialmente
nelle forme absidali delle due cappelle laterali e della camera termi-
nale. E vero che nelle costruzioni cimiteriali più antiche le tetre
muraglie coprivansi di scene tratte dalla vita reale e molto spesso dalla
mitologia pagana tanto che nelle catacombe di Pri.scilla e di Domitilla,
nelle quali meglio che altrove si possono studiare le origini della
pittura primitiva cristiana, cjuesta è stranamente impregnata di
paganesimo; ma se la tradizione è pagana, nell'antica forma l'arte si penetra
di spirito cristiano. Qui no, forma e spirito sono schiettamente
inspirate al paganesimo più libero e più licenzioso. Statua di
Bacco rinvenuta In Cagliari. Queste contradizioni non permettono ora di poter
dare un sicuro o^iudizio su questo interessantissimo monumento: forse
l'ipotesi che più concilia ((ueste forme cozzanti tra loro è quella
dell'orij^i'ine pagana dei sotterranei, costrutti ed usati come carceri e
poscia serviti come rifugio nei primi tempi del cristianesimo. Con ciò si
spiegherebbero la disposi- zione a celle, poste sotto il livello del
suolo e gli schizzi delineati da (jualche artista, che nel tedio della
prigionia volle rievocare senza una direttiva pittorica immagini impure e
dar forma d'arte a sogni libertini. Oualun([ue sia l'origine di queste,
che vengono chiamate catacombe. è certo che esse furono nei primi secoli,
forse nel IV^ secolo, adibite al culto cristiano. Non ritengo la
costruzione cimiteriale, mancando qualsiasi indizio di loculo o di
pittura funeraria. Nel nucleo centrale è un pozzo, poco profondo, in cui è
perenne una fresca lama d'acqua. Questo può spiegare la destinazione che
dai primi cristiani venne data a questi sotterranei, qualunque sia la
loro origine. A mio parere essi dovettero servire di battistero in tempi
di per- secuzione. Infatti non è spiegabile con l'ordinario uso degli
edifici di culto la presenza del pozzo nella parte centrale della chiesa
sotterranea. Inoltre la poca profondità del fondo, la presenza
ininterrotta di una fresca lama d'acqua e le traccie di alcuni fori, per cui
mediante tavole potevano i convertiti scender s^nù nell'acqua, rendono
attendibile questa destinazione, la quale ha molti riscontri e molte
analogie colle prime forme battisteriali. Ai primi tempi del
cristianesimo non aveasi altri battisteri che le rive dei fiumi e le
fontane. Ancor oggi nella prigione Mamertina a Roma ARTE PREROMANICA
esiste il [)ozzo miracoloso, in cui, secondo un'antica tradizione, S.
Pietro e S. I^iolo battezzarono i loro (guardiani. In alcuni battisteri
])riniiti\'i rac(iua era fornita da pozzi come nelle catacomlje di S.
balena o da sorbenti naturali come in ([uelle di Priscilla e di
Callista. I*\i solo colla cessa/ione delle persecuzioni al tempo di COSTANTINO
che si commcia a costrurre battisteri snò dio, editici s[)eciali, che non
differivano dalle chiese propriamente dette se non per la loro
destinazione. La cripta di S. .Sahatore forse in oriu-ine ebbe
altra inxocazione, oiacchè era fre([uente dedicare i battisteri al
precursore di Cristo. Ad Avanzi di \ille romane in Cagliari.
ot^ni modo ciò che non |)U() essere messo in dul)bio si è che i
sotter- ranei di S. Salvatore, per le forme costruttive, i)er le pitture
e per le iscrizioni costituiscono un monumento d'arte cristiana di
rrancle interesse e merita uno studio ampio e speciale più di (pianto io
abbia fatto in questi cenni brevi e riassuntivi. L'oratorio di
S. Giovanni d'Assemini fu ancor esso elevato con forme costruttive
bizantine, come può desumersi da un'attenta disamina. La più antica
memoria riflettente questa chiesetta si conserva in un diploma
dell'archivio Capitolare della Chiesa di S. Lorenzo di Genova, con cui
Trogotorio di Gunale, giudice di Cagliari, e suo figlio Costan- tino
concedono nel 1108 alla Cattedrale di Genova la Chiesa di S. Gio- vanni e
rinnovano la promessa annua di una libra d'oro: Ego Indice Trogotori de
Giinali cinti, filio meo doninu Costantini fazo dista carta prò S.
Ioaiinc de Arseiuin, qui dabo ad sancto Lanreìizio de lamia prò
Deus et prò anima mca ecc. ecc. La facciata non ha niente di notevole ed
è posteriore alla fonda- zione della Chiesa. Nell'interno due navate
larghe m. 2,00 disimpegnano Idinha di Atilia Pnmptilla in
Cagliari. per mezzo d'arcate quattro cappelle. All'incrocio delle due strette
navate formanti una croce greca a braccia eguali s'imposta sopra un
tamburo a sezione quadrata una piccola volta a bacino. Anche in questa
chiesa dobbiamo distinguere il nucleo originario dalle posteriori
costruzioni; queste sono costituite dalle quattro cappelle, che, coperte
da un rozzo tetto a vista, sono appiccicature evidenti e per la diversa
struttura muraria e per non essere collegate organicamente ai muri
antichi. ToLA, Cod. Dipi.] Eliminando queste aggiunte risultano in
modestissime proporzioni le stesse forme bizantine della chiesa di S.
Giovanni di Sinis e di S. Sa- turnino in Cagliari. Nell'altare è
murata un'iscrizione in caratteri greci, che porta imo sprazzo di luce
sulla chiesetta. E contornata da una doppia fascia di perline in rilievo,
che attesta come facesse parte di qualche monumento, probabilmente
sepolcrale, dedicato alle persone in essa ricordate. Trascrivo
l'interpretazione fattane dal Prof. Taramelli: Anlìteatro romano in
Ca.uliari. O Signore, abbi pietà del tuo servo Torcotorio, arconte
di Sardegna e della serva Gè ti '.''Lo Spano ed il Martini ritennero —
erroneamente come vedremo in appresso — trattarsi del Torcotorio, che
governò il giudicato di Ca- gliari dal 1108 al II 29 e che donò la chiesa
di S. Giovanni d'Assemini al Duomo di Genova. A pochi metri
dell'oratorio di S. Giovanni sorge la Chiesa Parroc- chiale di S. Pietro,
che contiene fra le sue mura alcuni frammenti deco- rativi bizantini e
sulla soglia ha incisa la seguente inscrizione in carat- [Taramelli,
Iscrizioni Bizantine della Chiesa di S. Giovanni e della Chiesa Par-
rocchiale d' Assemini in Notizie degli Scavi, fase. 3. teri greci, la
quale ricorda probabilmente l'erezione e la dedicazione di detta
chiesa, che è ancora oggi sotto l'invocazione di S. Pietro: In
nome del Padre, del figlio e dello Spirito Santo, io Nispella Ochote
(co- strusse il tempio) in onore dei Santi corifei gli apostoli
Pietro e Paolo e S. Giovanni Battista e della l^ergine martire
Barbara, affinchè per le loro preghiere dia a me il Signore la,
liberazione dei peccati. Anche quest' iscrizione venne dallo
Spano attribuita al Torcotorio del XI se- [Erma bacchica di fronte.
In un mio studio sulla chiesa di S. Saturnino di Cagliari '*
trattando ac- cidentalmente di queste epigrafi, le ri- tenni
anteriori al mille. Infatti le lettere, elegantemente incise, ed i pochi
motivi ornamentali sono sufficienti a determinare forme stilistiche
molto più antiche delle romaniche del mille e dei secoli susse-
guenti. Inoltre la carica di protospathariìis, che si riscontra in un'altra
iscrizione coeva di Villasor, indica ancora una sog- gezione alla
corte di Bisanzio non concepibile nel Torcotorio della seconda metà del
XI secolo, che nei suoi atti ed in ispecial modo nella donazione fatta
ai Testa di Sileno.(i| 1). SCANO, Im Cliicsa di S. Satuvìiiuo in
Ihillrltiìio /ìiò/ioorajìco Sardo, \-o\. Ili, Cagliari, Unione
Sarda. monaci di Monte Cassino esercita la sua podestà come CJiudice e
Re libero da ogni ingerenza anche nominale dell'impero. Un'altra
consi- derazione distrugge l'attribuzione dello Spano e cioè il
Torcotorio men- zionato nell'iscrizione d'Assemini avea per moglie
Nispella, mentre quello del mille avea per consorte Vera, la pia donna,
che indusse prima il marito e poscia il figlio suo Costantino a larghe e
ricche concessioni verso gli ordini monastici ed in isj)ecial modo verso
i monaci di S. Vit- tore di Marsiglia: Eoo iìidigi Trocodori de Ugnnali
C(im imiliei'i mia Doìnia \ 'era et cnui filin uieiL noìiìiii
Costaiitìjm '.Queste conclusioni vennero confermate di recente dagli
studi dei Professori Solmi e Tarameli i, che pervennero a risultati
interessantissimi per la storia medioevale della Sardegna.
Negli scavi eseguiti venti anni or sono dal Vivanet presso
l'antica chiesa di S. Nicolò di Donori insieme ad interessanti
resti di materiale epigrafico d'età romana, vennero fuori frammenti
decorativi ed iscrizioni greche, che furono oggetto di un recente
ed interessante studio del Taramelli, che at- tribuì queste ultime ad
iscrizioni funerarie assai eleganti, di persone elevate,
probabilmente del IX o X secolo. In una casa privata di Mara sono
due bassorilievi marmorei, recanti croci greche incluse in cerchi, di
fattura l)izantina, e nel fianco della chiesa parrocchiale è murata una
piccola scultura marmorea molto corrosa, rappresentante una figura d'uomo
vestite; di lunga tunica manicata, figura che per quanto rovinata accenna
ad epoche ed a forme bizantine. Le iscrizioni della distrutta
Chiesa di S. Sofia fra Decimoputzu e [Erma di Bacco \i.sta di
fianco. [ToLA, Cud. Dipi. Sardo. Villasor presentano grande analogia coi
frammenti di S. Giovanni di Assemini e per la forma delle lettere e per
la decorazione a perline. Faccio mie senz'altro le considerazioni
esposte dal Taramelli nello studio sovradetto: « Due delle iscrizioni
sono sopra una coppia di mensole « decorate da un ramoscello di fiori a
voluta, alla loro estremità; l'altra « più lunga è incisa sopra due
robusti listelli di marmo, decorati da una « doppia fascia di perline e
nodetti, i quali come quello della iscrizione di S. Giovanni d'Assemini
potevano far parte o della decorazione della porta o di un ambone o
d'altro monumento eretto in quella chiesa « dalle persone
ricordate « dall'iscrizione e per il « motivo decorativo come per
lo stile ricordano il fregio dell'am- « bone del Duomo di Torcello,
riferito al secolo X circa, alla quale età può convenire la '<
grafia dell'epigrafe, elegante ma alquanto incerta. Trascrivo,
tradotte, queste iscrizioni: O Signore, abbi pietà dei
servi di Dio, Torco- torio, reale protospatario, e di Satusio,
uobilissi)}ii arconti nostri, così sia. Ricordati anche o Signore del tuo
servo Ozzoccorre. Signore abbi pietà del tico servo Unnspete e della
consorte di Ini Soreca. È d'aggiungersi infine a questo bel nucleo di
documenti epigrafici e decorativi di carattere bizantino la seguente
iscrizione, conservantesi nell'altare della chiesa parrocchiale di S.
Antioco: O Signore abbi pietà del tuo servo Torcotorio, protospatario e
di Salusio arconte e della moglie [Ni spella. Sarcufago romano nel Museo
di Cajj;liari. [Taramelli, Iscrizioni Bizantine ecc. ecc. In una parete
esterna della chiesa è murato un bassorilievo, che reca una porzione di
figura umana, vista di fronte, con lunsj^a tunica a maniche, con colletto
ornato e con larga fascia al petto (i). Da (|uest() non indifferente
materiale epigrafico rinvenuto in una ristretta porzione dell'isola il
Prof. Solmi pervenne col suo fine discerni- mento di storico e di critico
a congetture, che sono sprazzi di luce nel buio che avvolge
l'ori- gine dei giudicati '^l, Fiondandosi
nell'avvicenda- mento del nome di Torcotorio a quello di Salusio.
il Solmi distingue il nome personale del giudice dal lìome pubblico
o di governo. Mentre ([uesto è sempre identico, Torcotorio o Sa-
lusio, invece, il nome personale, che talora si identifica col nome
di governo, può essere qualche volta da cjuesto essenzialmente
diverso. E questo avvicendamento dei due nomi , (qualunque
sia quello privato che abbia il giudice, permette insieme al contenuto
delle iscrizioni bizantine d'integrare la serie dei giudici, iniziandola
col Torcotorio, im- periale protospatario e arconte di Sardegna,
ricordato nell'iscrizione di S. Giovanni d'Assemini. A questi, che ebbe
per moglie Geti e che regnò probabilmente intorno alla metà del X secolo
succedette il figlio Salusio, già aggregato, come risulta dalle
iscrizioni di S. Sofia al trono del padre, ed [Testa di Bacco. |i)
A. Taramelli, Iscrizioni nizantìne ecc. ecc.Solmi, Le carte volgari dell'
Arcliivio Arcivescovile di Canliari, I-'irenze, Tip. Ga lileiana, pag.
69. erede poi dei suoi titoli e del suo potere. Sulla fine del X secolo e
nei primi decenni del seguente governò il giudicato di Cagliari il
Torcotorio della lapide di S. Antioco, marito a Sinispella e
contemporaneo di S. Giorgio di Snelli, Con Mariano Salusio, menzionato in
una carta greca di S. Vittore di Marsiglia, s'inizia la serie
dei giudici precedentemente ac- certati dagli storici sardi. Questi
risultati confermano il lento ed amichevole distacco dalla Sardegna
dalla dominazione di Oriente. L'ultimo ricordo di un'effettiva
dipendenza da Bisanzio appartiene all'anno 687 e mostra l'esarca
residente in Ceuta, ancora a capo di un « Africauìis excr- citìts »
e di im exercitiis de Sardinia, costituito come corpo distinto entro l'esarcato
africano. Caduta Cartagine e Ceuta, scrive Solmi, agli ultimi del VII
secolo e mancati così gli ultimi
centri dell'antico esarcato d'Africa, l'impero Greco « lasciò in pieno
abbandono anche l'isola, che n'era parte, separata ormai « da un ampio
mare, che divenne il « campo pericoloso delle imprese saracene; ne più la
flotta greca varcò oltre « le coste della Sicilia, dove si accentrò
« l'estrema punta occidentale del dominio bizantino. Il duca di Cagliari
« restò a capo deWe.rerciins Sardiniae « sotto la signoria nominale
dell'impero f. greco; si vestì forse dei pomposi titoli « delle
alte magistrature bizantine, ma in realtà divenuta la soggezione vuota
apparenza, resa ereditaria la carica, ogni rapporto coll'impero «
bizantino venne ad essere illanguidito e sui primi anni del secolo VIII la
Sardegna sembra restare esclusa dall'organizzazione tematica Orien- «
tale e interamente libera da o^ni dominazione di Bisanzio ». Madonna detta
di nel Duomo di C; Onesto per i ris^r.ardi storici; dal punto di
vista dell'arte i numerosi tVainnieiui l)i/antini. ai ([uali fino ad ora
non si dette importanza alcuna, le Chiese di S. Ciio\anni di Sinis, di S.
Giovanni d'Assemini. di S. Sofia Chiesa di S. Ciiovaimi di Sinis
(tìanci)!. di \'iilas()r, di S. Stefano di Maracala^-onis, di S.
Antioco di Sulcis, di S. Saturnino di Cagliari, sfui^i^ite alle
indai:rini de-^ii studiosi, attestano un Chiesa di S. (Giovanni di Sinis i
abside). periodo architettonico bizantino, che <^ià si presenta
intenso e che lo sarà ma}j^_t(iormente, quando con indai^ini sistematiche
si procederà allo studio di tante strutture ora nascoste sotto
gl'intonaci e gli stucchi seicentisti I Altri franinienti bizantini rinvenni
nel paramento della chiesa inedioevale di .S. Gemi- nano in
Saniassi. D. ScANo — storia dell'Arte in Sardegna. Né poteva esser
altrimenti e le conclusioni storiche che traggonsi dalle iscrizioni
bizantine e le congetture che su di esse e su altre prove poterono
formarsi, rendono attendibile quest'influsso e questo fiorimento d'arte
bizantina nell'isola, che non poteva sottrarsi alle manifestazioni di
vita dell'impero che la congiungeva al mondo latino. Queste forme
greche perdurarono anche (juando venne a mancare la effettiva, se non
nominale, dipendenza agli imperatori d'Oriente. Discendenti dagli
arconti o patrizi della corte di Bisanzio, i giudici conservarono negli
atti ufficiali colle cariche bizantine le forme diploma- tiche e la
lingua greca; e come queste forme si mantennero fino al XI secolo, così
anche gli allievi ed i discendenti degli artefici greci conservarono le norme
costruttive bizantine, fino a quando si dischiuse per la Sardegna una
nuova fase col rinnovamento, che prorompe nel XI secolo al contatto delle
fresche energie delle civiltà di Pisa e di Genova. Placido Cherchi.
Keywords: implicature sarda, filosofia sarda, etnos, etnicicita italiana,
sardegna non e parte d’Italia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cerchi” – The
Swimming-Pool Library
Grice
e Cheremone: l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza.
Filosofio italiano. Cheremone di Alessandria. Cheremone di Alessandria è
un filosofo Italiano. Cheremone, figlio di Leonida, e sovrintendente della
porzione della biblioteca di Alessandria che si trova nel Serapeo e, in quanto
custode e commentatore dei libri sacri, appartene ai più alti ranghi del
sacerdozio. E convocato a Roma, con Alessandro di Aegae, per diventare tutore
di Nerone. Può essere identificato con il Cheremone che accompagna Elio
Gallo, prefetto d'Egitto, in un viaggio nell'entroterra. E autore di una Storia
dell'Egitto, di opere sulle comete, sull'astrologia egizia e sui geroglifici,
oltre ad un trattato grammaticale. Tuttavia, di queste opere, non restano che
frammenti. Notevoli, dall'opera sui geroglifici, 14 frammenti, riportati
soprattutto da Porfirio, che se ne serve ampiamente nel De abstinentia e nella
sua Lettera ad Anebo. Cheremone descrive la religione come una mera
ALLEGORIA del culto della natura. In tale direzione, il suo principale
obbiettivo e quello di descrivere i segreti simbolici e religiosi. Si veda la
lettera dell'imperatore Claudio, in Corpus Papyrorum Iudaicarum, ICambridge,
Suda, s.v. "Alessandro Egeo". ^ Strabone, XVII, 806C. ^ Flavio
Giuseppe, Contro Apione, Tradotti e commentati in I. Ramelli, Allegoristi
dell'età classica. Opere e frammenti, Milano, Bompiani, Horst, Chaeremon,
Egyptian Priest and Stoic Philosopher. The fragments collected and translated,
Leiden, Brill, Ramelli, Giulio Lucchetta, Allegoria. L'età classica, Milano,
Vita e Pensiero, Ramelli, Allegoristi dell'età classica. Opere e frammenti,
Milano, Bompiani, Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana; Cheremone, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, V · D · M Grammatici greci antichi Portale Antico
Egitto Portale Biografie Portale Ellenismo Categorie:
Filosofi egiz iStorici iFilosofi Storici Capo-bibliotecari della biblioteca di
Alessandria Grammatici egiziani Grammatici greci antichiStoici. Ceremone.
Grice e Chiappelli: l’implicatura
conversazionale dell’academici – Cicerone e il segno di Marte – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Pistoia). Filosofo italiano. Grice: “One
of my most recent reflections is on the distinction and striking parallelisms I
draw between the Athenian dialectic – best represented in Raffaello’s “La
scuola di Atene” at Rome – and the Oxonian dialectic – but represented in those
reeky meeting at the Philosophy Room at Merton – or better, my Saturday
mornings at St. John’s with Austin! Chiappelli provides us with a most
brilliant hermeneutic of the iconography in Raffaello’s painting – Strawson
tried to emulate him with some caricatures of Austin, Grice, and the rest of
the Play Group – but his doodlings ccouldn’t compare!” Figlio del fisiologo
Francesco C., zio del pittore omonimo, si laurea in lettere e filosofia
all'istituto superiore di Firenze ed inizia la carriera universitaria a Napoli,
dove è stato titolare della cattedra di storia della filosofia e incaricato
dell'insegnamento di pedagogia e direttore dell'annesso museo. Ha inoltre
insegnato storia delle chiese a Pisa, Bologna e Firenze. È stato membro della
Società reale di Napoli, delle accademie dei Lincei di Roma, delle scienze di
Torino, pontaniana di Napoli e della Crusca di Firenze. Consigliere comunale a
Firenze è stato incaricato di una missione di ricerche e studi negli archivi e
biblioteche di Firenze sull'arte fiorentina del Rinascimento e membro della
commissione provinciale di Firenze per la conservazione dei monumenti e delle
opere d'arte. Altre opere: “Della interpretazione panteistica di Platone, Firenze:
Succ. Le Monnier); La dottrina della realtà del mondo esterno nella filosofia
moderna prima di Kant” (Firenze, Tip. dell'arte della stampa); “Studi di antica
letteratura cristiana, Torino, Loescher); “Darwinismo e socialismo, Roma,
Forzani e C. Tipografi del Senato); Saggi e note critiche, Bologna, Ditta
Nicola Zanichelli); “Il socialismo e il pensiero moderno, Firenze, Succ. Le
Monnier); “Leopardi e la poesia della natura” (Roma, Alighieri); “Leggendo e
meditando. Pagine critiche di arte, letteratura e scienza sociale, Roma,
Società editrice Dante Alighieri); “Nuove pagine sul cristianesimo antico, Firenze:
succ. Le Monnier); “Pagine d'antica arte fiorentina, Firenze, Lumachi); “Dalla
critica al nuovo idealismo, Torino, Bocca); “Pagine di critica letteraria,
Firenze, Le Monnier); “Idee e figure moderne, Ancona, Puccini). Dizionario
biografico degli italiani. Crusca. Cicerone affronta e sviluppa la problematica
semiotica in due importanti ambiti della sua produzione teorica: le opere di
argomento retorico; le opere che parlano dei se gni divinatori. Se prendiamo
in considerazione il primo di questo ambi to, possiamo osservare che
l'interesse per i segni non è ugualmente centrale in tutti i testi. Infatti, da
una parte, ci sono il De oratore, I'Orator, il Brutus, il De optimo genere
oratorum che affrontano una problematica a carattere so cio-politico, volta a
definire la figura deli'oratore perfetto, il suo ruolo nella società romana, la
sua posizione rispetto alla scuola attica e a quella di Pergamo; in queste
opere tut to ciò che costituisce l'apparato tecnico tradizionale della
retorica (e con esso anche la problematica sui segni e sulle prove indiziarie)
appare non tanto trascurato, quanto dato per scontato: esso si confi:ura come
un vasto campo di competenza che rimane implicito sullo sfondo e affiora
solo nei termini di un uso personalissimo che ne fa l'autore, in prima persona
o attraverso i personaggi del dialogo. Dall'altra parte ci sono, poi, il De
inventione, le Partitio nes oratoriae e i Topica, opere molto diverse tra
loro, ma accomunate dalla caratteristica di prendere in considerazio ne e di
sistematizzare la gran massa delle nozioni che com pongono l'apparato tecnico
della retorica. Un limite di que ste opere, in generale, è rintracciabile
nella minuziosità del procedimento classificatorio, che raggiunge talvolta il
pa rossismo, come nel De inventione, e che spesso non trova un'adeguta
giustificazione teoretica. Tuttavia è proprio ali'interno di queste opere che è
dato rintracciare gli spunti e i documenti per la ricostruzione di una teoria
ciceroniana del segno. Il "De inventione" Il De inventione di
Cicerone condensa l'ampia tradizione retorica che da Aristotele giunge fino a
Ermagora: è quindi naturale che al suo interno si tro vino riprodotti alcuni
aspetti della concezione del segno che in quell'ambito si è sedimentata. In
particolare è presente la concezione del segno in forma proposizionale, come antecedente
che permette di scoprire un conseguente. Viene poi confermata l'attenzione
verso i segni involontari (l'im pallidire, l'arrossire, il balbettare
dell'imputato) come indi zi di colpevolezza. Infine compare la classica
divisione degli indizi secondo la loro relazione temporale con il fatto crimi
noso (anteriorità, contemporaneità, posteriorità). Questi i punti di contatto
con la tradizione. Ma bisogna anche dire che la classificazione dei segni
proposta da Cicerone è in larga misura diversa da quelle precedenti. Essa ap
pare infatti all'interno della teoria della argumentatio (ar gomentazione),
cioè del procedimento attraverso il quale vengono addotte delle prove per
confermare una certa tesi: "L'argomentazione sembra essere qualche cosa
che si esco gita da qualche genere e che rivela un'altra cosa in
maniera probabile (probabiliter ostendens), o la dimostra in un modo
necessario (necessarie demonstrans)" (De inv.). Anche se non viene usato
il normale lessico semiotico, ciò che è in gioco in questa definizione è proprio
il meccanismo del segno: infatti, qualcosa che è stato trovato (un indizio che
viene depositato nel dossier deli'avvocato) rinvia a qualcos'altro. Compare, a
questo punto, la distinzione (già aristotelica) tra una forza argomentativa
debole (probabili ter ostendens) e un'inferenza necessaria (necessarie demon
strans). Rinvio necessario e non necessario I segni necessari sono così
definiti: "Viene dimostrato in modo necessario ciò che non può verificarsi
né essere pro vato diversamente da come viene detto" (ibidem). Ne sono
esempi: "Se ha partorito, è stata con un uomo" (ibidem); "Se
respira, è vivo", "Se è giorno, c'è luce" (De inv.). Come
Cicerone spiega in un altro passo, in casi di questo genere l'antecedente e il
conseguente sono legati da una re lazione inscindibile (cum priore necessario
posterius cohae rere videtur, De inv.). Il rapporto di rinvio non necessario
viene poi cosi defini to: "Probabile è poi ciò che suole generalmente
accadere, o che è basato sulla comune opinione, o che ha in sé qualche
somiglianza con questa qualità, sia esso vero o sia falso" (De inv., l,
46). Con questa definizione Cicerone mette in evidenza due caratteri: (i)
quello probabilistico e (ii) quello doxastico; il primo di questi era da
Aristotele attribuito peculiarmente all'eikos (verisimile). E infatti i primi
due esempi sono di un tipo che Aristotele avrebbe classificato come eikos:
"Se è madre, ama suo figlio", "Se è avido, non fa gran caso del
giuramento" (De inv.). In essi compare anche il tipico rapporto di
generalizzazio ne che per Aristotele definisce il verosimile (Arist., Rhet.).
C'è però un terzo esempio, "Se c'era molta polvere nei calzari, era
sicuramente reduce da un viaggio" (De inv.), che non sembra dello stesso
tipo, ma è più vicino al smeion aristotelico. La categoria di signum, poi,
compare come una sottopartizione dei segni non necessari, accanto al credibile
(credibi le), ali'iudicatum (giudicato) e al comparabile (paragonabile). Se
le ultime tre nozioni appaiono distinte in base a crite ri estrinseci (e
scompariranno nelle trattazioni successive), il signum corrisponde a una
categoria di fenomeni abbastanza particolare: "Segno è ciò che cade sotto
qualcuno dei no stri sensi e indica (significar) un qualcosa che sembra deri
vato dal fatto stesso, e che può essere verificato prima del fatto, durante il
fatto, o può averlo seguito, e tuttavia ha bisogno di una prova e di una
conferma più sicura" (De inv. ). Ne sono esempi: "il sangue",
"il pallore", "la fuga", "la poivere". Si tratta,
come si vede, degli indizi, intesi come fenomeni percepibili, scarsamente
codificati e generalmente non vo lontari. Qui sono presentati in una forma non
proposizio nale; ma niente vieta che vengano sviluppati in proposizio ni,
come dimostra il caso deli'indizio "polvere": "Se c'era molta
polvere nei calzari, era sicuramente reduce da un viaggio". Gli indizi,
infine, vengono suddivisi secondo la nota relazione temporale con il fatto
criminoso. Possiamo quindi schematizzare la classificazione propo sta nel De
inventione. Le Partitiones oratoriae
sono un'opera di Cicerone nella quale la classificazione della materia
semiotica presenta alcune differenze e peculiarità rispetto al De Inventione.
Innanzitutto la terminologia si sgancia completamente da quella dei modelli
greci e viene completa mente latinizzata. In secondo luogo gli indizi (qui
chiamati RETORICA LATINA argumentatio necessaria probsbilis (quod fero
solet fiori élut quod in opi nione positum est") es.: ..
"pallore'", ..polvere" vestigiafactl) non compaiono più come
sottopartizione di un'altra categoria, ma assumono un ruolo autonomo. (·ea quae
alitar ac discuntur nec fieri nec probari pos sunt"l es . : ·se ha
partorito, è stata con un uomo'" (.,quod sub sensum aliquem cadit, et
quiddam sig nificat , quod ex ipso profectum est'") es.: ·sangue",
·ruga"', Sa è madre, ama suo fi\]lio
-- signum erodibile indicBtLm comparabile. Infine viene accettata la
distinzione aristotelica tra "luo ghi estrinseci" (corrispondenti
alle "prove extratecniche", titechnol) e "luoghi intrinseci''
(corrispondenti alle "prove tecniche", éntechno1), che veniva
criticata nel De inventione e che invece sarà sviluppata nei Topica. È curioso
notare come tra i luoghi estrinseci (sine arte) trovino posto, accanto alle
testirnonianze umane, anche quelle "divine": gli oracoli, gli
auspici, i vaticini, i responsi sacri (di sacerdoti, aruspici, interpreti
onirici) (Part. or.). Tutto ciò è sicuramente un residuo di una concezione orda
lica e antichissima deli'amministrazione della giustizia; tut tavia è anche un
indizio di un continuo riaffiorare del para digma divinatorio all'interno dei
fatti semiolici, anche quando ormai i segni si sono completamente
laicizzati. CICERONE Né questo è un caso isolato in ambito giuridico. Per
quel che riguarda la cultura greca, si ricorderà L ,orazione per /,uccisione di
Erode, in cui Antifonte così si esprimeva: "Tutto quel che era provabile
con indizi e testimonianze umane l'avete udito, ma in questo caso dovete votare
dopo aver trattato indizi anche dai segni che vengono dagli dei" (V, 81;
Lanza Il verisimile e il segno caratteristico I segni umani sono invece
trattati tra gl’argomenti intrinseci, in particolare tra quelli che riguardano
lo stato di causa congetturale. Infatti, la congettura può essere tratta da
due tipi di segni: i verisimilia e le notae propriae rerum. Il verisimile, come
dice Cicerone, è "ciò che accade per lo più" (Part. or.), come a
esempio "la gioventù è incline al piacere in modo particolare".
Questo tipo di segno corri sponde ali'eik6s aristotelico, di cui ha il
carattere probabili stico e generalizzante. La nnta propria rei viene definita
come "una prova che non si verifica mai direttamente e indica una cosa
certa, co me il fumo indica il fuoco" (Part. or.). Si tratta, evi
dentemente, del segno necessario, come è dimostrato anche dall'esempio e
dall'uso dell'aggettivo proprius, che riman da alla nozione di fdion semeion
(segno proprio). Per Ari stotele il segno proprio era la caratteristica
specifica di un certo genere, come, ad esempio, il fatto che i leoni avessero
grandi estremità, segno del coraggio (An. Pr.). Per le scuole postaristoteliche
il segno proprio aveva carat tere di necessità e si definiva come quel segno
che non può esistere se non esiste la cosa a cui rimanda (Philod., De signis).
Ci sono, poi, i vestigia facti, dei quali vengono dati questi esempi:
"un'arma, macchie di sangue, grida, lamenti, imbarazzo, alterazione del
colorito, discor so contraddittorio, tremore [...], gli indizi materiali della
premeditazione, le confidenze sulle intenzioni delittuose, le risultanze
visive, uditive, rivelate" (Pari. or.). Cicerone non definisce QUf)tO tipo
di segni, se non dicendo che si tratta di ''fenomeni avvertibili con i
sensi", caratteristica condivisa anche dai signa del De inventione, in
cui ricorrono esempi analoghi, e dagli argumenta di Cornificio (Rhet. adHer.).
I commentatori si sono chiesti se i vestigiafacti siano più in relazione con le
“notae propriae rerum” o con il “verisimile” (Crapis). In realtà questa sembra
una categoria abbastanza autonoma non avendo la necessità dei primi, ma nemmeno
le caratteristi che degli ultimi. È plausibile che essa corrisponda alla cate
goria dei semefa aristotelici, diversi tanto dai tekmoria quanto dagli eik6ta.
Da un altro passo delle Partitiones oratoria, dove ricorrono esempi analoghi, i
vestigiafacti (chiamati lì anche signa) vengono definiti come consequentia,
cioè inferenze che si traggono dal conseguente, caratteristica che definiva
appunto, per Aristotele, i segni non necessari. Ma mentre Aristotele condannava
i semefa da un punto di vista episte mologico per la loro insicurezza,
Cicerone è pronto a rico noscerne l'efficacia qualora si presentino in gran
numero (coacervata proficiunt, 40). Possiamo quindi schematizzare la
classificazione cicero niana nelle Partitiones oratoriae. Le opere sulla
divinazione Molte cose collegano la retorica giudiziaria alla divina zione.
