Grice ed Eccelo: la ragione conversazionale e la setta di Lucania -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean. It is thought that fragments
of a text attributed to POLO di Lucania may have been written by Eccelo. Grice: “As if I cared.”
Grice ed Eccecrate: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. Grice: “Must say Giamblico has a broad criterion in mind: if
someone speaks Greeks and comes from Crotona or Taranto, and KNOWS Pythagoras’s
Theorem, he is a Pythagorean. Eccecrate.
Grice ed Eco: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della rosa segnata -- il nome del nome – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Alessandria). Filosofo italiano. Grice: “Eco
thought that his “Guglielmo da Bascavilla” was a clever composite of Holmes,
who deciphered the enigma of the Baskervilles, and William Occam – and has his
tutee claim that he died of the black plague – but Gal has now discovered he
did not!” -- Eco philosophised at the oldest varsity, BolognaGrice: “Of course,
‘varsity’ is over-rated, as I’m sure Cicero would agree!” -- Grice: “I would
not call Eco a philosopher, since his dissertation is on aesthetics in Aquinas!
Plus, he wrote a novel!” -- scuola bolognese-- possibly, after Speranza, one of
the most Griceian of Italian philosophers (Only Speranza calls himself an
Oxonian, rather!“Surely alma mater trumps all!”). Figlio di un impiegato nelle Ferrovie, consegue la
maturità al liceo classico Plana d’Alessandria. Tra i suoi compagni di classe,
vi e il fisarmonicista Coscia, con il quale scrive spettacoli di rivista. E
impegnato nella GIAC (l'allora ramo dell'Azione Cattolica) e chiamato tra i
responsabili nazionali del movimento studentesco dell'AC, progenitore
dell'attuale MSAC. Abbandona l'incarico -- così come fanno Carretto e Rossi -- in
polemica con Gedda. Durante i suoi studi universitari su AQUINO, smise di credere
in Dio e lascia definitivamente la chiesa cattolica. In una nota ironica, in
seguito commenta. Si può dire che lui AQUINO (si veda) mi miracolosamente cura
dalla fede». Laureatosi in filosofia a TORINO (agli esami riportò
sempre 30/30, anche con lode, tranne quattro casi: FILOSOFIA teoretica e
letteratura latina, in cui ottenne 29/30, e storia della letteratura italiana e
pedagogia, entrambi superati con 27/30)
con relatore PAREYSON e tesi sull'estetica di AQUINO (controrelatore
Augusto GUZZO), comincia a interessarsi di filosofia e cultura medievale, campo
d'indagine mai più abbandonato (vedi “Dall'albero al labirinto”), anche se
successivamente si dedica allo studio semiotico della cultura popolare
contemporanea e all'indagine critica sullo sperimentalismo letterario e
artistico. Pubblica “Il problema estetico in AQUINO”. Partecipa e vince un
concorso della Rai per l'assunzione di telecronisti e nuovi funzionari. Con Eco
vi entrarono anche Colombo e Vattimo. Nel concorso successivo entrano Milano,
Fabiani, Guglielmi, e molti altri. I vincitori dei primi concorsi sono in
seguito etichettati come i "corsari" perché seguirono un corso di
formazione diretto da Gennarini e avrebbero dovuto, secondo le intenzioni del
dirigente Guala, svecchiare i programmi. Con altri ingressi successivi, come
quelli di Serra, Garroni e Silori, questi filosofi innovarono davvero
l'ambiente culturale, ancora molto legato a personalità provenienti dall'EIAR,
venendo in seguito considerati come i veri promotori della centralità della RAI
nel sistema culturale italiano. Dall'esperienza lavorativa in RAI, incluse
amicizie con membri del Gruppo 63, E. trasse spunto per molti scritti, tra cui
il celebre articolo Fenomenologia di Bongiorno. Codirettore editoriale
della casa editrice Bompiani. Pubblica il saggio “Opera aperta” che, con
sorpresa dello stesso autore, ha notevole risonanza e da le basi teoriche al
Gruppo 63, movimento d'avanguardia che suscita interesse negl’ambienti
critico-letterari anche per le polemiche che desta criticando fortemente autori
all'epoca già consacrati dalla fama come Cassola, Giorgio Bassani e Pratolini,
ironicamente definiti Liale, con riferimento a Liala, autrice di romanzi
rosa. Insegna a Torino, Milano, Firenze e Bologna -- dove ottene la
cattedra di Semiotica. A Bologna è stato fra i fondatori del primo corso di
laurea in DAMS, poi è stato direttore dell'ISTITUTO DI COMMUNICAZIONE e
spettacolo del DAMS, e in seguito inizia al corso di laurea in Scienze della
comunicazione. Infine è divenuto Presidente della SCUOLA SUPERIORE (‘high
school’ – H. P. Grice) di Studi Umanistici, che coordina l'attività dei
dottorati bolognesi del settore umanistico, e dove ha ideato il Master in
Editoria Cartacea e Digitale. Insegna alla New York University, Northwestern
University, Columbia, Yale, Harvard (Norton lectures sponsored by the
Department of Romance Languages), University of California-San Diego,
Cambridge, Oxford – Weidenfeld lectures at the female-only St. Anne’s, São
Paulo e Rio de Janeiro, La Plata e Buenos Aires, Collège – formerly ISTITUTO --
de France, École normale supérieure (Parigi). S’interessa all'influenza dei mass media nella cultura
di massa, su cui pubblica saggi in diversi giornali e riviste, poi in gran
parte confluiti in Diario minimo e Apocalittici e integrati. Apocalittici e
integrati (che ebbe una nuova edizione). Analizza con taglio sociologico le
comunicazioni di massa. Il tema e già stato affrontato in Diario minimo, che
include tra gli altri il breve articolo Fenomenologia di Mike Bongiorno.
Sullo stesso tema, svolge a New York il seminario “Per una guerriglia semiologica”,
in seguito pubblicato ne Il costume di casa e frequentemente citato nelle
discussioni sulla controcultura e la resistenza al potere dei mass media.
Significativa e anche la sua attenzione per le correlazioni tra dittatura e
cultura di massa ne “Il FASCISMO eterno”, capitolo del saggio Cinque scritti
morali, dove individua le caratteristiche, ricorrenti nel tempo, del cosiddetto
"FASCISMO eterno", o "Ur-FASCISMO": il culto della
tradizione, il rifiuto del modernismo, il culto dell'azione per l'azione, il
disaccordo come tradimento, la paura delle differenze, l'appello alle classi
medie frustrate, l'ossessione del complotto, il machismo, il "populismo
qualitativo Tv e Internet" e altre ancora. Da esse e dalle loro
combinazioni, secondo E., è possibile anche "smascherare" le forme di
FASCISMO che si riproducono da sempre in ogni parte del mondo – “non solo a
Roma!”. In un'intervista mise in
evidenza la sua visione rispetto a, della quale E. si definiva un "utente
compulsivo", e al mondo dell'open source. Pubblica un saggio di teoria
semiotica, “La struttura assente”, cui seguirono il “Trattato di semiotica
generale” e i saggi per l'Enciclopedia Einaudi poi riuniti in Semiotica e
filosofia del linguaggio. Fonda VersusQuaderni di studi semiotici. È
anche stato segretario, vicepresidente e presidente onorario della IASS/AIS
IAssociation for Semiotic Studies. È stato invitato a tenere le conferenze Tanner
(Cambridge), Norton (Harvard), Goggio (Toronto), Weidenfeld lectures on
comparative literature and translation, sponsored by the female-only college
St. Anne’s (Oxford,) e Ellmann (Università Emory). Collabora sin dalla sua fondazione alL'Espresso, sul
quale tenne in ultima pagina la rubrica “La bustina di minerva” (nella quale,
tra l'altro, dichiara di aver contribuito personalmente alla propria voce su ),
ai giornali Il Giorno, La Stampa, Corriere della Sera, la Repubblica, il
manifesto e a innumerevoli riviste specializzate, tra cui “Semiotica”, fondata da
Sebeok), Poetics Today, Degrès, Structuralist Review, Text, Communications
(rivista parigina del EHESS), Problemi dell'informazione, Word & Images, o
riviste letterarie e di dibattito culturale quali Quindici, Il Verri (fondata
da Anceschi), Alfabeta, Il cavallo di Troia, ecc. Collabora alla collana
"Fare l'Europa" diretta da Goff con lo studio “La ricerca della
lingua perfetta in Italia” in cui si
espresse a favore dell'utilizzo dell'esperanto. Traduce gli Esercizi di stile
di Queneau e Sylvie di Nerval (entrambi presso Einaudi) e introduce opere di
numerosi scrittori e di artisti. Collabora anche con i musicisti Berio e
Bussotti. I suoi dibattiti, spesso dal tono divertito, con Nanni,
Calabrese, Fabbri, Volli, Leonetti, Balestrini, Almansi, Oliva o Corti, tanto
per nominarne alcuni, hanno aggiunto contributi non scritti alla storia degli
intellettuali italiani, soprattutto quando sfioravano argomenti non consueti (o
almeno non ritenuti tali prima dell'intervento di E.), come la figura di James
Bond, l'enigmistica, la fisiognomica, la serialità televisiva, il romanzo
d'appendice, il fumetto, il labirinto, la menzogna, le società segrete o più
seriamente gli annosi concetti di abduzione, di canone e di classico. Grande
appassionato del fumetto Dylan Dog, a E. è stato fatto tributo sul numero 136
attraverso il personaggio Humbert Coe, che ha affiancato l'indagatore
dell'incubo in un'indagine sull'origine delle lingue del mondo. È stato inoltre
amico del pittore e autore di fumetti Pazienza, suo allievo al DAMS di Bologna,
e scrive la prefazione a libri di Pratt, Schulz, Feiffer e Peynet. Scrive la
presentazione di "Cuore" a fumetti, di Bonzi e Denis, pubblicata su "Linus".
Il suo romanzo, Il nome della rosa, riscontra un grande successo sia presso la
critica sia presso il pubblico, tanto da divenire un best seller venduto in
trenta milioni di copie. Il nome della rosa è stato anche tra i finalisti del
prestigioso Edgar Award e ha vinto il Premio Strega. Dal lavoro e tratto anche
un film con Connery. Pubblica il romanzo, Il pendolo di Foucault, satira
dell'interpretazione paranoica dei fatti veri o leggendari della storia e delle
sindromi del complotto. Questa critica dell'interpretazione incontrollata viene
ripresa in opere teoriche sulla ricezione (cfr. I limiti dell'interpretazione).
Altri romanzi sono L'isola del giorno prima, Baudolino, La misteriosa fiamma della regina
Loana, Il cimitero di Praga e Numero zero, tutti editi da Bompiani. E stata
pubblicata una versione "riveduta e corretta" di Il nome della rosa,
con una nota finale dello stesso E. che, mantenendo stile e struttura
narrativa, è intervenuto a eliminare ripetizioni ed errori, a modificare
l'impianto delle CITAZIONE LATINE e la descrizione della faccia del
bibliotecario per togliere un riferimento neo-gotico. Molte opere sono
dedicate alle teorie della narrazione e della letteratura: Il superuomo di
massa, Lector in fabula, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Sulla
letteratura, Dire quasi la stessa cosa. È stato inoltre precursore e
divulgatore dell'applicazione della tecnologia alla scrittura. In
contemporanea alla nomina di curatore ospite del Louvre, dove organizza una
serie di eventi e manifestazioni culturali, usce per Bompiani Vertigine della
lista. Nel Bompiani pubblica una
raccolta dal titolo Costruire il nemico e altri scritti occasionali, che
raccoglie saggi che spaziano nei vari interessi dell'autore, come quello per la
narratologia e il feuilleton. Il primo saggio riprende temi già presenti ne Il
cimitero di Praga. Muore nella sua casa di Milano a causa di un tumore del
pancreas che lo aveva colpito due anni prima. I funerali laici si sono svolti nel Castello Sforzesco di Milano, dove
migliaia di persone si sono recate per l'ultimo saluto. Sono state eseguite due
composizioni alla viola da gamba e al clavicembalo: Couplets de folies (Les
folies d'Espagne) dalla Suite n. 1 in re maggiore dai Pièces de viole, Livre II
di Marais e La Folia dalla Sonata per violino e basso continuo in re minore, di
Corelli. Nel proprio testamento E. chiede ai suoi familiari di non autorizzare
né promuovere, per i dieci anni successivi alla sua morte alcun seminario o
conferenza su di lui. Il corpo di E. è stato infine cremato. La moglie,
rifiutando la proposta di tumularne le ceneri nel Civico Mausoleo Garbin, ex
edicola privata del Cimitero Monumentale di Milano ora provvista di piccole
cellette destinate a ceneri o resti ossei di personalità artistiche illustri,
ne ha preferito la conservazione privata, con il progetto di costruire
un'edicola di famiglia nel medesimo cimitero. Nei suoi romanzi, E. racconta
storie realmente accadute o leggende che hanno come protagonisti personaggi
storici o inventati. Inserisce nelle sue opere accesi dibattiti filosofici
sull'esistenza del vuoto, di Dio o sulla natura dell'universo. Attratto da
temi piuttosto misteriosi e oscuri (i cavalieri Templari, il sacro Graal, la
sacra Sindone ecc.), nei suoi romanzi gli scienziati e gli uomini che hanno
fatto la storia sono spesso trattati con indifferenza dai
contemporanei. L'umorismo è l'arma letteraria preferita dallo scrittore di
Alessandria, che inserisce innumerevoli citazioni e collegamenti a opere di
vario genere, conosciute quasi esclusivamente da filologi e bibliofili. Ciò
rende romanzi come Il nome della rosa o L'isola del giorno prima un turbinio
variopinto di nozioni di carattere storico, FILOSOFICO, artistico e
matematico. Centrale ne Il nome della rosa è la questione del riso,
post-modernisticamente declinata. Ne Il pendolo di Foucault Eco affronta
temi come la ricerca del sacro Graal e la storia dei cavalieri Templari,
facendo numerosi cenni ai misteri dell'età antica e moderna, rivisitati in
chiave parodistica. Ne L'isola del giorno prima l'umanità intera è
simboleggiata dal naufrago Roberto de la Grive, che cerca un'isola al di fuori
del tempo e dello spazio. In Baudolino dà vita ad un picaresco
personaggio medioevale tutto dedito alla ricerca di un paradiso terrestre (il
regno leggendario di Prete Giovanni). Ne La misteriosa fiamma della
regina Loana riflette sulla forza e sull'essenza stessa del ricordo, rivolto,
in questo caso, ad episodi del XX secolo. Il cimitero di Praga è
incentrato sulla natura del complotto e, in particolar modo, sulla storia
'europea' del popolo ebraico. Il suo ultimo romanzo, Numero zero,
riprendendo temi da sempre cari all'autore (il falso, la costruzione del
complotto e delle notizie) si sofferma sulla storia italiana recente, narrando
fatti realmente accaduti, ma riletti attraverso una chiave
complottistica. E tra i firmatari della lettera aperta a L'Espresso sul
caso Pinelli e successivamente della autodenuncia di solidarietà a Lotta
Continua, in cui una cinquantina di firmatari esprimevano solidarietà verso
alcuni militanti e direttori responsabili del giornale, inquisiti per
istigazione a delinquere. I firmatari si autodenunciavano alla magistratura
dicendo di condividere il contenuto dell'articolo. Peraltro le severe critiche
di E. al terrorismo e ai vari progetti di lotta armata sono contenute in una
serie di articoli scritti sul settimanale L'Espresso e su Repubblica, specie ai
tempi del caso Moro -- articoli poi ripubblicati nel volume Sette anni di
desiderio. In effetti l'arma che ha caratterizzato l'impegno politico di E. è
diventata l'analisi critica dei discorsi politici e delle comunicazioni di
massa. Questo impegno è sintetizzato nella metafora della guerriglia
semiologica dove si sostiene che non è tanto importante cambiare il contenuto
dei messaggi alla fonte ma cercare di animare la loro analisi là dove essi
arrivano (la formula era: non serve occupare la televisione, bisogna occupare
una sedia davanti a ogni televisore. In questo senso la guerriglia semiologica
è una forma di critica sociale attraverso l'educazione alla ricezione. Partecipa
alle attività dell'associazione Libertà e Giustizia, di cui è uno dei fondatori
e garanti più noti, partecipando attivamente tramite le sue iniziative al
dibattito politico-culturale italiano. Il suo libro A passo di gambero contiene
le critiche a quello che lui definisce populismo berlusconiano, alla politica
di Bush, al cosiddetto scontro tra etnie e religioni. Nelle settimane delle
rivolte arabe, durante una conferenza stampa registrata alla Fiera del libro di
Gerusalemme, scatena una polemica politica la sua risposta a un giornalista
italiano che gli domanda se condivida il paragone fra Berlusconi e Mubarak, avanzato
da alcuni. Il paragone potrebbe essere fatto con HITLER. Anche lui giunse al
potere con libere elezioni". Lo stesso E., dalle colonne de l'Espresso,
smente tale dichiarazione chiarendo le circostanze della sua risposta. E. fa
parte dell'associazione Aspen Institute Italia. Cavaliere di gran croce
dell'Ordine al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinaria
Cavaliere di gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana — Roma,
9 Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinariaMedaglia d'oro ai benemeriti della cultura e dell'arte — Roma. Onorificenze
straniere Commendatore dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (Francia)nastrino
per uniforme ordinariaCommendatore dell'Ordine delle Arti e delle Lettere
(Francia), Cavaliere dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften und Künste
(Repubblica Federale di Germania)nastrino per uniforme ordinariaCavaliere
dell'Ordine pour le Mérite für Wissenschaften und Künste (Repubblica Federale
di Germania), Premio Principe delle Asturie per la comunicazione e l'umanistica
(Spagna)nastrino per uniforme ordinariaPremio Principe delle Asturie per la
comunicazione e l'umanistica (Spagna), Ufficiale dell'Ordine della Legion
d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinariaUfficiale dell'Ordine della Legion
d'Onore (Francia), Gran croce al merito con placca dell'Ordine al merito della
Repubblica Federale di Germanianastrino per uniforme ordinariaGran croce al
merito con placca dell'Ordine al merito della Repubblica Federale di Germania, Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia) nastrino per uniforme ordinaria Commendatore
dell'Ordine della Legion d'Onore (Francia), Parigi. Cittadinanze onorarie Monte
Cerignone, Nizza Monferrato, San Leo, 11 giugno. Torre Pellice,. Lauree E. ha
ricevuto 40 lauree honoris causa da prestigiose università europee e americane,
come quella del, che gli è stata conferita dall'Università federale del Rio
Grande do Sul, di Porto Alegre, in Brasile. In occasione della laurea in
comunicazione conferita da Torino, E. rilascia severi giudizi sui social del
Web che, a suo dire, possono essere utilizzati da «legioni di imbecilli» per
porsi sullo stesso piano di un vincitore di un Premio Nobel. Le affermazioni di
E. suscita approvazioni ma anche vivaci discussioni. Affiliazioni e sodalizi
accademici. E. è stato membro onorario della James Joyce Association,
dell'Accademia delle Scienze di Bologna, dell'Academia Europea de Yuste,
dell'American Academy of Arts and Letters, dell'Académie royale des sciences,
des lettres et des beaux-arts de Belgique, della Polska Akademia Umiejętności
("Accademia polacca della Arti"), "Fellow" del St Anne's, Oxford
e socio dell'Accademia Nazionale dei Lincei. E. è stato inoltre membro onorario
del CICAP. Altro Gli è stato dedicato l'asteroide 13069 Umbertoeco,
scoperto nel da Elst. è stato nominato Duca dell'Isola del Giorno Prima
del regno di Redonda dal re Xavier. Nel
il comune di Milano ha deciso che il suo nome venga iscritto nel
Pantheon di Milano, all'interno del cimitero monumentale. E. scrve saggi di
filosofia, semiotica, linguistica, estetica. “Il PROBLEMA ‘estetico’ in AQUINO”
(Torino, Edizioni di Filosofia); poi Il problema estetico in Tommaso d'Aquino, Milano,
Bompiani, Filosofi in libertà, come Dedalus, Torino, Taylor, poi in Il secondo
diario minimo. Sviluppo dell'estetica, in Momenti e problemi di storia
dell'estetica, Dall'antichità classica al Barocco, Milano, Marzorati, Arte e
bellezza nell'estetica, Milano, Bompiani, Storia figurata delle invenzioni.
Dalla selce scheggiata al volo spaziale, e con Zorzoli, Milano, Bompiani); “Opera
aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee” (Milano, Bompiani);
Diario minimo, Milano, A. Mondadori (include i saggi Fenomenologia di Mike
Bongiorno e Elogio di Franti) Apocalittici e integrati, Milano, Bompiani, Il
caso Bond. [Le origini, la natura, gli effetti del fenomeno 007], e con Oreste
del Buono, Milano, Bompiani, Le poetiche di Joyce. Dalla "Summa" al
"Finnegans Wake", Milano, Bompiani, ed. modificata sulla base della
seconda parte di Opera aperta; Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive,
Milano, Bompiani (poi in La struttura assente); Autoritratto dell'Italia, e con
Argan, Piovene, Chiarini, Gregotti e altri, Milano, Bompiani, La struttura
assente, Milano, Bompiani, La definizione dell'arte, Milano, Mursia, L'arte
come mestiere, a cura di, Milano, Bompiani, I sistemi di segni e lo
strutturalismo sovietico, e con Faccani, Milano, Bompiani, L'industria della
cultura, a cura di, Milano, Bompiani, Le
forme del contenuto, Milano, Bompiani, I fumetti di Mao, e con Chesneaux e Nebiolo, Bari, Laterza, Cent'anni
dopo. Il ritorno dell'intreccio, e con Sughi, Milano, Bompiani, Documenti su il
nuovo Medioevo, con Francesco Alberoni, Furio Colombo e Giuseppe Sacco, Milano,
Bompiani, Estetica e teoria dell'informazione, a cura di, Milano, Bompiani, I
pampini bugiardi. Indagine sui libri al di sopra di ogni sospetto: i testi
delle scuole elementari, e con Bonazzi, Rimini, Guaraldi, Il segno, Milano,
Isedi; Milano, A. Mondadori, Il costume di casa. Evidenze e misteri dell'IDEOLOGIA
ITALIANA, Milano, Bompiani, Beato di Liébana. Miniature del Beato de Fernando I
y Sancha. Codice B.N. Madrid Vit. 14-2, testo e commenti alle tavole di, Milano,
Ricci,Carmi. Una pittura di paesaggio?, Milano, Prearo, Trattato di semiotica
generale, Milano, Bompiani, Il superuomo di massa. Studi sul romanzo popolare,
Roma, Cooperativa Scrittori, Milano, Bompiani, Stelle & stellette. La via
lattea mormorò, illustrazioni di Druillet, Conegliano Treviso, Quadragono
Libri, Storia di una rivoluzione mai esistita. L'esperimento Vaduz. Appunti del
Servizio opinioni, Roma, Rai, Servizio Opinioni, Dalla periferia dell'impero,
Milano, Bompiani, Come si fa una tesi di laurea, Milano, Bompiani, Carolina
Invernizio, Matilde Serao, Liala, con altri, Firenze, La nuova Italia, Lector
in fabula, Milano, Bompiani, De bibliotheca, Milano, Comune di Milano, Postille
al nome della rosa, Milano, Bompiani, Il
segno dei tre, Milano, Bompiani, Sette anni di desiderio. [Cronache], Milano,
Bompiani, Semiotica e FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO, Torino, Einaudi, Sugli specchi e altri saggi, Milano, Bompiani,
Lo strano caso della Hanau, Milano, Bompiani, Saggio in Leggere i Promessi
sposi. Analisi semiotiche, Manetti, Milano, Gruppo editoriale Fabbri-Bompiani-Sonzogno,
I limiti dell'interpretazione, Milano, Bompiani, Vocali, con Soluzioni felici
di Malvinni, Napoli, Collana "Clessidra" di AGuida Ed., Il secondo
diario minimo, Milano, Bompiani, Interpretation and Overinterpretation,
Cambridge, La memoria vegetale, Milano, Rovello, La ricerca della lingua
perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, Laterza, Sei passeggiate nei boschi
narrativi, Milano, Povero Pinocchio. Giochi linguistici di studenti del Corso
di Comunicazione, a cura di, Modena, Comix, In cosa crede chi non crede?, con CMartini,
Roma, Liberal, Kant e l'ornitorinco, Milano, Bompiani, Cinque scritti morali,
Milano, Bompiani, Talking of Joyce, con Liberato Santoro-Brienza, Dublin,
University Colleges, Serendipities. Language and Lunacy, New York, Columbia, Tra
menzogna e ironia, Milano, Bompiani, La bustina di minerva, Milano, Bompiani, Riflessioni sulla bibliofilia, Milano, Rovello,
Diario minimo, Secondo diario minimo, Bustina di minerva e altre parodie da raccolte in tedesco) Sulla
letteratura, Milano, Bompiani, Guerre sante, passione e ragione. Pensieri
sparsi sulla superiorità culturale; Scenari di una guerra globale, in Islam e
Occidente. Riflessioni per la convivenza, Roma-Bari, Laterza, Bellezza. Storia
di un'idea dell'Occidente, CD-ROM a cura di, Milano, Motta On Line, Dire quasi
la stessa cosa. Esperienze di traduzione, Milano, Bompiani, Mouse or Rat?,
Translation as Negotiation, London, Weidenfeld & Nicolson (Experiences in
translation e saggi selezionati da Dire quasi la stessa cosa) Storia della
bellezza, a cura di, testi di E. e Michele, Milano, Bompiani, Il linguaggio
della Terra Australe, Milano, Bompiani, Il codice Temesvar, Milano, Rovello, Nel
segno della parola, con Giudice e GRavasi, a cura e con un saggio di Dionigi,
Milano, BUR, 2A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico, Collana
Overlook, Milano, Bompiani, La memoria vegetale e altri scritti di bibliofilia,
Milano, Rovello, Sator Arepo eccetera, Roma, Nottetempo, Storia della
bruttezza, a cura di, Milano, Bompiani, La cospirazione impossibile, con
Odifreddi, Shermer, Randi, Attivissimo, Montali, Grassi, Ferrero e Bagnasco,
Polidoro, Casale Monferrato, Piemme, Dall'albero al labirinto. Studi storici
sul segno e l'interpretazione, Milano, Bompiani, Historia. La grande storia
della civiltà europea, e con altri, Milano, Motta, Storia della civiltà
europea, e con altri, Milano, Corriere della Sera, Nebbia, e con Ceserani, con
la collaborazione di Ghelli e un saggio di Costa, Torino, Einaudi (antologia
letteraria di racconti a tema) Non sperate di liberarvi dei libri, con
Carrière, Milano, Bompiani, Vertigine della lista, Milano, Bompiani, Il
Medioevo, a cura di, Milano, Encyclomedia, La grande Storia, a cura di, Milano,
Corriere della Sera,. Costruire il nemico e altri scritti occasionali, Milano, Bompiani,
Scritti sul pensiero, Collana Il pensiero occidentale, Milano, Bompiani, L'età
moderna e contemporanea, a cura di, Roma, Gruppo editoriale L'Espresso, Storia
delle terre e dei luoghi leggendari, Milano, Bompiani, Da dove si comincia?,
con Stefano Bartezzaghi, Roma, La Repubblica,. Riflessioni sul dolore, Bologna,
ASMEPA, La filosofia e le sue storie, e con Fedriga, Roma-Bari, Laterza, Pape
Satàn Aleppe. Cronache di una società liquida, Milano, La nave di Teseo, Come
viaggiare con un salmone, Milano, La nave di Teseo, Sulle spalle dei giganti,
Collana I fari, Milano, La nave di Teseo, IL FASCISMO eterno, Collana Le onde,
Milano, La nave di Teseo, Cinque scritti morali, Bompiani, Sulla televisione.
Scritti, Marrone, Collana I fari, Milano, La Nave di Teseo, Narrativa Il nome
della rosa, Milano, Bompiani, Il pendolo di Foucault, Milano, Bompiani,L'isola
del giorno prima, Milano, Bompiani, Baudolino, Milano, Bompiani, La misteriosa
fiamma della regina Loana. Romanzo illustrato, Milano, Bompiani, Il cimitero di
Praga, Milano, Bompiani, Numero zero, Milano, Bompiani, Narrativa per
l'infanzia La bomba e il generale, illustrazioni di Carmi, Milano, Bompiani, I tre cosmonauti,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Ammazza l'uccellino, come
Dedalus, illustrazioni di Monica Sangberg, Milano, Bompiani, Gli gnomi di Gnu,
illustrazioni di Eugenio Carmi, Milano, Bompiani, Tre racconti, Milano, Fabbri (raccolta dei tre precedenti) La storia de
"I promessi sposi", raccontata da, Torino-Roma, Scuola Holden-La
biblioteca di Repubblica-L'Espresso, Traduzioni: Queneau, Esercizi di stile,
Torino, Einaudi. Gerino, Morto lo scrittore E. Ci mancherà il suo sguardo nel
mondo, in la Repubblica, Delfino e Camagna, Alessandria piange E., in La Stampa,
Bari, "A passo di critica: il modello di media education nell'opera di E.",
Firenze, Èco, E. Treccan iEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana.su
tuttoggi.info. 'Il nome della rosa' debutta su Rai1 e conquista gli ascolti
della prima serata, su la Repubblica, quotidiano la Stampa; Coscia: «quando
suono col mio amico E.», su genova.mentelocale. «È il lato dolente e angoscioso
di un uomo che è cresciuto nell'Azione Cattolica, che l'ha lasciata in polemica
con il grande Gedda; un uomo, E., che ha studiatodicono AQUINO, e che un giorno
se n'è uscito dalla chiesa proclamandosi orgogliosamente ateo, o se si
preferisce, agnostico. (In Rassegna stampa cattolica: Palmaro, E. è solo un refuso, 2 «His new
book touches on politics, but also on faith. Raised Catholic, E. has long since
left the church. "Even though I'm still in love with that world, I stopped
believing in God in my after my studies on AQUINO. You could say that AQUINO miraculously
cures me of my faith. Il suo nuovo
libro tratta di politica, ma anche di fede. Cresciuto nel cattolicesimo, E. ha
lasciato da tempo la Chiesa. Anche se io sono ancora innamorato di quel mondo,
ho smesso di credere in Dio dopo i miei studi universitari su Aquino. Potete
dire che egli mi ha miracolosamente curato dalla mia fede. (Articolo in
Time) Liukkonen, Petri, E.. Pseudonym:
Dedalus in. E., quando l'Torino gli
consegnò il libretto con 27 in letteratura italiana, su la Repubblica, Galdo,
Saranno potenti? Storia, declino e nuovi protagonisti della classe dirigente
italiana, Sperling & Kupfer, Milano Giuseppe Antonio Camerino, E.,
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. "Riparte il Master in Editoria, ideato da E."
Capozzi Bondanella, Cinque scritti morali, Bompiani Intervista a E. Wikinotizie,
su it.wikinews.org. E., Ho sposato?, «l'Espresso»,
4Con lo pseudonimo di Dedalus: Dedalus e il manifesto, su ilmanifesto, Ostini,
Sclavi citazione: "Sto leggendo un libro [In cosa crede chi non crede,
N.d.R.] di E. che mi è arrivato dall'Italia. Curioso no? Ha il mio stesso nome
e il cognome è l'anagramma del mio..."
E., su premiostrega. Italian Writer Umberto Eco is the Louvre's New
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Premio Strega V D M Vincitori internazionali del Prix Médicis V D M Vincitori
del Premio Bancarella V D M Vincitori del Premio Cesare Pavese V D M Vincitori
del Premio di Stato austriaco per la letteratura europea V D M Vincitori del
Premio Mediterraneo per stranieri, Europeana agent/base/ Filosofia Giallo Giallo Letteratura Eco provides a bridge between Graeco-Roman
philosophy and Grice! Eco is one of the few philosophers who considers the very origins of
philosophy in Bolognaand straight from RomeOn top, Eco is one of the first to
generalise most of Grice’s topics under ‘communication,’ rather than using the
Anglo-Saxon ‘mean’ that does not really belong in the Graeco-Roman tradition.
Eco cites H. P. Grice in “Cognitive constraints of communication.” Umberto
b.2, philosopher, intellectual
historian, and novelist. A leading figure in the field of semiotics, the
general theory of signs. Eco has devoted most of his vast production to the
notion of interpretation and its role in communication. In the 0s, building on
the idea that an active process of interpretation is required to take any sign
as a sign, he pioneered reader-oriented criticism The Open Work, 2, 6; The Role
of the Reader, 9 and championed a holistic view of meaning, holding that all of
the interpreter’s beliefs, i.e., his encyclopedia, are potentially relevant to
word meaning. In the 0s, equally influenced by Peirce and the structuralists, he offered a unified theory
of signs A Theory of Semiotics, 6, aiming at grounding the study of
communication in general. He opposed the idea of communication as a natural
process, steering a middle way between realism and idealism, particularly of
the Sapir-Whorf variety. The issue of realism looms large also in his recent
work. In The Limits of Interpretation 0 and Interpretation and
Overinterpretation 2, he attacks deconstructionism. Kant and the Platypus 7
defends a “contractarian” form of realism, holding that the reader’s
interpretation, driven by the Peircean regulative idea of objectivity and
collaborating with the speaker’s underdetermined intentions, is needed to fix
reference. In his historical essays, ranging from medieval aesthetics The
Aesthetics of Thomas Aquinas, 6 to the attempts at constructing artificial and
“perfect” languages The Search for the Perfect Language, 3 to medieval
semiotics, he traces the origins of some central notions in contemporary
philosophy of language e.g., meaning, symbol, denotation and such recent
concerns as the language of mind and translation, to larger issues in the
history of philosophy. All his novels are pervaded by philosophical queries,
such as Is the world an ordered whole? The Name of the Rose, 0, and How much
interpretation can one tolerate without falling prey to some conspiracy
syndrome? Foucault’s Pendulum, 8. Everywhere, he engages the reader in the game
of controlled interpretations. “Il nome della rosa” is about the dark ages in
Northern Italy, where the monks were the only to find a slight interest in
philosophy, unlike the barbaric Lombards!” -- Il problema estetico in San Tommaso. Torino: Edizioni di Filosofia. 2d revised ed.:
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Castelos, Mercadores e Poetas.Alfragide: Dom Quixote Ortacag: Barbarlar,
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Grice ed Ecebolio: la ragione conversazionale e il circolo di Giuliano
-- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tutor of Giuliano. More of a
sophist, he appears to have had flexible religious convictions (or none) –
Giuliano recalls: “He may be a pagan or a Galileian as the political climate
demands!”
Grice ed Efanto: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo
italiano. According to Iamblicus, a Pythagorean. He appears to be the same
person referreed to by Ippolito as Efanto di Siracusa. According to Ippolito,
Efanto believes it is impossible to have an accurate knowledge of things, but
also believed that everything in the world is formed by size, shape, and
capacity. He claims that the world is a sphere, the most perfect of all
geometrical shapes, reflecting the fact that it was the product of a divine
mind, which as also source of all movement. A work on kings attributed to him
may be a a different author.
Grice ed Egea: la
ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According
to Iamblichus of Chalcis (“Vita di Pitagora”), a Pythagorean.
Grice ed Egnazio:
la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Garden. He wrote
a poem, “The rerum natura.” It bears some resemblances to the work of the same
name by Lucrezio and is generally thought to have been written after it.
Grice ed Eirisco:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.
Grice ed Elandro:
la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Taranto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to Giamblico.
Grice ed Elcasai: la ragione conversazionale e a gnossi a Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A gnostic. One of his followers, Alcibiade, brings an essay by him to
Rome, claiming that its contents are revealed to E. by an angel. The cult he
founds believed in reincarnation and that Pythagorean science provides a means
of predicting the future. There is also a magical healing side to the cult, and
it claims to be able to cure rabies.
Grice ed Eleucadio: la ragione conversazionale e la scuola di Ravenna --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ravenna). Filosofo italiano.
Grice ed Elicone: la ragione conversazionale e la setta di Reggio -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Reggio).
Filosofo italiano.
A Pythagorean, cited by Giamblico. He was renowned as a legislator and helped
to revise the constitution of Reggio.
Grice ed Elio: la ragione conversazionale e a setta di Praeneste – il
portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Praeneste). Filosofo italiano. A teacher of rhetoric. A popular
and prolific author, and some of his essays, mainly collections of anecdotes,
survive. In his more philosophical works he takes the line of the Porch. ELIO – Miscelanea storica – ed. Wilson, Loeb
Classical Library. Claudio Elio. Elio
Grice ed Eliodoro: la ragione conversazionale ail portico romano sotto
il principato di Nerone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. During Nerone’s principate.
E. seems to have been an informer with regard to at least one of the many plots
of the period.
Grice ed Eliodoro: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. The Garden. A close friend of Adriano. He succeeded Popillio Teotimo
as Garden Master (or Tyrant). Eliodoro.
Grice ed Elpidio: la ragione conversazionale e il circolo di Giuliano --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher with whom Giuliano is
in correspondence. Elpidio.
Grice ed Elvidio: la ragione conversazionale a Roma antica – il portico
a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). FIlosofo italiano. The son in law of TRASEA (si veda).
Porch, involved in politics, he spends periods in exile. Admired as a man of principle. Elvidio Prisco. Elvidio.
Grice ed Emina: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A Pythagorean and a historian. Lucio Cassio
Emina.
Grice ed Empedotimo: la ragione conversazionale all’isola – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo
italiano. According to Eraclide di Ponto, E. has a vision that reveals the
structure of the universe. Empedotimo.
Grice ed Ennea:
la ragione conversazionale e la diaspora
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Iamblicus of Chalcis, a Pythagorean. Ennea.
Grice
ed Ennio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma -- il primo filosofo
inglese, il primo filosofo latino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Salento). Filosofo italiano. Poeta, drammaturgo e filosofo
romano;mMuore a Roma. Viene considerato, fin dall'antichità, il padre della filosofia
latina, poiché fu il primo ad usare LA LINGUA LATINA la come registro letterario.
Ennio che ascolta Omero, immaginato da Sanzio nel Parnaso, Stanze Vaticane.
Nasce a Rudiae, nei pressi di Lecce, città dell'antica Calabria -- Salento, nella
Puglia meridionale -- in cui allora conviveno tre culture: quella dell’occupante
romano, quella OSCA dei centri minori indigeni italici, e quella greca che ha come
centro maggiore Taranto. GELLIO (si veda) testimonia infatti che E., pur
vantandosi di discendere da Messapo, eroe eponimo della Messapia e dei Messapi,
e solito dire di possedere “tria corda,” poiché sa parlare in romano, osco, e greco.
Durante la guerra punica milita in Sardegna e vi conosce CATONE (si veda)
MAGGIORE, censore, che lo porta con sé a Roma. Qui ottenne la protezione di
illustri romani quali SCIPIONE (si veda) l'Africano. Poco tempo dopo, entra in
contatto con altri aristocratici del circolo degli Scipioni, come il generale MARCO
FULVIO NOBILIORE. Queste amicizie lo ponneno in conflitto con CATONE,
diffidente nei confronti delle altre culture e di quella greca in
particolare. MARCO FULVIO NOBILIORE, nella guerra contro la lega etolica,
conduce con sé E. al seguito, con il compito cioè di celebrare le gesta, come
in effetti fa nella prae-texta “Ambracia.” Questo scandalizza CATONE, in quanto
comportamento contrario al costume degl’avi, al mos maiorum. QUINTO FULVIO
NOBILIORE, figlio del generale, gli assegna dei terreni presso la colonia da
lui dedotta a PESARO. Riconoscente, Ennio espresse orgogliosamente questa
concessione. Nos SVMVS ROMANI qui fuimus ante Rudini -- E., Annales. H. P. GRICE: “A more
complicated case of majestic plural than ‘We are amused.” Ennio implicates that
he and his descendants are Roman. The use of ‘fuimus’ implicates, but does not
say, that he yielded his own citizenship to that place in the middle of
nowehere. Ennio, messo a capo del collegium
scribarum histrionumque, vive con una sola serva al suo servizio, attendendo
alla sua filosofia e la composizione delle sue tragedie e del poema epico. Annos
septuaginta natus - tot enim vixit Ennius - ita ferebat duo quae maxima
putantur onera, paupertatem et senectutem, ut eis paene delectari videretur. A
settant'anni - tanti, infatti, ne visse – E. sopporta la povertà e la
vecchiaia, che si suole considerare come le cose più moleste, quasi sembrando
che ne godesse (Cicerone, De Senectute). Tra i suoi discepoli ricordiamo il
nipote, figlio di sua sorella, il tragediografo e pittore MARCO PACUVIO, e il
commediografo CECILIO STAZIO, con cui condivide l'abitazione. Sofferente di
gotta, E. muore a Roma. Per i suoi meriti, oltre che per l'amicizia personale, e
sepolto nella tomba degli Scipioni, sull'antica Via Appia, dove e raffigurato
da un busto su cui e inciso un epitaffio in distici elegiaci che CICERONE crede
composto dallo stesso E. Aspicite, o cives, senis Enni imaginis formam: hic vestrum panxit maxima
facta patrum. Nemo me lacrumis decoret, nec funera
fletu faxit. Cur? Volito vivus per ora virum. Ecco, o cittadini, i tratti
dell'effigie d’Ennio: costui le massime gesta canta dei vostri padri. Nessuno
di lacrime mi onori, né la mia morte pianga. Perché? Volo vivo tra le bocche
degl’uomini. Testa di E., dal sepolcro degli Scipioni sull'Appia. E. sperimenta
la filosofia in numerosi generi letterari, molti dei quali a Roma sono poco
conosciuti o del tutto sconosciuti, pertanto è stato definito il vero padre
della filosofia e della letteratura (‘grammatica’). Della maggior parte di
questa filosofia rimangono solo pochi frammenti e titoli. Per quanto
riguarda la filosofia epica, si conoscono gli “Annales” e “Scipione”. Gl’ “Annales”
sono il testo nazionale del popolo romano. E. narra la storia di Roma anno per
anno, come spiega lo stesso titolo, dalle origini. Gl’Annales e strutturata in XVIII
libri, suddivisi in III gruppi di VI, detti esadi. Nel proemio E. racconta che
Omero stesso gli era apparso in sogno per rivelargli di essersi re-incarnato in
lui dopo avergli esposto la dottrina pitagorica della trans-migrazione dell’anime.
Mentre nei primi libri sono raccontati gl’eventi che vanno dalle origini
all'invasione di Pirro, nei successivi il racconto arriva fino a due anni prima
della sua morte. Nella seconda esade, poi, E. polemizza con coloro che lo
criticano per aver introdotto l'esametro, polemizzando contro gl’autori che
scriveno in saturni, con chiaro riferimento a NERVIO, che comunque omaggia, non
ripetendo la narrazione della guerra punica - e racconta gl’eventi sino
alla guerra macedonica. Per quanto
riguarda l’altre composizione, per concorde affermazione degl’antichi, E.
eccelle nella tragedia, con composizioni come “Alessandro”, “Andromaca
prigioniera”, “Medea”, “Tieste”, “La morte d’Achille,” “La morte d’Aiace”; “Il
riscatto del corpore d’Ettore”; “Ecuba”,
“La morte d’Ifigenia ad Aulide”, “Telamone”, e “Telefo”. A parte, come “praetextae”,
“Il ratto delle Sabine da Romolo e i suoi compagni” e “Ambracia, o la gesta del
generale Fulvio”. Che non e un grande comico, lo testimonia il fatto che
restano solo pochissimi versi e due titoli di testi commedidi la “Caupuncule” e
il “Pancratiaste”. Allo stilo dotto apparteneno “Epicarmo” ed “Euhemero”,
DI CARATTERE STRITTAMENTE FILOSOFICO; gl’ “Edifagetica”, o ancora, sul versante
della poesia disimpegnata, le “Saturae” e gli “Epigrammi.” E. e il primo romano
(naturalizzato) a scrivere un poema in esametri, no saturnini. Il suo
capolavoro, gl’Annales, e la prima epica a narrare la storia di Roma dalle
origini facendo di E. il vate filosofico di Roma e tra i principali modelli
stilistici del De rerum natura di LUCREZIO e dell'Eneide di VIRGILIO. Scrive
numerose commedie e tragedie di cui restano pochi frammenti, e da altri
frammenti si ritiene che abbia scritto anche alcune satire filosofiche,
anticipando addirittura LUCILIO, considerato il padre del genere. O Tite
tute Tati tibi tanta tyranne tulisti. O Tito Tazio, tiranno, tu ti attirasti
disgrazie tanto grandi! Poiché i frammenti a noi pervenuti sono pochi e giunti
per tradizione indiretta, non siamo capaci di valutare la struttura compositiva
del poema maggiore e le tecniche della narrazione, ma emergono con sufficiente
chiarezza le caratteristiche della lingua e lo stile elevato e solenne, che
appaiono frutto di un geniale contemperamento di tratti tipicamente romani e
audaci innovazioni. Ricorre spesso ad arcaismi, tratti distintivi di
derivazione omerica -- tanto che si presenta nel proemio come Omero redivivo, e
ORAZIO stesso lo definisce alter Homerus, "altro Omero". Infatti e
ritenuto uno dei principali fautori dell'ellenizzazione. Nonostante CATONE e
uno dei filosofi più attaccati alla cultura romana, riconosce e apprezza in E.
le doti filosofiche. E. introduce l'esametro nella letteratura, formando i suoi
versi anche solo con degli spondei -- infatti sono detti versi
olospondaici. In E. abbonda LA METAFORA FILOSOFICA, sempre molto presenti
nei poemi epici, le allitterazioni e l'uso della retorica. La vita: Ennio
e i suoi continuatori, su sapere.it, De Agostini Editore S.p.A. Annali. Commentari.
Napoli: Liguori Editore, Quintus Ennius tria corda habere sese dicebat, quod
loqui Graece et Osce et Latine sciret("Quinto Ennio diceva di avere tre
anime in quanto parlava greco, osco e latino") - Aulus Gellius, Noctes
Atticae, Cornelio Nepote, Catone,
Skutsch. Quinto Orazio Flacco ^ Poemetto epico-encomiastico, del quale restano
solo 14 versi, dedicato a Publio Cornelio Scipione, nel quale il condottiero
viene descritto come perfetto exemplum di vir romanus ^ Trattava il ratto delle
Sabine. ^ Trattava le gesta di Marco Fulvio Nobiliore in una spedizione contro
gli Etoli nel 189 a.C., culminata nella presa della città di Ambracia. ^
Catalogo di cose buone da mangiare, redatto con vena salottiera e decisamente
superficiale, come evidente dall'unico frammento pervenutoci, di 11 versi, in
Apuleio, De magia, 11. ^ Componimenti in distici elegiaci che si rifacevano a
momenti particolari della vita dell'autore. Voci correlate Modifica Rudiae
Sepolcro degli Scipioni Ènnio, Quinto, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nicola Terzaghi, ENNIO, in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, E., in Dizionario di storia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Quinto Ennio, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Quinto Ennio, su Musisque Deoque. Opere
di Quinto Ennio, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di
Quinto Ennio, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Quinto Ennio, su
Open Library, Internet Archive. I frammenti degli annali editi e illustrati da
Luigi Valmaggi, Torino, Casa Editrice Ermanno Loescher, Remains of old latin.
Vol. 1: Aennius and Caecilius, Warmington (a cura di), Cambridge-London,
Ennianae Poesis Reliquiae, Johannes Vahlen (a cura di), Lipsiae, in aedibus Teubneri.
Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Letteratura Portale Lingua latina Portale Teatro. Annales
(Ennio) poema epico scritto dall'autore latino Quinto Ennio Marco Fulvio
Nobiliore politico romano Ambracia. Quinto Ennio was a famous arly Roman poet. In his
poems, he demonstrates a familiarity with various ideas from philosophy and
helped to introduce these to the Roman world. Grice: “We can tell an English
philosopher by his references to events in the history of England – as when I
say that “Harold Wilson is a great man’ means the same as ‘the Prime minister
is a great man’. The Romans were able to refer to Roman history through Ennio,
who knew it!” -- Ennio. Keywords: il
primo filosofo inglese, il primo filosofo latino. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
ed Ennio”, The Swimming-Pool Library. Quinto Ennio. Ennio.
Grice ed Emiliani: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della semiotica – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Lugo). Filosofo italiano. Grice: “I
like Emiliani; of course in proper English we don’t pluralise ‘meanings’! But
he speaks of ‘significati,’ which is literate! The vernacular Italian is
‘segno,’ and the ‘ficare’ is also learned latinate! Gotta love him!”
Dio è la mia speranza Anch'io vivo nella speranza di avere amici in
cielo che pregano per me e che attendono di unirsi a me nella nostra comune
patria. Dobbiamo sempre ricordare che questa vita terrena è soltanto un
passaggio verso la nostra vera patria che è quella celeste. La Madonna è
apparsa e ha parlato a moltissimi veggenti di molti popoli e nelle più svariate
circostanze, come una persona viva, che promette, annunzia, loda, esorta,
profetizza, prega, guida e protegge dai pericoli, risana i malati, opera i
miracoli, piange, invita alla conversione ed alla penitenza, aiuta ad
avvicinarsi a Cristo, suo Figlio. La mia sicura bussola è camminare sulla
strada della carità in ogni circostanza della vita. La presenza in noi dello
Spirito Santo è la caparra della nostra vita eterna futura. Solo Dio resta.
Egli è l'unica roccia a cui mi posso aggrappare per non essere travolto dai
flutti tempestosi in mezzo ai quali galleggio.
E., Dio è la mia speranza, Edizioni Studio Domenicano. Nel suo saggio
sul segnato, valore, communicazione e ragionamento, Emiliani presenta
un'analisi del ‘segnato,’ topico della semiotica. Il segnato è un modo di una
correlazione astratta posta dall'attività razionale intersoggettiva e
cooperativa con cui un contenuto e intenzionato e strutturato in ordine al
valore della profferenza e alla correttezza del ragionamiento conversazionale.
La forme logica non è innata, né e un atto o evento psichico soggettivo, ma una
struttura intersoggetiva astratta e relazionale, invariante
intersoggettivamente. Il segnato (non il ‘segno’) fonda la correttezza del
ragionamiento conversazionale (colloquenza – dialettica), segnato dal segno di una
operazione (negans, negatum, negatore; connettivi, -- conjunctum, congiutivo,
disjunctum, disgiuntivo, ‘if’ filoniano, il quantificatore universale o totale
(ogni), il quantificatore parziale o essitenziale (G. jemand), il descrittore,
descriptum) non è privo di ‘segnato’. Il segno di negazione, p. es., ‘non’, segna
la negazione. ‘Non piove’ segna che non è il caso che piove. Il segno (‘non’) ha
come UNICO segnato quello che s’esprime nella forma logica (explicatura, no
implicatura). L’intensionale e il contenuto nozionale di ciò che è mentato o
segnato, distinto dal segnato estensionale o funzionale – e spiegabile in una
teoria di mondi possibili. Pensatile sempre dentro e mediante una determinata
struttura logicha. L’atto de denotare (referire) e l’atto di predicare sono le
due elementi di un complesso proposizionale (“Fido is shaggy”). Un oggetto dell'universo
di riferimento, considerato reale nel modo più ampio (valore di una variabile).
Il valore di una profferenza è spiegato da una teoria della correpondenza. Il valore
di soddisfacibilità e parte del meta-languaggio che presuppone la sintassi, la
semantica, e la prammatica. Lo scopo del griceanismo: il segnato. Fondamento
della introduzione del segnato, simbolo mono-semantico, simbolo bi-semantico,
simbolo tri-semantico, segnato del termine, segnato della formula del
linguaggio. Relazione estensione/intensione, referenza e predicazione. Il
valore della profferenza di soddisfacibilità e meta-linguistico. Rapporto tra
sintassi, semantica e pragmmatica – linguaggi- oggeto e meta-linguaggio. Il linguaggio
di una teoria del ragionamiento formalizzata elementare – Sistema G-hp. Calcolo
di predicati di primo ordine con identità.
Sintassi di una generica teoria del ragionamento normalizzata
elementare. Simbolo primitivo. Definizione ricorsiva del termine, definizione
ricorsiva della formula del sistema G-hp. Termine aperto e termine chiuso.
Formula aperta e formula chiusa. Profferenza semplice, proferrenza complessa.
Componente deduttivo, induttivo ed adduttivo di una generica teoria del
ragionamiento elementare (G. R. I. C. E. – gruppo per la ricerca dell’inferenza
e la comprensione elementare). Il segnato di una profferenza in romano ed
italiano (Piove). Il segnato intenzionale di una profferenza semiotica
comunicativa, distinzione tra atto intenzionale dell'io e forma intenzionale
con cui ciò che è segnato e compressibile dal ‘tu’, intenzionalità e
consapevolezza, forma intenzionale, contenuto intenzionato. Profferenza e modalità
intenzionale. Tre dimensioni del segnato nella profferenza comunicativa; Il
segnato della profferennza assertiva (il simbolo di Frege),L’assertivo di una
profferenza semplice. Segnato intensionale (il senso fregeiano) di una
profferenza semplice. Il topico o denotatum di una profferenza semplice (“The
dog is shaggy”). Il segnato logico del termine, il segnato intensionale del
termine, il segnato referenziale del termine, ragioni che giustificano
l'introduzione di una descrizione chiusa nel Sistema G-hp di una teoria del
ragionamento Normalizzata elementare. Il segnato logico, intensionale e
referenziale del segno predicativo (‘shaggy’), il segnato logico del segno
predicativo, il segnato intensionale del segno predicativo, Relazione tra
segnato logico e segnato intensionale del segno predicativo. Il segnato
referenziale del segno predicativo, rapporti tra il segno intensionale e il
referente o denotatum or relatum di un segno predicativo. Il segnato del segno mono-sematico.
Il segnato logico del segno del negare
(cf. Grice, “Negation and Privation”). Il segnato logico di una operazione di
connessione fra sintagme: le particelle coordinante ‘e’, ‘o,’ e subbordinante,
‘se’, il segnato del segno di quantificazione totale o universale, ‘ogni’ – il
segnato del segno di quantificazione sustituzionale parziale o esistenziale
(Ex), Il segnato del segno dell’articolo definito (‘il’), descrizione, el
segnato logico dei segni ausiliari, il segnato intensionale e referenziale di
una profferenza complessa, il segnato intensionale di una profferenza
complessa; il denotatum di un profferenza complessa. Refutazione delle
impostazione convenzionalista (in termini di implicatura convenzionale) di
Strawson circa l'interpretazione del formalismo. Ragioni della inadeguatezza
dell’approccio di Strawson, interpretazione logica, interpretazione intensionale
e interpretation referenziale della semantica di una teoria dell’inferenza elementare,
interpretazione intensionale del linguaggio di una teoria, interpretazione
referenziale del linguaggio di una teoria, il valore di satisfactorieta di una
profferenza nel sistema G-hp nel quadro del meta-linguaggio. I requisiti della
definizione del valore di soddisfacibilità; condizioni che rendono la definizione
di ‘soddisfacibile’ adeguata al contenuto della nozione intuitiva, condizioni
che devono essere soddisfatte perché la definizione del valore sia formalmente
sana. Il valore di soddisfacibile associato a una profferenza del sisstema
G-hp. Considerazioni sulla definizione del valore di soddisfacibile, distinzione
tra concetto di soddisfacibilità e criterio di soddisfacibilità. Il valore di
soddisfacibilità associato ad una profferenza non è ‘segnato’ dalla profferenza
o profferente a cui è associata, il soddisfacibile rispetto alla profferenza a
cui a associate non e ‘segnato’, ma un valore. Il soddisfacibile è meta-linguistico,
profferenza soddisfacibile, relazione tra profferenza soddisfacibile e
ragionamento sano. Il principio di bivalenza (Tertium non datur – il terzo
incluso). Stato del problema: la polemica Grice/Strawson. Il valore di
soddisfacibilità è associabile soltanto alla profferenza per la quale il
communicatore o profferente (implicans, implicaturus) segna che p o q, il
valore di soddisfacibilità e associabile a ogni profferenza. Critica di un
sistema bivalente che accetta la categoria confuse di “lacuna” di valore di
soddisfacibilità. Bivalenza e il sistema considerato poli-valente. Bivalenza e
l’intuizionismo di Lemmon e Dummett. Communicazione e segnato, rapporto tra
materia e forma dell’espressione per la quale il communicatore o profferente o
implicaturus segna (empiega) che p o q e il rispettivo segnato. Il segnato come criterio per determinare la
primitività di un simbolo, Le regole o teoremii di formazione sintattica
d’introduzione e eliminazione, il teorema del ragionamiento sano definito dalla
sintassi e il segnato logico. Communicazione naturale, segnare artificiale,
arbitrario, non naturale, e segnato. Natura, genesi, funzione e invarianza
della forma e struttura logica. Natura, genesi e funzione della forma predicativa
(“Fido is shaggy”), natura, genesi e funzione della forma soggettiva o topica,
natura, genesi e funzione della forma logica semplice, Natura, genesi e
funzione della forma logica espressa da un simbolo mono-semantico di operazione
logica, Rapporto tra l'attività dell'io intenzionante (implicaturus, e la
struttura logica intesa come modalità con cui il contenuto e intenzionato (“He
went to bed and took off his boots”). L'invarianza della forme o struttura
logica. Significato. «Noi non
sappiamo che cosa significano le parole più semplici, tranne quando amiamo e
desideriamo.» E., “Significati e verità dei linguaggi delle teorie
deduttive (Emerson) Il significato è un concetto espresso mediante segni che
possono essere grafici, verbali-orali, o mediante cenni e gesti. Il significato
permette di capire o esprimere il senso, il valore o il contenuto del segno.
Secondo il linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, il segno linguistico è
costituito dall'unione di un significato (un concetto, cioè la nozione mentale
che abbiamo di un determinato oggetto) con un significante (cioè una forma
sonora, o un'immagine uditiva). Il triangolo semiotico In semantica
(la disciplina che studia i rapporti tra segni e oggetti), secondo il classico
modello a tre elementi, il significato è la nozione o immagine mentale generica
che possediamo di un oggetto, la quale media tra la parola e la cosa. Ad es. il
concetto di albero ci dà modo di riconoscerlo sia che si tratti di una quercia
sia di un melo. Il significato è indicato graficamente o foneticamente dal
significante, mentre l’albero reale al di fuori della sfera linguistica è detto
referente. Va notato che mentre significato e significante sono sempre
presenti, il referente può mancare o cessare di esistere (es. nelle parole
“Napoleone” o “unicorno”). In semiotica, il significato è uno dei vertici
del triangolo semiotico postulato da Peirce, come mostrato nella figura
accanto. Per quanto riguarda la porzione di realtà indicata, si distingue
in genere tra: denotazione, ovvero ciò che una parola indica in quanto
tale (uomo, e il suo significato di animale razionale); riferimento, ovvero ciò
che una parola indica in una frase determinata (quell'uomo è alto). Frege,
Senso, funzione e concetto, (edizione originale). Giorgio Graffi; Sergio
Scalise, Le lingue e il linguaggio. Bologna, Il Mulino, Ogden e Ivor Armstrong
Richards, Il significato del significato. Studio dell'influsso del linguaggio
sul pensiero e della scienza del simbolismo, con saggi in appendice di B.
Malinowski e F. G. Crookshank, trad. Luca Pavolini, Milano, Il Saggiatore (orig.: The
Meaning of Meaning. A Study of the Influence of Language upon Thought and of
the Science of Symbolism, London, Routledge & Kegan Paul). Ferdinand de Saussure, Corso di linguistica
generale, Bari, Laterza, Disambiguazione Semantica Semantica lessicale
Significato (psicologia) Struttura (semiotica) Triangolo semiotico Alemma di
dizionario «significato» Portale Linguistica: linguistica Segno concetto base della semiotica
Significante Triangolo semiotico. Grice: “Alessandro Emiliani should be carefully
distinguished from Alessandro Emiliani. Alessandro Emiliani is a philosopher;
Alessandro Emiliani is a semiotician!” Alessandro Emiliani. Emiliani. Keywords: semiotica, Dr.
Wilde, Wilde lectures on religion? That’s after Henry Wilde, not a doctor? He
was a doctor: “Dr. Henry Wilde”, significati”-- -- -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice ed Emiliani” – The Swimming-Pool Library.
Grice ed Emone: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorian according to Giamblico. Emone.
Grice ed Empedo: la ragione conversazionale e la setta di Sibari -- Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico. Empedo.
Grice ed Endio: lla ragione conversazionale e a setta di Sibari -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean.
Giamblico. Endio.
Grice ed Enriques: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale
arimmetica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo
italiano. Grice: “I like Enriques; of course his “Problemi della scienza’
implicates that philosophy does not have any!” Il Dipartimento "Federigo Enriques" di
Matematica dell'Università degli Studi di Milano, via Saldini, Milano. Nato in
una famiglia ebrea, si trasferì a Pisa. Suo fratello Paolo Enriques, uno
zoologo, fu padre di Enzo Enriques Agnoletti e Anna Maria Enriques Agnoletti.
Dopo gli studi liceali, compì gli studi universitari a Pisa e la Scuola Normale
Superiore. Si laurea. Frequenta in seguito un anno di perfezionamento a Pisa e
uno a Roma, dove ebbe modo di incontrare e collaborare con Castelnuovo. Inizia
inoltre a collaborare con Cremona, Segre e Amaldi. Lincei. Insegna a
Bologna. È invitato presso l'Roma, per occupare la cattedra di matematiche
superiori e di geometria superiore. Venne invitato da Neurath a divenire un
collaboratore dell'Encyclopaedia of Unified Science, la cui pubblicazione è
stata individuata come lo strumento per lo sviluppo del movimento per l'unità
della scienza (cf. Grice, “Einheit des Wissenschaft”). Quando però sono
promulgate le leggi razziali anti-ebraiche, e espulso dall'insegnamento e da
qualsiasi altra occupazione legata all'attività culturale. Durante
l'occupazione tedesca è dapprima nascosto in casa di Frajese e poi a San Giovanni in Laterano. Insegna
a Roma nella scuola ebraica clandestina fondata da Castelnuovo per i giovani
ebrei estromessi dalle università italiane, e riusce a pubblicare alcuni
articoli in forma anonima sul Periodico delle Matematiche, di cui era stato
direttore. Torna a insegnare. Tra i fondatori della scuola italiana di
geometria algebrica, allarga gli orizzonti del dibattito scientifico
occupandosi di filosofia, storia e didattica della matematica. Fonda la Società
filosofica italiana (di cui fu presidente), assieme a Bruni, Dionisi, Rignano e
Giardina fonda la rivista internazionale Rivista di Scienza ed e nominato
direttore del Periodico di matematiche, organo della Mathesis. Diresse, tra
l'altro, la sezione di matematica dell'Enciclopedia Italiana. È un
filosofo di notevole livello e la sua fama fu internazionalmente riconosciuta.