Innanzitutto il fatto che entrambe si avvalgano dei segni per arrivare alla
conoscenza di fatti non direttamente accessibili alla percezione. In secondo
luogo, in entrambe viene operata una distinzione tra aspetti che sono eminente
mente congetturali e altri aspetti che sono invece naturali o trt•)
(sensu percipi potest) es .sangue - uccisione· es.: adolescenza inclinazione
alla libidine coniecturs verisimilie
(quod plerumque rta notse proprise rerum (quod numquam alrter frt certumque
declarat) es.: '"fumo-fuoco· vestigia fecti o signa dati: alla dicotomia
retorica tra prove tecniche (o congettu rali) e prove extratecniche
corrisponde la distinzione tra di vinazione artificiale (basata
sull'interpretazione e sulla con gettura) e divinazione naturale. Infine, come
Cicerone pole micamente rileva (De div), i segni della divinazione sono
talvolta interpretati in maniera diametralmente oppo sta, proprio come avviene
nel processo, in cui l'accusa e la difesa propongono dello stesso fatto due
interpretazioni di verse ed entrambe plausibili. Ma Cicerone apprezza i metodi
deli'indagine giudiziaria, mentre nutre una diffidenza enorme nei confronti
della di vinazione. In linea, infatti, con un vasto gruppo di intellet tuali
della sua epoca, educati ai metodi di indagine della fi losofia greca, a
fondamento razionalistico, e contempora neamente impegnato in politica, sente
l'esigenza di operare una distinzione netta tra religione e superstizione, di
cui la divinazione fa, per lui, parte. La religione appartiene alla più antica
tradizione romana e, posta come è ai fondamenti dello stato, deve essere
conservata, pena la disgregazione dello stato stessso; la superstizione,
invece, costituita dal coacervo degli elementi spuri che inquinano e rendono
poco credibile la religione stessa, dev'essere respinta, anche per ché non
venga limitata la libertà del cittadino romano nel suo impegno di gestione
della repubblica. Cicerone affronta questi argomenti nel De natura deo
rum, nel De fato e, soprattutto, nel De divinatione. Que st'ultima opera è
scritta in forma di dialogo tra l'autore e il fratello Quinto, il quale difende
l'arte divinatoria basandosi sulle teorie storiche che legavano la divinazione
all'esistenza degli dei. Le osservazioni di Cicerone contro la teoria soste
nuta da Quinto sono particolarmente interessanti perché costituiscono una vera
e propria critica a un meccanismo semiotico settoriale e contribuiscono, in
negativo, a una concezione generale del segno. Secondo la teoria di Quinto, gli
dei si pongono come fon te dell'informazione e come emittenti nei processi di
comu nicazione divinatoria, dei quali gli uomini sono i destinata ri. Ma, a
seconda dei due specifici tipi di divinazione, il pro cesso comunicativo si
struttura in modo differente. Il primo tipo è costituito dalla divinatio
artificialis, in cui l'interpretazione dei segni è legata a un'ars, ovvero a
una tecnica professionale di decriptazione, demandata a specia listi, ciascuno
esperto in un settore: extispices (esaminatori delle viscere), interpretes
monstrorum et fu/gurum (inter preti dei fatti prodigiosi e dei fulmini),
augures (interpreti del volo degli uccelli), astrologi (interpreti delle
stelle), in terpretes sortium (interpreti delle combinazioni di tavolette
mescolate in un'urna ed estratte a caso). In tale divinazione l'informazione
proveniente dalla divinità si materializza prima di tutto in una sostanza
espressiva percepibile, a cui l'ars permetterà di abbinare un contenuto
semantico. I presupposti su cui si basano le interpretazioni di questo tipo
sono dati dalla teoria, di origine stoica, secondo cui tutti i fenomeni sono
legati tra di loro in una catena di cau se ed effetti, senza soluzione di
continuità. Questa catena che ha come fondamento primo il /6gos divino e
costituisce il fato (heimarméne), non è conoscibile per intero da parte degli
uomini, dato che l'onniscienza è prerogativa della sola divinità (De div.).
Tuttavia viene prevista l'esistenza di un tempo ciclico che "può essere
paragonato con lo srotolarsi di una gomena, in quanto non dà mai luogo a fatti
nuovi, ma ripete sempre quantoprimaèaccaduto"(Dediv.,l, 127).Questofasìche
gli uomini, attraverso l'osservazione attenta, colgano il mo do in cui gli
eventi si ripetono e, pur non potendo conoscere direttamente le cause, possono
però arrivare a coglierne gli indizi caratteristici (signa tamc.z causarum et
notas cernunt) (ibidem). Dato poi che è possibile tramandare memoria dalle con
nessioni passate, si crea un vero e proprio codice basato sul la iteratività.
Si può schematizzare così il processo: emittente divino-segni di cause-eventi
futuri codice basato sulla iterattività La divinazione "naturale" Il
secondo tipo di divinazione è quello definito naturalis, in quanto indipendente
da qualunque tecnica professionale, ma derivante piuttosto da una diretta
ispirazione divina, senza passare attraverso la mediazione di un segno esterno.
Fanno parte di questo tipo le forme di preveggenza derivan ti da invasamento
profetico, cioè le vaticinationes e quelle derivanti dai sogni. Il palinsesto
filosofico ·a cui è legato questo secondo tipo di divinazione è quello delle
teorie peri patetiche (Dicearco e Cratippo vengono esplicitamente no minati,
De div. , II, 100), secondo le quali l'anima, per il suo legame naturale con la
divinità, una volta che sia spinta da una divina follia o sciolta, nel sonno,
dai vincoli che la legano al corpo, partecipa direttamente della conoscenza del
dio. Il ruolo del codice è in questo caso ridotto, se non addirittura
sostituito da una parziale identificazione tra emittente e ricevente, secondo
lo schema: RETORICA LATINA emittente divino - segno interno - evento
futuro .... ricevente umano 9.2.3 .3 Critiche "semiologiche" contro i
segni divinatori Le obiezioni che Cicerone muove ai sostenitori della divi
nazione si basano su argomenti specificamente semiotici. La tesi generale,
mediante la quale Cicerone nega valore alla divinazione, è che essa non abbia
veramente carattere semiotico, e cioè che i fenomeni che essa interpreta come
se gni non siano veramente tali, ovvero che non si comportino veramente come
degli antecedenti rispetto a dei conse guenti. Per distinguere i segni veri
rispetto a quelli presunti della divinazione, Cicerone istituisce un paragone
tra le tecniche scientifiche (come la medicina, la meteorologia, la nautica, la
tecnica previsionale del contadino e deli'astronomo) e la divinazione. In
entrambi i casi è in gioco la predizione del futuro a partire da certi indizi;
ma, mentre le pratiche pro fessionali adottano una vera e propria metodologia
che comporta "scienza (ars), ragionamento (ratio), esperienza (usus) e
congettura (coniectura)" (De div. , II, 14), le prati che divinatorie si
basano sul "capriccio della sorte, tanto che nemmeno la divinità sembra
che possa avere, fra le sue prerogative, quella di sapere quali fatti il caso
farà accade re" (De div., II, 18). Questa opposizione tra ciò che, in
definitiva, è il codice (anche se 1si tratta di legami naturali basati sulla
frequenza statistica) e il caso è del resto la stessa con cui i medici ip
pocratici tendevano a distinguere la propria scienza profes sionale dalla
divinazione e dalla medicina magica (Antica medicina, cap. XII). Cicerone poi
si sbarazza in termini razionalistici della teoria secondo cui anche nel caso
della divinazione tecnica si farebbe appello ali'osservazione iterata delle
coincidenze, ritenendola ridicola e insostenibile (De div., II, 28). Ma ci sono
altri gravi difetti che la divinazione presenta dal punto di vista semiotico:
(i) le interpretazioni di uno stesso segno sono spesso diametralmente opposte
(De div. , Il, 83); (ii) si verificano frequentemente fenomeni di falsa
identificazione dell'antecedente, per cui un certo evento non è connesso a
quello individuato come segno prodigio so, ma a ben diverse cause naturali (De
div., II, 62); (iii) l'interpretazione avviene a posteriori e così toglie ogni
ne cessità di rapporto tra antecedente e conseguente (De div.); (iv) in certi
casi l'interpretazione è motivata da ra gioni di faziosità politica e quindi è
priva di oggettività (De div.). Cicero composed this treatise immediately after
that on the Nature of the Gods; the two subjects being indeed very
closely connected. In the first book all kinds of divination are represented as
maintained by his brother Quintus, on the principles of the Porch. It is an old
opinion, derived as far back asfrom the heroic times, and confirmed by the
unanimous agreement of the rather superstitious Roman people, and indeed of
other nations, too, that there is a species of divination in existence
among men, which the Greeks call “xarrt/c^,” that is to say, a
presentiment, and foreknowledge of future events. A truly splendid and
serviceable gift, if it only exists in reality; and one by which our mortal
nature makes its nearest approach to the power of the gods. Therefore, as
we have done many other things better than the Greeks, so, most
especially have we excelled them in giving a name to this most admirable
endowment, since our nation derives the name which it gives to it,
“divination,” from the gods (“divis”), while the Greeks derive
the title which they give it, namely,
“juavn/cr/,” from madness (juai'ia). For
that is Plato's interpretatin of the
word. Now, as far as I know,
there is no nation whatever, how ever
polished and learned, or however barbarous
and un civilized, which does not
believe it possible that future events
may be indicated, and understood, and
predicted by certain persons. In the
first place the Assyrians, that I may
trace back the authority for this
belief to the most remote ages and
countries, as a natural consequence of
the champaign country in which they lived,
and of the vast extent of their
territories, which led them to observe
the heavens which lay open to their
view in every direction, began to
take notice also of the paths and
motions of the stars; and having
taken these observations for some time,
they handed down to their posterity
informa tion as to what was indicated
by their various positions and
revolutions. And among the Assyrians, the
Chaldaeans, a tribe who had this name
not from any art which they professe,
but from the district which they
inhabited, by a very long course of
observation of the stars are considered
to have established a complete science,
so that it became possible to predict
what would happen to each individual,
and with what destiny each separate
person was born. The Egyptians also
are believed tohave acquired the knowledge
of the same art by a continued
practice of it extending through countless
ages. But the nature of the Cilicians
and Pisidians, and the Pamphylians, who
border on them, nations which we ourselves
have had under our government,1 think
that future events are pointed out by
the flight and voices of birds as
the surest of all indications. And
when was there ever an instance of
Greece sending any colony into yEolia,
Ionia, Asia, Sicily or Italy, without
consulting the Pythian or Dodonrean oracle,
or that of Jupiter Hammon? or when
did that nation ever undertake a war
without first asking counsel of the
Gods 1 Nor is there only one kind
of divination celebrated both in public
and private. For, (to say nothing of
the practice of other nations.) how
many different kinds have been adopted
by our own people. In the first
place, the founder of this city,
Romulus, is said not only to have
founded the city in obedience to the
auspices; but also to have been himself an augur of the highest
reputation. After him the other kings also had recourse to soothsayers;
and after the kings were driven out,
no public business was ever transacted,
either at home or in war, without
reference to the auspices. And as
there appeared to be great power and
usefulness in the system of the
soothsayers (haruspices),2 in reference to
the people's succeeding in their objects,
and consulting the Gods, and arriving
at an understanding of the meaning of
prodigies and averting evil omens, they
introduced the whole of their science from
Etruria, to prevent the appearance [Cicero had been proconsul
of Cilicia, and had gained a very
high reputation by the integrity andenergy which he displayed
in that government. Aruspex is derived
from the Greek word Ifptiv, and
specio, to behold, because the Aruspex
prophesied from the omens which he
drew from an inspection of the
entrails of the victims. Augur, from avis, and garrio, to chatter;
because the omens were drawn from the
noise made by the birds in their
flight of allowing any kind of
divination to be neglected. And as
men's minds were often seen to be
excited in two manners, without any
rules of reason or science, by their
own mere uncontrolled and free motion,
being sometimes under the influence of
frenzy, and at others under that of dreams,
our ancestors, thinking that the divination
which proceeded from frenzy was contained
chiefly in verses of the Sibyl,
ordained that there should be ten
citizens chosen as interpreters of these compositions.
And in the same spirit they have
also, at times, thought the frantic
predictions of conjurors and prophets worth, attending
to; as they did in the Octavianl war in the case
of Cornelius Culleolus. Nor indeed have
men of the greatest wisdom thought it
beneath them to attend to the
warnings of important dreams, if at
any time any such appeared to have
reference to the interests of the
republic. Moreover, even in our own
time, Lucius Junius, who was consul,
as colleague of Publius Rutilius, was
ordered by a vote of the senate
to erect a temple to Juno Sospita,
in compliance with a dream seen by
Csecilia, the daughter of Balearicus.2
III. And, as I apprehend, our ancestors
were induced to establish this custom
more because they had been warned, by
the events which they saw, to do
so, than from any previous conclusion
of reason. But some exquisite arguments
of philo sophers have been collected
to prove why divination may well be
a true science. Now of these
philosophers, to go back to the most
ancient ones, Xenophanes the Colophonian
appears to have been the only one
who admitted the existence of Gods,
and yet utterly denied the efficacy
of divination. But every other philosopher
except Epicurus, who talks so childishly
about the nature of the Gods, has
sanctioned a belief in divination; though
they have not all spoken in the
same manner. For, though Socrates, and
all his followers, and Zeno, and all
those of his school, adhered to the
opinion of the ancient philosophers, and
the Old Academy and the 1 This
was the civil war in the consulship
of Cinna and Octavius, which ended in
Octavius being put to death by the
orders of Cinna and Mariu?. 2 This
was Quintus Caecilius Metellua (the eldest
son of Metellus Macedonians), who was
consul with T. Quinctius Flamininus: in
which consulship he cleared the Balearic
Isles of pirates, and founded several
cities in the islands. Peripatetics
agreed with them; and though Pythagoras,
who lived some time before these men;
had added a great weight of authority
to this belief — and indeed he himself
wished to acquire the skill of an
augur, — and though that most im portant
authority, Democritus, had in very many
passages of his writings sanctioned a
belief in the foreknowledge of future
events; yet Dicsearchus the Peripatetic, on
the other hand, denied all other
kinds of divination, and left none
except those which proceed from frenzy
or from dreams. And my own friend
Cratippus, whom I consider equal to
the most ancient among the Peripatetics,
confined his belief to the same matters,
and denied the correctness of any
other kind of divination. But as the
Stoics defended nearly every kind, because
Zeno in his Commentaries had scattered
some seeds of such a belief, and
Cleanthes had amplified and extended his
predecessor's observations; Chrysippus succeeded
them, a man of the most acute
and vivid genius; who discussed the
whole belief in, and question about
divination in two books on that
subject, and a third on oracles, and
a fourth on dreams. And he was
followed by Diogenes the Babylonian, a
pupil of his OATH, who published one
treatise on the same subject; by
Antipater, who wrote two books, and
our friend Posidonius, who wrote five.
But Pantetius, the tutor of Posidonius
and pupil of Antipater, has degenerated
in some degree from the Stoics, or
at least from the most eminent men
of that school; and yet he did
not dare absolutelyto deny that there
was a power of divina tion, but
said that he had doubts on the
subject. Now if he, aStoic, was allowed
to express a doubt on a matter
very much against the inclination of
the rest of that school, shall we
not obtain leave from the Stoics to
behave in a similar manner with
respect to other subjects'? especially when
that very question which is a matter
of doubt to Paneetius, is generally
considered a thing as clear as day
to the other philosophers of that
sect. However, this praise of the
Academy has been confirmed by the
testimony and deliberate judgment of a
most admirable philosopher. IV. Indeed,
since we are ourselves inquiring what
we are to think of divination,
because Carneades maintained a very long
argument against the Stoics with great
acuteness and variety of resource, and
as we wish to be on our guard
against admitting rashly any assertion
which is incorrect, or the truth of
which is riot sufficiently ascertained, it
appears neces sary for us to compare
over and over again the arguments on
one side with those on the other,
as we have done in the three
books which we have written on the
Nature of the Gods. For, as in
every discussion, rashness in assenting to
propositions of others, and error in
asserting such ourselves, is very
discreditable, so above all is it in
a discussion where the question for
our decision is how much weight we
are to attribute to auspices, and to
divine ceremonies, and to religion. For
there is danger lest, if we neglect
these things, we may become involved
in the guilt of blasphemous impiety,
or if we embrace them, we may
become liable to the reproach of old
women's superstition. V. Now these topics
I have often discussed, and I did
so lately with more than usual
minuteness, when I was with my
brother Quintus, in my villa at
Tusculum. For when, for the purpose
of taking walking exercise, we had
come into the Lyceum, (for that is
the name of the upper Gymnasium) — I
read, said he, a little while ago
your third book on the Nature of
the Gods; in which, although the
arguments of Cotta have not wholly
changed my previous opinions, they have
undoubtedly a good deal shaken them.
You are very right to say so, I
replied; for, indeed, Cotta himself ai'gues
rather with a view to confute the
arguments of the Stoics, than to
eradicate religion from men's minds. Then,
said Quintus, that is what Cotta
himself says, and indeed he repeats
it very often; I imagine, because he
does not wish to seem to depart
from the ordinary opinions; but still
the zeal with which he argues against
the Stoics seems to cany him on to
the extent of wholly denying the
existence of the Gods. I do not
indeed think it necessary to reply to
all he says, for religion has been
sufficiently defended in your second book
by Lucilius; whose arguments, as you
say at the end of the third
book, appear to you yourself to be
much nearer to the truth. But with
reference to the point which has been
passed over in those books, because,
I presume, you con sidered that the inquiry
into it could be carried on, and
an argument held upon it with more
convenience if it were taken separately,
I mean Divination — which is a
foreknowledge and A foretelling of those
events which arc usually considered fortuitous, —
I should like very much at this
moment, if you please, to examine
what power that science really has,
and what its character is. For my
own opinion is this; that if those
kinds of divination which we have
been in the habit of hearing of
and respecting, are real, then there
are Gods; and on the other hand
that, if there really are Gods, then
there certainly are men who are
possessed of the art of divination. You
are defending, I reply, the very
citadel of the Stoics, O Quintus, by
asserting the reciprocal dependence of
these two conditions on one another;
so that if there be such an art
as divination, then there are Gods,
and if there be such beings as
Gods, then there is such an art
as divination. But neither of these
points is admitted as easily as you
imagine. For future events may possibly
be indicated by nature without the
intervention of any God; and, even
although there may be such beings as
Gods, still it is pos sible that
no such art as divination may be
given by them to the human race.
He replied, — But to me it is quite
proof enough, both that there are
Gods and that they have a regard
for the welfare of mankind, that I
perceive that there are manifest and
undeni able kinds of divination. With
respect to which, I will, if you
please, recount to you my own
sentiments, provided at least that you
have leisure and inclination to hear
me, and have nothing which you would
like in preference to this discussion.
But I, said I, my dear Quintus,
have always leisure for philosophical discussion;
but at this moment, when I have
actually nothing whatever which I wish
to do, I shall be all the more
glad to hear your sentiments on
divination. You will hear, said he,
nothing new from me, nor do I
entertain any ideas on the subject
different from the rest of the world.
For the opinion which I follow is
not only the most ancient, but that
which has been sanctioned by the
unanimous consent of all nations and
countries. For there are two methods
of divining; one dependent on art,
the other on nature. Be.!; what
nation is there, or what state, which
is not influenced by the omens
derived from the entrails of victims,
or by the predictions of those who
interpret pro digies, or strange lights,
or of augurs, or astrologers, or by
those who expound lots (for these are
about what come under the head of
art); or, again, by the prophecies
derived from dreams, or soothsayers (for
these two are considered natural kinds
of divination) ? And I think it
more desirable to examine into the
results of these things than into the
causes. For there is a certain power
and nature, which, by means of
indications which have been observed a
long time, and also by some instinct
and divine inspiration, pronounces a judg
ment on future events. So that Carneades
may well give up pressing what
Pansetius used also to insist upon,
when he asked whether it was Jupiter
who had ordained the crow to croak
on the right- hand, or the raven
on the left. For these occurrences
have been observed for an immense
series of time, and have been
remarked and noted from the signification
given to them by subsequent events.
But there is nothing which a great
length of time may not effect and
establish by the use of memory
retaining the different events, and handing
them down in durable monuments. We
may wonder at the way in which
the different kinds of herbs and
roots have been observed by physicians
as good for the bites of beasts,
for complaints of the eyes, and for
wounds, the power and nature of which
reason has never explained, but yet
both the art and inventor of these
medicines have gained iiniversal approval
from their utility. Let us also look
at those things which, though of
another kind, still have a resemblance
to divination. And often, too, the
agitated sea Gives certain tokens of
impending storms, When through the deep
with sudden rage it swells, And the
fierce rocks, white with the briny
foam, Vie with hoarse Neptune in
their sullen roar, While the sad
whistlins o'er the mountain's brow Adds
horror to the crash of the iron
coast. And all your prognostics are full
of presentiments derived from occurrences
of this sort. Who, then, can
trace back the causes of these
presentiments 1 Though, indeed, I
am aware that Boethus the Stoic has
endeavoured to do so. And indeed he
has done some good to this extent,
that he has explained the principle
of those occurrences which take place
iu the sea, or in the heaven.
But still, who has ever explained,
with any appearance of probability, why
they take place at all 1 And
the white gull, uprising from the
waves, With horrid scream foretells th'
impending storm, Straining its trembling
throat in ceaseless cry. Oft, too,
the woodlark from his chest pours
forth Notes of unusual sadness, wnking
up The morn with grievous fear and
endless plaint. When first Aurora routs
the nightly dew, Sometimes the dusky
crow runs o'er the shore, Dipping its
head beneath the rising surf.1 IX.
And we see that these signs of
the weather scarcely ever deceive us,
though we certainly do not understand
why they are so correct. You too
perceive the signs of future times,
Children of sweetest waters; and prepare
To utter warnings loud and salutary,
Rousing the springs and marshes with your
cries. Yet who could ever have
suspected frogs of having such per
ception 1 However, there is in
rivulets, and in frogs too, a certain
nature indicating something which is clear
enough by itself, but more obscure to
the knowledge of men. And cloven-footed
oxen gazing up To heaven's expense, have
often inhaled the air Laden with
moisture I do not inquire why
all this takes place, since I
am acquainted with the fact that
it does take place — The mastic, ever
green and ever laden With its rich
fruit, which thrice in every year
Doth swell to ripeness, by its triple
crop Points out three times when men
should till the earth. Here too,
again, I do not ask why this
one tree should bloom three times a
year, or why it should adapt the
proper season for ploughing the land
to the token given by its bloom.
I am content with this, that, even
if I do not know how everything
is done, I nevertheless do know what
is done. And so in respect of
every kind of divination I will
answer as I have done in the
cases which I have already mentioned.
X. Now I know what effect the
root of the scamniony has as a
purgative, and what the efficacy of
the aristolochia is in the case of
bites of serpents, (and this herb has
derived its name from its discoverer,
who discovered it in consequence o a
dream.) and that knowledge is quite
emnigh. I do not know why
these herbs are so efficacious; and
in the same way I do not know
on what principle the omens which we
draw from the signs furnished to us
by the winds and storms proceed; but
I do know, and arn certain of,
and thankful for their power, and the
results which flow from it. Again,
in 1 All these predictions are
translated by Cicero from Aratus. the
same way I know what is indicated
by a fissure in the entrails of
a victim, or by the appearance of
the fibres; but what the cause is
that these appearances have this meaning
I know not. And life is full of
such things ; for nearly every one
has recourse to the entrails of
animals. Need I say more 1 Is
it possible for any one to doubt
about the power of thunder-storms ?
Is not this too one of the most
marvel lous of marvellous things ?
When Summanus,1 which was a figure
made of clay, standing on the top
of the temple of the all-powerful and
all-good Jupiter, was struck by lightning,
and the head of the statue could
not be found anywhere, the soothsayers
said that it had been thrown down into
the Tiber, and it was found in
that very place which had been pointed
out by the soothsayer.But who is
there to whom I may more fitly
appeal as an authority and as a
witness than you yourself? For I have
learnt the verses, and that with
great pleasure, which the muse Urania
pronounces in the second book of your
" Con sulship " — See how
almighty Jnve, inflamed and bright, With
heavenly fire fills the spacious world,
And lights up heaven and earth with
wondrous rays Of his divine intelligence
and mind ; Which pierces all the
inmost sense of men, And vivifies
their souls, hold fast within The
boundless caverns of eternal air. And
would you know the high sublimest
paths And ever revolving orbits of
the stars, And in what constellations
they abide, — Stars which the Greeks
erratic falsely call, For certain order
and fixed laws direct Their onward
course ; then shall you learn that
all Is by divinest wisdom fitly
ruled. For when you ruled the state,
a consul wise, You noted, and with
victims due approach'd, Propitiating the
rapid stars, and strange Concurrence of
the fiery constellations. Then, when you
purified the Alban mount, And celebrated
the great Latin feast, Bringing pure
milk, meet offering for the gods,
You saw fierce comets bright and quivering
With light unheard of. In the
sky you saw 1 This is usually
understood to have been a statue of
Pluto. The new consuls used to
celebrate the Ferioe Latinaj on
the Albanus Mons. Fierce wars and
dread nocturnal massacre That Latin feast
on mournful days did fall, When the
pale moon with di m and
muffled light Conceal'd her head, and
fled, and in the midst Of starry
night became invisible. Why should I
say how Phoebus' fiery beam, Sure
herald of sad war, in mid-day set,
Hastening at undue season to its
rest, Or how a citizen struck with
th' awful bolt, Hurl'd by high Jove
from out a cloudless sky, Left the
glad light of life; or how the
earth Quaked with affright and shook
in every part ? Then dreadful forms,
strange visions stalk d abroad, Scarce
shrouded by the darkness of the
night,And wam'd the nations and the
land of war. Then many an oracle and
augury, Pregnant with evil fate, the
soothsayers Pour'd from their agitated
breasts. And e'en The Father of
the Gods fill'd heaven and earth With
signs, and tokens, and presages sure
Of all the things which have befallen
us since. XII. So now the year
when you are at the helm, Collects
upon itself each omen dire, Which
when Torquatus, with his colleague Gotta,
Sat in the curule chairs, the Lydian
seer Of Tuscan blood breathed to affrighted
Borne. For the great Father of the
Gods, whose home Is on Olympus'
height, with glowing hand Himself attack'd
his sacred shrines and temples, And
hurl'd his darts against the Capitol.
Then fell the brazen statue, honour'd
long, Of noble Natta ; then fell down
the laws Graved on the sacred tablets
; while the bolts Spared not the
images of the immortal gods. Here was
that noble nurse o' the Roman name,
The Wolf of Mars, who from her
kindly breast Fed the immortal children
of her god With the life-giving dew
of sweetest milk. E'en her the
lightning spared not; down she fell.
Bearing the royal babes in her
descent, Leaving her footmarks on the
pedestal.1 1 Great interest is attached
to this passage by antiquaries, from
the fact of there being a bronze
statue still at Home of a wolf
suckling two children, with manifest marks
of lightning on it, which is believed
to be the very statue here mentioned
by Cicero, and also in his third
Oration asrainst Catiline, c. viii. ; it
is described by Virgil too : —
Fecerat et viridi foetam Mavorf is in
antro Procubuisse lupam; geminos huic ubcra
circum [Ludere And who, unfolding records
of old time, Has found no words
of sad prediction In the dark pages
of Etruscan books ] — All men, all
writings, all events combined, To warn
the citizens of freeborn race Ludere
pendentes pueros, et lambere matrem
Impavidos; ilhun tereti cervice reflexam Mulcere
alternos et corpora fingere linguiL — jEn. The
cave of Mars was dress'd with mossy
greens ; There by the wolf were
laid the martial twins; Intrepid, on her
swelling dugs they hung, The foster-dam
loll'd out her fawning tongue ; They
suck'd secure, while bending back her
head, She lick'd their tender limbs,
and form'd them as they fed. Dryden,
^En. The statue in its present state
is beautifully described by Byron :And
thou the thunder-stricken nurse of Rome,
She-wolf ! whose brazen imaged dugs
impart The milk of conquest yet
within the dome, Where, as a monument
of antique art, Thou standest, mother
of the mighty heart, Which the great
founder suck'd from thy wild teat,
Scorch'd by the Roman Jove's ethereal
dart, And thy limbs black with
lightning, — dost thou yet Guard thy
immortal cubs, nor thy fond charge
forget] Thou dost— but all thy foster-babes
are dead, The men of iron ; and
the world hath rear'd Cities from out
their sepulchres. —Childe Harold, book iv.
It may not be out of place
here, to set before the reader the
beautiful description, in the first
Georgic, of the prodigies which happened
at Rome on the death of Cresar : —
Denique quid vesper serus vehat. unde
serenas Ventus agat nubes, quid cogitet
humidus Auster, Sol tibi signa dabit :
Solem quis dicere falsum Audeat? ille
etiam csecos instare tumultus Saspe monet,
fraudemque, et aperta tumescere bella ;
Ille etiam extincto miseratus Caesare Romam
Cum caput obscurS, nitidum ferrugine texit
Impiaque rcternam timuerunt sajcula noctem,
Tempore quanquam illo tellus quoque et
aequora ponti, Obsccenique canes, importunaeque
volucres Signa dabant : quoties Cyclopum
effervere in auras Vidimus undantem rnptis
fornacibus Etnam, Flammarumque globos liquef'actaque
volvere saxa. Armorum sonitus toto
Germania coe'.o Audiit; insolitis tremuerunt
motibus Alpes. [Vox To dread impending
wars of civil strife, And wicked
bloodshed ; when the laws should fall
In one dark rain, trampled and
o'erthrown: Then men were warn'd to
save their holy shrines, The statues
of the irods, their city and lands,
Vox quoque per lucos vulgo exaudita
recentes Ingens, ei simulacra rnodis pallentia
miris Visa sub obscurum noctis ;
pecudesque locutae, Infandum ! sistunt
amnes terrseque dehiscunt Et moestum
illacryinat templis ebur, oeraque sudant:
Proluit insano contorquens vertice sylvas
Pluviorum Rex Eridanus ; camposque per omnes
Cum stabulis armenta trahit ; nee tempore
eodcm Tristibus aut extis fibrae apparere
minaces Aut puteis manare cruor cessavit,
et alte Per noctcm resonare lupis
ululautibus urbe? ; Non alias coilo
cecidcruut plura sereno Fulgura, nee diri
toties arsere cometae ; Ergo, etc. —
Virgil, Georg. i. 488. Which is
translated by Dryden : —The Sun reveals
the secrets of the sky, And who
dares give the source of light the
lie? The change of empires he oft
declares, Fierce tumults, hidden treasons,
open wars; He first the fate of
Caesar did foretell, And pitied Rome
when Rome in Caesar fell : In iron
clouds conceal'd the public light, And
impious mortals fear'd eternal night. Nor
was the fact foretold by him alone,
Nature her-elf stood forth and seconded
the Sun. Earth, air, and seas with
prodigies were sign'd, And birds obscene
and howlin g dogs divin'd. What rocks
did ^Etna's bellowing mouth expire From
her torn entrails, and what floods of
fire ! What clanks were heard in
German skies afar, Of arms and armies
rushing to the war ! Dire earthquakes
rent the solid Alps below, And from
their summits shook th' eternal snow;
Pale spectres in the close of night
were seen, And voices heard of more
than mortal men. In silent groves
dumb sheep and oxen spoke ; And
streams ran backward, and their beds
forsook ; The yawning earth disclosed
th' abyss of hell, The weeping
statues did the wars foretell, And
holy sweat from brazen idols fell.
Then rising in his might the king
of floods Uush'd through the forests,
tore the lofty woods; And rolling
onward with a sweepy sway, Bore
houses, herds, and labouring hinds away.
Blood From slaughter and destruction,
and preserve Their ancient customs
unimpair'd and free. And this kind
hint of safety was subjoin'd, That
when a splendid statue of great
Jove,1 In godlike beauty, on its base
was raised, With eyes directed to
Sol's eastern gate ; Then both the
senate and the people's bands, Duly forewarn'd,
should see the secret plots Of wicked
men, and disappoint their spite. This
statue, slowly form'd and long delay 'd, At
length by you, when consul, has been
placed Upon its holy pedestal ; — 'tis now
That the great sceptred Jupiter has
graced His column, on a well-appointed
hour : And at the self-same moment
faction's crimes Blood sprang from
wells; wolves howl'd in towns by
night; And boding victims did the
priests affright. Such peals of thunder
never pour'd from high, Nor forky
lightnings flash'd from such a sullen
sky : Red meteors ran across the
ethereal space ; Stars disappear'd, and
comets took their place. Which Shakspeare
has imitated with reference to the
same event : Cal. Caesar, I never stood
on ceremonies, Yet now they fright
me: there is one within, Besides the
things that we have heard and seen,
Recounts most horrid sights seen by
the watch: A lioness hath whelped in
the streets, And graves have yawn'd
and yielded up their dead. Fierce,
fiery warriors fight upon the clouds,
In ranks and squadrons and right
form of war, Which drizzled blood
upon the Capitol: The noise of battle
hurtled in the air; Horses did
neigh, and dying men did groan; And
ghosts did shriek and squeak t the
streets. O Caesar, these things are
beyond all use, And I do fear
them When beggars die there are no
comets seen ; The heavens themselves
blaze forth the death of princes.
Cats. What say the augurers? Serv. They
would not have you to stir forth
to-day. Plucking the entrails of an
offering forth, They could not find a
heart within the beast. 1 This
refers to the column meant to serve
as a pedestal for the statue of
Jupiter, mentioned in the second book
of this treatise, and also in the
second oration against Catiline, as having
been ordered in the consulship of
Torquatus and Cotta, but not completed
till the year of Cicero's consulship.
Were by the loyal Gauls reveal'd
and shown To the astonish'd multitude
and senate. XIII. Well then did
ancient men, whose monuments You keep
among you,—they who will maintain Virtue
and moderation ; by these arts Ruling
the lands an<l people subject to
them: Well, too, your holy sires,
whose spotless faith, And piety, and
deep sagacity Have far surpass'd the
men of other lands, Worshipp'd in
every age the mighty Gods. They with
sagacious care these things foresaw,
Spending in virtuous studies all their
leisure, And in the shady Academic
groves, And fair Lyceum : where they
well pour'd forth The treasures of
their pure and learned hearts. And,
like them, you have been by virtue
placed, To save your country, in the
imminent, breach ; Still with philosophy
you soothe your cares, With prudent
care dividing all your hours Between
the Muses and your country's claims.
Will you then be able to persuade
your mind to speak against the
arguments which I adduce on the
subject of divination, you being a
man who have performed such exploits
as you have done, and who have
so admirably com posed those verses
which I have just recited 1 What — do
you ask me, Carneades, why these
things take place in this manner, or
by what art it is possible for
them to be brought about ? I confess
that I do not know ; but that
they do happen, I assert that you
yourself are a witness. Yes, they
happen by chance, you say. Is it
so 1 Can anything be done by
chance which has in itself all the
features of reality ? Four dice when
thrown may by chance come up sixes.