I suoi contributi allo sviluppo della geometria algebrica furono rilevanti, per
importanza e originalità. Il periodo in cui si trova a vivere era un periodo di
cambiamenti epocali, cambiamenti che interessarono anche i concetti base della
matematica e della fisica. E. recepì immediatamente la portata delle novità
introdotte dalle opere di Einstein, che fu da lui invitato a tenere una conferenza
a Bologna. Nel campo dei fondamenti della matematica si ricordano i testi
scolastici di grande diffusione, rivolto all'insegnamento nei licei e scuole
superiori, nei quali la geometria euclidea, l'algebra elementare e la
trigonometria vengono presentate con il metodo razionale deduttivo. Fra le sue
opere più diffuse di matematica elementare si ricordano: Questioni
riguardanti le matematiche elementare, Questioni riguardanti la geometria elementare,
Bologna Zanichelli); Elementi di Geometria ad uso delle scuole superiori (con
U. Amaldi), Zanichelli Bologna e successive edizioni e ristampe); Nozioni di matematica ad uso dei licei moderni
(con U. Amaldi), Zanichelli Bologna); Gli elementi di Euclide e la critica
antica e moderna (Roma e Bologna, Le matematiche nella storia e nella cultura,
Bologna. Come opere principali di matematica superiore si ricordano in
particolare: Lezioni di geometria proiettiva, (it, de). Lezioni di geometria
descrittiva, Bologna, Lezioni sulla teoria geometrica delle equazioni e delle
funzioni algebriche. Bologna. Lezioni di geometria descrittiva, Le superficie
algebriche, Oltre alla sua attività come matematico, sviluppa significative
ricerche di epistemologia, storia della scienza e filosofia della scienza.
Questo suo impegno per il rinnovamento della cultura, avvenne in un periodo non
facile, sia per gli eventi bellici, sia per la cultura dominante nella prima
metà del Novecento, caratterizzata dalla filosofia idealistica e dal ridotto
interesse verso la cultura scientifica. Fra le sue numerose saggi in queste
materie si ricordano: Problemi della scienza” (Zanichelli, Bologna); “Razionalismo
e storicismo in "Rivista di Scienza", Zanichelli, Bologna, Il
pragmatismo in "Scientia", Zanichelli, Bologna); “Scienza e
razionalismo, Zanichelli, Bologna. Matematiche e teoria della conoscenza in
"Scientia", Zanichelli, Bologna); “Per la storia della logica,
Zanichelli, Bologna. Storia del pensiero scientifico, Bologna, scritta con G.
Santillana. Il significato della storia del pensiero scientifico, Bologna, ripubblicato
da Barbieri, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni,
Bologna. Le dottrine di Democrito d'Abdera. Testi e commenti, con M. Mazziotti,
ripubblicato per Edizioni immanenza. Sviluppò una corrente di pensiero vicina
al razionalismo. Assieme a Peano si può considerare uno dei principali filosofi
italiani che si sono dedicati allo studio della logica e della filosofia della
scienza nella prima metà del Novecento. Ha messo in luce due aspetti
fondamentali del pensiero scientifico nella prima metà del sec XX: la sempre
maggiore specializzazione delle discipline fisiche, tecniche, ecc. e la
tendenza al rinnovamento che si è avuta sia nei fondamenti della matematica,
sia nella fisica moderna. Assieme a Bruni, Dionisi, Giardina e Rignano,
fonda la rivista di ricerca e divulgazione scientifica Rivista di scienza
(rinominata successivamente Scientia), con l'obiettivo dichiarato di superare
le divisioni disciplinari in nome dell'unità del sapere e contro l'eccessiva
specializzazione accademica. Contro codesti criterii ristretti intende reagire
soprattutto il movimento nuovo di pensiero verso la sintesi; una Filosofia
libera da legami diretti coi sistemi tradizionali, sorge appunto a promuovere
la coordinazione del lavoro, la critica dei metodi e delle teorie, e ad
affermare un apprezzamento più largo dei problemi della Scienza. Pel quale il
particolarismo stesso viene compreso in un aspetto più adeguato nella interezza
del processo scientifico. (Programma, Rivista di Scienza). Condusse la rivista,
quando un articolo di Rignano sulle cause della guerra lo costrinse a
rassegnare le dimissioni. Torna alla direzione alla morte di quest'ultimo e
sotto sua esplicita richiesta fino al’anno delle leggi razziali. Abbandonato
ogni incarico, ritorna infine alla guida di Scientia a due anni dalla morte. Il
primo saggio significativo dedicato da Enriques a questioni di metodo e
filosofia della conoscenza è l'opera Problemi della scienza nella quale compie
un'analisi articolata delle varie discipline della matematica, della geometria,
della meccanica, della fisica edella chimica alla fine del XIX secolo. Mette in
evidenza l'importanza che lo scienziato deve analizzare con la massima
attenzione, sia i fondamenti logici e sperimentali delle diverse
discipline, sia il contesto storico e le situazioni in cui i principi
scientifici sono stati scoperti. In quest'opera Enriques indica che una
visione dinamica della scienza, porta naturalmente nel terreno della storia. I
fondamenti della scienza quindi non possono essere capiti completamente se non
si analizza anche il contesto storico e culturale nel quale sono stati
formulati. L'opera ebbe maggiore fortuna e diffusione all'estero, che non in
Italia, dominata agli inizi del Novecento dalla cultura letteraria e della
filosofia idealistica. Il suo pensiero trova riscontro nelle teorie
elaborate dai massimi epistemologi filosofi fra cui Popper, Lakatos e Kuhn. In
particolare nel pensiero di Lakatos e di Kuhn viene sviluppata la concezione
della formazione storica dei concetti scientifici, come opera di più autori e
ricercatori, che in un determinato periodo storico elaborano una serie di
principi-base sui quali viene sviluppata una teoria ipotetico-deduttiva e le
successive verifiche sperimentali. Importante è anche la presa di
posizione sia rispetto alla filosofie idealistiche del ‘900, che hanno
tralasciato gli aspetti della filosofia della scienza, sia la sua posizione
critica rispetto alla filosofia di Kant. In particolare, critica il concetto di
giudizio sintetico a priori di Kant (Critica della ragion pura). Secondo
Enriques, i principi fondamentali delle scienze sono elaborazioni razionali
derivate per induzione dall'esperienza e dalla percezione sensoriale e non sono
giudizi sintetici a priori. In questo saggio porta alcuni esempio fondamentali.
I postulati della geometria sono generalizzazioni, per astrazione, di semplici
esperienze geometriche, che ogni allievo compie fin dalle prime osservazioni
razionali del mondo esterno, svolte anche in ambito scolastico. I principi
della geometria sono generalizzazioni di esperienze sensoriali concrete.
Allo stesso modo anche i principi della Fisica e della Chimica derivano
direttamente da generalizzazioni di esperimenti reali. Ad esempio la Legge di
conservazione della massa dovuta a Lavoisier non è un giudizio sintetico a
priori, come crede Kant. È noto infatti che deriva da semplici esperimenti
fisici, svolti pesando i composti chimici prima e dopo una reazione
chimica. La nuova impostazione razionalistica e storica fu avviata in
Italia da Enriques, in Francia da Duhem e in Austria da Mach e da altri autori
riunitisi intorno al Circolo di Vienna. Fu poi sviluppata ulteriormente in
Italia da Geymonat e dalla sua scuola milanese che ha ripreso gli studi di
Enriques, sviluppando i temi di storia della scienza e di filosofia della scienza.
Un'altro saggio fondamentale è Per la storia della logica che mette in evidenza
l'importanza della deduzione, della induzione e gli altri aspetti
interpretativi ed epistemologici della logica. Il saggio ha un approccio
storico e descrittivo della logica è ricco di citazioni originali, e affronta
questo difficile argomento anche con una certa ironia ed eleganza letteraria.
Nell'opera, sono illustrati in modo semplice e sintetico i contributi portati a
questa disciplina dai vari filosofi nelle varie epoche. Si può considerare uno
dei pochi testi in cui la materia è esposta in modo chiaro, essenziale e
interessante. Di notevole interesse per le fonti storiche citate e per la
narrazione della genesi dei concetti scientifici sono la serie di opere
dedicate alla storia della scienza. Il primo saggio fu la “Storia del pensiero
scientifico” scritto in collaborazione con G. Santilana. Quest'opera ripercorre
la storia delle scienze matematiche, geometriche, astronomiche, meccaniche e
fisiche dall'antica Grecia fino ai giorni nostri, con numerose citazioni e
fonti storiche degli autori originari. A esso seguirono altri testi di
approfondimento, fra cui, “Il significato della storia del pensiero scientifico
e La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni; Lineamenti
di filosofia della scienza. Dei numerosi saggi dedicati agli aspetti filosofici
della scienza si desumono i principali lineamenti del suo pensiero
razionalista, che, a titolo orientativo si possono cercare di sintetizzare nei
seguenti punti: Equilibrio fra intuizione e ragionamento logico. Nelle
opere scientifiche gli argomenti sono esposti in modo intuitivo, evidenziando i
motivi sperimentali e oggettivi alla base di alcuni concetti astratti. Dopo la
descrizione dei suoi principi, si sviluppa poi la materia con criteri logici,
deducendo razionalmente le principali leggi, teoremi e applicazioni. Questo
carattere, comune anche ai grandi scienziati del passato (Galilei, Cartesio,
Newton, Eulero, Coulomb, ecc.) contraddistingue il metodo di Enriques, rispetto
agli indirizzi formalisti che si sono avuti nella logica e nella
matematica del XX secolo. Problema della specializzazione delle scienze: ha
colto questo aspetto critico delle numerose edeterogenee discipline
scientifiche nel XIX e XX secolo. Per superare il problema della eccessiva
frammentazione del sapere ha proposto di ripensare i concetti fondamentali
della fisica, della geometria, della matematica e delle altre scienze naturali
con criteri unitari, approfondendone il significato intuitivo, sperimentale e
la sua genesi storica. Approccio storico alla conoscenza scientifica. Questo
aspetto caratterizza il metodo di Enriques, che ha sviluppato con passione e
impegno moltissimi aspetti di storia della scienza. La storia della scienza fa
parte della scienza stessa. Per capire veramente un teorema non è sufficiente
capire solo la sua dimostrazione, ma anche il contesto storico nel quale è
stato formulato, quali sono stati i problemi tecnici che hanno portato alla sua
formulazione e come sono stati risolti tali problemi con l'applicazione delle
teorie scientifiche. Sviluppato in Italia il nuovo approccio di storia della
scienza avviato da Mach e da Duhem, precursori del gruppo di filosofi e
scienziati Professore del Circolo di Vienna. Valenza fisica dei concetti
geometrici. La geometria può essere considerata come il primo capitolo della
fisica, diversamente dai matematici e filosofici formalisti che la considerano
una scienza astratta. L'orientamento formalista nella geometria è stato
delineato da Kant (Critica della ragion pura) per il quale i postulati
geometrici non derivano solo dall'esperienza visiva, ma sono giudizi sintetici
a priori di carattere soggettivo e indipendenti dalle percezioni sensoriali. La
tesi di Kant è stata discussa dai massimi esperti di filosofia teoretica con
orientamenti contrastanti. Nel XIX secolo in opposizione a Kant si è delineato
un approccio fisico-sperimentale ai principi geometrici, al quale hanno aderito
molti storici e filosofi della scienza. Ha contribuito alla riscoperta del
significato più autentico, di carattere storico, intuitivo e sperimentale alla
base della geometria, della matematica e delle scienze fisiche. Contributi su
Scientia Articoli “Eredità ed evoluzione” su amshistorica.cib.unibo. “I numeri
e l'infinito” su amshistorica.cib.unibo. “Il pragmatismo” su amshistorica.cib.unibo.
“Il principio di ragion sufficiente” su amshistorica.cib.unibo. “Il problema
della realtà” su amshistorica.cib.unibo. “Il significato della critica dei
principii nello sviluppo delle matematiche” su amshistorica.cib.unibo. “Importanza
della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale” su
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pensiero” su amshistorica. cib.unibo. La filosofia positiva e la
classificazione delle scienze, I motivi della filosofia di Eugenio Rignano, su
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nella scienza, nella religione e nella morale, su amshistorica.cib.unibo. Archibald, R. C. Outline of the History of
Mathematics, su amshistorica. cib.unibo. Bignone, L'Aristotele perduto e la
formazione filosofica di Epicuro, su amshistorica.cib.unibo. Blanche, Le rationalisme de Wewell, su
amshistorica.cib.unibo. Bouasse H. Bachot
et bachotage, su amshistorica.cib.unibo.
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la connaissance de soi, su amshistorica.cib.unibo. Carbonara, C. Scienza e filosofia ai principi
dell'età moderna, su amshistorica.cib.unibo.
Carnap, R. L'ancienne et la nouvelle logique, su amshistorica. cib.unibo. Carnap, La Science et la Metaphysique devant
l'analyse logique du langage, su amshistorica.cib.unibo. Caullery, La science francaise, su
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of Peirce, su amshistorica.cib.unibo.
Correspondance du Marin Mersenne, su amshistorica.cib.unibo. Cournot Considerations sur la marche des
idees et des evenements dans les temps modernes, su
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dell'esperienza di Hume, su amshistorica. cib.unibo. Volpe, G. La filosofia
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degli stoici antichi, su amshistorica.cib.unibo. Jaffe, H. Natural Law as controlled but not determined
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propos d'un traite de mathematiques, su amshistorica. cib.unibo. Rensi, Le ragioni dell'Irrazionalismo, su
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d'art et langage des sciences, su amshistorica.cib.unibo. Smith, The Poetry of Mathematics and other
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hellène, su amshistorica.cib.unibo. Wind, E. Das Experiment und
die Metaphysik, su amshistorica.cib.unibo.
Wolf, A History of Science, Technology
and Philosophy, su amshistorica. cib.unibo.L'autore cura una decina di manuali
didattici di geometria e algebra elementare e oltre 20 trattati di matematica
superiore. Inoltre pubblica un'ampia serie di testi di storia e di filosofia
della scienza e numerosi articoli specializzati. Mille anni di scienza in
Italia, opera del Museo Galileo. Istituto Museo di Storia della Scienza di
Firenze Spoglio di articoli e recensioni disponibile sul Catalogo Italiano dei
Periodici (ACNP). Informazioni sulla storia editoriale di Scientia. Antonucci e
Beer, Sapere ed essere nella Roma razzista. Gli ebrei nell’università, Roma,
Gangemi editore, Collana Roma ebraica-7,
Nastasi, E. e la civetta di Atena, ed plus,Pisa, Comunità ebraica di
Livorno. TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E. E. (altra versione), in Enciclopedia
Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. E., su MacTutor, University of St Andrews, Scotland. Federigo Enriques, su
Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University. Opere
di E., su Liber Liber. E. su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di E., Polizzi, E.,in Il contributo italiano alla
storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,. Edizione
nazionale delle opere. Digitalizzazione completa di Scientia e Rivista di
Scienza su AMS Historica. Sito ufficiale del Centro Studi E. di Livorno.
"Le Armonie Nascoste", un recente documentario su Enriques su
lalimonaia.pisa. Coloro
che s'immergono nella dialettica, dice Aristone di Chio, fanno come i mangiatori
di gamberi: per un boccone di polpa perdono il loro tempo sopra un mucchio di
scaglie. Ma Hamilton, riportando il motto, vi aggiunge un’osservazione che non
sembra aver perduto valore ai nostri giorni. Da noi, dice, il filosofo perde il
tempo senza nemmeno gustare un boccone di polpa. Infatti il filosofo che ha
percorso gli studi romani antichi classici, domanderebbe invano alla dialettica
che gli fu insegnata, un concetto adeguato di quello che è l’ordinamento di un
calcolo deduttiva come la geometria, nonché una spiegazione del significato e
del valore dei principi che s’incontrano in la geometria. Che cosa e una
definizione, un’assioma, un postulato? Che posto occupano nell’organismo della
teoria dialettica? Quali sono i criteri che presiedono alla loro scelta o che
permettono di giudicare della loro accettabilità? Tutte queste domande rimangono
senza risposta, pel filosofo, se pure ad esse si alluse vagamente da qualche
oscura dottrina del concetto. Certo esse non ricevono lume dalle minute
classificazioni sillogistiche, per mezzo delle quali egli vien abilitato,
quando mai, a verificare ciò che non ha alcun bisogno di verifica, cioè la
coerenza formale di una dimostrazione geometrica. Ora è essenziale rilevare che
il filosofo, ponendosi il problema dell’ordinamento della propria disciplina, si
ritrova in faccia alla dialettica nella posizione stessa dei filosofi che hanno
lavorato a costruirne l’edifizio, giacche lo sviluppo della dottrina del ragionamento
procede appunto dalla critica dei filosofi che hanno riflettuto intorno alla
natura e all’ordine della consequenza logica. Come padre della dialettica viene
designato Aristotele. Ma Aristotele non può essere ritenuto se non raccoglitore
e sistematore di ciò che nella dialettica e elaborato prima di lui, qualunque
sia il contributo originale che può aver recato al sistema. L'affermazione
precedente apparirà tosto giustificata quando si ricordi che le matematiche
avevano raggiunto, già all’epoca di Platone, uno sviluppo assai elevato, [Il
vanto che Aristotele dà a sè stesso (al termine degli Elenchi Sophistici) di
aver creato una nuova scienza, appare, a chi legga tutto il paragrafo,
riferirsi in modo stretto alla scienza della discussione o dialettica o
collequenza e ad ogni modo non prova nulla contro il nostro asserto. La logica
degli anlichi fiacche — a partire da Ippocrate di Chio — si cominciò a scrivere
trattazioni dei suoi Elementi. Anche, che anzi, proprio all'epoca di Platone, ed
in più o meno stretta connessione coll’accademia da cui pure usce Aristotele,
alcune teorie aritmetiche furono oggetto di una profonda elaborazione critica
(Eudosso, Teeteto...), che costituisce il precedente storico degli Elementi
d'Euclide. Anche, che, d’altra parte, la dialettica aveva ricevuto uno
straordinario sviluppo nelle discussioni dei Sofisti, sia presso i primi
insegnanti salariati che presero tal nome, filosofi — come Protagora dì Abdera
— sostenitori dell’ empirismo avverso il razionalismo metafisico del circolo di
Velia, sia, più specialmente, presso i Megarici ed altri pensatori affini, che,
in connessione coi circoli socratici, ripresero e svolsero in un modo
formalistico la veduta veliatica. La finezza di alcuni sofismi attribuiti a
filosofi di Velia, basterebbe da sola a testimoniare della profondità dell’analisi
da essi ragggiunta, di fronte a cui fanno talora meschina figura le spiegazioni
o confutazioni d’Aristotele negli Elenchi Sophistici. Aggiungasi che le stesse
polemiche aristoteliche contro avversari non nominati (per esempio, intorno
alla necessità e al carattere dei principi negli Analytica posteriora) valgono
ad indicare che il problema logico dell’ordinamento di un calcolo
analitico-deduttivo si dibatte secondo vedute diverse, alcune delle quali si
riveleranno — ad un esame approfondito — più vicine alle vedute moderne, in
confronto a quelle adottate dal filosofo di Stagira. I trattati d’Aristotele,
che furono raccolti sotto il nome comprensivo di Organo, manifestano la doppia
origine, dalla critica dell’aritmetica e dalla pratica della colloquenza.
Infatti, i primi due saggi (Categoriae e De Interpretatione) si riferiscono
alla classificazione o tassonomia delle espressione isolate e della
proposizione, formando quasi una introduzione a tutta l’opera. I due saggi successivi
(Analytica priora e Analytica posteriora) svolgono appunto la colloquenza come
calcolo, quale risulta dall’analisi del ragionamento. Invece i due saggi
(Topica ed Elenchi Sophistici) concernono l’arte della colloquenza o argomentare,
mirante — non all’analitico ma soltanto al ‘desirabile’ ed al ‘credibile’ o ‘probabile’
in rapporto alla pratica della colloquenza. Aristotele ritiene per quest’arte
il nome eleatico-platonico di ‘colloquenza’, mentre distingue col nome di
propedeutica analitica – lo studio dell’analitico -- l’esame del procedimento
della scienza dimostrativa, in cui dalla possibilità della scienza si desumono
le condizioni del suo ordinamento questo senso è stato ripreso da Kant in
quella parte della Critica della ragion pura che costituisce l’Analitica
trascendentale. L’espressione ‘logicus’ è usato dal nostro per designare
procedimenti del discorso che, non partendo da principi, non hanno valore
dimostrativo. Ma quest’espressione s'incontra, già prima, [Quest’osservazione è
fatta da Pranll, Geschichte der Logik. La logica degli antichi nel titolo di un
saggio di Democrito d’Abdera: rtepi
Xoytxwv i) xavwv. E nella misura in cui si può ammettere che Aristotele ne
abbia conservato il ‘significato’, rivelerebbe una diversa cocezione (più
relativa e formale) del ragionamento: la quale s’incontra di fatto dopo
Aristotele, e spalmente presso gli Stoici. Ora questi filosofi, appunto a
partire da Zenone Cizio, designano come “to logikón” quella parte della
filosofia che ha relazione al “logo” o discorso, e che comprende questioni
attinenti al ragionamento e questioni rettoriche o di grammatical della
profundita; mentre la scuola contemporanea di Epicuro ha tratto sicuramente da
Democrito il nome di canonica, con cui designa le regole del metodo. Siffatte
osservazioni, tendono a mostrare che l’influenza della vasta opera aristotelica
sui successori, non fu così esclusiva come di solito si ammette, e c’inviterà a
ricercare in questi stessi successori il riflesso delle opinioni più antiche,
ed in particolare di quelle del maestro d’Abdera. Per formarsi un concetto
dell’origine della logica, sarebbe interessante di ricercare se e quali
([Diels, Die Fragmente der Vorsokraliker: Dem.A 33, B. 10^. Diog. Laert. VII,
33 (In Arnim, Diogenes, 16). CO Aggiungeremo che Prantl opina che il nome
proprio vj, come appellativo della scienza del ragionamento, o come nome comprensivo
di esso e della rettorica, introduca piuttosto dai tardi peripatetici che dagli
stoici] rapporti sieno interceduti fra la critica dei matematici e le sottili
disquisizioni e implicature dei sofisti. Clairaut, per spiegare il rigore del
ragionamento di Euclide, notta: ce geomètre avait à convaincre des Sophistes
obstinés qui se faisaient une gioire de se lefuser aux vérités le plus
évidentes. Houel ripette che la forma dogmatica d’Euclide è dovuta a “sa
préoccupation de fermer avant tout la bouche à des sophistes que la Grece avait
le tori de prendre au sérieux.” “De là,” egli aggiunge, “son habitude de
demontrer toujours qu' une chose ne peul pas ótre au lieu de demontrer qu’ elle
est.” Queste affermazioni sono state frequentemente contestate, giacche è
difficile riconoscere che i sofisti abbiano esercitato un'influenza diretta,
non dico sopra Euclide, ma nemmeno sopra i geometri, suoi predecessori, che
hanno elaborato criticamente la scienza matematica. Tuttavia si può citare, a
questo proposito, qualche accenno ad una polemica antimatematica di Protagora e
di Antifonte tendente a restituire (avverso la filosofia razionalistica) il
carattere empirico (alla Mills, i. e., sintetico, non analitico) ai concetti
della geometria: argomenti dello [Elementi de geometrie, Parigi] [Essai
critique sur les Principes fondamenlaux de la Géométrie” Parigi] Nondimeno i
rapporti amichevoli di Protagora col matematico Teodoro di Cirene sono
attestati da Platone: Teeteto 161 b 162 a. (Aristotele, Met. II, 2. (20). Cfr.
Simplicio in Aristotele Phys.: Diels B. 13. La logica degli antichi] stesso
genere vedonsi comunemente ripetuti dagli empiristi» e — per quanto concerne
l'antichità — si trovano raccolti da Sesto Empirico (‘). Ma, qualunque veduta
si abbia intorno alle idee espresse da Clairaut e da Hoiiel (che sono errate
almeno per quel che concerne la svalutazione del movimento sofistico I), un
altro nesso, più importante, appare fra la critica logica dei matematici e la
dialettica dei sofisti, poiché l’una e l’altra sono generate insieme dalla
filosofia di Velia. Infatti Zenone di Velia, è additato, dallo stesso
Aristotele, come inventore di quell’arte litigiosa che è la dialettica e,
d’altra parte, l’analisi penetrante di Tannery e di Zeuthen sui celebri
argomenti intorno al moto (la dicotomia, l’Achille, la freccia, ecc.), ha messo
in evidenza il loro significato e valore matematico, sicché il sottile
dialettico in cui la tradizione non ha veduto che un ragionatore ‘paradossale’,
si scopre ai nostri occhi come iniziatore di quell’ ordine di considerazioni
che costituisce l'analisi infinitesimale. Ed é sommamente istruttivo
riconoscere che proprio dalle considerazioni infinitesimali — in cui il
pensiero i trova esposto a non sospettate fallacie — trae origine la critica
del ragionamento, onde ne esce fuori la sco¬ perta del principio di contraddizione
e il procedimento [Adversus Aialhcmaticos, I. III. (2 ) Cfr. Diog., L., Vili,
57; Sesto Adv., Math., VII, 6 (in Diels, Zenone, A, IO); Aristotele ed. Didot]
di riduzione all'assurdo, o eliminazione della negazione. Democrito che
spingerà innanzi l’analisi infinitesimale, scoprendo il volume della piramide,
viene parimente ricordato da Diogene Laerzio come prosecutore della dialettica
zenoniana. Ma importa spiegare, sia pure con brevità, come le origini
dell’analisi infinitesimale si riattacchino ad un critica dei principi della
geometria, a cui pertanto viene a connettersi lo sviluppo della logica. La dimostrazione
delle cose che qui asseriamo si troverà nei lavori degli storici sopra citati, ed
anche in altri nostri scritti, in cui abbiamo trattato più particoiar-mente
questo soggetto. Secondo le notizie che ci vengono fornite da Proclo, nel
commento al primo libro dell' Euclide, le principali teorie geometriche che
costituiscono gli Elementi furono elaborate dai pitagorici e ricevettero già a
Crotone uno sviluppo dimostrativo. Zeuthen suppone che il punto di partenza di
questo sviluppo sia stato il tentativo di stabilire in generale la relazione
fra i quadrati dell’ipotenusa e dei cateti del triangolo rettangolo, nota sotto
il nome di teorema di Pitagora. D’altronde vi sono numerosi indizi che la
geometria pitagorica avesse come fondamento una teoria delle proporzioni (symmetria,
o della misura o analogia), basata sopra un concetto EMPIRICO del punto-esteso,
preso come [Cfr. Enriques, Il procedimento di riduzione all'assurdo, Bollettino
della Mathesis ».Cfr. in ispecie Tannery, Pour la Science hellcne, cap. X. La
logica degli antichi] elemento unitario di tutte le cose (monade). Così l’affermazione
pitagorica che le cose sono numeri è da interpretare nel senso che un corpo, o
una figura geometrica, che in questo stadio della filosofia si pensa in maniera
concreta, e un aggregato di punti, cioè unità aventi posizione. Ma l’ipotesi monadica
traeva con se la commensurabilità (simmetria) di due segmenti qualsiansi, che
appunto rendeva senz' altro possibile la misura, e questa conseguenza doveva
urtarsi — nel stesso circolo pitagorico— colla scoperta che la diagonale e il
lato del quadrato sono incommensurabili. Ora, mentre i pitagorici si
affaticavano intorno a questa difficoltà, altri filosofi che del resto sono usciti
dai medesimi circoli, iniziano la critica dei concetti geometrici, riconoscendo
che un ragionamento, il quale voglia mantenersi immune da contraddizioni, deve
riguardare il punto come privo di estensione, la linea come lunghezza senza
larghezza, la superficie senza spessore, e di qui vengoo naturalmente condotti
alle prime considerazioni infinitesimali. Questi critici razionalisti sono i
filosofi di Velia: Parmenide e il suo discepolo, l’italiano Zenone. La loro
speculazione segna un punto decisivo nella storia della filosofìa, perocché
essa proclama nettamente, per la prima volta, i diritti della ragione: il ragionamento
coerente viene assunto [Parmenide è annoverato fra i pitagorici nel catalogo di
Giarablico (Diels, Pyth, 45, A.) e delle sue relazioni con altri pitagorici ci
viene attestato da Diogene Laerzio. Senz’ altro a misura della verità, cioè
dell' esistenza metafisica, distinta e contrapposta all’ opinione probabile che
si riferisce alla realtà sensibile. Da questo razionalismo, per cui il pensiero
non esita a staccarsi dalle apparenze fenomeniche per serbare rigida fede ai
suoi principi, nasce — come si è detto — il metodo dialettico, che è il germe
della logica. La quale ebbe a svilupparsi di poi, mentre fervevano le
controversie fra empiristi e razionalisti, e — per opera di questi — si
proseguiva lo sviluppo dell analisi infinitesimale (Democrito), e se ne indagava
criticamente i principi (Eudosso). Ma, poiché questa critica — toccando alla
teoria fondamentale degli incommensurabili e delle proporzioni — veniva ad
involgere l’intiero problema dell’assetto rigoroso della geometria, la ricerca
logica non poteva limitarsi all’ analisi dei sottili procedimenti implicaturali
della deduzione, anzi doveva naturalmente estendersi all’ordinamento della
scienza e alla valutazione dei suoi principi. In rapporto a ciò che precede
riescono sommamente espressivi ed interessanti i giudizii di Plato ne, sebbene
forse, si sia esagerata dallo Zeuthen l’influenza che il filosofo ateniese può.
“Sur la riforme qu' a subie la malhématique de Platon à Euclide et gràce à
laquelle elle est devenue Science raisonnée, “Memorie dell’ Accademia di
Copenhagen”)] avere esercitato su pensatori matematici quali Eudosso Teeteto,
allorché designa il movimento critico el tempo col nome di riforma platonica
dèlle matematiche. Riferiamo alcuni passi della Republica 510. Quelli che si
occupano di geometria e di aritmetica ecc. assumono il “pari” ed il “dispari”,
e le figure e tre specie di angoli, e altri simili supposti nelle dimostrazioni;
e come avendone certa scienza questi supposti li prendono per base, e quasi
fossero evidenti non pensano affato a darne alcuna ragione, nè a se stessi, nè
agli altri; anzi, di qui partendo, ordinatamente dimostrano lutto il resto
giungendo infine a ciò che si proponevano di dimostrare. Essi si valgono, per
ciò, di figure visibili, e ragionano su di esse, non ad esse pensando, ma a
quelle di cui queste sono l’immagine, ragionando sul quadrato in se stesso e
sulla sua diagonale, anziché su quello o quella che disegnano; e cosìutte le
figure che formano o disegnano (quasi ombre o immagini specchiate dall' acqua),
tutte le adoperano come rappresentazioni, cercando di vedere attraverso di esse
i loro originali, che non sono visibili se nndall’intelligenza (5:cV3ix).... ».
(511). Questa specie invero io la dicevo intelligibile, e intendevo dire che
l’anima nell’ investigazione di essa, è costretta a valersi di remesse. Ci
valiamo dell’ed. Didot e della trad. it. edita da Laterza, che riportiamo con
lievi modificazioni. non procede al principio, perchè non è in grado di andare
oltre alle premesse, ma si vale, come d’ immagini, degli originali appartenenti
al mondo di quaggiù, da esse imitali, valutandoli e stimandoli come eidenti di
fronte a quelle,” mentre “il ragionamento che usa la forza della dialettica,
considerando le remesse non come principi ma soltanto come pre¬ esse — quasi
punti d’ appoggio e di partenza — giunge a ciò che più non ha premesse, cioè al
principio universale, e raggiuntolo e tenendosi fermo alle conseguenze che ne
derivano, perviene al fine senza far uso di nessun sensibile, cioè procede
dalle idee stesse alle idee attraverso le idee, per finire alle idee. Di qui la
distinzione posta fra la ragione del dialettico (vo’jc, vóy}oic) e
l’intelligenza del geometra (3:xvo:s() che sta di mezzo fra l’opinione e la
ragione”. La stessa distinzione ritorna in: Rep. (533c,...): la geometria e le
scienze affini sognano rispetto all’ essere, ma è imposibile che lo vedano ad
occhi aperti, intanto che si valgono di postulati e li tengon fermi, mentre non
sanno renderne conto. Veramente la disciplina, che ignora il suo principio, e
che ha la fine e il mezzo legato a ciò che non sa, come si potrebbe chiamarla
scienza?... ».Vi è qualche difficoltà a comprendere queste vedute. Anzitutto
giova respingere l’ interpretazione più comune, che stabilisce una differenza
radicale fra la ragione del dialettico e l’intelligenza del geometra, giacché
non si riesce a dare alcun significato alle idee platoniche, se non ammettendo
che esse esistano nello stesso modo in cui si afferma l’esistenza di rapporti o
di forme matematiche nella natura. L' apparente contraddizione fra questo modo
d'intendere la dottrina e le parole del testo sopra accennato, si toglie
ammettendo che il posto inferiore attribuito alle matematiche di fronte alla
dialettica, si riferisca non tanto alle matematiche pure, costruibili come scienze
(pafW’yiJ.aT*) secondo l’ideale del nostro, quanto alle matematiche considerate
come arti (zl'/yy.:). Ed in appoggio a tale veduta si possono citare altri passi
dello stesso dialogo, p. es.: Rep. (527)
anche coloro che sono poco profondi in geometria, non metteranno in
dubbio che questa scienza è tutto il contrario di quanto parrebbe dalla
terminologia che usano quelli che la professano. È una terminologia troppo
ridicola e misera, perchè — quasi si trattasse di scopo pratico — parlano
sempre di quadrare, di prolungare o di aggiungere. Invece tutta la scienza si
coltiva collo scopo di conoscere”. Ma qual’ è l’ordinamento della geometria
vagheggiato da Platone? su che base vorrebbe egli edificarne i principi? I
passi citati indicano assai chiaramente che per conferire alla scienza un valore
razionale, il filosofo [Cfr. G. Milhaud: Les philosophes géometres de la Grece.
Parigi, Alcan; Enriques: Scienza e razionalismo, Bologna, Zanichelli] vorrebbe
eliminare quelle domande che si pongono a fondamento delle dimostrazioni, sotto
il nome di postulati (axioma), mercè cui si assume la possibilità di certe
costruzioni, facendo appello ad operazioni pratiche sopra modelli sensibili. La
base della geometria, edificata secondo i criteri della dialettica,
consisterebbe duue in pure definizioni (il procedimento dialettico ha appunto
come scopo di definire i concetti !) o in principi evidenti — quali gli assiomi
— che Platone riguarderebbe come conoscenze innate, giusta la teoria della
reminiscenza (annamnesis) esposta nel Menone. In tal guisa le proprietà
elementari che una figure visibile ha porto occasione di riconoscere, merce 1
intelligenza ideahzzatrice (dianoia), apparirebbero fondate sulla pura ragione
(nous). Rivolgendoci agli Analytica di Aristotele, vi troveremo notizie più
precise sui criteri adottati dai geometri nell ordinamento logico della
scienza, criteri che sara interessante di raffrontare a quelli che appaiono, in
atto, negli Elementi euclidei. Già al principio degli Analytica priora, l’autore
definisce il concetto della scienza di cui imprende lo studio. Anzitutto e da
dire il soggetto e lo scopo di questo studio: il soggetto è la dimostrazione e
lo scopo è la scienza dimostrativa (à~:a~y.tirj à7to8sM~:xf/). Quindi, negli
stessi Analytica priora, viene a stabilire la teoria del sillogismo (teorico o
aletico, e pratico o volitivo), e passa poi ad esaminare — nei posteriora —
l’ordinamento delle scienze deduttive, riferendosi perciò continuamente alle matematiche.
Quest’ ultimo trattato, che qui occorre specialmente esaminare, si apre coll’
enunciato che ogni conoscenza razionale, sia insegnata, sia acquistata, deriva
sempre da conoscenze anteriori. L'osservazione mostra che ciò è vero di tutte
le scienze. Infatti questo è il procedimento delle matematiche e, senza eccezione,
di tutte le altre arti. Ora dal concetto stesso del sapere segue
necessariamente che la scienza dimostrativa procede da principi veri, da principi
immediati, più noti che la conclusione, di cui sono la causa ed a cui precedono.
Aristotele (ibidem, 1, 3) esamina e respinge le obiezioni di due specie di
avversari di questa dottrina, i quali pretendono o che non vi sieno principi e
però che la dimostrazione riesca impossibile, dando luogo ad un regresso all’
infinito; o, all' opposto, che il procedimento della dimostrazione sia affatto
relativo, sicché i principi possano provarsi partendo dalle conclusioni, così
come le conclusioni dai principi: ciò che egli dice dar luogo ad un circolo
vizioso. Sarebbe assai interessante conoscere gli avversari [Cfr. Enriques: Il
concetto della Logica dimostrativa secondo Aristotele in « Rivista di filosofia
») An. post. I, 2 (6). a cui il nostro si riferisce. Forse la prima obiezione
apparteneva alla polemica antimatematica di filosofi empiristi, mentre la seconda
potrebbe essersi presentata nei circoli megarici (imbevuti del relativismo
veliatico) ovvero a Democrito o ad altri matematici, critici dei principi della
scienza. Ad ogni modo, della veduta qui espressa — che è solo apparentemente
illogica — ci colpisce l'analogia che essa presenta con talune vedute moderne.
Aristotele combatte questo relativismo, poiché tutta la sua metafisica,
ispirata alla dottrina platonica delle idee, e soggiacente alla sua logica,
reagisce appunto alle tendenze relativistiche delle speculazioni, che dalla scienza
presocratica erano passate nel dominio del costume e delle credenze religiose,
in guisa da minacciare le condizioni della vita sociale nel mondo ellenico. Il
parallelismo che i veleiatici avevano scorto fra il logo o ragione e l’essere,
e che i sofisti (avversari e prosecutori) avevano interpretato nel modo di
proiettare nella realtà l’arbitrario che è proprio della libera critica,
riceve, nella dottrina socratico-platonica, una interpretazione inversa.
Infattim la teoria ontologica delle
idee, suppone un ordine assoluto di consistenza che stanno di fronte alla
ragione come dati, sopra cui esso ha da modellare l’ordine della propria
scienza. Così dunque Platone vede nella classificazione delle forme geometriche
un modello della gerarchia delle specie naturali, la quale si rispecchia nquel
procedimento più generale di “divisione” (diaresis) e di definizione (horismos)
che costituisce la dialettica. Ed analogamente per Aristotele, il rapporto necessario
ed irrversibile fra causa ed effetto, offerto dalla natura, si riflette nel
rapporto fa premesse (p) e conseguenze (q) della scienza dimostrativa (p
implicat q); la quale perciò possiede un ordine naturale che non può essere
invertito, onde i suoi principi appariscno assolutamente indimostrabili, An.
post. I, 2 (9): Bisogna che i principi da cui si parte sieno indimostrabili.
Altrimenti, non possedendone la dimostrazione, on potrebbero ritenersi noti,
poiché sapere in modo non accidentale le cose di cui la dimostrazione è
posibile, è possederne la dimostrazione, Ora, proseguendo l’esame degli Analityca
posteriora, veniamo istruiti più precisamente che i principi della scienza, si
lasciano distinguere in più specie. Primo, i Termini o definizioni (3 poi),
cioè supposizioni del ‘significato’ (semiosis,segno) dell’espressione (in
linguaggio moderno: assunzioni di concetti primitivi non definiti) e
definizione propriamente detta. Secondo, Supposizioni d’esistenza del genere e
delle sue modificazioni, cioè delle cose designate dai termini. Terzo, Proposizioni
immediate che occorre necessariamente [La teoria logica della definizione è
trattata da Aristotele in An. post. II, e specie nei Capi 9 e 12: dove si
pscrive la regola di restringere successivamente l’estensione del genere
aggiungendo — nell’ordine naturale — la differenza specifica che lo delimitano,
fino a che esse circoscrivano, nel loro insieme, l’estensione del soggetto da
definire] riamete conoscere per apprendere qualsiasi cosa, le quali vengono
chiamate assiomi (ófiwpaTsc) giacché vi sono proposizioni di tal natura e ad
esse si riserva abitualmente questo nome. Infine anche ipotesi o postulati
(odr^i-istra), che s'introducono effettivamente nell’ insegnameto delle
matematiche (o anche nella discussione) domandando al discente di ammettere
l'esistenza di qualche cosa di cui egli non abbia alcuna idea, ovvero abbia
un’idea contraria. Qui d concetto d Aristotele riesce alquantscuro, iacché da
una parte egli sembra ammettere (come Platone) che un postulato potrebbe essere
eliminato * postulato... e ciò che si pone senza dimostrazione, quantunque
potrebbe dimostrarsi, e di cui ci si serve senz’ averlo dimostrato » (I, 10 (8)
); e d’ altra parte (riferendo evidentemente le vedute dei geometri) egli
avverte che una definizione non e un’ ipotesi perchè non dice se la cosa
definita esista oppur no. Ma probabilmente il suo pensiero è che il sapere
dovrebbe edificarsi su quelle sole supposizioni d'esistenza che hanno carattere
di necessità, essendo vere di per sé stesse (xaO’ alili), le quali non si
possono considerare come ipotesi o postulati.. (1, 10(7)), imperocché la
dimostrazione si rivolge non alla parola esteriore, ma alla parola interiore
dell’animo. Con ciò il Nostro fa appello a quel sentimento d’evidenza del
pensiero che Platone. Usalo dai pitagorici secondo Giamblico (in Diels, D, 6). ha
rappresentato come intima sincerità nel Teeteto, servendosi quasi delle stesse
parole. Tuttavia Aristotele critica la teoria platonica della reminiscenza, negando
che vi siano conoscenze innate. La conoscenza universale dei principi viene per
lui acquisita indubbiamente dalla sensazione. Essa si produce mercè l’unità
dell’ esperienza che sussiste nell' anima, nonostante la molteplicità degli
oggetti, in forza della facoltà di fissare ciò che vi è di simile o d’identico
nei particolari e di riconoscerlo come dato del pensiero. (An. post. 11, 15
(5,6, 7)). Ciò non toglie all’ assoluta verità che l'intelligenza idealizzatrice
(òtavaa), fondamento della scienza, conferisce ai suoi principi (II, 1-5 (8)). Alle
dottrine d’Aristotele giova paragonare quelle che appariscono nell’ ordinamento
degli Elementi di Euclide: Il ragionare è un discorso che l'anima rivolge a sè
stessa, per sè, intorno alle cose che consideri nemmeno in sogno hai ardito
dire a te stesso che il dispari è pari, o altra simile cosa. An. priora II, 21 (7)
e An. post. I, I (7). Heiberg, Euclidis opera omnia, Teubner, Lipsia, Secondo
le indicazioni del commentatore Proclo di Bisanziom Euclide sarebbe vissuto in
Alessandria al tempo del re Tolomeo. Le opere di Aristotele che conosciamo sembrano
appartenere all’ultimo decennio della sua vita. Nei quali si trovano tre specie
di principi: 1) termini o definizioni (Spot): 2) postulati 3) nozioni comuni
(y.otvof Ivvoiat). Non è qui il luogo per sottoporre ad un’analisi appiofondita
queste premesse, che — a dir vero — sono lungi dall’apparire soddisfacenti,
tanto che da Tannery si è perfino messo in dubbio la loro autenticità; solo,
riferendoci alla critica che ne ha fatto lo Zeuthen, Limiteremo ad alcune
osservazioni logiche. Ma anzitutto vogliamo arrestarci un momento sopra una
questione di parole. Non pochi si meravigliano che Euclide usa l’espressione
‘nozione comune’ per designare quelli che Aristotele chiama (coi matematici
pitagorici) * assiomi», tanto più che — si dice — l’espressione « evvow »
compare solo più tardi nel linguaggio degli Stoici. Ora non è fuor di luogo
rilevare che la stessa espressione si trova pure in Democrito. Il rilievo
assume interesse per la circostanza che Democrito compose, circa cent’anni
prima d’ Euclide, degli Elementi, che non sono annoverati nel sunto storico di
Proclo, ma di cui Trasillo ci ha conservato i titoli (:J ); tanto più che
questi lasciano (*) Clr. Hisloire dea malhimallquea traci, dal danese di Mascari
(Parigi, Gauthier-Villars): n. 14, 69 94. Cfr. Sesto in Diels, A, III. (3 )
rsti>|isi?t>t(óv (A, li?), Api0|io£, IIspl à/.dyfev Ypxfijitòv stai
vxowùv A, li (cfr. Diels B, II", II 0, I |P)] scorgere un ordinamento
della materia simile a quello adottato dallo stesso Euclide. Non sembra fuor di
luogo congetturare che nella terminologia democritea gli assiomi venissero
appunto designati come nozione o nozione comune, e che il geometra
alessandrino, imprendendo a sistemare la stessa materia, in rapporto ai
progressi critici del secolo, abbia conservato la denominazione del suo
illustre predecessore: al quale di preferenza doveva guardare. Diciamo ora che
la distinzione fra le nozioni comuni o gli assiomi, e i postulati, viene spiegata
da Gemino in Proclo come analoga a quella fra teoremi e problemi, o fra
identità e equazioni, in quanto i primi porgono delle relazioni, per cui certe
proprietà resultano conciute come conseguenza di altre date, laddove i secondi
assegnano costruzioni elementari, ciò che, nel concetto dei antichi, significa
affermare l’ esistenza di enti particolari cui s’impongono certe condizioni.
Questo carattere costruttivo sembra mancare soltanto al post. 4 (tutti gli
ngoli retti sono uguali fra loro); ma Zeulhen spiega come in tale affermazione
debba vedersi un complemento del post. 2, nel modo di affermare che il prolungamento
di una retta è unico. In appoggio della nostra veduta può valere, forse, un
passo del noto commento. Prodi Diadoclii in primum Euclidis Elemenorum librato
commentarii (ed. Friedlein), in cui sembra che Proclo alluda all'uso dei
geometri di chiamare nozione comune ciò che Aristotele chiama assioma. Cfr.
Vailati, Scritti, Proclo osserva pure che gli assiomi e i postulati
differiscono anche per essere: questi, principi particolari della geometria, e
quelli, principi comuni alle varie scienze; infatti si tratta qui delle
proprietà generali dell uguaglianza e diseguaglianza fra grandezze. Infine la
distinzione fra le due specie di principi si accorda anche col criterio
d'Aristotele, che riconosce negli assiomi delle verità cessarie ed indimostrabili,
perchè evidenti di per se (xocS' èx jvx), e nei postulati delle verità —
partecipanti ad un’ altra specie di evidenza (sensibile) — che non risultano
ugualmente dviyxw dal significato dei termini che vi figurano: la natura del principio,
enunciato da Euclide come nozione comune, sembra infatti rispondere a questo
criterio. Ma se taluni geometri (al dire dello stesso Proclo) recusavano di
distinguere assioma e postulato, mancano tuttavia indizi per affermare che essi
respingessero il significato che Aristotele e probabilmente altri ancora
(secondo la metafisica del senso comune) attaccavano a codesta distinzione,
così come lo respinge la critica moderna, che per tale motivo appunto —
considera ugualmente le proposizioni primitive della scienza quali postulati,
da ricevere, in una qualsiasi teoria deduttiva, come dati anteriori allo
sviluppo della teoria stessa. Un piccolo lume ci è recato in tali questioni dal
riferimento dello stesso Proclo circa un tentativo di dimostrare l'assioma I
(cose uguali ad una terza sono uguali fra loro), che sarebbe stato fatto da
Apollonio. Infatti della tentata dimostrazione viene porto il seguente cenno. Sia
a uguale a b, e b uguale a c; dico che a è uguale a c. Invero a occupa Io
stesso luogo (córto;) di b, e così b occupa lo stesso luogo di c; quindi anche
a occupa lo stesso luogo di c. Questo ragionamento indicherebbe forse che
Apollonio voleva ricondurre il concetto euclideo di ‘eguaglianza’ geometrica al
caso della sovrapponibilità delle figure, facendo appello ad esperienze ideali
di movimento, mercè cui poteva iludersi di ridurre ad una pura proposizione
identica la proprietà transitiva di quella relazione. Mentre il ricorso a
siffatte esperienze ci avverte appunto (con Helmholtz e Stolz) che il detto
assioma 1 ha un significato o carattere sintetico e non può ritenersi come una
semplice proposizione analitica (vera per definizione). Comunque il rifermento
accennato lascia presumere che la critica dei principi sia stata spinta innanzi
da Apollonio, dopo Euclide, con quella penetrazione di cui volentieri siamo
disposti ad accreditare il grande geometra iPerga. Ritorniamo all' Euclide per
esaminare, in breve, i principi eh' egli ha designato col nome horós: termine o
definizione. Se essi vengono considerati come definizione, non si può a meno di
rilevarne la manchevolezza, poiché non offrono, spesso, che descrizioni atte a
indicare la genesi psicologica dei concetti. Così, p. es., in 3 e 3, dove si
dice che gli estremi di una linea sono punti, e che gli estremi di una
superficie sono linee. Ma, verosimilmente, queste ed altre spiegazioni sono da
considerare in rapporto alla tradizione storica precedente, come un richiamo
dei caratteri per cui gli enti delia geometria razionale appaiono idealizzazioni
dell'esperienza: p. es. le I, 2, 5 stanno a ricordare che — secondo il risultato
della critica veliatica il punto è inesteso, la linea è lunghezza senza
larghezza, e la superficie non ha spessore. Anche quelle che si presentano come
definizioni propriamente dette, non ottemperano sempre al criterio fondamentale
enunciato da Aristotele, che l’insieme degli attributi restringa l’estensione
del genere in guisa da non appartenere ad alcun concetto più esteso. Per questo
motivo sembra insufficiente la def. 4, inea retta è quella che e posta ugualmente
rispetto ai suoi punti. Imperocché, se s interpreta come si usa comunemente, retta
è quella linea che è divisa in due parti uguali da qualsiasi uo punto’, si
enuncia una proprietà non caratteristica della retta, che appartiene anche
all’elica (cfr. Apollonio in Proclo: 105, 5). Ora conviene aggiungere che
Euclide, non soltanto suppone l’esistenza di ciò che viene immediatamente
designato da alcuni termini, ma sembra anche introdurre surrettiziamente alcune
ipotesi esistenziali, per mezzo di definizioni, laddove — per analogia coi
criteri seguiti in altri casi — si sarebbe aspettata l'esplicita introduzione
di un postulato. Ciò accade, in ispecie, per quel che riguarda le intersezioni
di rette e circoli, le assunoni adoperate nelle prop. I, 12, 22 sembrando giustificarsi
(secondo che osserva ) Cfr. Proclo 1. linea II] Zeuthen) mediante la
definizione (15) del circolo come figura piana compresa da una sola linea. Ma
non giova insistere su tali difetti, che apparten¬ gono all’esecuzione e non
modificano i criteri logici del disegno. Restando nell’ordine d’idee euclideo,
avremmo soltanto da completare i postulati coll’ enunciare esplicitamente i
casi d'esistenza delle interse¬ zioni di rette e cerchi o di due cerchi, che si
offrono nelle costruzioni elementari. Interessa piuttosto di rile¬ vare come
queste ipotesi esistenziali, che la geometria antica introduceva nei singoli
casi, mercè appropriate costruzioni, oggi si lasciano dedurre da un unico principio
generale di continuità, onde l'affermazione d’esistenza si libera dalla ricerca
dei mezzi costruttivi, complicantisi colla natura del problema. E questo un
progresso conforme all'indirizzo preconizzato da Platone, che— come si è visto
— repugnava appunto da ciò che sa di pratico o di meccanico nella formu¬
lazione dei postulati. Nota. A complemento di quel che si è detto intorno alla
geometria euclidea, aggiungeremo che Archimede (5) sembra classificare e
distinguere i principi in modo diverso, poiché (in una lettera a (Cfr. p. e*.
I* art. 5° di G. Vii a li nelle Questioni riguardanti le matematiche elementari
raccolte e coordinate daF. Enriques Voi. J, Bologna, Zahelli. De sphaera et
cilindro in « Archiinedis opera omnia cum commentari^ Eutocii », ed. Heiberg.
Lipsia, 1910. Cfr. The Work* of Archimedes, e. Heath, Cambridge, Capitolo I
Dositeo) chima «assiomi» (à^:ih\i.xTx) le definizioni accompagnate da supposizioni
d’esistenza: p. es. esi¬ stono linee piane che giacciono tutte da una parte
ecc., e queste si dicono concave; mentre poi dà il nome di * assunzioni »
(Aa|l3*V0;xsva) a taluni principi (teoremi precednemente stabiliti o postulati,
assai eleganti) da cui muove la sua trattazione: p. es. la retta è la linea più
breve tra due punti. Il commento d’Eutocio restituisce agli àfjuojtara
archimedei il nome di opy. ConsiderazioSe ora, riguardando soprattutto ai
secondi Analitici d’Aristotele e agli Elementi d’Euclide, cerchiamo di
esprimere le nostre impressioni in un giudizio sintetico sulla logica degli
antichi, domandandoci fino a che punto i loro criteri ci sembrino accettabili o
esaurienti, siamo condotti alle seguenti riflessioni. La logica dei antichi
suppone un ingenuo realismo per cui il pensiero appare come la copia o la
visione di una natura esterna. Così il numero dai pitagorici e lo spazio
continuo dagli eleati, sono pensati in concreto, ad imitazione di quella
sostanza cosmica che viene figurata costituire il sostrato naturale (la epa:;)
di tutte le cose. La supposizione realistica è tipicamente espresa nella teoria
delle idee di Platone, che (orma infine la metafisica soggiacente alla logica
d'Aristotele. Da essa deriva il carat¬ tere di necessità dei principi, e quindi
la pretesa di un ordine naturale della scienza, facente capo a pre- messe
assolutamente indimostrabili; la qual pretesa viene corretta, almeno in parte,
nelle vedute dei geometri. Ma dallo
stesso realismo, ha origine la radicale manchevolezza della teoria della
definizione. Poiché le oscunta del trattato di Aristotele e le imperfezioni
dell’Euclide, in enere gli errori della critica che si riscontrano in tali
opere, si possono riattaccare a codesto presupposto, quasi a comune radice. Si
ammette infatti che le parole rispondano ad enti di un mondo intelligibile
trascendente il soggetto, che si tratta di fissare univocament Di qui il
criterio che la deduzione logica debba tener presenti, non soltanto le premesse
esplicitamente enunciate come assiomi o postulati, bensì anche il significato
dei termini su cui si ragiona, vedendo, attraverso di essi, quella realtà
(geometrica ecc.) che è oggetto del pensiero. Ma ciò significa autorizzare nel
ragionamento inconfessati appelli all' intuizione, che, dichiarati, si
tradurrebbero in nuovi assiomi. Ora, se l'intuizione (o visione del
significato) rimane sempre presupposta nel ragionamento, quando mai potremo
assicurarci che gli assiomi formino un sistema completo? A stretto rigore di tale
domanda non si riesce neanche a definire il senso ! E quindi non si comprende
perchè si senta il bisogno di enunciare — a preferenza di altri — alcuni fra
gli assiomi, che pure sono dichiarati evidenti, necessari ecc. ecc. Aggiungiamo
che anche l’analisi aristotelica del ragionamento, facente capo alla teoria del
sillogismo (An. priora) sta pure in relazione col presup¬ posto metafisico
della logica. E specialmente colla circostanza che i Greci, in generale,
immaginarono la realtà intelligibile rappresentata dalla scienza, sul tipo
statico della classificazione delle forme geome¬ triche: tale è infatti il
carattere dell’ ontologia eleatica, che imprime il suo suggello sulla dottrina
platonica non superata veramente da Aristotele. Soltanto Democrito, come diremo
più avanti, si solleva al concetto di una scienza razionale del moto, ma le sue
vedute filosofiche non trovano adeguato sviluppo se non due mila anni più
tardi, all epoca della Rinascita. Qui conviene rilevare che le critiche mosse
alla teoria sillogistica dagli empiristi inglesi (da Bacone a Mill), opponenti
alla deduzione 1 induzione generahzzatrice dell’esperienza, hanno fatto perder
di vista ciò che manca all’ analisi aristotelica del ragionamento, pur
riguardato nelle forme rigorose, che sole appartengono — secondo il concetto
del filosofo greco alla logica dimostrativa propriamente detta. Infatti i brevi
cenni che Aristotele dedica all’induzione (completa), negli Analylica priora,
non suppliscono certo all’analisi delle operazioni logiche costruttive
(significate da particelle come « e », o » ecc.) che accanto al sillogismo
ricorrono nello sviluppo delle dimostrazioni matematiche. La quale lacuna torna
a (i) Cfr. Cli. Werner, Aristotele et V ideallsme plalonicien, Alcan, Parigi]
riflettersi sulla teoria delle definizioni, che appunto esprimono codesto lavoro
costruttivo del pensiero. Infine giova rilevare che l’anzidetto realismo si
riflette in una concezione ingenua del linguaggio: la filosofia greca — sia che
abbia ammesso l'origine naturale della lingua (come Platone nel Cratilo), sia
che abbia rilevato ciò che vi è di convenzionale nelle parole (come Democrito e
Aristotele) — non riesce a scorgere la varietà essenziale delle lingue, che
tiene ai diversi modi di rappresentazione delle cose ed esprimendo la libera
attività del soggetto, dà origine all'intraducibilità. Dice infatti Aristotele:
De Inlerpretatione, 1. Una espressione e una l'immagine delle modificazioni
dell'anima. L’espressioni differiscono fra loro. Ma una modificazione
dell’anima, di cui l’espressione e i SEGNO immediato, e identica per tutti gli
uomini, come sono identiche per tutti le cose che quelle modificazioni
esattamente rappresentano. E chiaro come una siffatta dottrina spieghi quella
confusione fra analisi logica e analisi del linguaggio, Proclo, nel commento al “Cratilo”, riferisce
appunto questa opinione di Democrito, basata auiromonimia e la sinonimia di una
espressione E1 e una espressione E2, sul cambiamento dei nomi e sul difetto di
analogia nella formazione di certe espressioni verbali. (Cfr. le note al Cratilo
di Cousin). De Interpretatione, 2 (1), che culmina nel concetto aristotelico di
trarre dalla forma o materia dell’espressione grammaticale una classificazione o tassonomia di questa o
quella categoria. In ciò che precede ci siamo fermati a studiare il pensiero
degli antichi traverso le sistemazioni scientifiche che sono a noi pervenute.
Ma, per l’intelligenza dello sviluppo ulteriore che la logica riceve nelle
scuole filosofiche dopo Aristotele, conviene tener conto dell'influsso che i
predecessori del Stagirita sembrano aver esercitato sul movimento delle idee.
Infatti codesto sviluppo si lascia definire, nlle sue linee generali, come
tendente a liberare il pensiero dall ontologismo, che pure sopravvive in
qualche modo alla ideologia platonico-aristotelica, nella misura in cui tale
filosofia esprime la metafisica del senso comune. E l’anzidetta tendenza
liberatrice si esplica in un progresso verso il formalismo logico, che procede
dallo studio degli schemi discorsivi, formante oggetto degli Analytica priora.
Questo progresso si avverte già nei primi paripatetici, come Eudemo, lo
scrittore di una storia delle matematiche, e Teofrasto il raccoglitore delle
opinioni dei fisici, ma più largamente ancora negli Stoici, in cui è pure
passata 1 eredita dei dialettici megarici. Questo progresso si avverte anchein
una revisione dei principi della teoria della conoscenza, che ha per oggetto
l’origine e il valore dei concetto generale da cui muove la scienza dimostrativa:
qui soprattutto vengono in luce delle vedute che debbono essere riattaccate ai
grandi predecessori di Platone e di Aristotele; sulle quali l’interesse della
questione c invita a fermarci. Ora, se ci volgiamo a riostruire induttivamente
le idee di codesti predecessori, la figura di Democrito d'Abdera, deve
attirare, sovra ogni altra, la nostra attenzione. Democrito, vissuto 40 anni
dopo Anassagora e 25 anni dopo il suo concittadino Protagora che è il maggiore
rappresentante della sofistica), deve esser considerato come un contemporaneo di
Platone. Così, soltanto i pregiudizii dominanti la ricostruzione della storia
della filosofia greco-romana nel secolo decimonono, hanno impedito di stdare
più da vicino i rapporti fra Democrito e Platone, relegando Democrito tra i pre-socratici
e perfino tra i pre-sofisti, in onta alla cronologia. Democrito è il ande
fondatore dell’atomismo, in cui ha tuttavia come precursore Leucippo, e che fu
svolta da lui come una teoria cinetica cosmologica. Attraverso questa dottrina
Democrito agiunse ad una rigorosa concezione del determinismo meccanico, e
verosimilmente he alla scoperta di principi (massa, inerzia) chalileo. Fanno eccezione
Windelband e Burnel, che restituiscono airAbderita il suo posto cronologico, ma
che tuttavia non sembrano arne un apprezzamento proporzionato all' importanza
del suo lavoro scientifico] ha riostruito due mil’ anni più tardi, riprendendo
le intuizioni fondamentali del lontano predecessore. Per il suo rigido
meccanicismo, con esclusione di ogni teleologia, Democrito viene considerato
come il padre del materialismo, e da ciò appunto ha origine il pregiudizio da
cui in ispecie la storia svoltasi sotto l’nfluenza hegeliana, nel secolo
decimonono, non ha saputo mai emanciparsi completamente. Quantunque un esame
accurato avrebbe permesso di riconoscere ello stesso Democrito anche il padre
dello spiritualismo (così come Leibniz sembra avere intuito!) e forse anche di
far risalire a lui l’argomento per l’immortalita dell’anima basato sulla sua
semplicità o in-divis-ibilità, che s'incontra nel Fedone 78, b, c. Le opere di
Democrito, di cui ci sono trasmessi i titoli da Trasillo, formano una mole
imponente e si riferiscono ai più svariati argomenti, dalle matematiche alla
fisica, alle scienze naturali, all’agricoltura, alla teoria dei segno e
dell’espressione, la dialettica, la grammatica, alla poetica, alla teoria della
conoscenza ecc. ecc.; fra i frammenti più belli sono da annoverare quelli
morali, conservatici da Stobeo. La posizione filosofica di Democrito, per ciò
che concerne la teoria della conoscenza, resulta dalla testimonianza di Sesto
Empirico, laddove egli parla di Democrito e Platone sostenitori della verità
degli intelligibili (ià vorjra) in contraddizione con Protagora [Di ciò mi
propongo fornire altrove la prova col confront dei testi aristotelici] aora. Si
tratta dunque di un razionalismo, che si contrappone all’ empirismo protagoreo.
Ma, poichè a sua volta questo empirismo dei sofisti era sorto come una reazione
di caratere “positivistico” al razionalismo metafisico della scuola di Velia, è
naturale che Democrito avesse a tener conto dell’ esigenza fondamentale che i
sofisti avevano formulato. Democrito non posse semplicemente riprendere come
materia della scienza una Verità (£M)0s:a) indifferente rispetto all’opinione
(doxa) che si riferisce alle cose sensibili, ma doveva invece cercare una
razionalizzazione dell’empirico, cioè una verità atta a salvare i fenomeni
(ofttTe'.v ~ì 6|JtSV«); e siffatta veduta si poteva esprimere nel linguaggio
tecnico del tempo, dando per compito alla scienza l’opinione vera, o inverata
mediante il ragionamento. Appunto questa teoria della scienza come lii^x (isià
Xóyo'j, viene riferita e discussa da Platone nel “Teeteto”, ed una comparazione
analitica del testo con altri dello stesso Platone e di Aristotele, prova che
il riferimento deve essere attribuito a Democrito. Ma, poiché la spiegazione
razionale dei fenomeni suppone dei concetti, per mezzo dei quali si unifichi la
rappresentazione delle cose del mondo empirico, si può domandare su che
Democrito ne basasse il ossesso da parte dal soggeto percipiente. Qui soccorono
alcune indicazioni. /. ' (l ) Diel. A. 59 i eh. A. 114. (! ) Cfr. Enriques: La
teoria democritea delta scienza nel dialoghi di 'Platone, Rivista di Filosofia,
n. I. 1) Anzitutto Democrito viene additato da Aristotele come il primo a
trattare delle definizioni di cose fisiche, mentre ei ci dice che con Socrate
crebbe l'uso del definire e si estese soprattutto alle nozioni morali. Conviene
intendere che Democrito inizia quel modo di definire proprio della scuola socratica,
in cui si ricercano i caratteri comuni delle cose che rispondono al definito; è
più difficile dire se lo stesso Democrito, come Socrate, facesse anche appello
alla nozione comune che tutti gli uomini si formano in rapporto a dati oggetti;
e tuttavia questo criterio ei ben poteva derivare da Eraclito, cui lo stesso Socrate
sembra avere attinto. In un frammento della già citata opera logica di
Democrito rtsp: àoyrxtòv noi xzvwv che ci è statmandato da Sesto, vengono
distinte due speecie, di conoscenza, l’una relativa all’intelligenza (à7j;
Siavaas), l’altra alla sensazione (Ò:à rwv aìofi^oetov). Dice precisamente
Democrito: “Vi sono due forme della conoscenza: una conoscenza pura o legittima
(yvyjafyj) ed una adombrata spuria (av.v.ri). Appartengono a quest’ ultima
forma adombrata spuria le cinque sensi: la vista (visum), l’udito (uditum), il
gusto (gustatum), l’odorato (odoratum), il tattoo (tactum). Ma la conoscenza pura
è completamente distinta. Ed aggiunge ce questa conoscenza pura è relativa ad
un (') Mtt. I, 4, (3), De Partibus Animalium I, 1 (ed. Didot, t. IH, pag. 223,
2). (! ) In Diel» B. II) orbano di pensiero più raffinato che prende il posto
di un vedere o di un udire o gustare o odorre o tastare nel più piccolo
(mettendoci così in rapporto colla vera natura delle cose, cioè cogli atomi. Anche
in altri modi Democrito esprime la relazione fra le due forme del conoscere;
per esempio ove dice che « apparenza (vòptoi) il colore, apparenza il dolce,
apparenza l'amaro. In realtà soltanto gli atomi e il vuoto. Ma poi, facendo
parlare i sensi contro l’intelligenza, soggiunge povera me, prendendo da noi la
tua fede, tu vuoi confonderci; la tua vittoria è la tua caduta. Troviamo qui una
notizia estremamente interessante. Democrito, al pari di Platone e di
Aristotele, e prima di loro, dibatteva il problema dell'origine dell’idea.
Democrito non si fermava, come il filosofo ateniese alla supposizione della
conoscenze innata (teoria della reminiscenza -- anamnesis), anzi piuttosto
sembra derivare la idea dalla sensazione, sicché è lecito pensare che a lui
possa aver attinto Aristotele la veduta che gli abbiam visto esprimere in An.
Post. Il, 15. Ma, mentre in Aristotele non si vede come possa conciliarsi
questa dottrina colla dignità attribuita alla nozione induttivamente
acquistata, che debbe costituire le premesse necessarie della scienza dimostrativa,
ciò che sappiamo intorno alla teoria delle sensazione di Democrito (in rapporto
alla fondamentale (*) Galeno in Die!» B. 125; cfr. Sesto in Diels B. 9.] supposizione
atomica) e ben atto a sciogliere la difficoltà. Ammetteva infatti il Nostro, che la sensazione in generale derivassero da
piccole immagini (sKoiXa) emesse dai corpi e proprie ad impressionare gli
organi dei cinque sensi ed anche lo stesso pensiero in quella guisa in cui la
luce impressiona una lastra fotografica. L’immagini rispondente alla conoscenza
inteligibile partenti direttamente dagli atomi — sono di natura più fine. Si
comprende quindi che esse possano liberarsi dalla mescolanza colle immagini più
grossolane che colpiscono i cinque sensi, quando il confronto di sensazioni
ripetute, in rapporto ad una molteplicità di cose, permette di fissare i
caratteri comuni che definiscono il concetto. Che effettivamente Democrito riconoscesse
il valore logico del concetto, quasi come anticipazioni dell'esperienza,
resulta anche dalla testimonianza di Diotimo in Sesto (VII, 1401), che egli
assumeva come criterio della comprensione delle cose oscure il fenomeno, e come
criterio della ricerca'il concetto, èvvoia xpurr/pwv Z,r\vtpzwq. Qui è notevole
lo del termine. Ivvotoe che già notammo a proposto della designazione di
y.oiw.l Ivvs:% adoperata da Euclide per gli assiomi, giacche abbiam pur detto
che codesto termine non si trova nella [Cfr. p. et. Aetiui in Diel», A. 30. (2
) Diels, A. III. 37]letteratura filosofica di Platone ed Aristotele, ma invece,
più tardi, presso gli Stoici. Appunto ad un’opera di Crisippo 7tepì £?jT^7S(0£
sembra fare allusione Plutarco presso Olimpiodoro, dove dice che gli Stoici
allegano a causa di ciò (cioè della possibilità di arrivare a cose che non si
conoscono) le nozioni fisiche: tàj qjuaixà; èvvofa?. D’altronde Diogoene
Laerzio (VII, 54) (c’informa che Crisippo dice esservi DUE criteri della
verità, la sensazione e il concetto. Qui in cambio di svvoia viene adoperata
l’espressione TtpóXvjtjt:?, che ricorre anche presso gli Epicurei, designando
l’anticipazione dell’esperienza. Ora il significato preciso che gli Stoici
davano alle ÈVV 3 tati, si può rilevare, per esempio, da un passo del De
Civitate Dei di S. Agostino dove si parla di coloro che riposero la verità nei
sensi, cioè degli Epicurei e degli stessi Stoici. Qui cum vehementer aaerint
sollertiam disputando quam dialecticam nominant, a corporis sensibus eam
ducendam putarunt, hinc asseverantes animum concipere notiones, quas appellant
èvvo'st;, earum rerum scilicet quas definiendo explicant. Da questi riferimenti
sembra potersi dedurre che gli Stoici abbiano adottato, al pari di Aristotele,
la dottrina democritea dell’ origine sensibile dei concetti – nihil est in
intellectu quod prior non fuerit in sensi (l ) Cfr. Arnim, Stoicorum veterani
fragmenta. Voi. II, n. 104. Crisippo, discepolo di Zenone Cizio (280-209 a.
C.).In Arnim, op. c. 105. In Arnim, 106. (cui soltanto gli Epicurei
conservarono come fondamento l’ipotesi delle piccole immagini), ma spogliando i
concetti di quella dignità superiore che il razionalista cerca conferire agli
intelligibili; così, per loro, la dimostrazione scientifica (àiróSs:^;) viene
ridotta, per dirla con Cicerone, ad una “ratio, quae ex rebus perceptis ad id,
quod non percipiebatur, adducit.” In
corrispondenza di queste vedute, di carattere più empirico, è interessante
rilevare come si modifichi la dottrina democritea della scienza, che Zenone
Cizio dice essere una comprensione sicura e ferma e immutabile dalla ragione »
(à,u£-*sov ùttò Àóyo j /./.- ovvero anche un possesso immutabile dalla ragione,
nell’accoglienza delle rappresentazioni » (èv a>xvT5tTO)v r.ozz- a&o. Pertanto
gli Stoici non giunsero a quello schietto empirismo, che si vede accolto da
Epicuro, per cui è accettata sempre come vera ogni sensazione o apparenza:
richiesero anzi che all apparenza si aggiunga 1 assenso volontario dell animo, che
per il saggia ha motivo nell identità fra la ragione individuale e la Ragione o
logos universale. Così il concetto eracliteo del logos, che la scuola Arnim,
111. () Riferimenti di Sesto e Diogene Laerzio in Arnim: Zeno- Citius, n. 68.
(' ) Cfr. Sesto e Cicerone in Arnim: Zeno Citius, nn. 63 e 61. 3] stoica ha fatto proprio, doveva pur sempre
conservare al pensiero una certa dignità, e quindi facilitare il trapasso alla
veduta posteriore degli eclettici (Cicerone), per cui le commune notio vengono
ritenute non più come uniformità della natura bensì come idea innata,
attestanti la reminiscenza della vera origine divina dell' uomo, onde la teoria
stoica (ritornando in effetto a Platone) viene a fondersi colla neoplatonica.
Più direttamente degli Stoici (che pure ne derivarono il principio del
determinismo universale) si riattaccano a Democrito gli Epicurei, che ne adottarono
la teoria atomica, spogliata bensì del suo più profondo significato meccanico.
Ma, come abbiamo già accennato, Epicuro e lungi dal razionalismo del maestro
d’Abdera. La sua “Canonica” comprende poche regole di cui abbiamo chiaro riferimento
da Sesto Empirico, e che Gassendi ha ricostruito con precisione nella sua
Logica. Riferiamo la parte essenziale dei canoni epicurei così formulate.
Sensus nunquam fallitur. Opinio est consequens sensum, sensiomque superadiecta,
in quam veritas aut falsitas cadit. Opinio illa vera est, cui vel suffragata, vel
non refragatur sensus evidentia. Petri Gassendi Opera Omnia, Firenze. Pari 1,
De Logicae origine el varietale]. Omnis quae in mente est anticipatio, seu
prae-notio, dependet a sensibus, idque vel incursione, vel proportione, vel
similitudine, vel compositione. (Questo stesso modo di formazione dei concetti
appare negli Stoici). Anticipatio est ipsa rei nodo, sive definitio. Est
anticipatio in omni ratiocinadoe principium. Quod inevidens est, ex rei
evidenti anticipaticele demonstrari debet. Qui è notevole 1 appello
all’evidenza sensibile (ev%ex) che viene così assunta come criterio di verità.
Nonostante la modificazione subita, è facile riconoscervi lo stesso criterio di
Democrito che contrapponendo la conoscenza pura o legittima alla conoscenza
oscura, viene appunto a ritenere la chiarezza delle idee come segno del loro
valore: senonchè quella che per Democrito era chiarezza di concepimento,
diviene per Epicuro chiarezza sensibile. Toccherà poi a Descartes di ritornare
al criterio dell’evidenza (cf. Grice, “Descartes on clear and distinct
perception) rispetto al pensiero, riguardando come vera la idea chiara e
distinta (l’aggiunta deriva dal Teeteto 209c-2l0). Dopo aver parlato degli
Stoici e degli Epicurei, ci convien dire degli [Notisi che già in Teofrasto si
applica il criterio dell’evidenza tanto all’intelligenza che al senso. (Cfr.
Sesto Adv. Malh.)] scettici i qual per verità non formano ugualmente una setta
o scuola chiusa, ma — a partire da Pirrone d’Elide e dal suo amico Timone —
ofno tuttavia una certa continuità di tradizione critica, mantenendo di fronte
alle filosofie dogmatiche un atteggiamento di dubbio metodico. No Diogene, ma Arcesilao
di Pitane e Carneade (che venne ambasciatore a Roma nel 155 a. C.), portarono
la filosofia scettica nella media Accademia – e che fascina a Scipione! Più
tardi incontriamo Enesidemo di Cnosso, Agrippa, e finalmente Sesto Empirico che
riassume tutto questo movimento nella sua opera pregevole, fonte cospicua di
notizie per la storia della filosofia romana. I rapporti esteriori che la
tradizione segnala fra Pirrone e qualche democriteo come Nausifane, nonché le
tendenze scettiche che si attribuiscono ad altri democritei (Metrodoro,
Anassarco) indicano già una certa dipendenza della scepsi da Democrito. D’altronde
il legame appare prima di tutto nel motivo morale che ispira la riserva degli
scettici di fronte alla vera natura delle cose, giacche la sospensione del
giudizio mirava a conquistare quella atarassia o imperturbabilità dell' animo,
che si riduce infine alla vittoria sulle passioni, inculcata dall'Abderita. Ma
il apporto teorico della scepsi con Democrito resulta da ciò che questi aveva
ridotto la realtà alla materia indifferente degli atomi, negando le qualità sensibili;
un passo ulteriore della critica (riportantealla posizione di Protagora) doveva
naturalmente estendere il dubbio anche a quelle proprietà primarie in cui il
grande atomista aveva scorto l'oggetto intel¬ ligibile della conoscenza. E
certo questo sviluppo era suggerito dal contrasto fra le vedute dei due razio¬
nalisti, sorti a combattere l’empirismo protagoreo: Democrito e Platone.
Giacche questi riteneva proprio come intelligibili quelle stesse qualità
(ipostatizzate sotto il nome di idea) che 1 altro aveva con¬ siderato vane
apparenze. Inoltre, anche nello stesso sistema democriteo, si può riconoscere 1
origine della critica che investirà gli intelligibili, se — come siamo stati
tratti induttivamente ad ammettere — l’Abderita faceva pur nascere 1
intelligenza dai sensi. In tal guisa il pensiero antico avrebbe percorso una
via non lon¬ tana da quella per cui il pensiero moderno giunse dalla posizione
di Galileo, di Descartes e di Locke (i quali ripresero la distinzione fra la
qualità primaria e le qualità seconda) alla critica di Berkeley, che —
attraverso la teoria della visione - riusciva a negare anche il significato
trascendente di codesto sostrato geometrico della materia. La teoria degli
scettici, si noti, non nega affatto il mondo fenomenico, bensì oppugna la
pretesa dei dogmatici di affermare qualcosa della verità o della natura delle
cose in se stesse. La critica che essi svolgono a tale scopo, rilevando ciò che
vi è di relativo nei criterii della verità, costituisce in gran parte un acquisto
durevole per la dottrina della conoscenza: lo La logica degli antichispirito
che l’anima è affine a quello del positivismo moderno, salvo il sentimento che
la veduta di una scienza più progredita ispira oggi ai critici della metafìsica.
Ma per la storia della logica interessa soprattutto esaminare gli argomenti di
Carneade contro il concetto aristotelico della dimostrazione: intorno ai quali
siamo informati da Sesto Empirico. Ricompare qui l’idea, già affacciata dai
predecessori di Aristotele e da questi oppugnata, che ogni prova dia luogo ad
un regressus in infmitum, poiché ogni premessa deve essere dedotta da un’altra
premessa. E questo argo¬ mento prende forza dalla negazione di ogni certezza
immediata, alla quale gli scettici pervengono (come si è accennato) mercè la
veduta che i concetti su cui si ragiona traggono pure origine dal senso, onde 1
incer¬ tezza della sensazione si riflette anche sull intelligenza. Quindi viene
presa in esame l'opinione che sia lecito fondare la scienza sopra ipotesi, e che
queste sieno fatte ferme e valide dalla verità delle conseguenze che se ne
deducono. Il passo di Sesto che critica questa opinione non dice chi ne sia
l’autore; ma resulta assai chiaro che essa deve riferirsi particolar¬ mente ai
fìsici matematici, e vi è forse qualche motivo di attribuirla già a Democrito,
che per primo propose alla scienza il compito di spiegare razionalmente i feno¬
meni. Infatti abbiamo già accennato che questi appunto (i) Adv. Math. VII,
159-189 e Vili in ispecie 367-463. (s ) Vili, 375] potesse essere preso di mira
da Aristotele, ove eicontesta che voler provare le premesse mediante le
conclusioni costituisce un circolo vizioso (*). Di nuovo Cameade riprende la
tesi aristotelica, notando che dal vero si può dedurre il falso; e certo
l'argomento — in stretta logica — non potrebbe essere confutato. Ma, per quanto
o scettico sia portato a dare il maggior peso a questa constatazione negativa,
Cameade non vi si arresta. Dopo aver negato l'esistenza di criteri
assolutamente certi del vero e del falso, egli accorda pure alla conoscenza un
valore probabile; e questo valore lo riconosce, in primo luogo, ad ogni
rappresentazione dotata di sufficiente evidenza, ma in grado più alto alle
catene di rappresentazioni legate 1’una all'altra in un sistema logico (ibidem,
VII, 176 e seg.). Non diverso è, in ultima analisi, il cri¬ terio positivo con
cui anche oggi possiamo giudicare il valore delle teorie scientifiche: soltanto
appare, ai nostri tempi, un atteggiamento più fiducioso, che è in rapporto
collo sviluppo della trattazione matematica della fisica; mentre il sentimento
degli scettici risponde ad una scienza meno evoluta, ed anche — piuttosto che
alla mentalità di matematici — a quella dei circoli medici, in cui Io
scetticismo antico ebbe acco¬ glienza. Effettivamente l’uso di ipotesi, il cui
valore probabile viene desunto dalla verifica sperimentale delle conseguenze
che ne dipendono, caratterizza il metodo deduttivo-sperimentale della scienza
moderna. L. c. An. posi., I, 2] quale si disegna in Kepler, Galileo e Descartes.
L' esame intorno allo sviluppo della logica post-aristotelica, in cui abbiamo
cercato l'influsso delle idee di qualche predecessore, ci ha mostrato che in
verità il realismo logico di Aristotele è stato superato dallo stesso pensiero
greco; il quale ha toccato posizioni affatto conformi alle più alte vedute
moderne. Ma della critica speciaente istituita dai geometri dopo Euclide,
abbiamo notizie troppo scarse per misurarne il significato; e secondo le
apparenze dobbiamo ammettere che le fini ricerche di Apollonio su questo
soggetto non abbiano trovato prosecutori. D’altra parte l’opera dei filosofi
che hanno riflettuto sulla scienza, nella filosofia romana, non aderendo
propriamente ad uno sviluppo scientifico, e tanto meno matematico, prese spesso
quella forma negativa che nel modo più raffinato ci presenta la dottrina
scettica. Infatti per osservatori cui non sia dato di riprendere e di
proseguire il pensiero profondo dei più antichi filosofi matematici, la confutazione
di un ordine di verità necessario, quale è affermato da Aristotele, deve
apparire una confutazione dell stessa possibilità della scienza. Resta
nondimeno un esempio pieno d’interesse nella storia, quello che ci viene
offerto dalla scuola stoica, per cui la trattazione formale della logica si
associa ad una dottrina empirica della conoscenza. E, se codesto sviluppo
formale approda ad un arido schematismo (di fronte a cui comprendiamo il
disprezzo della dialettica manifestato dallo stoico Aristone di Chio), tuttavia
non si può disconoscere il valore dell’analisi logico-grammaticale
dell’espressione, mercè cui si riesce a scorgere in qualche modo nel
linguaggio, l’espressione di una attività costrittiva. Fino a che punto gli
stici sieno proceduti su questa via, non vogliamo qui esaminare. Ma certo si
scopre in essi quella distinzione fra subiettivo ed inter-soggettivo, che
riapparire agli inizii dell’epoca moderna, come fondamento della filosofia.
Dalla storia della filosofia romana si passa, senza indugiarci al movimento
delle idee che accompagna la rinascita della scienza, agli inizi dell’ Evo
moderno. Basta rilevare il carattere generale degli sviluppi che la dialettica riceve
nel periodo intermedio (medius aevus), arido se non del tutto infecondo. Diremo
per ciò come la logica aristotelico-stoica fu introdotta dal filosofo romano
Boezio presso i Romani. La traduzione di Boezio del greco al romano dei primi
due trattati dell’Organum (Categoriae e De Interpretatione – the only two that
Grice lectured on with J. L. Austin and P. F. Strawson), nonché dell’Isagoge di
Porfirio [arbor griceana], e i commenti con cui egli stesso ed altri scrittori
neo-platonici accompagnarono codesti scritti (nel senso della tecnica formale,
secondo la tradizione stoica), costituiscono il fondamento della cultura del
più antico (alto) Medio Evo. Del resto, la cultura generale sembra ^ppjesentata
da un certo numero di enciclopedie clella bassa antichità, come quella di Marciano
Capella, nelle quali si tratta delle sette artes liberales che, nel tirocinio
scolastico, formarono il trivio (I. grammatica, II. Rettorica, III. Dialettica)
ed il quadrivio (IV. Aritmetica. V. Geometria. VI. Astronomia. VII.
Musica). Specialmente degno di nota che
questa prima parte del Medio Evo non ha conosciuto, nè le altre opere (logiche,
fisiche ecc.) di Aristotile, nè le opere originali di Platone, fuori del “Timeo”,
tradotto in romano da Calcidio. Più tardi, il Rinascimento umanistico doveva
venir fecondato mercè una conoscenza diretta dei testi, in seguito alla caduta
dell’impero romano d'Oriente, che addusse numerosi profughi segnatamente in
Italia. Ora nella logica scolastica due aspetti sono degni di nota. Primo,la
progressiva elaborazione della tecnica formale, acuitasi mercè sottili
distinzioni. Secondo, la grande questione della realtà degli universali, di cui
a stento riusciamo a comprendere il carattere drammatico, traverso la forma
aridamente schematica delle discussioni. Sorvoleremo affatto sul primo punto,
sebbene sarebbe interessante per la storia della dialettica, di mostrare, per
esempio, in Buridano il riconoscimento della proprietà distributiva della
particella (adverbium) ‘non’ (~) rispetto a “et” (/\) e “vel” (\/). non (p et
q), ~ (p /\ q) ≡ non p vel non p (~p \/ q).
(notizia segnalatmi da Vacca) o di cercare simili analisi in Paolo
Veneto. Ma, quanto alla questione della realta degl’universale, diremo che si
tratta dell'antica questionollevata dalla ideologia platonico-aristotelica, se
all’idea generali corrisponde una realtà. La quale questione fu riaccesada un
passo dell’Isagoge di Porfirio (I, 3). “E anzitutto, per ciò che riguarda il
genero o la specie, io evito di ricercare se esiste di per sè, ovvero se esiste
soltanto come pure nozione; e — ammettendo che esista di per sè — se
apartengano alla cosa corporea o incorporee; e infine se abbiano esistenza
separata ovvero solo nella cosa corporea sensibile. E una questione troppo
profonda che esigerebbe uno studio differente da questo e troppo este. Nel
vasto intreccio della polemica medioevale appare che il nominalista (negante la
realtà dell’universale) rappresentano, in generale, le tendenze scientifiche,
avverso il misticismo platonizzante del realista. Ciò è vero soprattutto per
riguardo ai rinnovatori del nominalismo nel secolo come Guglielmo Occam e Giovanni
Buridano, rettore dell'Università di Parigi, ai quali è dovuta la teoria che ha
preso il nome di terminismo. Il terminista (che si accosta al concettualismo di
Abelardo) ritiene i concetto (o termino) come un segno intersoggettivo (signa)
della singola cose, o di una classe di cose, realmente esistenti. La dialettica
si riferisce soltanto alle reazione di questo segno della cose (Occam,
Quodlibeta V. 5). Occam avverte pue che l’espressione assume il suo proprio
significato nella proposizione, e spesso in unione a qualche altro termine. Terminus
conceptus est intentio seu passio animae aliquid NATURALITER SIGNIFICANSaut consignificans,
nata esse pars propositionis. Sifftta dottrina supera lo stretto nominalismo e
tuttavia nega il realismo: cioè nega che il ‘significato’ (o ‘signato’)
dell’espressione sia da cercare nella
sua comprensione o connotazione, ossia nell’ insieme delle note o attributi, di
cui esso esprimerebbe l'unità
sostanziale; e si afferra invece all’estensione o denotazione (denotatum,
relatum), cioè all’ insieme delle cose rappresentati dall’espressione (‘homo’),
che — sotto la specie di certe reali somiglianze — vengono vramente unificati.
Al lume di questa veduta, la definizione scolastica, discendente dal astratto generale
universale al concreto particulare individuo, e la logica stessa perdono
importanza: onde è fatto invito a volgersi dalla spiegazione dell’espressione al
concreto della esperienza. Ciò spiega abbastanza l’interesse appassionato
della polemica intorno agli universali che nel mondo sociale e morale deve
rivendicare la libertà dell'individuo soffocata dalla tirannia delle
istituzioni e dall'autorità delle credenze e dell’insegnamento tradizionale.
Nulla sembra più proprio a favorire un tale affrancamento degli spiriti, che
abbattere alla radice l’albero della deduzione infeconda, triviale, analitica, ricostruendo
induttivamente tutto il sapere. Onde la stessa tendenza si continua ed esplica
nella reazione anti-aristotelica (platonista) degli umanisti italiani
purificatori della logica dalla sottigliezza o implicatura scolastica (Valla,
Agricola, Vives) e si manifesta poi in nuove forme nella rinascita del
movimento scientifico. Studio storico preliminare SeaR
Edizioni Quanto segue è, nella sostanza, il contenuto di una
conferenza tenuta a Palermo presso ristituto Platone il 31 maggio 1986 e
successivamente, verso la fine di queiranno, riprodotto in un numero
limitato di co¬ pie, con aggiunte note critiche e documentarie, per
le «Dispense di Arx» di Messina, edite da Salvatore Ruta.
Oggi il testo viene ripresentato con maggiore digni¬ tà tipografica
e tiratura, onde favorirne la diffusione, con poche modifiche e aggiunte,
in questa nuova col¬ lana della Sear di Scandiano. Poiché è
certamente la prima volta che con una certa organicità viene affrontato
questo argomento, il presente scritto può a ben diritto definirsi una
novità. Tuttavia, dal momento che il nostro testo viene
presentato come uno «studio storico preliminare», il lettore potrà
dedurne che: a) i dati storici, biografici e letterari, le notizie
contenute ed ogni altra informa¬ zione non sono frutto di fantasia o di
illazioni avven¬ tate, ma desumibili nella loro grande maggioranza
da fonti documentarie (come dimostrato dai miei stessi
riferimenti); b) Tinsieme costituisce, d'altra parte, qualcosa di non
definitivo, in quanto suscettibile di essere ampliato ed ulteriormente
specificato da suc¬ cessive indagini e approfondimenti di maggior
respiro. Bisogna peraltro subito aggiungere che anche a molte
notizie documentarie non sarei pervenuto se non avessi tenuto conto, nel
corso di più anni, di indicazioni, suggerimenti, informazioni pervenutimi
per via amichevole o riservata. Quanto qui esposto, tuttavia, non fa parte
di alcun segreto esclusivo — come vorrebbero alcuni — bensì del
patrimonio sto¬ rico della nazione italica e come tale lo offriamo
alla meditazione di quei lettori che vorranno o sapranno trovarvi
spunto di interesse interiore, nonché agli sto¬ rici «laici», perché
almeno in questa occasione si ren¬ dano conto del tipo di dimensione
occulta che corre parallela e interferisce nelle vicende della storia:
nella fattispecie, prendano atto dell 'esistenza, sinora igno¬
rata, delle correnti esoteriche che tentarono di dare al fascismo
queiranima priva di compromessi che non fu capace di far sua.
Renato del Ponte Entrando il Sole nei Gemelli — Nella
prefazione da lui posta ad un recente lavoro dedicato soprattutto alla
cosiddetta «Nuova Dstra», il noto politologo Giorgio Galli, a cui si deve
senza dubbio riconoscere una notevole apertura mentale e un’intelligente
operazione culturale volta alla riscoperta di alcune tematiche proprie
della de¬ stra tradizionale, ha potuto osservare come alla «Nuova
Destra» sia mancata «precisamente una ri¬ lettura della componente
“magica” ed “esoterica” della cultura di destra». La «Nuova Destra» si
trove¬ rebbe anzi, attualmente, «in difficoltà sul piano pro¬
priamente politico forse anche perché ha trascurato l’analisi di fenomeni
ai quali si dimostrava sensibi¬ le (...) la destra tradizionalista
“esoterica’^): tale fal¬ limento, dunque, sarebbe implicito nel
«completo abbandono di un bagaglio culturale di indubbia ri¬
levanza» (1). Tale diagnosi ci pare esatta e le acute
osservazioni del Galli (al quale si debbono anche tentativi di pe¬
netrare nel mondo oggi ancor poco conosciuto, pro¬ prio perché poco
adeguatamente studiato, dell’eso- GALLI, prefaz. a: ZUCCHINALI, A
destra in Ita¬ lia, Sugarco Edizioni, Milano 1986, pp. 7-14. Tale lavoro
non merita, di per sé, alcuna annotazione di rilievo, essendo molto
superficiale e limi¬ tato nel settore dedicato alia «destra radicale» (e
in questo largamente superato da precedenti pubblicazioni, per quanto
decisamente a sini¬ stra, come La destra radicale, a cura di F.
Ferraresi, che è del 1984), ec¬ cessivamente ampio e parziale nei
confronti della cosiddetta «Nuova Destra», mentre la «destra
tradizionale» è pressoché inesistente. In so¬ stanza, ciò che dà rilievo
al libro, sono le poche notazioni preliminari del Galli, che peraltro
suonano da campana a morto per i profeti della fine del «mito
incapacitante»... terismo del III Reich), che ben difficilmente, del
resto, potrebbero essere recepite nella loro portata da quanto sopravvive
della «Nuova Destra», pro¬ prio per la sua impostazione profana e
modernista (per non parlare della destra «tecnocratica» missina,
per sua intrinseca natura da sempre impermeabile ad ogni discorso
«intelligente») (3), potranno ser- In una relazione sul tema tenuta
nel giugno 1984 a Torino (pare per la Fondazione Agnelli), il cui testo
abbiamo potuto leggere, il Galli osserva come «la storiografia ufficiale
e accademica abbia sempre esita¬ to a muoversi in questa direzione,
appunto per il timore di spostarsi dal piano della storia a quello della
fantasia». Ciononostante il Galli, che dunque sembra muoversi tra i primi
al di fuori di tale logica paralizzan¬ te, afferma come «vi siano
sufficienti elementi per una riflessione stori¬ ca organica sulla
componente esoterica soprattutto dei nazismo, mentre per quanto riguarda
il fascismo italiano questa riflessione potrebbe con¬ cernere
esclusivamente la personalità di Julius Evola». 11 presente volu¬ metto dovrebbe
dunque servire ad ampliare le prospettive conoscitive del Galli e di
quanti altri si interessino di tali tematiche proprio sull’ulti¬ mo
punto, quello concernente il fascismo. Circa poi le correnti esoteri¬ che
del nazismo, bisognerebbe intanto distinguere fra ciò che ha prece¬ duto
la sua presa del potere, le gerarchie ufficiali dello Stato ed alcuni
settori delle SS. In base a ricerche che stiamo effettuando, possiamo an¬
ticipare che tali correnti esoteriche poggiano su fondamenta assai fragi¬
li, contrariamente a quel che potrebbe pensare il Galli stesso, che in
que¬ sto caso pare essere rimasto vittima di alcune «ingenuità» propalate
sul¬ la scia del famigerato Mattino dei Maghi di Pauwels e Bergier. Per
un discorso preliminare su quanto andiamo dicendo, si veda ora il mio
sag¬ gio su La realtà storica della «Società Thule», in introduzione alla
pri¬ ma traduzione italiana di: Prima che Hitler venisse di Rudolf von
Se- bottendorff. Edizioni Delta-Arktos, Torino 1987. Su Evola e certi am¬
bienti delle SS, pubblicherò in seguito documenti provenienti dall’archi¬
vio di stato tedesco (Quartier Generale di Himmler), in cui tali temati¬
che saranno ulteriormente trattate. (3) In un recente articolo che
vuole costituire una sorta di recensione del libro della Zucchinali, un
anonimo missino cosi sintetizza gli interes- 14 virci
qui da spunto iniziale per una breve indagine preliminare,
necessariamente per ora limitata, su una corrente di pensiero
indubbiamente assai mino¬ ritaria, ieri ed oggi, in Italia, ma come è
stato di re¬ cente sottolineato, «nel contempo assolutamente ne¬
cessaria per l’Italia» (4), che ha svolto ed è destinata a svolgere
ancora una funzione molto importante, per non dire essenziale, per la
nostra nazione: quella della conservazione dtXV identità delle nostre
radici. Essa, se è stata opacizzata nelle masse e in una
classe dirigente sclerotizzata e corrotta per incapaci¬ tà e colpevole
negligenza, nondimeno persiste im¬ mutata, come presenze e immagini
primordiali, ne¬ gli archetipi divini che presiedono alle nostre
sorti. Il compito di tale minoranza, al di là della pura e semplice
azione conservativa, è stato quello di saper ridestare nei momenti
opportuni quelle immagini, sì che divenissero presenze vive ed operanti,
concretiz¬ zandole nelle nuove realtà della nazione italica.
Si tratta delle immagini primordiali e delle epifanie divine del Lazio e
dell 'Italia delle origini, ovvero della Saturnia tellus: quelle che
hanno reso possibile la manifestazione sul nostro suolo della
tradizione di Roma — che simboli, funzioni ed attribuzioni
si e i tentativi controcorrente del Galli: «A cosa ciò possa condurre in
concreto, è imprevedibile. Forse a nulla» (in «Proposta»).] Conventum Italicum,
comunicato anonimo in «Arthos»] hanno reso evidente essere emanazione
della Tradizione primordiale (5) — ed il suo rinnovellarsi attra¬ verso i
tempi. Il precedente riferimento del Galli all’esoterismo è,
nel nostro caso, più che pertinente, dal momento che la trasmissione e
perpetuazione della tradizione romana, almeno negli ultimi quindici
secoli, ha po¬ tuto avvenire, per motivi ben comprensibili, per via
segreta, cioè esoterica e di necessità sotto forme e vie anche molto
diverse. Se oggi si può parlare di «de¬stra» esoterica è soltanto perché, per
circostanze sto¬ riche particolari, in un ambito (peraltro, assai
ri¬ stretto) della destra del nostro secolo certe tematiche hanno
potuto trovare parziale ospitalità (6): va da sé — e non sarebbe il caso
di insistervi sopra — che la .tradizione di cui tali correnti sono
portatrici si situa ben al di là e al di sopra di ogni miserabile
dialettica fra destra e sinistra, termini e concetti di derivazione
parlamentare moderna e quindi del tutto inadeguati ad inquadrare forme di
realtà spirituali quali quelle a cui ci riferiamo. Tuttavia,
dal momento che il presente intende es¬ sere semplicemente uno «studio
storico» su tale cor- Per tali evidenziazioni, debbo rimandare ad
alcuni capitoli del mio Dèi e miti italici. Il ed., ECIG, Genova,
specialmente in con¬ nessione con le figure di Giano e Saturno (con il
ciclo a lui connesso). (6) Si deve peraltro notare che ad interessi
esoterici inerenti anche alla tradizione romana non furono aliene certe
personalità della «sinistra storica» e nel corso della nostra esposizione
non mancherà un esempio concreto. ] rente, dovremo fare solo
riferimenti indiretti e limi¬ tati al suo lato esoterico, quanto invece
insistere sui suoi riflessi politici, culturali e religiosi.
L’abbiamo definita «corrente tradizionalista romana» (7) nel Novecento:
un’élite che ha in ogni ca¬ so lasciato una sua impronta in una certa
epoca e che, nell’incertezza del «pensiero debole» attuale,
potrebbe ancora essere portatrice di un messaggio radicalmente
alternativo, poiché radicalmente (e qui l’espressione va intesa, con
coscienza di causa, nel suo pieno valore etimologico, a radicibus)
orientata contro gli pseudovalori che reggono la scena del mondo
moderno. Non è mio compito qui riassumere i termini della
questione intorno alla possibilità della trasmissione della sacralità e
della tradizione di Roma dall’epoca degli ultimi sapienti pagani sino ai
nostri giorni: è uno studio che, in riferimento soprattutto alle
gentes dei Simmachi, dei Nicomachi, dei Pretestati ed altri,
abbiamo da anni iniziato in varie riviste e pubblica- (7) Derivo
l’espressione di «corrente tradizionalista romana» dal po¬ deroso (e
ponderoso) lavoro di P. DI VONA, Evola e Guénon. Tradizio¬ ne e civiltà,
Napoli, in cui, nel VI cap., intitolato ap¬ punto Il tradizionalismo
romano, l’A. studia la «corrente romana del tradizionalismo, ad opera di
Reghini, Evola e De Giorgio». È evidente che col termine «corrente» noi
non intendiamo riferirci (se non in singo¬ li casi, che ben preciseremo)
ad una linea di pensiero omogenea, bene organizzata in un gruppo unitario
e compatto dalle caratteristiche co¬ muni, ideologicamente e
politicamente parlando, ma ad una tendenza che potè assumere aspetti e
sfaccettature diverse, come proprio i casi di Reghini, Evola e De Giorgio
(e non sono certo gli unici) sono a dimostrare. zioni (8) e che non
mancherà di ulteriori sviluppi. In questa sede sarà sufficiente
fare rapido riferimento a quell’epoca gravida di grandi e decisive
trasformazioni che fu il Rinascimento italiano. È soprattutto nel corso del XV
secolo che tradizioni occulte, sopravissute per secoli nel più grande
segreto, paiono ricevere nuova linfa e l’impulso ad una nuova
manifestazione dal contatto con personalità dell’Oriente europeo di altissima
rilevanza intellettuale, come quella di Giorgio Gemisto Pletone, il
grande rivitalizzatore della filosofia platonica negli ultimi anni
dell’Impero d’Oriente e fondatore di un cenacolo esoterico a Mistra, la
medievale erede dell’antica Sparta, all’interno del quale, oltre a
conservare testi dell’antichità pagana (come le opere dell’impe¬
ratore Giuliano, che vi venivano trascritte), si cele¬ bravano veri e
propri riti e si elevavano inni in onore degli dèi olimpici (9).
La figura e la funzione di Giorgio Gemisto Pletone sono ancora troppo
poco note in generale e, in Italia, non ancora studiate (10). In genere,
ci si limi- (8) Cfr. ad esempio: R. DEL PONTE, Sulla continuità
della tradizio¬ ne sacrale romana, parti I e II, in «Arthos»] ;
vedi anche: Q. AURELIO SIMMACO, RelazionesuH’altare della Vitto¬ ria, con
un’introduzione di R. del Ponte su Simmaco e isuoi tempi. Edi¬ zioni del
Basilisco, Genova. Si tenga conto che nel sud del Peloponneso sono attestati, a
livello popolare, culti nei confronti degli dèi classici sino al IX
secolo della no¬ stra era. (10) In lingua italiana mancano
ancora del tutto studi approfonditi. 18 ta a citare,
a proposito di lui, la sua partecipazione al Concilio di Firenze e
l’istituzione dell’Accademia Platonica Fiorentina, che ebbe sede nella
villa di Ca- reggi (o «delle Cariti», o «Muse»), concepita da Cosimo il
Vecchio e realizzata da Lorenzo il Magnifico su suggestione del Pletone.
Ma gli effetti dovettero essere ancora più interessanti e gravidi di
conseguen¬ ze, se si considerino i legami, ad esempio, fra Gior¬
gio Gemisto Pletone e Sigismondo Pandolfo Mala- testa. Signore di Rimini:
colui che ne sottrarrà il ca¬ davere agli Ottomani (1464), i quali
avevano occu¬ pato Mistra nel 1460, onde deporlo pietosamente in
un’arca marmorea del suo famoso «Tempio Malate¬ stiano». Lo stesso
Malatesta dovette pure essere in rapporto con la ben nota «Accademia
Romana» di Pomponio Leto (11), propugnatore, scrive il von Pa-
stor, del «romanesimo nazionale antico». Il capo Ci si dovrà
pertanto limitare a rimandare a: B. KIESZKOWSKI, Studi sul platonismo del
Rinascimento in Italia (vedi soprattutto cap. II), Sansoni, Firenze 1936;
P. FENILI, Bisanzio e la corrente tradizionale del Rinascimento, in «Vie
della Tradizione» (ci viene comunicato ora, che a cura dello stesso P. Fenili è
in corso di stampa un’antologia di brani di Pletone, dal titolo
«Paganitas», lo squarcio nelle tenebre, per Basala Editore di Roma). Di
recente, ci è ca¬ pitato di leggere in un’insolita pubblicazione, una
rivistina satirica di si¬ nistra, un reportage da Mistra singolarmente
informato e documentato su Gemisto Pletone e la sua scuola (cfr. P.LO
SARDO, La repubblica dei Magi. Da Sparta alla Firenze del '400, in
«Frigidaire»] Per mezzo del Platina (definito da Pomponio pater
sanctissi- mus), 1 ’Accademia Romana intratteneva rapporti col Malatesta,
il quale dell’Accademia Romana, riporta il von Pastori
«spregiava la religione cristiana ed usciva in vio¬ lenti discorsi
contro i suoi seguaci... venerava il ge¬ nio della città di Roma.Quale
rappresentante di queU’umanesimo, che gravitava verso il pagane¬
simo, si schierarono ben presto attorno a Pompo¬ nio un certo numero di
giovani, spiriti liberi dalle idee e dai costumi mezzo pagani. (...) Gli
iniziati consideravano la loro dotta società come un vero collegio
sacerdotale alla foggia antica, con alla te¬ sta un pontefice massimo,
alla quale dignità fu elevato Pomponio Leto» (12). Si noti
che sembra certa l’adesione alla cerchia del Leto del principe Francesco
Colonna, Signore di Pa- lestrina, l’antica Praeneste, dai più ritenuto
l’autore della celeberrima Hypnerotomachia Poliphili, un te¬ sto
molto citato, ma molto poco letto e soprattutto compreso, dove, in ogni
modo, una sapienza ermeti¬ ca si sposa all’esaltazione, non tanto
filosofica. fu notoriamente nemico dei papi e ammiratore del
movimento pagano di Mistra (cfr. F. Masai, Pléthon et le platonisme de
Mistra, Paris 1956, p. 344, nota. L’opera del Masai è a tutt’oggi la più
completa esistente sulla dottrina e la figura di Giorgio Gemisto
Pletone). Si noti che il Pla¬ tina fu allievo a Firenze dell’Argiropulo,
discepolo di Pletone, e che un altro antico discepolo, il Cardinal
Bessarione, si prodigò per la liberazio¬ ne da Castel Sant’Angelo dei
membri dell’Accademia Romana nel 1468, dopo che furono accusati dal papa
Paolo II — non senza fondamento — di «paganesimo». 11 Masai (op. cit., p.
343) si domanda se l’Accade¬ mia Romana «non fosse in qualche modo una
filiale di quella di Mistra». (12) L. von PASTOR, Storia dei
Papi, voi. II, Roma] quanto mistica, del mondo della paganità romano¬
italica, culminante nella visione di Venere Genitrice. Se si
rifletta al fatto che Francesco Colonna, rea¬ lizzatore fra il 1490 e il
1500 del nuovo imponente palazzo gentilizio eretto sulle rovine del
tempio di Fortuna Primigenia (ancora oggi ben identificabili nelle
strutture originali), vantava discendenza diret¬ ta dalla gens Julia e
quindi da Venere (13), si potrà allora intravedere come l’apporto
vivificante della corrente sapienziale reintrodotta in Italia da
Gemi¬ sto Pletone si fosse incontrato col retaggio gentilizio di
una tradizione antichissima, gelosamente custodi¬ to nel silenzio dei
secoli col tramite di alcune fami¬ glie nobiliari italiane, in ispecie
laziali, generosa¬ mente fruttificando: nel senso di spingere ad un
rin¬ novamento tradizionale non solo l’Italia, ma persi¬ no, ad un
certo momento, lo stesso papato, se avventi 3) Risulterà forse sorprendente
apprendere come i Colonna posse¬ dessero ancora fino ai nostri giorni (è
documentato almeno sino al 1927) il «feudo» originale di Giulio Cesare,
Boville (Frattocchie d’Alba- no). Sempre era visibile nel giardino
Colonna al Quirinale l’aitare antico dedicato al Vediove della gens Julia
(notizie ricavate da: P. COLONNA, I Colonna, Roma 1927, pp. 5-6). Tolomeo
1 Colonna ostentava il titolo di Romanorum consul excellentissimus e
Julia stirpe progenitus (cfr. P. FEDELE, s.v. Colonna, in «Enciclopedia
Italiana», X, 1931). Ha compiuto un’attenta analisi deWHypnerotomachia
Poli¬ phili (editio princeps nel 1499, presso Manuzio) come opera di
France¬ sco Colonna, M. CALVESI, Il sogno di Polifilo prenestino, Roma
1980. Si veda anche: OLIMPIA PELOSI, Il sogno di Polifilo: una quéte
del¬ l’umanesimo, ed. Palladio, s.l. 1978. A.C. Ambesi, in
considerazione della dimensione iniziatica dell’opera di Francesco
Colonna, la considera come un’anticipazione cifrata del movimento dei Rosacroce
(/ Rosa¬ croce, Milano). ne che poco mancò che salisse al soglio
pontificio quel cardinale Giuseppe Bassarione che fu discepolo
diretto di Giorgio Gemisto Pletone, da lui giudicato, come scrisse in una
lettera privata ai figli del mae¬ stro dopo la sua morte, «il più grande
dei Greci do¬ po Platone». Ma altri tempi tristi dovevano
giungere, tempi in cui sarebbe stato più prudente tacere, come dimostrò
il bagliore delle fiamme in Campo dei Fiori, avvolgenti nell’anno di Cristo
1600 il corpo, ma non l’animo, di Bruno, rivivificatore generoso,
ma impaziente, di dottrine orfico-pitagoriche, che trovavano analoga eco
— frutto di una linfa non mai del tutto estinta nell’Italia Meridionale —
nella poesia e nella prosa dell’irruente frate calabrese Tommaso
Campanella, lui pure oggetto di odiose persecuzioni.
Bisognerà giungere sino all’unità d’Italia, parzial¬ mente
realizzatasi nel 1870 con la fine della millenaria usurpazione temporale dei
papi, per trovare una situazione mutata. A questo punto bisogna
chiarire una volta per tutte, con la maggiore evidenza, che dal
punto di vista del tradizionalismo romano l’uni¬ tà d’Italia —
indipendentemente dai modi con cui (14) Si dovrà ricordare che il
Bessarione raccolse cum pietate nel suo studio le opere e i manoscritti
del maestro, in particolare alcuni frammenti apertamente pagani delle Leggi,
dotandone poi la Biblioteca Marciana da lui fondata, a Venezia.
potè in effetti verificarsi (modi spesso arbitrari e prevaricatori
della dignità e delle sacrosante autonomie di diverse popolazioni italiche) e
dall’azione di certe forze sospette (Carboneria, massoneria e sette
varie) che per i loro fini occulti poterono agevolarla — era e rimane
condizione imprescindibile e necessaria per ritornare alla realtà geopolitica
dell’Italia au- gustea (e dantesca): quindi per propiziare il
rimanifestarsi nella Saturnia tellus di quelle forze divine che ab
origine a quella realtà geografica — consacrata dalla volontà degli dèi
indigeti — sono legate. È un dato che si dovrà tenere ben presente,
per meglio intendere certi fatti che avremo modo di esporre in
seguito. Intanto, negli ultimi anni del XIX secolo è nell’a¬
ria qualcosa di nuovo e antico insieme, che verrà avvertito dalle anime più
sensibili. Fra queste, il grande poeta Giovanni Pascoli, con
un equilibrio ed una compostezza veramente classi¬ ci, valendosi di una
sensibilità non inferiore a quella con cui in quegli stessi anni conduceva
l’esegesi di certi lati occulti della dantesca Commedia, con il seguente
sonetto (e col corrispondente testo in esame¬ tri latini, da noi non
riprodotto) celebrava in una semplice aula scolastica la solennità
«L’aratro è fermo: il toro d’arar sazio, leva il fumido muso ad una
branca d’olmo; la vacca mugge a lungo, stanca, e n’echeggia il
frondifero Palazio. Una mano sull’asta, una sull’anca del
toro, l’arator guarda lo spazio: sotto lui, verde acquitrinoso il
Lazio; là, sul monte, una lunga breccia bianca. È Alba. Passa
l’Albula tranquilla, sì che ognun ode un picchio che percuote
nell’Argileto l’acero sonoro. Sopra il Tarpeio un bosco al
sole brilla, come un incendio. Scende a larghe ruote l’aquila nera
in un polverio d’oro. Allo scadere del secolo, nel 1899, è un fatto
nuovo di ordine archeologico il punto di riferimento im¬ portante
ed essenziale per il secolo che sta per aprir¬ si: la scoperta nel Foro
da parte dell’archeologo Giacomo Boni (un nome che non dovremo scordare)
del cippo arcaico sotto il cosiddetto Lapis Niger, in cui l’iscrizione in
caratteri antichi del termi¬ ne RECHI ( = regi) attesta documentariamente
l’effettiva esistenza in Roma della monarchia e, con quanto ne consegue,
la sostanziale fondatezza della tradizione annalistica romana, trasmessa
nel corso di innumerevoli generazioni, dai primi Annales Ma¬ ximi
dei pontefici sino a Tito Livio e, al termine del- [PASCOLI,
Antico sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino, Zanichelli, Bologna.
11 lettore esperto potrà notare come in pochi versi il poeta abbia saputo
sapientemente concentrare particolari nomi evocativi di determinate
realtà primordiali dell’Urbe. ] l’Impero d’Occidente, alle ultime gentes
sacerdotali ed a quegli estremi devoti raccoglitori e trasmettitori
della sapienza delle origini, come poterono essere un Macrobio ed un
Marziano Capella nel V secolo. È come se, fisicamente, una parte di
tradizione ro¬ mana si esponesse improvvisamente alla luce del sole a
smentire l’incredulità e l’ipercriticismo della scuola tedesca, che, in
nome di un presunto realismo scientifico, aveva respinto in blocco le più
antiche memorie patrie, e soprattutto dei suoi squallidi se¬ guaci
italiani, come quell’Ettore Pais che nella sua Storia di Roma (ristampata
innumerevoli volte fino in piena epoca fascista) aveva negato ogni
tradizione da una parte, costruendo dall’altra fantastici castelli
in aria, senza alcuna base, né storica, né filologica. Risulta che
Giacomo Boni fu in corrispondenza con un altro principe romano, pioniere
degli studi islamici e deputato al parlamento nei banchi della
sinistra: Leone Caetani duca di Sermoneta, principe di Teano, marito di
una principessa Colonna. Suo nonno, Michelangelo Caetani, era stato
l’au¬ tore di un fortunato opuscolo di esegesi dantesca sin dal
1852, dove si sosteneva l’identità di Enea col dantesco «messo del cielo»
che apre le porte della Città di Dite con «l’aurea verghetta» degli
iniziati di Eieusi (16): quello stesso che nel 1870, già vecchio e
quasi cieco, fu il latore a Vittorio Emanuele II dei (16) Cfr. M.
CAETANI di SERMONETA, Tre chiose nella Divina Commedia di Dante
Alighieri, II ed., Lapi, Città di Castello risultati del plebiscito che sanciva
l’unione di Roma all’Italia. Proprio Leone Caetani sarebbe
stato l’autorevole tramite attraverso cui si sarebbero manifestate
al¬ l’interno della Fratellanza Terapeutica di Myriam (operativa
proprio negli anni della scoperta del Lapis Niger) fondata da Giuliano Kremmerz
(cioè Ciro Formisano di Portici) — che la definì talvolta come
Schola Italica — determinate influenze derivanti dall’antica tradizione
romano-italica se, come scrive l’esoterista Marco Daffi {alias il conte
Libero Ric- ciardelli) è lui il misterioso «Ottaviano» (altro
riferimento alla gens Julia!) autore nel 1910, nella ri¬ vista
«Commentarium» diretta dal Kremmerz, di un articolo sul dio Pan e di una
lettera di congedo dalla redazione in cui egli riafferma in tali termini
la pro¬ ti?) «Sotto tale pseudonimo si nascondeva persona
veramente auto¬ revole, autorevolissimo collega di ricerche ermetiche di
Kremmerz tanto da potere essere ritenuto portavoce di sede superiore
(...) Don Leone Caetani, Duca di Sermoneta, Principe di Teano» (M. DAFFI,
Giuliano Kremmerz e la Fr+Tr+ di Myriam, a cura di G.M.G., Alkaest,
Genova). Gli scritti firmati da «Ottaviano» in «.Commenta¬ rium» sono
tre: La divinazionepantéa (n. 1 del 25 luglio 1910), Per Giu¬ seppe
Borri, Gnosticismo e iniziazione (n. 8-10 di novembre-dicembre 1910). In
quest’ultimo scritto, con¬ sistente in una lettera di congedo come
collaboratore della rivista, si ri¬ manda all’opera di un altro
personaggio che, come «Ottaviano», doveva riconnettersi allo stesso
ambiente iniziatico gravitante alle spalle dell’or¬ ganismo kremmerziano:
l’avvocato Giustiniano Lebano, autore di un curioso libretto intitolato
Dell’Inferno: Cristo vi discese colla sola anima o anche col corpo? (Torre
Annunziata 1899), in cui nuovamente si accenna al «ramoscello dorato del
segreto, ossia la voce mistica di con¬ venzione» (p. 66) che Enea
presenta a Proscrpina. 26 pria fede pagana:
«... non sono che pagano e ammiratore del paga¬ nesimo e divido il
mondo in volgo e sapienti (...) volgo, che i miei antenati
simboleggiavano nel ca¬ ne e lo pingevano alla catena sul vestibolo del
Do- mus familiae con la nota scritta: Cave canem; ca¬ ne perché
latra, addenta e lacera» (18). In quegli stessi anni (a partire dal
1905) era co¬ minciata l’attività pubblicistica ed iniziatica di Reghini.
La sua importanza fra i più autorevoli esponenti europei della
Tradizione, e del filone romano-italico in particolare, risiede
cer¬ tamente non tanto nel tentativo, vano e fatalmente destinato
all’insuccesso, per quanto disinteressato, di rivitalizzare la massoneria
al suo interno (19), quanto nell’attenzione da lui portata allo studio
ed [OTTAVIANO, Gnosticismo e iniziazione, cit., p. 210. (19)
Tentativo che si concretizzò soprattutto con la creazione del Rito
Filosofico Italiano, fondato nel 1909 dal Reghini, Edoardo Frosini ed
altri (vi sarà accolto come membro onorario Aleister Crowley...), ma
dall’esistenza effimera, dal momento che si fuse con la massoneria di
Rito Scozzese Antico ed Accettato di Piazza del Gesù. 11 Reghini seguirà
le sorti e le direttive di Piazza del Gesù di Raoul Palermi, molto
favorevole nei confronti del fascismo, sino ai provvedimenti contro le
società segrete del 1925. Giovanni Papini ha de¬ dicato alcune pagine nel
contempo pungenti e commosse ad Arturo Re¬ ghini di cui fu amico negli
anni giovanili, cosi concludendo: Reghini visse, povero e solitario, una vita
di pensiero e di sogno: anch’e¬ gli difese e incarnò, a suo modo, il
“primato dello spirituale’’. Nessuno di quelli che lo conobbero potrà
dimenticarlo» (Passato remoto, ed. L’Arco, Firenze).alla riscoperta della
tradizione classica e romana, che gli era stato dato in compito di
rivitalizzare «in segreto», così come egli stesso si esprime in una let¬
tera inviata ad Augusto Agabiti e pubblicata nel numero di aprile 1914 di
«Ultra»: «sai bene come il nostro lavoro, puramente meta¬
fisico e quindi naturalmente esoterico, sia rimasto sempre e
volontariamente segreto» (20). In tal modo il Reghini ben si
inseriva nel filone della corrente tradizionalista romana, in quella
sua variante che si può legittimamente definire orfico- pitagorica,
col contributo di numerosi scritti, soprattutto sulla numerologia
pitagorica, sparsi fra molti articoli e opere impegnative, come Per la
resti¬ tuzione della geometria pitagorica, I numeri sacri della
tradizione pitagorica massonica (postumo 1947; rist. 1978), Aritmosofia
(postumo REGHINI, La «tradizione italica», in «Ultra»
Allo stesso modo, di tradizione ermetica «egizio-ellenistica» si
potrebbe parlare per il filone essenzialmente seguito dalla corrente
kremmerziana. È chiaro come nessuna di queste correnti possa preten¬ dere
di identificarsi con il filone centrale deWa tradizione romana (come
vorrebbero, ad esempio, certi continuatori del Reghini dei nostri
giorni), rappresentandone, semmai, corollari concentrici ed espressioni
validis¬ sime, ma essenzialmente periferiche. Il nucleo della tradizione
romana è altra cosa: può includere tutto ciò, ma al tempo stesso ne è al
di sopra nella sua essenza originaria. Per cercare di comprendere la
cosa, si dovrà riflettere sul simbolismo e sulla funzione del dio Giano,
non per caso divinità unica e propria della sacra terra laziale.) ed il
tuttora inedito Dei numeri pitagorici. Con questa attività egli
avrebbe perseguito la mis¬ sione affidatagli da un’antica scuola
iniziatica di tradizione pitagorica della Magna Grecia (23) allorché,
ancora giovane e studente a Pisa, fu avvicinato da colui che sarebbe
divenuto il suo maestro spirituale: Amedeo Rocco Armentano (24),
calabrese, ufficiale dell’esercito all’epoca in cui lo conobbe il
Reghini. Ad Amedeo Armentano (1886-1966) apparteneva
(22) Di recente, per il quarantesimo anniversario della scomparsa del
Reghini, è stata edita una raccolta di suoi scritti vari: Paganesi¬ mo,
pitagorismo, massoneria, ed. Mantinea, Fumari 1986, a cura del¬
l’Associazione Pitagorica, un gruppo costituitosi solo nel giugno 1984
con un poco iniziatico «atto notarile» (sic), ma che vanta diretta
discen¬ denza dal gruppo del Reghini. La raccolta è stata purtroppo
eseguita con dilettantismo, senza criteri ed inquadramenti
storico-filologici e gli scritti reghiniani (uno addirittura incompleto)
non seguono nè un ordi¬ ne logico, nè cronologico. Il saggio suW
Interdizione pitagorica delle fa¬ ve si potrà leggere ora completo in
«Arthos» n. 30 (1986, ma stampato 1987). (23) DIOGENE LAERZIO
(Vili, 56) ricorda come il pensiero di Pitagora avesse trovato accoglienza presso
gli Italioti della Magna Grecia: «Come dice Alcidamante tutti onorano i
sapienti. Così i Pari onorano Archiloco, che pur era blasfemo, e i Chii
Omero, che era d’altra città e gli Italioti Pitagora» (Die fragmente der
Vorsokratiker, a cura di H. Diels-W. Kranz; trad. ital. Bari 1981, v.
I). Per alcune notizie su Armentano (ed una sua foto), cfr. R.
SE- STITO, A.R.A., il Maestro, in Ygieia, bollettino interno
dell’Associazione Pitagorica, Di Armentano si vedano le Massi¬ me di
scienza iniziatica, commentate dal Reghini in vari numeri di «Atanòr» ed
«Ignis» (1924-25). Negli anni Trenta Armentano lasciò l’I¬ talia per il
Brasile, dove morì. È sintomatico come anche «Ottaviano» in quel periodo
si sarebbe allontanato dall’Italia stanziandosi a Vancou¬ ver in Canada.]
quella misteriosa «torre in mezzo al mare. Una ve¬ detta diroccata,
su di uno scoglio deserto» (25) dove, con gran dispiacere di Sibilla
Aleramo, il giovane protagonista del romanzo Amo, dunque sono (Mon¬
dadori, Milano), «Luciano» {alias Giulio Pari¬ se), avrebbe dovuto
«diventare mago» in compagnia di un amico non nominato, vale a dire
proprio il Reghini. Fu proprio nella torre di Scalea, in
Calabria, che il Reghini rivide nell’estate 1926 il testo della
tradu¬ zione italiana deirOccw//flr Phylosophia di Agrippa, a cui
premise un ampio saggio di quasi duecento pagine su E.C. Agrippa e la sua
magia. Vi scriveva, fra l’altro: «E perciò, in noi, il senso
della romanità si fonde con quello aristocratico e iniziatico nel
renderci fieramente avversi a certe alleanze, acquiescenze e
deviazioni. Forse si avvicina il tempo in cui sarà possibile di rimettere
un po’ a posto le cose, e noi speriamo che ci venga consentito, una
qualche vol¬ ta, di riportare alla luce qualche segno dell’esoteri¬
smo romano. Quanto alla permanenza di una “tradizione romana”, si vorrà
ammettere che se una tradizione iniziatica romana pagana ha potu¬
to perpetuarsi, non può averlo fatto che nel più as¬ soluto mistero. Non
è quindi il caso di interloquire con affermazioni e negazioni. ALERAMO,
Amo, dunque sono, cit., p. 15. Cfr. p. 50: «Luciano, Luciano, e tu vuoi essere
mago! M’hai detto d’aver già operato fantastiche cose, fantastiche a
narrarsi, ma realmente accadute». REGHINI, E.C. Agrippa e la sua magia,
in: E.C. AGRIPPA, Il 1914 è un anno molto importante, sotto diversi
aspetti, per i tentativi di rivivificazione della tradi¬ zione italica.