Do you think that if you were
to throw four hundred dice it would
be possible for them all to come
up sixes by any chance in the
world 1 Paints scattered at random on
a canvass may by chance represent the
features of a human face ; but do
you think that you could by any
chance scat tering of colours represent
the beauty of the Coan Venus'?1
Suppose a pig by burrowing in the
ground with his snout were to make
the letter A, would you on that
account think it possible that the
animal should by chance write out the
Andromache of Ennius 1 Carneades used
to tell a story that 1 This refers
to the celebrated picture of Venus
Anadyomene, painted by Apelles, who was
a native of Cos. in cutting
stones in the stone- quarries at Chios,
there was once discovered a natural
head of a Pan. I dare say there
may have been a figure not wholly
unlike such a head, but still
certainly it was not such that you
could fancy it wrought by Scopns.1
For this is the nature of things,
that chance can never imitate reality
to perfection. But, you will say,
things which have been predicted sometimes
fail to happen. What act is not
liable to this observation 1 I mean
of those acts which proceed on con
jecture, and are founded on opinion.
Is not medicine to be considered a
real art ? And yet how often is
it deceived ! Need I say more 1
Are not pilots of ships often
deceived? Did not the army of the
Greeks, and the captains of all that
numerous fleet, depart from Troy, as
Pacuvius says — So glad at their
departure, that they gazed In idle
mirth upon the wanton fish, And never
ceased from laughing at their gambols
; Meanwhile at sunset the vast sea
grows rough, The darkness lowers, black
night and clouds surround them. Did,
however, the shipwreck of so many
illustrious generals and sovereigns prove
that there was no such art as
naviga tion ? Or is the
science of generals good for nothing
because a most illustrious general was
lately put to flight, after the total
loss of his army 1 Or are we
to say that there is no room
for the display of sound principles
of politics, or wis dom in the
administration of affairs of state, because
Cnseus Ponipeius was often .deceived, and
even Cato and you your self have
been deceived in more instances than
one? The same rule applies to
the answers of soothsayers, and to
all divination which rests on opinion
: for it depends wholly on
conjecture, and has no means of
advancing further. And that perhaps
sometimes deceives us, but still it
more fre quently directs us to the
truth. For it is traced back
to all eternity. And as in the
infinite duration of time, things have
happened in an almost countless number
of ways with the self-same indications
preceding each occurrence, an art has
1 Scopas was a Parian, nourishing. He
was one of the greatest architects
and sculptors of antiquity, and is
mentioned as such by Horace, who says:
— Divite me scilicet artium Quas aut
Parrhasius protulit aut Scopas, Hie saxo,
liquidis ille colorilius Solera nunc
hominem nonere mmr. TV « been concocted and
reduced to rules from a frequent
obser vation and notice of the same
circumstances. But your auspices, how clear — how
sure they are ! which at this time
are known nothing of by the Roman
augurs, (excuse me for saying this so
plainly,) though they are main tained
by the Cilicians, Pamphylians, Pisidians,
and Lycians. For why should I mention
that man connected with us in ties
of hospitality, that most illustrious and
excellent ^man, king Deiotarus 1 He never
does anything whatever without taking the
auspices. And it happened once that
he had started on a journey which
he had arranged and determined some
time before; but, being warned by the
flight of an eagle, he returned back
again, and the very next night the
house in which he would have been
lodging if he had per sisted in
his journey, fell to the ground. And
he was so moved by this occurrence,
that, as he himself used to tell
me, he often turned back in the
same way in a journey, even when
he had advanced many days on it.
And what is most remarkable in his
conduct is, that after he had been
deprived by Csesar of his tetrarchy,
his kingdom, and his property, he
still asserted that he did not repent
of obeying those auspices which had
promised success to him when he was
setting out to join Pompey: for he
considered that the authority of the
senate, and the liberty of the Roman
people, and the dignity of the empire
had been upheld by his arms; and
that those birds had taken good care
of his honour and real interests,
inasmuch as they had been his
counsellors in adhering to the claims
of good faith and duty ; for that
character was a thing dearer to him
than his possessions. . And in saying
this he seems to me to form a
very just estimate. For our magis
trates at times use compulsion. For
it is quite impossible, if a cake
is thrown down before a chicken, but
what some crumbs must fall out of
his mouth when he feeds. And as
you have it set down in your
books that a tripudium takes place if
any of the food falls on the
ground, so you also call this
compulsory augury which I have spoken
of tripudium solistimum.1 And so, as
that wise Cato complains, owing to i
"Tripudium, from terripavium (Cic Div.),
a stamping on the ground In
divination, tripudium, or tripudium solistimum,
when- the birds (pulli) ate so
greedily that the food fell from
their mouths, and so rebounded on the
ground, which was regarded as a good
omen." — Riddle and Arnold, Lat. Diet.
the negligence of the college, many
auguries and many auspices have been
wholly lost and abandoned. Formerly there
was, I may almost say, no ariair
of importance, not even if it only
related to private business, which was
transacted \vithout taking the auspices.
And this is proved even now by
the Auspices Nuptiarum, who, though the
custom has fallen into disuse, still
preserve the name. For just as we
now consult the entrails of victims,
though even that very practice is
observed less now than it used to
be, so in ancient times, before all
transactions of importance, men used to
consult birds; and, therefore, from want
of paying proper regard to ill omens,
we often run into alarming and
destructive dangers : — as Publius Claudius,
the son of Appius Csecus, and his
colleague Lucius Junius, lost a fine
fleet, because they had put to sea
in defiance of the omens. And,
indeed, something of the same kind
befel Agamemnon; for he, when the
Grecians had begun To murmur loudly, and
with open scorn T' asperse the skill
of th' holy soothsayers, Bade the
crew bend the sails and put to
sea, Choosing the people's voice before
the omens. But why need we look
for old examples of this 1 We
have ourselves seen what happened to
Marcus Crassus, because he neglected the
notice which was given to him that
the omens were unfavourable. On which
occasion, Appius, your col league, a
good augur, as I have often heard
you say, branded, when he was censor,
an excellent man and a most illustrious
citizen, Caius Ateius, without sufficient
consideration, because he had cooperated in
falsifying the auspices. However, let that
pass. It may have been the duty
of the censor to do so, if he
thought that the auspices were falsified.
But it certainly was not the duty
of an augur to set down in the
books that this was the cause of
a fearful calamity befalling the Roman
people. For even if that was the
cause of the calamity, still the
fault was not in the man who
announced the state of the auspices,
but in him who disregarded the
announcement. For that the announcement
wTas a correct one, as the same
augur and censor bears witness, was
proved by the event; for if the
announcement had been false, it could
not possibly have caused any calamity
at all. In truth, prognostics of calamity,
like other auspices, and omens, and
tokens, do not produce causes why
anything should happen, but merely give
notice of what will happen unless you
pro vide against it. It was not,
therefore, the announcement of unfavourable
omens, made by Ateius, which was the
cause of calamity; all that he did
was, by declaring to him what signs
had been seen, to warn him what
would happen if he did not take
precautions against it. Accordingly, either
that announcement had no effect at
all, or else if, as Appius thinks,
it had an effect, the effect was
this, that guilt was attached, not to
the man who gave the warning, but
to him who did not attend to
it. What shall I say more 1 From
whence have you received that staff
(lituus) of yours, which is the most
cele brated ensign of your augurship
? That is the staff with which
Komulus parted out the several districts,
when he founded the city. And that
staff of Romulus, (that is to say,
a stick curved and slightly bent
forward at the top, which has derived
its name from its resemblance to the
trumpet (lituus) used in sounding signals,)
having been laid up in the
meeting-house of the Salii, which was
in the Pala tine-hill, when that
house was burnt to the ground, was
found unhurt. What more need I say
1 Who of the ancient authors is
there who does not relate what an
arrangement of the districts of the
city was made, many years after the
time of Romulus, in the reign of
Tarqninius Priscus, by Attius Xavius, who
employed his staff in this manner ?
And it is said that he, when a
boy, was forced through poverty to
act as a swineherd; and one day,
having lost one of his pigs, he
made a vow that if he recovered
it, he would give the god the
finest grape which there was in the
whole vineyard. Accordingly, when he had
found the pig, he placed himself in
the middle of the vineyard, with his
eyes directed towards the south; and
after he had divided the vineyard into
four divisions, and had been directed
by the birds to disregard three of
the portions, in the fourth division,
which remained, he found a grape of
most wonderful size, as we find
recorded in our books. And when this
fact became known, all the neighbours
used to consult him on all their
affairs, until he. gained a great
name and reputation ; in consequence of
which kin<r Priscus sent for him.
And when he had come to the king,
he, wishing to make proof of his
skill in augury, told him that he
was thinking of something, and asked
him whether it could possibly be
done. He, having taken an auguiy,
answered that it could. But Tarquin
said that he had been thinking that
it was possible that a whetstone
might be cut through by a razor. On
this Attius bade him try ; and
accordingly a whetstone was brought into
the assembly, and, in the sight of
king and people, cut through with a
razor. And in consequence of this, it
happened that Tarquinius always consulted
Attius Navius as an augur, and that
the people also were used to refer
their private affairs to him. And we
are told that that whetstone and that
razor were buried in the comitium,
and that the puteal was built over
it. Let us deny everything; let us
burn our annals; let us say that
all these statements are false ; let
us, in short, confess everything rather
than that the Gods regard the affairs
of mankind. What 1 do not even
your writings about Tiberius Gracchus
sanction the theories df augurs ami
haruspices 1 For when he had
unintentionally erected a tent to take
the auspices informally, because he had
crossed the pomcerium without taking the
auspices, he held there the comitia
for the election of the consuls. (The
matter is one of notoriety, and
committed to writing by you yourself.)
However, Tiberius Gracchus, who was himself
an augur, ratified the authority of
the auspices by a confession of his
error, and added great authority to
the sj'steui of the harus pices ;
who, having at the recent comitia been
introduced into the senate, asserted that
the person who proposed the candi
dates to the comitia had no right
to do so. I therefore agree with
those authors who have asserted that there
are two kinds of divination; one par
taking of art, and the other wholly
devoid of it. For art is visible
in those persons who pursue anything
new by conjec ture, and have learnt
to judge of what is old by
observation. But those men, on the
other hand, are devoid of art, who
give way to presentiments of future
events, not proceeding by reason or
conjecture, nor on the observation and
considera tion of particular signs, but
yielding to some excitement of mind,
or to some unknown influence subject
to no precise rules or restraint, (as
is often the case with men who
dream, and sometimes with those who
deliver predictions in n frenzied manner,)
as Bacis' of Boeotia, Epimenides2 the
Cretan, and the Erythrean Sib}'!. And
under this head we ought also to
rank oracles; not those which are
drawn by lot, but those which are
uttered under the influence of some
divine instinct and inspiration. Although
even lots are not to be despised
where they are sanctioned by the
authority of antiquity, like those which
we are told used to rise out of
the earth ; which, however, are drawn
in such a manner as to be
apposite to the subject under
consideration, which, indeed, is a thing
that I conceive to be very possible
by divine management. The interpreters of
all of which appear to me to
come very near to the divining power
of those whose interpreters they are
(just as those grammarians do who are
the interpreters of poets). What proof
of sagacity is it, then, to wish
to disparage things sanctioned by
antiquity, by vile calumnies ? I
admit that I cannot discover the
cause. Perhaps it lies hid, involved
in the obscurity of nature. For God
has not int nded me to understand
these matters, but only to use them.
I will use them, then ; nor will
I be persuaded to think, either that
all Etruria is mad on the subject
of the entrails of victims, or that
the same nation is all wrong about
lightnings, or that it interprets prodigies
fallaciously, when it has often happened
that sub terranean noises and crashes,
often that earthquakes, have predicted,
with terrible truth, many of the
evils which have befallen our own
republic and other states. Why should
I say more ? The fact of a
mule having brought forth is much
ridiculed by some people; but because
this parturition did take place in
the case of an animal of natural
barrenness, was there not an incredible
crop of evils predicted by the
soothsayers 1 Need I go further 1
Did not Tiberius Gracchus, the. son of
Publius Gracchus, who had been twice
consul and censor, and who was also
an augur of the 1 Bacis was
believed to have lived and prophesied
at Heleon, in Bceotia, being inspired
by the nymphs of the Corycian cave.
Some of hjs prophecies are given
us by Herodotus (See also
Aristophanes, Eq.; Pax) Epimenides was a
poet and prophet of Crete. He was
sent for by the Athenians to purify
Athens when it was visited by a
plague, in consequence of the sacrilege
of Cylon. He is said to have
lived to a great age.highest skill
and reputation, and a wise man, and
a most virtuous citizen, — did not he
(as Caius Gracchus, his son, has left
recorded in his writings), when two
snakes were caught in his house,
convoke the soothsayers ? And the
answer which they gave him was, that
if he let the male escape, his
wife would die in a short time ;
but if he let the female escape,
he would die himself: on which he
thought it more becoming to encounter
an early death himself, than to
expose the youthful daughter of Publius
Africanus to it. Accordingly, he released
the female snake, and died himself a
few days afterwards. Let us, after this,
laugh at the soothsayers; let us call
them useless and triflers, and despise
those men whose principles the wisest men,
and subsequent events and occur rences,
have often proved. Let us despise
also the Baby lonians, and those who
on mount Caucasus observe the stars
of heaven, and follow all their
revolutions in regular number and motion.
Let us, say I, condemn all those
people for folly, or vanity, or
impudence, who, as they themselves assert,
have exact records for four hundred
and seventy thousand years carefully noted
down, and let us decide that they
are telling lies, and have no regard
as to what the judgment of future
ages concerning them will be. Come,
then, you vain and deceitful barbarians,
has the history of the Greeks
likewise spoken falsely? Who is ignorant
of the answer (that I may speak
at present of natural divination) which
the Pythian Apollo gave to Croesus,
to the Athenians, the Lacedaemonians, the
Tegeans, the Argives, and the Corinthians?
Chrysippus has collected a countless list
of oracles — not one without a witness
and authority of sufficient weight; but
as they are known to you, I
will pass them over. This one I
will mention and defend. Would that
oracle at Delphi have ever been so
celebrated and illustrious, and so loaded
with such splendid gifts from all
nations and kings, if all ages had
not had experience of the truth of
its predic tions 1 At present, you will
say, it has no such reputation.
Granted, then, that it has a lower
reputation now, because the truth of
oracles is less notorious; still I
affirm that it would not have had
such a reputation then, if it had
not been distinguished for extraordinary
accuracy. But it is possible that
that power in the earth, which
excited the mind of the Pythian
priestess by divine inspiration, may have
disappeared through old age, just as we
know that some rivers have dried up,
or become changed and diverted into
another channel. However, let it be
owing to whatever you please; for it
is a great question: only let this
fact remain —which cannot be denied,
unless we will overthrow all his
tory—that that oracle told the truth
for many ages. However, let us pass over
the oracles; let us come to dreams.
And Chrysippus discussing them, after
collecting many minute instances, does the
same that Antipater does when he
investigates this subject, and those dreams
which were explained according to the
interpretation of Antipho, which indeed
prove the acuteness of the interpreter,
but still are not examples of such
importance as to have been worthy of
being brought forward. The mother of
Dionysius— of that Dionysius, I mean, who
was the tyrant of Syracuse, as it
is recorded by Philistus, a man of
learning and diligence, and who was a
contem porary of the tyrant— when she
was pregnant with this very Dionysius,
dreamt that she had become the mother
of a little Satyr. The interpreters
of prodigies, who at that time were
in Sicily called Galeotse, gave her
for answer when she con sulted them
about it, (according to the story
told by Philistus,) that the child
whom she was about to bring forth
would be the most illustrious man of
Greece, with very lasting good fortune.
Am I recalling you to the fables
of the Greek poets and those of
our country? For the Vestal Virgin,
in Ennius, says — The agitated dame
with trembling limbs Brings in a lamp,
and with unbridled tears, Starting from
broken sleep, pours forth these words
:• 0 daughter of the fair Eurydice,
You whom rny father loved, see
strength and life Desert my limbs,
and leave me helpless all. 1 thought
I saw a man of handsome form
Seize me, and bear me through the
willow groves, Along the river banks
and places yet unknown. And then
alone, — T tell you true, my sister, —
I seem'd to wander, and with tardy
steps To seek to trace you, but
my efforts fail'd; While no clear
path did guide my doubtful feet. And
then, I thought, my father thus
address'd me, With evil-boding voice : —
Alas ! my daughter, What numerous woes
by you must be endured ; Though
fortune shall in after times arise
From out of the waters of this river
here. Thus, sister, spake my father,
and then vanish'd • 2STor, though
much wish'd for, did he once return!
In vain, with many tears, I raised
my hands Up to the azure vault
of the highest heaven, And with
caressing voice invoked his name, Or
seem'd to do so. And 'twas
long ere sleep, Freighted with such
sad dreams, did quit my breast. Now
these accounts, though they perhaps may
be the mere inventions of the poets,
still are not inconsistent with the
general character of dreams. We may
grant that that is a fictitious one
by which Priam is represented to have
been disturbed : — Queen Hecuba dream'd —
an ominous dream of fate- That she
did bear no human child of flesh,
But a fierce blazing torch. Priam,
alarm'd, Ponder'd with anxious fear the
fatal dream ; And sought the gods with
smoking sacrifice. Then the diviner's aid
he did entreat, With many a prayer
to the prophetic god, If haply he
might learn the dream's intent. Thus
spake Apollo with all-knowing mind :— "
The queen shall have a son, who,
if he grow To man's estate, shall
set ajl Troy in flames— The ruin
of his city and his land." Let
us grant, then, that these dreams
are, as I have said, merely poetic
fictions, and let us add the dream
of ^Eneas, which Numerius Fabius Pictor
relates in his Annals, as one of
the same kind; in which ^Eneas is
represented as foreseeing, in his trance,
all his future exploits and adventures.
But let us come nearer home. What
kind of dream was that of Tarquin
the Proud, which the poet Accius, m
his Tragedy of Brutus, puts into the
mouth of Tarquin himself? — Sleep closed
my weary eyelids, when a shepherd
Brought me two rams. The one
1 sacrificed; The other rushing at me
with wild force Hurl'd me upon the
ground. Prostrate I gazed Upon the
heavens, when a new prodigy Dazzled
my eyes. The flashing orb of
day Took a new course, diverging to
the right, With all his kindling
beams strangely transversed. Of this dream
the diviners gave the following
interpretation Dreams are in general
reflex images Of things that men in
waking hours have known; But sometimes
dreams of loftier character Rise in the
tranced soul, inspired by Jove, Prophetic
of the future. Then beware Of him,
whom thou dost think as stupid as
The ram thou dreamest of. For
in his breast Dwells manliest wisdom.
He may yet expel Thee from
thy kingdom. Mark the prophecy :
That change in the sun's course thou
didst behold, Betoken'd revolution in the
state, And as the sun did turn
from left to right, we predict So
shall that revolution meet success. Let
us again return to foreign events.
Heraclides of Pontus, an intelligent man,
who was one of Plato's disciples and
followers, writes that the mother of Phalaris
fancied that she saw in a drearn
the statues of the gods whom Phalaris
had consecrated in his house. Among
them it appeared to her that Mercury
held a cup in his right hand,
from which he poured blood, which as
soon as it touched the earth gushed
forth like a fresh fountain, and
filled the house with streaming gore.
The dream of the mother was too
fatally realized by the cruelty of
the son. Why need I also relate,
out of the history of Persia by
Dinon, the interpretations which the Magi
gave to the cele brated prince,
Cyrus? For he dreamed that beholding
the sun at his feet, he thrice
endeavoured to grasp it in his hands,
but the sun rolled away and departed,
and escaped from him. The Magi (who
were accounted sages and teachers in
Persia) thus interpreted the dream, saying,
that the three attempts of Cyrus to
catch the sun in his hands, signified
that he would reign thirty years ;
and what they predicted really came
to pass ; for he was forty years
old when he began to reign, and
he reached the age of seventy. Among
all barbarous nations, indeed, we meet
with proof that they likewise possess
the gift of divination and presentiment.
The Indian Calanus, when led to
execution, said, while ascending the
funeral pile, " 0 what a
glorious departure from life ! when, as
happened to Hercules , after niy body
has been consumed by fire, my soul
shall depart to a world of
light." And when Alexander asked him
if he had anything to say to
him ; " Yes," replied he,
".we shall soon meet again ;"
and this prophecy was soon fulfilled,
for a few days afterwards Alexander
died in Babylon.' I will quit the
subject of dreams for awhile, and
return to them presently. On the very
night that Olympias was delivered of
Alexander, the temple of Diana of the
Ephesiaus was burned ; and when the
morning dawned, the Magi declared that
the ruin and destroyer of Asia had
been born that night. So much for
the Magi and the Indians. Now let
us return to dreams. Ccelius relates
that Hannibal, wishing to remove a
golden column from the temple of Juno
Lacinia, and not knowing whether it
was solid gold or merely gilt, bored
a hole in it ; and as he had
found it solid, he determined to take
it away. But the following night Juno
appeai-ed to him in a dream, and warned
him against doing so, and threatened
him that if he did, she would
take care that he should lose an
eye with which he could see well.
He was too prudent a man to
neglect this threat ; and therefore, of
the gold which had been abstracted
from the column in boring it, he
made a little heifer, which he fixed
on the capital. And the same story
is told in the Grecian history of
Silenus, whom Ccelius follows. And he
was an author who was particularly
diligent in relating the exploits of
Hannibal. He says that when Hannibal
had taken Saguntum, he dreamed in his
sleep that he was summoned to a
council of the gods, and that when
he arrived at it, Jupiter commanded
him to carry the war into Italy,
and one of the deities in council
was appointed to be his conductor in
the enterprise. He therefore began his
march under the direction of this
divine protector, who enjoined him not
to look behind him . Hannibal, however,
could not long keep in his obedience,
but yielded to a great desire to
look back, when he immediately beheld
a huge and terrible monster, surrounded
with ser pents, which, wherever it
advanced, destroyed all the trees, and
shrubs, and buildings. He then, marvelling
at this, inquired of the god what
this monster might mean ; and the
god replied, that it signified the desolation
of Italy ; and com manded him to
advance without delay, and not to
concern himself with the evils that
lay behind him and in his rear.
In the history of Agathocles it is
said, that Hamilcar the Carthaginian, when
he was besieging Syracuse, dreamed that
he heard a voice announcing to him,
that he -should sup on the succeeding
day in Syracuse. When the morning
dawned a great sedition arose in his
camp between the Carthaginian and Sicilian
soldiers. And when the Syracusans found
this out, they made a vigorous sally
and attacked the camp un expectedly,
and succeeded in making Hamilcar prisoner
while alive, and thus his dream was
verified. All history is full of
similar accounts; and the experience of
real life is equally rich in them.
That illustrious man, Publius Decius, the
son of Quintus Decius, the first of
the Decii who was a consul, being
a military tribune in the consulship
of Marcus Valerius and Aulus Cornelius,
when our army was sorely pressed by
the Samnites, and being accustomed to
expose himself to great personal danger
in battle, was warned to take greater
care of himself; on which he replied
(as our annals report), that he had
had a dream, which informed him that
he should die with the greatest
glory, while engaged in the midst of
the enemy. For that time he succeeded
in happily rescuing our army from the
perils that surrounded it. But three
years after, when he was consul, he
devoted himself to death for his
country, and threw himself armed among
the ranks of the Latins; by which
gallant action the Latins were defeated and destroyed: and his death was so
glorious that his son desired a similar fate.But let us now come, if you
please, to the dreams of philosophers. We read in Plato that
Socrates, when he was in the public
prison at Athens, said to his friend
Crito that he should die in three
day, for that he had seen in a
dream a woman of extreme beauty who
called him by his name, and quoted
in his presence this verse of HomerOn
the third day you'll reach the
fruitful Phthia." 1 And it is
said that it happened just as it
had been foretold. Again, what a
man, and how great a man, is
Xenophon the pupil of Socrates! He,
too, in his account of that war
in which he accompanied the younger
Cyrus, relates the dreams which he
sawthe accomplishment of which was
marvellous. Shall we then say that
Xenophon was a liar or dotard ?
What shall we say, too, of Aristotle,
a man of singular and almost divine
genius? Was he deceived himself, or
does he wish others to be deceived,
when he informs us that Eudemus of
Cyprus, his own intimate friend, on
his way to Macedonia, came to Pherae,
a celebrated city of Thessaly, 1
Horn. :"Hfjari Kfv rpirdrca $0ii)v
tpi$ta\ov IKO(U.TIV. which was then under
the cruel sway of the tyrant
Alexander. In that town he was seized
with a severe illness, so that he
was given over by all the physicians,
when he beheld in a dream a
young man of extreme beauty, who informed
him that in a short time he
should recover, and also the tyrant
Alexander would die in a few days;
and that Eudemus himself would, after
five years' absence, at length return
home. Aristotle relates that the first
two predictions of this dream were
immediately accomplished; for Eudemus speedily
recovered, and the tyrant perished at
the hands of his wife's brother ;
and that towards the end of the
fifth year, when, in consequence of
that dream, there was a hope that
he would return into Cyprus from
Sicily, they heard that he had been
slain in a battle near Syracuse ;
from which it appeared that his dream
was susceptible of being interpreted as
meaning, that when the soul of
Eudemus had quitted his body, it
would then appear to have signified
the return home. To the philosophers
we may add the testimony of Scpho-
cles, a most learned man, and as
a poet quite divine, who, when a
golden goblet of great weight had
been stolen from the temple of
Hercules, saw in a dream the god
himself appearing to him, and declaring
who was the robber. Sopho cles paid
no attention to this vision, though
it was repeated more than once. When
it had presented itself to him
several times, he proceeded up to the
court of Areopagus, and laid the
matter before them. On this, the
judges issued an order for the arrest
of the offender nominated by Sophocles.
On the application of the torture the
criminal confessed his guilt, and restored
the goblet; from which event this temple of Hercules was afterwards called the
temple of Hercules the Indicate. But why do I continue to cite the Greeks?
when, somehow or other, I feel more interest in the examples of my
ellowcountrymen. All our historians,the Fabii, the Gellii,
and, more recently, Ccelius, bear witness
to similar facts. In the Latin war,
when they first celebrated the votive
games in honour of the gods, the
city was suddenly roused to arms, and
the games being thus interrupted, it
was necessary to appoint new ones Before
their commencemen,however, just as the people had
taken their places in the circus, a
slave who had been beaten with rods
was led through the circus, bearing a
gibbet. After this event, a certain
Roman rustic had a dream, in which
an apparition informed him that he
had been displeased with the president
of the games, and the rustic was
ordered to apprise the senate of that
fact. He, however, did not dare to
do so; on which the apparition
appeared a second time, and warned
him not to provoke him to exert
his power. Even then he could not
summon courage to obey, and presently
his son died. After this, the same
admonition was repeated in his dreams for the third time. Then the
peasant himself became extremely ill, and related the cause of his trouble to
his friends, by whose advice he was carried on a litter to the senatehouse;
and as soon as he had related
his dreams to the senate, he recovered
his health and strength, and returned
home on foot perfectly cured. Thereupon,
the truth of his dreams being
admitted by the senate, it is related
that these games were repeated a
second time. It is recorded in the
history of the same Crelius, that
Caius Gracchus informed many persons that
during the time that he was
soliciting the qusestorship, his brother
Tiberius Gracchus appeared to him in
a dream, and said to him, that
he might delay as much as he
pleased, but that nevertheless he was
fated to die by the same death
which e himself had suffered. Coclius
asserts that he heard this fact, and
related it to many persons, before
Caius Gracchus had become tribune of
the people. And what can be more
certain than such a dream as this
1 Who, again, can despise those two
dreams, which are so frequently dwelt
upon by the Stoics?one concerning
Simonides, who, having found the dead
body of a man who was a
stranger to him lying in the road,
buried it. Having performed this office,
he was about to embark in a
ship, when the man whom he had
buried appeared to him in a dream
at night, and warned him not to
undertake the voyage, for that if he did he would perish by
shipwreck. Therefore, he returned home again, but all
the other people who sailed in that
vessel were lost. The other dream, which is a very celebrated one, is related
in the following manner:Two Arcadians, who were in
timate friends, were travelling together, and
arriving at Megara, one of them took
up his quarters at an inn, the
other at a friend's house. After
supper, when they had both gone to
bed, the Arcadian, who was staying at
his friend's house, saw an apparition
of his fellowtraveller at the inn,
who prayed him to come to his
assistance immediately, as the innkeeper
was going to murder him. Alarmed at
this intimation, he started from his
sleep; but on recollection, thinking it
nothing but an idle dream, he lay
down again. Presently, the apparition
appeared to him again in his sleep,
and entreated him, though he would
not come to his as sistance while
yet alive, at least not to leave
his death unavenged. He told him further,
that the innkeeper had first murdered
him, and then cast him into a
dungcart, where he lay covered with
filth; and begged him to go early
to the gate of the town, before
any cart could leave the town. Much
excited by this second vision, he
went early next morning to the gate
of the town, and met with the
driver of the cart, and asked him
what he had in his waggon. The
driver, upon this question, ran away
in a fright. The dead body was
then discovered, and the innkeeper, the
evidence being clear against him, was
brought to punishment. What can be more
akin to divination than such a dream
as this ? But why do I relate
any more ancient instances of similar
things, when such dreams have occurred
to ourselves? for I have often told
you mine, and I have as often
heard you talk of yours. When I
was proconsul in Asia, it appeared to
me as I slept, that I saw you
riding on horseback till you reached
the banks of a great river, and
that you were suddenly thrown off and
precipitated into the waters, and so
disappeared. At this I trembled
exceedingly, being overcome with fear and
apprehension. But suddenly you reappeared
before me with a joyful countenance,
and, with the same horse, ascended
the opposite bank, and then we
embraced each other. It is easy to
conjecture the signification of such a
dream as this; and hence the learned
inten <reters of Asia predicted to
me that those events would take place
which afterwards did come to pass. I
now come to your own dream, which
I have sometimes heard from yourself,
but more often from our friend
Sallust. He used to say, that in
that flight and exile of yours, which
was so glorious for you, so
calamitous for our country, you stayed
awhile in a certain villa of the
territory of Atina, when, having sat
up a great part of the night,
you fell into a deep and heavy
slumber towards the morning. And from
this slumber your attendants would not
awake you, as you had given orders
that you were not to be disturbed,
though your journey was sufficiently urgent. When at length you awoke about the
second hour of the day, you related to Sallust the following dream:That
it had seemed to you that, as
you were wandering sorrowfully through some
solitary district, Caius Marius appeared to
you with his fasces covered with
laurel, and that he asked you why
you were afflicted. And when you
informed him that you had been driven
from your country by the violence of
the disaffected, he seized your right
hand, and urged you to be of good
cheer, and ordered the lictor nearest
to him to lead you to his
monument, saying, that there you should
find security. Sallust told me, that
upon hearing this dream, he himself
exclaimed at once that your return
would be speedy and glorious; and
that you also appeared to be de
lighted with your dream. A short time
afterwards I was informed, as you
well know, that it was in the
monument of Marius that, on the
instance of that excellent and famous
consul Lentulus, that most honourable
decree of the senate was passed for
your recal, which was applauded with
shouts of incredible exultation in a
very full assembly; so that, as you
yourself observed, no dream could have
a higher character of divination than
this which occurred to you at Atina.
But you will say that there are
likewise many false dreams. No doubt
there are some which are perhaps
obscure to us; but, even allow that
there are some which are actually false,
what argument is that against those which are true ?of which,
indeed, there would be a great many
more if we went to bed in
perfect health; but as it is, from
our being over charged with wine and
luxuries, all our perceptions become
troubled and confused. Consider what
Socrates, in the Republic of Plato,
says on this subject. " When,"
says he, " that part of the
soul which is capable of intelligence
and reason is subdued and reduced to
languor, then that part in which there is a species of
ferocity and uncivilized savageness being excited
by immoderate eating and drinking, exults
in our sleep and wantons about unre
strainedly; and therefore all kinds of
visions present them selves to it,
such as are destitute of all sense
or reason, in which we appear to
be giving ourselves up to incest and
all kinds of bestiality, or to be
committing bloody murders, and massacres,
and all kinds of execrable deeds,
with a triumphant defiance of all prudence
and decency. But in the case of
a man who is accustomed to a
sober and regular life, when he
commits himself to sleep, then that
part of his soul which is the
seat of intellect and reason is still
active and awake, being replenished with
a banquet of virtuous thoughts; and
that portion which is nourished by pleasure,
is neither destroyed by exhaustion nor
swollen by satiety, either of which
is accustomed to impair the vigour of
the soul, whether nature is deficient
in anything, or super abundant or
overstocked; and that third division also,
ill which the vehemence of anger is
situated, is lulled and restrained; so,
consequently, it happens, that owing to
the due regulation of the two more
violent portions of the soul, the
third, or intellectual part, shines forth
conspicuously, and is fresh and active
for the admission of dreams; and
therefore the visions of sleep which
present themselves before it are tranquil
and true." Such are the very
words of Plato. Shall we, then,
prefer listening to the doctrine of
Epicurus on this point ? As for
Carneades, he sometimes says one thing
and sometimes another, from his mere
fondness for discussion. And yet, what
are the sentiments which he utters ?
At all events, they are never
expressed either with elegance or
propriety. And will you prefer such a
man as this to Plato and Socrates
1 men who, even if they were to
give no reason for their tenets,
should, by the mere authority of
their names, outweigh these minute
philosophers. Plato then asserts that we
should bring our bodies into such a
disposition before we go to sleep as
to leave nothing which may occasion
error or perturbation in our dreams.
For this reason, perhaps, Pythagoras laid
it down as a rule, that his disciples
should not eat beans, because this
food is very flatulent, and contrary
to that tranquillity of mind which a
truthseeking spirit should possess. When,
therefore, the mind is thus separated
from the society and contagion of the
body, it recollects things past, examines
things present, and anticipates things to
come. For the body of one who
is asleep lies like that of one
who is dead, while the spirit is full of vitality
and vigour. And it will be yet
more so after death, when it will
have got rid of the body altogether;
and therefore we _see that even on the
approach of death it becomes much
more divine. For it often happens
that those who are attacked by a
severe and mortal malady, foresee that
their death is at hand. And in this
state they often behold ghosts and
phantoms of the dead. Then they are
more than ever anxious about their
reputations; and they who have lived
otherwise than as they ought, then
most especially repent of their sins.
And that the dying are often
possessed of the gift of divi nation,
Posidonius confirms by that notorious
example of a certain Rhodian who,
being on his deathbed, named six of
his contemporaries, saying which of them
would die first, which second, which,
next to him, and so on. There
are, he imagines, besides this, three
ways in which men dream under the
immediate impulse of the Gods : one,
when the mind intuitively perceives things
by the relation which it bears to the
Gods; the second, arising from the
fact of the air being full of
immortal spirits, in whom all the
signs of truth are, as it were,
stamped and visible; the third, when
the Gods themselves converse with sleepers,and that,
as I have said before, takes place
more especially at the approach of
death, enabling the minds of the
dying to anti cipate future events.
An instance of this is the prediction
of Calanus, of whom I have already
spoken. Another is that of Hector, in Homer, who, when dying
himself, foretels the approaching death of
Achilles. If there were no such thing
as divination, Plautus would not have
been so much applauded for the
following line : — My mind presaged
(prcesagibat), when I first went out,
That I was going on a fruitless
journey : — for the verb sagio means, to feel
shrewdly. Hence old women are sometimes
called sagce (witches), because they are
ambi tious of knowing many things;
and dogs are called sagacioiis. Whoever, therefore,
say it (knows) before the event has
come to pass, is said prcesagire (to
have the power of knowing the future beforehand).
There exists, therefore, in the mind
a presentiment, which strikes the soul
from without, and which is enclosed
in the soul by divine operation. If
this becomes very vivid, it is termed
frenzy, as happens when the soul,
being abstracted from the body, is
stirred up by a divine inspiration. What
sudden transport fires my virgin soul !
Jly mother, oh, my mother ! — dearest
name Of all dear names ! But
oh, my breast is full Of divination
and impending fates, While dread Apollo
with his mighty impulse Urges me
onward. Sisters, my sweet sisters !
I grieve to anticipate the coming
fate Of our most royal parents.
You are all More filial and more
dutiful than I. I only am enjoin'd
this cruel task, To utter imminent ruin.
You do serve them; I injure
them ; and your obedience Shines well,
set-off by my disloyal rage.1 0 what
a tender, moral, and delicate poem !
though the beauty of it does
not affect the question. What I
wish to prove is, that that frenzy often
predicts what is true and real. I
see the blazing torch of Troy's last
doom, Fire, and massacre, and death.
Arm, citizens ! Bring aid and quench
the flames. In the following lines,
it is not so much Cassandra who
speaks, as the Deity enclosed in human
form:Already is the fleet prepared to
sail; It bears destruction — rapidly it
speeds: A dreadful army traverses the
shores, Destined to slaughter. 1 seem
to be doing nothing but quoting
tragedies and fables. I would mention a
story I have heard from your self,
and that not an imaginary, but a
real circumstance, and closely related to
our present discussion. Caius Coponius, a
skilful general, and a man of the
highest character for learn ing and
wisdom, who commanded the fleet of
the Rhodians, with the appointment of
praetor, came to you at Dyrrha-
chium, and informed, you that a
certain sailor in a Khodiau galley
had predicted that, in less than a
month, Greece would 1 This is a
quotation from Pacuvius's play of Hercules
; the speaker is Cassandra. be deluged with
blood, that Dyrrhachium would be pillaged,
and that the people would flee and
take to their ships; that, looking
back in their flight, they would see a
terrible con flagration. He added,
moreover, that the fleet of the
lihodians would soon return, and retire
to Rhodes. You told me that you
yourself were surprised at this
intelligence, and that Marcus Varro and
Marcus Cato, both men of great learning,
who were with you, were exceedingly
alarmed. A few days afterwards, Labienus,
having escaped from the battle of
Phar- salia, arrived and brought an
account of the defeat of the army:
and the rest of the prediction was
soon accomplished; for the corn was
dragged out of the granaries, and
strewed about all the streets and
alleys, and destroyed. Yoxi all embarked
on board the ships in haste and
alarm; and at night, when you looked
back towai-ds the town, you beheld
the barges on fire, which were burned
by the soldiers because they would
not follow. At last you were deserted
by the fleet of the Rhodians, and
then you found that the prophet had
been a true one. I have explained
as concisely as possible the fore
warnings of dreams and frenzy, with
which I said that art had nothing
to do; for both these kinds of
prediction arise from the same cause,
which our friend Cratippus adopts as
the true explana tion —namely, that the
souls of men are partly inspired and
agitated from without. By which he
meant to say, that there is in
the exterior world a sort of divine
soul, whence the human soul is
derived; and that that portion of the
human soul which is the fountain of
sensation, motion, and appetite, is not
separate from the action of the body;
but that portion which partakes of
reason and intelligence is then most
ener getic, when it is most completely
abstracted from the body. Therefore, after
having recounted veritable instances of
presentiments and dreams, Cratippus used to
sum up his conclusions in this
manner:" If," he would say, "the
exist ence of the eyes is necessary
to the existence and operation of the
function of sight, though the eyes
may not be always exercising that
function, still he who has once made
use of his eyes so as to see
correctly, is possessed of eyes capable
of the sensation of correct sight:
just so if the function and gift
of divination cannot exist without the
exercise of divination, and yet a man
who has this gift may sometimes err
in its exercise, and not foresee correctly;
then it is sufficient to prove the
existence of divination, that some event
should have been once so correctly
divined that none of its circum
stances appear to have happened
fortuitously. And as a multitude of
such events have occurred, the existence
of divination ought not to be
doubted.But as to those divinations which
are explained by conjecture, or by
the observation of events; these, as
I have said before, are not of
the natural, but artificial order; in
which artificial class are the haruspices,
and augurs, and interpreters. These are
discredited by the Peripatetics, and defended
by the Stoics. Some of them are
established by certain monuments and
systems, as is evident from the
ritual books of the ancient Etruscans
respecting electrical interpre tation of
the omens conveyed by the entrails of
victims and by lightning, and by our
own books on the discipline of the
augurs Other divinations are explained at
once by con jecture, without reference
to any written authorities; such as
the prophecy of Calchas in Homer,
who, by a certain num ber of
flying sparrows, predicted the number of
years which would be occupied in the
siege of Troy; and as an event
which we read recorded in the history
of Sylla, which hap pened under your
own eyes. For when Sylla was in
the territory of Nola, and was sacrificing
in front of his tent, a serpent
suddenly glided out from beneath the
altar; and when, upon this, the
soothsayer Posthumius exhorted him to give
orders for the immediate march of the
army, Sylla obeyed the injunction, and
entirely defeated the Samnites, who lay
before Nola, and took possession of
their richly- provided camp. It was
by this kind of conjectural divination
that the fortune of the tyrant
Dionysius was announced a little before
the commencement of his reign; for
when he was travelling through the
territory of Leontini, he dismounted and
drove his horse into a river; but
the horse was carried away by the
current, and Dionysius, not being able
with all his efforts to extricate
him, departed, as Philistus reports,
lamenting his loss. Some time afterwards,
as he was journeying further down the
river, he suddenly heard a neighing,
and to his great joy found his horse
in very comfortable condition, with a
swarm of bees hanging on his mane.
And this prodigy intimated the event which
took place a few days after this,
when Dionysius was called to the
throne. Need I say more 1
Ho\v many intimations were given to the
Lacedaemonians a short time before the
disaster of Leuctra, when arms rattled
in the temple of Hercules, and his
statue streamed with profuse sweat!
At the same time, at Thebes (as
Callisthenes relates), the foldingdoors in
the temple of Hercules, which were
closed with bars, opened of their own
accord, and the armour which was
suspended on the walls was found fallen
to the ground. And at the same
period, at Lebadia, where divine rites
were being performed in honour of
Trophonius, all the cocks in the
neighbourhood began to crow so incessantly
as never to leave off at all;
and the Boeotian augurs affirmed that
this was a sign of victory to
the Thebans. because these birds crow
only on occasions of victory, and
maintain silence in case of defeat.
Many other signs, at this time, announced
to the Spartans the calamities of the
battle of Leuctra; for, at Delphi, on
the head of the statue of Lysander,
who was the most famous of the
Lacedaemonians, there suddenly appeared a
garland of wild prickly herbs. And
the golden stars which the Lacedae
monians had set up as symbols of
Castor and Pollux, in the temple of
Delphi, after the famous naval victory
of Lysander, in which the power of
Athens was broken, because those divinities
were reported to have appeared in the
Lacedaj- monian fleet during that
engagement, fell down, and were seen
no more. And the greatest of all
the prodigies which were sent as
warnings to those same Lacedaemonians,
happened when they sent to consult
the oracle of Jupiter at Dodona on
the success of the combat; and when
the ambassadors had cast their questions
into the urn from which the responses
were to be drawn, an ape, whom
the king of Molossus kept as a
pet, dis turbed and confounded all
the lots, and everything else which
had been prepared for the purpose of
giving a reply in due form. Upon
which the priestess who presided at
the oracular rites, declared that the
Lacedaemonians must rather look to their
safety than expect a victory. Must I
say more 1 In the second Punic
war, when Flaminius, being consul for
the second time, despised the signs
of future events, did he not by
such conduct occasion great disasters to
the state ? For when, after, having
reviewed the troops, he was moving
his camp towards Arezzo, and leading
his legions against Hannibal, his horse
suddenly fell with him before the
statue of Jupiter Stator, without any
apparent cause. But though those who
were skilful in divina tion declared
it was an evident sign from the
Gods that he should not engage in
battle, he paid no attention to it.
After wards, when it was proposed to
consult the auspices by the consecrated
chickens, the augur indicated the propriety
of deferring the battle. Flaminius asked
him what was to be done the
next day, if the chickens still
refused to feed ? He replied that
in that case he must still rest
quiet. " Fine auspices, indeed,"
replied Flaminius, " if we may only
fight when the chickens are hungry,
but must do nothing if they are
full." And so he commanded the
standards to be moved forward, and
the army to follow him; on which
occasion, the standard-bearer of the first
battalion could not extricate his standard
from the ground in which it was
pitched, and several soldiers who
endeavoured to assist him were foiled
in the attempt. Flaminius, to whom
they related this incident, despised the
warning, as was usual with him; and
in the course of three hours from
that time, the whole of his army
was routed, and he himself slain.
And it is a wonderful story, too,
that is told by Coelius, as having
happened at this very time, that such
great earth quakes took place in
Liguria, Gallia, and many of the
islands, and throughout all Italy, that
many cities were destrojred, and the
earth was broken into chasms in many
places, and rivers rolled backwards, while
the waters of the sea rushed into
their channels. Skilful diviners can certainly
derive correct pre sentiments from slight
circumstances. When Midas, who be came
king of Phrygia, was yet an infant,
some ants crammed some grains of
wheat into his mouth while he was
sleep ing. On this the diviners
predicted that he would become exceedingly
rich, as indeed afterwards happened. While
Plato was an infant in his cradle,
a swarm of bees settled on his
lips during his slumbers; and the
diviners answered that he would become
extremely eloquent; and this prediction of
his future eloquence was made before
he even knew how to speak. Why
should I speak of your dear and
delightful friend, Roscius 1 Did he
tell lies himself, or did the whole
city of Lanuvium tell lies for him
? When he was in his cradle at Solonium, where he
was being brought up,— (a place which
belongs to the Lanuvian territory.) the
story goes, that one night, there
being a light in the room, his
nurse arose and found a serpent
coiled around him, and in her alarm
at this sight she made a great
outcry. The father of Roscius related
the circumstance to the soothsayers, and
they answered that the child would
become preeminently distinguished and illus
trious. This adventure was afterwards
engraved by Praxiteles in silver, and
our friend Archias celebrated it in verse.
What, then, are we waiting for 1
Are we to wait till the Gods
are conversant with us and our
affairs, while we are in the forum,
and on our journeys, and when we
are at home? yet though they do
not openly discover themselves to us,
they diffuse their divine influence far
and wide — an influence which they not
only inclose in the caverns of the
earth, but sometimes extend to the
constitutions of men. For it was this
divine influence of the earth which
inspired the Pythia at Delphi, while
the Sibyl received her power of
divination from nature. Why should we
wonder at this 1 Do we not see
how various are the species and
specific properties of earths 1 — of
which some parts are injurious, as
the earth of Amp- sanctus in
Hirpinum, and the Plutonian land in
Asia: and some portions of the soil
of the fields are pestilential, others
salubrious; some spots produce acute
capacities, others heavy characters. All
which things depend on the varieties
of atmosphere, and are inequalities of
the exhalations of the different soils.
It likewise often happens that minds
are affected more or less powerfully
by certain expressions of countenance, and
certain tones of voice and modulations, —
often also by fits of anxiety and
terror — a condition indicated in these
lines of the poet : — Madden'd in
heart, and weeping like as one By
the mysterious rites of Bacchus wrought
Into wild ecstasy, she wanders lone
Amid the tombs, and mourns her Teucer
lost. And this state of excitement also
proves that there is a divine energy
in human souls. And so Democritus asserts,
that without something of this ecstasy
no man can become a great poet ;
and Plato utters the same sentiment :
and he may call this poetic
inspiration an ecstasy or madness as
much as he pleases, so long as
he eulogizes it as eloquently as he
does in his Phecdon. What is your
art of oratory in pleading causes 1
What is your action ? Can it be
forcible, commanding, and copious, unless
your mind and heart are in some
degree animated by a kind of
inspiration 1 I have often beheld in
yourself, and, to descend to a less dignified
example, even in your friend ufEsop,
such fire and splendour of expression
and action, that it seemed as if
some potent inspiration had altogether ab
stracted him from all present sensation
and thought. Besides this, forms often
come across us which have no real
existence, but which nevertheless have a
distinct appear ance. Such an apparition
is said to have occurred to Bren-
ims, and to his Gallic troops, when
he was waging an impious war upon
the temple of Apollo at Delphi. For
on that occa sion it is reported
that the Pythian priestess pronounced these
words :"I and the white virgins
will provide for the future." In
accordance with which, it happened that
the Gauls fancied that they saw white
virgins bearing arms against them, and
that their entire army was overwhelmed
in the snow. Aristotle thinks that
those who become ecstatic or furious
through some disease, especially melancholy
persons, possess a divine gift of
presentiment in their minds. But I know
not whether it is right to attribute
anything of this kind to men with
diseases of the stomach, or to
persons in a frenzy, for time
divination rather appertains to a sound mind
than to a sick body. The Stoics attempt
to prove the reality of divination in
this way: — If there are Gods, and
they do not intimate future events to
men, they either do not love men,
or they are ignorant of the future;
or else they conceive that know ledge
of the future can be of no
service to men; or they con ceive
that it does not become their majesty
to condescend to intimate beforehand what
must be hereafter; or lastly, we must
say that even the Gods themselves cannot
tell how to forewarn us of them.
But it is not true that the
Gods do not love men, for they are
essentially benevolent and philanthropic; and
they cannot be ignorant of those
events which take place by their own
direction and appointment. Again, it cannot
be a matter of indifference to us
to be apprised of what is about
to happen, for we shall become more
cautious if we do know such things.
Nor do they think it beneath their
dignity to give such inti mations,
for nothing is more excellent than
beneficence. And lastly, the Gods cannot
be ignorant of future events. There
fore there are no Gods, and they
do not give intimations of the
future. But there are Gods: so
therefore they do give such intimations;
and if they do give such intimations,
they must have given us the means
of understanding them, or else they
would give their information to no
purpose. And if they do give us
such means, divination must needs exist;
therefore divination does exist. Such is
the argument in favour of divination
by which Chrysippus, Diogenes, and
Antipater endeavour to demonstrate their
side of the question. Why, then,
should any doubt be entertained that
the arguments that I have advanced
are entirely true? If both reason and
fact are on my side,— if whole
nations and peoples, Greeks and barbarians, and
our own ancestors also, confirm all
my assertions, — if also it has always
been maintained by the greatest
philosophers and poets, and by the
wisest legislators who have framed
constitutions and founded cities, must we
wait till the very animals give their
verdict? and may not we be content
with the unanimous authority of all
mankind1? Nor indeed is any other
argument brought forward to prove that
all these kinds of divination which I
uphold have no existe nce, than that
it appears difficult to explain what
are the different principles and causes
of each kind of divination. For what
reason can the soothsayer allege why
an injury in the lungs of otherwise
favourable entrails should compel us to
alter a day previously appointed, and
defer au enterprise? How can an augur
ex plain why the croak of a
raven on the right hand, and a
crow on the left, should be reckoned
a good omen? What can an astrologer
say by way of explaining why a
conjunction of the planet Jupiter or
Venus with the moon is propitious at
the birth of a child, and why
the conjunction of Saturn or Mars is
injurious? or why God should warn us
during sleep, and neglect us when we
are awake ? or lastly, what is
the reason why the frantic Cassandra could
foresee future events, while the sage
Priam remained ignorant of them? Do
you ask why everything takes place as
it does? Very right; but that is
not the question now; what we are
trying to find out is whether such
is the case or not. As, if I
were to assert that the magnet is
a kind of stone which attracts and
draws iron to itself, but were unable
to give the reason why that is
the case, would you deny the fact
altogether ? And you treat the
subject of divination in the same
way, though we see it, and hear
of it, and read of it, and have
received it as a tradition from our
ancestors. Nor did the world in
general ever doubt of it before the
introduction of that philosophy which has
recently been invented, and even since
the appearance of philosophy, no
philosopher who was of any authority
at all has been of a contrary
opinion. I have already quoted in its
favour Pythagoras, Democritus, and Socrates.
There is no exception but Xenophanes
among the ancients. I have likewise
added the old Academicians, the
Peripatetics, and the Stoics: all supported
divination; Epi curus alone was of
the opposite opinion. But what can be
more shameless than such a man as
he, who asserted that there was no
gratuitous and disinterested virtue in the world?
XL. But what man is there who
is not moved by the testi mony
and declarations of antiquity? Homer writes
that Cal- chas was a most excellent
augur, and that he conducted the
fleet of the Greeks to Troy, — more,
I imagine, by his know ledge of
the auspices than of the country.
Amphilochus and Mopsus were kings of
the Argives, and also augurs, and
built the Greek cities on the coast
of Cilicia. And before them lived
Amphiaraus and Tiresias, men of no lowly rank
or ob scure fame, not like those
men of whom Ennius says —They hire
out their prophecies for gold : no;
they were renowned and first rate
men, who predicted the future by
means of the knowledge which they
derived from birds and omens; and
Homer, speaking of the latter even in
the infernal regions, says that he
alone was con sistently wise, while
others were wandering about like shadows.
As to Amphiaraus, he was so honoured
by the general praise of all Greece,
that he was accounted a god, and
oracles were established at the spot
where he was buried. Why need I
speak of Priam king of Asia? had
not he two children possessed of this
gift of divination, namely a son
named Helenus, and a daughter named Cassandra,
who both prophesied, one by means of
auspices, the other through an excited
state of mind and divine inspiration1?
of which de scription likewise were
two brothers of the noble family of
the Marcii, who are recorded as
having lived in the days of our
ancestors. Does not Homer inform us,
too, that Polyidus the Corinthian predicted
the various fates of many persons, and
the death of his son when he
was going to the siege of Troy?
And as a general rule, among the
ancients, those who were possessed of
authority \asually also possessed the know
ledge of auguries; for, as they
thought wisdom a regal attri bute, so
also did they esteem divination. And
of this our state of Rome is an
instance, in which several of our
kings were also augurs, and afterwards
even private persons, endued with the
same sacerdotal office, ruled the
commonwealth by the authority of religion.
And this kind of divination has not
been neglected even by barbarous nations;
for the Druids in Gaul are diviners,
among whom I myself have been
acquainted with Divitiacus vEduus, your own
friend and panegyrist, who pretends to
the science of nature which the
Greeks call physiology, and who asserts
that, partly by auguries and partly
by conjecture, he foresees future events. Among
the Persians they have augurs and
diviners, called magi, who at certain
seasons all assemble in a temple for
mutual conference and consultation; as your
college also used once to do on
the nones of the month. And no
man can become a king of Persia
who is not previously initiated in the
doctrine of the magi. There are even
whole families and nations devoted to
divina tion. The entire city of
Telmessus in Caria is such. Likewise
in Elis, a city of Peloponnesus,
there are two families, called lamidse
and ClutidoD, distinguished for their
proficiency in divination. And in Syria
the Chaldeans have become famous for
their astrological predictions, and the
subtlety of their genius. Etruria is
especially famous for possessing an inti
mate acquaintance with omens connected with
thunderbolts and things of that kind,
and the art of explaining the signi
fication of prodigies and portents. This
is the reason why our ancestors,
during the flourishing days of the
empire, enacted that six of the children
of the principal senators should be
sent, one to each of the Etrurian
tribes, to be instructed in the
divination of the Etrurians, in order
that this science of divination, so
intimately connected with reli gion, might
not, owing to the poverty of its
professors, be cultivated for merely
mercenary motives, and falsified by
bribery. The Phrygians, the Pisidians, the
Cilicians, and Arabians are accustomed to
regulate many of their affairs by the
omens which they derive from birds.
And the Umbrians do the same,
according to report. It appears to me
that the different characteristics of
divination have originated in the nature
of the localities themselves in which
they have been cultivated. For as the
Egyptians and Babylonians, who reside in
vast plains, where no mountains obstruct
their view of the entire hemisphere,
have applied themselves principally to that
kind of divination called astrology, the
Etrurians, on the other hand, because
they, as men more devoted to the
rites of religion, were used to
sacrifice victims with more zeal and
frequency, have espe cially applied
themselves to the examination of the
entrails of animals; and as, from the
character of their climate and the
denseness of their atmosphere, they are
accustomed to witness many meteorological
phenomena, and because for the same
reason many singular prodigies take place
among them, arising alike from heaven
or from earth, and even from the
concep tions or offspring of men or
cattle, they have become won derfully
skilful in the interpretation of such
curiosities, the force of which, as
you often say, is clearly declared by
the very names given to them by
our ancestors, for because they point
out (ostendunt}, portend, show (monstrant),
and predict, they are called ostents,
portents, monsters, and prodigies. Again,
the Arabians, the Phrygians, and Cilicians,
because they rear large herds of
cattle, and, both in summer and
winter, traverse the plains and mountainous
districts, have on that account taken
especial notice of the songs and
flight of birds. The Pisidians, and
in our country the Umbrians, have
applied themselves to the same art
for the same reason. The whole nation
of the Carians, and most especially
the Telmessians, who reside in the
most productive and fertile plains, in
which the exuberance of nature gives
birth to many extraordinary productions, have
been very careful in the observation
of prodigies. But who can shut his
eyes to the fact that in every
well constituted state auspices, and other
kinds of divi nation, have been much
esteemed? What monarch or what people
has ever neglected to make use of
them in the trans actions of peace,
and still more especially in time of
war, when the safety or welfare of
the commonwealth is implicated in a
greater degree? I do not speak merely
of our own countrymen, — who have never
undertaken any martial enter prise without
inspection of the entrails, and who
never con duct the affairs of the
city without consulting the auspices, — I
rather allude to foreign nations. The
Athenians, for ex ample, always consulted
certain divining priests, (whom they called
yaavrei?,) when they convoked their public
assemblies. The Spartans always appointed
an augur as the assessor of their
king, and also they ordained that an
augur should be present at the
council of their Elders, which was
the name they gave to their public
council; and in every important transaction
they invariably consulted the oracle of
Apollo at Delphi, or that of Jupiter
Harnmon, or that of Dodona. Lycurgus,
who formed the Lacedaemonian commonwealth,
desired that his code of laws should
receive confirmation from the authority of
Apollo at Delphi; and when Lysander sought
to change them, the same authority
forbade his innovations. Moreovei', the
Spartan magistrates, not content with a
careful superintendence of the state
affairs, went occasionally to spend a
night in the temple of Pasiphae,
which is in the country in the
neighbourhood of their city, for the
sake of dreaming there, because they
considered the oracles received in sleep
to be true. But I return to
the divination of the Eomans. How
often has our senate enjoined the
decemvirs to consult the books of the
Sibyls! For instance, when two suns
had been seen, or when three moons
had appeared, and when flames of fire
were noticed in the sky; or on
that other occasion, when the sun was
beheld in the night, when noises were
heard in the sky, and the heaven
itself seemed to burst open, and
strange globes were remarked in it.
Again, information was laid before the
senate, that a portion of the
territory of Privernum had been swallowed
up, and that the land had sunk
down to an incredible depth, and that
Apulia had been convulsed by terrific
earthquakes; which portentous events announced
to the Romans terrible wars and
disastrous seditions. On all these
occasions the diviners and their auspices
were in perfect accordance with the
prophetic verses of the Sibyl. Again,
when the statue of Apollo at Cuma was
covered with a miraculous sweat, and
that of Victory was found in the
same condition at Capua, and when the
hermaphrodite was born, — were not these
things significant of horrible dis asters?
Or again, when the Tiber was
discoloured writh blood, or when, as
has often happened, showers of stones,
or sometimes of blood, or of mud,
or of milk, have fallen, — when the
thunder bolt fell on the Centaur of
the Capitol, and struck the gates of
Mount Aventine, and slew some of the
inhabitants; or again, when it struck
the temple of Castor and Pollux at
Tusculum, and the temple of Piety at
Rome, — did not the soothsayers in reply
announce the events which subsequently took
place, and were not similar predictions
found in the Sibylline volumes'? How
often has the senate commanded the
decemvirs to consult the Sibylline books!
In what important affairs, and how
often has it not been guided wholly
by the answers of the soothsayers! In
the Marsic war, not long ago, the
temple of Juno the Protectress was
restored by the senate, which was
excited to this holy act by a
dream of Csccilia, the daughter of
Quintus Metellus. But after Sisenna, who
men tions this dream, had related the
wonderful correspondence of the event with
the prediction, he nevertheless (being
influ enced, I suppose, by some
Epicurean) proceeded to argue that dreams
should never be trusted: however, he
states nothing against the credit of
the prodigies wrhich took place, and
which he reports, at the beginning of
the Marsic war1, when the images of
the gods were seen to sweat, and
blood flowed in the streams, and the
heavens opened, and voices were heard
from secret places, which foretold the
dangers of the combat; and at
Lanuvium the sacred bucklers were found
to have been gnawed by mice, which
appeared to the augurs the worst
presage of all. Shall I add further
what we read recorded in our annals,
thnt in the war against the Veientes,
when the Alban lake had risen
enormously, one of their most distinguished
nobles came over to us and said, that
it \vas predicted in the sacred books
concerning the destinies of the Veientes,
which they had in their own
possession, that their city could never
be captured while the lake remained
full; and that if, when the lake
was opened, its waters were allowed to
run into the sea, the .Romans would
suffer loss, — if, on the contrary, they
were so drawn off that they did
not reach the sea, then we should
have good success? And from this
circumstance arose the series of immense
labours, subsequently undertaken by our
ancestors in conducting away the waters
of the Alban lake. But when the
Veientes, being weary of war, sent
ambassadors to the Roman senate, one
of them exclaimed that that de serter
had not ventured to tell them all
he knew, for that in those same
sacred books it was predicted that Rome
should soon be ravaged by the Gauls,
— an event which happened six years after
the city of Veii surrendered. The cry
of the fauns, too, has often been
heard in battle; and prophetic voices
have often sounded from secret places
in periods of trouble ; of which,
among others, we have two notable
examples, — for shortly before the capture
of Rome a voice was heard which
proceeded from the grove of Vesta,
which skirts the new road at the
foot of the Palatine Hill, exhorting
the citizens to repair the walls and
gates, for that if they were not
taken care of the city would be
taken. The injunction was neglected till
it was too late, and it after
wards was awfully confirmed by the
fact. After the disaster had occurred,
our citizens erected an altar to Aius
the Speaker, which we may still see
carefully fenced round, opposite the spot
where the warning was uttered. Many
authors have reported that once, after
a great earthquake had happened, they
heard a voice from the temple of
Juno, commanding that expiation should be
made by the sacrifice of a pregnant
sow, and hence it was afterwards
called the temple of Juno the
Admonitress. Shall we then despise these
oracular inti mations, which the Gods
themselves vouchsafed us, and which our
ancestors have confirmed by their testimony
? The Pythagoreans had not only high
reverence for the voice of the Gods,
but they likewise respected the warnings
of men (hominum), which they call
omina. And our ancestors were persuaded
that much virtue resides in certain
words, and therefore prefaced their various
enterprises with certain auspicious phrases, such
as, "May good and prosperous and
happy fortune attend." They commenced
all the public ceremonies of religion
with these words, — " Keep silence;
" and when they announced any
holidays, they commanded that all lawsuits
and quarrels should be suspended. Likewise,
wheu the chief who forms a colony
makes a lustration and review of it,
or when a general musters an arm,
or a censor the people, they always
choose those who have lucky names to
prepare the sacrifices. The consuls in
their military enrol ments likewise take
care that the first soldier enrolled
shall be one with a fortunate name;
and you know that you your self
were very attentive to these ceremonial observances
when you were consul and imperator.
Our ancestors have likewise enjoined that
the name of the tribe which had
the precedence should be regarded as
the presage of a legitimate assembly
of the Comitia. And of presages of
this kind I can relate to you
several celebi'ated examples. Under the
second consulship of Lucius Paulus, when
the charge of making war against the
king Perses had been allotted to him,
it happened that on the evening of
that very same day, when he returned
home and kissed his little daughter
Tertia, he noticed that she was very
sorrowful. " What is the matter,
my Tertia," said he, " why
are you so sad?" " My
father," replied she, " Perses
has perished." Upon which he caught
her in his arms, and caressing her,
exclaimed, " I embrace the omen,
my daughter." But the real truth
was, that her dog, who happened to
be called Perses, had died. I have
heard Lucius Flaccus, a priest of
Mars, say, that Csecilia, the daughter
of Metellus, intending to make a
matri monial engagement for her sister's
daughter, went to a certain temple,
in order to procure an omen,
according to the ancient custom. Here
the maiden stood, and Ctecilia sat
for a long time without hearing any
sound, till the girl, who grew tired
of standing, begged her aunt to allow
her to occupy her seat for a
short period, in order to rest
herself. Csecilia replied, "Yes, my
child, I willingly resign my seat to
you." And this reply of hers was
an omen, confirmed by the event, for
Ceecilia died soon after, and her
niece married her aunt's husband. I
know that men may despise such
stories, or even laugh at them, but
such conduct amounts to a disbelief in the
existence of the Gods themselves, and to
a contempt of their revealed will. Why
need I speak of the augurs 1 — that
part of the qxiestion concerns you.
The defence of the auguries, I say,
belongs peculiarly to you. When you
were a consul, Publius Claudius, who
was one of the augurs, announced to
you, when the augury of the Goddess
Salus was doubted, that a disas trous
domestic and civil war would take
place, which happened a few months
afterwards, but was suppressed by your
exer tions in still fewer days. And
I highly approve of this augur, who
alone for a long period remained
constant to the study of divination,
without making a parade of his
auguries, while his colleagues and yours
persisted in laughing at him, sometimes
terming him an augur of Pisidia or
Sora by way of ridicule. Those who
assert that neither auguries nor auspices
can give us any insight into or
foreknowledge of the future, say that
they are mere superstitious practices,
wisely invented to impose on the
ignorant; which, however, is far from
being the case : for our pastoral
ancestors under Romulus were not, nor
indeed was Romulus himself, so crafty
and cunning as to in vent religious
impositions for the purpose of deceiving
the mul titude. But the difficulty of
acquiring a thorough knowledge of the
auspices renders many who are indifferent
to them eloquent in their disparagement,
for they would rather deny that there
is anything in the auspices than take
the pains of studying what there
really is. What can be more divine
than that prediction, which you cite
in your poem of Marius, that I
may quote your owrn authority in
favour of my argument? — Jove's eagle,
wounded by a serpent's bite, In his
strong talons caught the writhing snake,
And with his goring beak tortured
his foe And slaked his vengeance in
his blood. At last He let,
the venomous reptile from on high
Fall in the whelming flood, then wing'd
his flight To the far east.
Marius beheld, and mark'd The augury
divine, and inly smiled To view the
presage of his coming fame ;
Meanwhile the thunder sounded on the left,
And thus confirm'd the omen. Moreover,
the augurial system of Romulus was a
pastoral rather than a civic institution.
Nor was it framed to suit the
opinions of the ignorant, but derived
from men of approved skill, and so
handed down to posterity by tradition.
Therefore Romulus was himself an augur
as well as his brother Remus, if
we may trust the authority of Ennius.
Both wish'd to reign, arid both agreed to
abide The fair decision of the
augury Here Remus sat alone, and
watch 'd for signs Of fav'ring omen,
while fair Eomulus On the Aventine
summit raised his eyes To see what
lofty flying birds should pass. A
goodly contest which should rule, and
which With his own name should stamp
the future city. Now like spectators
in the circus, till The consul's
signal looses from the goal The
eager chariots, so the obedient crowd
Awaited the strife's victor and their
king. The golden sun departed into
night, And the pale moon shone with
reflected ray, When on the left a
joyful bird appear'd, And golden Sol
brought back the radiant day. Twelve
holy forms of Jove-directed birds Wing'd
their propitious flight. Great Romulus
The omen hail'd, for now to him
was given The power to found and
name th" eternal city. Now, however,
let us return to the original point
from which we have been
digressing. Though I cannot give you
a reason for all these separate
facts, and can only distinctly assert
that those things which I have spoken
of did really happen, yet have I
not sufficiently answered Epicurus and
Carneades by proving the facts themselves'?
Why may I not admit, that though
it may be easy to find principles
on which to explain artificial presages,
the subject of divine intimations is
more obscure? for the presages which
we deduce from an examination of a
victim's entrailsfrom thunder and lightning,
from prodigies, and from the stars,
are founded on the accurate observation
of many centuries. Now it is certain,
that a long course of careful
observation, thus carefully conducted for a
series of ages, usually brings with it
an incredible accuracy of knowledge; and
this can exist even without the
inspiration of the Gods, when it has
been once ascertained by constant obser
vation what follows after each omen,
and what is indicated by each
prodigy. The other kind of divination
is natural, as I have said before, and
may by physical subtlety of reasoning
appeal- referable to the nature of
the Gods, from which, as the wisest
men acknowledge, we derive and enjoy
the energies of our souls; and as
everything is filled and pervaded by
a divine intelligence and eternal sense,
it follows of necessity that the soul
of man must be influenced by its
kindred wTith the soul of the Deity.