Nel numero di gennaio-febbraio 1914 di «Salamandra», in un articolo dal
titolo fortuna¬ to, poi ripreso da Evola, Imperialismo pagano, Reghini
coglieva occasione, scagliandosi contro il parlamentarismo ed il suffragio
universale che favoriva cattolici e socialisti, di riaffermare l’unità e
l’immutabilità della tradizione pagana in Italia, che, sempre ricollegata
nella sua visione al pitagorismo, si sarebbe trasmessa attraverso le figure di
alcuni grandi ini¬ ziati sino ai nostri giorni. In ottobre, dalle pagine
di «Ultra», precisava nello stesso tempo, in un importante articolo
dottrinario, che: «Il linguaggio e la razza non sono le cause
della superiorità metafisica, essa appare connaturata al luogo, al
suolo, all’aria stessa. Roma, Roma caput mundi, la città eterna, si
manifesta anche storica¬ mente come una di queste regioni magnetiche
della terra. Se noi parleremo del mito aureo e so¬ lare in Egitto, Caldea
e Grecia prima di occuparci della sapienza romana, non è perché questa
derivi da quella, ché il meno non può dare il più» Lm Filosofia occulta o
la Magia, voi. I, rist. Mediterranee, Roma 1972, pp. XCIII-XClV,
nota. L’articolo fu poi ripubblicato in «Atanòr», I, 3 (marzo
1924), pp. 69-85 (oggi nella ristampa anastatica a cura dell’omonima casa
edi¬ trice di Roma). (28) A. REGHINI, Del simbolismo e della
filologia in rapporto alla sapienza metafisica, in «Ultra», Vili, 5
(ottobre 1914), p. 506.Intanto, nella notte del solstizio d’inverno del
1913, si era verificato un insolito episodio, gravido di future
conseguenze: in seguito a misteriose indi¬ cazioni, nei pressi di un
antico sepolcro sull’Appia Antica era stato rinvenuto, a cura di
«Ekatlos» (29), accuratamente celato e protetto da un involucro im¬
permeabile, uno scettro regale di arcaica fattura e i segni di un
rituale. «Ed il rito — riporta «Ekatlos» (30) — fu celebra¬
to per mesi e mesi, ogni notte, senza sosta. E noi sentimmo,
meravigliati, accorrervi forze di guerra e forze di vittoria; e vedemmo
balenar nella sua lu¬ ce le figure vetuste ed auguste degli “Eroi”
della razza nostra romana; e un “segno che non può fal¬ lire” fu
sigillo per il ponte di salda pietra che uo¬ mini sconosciuti costruivano
per essi nel silenzio profondo della notte, giorno per giorno».
«Il significato, le vere intenzioni e le origini di tali
(29) Lasciamo ogni responsabilità circa l’identificazione di «Eka¬ tlos»
con il principe Leone Caetani, già da noi incontrato, all’anonimo autore
(si tratta, peraltro, certamente di C. Mutti, fanatico integralista
islamico) di una postilla alla parziale traduzione francese della rivista
evoliana «Krur» (TRANSILVANUS 1984, A propos de l’article d’Eka- tlos,
seguito da una Note sur Leone Caetani, in: J. EVOLA, Tous les écrits de
«Ur» & «Krur», 111 [Krur 1929], Arché, Milano 1985, pp. 475- 486).
Ancor più lasciamo all’autore di tali tristi note (in cui ancora una
volta si dimostra come tra fanatismo religioso e via iniziatica esista un
divario invalicabile) la pesante responsabilità delle poco ragguardevoli
espressioni usate nei confronti del benemerito principe romano.
(30) EKATLOS, La «Grande Orma»: la scena e le quinte, in «Krur», oggi in:
GRUPPO di UR, Introdu¬ zione alla Magia, voi. Ili, Roma] riti pongono un
problema», osserva il Di Vona (31), «ma il loro fine immediato fu
esplicito, e come tale è stato dichiarato. (...) Esso fu compiuto nel dovuto
modo da un gruppo che si propose di dirigere verso la vittoria italiana
la I Guerra Mondiale». Ma l’episodio ha un seguito: il 23 marzo
1919 (giorno in cui cade la festa romana del Tubilustrium, o
consacrazione delle trombe di guerra) fu fondato a Milano, nella famosa
riunione di Piazza Sansepol- cro, il primo Fascio di Combattimento (dal
1921 de¬ nominato Partito Nazionale Fascista). Fra gli astanti vi
fu chi, emanazione dello stesso gruppo che aveva riesumato l’antico
rituale, preannuncio a Benito Mussolini: «Voisarete Console d’Italia». E
fu la stes¬ sa persona che, qualche mese dopo la Marcia su Roma, vestita
di rosso, offrì al Capo del Governo un’arcaica ascia etrusca, con «le
dodici verghe di betulla secondo la prescrizione rituale le¬ gate
con strisce di cuoio rosso. Con tale atto dal sapore sacrale, come è
evidente. VONA, Evola e Guénon EKATLOS, art. cit., p. 382, nota.
La notizia è riportata con altri particolari nel «Piccolo» di Roma del
23-24 maggio 1923, p. 2 [cfr. Ap¬ pendice 1]. Particolare curioso: la
sera stessa del 23 maggio Mussolini parti in aereo alla volta di Udine,
onde potere inaugurare il giorno dopo, 24 maggio, anniversario dell
’entrata in guerra, il monumentale cimitero di Redipuglia, alla presenza
del Duca d’Aosta. La sera del 24, sulla via del ritorno verso Roma,
l’aereo fu costretto, da un inspiegabile guasto, ad un atterraggio di
fortuna nei pressi di Cerveteri, cioè l’antica etrusca Cere, donde forse
proveniva l’arcaico fascio.le correnti più occulte portatrici della tradizione
ro¬ mana avrebbero voluto propiziare una restaurazione in senso
«pagano» del fascismo. Altri episodi concomitanti concorrono a
rafforza¬ re questa supposizione. Dopo essere stata composta proprio
nel 1914, fra il 21 aprile ed il 6 maggio 1923 (altre significative
coincidenze di date), fu rappre¬ sentata sul Palatino la tragedia Rumori:
Romae sa- crae origines (il solo terzo atto), col beneplacito e la
presenza plaudente di Benito Mussolini. La tragedia (o, meglio, alla
latina, il Carmen solutum) risulta opera di un certo «Ignis» (pseudonimo
sotto cui si celerebbe l’avvocato Ruggero Musmeci Ferrari Bravo), che
risulta godere di appoggi assai influenti, co¬ me quello di Ardengo
Soffici [cfr. Appendice 11], e appare, specialmente in quel terzo carmen
che fu re¬ citato, più che una semplice rappresentazione sceni¬ ca,
un vero e proprio atto rituale: un rito di consa¬ crazione, certamente
denotante nell’autore, o nei gruppi restati nell’ombra di cui egli era
emanazione, una conoscenza non solo filologica della tradizione
romana (si pensi che in intermezzi scenici vengono cantati, al suono di
flauti, i versi ianuli e iunonii dei Fratres Arvales), ma anche di certi
suoi lati occulti, come lascia intendere il rito di incisione su
lamine auree dei nomi arcani deU’Urbe e l’esegesi, voluta- mente
incompleta, dei significati del nome di Roma. Quest’azione, occulta
e palese, sulle gerarchie fasciste affinché i simboli da esse evocate, come
l’aquila o il fascio, non restassero puro orpello di facciata, continuerà
sino al 1929, che è anche l’anno in cui Rumon verrà pubblicata, in
splendida edizione ufficiale, dalla Libreria del Littorio, con i frontespizi
ornati di caratteri arcaici romani, disegnati appositamente nel 1923 da Giacomo
Boni, lo scopritore del Lapis Niger già da noi incontrato, il quale avrà
il privilegio poco dopo, alla sua morte, di essere inumato sul Palatino
stesso. Ancora noteremo come sintomatica l’uscita, nello
stesso 1923, della Apologia del paganesimo (Formig- gini, Roma) di
Giovanni Costa, futuro collaboratore delle iniziative pubblicistiche di
Evola. Uscirono le due riviste di studi iniziatici «Atanòr» ed «Ignis», dirette
da Reghini, e in cui iniziò una collaborazione il giovane Evola:
affronteranno con un rigore ed una serietà inconsuete, per l’eterogeneo
ambiente spiritualista dell’epoca, tematiche e discipline esoteriche di
parti¬ colare interesse: vi comparvero, per la prima volta in
Italia, scritti di René Guénon, fra cui a puntate, pri¬ ma ancora che in
Francia, L'esoterismo di Dante. È peraltro evidente come il contenuto di
queste riviste non avesse un valore puramente speculativo, come
dimostrano gli scritti di «Luce» suirO/7M5 magicum (Gli specchi - Le
erbe) negli ultimi due numeri di (33) Fu proprio Giacomo Boni che,
risalendo ai modelli d’origine, mi¬ se a punto il prototipo del fascio
romano (oggi al Museo dell’Impero) per il Regime Fascista: è quello che
compare sulle monete da due lire di quel periodo (cfr. V. BRACCO,
L’archeologia del Regime, Volpe, Roma «Ignis», che preludono a quelli del
successivo Grup¬ po di Ur. Ma intanto l’auspicata svolta in senso pagano
da parte del fascismo sperata dalla corrente tradizionalista romana non
solo stenta a verificarsi, anzi è messa pericolosamente in forse dalle
mene degli ambienti cattolici e clericali. In «Atanòr» Reghini con parole di
fuoco depreca alcune espressioni pronunciate da Mussolini in occasione
del Natale di Roma: «Il colle del Campidoglio, egli ha detto,
"‘dopo il Golgota, è certamente da secoli il più sacro alle
genti civiir. In questo modo l’On. Mussolini, invece di esaltare la romanità,
perviene piuttosto ad irriderla ed a vilipenderla. Noi ci rifiutiamo
di subordinare ad una collinetta asiatica il sacro colle del
Campidoglio». E nel n. 7 di luglio, dopo il delitto
Matteotti: «... ecco un clamoroso delitto politico viene a
sconvolgere la vita della nazione, ad agitare gli animi. Investito da popolari
e da ogni gradazione di democratici, a Mussolini non resterebbe che
battere la via dell’imperialismo ghibellino, se non esistesse un partito
che già lo sta esautorando... tengano ben presente i nostri nemici che,
nono¬ stante la loro enorme potenza e tutte le loro prodezze, esiste
ancor oggi, come è esistita in passato, traendo le sue radici da quelle
profondità interiori che il ferro e il fuoco non tangono, la stessa
catena iniziatica pagana e pitagorica, inutilmente e secolarmente
perseguitata». L’ordine del giorno Bodrero e le successive
leggi sulle società segrete tolgono ulteriore spazio all’attività
pubblicistica di Reghini, che peraltro confluisce nel «Gruppo di Ur»,
formalmente diretto da Julius Evola. A noi qui non interessa tanto
esaminare il lavoro di ricerca esoterico svolto dal Gruppo di Ur, cui
parteciparono, come è noto, personalità appartenenti alle principali correnti
esoteriche operanti in quegli anni in Italia, dai pitagorici ai
kremmerziani, dagli steineriani (antroposofi) ai cattolici eterodossi
come il De Giorgio, quanto sottolineare come in quella sede dovesse
essere stato, almeno in parte, ripreso il programma di influenzare per
via sottile le gerarchie del fascismo, nel senso già voluto dal gruppo
manifestatosi con la testimonianza di «Ekatlos» (che, non lo si
dimentichi, viene riportata proprio nel terzo dei volumi che raccolgono
le testimonianze di tutto il gruppo — in apparenza slegata da esse
— successivamente apparse col titolo di Introduzione alla Magia).
In un inserto per i lettori comparso nel n. 11-12 di «Ur», Evola poteva
scrivere: «... possiamo dire che una Grande Forza, oggi più che
mai, cerca un punto di sbocco in seno a quella bar¬ barie, che è la
cosidetta “civilizzazione” contemporanea — e chi ci sostiene, collabora di
fatto ad una opera che trascende di certo ciascuna delle nostre
stesse persone particolari». Del resto, molti anni più tardi, Evola
stesso di¬ chiarerà piuttosto esplicitamente nella sua autobio¬
grafia spirituale che l’intento del Gruppo era stato quello, oltre a «destare
una forza superiore dr servire d’ausilio al lavoro individuale di ciascuno», di
far sì che «su quella specie di corpo psichico che si voleva creare,
potesse innestarsi per evocazione, una vera influenza dall’alto», sì che
«non sarebbe stata esclu sa la possibilità di esercitare, dietro le quinte,
un’azione perfino sulle forze predominanti nell’ambiente generale» (34).
Un’indagine ben più approfondita, come si vede, meriterebbe di essere svolta
sugli evidenti tentativi di rivitalizzazione, all’interno del Grupo
di Ur, delle radici esoteriche e dei conte¬ nuti iniziatici della
tradizione romana: a parte i contributi dello stesso Evola (che firmerà come
«EA» e, pare, anche come «AGARDA» e «lAGLA»), di cui ricordiamo
l’importante saggio (nel HI volume) Sul «sacro» nella tradizione romana,
ancora una volta fondamentale resta l’apporto del Reghini (che
firma come «PIETRO NEGRI»): egli, nella relazione Sul¬ la
tradizione occidentale, sulla scorta di un’attenta esegesi delle fonti
antiche (soprattutto Macrobio) e di personali acute intuizioni, nonché di
probabili «trasmissioni» iniziatiche, non esiterà ad indicare nel
mito di Saturno il «luogo» ove è racchiuso il senso e il massimo mistero
iniziatico della tradizione EVOLA, Il cammino del cinabro, Milano
(li ed.), p. 88. Un esame generale, storico-bibliografico, sul
Gruppo di Ur è sta¬ to da me compiuto in lingua tedesca, come studio
introduttivo alla versione tedesca del I volume di Introduzione alla Magia
(Ansata Verlag, Interlaken 1985). Si tratta del notevole ampliamento,
riveduto e corret¬ to, di un mio precedente studio già apparso in
«Arthos» n. 4-5 (1973-74). 38 romana,
un’indicazione utilizzata e sviluppata ulte¬ riormente nel nostro recente
Dèi e miti italici. Intanto, nella seconda metà del 1927, una serie
di articoli polemici sui nuovi rapporti tra fascismo e chiesa
cattolica, che Evola aveva pubblicato in «Cri¬ tica fascista» di Bottai e
in «Vita Nova» di Leandro Arpinati, e la successiva comparsa, nella
primavera del 1928, di Imperialismo pagano, che quegli articoli
raccoglieva e sviluppava, riversarono proprio sul Gruppo di Ur pesanti
attacchi clericali, fra cui è in¬ teressante segnalare quello
particolarmente violento e ambiguo, del futuro papa Paolo VI, Montini,
allora assistente centrale ecclesiastico della Federazione Universitari
Cattolici Italiani (F.U.C.I.), che aveva come organo culturale la
rivista «Studium» (redazione a Roma e a Brescia. Dalle pagine di
«Studium» il Montini accusava «i maghi» riuniti attorno a Evola di «abuso
di pensiero e di pa¬ rola (...) di aberrazioni retoriche, di rievocazioni
fanatiche e di superstiziose magie.. G.B.M., Filosofia: una nuova
rivista, in «Studium». Oltre che del futuro Paolo VI (certamente il più
nefasto fra i papi di questo secolo), apparvero in «Studium» anche gli
attacchi del futuro ministro democristiano del dopoguerra Gonella {Un difensore
del paganesimo; // nuovo colpo di testa di un filosofo pagano, cui Evola
replicò — dopo averlo definito «un tale il cui nome esprime felicemente
che vesti gli si confacciano più che non quelle della romana virilità» —
nell'«Appendice Polemica» di Imperialismo paga¬ no. Contro Imperialismo
pagano (le nostre citazioni sono tratte dalla ristampa, presso Ar di
Padova) si scomodò tutto Ventourage del giornalismo clericale, da
«L’Osservatore Romano» a «L’Avvenire», Imperialismo pagano fu l’ultimo deciso,
inequivocabile e tragico appello da parte di esponenti della «corrente
tradizionalista romana», prima del triste compromesso del Concordato,
affinché il fascismo, come si esprimeva Evola, «cominciasse ad
assumere la romanità integralmente e a permearne tutta la co¬
scienza nazionale», così che il terreno fosse «pronto per comprendere e
realizzare ciò che, nella gerarchia delle classi e degli esseri, sta più
su: per comprendere e realizzare il lato sacro, spirituale, iniziatico
della Tradizione». A questo scopo Evola non risparmiava taglienti
critiche alle gerarchie del Regime. Il fascismo è sorto dal basso, da
esigenze confuse e da forze brute scatenate dalla guerra europea.
Il fascismo si è alimentato di compromessi, si è ali¬ mentato di
retorica, si è alimentato di piccole ambizioni di piccole persone. L’organismo
statale che ha costituito è spesso incerto, maldestro, violento,
non libero, non scevro da equivoci. Di più: Evola prevedeva
addirittura gli al «Cittadino» di Genova, nonché tutta la
pubblicistica fascista fautrice dell’intesa col Vaticano, da «Educazione
fascista» a «Bibliografia fasci¬ sta», sino alla stessa bottaiana
«Critica fascista» che aveva ospitato i primi articoli evoliani.] esiti e
gli sviluppi della Seconda Guerra Mondiale: «L’Inghilterra e
l’America, focolari temibili dei pericolo europeo, dovrebbero essere le
prime ad essere stroncate, ma non occorre di certo spendere troppe
parole per mostrare che esito avrebbe una simiie avventura sulla base
dell’attuale stato di fatto. Data la meccanizzazione della guerra moderna, le
sue possibilità si compenetrano strettamente con la potenza industriale
ed economica delle grandi nazioni.Era dunque necessario che il fascismo,
che «bene o male ha messo su un corpo. Ma... non ha ancora
un'anima» (p. 13), si rivolgesse senza esitazioni a quella della Roma precristiana
prima che fosse trop¬ po tardi, sì da «eleggere l'Aquila e il fascio e
non le due chiavi e la mitria a simbolo della sua rivoluzione. Nostro Dio
può essere quello aristocratico dei Romani, il Dio dei patrizi, che si
prega in piedi e a fronte alta, e che si porta alla testa delle
legioni vittoriose — non il patrono dei miserabili e degli afflitti
che si implora ai piedi del crocifisso, nella disfatta di tutto il
proprio animo. Il governo di Mussolini firma a nome del Re d’Italia, dal 1870
considerato dai papi un «usurpatore», il cosiddetto Coneordato con
la Chiesa Cattolica e nasceva il monstrum giuri- (37) Che il
cosiddetto Concordato abbia sortito un effetto a dir poco nefasto sulle
sorti, non solo dello stesso fascismo (come le vicende stori- dico della
Citta del Vaticano. Veniva con ciò tolta ogni speranza residua di azione
all’interno de¬ gli ambienti ufficiali, sia da parte di Evola che di
Re- ghini e di altri autorevoli esponenti, restati per lo più in
ombra, del «tradizionalismo romano»: alcuni di loro, come già si è
accennato in nota, abbandonaro¬ no per sempre l’Italia per il Nuovo
Continente nel corso degli anni Trenta. Restava il
«programma minimo» indicato ancora da Evola in Imperialismo pagano,
secondo cui il fa¬ scismo avrebbe dovuto: «promuovere studi
di critica e di storia, non parti- giana, ma fredda, chirurgica,
sull’essenza del cristianesimo. Contemporaneamente dovrebbe promuovere
studi, ricerche, divulgazioni sopra il lato spirituale della paganità,
sopra la sua visione vera della vita.]. che successive ben
presto dimostrarono, avvalorando i timori di Reghini e di Evola), ma
della stessa Italia del dopoguerra, lo sperimentiamo ancora oggi sulla nostra
pelle, dopo che un quarantennale dominio clericale-borghese ha provveduto,
quasi in ogni campo, ad addormenta¬ re la coscienza delle «masse» ed a
stroncare, con un autentico «terrorismo di Stato», qualsiasi velleità di
reazione delle minoranze coscienti della necessità di mutare uno stato di
cose ormai incancrenito. Mussolini non si era reso conto che prima
di lui uomini non so¬ lo autoritari, ma dal potere assoluto — gli Ottoni,
gli Svevi, perfino Carlo V ecc. — si erano dovuti pentire di ogni intesa,
patto e transazione con la Santa Sede. ogni intesa tra Santa Sede e Stato
italiano avrebbe significato unicamente il riconoscimento giuridico della
validità Chi avesse pensato che la Scuola di Mistica Fascista,
fondata significativamente poco dopo la «Conciliazione», nell’ambito
del G.U.F. di Milano per opera di Nicolò Giani, avrebbe svolto una
funzione del genere, avrebbe dovuto ben presto ricredersi amaramente. In
realtà, il sentimento religioso dichiarato di quella che avrebbe voluto
costituire Vélite politico-intellettuale del fascismo si configurava con
precisione come cattolico. Lo dichiara, in una maniera che non potrebbe essere
più esplicita, lo stesso fratello del «Duce», Arnaldo Mussolini, in
un discorso tenuto alla Scuola. La nostra esistenza deve essere inquadrata in
una marcia solida che sente la collaborazione della gente generosa
e audace, che obbedisce al comando e tiene gli occhi fissi in alto, perché ogni
cosa nostra, vicina o lontana, piccola o grande, contingente od eterna,
nasce e finisce in Dio. E non parlo qui del Dio generico che si chiama
talvolta per sminuirlo Infinito, Cosmo, Essenza, ma di Dio nostro
Signore, creatore del cielo e della terra, e del suo Figliolo che un
giorno premierà nei regni ultraterreni le nostre poche virtù e perdonerà,
speriamo, i molti difetti legati alle vicende della nostra esistenza terrena.].
dei principii su cui si fonda l’ingerenza della Chiesa nelle questioni
del¬ lo Stato italiano» (N. SERVENTI, Dal potere temporale alla
repubblica conciliare. Volpe, Roma2). Cfr. «11 Popolo
d’Italia» del 1° dicembre 1931. Sulla «Scuola di Mistica Fascista», si
veda: D. MARCHESINI, La scuola dei gerarchi, Feltrinelli, Milano. E il
filosofo Armando Carlini, discutendo della nuova mistica, ravvisava la
nota più originale del fascismo proprio nel suo presupposto «religioso,
anzi cristiano, anzi cattolico; perché «il Dio di Mussolini vuol
essere quello definito dai due dogmi fondamentali della nostra religione:
il dogma trinitario e quello cristologico. Quel programma che abbiamo
detto minimo cercherà Evola più tardi in parte di compiere con
l’organizzare il lavoro di alcuni suoi insigni collaboratori attorno al
«Diorama filosofico», la pagina speciale che, con uscita irregolare e
alterna, quindicinale e mensile, cura all’interno del quotidiano cremonese di
Farinacci, «11 Regime Fascista». La tematica della tradizione romana, esaminata
nei suo simboli, nei suoi miti, nella sua forza spirituale, ritorna qui
frequentemente negli scritti dello stesso Evola, di Giovanni Costa (già
da noi incontrato), di Massimo Scaligero e di diversi collaboratori
stranieri, come Edmund Dodsworth (appartenente alla famiglia reale
britan¬ nica) e lo storico tedesco Franz Altheim. Analoghe
collaborazioni sono fornite dall’allora giovane An¬ gelo Brelich, in
quell’epoca sconosciuto, ma destinato nel dopoguerra a ricoprire degnamente
l’impor- (40) A. CARLINI, Mistica fascista, in «Archivio di studi
corporativi». Saggio sul pensiero fUosofico e religoso del fascismo, Roma
tante cattedra, che fu del Pettazzoni, di Storia delle Religioni
nell’Università di Roma, e da Guido De Giorgio, già collaboratore di «Ur»
e di altre iniziative evoliane. Nel contesto della corrente da noi defi¬
nita del «tradizionalismo romano» il De Giorgio occupa una posizione piuttosto
anomala e tale che il Reghini avrebbe visto con sospetto: egli infatti
concepisce in Roma la sede eterna, geografica e storica, ma soprattutto
metafisica, in grado di unire in sé stessa la religione pagana e il
cristianesimo, tesi ela¬ borata soprattutto ne La tradizione romana.
D’altra parte, è lo stesso De Giorgio a ribadire con sorprendente
sicurezza la persistenza del culto di Vesta in un misterioso centro,
nascosto e inaccessibile: «Il fuoco di Vesta arde inaccessibilmente
nel Tempio nascosto ove nessuno sguardo profano sa- [L’uscita
alle stampe di questa edizione (presentata come Ed. Flamen, Milano) offre
contorni alquanto misteriosi. In ogni caso, il manoscritto dell’opera
sarebbe stato consegnato all’autore della nota introduttiva, «ASILAS»
(che corrisponderebbe ad uno degli ispiratori del «Gruppo dei Dioscuri» e
nel contempo autore di due dei fascicoli omonimi [si veda poi]), da un
antico componente del Gruppo di Ur, che noi sappiamo corrispondere al
«TAURULUS» , cioè Corallo Reginelli, tuttora vivente.
L’uscita della Tradizione romana, in ogni modo, è stata 1
’occasione per una salutare riflessione sul tema da parte dell’ambiente
tradizionalista nella prima metà degli anni Settanta, sia da parte cattolica
(si veda¬ no il bollettino «Il rogo»,
e la successiva rivista «Excalibur»), sia da parte propriamente
«pagana» (si veda la nostra recensione dell’opera del De Giorgio, confortata da
un parere di Evola, in «Arthos» n. 8: essenziale come punto di ripresa
del discorso sulle origini della tradizione romana). prebbe
penetrare e a lui deve l’Europa intera la sua vita e il prolungamento
della sua agonia. Da questo fuoco occulto partono scintille che
alimentano le crisi e risollevano periodicamente l’esigenza del ritorno
alla Romanità attraverso le varie vicende di cui s’intesse la storia
delle nazioni europee considerata geneticamente, internamente e non sul piano
li¬ mitatissimo della contingenza dei fatti e degli uomini. Queir
immane conflitto, già previsto da Evola nel 1928, e che anche il De
Giorgio giudicava del tutto inefficace, «se non addirittura letale per lo
spirito e il nome di Roma» (44), avrà in effetti come risultato più
manifesto, per i fini dello studio che qui andiamo conducendo, di occultare del
tutto le fila della corrente di pensiero di cui siamo andati
ripercorrendo la trama. Solo verso la fine degli anni Sessanta è
proprio la ristampa dell’evoliano Imperialismo pagano (e la scelta
pare significativa), curata nel 1968 dal «Centro Studi Ordine Nuovo» di Messina
(45), a tentare [ GIORGIO,
(vedi anche L’edizione, ciclostilata, con copertina stampata in azzurro,
venne tolta subito dalla circolazione in quanto non autorizzata da Evola:
la si può considerare oggi una vera rarità bibliografica. di
riannodare i termini di un antico discorso: «L’angoscioso grido
d’allarme rivolto dall’Autore a Mussolini per metterlo in guardia contro
il ventilato proposito della cosiddetta “Conciliazione’)) si afferma nell’anonima
introduzione — «risuona oggi con inusitata attualità e fa si che Imperialismo
pagano venga guardato come un oracolo». Ed è proprio provenendo
dalle fila di «Ordine Nuovo», un’organizzazione che lo stesso Evola
ha tenuto in buona considerazione
— almeno fino a che la sua ala borghese¬ modernista,
condotta da Rauti, non confluì nel MSI
— che comincia ad agire, tra la fine degli anni Sessanta ed i
primi anni Settanta, il «Gruppo dei Dioscuri», con sede principale a Roma
e diramazioni a Napoli e Messina. Pare assodato che all’interno del «Gruppo dei
Dioscuri» venissero riprese [EVOLA, Il cammino del cinabro, cit., p. 212:
«L’unico gruppo che dottrinalmente ha tenuto fermo senza scendere in
compro¬ messi è quello che si è chiamato AeWOrdine Nuovo».
L’interesse dei «tradizionalisti romani» nei confronti di «Ordine Nuovo»
si esaurisce sin dall’inizio degli anni Settanta, allorché, da una parte,
la frazione rautiana rientrata nei ranghi del MSI si isterilì in fatui ed
estenuanti «giochi di potere» all’interno del partito e in declamazioni populistico-giovanilistiche
(non a caso la cosiddetta «Nuova Destra» proviene quasi esclusivamente da
quell’ambiente torpido ed ambiguamente compromissorio), dall’altra, la
frazione «movimentista» ed extraparlamentare condotta da Clemente
Oraziani ed altri si smarrì nelle velleità inconcludenti e pericolose
della «lotta di popolo», con conseguente ed inevitabile suo annientamento
da parte del Potere vero. tematiche e pratiche operative già in uso nel «Gruppo
di Ur» ed è perlomeno probabile che lo stesso Evola ne fosse al
corrente. Fatto sta che nei quattro «Fascicoli dei Dioscuri»,
usciti in quel torno di tempo, l’idea di Roma da una parte e di un Centro
nascosto dall’altra, a cui il tra¬ dizionalismo dovrebbe far riferimento,
ritornano con grande evidenza. Per l’anonimo autore del primo
«Fascicolo dei Dioscuri», intitolato Rivoluzione tradizionale e
sovversione (Centro di Ordine Nuovo, Roma), il più grande dei meriti di
Evola è quello: «di avere rammentato il destino di Roma quale
portatrice dell’Impero Sacro Universale e di avere tratto da tale verità
le necessarie conseguenze in ordine alle idee-forza che devono essere
mobilitate per una vera rivoluzione tradizionale». Qualche anno
dopo, al termine del terzo «Fascicolo» intitolato Impeto della vera cultura, il
mito di Roma viene additato come l’unico che sia in grado di condur¬ re
ad una superiore unità gli sforzi di tutti i tradizionalisti italiani:
«a tutti i tradizionalisti, anziché proporre uno dei tanti miti
soggetti a rapido e facile logoramento, si può ricordare la presenza di
una forza spirituale perennemente viva e operante, quella stessa che
il mondo classico ed il medio-evo definirono l’AETERNITAS ROMAE»
Il «Gruppo dei Dioscuri» ebbe notevole importanza come cosciente riconnessione
alle precedenti esperienze sapienziali e come indicazione, per
taluni elementi particolarmente sensibili dell’area della de¬ stra
radicale, di possibili indirizzi e sbocchi futuri del «tradizionalismo
romano», anche se la particolare via operativa scelta e, soprattutto, la
mancata qualificazione di taluni componenti, porterà ben presto
alla distruzione dall’interno del Gruppo stesso, di cui non si sentirà più
parlare già prima della metà degli anni Settanta (ci viene detto che
frange disperse del gruppo continuerebbero a sussistere soprattutto a
Napoli). È tuttavia da supporre che alcuni dei gruppi periferici, sia pure
trasformati, ne abbiano continuato il retaggio se, ad esempio, a Messina, molto
probabilmente nell’ambito di alcuni dei vecchi membri del «Gruppo dei
Dioscuri» viene elaborato un testo dottrinale ed operativo, a
circolazione interna, sotto forma di «lezioni» di un maestro a un
discepolo, piuttosto interessante. La via romana degli dèi: «Diremo
anzitutto dell’essenza della tua religiosità, fornendo alla tua mente profonda
gli argomenti per una serie di esercizi di meditazione affinché con saldo
cuore, tu possa prepararti all’assolvimento del rito» [ La via romana degli
dèi. Istituto di Psicologia Superiore Operativa, Messina (ciclostilato ad uso interno),E certamente
non priva di connessioni genetiche col gruppo romano appare la sortita,
improvvisa, verso la fine degli anni Settanta, nella stessa Messi¬
na, del «Gruppo Arx», successivamente editore del periodico «La
Cittadella» e degli omonimi quaderni, in cui senza alcuna attenuazione i
possibili itinerari di approccio alla «via romana degli dèi» sono
indicati attraverso la cosciente riappropriazione del- Vanimus
romano-italico, rivissuto nel rito stesso, e nel rigetto, sostanziale e
formale, di ogni adesione a forme anche esteriori del culto
cristiano. Quanto segue è storia dei nostri giorni, dal mo¬
mento che proprio con l’inizio degli anni Ottanta vi è stata una nuova
cosciente ripresa del moderno «movimento tradizionalista romano», una cui
rimanifestazione «pubblica» si estrinsicherà in una data ed in un luogo
alquanto significativi. Infatti nel 1981, il 1° marzo (data in cui
iniziava l’anno sacro romano), a Cortona (donde in epoca
primordiale Dardano, figlio di Giove, si sarebbe mosso alla volta
della Troade) si tenne un importante Convegno di studi sulla Tradizione
italica e romana, che, a [Gli Atti sono stati pubblicati nel numero
speciale triplo di «Ar- thos» n. 22-24, daU’omonimo titolo, di pp. 192.
Per una sintetica analisi sulla diversa valenza del termine «italico» nei
vari interventi, cfr. R. DEL PONTE, Che cos’è la tradizione italical, in
«Vie della Tradizione» parte l’emergenza di differenti prese di posizone
dei tradizionalisti presenti, ebbe il merito di riproporre la
questione — non puramente dottrinale o formale — di una cosciente
riconnessione aWaurea catena Saturni della tradizione indigena da parte
di chi, pur in quest’epoca di totale dissoluzione di ogni valore,
intenda coscientemente riassumere il fardello delle proprie radici
etniche e spirituali. Successivamente ad un nuovo Convegno a Messina, sul
Sacro in Virgilio, la rielaborazione dottrinale e la ridefinizione concettuale
dei valori difesi dagli attuali esponenti del «tradizionalismo
romano» (di cui è parte cospicua anche l’apparire alle stampe di alcune
collane di libri specifiche) si è spostata su un piano più interiore, ma la
loro presenza è destinata a riaffiorare a livello di influen¬ za
sottile e indiretta di gruppi o ambienti eticamente sensibili di un’area
superante i limiti stessi del mon¬ do della «destra politica».
Il futuro dimostrerà se la funzione di questa mi¬ noranza (ben
cosciente di esserlo) si limiterà ad una [Gli Atti sono stati pubblicati
in buona parte nel numero speciale di «Arthos» , daH’omonimo titolo. [Ci
limiteremo a ricordare la collana «1 Dioscuri» per le ECIG di Genova, in
cui figurano L’oltretomba dei pagani di C. Pascal, il mio Dèi e miti
italici. La religiosità arcaica dell ’Eliade di N. D’Anna e Arcana Urbis di M.
Baistrocchi (in stampa); o quella di «Studi Pagani» del Basilisco di
Genova, in cui sono comparsi testi di antichi (Giuliano Augusto, Giamblico,
Simmaco, Porfirio) e di moderni (Guidi, De Angelis, Beghini, Evola
ecc.). pura e semplice azione di testimonianza, sia pure «scomoda»
per molte cattive coscienze. Il «mito capacitante» di Roma, come l’antica
fenice, è destinato a risorgere continuamente dalle sue ceneri, poiché
riposa nella mente feconda degli dèi archegeti di questa terra.
Appendici documentarie Da: «Il Piccolo» di Roma: Il Fascio littorio
a Mussolini» Il giorno 19 scorso, presentata dall’esimia
prof.a Regina Terrazzi, fu dall’on. Mussolini ricevuta la dott.a
prof.a Cesarina Ribulsi, che offriva al Presi¬ dente del Consiglio come
augurio per la data del XXIV Maggio un fascio littorio da lei
esattamente ricostruito secondo le indicazioni storiche e
iconografiche. L’ascia di bronzo è proveniente da una tomba
etrusca bimillenaria ed ha la forma sacra col foro per la legatura al
manico: alcuni esemplari simili so¬ no conservati nel nostro Museo
Kircheriano. Le dodici verghe di betulla, secondo la
prescrizio¬ ne rituale, sono legate con stringhe di cuoio rosso che
formano al sommo un cappio per poter appen¬ dere il fascio, come nel
bassorilievo per la scala del Palazzo Capitolino dei Conservatori.
Il fascio ricomposto con elementi antichissimi e nuovissimi è stato
offerto al Duce come simbolo della sua opera organica di ricostruzione dei
valori del¬ la nostra stirpe allacciando le vetuste origini alle fome più
vibranti dell’attività gagliarda e rinnovata che prende le mosse.
La rudezza espressiva del Fascio è ingentilita dal contrasto tra il
verde della patina bronzea e il rosso del cuoio che ricorda la stessa
armonica tonalità che producono le colonne di porfido presso la porta
di bronzo àcWheroon di Romolo, figlio di Massenzio, al Foro
Romano. L’offerta era accompagnata da una epigrafe latina
dedicatoria composta dall’offerente, la quale nell’Università Popolare fascista
svolge una fervida opera di propaganda di romanità viva. Il
Duce gradì l’augurio ed il voto accogliendoli colla sua consueta serena
nobiltà, non senza un segno della vivacità del sorridente suo spirito
latino: «Lei mi ha dato una lezione di storia» — osservò in tono
scherzoso. Singolari parole in bocca di chi dà e darà non poco a fare
agli storici futuri. (La notizia è riportata in una rubrica
dedicata a «I solenni riti del XXIV Maggio», senza indicazione di
paternità). Da: IGNIS, Rumori. Sacrae Romae origines, tragedia in cinque
carmi. Editrice Libreria del Littorio, Roma pag. non numerata, IV
dopo il frontespizio: LETTERA DI ARDENGO SOFFICI A S.E.
MUSSOLINI Mio caro Presidente, (...) permettimi ti dia,
scritte e sottoscritte anche da me, che ne resto garante, al¬ cune
prove di pregi eccezionali della tragedia, che, in fondo, in un vero
poema epico delle origini, è l’esal¬ tazione di oggi della nostra stirpe.
Comincio da un mio giudizio, già a te noto; Rumori è tragedia roma¬
na che può stare a paro col Giulio Cesare di Shakspeare (...) ti fo osservare
che il titolo di Poeta di Ro¬ ma, dato da Jean Carrère ad ignis, si è
dato solo a Virgilio e ad Orazio: Augusto, vive, oggi, tra noi tutti in
ispirito, più per questi due poeti, da lui protetti, che per la sua
politica imperiale. E tu vedi come Rumori sia stato giudicato,
prima ancora che esistessero l’idea e la forza fascista, tragedia degna
di Roma quando competenti — dai nostri a Carrère, ed a me che sono
l’ultimo al giudizio — corrono all’iperbolico per lodare Rumori di ignis
bisogna concludere che ci si trova da¬ vanti ad un’opera d’arte somma, e
per fortuna nostra, d’arte italiana — opera che è, anche per se stessa, di alto
significato politico, e di spirito fascista (...) Mi rileggo, e mi credo,
caro Presidente ed amico carissimo, di averti scritto una lettera
storica. Fai che non sia stata scritta invano, ma invece il tuo no¬
me vada unito a quello della tragedia Rumori, al poema di Roma e degno di
Roma: e di questo lega¬ me in avvenire, spero che tu possa essere un po’
gra¬ to al tuo affezionato amico e devoto ARDENGO
SOFFICI pag. successiva non numerata: IL MINISTERO
DEGLI AFFARI ESTERI Caro Soffici, bisogna assolutamente far
marciare Rumori. Il Governo appoggia fervidissimamente l’iniziativa
perché essa rientra nel grande quadro della rinascita nazionale.
Saluti fascisti e cordialissimi. f.to MUSSOLINI
Roma, AUGURE Manifesto è dunque: amor — essere — ROMA.
Se tutte move, ed incende, le create cose... legge si è — Amor —
dell’universo vita... così, un tanto Nome, a noi predice: dono di
regno e potestà sovra ogni terra, e dello spirito, e d’imperio. Confirmato
si è, per te, prodigioso il vaticinio. Non pronunciati mai più sien i Nomi
occulti... su la Città terribili chiamerebbero fortune... Li
trasmettano, oralmente, i Pontefici ai Pontefici. Né mai più, tu,
l’eccelso pronuncia Nome palese, se concluso non avrai, prima, il solco
sacro. Permesso e commesso mi è: Nunziare, allora, in gran letizia,
al Popolo... quel Nome che licito non più mi è dire quando,
già per tre volte, qui, in tre diversi suoni, de la gran Madre nostra il
Nome risonò. {Dispiega le dita della sinistra, ad una ad una, per
numerare i significati del nome). Di significati cinque:
È... ’l Nome palese, latore, con l’occulto: Chiama la Città:
Valentia... Ròbure... Virtù! e ancor: Madre... Mamma... Alma
Nutrice! Vostra — nei nomi vostri — oh Re! suoi fondatori...
Come del grande Rumon: URBE: la Città del Fiume!
{Pausa) Ammirate! se gli Dei saputo abbiano addensare,
in così breve Verbo, sì pieni... tanti arcani. Mirifici! donando
Nomi nove: in quattro occulti ed un — Medio — palese, e
quando, nove, siamo al Rito. Ili Da: COSTA, Apologia del
paganesimo, Formìggini. Il pagano è, per definizione, buono. Né un greco,
né un romano avrebbero concepito che l’uomo potesse esser qualcosa di diverso
da ciò, che in lui litigassero per così dire due nature, che la manifestazione
esterna fosse diversa dall’interna, che né nella vita individuale, né in quella
sociale vi fossero mezzi termini, transazioni, compromessi. Esso è
quello che naturalmente è, cioè buono, come ideale supre¬ mo della
vita, come dovere, come necessaria fatalità insita nelle cose umane. Egli
vive quindi la vita interamente, dolorosamente, gioiosamente a un tempo,
con un pragmatismo sano e forte che non ammette ipocrisie, doppiezze,
scuse. Solamente all’uomo cosiddetto moderno è stato
concesso, per virtù di dottrine religiose e culturali che si sono formate
a lui d’intorno, una distinzione ed una separazione del suo essere
intimo, spirituale, psicologico, dal suo essere apparente, esteriore,
materiale. All’antico quando di questa scissione apparve per un momento la
possibilità, egli ne cacciò da sé l’idea, ne biasimò perfino la
concezione. La concezione pagana della vita ha fatto perciò
l’uomo tutto d’un pezzo, ne ha affermato il carattere, ne ha provocato 1
’azione. Ecco perché la vita nel paganesimo ha avuto tutto il suo massimo
sviluppo ed è stata accettata non come un male, ma come un bene che
bisognava con interezza di carattere vivere interamente e sanamente per
sé e per gli altri : Per stabilire l’equilibrio l’uomo deve
tornare al paganesimo poiché il cristianesimo si è mostrato divina opera
cui le sue spalle non sanno sottostare. Ma paganesimo è sincerità e
l’uomo deve ritornare ad essere sincero. Il cozzo a cui l’ha costretto
per due millenni il suo desiderio di seguire il messaggio cristiano
e la sua manifesta impotenza di non saper¬ lo fare, deve risolversi in
armonia se egli vuol sanare in sé l’eterno dissidio. Lo spirito e la
carne debbono avere il medesimo valore ed il loro prevalere non può
essere determinato che da circostanze speciali di individuo, di momento e di
luogo che l’uomo può intravvedere, non deve violare con convinta testardaggine.
L’equilibrio di queste forze, l’esteriore e l’interiore, quindi, deve essere
nella dottrina, come nella vita, assoluto. Da: Im via romana
degli dèi, ciclostilato anonimo, Messina: L'immagine di un
dio è lo stemma della Forza che essa rappresenta. A tutti i fini pratici
tali immagini sono personae, perché qualsiasi cosa possano essere
nella realtà esse sono state personalizzate e forme di pensiero sono
state proiettate su un altro piano. Alcune di queste immagini e le loro
attribuzioni sono così antiche e sono state costruite con tanta
ricchezza di lavoro sottile da essere capaci di rico¬ struirsi da se
stesse, durante l’eventuale lavoro di meditazione, che l’allievo può fare
su una divinità. Resta un minimo «invito», un minimo stimolo, perché il
meccanismo scatti e l’immagine si ricompon¬ ga, sia pure su un piano
semplicemente psichico. Così, della limatura di ferro, dispersa su un
piano, si raccoglie intorno ad un magnete che venga posto in mezzo.
Se il magnete è forte esso attirerà i granelli anche se essi sono pochi e
molto distanti. AMKDKO R(K ( () ARMKM ANO (imda «Ygieia», Reghini
Piscio littorio a Mussolini n florno If »cor*o. pr^eniaU dalla tsl-
bjU prof.» Rcidna Trmiizl. fa rtalTon. Maa. aOltnl rlotwta la doti.»
pmf.» Osarina RI- baiai cba offriva al Proatdanta dr’. Conti¬ guo
romo aufurln la data de) Mabfio «n falcio littorio da lei eaattamcDte
licoatndto lecoudo la lodicaslonl atorictie e leooograflclia.
l.‘aicla di bronra k prorenlenU dm aoa tomba etmaca hlmtneoarta ed
ba la forma aorra eoi foro per la Vantura hi manico: alcool
eaamplan slmili sono coosenrat: :.«! nostro Ma.*«o Klrcberiamo. é
La dodict verace di l>ctulla. ascondo la prescrizione rit'iale.
sono legala con tirisele cuoio rosso cba formano al tonimo ua cappio per
poter appendere fi fascio, conta nel ba.MorUiero per la acala del
Pa lazzo Capitolino dd Conaenalori. Il fascio ricomposto con
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Mra attrpa ,,,allacciando le veia«ie origini alla fonn più vibranti
dell'attività ga- giarda a rinnovata cha prendo la mosse Là rudezza
espressiva dal Fascio è ingantlHta dal contrasto tra (I verde della
patind bronsea e U rosso del molo che ri¬ corda la stes.aa armonica
tonalità che pm- doeono le colonne di porfido presso la porta di bronzo
deD'brroon di Itomdlo, figlio 41 Massenzio al foro romano. L'oflerla
efa accompagnata da ani epl- graia latina dedicatoria composta
dall'orfarente. la quale nell'UntvcnUtà Popolare faartsta avolga una
fervida opera di pro- pafgada di romani Ih viva. n Duca gradi
raugorto a fi voto acro- Mlaodoll colla sua consueta serena
nobiltà. 2«m senza tm segno della vivacità del sor> ridaots ano
spirito latino: Let mi ba dato nna testone di storiaosservò In tono
aehanoao. Btngolart parole In bocca di r.hl db a darà non poca a fare
agli storici fu- tnrl Riproduzione da «11 Piccolo. Grice:
“Like Reghini, of the movimento tradizionalista romano, Enriques was, for
different reasons, all into Pythagoras’s ‘arimmetica’!” -- Federigo Enriques. Enriques.
Keywords: implicature arimmetica, unity of science, history of logic,
foundations of mathematics, the synthetic a priori. Grice e Enriques su Peirce,
l’arimmetica pitagorica, Reghini. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enriques” –
The Swimming-Pool Library. Enriques.
Grice ed Enzo: la ragione
conversazionale e l’uomo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Burano). Filosofo. Grice:
“I like Enzo; for one, his “Ubi es?” is a classic – only in Italy they take the
Bible so seriously – “Ubi es” can be interpreted literally – sans implicature. And that’s what Enzo does.”. Figlio
di Alessandro, vetraio a Murano, un mestiere estremamente usurante, morirà
appena cinquantenne. Uomo concreto e critico nella sua essenziale bontà. La madre, Flaminia Vio, è una bravissima maestra
merlettaia. Da lei apprende il rigore e lo spirito di rispetto verso
l'istituzione. È lei, una cattolica laica, che vive al servizio della Chiesa,
ad accompagnarlo dalle suore perché
serva come chierichetto alla prima Messa. È lei che accoglie la proposta del
parroco di mandarelo in seminario a Venezia per permettergli di continuare gli
studi, ma preferisce ritardarne l'entrata e chiede alla nipote di ospitare a
Venezia il cugino che posse così frequentare i primi anni come esterno. Negli
anni di studio ginnasiale, si imbatte
per la seconda volta nella lettura della Bibbia. Il primo contatto era stato
quando, aveva deciso di leggere ai fratelli, nella traduzione di Martini, una
vecchia Bibbia trovata in casa, per accompagnarli al sonno. Il contatto è più
corposo e sistematico, ma come la lettura lo entusiasma e nello stesso tempo lo
delude, intuisce infatti la mancanza di adeguate conoscenze e strumenti
concettuali per poter penetrare pienamente il messaggio biblico. Ha la stessa
reazione anche quando, finito il liceo, sceglie gli studi, dove la lettura
della Bibbia è seria e critica, ma rimane, per importanza, sempre la seconda o
la terza materia dopo la dogmatica e la morale. Viene mandato a fare cura
pastorale come vicario cooperatore a Caorle, dove accoglie 350 alluvionati del
Polesine. Qui, meta preferita di turisti tedeschi, studia da auto-didatta la
lingua tedesca per meglio servire la Chiesa. Viene trasferito con lo stesso
incarico nella vicina frazioncina di Ca' Cotoni per divergenze con il parroco
di Caorle e nella popolare parrocchia di S. Giuseppe di Castello a Venezia. Aveva
conosciuto questa comunità quando vi era stato per una stazione quaresimale con
il patriarca Piazza e l'accoglienza ostile degli operai verso una personalità
vista come filo0fascista aveva reso necessaria la scorta della polizia. A S.
Giuseppe di Castello compera un appartamento, indebitandosi, per fare patronato
con doposcuola tutti i pomeriggi sino alle 20, e a sera gli incontri con i
ragazzi più grandi. Insegna al Lido e poi nella vicina "P.F.Calvi",
organizzando anche uno spettacolo per un concorso al teatro "Goldoni".
Il vicario generale Gottardi, dopo essersi consultato con monsignore Capovilla,
segretario del cardinale Roncalli, gli comunica che andrà a studiare a Roma. Gottardi
era stato suo insegnante di teologia e scienze bibliche in seminario e aveva
conosciuto il suo profondo interesse per gli studi biblici, ne aveva poi apprezzato
il saggio, “La 'Giustificazione' nella Lettera ai Romani” in cui analizza le
varie interpretazioni bibliche in maniera dia-cronica risalendo sino alle
tradizioni patristiche. Le due omelie di Carlo a S. Giuseppe di Castello
ascoltate dallo stesso vicario generale avevano poi confermato quella
scelta. A Roma è ospite presso il
Pontificio Collegio Nepomuceno in via Concordia ed è lì che lo viene a
prelevare Capovilla per una visita guidata alla città, alla vigilia del
Conclave da cui uscirà papa Roncalli. A fargli da cicerone è proprio il futuro
papa Giovanni XXIII e le bellezze della città illustrate da una guida tanto
preziosa assieme al paterno congedo di Capovilla costituiranno il ricordo più
bello della sua vita. Consegue la Licenza con una tesi su "I Carismi"
e contemporaneamente i corsi in scienze bibliche presso il Pontificio Istituto
Biblico, dove perfeziona lo studio dell'ebraico già iniziato in seminario, ma
soprattutto ha l'incontro, decisivo per i suoi studi, con il grande biblista
Schoekel. Segue i corsi del quinto anno che gli avrebbero permesso di redigere
il saggio su "Grazia e benevolenza" per la laurea, tesi che non può
però portare a termine perché torna a Venezia, chiamato da Urbani a svolgere la
funzione di vicerettore del Seminario Patriarcale, nel burrascoso periodo tra
il rettorato di Vecchi e Villa. Da vicerettore del seminario insegna anche
scienze bibliche, diviene in seguito pro-rettore, sino a quando chiede di
essere sollevato dall'incarico per poter assistere la madre paralizzata ed è
quindi ascritto alla parrocchia di S. Zaccaria, dove abiterà con la madre. Qui
si fa promotore dell'allestimento e della conduzione di un teatro,
dell'organizzazione del cinema per ragazzi, del cineforum, dell'istituzione
della biblioteca, mentre cura anche l'esecuzione di opere di risanamento e
ristrutturazione di tutti gli ambienti frequentati dai ragazzi. Continua ad
insegnare in seminario, e dal rettore viene mandato nel Benedektiner Kloster di
Metten a Degendorf (Germania) per preparare alla maturità i seminaristi che
studiano la lingua italiana. Compensa l'esiguo stipendio con l'insegnamento
nella scuola pubblica, come il liceo classico "M. Polo", dove matura
la sua sottoscrizione delle tesi del "Manifesto". Viene nominato
patriarca di Venezia Luciani e pochi giorni dopo il suo insediamento emerge il
suo diverso sentire con Enzo, che, nella mensile lezione culturale al clero,
trattando il tema della "Consumatio saeculi" o secolarizzazione nella
Bibbia, provoca una dura reazione del presule. Dà le dimissioni
dall'insegnamento in seminario, dapprima ritirate, perché lui, che da tempo nella santa messa
pratica l'omelia dialogata, non si sente in consonanza con le direttive
indicategli. Sino a questo momento i patriarchi veneziani che avevano conosciuto
Carlo, Piazza, Agostini, Roncalli ed Urbani, gli avevano dimostrato la loro
stima. Proprio Urbani aveva chiesto ad Enzo un commentario al Vangelo di Marco.
Sin dagli inizi, accompagna la vita sacerdotale di Carlo una costante e intensa
cura pastorale, rivolta sia ai ragazzi che agli adulti, e non solo nelle sue
sedi parrocchiali. Più che trentennale è a questo proposito la collaborazione
che gli chiede Marangoni nella parrocchia di Marghera, nel quartiere Cita, nei
difficili anni Settanta e, dagli anni Ottanta, a San Giacomo dell'Orio a
Venezia, a testimoniare la stima e l'affetto maturati dagli anni del seminario.
Si laurea a Venezia con “Alle origini dell'utopia messianica. Insegna a
Venezia, Oriago, Mestre e Giudecca. Va in pensione dall'insegnamento. Tiene a Venezia dei cicli di seminari di
esegesi biblica nell'ambito dei corsi tenuti dal prof. Arnaldo Petterlini, da
Madera, e allo IUAV di Venezia seminari di antropologia biblica ed esegesi
invitato da Rizzi. Sudia filosofia scolastica, propedeutica alla teologia. Nel
manuale di Calcagno, "Elementa philosophiae scolasticae" trova il
capitolo dedicato alla filosofia immanentistica, che considera Dio la natura o
non considera affatto Dio e considera solo la natura. Lo colpisce Spinoza per
la sua vita nascosta, dimessa, umile, scriveva infatti solo per gli amici. Ne
legge l"Ethica more geometrico", commentata da G. Gentile, più facile
a reperire perché considerata meno sospetta del "Tractatus theologicus politicus"
che studia in seguito, dedicando particolare attenzione al capitolo "De
interpretatione". Spinoza afferma che la Bibbia va letta e interpretata con
la Bibbia, era quanto Enzo aveva intuito sin da ragazzo, ma aveva abbandonato
quella strada in seminario dove si praticava il metodo storico-critico. A Roma,
il Nuovo Testamento viene studiato ed interpretato secondo il metodo della
storia delle forme che applica al testo biblico le regole dello scrivere
greco-latino, mentre per il Vecchio Testamento si segue la teoria dei generi letterari.
Incontra Schoekel, insegnante di teologia, esegesi ed ermeneutica biblica, che ha
un'attenzione speciale alle particolarità stilistiche e semantiche del lessico
biblico che schiudono un nuovo orizzonte metodologico e tematico. Considera
fondamentale per la comprensione dell'intera Bibbia lo studio dei primi tre
capitoli di Genesi e incoraggia Enzo, verso cui dimostra profonda stima e
un'amicizia che durerà sino alla propria scomparsa, ad affinarne l'esegesi e a
continuare il suo lavoro. Torna a Venezia con l'intenzione di mettere a frutto
quanto appreso applicando le indicazioni metodologiche spinoziane. Gli studi su
Genesi 1-3 vengono pubblicati in "Biblica". La interpretazione di
Genesi è alla base di diversi testi, dalla tesi di laurea, all'articolo su Servitium,
al testo "Adamo dove sei?" In parallelo decide di approfondire la
connessione tra i testi di Genesi e il vangelo di Matteo e scrive diversi
appunti che continuamente rivede nel corso degli anni. Da questi nasce il
progetto "La generazione di Gesù Cristo nel vangelo di Matteo". Altre
opere: “Testo e interpretazione in Weber e Bultmann, Unicopli, Milano); Alle
origini dell'utopia messianica, Antenore, Padova); Sulla nascita della
filosofia medievale, Venezia 1984 Sitz im Leben e interpretazione, Venezi); “Individuo
e comunità, nella riflessione biblica delle scritture antiche Servitium:
Quaderni di ricerca spirituale, Adamo dove sei?, il Saggiatore, Milano); La
terza delle dieci parole di “Esodo” 20 nell’interpretazione di Gesù in Le
parole dell'essere: per Emanuele Severino Petterlini A., Brianese G. e Goggi
G., Pearson Italia S.p.a Il Progetto di Mondo e di Uomo delle Generazioni di
Israele (Genesi 1-4), Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. I. Gli Inizi, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù
Cristo nel Vangelo secondo Matteo. II. La Legge, Mimesis, Milano, Le prime
dieci parole di YHWH a Israele in Panta, Decalogo, Donà M. e Toffolo R.,
Bompiani, La Generazione di Gesù Cristo
nel Vangelo secondo Matteo. III. La Regola dell'Apostolo, Mimesis, Milano, La
Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. IV. Il Regno dei Cieli,
Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel Vangelo secondo Matteo. V.
La Ecclesia di Gesù Cristo, Mimesis, Milano, La Generazione di Gesù Cristo nel
Vangelo secondo Matteo. VII. La consegna del figlio dell'Adamo, Mimesis,
Milano, Genere adamico. Riflessioni sui testi fondativi della tradizione
spirituale occidentale che si trovano nei primi quattro capitoli di Genesi,
Servitium: Quaderni di ricerca spirituale,
Interventi alla radio Giuda: consegnare e tradire: Marco 14,43-52 con
Ludwig Monti, 3 marzo Sulla barca le
parole del regno Matteo 13, con Romano Madera, Le parole del regno Matteo 13; Due
lezioni bibliche: Il “mondo” del nostro Dio, Rovato e L’ “uomo” del nostro Dio,
Rovato, Lo Spirito di Cristo nel
progetto messianico, comunità della parrocchia di S. Giacomo, Venezia La
rivelazione secondo la Bibbia, Università degli studi di Venezia, Dipartimento
di filosofia e Teoria della scienza, Seminario sul “Der Mann Moses und die
monotheistische religion”, Incontro tra Carlo Enzo e Romano Madera, 13 marzo,
IUAV (Venezia) ‘ôLaM, il progetto consegnato, Le decadi, dieci incontri con
pensatori eccellenti sul tema “Le potenze invisibili”, IUAV (Venezia) Scritti
su Carlo Enzo e testimonianze Tagliapietra A. La Bibbia, libro sempre “aperto”,
Gazzettino Tattara G. e altri Per una rilettura del vangelo di Matteo, Mosaico
di pace (on line), Madera R. Date al
cielo quello che è del cielo, L’Unità, Gnoli A. Rileggere la Bibbia, La
Repubblica Della Pergola F. Parola di biblista,
Della Pergola F. La Bibbia svelata,
e in Left, Lamonaca L. Su una nuova lettura della Genesi, Patrignani C.
Laicità: il biblista Carlo Enzo batte i marxisti ratzingheriani, MorettoUn mondo possibile, Della Pergola F.
Il problema dell’unicità e della trascendenza di Dio nella Bibbia ebraica, Della
Pergola F. Il Dio del nulla Tattara G. e altri Gesù e le donne nel vangelo di
Matteo, Della Pergola F. La lunga
battaglia contro la Bibbia e in Left, 1 aprile
Video Da Burano a Roma, parte I, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria La prima visita di Roma, parte II, dal progetto Memoro. La Banca della
Memoria Dal Biblico a Baruch Spinoza, parte III, dal progetto Memoro. La Banca
della Memoria Gesù Maestro ed Elohîm dell'Ecclesìa, parte IV, dal progetto
Memoro. La Banca della Memoria Vai, vai per te, parte V, dal progetto Memoro.
La Banca della Memoria Dalla Bibbia Ebraica alla generazione di Gesù Cristo.
Un'intervista di Romano Màdera La Bibbia non dice quello che ci hanno fatto
credere. Un’intervista a Carlo Enzo Date
al cielo quello che è del cielo di Romano Madera, in L'Unità, Rileggere la
Bibbia di Antonio Gnoli, in La Repubblica. DISCORSO DELLA RELIGIONE ANTICA DE ROMANI,
’fcSbr lnjìeme <rrn altro Difcorfo della CaUrametatione ,
f£) difciplma militare, % agni, & efferati] an- tichi di detti
Xomani, Comporti in Franzefc dal S.Gugliclmo Choul,GcntiJhuomo Li
onde, & Bagty delle Montagne del Dclfinato, 'otti in Toscano da M.