But when we are not asleep, our
faculties are employed on the necessary
affairs of life, and so are hindered
from communication with the Deity by
the bondage of the body. There are,
however, a small number of persons,
who, as it were, detach their souls
from the body, and addict themselves,
with the utmost anxiety and diligence,
to the study of the nature of
the Gods. The presentiments of men
like these are derived not from
divine inspiration, but from human reason ;
for from a contemplation of nature,
they anticipate things to come, — as
deluges of water, and the future
deflagration, at some time or other,
of heaven and earth. There are
others who, being concerned in the
government of states, as we have
heard of the Athenian Solon, foresee the
rise of new tyrannies. Such we
usually term prudent men ; like Thales
the Milesian, who, wishing to convict
his slanderers, and to show that even
a philosopher could make money, if he
should be so inclined, bought up all
the olive-trees in Miletus before they
were in flower; for he had probably,
by some knowledge of his own,
calculated that there would be a
heavy crop of olives. And Thales is
said to have been the first man
by whom an eclipse of the sun
was ever predicted, which happened under
the reign of Astyages. L. Physicians,
pilots, and husbandmen have likewise pre
sentiments of many events : but I do not
choose to call this divination ; as
neither do I call that warning which
was given by the natural philosopher
Anaximander to the Lacedae monians, when
he forewarned them to quit their city
and their homes, and to spend the
whole night in arms on the plain,
because he foresaw the approach of a
great earthquake, which took place that
very night, and demolished the whole
town; and even the lower part of
Mount Taygetus was torn away from
the rest, like the stern of a
ship might be. In the same way,
it is not so much as a diviner,
as a natural philosopher that we
should esteem Pherecydes, the master of
Pythagoras who, when he beheld the water
exhausted in a running spring, predicted
that an earthquake was nigh at hand.
The mind of man, however, never
exerts the power of natural divination,
unless when it is so free and
disengaged as to be wholly disentangled
from the body, as happens ia the
case of prophets and sleepers. Therefore,
as I have said before, Diceearchus
and our friend Cratippus approve of
these two sorts of divination, as
long as it is understood that,
inasmuch as they proceed from nature,
though they may be the highest, they
are not the only kind. But if
they deny that there is any force
in observation, then by such denial
they exclude many things which are connected
with the common experience and institutions
of mankind. However, since they grant
us some, and those not insignifi cant
things, namely, prophecies and dreams,
there is no reason why we should
consider these as very formidable
antagonists, especially when there are some
who deny the existence of divination
altogether. Those, therefore, whose minds,
as it were, despising their bodies,
fly forth, and wander freely through
the universe, being inspired and influenced
by a certain divine ardour, doubtless
perceive those things which those who
prophecy predict. And spirits like these
are excited by many influ ences that
have no connexion with the body, as
those which are excited by certain
intonations of voice, and by Phrygian
melodies, or by the silence of groves
and forests, or the murmur of
torrents, or the roar of the sea.
Such are the minds which are susceptible
of ecstasies, and which long beforehand
foresee the events of futurity; to
which the following lines refer: — Ah,
see you not the vengeance apt to
come, Because a mortal has presumed
to judge Between three rival goddesses'? —
he's doom'd To fall a victim to the
Spartan dame, More dreadful than all
furies. Many things have in the same
way been predicted by pro phets, and
not only in ordinary language, but
also In verses which the fauns of
olden times And white-hair'd prophets
chanted. It was thus that the
diviners; Marcius and Publicius, are said
to have sung their predictions. The
mysterious responses of Apollo were of
the same nature. I believe also that
there were certain exhalations of certain
earths, by which gifted minds were inspired
to utter oracles. These, then, are
the views which we must entertain of
prophets. Divinations by dreams are of a
similar order, because presentiments which
happen to diviners when awake, happen
to ourselves during sleep. For in
sleep the soul is vigorous, and free
from the senses, and the obstruction
of the cares of the body, which
lies prostrate and deathlike; and, since the
soul has lived from all eternity, and
is engaged with spirits innumerable, it
therefore beholds all things in the
universe, if it only preserves a
watchful attitude, unencumbered by excess
of food or drinking, so that the
mind is awake during the slumber of
the body, — this is the divination of
dreamers. Here, then, comes in an
important, and far from natural, but
a very artificial interpretation of dreams
by Antiphon : and he interprets
oracles and prophecies in the same
way; for there are explainers of
these things just as grammarians are
expounders of poets. For, as it would
have been in vain for nature to
have produced gold, silver, iron, and
copper, if she had not taught us
the means of extracting them from her
bosom for our use and benefit; and
as it would have been in vain
for her to have bestowed seeds and
fruits upon men, if she had not
taught them to distinguish and cultivate
them, — for what use would any
materials whatsoever be to us, if we
had no means of working them up?
—thus with every useful thing which the
Gods have bestowed on us, they have
vouchsafed us the sagacity by which
its utility may be appre ciated ;
and so, because in dreams, oracles,
and prophecies there are many things
necessarily obscure and ambiguous, some
have received the gift of interpretation
of them. But by what means prophets
and sleepers behold those things, which
do not at the time exist in
sensible reality, is a great question.
But when we have once cleared up those
points which ought to be investigated
first, then the other subjects of our
examination will be easier. For the
discussion about the Nature of the
Gods, which you have so clearly ex
plained in your second book on that
subject, embraces the whole question; for
if we grant that there are Gods,
and that their providence governs the
universe, and that they consult for
the best management of all human
affairs, and that not only in general,
but in particular, — if we grant this,
which indeed appears to me to be
undeniable, then we must hold it as a
necessary consequence that these Gods have
bestowed on men the signs and
indications of futurity. The mode,
however, by which the Gods endue us
with the gift and power of divination
requires some notice. The Porch will
not allow that the Deity can be
in terested in each cleft in
entrails, or in the chirping of birds.
They affirm that such interference is
altogether indecorous— unworthy of the
majesty of the Gods, and an
incredible im possibility. They maintain
that from the beginning of the world
it has been ordained that certain
signs must needs precede certain events,
some of which are drawn from the
entrails of animals, some from the
note and flight of birds, some from
the sight of lightning, some from
prodigies, some from stars, some from
visions of dreamers, and some from
exclamations of men in frenzy: and
those who have a clear perception of
these things are not often deceived.
Bad con jectures and incorrect
interpretations are false, not because of
any imposture in the signs themselves, but
because of the ignorance of their
expounders. It being, therefore, granted
and conceded that there exists a
certain divine energy, by which human
life is supported and surrounded, it
is not hard to conceive how all
that hap pens to men may happen
by the direction of heaven; for this
divine and sentient energy, which expands
throughout the universe, may select a
victim for sacrifice, and may, by
exterior agency, effect any change in
the condition of its entrails at the
period of its immolation: so that any
given characteristic may be found excessive
or defective in the animal's body.
For by very trifling exertions nature
can alter, or new-model, or diminish
many things. And the prodigies which
happened a little before Caesar's death
are of great weight in preventing iis
from doubting this, — when on that very
day on which he first sat on
the golden throne and went forth clad
in a purple robe, when he was
sacrificing, no heart was found in
the intestines of the fat ox. Do
you then suppose that any warm-blooded
animal, unless by divine interference, can
live an instant without a heart 1
He was himself surprised at the
novelty of the phenomenon ; on which
Spuriuna observed that he had reason
to fear that he would lose both
sense and life, since both of these
proceed from the heart. The next day
the liver of the victim was found
defective in the upper extremity. Doubtless
the im mortal Gods vouchsafed Ceesar
these signs to apprize him of his
approaching death, though not to enable
him to guard against it. When,
therefore, we cannot discover in the
entrails of the victim those organs
without which the animal cannot live,
we must necessarily suppose that they
have been annihilated by a superintending
Providence at the very instant that
the sacrifice is offered. LI II. And
the same divine influence may likewise
be the cause why birds fly in
different directions on different occa
sions, why they hide themselves sometimes
in one place and sometimes in
anothei', and why they sing on the
right hand or on the left. For
if every animal according to its own
will can direct the motions of its
body, so as to stoop, to look
on one side, or to look up, and
can bend, twist, contract, or extend
its limbs as it pleases, and does
those things almost before think ing
of doing them, how much more easy
is it for a God to do so, whose
deity governs and regulates all things.
It is the Deity, too, which presents
various signs to us, many of which
history has recorded for us; as for
instance, we find it stated that if
the moon was eclipsed a little before
sunrise in the sign of Leo, it
was a sign that Darius should be
slain and the Persians be defeated by
Alexander and the Macedonians. And if
a girl was born with two heads,
it was a sign that there was to
be a sedition among the people and
corruption and adultery at home. If a
woman should dream that she was
delivered of a lion, the country in
which such an occurrence took place
would soon be subjected to foreign
domination. Of the same kind is the
fact mentioned by Herodotus, that the
son of Croesus spoke, though the gift
of speech was by nature denied him;
which prodigy was au indication that
his father's kingdom and family would
be utterly destroyed. And all our
histories relate that the head of
Servius Tullius while sleeping appeared to
be on fire, which was a sign of
the extraordinary events which followed.
As, therefore, a man who falls asleep
while his mind is full of pure
meditations, and all circumstances around
him adapted to tranquillity, will
experience in his dreams true and
certain presentiments; so also the chaste
and pure mind of a waking man
is better suited to the observation
of the course of the stars, or
the flight of birds, and the intima
tions of the truth to be collected
from entrails. And connected with this
principle is the tradition which we
have received concerning Socrates, which is
often affirmed by himself in the
books of his disciples— that he possessed
a certain divinity, which he called a
demon, and to which he was always
obedient, — a genius which never com pelled
him to action, but often deterred him
from it. The same Socrates (and where
can we find a better authority ?) being
consulted by Xenophon, whether he should
follow Cyrus to the wars, gave him
his counsel, and then added these
words, —" The advice I give you
is merely human : in such obscure
and uncertain cases, it is best to
consult the oracle of Apollo, to whom
the Athenians have always pub licly
appealed in questions of importance."
It is likewise written of Socrates, that
having once seen his friend Crito
with his eye bandaged, and having asked
him what was the matter with it,
he received for answer, that as he
was walking in the fields, a branch
of a tree he had attempted to
bend sprang back, and hit him in
the eye. Upon this, Socrates replied,
" This is the consequence of
your not having obeyed me when I
recalled you, following the divine presentiment,
according to my custom." Another
remarkable story is told of Socrates.
After the battle in which the
Athenians were defeated at Delium, under
the command of Laches, he was obliged
to fly with that unfortunate general.
At length reaching a spot where three
ways met, he refused to pursue the
same track as the rest. When they
inquired the cause of his behaviour,
he said that he was restrained by
a God. The others, who left Socrates,
fell in with the enemy's cavalry.
Antipater has collected many other instances
of the admi rable divination of Socrates,
which I omit, for they are quite
familiar to you, and I need not
further enumerate them. I cannot, however,
avoid mentioning one fact in the
history of this philosopher, which strikes
me as magnificent, and almost divine
; — namely, that when he had been
condemned by the sentence of impious
men, he said, he was prepared to
die with the most perfect equanimity;
because the God within him had not
suffered him to be afflicted with any
idea of o2 impending evil, either
when he left his home, or when
he appeared before the court. I think,
therefore, that true divination exists,
although those men are often deceived
who appear to proceed on con jecture,
or on artificial rule?. For men are
fallible in all arts, and we cannot
suppose tliey are infallible here. It
may happen that some sign, which has
an ambiguous signification, is received in
a certain one. It may happen that
some par ticular has escaped the
notice of the inquirer, or is
purposely concealed by him, because opposed
to his interest. I should, however,
consider my plea for divination suffi
ciently established, if only a few
well-authenticated cases of presentiment and
prophecies could be discovered; whereas, in
truth, there are many. I will even
declare without hesi tation, that a
single instance of presage and prediction,
all the points of which are borne
out by subsequent events— and that
definitely and regularly, not casually and
fortuitously — would suffice to compel an
admission of the reality of divi
nation from all reasonable minds. It
appears to me, moreover, that we
should refer all the virtue and power
of divination to the Divinity, as
Posi- donius has done, as before
observed; in the next place to Fate,
and afterwards to the nature of
things. For reason compels us to
admit that by Fate all things take
place. By Fate I mean that which
the Greeks call ei/mp^e'i'^, that is,
a certain order and series of causes
— for cause linked to caiise produces all
things : and in this connexion of
cause consists the constant truth which
flows through all eternity. From whence
it follows that nothing happens which
is not pre destined to happen; and
in the same way nothing is predes
tined to happen, the nature of which
does not contain the efficient causes
of its happening. From which it must
be understood that fate is not a
mere superstitious imagination, but is what
is called, in the lan guage of
natural philosophy, the eternal cause of
things; the cause why past things
have happened, why present things do
happen, and why future things will
happen. And thus we are taught by
exact observation, what consequences are
usually produced, by what causes, though
not invariably.. And thus the causes
of future events may truly be
discerned by those who behold them in
states of ecstasy or quiet. Since,
then, all things happen by a certain
fate, (as will be shown in another
place.) if any man could exist who
could comprehend this succession of causes
in his intellectual view, such a man
would be infallible. For being in
possession of a knowledge of the
causes of all events, he would neces
sarily foresee how and when all
events would take place. But as no
being except the Deity alone can do
this, man can attain no more than
a kind of presentiment of futurity,
by observing the events which are the
usual consequences of certain signs. For
those events that are to happen in
future do not start into existence on
a sudden. But the regular course of
time resembles the untwisting of a cable,
producing nothing absolutely new, but all
things in a grand concatena tion or
series of repetitions. And this has
been observed by those who possess
the gift of natural divination, and
by those who study the regular
successions of certain things. For though
they do not always apprehend the
causes, yet they clearly discern the
signs and marks of the causes. And
by diligently investi gating and committing
to memory all such signs, and the
traditions of our ancestors concerning
them, they produce an elaborate system
of that divination which is termed technical
respecting the entrails of victims, thunder
and lightning, prodigies, and celestial
phenomena. We must not, therefore, be
astonished that those who addict themselves
to divination foresee many events which
have no place of existence. For all
things do even now exist, though they
are removed in point of time. And
as the vital embryo of all vegetation
exists in seeds, from which they
afterwards germinate, so are all things
even now hidden in their causes, and
perceived as hereafter to happen by
the mind when it is thrown into
an ecstasy, or relaxed in sleep, and
cool reason and calculation is often
granted a presenti ment of them. And
as the astrologers who watch the
risings, settings, and various courses of
the sun, moon, and other stars, can
predict long before all their revolutions
and phenomena ; so those who have
noted the series and conse quence of
events, with constant and indefatigable
atten tion, during a very long
period, do generally, or (if that is
too difficult) at least occasionally,
foresee with certainty the things that
are to come to pass. Such are
some of the arguments derived from
the nature of fate, by which the
reality of divination may be proved.
Another powerful plea in favour of
divination, may be drawn from Nature
herself, which teaches us how great
is the energy of the mind when
abstracted from the bodily senses, as
it is most especially in ecstasy and
sleep. For even as the Gods know
what passes in our minds without the
aid of eyes, ears or tongues, (on
which divine omniscience is founded the
feeling of men, that when they wish
in silence for, or offer up a
prayer for anything, the Gods hear
them,) so when the soul of man
is disengaged from corporeal impe diments,
and set at freedom, either from being
relaxed in sleep, or in a state
of mental excitement, it beholds those
wonders which, when entangled beneath the
veil of the flesh, it is unable
to see. It may be difficult,
perhaps, to connect this piinciple of
nature with that kind of divination
which we have stated to result from
study and art. Posidonius, however, thinks
that there are in nature certain
signs and symbols of future events.
We are informed that the inhabitants
of Cea, according to the report of
Heraclides of Pontus, are accus tomed
carefully to observe the circumstances
attending the rising of the Dog Star,
in order to know the character of
the ensuing season, and how far it
will prove salubrious or pestilential. For
if the star rose with an obscure
and dim appearance, it proved that
the atmosphere was gross and foggy,
and its respiration would be heavy
and unwhole some. But if it appeared
bright and lucid, then that was a
sign that the air was light and
pure, and therefore healthful. Democritus
believed that the ancients had wisely
enjoined the inspection of the entrails
of animals which had been sacrificed,
because by their condition and colour
it is possible to determine the
salubrity or pestilential state of the
atmo sphere, and sometimes even what
is likely to be the fertility or
sterility of the earth. And if
careful observation and practice recognise
these rules as proceeding from nature,
then every day might bring us many
examples which might deserve notice and
remark; so that the natural philosopher
whom Pacuvius introduces in his Chryses,
seems to me very ignorant of the
nature of things, wlien he says, —
All those who understand the speech
of birds And hearts of victims better
than their own, May be just listen'd to,
but not obey'd. Why should he make
such a remark here, when a little
after he speaks thus plainly in a
contrary sense 1 — Whatever God may
be, 'tis he who forms, Preserves and nurtures
all. Unto himself Ho back absorbs
all beings, — evermore The universal Sire,— at
once the source And end of nature.
Why, then, since the universe is the
sole and common home of all
creatures, and since the minds of men
always have existed, and will exist,
why, I say, should they not be
able to perceive the consequences, and
what is the result indicated by each
sign, and what events each sign
foreshows r( These are the arguments
which I had to bring forward on
the subject of divination. For the
rest, I in nowise believe in those
who predict by lots, or those who
tell fortunes for the sake of gain,
nor those necromancers who evoke the
manes, whom your friend Appius consulted.
Of little service are the Morsian
prophet, The Haruspi of the village,
the astrologer Of the throng'd circus,
or the priest of Isis, Or the
imposturous interpreter Of dreams. All
these are but false conjurors, Who
have no skill to read futurity, They
are but hypocrites, urged on by
hunger ; Ignorant of themselves, they
would teach others, To whom they
promise boundless wealth, and beg A
penny in return, paid in advance.
Such is the style in which Ennius
speaks of those pre tenders of
divination; and a few verses before,
he lias affirmed that though the Gods
exist, they take no care of the human
race. I am of a contrary opinion,
and approve 01 divination, because I
believe that the Gods do watch over
men, and admonish them, and presignify
many things to them, all levity,
vanity, and malice being excluded. And
when Quintus had said this, You are,
indeed, said I, admirably prepared. When I
have been considering, as I frequentlj7
have, vnth deep and prolonged cogitation,
by what means I might serve as
many persons as possible, so as never
to cease from doing service to my
country, no better method has occurred
to me than that of instructing my fellow-citizens
in the noblest arts. And this I
natter myself thai I have already in
some degree effected in the numerous works
which I have written. In the treatise
which I have entitled "
Hortensius," I have earnestly recommended
them to the study of philoso phy
; and in the four books of
Academic Questions, I have laid open
that species of philosophy which I
think the least arrogant, and at the
same time the most consistent and
elegant. Again, as the foundation of
all philosophy is the knowledge of
the chief good and evil which we
should seek or shun, I have
thoroughly discussed these topics in five
books, in order to explain the
different arguments and objections of the
various schools in relation thereto.1 In
five other books of Tusculan Questions,
I have explained what most conduces
to render life happy. In the first,
I treat of the contempt of death ;
in the second, of the endurance of
pain and sorrow ; in the third, of
mitigating melancholy; in the fourth, of
the other perturbations of the mind;
and in the fifth, I elaborate that
most glorious of all philosophic doctrines
— the all-sufficiency of virtue ; and prove
that virtue can secure our perpetual
bliss without foreign appliances and
assistances. When these works were
completed, I wrote three books on
the Nature of the Gods. I have discussed
all the different bearings and topics
of that subject, and now I proceed
in the composition of a treatise on
Divination, in order to give 1 He
is here referring to the treatise De
Finibus. that subject the amplest
development. And if, when this is
finished, I add another on Fate, I
shall have abundantly examined the whole
of that question. To this catalogue
of my writings, I must likewise add
my six books on the Republic, which
I composed when I was directing the
government of the State. A grand
subject, indeed, and peculiarly connected
with philosophy, and one which has
been richly elaborated by Plato, Aristotle,
Theo- phrastus, and the whole tribe
of the Peripatetics. I must not
forget to mention my Essay on
Consolation, which afforded me myself no
inconsiderable comfort, and will, I trust,
be of some benefit to others. Besides
this, I lately wrote a work on
Old Age, which I addressed to Atticus
; and since it is owing to philosophy
that our friend Cato is the good
and brave man that he is, he is
well entitled to an honourable place
in the list of my writings.
Moreover, as Aristotle and Theophrastus, two
authors emi nently distinguished both for the
penetration and fertility of their genius,
have united with their philosophy precepts
like wise for eloquence, so I think
that I too may class among my
philosophical writings my treatise on the
Oratorical Art. So there are three
books on Oratory, a fourth Essay
entitled Brutus, and a fifth named
the Orator. Such are the works I have
already written, and I am girding
myself up to what remains, with the
desire (if I am not hindered by
weightier business) of leaving no
philosophical topic otherwise than fully
explained and illustrated in the Latin
language. For what greater or better
service can we render to our country,
than by thus educating and instructing
the rising generation, especially in times
like these, and in the present state
of morality, when society has fallen
into such disorders as to require
every one to use his best exertions
to check and restrain it ? Not
that I expect to succeed (for that,
indeed, cannot be even hoped) in
winning all the young to the study
of philo sophy. I shall be glad
to gain even a few, the fruits
of whose industry may have an
extended effect on the republic. Indeed,
I already begin to gather some fruit
of my labour, from those of more
advanced years, who are pleased with
my various books. By their eagerness
for reading what I write, my ambition
for writing is from day to day
more vehemently excited. And indeed such
individuals are far more numerous than I
could have imagined. A magnificent thing-
it will be, and glorious indeed for
the Romans, when they shall no longer
find it necessary to resort to the
Greeks for philosophical literature. And
this desideratum I shall cer tainly
effect for them, if I do but
succeed in accomplishing my design. To
the undertaking of explaining philosophy I
was origi nally prompted by disastrous
circumstances of the state. For during
the civil wars I could not defend
the common wealth by professional
exertions; while at the same time I
could not remain inactive. And yet I
could not find anything worthy of
myself for me to undertake. My fellow-citizens,
therefore, will pardon me, or rather
will thank me; because when Rome had
become the property of one man. I
neither concealed myself, nor deserted
them, nor yielded to grief, nor
conducted myself like a politician
indignant at either an individual or
the times, — nor played the part of a
flatterer of, or courtier to, the
power of another, so as to be
ashamed of myself. For from Plato and
philosophy I had learnt this lesson,
that certain revolutions are natural to
all republics, which alternately come under
the power of monarchs, and democracies,
and aiistocracies. And when this fate
had befallen our own Commonwealth, then,
being deprived of my customary employments,
I applied myself anew to the study
of philosophy, doing so both to
alleviate my own sorrow for the
calamities of the state, and also in
the hope of serving my fellow-countrymen
by rny writings. And thus in my
books I continued to plead and to
harangue, and took the same care to
advance the interests of philosophy as
I had before to promote the cause
of the Republic. Now, however, since
I am again engaged in the affairs of
government, I must devote my attention
to the state, or I should rather
say, all my labours and cares must
be occupied about that ; and I shall
only be able to give to philosophy
whatever little leisure I can steal
from public business and public
employments. Of these matters, however, I
shall find a better occasion to
speak; let me now return to the
subject of divination. For when my
brother Quintus had concluded his arguments
on the subject of divination, con
tained in the preceding book, and we
had walked enough to satisfy us, we
sat down in my library, which, as
I before noticed, is in my Lyceum.
III. Then I said, — Quintus, you have
defended the doctrine of the Stoics,
respecting divination, with great accuracy,
and on the strictest Stoical principles.
And what particularly pleased me was,
that you supported your cause chiefly
by authorities, and those, too, of
great force and dignity, borrowed from
our own countrymen. It is now my
part to notice what you have
advanced. But I shall do so without
offering anything absolutely on one side
or the other, examining all your argu
ments, often expressing doubts and
distrusting myself. For if I assumed
anything I could say on this subject
as certain, I should play the part
of a diviner even while denying
divination. I am, no doubt, greatly
influenced by that preliminary question
which Carneades used to raise, — namely,
What is the subject matter of
divination 1 Is it things perceived
by the senses, or not 1 Such
things we see, or hear, or taste,
or smell, or touch. Is there, then,
among such, anything which we perceive
more by some foreseeing power, or
agitation of the mind, than through
nature herself] Or could a diviner,
if he were blind as Tiresias, somehow
or other distinguish between white and
black 1 or if he were deaf,
could he distinguish between the
articulations and modulations of voices ?
Divi nation, therefore, cannot be applied
to those objects which come under the
cognisance of the senses. Nor is it
of much use, even in matters of
art and science. In medicine for
instance, if a person is sick we
do not call in the diviner or
the conjuror, but the physician ; and
in music, if we wish to learn
the flute or the harp, we do
not take lessons from the soothsayer,
but from the musician. It is the
same in literature, and in all those
sciences which are matters of education
and discipline. Do you think that
those who addict themselves to the
art of divination can thereby inform
us whether the sun is larger than
the earth or of the same size
as it appears, or whether the moon
shines by her own light or by a
radiance borrowed from the sun, or
what are the laws of motion obeyed
by these orbs, or by those other
five stars which are termed the
planets [None of those who pass for
diviners pretend to be able to
instruct mankind in these matters, nor
can they prove the 204 ON
DIVINATION. truth or falsehood of the problems
of geometry. Such mat ters belong
to the mathematician, not to conjurors. And
in those questions which are agitated
in moral philosophy, is there any one
with respect to which any diviner
ever gives an answer, or is ever
consulted as to what is good, bad,
or indifferent ? For such topics
properly belong to philosophers. As to
duties, who ever consulted a diviner
how to regulate his behaviour to his
parents, his brethren, or his friends
1 or in what light he should
regard wealth, and honour, and authority
? These things are referred to sages,
not diviners. Again, as to the
subjects which belong to dialecticians, or
natural philosophers. What diviner can tell
whether there is one world or more
than one 1 what are the principles
of things from which all things
derive their being1? That is the
science of the natural philosopher. Or
who asks a diviner how to solve
the difficulty of a fallacy, or
disentangle the perplexity of a sorites,
which we may render by the Latin
word acervalem (an accumulation), though it
is unnecessary ; for just as the
word philosophy, and many other Grecian
terms, have become naturalized in our
language, so this word sorites is
already sufficiently familiar among us.
These subjects belong to the logician,
not to the diviner. Again, if the
question be, which is the best form
of govern ment, what are the relative
advantages or disadvantages of such and
such laws and moral regulations, should
we dream of advising with a
soothsayer from Etruria, or with princes
and chosen men experienced in political
matters 1 Now, if divination regards
neither those things which are perceived
by the senses, nor those which are
taught by art, nor those which are
discussed by philosophy, nor those which
affect the politics of the state, I
scarcely understand what can be its
object. It must either bear upon all
topics, or else some particular one
must be allotted to it in which
it may be exercised. Now common sense
certifies us that it does not bear
on all topics, and we are at a
loss to discover what particular topic,
or subject matter, it can embrace. It
follows, therefore, that divination does
not exist. V. There is a common
Greek proverb to this effect : — The
wisest prophet 's he who guesses best.
Will, then, a soothsayer conjecture what
sort of weather is coming better than
a pilot? or will he divine the
character of an illness more acutely
than a doctor ? or the proper
way to carry on a war better
than a general '? But I observe, 0
Quintus, that you have pnidently dis
tinguished the topics of divination from
those matters which lie within the
sphere of art and skill, and from
those which are perceived by the
observation of the senses, or by any
system. You have denned it thus : —
Divination is the pre sentiment and power
of foretelling or predicting those things
which axe fortuitous. But, in the first
place, you are only arguing in a
circle. For does not a pilot, or
a physician, or a general foresee the
probabilities of things fortuitous as well
as your diviner? Can, then, any augur
whatsoever, or sooth sayer, or diviner,
conjecture better whether a patient will
escape from sickness, or a ship from
peril, or the army from the
manoeuvres of the enemy, than a
physician, or pilot, or general ?
But you said that these matters did
not belong to the diviner; but that
men could foresee impending winds or
showers by certain signs ; and to
confirm this argument, you have cited
certain verses of my translation of
Ai-atus. And yet these atmospheric
phenomena are fortuitous ; for they only
happen occasionally, and not always. What,
then, is this presentiment of things
fortuitous, which you call divina tion,
and to what can it be applied?
For those things of which we can have
a previous notion by some art or
reason, you speak of as belonging not
to diviners, but to men of skill
in them. Thus you have left
divination nothing but the power of
predicting those fortuitous things which
cannot be foreseen by any art or
any prudence. If, for example, any
one had, many years before, predicted
that Marcus Marcellus, who was thrice
consul, was to perish by a shipwreck,
he would, doubtless, have been a true
diviner, because such a fact could
not have been foreseen by any other
means than that of divination. Divination,
there fore, is a foreknowledge of
events which depend on fortune. But
can there be a just presentiment of
those things which do not admit of
any rational conjecture to explain why
they will happen? For what do we
mean when we say a thing happens
by chance, or fortune, or hazard, or
accident, but that something has happened
or taken place wnich might never have
happened or taken place at all, or
-which might have happened or taken
place in a different manner ? Now
how can that be fairly foreseen or
predicted which thus takes place by
chance, and the mere caprice of
fortune ? It is by reason that
the physician foresees that a malady
will increase, a pilot that a tempest
will descend, and a general that the
enemy will make certain diversions. And
yet these men, who have generally
good reasons on which their opinions
respecting relative probabilities are founded,
are themselves often deceived. As when the
husbandman sees his olive-trees in blossom,
he ventures to expect that they will
also bear fruit; nevertheless, he is
sometimes mistaken. Now, if those who
never assert anything but from some
probable conjecture founded on reason, are
often mistaken, what are we to think
of the conjectures of those men who
derive their presages of futurity from
the entrails of victims, or birds, or
prodigies, or oracles, or dreams. I
have not as yet come to show
how utterly null and vain such signs
are, as the cleft of a liver,
the note of a crow, the flight
of an eagle, the shooting of a
star, the voices of people in frenzy,
lots and dreams, of each of which
I shall speak in its turn ; at
present I dwell only on the general
argument. How can it be fore seen
that anything will happen which has
neither any as signable cause, or
mark, to show why it will happen
1 The eclipses of the sun and
moon are predicted for a series of
many years before they happen, by
those who make regular calculations of
the courses and motions of the stars.
They only foretell that which the
invariable order of natuie will necessarily
bring about. For they perceive that
in the un- deviating course of the
moon's motions, she will arrive at a
given period at a point opposite the
sun, and become so exactly under the
shadow of the earth, which is the
boundary of night, that she must be
eclipsed. They likewise know, that when
the same moon comes between the earth
and the sun, the latter must appear
eclipsed to the eyes of men. They
know in what sign each of the
wandering stars will be at a future
pariod, and when each sign will rise
and set on any specific day. So
that you know on what principles
those men proceed who predict these
things. But what rational rule can guide
those men who predict the discovery
of a treasure, or the accession to
an estate 1 And by what series
of cause and effect are the approach
of events of this kind indicated 1
If these events, and others of the
same kind, happen by any kind of
neces sity, then what is there that
we can suppose to be brought about
by chance or fortune 1 For nothing
is so opposite to regularity and
reason as this same fortune ; so that
it seems to me that God himself
cannot foreknow absolutely those things
which are to happen by chance and
fortune. For if he knows it. ilien
it will certainly happen; and if it
will certainly happen, there is no
chance in the matter. But there is
chance; therefore there is no such
thing as a pre sentiment of the
future. If, however, you maintain that
there is no such thing as fortune,
and that all things which happen, and
which are about to happen, are
determined by fate from all eternity,
then you must change your definition
of divination, which you have termed
the presentiment of thing's fortuitous. For
if nothing can happen, or come to
pass, or take place, unless it has
been determined from all eternity that
it shall happen at a certain time
what, chance can there be in anything
1 And if there is no such thing
as chance, what becomes of your definition
of divination, which you have called
"a pre sentiment of fortuitous
events'?" although you said that
everything which happened, or which was
about to happen, depended on fate.
[Nevertheless, a great deal is said
on this subject of fate by the Stoics.
But of this elsewhere. To return to
the question at issue. If all things
happen by fate, what is the use
of divination. For that which he who
divines predicts, will truly come to
pass ; so that I do not know
what character to affix to that
circumstance of an eagle making our
friend King Deiotaris renounce his journey;
when, if he had not turned back,
he would have slept in a chamber
which fell down in the ensuing night,
and have been crushed to death in
the ruins. For if his death had
been decreed by fate, he could not
have avoided it by divination ; and
if it was not decreed by fate,
he could not have experienced it.
What, then, is the use of divination,
or what reason is there why I
should be moved by lots, or entrails,
or any kind of prediction 1 For
if in the first Punic war it
had beesettled by fate, that one of
the Roman fleets, commanded by the
consuls Lucius Junius and Publius Clodius,
should perish by a tempest, and that
the other should be defeated by the
Carthaginians, then even if the chickens
had eaten ever so greedily, still the
fleets must have been lost. But if
the fleets would not have perished,
if the auspices had been obeyed, then
they were not destroyed by fate. But
you say that everything is owing to
fate; therefore there is no such
thing as divination. If fate had
determined, that in the second Punic
war the army of the Komans should
be defeated near the lake Thra-
simenus, then could this event have
been avoided, even if Flaminius the
consul had been obedient to those
signs f and those auspices which
forbade him to engage in battle'? Cer
tainly it might. Either, then, the
army did not perish by fate — for the
fates cannot be changed, — or if it
did perish by fate (as you are
bound to assert), then, even if
Flaminius had obeyed the auspices, he
must still have been defeated. Where,
then, is the divination of the Stoics
1 which is of no use to us
whatever to warn us to be more
prudent, if all things happen by
destiny. For do what we will, that
which is fated to happen, must
happen. On the other hand, what ever
event may be averted is not fated.
There is, there fore, no divination, since
this appertains to things which are
certain to happen; and nothing is certain
to happen, which may by any means
be frustrated. Moreover, I do not
even think that the knowledge of
futurity would be useful to us. How
miserable would have been the life of
King Priam if from his youth he
could have foreseen the calamities which
awaited his old age ! Let us,
however, leave alone fables, arid come
to facts that are more near to us.
I have recounted, in my essay
entitled " Conso lation," the
misfortunes which have happened to the
greatest men of our commonwealth. Omitting,
therefore, the ancients, do you think
that it would have been any advantage
to Marcus Crassus, when he was
flourishing with the amplest riches and
gifts of fortune, to have foreknown
that he should behold his son Publius
slain, his forces defeated, and lose
his own life beyond the Euphrates
with ignominy and disgrace ? Or do
you think that Pompey would have
experienced much satisfaction in being
thrice made consxil, and having received
three triumphs, and having attained the
summit of glory by his heroic
actions, if he could have foreseen
that he should be assassinated in the
deserts of Egypt after the defeat of his
army, and that after his death those
disasters should happen which we cannot
mention without tears ? What do we
think of Caesar 1 Would it have
been any pleasure to Caesar to have
anticipated by divination, that one day,
in the midst of the throng of
senators whom he himself had elected,
in the temple of Victory built by
Pompey, and before that general's statue,
and before the eyes of so many
of his own centurions, he should be
slain by the noblest citizens, some
of whom were indebted to him for
their digni ties, — aye, slain under such circumstances
that not one of his friends, or
even of his servants, would venture
to approach him ? Could he have
foreseen all this, in what wretchedness
would he have passed his life 1
It is, therefore, certainly more advantageous
for man to be ignorant of future
evils than to know them. For it
cannot be said, at least not by
the Stoics, that Pornpey would not
have taken up arms, nor Crassus
passed the Euphrates, nor Csesar engaged
in the civil war, if they had
foreseen the future; therefore the end
which they met with was not in
evitably ordained by fate. For you
insist upon it that all things happen
by fate, therefore divination would have
availed them nothing. It would even
have deprived them of all enjoy ment
in the earlier part of their lives;
for what gratification could they have
enjoyed if they had been always
thinking of their end I Therefore, to
whatever argument the Stoics resort in
defence of divination, their ingenuity is
always baffled. For if that which is
to happen may happen in different
mode;, then, indeed, fortune may have great
power; but that which is fortuitous cannot
be certain. If, on the other hand,
every event is absolutely determined by
fate, and the time and cir cumstance
in connexion with which it is to
take place, what service can diviners
render us by informing us that very
sad events arc portended for us. They
add, moreover, that when we are duly
attentive to religious ceremonies, all
things will fall more lightly on us.
But if everything happens by fate, no
religioxis ceremonies cau lighten the
event. Homer acknowledges this, when he
introduces Jupiter uttering complaints that he
cannot save the life of his son
Sarpedon against the order of fate;
and the same sentiment is expressed
in the Greek verse— Great Destiny
o'ermaster's Jove himself. It appears to
me that such a fate as this is
justly ridiculed by the Atellane plays
; but on such a serious subject
we must not allow ourselves to be
facetious. I therefore conclude with this
observation. If we cannot foresee anything
which happens by chance, since that
thing is necessarily uncertain, therefore
there is no divination; and if, on
the contrary, things that are to
happen can be foreseen because they
happen by an infallible fatality, there
is no divination, because you say
divination only relates to for tuitous
events. But what I have hitherto
said respecting divination may be looked
upon as a mere slight skirmishing of
oratory. I must now enter on the
contest in good earnest, and prepare
to encounter the most formidable arguments
of your cause. For you say that there
exist two kinds of divination, — one
artificial, the other natural. The
artificial consists partly in conjecture,
partly in continued observation. The
natural, on the other hand, is what
the mind lays hold of or receives
externally from the divinity, from which
we all derive the origin, and
fashioning, and preservation of our minds.
Under the artificial divination you
enumerate several varieties of divination
connected with the inspection of entrails,
the observation of thunderstorms and
prodigies, and the auguries of those
who deal in signs and omens. And
under this artificial class you include
all kindsof conjectural divination. As to
the natural species of divination, it
appears to be sent forth and to
issue either from a certain ecstasy
of the spirit, or to be conceived
by the mind when disengaged from the
senses and from cares by sleep. But
you suppose that all divination is
derived from three things God, Fate, and
Nature. But as you could give no
sound explanation, you laboured to confirm
it by a wonderful multitude of
imaginary examples, concerning which you
must permit me to say, that a
philosopher ought not to use evidences
which may be true through accident,
or false and fictitious through malice.
It behoves you to show, by reason
and argument, why each circtimstance
happens as it does, rather than by
the events, especially when they are
such as I am quite unable to
give credit to. XII. To begin then
with the Soothsayers, whose science I
believe that the interest of Religion
and the State requires to be upheld.
But as we are alone, it
behoves us, and myself more especially,
to examine the truth without partiality,
since I am in doubt on many
points. Let us proceed, if you
please, first to consider the inspec
tion of the entrails of victims. Can
you then persuade any man in his
senses, that those events which are
said to be signified by the entrails,
are known by the augurs in con
sequence of a long series of
observations [How long, I wonder ! For
what period of time can such
observations have been continued 1 What
conferences must the augurs hold among
themselves to determine which part of
the victim's entrails represents the enemy,
and which the people ; what sort of
cleft in the liver denoted danger,
and what sort presaged advantage? Have
the augurs of the Etrurians, the
Eleans, the Egyptians, and the
Carthaginians arranged these matters with
one another ? But that, besides that
it is quite impossi ble, cannot be
imagined. For we see that some
interpret the auspices in one way,
and some in another, and no common
rule of discipline is acknowledged among
the professors of the art; and certainly
if some secret virtue existed in the
victim's entrails which clearly declared
the future, it must either belong to
the universal nature of things, or be
connected in some way or other with
the Deity himself. But what com
munication can there exist between so
great and so divine a natuz-e of things,
one so beautiful, and so admirably
diffused throughout every part and motion,
and (I will not say) the gall
of the cock, (though that, indeed, is
said by many to be the most
significant of all signs,) but the
liver, or heart, or lungs of a
fat bullock 1 Can such things
possibly teach us the hidden mysteries
of futurity? Democritus, speaking as a
natural philosopher, than which no class
of men are more arrogant, on this
subject, trifles ingeniously enough. Man,
who knows not the common facts of
earth, Must waste his time in
star-gazing. He remarks, that the colour
and condition of the victim's entrails
may indicate the nature of the
pasturage, and the abundance or scarcity of
those things which the earth brings
forth. He even supposes they may
guide our opinions respecting the
wholesonieness or pestilential state of the
atmosphere. 0 happy man! such a
person can certainly never want amusement.
The idea of any one being so
enchanted with such trifling, as not
to see that this theory might be
plausible, if, indeed, the entrails of
all animals assumed the same appearance
and colour at one and the same
time ! But if we discover that
the liver of one animal is sound
and healthy, and that of another
withered and diseased at the same
moment, what indication can we draw
from the state and colour of the
entrails'? Does this at all resemble
the indications from which that Pherecydes,
in a case which you have cited,
predicted the approach of an earthquake
from the drying up of a spring?
It required a little confidence, I
think, after the earthquake had taken
place, to presume to say what power
had produced it ; [but] could they
even foresee that it would take place
at all from the appearance of a
running spring? Many such stories are
recounted in the schools, but we are
not obliged to believe the whole of
them. But even supposing that what
Democritus says is true, when do we
seek to know the general phenomena of
nature by an examination of entrails;
or when did soothsayers ever tell us
anything of the sort from such an
inspection? They warn us of danger
from fire or water. Sometimes they
predict that inheritances will be added
to our fortunes, and .sometimes that
we shall lose what we already
possess. They regard the cleft in the
lungs as a matter of vital importance
to our property and our very life ;
they in vestigate the top of the
liver on all sides with the most
scrupulous exactness, and if by any
chance they cannot dis cover it, they
affirm that nothing more disastrous could
have happened. It is impossible, as I
have before observed, that such a
system of observation can have any
certainty about it; such divination as
this nourished not among the ancients;
it is the invention of mere art,
if, indeed, there can be any art,
properly so called, of things unknown.
But what connexion has it with the
nature of things? And even if it
were united and joined therewith, so
as to form one harmonious whole,
which I see is the opinion of
the natural philosophers, Ulo and
especially of those who say that all
things that exist are but one whole ;
still what correspondence can there be
between the order of the universe and
the discovery of a treasure? For if
an increase of my wealth is indicated
by the entrails of a victim, and
this fact is a necessary link in
the chain of nature, then it follows,
in the first place, that we must
suppose that the entrails themselves form
other links; and secondly, that my
private gain is connected with the
nature of things. Are not the natural
philosophers ashamed to say such things
as these? For, although there may be some
connexion in the nature of things, which I admit to be possible, — (for
the Stoics have collected many cases
which they think confirm the notion,
as when they assert that the little
livers of little mice increase in
winter, and that dry pennyroyal flourishes
in the coldest weather, and that the
distended vesicles, in which the seeds
of its berries are contained, then
burst asunder; that the chords of a
stringed instrument at times give notes different
from their usual ones; that oysters
and other shell-fish increase and decrease
with the growth and waning of the
moon ; and that trees lose their
vitality as the moon declines, just
as they dry up in winter, and
that this is the time to\cut them.
Why need I speak of the seas,
and the tides of the ocean, the
flow and ebb of which are said
to be governed by the moon ?
and many other examples might be
related to prove that some natural
connexion subsists between objects appa rently
remote and incongruous. Let us grant this,
for it does not in the least
make against our argument ;) — granting, I
say, that there is a cleft of
some kind in a liver, does that
indicate gain to any one? By what
natural affinity, by what harmony, by
what secret accord of nature, or, to
use the Greek term, by what sympathy
can you discern a necessary relation
between a cleft liver and my gain,
or between my gain and heaven and
earth, and the universal nature of
things ? I may even grant you
this, though I shall be greatly
damaging my argument if I allow that
there is any connexion between nature
and entrails. But suppose I make
this concession, how does it happen
that he who would obtain some benefit
from the Gods can discover, just when
he wishes, a victim exactly adapted
to his purpose ? I had thought
this objection was unanswerable, but see
how cleverly you get over it. I
do not blame you for this, I
rather commend your memory. But I am
ashamed of Antipater, Chrysippus, and
Posidonius, who all assert the same
proposition — namely, that the divine and
sentient energy which extends through the
universe, directs us even in the
choice of the victim by whose
entrails we are to frame our
divinations. And to improve upon this
theory, you agree with them in
asserting that at the very instant
that the sacrifice is offered, a
certain appropriate change takes place in
the victim's entrails, so that we can
therein discover some sig nificant addition
or deficiency, since all things are
obedient to the will of the Gods.
Believe me, there is not an old
woman in the world so superstitious
as gravely to believe these things.
Can you imagine that the same bullock,
if chosen by one man, will have
the head of the liver, and if
chosen by another will not have it
1 Can this same head come and
go at the instant just to accommodate
the individual who offers the sacrifice
1 Do you not perceive that there
must be considerable chance in the
choice of the victim 1 and in
fact the thing speaks for itself,
that this must be the case. For
when one ill-omened victim is discovered
to have had no head to its
liver, it often happens that the one
which is offered immediately afterwards has
the most perfect entrails imaginable. What
then becomes of the menaces of the
first victim's entrails, or how have
the Gods been so suddenly appeased? But
you will say, that in the entrails
of the fat bull which Caesar offered,
there was no heart, and since it
was not possible that this animal
could have lived without a heart, we
must suppose that the heart was
annihilated at the instant of immolation.
How is it that you think it
impossi ble that an animal can live
without a heart, and yet do not
think it impossible that t its heart
could vanish so suddenly, nobody knows
whither? For myself, I know not how
much vigour in a heart is necessary
to carry on the vital function, and
suspect that if afflicted by any
disease, the heart of a victim may be
found so withered, and wasted, and
small, as to be quite unlike a
heart. But on what argument can you
build an opinion that the heart of
this same fat bullock, if it existed
in him before, disappeared at the
instant of immola-lion? Did the bullock
behold Ceesar in a heartless condition
even while arrayed in the purple, and
thus lose its own heart by mere
force of sympathy? Believe me, you
are betraying the city of philosophy
while defending its castles. In trying
to prove the truth of the auguries,
you are overturning the whole system
of physics. A victim has a heart,
and head of the liver : the moment
that you sprinkle him with meal and
wine they depart, some God carries
them off, some power destroys or
consumes them. It is not nature alone,
therefore, which causes the decay and
destruction of everything; and there are
some things which arise out of
nothing, and some which suddenly perish
and become nothing. What natural philosopher
ever said such a thing as this?
The soothsayers affirm it. Do you
then think that you are to believe
them rather than the natural philosophers?
XVII. Again, when you sacrifice to
several Gods at the same time, how
is it that the sacrifice is
favourably received by some, and is
rejected by others ? And what
inconsistency must there be among the
Gods, if they threaten by the first
entrails, and promise good fortune by
the second ! Or is there such strong
dissension among the Deities, even when
they are nearly related to each
other, that certain entrails bode good
when offered to Apollo, and evil when
offered to his sister Diana ? It
is clear that since the victims are
brought by chance, the entrails must
in the case of each sacrificer depend
upon what victim falls to his share,
and that very thing requires some
divination to know what victim falls
to each person's share, as, in the
case of lots, what is drawn by
each person. Then you will speak of
lots, though you are not strengthen
ing the authority of sacrifices by
comparing them to lots, but weakening
that of lots by comparing them to sacrifices.
Do you think, when we send a
messenger to ^Equime- lium to bring
us a lamb to sacrifice, and the
lamb which is brought to me possesses
entrails peculiarly accommodated to the
circumstances of the case, that the
messenger has been guided to him not
by chance, but by divine direction ?
For if you wish to signify that
in this case chance interferes, as
being some lot connected with the
will of the Gods, I am sony
that your friends the Stoics should
give the Epicureans such occasion to
ridicule them, for you know well how
they deride oil such ideas. And,
indeed, it is no hard matter to
be facetious on such an idea.
Epicurus, in order to show his wit
on the subject, introduced transparent airy
deities, residing, as it were, be tween
the two worlds as between two groves,
that they may avoid destruction from
the fall of either. These deities, it
seems, possess bodies like ourselves,
though I cannot find that they make
any use of them. Epicurus therefore,
who, by a roundabout argument of this
kind, takes away the Gods, naturally
feels no hesitation in taking away
divination also. But though he is
consistent with himself, the Stoics are
not ; for as the God of Epicurus
never troubles himself with any business,
either regarding himself or others; he,
therefore, cannot grant divination to men. On
the other hand, the God of the
Stoics, even though lie does not
grant divination, must still regulate the
affairs of the universe and take care
of mankind. Why, then, do you involve
yourself in these dilemmas which you
can never disentangle ? For this is
the way in which, when they are
in a hurry, they usually sum up
the matter- — a If there are Gods,
there must be divination; but there
are gods, therefore there is
divination." It would be much more
plausible to say — " There is no
divination, there fore there are no
Gods." Observe how imprudently the
Stoics make this assertion, that if
there is no divination, there are no
Gods ; for divination is plainly discarded,
and yet we must retain a belief
in Gods. After having thus destroyed
divination by the in spection of
entrails, all the rest of the science
of the sooth sayers is at an
end ; for prodigies and lightning follow
in the same category. With respect to
the latter, their predictions are founded
on a long series of observations,
while the interpretation of prodigies
proceeds chiefly on inference and
conjecture. What observations, then,, have
been made about lightning? The Etrurians,
forsooth, have divided heaven into sixteen
parts; for it was not very difficult
to double the four quarters, which we
recognise, into eight, and then to repeat
the process, so as by that means
to say from what direc tion the
lightning had come. But in the first
place, what difference does it make ?
Secondly, what does such a thing
intimate 1 Is it not plain from
the astonishment which was at first
excited in men's minds, because they
feared the thunder and the hurling of
the thunderbolt, that they believed that
they were the immediate manifestations
brought about by the all-powerful ruler
of all things, Jupiter ? This is
the reason of the enactment in the
public registers, that the comitia of
the people shall not be held when
Jupiter thunders and lightens. It was
enacted, perhaps with a view to the
interest of the state, for our
ancestors wished to have pretexts for
not holding the comitia. Therefore, in
the case of the comitia, lightning is
the only vitiating irregularity. But in
all other matters it is a most
favourable auspice if it comes on the
left hand. But we will speak of
the auspices hereafter ; at present we
will confine ourselves to lightning. What
can be less proper for natural
philosophers to say, than that anything
certain is indicated by things which
are uncertain 1 I cannot believe that
you are one of those who imagine
that there were Cyclopes in mount
^Etna who forged Jove's thunderbolt, for
it would be wonderful indeed if
Jupiter should so often throw it away
when he had but one. Nor would
he warn men by his thunderbolts what they
should do or what thoy should avoid.
For the opinion of the Stoics on
this point is, that the exhalations
of the earth which are cold, when
they begin to flow abroad, become
winds ; and when they form themselves
into clouds, and begin to divide and
break up their fine particles by
repeated and vehement gusts, then thunder
and lightning ensue ; and that when
by the conflict of the clouds the
heat is squeezed out so as to
emit itself, then there is lightning.
Can we, then, look for any intimation
of futurity in a thing which we
see brought about by the mere force
of nature, without any regularity or
any determined pei'iods 1 If Jupiter
wished that we should form divinations
by lightnings, would he throw away so
many flashes in vain ] For what
good does he do when he throws
a thunderbolt into the middle of the
sea, or upon lofty mountains, which is
very common, or upon deserts, or in
the countries of those nations among
which no meteorological observations are
made ] Oh ! but a head was
discovered in the Tybcr. As if I
affirmed that those soothsayers had
no skill ! What I deny is only
their divination. For the distribution of
the firma ment, which we have just
mentioned, and their various observations,
enable them to note the direction
from which the lightning has proceeded,
and where it falls. But no reason
can inform us of its signification. You
will, however, urge against me my own
verses — The father of the Gods who
reigns supreme On high Olympus, smote
his proper fane, And hurl'd his
lightnings through the heart of Rome.
At the same time the statue of
Natta and the images of the Gods,
and Romulus and Remus, with that of
the beast who was nursing them, were
struck by the thunderbolt and thrown
down ; and the answers of the
soothsayers, with reference to these
prodigies, were found perfectly correct.
That also was a surprising thing,
that the statue of Jupiter was placed
in the Capitol, two years later than
it had been contracted for, at the
very time that information of the
conspiracy was being laid before the
senate. Will you, then, (for this is
the way you are used to argue
with me,) bring yourself to uphold
that side of the question in
opposition to your own actions and
writings ? You are my brother, and
all you say is entitled to my
respect. Yet what is there here that
offends you? Is it the thing itself,
which is of such and such a
character, or I myself, who only wish
to get at the truth ? I therefore
say nothing upon it for the sake
of contradiction, and only seek from
you yourself information respecting all the
prin ciples of the art of
soothsaying. But you have involved
yourself in an inextricable dilemma; for
foreseeing that you would be hard
pressed, when I should urge you to
explain the cause of every divination, you
made many excuses to show why, when
you were sure of the fact, you
did not inquire into its principles
and causes, — that the question was, what
was done, and not why it was
done ; as if I granted that it
was done at all, or as if it
were not the duty of a philosopher
to inquire into the reason why every
thing takes place. At the same time
you quoted my prog nostics, and spoke
of the scammony, the aristoloch, and
other herbs, whose virtues were evident
to you from their effects, though the
law of their operation was unknown to
you. All this is, however, beside the
main question. For the Stoic Boethus,
whose name you have cited, and even
our friend Posidonius have investigated the
causes of prognostics, and though it
is not easy to discover the cause
of such occult mysteries, yet the
facts themselves may be observed and
animadverted upon. But as to the
statue of Natta and the tables of
the law which were struck by
lightning, what observations were made, or
what was there ancient connected with
the matter 1 The Pinarii Nattse are
noble, therefore danger was to be
feared from the nobility. This was a
very cunning device of Jupiter !
Romulus, represented by the sculptor as
sucking a she-wolf, was likewise smitten
by the lightning. Hence, according to
you, some danger to the city of
Rome was threatened. How cleverly does
Jupiter make us acquainted with future
events by such signs as these !
Again, his statue was being erected
at the very same time that the
conspiracy was being discovered in the
senate, and you conceive this coincidence
happened rather by the providence of
God than by any chance of fortune.
And you think that the statuary who
had contracted for the making of that
column with Torquatus and Cotta, was
not so long delayed in accomplishing
his work by idleness or poverty, but
by the special interposition of the
immortal Gods. Now I do not
absolutely deny that such might possibly
be the case; but I do not know
that it was, and wish to be
instructed by you. For when some
things appeared to me to have
happened by chance in the way in
which the sooth sayers had predicted,
you launched out into a long
discourse on the doctrine of chances,
saying that four dice thrown at
hazard may produce Venus by accident,
but that four hundred dice cannot produce
a hundred Venuses. In the first
place, I know no reason in the
nature of things why they should not
do even this ; but I will not
argue that point, for you have plenty
of similar examples, and talk about a
chance dashing of colours, the snout
of a pig, and many other similar
instances. You say that Carneades argued
in the same way about the head
of a little Pan ; as if that
might not have happened by chance, and
as if there must not be in all
marble the raw material of even such
a head as Praxiteles would have made.
For a perfect head is only formed
by cutting away. Praxiteles adds nothing to
the marble, but when much that was
superfluous is removed, and the features
are arrived at, then you learn that
that which is now polished up was
always contained within. Such a figure,
therefore, may have spontaneously existed
in the quarries of Chios. But grant
that this is a fiction, have you
never fancied that you could discover
in the clouds the figures of lions
and centaurs 1 Accident may, therefore,
some times imitate nature, though you
denied that just now. But as we
have sufficiently discussed divination by
entrails and lightning, we must now
consider portents and prodigies, in order
that we may leave no branch of
the system of the soothsayers untouched.
You have mentioned a wonderful story
of a mule that was delivered of
a colt; a strange event, because of
its extreme rarity. But if such a
thing were impossible, it would never
happen at all; and this may be
said against all sorts of pro digies,
that those things which are impossible
never happened at all; and if they
are possible, it need not surprise us
that they happen occasionally. Besides, in
extraordinary events, ignorance of their
causes produces astonishment; but in
ordinary events such igno rance occasions
no such result. The man who is
astonished if a mule brings forth a colt,
does not know how it is that a
mare brings forth a foal, or indeed
how, in any case, nature effects the
birth of a living animal; but he
is not surprised at what he sees
frequently, even if he does not know
why it happens; but if that which
he never beheld before happens, then he
calls it a prodigy. In this case,
is it a prodigy when the mule
conceives, or when she brings forth 1
Perhaps the conception may have been
contrary to nature, but after that
her delivery is almost necessary. But
we have spoken enough on this topic:
let us examine the origin of the
establishment of soothsayers. For when we
are acquainted with it, we shall be
better able to judge what degree of
credit it is entitled to. They tell
us that as a labourer one day
was ploughing in a field in the
territory of Tarquinium, and his
ploughshare made a deeper furrow than
usual, all of a sudden there sprung
out of this same furrow a certain
Tages, who, as it is recorded in
the books of the Etrurians, possessed
the visage of a child, but the
prudence of a sage. When the labourer
was surprised at seeing him, and in
his astonishment made a great outcry,
a number of people assembled round
him, and before long all the
Etrurians came together at the spot.
Tages then discoursed in the presence
of an immense crowd, who treasured up
his words with the greatest care, and
after wards committed them to writing.
The information they derived from this
Tages was the foundation of the
science of the soothsayers, and was
subsequently improved by the accession of
many new facts, all of which
confirmed the same principles. Here is
the story that the Etrurians give out
to the world. This record is
preserved in their sacred books, and
from it their augurial discipline is
deduced. Now do you imagine that we
need a Carneades or Epicurus to
refute such a fable as this1? Lives
there any one so absurd as to
believe that this (shall I say god,
or man 1) was thus ploughed up
out of the earth 1 If he was
a god, why did he conceal himself
under the earth against the order of
nature, so as not to behold the
light till he was ploughed up] Could
not that same god have instructed
mankind from a station somewhat more
elevated ? And if this Tages was
a man, how could he have lived
thus buried and smothered in the
earth 1 and how could he have learnt
the wonders he taught to others ?
But I am even more foolish than
those who believe such nonsense, for
thus wasting so much time in
refxiting them. There is an old saying
of Cato, familiar enough to everybody,
that " he wondered that when one
soothsayer met another, he could help
laughing." For of all the events
pre dicted by them, how very few
actually happen ? And when one of
them does take place, where is the
proof that it does not take place
by mere accident 1 When Hannibal
fled to king Prusias, and was eager
to wage war with the enemy, that
monarch replied that he dared not do
so, because the entrails of the
sacrifice wore an unfavourable aspect.
" Would you, then," said
Hannibal, "rather trust a bit of
calf's flesh than a veteran general?"
And as to Caesar, when he was
warned by the chief sooth sayer not
to venture into Africa before the winter,
did he not cross? If he had not
done so, all the forces of the
enemy would have assembled in one
place. Why need I enumeratethe responses
of the soothsayers, of which I could
cite an infinite number, which have
either received no accomplishment at all,
or an accomplishment exactly the reverse
of the prediction 1 In this last
Civil War, for instance — good Heavens !
how often were their responses utterly
falsified by the result ! How many
false prophecies were sent to us from
Rome into Gi'eece ! How many oracles
in favour of Pompey ! For that
general was not a little affected by
entrails and prodigies. I have no
wish to recount these things to you,
nor indeed is it necessary, for you
were present. But you see that nearly
all the events took place in the
manner exactly contrary to the predictions.
So much for responses. Let us now
say a word or two on prodigies.
You have mentioned several things on
this topic which I wrote during my
consulship. You have brought up
many of those anecdotes collected by
Sisenna before the Mar- sian War, and
many recorded by Callisthenes before the
un fortunate battle of the Spartans
at Leuctra, of each of which I
will speak separately, as far as
seems necessary; but at present we
must discuss of prodigies in general.
For what is the meaning of this kind
of divination — this dreadful denouncing of
impending calamities — derived from the Gods
1 In the first place, what is
the object of the Gods, in giving
us prodigies and signs which we
cannot understand without interpreters, and
in advertising us of disasters which
we cannot avoid 1 But even honest
men do not act thus, giving notice
to their friends of impending misfortune
which they cannot possibly avoid; and
physicians, though they are often aware
of the fact, yet never tell their
patients that they must needs die of
the complaint from which they are suffering.
For the prediction of an evil is
only beneficial when we can point out
some means of avoiding it or miti
gating it. What good, then, did
these prodigies, or their interpreters, do
to the Spartans, or more recently to
the Romans 1 If they are to be
considered as the signs of the Gods,
why were they so obscure ? For
if they were sent in order that
we might understand what was about to
happen, then it ought to have been,
declared intelligibly; and if we were
not intended to know, then they
should not have been given even obscurely.
As for all conjectures on which this
kind of divination depends, the opinions
of men differ so much from each
other that they often make very
opposite deductions from the same thing.
For as in legal suits, the plea
of the plaintiff is contrary to that
of the defendant, and yet both are
within the limits of credibility, — so in
all those affairs which only admit of
conjectural interpretation, the reasoning must
be extremely uncertain. And as for those
things which are caused at times by
nature, and at others by chance,
(some times, too, likeness gives rise
to mistakes,) it is very foolish to
attribute all these things to the interpositions
of the Gods, without examining their
proximate causes. You believe that the
Boeotian diviners of Lebadia foreknew by
the crowing of the cocks that the
victory belonged to the Thebans, because
these birds only crow when they are
vic torious, and hold their peace
when they are beaten. Did, then,
Jupiter give a signal to so important
a city by the means of hens 1
But do cocks only crow when they
are vic torious 1 At that time
they were crowing, and they had not
conquered. You say that this was a
prodigy. It would have been a
prodigy, and a very great one, if
the crowing had pro ceeded from
fishes instead of birds. But what
hour is there of day, or of
night, when cocks do not crow 1
and if they are sometimes excited to
crow by their joy in victory, they
may likewise be excited to do the
same by some other kind of joy.
Democritus, indeed, states a very good
reason why cocks crow before the
dawn; for, as the food is then
driven out of their stomachs, and
distributed over their whole body and
digested, they utter a crowing, being
satiated with rest. But in the
silence of the night, says Ennius,
" they indulge their throats, which
are hoarse with crowing, and give
their wings repose." As, then, this
animal is so much inclined to crow
of its own accord, what made it
occur to Callisthenes to assert that
the Gods had given the cocks a
signal to -crow; since either nature or
chance might have done it ? It
was announced to the senate that it
had rained blood, that the river had
become blackened with blood, and that
the statues of the immortal gods were
covered with sweat. Do you imagine
that Thales or Anaxagoras, or any
other natural philosopher, would have given
credence to such news? Blood and sweat
only proceed from the animal body;
there might have been some discoloration
caused by some 22 4 ox contagion
of earth very like blood, and some
moisture may have fallen on the
statues from without, resembling perspira
tion, as \ve see sometimes in plaster
during the prevalence of a south
wind; and in time of war such
phenomena appeal- more numerous and more
important than usual, as men are then
in a state of alarm, while they
are not noticed in peace. Besides, in
such periods of fear and peril, such
stories are more easily believed, and
invented with more impunity. We are,
however, so silly and inconsiderate, that
if mice, which are always at that
work, happen to gnaw anything, we
immediately regard it as a prodigy.
So because, a little before the
Marsian war, the mice gnawed the
shields at Lanuvium, the soothsayers
declared it to be a most important prodigy
; as if it could make any
difference whether mice, who day and
night are gnawing something, had gnawed
bucklers or sieves. For if we are
to be guided by such things, I
ought to tremble for the safety of
the commonwealth, because the mice lately
gnawed Plato's Republic in my library;
and if they had eaten the book
of Epicurus on Pleasure, I ought to
have expected that corn would rise in
the market. Are we, then, alarmed if
at any time any unna tural
productions are reported as having
proceeded from man or beast? One of
which occurrences, to be brief, may
be accounted for on one principle.
Whatever is born, of whatever kind it
may be, must have some cause in
nature, so that even though it may
be contrary to custom, it cannot possibly
be contrary to nature. Investigate, if
you can, the natural cause of every
novel and extraordinary circumstance: — even
if you cannot discover the cause,
still you may 'feel sure that nothing
can have taken place without a cause
; and, by the principles of nature,
drive away that terror which the
novelty of the thing may have
occasioned you. Then neither earthquakes,
nor thunderstorms, nor showers of blood
and stones, nor shooting stars, nor
glancing torches will alarm you any
more. If you ask Chrysippus to
explain the laws hat govern these
phenomena, though he is a great
defender of divina tion, he will
never tell you that they have
happened by chance, but he will give
you a natural explanation of all of
them. For, as it has been before
stated, nothing can happen without a
cause, and nothing happens which is
impossible; iior, if that has happened
which could happen, ought it to be
regarded as a prodigy. Therefore there
are no such things as prodigies. For
if we place in the rank of
prodigies every rare occurrence, it follows
that a wise man is one of the
greatest prodigies. For I believe there
are fewer instances of wise men in
the world, than of mules which have
brought forth young. So this principle concludes
that that which cannot take place in
the nature of things never does take
place; and that that which can take
place in the nature of things, is
not a prodigy, and therefore there
are no prodigies at all. Therefore a
diviner and interpreter of prodigies being
con sulted by a man who informed
him, as a great prodigy, that he
had discovered in his house a serpent
coiled around a bar, answered very
discreetly, that there was nothing very
wonderful in this, but if he had
found the bar coiled around the
serpent, this would have been a
prodigy indeed. By this reply, he
plainly indicated that nothing can be
a prodigy which is consistent with
the nature of things. XXIX. Caius
Gracchus wrote to Marcus Pomponius, that
his father having caught two serpents
in his house, sent to consult the
soothsayers. Why were two serpents entitled
to such an honour more than two
lizards or two mice 1 Because these
are every day occurrences, you would
reply, while ser pents were comparatively
rare ; as if it signified how
often a thing which was possible took
place. But I marvel, if the release
of the female snake caused the death
of Tiberius Gracchus, and that of the
male was to be fatal to Cornelia,
why he let either of them escape.
For he does not record that the
soothsayers had told him what would
happen if he let neither of the
snakes escape. But it seems T. Gracchus
died soon after, doubtless of some
natural malady which destroyed his
constitution, and not because he had
saved the life of a viper. Not
that the infelicity of the haruspices
is so great that their predictions
are never fulfilled by any chance whatever.
And, I must confess, if I could
but believe it, I should exceedingly
wonder at the story which you have
cited from Homer respecting the prediction
of Calchas, who, from observing the
number of a flock of sparrows,
foretold the number of years that
would be expended in the siege of
Troy. DE NAT. ETC. Q 2-6 ON
Of which conjecture Homer makes Agamemnon1
speak thus, if I may repeat you
a translation of the passage which. I
made in a leisure hour Not for
their grief the Grecian host I blame
; But vanqui.sh'd ! baffled ! oh, eternal
shame ! Expect the time to Troy's
destruction giv'n, And try the faith of
Calchas and of heav'n. What pass'd at
Aulis, Greece can witness bear, And
all who live to breathe this Phrygian
air, Beside a fountain's sacred brink
was raised Our verdant altars, and
the victims blazed ; ('Twas where the
plane-tree spreads its shades around) The
altars heaved ; and from the
crumbling ground A mighty dragon shot,
of dire portent; From Jove himself the
dreadful sign was sent. Straight to
the tree his sanguine spires he
roll'd, And curl'd around in many a
winding fold. The topmost branch a
mother-bird possest ; Eight callow infants
fill'd the mossy nest ; Herself the
ninth : the serpent as he hung,
Stretch'd his black jaws, and crush'd
the crying young; While hov'ring near,
with miserable moan, The drooping mother
wail'd her children gone. The mother
last, as round the nest she flew, Seized
by the beating wing, the monster slew
; Nor long survived, to marble turn'd
he stands A lasting prodigy on Aulis'
sands. Such was the will of Jove ;
and hence we dare Trust in his
omen and support the war. For while
around we gazed with wond'ring eyes,
And trembling sought the Pow'rs with
sacrifice, Full of his god, the
rev'rend Calchas cried : Ye Grecian
warriors, lay your fears aside, This
wondrous signal Jove himself displays, Of
long, long labours, but eternal praise.