Gabriel Simeoni Fiorentino. di Medaglie & Figure , tirare de i
marmi amichi, quali fi trouano à Roma , & nella Francia. IN
LIONE, APPRESSO ROVILLIO. Armoiries dudiB S.(juiUdume du
Choul. hi'* BEATVS. J m I
r I r Hi. alla christianissim a et
ScreniiTìma Rcinadi Francia, Macia ma Cateri- na de Medici,
Guglielmo Rouillio humiliflìmo fcruitore, (aIutc & con^ 'c'N
tentezza Tempi- '% terna. i ^4. purità & dolcetta della
lingua Tofcana pare che fia di prefenre ( Chnfiianifima Reina) falira in
tanto pregio, che doppo la (^re- ca (èj? la Latina fi Toscani medesimi Jludian dolaci ingegnano
ogni giorno di renderla più bella y i letterati firanieriì ammirano, (gj (
come hanno fatta t*Ariofio,il "Bembo, fèd il Sennaz&aro') ne
iloro ferini cercano di imitarla, & in fomma, non fi troua natione à cui
non piaccia cjuafi ogni opera compofiapiù tofio in toscano, che
in altra inguada ejuale cofa conofco io tffere ogni dt più yera nel
fare Jìampare {gfi mandare fuora i miei libri ,nafcendo ( co- me io
credo) <juefio,che poche altre lingue fi pronunziano (tfi fcriuono di
\na medefima maniera, come fanno la Latina & In Toscana, le quali
oltre di ciò hanno Vna certa conformità inferno per la vicinità delle
‘Provincie, che nelfignificato, nel fittone , Qf nell'accento fi poffono
meritamente nominare f or elle. Jtla fi come ogniTofianofe non ben
letterato, non può ne parlare, ne fcriuere bene, cofi e gran felicità disdire
le parole, (gfi leggetegli ferirti di colui che Tofcano (gr letterato fi
ritrova. Traitjuah ha vendo io fempre dito per tale filmare
Jrfejftre (jabncl Symeoni da gli h ut miniì tram ente dotti, oltre à
quelli ' & I ig* 10 che io medefimo ne
ho cognosiuto, (gl egli da fe (leffo ha di' mojlro in più opere fue
fampate in Francia & in Italia, mi fon mojfo à gregario di tradurre in
toscano il libro della Religione antica de Romani, prima composo in Frange fe
dal S. (julielmo Choul,2?agly delle montagne del T> elfinato, la quale
fatica volentieri egli ha fui ito profanarne anchoragia fece dellaltromio libro
della Caframetatione de romani, pur e comporlo dal medesimo autore. Là onde, considerando
futilità grande che di tal libro fi può cauare, egl masime havendolo fiampato
nella più bella forma che io ho saputo imaginare, ho pre/i ardire di
dedicarlo à ZJ.Jrf- parendomi [fe fi debbo hauer ri- guardo che il
prefente habbia qualche proportione con la perdona a cui fi prefenta) non poter
più degnamente quello mio conuenire ad altri che a ZJ.M. come lettura non
meno nobile, che V rile alla Republica, potendo percofi fatti mezzi cono
fiere, che la grandezza & profferita dell’imperio romano non nacque
ctaltroue, che dalla virtù deltarmi proprie, dallagiufitia, (gl dal culto
frequente (anchora chefaljo, altrettanto che 11 noffro ordinato
dalla chiesa catholica, e falutifero (gl vero } della Religione dei loro
falfi Z>q,i quali o come creature (deificando gli fiocchi i loro co fi buoni
come cartiui lmper adori} o come inanimati numi [adorando & temendole
felle, i Fianeti, la forte, (gir gl'accidenti h umani} fe bene non
haueuono poffanza d aiutarli, nondimeno fi vede che fomnipotenre
&> Vero 2 )io, hauendo più riguardo alla /implicita & buono
animo loro t ch e alla loro cieca credenza ,tion anchora illuminata
dal Vero Mefiia gli fauoriua fempre (gl aiuraua, non altrimenti che
io lo priego al prefente che al Re, à U.JM.(gl à tutta la fua regia &
bella prole doni fanitàconrinoua, allegrezza fini# fineffl longa vita. Di
Lione el dì }0.dùdgofio,itf8. Difcor, 'S:5Stata comune
opcnionc d’alcuni hiftori ci antichi che lano, primo Re de Latini,
forte el primo che caificaflc tempio a Dio. Alcuni altri hanno voluto che
quello faccflìno in Candia Foraneo & Dionigi,& che di qui tutte
le republichc, i Principi, & gl’imperatori di buona voluntà, fegunarterodi
poi à fare templi magnifìchi, ornatifsimi & ricchi: tra cuttii quali i
Romani principalmente oflcruorno fopta ognicofa le cerimo- nie,
& culto della Religione, mettendo ogni loro sforfo nel fare chiefc grandi
& merauigliofc, come anchora hoggi fi vede per quella piùintcra &
più bclla, chc in Ra marecc fare M. Agrippa, genero d’Ortauiano
Imp.da; luy chiamata Panteone, & da noi fi oggi la Ritonda rispetto
alla fua forma.. Quello tepio di fuoraecompo- no di mattoni, & dentro
folcua eflcre ornato di marmi di diuerfi colori, con certe cappcflettc,in
ogniuna delle quali era porta laftatua et vno Diodi quel tempo: ma
fopra tutte vi era venerata quella di Mtncrua*fatrada- uorio per
lemanidcl celcbratiflìmo fcultorc FidiaGrc- co:5 e dart'altrapartc quella
di Venerei gl orecchi della A 3 Imo prima
inuentore it templi Tempio dt M.Agrip- JW.P tfó t
Udititi dtUa Perla di Cleopatra. Torma
er ricchezza del Panteone dedicato i
Gioite. Sacrilegio di Costantino impera. quale pendeua la
Pcrla, chc auanzò à Cleopatra Rana d’Egitto , la quale Augufto haucua per
quello effetto fatta diuiderc in due parti, non hauendo potuto
trouar- nein tutto il mondo vn’altra che la fomigliaflc.Concio Ila
che la compagna di quella mangiata da Cleopatra nel conuitodi Marcantonio
pefaflc mezza oncia, che fono l x x x. carati, & folfc (limata cento
fcllerti j , di lc- flertij che al modo nollro varrebbono cc.
cinquanta mila feudi. Di quella Perla Icriuendo Plinio ncll’v ni.
libro dcH’Hilloria naturale, dice che ella era di co lì ma- rauigliofa
grandezza Se bellezza, che la Natura non ha- ucua mai fatto opera ne più
perfetta ne più pretiofa. Ma tornando al proposto del nollro tempio ,
dico che egli ha le porte di bronzo di fmifurata groflezza &
altczza,con colonne innanzi nel medelìmo modo fmifu- ratcrte quali nel
principio lolcuono ellèrc x v i. ma hoggi à x n i. fono ridottc, conciolìa
che due ne fumo guade dal fuoco , & la terza non fi fa ciò che ne lìa
fe- guito. Le traui , architraui & cornici di querto mirabile
tempio erano ùmilmente di bronzo dorato, & finalmcn te fu la fua
principale dedicatone à Giowc Vincitore, ò Vendicatore, quantunque Dione
fcriua che Agrippa lo facerte fare in honorc d’Augudo. Collantino terzo
dipoi, Imperatore & nipote d’Hcraclio,Ieuò la copertu- radi
qucdotcmpio,la quale era di piadrc d’argento , & interne con molte
rtaruedi marmo & di bronzo, che feruiuonodi bellezza &
d’ornamento àRoma, le fece metrere lòpra mare pcnlàndo diportarle in
Codanti- nopoli,il q naie facrilegio non volendo lafciare impuni-
to Iddio, fece che in Siracufa , Città di Sicilia , lì morì
Codand Coftantino,& tante cofefìngulari Se rare fumo
rapite dall'armata dei barbari corfali,& portatelo Egitto. Coi!
fece quello Iceleratifhmo-tyrano più danno invi r. gior- nichcegli (lette
in Roma, che in c c.anni non haucuor- no fatto i Corti & tante altre
barbare narioni. L’architettura di quello tempio (per quello che io ne hò
potuto conofccre)è fopra tutte l'altre bene intefa & mirabile ,
lì come anchora li può vedere inRoma,& vedranno qui quelli,che
non vi fono (lati, per la medaglia di detto Agrippa^riprcfcntata qui
difottoal naturale. MARCO AGRIPPA. BRONZO. Vn’altro firmici
quello tempio fece già fare (pacan- do per Atene) HadrianoImpcratote,il
quale dedicò li- milmcnteà tutti gli Dij,.&lo cinfc di c x x. colonne
di marmo Frigiano, conporrichi&loggieintorno per pai- feggiare
al coperto, limili àichioftri delle nollre chiefe. Fece oltre à quello nel
detto tempio vnn libreria, Se dal fuonomcvngynnafio ornato di cento colonnedi
mar- T empio d‘- H adnano. Librrrié
d'HadrU- no. HMSfri.v, 8 raufanU. mo che egli haucua,comc
fcriuc negl’ Attici Paufiinia? fatte condurre di Libia: foggiugncndo il
detto Autore che il nome d’Hadriano fi trouaua per infino nel tem-
pio comune à tuttegli Dijila quale verità apparile an- chora per le
medaglie Greche, quiui battute per memo- ria di cofi nobile
edificio:& nelle quali fi vede il*? «fcp.,, chcè il portale della
chicfii, con altre letrerc Greche, che diconoKoiNON&moTNiAs, cioè
tempio com- muneà ruttigli Dij. HADRIANO GRECO.
BRONZO. BRONZO. Ma.lafciando (lare i templi dedicati à tutti quelli
fal- fi Dij & Demonij , pieni di fuperftitioni & di bugie,
venghiamo (blamente à confiderarc la grandezza & Tempio di ma g n
ificcnza di quello di Salomone, il quale di ricchcz Sélmonc. ^ ^bellezza
ha pafiito tutti gl’altri ,conciofia chcncl- l’ Arca douc erano ferrate
le leggi & comandamenti di Dio, fi vedeuono infinite pietre pretiofedi
grandifiìmo pregio, pregio, & l’Arca medefima era coperta
di grolle piaftre tutte d’oro.Quiui fimilmcnte era vna tauola tutta doro
malficcio con innumcrabili vali d’oro & d’argento, di stlomo - calici
, ampolle, & altre cofe, che leruiuono nell’ammi- Bf ' niftrationc
& cerimonie de i facrificij. Vncandellicre S andiflimo d’oro,
del quale vlciuonotre rami da ogni to con altrettante lucerne, figurate
per i fette pianeti, tra le quali quella del mezzo4'o ftcnuta dal tronco
, era più grande à mifura che il Sole e più bello di tutte l’al-
tre ltelle. Et tutte quelle cofe furono portatcfdoppo la Tempio del prefa
di Giudea) innanzi ài trionfo di Velpafiano & di Titofuo figliuolo,
&pofte nel tempio della PaceàRo- ma, &di poi {colpite nell’Arco
trionfale di marmo, edi- ficato in honoredi Tito Vepafiano dal Senato
Roma- no, il quale Arco con molti facrificij fi vede anchora quafi
tutto intero. Quello tempio di Pace, del quale tra l’altrccofe piu
IT eccellenti della Città di Roma Plinio ha fatto mentione Minio.
nc lxxxvi.librodeirHi(lorianaturalc,abbruciò nel tc- H aodUno. podi
Commodo Imp.Sicomc fcriue Herodiano,fog- giugnendo ch’eglicrafopra
ogn’altro ricchiflìmo &or- natiflìmo di (lame & altre cofc belle
coli dentro >comc fuora,ficomc anchora fi puoconofccrc per le
meda- glie de due fopradetti padre & figliuolo Imperatori.
VESTTqvTZd R ITR u TT^i Z> f xArco Triomplfdle di Tito in
Ronu. i BRONZO. BRON ZO. Della
bontà & valore di quelli d uc Principi , che rir
duflero(comecdetto)turtala Giudea fotro l’obedicnza de Romani, &
della miferabile prefa &diftruttioncdcl tcjnpio di Salomone, ha
Icritto affai à pieno Iofcpho nel fuo libro, che tratta della guerra de i
Giudei. VESPA SIA NO. "C TITO. ARGENTO. ,
BRONZO. Il VESPASIANO. TITO. bronzo. argento.
VESPASIANO. BRONZO. ARGENTO. AMA i}
Jtt *A T l ST *A Z^nTTTZa, quale è nelle mani Je fautore.
gradiftìmo piacere Vefpafiano fopradetto neir p ^ f
edificare & ornare quello tempio di Pace, di tutte le piu J tUaltm »
belIecole,ch’ei potette haucrc,come quello, che doppo ve- la prefadi
Giudca,haucua mcfl'o in pace tutto il mondo: il che moftrano anchora le
Medaglie battute al Tuo tem po cofidi bronzo,comed'oro,tralcqualifcne
trouano alcune colfimulacrodclla pace, accompagnato da lette- re
che dicono,PACi orbis ter rar vm. & in alcune altre fi vede la Pace
con vn torchio accclo in mano, che abbrucia & diftrugge vn fafeio
d’archi, di frcccic, di cela tc,di fcudi,& di corazze con altri
inftrumenti della guer- ra^ nell'altra mano ha vn ramo d’vliuo &
lettere che moftrano la pace d’Augufto, con quelle parole, pax
ptee. avgvsti. VES.VÌfSPÀS I A NO. DOMINANO. BRONZO.
BRONZO. Et li come Vefpalìano ha di fopra figurata la pace
eoa Lvliuo &col Caduceo di Mercurio, coli Tito la difegnà poi
con vn ramo di Palma. Pace nutrì- Quelle fono tutte le figure antiche
della pace, tanto cc detta feti dcfidcratadaogniuno,comequelIa cheè
nutrice della ctu pubti- p U bIi caV tilita,&con lafclicitàdellaquale
fi conferma il mondo.La pace è quella, per la quale la Natura Huma-
na va crefcendojlc richezzc fimilmcnte multiplicano,la virtù
VESPASIANO. TITO. BRONZO. virtù c in pregio, &
finalmente ella contiene in (e tutte le
colcbuone,chcfipoflonodefidcrarein quello mondo. Et che ciò fia vero,
ficonolce, che nel tempo di pace fiorifeono affai piu i begli
ingcgni,& i principi fauorifeo no piu i letterathcomc quelli , che
intrattenendo coli i virtuofi, i lettori publici, &crcfccndo il
numcrodeCol legi&dcllclcuolc,conolcono pcrtal mezzo, haucreà
reltare immortali,elTcndoilibri come vna tromba per- petua à gl’orccchi
de noftri fucccflori : fi come lenza quelli vegliamo che non farebbe piu
memoria de nomi & fatti di Filippo, ò Aleflandro Re di Macedoni
a,diCe (are, ne di Pompeo, di Cyro , de Perii , ne de Greci:&
la gloria &grandezzade Romani col nome di tanti huomi ni
eccellenti farebbegia del tutto fpentaxhec quella co- là(Signore
illuftriflìmo)Ia quale vi può portare maggio re gloria & honore,facendoammacftrarc
& introdurre nelle buone lettere il figliuolo del Re, che
meritamente fua MaelU haconftituito lòtto ladifciplina &
cuftodia voftra:dclla quale tornando à propofito della noftra pa-
ce,dico che Augnilo Cefarc prima fu quello, che fece fa re l’altare della
Pace in Roma, & Agrippa Tacerebbe , fi comcanchoradimoftra Ouidio nei
Tuoi Falli, doue ci dice, Ipfum no s carmen deduxit ‘Pack ad
/tram, Hac erit a mtnjis jìnefecunda dies. Veggonfi le
forme di quello altare perle Medaglie diTiberio,battutcin honore
d’Augulto, quali limili à quelle di Nerone , doue fono lettere che dicono
pace avgvsti p erpet v a, & nell’altra, ara pacis.
TI >5 Lf Intere C T letterati
rendono il nome de U principi im- mortale.
V Altare d Pace. Ouidio.
TIBERIO. NERONE T BRONZO. Tempio di Numa
Pompilio fu il primo che infegno di pace edi Un °uJrI & ^ crm ° ^ r
^P‘° Lano,iI quale (come fcriue Pro - tL ? copio)era quadro
&grandecomc vna Capella, tutto di bronzo,& tanto alto,
quanto la ftatua di ramedi Iano vi potefle ilare dentro, la quale non era
lunga piu di cinque piedi,& con due vifi,l’vno riuolto allenente,
& all’occa fo l’altro ronde ci fu detto Gemino ,& del quale
Plinio nel libro xx x v.de l'hifloria naturale ha cofì fatto men-
tione. unmgcmi' Ianni geminiti a 'Numd Rege dicdttts , qui
pdeii, belli que dr~ gumenro colitur. Augufto
AVGVSTO. BRONZO. Haucua quello tcpio due porte di bronzo, Icquali
in tempo di pace ftauano chiulc, & aperte in quello della
gucrra,ficomc anchora lì vede in Virgilio,doucei dice, Sunt gemina belli
porta. Furono quelle pone tre volte fermate al tepo de Romanica
prima lotto Numa, la feconda fotto il Conlòlo Tito Manlio,& la terza
& vltimafotto Augullo,quado piacque al Signorc&fabbricatorc del’
vniucrlo,vcro au tore& di pace & di luce, pigliare carne humana:
della quale cola lafciò mcmoriail fucccflorcd’ Augullo(dop- po che
ei fu deificato) facccndo battere medaglie, nelle quali lì veggono due
mani llrettcinfieme,convn Cadu eco nel mezzo, & due corni
d’abbondanza con parole, che dicono, pax. Significando che dalla
concordia dipende la copia di tutù quanti i beni.
Caduceo inftgm pace.
Bavgvsto: ARGENTO. Tito Liuio lcriue,che doppofa guerra
Adliaca,hauc- % do Ccfarc pacificato il mondo per mare & per terra,
fer- mò il tepio di Iano. Et Nerone dipoi lenza haucrc rigar-
do à la pace,mofi:rò per la Icrittura delle fuc medaglie, & la figura
del tepio di Iano,d’haucrc{bFo rcnduto lapacc Umilmente per mare &
per terra al Popolo Romano^, facendo fcolpire coli fatte parole ,pace
popvlo ROMANO TERRA MARIQVE PARTA, I A- NVM CIVSIT.
NERONE. DI BRONZO. Tro . ip Trouafi vn
Marmo in Roma di colore bia co & ton- do/! quale mie parfo di
riprefcntarc qui innanzi, per moftrarcla differenza delle parole che gli
fono intor- no, limili nondimeno nel fenfo à quelle, che nella
meda- glia di Nerone habbiamo viftequi fopra, ianvm c l v-
SIT PACE pRIVS POPVtO ROMANO VBIQVE PARTA. Plinio nel
libro xxm. dell’hiftoria naturale (feri- IANO uendo di Iano gemino) dice
che i Romani nella primin0 ‘ magucrra,chchcbbonocon i Cartagincfi,fcciono
bat- tere molte medaglie di bronzo, da vn de lati delle quali era
la teda di Iano con due vili, & dall’altro la poppa d'vnanauecon
quella parola, Roma. Si trouano ancora medaglie di Iano,ncllc quali fi
ri- prefentano nauili & trofei'Ja deferittion delle quali fi
vedrà piu allongo nel libro de l’Antiquità di Roma, il quali’ Autor
mcttra torto in luce. MEDAGLIA DI I A Na BRONZO. La
caufa perche Iano fi depingeua con due vili, ella- ta affai benedichiarata
da Plucarcho nel libro delle lue Ijjjf quilUoni,doucdicc chcqùcflo nacque
perche Iano era B aUno con due uijì.
Ouidio. Berofo. Uno Dio- deli pace .
IO (lato i! primo che haucua
rend u ti i collumi rozzi delle pedone piu ciuili , dando loro leggi,
& inoltrando che per la commodita de mari Se de fiumi gl'huomini
potc- uono hauerc Tempre abbondanza di tutte le cofc , tranf- portandolc
d’vn luogo ad altro. Alcuni altri dicono che arriuando Saturnoin Italia
in vna naue,& infegnando a Iano l’arte dcllagricultura, & altre
cole vtili & buone, lancio prclèpcr compagno nella Monarchia, &
per eterna memoria del Tuo- nome, fece battere medaglie con due
vilì,& nel roueTeio la nauecon la quale Satur- no era venuto in
Italia:di che anchora. pare che habbia. rcnduto teftimonio Ouidio,doueci
dice, ±At bona pojleritds Unum formante in are Hofitis
aduentum tejlificata Dei. Io nondimeno m’accofterci piu volentieri
all’oppe- nionc di Macrobio, che dice cnc Iano Tu (colpito con due
vift,percflere Rato vn Re molto Tauio , che confi- dcrado le cole
pallatc,giudicaua Se prouedeua à quel- lo che doucuaaucnircjchc e certo,
quella prudenza, la quale epiuneccflaria àtuttc le noftre attioni :
laonde confidcrado la varictadcllc leggi Se manierede collumi de
gli huominbparc che quafimcriramcntelanollravi- ta fi polla aflomigliare
alla figura di Iano con due vili. ScriueBcroTo.che Iano Tu chiamatoDio di
pace Se di concordia, doppo che Romolo &Tatios’accordornoinfie
mcj&che per la pacc& vnioncchc quelli due popoli ha - ucuonofatta
l’vnacon l'altro, l’imagine di Iano Tu Tcol- pita con due vifi,& nel
tépo pure di Romolo fatta di le- gnoTolamcte/ccondo ilcollumc de
grantichi,volendo mollrare Se fignificarcchclapoucrtaè amica diDio,
come zi come quelle che contienile in fe l’honcftà ,
& la pace, quello che conferma Tibullo ne Tuoi verfi > douepar-
ritmilo. landò dellantichcimagini degli Dei, dice. Ne pudeatprifco
Vos ejjìe e Jìipite fatto s. Sic Reterei fedes incoluijhs
aui. Tunc meline renuere fdem } cttm paupere culeu S tabarin
exigua ligneus adcDetts. N urna di poi fu quello, che fece fare
quxfta imagine di bronzo da Mamurio Ofco ,grandi(hmo maeftro di Ju
xm<t. fondere ilbronzo&iIramc,ilquaIcda Numa fu chia- mato
àRomaperfondcrcfimilrnentei xn.ancili,che di poi foleuono portare nei
facrificij r faccrdoti detti Salij, come noi moftraremo apprclfo piu
dillcfamcntc nel difcorlo de noftrifacerdotij. Quello Iano fu
chiamato anchora quadriforme, & dipinto con quattro vili, come quello
che haueua fi- gnoreggiato da tutti iquattro angoli del Mondo,
nella qualeforma di poi Ip riprefentò anchora Hadriano nel- le fuc
Medaglie.M. A VRELIO. DIOCLETIANO. HADRIANO.
BRONZO. Etpcrchcgia dal Signore Iacopo Strada Mantova- no,
grandiflìmo & diligente amatore &inueftigato delle cofe antiche,
mi fu altre volte donata la figura d’ tempio di Ianoquadrifrontc, però
mie parfo di fentarlo qui fotto al naturale, ocr maggiore inrell
del lettore. ~Ò CON z 4 - Hauendo à baldanza fcritto de templi della
Pace &di Iano,ragionercmo al preferite di quelli della Dea
Cócor dia, alla quale gli Antichi ne edificarono tati, che non ha
rebbono mai fineà volerli tutti recitare.Ma purccomin- ciando da
quello,che in Roma per tcftamcnro di Liuia c oneordu ^ ua ^ a< ^
re & mo g^ c d’Augufto,fece fare Tiberio impe- sto da radore, diremo,
chele la concordia & la pace fono vnà Tiberio.
mcdefimacola,eipotrcbbceflcreforfc quello, del quale Dionr. Dione
haragionato nel libro l v i. dell’ hiftoria Roma- na, fcolpito per le
medaglie di molti Imperadori, nelle quali fi vède la concordia con vna
tazza in mano, in le- gno della fuadcità,& nell’altra tiene vn Corno
d’abbon- danza,fignificatorc della copia di tutti i beni, quando gli
huomimfonoinvnionc: vedefianchora qualche volta con due figure , che fi
danno la mano I’vna all’altra : nel modo che fi vede qui difotto , potrà
il lettor vedere la concordia. «—
wm . aj Et perla medaglia di
Bronzo, di Caracalla, potrà ve- der il lettore la concordia tra lui &
il Tuo fratello Geta, lignificata per la mano delira che fidano l’vno
all’altro, accompagnati da vna vettoria che gli corona améduc.
''che mollrala vettoria d Inghilterra, douc erano Ita- ti tutti infieme. Nelle
McdagliediM. Antonio Triumuiro lì troua anchorala tefta di Concordia da
vn Iato , Se dall’altro duemani ftrette infieme con vn caduceo nel mezzo,
& lettere che dicono, marcvs antonivs, caivs BLICAE
CON- .r Auicuncaltrepure del mede/ìmo hanno fcolpita la
Concordia con ducfcrpichc cingono vn’altarc , fopraal quale e polla la tcftad
Auguflo, lignificando la concordia del Triumuirato:& nelle medaglie
d'Augufto li figura dei- vedcanchorala concordia, che con vna mano
tiene U Contar- cornocopia,&con l’altra prclcnta de frutti
àiTriumui ri,quali furono Lepido, Cclarc& Antonio, per mollra
rechc dalla loro vnionc nafceua il bene della R ca,&di tutta fhumana
generinone, fpecificato mili parole, salvs generis h v m a MARCO
ANTONIO. ARGENTO. AVGVSTO T RI V MV IRÒ.
ARGENTO. Ma volendo vedere quanto folle {limata la
concor- dia àccmpiantichi &da gl'imperatori Romani, & dagli
Efferati loro, riguardiamo alle altre medaglie , che fole- uono fare, in
alcune delle quali fi vedeuano cofi fatte parole, concordia miei tv m ,
con vnavettoriache coronaua con due mani à vn tempo medefimoj due
Imperatòri , lignificando d’haucre vinto per fvnionc &
vir Concordi* degli folda- ti Romani, I
& virtù de loro fo!dati:& in altre fi troua la
concor- dia con due infegne militari in mano, & le medefime
parole. SEVERIN A. ARGENTO. C^VINTILIS. ARGENTO B—i.
11*a* ’•/»-••*•• 19 Hcbbono Tempre tutti i piu faur
Imperatori quefta ferma Ipcranza^he nella concordia de foldati
confi- ftcuono tutte le vettoric Se la falutc del popolo Romano, &
pcròfareplicauono fpcflbcon limile medaglia. HADRIANO BRONZO.
BRONZO. Per alficurarfi poi meglio deirvnionc degli
Efferati loro , gli faccuono giurare per mezzo i facrificij, non
trouando colà che piu gli. faccflc temere, quanto la religione. A quefta
concordia dcdicomo glantichi fa Cornac- C om<tcchU chia,&di qui
nalce chcEliano ha Icritto che gl'anticht dcdUaual- ncl far matrimonio
inuocauono quello vccello.Il Po- ^ Con<0, ’Iitiano fcrittorc diligcntiffimo
fa. nelle lue Mifccllancc mcntionediqucftoi& per mcglioprouarlo, dice
haucrc veduta vna medaglia doro della minore Fauftina, figli- uola
di M. Aurelio, Semoglic di L.Vcro,ncI rouefeio della quale era vna
Cornacchia con lettere, che diccuo- no, concordi a. Et perche io n’ho vn
altra limile nel- fc mani, però mie parfo riprcfcntarla qui
difotto. Fauftina. La quale colà per p UMU vo ! u
1 , ° ^ompagnarc la fopradcrra Medaglia con moglie di vn alcra d orodl
Plautilla Augufta, figliuola di Plaudo, cauviu Jaqualc fiotto Scucro
goucrnò tutto Tlmpcrio Roma- ** P ' fu poi moglie d' Anronino Caracalla,
figliuolo di Scucro Impcratore,douc fipotravedcrcinchcmodo fi
dauano la fede in fiegno di concordia due pcrfionc ma- ritate,con quelle
parole, felix concordia.: FAVSTIN A. doro. PLA
VTILLA. D ORO. Vfauono .' Vfauono
limilmcntcgrimpcratori di {tendere la man drittafoprale infegne dciloro
foldati , inoltrando 1 vni~ onc &concordiache doucuaclfcrcin vn
Campo, & dal- lequali nalceuono quali tutte le vettoric loro, li come
io ho già inoltro nel dilcorfo pallàto , che io feci del modo del
campare antiquo de Romani; TRAIANO. FILIPPO.
ARGENTO. BRONZO. Erano à Roma anchora moiri altri
Templi , come quello della Speranza col Tuo limulacro, adorato da i
Romani nel modo, che li vedcperlc mcdaglied’Hadria- no,d’Anronino Pio, di
Traiano & di Plotina, con limili fcritturc, spes popvli roman \ y
spes Temp i 0 a PVBLICA, SPES AVGVSTA. Spirane.
HA 3i HADRIANO. ANTONINO PIO. BRONZO.
BRONZO. Per mezzo di tutte le fopralcrittc imprefe
noihabbia- comegtd n mo conolciuto chiaramente come gl’antichi
figura- gli Tu uono laPace ,Ia Concordia,&la Speranza, reità à mo-
Ttdc. ftrare hora come da quelli era dipinta la Fede. Facccuono quello per
mezzo di due mani diritte congiunte in- terne,
nclmodoqualichclioggianchora fanno i nollri orefici in certi anelletti
d’oro: ma l’accompagnauono i Romani con l’H onore, con la Verità , &
con l’Amore, come a Roma li vede anchora hoggi fcolpito in vn mar-
mo bianco. FICV de gl* Antichi romani. F I (j Z/ It D E
L L <A FEDE ritratta da yn marmo antiquo in Roma. lo non
midiltcnderò piu oltre nel inoltrare candì , modi, in quanti gl’antichi
dipingcuono la fedc,& malfi- mccol caduceo, & con le mani,
macontenterommifo- lamenredi ripreientare come priuatamentc &
publica- mcnte ella fu figurata & intrattenuta da i buoni &
cat- tiui Imperatori con fuperflue Ipcfc, nella maniera che lì
PLOTINA BRONZA VESPASIANO. DOMI TI ANO
BRONZO BRONZO. ohi» da vede per la medaglia di Com
modo Imperatore,}! qua - lTj «Unte k con larghiflimi promeflc la foleua
comperare da soli ni, fuoi !bldati,nel modo che fi vede qui difotto.
, -iiDBlnrfj .'ro'ur.icni.IRVW •|f.i Z incuci i nhs-7'i:-'
ìbdo fosiru.rn sfj&rvr/ ac O !tiu 0 • E;n.».v *
i ; ili i ,j& ti i rjjscjj
Hadriano, 1 fclijiàojrn HADRIANO. COMMODO.
BRONZO. BRONZO.Tra tutte le medaglie che io tengo piucare,io n’ho *
vna d’argcnto,donatami già dal S.TcforicroGrolicro, (iugulari flìmo
amatore delle co fc antiche, nelle quale fi vede daduc lati fcolpitc le
mani in legno di concor- dia,con lettere, che ncll’vno dicono , fidis e x
er- oi t v v m, & nell’altro, fide s provino i a rvm. La quale
cola come rara,& poco vifla da coloro, che fi dilettano delle
mcdaglie,potcndo arrecare loro qualche r 1 marauiglia,pcrò fara
caufa che io narrerò qui le cagio- ni, ond^ ella fu in tal modo
battuta. Quello era che volendo le Prouincic, alla guardia De f
critlio , delle quali erano ordinate le legioni Romane, ogn’an- Ze-
no reiterare la fede & patti che haueuonoinficme, face-
uono nel melò di Gennaio battere cofi fatte monete : & infogno
diconcordia ne faccuono prefente l’vno all’altro. MEDAGLIE.
D'ARGENTO. il primo che edificate mai tempio alla Fedepubliea,
piddcUdfe- fu NumaPompiliOjfi come recita HalicarnalTco, quiui de fatto U
facendo lacrificio alle fpefe del comune , doue i Saccr- N|WM ‘ doti
detti Flamini facrificauono fenza fare fangue, vediti di panni bianchi, & portati
in vn carro con vna mano coperta cerimoniofamentc,pcrmoftrarechc la fede
pu- blica,comc cofafagranon fi debbe violare. Ma perche io mi
trouohaucre detto di foprachegrantichiftimor- hono- no l'honorc come
Dio,&gli fecero vn tempio ,come à re. conferuatore della fede
promefla: però àconfermatio- ne di quello dico,chc chi di ciò dubitate ,
vada à vedere cicerone, il fecondo libro, che Cicerone ha fatto della
nkura de r. Liuto." gli Dei.Marccllo anchora(comc Icriuc Liuio) fu
quello T 'd* m 1" che f ccc vn tem P‘° a ^ a v * rc,a ^ a lfl
lonorc > & Mario no,*iUvir vn’altro fimilc,come fi vede nelle
medaglie di Vitcllio, tù cr ho- jougfono due figurcttejl’vna delle quali
mezza ignuda Tifici, tiene nella mano delira vn’hafla,& nella
finillravn Cor tbonorea- noc0 pja,con il piè deliro fopra vno morrionc:
l’altra detta utrta. ^ l atoraan co con vnmorrione in tcfta,ha vna
halla nella mano manca, & nella ritta vn fccttro,Ie gambe
ar- mate, & il pie ritto fopra vna tcftugginc,con lettere che
dicono, ho nos et vi rtvs. Vcggonfi Umilmen- te nelle medaglie d’Antonino
Pio dipinte Iefigure del- l’honore con il tuo corno d’Abondanza, il quale
tie- ne nella mano mancatchccrinfegnachc portano tutti i noftri Dei
& Dee. VITELLIO. M. A VRELIO. BRONZO. Fu anticamente
collocato il tempio di virtù innanzi T . en !f ,, ' 0 & à quello
dell’honorc, lignificando che all’honorc & di- gnità mondane, non fi
può facilmente peruenirc lenza il mezzo di virtùràpropofito della quale
materia io ho tra l’altrc vna medaglia di Gordiano , nel rouefeio
della quale c vn'HercoIc ignudo , appoggiato fopra la fua jj mazza
,& fopra al braccioha la pelle del Iione,con lette coUfìgura
rcinrorno che dicono, virtvti avgvs.ti. Ma per le t0 ** medaglie di
Traiano, d’Hadriano, di M. Aurelio, & di Filippo fi vede che la virtù
c dipinta in altri modi come qui di lotto. FILIPPO.
GORDIANO." ARGENTO. ARGENTO. Per la dili-
gizafeuie- ne al fine deU'impre- r<- Come
gfan tichi ordi- nauono le eafe [agre 4 iloro
Dif. Tempio di Mercurio cr di Bac- co.
Per la medaglia fopradettadi M. Aurelio & quella di
Filippo, fi vede l’Imperatore vcftito della Tua corazza, vn morrionein
tcfta,vn’hafta in mano,& accompagna- to da Tuoi foldati paflarc
fòpravn ponte innanzi à tutti, perfornirela fuaimprefaja quale ha
figurata per le pa- role che dicono, vi rtvs a vgvsti. Et per l’altra
me- daglia di Filippo fi vede il padre & figliuolo correre à
cauallo leggiermente, per moftrare la diligenza ,con la quale ei veniuono
à capo di tutte le loro imprefc,con li- mili parole, virtvs
avgvstorvm. Ma lafciando qui l’interpreratione di tutte
quelle cole , farà piu à propofito tornare alla noflra religione,
& moftrare, fecondo Virruuio, come &douc gl’antichi foleuono fare
iTcpli ài loro Dij,comc quello di Mer- curio nel mercato-.cT A pollo
& di Bacco vicino al Thea- trord’Hercolc nella Citta , douc anchora
non eranoi gynnafij ne gl’anfitcatri : di Marte fuora della terra:
di Venere allacampagna,&à Cerere fopra al porto fuora della
Città, eleggendo femprcluoghi,doue non frequen taflino
35 taffino molto Icpcrfone,fcgià noi riccrcauala ncceffità
de facrificij , & i quali fi guardauono rcligiofamcntc & cattamente.
Il medefimo Autore fcriuendo dcH'archi- tettura dcrcmpli nel fuo terzo
& quarto libro dice,chc a Mmerua,à Marte, &à Hercolcfi doueua
ofleruar l’or- dine Dorico:à Venere, Flora.Profcrpina , & le N ymfc
de Fonti, Corintio, cioè con le colonne Toltili, dilicate, pu-
lite^ ornate de fogliami perla morbidezza delle Dee: & fé Ionico, à
Giunone & Diana, fi doueua nondimeno in ciò alla mediocrità haucrc
riguardo: fcriuendo an- chora appretto le regioni &quarticri,verfo i
quali doue- uono edere volti colifatti templi, altari, ftatuc,& altre
fì- gurccelcfti, per fare loro facrificij : circa che fi conofce,
che nella loro diucrfa& fuperttitiofa religione errorno grandemente i
Romani,& molto piu il popolo, ncll’ha- uerc conofccza d vn folo &
vero Dio, come piu oftina- to in quella imprcffionc che vna volta ha
fattada cagio- ne del quale errore dichiarò affai bene Prudétio ne
Tuoi verfi, quando ditte, Puerorum infanti a primo
Errorem curri latte hibit,gujlauerat inter Uagìtus de ftrre mola.
Madi tutti i Templi che fumo in Roma edificati , il piu celebrato
fu quello di Giouc Capitolino,cofi chia- mato per cffcrc ftato fatto in
Campidoglio, fi come fi vede per la medaglia d’Aurclia Qmrina, Monaca Ve
- ftalc,douc cfcolpito Gioue nel mczzodcl fuo tempio a fcdere,fatto
in forma quadrata con la factta in vna ma- no, & nell’altra vno
feettro con lettere che dicono, iyppi- ter. o p t iu vi max.
capjtolinvs. C 4 Tempio di Minerva,
di Marte , CT d’HcT' cole, di ve- nere, di fio ra , c
di Proftrpina. Errore de Romani nel la
religio- ne. Pruduti io. Tempio di
Gioue Ca- pitolino. Tempio di Giove Veti dicatore
, Olympico, CT Tonile. AVRELIA QVlRINA, VESTALE.
ARGENTO. Quello tempio fu prima deftinato da TarquinoPu-
fco,&dipoi edificato da Tarquino Superbo in forma quadra, & ogni
faccia di CC. piedi con rrc ordini di co- lonne, fi come lì troua nelle
medaglie di Traiano, nelle quali lìveggono fopra al detto tempio molti
trofei, carri trionfali, vetrorie, & altre cofc belle. Vna altra
mc- daglialìmilmente lì troua di Gioue Vincitore, ò Ven- dicatore,
la quale fece battere Alelìàndro Scuero, figli- uolo di Mammear&r
altre di Gioue Olympico & To- nante, fatte da Augufio, comepiu àlungo
lì vedrà nel mio libro delle Antichità di Roma.
Traiano r* fe, TRAIANO.
ALESS. SEVERO. BRONZO. 4 BRONZO. AVG vh O, AVGVST
67 argento. MEDA. DE PETIHVS. ARGENTO. 4
+ '(co- pura tito- lano
tcile pio, che : de
yit TEMPIO Z> I Cj 1 0 V E, ritratto
dalli Antico. Spefa fatta nel tempia di Gioue. Cofe
ftngu- l ari nelté- pio di Gio- ue Capitolino*
h aUcmdf feo. Tlinio . Dicono gl
Hiftoriciche Tarquinofuperbo (pcfc nel- la fondanone di quello tempio x
L.mila libre d’argento, nel quale oltre all’altre cole lingolari fi
vedeua vna ftatua d’oro aita dieci piedi, vi. Tazze di fmeraldo, vi. vali
mur rini, che Pompeo portò d’ Alia, truffando di quella pro-
uincia,&vnmatello,o velie di Porpora tanto bella, che melìa àparagonc
con l altre d‘ Aureliano Imperatore, le faceua parere di colore di cenere
pi u tolto che di fcarlac- tordella quale velie dicono che era già fiato
fatto vn pre fcntc (come di cofa rara) dal Rcd’IndiaàqucIlodcPcr-
fiani,&chc quello dipoi l’haucua donata al detto Im- pcratorc.Era
fimilmcntc in quello tempio vna calìa di marmo, guardata da
x.huomini,ch’ci chiamauono Dc- ccmuiri, nella quale erano i libri
Sibillini , contrccap- pellcttc legrctc d’vna medefima maniera, douenon era lecito
à neffuno d'entrarc(comc fcriue HaIicarnalTeo)fi: non à
ifaccrdotidelmcdcfimotépio.NcH'vnadi quelle Cappelle, cioè quclladcl
mezzo, era lartatuadiGioue, nell’altra ama diritta Mincrua, Stalla
finiftra Giunone: douc afferma Plinio hauerc veduto vn cane di
bronzo, che c5 arte marauigliofa fabbricato fi Icccaua vna ferita.
Io nonlafcicrò di fcriucrecomcrAquilafutragral- tri vccelli
dedicata à Gioue,non volédo gli antichi ligni- ficare altra cofa , fc non
che come l’Aquila è Reina de gli vccelli, coli Gioue c Signore di tutti
gli altri Dij,fi co- me hanno mofiro non folamcntci Romani, mai
Gre- ci anchorancllc loro medaglie. Àlefian ALESSAND. RE
DI GLI EPIROTI." ARGENTO. Non voglio mancare d’aucrtire
il Icttorecomc Gio- ue,Giunone,&Mincruafurno figurati da gli antichi
per tre animalirquali furono , per la ductta Minerua, per Giunone
il Pagonc, & per Gioue l’Aquila, fi come fi vede in vna medaglia d
Antonino Pio. ANTONINO PIO. V arieti deli
Aqui- la falla tef- ta di Cio- Vcdefianchora in
dì molte medaglie, tanto di Con- foli, comcd’Impcratori,che l’Aquila c
poftafopra la fa- cttadi Giouc,altroucchcella porta il Tuo fimulacro ò
fi- gura filila tcfta , & in altri luoghi lctcftedi Giouc
&di Giunone fopra le due alle. Per la figura d’vna Pila
antica che fi vede qui di fiotto, Giouc c accompagnato della fina Aquila,
&Giunonc dal fuo Pagone,doue c Nettuno col fuo tridente,
&pre- fientc al fiicrificio inficme con Mercurio, col fiuo
cadu- ceo, & col Cappello chiamato Galero da i Latini.
V Z>’ V N ? 1 ÌTJl . "> fica ritratta
et\n marmo di Roma. H AD AVGVSTO. argento.
re Den cnc Scappella di Giunone foflefeome e detto) nel
tempio di Giouc, nodimeno haueua anch’ella il Tuo tempioàpartCjComefi
vede nella medaglia di bronzo d’Augufto,doueè il tempio di Giunone
arrichito dinan zi di quattro colonne Doriche, & nel fregio e tale
inferir zione,i vn o n i.conilnomcdcmacftri di HI ROMANI.
HADR. GRECO. BRONZO. BRONZO. AVGVSTO' n r
n m i n Et come l’Aquila era di Gioue , coli il pagonc&lo
bruzzolo furono cólagrati à Giu none, come fi vede nel- le medaglie di
Fauftina,diGiuliaPia,&di Filippo Impe ratorc,& il Tuo carro
tirato per i Tuoi pauoni, di che ha fatto mentione Ouidio, * Halili
Saturnia curru Ingrediturliquidum fauonibus aera fiBis. FAVSTI NA FILIPPO
ARGENTO G1VLIA PIA. FAVSTINA ARGENTO. BRONZO. FAVSTINA. BRONZO.
ARGENTO. MINER- A Mincrua(comc c detto) per
eflcrc dedicata la Ci- v A - uctta , nafccua che nelle Medaglie degli
Atcniefi fi ve- JJ“J dcua da vn lato la teda della Dea , & dall’altro
il detto Minena. vccello con lettere Greche che diccuano ,athna, cóli
nominata da loro Minerua:&come m olirà il rouefeio de la prima
medaglia, la Ciuctta vola con Tali fpanfe , & tenendo vn ramo di
Palma co i picdi.Pcr i! volodi la Ci- uettagli Ateniefi ftimauano il
fimbolo de la vittoria. D 5 Giouc
Vincitore. Mintruj nutrice.
Lypnuco. MONETA ATHENIESE. ARGENTO. MONETA
ATHENIESE. ARGENTO. Ec fi come Gioue fu
da Greci & Romani chiamato Vincitorc,quadolo faccuono dipingere con
vna vetro- ria nella mano diritta , & nell’altra vn’hafta in luogo
di fccttro,cofi fu Mincrua figurata da loro vettoriofa, ac-
compagnandola con vna vcttoria,ncl modo che fi vede per le medaglie di
Lyfimaco , vno de fucccflbri d’Aleffandro Magno, doue da vn lato è la fua teda
con vn i Diade u. Diadema, &dua corna, in fegno di grande
honore , per haucrc fermato & ritenuto vn toro per le corna, il quale
(cappato delle manidi colui, che lo menauaper fare facrificio ad
Aleflandro, fi fuggiua. LISIMACO. ARGENTO.
LYSIMACO. BRONZO. Erano principali tutori & auocatidella Città
di Ro- ma G ioue, Mi nenia, & Giunone, &di qui nafccchePol-
lioneha fcrittonel libro della fua Architettura, che il D a
' Si luogo più a!to,dal quale fi poteua meglio {coprire
& Icorgcrc tutto il fito di Roma, quale c il Capidoglio ,fu
eletto per edificami il tempio di quelli tre dij.Ondc tor- ntdiToZ riandò
alla ftolta fupcrllitione de Gentili , che non fola- nL mente adororno
Giouecomc Dio omnipotéte,ne fi con tcntomo’di dedicarli l'Aquila,come
Reina di tutti gl’ vc- cclI»,penlàndolo maggiore di tutti glabri Dij,ma
gli con Ammone f a g rorno ancho il Montone, chiamadolo Iuppiter
Am- moni mettendolo fopraquello à fcderccon lo Icettro in mano.
Nacque quello vocabulo Ammon dalla rena, che i Greci chiamano «w** .ciochc
Plinio (fcriuendo del Tale Ammoniaco nelxi i. libro) ha meglio dichiarato
in quello modo. Ergo ^AEtbiogU fuhie&d ^AJricd^mmonUci
Ucrynum Jìiìldt in drenti [un, inde etto, nomine w Ammonii oraculo
iuxtd quod gignitur drhor. Quantunque Tinterpreted’ A rato
Latino, ò Ballo, ó Celare che fi fbflcjfcriuachc quello fia il Montone,
che anchora di poi fu meflb il primo tra i legni cclelli per ha
uerc infognata a Bacco Tacquaperilfuo ElTercito,chc da lui condotto per
la Libya fi moriua di fete,fi come piu à pieno potrà il lettore vedere
nel mijibro di Q^Curtio, o xv 1 1. di Diodoro Siciliano, ò nel 11 1. lib.
che Arriano ha Icritto de fatti d’ AlclTandro Magno.
Meda. MED.. D’HAD. BATTVTA IN GRECIA, BRONZO.
BRONZO. Fuanchoraà Gioue dedicata la Capra, per hauerlo t*
c*pré nutrito del Tuo Iartc,ondc ei fu detto Egiuco,& da Greci
ùtyic X t f,Ia quale capra intendcuono quella della Nymfa Amaltea^he
l’haucua allcuato, A come afferma Gcrma nico Celare ncAioi vcrA d’ Arato,
douc ci dice, -lUaputatur Nutrix ejje louu/i 'vere
luppicer infdm Ubera Crete* muljìt fidi^ima capra, Sy dere
qua clarograrum cejlaturalumnum. Il che moftrarono anchora meglio
Filippo Se Valc- riano Imperatori , facendo nelle loro medaglie
mettere vna volta la Capra fola con lettere che dicono , io v i
conservatori a v cvsT i, & altrouc la Capra che portaua addoffo vn
Gioue à modo di fanciullo con altre lettere à quello modo , iovi
crescenti. Vi V 54
Gioite vit- tore. Calcidonio
dittico. DELLA’ FILIPPO.
ARGENTO. RELIGIONE VALERI ANO.
ARGENTO. Attribuì Umilmente
molti altri nomi & dignità la fu- perftitiofa antichità à quello
Gioue,vna volta chiaman dolo Vcttoriofojcome quelli che péfauono che ei
donaf fclcvcttoricj&cohlo fugurauonoconvna Vettoriain
mano,& con vno fccttro nell’altra:& vn’altra volta face uonola Vcttoriachccoronaualuid’vnacoronad’
Allo- ro,(ì come io lapoflo moftrare (colpita in vn mio Calci donio
antico, poco minorcd’vna medagliada quale pie- tra anticamente fu
confcgrata à Gioue Fulguratorc, per vfeirne il fuoco, onde i noftri
Soldati l'adopranoancho ra hoegi all’archibufo. CALCAL CIDONIO ANTICO
BRONZO MEDA. GRECA. BRONZO. DOMITIANO. BRONZO.
MARCO AVRELIO. BRONZO.
BRONZa cottegli Per le medaglie qui appreflo , fi vede Gioue
mezzo '• ignudo di Copra, & dalla cintura in giù vcftito,chc fta
à ciò**. federe nel mezzo di quattro elementi , tenendo da vna mano
vna hafta , & l’altra la ripofa Copra la tefta de l' A- quila,fi
comclalcultturalo dimoftra peri due carri ce- ledi dclSo!c,&
delaLuna:& per i due fimulachri che fono Cotto i Cuoi piedi,
lignifica gl’altri due elementi, cioè , l’acqua & la terra , hauendo
il Z odiaco attorno, doue Cono riprefentati i dodici Cegni ideili. Et la
ca- gion perche riprefentauano cofi Gioue, era, chcgl’an- tichi
nella loro miftica & occulta theolo^ia volcuono lignificare, che le
cole lupcriori debbono a gli huomini efìcrc celate, & Colamcnte
manifcftc à Dio. Mafuadi- uinità & tutte le Cuc potenze, ci ha
moftrato Alcxan- dro figliuolo di Mammea per i Cuoi medaglioni bat-
tuti in Grecia, doue fi veggono da vn lato caratteri ab- bre
DE GL’ ANTICHI ROMANI. 57 breuiati, che dicono
XrTOKPA'Tnp K^riAP ma'pkos atpe*aioì iebaitòs a* AEfg a n a po z , che
iLatinihan no interpretato ,imperator caesar marcvs AVRELIVS
AVGVSTVS ALEXANDER. Alexandr o mamme a.
bronzo. I Greci chiamorono Gioue per varij nomi,
malfima- mcncci Siraculànijcomc recita Tito Liuio nel quarto libro
della terza Dccadctcon ciò Ila, che hebbero il tem- t empio di pio di
Gioue detto Olimpio,alcrimcnti Eleo , celebrato primajpcril Tuo oracolo,
& dapoi per i giochi publici che lìfaccuono in Elide , nel Campo di
Pifar&di là e ve- nuto il nome di Gioue Elco,come lì potrà vedere per
la medaglia Greca polla quidifotto,nelìa quale lì troua da la
bandadritta il lìmolacrodi la teila di Gioue con que- Gioue Ite lettere
Grechc,s e rs iAET02 > chcfignificano J ciovE ^ ELEO.EtncI rouefcio
elcolpito il fuo Folgore & l’Aqui- la con tale inlcrizionc,zr paro
sion: la quale cifaap- parircchela città di Siracufa portògrandiflimo
honorc a Giouc Eleo, à cui fece edificare vn cofi bcllilfimo
tèni pio,& battere fimili medaglie in fua eterna memoria.
MEDA. DE I SIRACVSANI. BRONZO. SttBd
fot»- tiferà di Giouc. Per le medaglie
d’argento che furono battute per Lucio Lentulo,& Caio Marcello
Confoli,fi troua la te- tta di Giouc d'vna banda con tale inflizione,
ivcio L E N T V L Oj CAIO MARCELLO C ONSVL I» b v s.
&da l’altra è vn Giouc coi fuo Folgore nella man dritta,&
l’Aquila nell’altra , &innanzi aìui vno piccolo altare,& dietro
laftella falutifcra,laquale c polla nel fe- condo luogo tra le fteile
erranti: lignificando tutte que- lle cofc vn facrificio fatto per detti
Confoli à Giouc, per caula del Folgore caduto fopra il fuo tempio
Capitoli- no à Roma. Meda? ss>
MEDA. DI L. LENTVLO, ET C. MARCELLO, CONSOLI.
ARGENTO. I Romani chiamorono quello Giouc Confèruato-
Gioite cc%> re , fi come noi leggiamo nelle medaglie di Diocletiano {
enutort ' Si di Gordiano Imp.che lo dipinlcro ritto eon due faeffe
nella man delira, & nella finiftra vn’hafta, infieme col medefimo
Imperatore fiotto la cuftodia fua,& lettere che dicono, io vi
conservatori. Nclrouelciodcl- l’altra medaglia di Diocletiano fi troua
vn’altro limile Giouc, che prclènta vna vetraria, la quale ha fiotto i
pie- di vnglobo,&Gioue {aquila vicina àifiioi: fi come Li-
cinio ne fece battere vn’altra,doue l'aquila hain becco vna Corona
d’allòro & lettere in quella guifa, ioyi CONSERVATORI
AVGVSTORVM NOSTRORVM. Domi DOMITIANO ANTON. PIO.
ARGENTO. ARGENTO. GORDIANO.
BRONZO. ARGENTO. MASSIMIANO • LICINIO.
ARGENTO. ARGENTO. Oltre à Vettoriofo,Fulguratorc, ò Fulminatore, fu
Dìutrfe po anchora chiamato Statore, Propugnatore, Vendicatore dl
& Cuftode,Anxur, ò Auxur. Et come Marte Vincitore fu honoraro
da Romani, coll ancora fu adorato da loro Gioue Vendicatore, perche da
lui erano punitele cole Gl- owf v j_
malfatte. tote. GORDIANO. ARGENTO. ALESS.
SEVERO. ARGENTO. GORDIANO. DIOCLETIANO.
argento. ARGENTO. Del
Seneca, CJ. della religione Del
foprafiguratoGioueCullodc nella medagliadi Nerone, ha fatto mentionc
Seneca, nel fuo fecondo li- bro delle qucflioni
naturali,douecidice: Quem Iouem tnteUigunr cujlodem rettorémtjue
\niuerf. Qucllo,chc parimente fi vede nelle medaglie d Ha-
driano, douc Gioue c dipinto à Ledere nel fuo Trono conia filetta in mano
dritta, Se lettere chcdicono, ivpi- ter cvstos. Vcfpafiano le fece
battere con inferi - zion diffcrcntc,chc dice, iovis
cvstos. Cicerone. NERO.
ORO.VESPASIANO. ARGENTO. Ma quanto
à Gioue Statore, cofi chiamato, perche, mediante lui, fi confcrua
ognicofinli vede che Cicero- ne ne fece anch’egli mcntione nclloratione,
cheei fece innanzi che andare in cfiglio:doue ei dille; O Gioue
Sta- torc,quale i noftri antichi cofi chiamarono , come con-
fèruatoredi quello Imperio,& dalle mura del cui rem- pio io tenni difcollo
le violéti imprefedi Cati!ina,dop- po che Romolo l’hebbe edificato nel
palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io ti priego d’cllcrc in
aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in tutte le dif-
gratie mie. yltore P'S . <r 3 Vlcorc fu
chiamato, & honorato da Romani come Marce, per edere l’vno &
l’altro vendicatore delle cofe mal fatte: & in Italia , maTTimamcntc
nel territorio Ca- pouano detto Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r
vn Auxun fanciullctto lenza barba, del qualefcce mentione Vie-
Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’ Encida, quando dille:
Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus aruis r
Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra vna
medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà fede-
re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la manca lo
fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho potutotroppo
bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno Phornuto
affer- machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del
colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI
ARGENTO. Tempio d'Augufto in Alcjptn
ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e dctto)iI
Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se Conlcruatorc,coli
in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome fcriuc Filone nel
libro della Tua lega- tioncà Caio Ccfarc) à A uguftoConfcruatorc,
chiama- to hauuto in vcncrationcda i nauiganti.Era quello
grandillimo & altiflìmo tempio pollo innanzi al Porto,picno di Tau
ole offerta, di pitture cxccllcnti,& di flacuc
marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se d’oro, con portichi
Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare, & vna libraria
accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,& lunghe vie, che di
lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i nauiganti,che volc-
uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali per tutto il modo
foflcro flati dirizati & fatti molti altri tem pii in memoria
d’Augufto & per eternità del fuo nome, li come li troua nelle
medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale cominciò vn tempio in
honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro al fuo nomccon
ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il che ei
con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula- cro della
pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA
ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per
C4ligula. - *"*
<r 5 detto tempio vn’altare,fopra al quale c vn
Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato Vittimario,con
vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio, teneri do vna razza nella
mano deftra,& dietro alle fpalc vn miniftro con
vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVG VSTO.
ORO. MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio
dkugujlo reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare,
Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie
d’argento, d’oro, & di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm
divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare
vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che
haucua riccuuti da lui. Anto » c-j
ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à quelli templi ,
furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per moftraremaggiormen-
imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità con quelle
parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana opinione,
chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto
quello,dichehaueuonobifogno per laucnire.
tu»-, -Et coli per tutte l’altre medaglie de gli
Imperatori; che erano (lati à modo loro deificati, folcuono
gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della loro deificatione-.
Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di Platone , chela proui-
XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc mantie- ne femprcfelice
colui,checlla piglia vna volta iti cura: & altri hanno detto che
folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi uaalIecofeaucnire:ma i dannati
Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio non haueflc alcuna cura de
mortali. Ond’io à propofito di quella Prouidenza mi ricordo ha-
uerctra molte altre pietre intagliate, cheiofcrboin ho- nore
dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita vna vtformU* formica con
tre fpighc in bocca,fignificatricc della Pro- K de Polii- uidenza-.la
quale pietra fu altre volte trouata ne i fonda- de*K4. menti d’vna delle
torri cheio ho fatte farcnclla mia cafa della Maddalena, che per
edere cofa anttchitfìma & rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto
al naturale. — Diafpro Et perche Plotina ha già comporti in
4. libri della Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole come le
grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet- terò il lettore à
quella lcttione,& ritornando al propoli - to mio, dico chegl’antichi
riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha inoltrato Cicerone nel
libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua figurabile clafem-
bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta , che in vnamano
hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli Ita à piedi, pare
che voglia lignificare che la Pro- uidenza goucrna tutto il mondo, come
vna buona ma- dre di famiglia, nel modo, che nelle loro medaglie la
fi- gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano & Pertinace
Imperatori. r. ;• - fiorini.
PROVI DENZA. Cietront. Alcuni altri
Imperatori, comeTito, la fecionodipin gereconvntymone& vn globo,
inoltrando come ella gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per
vna filetta di Giouc accompagnata da molte altre. A leda n-
droScucroper vn vaio pieno di fpighe,& Probo & Fio riano per vna
fcminaftolatacon vn globo in mano,vn fccttro &vn Corno
d’abbondanza. rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta
da antichi. Caracal
Ei mi parrebbcinuano affaticare ,fc io non auertiflì 0 « lettore
della pazza fuperftitionc de gli aderbi Roma ni,i quali durante la vita
de i loro Imperaton, o buoni, o catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo
non lalciauonodi fare loro templi,ttatue & altari , & doppo la
morte di lànftificarli,attribuendofaIfamentc loro nomi dibuo ni
Principiai fondatori di pace, & (non ottante che ha - ueflino
maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re E 4
CONSE CRATIO- NB. V<tra f a
. flit ione ir Romani nel fanttfi- tar loro
^ imperato^ ri. FLORI AN
A HI S S. MAMM EAT BUON Z O.
. ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu-
cio Settimio Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar-
baro,beftiale,homicida,&che di fimplice foldàto pcr- ucnnealla dignità
deilTmpcrio, ingannò & tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo Romano per
venire à capo dei fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece
dare più per paurache per volontà dal Senato Romano tùt- ti i
titoli di buono Imperatore. S A R G E N T
< Ma che diremo noi di
quello Monftro di Natura co- minciato & non finito,il quale doppo la
fua morte fu connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del
quale foleuadirc Nerone, che l'haueua fatto auelc- nare, che egli era
ftato fatto Dio p c r mezzo del boccone d’vn fungo?
clodio; ORO. Et per contrario
furono i buoni Principi, di T raiano, Antonino Pio,& Marco Aurelio,
che per le loro virtù &: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati
ottimi Im- c . pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc
potuto ciò fa re. Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre
nominato& ricordato il nome d Antonino Pio , lolito dire che
piu tofto volcuacolcruarc &faluare la vita d vn Cittadino, che
ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £ Antonino piena di pietà
& degna d’vn buono Imperatore, come cglicra,&:comclo chiamòil
Senato, facendoli dirizarc come à Traiano, vnaColonna,& Templi nel
modo che £ Antonino fi vede qui di fono. 'i .... e $ c
w • . • • r 0 amo moftraco cornea! tempo anticogli
ucrrdctì Inipcratorieranoconfngrati, &diuentauonoDijdoppo
^TLi ]aI . 0r ° m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al-
tio di ttm - rar * * n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli
ficdegl’agncl-' & Reonfegnado loro Sacerdoti & Flammini nel modS
che di Celare A ugufto ha già fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti».
Hunemorem V ererum docili Um aiate fejnuta ? olì eritas t men fa t atque
adytit } & fiamme^ tris ANTONINO PIO. BRONZO.
ON. PIO. BRONZO. Uuguft
AuguJlum col nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar
iacuit, refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.
Equanto al reità della conftgratione , chiamata da Greci &
della quale ha le ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del
iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc di figurarla cjui fottoal
naturale, ritratta dalle me- daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M.
Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del
lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO. BRONZ
O. c Soleuono i Romani confagrarc doppo
la morte lo- ro tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i
figliuoli heredi dell' Imperio, in quello modo penlando efTcre ri--
ceuutr nel numero de loto fallì DijrEa Citta tiftta vcftita
abruno,&picna di dolore &di lamenti, folennemente fatta
fàrcvnaimaginediccra limile al morto Imperato re, la poneua dentro a vn
ricco letto d’auorio,lcuato in alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era
quello letto coperto di prctiofì panni d’oro &dcntroui quella
ima- gine H erodiano. b o«».f
W «HV Ccrimonù de Roma* nella mori de loro
l« fe rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato
Imperatore/! ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i
Senato ri vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo
rauono.Et dal lato deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo
ladignità & grado dcloro padri,ò mariti, . fenza ornamento
alcuno d’anelli, maniglie, ò catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco
leggicrmetc(qualì come portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue
te piene di maninconia. Durauono quelle cerimonie vij.giorni,nel qual
tempo i Medici ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara, fingendo di toccare
il polfo all’amma- lato,# mollrando che gli andaua fempre
peggiorando. Ma fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i
primi letto i Up4 Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo
nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘ a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i
Magillrati tutori Romani Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i
loro. officij.Erano in quello luogo da due lati fatti certi pal-
chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i piu nobili giouani & patritij
Romani, & dall’altro le piu illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni
& Cantici Iamctcuoli# pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla
ncllcpópe funebri. Dopo quello i Senatori di pt funebri. nuouo fa
lcuauono la bara fullc Ipallc, &la portauono fuora della Città in vn
luogo chiamato il capo di Mar- te,douecravn tabernacolo quadro fatto di
gradirmi legni fcccjii,& ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine,
& di fuora riccamctc adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come
l'altro,cccetto che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli
di mano in mano mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo
modo fempre diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe
Torri fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni,
Fanali, dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi
perfarefeorta a inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra
al fecondo ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre
all’- Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco
nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio, & gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra » Crwr, -* r-’ìRtn '’ M. AVRELIO. FAVSTINA
4U« tu1
PERTINAX. BRONZO. FAVSTINA. ARGENTO.
Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non Iblam" elfere vcro,ma
molti giurauono hauerc veduto vfeire del fuoco l’anima dell Imperatore ,
& altri pagauono huomini à polla per confermare coli fatta bugia,
diccn - do che l’Axjuila di Gioue l’haucua portata in Ciclo, &
coli ecco in cheniodofu anchora canonizato Seucro lottizzo* collocato nel
numcrodegli Dei, inlìcmccon moltialrri Imperatori & Imperatrici
ch’elPopo.Ro. fece fàlir per forza 9
COM forza alciclo nel medefimo modo che
Scucro. Ma ri - tornando alla materia de noftri templi, doppo
haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello di
Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-
dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K rcil
marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione del
quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Republichc dell* Alia maggiore,
contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in CC.
anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal- mente che ci
fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, & di
poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. “
CLAVDia ‘ ' A R G E N T O. stnr. *4
• Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio
degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi
fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel
modo , che io ihoirt e ” due '.Ikimfc
K.OII 8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’
vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna delle quali e
Icritto aptemhx e «• e x i a n , cioè, Diana degli Efelìj , &
nell’altra quella l ola parola, e « e sia spedendo tutte l’altrc lettere
perdute. ANTOM. PIO. COMMODO.
BRONZO. Dtfcrizìon del tempio di
Diana. Era la lunghezza di quello tempio ccccxxv.
piedi, & la larghezza e e x x. ornato di e x x v 1 1 . colóne,
ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno fu abbruciato da quel- lo
fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli hau ua fatto qualche cofa
degna di mctporia:bcnche di poi fu rillaurato & rifatto anchora piu
bello da Dinocratc, Celebrati!) Architettore d’Alellandro Magno. Quiui
aduque lolc- cUDianf* L, ono ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la
fella di ~ Diana, trouarlì tutti i giouani ,& fanciulle , vergini
del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò lìmaritauono iUcrne? Il
fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo le fue dignità & qualità
dipinto & figurato da gli antichi in di- uerfe manierc,lt come ella
fu pariméte chiamata perdi; JSSL. uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera
tutta pie- na, la dilegnauono per la lua chiarezza con vno tor-
chio v 8x chioaccelo in ambedue le
mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia, moglie di Seuero
Imperatore, con lettere chedicono, di an a lvcifera.
GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et per
inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl tempo vna
mcdefimacofa,ioho fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della
mecfefima Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo
carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia,
quantunque l’interprete d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la
fila leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono poico
vnolpiedcinma no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che
cac- ciando, ella pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no
minadola »^óa«c, & per memoria che ella era la prima
cacciatricc,fofpcndcuono le corna de cerui dinanzi al fuò tepio.DclIa
quale cofahauendo affai à baftazadif- corfo nel libro , che per
comandamento di fua Maefli iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò
rimette rò il lectorcà vederne quello, chcion’hò quiui trattato.
MEDAGLI E D’H OSTILIO. ARGENTO. Trouanfi anchoradelle medaglie
, doue Dinnac di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella
foleua ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia
di Gcta Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol- pita la tefta di Diana
, & dall’altro vn cinguialc , ferito d’vno fpiede in vna fpalla con
vn cane appreffo. GETA TRIVMVIR Quando i Romani figurauono Diana
cacciatrice, ordinariamente la folcuono accópagnared’vn turchaf-
fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn cane da ghignerei fc -
gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci come mortra la medaglia
qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T VMO. ARGENTO. Ma nelle
medaglie d’Augurto fi vede vna volta Dia- na figurata tutta ritta in
habito virginale, con l'arco in vna mano , & con l’altra /opra al
turcharto, facendo le- gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel
mezzo lette- re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici-
x.i a. & altre che dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn
altra fi vede con la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , &
nell’altro vno fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti
infino à mezza gamba , colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice,
&i quali daPolluccfono An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des
' AVGVSTO. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno
ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle
mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col
Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn
trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della prua della
natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna
corazza, & da l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie
del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro
racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc
J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici lettere che
dicono,i mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che Augullo
ringratiaua Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi. -
av AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in honoredt
Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani lebrato
in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a*-
ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te- foro
portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to quello che i Romani
cauorno di Cartagine. * MAJICELLINO BRONZO.. Animali
tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi placare Diana
imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali
confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &
chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade, lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli* i
ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre
ca qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN
DAMASI AZ. MED MEDAGLIA GRECA D I
DIANA. ARGENTO. Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata
chiamata TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che
l’era confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti.
libro, douc parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua
ogni giorno cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu
facilmente tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo
le fare vn cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora
conferma Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella
medaglia d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato
Diana con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il
fa orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F
4 Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi, na
deli a- mazonc. Diana chi» mata Tau-
robolos . A VLO PO STHVMO. - ~ i ARGENTO. eia, &
ma/firneàLettora,doue fe nc vede grandi/fim» Tùtro gì - quantità,
donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto Se deVanuZ g ranc * c amatore
delle cofc antiche, fi conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i
facendoti alla madre degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati
TAuroj>olium& •>• altre volte Taurtuolium , &non folamente
à Diana Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente
credere àSuidas: benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai
diftefamete fcritto negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la
Francia. *. LeBor* inpropugrutcttlo \rbis. matri devm pomp.
philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE TAVROBOIIVM F e e r T.
. tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna piccola chiefa di S.
Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra, vn’altro epitaffio
in vna S* hi vna colonna, che regge l’altare
grande, per il quale fi conolce che i Decurioni di quel tempo , cioè
gouucr- torì della Tcrra,feciono il facrificiodi Tauropolium alla
madre degliDij per la falutc diGordiano Imperato- re, & di Sabina
Tranquillina Tua moglie. In facelle D.Thanutnunc diruto in
columna i aitarli vijìrur. 1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI
GOR- < DI ANI PII FEL AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£,
PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR. TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N.
GORDIANO II. ET POMPEIANO COS. VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M.
EROTIO ET FESTO CA- NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho
io veduto altre yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto
in quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE
SANCTISSIMAE A V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII
FEL1CIS INVICTI A V G V STI DECVRIA- LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI
VM DEVOTI NVM1NI MAIESTATICHE EORVM. Trouafià Roma vn gran marmo
antico fcolpitoin otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione
del- * cibele Taurouohum,& quiui lì vede l’imagine della Dea coronata
d’vna Torre con vn tamburo nella man manca appoggiato fopra
alla fuacolcia,& con la ritta tiene cer- te fpighe di grano, à federe
fui fuo carro tirato da due liooi,& accompagnata del fuo Atis, che
tiene vna palla in mano, & cappeggiato à vn Pino, come albero con-
F 5 Carro de la madre de gli Dei, tirato di
duo leoni. Dichiara- tionedel'in fegna de
la madre de gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa
della monragnad’Ida, eh ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime
ambedue diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'
& dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle
parlando, Toma fumus Cybeles. Ma quanto à i due
Iioniche tirano il Tuo carro ,co-. mefcriuc Virgilio, Et
iunBi rerum dominai fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non
fi troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile &
buona. La torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è
orna- taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino
che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la
terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura u :• '• :•> FJG y R A~ DE LA MADRE DE
I DEI R I 7 RATTA del marmo artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa
di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS
L. CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE
CRIOBOLIVM , FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO
COSS. Cibelt tOf- riU. Nell’altra medaglia
pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il folgore
di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia & frulla, che
non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.
Meda Vari I nomi de la madre dei
Dei. Diana con- feruatrice, adorata in
Sieilia. Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi
madreche nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini
& animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le
dettono più nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc,
Cere- re,^ Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle
beftie. Veda, &Diana:il che li vede & conferma per due medaglie
di bronzo Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle
parole, 2 atei p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia
,& limili parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia
battuta dal Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo,
che io Faceuo quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie
d’argento, di quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà Reims,
tutte quafi di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t
diMacrino. Et per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc
convnfolgorc in mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi
cparfo non fuora di fotto. L’vna.
GLIA GRECA. bronzo. if pino con- L’vna dell altre due
medaglie e dì Giulia, nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila
in compagnia di due lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo
di pino in vna mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia
fopra il Tuo tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il
medefìmo rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni
iglianteà quello. ARGENTO. BRONZO. Figuro MED. DI
C. VOLTEIO. ARGENTO.; ANTO. Pio.
BRONZO. p JJ W Figurornoanchoragl’antichiil
lìmulacro di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che
cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i
bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea della
Natura, & di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, &
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che
ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,& nell’inferno
Profcrpina , coli laf : ciò fcritto, Tergeminamque
Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche la figuradi Diana,
ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro primo libro dell
anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma fola- mence
dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più ricchi Romani foleuono
ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra i canti delle llradc
della Città, pane & altre cofe,chcfubito da ipoueri erano leuaje via
, co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la Luna, & Pro-
ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà baftanza parlato di
Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc degli altri Dij,
comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti, nacque.de l capo
diGio Dea di mtura. Diana triforme. Paufinid.
Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia na fotto il nome
di He tate. Ateneo. MINERVA. di Giouc,
pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell* huomo.Armaronla oltre à
quello gl’antichi d’vno feu- do, nclqnalcera il capo di Mcdufa,moftradochcrhuo-
mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo refi- ftcrc
aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc* ua fopra al
morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam, Datgaleam
capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua fimulàt
decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis oliua
, Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu Scriuc
Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,& per ciò
fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi dire,
vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la ìapienza
non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none altro che
la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra & pene-
tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla fommkàdcU’aria : però
fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c vfcitadelcapodiGiouc. I
Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata nel cerucllo deliquio
mo,comc denrroalia principale fortezza del redo del corpo. Chiamaronla
Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4 cioè Dea della guerra, lignificando
chei Soldati debbo- d « * u no non fidamente edere del continouo armati
Spederei- S* frr <- caci, ma proueduri di configlio: &rprima
chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc molto bene le forze del nimico:
quello che confermò anchora Saludio dicendo, che ei bifogna prima
configliarfi,& doppo il configlio, & la deliberationc fatta
mandar predo ad effetto ìlfuo dife- gno.Lacaufà perche gl’hiftorici
l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è, che dicono che nafccndo difeordia
tra lei & Nettuno, di chi douede porre nome alla Città, gli Dei
fimedono in mezzo per pacificarli, &giudicorno che Ncttu- qualc di
loro due produrrebbe cofa piu vtilc alla detta Vaim terra, quello le
douede dare il nome, per il che pcrcoccn- do la terra, & facendo
nafcerc Nettuno vn cauallo, & Minerua l’vIiuo,fu fententiato
chcl’vliuo, piu che il ca- uallo fodènccedirio & vtile alla vita
humana,& cofi re- do la Dea vincitrice, con attribuirle l’vliuo &
cdcrechia- mata Pacifera, come fi vede nelle medaglie di M. Aure- vulimit
- Iio,& di Commodo Imperatore. - 4 ut 1 q
ncrua. fT V * 1 t\
e k \l A ,|f I. fi , * . I 1 • "•
«f; IM ,1 - f . n L M. AVRELIO. COMMODO. BRONZO.
Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
ancho- ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,
tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen- do
vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la mancia ài loro
maellri in honore della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che
Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha
dichia- rato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì tener a j
ornate p nella: Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.
L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua nettv- & di
Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta
, fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr M. AGRIPPA. BRONZO. Fu Umilmente da gl’antichi
dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente & vna Acroftolia (ornamento
antico di galea) in mano , come fi vede ne rouefei di due mie te cr
una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,& l’altra di Vefpa*
fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redvci, in fegnodi ringratiare lo
Dio del felice ritorno dal- le imprefe
nauali. Acrojlolta dagli antichi. AVGVSTO.
VESPASIANO. ARGENTO. G z 100 ut
-inai* : vufciiut 4t- Attribuirno parimente grantichiii
Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , & ancho per
efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à i marinai,
dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come fi vede
per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la vet- roria
hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che dicono, MAGNVS
IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET O
ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP
ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc Ag<tu
<m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Corniolaanticadicolorcdi
rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro, tirato da due caualli,
nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in vna medaglia di M. Agrippa
con rito dà <a - lertcrc che dicono aeqvoris me
omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA.
argento. . v."“ v - -m * ....
VA monete ioz N
rtttmo i fiutilo. La caufa perche glancichi dedicorno il causilo
à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo che trouò il modo di domarli
&frenarli, come dice Virgilio nel y.dil'EncidL / ungir eejuos curru
geni tot fumanti a. <jue addir Frana f'eris ì manilupjue omnes
ejfundit babenat. Fanno vera teflimonanza di quello, ’
Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede Nettuno uallo,&
dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn Delfino. HÌppOCTé-
tid. Confutili. Nettuno in h entore
di tutte del tuuigtr. A iNettunocauanere
recionoiKomanjgia vn tem- pio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel quale tempo tutti i
causili > muli, & mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che . 103 ' che per quello ci fu fatto da Giouc
Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per le due
medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono glantichi
li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno ^
quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta &
diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la terra)
ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino. ANTICO
NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO. Quando i Romani volcuono
moftrarc di ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in mare, lo
facc- uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri- dente^
dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale
modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo figliuolo.
Imp.Rom. MED.DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO. VESPASIANO.
ARGENTO. ARGENTO. Ritor I E
serv- ir API a Machione Ritornando à gl’altri
noflri Dij,& loro templi, altari & fimulachrijdiciamo
chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo chctrouò l’vfo della Medicina,
infcgnataglifor fc prima da qualche Dio flato innazi à lui. Quelli al
rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora flato collo- cato nel
numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta fa medicare àPconcle piaghe
di Marte. Ma quadoci parla diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama
huomo Ma(hégj figliuolo d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij
figliuolo ncccflarij perla fanità dcllhuomo , & lo fa tato
eccellete in quella arte, che ci dice che rifufcitaua i morti .Dice Lat
Stantio. tantiochc Efculapio nacque di padre & di madrc,chcn6
fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato in mezzo à vn campo,&
trouato da certi cacciatori, fu dato i n guar- dia à Chironc
Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica- renella quale vfarono dipoi
fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che la riduflc alla fua
perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti dedicata
ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto)
che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il
giorno intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L
LrO. ORO. BRONZO.
Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero vn’I- foletta à modo d’vna
galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga due ottani di miglio, appuntata da
bado , & piu larga di fopra, à modo d’vna poppacL’vna naue:la quale
Ifola fu già confagrata à E(culapio,ati!ina,dop- po che Romolo
l’hebbe edificato nel palagio , apprefib la vettoria hauuta de Sabini, io
ti priego d’cllcrc in aiuto alla Rcpublica & Città diRoma, Stame in
tutte le dif- gratie mie. yltore P'S
<r 3 Vlcorc fu chiamato, & honorato da Romani come
Marce, per edere l’vno & l’altro vendicatore delle cofe mal fatte:
& in Italia , maTTimamcntc nel territorio Ca- pouano detto
Auxur,& figurato il Tuo lìmulacrope r vn Auxun fanciullctto lenza
barba, del qualefcce mentione Vie- Virgilio. gilio nell’ viij.libro dell’
Encida, quando dille: Cyneumejue iugum^uets I uff iter ^Auxttrus
aruis r Pr<efìdet. Et è ancor Giouc coli (colpito (opra
vna medaglia d’argentodi Pania, da vn lato della quale fi vedeà
fede- re nel fuo T rono con vna tazza nella mano mra,& nel- la
manca lo fcettro,con vna corona di Quercia, o d’Vlt- uo,ilchc non ho
potutotroppo bene difccrnerc,per la piccolezza della mcdagliarnondimeno
Phornuto affer- machefolamcnccGiouccra coronato d’Vliuo,in fegno di
perpetuitàrperchc egli è Tempre verde, & tiene qual- che poco del
colore cclcltc. ME DATgTi E DI P ANSAI ARGENTO. Et
Ti *4 Tempio d'Augufto in
Alcjptn ària. EtlicomcGiouchaucua in Roma (come e
dctto)iI Tuo tempio magnifico , & era chiamato Scruatorc Se
Conlcruatorc,coli in Alcflandria nera vn’altró limile conlagratofcome
fcriuc Filone nel libro della Tua lega- tioncà Caio Ccfarc) à A
uguftoConfcruatorc, chiama- to hauuto in vcncrationcda i
nauiganti.Era quello grandillimo & altiflìmo tempio pollo
innanzi al Porto,picno di Tau ole offerta, di pitture cxccllcnti,&
di flacuc marauigliofamentcfabricatc,& ornate d’argento Se
d’oro, con portichi Se loggic per Ilare al coperto, & palleggiare,
& vna libraria accompagnata dagradilEmc làlc,portali,bofchetti,&
lunghe vie, che di lontano por- geuonofpcranzadi falutc à tutti i
nauiganti,che volc- uono pigliare porto in Alcflandria: benché quali
per tutto il modo foflcro flati dirizati & fatti molti altri
tem pii in memoria d’Augufto & per eternità del fuo nome, li
come li troua nelle medaglie battute al tempo di Ti- berio, il quale
cominciò vn tempio in honorc fuo che Caligula fornì poi,& Io confagro
al fuo nomccon ofH- cij Se facrificij pieni di pietà Se di rcIigione,il
che ei con- ferma perle fuc medagIie,doucda vn Iato è il lìmula-
cro della pietà à federe con vna tazza nella man dritta, & la fianca
ripofafopra vnfanciuIIctto,che moftral'of fido pio che Caligula
faccuainuerfo i fuoi parenti , con quelle parole, e. caesar divi avgvsti
prone- POS AVCVSTVS PONTIF EX MAXIMVS TRIBVNIT1 A POTESTATE QVARTVM
PATER PATR1AE. & poi quella altra appreflo folamcntc, pietas.
Dall’altro Ia- Sdtrificio to mC£ ^ a g* ia fi vede fi tempio
d’Augufto flato ri- diCéU&uU. ccuuto (comeci penfauono) tra gli
Dci:& nel mezzodi detto Librario
b.Uifiinu d'AuguJlo. Tempio tA
ugujlo (omincUto per Tibe- rio, cr for- nito per
C4ligula. -. <r 5 detto tempio vn’altare,fopra al
quale c vn Buc,tcnuto da colui che n’haucua la cura, chiamato
Vittimario,con vnfaccrdotc chemoftra di volere fa me facrificio,
teneri do vna razza nella mano deftra,& dietro alle fpalc vn
miniftro con vnvafopcrriccuercilfanguc della beftia. AVGVSTO.
ORO. MED ÀGLI ÒNI DI TIBERIO. Tempio
dkugujlo reflituito per A nto~ nino.
Comminciando dipoi quello tempio col tempo à rovinare,
Antonino Pio lo fece inftaurarc, fi come h ve- de per le Tue medaglie
d’argento, d’oro, & di bronzo, douc fono lettere che dicono .templvm
divi avgVsti restitvtvm. Ne contento di qucfto, ne fece fare
vn’altroad Adriano fuo predcceflbrc,comc ricordeuolc de benefici), che
haucua riccuuti da lui. Anto
c-j ANTONINO PIO. BRONZO. Oltre à
quelli templi , furono anchora fatti molti altari in honored’Augulto, per
moftraremaggiormen- imiti de te, & per diuerfe vie la fua eternità
con quelle parole, providentia, hauendo quei Romani quella vana
opinione, chela deitàd’Augullo potcflèloro concedere tutto
quello,dichehaueuonobifogno per laucnire. tu»-,
-ilKrTivb'Jì / Et coli per tutte
l’altre medaglie de gli Imperatori; che erano (lati à modo loro
deificati, folcuono gl’anti- chi (colpire quelli altari in legno della
loro deificatione-. Deferivo* Scriuc Apulco nel dogma di
Platone , chela proui- XkJu denzanon è altroché vnafenccnza diuinachc
mantie- ne femprcfelice colui,checlla piglia vna volta iti cura:
& altri hanno detto che folamenteriguardaua Se pcnlà- Dtuodi
uaalIecofeaucnire:ma i dannati Epicuri£al(amcntecre- zpÙHro. deuonochcDio
non haueflc alcuna cura de mortali. Ond’io à propofito di quella
Prouidenza mi ricordo ha- uerctra molte altre pietre intagliate,
cheiofcrboin ho- nore dell’antichità, vn Diafpro, nel quale è (colpita
vna vtformU* formica con tre fpighc in bocca,fignificatricc della
Pro- K de Polii- uidenza-.la quale pietra fu altre volte trouata ne i
fonda- de*K4. menti d’vna delle torri cheio ho fatte farcnclla mia
cafa della Maddalena, che per edere cofa anttchitfìma &
rà- ra,mi c parlo farla ritrarre qui Cotto al naturale. —
Diafpro. Et perche Plotina ha già
comporti in 4. libri della Prouidenza, inoltrando che tanto le piccole
come le grancofe cranogoucrnate per il Dio di natura, io rimet-
terò il lettore à quella lcttione,& ritornando al propoli - to mio,
dico chegl’antichi riputorno la Prouidenza per Dea, come anchora ha
inoltrato Cicerone nel libro del- la naturadegli DcijOndcpcrla Tua
figurabile clafem- bianzad’vna matrona ftolata , ò velata & dritta ,
che in vnamano hàlolccttro,&con l’altra moftra vn globo, chcgli
Ita à piedi, pare che voglia lignificare che la Pro- uidenza goucrna
tutto il mondo, come vna buona ma- dre di famiglia, nel modo, che nelle
loro medaglie la fi- gurorno (benché con diuerlì atti) Traiano &
Pertinace Imperatori. r. ;• -
fiorini. PROVIDENZA. Cietront. 'V '
> r ! Alcuni altri Imperatori,
comeTito, la fecionodipin gereconvntymone& vn globo, inoltrando come
ella gouernaua il mondo. Antonino Pio la figurò per vna filetta di
Giouc accompagnata da molte altre. A leda n- droScucroper vn vaio pieno
di fpighe,& Probo & Fio riano per vna fcminaftolatacon vn globo
in mano,vn fccttro &vn Corno d’abbondanza.
rrouidtnz'* diuerfmen tc pinta da antichi.
Caracal Ei mi parrebbcinuano affaticare
,fc io non auertiflì 0 « lettore della pazza fuperftitionc de gli aderbi
Roma ni,i quali durante la vita de i loro Imperaton, o buoni, o
catti u i,cKc ci follerò, in ogni modo non lalciauonodi fare loro
templi,ttatue & altari , & doppo la morte di lànftificarli,attribuendofaIfamentc
loro nomi dibuo ni Principiai fondatori di pace, & (non ottante che
ha - ueflino maltrattato il Scnato,& Popolo Roman o)di re
E 4 CONSE CRATIO- NB.
V<tra f a . flit ione ir Romani nel
fanttfi- tar loro ^ imperato^
ri. FLORIAN A S S. MAMMEAT BUONZO.
ftauratori della Città di Roma, fteome auenne di Lu- cio Settimio
Scuero,il quale oltre aireflcrehuomobar- baro,beftiale,homicida,&che
di fimplice foldàto pcr- ucnnealla dignità deilTmpcrio, ingannò &
tradì Clo- dio Albino gcntilhuomo Romano per venire à capo dei
fuoidifegni, &: nondimeno s’attribuì & fece dare più per paurache
per volontà dal Senato Romano tùt- ti i titoli di buono Imperatore.
S ARGENT < 3*23
‘ 73 Ma che diremo noi di quello Monftro di Natura
co- minciato & non finito,il quale doppo la fua morte fu
connumerato daRomaninelnumerodei buoni Dei,& del quale foleuadirc
Nerone, che l'haueua fatto auelc- nare, che egli era ftato fatto Dio p c
r mezzo del boccone d’vn fungo? clodio;
ORO. Et per contrario furono i buoni Principi, di T
raiano, Antonino Pio,& Marco Aurelio, che per le loro virtù
&: buoni coftumi,mcritarono d’cflcre chiamati ottimi Im- c .
pcratori,& canonizati,fe lecitaméte fifolfc potuto ciò fa re.
Trai quali è pur degno d’clTcrc Tempre nominato& ricordato il nome d
Antonino Pio , lolito dire che piu tofto volcuacolcruarc &faluare la
vita d vn Cittadino, che ammazarc mille defuoinimici. Parola certamente £
Antonino piena di pietà & degna d’vn buono Imperatore, come
cglicra,&:comclo chiamòil Senato, facendoli dirizarc come à Traiano,
vnaColonna,& Templi nel modo che £ Antonino fi vede qui di
fono. amo moftraco cornea! tempo anticogli ucrrdctì
Inipcratorieranoconfngrati,&diuentauonoDijdoppo ^TLi ]aI . 0r °
m05tCj& comc * Romani faccuono tem pii &al- tio di ttm - rar * *
n Sonore loro coni /àcnficij de vitelli ficdegl’agncl-' & Reonfegnado
loro Sacerdoti & Flammini nel modS che di Celare A ugufto ha già
fcrirro Prudcnrio^diccndo: Prudenti». Hunemorem V ererum docili Um aiate
fejnuta ? olì eritas t men fa t atque adytit } & fiamme^ tris
ANTONINO PIO. BRONZO. ON.
PIO. BRONZO. Uuguft AuguJlum col
nitritalo placa uù tgd agno: Strafa ad puluinar iacuit,
refj>onfa popofcit. Tcjlantur tituli,prod»nt confulta
Scnatus Cafareum louis ad ) fecitm Jlatuentia templum.
Equanto al reità della conftgratione , chiamata da Greci &
della quale ha le ritto minutamente He radiano al vij.capitolo del
iii j.Iibro,mi è parlo non fola- ménrc di figurarla cjui fottoal
naturale, ritratta dalle me- daglieantiche d’Antonino Pio,& dt M.
Aurelio, ma tra- durla in volgare,pcr maggiore intelligenza del
lettore. ANTON; Pia M- AVRELIOl BRONZO. BRONZ O.
c Soleuono i Romani confagrarc doppo la morte lo- ro
tuttiquclli Imperatori, i quali làlciauono i figliuoli heredi dell'
Imperio, in quello modo penlando efTcre ri-- ceuutr nel numero de loto
fallì DijrEa Citta tiftta vcftita abruno,&picna di dolore &di
lamenti, folennemente fatta fàrcvnaimaginediccra limile al morto
Imperato re, la poneua dentro a vn ricco letto d’auorio,lcuato in
alto aU’cntrarc del palagio Imperiale. Era quello letto coperto di
prctiofì panni d’oro &dcntroui quella ima- gine
H erodiano. b o«».f W «HV
Ccrimonù de Roma* nella mori de loro l« fe
rotori. ginc pallida àguifa quali di ammalato Imperatore/!
ri- polaua,haucndo dal lato manco à ledere tutti i Senato ri
vcftiti di bruno,chequiuigran parte del giorno dimo rauono.Et dal lato
deliro tutte le Donne Romane, cias- cuna fecondo ladignità & grado
dcloro padri,ò mariti,. fenza ornamento alcuno d’anelli, maniglie, ò
catene d’oro,ma fedamente vcftircdi bianco leggicrmetc(qualì come
portano in tal calo le getildonne in Francia)# tue te piene di
maninconia. Durauono quelle cerimonie vij.giorni,nel qual tempo i Medici
ogni giorno s’apprcf fauonóalla bara, fingendo di toccare il polfo
all’amma- lato,# mollrando che gli andaua fempre peggiorando. Ma
fubito che ci diccuono quello cflèrc fpirato, i primi letto i Up4
Senatori lì lcuauono il letto Tulle fpallc, portandolo nel YtZ'ZÌ? ^ av ‘
a ^ acra ^ no al Mercato vecchio, douc i Magillrati tutori Romani
Toleuono fpogliarlidelladignitàdi tutti i loro. officij.Erano in quello
luogo da due lati fatti certi pal- chi con ilcalc,dai’vn de quali tutti i
piu nobili giouani & patritij Romani, & dall’altro le piu
illullri donne canta- Himi tan- uonoHynni & Cantici Iamctcuoli#
pietofi,nelmodo, tati nette po che s’vla ncllcpópe funebri. Dopo quello i
Senatori di pt funebri. nuouo fa lcuauono la bara fullc Ipallc, &la
portauono fuora della Città in vn luogo chiamato il capo di Mar-
te,douecravn tabernacolo quadro fatto di gradirmi legni fcccjii,&
ripieno di fcrméti.di paglia, & di falcine, & di fuora riccamctc
adorno di cortinclauorarc d'oro, di
flatucd’auorio,#altrediuerfcdipinturc.Sopraàque Ho tabernacolo n’era vn
altro lìmile,ma piu piccolo,& riccamente acconcio come l'altro,cccetto
che haueua le porte & le fincllre aperte, & coli di mano in mano
mótaua H77 tauapiù alto nel mcdclimo modo fempre
diminoedo. Potrebbe!! quella ftruttura ailbmigliarc à certe Torri
fondate in marc,ò fopra ài Porti, chiamate da moderni, Fanali,
dagl’antichi Phari,douela notte Hanno acccfi lu TJnaU mi perfarefeorta a
inauiganti.Portato adunque ildet- chiamati to letto fopra al fecondo
ftaggio.quiui fpargcuono gra- dequantitàdi
fpcticrie,diprofùmi,difrutti,d’hcrbc, & d’vngucnti odoriferi di tutte
leparri del Mondo, facen- doqualì à gara di chi più , ò meglio, porc/Tc
honorare, & fare quello vltimo prefente al loro
Imperatorc.Fat- to quello, lì moueuono certi Caualicri à corfa
intorno al tabernacolo, facendo vn modo di Morcfcha tonda, MortfAé
Pyrricada gli antichi nominata:& apprefib à quelli fa- ryntt4 '
ceuono il mcdelìmo i Cocchi, ò carrette , fopra lequali i carrettieri
erano vcllitidiporpora,8cdi velluto chcrmi- lì,con mafchcrc fomiglianti à
i Capitani , & principi che haueuonogià fcruito il morto Imperatore.
Et con finite tutte quelle ccrimonie,colui che doueua fuccedcre
all’- Imperio, pigliato vn torchio accefo in mano,mettcua il fuoco
nel Tabernacolo, & il limile faccuono tuttigl'al- trhpoidi mano, in
manoùl quale per la materia tato fec- ca,& le cofc vnte deprofumi,
& olij profumati, leuaua { j, e fubito le fiamme in alto,pcr
mezzo lequali, vfcitavn’ A- t* quila viua del minore & più alto
Tabernacolo, fc n’an- « daua volando in verfo il cielo , quiui di terra
portando i cieli (come crcdeua &gridauala lloltitia de Romani nql
me delìmo tempo) l’anima del loro Imperatore), il quale poi coli
adorauono come Dio,& gli faccuono altari & templi,
come e detto di fopra. » C rwr,-* r-’ìRtn M.
AVRELIO. F AVSTINA 4U« tu 1 -
PERTINAX. BRONZO. F AVSTINA.
ARGENTO. Crédcuonoi Romani qiicfto mi fieri o non
Iblam" elfere vcro,ma molti giurauono hauerc veduto vfeire del
fuoco l’anima dell Imperatore , & altri pagauono huomini à polla per
confermare coli fatta bugia, diccn - do che l’Axjuila di Gioue l’haucua
portata in Ciclo, & coli ecco in cheniodofu anchora canonizato
Seucro lottizzo* collocato nel numcrodegli Dei, inlìcmccon
moltialrri Imperatori & Imperatrici ch’elPopo.Ro. fece fàlir
per forza COM forza alciclo
nel medefimo modo che Scucro. Ma ri - tornando alla materia de noftri
templi, doppo haucrc fcritto de i più trionfanti di tu tti,cioc,di quello
di Giouc Capitolino , di quel d'Augufto à Roma&in Alcflan-
dria,del Pantcone^ di quello della Pace, ci reftai vede- Tempio «K rcil
marauigliofo di Diana Efcfiamcllà fu perba edifica ^j c pg % rione del
quale concorfcro tutti i Re,Potcntati,& Repu blichc dell* Alia
maggiore, contribuendo ogniuno per lafuaparrc/olamcntcmoflidalzelo di
religionc,qua'n- tunquepcr Ja fuagrandezza folle a pena tornito in
CC. anni,& fondato rifpetto a i tremuoti in vn Pantano, tal-
mente che ci fu connumcrato per vno dei lette miracov li del Mondo, &
di poifcolpito in piu medaglie di di- ucrfi Imperatori. “
CLAVDia ‘ ' ARGENTO. stnr. *4
• Ma pcrcbeil fimulacro interodi Diana,qualc era nel Àmpio
degli Efcfij,nonfi. può interamcce {cingere nel le med agliedi pi ntedi
fo p ra,mi cpàrfódi farlo-hilthopa di nuouo ritrarre qui di fotto nel
modo , che io ihoirt e ” due '.Ikimfc
K.OII 8o DELLA RELtGIO due medaglie Grechc,l’
vna di C5modo,S: l aura a nn - tonino Pio , nell'vna delle quali e
Icritto aptemhx e «• exian , cioè, Diana degli Efelìj , & nell’altra
quella l ola parola, e « e s i a spedendo tutte l’altrc lettere
perdute. ANTOM. PIO. COMMODO. BRONZO.
Dtfcrizìon del tempio di Diana. Era la
lunghezza di quello tempio ccccxxv. piedi, & la larghezza e e x x.
ornato di e x x v 1 1 . colóne, ogniu- naalta lx. piedi, & nondimeno
fu abbruciato da quel- lo fcclcrato Eroftrato,folamentc per dire che egli
hau ua fatto qualche cofa degna di mctporia:bcnche di poi fu
rillaurato & rifatto anchora piu bello da Dinocratc, Celebrati!)
Architettore d’Alellandro Magno. Quiui aduque lolc- cUDianf* L, ono
ogn'anno, nel giorno che lì cclcbraua la fella di ~ Diana, trouarlì tutti
i giouani ,& fanciulle , vergini del paefe,vcllitidibiaco,doucfpeflò
lìmaritauono iUcrne? Il fimulacro ò imagine di quella Dea fu fccodo
le fue dignità & qualità dipinto & figurato da gli antichi in
di- uerfe manierc,lt come ella fu pariméte chiamata perdi; JSSL.
uer/I nomi.ConciòlìachcquàdoIaLunaera tutta pie- na, la dilegnauono per
la lua chiarezza con vno tor- chio v 8x
chioaccelo in ambedue le mani, come fi vede nelle mc- dagliedi GiuliaPia,
moglie di Seuero Imperatore, con lettere chedicono, di an a
lvcifera. GIVLIA PIA. argento. BRONZO. Et
per inoltrare anchora meglio che Diana &la LlT- na eranoinqucl tempo
vna mcdefimacofa,ioho fatto qui mettere vn'altra medaglia di brózo della
mecfefima Giulia, nella quale e ferino, lvna lvcifer a,&ìI(uo
carro tirato daducccruic, chcfignificauono checll'cra Dea della caccia,
quantunque l’interprete d’Arato hab- bia detto che quello fignificaua la
fila leggerezza. Ma quadogl’antichila figurauono poico vnolpiedcinma
no,& vn ccruio apprcfio,voleuono lignificare che cac- ciando, ella
pigliaua & ammazzauai ccrui pcrforza,no minadola »^óa«c, & per
memoria che ella era la prima cacciatricc,fofpcndcuono le corna de
cerui dinanzi al fuò tepio.DclIa quale cofahauendo affai à
baftazadif- corfo nel libro , che per comandamento di fua Maefli
iohò fittodella naturadc giammai! ferochpcrò rimette rò il lectorcà
vederne quello, chcion’hò quiui trattato. MED AGLI E D’H
OSTILIO. ARGENTO.Trouanfi anchoradelle medaglie , doue Dinnac
di- pinta, òfcolpitacon Io fpiede, in legno che ella foleua
ammazzarci cingùiali, diche fa chiaro rcflimoniolamc daglia di Gcta
Triumuiro, nella quale da vn lato è fcol- pita la tefta di Diana , &
dall’altro vn cinguialc , ferito d’vno fpiede in vna fpalla con vn cane
appreffo. GETA TRIVMVIR 83
Quando i Romani figurauono Diana cacciatrice, ordinariamente la
folcuono accópagnared’vn turchaf- fo,d’vn , arco,& di frccciccon vn
cane da ghignerei fc - gugio,(cnzaraiiirode quali non fi può cacciarci
come mortra la medaglia qui di lotto. med 7 ~d f C~P OS T
VMO. ARGENTO. Ma nelle medaglie
d’Augurto fi vede vna volta Dia- na figurata tutta ritta in habito virginale,
con l'arco in vna mano , & con l’altra /opra al turcharto, facendo
le- gno di cauarne vna freccia pcrtirare,&: nel mezzo lette-
re, che dicono/iM pera t or DECiEs,&di fotto,sici- x.i a. & altre
che dicono , im perator vNDEciEs.Et L nel rouefciod’vn altra fi vede con
la velie alzata, vnar- sthukitl co in vna mano , & nell’altro vno
fccttro, vn can da giu- * gnerc,& gli rtiualcrti infino à mezza gamba
, colà prò- £ 1 pria per lei come cacciatrice, &i quali daPolluccfono
An<lro »”- ftati Endiomidi chiamati. des ' A V G V S T
O. Tra cucce le medaglie d oro, che fanno
ìjjj.furnorro uaccàTolofa, & rraquelleche mi vennero nelle
mani, io ne hò vna,nclla quale da vn lato è fimaginc di Diana, col
Tuo arco & la faretra,*: dall'altro vn tempio, nel cui mezzo c vn
trofeo naualc,in cima al quale è vna celata antica:& della prua della
natte, c fitto vn tronco come vno Itile con due rami, vno riuclliro d’vna
corazza, & da l’altro pendono due dardi & vna rotelIa:& à pie
del tron co è vn Ancora da vn lato,& vn timone da J aItro,in
le- gno della rotta di Sello Pompeo, quando Ccfarc Augu- ro
racquiftò la Sicilia, la quale in mezzo al frontilpi- Tri gSbe, c *° ^ mc
J c h mo tempio e figurata per tre gambe, con impresici lettere che dicono,i
mper ator . c ae s ar,co!ì fignifi- UsùiU can do che Augullo ringratiaua
Diana della vettoria hauutadc nimici Tuoi. - av
AVGVSTO. Et nc rouefci delle medaglie battute in
honoredt Mar cello, fi vede parimente-vn facardote, chccon due mani
lebrato in prclcnra al tempia di Diana vn altro trofeo di Sicilia, s *” a
*- ringratiandola delI’Kauuta vittoria di Siracu(a,&dcl te-
foro portatone à Roma,iI quale-fu {limato tanto, quan- to quello che i
Romani cauorno di Cartagine. MAJICELLINO,. BRONZO.. Animali
tonfatati i Diana. Solcuono gl antichi placare Diana
imolando la cer- iliaci daino, il ccruio,& il toro,tutci animali
confècrati lei, fi come tcftimoncranno le medaglie Latine &
chc,che io ho fatto ritrarre qui di lotto. FILIPPO.
BRONCO. Tempi o di Scriuc Strabonc nel x ri 1 1. libro della fua
Cofmògra to“ra*ro~ & 1 che quello tempio cra fondato nclflfola
d’Icaria & polon. chiamato Tstupóirtxor. Et Tito Liuio neh ni. della
quinta Decade , lo chiamò parimente Tauropolum , & Tauro poli*
i ficrificij,chclifaccuonoà Diana. Dionilìo nondime- no nel fuo libro de
Sicu Orbis dice,chc Diana non fu chia mataTauropoU dalla regione, ma
dalla quantità de tori, ehcvinalceuonofotto la fua protezione :& però
detta dum Tau eguale colà appari Ice vera per la medaglia Gre ca
qui di fottojdoue fono lettere, che dicono, e petp i- IÓN DAMASI
AZ. MED f vi.
MED AGLIA GRECA D I DIANA. ARGENTO.
Chequcfto fiavcro,& che Diana Ila (lata chiamata
TaurofoloSybiTdurof oliai Tuoi facrificij dal toro che l’era
confagrato,come il cane, dimoftra anchora Diodoro nel iti. libro, douc
parlando della Rcina delle Amazo- nc dice, che ella faceua ogni giorno
cflcrcitarc le Tue ver- gini allacaccia, acciò chcpiu facilmente
tollcraflino il difagio dcllarme & della guerra , facendo le fare vn
cer- to facrificio, che ella chiamò T*opej 3 fojo.,benchc gl’
Autori tanto Greci come Latini habbinoconfufi tutti quelli no mi
Tdurouoliumjduropolum, & Tauropobolum, & malli me Suidane i
Collcttanei, chiamando Diana Tduroholosfal Toro(quello che anchora conferma
Euftathio) il quale l’era facrificato, come fi vede nella medaglia
d’argento ' d’ Aulo Pofthumo, nella quale fi vede da vnlato Diana
con vna luna in teda, l’arco & il turcafTo:& dall'altro il fa
orifìcio del toro, nel modo, che fi vede qui di fotro. F 4
Sacrifìci» di Diati» ordinato da la regi,
na deli a- mazonc. Diana chi» mata Tau-
robolos . tttJICi : v ni' A VLO PO
STHVMO. - ARGENTO. eia, & ma/firneàLettora,doue fe nc vede
grandi/fim» Tùtro gì - quantità, donatimi già da Pietro GiIio,huomo dotto
Se deVanuZ g ranc * c amatore delle cofc antiche, fi
conofcechcifacri- ti ficij fatti anticamente da i facendoti alla madre
degli Dij congrande apparecchio,crano chiamati TAuroj>olium&
•>- • altre volte Taurtuolium , &non folamente à Diana
Cibelc,maanchoraàMinerua, volendo maflìmamente credere àSuidas:
benché di coli fatti fiicrificij io habbia, aliai diftefamete fcritto
negli Epigrammi, che io hò rac-' colti di tutta la Francia. *
'a • ; ' b - •• t . * e* V. ... LeBor* inpropugrutcttlo
\rbis. matri devm pomp. philvmenae t*VAE PRIMA EECTORAE
TAVROBOIIVM F e e r T. . tìdi°G4f!o fedeli àiichora in vna
piccola chiefa di S. Tomafo giuu mezza rouinata nella medefima terra,
vn’altro epitaffio in vna S* hi vna
colonna, che regge l’altare grande, per il quale fi conolce che i
Decurioni di quel tempo , cioè gouucr- torì della Tcrra,feciono il
facrificiodi Tauropolium alla madre degliDij per la falutc diGordiano
Imperato- re, & di Sabina Tranquillina Tua moglie.
In facelle D.Thanutnunc diruto in columna i aitarli vijìrur.
1 PRO SALVTE I MP. ANTONINI GOR- < DI ANI PII FEL
AVGV. TOTIVSCHE^ DOMVS DI VI N A£, PROQVE STATV C li V 1 T- LACTOR.
TAVROPOLIVM FECIT ÒRDO LACT. D. N. GORDIANO II. ET POMPEIANO COS.
VI. 1D. DEC. CV- " RANTIB. M. EROTIO ET FESTO CA- »
NINIO SACÈRD. Di quella Sabina Tranquillina ho io veduto
altre yolte yna medaglia d’argento, & vno Epitaffio fatto in
quello modo, FVRIAE SABINAE TR AN QV 1 LLIN AE SANCTISSIMAE A
V G. CONIVGI DOMI- NI N. M. ANTONINI GORDIANI PII FEL1CIS INVICTI A
VG V STI DECVRIA- LES AEDILIVM PLEBIS C ERI ALI VM DEVOTI NVM1NI
MAIESTATICHE EO- R VM. Trouafià Roma vn gran marmo
antico fcolpitoin otfmzion honorc della madredegli Dei,douelì fa mentione
del- cibele Taurouohum,& quiui
lì vede l’imagine della Dea co- ronata d’vna Torre con vn tamburo nella
man manca appoggiato fopra alla fuacolcia,& con la ritta
tiene cer- te fpighe di grano, à federe fui fuo carro tirato da due
liooi,& accompagnata del fuo Atis, che tiene vna palla in mano, &
cappeggiato à vn Pino, come albero con- F 5 90
Carro de la madre de gli Dei , ti- rato di duo
leoni. Dichiara- tionedel'in fegna de la
madre de gli Dei. {agrato arale Dea, à caufa della
monragnad’Ida, eh ciò Candia, òdi quella di Frigia, abondantifiime
ambedue diPinij&doue cllac adorata principalmente per Dea,'
& dedicatele le Pine, onde Marciale ha detto di quelle
parlando, Toma fumus Cybeles. Ma quanto à i due
Iioniche tirano il Tuo carro ,co-. mefcriuc Virgilio, Et
iunBi rerum dominai fubiereleones. voltano i Greci lignificare, che non
fi troua cofi Acrile terra,chc ben coltiuata,non diuenti fertile &
buona. La torre lignifica leCitta & edifìci j de quali la terra è
orna- taci tamburo la mondezza della terra, benché alcuni veglino
che ciò lignifichi i venti rinchiufiui dentro, & le fpighe,ch© la
terra fola è quella che nutrifee l’huomo. Figura
: - FJG y R A~ D E LA MADRE DE I DEI R I 7 R ATTA del marmo
artico, il qual fi vede in Roma ntll’ecchiefa di S.Sebafliano. M. d: M. L ET ATTINIS L.
CORNELIVS SCIPIO OREITVS V. C. AVGVR TAVROBOLIVM SIVE CRIOBOLIVM ,
FECIT DIE IIII. KAL. MART. TVSCO ET ANNVLLINO COSS.
Cibelt tOf- riU. Nell’altra
medaglia pure Greca li vede da vn lato Cibelc torrira,& dall’altro il
folgore di Giouc con al- tre facttc, la quale c tanto vecchia &
frulla, che non lì c potuto cauare alcun fenfo delle parole Greche.
Meda Vari I nomi de la madre dei Dei.
Diana con- feruatrice, adorata in Sieilia.
Chiamaronlagl’antichi madre degli Dei, perche in guifadi madreche
nutriteci figlìuoli.la terra limilmcn- te nutrilcetuttigrhuomini &
animali del Mondo, coli dice Furnuto.I «Greci & Romani le dettono più
nomi & attribuirne diuerfe virtù.chiamandola Cibelc, Cere- re,^
Terra,Prolcrpina, &fecondo Lucretio, madre delle beftie. Veda,
&Diana:il che li vede & conferma per due medaglie di bronzo
Greche, ncll’vna delle quali c Dia- na da vn lato con quelle parole, 2 atei
p a, & da l’altro il folgorc,dcdicatole cornea Velia ,& limili
parole x i aeqi a r a ©ojc a e n 2, ci oc , medaglia battuta dal
Agatoclc in honoredi Diana confcruatrice. Nel tempo, che io Faceuo
quello 33cor|oi mi fumo mc faglie clonate alcune medaglie d’argento, di
quelle, che viti- doro & inamente furono trouateà Reims, tutte quafi
di Seuc- trouute°t ro,di Giuliani CaracaHa,di Geta,8t diMacrino. Et
per- chcrracfleio netrouaitrc,doue livedcCibelc convnfolgorc in
mano,& à federe fopra vn qucflc parole , ind mi cparfo non
fuora di fotto. L’vna. GLIA
GRECA. bronzo. V «A
» if pino con- L’vna dell altre due medaglie e dì Giulia,
nella quale madre dc*i ^ vc< ^ c Cibclc tortila in compagnia di due
lioni & àfc- Dd. dere fopra vna Tedia con vn ramo di pino in vna
mano, & nell altra lo fcctcro,chcclIa appoggia fopra il Tuo
tam buro,3c lettere che dicono intorno ,mater devm. Il medefìmo
rouefeio nella medaglia di Fauftina e quali del tutto foni iglianteà
quello. ARGENTO. BRONZO.
Figuro MED. DI C. VOLTEIO. ARGENTO.; ANTO. Pio. BRONZO. p
JJ W DE GL’ANTICHI DOMANI. Figurornoanchora gl’antichiil lìmulacro
di quella Cibcìe con vn gran numero dipoppe,fignificando‘ che
cllanutricaua tutto il Mondo, con vn a torrefalla tefta, due Honi Copra i
bracci , & diuerfr animali incorno, produtei da lei come Dea della Natura,
& di più due ccruie ài piedi, che moftrauono che Diana, &
quella erano vnamedchmacolà.Ncl qual modo nonhd mot- to tempo che
ella fu ricrouata in vna grotta ancichiflì-
maàRomadadipinturadellaqualemi donò altra vol- ta M. Antonio Fantuflì
dipintore Romano, la quale io ho polla nel miolibro de la Natura de gli
dèi , per dame la villa à .gli amatori dell’antichità. Furono tutte
quelle forme attribuite à Dianacondiuertì nomi di triforme, come
per il tellimoniodiPaufania la chiamò Alcamc- nc:& Virgilio,
dichiarandoci che in cielo lì chiamaua Luna, in terra. Diana,&
nell’inferno Profcrpina , coli laf : ciò fcritto,
Tergeminamque Hccaten>trU ùrginìs or a Tfidnx. Et perche
la figuradi Diana, ritratta da vn marmò antico,!! vedrà meglio nelnollro
primo libro dell anti- chitàdiRoma, io non nelcriùero qui altro , ma
fola- mence dirò come fotto la deità & nome d’Hccate i più
ricchi Romani foleuono ogni mefe far facrificio à Dia- na, mettendo fopra
i canti delle llradc della Città, pane & altre cofe,chcfubito da
ipoueri erano leuaje via , co- me fcriuc Ateneo, llimando che Diana, la
Luna, & Pro- ferpina fodero vna mcdclima coCa. Hauendoà
baftanza parlato di Diana , & defìderan- - do venire alladcfcrittionc
degli altri Dij, comincieremo da ^inerita* la quale fccondoi Poeti,
nacque.de l capo diGio Dea di mtura. Diana triforme.
Paufinid. Virgilio. Sacrifìcio fattoi Dia na fotto
il nome di He tate. Ateneo. MINERVA.
di Giouc, pcreflcrcrintcllctto collocato nella certa dell*
huomo. Armaronla oltre à quello gl’antichi d’vno feudo, nclqnalcera il capo di
Mcdufa,moftradochcrhuo- mo fauiodcbbecon force animo & intrepido vifo
refi- ftcrc aU’aucrficà,& à nimici.il pennachio che ella hauc*
ua fopra al morrionc , fignificaua rornamenro di tutte lefciczc,
&cofcaItenclccruclIo dcH‘huomo:le tre vedi differenti l’vna
all’altra, che la Capienza debbe clferefc- grcta,&l'hafta che ella
haucua in mano, che l’huomo fauio guarda, con fiderà, & batte di
lontano & con van- drdicXt*! taggto. Mala Ciuctta le fu dedicata
(come habbiamo Mintrtu. detto) per moftrarcche la Capienza cuopre con le
tene- bre il fuolplcndore-.i qualitutti lignificati pare chedcf-
criucffc affai bene Ouidio nel Certo libro della fua Mc- tamorfofi,
quando dille, ^t fili datelypeumjat acuta cuflidis hafiam,
Datgaleam capiti, defendituragide pettus, ‘PercuJìa'mejuefua
fimulàt decufiide ferrarti. Edere cu mi; accia factum canentis
oliua , Jrfirartque deos «perù vittoria finis. Minmu
Scriuc Varronc che Mincrua fu quella , che fondò ie untoti Atcne,&
per ciò fu chiamata, aohn a quafi idxraìoe rrdfOt- i- Atene. r e, che voi
dire, vergine immortale, àcaufa chcfcomc fcriue Fulgentio) la
ìapienza non muore mai. Di qui ha voluto Porfirio dire, che Mincrua none
altro che la vir- tù del fole, mediante la quale lafapienza entra &
pene- tra dentro alcuorcdcH’huomo, là onde nafcendodalla
fommkàdcU’aria : però fi vede che i Poeti hanno finto che Mincrua c
vfcitadelcapodiGiouc. I Filici dicono chela virtùintellccciuaècollocata
nel cerucllo deliquio mo,comc denrroalia principale fortezza del
redo del corpo. Chiamaronla Umilmente gl’antichi Bellona, BrBofl4
cioè Dea della guerra, lignificando chei Soldati debbo- d « * u no non
fidamente edere del continouo armati Spederei- S* frr <- caci, ma
proueduri di configlio: &rprima chccominciarc vn imprcfa,cdàminarc
molto bene le forze del nimico: quello che confermò anchora Saludio
dicendo, che ei bifogna prima configliarfi,& doppo il configlio,
& la deliberationc fatta mandar predo ad effetto ìlfuo dife-
gno.Lacaufà perche gl’hiftorici l’hanno fatta fondatri- ce d’Atcnc, è,
che dicono che nafccndo difeordia tra lei & Nettuno, di chi douede
porre nome alla Città, gli Dei fimedono in mezzo per pacificarli,
&giudicorno che Ncttu- qualc di loro due produrrebbe cofa piu vtilc
alla detta Vaim terra, quello le douede dare il nome, per il che pcrcoccn-
do la terra, & facendo nafcerc Nettuno vn cauallo, &
Minerua l’vIiuo,fu fententiato chcl’vliuo, piu che il ca- uallo
fodènccedirio & vtile alla vita humana,& cofi re- do la Dea
vincitrice, con attribuirle l’vliuo & cdcrechia- mata Pacifera, come
fi vede nelle medaglie di M. Aurevulimit - Iio,& di Commodo
Imperatore. 4 ut 1 q ncrua. fM. AVRELIO. COMMODO.
BRONZO. Ttfle di mi Scriue Plinio che infino alfuo tempo duraua
ancho- ra la celcbrationc della fella & giuochi di Minerua,
tjuatria. chiamati Quinquatrij, quali erano, che i fanciulli facen- do
vacationc dalle fcuolc & da gli ftudij porrauono la mancia ài loro
maellri in honore della Dea,come quel Jache aiutaua la mcmoriarciò che
Quintiliano a! 1 1 1. li- bro^ nefuoi falli Ouidio anchora meglio ha
dichia- rato, quando ci dice, 'Pallata nunc putrì tener a j
ornate p nella: Qui lene placarit Palla Ja,Jolhuerir.
L’occafione fopradetta della difeordia di Mincrua nettv- & di
Nettuno, pare che mi porgea conuencuolcmare- « n o. ria di ragionare
anchora di quello Dio,il quale (come il Delfino fcriuc Higinio) fi
dipingevi con vn Delfino fotto il dedicato ì piede 5 ò la "mano
mancaappogiataui fopra, hauendo il nettano, tric | enrc nc lJ a r j t ta
, fi come dimollrano i rouefei delle medaglie di M Agrippa.
M.Agr IM. AGRIPPA. BRONZO. Fu
Umilmente da gl’antichi dipinto Nettuno con uettunodi vn Tridente &
vna Acroftolia (ornamento antico di galea) in mano , come fi vede ne
rouefei di due mie te cr una medaglie d’argento, l'vnad’ A ugufi:o,&
l’altra di Vefpa* fiano.douc fono lettere che dicono, neptvno redv-
ci, in fegnodi ringratiare lo Dio del felice ritorno dal- le imprefe
nauali. Acrojlolta dagli anti-
chi. AVGVSTO. VESPASIANO. ARGENTO. G
z 100 ut inai* : vufciiut 4t- Attribuirno parimente
grantichiii Tridente a Nct- mttuno 4 tuno,,n %no dello feettro , &
ancho per efl'erc vno in- perfetttro. frumento molto ncceflario à i
marinai, dipingendolo vna volta pacifico>& vn’altra adirato ,come
fi vede per le medaglie di Pompeo doppol’imprela fatta, & la
vet- roria hanuta de Corlali, donc da vii Iato fono lettere, che
dicono, MAGNVS IMPERATOR ITERVM-.& dell’altro, PRAEFECTVS CLASSIS ET
O ilARITIMAE EX SENATVSCONSV MED. DI PO MP
ioi Io ho tra molte pietre antiche, intagliate di diuerfc
Ag<tu <m- forci, l’Agata di forco figu rata , nella quale è il
mcdelìmo Nettunoà ledere, con vn braccio appoggiato fopra vn tmo*
va Co alta maniera d'vn fiume,& doppo quella vna Cor-
niolaanticadicolorcdi rubino, nella quale cvn Nettu- no fui fuo carro,
tirato da due caualli, nel modo , ch’egli tumori- è anchora figurato in
vna medaglia di M. Agrippa con rito dà <a - lertcrc che dicono
aeqvoris me omnipotens. AGATA. CORNIOLO. M. AGRIPPA.
argento. v."“ v - -m * .VA monete
ioz N rtttmo i fiutilo. La caufa
perche glancichi dedicorno il causilo à Nettuno, fu,perchc ci fu il primo
che trouò il modo di domarli &frenarli, come dice Virgilio nel
y.dil'EncidL / ungir eejuos curru geni tot fumanti a. <jue addir
Frana f'eris ì manilupjue omnes ejfundit babenat. Fanno vera
teflimonanza di quello, ’ Tarcntini, nelle quali da vn lato fi vede
Nettuno uallo,& dall’altro Taras fuo figliuolo fopra vn
Delfino. HÌppOCTé- tid. Confutili.
Nettuno in h entore di tutte del tuuigtr.
A iNettunocauanere recionoiKomanjgia vn tem- pio,comc fi leggein
Haficarnalco,&chiamaronogl’Ar cadi) il dì della fila fella
Higgocratia , fi come gl'antichi Confualia , nel quale tempo tutti i
causili > muli, & mule non erano in modo alcuno adoperati à
rrauagliare,' madai garzoni di Italia condotti à moftra per tuttala
Città di Roma con la teda coperta di fiori & ornata di ghirlande con
ricchi fornimenti. Scriuc Diodoro che Nettuno fu il primo che
trouò l’arte del nauigarc& didrizarc vna armata di marc,&
che D E GL’ ANTICHI ROMANI. 103 ' che per quello
ci fu fatto da Giouc Ammiraglio del ma- re^ di poi adoratocome Dio.Et per
le due medaglie, & vn Niccolo, figurate qui Cotto, vollono
glantichi li- gnificare che Nettuno haucua poflanza tanto in mare Ncttuno
^ quanto in terra,figurando vn caualloconla coda tor- gnordrima ta
& diuifà in due partidnfegno de iduc Elementi, l’vno (quale e la
terra) ripreientato dinanzi per il cauailo, & l’altro (qual’ è il
marc)difcgnato dietro per la coda in forma di Delfino.
ANTICO NICCOLO. Qi CREPERIO. GALLIENO Quando i Romani
volcuono moftrarc di ringratia- rcNettuno di qualche vettoriahauuta in
mare, lo facc- uono Scolpire nelle loro medagliedavn lacoconil Tri-
dente^ dall’altro mctteuono vnaVcttoriafulla poppai d’vnaNaucmel quale
modolofcciono già fare Demetrio, Augufto Ccfarc, Vcfpafiano, & Tito fuo
figliuolo. Imp.Rom. MED. DI DEMETRIO. ARGENTO. AVGVSTO.
VESPASIANO. ARGENTO. ARGENTO. Ritor
I E serv- ir API a Machione DE GL’ ANTICHI ROMANI.
105 Ritornando à gl’altri noflri Dij,& loro templi, altari
& fimulachrijdiciamo chcEfculapio Dio della fa nità,fu il primo
chctrouò l’vfo della Medicina, infcgnataglifor fc prima da qualche Dio
flato innazi à lui. Quelli al rem po di Homero fi vcdcchcnon era anchora
flato collo- cato nel numcrodegli Dei,cóciofìa che il detto Poeta
fa medicare àPconcle piaghe di Marte. Ma quadoci parla
diMachaonc,figliuolo d’ÈfcuIapio,ci lo chiama huomo Ma(hégj figliuolo
d’EfcuIàpio Medico, chctrouò molti rimedij figliuolo ncccflarij perla
fanità dcllhuomo , & lo fa tato eccellete in quella arte, che ci dice
che rifufcitaua i morti .Dice Lat Stantio. tantiochc Efculapio nacque di
padre & di madrc,chcn6 fumo da perfonaconofciuti,& coli lafciato
in mezzo à vn campo,& trouato da certi cacciatori, fu dato i n
guar- dia à Chironc Centauro,chcgl’infegnò lar te di medica-
renella quale vfarono dipoi fempregl’antichi fino al tc- pod’Hippocrate,che
la riduflc alla fua perfezionc.L’ha- Kippocratt birationed’EfcuIapiofugiààRaugiacittàdi
Schiauonia, Umdu^a & dagli antichi chiamata Epidauro,doue ci
fucòfiigra- * pnfctno to, fattogli vn tempio, & vna flarua d’oro
& d’auorio per " f * le mani di Trafimcdc,cccclIcntiflìmo(comc
fcriuc Pau fàniajfculcorcdi queltcpo, &natiuo dcll’IfoladiParos.
^ef^iuio Eufebio nondimeno lo vedi &dipinfenel modo, che in
nedeiima- marmo bianco fi vede anchora à Roma,& in molte me
daglic & pietre antiche, cioè vcflitod’vn mantello alla do Eufebio.
Greca, con vn baflonc in mano, & fopra al quale(attor- cigliato d’
vna ferpe)pare che il Dio s’appoggi, nella ma- niera che io l’hò in
vn’altra belliffima Corniola, &in vno Niccolo, ritratti qui di forco
al naturale. G 5 .ori oia/ì
Jr ioc ‘CORNIOLA ANT. NICCOLO ANT.
Tornato. Microbio. I a Ciuciti
dedicata ì Efculapio. Significai™ la fcrpc (fecondo Fornuto)
che fi come quelle fi fpogliano & mutano la icorza, cofi
auiehedc Mcdccichc riducono gl’ammalaci dalla malaria alla fa-
ttiti, rendendo loro vn corpo nuouo. Altri voglionoche fi come la ferpe
lignifica laprudcza,cofi bifogni al buo Medico edere prudente circa alia
finità d’vna perfona. Ma Plinio rede vn’altra ragione, cioè che la fcrpc
fia de- dicata à Efculapio per edere buona a molte mcdicinc:&
Macrobio dice che quello e, perche la ferpe ha la villa fiottile, come
bifiogna che habbia il Medico nella cura d’vn infermo, &chc il
battone fignifica,chcvn huomo ammalato ha bifiogno di nutrimento che Io
fiollcnga, in modo,ch’ei non caggiaaffatto.EtEufebio,chcilba-
ftonegl’è attribuito, come quello che ^er appoggiarli e ncccdario à
vn’ammalato. Fu oltre a quello dedicata à Eficulapio la Ciuctta,
lignificando che il medico debbe edere vigilante più la notte che il giorno
intorno all'in- fcrmo.fi come lì vede ne rouefici delle medaghedi
Nero nc,&di Vitcllio. Nerone. NERONE. VITE L LrO.
* ORO. BRONZO. Vcdc(i anchoraà Roma nel mezzo del Teuero
vn’I- foletta à modo d’vna galeotta, cioè larga nel mezzo,lua- ga
due ottani di miglio, appuntata da bado , & piu larga di fopra, à
modo d’vna poppacL’vna naue:la quale Ifola fu già confagrata à E(culapio,doppo
che il fuo lìmulacro fuilato condotto à RomafQttolafbrma d’vnalcr-
pc,òpiùtoftod'vnDcmonio:in honorcdcl quale fedo* no già i Raugei battere
monete con la lèrpc &: conlctre- re Greche, che diceuono epuat pio
N,la. quale Città (comclcriueLiuio)fufoIàmenre nobilitata dal
tempio d’Efculapiojlontanodaquellacinque miglia,douecon molte cerimonie
fu adorato come Dio. MON. Simulacro d'Efculapù
portato fa Roma. Moneta é i Epidauri Quelle
parole Greche attorpatop o taaepia- •NOS, r A A A I E NO X , O
TAAEPIA NOJ KAJXAPES.nOH dinotano altra co(à,fc nonchcVaIeriano
Imp.fccc bat- tere quella medaglia con l’effigie Tua &rde due Tuoi
figli- uoli Gallieno & Va!criano J & i tre tcpli nel rouelcio
con tali parole Greche, tpix neokopoi nikomhaeon: lignificano
chetrc guardiani de detti tcpli pregauono pcrlafanità &
falute(figurataperlafcrpe)dc fopradetti tre Impcradori. iTP I
C N t^KD k PvA-N Nel Vittri
di ThafiU. . io* Ncllhorto dcllachielàdi
S.BartoIomeo,che c ncll’l- fola nominata di (opra, fi vede anchora vna
nauicclladi pietra Thaflìa,chcè molto (limata per la varietà de
(uoi colori, nella qualcdavnlato fi vede (colpita vna ferpe, che
alcuni vogliono che fia delle reliquie del tempio già detto d’Efculapio :
&quafi Tempre nelle medaglie de gli Imperatori fi trouala ferpe con
la fanità,chc fiotto figura SANITA> d’ElcuI.tpiogli fa làcrificiorò
veramente la ticneabbrac- ciata, lignificando che da quello Dio dipendeua
la fani- tàfiola. Anton, pio. BRONZO. M. AVRELIO.
ARGEN TO. M. AC ILI A. ARGENTO.
ARGENTO. Sono no Medaglione din. Aurelio trouato
in JU ione. Pub. Vittore. Sono forfcfei mcfi,ch’eflcndomi
portato vna vecchia medaglia di M. AureIio,ft:ata crociata nc fondamenti
del la vecchia zecca di Lione, mi e parfo di farla ritrarre qui di
fottoalnaturalc,pcrfarc meglio intendere àgl’ama- tori del l'antichità in
che modo,fotro colore d’vna ferpe, gl’antichi fingeuonodi fare facrificio
iEfcuIapio per le manidiMinerua,con vna tazza in mano coperta d’vno
vliuo.&dinazi la Vcttoria,chc porta vn’altra tazza pie- na di
frutte. MEDAGLIONI. M. AVRELIO. COMMODO. Non fi
potendo lenza la finità fare bene alcuna cofa, pare che meritamente ella
debbia haucre luogo tra tanti altri Dijril tempio della qualefcome fcriué
Publio Victore)era nclvi.quartiere della Città di Roma, quantun- que
Domitiano le ne faccfTc edificare vn’altro piccolo, 1 doppo il pericolo
che egli haueua portato nella venuta di Vite Uioà Roma. DO.
Ili CASTITÀ. L’habitodi quella Dea con l’imagine Tua,
(colpita nelle medaglie di Giulia Pia, Donna di Scuero Impera-
tore, fu limile à quello d’vna Donna vedouaaflifafopra vna Tedia con lo
feettro in mano, & due colóbc appref- fo, lignificando che come la
colomba c bianca & pura, ^ fo/om _ coli la caftitàdcbbe edere fenza
macchiarla Donna da bt j imbolo bene fcmplicc&purafimilmentc.
dictjUu. gTvlia PIA. ARGENTO. DOMITIANO.
ARGENTO. Quelli, che hanno dichiarata la Caftità, dicono che
dtu cajli - ella c vna virtù, che cfccd’vn buon cuorc:& piu torto co-
fentc di patirc,chc fare atto lontano dall’honcrto &dal- l'honore.Et
le pure egli auicne che cllafia forzata, non per quello riccue alcun
torto, non fi potédo corrompe- re il cuore accompagnato da vna buona
indiamone & nutrimentoialla quale (come cofa fimilmente chara
& li ber P ret ' 0 ^ a )g^ an fi c ^*^ cttcr0 P cr cópagna la
Libcrtà,chia« T a. madola,comc l'altrc, Dea, amata & cerca da tutti i
begli ingegniionde ci non farebbe polfibile di fcriucre à
pieno lacontentczza di colui, che viuendo liberamente lenza
ambinone, fi contenta di quello checglihà, ncconofcc perfona che per Pallidità
de beni di quello mòdo (fotto- poftiaU‘inuidia& alla fortuna) gli
porta comandare, & farlo pervn poco di bene incorrere
ingrandirtìmima- li, quello che anchorapcr Euripide c ftato
dottamente Euripide. dichiarato,douc ci dice: 'Ham hberum
effe, maximum dico bonum: Quoti fi quii ejl pauper,puter fe
diuirem. Et Cicerone ne Tuoi Paradofli dichiarando la Libertà
fimilmente dille, che la vera libertà non era alerò chcpo Tempio di tere
viucrecomc l’huom volcua.il tépiodi quella Dea uberei. cra nc j m 5 tc
Aucntino, ornato di molte ftatue &r cotóne di bronzo, onde per
l’orazione che Cicerone fece à i Pó- tcfici per la fuacafa, fi conofcc
come Claudio l’haucua conlagrataalla Dea Libertàd’habito della
qualeerad’v- naDonnacon vna Itola, òvn velo addoflb,vn’haftain vna
mano, & nell altra vn capello, folitodarfi àiferui, che erano
liberati da i padroni, quantunque alcuni altri habbino detto che forte
vna campana.GAL. Chequcfìocappcllofairein legno della Libertà(fì co il
cappella me io ho più chiaramente inoltrato nella fine del mio li
bro dell’antichità di Roma)lì vede nelle medaglie battu rein honoredi
Brutto libcratoredella Patri a,& di Ccfa- quidi fotto al
naturale. CALIGVLA. BRONZO: GALBA. ~ TRAIANO. BRONZO-
ARGENTO. cnc delia libertà nalcc la felicità, io accompa-
FELICI gneròqucltacon quella^ inoltrerò cornei Romani L- TA ‘
fcciono vn tempio & vn’alcare,dcl quale fcriuendoPli- H
iM •. nio dice che la (latua della Dea Felicità,crafl:ata fatta da
rufits! ° Archcfilao Pla(les,& coftata à Luculloix.gran fcfter-
tij, (limando i Romani cflcre all'hora i tempi felici , & la vera
Felicità regnare per tutto, quando i loro Imperato- ri haucuono viuuto,ò
regnato lungamente:quando ha- ueuonogencratibci
figliuoli,&foggiagati, & vinti i lo- ro nimicijondclapaccpublica
regnaua: quando fi feo- priua qualche tradimento òcogiuratione contro all
lm perio,& quando egli era abbondanza di grano, ò le naui
cariche di quello, & d’altre mercanzie arriuauono al
portod'Oftiaàfaluamento. FAVSTIN A. BRONZO. BRONZO.
CARACALLA. TACITO. ARGENTO. ARGENTO. wj ANTON. PIO.
SEV.ERO. BRONZO. ARGENTO. Maqucllacla vera felicità quando la
Giuftitia regna in vn Reame, laqualefa che gl'imperatori, i Rc,& le
Re ^ia* 71 publichc durano Iungamente:ondegl’antichifoIeuono i Principi
dire che Giouc fenza la Giuftitia non farebbe potuto fta
reinciclo,nclaRepublicain piede pu re vn’h ora. E v la Giuftitia vna
perpetua & ferma volontà di fare ragione adogniuno, &viuédo
virtuofamente, non fare torto à perfona , rendendo àciafcuno quello che c
fuo. Della Giuftitia fono nate due leggi , l’vna publica , & priuata
Lfgg[ fUm l’altra. La publica c di por méte alla comunefalutc de-
blica&pri gli ftati,& la priuata è quella (come
anchoras’accordail uiU ‘ Iurifc5fuIto)de i particulari. Quella cóccrnc la
religio- ne, le colè fagrc,i Sacerdoti & iMagiftrati:& quella è
fon data fulla ragione naturale, ciuile,&: humana:della qua- le
fc piace al lettore di fapcrne piu oltre, legga Plutarco, v lutano.
doue,fcriucndo della dottrina de principi, moftra aflài: chiaramente
quantoprctioIa,fanta , Se ncccflariacofa è la Giuftitia :lacui forza è
tale, che ella regna in inferno (doue non èvirtùalcuna)quiuicflTendo cadi
gate le fcc- H » rr n:i
n* DELLA RELIGIONE leratczzc degli huomini fecondo i
meriti & grandezze loro.Quefla a Juque volcdo (colpire, ò
dipingercglan- tichija (aceuono con vna taflàin vna mano, che era
la gruatMgii r ‘ tta : & nella manca le dauono lo feettro , ponendola
à intubi u federe in vna Tedia nel modo, che l’hà figurata Hadria-
Giujìitia, no nc jj c f uc mC( J a gIi C- quelli che non hanno co-
gnitione delle cole antiche, l'hanno figurata nel modo, che fi vede
hoggi, cioè con la fpada & le bilancic,che fo - no propriamente le
infegne,con le quali foleua l’Equi- tà cflèrcdifcgnatadagl’antichi. TIBERIO. BRONZO.
BRONZO. I HADRI ANO- ALE X.M
A M M E A. ARGENTO. BRONZO. Che l’Equità folle dipinta nel
modòdettodi fopra,& E ^in luogo dilpadacon vn corno d’abbondanza, li vede
ta. per le medaglie di Gordiano & di Filippo, non altriméti che
fi folle in limile modo il fimulacro della Dea Mone rain quelle di
Collante ,& di Diocleciano,con lettere, che diccuono, sacra moneta
avgvstorvm et nontuf CAESARVM NOSTRORVM. fr< GORDIANO.
ARGENTO. FILIPPO. BRONZO.
«MITCJb MS COSTANTE. DI OC LETI A N O.
BRONZO. MED. D I T. ARGE N
Volendo t»TlmpcracoriRomani dare cimorc ài talli £!$Z ficittori
delle mon'ete,hlccuono in quelle (colpire le ima perfori f, inj
lorojconfidciando che non e cola che piu ìmpedll- ZX. ca
l'abbondanza de iviueciin vna -Città, quanto la mo- ‘ inugini nel nc
rafalfa,aftcncndofi gl'huomini forcOicn di portami u lormonc ^ j oro mcrc
hantic:chec pure vn peccato troppo cnor-
me,chcgrhuomlnifalfificatori(portando fi gran danno all’vniuerfale per
vno vtile particularcjcorrópino quek lo che
-irJP» DE GL’ ANTICHI ROMANI. u*
Io che l'ingiuria dei tempo, nela terra, ne il fuoco non hanno
potuto ne {apuro guaftare.Et di qui nacque chei rrimuin Romani crearono
tre huomini,da loro detti T riumuiri, * te mone- fopraie monete con
autorità di fare battere oro, argéto & bronzo, come fi vede per le
medaglie di Celare Dit- A VGVSTO BH.ONZO.
L'officio di Macftri delle monete era di
guardare,& fa reproua selle erano di buona lega, prima che farle
fta- pare,& poi ch'elle erano battute, selle erano di pefo :
on- d’io penfo che Aùgufto, volendo che quella buona vfim za fi
mantcneflc Tempre conia maelHdcirimperio Ro- mano, ^erò lafirinflè a i
Triumuiri delle monete quella autorità accompagnata dalla poflànzade
Tribuni, co- me fi vede perle medaglie battuteda M. Saluto Otonc,
CaioPlotio Ruffo, &diuerfi altri. UO della religione
AVGVSTO. ' BRONZO. BRONZO. Trouanfi anchora molte altre
medaglie lenza l'ima- ginc d’Augufto,per le quali fi conolcc quello edere
vc- ro,chc noi habbiamo fcritto qui di fopra,&maflìmc per
lcparole,chc accompagnate d’vna corona ciuica, dico- no, avgvstvs tri
bvnitja pot est a t e. & dal- l’altro lato , AERE, ARGENTO, AVRÒ
FLAVO FE- RVNTO. A V.GVST O. ~ BRONZO. BRONZO.
Pc l'cr i quali
tcftimonij chiaramente vergiamo che tale autorità di fare battere monete
, pcfarlc,& e {lami- narle, apparteneua anticamente à i Tribuni ,
& mafiì- tnc che tra le loro leggi fi trouano fcrittc cofi fatte pa-
hrggi (fr _ role, TRIBVNI SVNTO DOMI, PECVNIAM PVBLI-
ttnuirali. CAM CVSTODIVNTO, &! più baffo, AES, ARGENTVM,
AVRVMYE PVBLICE SIGNANTO. Erano tutti huomini da bene &
virtuofi quelli, à qua • li gl’imperatori concedcuono cofi fatto
Magiftrato, con pcrmifiìoncdi fare mettere nelle medaglie i
nomi> loro, per piùficurtà delle monetc,& perche il popolo
conofirefie quando &fotto quali huomini erano fiate battute.Pur
nondimeno mancò col tempo ( come fan- no tuttel'altrc^quefta buona
vfanza,& pallate le meda- gliedi Claudio & di Neronc, non fi
trouò neviddepiù l’Equità dipinta con la bilancia in
mano. BRONZO. NERONE. BRONZO. Soleuono tutti i buoni
Principi & Imperatori Ro- mani vifitando le Prouincic fuggette alloro
Imperio H 5 ua DELLA RELIGIONE fare lcrcparationi
per tutto doue erano neceflàrie,& fo- pra tutto liuiHtarc Je monete ,
& farne battere dcllc : nuouc per le Città principali in ogni
regione. Ciò che strabane, conferma Strabonc, quando ci dice, che i Principi
Ro- mani lèdono battere monete d’argento & d’oro nella Luigixm-
G*ttà di Lioneda quale cofa imitò Luigi mi. Impera- perutorc 4 . tore
& Principe virtuofo & bellicolb, amato da tutto il Rrdì ma mondo,
quantunque sfortunato fi trouafleneH’imprelà che ci fece in Vnghcria.
Somigliò molto quello buon Principe Hadriano Imperatore, con ciò lìa che
ei fece-* a#aiviaggi,&nominòlcterrc principali, che egli hauc-ì
ua rillaurateal fuo tempo nelle fue monetc.Et ficomei buoni Principi
Romani ficeuono fcolpirc le* infegne della Religione nelieloro
medaglie,colì quello religio- fó Imperatore mctteua nelle fue monete da
vn lato vn tempio con la figura d’vna Crocc,& parole che
diccuo- no, c hristi an a re Li ciò. & dall’altro , vna Croce
maggiore con qucllcaltrc parole > lvdovicvs impe- rator. MED. DI
LVIGI IMPERATORE 1 1 1 iT RE DI FRANCIA. ARGENTO. Non è
molto tempo éhc vn lauoratore di terranei vafo piena paefedi Lione, trouò
lauorado vnltio campo, vicino à vna tcrricciuola chiamata Anfa,vn gran
vafo di terra troultoa'p- pieno di medaglie d’argéto del detto
Imperatore, delle quali(haucdoncio vnaparte)mi e parfo non fuora'pro-
Uour ' polito di moftrarne qui di Lotto lcflempio al Lettore.
~ MONETA DI LVÌGÌ IlÌL 'Mone li 4 MONETA
DEL MEDESIMO. ARGENTO. tini A' ri.
c icerone. Volle quello magnanimo &
virtuolo Principe (coli valorofamencc operando, & facendo officio di
pio & catholico) moftrarcà i Tuoi fucceflòri in che modo fi
debbe imitare la virtù, honorare la memoria de gl'anti- chi, portare
riucréza alla R cligionc,tcmerc Dio, & ama re la Republica& la
Patria: Quello, che anchora ci ha infegnato Cicerone dicendo, nel fuo
libro della Natura Diffinitio i- degli Dei,chc leflcrc pio none altro che
la riucrenza w dì vut*. c | ie no | debbiamo hauercà Dio, à i noftri
maggiori, ài pitturi de parenti,à gl amici,& alla patria. Quella
virtù fu dipinta da Antonino Pio in habito di Matrona, ò dona
vedoua conia fua verte lunga, vnturibulo in mano, chiamalo da i
Latini ^cerrafic dinanzi vnaltarc cinto d’vn fefto- nccol fuoco accefo
pcrfacrificare. Antonino Wt -r.'- . JWjr .
' £ -pr • Xttrr 4. onci/ ANTONINO PIO.
HADRIANO. BRONZO. ARGENTO. diariamente nel libro della Cita
di Dio, dice chela vera pietà non è altrochel’adoratione d’vnfolo
Dio,creato- re del ciclo & della terra, ribattendo & dannando
l’op- pinioni de gl’antichi Romaniche cglihauclfino inRo- ma(comc
afferma Prudcntio)tanti templi &alcari,quah indenti*. ti penlàuono
edere Dij nella Naturaci che tutta volta fivcdechcnalceuada buona
intentione, facendo que- llo per religione : della quale cofa ci fan fede
le meda- glicdi Giulio Ccfare, di Pompeo, d’Augufto, di Vclpa- ln f
egntlìano, d’Hadriano, d’Antonino Pio, & di Màico Aure- l*
rtii&io- lio,pienc d’antichi inftrumenti di religione, come
d’vn cappello,d’vn lituo, d’vn prcfcriculo, d’vn fimpulo,d’vn
coIccllo,chiamatoiVr^//vr,di taze & validi molte fort£ dequah (come
cofa aliai nota) non bilognagià fare più lunga mcntione. j
GIV. ANTONINO PIO. M. AVRELIO. argento. Argento.
PtlUdioii Da l’atto pio di religione, venendo à quello che fi
Tnia. debbe vfareinuerfo i padri, noi ne faremo qui fede per
lemcdaghe di M.Herennio, che portò fuo padre Tulle fpalle,& per
quelle di Cefare,doue fi vede Enea, che fi- milmente portò Anchife nel
medcfimo modo, portan- doin manpil Palladio di Troiarondc
Vergiliolcrifle, ^At t>w ^ÀeneAs. M. HE- DE GL'ANTICHI
ROMANI. M. HERENNIO. GIVLIO CESARE. ARGENTO.
ARGENTO. Quello medefimo ateo pio pare che habbia
concefi. Co la Natura infino à gl’animali bruti, onde
veggiamo che la Cicogna fofticne & nutrifee il padre & la madre
vitti di u nella loro vecchiezza: Cofa da farebene arroflìre , & c,f0
£' w * vergognare gl’ingrati, che rendono male per bene ài loro
benefattori:& da fare adirare infino à Dio, al quale temendo anchora
di non difpiacere i Romani, fi vede vieti di che fumo amorcuoli &
grati fimilmente ne i proprij fi- «<« » nfa gliuoli,& maflìme
Antonino Pio,nel rouefeio d’vna medaglia, nel quale fi vede la Pietà con
due figliuoli in braccio, & due altri ài piedi:Et nelle medagliedi
Domi- na, & di Sabina moglie di Traiano fi vede anchora la
Pietà figurata in diuerfe maniere. Anton. AV ÌJÌ3K
fcl & * l»,° ì'r* iz* ANTON. PIO. M. AVRELIO.
BRONZO. DOMITI A. ARGENTO. ARGENTO. SABINA.
bronzo. .Tv DE
G’LANTICHI ROMANI. izp Per le medaglie battute di Titofigliuolo di
Vefpafia - no, fi vede la Pietà che mette inficine d’accordo i duo
fratelli Dominano & Tito, dandoli la mano l’vno ali ai tro,pcr
mofirare l’amore, il quale debbono duo fratelli portare I’vno
all’altro. TITO. BRONZO
ma. Vlinio. CLEMENZA. Era il tempio della Dea Pietà in
Roma, fatto da At- t mpio di tilio fulla piaza,douc era fiata la cala di
quella figliuo-la, che haueua già dato la poppa à Tuo padre in prigio-
nc,conIafua fiatuachcriprcfenraua latto piccolo vlà- to da lei, & col
quale(comcdice Plinio) non fi può fare comparatione alcuna.Et perche
dalla pietà nafee lami*. fericordia& la clcméza,hò giudicato. non
fuora di pròpofico accópagnare con qucfti eflcmpli la cella di Giulio
Celare(comc quello ched’humanicà&di clemenza pafiò tuttii Principi
del mondo) ftampatain vna meda- glia di Tiberio , aggiugnendoci vna
Temenza antica degna d’efierclcritta con lettere d’oro, fi come era in vn
BcUifiima marmo, che diccua ,nihil est qvod magis ftntmùu
I 1 DECI AT PRINCIPEM QVAM LIBERALITAS ET
ole menti a. Etnei vero, non è cofa nel mondo piu E retiofa & piùconueneuoleà
vn Principe che la liberata & la mifcricordia. TIBERIO.
BRONZO. VITELLIO. ARGENTO. Da quelli atti
pij inuerfo la rcligione, il padre, la madrc,i parenti & la Patria,proccdc
poi l’eternità de nomi di coloro, che fono fiati tali,fi come ci hanno
dimoftra- to i Romani per ifimulacri delle loro vcttoric, perle
fcftc & giuochi fccolari, penanti magnifichi & ricchi templi
&cdifitij, ne i quali faccuono fcolpirc f Eternità come vna Dea in
habito di matrona, con vn’hafta nella man dritta,& nell’altra vn
Corno d'abbondanza, & il pie manco (opravnglobo.Alcuni altri l’hanno
figura- ta con due teAe in mano, fi come fi vede in vna meda-
aliad'Hadriano, ° Tito TITO VESPA. FAVST1NA.
rii. Et Filippo Imperatore riprcfentò l’eternità ne i fuot
giuochi Secolari fopra vno elefante^ quale fignificaua vna longa &
cjuafi eterna vita. I Romani la difpinfero con duo elefanti, & alcune
volte conduolioni cnetira- uono il cirro de glImperatorc> o
Imperatrice eh crano> fiati deificati. W
I x TER- RA. Gl' titubi
ftcnficaut noi la ter- T4. : TJt
GfVLIA PIA. FILIPPO. E certo,cofa molco difficile (confìderato il
numero fìgrandedcgli Dij antichi) di potere crollare Je meda- glie
àpropofito di cutrùpurc fermando la mia imprefa, io m ingegnerò di
ripreientarci tutte quelle, nelle quali furono figurati gli Dij.ò Dee à
modo loro, che portor- noqunlche vrilcalIJuimana natura, come la terra,
alla qualcfc ono vn tempio, & in luogo che a' glabri Dcifà-
crificauono con l’inccnfo J & altri buoni odori, à quella fàceuono
fàcrificio de femi, eccetto che delle faue, & al- tre colè aromatiche
: là onde per la medaglia che fece ftamjxtrcCómodo in honorc della
tcrra,fi vede che ei la fece a giacere in terra mezza ignuda , come cola
ftabilc con vn braccioappoggiato (opra vn vafo,dcl quale efee vna
vite,&con Tauro ripofà fopra vn globo celefte, in- torno al quale
fono un. piccole figure che le prefenra- ' no TvnadclTvuc, l’altra delle
fpighccon vna corona di fiori, l altra vn vaio pieno di liquore,*:
l’vltimac la Vct- toriaconvnramodi palma & lettere che dicono, te
l- tvs stabilts, lignificando che tutte quelle cofechc la tetra
produce/onoper lavitadelThuomo. MEDAGLIONE CO M
MODO. Perhaucre affai lungamente trattato delle feite Ce- C
e r e* reali nel mio libro dell’Antichità di Roma, io non nc RE *
parlerò qui altrimente, contentandomi folamétc di met tcrc innanzi il
rouefeio della medaglia di C. Mcmmio c nummi» Edile Curulc, nella quale
fi vede Cerere che hà in vna ^naltQt mano tre fpighe,& nell'altra vn
torchio accefo, &il pie rc»u. manco fopra vna ferpe, con parole che
dicono , mem- I 3 MIVS. AEDILI5 C £ R. £ A L I A PR.IMVS F E C I
.tJ Ma per altre medaglie tanto diVoltcio,chedi Panfa, fi
vede femprc Cerere con due torchi nel fuo carro, tirato da due lerpi.Etin
due altre medaglie fi trouacon la ve- de alzata, con due torchi, & à
i piedi la manica di Tara- ti porto co tro,& nell’ altra ilporco,òla
porca, che gli antichi le fo- enrere. * Ictiono racrificare,pcrchcguada
le biade: onde Ouidio haferitro, Prima Ceres grauid*
gauifaejì fanguine porca, i Ulra fuas merita cade nocentu
opes. debutiti ^ comc cra p cr mcdh d’ammazare il porco, coli
era fcfo fra li proibito d’immolarei buoi nellàcrificio di Cerere,
per- Roawni. chelauorano Se non guadano i beni della terra, onde
ouidio. Ouidio xiel 1 1 1 1. de Fadi fende anchora, kA bone fuccintti
cultros remouete minijìri: %os aree, ignauamfacrijì care
fuem. lAptd mgo cern ix non efl ferienda fecuri:
ZJiuaCi&J in dura fape laboret humo. * « Ve.
ME MED. h Óf>ì » »
ùueihi Cerere e la Pace, con ciò lìache la guerra porga
impedimento al lauoratore di coltiuare&lcminare i campi, eflendo
conrtretto di fug- girli &faluarc dentro ài bofchj.,0 fu per i monti
i Tuoi beftiami. Quello che Umilmente ha bene fcrittoOui- dio nel u
n. deludi Farti, doucei dice, Pace Cerei Uta \os orate coloni
. ‘Perpetuam pacem,pacifì cum <jue Z)eum. EtTibullo quel
medelìmo nella x.Elegia> Intere a pax ama coldt,pax candida
p) Z)uxit aratura fub tuga curila boues. Et poco piu
difetto, ‘Pace bidens fornir yue Vigent-jit trijtta
Stillini in tenebra occupat arma Jìtics. Quando gl’antichi
dipingcuono la Pace col Cadu- ceo, vi aggiugneuonolcfpighcdigranojil
corno d’ab- bondanza, lignificando che la Pace era quella,chcf ce-
lia multiplicarc il grano & le frutte per la vitadcU'hua-
i , - \ I 4 uloitioJ -
PACE. L4 guerra contraria à Cerere. Ouùlio»
’i h t%J*v Tibullo» BACCO. Il
buco fi reificato, Bieco. mojondc il raedelìmo Tibullo
nella x.Elegiaparimen- tc dille, irnobispax alma
y>eni,Jj>icdmejue tenero, ‘P erfluat pomis candidai ante [mot.
OTTO. ARGENTO. VESPASIANO. ARGENTO. Et lì
come Cerere haueua la corona di ipighe per in- fegna,& per vittima la
T roia,colì al atdrc Libero, altri- mente detto Bacco, lì ponetiaintcfta
Ta corona d’Ellcra, & il becco à i piedini quale gl era
£acrificato,perchc gua- ita le vignc,ondc Virgilio dille,
Saccho caper omnibus ari* Caditur. Et nel
rouclcio della medaglia di Molò lì vede vn faccrdote col Tuo habito
innanzi à vn’alrarc riucllito d’vn fellone, che con vna mano tiene il
Jituo,&: con l’al- tra il lìmpulo con vn becco innanzi,tcnutoda
vnmini- llro per lacrificarlo.Etio tra l’altrc mie cofc ho longua-
menteferbato vna Corniola antica, nella quale c vn Sa- tiro , che conduce
vn becco fuiralrarc,doue e il fuoco aCccfo per lacrifìcarlo allo Dio
Bacco. Corniola «57 CORNIOLA
ANTICA. f 'Wm. ir ■ Ma perche
di Bacco in diuerfe manicre,come farebbe à dire, in for- e «to'. ma
d'vn fanciullo che abbraccia vn grappolo d’vue,& vn'altra volracome
vngiouane co vn ramo di Pino, nel modo che fi potrà vedere nel libro, che
io ho comporto in Latino delle Imagini de gli Dei antichi:però mi e
par fo di ripreientare qui al naturale il piccolo Bacco di
bronzo,chc ioguardo(comc cofa fi ngu la re & arti fitio* f
à)tra le mie ftatuc & medaglie antiche. l'iCLOLO MMOLACRO DI
BACCO. d’antichi lo leuono dipingercilfimulacrò .
Ciltuv. il V Vogliono
gl’ancichiffigurado Bacco in quello modo) lignificare che vn'huomo troppo
fuggetto al vino,diué- ta limile à vnfanciuIlo,chcnon fa quello clic
fifa. Tro- uomi anchora due Niccoli antichi, i quali riprefentano
quello Bacco ignudo con vnbaftoncin manometto da i Latini Tyrfo,&
nell'altra vn grappolo d’vuc,& intorno kMcIto' a ^ r,lcc *° vni P e ^
c di Tigre, animale particularmentc Bièco. 0 4 confacraro à Bacco.Et
quanto alle Baccanti , ò Bacchi- dc,o Mimalonidcschc cclcbrauono la fella
di Bacco, io ^ ne metterò qui fotto l’eflcmpio d’vna medaglia
Greca, & M , chegiàmi donò M.Giulio di Calcftan da Parma
,gran- - • • diflimo amatore delle cole antiche idoue da vn laro c
Bacco incoronato d HeIIera,& lettere Greche, chedico- nó avì un, cioè
libcro,& dall’altro fono le Baccanti,chc ballano, facendo vn prclcntc
à Dionifio (chccofi ancho ra era chiamato Bacco)con vn fuoco, in fegno di
facrifì- cio , & lettere che dicono aiowvio acpds. che vuol
dire, Donod Dionifio. • ••••’. .• • » i ,* * *" ,
NICCOLI ANTICHI. Medaglia . m
MEDAGLIA GRECA. ARGENTO. Et per glabri
due medaglioni di Bacco porti qui di fiotto, dequali vno e di Nerone, &
l’alerò d’Antonino Pio, fi vedrano lefefte Baccanali, &vn Bacco nel
Tuo car buccmmIì. rotiraroda d ue Pantere (animali dedicati à lui)
accom- pagnato de Tuoi Satiri con tutto il Tuo mifterio : &
qual- che volta per due tigri, comcdice Propcrtio , parlando
d'Ariadna rapita da Bacco, Lynciius in c*lnm \c&d \ArUdna.
tu'u. Et per le medaglie di Filippo &di Gallieno fi vede
anchora il tigre, il qual ripreienta Bacco, con lettere che dicono
, LI BERO PATRI CONSERVATORI A VQV- - sti, rimettendo il lettorcal
mio primo libro dell’Antichità di Roma, doucpiù lungamente io hòdifeorfo di a
J querti Baccanali.»V, ME 1 ’»t 4 - k V
km LIBERALITÀ. XAuitdeU Oberatiti.
FILIPPO MEDAGLIONI. NERO. ANTONINO PIO. Si
come daCcrerc]& Bacco nalce l’abbondanza d’o- gni cofa,cofi
dall’abbondanza dipende la liberalità, Dea delidcrata & cara acuito
il mondo , la quale tira à le il cuore dcH'huomo.comc la Calamita il
ferro, tanto che lìnoà quelli che habitano nelle eftreme parti del
mon- do per la loro liberalità ne vengono lodati, anchora che non
lì fpcri cofa alcunadaloro:!! come vituperati &in poca Rima fono
quelli , che fono tutti lepolti nella loro GALLIENO.
BRONZO auaritia.Là onde fé noi porremo ben mente allo
fplcn- Liberalità dorè della liberalitàdi Celare, d’Augulto, di Tito, di
Vef pafiano,di Traiano,&d’Alcflandro di Mammca, trouer
rcmoch’ei dura infino a hoggi, ne hard forza il tepo che fi fponga mai :
della quale cola fé alcuno dubicalfc, va- da à leggere Tranquillo, &
vedrà come Auguftohauc- sartorio ua per vfanzadi diltribuirc fpefl'o al
popufo Romano vnagrandiffimafommadidan«iri,dai Latini chiamata
Congiarium , da Tofeanila mancia, & dai Franccfi larghe zarlc quali
quando fi dauonoà i foldati, fi chiamauono Donatiuojcomc fi vede in più
luoghi nel libro di Taci to,douc parlando di Cefarcgiouanedice,0»^/Wr///»7^.
pulo,Z)onariuHm mtlitibus iedit.'Hc mai mancòquefio li- beralifiimo
Principe nel Tuo Imperio, che palio cin- quanta anni, di donare quella
mancia, dilhibuendot.il volta xxx. piccoli feftcrtij per huomo , altre
volte x l. & altre volte, e CL.comediceSuetonio , tantoché
non crafanciullo(purccheci pallafic xi i. anni) che non ha- ueffe
qualche colarla quale vlanza fu conferuata da tut- ti glabri Imperatori
buoni &cattiui,chc voleuonoha- licre lagratia del populo Romano ,come
fi inoltrano le Medaglie di Commodo, di Ncronc.di Tito, di Traia-
no, d’Hadriano,d’ Antonino Pio,di M. Aurelio, &: dimoi ti altri, i
quali tutti farebbono tropo lunghi à raccon- Congiario
. Liberalità di Augufto Ce fare.
tare. TI IV
t/i liberatiti di il. Aure Ito . Pittiti*
de U Liberati ti. TITO. TRAIANO.
BRONZO. RRONZO. La maggioredillributioncnon Ci faccua
croppafpcf- fò,mala minore fi benc,comchà {cricco Succoniordalla
quale liberalità cofi vfacainuerfoilpopolo,nafceua che Ipefio finoà i
cacciui Imperacori erano màtenuti in ilia- co &difefi da lui,& da
foldaci nella pacc,& doppo hauc rcccrminaca qualche pericolofa &
difficileimprefa, nel quale ccmpoquafiordinariamcnccdauono quello
con- ciario, & faceuono quello donaciuo. Onde era le mie
medaglie io in ho vna di M. Aurclio,doucfi vede che egli baucua vlaca
quella liberalità già fecce voice, figurando nelrouefcio di detea
medaglia la Liberalicà,vellita d vna velia funga,. come falere Dee >
con lettere che dicono, liberalitas avgvsti s epti m a. nel modo
che anchora fi vede nelle medaglie di Gordiano minore, & Tacito
Imperatore con altre limili parole, cioè, li b e- RALITAS AVGVSTI T
ERTI A ET QVARTA, CÌÒ che anchora fccionoin vna altra maniera
Filippo il pa- dre & figliuolo, come fi vede per le lor medaglie
pólle qui appreflo. M.Au DE
GL’ANTIC HI ROMANI. *43 M. AVRELIO.
GORDIANO. BRONZO. BRONZO. tt nella medaglia a
Adriano &: d’ Alcflandro Seuero Liberatiti fi veggono ìin.figurc,
onde la maggiore è quella dell’- dl 0 Had J]ff Im pcratoreà federe
fopravna Tedia, con vnruotolodi [miro. * carta in vnamano,& con
l'altra moftra di donare qual- che cofaà vno,chc fi prefenta innanzi
àlui:la qualità & Comma della quale,parc che fia figurata per i
punti, che fi veggono notati nel rialto doue ci tiene i piedi,! quali
fa cilmente potrebbono cflère il numero de feftcrtij:& l’al-
tro FILIPPO PADRE. FILIP. FIGLIVOLO.
i44 DELLA RELIGIONE trochemoftradilalire, e colui che
riceuc il donatiuo conlimaginc ritta della Liberalità da vn lato, che
tiene vn Dado in mano con limili parole, liberalità* a ve v s
t i ; \ Dentizio- ne di
nobili tì. HADRI ANO. BRONZO.
ALESS. SEVERO. BRONZO. Ugge de
Macedoni/- Ugge delle Amazzoni, crdrglt Sey
ti. Il Dado, portato dalla Liberalità, è tanto conofciu-
to,che io non ne parlerò piu oltrc,dcliderofo di moftra- re che la
liberalità nafee da nobilità di cuore: la quale co là fola ha cauGito che
i nobili virtuofi fono (lati hono- rati comegiufo, onde c
vfcitalapoflanza reale,& tutti gli altri principati, che mediante la
Giu fona & l’Equità hanno mantenuti i loro fuggetti 3 6r quelli
difelì dai loro nimici.Di qui nafee che tutti coloro , che afpirano
alla lode & alia gloria, li danno volentieri all'eflcrcitio
della guerra, per eflèrc tanto priuilegiati:ondeiMacedonijfo leuono
condannare colui àportarcvna corda in luogo di cinturaci quale no hauefle
fatto qualchccola hono- rcuolc alla guerra. Alle Amazzoni non era permclTo
maritarli , fe prima non haueuono fuperato vn loro nimico.
i 45 nimico. EttragliScyti non era lecito a perfona
toccare la tazza òvafovfato nei facrificij, che non hauc/Tc alla
guerra meritato qualche honorc. Di tutte quelle cofc fanno fedele
hiftorieRomanc,douefi leggono le qua- lità de premi) che fi dauonoà
coloniche haueuono fat- toqualchc fcruitio alla Rcpubl.come erano le
corone c " 0 "' ciuichc,Ie trionfali,Ic murali, & le
nauali,infieme con ti- KomLi. toli,cpiteti Sellarne, che fàccuono fede
della virtù loro: onde non c da marauigliarfi,fe Roma venne in coli
fat- ta grandezza, poi che di grado ingrado dTaltaua & ho^
norauai Tuoi foldati, fino alla dignità dell’Imperio,& il Confido ò
Imperatore riftoraua il buon foldaco con ca- tene d’oro,maniglie, corone,
& ricchi fornimenti dica- ualli,fi come moltra vn’Epitaffio che fi
vede in Turino, inoltratomi già dal Symeonc,il cui tenore è quello,
C. G A V IO L. F. STEL. SILVANO PRIMIPILARI LEG. Vili.
A VG. TRIBVNO COHOR. II. VIGILVM TRI B V NO COH. XIII.
VRBAN. TRIBVNO COH. XII. PRAE TOR. DONIS DONATO A DIVO
CLAVD. BELLO BRITANNICO TORQVIBVS ARM1LLIS PHALERIS
CORONA AVREA PATRONO COLON. D D Et fi come dei
buoni Temi nalcono anchora i buoni frutti, cofidegli huomini virtuofinafconoinobili,
purc che fianoeflercitati nelle lettere cneH'armi:lequali quado fono
accompagnate infieme, fanno che la nobilità fia K Cicerone. Dichiaratione
delti nobiliti. Tlinio. Cornelio
Nipote. Tullio. luuenale.
Annotile. perfetta & duri
fiempiternamentc. Stimauafi amicameli te la nobilita che nafceua dalla
gcncrofità del fanguc,di- fcgnata da Cicerone nelle fue Topiche à qucflo
modo, C tntile s fune, qui inter fe todem nomine funr, quia! ingenui
s oriundi funr quorum maiorum nemo feruitutem feruiuit,qui capire
non funr diminuti. La quale definitionc dice Tul- lio edere nata
daSccuolaPontefice,&io l’hò intcrpreca- ra in quello modo, Nobili
fono coloro che ha no vn me • defimo nome, che nafeono di padri &
madri liberi, glan tichide quali non hanno mai fcruiro,nccambiato di
(la to,conciò fia che la mtitatione faccia perdere la nobili- ta
& la gctilczza , la quale gl'antichi riprefentauono per
leimaginijdaloro portate nelle pompe funeralide loro maggiori, come
recita Plinio nel xx x ix.librodeUHiflo' ria naturale , Se Cornelio
Nipote nel libro de gli Huomi ni illuflri.il quale parlando di Portio
Catone òìcc, Ima- go buius funeri* grati* producifolet. Della quale
oppenione canchora M.Tullio, Se gl’antichi chiamorno tali ima- gi
ni Stemmata, come fi vede in lu uenale, quando beffan doli di tale
nobilita fienza l’operc nobili, dice. Stemmata quid ' fucilanti
quid prodejl Pontice longo Sanguine cenferifè) pt&os o fendere vultas
Jrfaiorum?& fante s in curri! us ^AemilUnosI Ariflotilc nondimeno
nclv.libro della Politica dicc,che nobili fono coloro, i preccfTori de
quali fono flati, ò ric- chi,ò virtuofi:effcndolc ricchezze neceffarie
per foccor rere la Rcpnblica,&vfiarelalibcra!ità, la quale fenza
la ricchezza non può flare.Etfc qualcuno domadafleche differenza c
tra la nobilita d’AriflotileSr di Sceuola, tifi- pondo, che Ariflótile
domanda la ricchezza, &Sceu ola non:
nonrattclochc la nobilita può viucrccon la pouertà: benché col
tempo poi(volendofì palcerc di quello fumo di direche fono nobili) fi
muoiam di fame : onde nafee che gli antichi faui hanno Icritto che la
vera nobilita condite nella virtù,comc quella, alla quale non può
mai mancarc:& quello è quello di che ragiona luucnale, di- cendo:
Tota licet Veteres exornent indizile cera tria:nohiliras fola
efyOtque Vmca v ireos. Conciò lìachcl’huomovitiofocheprcdicalafua
nobi- lita, mediante i fattidefuoi antccclTori,condannafeme-
delìmo,non fendo egli virtuofo,& lì può dire di lui quel locherifpofe
Anacarfeà vn’altro che lo chiamaua bar- Rìjpofta baro,& nato nella
Scytia,chc fu tale, la mia patria ****&& COME BARBARA MI
ARRECCA QVALCHE 1 N- f AMIA, MA TV FAI D 1 S H O N OR E ALEA T V A
che e' tanto nobile et c e nti l e. Circa che bifogna conchiudere
che la vera nobilita c quella, g* che procede dalla virtù propria, nel
modo cheproua Boetionelm. libro di Confolatione,doucei dice,^?#^
Jì quid ejl in nobilitate bonumjd arhitror effe folum,vr impo- rta
noi? dii us necefuudo vide a tur, ne a maiorum V ir tute dege- nerent. il
quale propofito feguita dicendo, TJmu enim rerum pater ejl,
XJnus cuntta mmiBrat-. J Ile dedir Tinello radiati
Dediti cornua Luna: 1 He h ornine s & ferri*
Omne liumanumgenus m terris Similifurgit ah or tu. K i
i 4 » Dedit fè) fiderà Calo: Hic claufit membri!
animo s Celfafedepetitos. Mortale! igitur cunBos Edit
nobile germen. Quid gentts féj proauos Jlrepifù ? Si
primordia 'vejlra ^yiutorénujue Deum fieftes, Nullus degener
exrat , Ni 'finn peiora fouens ‘Propriumdeferat ortum.
Parmi d’aucrtirc qui il lettore della differenza eh ed tra nobile &
generoforcon ciò fia che A riftotilc nel prin- cipio dell’Hiltoria degli
animali,fcriue che nobile è quel ladifftren lo che c nato di buona razza,
& colui gencrofo che non ** traligna dalla fua razzala buona , ò
cattiua , allegando fccrii gt l'eflcmpiodcl lupo& dcllione. Il
lupo (dice egli) farà ne ^[ 0 '. chiamato generofo, ma ignobile.Gcnerofo,
perche non deihpò ©• digcncra dalla fua cattiua razza:&
ignobile perche egli e ieliiooe. nato di cattiuo feme.Ma il Itone lì può
dire nobile & gc- nerofo inficme.Nobilc,perchcè vfeito di buonfeme,
& gencrofo, perche non digcncra dal fuo femeronde nafee che fi
comclc virtù dell’animo meritano d’eflcrc lodate con parole, l’opere
virtuofe richieggono d’cficrc hono- ratecon i fatti.Cocludédo chcegli è
impoffibile che vn principe, fia gràde quato vuole, poffa nobilitare
vn’huo- mo che vuole edere villano : laqualc nobilita ci ha aliai
bene dichiarata in vna fua medaglia Antonino Gcta, figliuolo di
Seuerojhaucndo fatta dipingere la nobilita inhabitod’vnaDonnada
benc,conlofcetrro nella mano dirirra. & nellamanca il fimulacro di Mincrua
, per inoltrare chelarmc& lelcccerefonoduccofe ccccllcn-
'ti/dallcquali debbe Tempre eflcrc l'huomo nobile ac- compagnato.
GETA O natura tegli huo.miiu
e la no - genio» pinta conieruata&.crc(ciuta, però non fàràimpertintn-
tetrattarc anchqra qualche colà dello Dio di Natura, G°iró d io chiamato
dagl antichi Genio, & il quale ftimaronopa- dredegli huomini,&
figliuolo diDiorpenfandoncllalo ro rèligiòncehc ciafcuno haueffe
particolarmente vn ge nÌGk& vno intelletto diuerfo Se propriojcomc lì
vede per la medaglia di Nerone, nella quale òlcritto, genio a v-
cvsTijin quelle d’AntoninoPio, genio senatvs, in quelle di Collantino,
genio pop vii rom ani^ in quelledi Claudio, genio exerci t v
vMrfigù- randolo mezzo vcllito& mezzo ignudo, con vno altare
^io. innanzi A: yiì fuocojvna tazza nella manodiritta, & nel- ,• - ;;
» j l’altra vn Corno d’abbondanza, nel modo che Thà dipia to A m rhi ano
Marcelli no nel xxv. libro che egli ha fatta 'di Giuliano
Imperatore.. " K •n ANT.
PIO, BRONZO. NERONE BRONZO.
COSTANTINO CLAVDIO Scriuc Ccnforinoncl
libro da lui fatto De die nautiche (ubico che noi nasciamo, noi fiamo
accompagnati da vngcnio, chcciconducc,guarda & non mai ci
abbati donna. Altri hanno detto, & maflìme Fiacco nel lib.chc
lares. cilafeiò à Ccfarc de lniigitdmtntìi>che Lare & Genio era b
KtUde. no vnamedefima cofa.Et Euclide vuole che ogni huo- mohabbia due
Lari, cioè l’vn buono & l’altro catriuo, chiamado il buono
Larc,&: il cattiuo Lemure, come noi hoggi anchora diciamo buono
Angelo & cattiuo;à pro- { jofito dei quali Icriuc Plutarcbo
nella vita di Bruto } chc a notte mentre che ci penfaua con vna lucerna
accerti alle facccdc della guerra jgl’apjjarfc vno fpirito in for-
ma d’vna perfona tragica, & più grado che il naturateci quale fubito
domandò Bruto (comehuomo intrepido che egli era)chi egli folle , ò quello
che ci cercaflc , & che quello rilpofc,Io folio il tuocattiuo Genio,
il quale tu ve drai à Filippo:di che non punto fpauctatoBrutogli
dif- fe,Adunqucti vcdròioinquelluogoul che auennepot innanzi eh’
eimoriflc:& di quella mcdelima oppcnione fono flati & fonoi
noftriTcologi, cioè che noi flamo Tempre accompagnati (cornee detto) da
vno Angelo buono, che ci guida al bcne,& da vn cattiuo, che ci mena
al male.Platone parlando di Socrate loleuadire,chein lui era vno fpirito,
ò Genio particularc & diucrlo da glaltri-Nel tempo de Romani non era
lccito(comelcri uc il Iurifconfulto fotto il titolo T)e \ erborarti
oUigationi- bus) di giurare per i Lari, ne per il Genio del Principe, ri-
putando qucfto giuramento grandiflìmo, però chefàcc- dolo& fapendofl,
erano puniti graueméte, laonde rom peuonograntichi più torto il
giuramento fitto fotto il nome d’ogni loro Iddio, che Torto il Genio del
Principe lorojlìcomehàmoftro Tertulliano nella Apologia da lui
fatta contro à i Gentili, &Ouidio parlando della cu- ra che hanno di
noi i noftri Genij,quando ci dice: Et vigiUntnoJìnt frmper in \rbt
Ldres. Da quelli Lari fuchiamato Larario quel luogo à par- te
&fcgreto nelle cafe,doue gl’antichi adorauonoiloro K 4
>5* Lare c r L( mure- Buoni c
r canini fal- liti. Genio appi rato 4
Bruto. P Ul* Difefo di giurar per il genio
de t'imperato, re trai Ro- mani.
Tertullia-no. Gnidio, f$i, Xf
tjfmdro Dij domcftici & particulari,il che hà confermato Spar-
baHfMin tiano, quando nella vita d’AlelIandro figliuolo di Mam- fui
Urtino mea, dice che egli haucua nel luo Larario l’imagine di GUfuchrf-
Giefu Chrifto con quelle d’altri Dij.Ne è molto tempo fio. che in Lione
fui monte della croce di Colle fu trouara vna Lucerna ant cadi
bronzo che mi fu donata , nella quale erano fcrittc coli fatte pa rolc, l
a ri b v s sacrvm . 1 con altre più baflc,^ più piccole, che
lignificandola pu blica felicità de Romani, dicono, p ve lic /e
telici* tati ro m a n or v M,nel modo che lì vede qui di fottoi
' ~LV CE jTiTJl JL KT1 ' di H ronzo , trovata in Lione
Canno LARI B V S SACRVM P. F.
ROMAN. Stima 5 r 153 Stimarono
gl’antichichei Lari follerò figliuoli della iUri pgiil Luna & di
Mercurio, come fi vedeindiuerfi Autori , la «oli di uh quale oppenione mi
porge materia di parlare di Mer- curio lecondo la Teologia de gl’antichi
, che volcuonò mercv- che la ftella di quello Pianeta facelle gli huomini
elo- R 1 °* ìquenti &grAmbalciatori,maflìmamente quando egl( stella
dì èra congiunto col Sole & con Gioue,comeper contra- rio
volcuonoche ci folle dannofo cficndo accompagna to da Martc,ò da Saturno
Et lacaufa perdici Poeti nan ilo attribuito à Mercurio Ambalciator de gli
Dei il ca- duceo, il cappello chiamato Galero da Latini, &
laiicaf capo & ài piedi, è, pcrchevolcuono lignificar, che
fico- me vn’vcccllo vola leggiermcntepcr l’aria, coli la paro-
Jafàcilmcnte efee della bocca d’vn’huomo eloquente. I Greci lo
chiamornoe PMH2,cioé interprete , ò Tur- uermet. cimanno,&Dio della
Mercatura, perche le parole fo- no quelle che fono mezzane d fare
comperare, ò vende- menadi»- revnacofa. *'• a 7 r N T
O. coprilo di Plauto nondimcmo & glabri Icmtori più antichi
Mercurio hanno chiamato il cappello Pccafo, come fi vede perle ntafo.
Icntture di piu marmi antichi che dicono, cvm m e r- cvrio
petasato, volendo lignificare cheli co- me il cappello cuoprclatcfta,cofi
le parole fcruono per coprirli & giuflificarlì contro alle falfc
calunnie degli huomini maligni & inuidiolì. Altri hanno detto,
che quello cappello lignificauache vn buono Ambafciado- redoueua
goucrnarli nelle fuc faccédc fegrctamente:& il Caduceo che Mercurio
ha in mano,Ia pace che il piu delle volte lì tratta per mezzo d hu omini
eloquenti, co- me lì vede in diuerle medaglie de glantichi.
VESPASlANO. FOSTVMO. ARGENTO. BRONZO. ylìnio Della
lignificatione delle dueferpi intornoai Cadu- ceo ha Icritto
Plinioallài diftefamentc,& però io (come cofa fu peritinola)
rimetterò il lettore à quella lezione: & pcrfaperncla
fauoIa,àHiginio, il qualenel Tuo libro t adirò in Agronomico ha
fatto il medelìmo, confermando che f'gnadip*- J Caduceo fu concedo à
Mercurio in légno della pace: " la i 5f la quale
volendo dipingere gl’imperatori nelle loro monete, &moArarecncei
n’erano flati autori, faceuono battere nelle monete la Dea di Felicità,
con vn Caduceo peuci- invnamano,&neira!travncornod’abbondanza,figni-
T A ficandochc nella pace publica non fi (ènte careflia. GALBA.
TITO. BRONZO. BRON ZO. Ne i Comenrari j di Celare fi troua
fcritto che i Fran- ccfi adorornoMercurio/rome inucncore di tutte
Farti, & guida de camini , (limando che egli hauefle gran pof-
fanza per fare ricchi i mercanti, ciò chcconferma Plinio nclxxxnii. libro
dellHiftoria naturale, parlando de coloflì&ftatue antiche, &
doueei dice, che Scnodoro haueuanel Tuo tempo Superato in grandezza di
fiatue tutti glabri fculcori,haucndo inx.anni fatto in Auuer- nia
quella di Mercurio d'altezza di c c c c. piedi.Solc
uonooltreàqucflograntichi attribuire il galloà Mcrcù rio,figni beando che
i mercanti debbono edere vigilati ti&folliciti lamattinaàbuon’hora,
volendo arricchire &farc bene le faccende loro. Tra le mie pietre antiche,
io ho Mercurio dorato da franctjì.
Plinio. Scnodoro fcultor ec-
ctUauifii. mo. Statua di Mercurio fatta in
AuMernia. ij<r io
Ho vn Niccolo &dùe Corniole, ncllequalrfono le fi- gure di Mercurio.
Nel Niccolo fi vede con vna boria in mano,& nell’altra il caduceo. Et
nella Corniolaàfc- dcre fopravn granchio marino: con il caduceo in
vna mano, & con l’altra tiene l'vno de piedi del granchio; col
cappello in tefta.Per Mercurio c fignificata la paro Ja,& per il
granchio, che i mercanti non fi debbono af- frettare nelle parole, ne
(penderci loro danari fenzacon fidcratione. I fi
s / * < /.r V
i > 7 Sono (lati alcuni altroché hanno detto che
l’eloquen zà fu attribuita à Mcrcurio,pcrelfere (lato ii primo che
haueua ordinate & meflè le parole inficine per ifprime- fei concetti
della mente, deformare vna bella oratione, ncceflaria à gl'Auocati &
Procuratori , & pero dille Vi- truuiocheil fuo tempio lì doueua
edificare preflò alle piazze. Grande fu certamente la
curiofità & fupcrlìitionc de gl’antichijvolendoche Gioue finalmente
fignificaflè il ciclo, &Giunone l’aria, per cflerecofi vicino
l’vnoallal- tro:Nettuno il mare:&Plutonela terra, 8c che la mo-
gi ie di Netruno folle Salaria, & quella di Plutone Profcr- 1
>ina,fi come Giunone di Gioue, alla quale attribuirno a cura delle
Donne grollèjinuocandola in quel tempo cheell’crano vicine à partorire ,
& poi che il figliuolo era nato (come Diodoro afferma) lalciandone la
cura à Dinna,ncl modo che fi può vedere per l'hynno fatto da
Callimaco in honore della Dea. Et quando le Donne Romane che non
potcuonoingrauidare,voleuono ha- uere figliuoli,cllc andauono al tempiodi
Giunone,chia mata Luci na,douc llaua vn facerdotc detto Lupcrcalc,
che fattole fpogliare tutte ignude & dillcndcre in terra, le
pcrcoteuacon vna sferza fitta di cuoio di becco,co- me fi vede per le
medaglie di Lucilla : ne i rouefei delle quali fi vede Giunone à federe
in habito didonna ve- douacol fuo lecttroinmano come Rcina,& nellaltra vna
sferza & lettere che dicono, ivnoni
lvcinae. Lucilla Menurio Dio
d’rioquenza. Vitruuio. GIVNONE. Giunone *
- iutrice de le dine gr 4 uide. Diuotione
de le donne Romane 4 Giunone Lucina»
*J« DELLA RELIGIONE L VC I L L A~
BRONZO. BRONZO. cerimonie Quando quelli facerdoti Lupercali
corrcuono per dt faccrdo- mezzo le llradc, erano tutti ignudi,eccctto le
parti vcr- t« Lupcrca- g 0 g no f ejC h c erano coperte di pelli di
beccbi,llati faenfi cati fu l'altare di Giunonc.Et delle coreggie che
haueua- no Era pure grande quella
luperllitionc chele Donne Romane pcnlalTino (clTcndo coli battute da
ifacerdoti di Giunone) d’hauereàingrauidare,&chc la felicità
piu grande era di hauer molti figliuoli, come fi vede perle
infraferittte Medaglie. FA V S T I N A. GIVLIA M A MME A.
ARfitNTO. BRONZO 155 no in manoandauono pcrcotcdo le mani delle
Donne che le norgeuono loro per ingrauidarc. Era qucfto luogo
chiamato Lupcrcale nel palagio di Roma, & de- dicato allo Dio Lupino,
chiamato altrimenti daiRo- maniPan Lyceo.Pcròchequiui haucuono già-
poppa- tala lupa Romolo & Remo, come moftrano le piccole
imagini Fatte di bronzo, che hoggi anchora fi veggono in Campidoglio ,
& le molte medaglie di Confoli & d’imperatori. ME
DAGL ÌE Di' D io lupino ò nero, Pan Lyceo.
MEDA. DI SESTO P lOmI
l(Zo DE LA RELIGI ONE DOMITI ANO.
HADRI ANO. Fu Romolo di poi la Tua morte conlagrato &
meflo nel numero de gli Dei, come fi vede perle medaglie d’Anconino
Pio, nelle quali è Romolo veftito come vn Marte,che tiene da vna mano
vn’hafta & dall’altra vn trofeo fullcfpallc con quelle parole ,
romvlo avg. ANTO N I N G~P To. BRONZO. BRONZO. La
lini plici ta degl’antichi fu tale, che non badando roma. j oro j iaue r
C deificato Romolo, fcciono anchoradiuerfi templi à Roma, & la
chiamorno Dea, dipingendola vna r volta DE GL’ANTIC HI
ROMANI, k;i volta vcttoriofa con vna hafta in vna mano,& nell
altra vna vcttoria che l’incoronaua di lauro , & altra volta
con vn globo, in fegno della Monarchia,& limili paro- le* r o m ae
AETERNAE. NERONE. ARGENTO. FILIPPO.
ARGENTO. Roma eter no. Et nelle medaglie di
Malfientiofitrouano Umilmen- te più templi dedicati i Roma eterna, la
quale i lèdere fopra certe infegne militari,&convn morrione in
tcfla, hi in vna mano lo ficctcro,& nell’altra vn globo, che
ella prefenta all’Imperatore coronato d’alloro, lignificando che
egli era conferuatore del Mondo, come fi vede per ni ff entio vna
Prouincia foggiogata che ei tiene fiotto i piedi , il ‘onferu*- dardoche
egli hi in vna mano,& dell’altra piglia ilglo bordino con la fiua
corazza & mantello militare , & lettere intorno che dicono ,
conservatori vrbis AE T E R N AE. \C l
MA SSENTIO. BRONZO. BRON ZO. Vcfpafiano
fimilmcntcfccc (lampare nelle Tue meda SdTRoM gta Roma con vn celatone
incapo, la veflecinta, mez- nrOr meda- za ignuda, lo feettro in mano, gli
(liualetti in piedi , col glie di ve- Teuero prediche havn giunco in
manovella appog- frajìin 0 . gj ata ( a f cttc co ijj ? lettere che
dicono , Roma.Ec nelle medaglie d’Hadrianofi vcdeconvn ramo d'allo-
ro nella mano manca,& nell altra vna Vetcoria con vn globo fotto i
piedi. VESPA’ iiti M. AVRELIO.
BRONZO. Mentre che io fcriucuo quelle cofc,mi fu
donata vna KmJi. 4 medaglia di bronzo, nella qualeda vn Iato è la
teftadel Sole,& dall’altro vna Luna convn globo, & due
(Ielle r opra,con lettere fottoche dicono, Roma, lignifican- te le
vectorie & fatti de Romani rifplcndeuono , co- ll Sole per tutto il
mondo, &erano (àliti (ino al cielo. ITALIA. MEDAGLIA DI
ROMA? BRONZO. Non ballando à i Romani haucrc
figurata Roma in tanti modijfcciono quel limile d’Italia, coronàdola co-
me Reina del mondo à federe fopra vn globo (Iellato, & mezza ignuda
con vnofcettro&vn corno d’abbódan- za,in fegno della fertilità del
paefe d’Italia, come fi vede nelle medaglie d’Antonino Pio.
ANTONINO PIO. B R O N Z O. BRONZO. Volendo à pieno
narrare le Iodi di queda Prouincia, noi ci diuertiremo troppo dal nodro
intento principale: Pur D E GUANTI CHI ROMANI. i<r
5 Pur nondimeno non lafciercmo di recitare qui quei yerfi che il
Petrarca , tornando di Proucnzain Italia, Pt(Wrt , cantò arriuato falla cima
del Mon Gencua,in quello modo, Saluecard T)eo
tellnsfdnBifimd ftlue, Teìlus tuta honis } teUus metuenddfuperbis
» Tellus nobilibus multum genero f or oris . Ne manco
voglio lafciare in dietro che Collanti- no Impciatorc fece battere
medaglie di bronzo in Ro- ma,nelle quali da vn lato è la lupa che lecca
Romolo & Remo mentre ch’ci la poppanoj&rdall’altro la Tua
te- tta. Et in Collantinopoli Umilmente dipoi fece batte- re monete
d’argento & d’oro con la Tua tetta , & lettere che dicono, constantinopolis,
lì come in quel Jc di Roma haueua metto, vr b s koma.
Ver fi iti Vttrarcd in lode i'itn-
IU. COSTANTINO. BRONZO. ARGENTO. ScriueStrabone(parlado
d’Italia) che in quettaPro- uincia fitroua il temperamento dell'aria
migliore che in altro luogorl’abbondanza delle fontane & de bagni ft
«* falubri,per Jacommodità&fanità dell'huomo, i frutti i L
3 buonijc mine-di cuttii metalli, & marmi di diucrfi co- ìtJid
gU lori, onde non fcnza ragione, è ella Hata Regina del rtgin* del mondo
, producendo tutte le cofc neceflarie alla vita mondo. humana:huomini
eccellenti ncllarmc, & nelle lettere, nella pittura, (cultura,
architettura, & in tutte lecofe più rare&fingulari,lc quali con
molti libri farebbono an- chorain piede, fe la maladctta & barbara
natione de Gotti, non l’haueflc tante volte corla &
moleftata.Ma perche di fopranoici trouiamo hauere aliai ragionato
vetto- delle Vcttorieicolpitc per tante medaglie, non faràfuo- radi
proposto (feguitando il fubietto della noftra ma- teria) di (criucrecomeanchora
quella fu da gli antichi riputata vergine & Dea, & fattili più
templi nella Gre- . pittura del cia,douc (comefcriucTaufaniaró^tf/Và)
ella fu adora- la vetto- figuratacon l’alie,vna corona d’ Alloro in vna
mano,& nell’altra vna Palma, ’& lotto i piedi vn globo :an- chora
che Domitiano la facelTc dipingere con vnCornocopia,fignificando che dalla
Vettoria nafee l’abbondanza delle cofc. DOMITIANO.