As many birds as by the snake
were slain, So many years the toils
of Greece remain ; But wait the
tenth, for llion's fall decreed. Thus
spoke the prophet, thus the fates
succeed. Now is not this a curious
mode of augury1? — to conjecture by the
number of sparrows eaten by a serpent,
the number of years expended in the
Trojan war. Why years rather than
months or days? And how -was it
that Calchas selected sparrows, in which
there is nothing supernatural, for the
signs of his prophecy 1 while he
is silent about the serpent, which 1
This is a mistake of Cicero's. It
is Ulysses who speaks. The pas sage
occurs in Iliad . JTU changed, as it is
said, into stone (an event which is
im possible). Lastly, what analogy or
relatkfe can subsist between the sparrows
seen and the years predicted 1 As
to what you have said respecting the
serpent which appeared to Sylla while
he was sacrificing, I recollect the
whole circumstance ; and remember that
just as Sylla was about to attack
the enemy at Nola, he made a
sacrifice, and that at the moment the
victim was offered, a serpent issued
from beneath the altar, and that the same
day a glorious victoiy was gained, —
not l;wing to the advice of the
soothsayers, but to the skill of the
general. And prodigies of this kind have
nothing miracu lous in them ; which,
when they have taken place, are
brought under conjecture by some particular
interpretation, as in the case of the
grain of wheat found in the mouth
of Midas while an infant, or that
of the bees, which are said to
have settled on the lips of the
infant Plato. Such things are less
admirable for themselves than for the
conjectures they gave rise to ; for
they may either not have taken place
at the time specified, or have been
fulfilled by mere accident. I likewise
suspect the truth of the report which
you have related respecting Roscius — namely,
that a serpent was found coiled round
him when he was in his cradle.
But even if it be a fact that
a serpent was thus in the cradle,
it is not very wonderful, especially
in Solonium, where snakes are in the
habit of basking before the fire. As
to the interpretation which the soothsayers
gave of the circumstance, that the
child would become most illustrious and
most celebrated, I. am astonished that
the immortal Gods should have announced
such great glory to a comedian, and
preserved such an obsti nate silence
respecting Scipio Africanus. You have
related several prodigies whicli happened
to Flaminiusj for instance, that his
horse suddenly fell with him, — there is
surely nothing very astonishing in that.
Also, that the standard of the first
centurion could not easily be pulled
out of the earth. Perhaps the
standard-bearer was pulling but timidly at
the stick which he had fixed in
the ground with confident resolution. What
is the wonder in the horse of
Dionysius having escaped out of the
river, and in his afterwards having
had a swarm of bees cluster on
his mane? But because Dionvsius happened
to ascend the throne of Syracuse soon
after this event, what had happened
by chance was regarded as an
extraordinary prodigy and prognostic. You
go on to say, that at Lacedsemon,
the armour in the temple of Hercules
rattled. At Thebes the closed gates
of the temple of the same God
suddenly burst open of their own
accord, and the bucklers which had
been suspended on the walls fell to
the ground. Certainly nothing of this
kind could have happened without some
motion or impulse ; but why need we
impute such motion to the Gods rather
than call it an accident1? At Delphi,
you say, that a chaplet of wild
herbs suddenly appeared growing on the
head of Lysander's statue. Do you
think then that the chaplet of herbs
existed before any seed was ripened 1
These seeds were probably carried there
by birds, not by human agency, and
whatever is on a head may seem
to resemble a crown. And as to
the circum stance which you add, that
about the same time the golden stars
of Castor and Pollux, placed in the
temple of Delphi, suddenly vanished, and
could nowhere be discovei'ed ; this seems
to me not so much the work of
the Gods, as the sacrilege of
thieves. I certainly do wonder at
the roguery of the Ape of Dodona
being recorded in the Greek histories.
For what is less strange than that
a most mischievous animal should have
upset the urn, and scattered the
oracular lots ? The his torians,
however, deny that this prodigy was
followed by any disastrous event occurring
among the Lacedaemonians. Now to come
to what you have reported respecting
the citizen of Veii, who declared to
the Senate that if the. Lake Albanus
overflowed, and ran into the sea,
Rome would perish, and that if its
course were diverted elsewhere, Veii must
fall. Accordingly the water of the
Alban lake was subsequently drained away
by new channels, not for the safety
of the citadel and the city, but
solely for the benefit of the
suburban district. A short time afterwards,
a voice was heard, warning cer tain
individuals to beware lest Rome should
be taken by the Gauls; and upon
this they consecrated an altar on the
New Road, to Aius the Speaker. What,
then, did this Aius the Speaker speak
and talk, and derive his name from
that circumstance, when no one knew
him ; and has he been silent ever
since he has had an habitation, an
altar, and a name 1 And the
same remark will apply to Juno the
Admonitress; for what warning has she
ever given us, except the one
respecting the full sow 1 XXXIII.
This is enough to say about
prodigies. Let me now speak of
auspices and of lots — those, I mean,
which are thrown at hazard, not those
which are announced by vati cination,
which we more properly call oracles,
and which we shall discuss when we
investigate divination of the natural
order; and after this we will
consider the astrology of the Chaldeans.
But first let us consider the
question of auspices. It is a very
delicate matter for an augur to speak
against them. Yes, to a Marsian
perhaps, but not to a Roman.
For we are not like those who attempt
to predict the future by the flight
of birds, and the observation of
other signs ; and yet I believe that
Romulus, who founded our city by the
auspices, considered the augural science
of great utility in foreseeing matters.
For antiquity was deceived in many
things, which time, custom, and enlarged
experience have corrected. And the
custom of reverence for, and discipline
and rights of, the augurs, and the
authority of the college, are still
retained for the sake of their
influence on the minds of the common
people. And certainly the consuls P.
Claudius and L. Junius de served
severe punishment, who set sail in
defiance of the auspices ; for they
ought to have been obedient to the
esta blished religion, and not to
have rejected so obstinately the national
ceremonials. Justly, therefore, was one of
them condemned by the judgment of the
people, while the other perished by
his own hand. Flaminius, likewise, was
not duly submissive to the auspices;
and that was the reason, you say,
why he was defeated. But, the year
afterwards, Paullus was guided by them.
Did he the less for that perish
with his army in the battle of
Cannes 1 Even allowing the existence
of auspices, which I do not,
certainly those at present in use,
whether by means of birds or
celestial signs, are but mere semblances
of auspices, and not real ones.
" Quintus Fabius, I pray thee,
assist me in the auspices." He
answers, " I have heard."
The augurial officer among our forefathers
was a skilful and learned man ; now
they take the first that offers. For
a man must needs be skilful and
learned who understands the meaning of silence.
For in auspices we call that silence
which is free from all Irregularity.
To understand this, belongs to a
perfect augur. It sometimes happens,
however, that when he who wishes to
consult the auspices has said to the
augur whom he has chosen to assist
him, " Say, if silence is
observed," the augur, without looking
above or around him, answers immediately,
" Silence appears to be
observed." On this the consulter
rejoins, " Tell me whether the
chickens are eating." The augur
replies, " They are eating." But
when the consulter fur ther demands,
" What kind of fowls are they,
and whence do they come?" the
augur answers, "The chickens were
brought in a cage by a person
who is termed a poulterer." Such,
then, are the illustrious birds whom we
call, forsooth, the messengers of Jupiter ;
and whether they eat or not, what
does it signify ? Certainly nothing
to the auspices. But since, if they
eat at all, some portion of food
must inevitably fall on the ground
and strike (pavire) the earth, this
was at first called terripavium, then
terripudium, and is now called tripudium.
When, therefore, the chicken lets fall
from its beak a particle of its
food, the augur declares that the tripu
dium solistimum is consummated. What true
divination can there be in an auspice
of this nature, so artificially forced
and tortured ? which, we have a
proof, was not used among the most
ancient augurs ; for we have an
ancient decree of the college of
augurs, that any bird may make the
tripudium. So that, then, there would
be an auspice if the bird was
free to show itself, and the bird
might appear to be the messenger and
interpreter of Jupiter. But when a
miserable bird is kept in a cage,
and ready to die of hunger, — if such
an one, when pecking up its food,
happens to let some particle fall,
can you think this an auspice, or
do you believe that Romulus consulted
the gods in this manner ? Do
you imagine that those who pretend to
augury apply themselves at the present
day to discern the signs of heaven
1 No ; they give their orders to
the poulterer. He makes his report.
It has been reckoned an excellent auspice
on all occasions, among the Romans, when
it thunders on the left hand, except
in reference to the Comitia ; and
this exception was doubtless contrived for
the benefit of the commonwealth, in
order that the chiefs of the state
might be the interpreters of the
Comitia in whatever concerns the judgments
of the people, the rights of the
laws, and the creation of the magistrates.
" But," you argue, " in
consequence of the letters of Ti
berius Gracchus, Scipio Nasica and Caius
Martins Figulus resigned the consulship,
because the augurs determined that they
had been irregularly created." Well,
who denies that there is a school
of Augurs 1 What I deny is,
that there is any such thing as
divination. " But the soothsayers are
diviners ; and after Tiberius Gracchus had
introduced them into the senate, on account
of the sudden death of the individual
whose office it was to report the
order of the elections, they said
that the Comitia had not been legally
constituted." Now, in reference to
this case, observe that they could
not speak by authority of the
summoner of the president of the
centuries, for he was dead; and
conjecture without divination could say
that. Or perhaps what they said was
no better than the result of chance,
which prevails to a considerable extent
in all affairs of this nature. For
what could the sooth sayers of
Etruria know as to whether the tent
they observed was as it should be,
and whether the regulations of the
pomoerium, or circumvallation, were exactly
obeyed. For myself, I agree with the
sentiments of Caius Marcellus rather than
with those of Appius Claudius, who
were both of them my colleagues ; and
I think that, although the college
and law of augurs were first
instituted on account of the reverence
entertained for divination in ancient
times, they were afterwards maintained and
preserved for the sake of the state.
Of this, however, more elsewhere. At
present, let us examine the auguries of
other nations who have evinced therein
more superstition than art. They make
use of all kinds of birds for
their auspices; we confine ourselves to
few: and one set of omens are
reckoned unfavourable by them, and a
different set by us. King Deiotarus
often asked me for an account of
our discipline and system of divination,
and I asked him for information aoout
nis. Good heavens ! how different were
the two methods , in some instances,
so much so as to be downright
contradictory to one another. And he
had re course to augurs on all
occasions ; but how very seldom do we
apply to them unless the auspices are
required by the people ! Our
ancestors were unwilling to wage any
war without consulting the auspices. But
how many years have elapsed since
this ceremony has been neglected by
our proconsuls and propraetors ? They
never take auspices ; they do not
pass over rivers by the encouragement
of omens ; nor do they wait for
the intimation of the sacred chickens.
As to that divination which consists
in observing the flight of birds from
some elevated spot — once considered of so
much consequence in military expeditions, —
Marcus Marcellus, who was consul five
times, as well as imperator and chief
augur too, omitted it altogether. What
is become, then, of divina tion by
birds, which (as wars are carried on
by people who take no care about
any auspices) seems to be retained by
the city magistrates, while it is
renounced by our military com manders
? So much did Marcellus despise
auspices, that when he was proceeding
on any enterprise, he was accustomed
to travel in a closed litter, that he
might not be liable to be hindered
by them. And we augurs now-a-days act
much in the same way, when, for
fear of what is called a joint
auspice, we order the sacrificial cattle
to be separated from each other. Not
that I commend conduct like this ;
for to make these contrivances, either
that an auspice should not happen at
all, or that if it happens it
should not be seen, — what is it
but an attempt to avoid the
admonitions of Jupiter ? It is
ridiculous enough for you to assert
that this king Deiotarus did not
repent of having believed the auspices
which he experienced when he went in
search of Pompey, because he had, by
doing his duty, thus secured the
fidelity and friendship of the Romans ;
for that praise and glory were dearer
to him than his kingdom and
possessions. I dare say they were ;
but this has nothing to do with
the auspices. Surely no crow could
inform him that it was a piece
of magnanimity to defend the liberty
of the Roman people. It was he himself
who felt spontaneously what he did
feel; and birds can do no more than
signify bare events, be they for
tunate or disastrous. Thus, I conceive
that Deiotarus in this affair followed
no other auspices than those of
conscience, which taught him to prefer
his duty to his interest. But if
the birds showed him that the result
would be prosperous, they certainly
deceived him ; for he fled from
the battle, together with Pompey, and
a grievous time it was for him.
From this general he was compelled to
separate — another affliction ; and, to
crown his troubles, he soon had
Csesar quartered upon him, both as a
guest and an enemy. What could be
more painful than this ? Lastly ,
Csesar, after having deprived him of
the tetrarchy of the Trogini, and bestowed
it on a certain Pergamenian of his
train, — after having likewise deprived him
of Armenia, which had been granted
him by the senate, — after having been
entertained by him with most princely
hospitality, left his entertainer the king
wholly stripped of his possessions. It
is needless to add more. I will
return to my original subject. If we
seek to know events by those auspices
which are sought from birds, it
appears by this argument that no
birds could truly have predicted prosperity
to king Deiotarus. If we want to
know our duty, that is not to
be sought from augury, but from
virtue. I say nothing, then, of the
augural staff of Romulus, which you
declare to have remained unconsumed
by fire in the midst of a
general conflagration ; and pass over the
razor of Attius Navius, which is
reported to have cut through a
whetstone. Such fables as these should
not be admitted into philosophical
discussions. What a philosopher has to
do is, first, to examine the nature
of the augural science, to investigate
its origin, and to pursue its
history. But how pitiful is the
nature of a science which pretends
that the eccentric motions of birds
are full of ominous import, and that
all manner of things must be done,
or left undone, as their flights and
songs may indicate ! How can their inclinations
to the right or left determine the
power of auspices ? and how, when,
and by wrhom were such absurd
regulations as these invented ? The
Etrurian soothsayers hold as the author
of their dis cipline a child whom
a ploughshare suddenly dug up from a
clod of the earth. Whom do we
Romans look upon as the author of
ours ? Is it Attius Navius ?
But Romulus and Remus lived several
years before him, and they were both augurs,
as we are informed. Shall we call
our system the invention of the
Pisidians, the Cilicians, or the Phrygians
1 Shall we, by speaking thus, call
men devoid of all civilization the
authors of divination ? " But,"
you say, " all kings, people,
and nations use auspices ; " as if
there was anything in the world so
very common as error is, or as
if you yourself, in judging, were
guided by the opinion of the
multitude. How few, for instance, are
there who deny that pleasure is a
good : most people even think it
the chief good. But is the Stoic
frightened from his creed by their
numbers ? or does the multitude
follow their authority in many things
1 What wonder is there, then, if
in respect of auspices, and all kinds
of divinations, weak spirits are affected
by those popular superstitions, though they
cannot overturn the truth 1 And what
uniformity or settled agreement exists
between augurs [The poet Ennius, referring
to our Roman augurs, says — When on
the left it thunders, all goes well.
In Homer, on the contrary, Ajax,1
making some complaint or other to
Achilles about the ferocity of the
Trojans, speaks in this manner — For
them the father of the Gods declares,
His omens on the right, his thunder
theirs. So that omens on the left
appear fortunate to us, while the
Greeks and barbarians prefer those on
the right. Although I am not unaware
that our Romans call prosperous signs
sinistra, even if they are in fact
dextra. But certainly our countrymen used
the term sinistra, and foreigners the
word dextra, because that usually appeared
the best. How great, however, is this
contrariety ! Why need I stop to
mention that they use different birds
and different signs from our selves?
they take their observations in a
different way, and give answers in a
different way; and it is superfluous
to admit that some of these modes
are adopted through error, some through
superstition, and that they often mislead.
To this catalogue of superstitions you have
not hesi- 1 This is another piece
of forge tfulness on the part of
Cicero.— See Iliad, ix. 236. tated to
add a number of omens and presages.
For instance, you have quoted the
words which ./Emilia addressed to Paulus, that
Perses had perished ; which Paulus
received as an omen of success. You
quote likewise the speech that Cecilia
made to her sister's daughter — " I
yield my place to you." Nor is this
all : you cite the phrase, favete
linguis (keep silence) ; and you
extol the prerogative presage derived from
the name of the person who takes
precedence in the elections of the
comitia. I call this being ingenious
and eloquent against yourself; for how,
if you attend to things like these,
can your mind be free and calm
enough to follow, not supersti tion,
but reason, as your guide in action
1 Is it not so ? If any
one, while speaking on his own
affairs, in the course of his common
conversation, drops a word that may
seem to you to bear on anything
which you are thinking or doing,
shall that circumstance inspire you with
either fear or energy? When Marcus
Crassus was embarking his army at
Brundu- sium, a. certain itinerant vender
of figs from Caunus cried out in
the harbour, " Will you buy any
cauneas /" Let us say, if you
please, that this was an omen against
Crassus's expedition ; for that it was
as much as to say, Cave ne eas
(Beware how you go), and that if
Crassus had obeyed the omen he would
not have perished. But if we regard
such omens as these, we shall have
to take notice of sneezes, the
breaking of a shoe-tie, or the
tripping over a pebble in walking.
It now remains for us to speak of
the lots, and the Chal dean
astrologers, vaticinations, and dreams. And first
let us speak of lots. What, now,
is a lot? Much the same as the
game of mora, or dice, ! and other
games of chance, in which luck and
fortune are all in all, and reason
and skill avail nothing. These games
are full of trick and deceit,
invented for the object of gain,
superstition, or error. But let us
examine the imputed origin of the
lots, as we did that of the
system of the soothsayers. We read
in the records of the Prsenestines,
that Numeriua Sufnicius, a man of
high reputation and rank, had often
been commanded by dreams (which at
last became very threaten- ! The
Latin has quod talos jacere, quod
tesseras, — tali being dice with four flat
and two round sides, and tesserce
dice with six flat sides. ing)
to cut a flint-stone in two, at
a particular spot. Being extremely alarmed
at the vision, he began to act
in obedience to it, in spite of
the derision of his fellow-citizens; and
he had no sooner divided the stone,
than he found therein certain lots,
engraved in ancient characters on oak.
The spot in •which this discovery
took place is now religiously guarded,
being consecrated to the infant Jupiter,
who is represented with Juno as
sitting in the lap of Fortune, and
sucking her breasts, and is most
chastely worshipped by all mothers. At
the same time and place in which
the Temple of For tune is now
situated, they report that honey flowed
out of an olive. Upon this the
augurs declared that the lots there
instituted would be held in the
highest honour; and, at their command,
a chest was forthwith made out of
this same olive- tree, and therein
those lots are kept by which the
oracles of Fortune are still delivered.
But how can there be the least
degree of sure and certain information
in lots like these, which, under
Fortune's direction, are shuffled and drawn
by the hands of a child ? How
were the lots conveyed to this
particular spot, and who cut and
carved the oak of which they are
composed 1 " Oh," say they,
" there is nothing which God
cannot do." I wish that he had
made these Stoical sages a little
less inclined to believe every idle
tale, out of a superstitious and
miserable solicitude. The common sense of men
in real life has happily succeeded in
exploding this kind of divination. It
is only the antiquity and beauty of
the Temple of Fortune that any longer
pre serves the Prsenestine lots from
contempt even among the vulgar. For
what magistrate, or man of any
reputation, ever resorts to them now?
And in all other places they are
wholly disregarded ; so that Clitomachus
informs us, that with refe rence to
this, Carneades was wont to say that
he had never been so fortunate as
when he saw Fortune at Prseneste. So
we will say no more on this
topic. Let us now consider the
prodigies of the Chaldeans. Eudoxus, who
was a disciple of Plato, and, in
the judgment of the greatest men, the
first astronomer of his time, formed
the opinion, and committed it to
writing, that no credence should be given
to the predictions of the Chaldeans
in their calculation of a man's life
from the day of his nativity.
Paneetius, who is almost the only
Stoic who rejects astro logical prophecies,
says that Archelaus and Cassander, the
two principal astronomers of the age
in which he himself lived, set no
value on judicial astrology, though they
were very celebrated for their learning
in other parts of astronomy. Scylax of
Halicarnassus, a great friend of Pansetius,
and a first-rate astronomer, and chief
magistrate of his own city, likewise
rejected all the predictions of the
Chaldeans. But to proceed merely on
reason, omitting for the present the
testimony of these witnesses. Those who
put faith in the Chaldeans, and their
calcu lations of nativities, and their
various predictions, argue in this manner
: they affirm that in that circle
of constellations which the Greeks term
the Zodiac there resides a ceiiain
energy, of such a character that each
portion of its circum ference influences
and modifies the surrounding heavens ac
cording to what stars are in those
and the neighbouring parts at each
season ; and that this energy is
variously affected by those wandering stars
which we call planets. But when they
come into that portion of the circle
in which is situated the rise of
that star which appears anew, or into
that which has anything in conjunction
or harmony with it, they term it
the true or quadrate aspect. And
moreover, as there happen at every
season of the year several astronomical
revolutions, owing to approximations and
retirements of the stars which we
see, which are affected by the power
of the sun, — they think it not
merely probable, but true, that according
to the temperature of the atmosphere
at the time must be the animation
and formation of children from their
mother's womb ; and that their
genius, disposition, temper, constitution,
behaviour, fortune, and destiny through
life depend upon that. What an incredible
insanity is this ! for every error
does not deserve the mere name of
folly. The Stoic Diogenes grants, that
the Chaldeans possess the power of
foreseeing certain events ; to the limit,
that is, of predicting what a child's
disposition and his particular talent and
ability are likely to be. But he
denies that the other things which
they profess can possibly be known.
For instance ; two twins may re
semble each other in appearance, and
yet their lives and fortunes may be
entirely dissimilar. Procles and Eurysthenes,
kings of the Laceduemonians, were
twin-brethren. But they did not live
the same number of years ; for
Procles died a year before his
brother, and much excelled him in the
glory of his actions. But I question
whether even that portion of prophetic
power which the worthy Diogenes concedes
to the Chaldeans, by a sort of
prevarication in argument, can be fairly ascribed
to them. For, as according to them
the birth of infants is regulated by
the moon, and as the Chaldeans
observe and take notice of the natal
stars with which the moon happens to
be in conjunction at the moment of
a nativity, they are founding their
judgment on the most fallacious evidence
of their eyes, as to matters which
they ought to behold by reason and
intellect. For the science of Mathematics,
with which they ought to be
acquainted, should teach them the
comparative proximity of the moon to
the earth, and its re lative
remoteness from the planets Venus and
Mercury, and especially from the sun,
whose light it is supposed to borrow.
And the other three intervals, those,
namely, which separate the sun from
Mars and from Jupiter and from
Saturn, and the distance also between
that and the heaven, which is the
bound and limit of our universe, are
infinite and immense. What influence, then,
can such distant orbs ti'ansmit to
the moon, or rather to the earth?
Moreover, when these astrologers maintain,
as they are bound to maintain, that
all children that are born on the
earth under the same planet and
constellation, having the same signs of
nativity, must experience the same
destinies, they make an assertion which
evinces the greatest ignorance of
astronomy. For those circles which divide the
heaven into hemispheres — circles which the
Greeks call horizons, and the Latins
finientes — perpetually vary according to the
spot from which they are drawn ; and,
therefore, the risings and settings of
the stars appear to take place at
different seasons to dif ferent races
of men. If, then, the condition of
the atmosphere is affected by the
energy and virtue of the stars,
sometimes in one way and sometimes in
another, how can those children who
are born at the same time in
different climates be subject to the
same starry influences in various quarters
of the globe 1 For instance, in
the country which we Romans inhabit,
the dog-star rises some days after
the summer solstice, while among the
Troglodytes, a people of Africa, it
is said to rise before it. So
that if I were to grant that
the heavenly influences have an effect
upon all the children who are born
upon the earth, it would follow, that
all who are born at the same
time in different regions of the earth,
must be born not with the same
but with different inclinations according
to the different conditions of climate;
which, however, they by no means
admit. For they persist in maintaining
that all chil dren who are born
at the same period, have at their
nativity the same astrologicl destinies
allotted to them, whatever their native
country may be. But what folly is it
to imagine, that while attending to
the swift motions and revolutions of
heaven, we should take no notice of
the changes of the atmosphere immediately
around us, — its weather, its winds, and
rains — when weather differs so much even
in places which are nearest to one
another, that there is often one
weather at Tusculum and another at
Rome; as is especially remarked by
sailors, who, after having doubled a
cape, often find the greatest possible
change in the wind. When the
calmness or disturbed state of the weather
is so variable, is it the part
of a man in his senses to say
that these circumstances have no effect
on the births of children happen ing
at that moment, (as, indeed, they
have not,) and yet to affirm, that
that subtle and indefinable thing, which
cannot be felt at all, and can
scarcely be comprehended, — namely, the
conjuncture which arises from the moon
and other stars, does affect the
birth of children 1 — What? is it a slight
error, not to understand that by this
system that energy of seminal principles
which is of so much influence in
begetting and procreating the child is
utterly put out of sight? — for who
can help observing that the parents
impress on their children, to a great
extent, their own forms, manners, features,
and gestures. Now this could hardly
happen if it were not the power
and nature of the parents which was
the efficient cause, but the condition
of the moon and the temperature of
the heavens. Why need I press the
argument that those who are born at
one and the same moment, are
dissimilar in their nature, their lives,
and their circumstances? Besides, is there
any doubt that many persons, though
they were born with great bodily
defects, are never theless afterwards cured
of them, and set right by the
self- corrective power of their nature,
or by the attention of their nui-ses,
or the skill of their physicians? or
that many chil dren have been born
so tongue-tied that they could not
speak, and yet have been cured by
the application of the knife'? Many
likewise by meditation or exercise have
removed their natural infirmities. Thus
Phalereus records that Demos thenes when young
could not pronounce the letter R; but
afterwards by constant practice he learnt
to articulate it perfectly. Now, if
such defects had been occasioned by
the influence of the stars, nothing
could have altered them. Need I say
more? Does not difference of situation
make races of men different 1 It
is easy enough to give a list
of such instances; and to point out
what differences exist be tween the
Indians and Persians, the ^Ethiopians and
Syrians, in respect both of their
persons and characters, so as to
present an incredible variety and dissimilarity.
And this fact proves, that the
climate influences the nativities of men
far more than the aspect of the
moon and stars. For though some
pretend that the Chaldean astrologers have
verified the nativities of children by
calculations and experi ments in the
cases of all the children who have
been born for 470,000 years, this is
a mistake. For had they been in
the habit of doing so, they would
never have given up the practice.
But. as it is, no author remains
who knows of such a thing being
done now, or ever having been done.
You see that I am not using the
arguments of Carneades, but those rather
of Pantetius, the chief of the Stoics
But answer me now this question. Were
all those persons who were slain in
the battle of Cannae born under the
same constellation, as they met with
one and the same end? Again, have
those men who are singular in their
genius and courage, a separate, some
peculiar star of their own too 1
For what moment is there in which
a multitude of persons are not born?
and yet no one has ever been
like Homer. And if the aspect of
the stars and the state of the
firma ment influenced the birth of
every being, it should, by parity of
reasoning, influence inanimate substances; yet
what can be more absurd than such
an idea? I grant, indeed, that Lucius
Tarutius of Firma, my own personal
friend, and a man particularly well
acquainted with the Chaldean astrology,
traced back the nativity of our own
city, Rome, to those equinoctial days
of the feast of Pales in which
Romulus is reported to have begun its
foundations, and asserted that the moon
was at that period in Libra, and
on this discovery, he hesitated not
to pronounce the destinies of Rome.
Oh, the mighty power of delusion ! Is
even the b'irth-day of a city subject
to the influence of the stars and
moon'? Granting even that the condition
of the heavens, when he draws his
first breath, may influence the life
of a child, does it follow that
it can have any effect on brick
or cement, of which a city is
composed? Why need I say more? Such
ideas as these are refuted every day.
How many of these Chaldean prophecies
do I remember being repeated to
Pompey, Crassus, and to Caesar himself !
according to which, not one of these
heroes was to die except in old
age, in domestic felicity, and perfect
renown ; so that I wonder that any
living man can yet believe in these
impostors, whose predictions they see
falsified daily by facts and results.
-It only remains for us now to
examine those ttfo sorts of divination
which you term natural, as distin
guished from artificial — namely, vaticinations
and dreams. With your permission, brother
Quiutus, we will now treat of these.
I shall be very well pleased to
hear you, (answered Quintus,) for I
entirely agree with all you have
hitherto advanced, and, to tell you
the trut, although I have had my
feelings on the subject strengthened by
your arguments, yet of my own accord
I looked upon the opinion of the
Stoics respecting divination as rather too
superstitious, and was more inclined to
favour the arguments which have been
adduced by the Peripatetics, and the
ancient DicEearchus. and Cratippus, who now
flourishes, who all maintain that there
exists in the minds of men a
certain oracular and pro phetic power
of presentiment, whereby they anticipate
future events, whether they are inspired
with a divine ecstasy, or are r.s
it were disengaged from the body, and
act freely and easily during sleep. I
wish therefore to know what is your
opinion respecting these vaticinations and
dreams, and by what ingenious devices
you mean to invalidate them. When
Quintus had thus spoken, I proceeded
again to speak, starting afresh, as
it were, from a new beginning. I
am very well aware, brother Quintus,
I replied, that you have always entertained
doubts respecting the other kinds of
divination; but that you are very
favourable to the two natural kinds —
namely, ecstasy and dreams, which appear to
proceed from the mind when at
liberty. T will therefore tell you my
idea very candidly respecting these two
species of divination, after I have
examined a little the sentiment of
the Stoics, and espe cially of our
friend Cratippus, on this subject. For
you said that Cratippus, Diogenes, and
Antipater summed up the question in
this manner : — " If there are Gods,
and they do not inform men beforehand
respecting future events, either they do
not love men, or do not know
what is going to happen; or they
think that the knowledge of the
future would be of no service to
mankind; or they believe it incon
sistent with the majesty of Gods to
reveal to men the things that must
come to pass; or, lastly, we must
believe that even the Gods themselves
are incapable of declaring them. But
we cannot say that the Gods do
not love man, for they are
essentially benevolent and philanthropic. And
they cannot be ignorant of those
things, which they themselves have appointed
and designed : neither can it be
uninteresting or unimportant to us to
know what must happen to us, for
we should be more prudent if we
did know. Nor can the Gods think
it inconsistent with their dignity to
advertise men of future events, for
nothing can be more sublime than
doing- good. Nor are they unable to
perceive the future before hand. If,
therefore, there are no Gods, they do
not declare the future to us; but
there are Gods, therefore they do
declare. And if the Gods declare
future events to us, they must have
furnished us with means whereby we
may appre hend them, otherwise they
would declare them in vain; and if
they have given us the means of
apprehending divination, then there is a
divination for us to apprehend — therefore
there is a divination." 0 acutest
of men, in what concise terms do
they think that they have settled the
question for ever! They assume premises to
draw their conclusion from, not one
of which is granted to them. But
the only conclusion of an argument
which can be approved, is one in
which the point doubted of is
established by facts which are not
doubtful. L. Do you not see how
Epicurus, whom the Stoics forsooth term
a blunderer, reasons in order to
prove that the universe is infinite
in the very nature of things ?
That which is finite, says he, has
an end. Every one will concede this.
What ever has an end, may be
seen externally from something else. This
also may be granted him. Now that
which includes al, cannot be discerned
externally from anything else. This
proposition likewise appears undeniable.
Therefore that which includes all, having
no end, is necessarily infinite. Thus
by the proposition which we are
compelled to admit, he clearly proves
the point in question. Now this is
just what you dialecticians have not
yet done in favour of divination ;
and you not only bring forward no
pro position as your premises, so
self-evident as to be universally admitted
; but you assume such premises as,
even if they be granted, your desired
conclusion would be as far as ever
from following. For instance, your first
proposition is this: If there are
Gods they must needs be benevolent.
Who will grant you this 1 Will
Epicurus, who asserts that the Gods
do not care about any business of
their own or of others ? or
will our own countryman Ennius, who
was applauded by all the Romans, when
he said — I've always argued that
the Gods exist, But that they care
for mortals I deny ; and then gives
reasons for his opinion; but it is
not neces sary to quote him further.
I have said enough to show that
your friends assume as certain,
propositions which are matters of doubt
and controversy. The next proposition is
this, That the Gods must needs know
all things, because they have made
all things. But how great a dispute
is there as to this fact among
the most learned men, several of whom
deny that all things were created by
the immortal Gods! Again, they assert,
that it is the interest of man
to know those things which are about
to come to pass. But Dicsear- chus
has written a great book to prove
that ignorance of futurity is better
than knowledge of futurity. They deny
that it is inconsistent with the
majesty of the Gods to look into
every man's house, forsooth, so as to
see what is expedient for each
individual. Nor is it possible, say
they, for them to be ignorant of
the future. This is denied by those
who will not allow that what is
future can be certain. Do not you
see, therefore, that they have assumed
as certain and admitted axioms, things
which are doubtful ? After which,
they twist the argument about and sum
it up thus : " Therefore, there
are no Gods ; and they do not
grant men intimations of the future."
And, having settled the question thus,
to their own satisfaction, they add,
" But there are Gods ;" a
fact which is not admitted by all
men ; " there fore, they do grant
intimations." Even that consequence I
cannot see ; for they may grant
no intimations of the future and yet
exist as Gods. Again, it is asserted
; If the Gods grant intimations to
men respecting future events, they must
grant some means of explaining these
intimations. But surely the contrary may
be the case ; for the Gods may
keep to themselves the mean ing of
the signs which they impart to men ;
for else, why should they teach it
to the Etrurians rather than to the
Romans? Again, they argue, that if
the Gods have given men the means
of understanding the signs they impart,
then the existence of divination is
manifest. Biit grant that the Gods do
give such means, what does it avail,
if we happen to be incapable of
receiving them 1 Last of all, their
conclusion is ; Therefore, there certainly
is such a thing as divination. It
may be their conclusion, but it is
not proved; for, as they themselves
have taught us, •' false premises
cannot produce a true result."
Therefore, the whole conclusion falls to
the ground. Let us now consider the
arguments of that most excellent man,
our friend Cratippus. As, says he,
the use and function of sight cannot
exist without the eyes — and yet the eyes
do not always perform their office, — and,
as he who has once enjoyed correct
sight, so as to see what truly
exists, is conscious of the reality
of vision ; — so, if the practice of
divination cannot exist without the power
of divination — and though in the exercise
of this power of divination some
errors may occur, and the diviner may
be misled so as not to foresee
the truth ; yet the existence of divination
is sufficiently attested by the fact
that some true divinations have been
made, containing such exact predictions of
all the particulars of future events, that
they can never have been made by
chance, — of which numerous instances might
be cited. The exist ence of
divination must therefore be admitted. The
argument is neatly and concisely stated.
But Cra- tippus twice assumes what he
wishes to prove ; and even if
we were willing to grant him very
large concessions, we could not possibly
agree with his conclusions. His argument
is this : Though the eyes should
sometimes possess very imperfect sight,
yet, provided they sometimes see clearly,
it is evident that the power of
vision is in them. On the same
principle, if any one has ever once
uttered a true divination, he must
always be considered as possessing the
faculty of divining, even when he
blunders. LIII. Now I entreat you,
my dear Cratippus, to consider how
little is the resemblance between these
two cases. To me there is none
at all. The eyes which see clearly
exert no more than their natural
faculty of sight. But minds, if they
have sometimes truly foreseen future
events, either in ecsta sies or
dreams, have done so by fortune and
accident ; unless, indeed, you imagine
those who believe that dreams are but
dreams, will grant you that when they
happen to dream any thing that is
true, it is no longer the effect
of chance. But we may concede for
the present these two assumptions of
Cratippus, which the Greek dialecticians
would call lem mata. But we prefer
speaking in Latin ; still the presump
tion, which they term prolepsis, cannot
be granted. Cratippus goes on assuming
premises in this manner : There are,
says he, presentiments innumerable which
are not fortuitous. Now this we absolutely
deny. See how great is the magnitude
of the difference between us. Not
being able to agree with his
premises, I assert that he has drawn
no conclusion. Oh, but perhaps it is
very impudent of us not to concede
a point which is so clear ! But
what is clear ? " Why," he
replies, " that many predictions are
fulfilled." Yes ; but are there not
many more which are not fulfilled ?
Does not this very variation, which
is the peculiar property of fortune,
teach us that fortune, not nature,
regulates such predictions ? Moreover,
if your conclusion is true, 0
renowned Cratip- pus ! — for to you I
address myself — do not you perceive that
the soothsayers, and those who predict
by thunder and light ning, and the
interpreters of prodigies, and the augurs,
and the Chaldean astrologers, and those
who tell fortunes by drawing lots,
will all bring forward the same argument
as yourself in their own favour? Not
one of these men has been so
unfortunate as never on any occasion
to find his pre dictions verified.
This being the case, you must either
admit all the other kinds of
divination which you now most properly
reject; or, if you absolutely condemn
them, I do not see how you will
be able to defend those two which
you retain as favourable exceptions. For
on the same principle that you maintain
these, the others also may be true
which you discard. LIV. But what
authority has this same ecstasy, which
you choose to call divine, that
enables the madman to foresee things
inscrutable to the sage, and which
invests with divine senses a man who
has lost all his human ones 1
We Romans preserve with solicitude the
verses which the Sibyl is reported to
have uttered when in an ecstasy, — the
interpreter of which is by common
report believed to have recently uttered
certain falsities in the senate, to
the effect that he whom we did
really treat as king should also be
called king, if we would be safe.
If such a prediction is indeed
contained in the books of the Sibyl,
to what particular person or period
does it refer ? For, whoever was
the author of these Sibylline oracles,
they are very ingeniously com posed ;
since, as all specific definition of person
and period is omitted, they in some
way or other appear to predict
everything that happens. Besides this, the
Sibylline oracles are involved in such
profound obscurity, that the same verses
might seem at different times to
refer to different subjects. It is
evident, however, that they are not a
song composed by any one in a
prophetic ecstasy, as the poem itself
evinces, being far less remarkable for
enthusiasm and inspiration than for
technicality and labour ; and as is
especially proved by that arrangement which
the Greeks call acrostics — where, from the
first letter of each verse in order,
words are formed which express some
particular meaning ; as is the case
with some of Ennius's verses, the initial
letters of which make, ""Which
Ennius wrote." But such verses
indicate rather attention than ecstasy in
those who write them. Now, in the
verses of the Sibyl, the whole of
the paragraph on each subject is
contained in the initial letters of
every verse of that same paragraph.
This is evidently the artifice of a
practised writer, not of one in a frenzy
; and rather of a diligent mind
than of an insane one. Therefore, let
us con sider the Sibyl as so
distinct and isolated a character, that,
according to the ordinance of our
ancestors, the Sibylline books shall not
even be read except by decree of
the senate, and be used rather for
the putting down than the taking up
of religious fancies. And let us so
arrange matters with the priests under
whose custody they remain, that they
may pro phesy anything rather than a
king from these mysterious volumes ;
for neither Gods nor men any longer
tolerate the notion of restoring kingly
government at Rome. LV. But many
people, you say, have in repeated
instances uttered true predictions ; as,
for example, Cassandra, when she said,
" Already is the fleet,'' ' &c. ;
and in a subsequent prophecy, "Ah! see
you not?" &c. Do you then
expect me to give credence to these
fables 1 I will grant that they
are as delightful as you please to
call them, — that they are polished up
with every conceivable beauty of language,
sentiment, music, and rhythm. LuL we
are not bound to invest fictions of
this kind with any authority, or to
give them any belief. And, on the
same principle, I do not think any
one bound to pay any attention to
such diviners as Publicius (whoever he
may be), or Martius, or to the
secret oracles of Apollo ; of which
some are notoriously false, and others
uttered at i-an- dom, so that they
command little respect, I will not
say from learned men, but even from
any person of plain common sense.
" What !" you will say, "
did not that old sailor of the
fleet of Coponius predict truly the
events which took place ?" No
doubt he did ; but they happened to
be those very things which at the
time everybody thought most likely to
ensue. For we were daily hearing that
the two armies were situated near
each other in Thessaly ; and it appeared
to us that Caesar's army had the
greater audacity, inasmuch as it was waging
war against its own country, and the greater
strength, being composed of veteran
soldiers. And as to the battle, there
was not one of us who did not
dread the result, though, as brave
men should, we kept our anxiety to
ourselves, and expressed no alarm. What
wonder, however, was it that this
Greek sailor was forced from all
self-possession and constancy, as is very
com mon, by the greatness of his
terror and affright ; and that, being
driven to distraction by his own cowardice,
he uttered those convictions when raving
mad which he had cherished when yet
sane ? Which, in the name of
Gods and men, is most likely; that
a mad sailor should have attained to a
know ledge of the counsels of the
immortal Gods, or that some one of
us who were on the spot at the
time — myself, for in stance, or Cato,
or Varro, or Coponius himself — could have
done so ? I now come to
you, Apollo, monarch of the sacred
centre Of the threat world, full of
thy inspiration, The Pythian priestesses
proclaim thy prophecies. For Chrysipyus has
filled an entire volume with your
oracles, many of which, as I said
before, I consider utterly false, and
many others only true by accident, as
often happens in any common conversation.
Others, again, are so obscure and
involved, that their very interpreters have
need of other interpreters ; and the
decisions of one lot have to be
referred to other lots. Another portion
of them are so ambiguous, that they
require to be analysed by the logic
of dialecticians. Thus, when Fortune
uttered the following oracle respecting
Croesus, the richest king of Asia, — •
" When Crocus has the Halys
cross'd, A mifdity kingdom will be lost
;" that monarch expected he should
ruin the power of his enemies ;
but the empire that he ruined was
his own. And whichever result had
ensued the oracle would have been
true. But, in truth, what reason have
I to believe that such an oracle
was ever uttered respecting Croesus 1
or why should I think Herodotus more
veracious than Ennuis'? Is the one
less full of fictions respecting Croesus
than the other is re specting Pyrrhus
1 For who now believes that the
following answer was given to Pyrrhus
by the oracle of Apollo ? "You
ask your fate; 0 king, I answer
you, yEacides the Romans will subdue
!" For, in the first place,
Apollo never uttered an oracle in Latin;
secondly, this oracle is altogether unknown
to the Greeks. Besides, in the days
of Pyrrhus, Apollo had already left
off composing verses. Lastly, although it
was always the case, as is said
in these lines of Ennius,— "
The JEacids were but a stupid race,
More warlike than sagacious," — yet
even Pyrrhus might without much difficulty
have per ceived the ambiguity of the
phrase, " ^Eacides the Romans will
subdue;" and might have seen that
it did not apply more to himself
than it did to the Romans. As
to that ambiguity which deceived Croesus,
it might even have deceived Chrysippus.
This one could not have deluded even
Epicurus. But the chief argument is,
why are the Delphic oracles altered
in such a way that — I do not
mean only lately in our own time,
but for a long time — nothing can
have been more contemptible 1 When
we press our antagonists for a reason
for this, they say that the peculiar
virtue of the spot from which those
exhalations of the earth arose, under
the influence and excite ment of
which the Pythian priestess uttered her
oracles, has disappeared by the lapse
of time. You might suppose they were
speaking of wine or salt, which do
lose their flavour by lapse of time;
but they are talking thus of the
virtue of a place, and that not
merely a natural, but a divine virtue;
and how is that to have disappeared
? By reason of age, is your reply.
But what age can possibly destroy a
divine virtue ? and what virtue can
be so divine as an exhalation of
the earth which has the power of
inspiring the mind, and ren dering it
so prophetic of things to come, that
it can not only discern them long
before they happen, but even declare
them in verse and rhythm ? And
when did this magical virtue dis
appear 1 Was it not precisely at
the time when men began to be
less credulous ? Demosthenes, who lived
nearly three hundred years ago, said
that even in his time the Pythia
Philippized — that is to say, supported
Philip's influence; and his expression was
meant to convey the imputation that
she had been bribed by Philip. From
which we may infer that other oracles
besides those of Delphi were not
quite immaculate. Somehow or other, certain
philosophers who are very superstitious — not
to say fanatical — appear to prefer
anything to behaving with common sense
themselves ; and so you prefer
asserting that that has vanished, and
become extinct, which, if it ever had
existed, must certainly have been eternal,
rather than not believe what is
wholly incredible. The error with regard to
the divination of dreams is another
of the same kind ; their arguments
for which are extremly far-fetched and
obscure. They affirm that the minds
of men are divine, that they came
from God, and that the universe is
full of these consenting intelligences.
That, therefore, by this inherent divinity
of the mind, and by its conjunction
with other spirits, it may foresee
future events. But Zeno and the
Stoics supposed the mind to contract,
to subside, to yield, and even to
sleep, itself. And Pythagoras and Plato,
authors of the greatest weight, advise
men, with a view of seeing things
more certainly in sleep, to go to
bed after having gone through a
certain preparatory course of food and
other conduct. Pythagoras, for this reason,
coun selled his disciples to abstain
from beans; with the idea that this
species of food excited the mind, not
the stomach. In short, somehow or
other, I know nothing is so absurd
as not to have found an advocate
in one of the philosophers. Do we
then think that the minds of men
during sleep move by an intrinsic
internal energy, or that, as Democritus
pre tends, they are affected with
external and adventitious visions? On either
supposition we may mistake during our
dreams many false things for true.
For to people sailing, those things appear
to be in motion which are stationary,
and by a certain ocular deception,
the light of a candle sometimes seems
double. Why need I in stance the
number of false appearances which are
presented to the eyes of men, among
those who labour under drunken ness,
or maniacs ? Now, if we cannot
trust such appearances as those, I
know not why we are to place
any absolute reliance on the visions
of dreams; for you might as well,
if you pleased, argue irom these
errors as from dreams. For instance,
that if stationary objects appear to
move, you might say that this
appearance indicated the approach of an
earthquake, or some sudden flight ; and
that lights seen double presage wars,
and discords, and seditions. From the
visions of drunkards and madmen one might,
doubtless, deduce innumerable const quences
by con jecture, which might seem to
be presages of future events. For
what person who aims at a mark
all day long will not sometimes hit
it 1 We sleep every night ; and
there are very few on which we
do not dream; can we wonder then
that what we dream sometimes comes to
pass ? What is so uncertain as
the cast of dice 1 and yet no
one plays dice often without at times
casting the point of Venus, and
sometimes even twice or thrice in
succession. Shall we, then, be so
absurd as to attribute such an event
to the impulse of Venus, rather than
to the doctrine of chances'? If then,
on ordinary occasions, we are not
bound to give credit to false
appearances, I do not see why sleep
should enjoy this special privilege, that
its false seemings should be honoured
as true realities. If it were an
institution of nature that men when
they sleep really did the things
which they dream about, it would be
necessary to bind all persons going
to bed both hand and foot, for
they would otherwise while dreaming
perpetrate more outrages than maniacs. Now
since we place no confi dence in
the visions of madmen, simply because
they are delusions, I do not see
why we should rely on those of
dreamers, which are often the wilder
of the two. Is it because madmen
do not think it worth while to
relate their visions to diviners, but
those who dream do [Once more I put
this question. If I feel inclined to
read or write anything, or to sing
or play on an instrument, or to
pursue the sciences of geometry, physics,
or dialectics, am I to wait for
information in these sciences from a
dream, or shall I have recourse to
study, without which none of those
things can be either done or
explained 1 Again, if I were to
wish to take a voyage, I should
never regulate my steering by my
dreams. For such conduct would bring
its own im mediate punishment. How,
then, can it be reasonable for an
invalid to apply for relief to an
interpreter of dreams rather than to
a physician? Can Esculapius or Serapis,
by a dream, best prescribe to us
the way to obtain a cure for
weak health 1 And cannot Neptune do
the same for a pilot in his art
? Or will Minerva give us medicine
without troubling the doctor? And still
will the Muses refuse to impart to
dreamers the art of writing, reading,
and the other sciences ? But if
the blessing of health were conveyed
to us in dreams, these other good
things would certainly be so too. But
unfortunately the science of medicine
cannot be learnt in dreams, and the
other arts are in a similar
predicament. And if that be the case,
then all the authority of dreams is
at an end. LX. But this is
only a superficial argument. Let us
now penetrate the heart of this
question. For either some divine energy
which takes care of us, gives us
presentiments in our dreams ; or
those who explain them do, by a
certain harmony and conjunction of nature
which they call a~u/j.Tra.Oeia (sympathy),
understand by means of dreams what is
suitable for everything, and what is
the con sequence of everything ; or,
lastly, neither of these things is
true ; but there is a constant
system of observation of long standing,
by which it had been remarked, that
after certain dreams certain events usually
follow. The first thing then for us
to understand is, that there is no
divine energy which inspires dreams; and
this being granted, you must also
grant that no visions of dreamers
proceed from the agency of the Gods.
For the Gods have for our own
sake given us intellect sufficiently to
provide for our future welfare. How
few people then attend to dreams, or
under stand them, or remember them !
How many, on the other hand, despise
them, and think any superstitious
observation of them a sign of a
weak and imbecile mind! Why then
should God take the trouble to
consult the interest of this man, or
to warn that one by dreams, when
ho knows that they not only do
not think them worth attending to,
but they do not even condescend to
remember them. For a God cannot be
ignorant of the sentiments of every
man, and it is unworthy of a
God to do anything in vain, or
without a cause ; nay, that would
be unworthy of even a wise man. If,
therefore, dreams are for the most
part disregarded, or despised, either God
is ignorant of that being the fact,
or employs the intimation by dreams
in vain. Neither of these suppositions
can properly apply to God, and
therefore it must be confessed, that
God gives men no inti mations by
means of dream. Again, let me ask
you, if God gives us visions of
a prophetic nature, in order to
apprise us of future events, should
we not rather expect them when we
are awake than when we are asleep
1 For, whether it be some external
and adventitious impulse which affects the
minds of those who are asleep, or
whether those minds are affected
voluntarily by tiieir own agency, or
whether there is any other cause why
we seem to see and hear or do
anything during sleep, the same impulses
might surely operate on them when
awake. And if for our sakes the
Gods effect this during sleep, they
might do it for us while awake.
Especially as Chrysippus, wishing to
refute the Acade micians, makes this remark
— That those inspirations, visions, and
presentiments which occur to us awake,
are much more distinct and certain
than those which present themselves to
dreamers. It would, therefore, have been
more worthy of the divine beneficence
while exerting its care for us,
rather to favour us with clear
visions when we are awake, than with
the perplexed phantasms of dreams; and
since that is not done, we must
believe that these phantasms are not
divine at all. Moreover, what is the
use of such round-about and circuitous
proceedings, as for it to be
necessary to employ interpreters of dreams,
rather than to proceed by a straight
forward course 1 If God were indeed
anxious for oxir interests, he would
say, " Do this — do not that;"
and he would give such intimations to
a waking rather than to a sleeping
man; but as it is, who would
venture to assert that all dreams are
true ? Ennius says, that some dreams
are prophetical; he adds also, that
it does not follow that all are
so. Now whence arises this distinction
between true dreams and false ones 1
and if true dreams come from God,
from whence come the false ones ?
For if these last do like wise
come from God, what can be more
inconsistent than God ? And what can
be more ignorant conduct than to
excite the minds of mortals by false and
deceitful visions ? But f only true
dreams come from God, and the false
and groundless ones are merely human
delusions, what authority have you for
making such a distinction as is
implied in saying, God did this, and
nature that 1 Why not rather say
either that all dreams come from God
(which you deny), or all from nature?
which necessarily follows, since you deny
that they proceed from God. By
nature I mean that essential activity
of the mind owing to which it
never stands still, and is never free
from some agitation or motion or
other. When in consequence of the
weakness of the body it loses the
use of both the limbs and the
senses, it is still affected by various
and uncertain visions aris ing (as
Aristotle observes) from the relics of
the several affairs which employed our
thoughts and labours during our waking
hours; owing to the disturbances of
which, marvellous varieties of dreams and
visions at times arise. If some of
these are false, and others true, I
shall be glad to be informed by
what definite art we are to
distinguish the true from the false.
If there be no such art, why do
we consult the inter preters 1 If
there be any such art, then I
wish to know what it is. But they
will hesitate. For it is a matter
of ques tion, which is more probable;
that the supreme and im mortal Gods,
who excel in every kind of
superiority, employ themselves in visiting
all night long not merely the beds,
but the very pallets of men, and
as soon as they find any person
fairly snoring, entertain his imagination
with per plexed dreams and obscure
visions, which sends him in great
alarm as soon as daylight dawns to
consult the seer and interpreter: or
whether these dreams are the result
of natural causes, and the everactive,
everworking mind having seen things when
awake, seems to see them again when
asleep. Which is the more philosophical
course, to interpret these phenomena
according to the superstitions of old
women, or by natural explanations 1
So that even if a true interpretation
of dreams could exist, it is
certainly not in the possession of
those who profess it, for these
people are the lowest and most
ignorant of the people. And it is
not without reason that your friends
the Stoics affirm, that no one can
ever be a diviner but a wise
man. Chrysippus, indeed, defines divination
in these words : " It is,"
says he, " a power of
apprehending, discerning, and ex plaining
those signs which are given by the
Gods to men as portents;" and he
adds, that the proper office of a
sooth sayer is to know beforehand the
disposition of the Gods hi regard to
men, and to declare what intimations
they give, and by what means these
prodigies are to be propitiated or
averted. The interpretation of dreams he
also defines in this manner. "
It is," says he, " a power of
beholding and revealing those things which
the Gods signify to men in
dreams." Well, then, does this require
but a moderate degree of wisdom, or
rather consummate sagacity, and perfect
erudition ?and a man so endowed we
have never known. Consider, therefore, whether even
if I were to concede to you
that there is such a thing as
divination which I never will concedeit
would still not follow that a diviner
could be found to exercise it truly.
But what strange ideas must the Gods
have, if the intimations which they
give us in dreams are such as
we cannot understand of ourselves, and
such, too, as we cannot find
interpreters of: acting almost wisely
as the Carthaginians and Spaniards would
do if they were to harangue in
their native languages in our Roman
senate without an interpreter. But what
is the object of these enigmas and
obscurities of dreamers 1 For the
Gods ought to wish us to under
stand those things which they reveal
to us for our own sake and
benefit. What! is no poet, no natural
philoso pher obscure ? Euphorion certainly
is obscure enough, but Homer is not;
which, then, is the best ? Heraclitus
is very puzzling, Democritus is very
lucid; are they to be compared ?
You, for my own sake, give me
advice that I do not understand !
What is it, then, that you are
advising me to do ? Suppose a
medical man were to prescribe to a
sick man an earth-born, grass-walking,
housecarrying, unsanguineous animal, in stead
of simply saying, a snail; so Amphion
in Pacuvius speaks of — A four-footed
and slow going beast, Rugged, debased, and
harsh ; his head is short, His
neck is serpentine, his aspect stern
; He has no blood, but is an
animal Inanimate, not voiceless. When these
obscure verses had been duly recited,
the Greeks cried out, We do not
understand you unless you tell us
plainly what animal you mean ? I
mean, said Pacuvius, I mean in one
word, a tortoise. Could you not,
then, said the questioner, have told
us so at first? We read in that
volume which Chrysippus has written
concerning dreams, that some one having
dreamed in the night that he saw
an egg hanging on his bed-post, went
to consult the interpreter about it.
The interpreter informed him that the
dream signified that a sum of money
was con cealed under his bed. He
dug, and found a little gold sur
rounded by a heap of silver. Upon
this, he sent the inter preter as
much of the silver as he thought
a fair reward. Then said the
interpreter, " What! none of the
yolk 1 " For that part of
the egg appeared to have intimated
gold, while the rest meant silver.
But did no one else ever dream of
eggs ; if others have, too, then
why is this man the only one
who ever found a treasure in
consequence 1 How many poor people are
there worthy of the help of the
Gods, to whom they vouchsafe no such
fortunate intimations! And, again, why did
this indi vidual receive such an
obscure sign of a treasure o,s could
be afforded by the resemblance of an
egg, instead of being distinctly commanded
at once to look for a treasure,
in the same way as Simonides was
expressly forbidden to put to sea? Therefore,
obscure dreams are not at all
consistent with the majesty of the
Gods. But let us now treat of
those dreams which you term clear and
definite, such as that of the
Arcadian whoso friend was killed by
the inn-keeper at Megara, or that of
Simonides, who was warned not to set
sail by an apparition of a man
whose interment he had kindly
superintended. The history of Alexander
presents us with another instance of
this kind, which I wonder you did
not cite, who, after his friend
Ptolemy had been wounded in battle by
a poisoned arrow, and when he
appeared to be dying of the wound,
and was in great agony, fell asleep
while sitting by his bed, and in
his slumber is said to have seen
a vision of the serpent which his
mother Olympias cherished, bringing a root
in his mouth, and telling him that
it grew in a spot very near at
hand, and that it possessed such
medicinal virtue, that it would easily
cure Ptolemy if applied to his wound.
On awaking, Alexander related his dream,
and messengers were sent to look for
that plant, which, when it was found,
not only cured Ptolemy, but likewise
several other soldiers, who during the
engagement had been wounded by similar
arrows. You have related a number of
dreams of this nature bor rowed from
history. For instance, that of the
mother of Phalaris — that of King Cyrus —
that of the mother of Dionysius — that of
Hamilcar the Carthaginian — that of Hannibal —
that of Publius Decius — that notorious one
of the president — that of Caius
Gracchus— and the recent one of Ceecilia,
the daughter of Metellus Balearicus. But
the main part of these dreams
happened to strangers, and on that
account we know little of their
particular circumstances : —some of them
may be mere fictions; for who are
they vouched by? As to those dreams
that have occurred in our personal
experience, what can we say about
them,about your dream respecting myself and
my horse being submerged close to the
bank; or mine, that Marius with the
laurelled fasces ordered me to be
conducted into his monument? All these
dreams, my brother, are of the same
character, and, by the immortal Gods,
let us not make so poor a use
of our eason, as to subject it
to our superstition and delusions. For
what do you suppose the Marius was
that appeared to me ? His ghost
or image, I suppose, as Demo- critus
would call it. Whence, then, did his
image come from 1 For images,
according to him, flow from solid
bodies and palpable forms. What body
then of Marius was in exist ence
? It came, he would say, from
that body which had existed ; for
all things are full of images. It
was, then, the image of Marius that
haunted me on the Atinian territory,
for no forms can be imagined except
by the impulsion of images. What are
we to think then 1 Are those
images so obedient to our word that
they come before us at our bidding
as soon as we wish them ; and
even images of things which have no
reality whatsoever? For what form is
there so preposterous and absurd that
the mind cannot form to itself a
picture of it ? so much so
indeed that we can bring before our
minds even things which we have never
seen; as, for instance, the situations
of towns and the figures of men.
When, then, I dream of the walls of
Babylon, or the counte nance of
Homer, is it because some physical
image of them strikes my mind1? All
things, then, which we desie to be
so, can be known to us, for
there is nothing of which we cannot
think. Therefore, no images steal in
upon the mind of the sleeper from
without; nor indeed are such external
images flowing about at all; and I
never knew any one who talked
nonsense with greater authority. The
energy and nature of human minds is
so vigorous that they go on exerting
themselves while awake by no adven
titious impulse, but by a motion of
their own, with a most incredible
celerity. When these minds are duly
supported by the physical organs and
senses of the body, they see and
conceive and discern all things with
precision and certainty. But when this
support is withdrawn, and the mind is
deserted by the languor of the body,
then it is put in motion by its
own force. Therefore, forms and actions
belong to it; and many things appear
to be heard by, and said to it.
Then, when the mind is in a
weak and relaxed state, many things
present themselves to it commingled and varied
in every kind of manner ; and
most especially do the reminiscences of-
those things flit before the mind and
move about, which excited its interest
or employed its active energies when
awake. As, for instance, Marius at
that time was often pre sent to
my mind while I recollected with what
magnanimity and constancy he had borne
his sad misfortunes ; and this, I
imagine, is the reason why I dreamed
of him. You also were thinking of me
with great anxiety, when suddenly I
appeared to you to have just escaped
out of the river. For there were
in both of our minds the traces
of our waking thoughts. In both
instances, however, there were certain
additional circumstances; as in mine, the
visit to the temple of Marius; and
in yours, the reappearance of the
horse on which I was riding, and
who sunk at the same time with
myself. Do you think then, you will
say, that any old woman would be
so doting as to believe dreams if
they did not sometimes and at random
turn out true ? A dragon appeared
to address Alexander. Doubtless this might
be true, or it might be false;
but whichever the case may have been,
there is surely nothing very wonderful
about it; for he did not hear
this serpent speakinglie onlydreamed that
he heard him; and to make the
story more remarkable, the serpent appeared
with a branch in its mouth, and
yet spoke: still nothing is difficult
or impossible in a dream. I would
ask, however, how it was that
Alexander had this one dream so
remarkable and so certain, though he
had no such dream on any other
occasion, nor have other people seen
many such. For myself, excepting that
about Marius, I do not recollect
having experienced one worth speaking of.
I must, therefore, have wasted to no
purpose as many nights, as I have
slept during my long life. Now,
indeed, on account of the intermission
of my forensic labours, I have
diminished my evening studies, and added
some noonday slumbers, in which I never
indulged before. But yet, though I
sleep so much more than formerly, I
am never visited with a prophetic
dream, which I should con sider a
singular favour now, though engaged in
such weighty affairs. Nor do I seem
ever to experience any more important
dream than when I see the magistrates
in the forum, and the senate in
the senatehouse. In truth, (and this
is the second branch of your
division,) what connexion and conjunction
of nature (which, as I have said,
the Greeks term avp.ira.6euL,) is there
of such a character, that a treasure
is to be understood by an egg?
Physicians, indeed, know of certain facts
by which they perceive the approaches
and increase of diseases; there are
also some indications of a return to
health; so that the very fact whether
we have plenty to eat or whether
we are dying of hunger, is said
to be indicated by some kinds of
dreamn. But by what rational connexion
are treasures, and honours, and victories,
and things of that kind, joined to dreams'?
They tell us, that a certain
individual dreaming of sexual coition, ejected
calculi: I grant that sympathy may
have had something to do in a
case like this,because, in sleeping, his
imagination might have been so affected
with sensual images, that such an
emission took place by the force of
nature, rather than by supernatural
phantasms. But what sympathy could have
presented to Simonides the image of
the person, who in a dream warned him
not to put to sea 1 Or what
sympathy could have occasioned the vision
of Alcibiades, who, a little before
his death, is said to have dreamed
that ie was arrayed in the
robes of Timandra his mistress? What
relation could this have with the
event which afterwards happened to him;
when, being slain and cast naked into
the street and abandoned by all the
world, his mistress took off her
mantle and covered his dead body with
it? Was this then fixed as a
piece of futurity, and had it natural
causes, or was it mere accident that
the dream was seen, and came true ?
Do not the conjectures of the
interpreters of dreams rather indicate the
subtlety of their own talents, than
any natural sympathy and correspondence in
the nature of things? A runner, who
intended to run in the Olympic games,
dreamed during the night that he was
being driven in a chariot drawn by
four horses. In the morning he
applied to an interpreter. He replied
to him, You will win : that is
what is intimated by the strength and
swiftness of the horses. He then
applied to Antiphon, who said to him,
By your dream it appears that you
must lose the race ; for do you
not see that four reached the goal
before you ? Here is another story
respecting an athlete; and the books
of Chrysippus and Antipater are full
of such stories. How ever, I will
return to the runner. He then went
to a sooth sayer and informed him
that he had just dreamed that he
was changed into an eagle. You have
won your race (said the seer), for
this eagle is the swiftest of all
birds. He also went to Antiphon, who
said to him, You will certainly be
conquered; for the eagle chases and
drives other birds which fly before
it, and consequently is always behind
the rest. A certain matron, who was
very anxious to have children, and
who doubted whether she was pregnant
or not, dreamed one night that her
womb was sealed up; she, therefore,
asked a soothsayer whether her dream
signified her pregnancy ? He said, No
; for the sealing implied, that there
could be no con ception. But another
whom she consulted said, that her
dream plainly proved her pregnancy; for
vessels that have nothing in them are
never sealed at all. How delusive,
then, is this conjectural art of
those interpreters ! Or do these
stories that I have recited, and a
host of similar ones which the Stoics
have collected, prove anything else but
the subtlety of men, who, from
certain imaginary analogies of things,
arrive at all sorts of opposite conclusions?
Physicians derive certain indications from
the veins and breath of a sick man;
and have many other symptoms by which
they judge of the future. So, when
pilots see the cuttlefish leaping, and
the dolphins betaking themselves to the
harbours, they recognise these indications
as sure signs of an approaching
storm. Such signs may be easily
explained by reference to the laws of
nature; but those which I was
mentioning just now cannot possibly be
accounted for in the same mariner. But
the defenders of divination reply, (and
this is the last objection I shall
answer,) that a long continuance of
observations has created an art. Can,
then, dreams be expe rimented on? And
if so, how1? for the varieties of
them are innumerable. Nothing can be
imagined so preposterous, so incredible, or
so monstrous, as to be beyond our
power of dreaming. And by what method
can this infinite variety bo either
fixed in memory or analysed by
reason? Astrologers have observed the
motion of the planets, for a certain
order and regularity in the course of
these stars has been discovered which
was no* suspected. But tell me, what
order or regularity can be discerned
in dreams 1 How can true dreams
be distinguished from false ones ;
since the same dreams are followed by
different results to different people, and,
indeed, are not always attended by
the same events in the case of
the same persons? For this reason I
am extremely surprised that, though people
have wit enough to give no credit
to a notorious liar, even when he
speaks the trilth, they still, if one
single dream has turned out true, do
not so much distrust one single case
because of the numbers of instances
in which they have been found false,
as think multitudes of dreams estab
lished because of the ascertained truth
of this one. If, then, dreams do
not come from God, and if there
are , no objects in nature with
which they have a necessary sym pathy
and connexion, and if it is
impossible by experiments and observations
to arrive at a sure interpretation of
them, the consequence is, that dreams
are not entitled to any credit or
respect whatever. And this I say
with the greater confidence, since those very
persons who experience these dreams cannot
by any means understand them, and
those persons who pretend to interpret
them, do so by conjecture, not by
demonstration. And in the infinite series
of ages, chance has produced many
more extraordinary results in every kind
of thing than it has in dreams;
nor can anything be more uncertain
than that con jectural interpretation of diviners, which
admits not only of several, but often of absolutely contrary senses. Let us
reject, therefore, this divination of dreams, as well as all other kinds.
For,to speak truly, that superstition has
extended itself through all nation, and
has oppressed the intellectual energies of
almost all men, and has betrayed them
into endless imbecilities: as I argued
in my treatise on the Nature of
the Gods, and as I have especially
laboured to prove in this dialogue on
Divination. For I thought that I
should be doing an immense benefit
both to myself and to my countrymen
if I could entirely eradicate all
those superstitious errors. Nor is there
any fear that true religion can be
endangered by the demolition of this
superstition ; for it is the part
of a wise man to uphold the religious
institutions of our ancestors, by the
maintenance of their rites and ceremonies.
And the beauty of the world and
the order of all celestial things compels us to confess that there isan
excellent and eternal nature which deserves to be worshipped and admired by all
mankind. Wherefore, as this religion whichis united with the knowledge of
nature is to be propagated, so also are all the roots of superstition to be
destroyed. For it presses upon, and pursues, and persecutes you wherever you
turn yourself,whether you consult a diviner, or
have heard an omen, or have im
molated a victim, or beheld a flight
of birds; whether you have seen a
Chaldean or a soothsayer; if it
lightens or thunders, or if anything
is struck by lightning; if any kind
of prodigy occurs; some of which events must be frequently coming
to pass; so that you can never rest with a tranquil mind. Sleep seems to be the
universal refuge from.all labours and anxieties. And
yet even from this many cares and
perturba tions spring forth which, indeed,
would of themselves have no influence,
and would rather be despised, if
certain philosophers had not taken dreams
under their special patronage; and those,
too, not philosophersof the lowest order, but men of
vast learning, and remai'kable penetration into the consequences and inconsistencies
of things, men who are looked upon as absolute and perfect masters of all
science. Nayif Carneades had not resisted their
extravagances, I hardly know whether they
would not by this time have been
reckoned the only philosophers worthy of the name. And
it is with those men that nearly all our controversy
and dispute re specting divination is
mainly waged; not because we think meanly of their
wisdom, but because they appear to defend their theories with the greatest
acuteness and cautiousness. But,as it is the peculiar property of
the Academy to inter pose no personal
judgment of its own, but to admit
those opinions which appear most probable,
to compare arguments, and to set forth all that may be reasonably stated
in favour of each proposition; and so, without putting forth
any autthority of its own, to leave the judgment of the hearers
free and unprejudiced; we will retain this custom, which has been handed down
from Socrates; and this method, dear brother Quintus, if you please, we will
adopt as often as possible in all our dialogues together.Indeed, said he,
nothing can be more agreeable to me. Having held these conversations we went
away. Alessandro Chiappelli. Keyword: academici, Alcibiade, Gli Scipione, la
dialettica romana, storia dela filosofia romana, Cicerone, ambassiata,
Carneade, Kant, neo-Kantianismo, external world, internal world, the reality of
the external world, iconography, detailed ecphrasis of “La scuola di Atene” –
dialettica ateniense, dialettica romana. Grice: To Athens, via Rome.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Chiappelli” – The Swimming-Pool Library
No comments:
Post a Comment