BRONZO. BRONZO. ic 7 tc perii rouelcio della medaglia
d’argento diL.Ho- ftilioli troua la Vettoria figurata con vn Caduceo
in vna delle maniche lignificala pace di Mercurio, Se ncL- l’altra
vn trofeo delle fpoglie d i ninnici , modrando-chc la guerra & la
Vertoria apportano la pace.JL. HOSTIL1O. ARGENT O.
DOMITIANO. BRONZO. Ma Tuo Imperatore la
feccfcolpire nelle fue meda- vittore del glie d’argento con vna palma
& corona d’Alloro fenza 'alimonie quellochc no voleua chcella
difpartiffc mai da.ìui: Se co fi la dipinfero gli Atenicfi (come dice
Pau- fania nelle fue Attiche) per quella medefima ragione. '“VÈSPA
SI ANO. ' TITO VESPA - . L # ics Labaro in l cm,c
medaglie doro io n’ho vna d’Auguflo,’ ftSM pria- nel rouefeio della
quale e vna Vetcoria Copra vn globo cipde de & l’alie aperte per
volare, con vna corona d’Alloro in ri«per<- vna mano ^ nell’altra il
Labaro, infegna dcll’I mpera- tore,che i Franzefi Hoggi dicono Cornetta,
folita por- tarli innanzi al Principe, quando in perfona fi trouaua
alla guerra, come inoltrano le lettere che intorno alla, medaglia dicono,
i mperator c Nella declinatiòne dell’Imperio
Romano,commin-' linoni ciorno di P oi gl’l m P cratori a fare
<ii P in 8 ere l’Aquila in tT quello labaro, come fi vede nel rouefeio
della medaglia di Maflcntiojdouc fi vede armato della corazza, &
velie militare con il Labaro in vna mano,& nell altra vn ra- mo
d’Alloro,le gambe armate , & vna Prouincia , ò ni- mico folto i
piedi, & lettere che dkono, victqru 1 AVGVSTI LIBERATORI ROM
ANOIVM. Bctt che dipoi folle vinto da Collantino Imperatore ,
in virtù d’vna Croce , ò figlilo moftrato al detto Co- , - "
llantino i<r? {lamino in vifionc , & ancho
perche fu aiutato affai i lf'g»optr da 1 medefimi Romani, & chiamato
in Italia, non potè- ^n 0 ^ Un do più fopportarela tyrannide di coli
crudele huomo. Haucndo coli Coflantino reftituito nella fua dignità
Tlmperio, fi fece Chrifliano , & volle che tutti gl abri cojUntino
adoraffino Chrilto, al quale edificò piuchiefc, & per l’innanzi portò
lemprcin tutte lefucimprcle il Labaro (0 Ui tempii pcrinfegna,di
fcarlatto, & d’oro con quello carattere» fesche non lignifica altro
fe non il nome & la virtù di christ o, accompagnata da lettere, A.
& w .cioè , che sìgnìficatio il principio & la fine di tutte le
cole è Di o, & ancho per- nf<u, “ n che i Greci feriuendo il
nome di Chrillo , cominciano per X.la prima lettera diqucllo.Onde molti
hanno er- rato intorno à quello, dicedo che tal fegno era vna Cro-
ce d’oro che Collantino haueua fatta lare partendo di Francia per andare
à combattere in Italia con Malfen- tio. Vfarono poiifucccfiori di
Collantino lungo tempo quella infogna, come fi vede per le monete di
Collante» nelle quali èl lmpcratorc armato col mantello digucr- ra,
vna Vettoriain mano, che lo vuole incoronare d’Al loro,& in vna altra
tiene il labaro col fopradetto fegno di Collantino , pofando i piedi
fulla prua d’vna galea» il tinjone dcllaquale tiene in mano vna Vettoria,
& let - tcrecbc dicono, f elix temporvm reparatio* V, L
MASSENTIO. ARGENTO. COSTANTE. ARGENTO.
G'udUno Dccentio,Coftanzo,& altri Imperatori di poi infino
àpojìata. £ j tempi di Giuliano A portata vfarono Tempre quella
inlègna&figillodi Coftantino con limili parole, s a lvs DOM INO
RV M NOSTRORVM AVGVSTORVM LVCET, COSTANZO. DECENTIO.
BRONZO. BRONZO. s. a mbro- Chetale figillo
forte il fegno diChrifto , dimoftra S. I 10 ' Ambrogio nel v. libro,
& nella Epiftola xxix. che egli
fcriuciTeodofioImpcratorc,&Prudétio nei Tuoi verfi àquerto
modo: Chrijhts . i 7 x Chrijlus
purpureum gemmanti textiu in auro , Signabat labarum,clypeorum
infignia Chrijlus £crip[erat,ardebat fummis crux addita crijlis.
Era quello flcndardo fatto di fcta pagonazza chermi fina con vna
frangia d’oro tutto intorno, ornata di pie- tre pretiofe,nel mezzo del
quale era la Croce di Chrifto fatea di riite uo,& nel mezzo di quella
ricamato il fegno ■di Coftantino,&cofi legata fullacima d’vna lancia
do- rata fi portauain tutte le guerre dinazià fopradetti Im-
peratori, quali nel modo che fanno hoggi gli ftcndardi, dedicati chià vn
Santocchi àvn’altrod’alcu ne religio iccompagnie. Ma ritornando
all’imagini delle noftrc comedipin Vettorie,dicochegrantichi
ladipinferoin formad’An gclo con l’alic,& bene fpefioà federe fopra
le fpogliede torio. nimici con vn trofeo dinanzi, il petto fcopcrto,con
vna palma, &vno feudo &paroleche diceuono,vicTORi a a vg vs
ti, nel modo che l’ha dcfcrittaClaudiano quan- cUudiano. do ci
dice: Jpfa Duci [aerai ZJittoria panderetalos, Et palma
viridi gaudens & amica trophaù. Cujlos imperij 'virgo qua fola
mederii ZJulneribuijnullumque docesfentire dolore m. Et
Plinio dille, Eaborem in vittoria nemo fentit. MEDAGLIONE DI M.
IONE COMMODO. avremo. BRON/O. Et perche la
vettoria non fi può acquetare IcnzaFati- t ° ca >f enza virtu,ne lènza
forza, non farà fuora di propofi- figura codi ragionare qui d’HcrcoIe,
che ne guadagnò tante in <l ucfto raodo > onclc » Romani volédo
figurare la virtiUo ualauirtù leuono dipingere il fuo fimulacro
appoggiato fopra al fuo ballone,& la pelle d’vn lioneauiiuppata
intorno al braccio, & altre volte tenédo abbracciato Anteo, il
qua- le vccifc, come dice Giuucnalc, - Ceraie il us
ctquat H erettiti ^Anteum pronti a tellure tenenti*.
Nel quale modo lo dipinfcroanchora nelle loro meda- glie
Hadriano& Poftumio, con quelle parole, hercvli MACVSANO,
HA D. DE HADRIANÒ. POSTVMIO.
BRONZO. BRONZO. Et fi come
la mazza & in lione fono due cofc fortiflì- Pm . mc,& la virtù e
fiata Tempre figurata ignuda, come quel tribuirono la che non cerca
ricchczzc,ma immortalità,gloria,& ho norc,comc fi è vifto in vn marmo
antico che dice, vi r- U pelle del T VS NVDO HOMINE CONTENTA EST,
Cofi el’antichi volendo moftrare la virtù d’Hercole , doppo
la morte lo figurorno ignudo , con la pelle del lione & con la mazza,
&. la mazza & la pelle infiemc,comc fi ve- de per le medaglie qui
di fiotto. PRIN. Ss. JW/
»74 PRINCIPESSA DI
MACEDONIA. BRONZO. BRONZO. Q^CINCINNIO III. VIR.
AVGVSTO. argento. ARGENTO.
mix* di Fu chiamata da Greci quella mazza psrraAc*, la quale
Htrcole g lamichi fpeflè volte (dipingendo Hercolc)accompa-] Ja
Greci gnorono d’vn trofeo,&Hercolecon vn ramod’Alloro Kbopalos. nc J}
a ma dritta,& nella finiftra la mazza,& vna pelle di
lione,chiamandolo Vincitore: & volédo per la mazza anchora
lignificare la prudenza, conia quale fi gouer- naua in tutte le
fucimprefe. ;; i C. AN.
i 75
uaif f [lor llc<5
n» ifltf Vii C. A NT IO.
MEDAGLIONE DI ARGENTO. COMMODO. Apulco lo nominò cercatore del
mondo, domatore Epitetili de gl
huomini,&dclIcbeflieferoci:&:Tcocrito,occifore di lioni & di
tori, come moftrano le medaglie (lampare a puleo. In honorc fuo,ncI modo
che fi vede qui di Cotto. t tonilo. MED. GRECA. C.
BRONZO. POBLITIO. ARGENTO. tk ^ | iv laVttUia
i/wiv»»*» » «■»»». w v< » »•»» pelle di lione & della mazza,
fu, perche in quel tempo nons’vfauonoaltrearmijche le pelli
dcgranimalifalua- tichi> per coprire il corpo : & i baffoni per
offendere i nimici, i 7 <r Arme che nimici^
vendicare l’ingiurie. Et perche Homcro con o mo ^‘ a ^ cr * P° ct * hanno
fcritto.chc Hcrcolccauò Cerbe "L Suo ro cane con tre
teftejdell’inferno^crò mi c parfo non HtrcoU. fuoradi propofito
riprefentare qui appreso la figura d’vna pietra antica, fiatami mandata
da Narbona,&ri- trouata in quel tempo che fi cauauono i fondaméti de
i baftioni di quellaCittà,nel modo che fivede qui di
fiotto. S1MVLACRO DI HERCOLE ET DI Cerbcro.ririrato d’vn mattilo
antico di Natbona. “Interpretarono i Teologi antichi quclfo Cerbero
per tutti i vitij,lfati fupcrati & vinti della virtù d’HercoIe,
co me più apertamente potrà il lettore vedere nel trattato * che hà
fatto Lilio Gregorio Ferrarefe della vita d’Herco rarefi leda (fatua del
quale fu altrimenti dipinta con tre palle nella mano diritta, &nclla
manca la mazza, volendo Lffr ; wr . perle tre palle lignificare la virtù
di tre colè, cioè, lènza tudiHcrto ira,fenza auaritia,& lenza
defiderij vitiofironde ancho- k ’ ra hoggi li vedeà Roma vna fua (fatua
di bronzo con vna palla in mano trouata, non e lungo tepo,douc era
flato il fuo grade altare fulla piaza del mercato de buoi. Fu oltra
à quelfo dedicato à Hercole il Popolo albero di po o[g A fpctic di
Salicio, del quale i fiacerdoti Sali; fi faceuono ferro dedica girlandc,
volédo fare à Hercole làcrificio, come ha mo- t0 * Hfrf0 " ffro
Virgilio, doueci dice, “ Tunc Sali) ad canta inceri fa altaria
circuì n *?opuleid adfunt tuinRi tempora ramit. Soggiugncndo
altroue, Copulai ^Alcida gratif ima. La quale cofa fi
conferma ancora meglio per la me- daglia Greca d’HcrcoIe, nella quale da
vn Iato c la fua telfa coronata di popolo con la pelle di lione intorno
ai collo,& dall’altro il Zodiaco con tutti iluoi fegni , &
Fe- tonte caduto del carro del fole con ini i.caualli, la fac- cia
del fole, & lettere intorno che dicono, a’at'nata z h t n n,
lignificando che ei cercauacofc impolfibilipcr le forze fiumane.
M MED. GRECA D’HERCOLE. BRONZO.
BRONZO. Fuanchoradipintoquefto Hercoledagl’antichiGrc
cicon la pelle della teda del lionc in capo, in cambio di celata,
vn’arco,vn turcaflo,& la mazza,volendo lignifi- care che la virtù
dell huomo fcrcifccdi lontano. MED. GRECA BRONZO.
D’HERCOLE BRONZO. Non V .r ,.t*
mi t'W. §* T* 1 b i^v
flfr m m 17* * Non porto fare che
(criucdo d'HcrcoIe, non mi ricor di&non mi rida anchora della bertialità
di Commodo Imperatore, che vanamente afpirando aU’immorralita p *
zz u del Tuo nomc,8,Tendo emulatore, ò più torto iuuidiofo £
della virtù d’Hercole,rinuntiò il cognome fuo Droprio, &della
carta fua:&in luogo di Comodo figliuolo di M. Aurelio,
vollceflcrc chiamato Hcrcole figliuolo di Gio- uc:& lartciando
I'habito d’imperatore Romano, fi veftì d’vna pelle di lionc, portò vna
mazza in mano:&mefco landò le vcfti di porpora ricamate d oro con
quella altra, non fi vergognò d’vfcircin pub!ico,& mortrarfi al
popo Io per tutto, come fi vede per le file medaglie d oro,d’ar-
gcnto,& di brozo, nelle quali da vn lato eia fua iella ac- concia
come quella d'Hercolecoil la pelle del lione, & d’allaltro l’arco, il
turcaflo,le freccierà mazza, & lettere che dicono, hercvl 1 romano
avgvsto. ■p , MEDAGLIONE DI COMMODO. bronzo. bronzo.
M z i8o Dione.
Colonie Commo- dma. COMMODO.
BRONZO. Ne contento anchora Commodo di quello,
vollc(co me ferine Dionc)eflerc chiamato Hercolc fondatore di Roma,
facendo battere monete, nelle quali fi vedeua in habito d’Hercolc
condurre due buoi, in fegno di nuoua colonia, Scche ci voleua mettere
nuoui habitatori in Roma, la qualcchiamò Commodiana,&Cómodiani
i Tuoi faldati, comefi vedepcr le lettere, chcdicono,coLo N I A
LVCII ANTONINI COM MODIAN A. & altrO- UC, HERCVLES ROMANVS COND1TOR. COMMODO.
Ma quello chein quello moltrò anchora più la Tua pazia,
furono i titoli,! quaIi(fcriuendo al Senato Roma- nojs'atcribuiua in
quello modo, IMPERATOR CAESAR LVCIVS AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVGVSTVS
PIVS FELIX SARMATICVS GERMANICVS MA-XIMVS BRITANNICVS PACATOR ORB1S
TERRARVM INVICTVS ROMANVS HER- CVLES PONTIFEX MAXIMVS TRIBVNITIAE
POTESTATIS XVIII. IMPERATOR Vili. CONSVL VII. PATER PATRIAE CON-
SVL1BVS PRAETORIBVS TRIBVNIS PLEBIS SENATVIQ^VE C.OMMODIANO FELI- CI
SALVTEM. Andando poi per paefe. lì faccua portare innanzi la mazza,&
la pelle di lionc , onde mol- te ftatuegli furono fatte alla fomiglianza
dell’altro Hcr cole antico.Dal quale propofìto ritornando à quello
del noftro Hcrcole vcro, & lanciando in dietro tutte le fauo-
lepcr accodarci alla verità deirhiiloria, diciamo che(lc- condo Halicarna
lTeo) Hcrcolcfu vno eccellente Capitano, il qualcardito&fauiotrouàdofi vn
efferato gagliar do, pigliauapiaccrcd’andarc per il mondo, riformando
i cattiuicoflumide gl’huomini , ipegnendo i Tiranni,! ladri , &
giada Alni coll Greci , come Barbari , & Latini: edificando
nuouecittà:& drizzando per publica vtilità (quello che è il debito
d’ogni buon Principe) i camini, & fiumi che guadarono il paefcrdella
virtù del quale, qua- tuque iohaueffi deliberato nó fare coli lungo
dffeorfo* nondimenoilgran numero di mcda^licchc iomitroua di lui,
mi conllringono,per piacere ai letterati amatori delle cofc antiche, di
leguitarc & mettere inanzi Hcrco- le,chiamato da i Franiceli
Ogmionffccondo la narratio- r. ri M
3 . rou[' r8i I
nomi is- tituii che fi duua Com- modo.
Qual fu hcrcole fe- condo li Hi fonografi.
hcrcole Gallico . l i$zne di
Luciano oratore &Filofofo Greco, il fenfo della come i Fri quale
fatto prima latino da Erafmo, è tale: I Francefi in « fi dipinfe loro
lingua hanno chiamato Hercole Ogmion,& l’han- roucrtole. n0 formato
in vn modo molto nuotio & Urano, però che ei l'hanno figurato vecchio
, canuto , & decrepito, tutto caluo dinanzi, con pochi capelli ,
dietro "rinzuto, & cotto dal Sole come vn contadino vecchio, o
marinic rc,tantocheinaItracofa non pare Hercole fenon per
l’habitochc ci porta, veftito d’vna pelle di lionecon la mazza, l’arco
tefo, & il turcafiòda quale cola io harciccr tamentc penfaro che
folle Hata fatta da i Francefi in dc- Htrtolc rifione & difprcgio di
quei Grcci,chc haueuono fcritto negno^l ^ oro Hercole haueuafeorfo come
virtcitorc ilRe- f ranci*, gno di Francia, {ciò non hauclfi villo
vn numero infini- to di huomini,& di donne legate per
gl’orccchicon cate- • nuzzcd’oro,& d’ambra alla lingua d’HercoIe,
lenza fa- re non folamcntc légno d’cllérccofi menate contro alla
loro voglia, & di volere rompere i legami, ma parendo che tutti
facclfinoà gara di follccitarc il palTo piu di lui, dubitando nonrcllarc
indietro, anzi leccando lecatenc, comecola grata, métrcchc Hercole col
vifo volto inuer fo loro gli guardaua tutti allcgramentcril quale
miflcrio mentre che coli riguardato arrccaua marauiglia à Lucia no,
dice che vn altro Filofofo Francclc,ma dotto in Grc- co,fc gli fece
innanzi & dille. Amico io ti voglio dichia- rare la difficultà di
quella dipintura: Sappi che noi altri Francefi non attribuiamo
l’eloquenza à Mercurio, co- me vo i a Ic r i Greci folcre fare, ma à Hercole,
come qucl- édanreolc. lo che è più robullodi Mercuriodà onde tu non
«debbi marauigliarc fe tu lo vedi vecchio, con ciofiajchel’clo-
quen qucnza rade voice è ne i giouani,eflendo offufcaci
dalle tenebred’ignoranza,ondc la lingua de vecchi lènza paf- jfione
pronuncia più cleganrcmcnrcifuoi concerti,cncc il lignificaco di quella
pitcura, volendo inoltrare, che il parlare ornaco li eira apprcflo le
perfone perlaconue- nicnza,che hàlalinguacongl’orecchi.Ncmcno ci
debbi marauigliarc,ncbialimarc Hcrcolc, che egli habbia la lingua
toraca, conlidcrandoche noi vfiamo nelle nollre Comedicdidire,che cucci
coloro hanno bucara la lin- gua che parlono aflai,& bene, come faceua
Hcrcole:che per ciò(lecondo l’opinione di noi alcri Francclì ) lì rcn-
Hfrf0 / f dcua luggecce cucce lenarionij&orrcneuaciòcheglipia tot fuo
fcrf ccua, mediate léfóttìliflìmc & ingegniolc ragione ch'ci
{àpcuaallcgarc,&concireperfuadercleperfone,la qua- ti™* i fe
leacucezza & foccigliczza d’ingegno c figuraca perle huom * freccie,
per l’arco & pel curcalTo:onde voi alcri Greci lo- Iecedirechela
parola c pennucacome vndardodaqua- lcinccrprecacione ci fcruiràhora
Umilmente per ilcriuc redellefrecc^&dclrarcod’ApollojCon le quali
am- mazzo il TerpencePitone,& per ciò daHomcrofu decco L0>
^oWu^«,cioècheiciraua lonrano:&i Greci Io figu- rornoinquello modo,
come fi vede per le medaglie di Nerone, doue da vn laro c dipinco con vna
corona d’al- loro, il curcaflo Tulle fpalle & la ftella di Febo, con
lectcrc che dicono, a no a aon snrHP.cioc Apollo Conferua tore,lì
come i Greci vfarono faquila,& ilfolgorc nel me defimoTenfo.
A M 4 CLAVD. NERONE. ARGENTO.
MEDAGLIA GRECA. BRONZO. Apollo dio
di [oiukori di lira. Quella lira fu attribuirai
Apollo, perche gl'antichi penfornoche cifofle Dio de fonatori,
dipingendolo ancora con i capei lunghi fenza barbala lira, & vn ramo
d alloro in mano,& vn altra volta con vna tazza & vna, velie
lunga fino à i piedi, per mollrare la fua deità. AN I
l ANTON. PIO. CARACALLA. ARGENTO. ARGENTO.
- Mai Grecigh attribuirne non folamcntclalloro per vdHoroc
5 la fauoladi Dafne, ma per la virtù della pianta Tempre f*sr*to
ai verde, volendo mollare l'ctcrnftà del Sole, & perche - 1
ella feruiua nella purificatone de i facrificij, & perche la è mai
touo factranonla tocca,comciha fcritto Plinio:& pcrchcdi U f* u
~ quella s’ornauonoi turcaflì, le citare, &i cappelli de gli L'alloro
de Imperatori, quando trionfauono con vn ramo d’alloro dic .* t0 *
* in mano, onde il medefimo Plinio la chiamò Portina- ea delle cale
de i Cefiiri & de Pontefici , & nuntiatrice di \ vettoria,
conciò fia chela coróna d'alloro foleua ariti- 1 camente Ilare
legata dinanzialpalagio de gli Imperato- ri, con quella di Quercia in
mezzo, come fi vede per il tcftimoniod’Ouidio nel primo libro del
Mctarriorfo- o iddio. (co douc ci dice, * JMediamtjtie
tuebere ejuercum. Delle quali corone fi rrouano tutte piene le
monete de gl'imperatori in quello modo, < M j
v: c'n;.m r.ll.i: r.:iv i; .«•- ... otr.ooiop tic DE LA
RELIGIONE A VGVSTO. BRONZO. ARGENTO.
Plinio. Inodore di rdUoroftfc ttiU pejle.
Dbterpcpà ture de U flatua d'Ar pollo.
Probo. La virtù di qucfta pianta c tale, che fc nel
tempo di peftc(comc fcriue Plinio) i’huomo (blamente l'odora Se
porta fcco,ei non può hauerc malc:&: per certo fi legge che cflendo
vnagranpeftein Roma, Commodo fi ritirò à Laurentojcoficonhgliacoda i
medici Tuoi, per cflcrc quel luogo abbondante d’allori. Et quanto alì’imagine
d'Apollojoltrc aU’arcoJefrccciej Se la lira, con la quale lo
(oleuonodipingcregl’antichi, l’Imperatore Gallieno (volendo moftrarela
(ua im prefa d’Oriéte) lofecefcol- pire informa di Ccntauro,con la lira
in vna mano, & nell'altra vna palla con quefte parole., apollini
co- miti, moftrando che egli andaua col fauorc del Sole. Ma Probo
lo dipinfc Copra vn carro con piu razzi in ca- po, & con la briglia
in mano di n n.caualli, chiaman- dolo luuitto con quefte parole, soli
invicto. Et glabri Imperatori , come Coftantino , Aureliano Se
Crifpo ftamporno nelle loro medaglie il Sole ignudo, coronato di razzi,
con vna palla nella mano diritta, Se nella DE G
L' ANTICHI ROMANI. 187 nella manca vnasfcrza, con limili parole,
soli invi- cto coMiTi, fignificando,che con 1 aiuto d Apol- lo egli
haueuono vinto &lbttomeflcdiucrfe
regioni. GALLIENO. BRONZO. COSTANTINO.
BRONZO- PROBO. BRONZO. A VP ELIANO. BRONZO.
, Ec perche alcuni hanno detto che il tempio del Soìè Tempio del
era in forma tonda, però mi èparlbdiriprefénrarequi la SoIe ' medaglia di
M.Antonio Triumuiro, nella qualeha fi- figurato il Sole in vn.tcmpio
quadrato,& accompaqna- to da limili. parole, in. v ir r, p. c. cioc,
trxvm- vir i38 vir
reipvblicae constitvendae, &dalf altro Ia- to, MARCVS ANTONIVS
1MPERATOR. M. ANTONIO TRIVMV IRÒ. ARGENTO.
Moneta di I Rodianidipinfono nelle loro monete il Sole coni
KodianL razzi j n capo, lenza barba, & con i capei lunghi da vn
lato, & dall’altro (colpirnovna rolà,Hora in vn modo,& horain
vnoalcrocon quelle parolcpoamN apizto- KPITOI, Se POAION,
MONET ARO PIANA. VVù OiT^ v iV MONE
DE GL'ANTICHI ROMANI. <i8j> MONETA RODI
ANA. BRONZO.ALTRA MON. RODIANA. ARGENTO. Etne roucfci delle
medaglie d’oro di Traiano, Ha- Vorlpat ' driano>& Aureliano
Imperatori fi troua ( fecondo l'v- u°mc2gul fanza de Greci) fcolpito I
Oriente per la faccia del So- de limpt- le,con lettere che dicono,
oriens. Ma in quelle di ratoru Lucio Plaucio fi vede la tetta d’Apollo
accompagnara dadueferpi,comcPythio, & nelroucfcio della medefi-
ma medaglia vna Vettoria,che tiene per la briglia i caualli del
Sole. TRA Coloffo Rodi- T
R A I A N CL AVREL1ANO. ORO. ARGENTO. , ' Non
erTlaTnaTa Tintcntionedi fcriuerc altrimenti del * ColofTodiRodi,il quale
era la flatuad Apollo, perche io ne haueua già parlato.nel fecondo mio
libro dell Antichità di Roma,maeflèndomi flato predato vn certo libro
Greco antichiflìmo, & lenza Autorc/critto a ma- no da M Giorgiodi
Vauzelles Caualierc di Rodi, &h-
onore della Torretta, quale egli haueua portatodi Grccia, non ho voluto
mancare di communicarc a gl altri huomini ì*r huomini quello, che io ne ho
ritratto intorno à quello, nel modo che fcguc: Tra gl’altri miracoli del
mon- do (dice egli) era il Coloflo di bronzo dentro à Rodi
Deferito- fatto in honorcdel Sole, da Colalìe in dodici anni,&
al- todi fettanta cubiti. La bafeche lo fofteneua era trian a.
golare , & ciafcuno lato (ottenuto da fettanta colon- ne di marmo. La
(tatua era tutta vota dentro & fatta à (cala à vite, per la quale fi
faliuafinoà la cima:&quiui erano diuerfi ftromenti, che in verfi
Iambici faccuo- no vna mufica foaue. In quella (tatua, la quale era
volta inuerfo Egitto , fi vedeua tutto il paefedella Si- ria, & i
nauili che andauono in Egitto, mediate vno fpec- chioche ella haucua
legato intorno al collo , cttcndo del retto tutta ignuda, con vnafpada
nella mano diritta, & nella manca vn’hafta lunga,tanto che la
(pefa cofta- ua ccc. Talenti d’oro. Aucnne di poi, che doppo cinquanta
anni, che ella era ftatafatta,ellafu metta per ter- ra da vntremuoto, che
durò vii. giorni , & coli rotta in Mirrile piu parti (ì trouauono
pochi huomini, che potettmo ab- trmuoto ' tracciare vnodei fuoi diti
grottì,& colui che ne compe- rò i pezzi del bronzo, ne caricò 500.
Camelli.Ma ritor- nando al noftro Apollo, & alla diferenzachc egli
hebbe rifiorii* con Marfiafonatore,come ha fcritto Apulco,nel primo ** A
P °£ 9 libr.de fuoi Floridi, dico che à cottui parcua edere coli
eccellente, che accecato dalla fua infolenza , non fi ver- gognò di
volere competere nella mufica cori vntanto . v Dio,allaprc(cnza delle
mule, le quali, data la fentenza in fauorc d’ A pollo,fcciono che legato
Marfiaad vno al- M - bcro per punirlo (come ci meritaua) della fua
temerità, fiortiutt. lo (corticaflc, nel modo che ha moftrato Ouidio ne
i. t: fuoi isn . Tuoi Farti, dicendo, o uidio.
‘Prouocat & e Phcebum i < Phxbo fuperante pependin . Cafa
recejprunt a cute membra fua. Et Nerone nel fuofuggello, del quale
la figura cpofta qui di fotto. sy OO LL LO DI NERONE RlTRATTO
d’ t ma pietra tattica. Dipingeuono fimilmcntcgrancichi
Apollo accom- dtUc°Mufe pagnato bene (peflo dalle Mule, volendo inoltrare
che con Apollo, tra lui Sdoro, è vna naturale conuentione, fi
comcmo- Virgilio, rtrò Vergilioall’horache della natura di quelle
ragio- nando dille, In medio rejìdens compleBìtur omnia
‘Phccbut. l*. ùv/è Le quali però fumo da gl’antichi vergini
figurate(coucrgini. mc h a fcritto Phumuto) perche il frutto delle
feienze « . ' nafee , 1*3 nafcc dal giuditio dell’ingegno,
& perche la virtù occul ta fi contenta del fuo ornamento naturale:
&: che l'ha- bitationc delie Mule uer i monti &; per i bofchi,non
fi- gnifica altrove non cal gli huominipiù dotti & ccccl-
imonti. lenti viuono,& vanno volentieri foli,& feparati
dalla ignoranza della plebe, (blamente (come dille il Petrar- ca)al
vii guadagno intenta, imaginandofi la (ciocca, che le lue ricchezze le
habbinoà infondere ad vn tratto la fapienza,& la dottrina nel capo ,
perii che diuenuta infolcntillìma, & volendo riprendere quei, che
fanno più dilei, rimane alla finelcorbacchiata & fcorticata,
co- me vna bcllia della propria pellciilqualc propofitocoti fermò
Plutarcho quando fcrilTechei templi delle Mufe non fi trouauono altrouc
le non lontani alle Citta , & a i eradichi de gli huomini
plebci:& Orfeo & Proclo ha- no voluto che le Mufe fodero le prime
inucntrici della gionc . rc
rcligionc,dclla quale ritorneremo fubito a parlare, che noi haremo
inoltrata la figura del Trepie,ò Tripode d'Apollojgià tanto celebrato
& venerato da gl’antichi. S Apollo, Di quello adunque fi vede il
difegno nelle medaglie d’argento di Vitcllio,& di Vefpafiano,&
(quello che io Rimo anchora più cofa rara) in vn dialpro rollò
antico che io hò meco , douc egli e figurato con vna cornac- a j
chia,la lira,& vn ramo d’alloro, tutte cofe conlagrate à a pollo, lui,
come qui fi vede. N t>4 DIASPRO ANTICO. VITELLI O. ARGENTO. VESPASIANO:
ARGENTO. Il iimu Tf » Il
fimulacro del Sole, che i Fenicij chiamorno nella ìtsoledrt - loro lingua
HeliogabaIo,fu portato à Roma dall’Impe- latore Antonino, coli chiamato
anchora lui, il quale nel (,«/„* monte Palatino gli fece fare vn tempio
(come fcriuc Lampridio)& qui volle che non folamcntci Romani, r
ma i Chriftiani & Giudei facchino tutti i loro facrificij, non per
altra ragione, fe non perche nella fuagiouanez- rèpio dedi za egli era
flato fatto fàcerdotc del Sole , honorato & ** s ®: tenuto in
grande riuerenzada i Fenicij, però che gl’ha- tiero&mo» ueuono fatto
vn tempio marauigliofo di pietre quadra- Antonino te, & (come fcriuc
nel 5. libro Herodiano) ornato dar- gento,d’oro,& di pietre prctiofè
: onde io ho tra le mie le. due medaglie d’argento del detto Imperatore,
nelle quali fi vede in abito di fàcerdotc di Fenicia facrilicare al
Sole con vna tazza in vna mano,& nell’altra vn ra- mo
d’a!loro,&fopra l’altare, doue c il fuoco accefo,fi Vede il Sole,&
lettere che dicono ncll’vna delle meda- glie, svmmvs sa cer do s, &
nell’altra, invictvs sacerdos ,chc fono i medefimi epiteti del
Sole. HELIOGABALÒ.
ARGENTO. FORTV NA. t5rf Io nonmidiftcnderò più oltre
àfcriucre la vita fede- rata di quello Imperatore, ma bene mi dorrò del
cieco & tirannico arbitrio della Fortuna, che lo meflc in quel
luogo che ci non mcriraua,ficomcanchora veggiamo che ella fa di molti
altri à i tempi no(lri,onde gl’antichi volendo moltrarc la fua portanza ,
& come ella gouer- naua tutte le cofe del mondo, la dipinfcro con vn
corno pitta* de d’abbondanza in vnamano,& nell'altra con vn
timone U fortund. Ji nauc fopra vna palla. TRAIANO BRONZO. HADRIANO.
ORO. ARGENTO. ANTON. PIO. ARGENTO. 1*7 F,u
Umilmente figurata da glantichi à federe in terra col comocopia,& vn
braccio appogiato fopra vnaruo- ta,per moflrarc la fua inconftanza ,
& limili parole, fORTVNAE red ver. Et di qui nacque che A pel le
Aprile rr- cclcbratilfimo pittore Greco,domandato perche hauc-
uadipinta la Fortuna à federe, rifpof? chchaucuaciò fatto per che ella
non haucua mai ripofo. ANTON. GETA TRAIANO. argento. argento.
Ma quella che noi habbiamo chiamata Fortun a, i Greci
lachiamorno sella folle fiata buona,*«^ w, ^ ^ *»»comc fi vedrà per vno
intaglio antico portato di Gre- fortuna cia,& donatomi da Frate
Andrea Thcuet d’Angulcmc, nel ritorno del fuo viaggio di Ierufalem.con
molte al- Caladi tre medaglie antiche, che io moftrerò ritratte, nel
libro che io hò fatto dell’Antichità di Roma, accompagnan- do in
quello mezzo la nollra Fortuna d’vnDiafpro , & d’vna Corniola
antica,doueella c fcolpita con vn cor- no d’abbondanza, & vn ramo
d’alloro, lignificando DIASPRO antico, corni O- LA ANTICA. La
fortuna accompa- gnava il Ut to diCefa- ri.
Vlinio. Difftnition de la
fortuna. Arijlofane. Tempio fuperbo de la Fortuna
in Prenefte. Vcdcfi per l'hifìorie che vna Fortuna tutta doro
acr compagnaua Tempre il Ietto de gl’imperatori , & che quando
ci veniuonoà morire, in Tua prefenza eraporta- taàiloro
fuccelforr.ondePlinio la chiama leggiera, in- conftante,&fallacc,come
quella che fauorilcei manco degnirnon dimeno , alla verità, la Fortuna
non c altro che la prouidenza di Dio , dalla quale fecondo i noftri
iteriti noi riceuiamo male,ò benè.Et la caufa perche gl'antichila
dipinfono anchora cieca, fu per la cagione nominata di fopra-di che ha
molto bene icritto Arifto- fahe nel fuo Plutone,DiodcIleRicchezze:il
quale argu • mento hà Tradotto Luciano nel fuo Mifarftropos.il det-
to Ariftofanc fcriue che quando Giouc donale richczzo à i buoni, ei fi
moftra zoppo, & porgedoleà icattiui,cor- re leggiermente. A‘
Prtfncftc anticamente fu il fupérbo . tempio di Fortuna cdificatoda Sylla
, con la Tua ftatuà di bronzo dorata, la quale èra di tanta eccellenza
cheli foleuadire perproucrbio(volendolodarc vna cofaben
dorata w> dorata) la doratura Prcneltina. Nc contento Sylla
di quello, cominciò à fare il pauimento di detto tempio di
Mufaico,chegl’antichi chiamorno Lytoftrates , con mirabili figure di
diuerlì colorali comcPlimo (parlando dei pauimenti) fcriuc nel xxxv.
capitolo del xxxvi. li- bro dcH’Hiftoria naturale. Et perche la Fortuna
può molto nella guerra, però mie parfo di collocarla preffo lo Dio
Marte, al quale i Romani feciono fare diucrli
templi,&dandoglifacerdoti , detti Salijdo chiamorno vna volta
Vincitore, all'hora cheei porrà vna Vettoria (lilla mano:vn’altra volta
Propugnatore, Vendicatore, &Pacatore, quando egli haucua nella mano
dritta vn ramod’vliuoj&nellaltrala fuahalla con la corazza à i
piedi, & dinanzi targhe, rotelle, & il celatone,con vn pen
nacchio,& lettere cnedicono , Marti pacatori, li- gnificando che
quelli che vanno alla guerra, li debbono lenza paura moftrarc à
inimici. M« [aito. MARTE-
Epiteti di Marte. Qui ua alla guerra non deve ha
tter paura. V1TELLI O. ANTON. PIO. zoo L’haftachc
eiportauafu chiamata Qiiiris dai Sabi- ni,& Romolo Quirino,comefi
vede per le infralcrittc medaglic,doue egli è dipinto tutto armato, per
fignifi- care,che lui era vendicatore, nel modo che lo chiama- rono
i Romani. QniriJ. Marte QH* rtno. ANTON. PIO. BRONZO. V aoi GORDIANO.
ALEX. MAMMEA. BRONZO. HADRI ANO. ARGENTO. CLAVDIO.
BRONZO Il tempio di Marte Vendicatore fu fatto i Roma per
Tépioetifì Cefare Auguftoin forma tóda,à cau fa della gucrra.chc
egli haueua giurata concra Filippo, per vendicare fuopa da a ugufto
dre,come fcriue Suctonio,& Ouidionci Falli, doue ei Ct f* re ’
dice Tempi d feresfè) me vittore Vocaberis Ultori ouidio.
Uoueraty&fufoUtnt ab bojlereJit. Scriue Dione
neliniUibrodellHiftoriaRomana, che OÌ9at » N 5 ARGENTO. r
pmfr. 101 DELLA RELIGIONE Celare Augufto edificò
quello tempio in Campidoglio} & vi fece portare gli ftendardi
&inlcgne militari, con l’Aquila deRomanirondeil Senato dipoi volendo
an- chora maggiormente honorare Ja fua memoria, vi fece condurre il
carro fui quale egli haueua trionfato. A VG V STO. L. - CTN
NX ARGENTO. ARGENTO. Si come gi’antichi
dipinlero Marte, nelle maniere già ville di fopra, chiamandolo infieme
con Giouc Vendica torc & Propugnatore, & in molti altri modi
Greci & La- ùniche forebbono troppo lunghi à raccontare, coli
dir pin AVGVSTO. ' , . Ci , ' * ARGENTO.
. *>3 jpingendo Venere, la chiamorno
Vincitrice, con la Vet- raria, Io feeeero & appogiata fopra vno
grande feudo, & v e n b - altra volta con vn morrionc in luogo di
Vettoria,ò con R E * vna palla, in figno che ella haucua fupcrate in
bellezza tutte Falere Dee. Il fuo carro,fecondoil direde Poeti, era carro
div e tratto daduocigni:Ecper tanto dice Ouidio, - JuriBif^ue
per dir A cygnis 'C arpie iter. CARACALLA M ACNVR B FcX
nere tratto da duo ti- gni. PLAVTILLA.
FA VSTINA. La Ve io4 venere La Venere
chei Greci chiamorno Afroditi ,i Latini 1 hanno detta Dea di
bcllcza,&di gencratione,nata(fec6 do i Poeti)dclla fchiuma del
marerEt Cicerone nel libro della Natura de gli Dei,parlado di i n i.
Venere, dice che Tempio di l’vna fu figliuola del Cielo,& di
Giouc,&haucre vifto il eMc* hi o tempio in Elide: l’altra vfeita
della fchiuma del mare: la terza di Gioue& Dione moglie di
Volcano:& la quar ta Siriaca di Siro nominato Allarte,chc fu quella
mari-J D*r vene* tat ‘™l bello Adonc.MaPlatone nel fuo Conuiuio
hàpo re fecondo fto due Venere, vna cclefteche incita
gl’huominialbuo vintone. no amorc> & l’altra terrena che gli muouc
al piacererdi- cendo chela prima fenza madre fu figliuola del
CicIo,& venere uc- 1^ altradi Dione &diGioue:Iaquale 1
Fenicijvenerauo- ne rata Tcnicij. ta
dai no afiai, per cflere (lata moglie d’ Adone, & Adone nato nel
pacic loro, onde in memoria della mortedi quello
lamentandoli lefaccuono facrificio:le quali fàuololc opinioni &
fu perftitioni lanciando tutte in dietro, ven- ghiamoà vedere come fenfa
laVcttoriala dipinfcCe- fare Dittatore nellefue medaglie.
ARGENTO GIVLIO CESARE. Et
ne ANTICio* Et ne i rouelci delle medaglie d’argento di Cefa
re mi - norc,fi veggono due Cupidi condurre il carro di Vene- corrodi ut
re volando, & lei che ticncabbracciato il fuofccttro con 11,.
lo d 4 duo lettere che dicono, lvc n ivli lvcii filii.
cupidi. Gl VL. CESARE. ARGENTO.
AVGVSTO. ARGENTO. Auguftodipoi dedicò à
Giulio Celare il tempio di Tempio di Venere Genitrice, coli adorata da i
Romani, &alla qua- j' n ' rede ' le haucua Cefarc fatto vn bullo di
perle, le quali (come A u g u ji 0 fcriue Plinio nel libro xxx vi. dell
Hilloria naturategli Ctfurt, haueua portate d’Inghilterra, hauendo prima
farrofa- bricarla detta figura diVenere Genitrice da Archefi-
lào:& per la fretta di dedicarla,non fi fendo potuta for- nire, coll
imperfetta la collocò nel mezzo del fuo Foro. AVGVSTO CES
ANT I- NOVS. Tempio £ fAntinoo
magnifico e di fiotto da Adriano, fopra il Ni lo.
Taufania in Arta£ck. Io non hareì altrimenti qui
fcritto d’ Antinoo , quali tunqucHadriano Imperatore lo faccflegià
deificare, fc 10 non mi forti per forte ritrouate due fue medaglie,
che 11 detto Imper.fcce battere in honoredi quello, doppo
chcei fu morto, accompagnando Hadriano nellafuapc regrinationc fopra al
Nilo:il quale non cotento di que- llo, & doppo haucrlo pianto molti
giorni, gli fece edifi- care vn tempio, &vno altare, con vna Città
chiamata dal fuo nome,douc meflè faccrdoti & Flamini per farti
làcrificio:&in Arcadia nella Città di Mantinea feccfir milmcntc
vn’altro tempio celebratiflìmo, con ftatuc ne igynnafij,& per tutta
la Città fono nome di Dionifio, come narra Paufania.EtpcriI rouefeio
dvnamcdaglia ch’io mi trouoncllcmanijè riprefentato il tempio ma-
gnifico eh Hadrianp fece edificare fopra il Nilo in fuo honore,&
adornare & arricchire di belle ftatue& indagini, con talcinfcrittione, AAPiANos
okoaomhìen, che voi dire, adrianvs constrvxit, frdifottoil
tempio de gl’Antichi romani. tempio è
vnCrocodilo, animale particolare del fiume Nilo, nel quale mori
Antinoo. MEDAGLIONE GRECO CANTI NO O. k
MEDAGLIONE GRECO D-ANTINOO. Antmoo tu Ma
nell'altra fua medaglia fi vede vn giouane di Biti toin b iti- n i a Ji
marauigliofa bellezza con lettere Greche che dico nO,OZTIAlOZ
MAPKEAA02 O IEPETt TOT AN * » or. & dall’altro lato, t 012
axaioxx an e ©hke , cioè , HOSTILIVS MARCELLVS SACERDOS ANTIN0I
acheis dic avit , & nel rouefeio della medaglia c il eauJb
fcolpito il cauallo Pcgafo,& Mercurio con i talari & il regdfo.
Caduceo. DAGLIONE GRE D'ANTJNOO.
Fina i °9 Finalmente per l'intera cognitionc de i
templi antichi, quanto alla religione io ne ho farti ritrarre 1 1 1 i.qui
di lotto, de quali pcreflère le medaglie logore, non ho potuto tirare
(enfo alcuno. CL. NERONE. TITO. BRONZO.
BRONZO. SEVERO. bronzo. bronzo. L’ vicini
o di quelli quartro templi,fattoin forma ron VESTA - da,parequafi limile
à quello di Velia tanto riuerira da r Romani, per ripofare là dentro
Iaftatuadi Mi nenia, fta- ta portata, da T roia:& la quale era in
tanta vencrationc O no Tempio di
Pace abbru ciato. DELLA RELIGIONE che mai huomo non
l’haucua vida.Nondimeno quado abbrucici il tempio della Pace, il fuoco
s’appicò anchora à qucfto,onde le vergini Vedali prefo il Palladio, &
con cdo paflandoperla via facra, lofaluornofìno al palagio
dcirimpcratorcj&vcdefi il Tuo ritrattone irouefei del- le medaglie di
Vcfpafiano,& di Giulia Pia, che non è altroche vna piccola datua di
PaIlas,con l’hadainvna mano, & nell’altra vno brocchiere.
VESPASIANO. GIVLIA PIA. ARGENTO. ARGENTO. CLAVDIO VESPASIANO. ARGENTO
BRONZO. Fedo DEGL'ANTICHI ROMANI. in Fccionogl’antichi
quello tempio di Vefta informa Tempio di tonda, llimando che tale Dea
folTe la terra, & il primo fu Numaà corniciarlo per addolcire, lòtto
Ipctie direligione, la ferocità de Tuoi fuggetti. EVINTO
ARGENTO. NERONE. ORO. VESPASIANO.
ORO. ~ L’entrata dfq nello tempio era vietata à
gl’liuomini, comeànoi hoggiquclla deMunilleridcIIc nollre Mo- ^
nache già (late riformate :& il numero delle Vertali fu drOcvrfia-
ncl principio mi.&dipoiv i.& coli durò lungarni nte, w - O
‘ z mi come mollrano le medaglie di Fauftina , &
di Lucilla^ ùiu'vr/lì nc ^ c c I ua ^ fi vede il loro modo di
facrificare,con i loro li. vefti menti bianchi.chia mari dai Latini
Sufftul* , lun- ghetti & quadrati , tanto che le ne potcuono
coprire la iella, & Maflìma tralalrrefcome farebbe tra le noftrc
la BadefTa)hauere come prima il fympulo (vafo ordinato peri
facrificij)in mano, & l’altra innanzi alci, chela ri- guardaci
turibulo in mano Umilmente detto ^cerradi Latini, col quale(facendoalIa
Dcafacrificio)dà lo incen- do alla Dea fopra all’altare, dipinto inficmc
concila nel modo che fi vede. '-'FAVSTINA: medaglione
di BRONZO. LV CILLA. Augmcntornocoltcmpo quelle
Vertali fino al nume fiali orditi* ro di vcnth&bifognaua per edere
Monache cheellefof tt al [imi- £ no natc Ji padre libero non feruo,
vergini, & lènza ma fta. 1 Vt ~ cula alcuna nella loro pcrfona,&
d’età di Tei anni fino à dieci, nel qual tempo era loro infegnato 1 vfo
del facrifi- care,comc moflra la medaglia di Fauftina, netta quale
fi vede la piccola Vellalc riceuuta dentro al Munifleroda
quale zi 3 quale à capo d’altri X. anni faceua
làcrificio , & ncl- l’vltimo della fua vecchiezza inlègnaua all'altre
que- fiomedefimo,con qucftaconditionc,chcinxxx. anni vajffti io. fi
poceuonomaritare,quatunquc(pcrquellochc filcg- jj IHp p 0 u ge^tutte
quelle che cxercitorno quella vita, furono sfor uano mari - lunate &.
capitorno male. Etpcrchedi fopra habbiamo ttrc ‘ detto che la principale
di Ioro,cioè la Badeffa fu da i Ro mani chiamata Maflìma : noi prouerremo
quello per due Epitaffi antichi fiati ritrouati à Roma nel noftro
tempo ,1’vno de i quali comincia, &fornilcc in quello modo.
Epitaffio di Fiatila Manilla U e fiale. FL. MANI LI AE
V V. MAXIMAE, CV1VS EGREG1AM SANCTIMONIAM ET VENERABILEM MORVM
D1SC1PLLNAM INDEOS QVOQ. PERVIGILEM ADMINISTRATIONEM SENATVSLAVDANDO COMPROBAV1T
AEM1LIVS FRATER ET RVFINVS FRATER ET FLAV1I SILVANVS ET H IR E N E
V S SOROR 1 S FILII A' MILITUS OB EXIMIAM ERGA SE l’IETATEM PRAESTANTIAM
Q Epitaffio di Claudia Elia Claudiana ZJ e fiale. CL. AE LI AE
CLAVDIANAE V V. MAX. RELI- GIOS1SSIMAE BENLGN1SS1MAE Q. CVIVS RITVS
ET PLENAM SACRORVM ERGA DEOS ADMINISTRATIONEM VRBIS AE- TERNAE LA V
DIBVS SS. COMPROBATA OCTAVIA HONORATA V V. D1V1NIS ADMON1TIONIBVS SEMPER PROVECTA. Erano
quelle vergini Veftali hauute in grandilfima vcnerationcdal popolo
Romano, come fi vede nelquin veneranoto libro della prima Deca, di Tito
Liuio, douc èferitto wrfoUv* c b c rincontrandole vna volta à piede
Albino huomopo fiali. polare,comadòalla moglie & a i figliuoli di
Icéderedel carro, perfarui fiilircfopra levcftali: &quefto
aueniua pcrlarfucrcnzachc i Romani portali ono al fuoco pcr- fuoco
per - p Ctuo ,che ledette Monache tcncuono Tempre accefo,d pttU °'
qualcfe per dilgratialafciauonofpegncrc, elle erano dal gran
Pontefice acerbamcte caftigare,quantunquc ogni r inoiutio- annofoflTcda
loro rinouato,quafi nel modo che foglia- ne del fuoco mofarenoidcl gran
cero di Pafqua.Su l’altare degli He U fitto fan brei fimilmcntcftaua Tempre
il lumeaccefo,fignifican- no in anno . do che le grafie di Dio Ita no
Tempre per gl'huominiap- parecchiatc tanto di dì, che di notte:&
nella miftica Tco logia de gl’antichi Verta non fignificaua altroché
fuoco, ilquale(comedicc Furnuto) perche nel Tuo continouo mouimcnto
per le medefimo non genera nulla,però era dalle vernini guardato : &i
Poeti anchora (parlandodi fuoco. Vefta)l’hanno Tempre prefa & intefa
in qucfto fcnlo,co- me fi vede in Ouidio,quando ci dice,
’Nectu aliud "vejlam ejuampuram intelligejlammdm, ‘Natdque de
fiamma, corpora nulla. vides. Iure igìtur virgo e[,(jua [emina
nulla remittìt, *tiec capirà comires virginitatis amar,
dciic’vc- Anzi furono quelle Veftali in tata auroriti,chelpcf-
flali. Co pacificornoinficmeil Popolo Romano nelle guerre
ciuili:& ho ollèruato io che,quado entrauono la prima Lt ve fiali
volta in Muniftero fi tofauono, come anchora hoggi fan togate. no ] c
Monache noftre: ne era loro permelTo di lafciarfi piu DE GL’
ANTICHI ROMANI. più crefcereicapegIi,comcfi vede in Plinio , quando
al xvi.Iibro dcH’Hiftorianaturale fcriue: Antiquior lothos efiejua
C<t pillata dicìtur,quoniam xirginum Uejìalium ad ea capillus
defertur.\\ vitto loro vfciuadal publico, & durò quella vfanza (ino
al tépodiTeodalio Imp.chriftiano, al quale mandorno iGécilhuomini Romani
Symmaco Patritio per ambalciacorc fìnoà Milano (doue all’hora
faceua refideza il detto Impcratore^pregandolodi con- fcruarc i priuilegi
alle loro Vertali, acciò che elle potelfi- no cflèguire i teliamoti
&lafciati ftati loro fatti da diucr Ce pcrfone,però che i loro beni
potcuono cflcrc tali, che di quello che farebbe auanzato loro, harebbono
potu- to aiutare molte pouere pcrfonc,& guardare che aliai di
loro nonfoflero andate mendicando per Roma, & po- tendo giouare
anchora à iforerticri.Nondimcnofu tan to in quello
roftinationedcH’Imperatore,che Symma- co non potette ottenere il
defiderio Tuo, ne del Popolo Romano:& cofì fumo tolte alle Vertali
tutte l’entrate, di che egli dolédofl nella fua oratione,dice limili
parole: Honorauerat lex parentum TJejlales virgines,ac minitlros
Deorum vittu modico, iu fi fijue priudegmfijtt muneris huius integriti
yfque ad degentres trapelerai. Soggiugnen- do più baffo. : Sequura ejl
hoc fames puhlica , & Jf>em prouinciarum omnium me fi agra
decepit,. 'Non fìtnt hac "pitia terrarum , nihil imput ernia aufiu ,
nec rubigofe - getibus ohfuit , nec auena frugei necauit. Sacrilegio
annus exaruit. Ne cefi enim fiit perire omnibus quod religioni- bus
negabatur. Quid tale proauipertulerunt,cum religtonum miniftros honor
publicus pafeeretì A' i quali argu menti rifpofe poi affai bene
Prudentio,moftrando che innan* O 4 ir 5 Le
Veftali haue ujno lor vitto dal publico. Teodofìo
imp. Cbri- ftiano. Symmaco patritio am bafi.
Amba f. di Symmaco nulla . Aifrojìa
de Prudcntioi Symmaco- zi che il Palladio, ncVcfta , ne lari,
ne Dei penati follerò itati portaci àRoma,ilportod’Hoftiacra
picnodinaui- li carichi digrano,i granai pieni iìmilmétc,&
tanta gran de abbondanza di viueri erano in Roma,chc neiTunofo
reitiero che vi venifle per vederci giuochi Circciì,non morì di
famc,& che fc tal volta la terra iterile non ren- derla le biade in
abbondanza, naiceuaqueito,ò per cagio Trudtntio. ne dcH'aria.ò per
altri accidenti naturali, il cheanchora meglio dichiara nel principio del
iuo libro fecondo, do- ue dice parlando contro àSymmaco:
Ultima legati defitta dolore querela ejl , ! Palladiu quod
farra focu,vel quod fip'u ipfs U irgimbm } caìlifque torti alimenta
negentur. h XJeJlales foluù faudenturfumptibus ignei.
Doppo laqualc rifpoitadcicriucndo la vita & modi ho- nciti
delle vergini Vertali, dice in quello modo: Qua nunc Oefalis fu
virginità tu bone fot, 2)ifcutiam,qua lege regat decus omne
pudori*. kA c primum parua teneri i capiuntur in annis, lAnte
Voluntati* propria, quam libera feda Laude pudiciria feruens,(Q amore
Deorum, 1 tifa maritandi condemnat vincala fexus.
Captiutts pudor ingrata addicitur arit , ‘Nec contenta perir
miferisfed adempta voluptas , Corporii intatti meni non intatta
tene tur. ’Necrequies dar uri Ila torli , quii ut innuba
cacum ZJulnuiy&' amiffat fujjnratfoemina redat.
Tum,quianon totum JJ>es falua interfeit ignem, Nam refdes
quandoquefaccs adolere licebir, Feda Dtfcrizione
della ui ■ ta delle Ve fiali. FeJldrjue decrepiti s
offendere flammea canti Tempore prafcripto, membra intemerata retjuirens
, Tandem virgineam fajlidit Zdejìa feneBam, 2)um rhalamit
habilis timuit Vigor, irrita nuUns Foecundauit amor materno vifcera par
tu , Tdubir anta veterana [acro perfunBa labore ,
2)efertisejue foca, tjuibus ejl famulata tuuentus, Transfert emerita* ad
f ultra iugalia rugar, Z)ifcit &• in gelido noua nupra
repefcere leBo. Intere a dum torta vagos ligat infula crine
s, Fataléfjue adoler primas innupta facerdos, Fertur per
mediai vt publica pompa platea t. Rilento refdens, molli scejue ore
reteBo Imputar attonita virgo ffeBabilis Vrbi: Inde ad
concejfum cauea pudoralmus expers Sanguina, it pietas hominum vifura
cruento s Congrejfu, morte fjue,^d vulnera Vendita pajlu Spellatura
facris oculisfed & illa Verendis, Vittarum infignU phalerufuiturtjue
lanifis. 0 tenerum mirimene animarne onfurgit ad iBus, Et
tjuoties viBorferrum iugulo inferir ,illd T)elicias ait effe
fuas,peBufe]ue incentri TJirgo mode fi a iubet conuerfo pollice
rampi, *He lateat pars ‘itila anima vitalibus ima girini
impreffd dum palpitar enfe fecutor. Hoc illud mentum efl,tjuod
continuare feruntur Excubiat, Lari] prò maiejlate palati],
Quod redimane viram populi.procertimaue falutem, ‘Perfundunr quia
colla comis bene, Voi bene cingane Tempora taniolrsjtf litia crinibue
addane. 9 5 p ompa iti le V filali
nel tempo di Pruden- ti. Di qual ma feria
fabri- cauono gli antichi le imagini. p aufania
in Arcadie if. \A uite è mtn fugget ta à
corro- sione. U8 Et quia fubterhumum lujlrales
rejlibus Ombrìi In fldmmam tuguUnt pecuJes,&' murmurc
mifeent. Quello c tutto quello che Prudentio fcriue della fuper
(licione & pompa delle Vertali , che acconcic lafciua- mente andauono
fopra i loro cocchi, o carrette à vede- re tutte le felle St giuochi
cheli faceuono ne i circhi & Amfiteatri & (oltre à quello che fi
conuienc all’habi- to,& l’animo pio de i religiofi)pigliauono piacere
di vedere i gladiatori combattere con le beftic feroci, &
ammazare le pcrfone,ondc Prudentio nella fine de ver- fi fopradetti
priega l'Imperatore di tor via coli fatti fpettacoli crudeli, dicendo in
quello modo, Te precor ^ Aufonij T)ux ^Auguftifìme regni,
TJtum trifie ftcrttm tube *s ,yt exter a rolli. Hauendo à
baftanza fcritto de templi, & nomi de gli Dei & Dee de gl’antichi
Romani ,rcfta à vedere, & faperela materia della quale ei fabricauono
le imagini Sellarne loro. Qucfteerano (come IcriucPaufania) dc-
bano,d’arcipreflb,di cedro, di quercia, di loto,di milacc, & di
boflolo , anchora che Teofrafto vi aggiunga la radice deU’vliuo per le
ftatue minori, & Plinio la vitc^ quando ci dice dhauere veduto nella
Città di Polo- nia il fimulacro antichiflìmo di Gioue fatto di legno
di vite : la quale cofa io crederrei facilmente potere effere fiata
vera , confiderato che Ce gl‘antichi eleggeuono i fopradetti legnami,
come quelli che durauono aflai, la vite fenza dubbio, è quella che è men
fuggetta alla cor- rozionc,ficome fi è villo per diuerfe fperienze,
quan- tunque la ftatua di Mercurio in Arcadia non forte fatta
d’alcuno de i fopradetti legnami , ma di quello che c chiama
zip chiamato Thya,& da Homcro Troìetbes ; la fpctic del rhya.
quale è limile aH’arcipreflb di rami, di foglie, d'odore & di
frutto,&comcfcriueTcofrafto, tenuto in pregio per l’odore tra tutti
quelli, che nafeono nella contrada di Cyrcne,foggiugnendo che della Tua
radice fi faccuo- no anchora mille intagli & cofc pretiofe. Vfiirono
fi Gli antichi milmcntc gl’antichi di fare ftatue di cera & di falc,
onde u b aron ? di non è molto tempo che in vna grotta prefloà Volterra i
magni & nefurno alcune ritrouatc, fi come anchora fi trouano
molte cole antiche di vetro, tra le quali io ho vn vafo fatto in forma
della teftad’vn Moro, & ripieno il fondo di certa compofitionc
anticaglie fa molto di buono, il qualccon molti altri fu trouatogiànel
Delfinaroin ca- la del fignore della Motta, che ne fece prefente alla
buo- na memoriadi Monfignore d’Orliens. Adopcrorno ol- tre à quello
gl’antichi nelle imagini loro, l’oro, l’argcto, il bronzo,il ferro, lo
llagno,il piombo, l’auorio, &ìater ra grafia detta arzilla,
accompagnandole permaggiorc ornamento de iloro templi, di pietre
pretiolè, & final- mente fi feruirono d’ogni forte di marmi, portati
dilon tani paefi. Dal quale ragionamento venendo al modo
&ordinedelorofacerdoti,&facrificij,dircmo cheque- f^dlu Ili fumo
diuerfi,comeil maggiore,& minore Pontefice, Romani. Flamini,
&Archiflamini, che tcneuono i primi ordini fagri:gl’Auguri per
gl’vccelli:i Salijper Marte, & altri preti particulari (quali
come i noftri Canonici) che fur- r rr lì 1 • i i Sacerdoti no afiegnati alla
memoria de loro Imperatori, da poi che Augnati» egl'erano fiati
deificati, come gl’Auguftali d’Augufto, gl’Heluiani d'Heluio,gr
Antoniani d'Antonino, gl’Au - TulTiìanU rcliani d’ Aurelio, & i
Fauftiniani di Faufiina , tutti oidi- f*»fiinia- na nati per la
religione, pietà, & fàntità, la quale Cicerone interpreta per la
fciéza d’adorare i loro Dei, ò più rollo demonij,& per fare
facrificij, cerimonie fagre,dedicatio-
n',confasrationi,(uppIicarioni,proccflìoni, voti &altre loro vane
pompe diaboliche, & vane fupcrllitioni. Sicrrdotio
ic i futi Amili. QUffto fi- enfi do è detto
da Li tini. Ambir tuli fieri. 2) e s^t Cervo ti
1 et fz^ti Ornali elei facrificio chiamato isi mheruale
. Omolofuil primo inuentorc di quello ordinc,8c dicreare il
primo facerdotc per i facrificij publici intorno alle terrc,&
al- le biade , acciochc elle crcfccffino in maggiore
abbondanza , pigliando per infegna vna corona, ògirlanda di fpighe,
legata con vn cintolo bianco, ne palfauono il numerodi xn. Quelli
cofì fatti faccrdoti,&il modo del loro facrificio era tale. Il primo
di quelli facerdoti accompagnato da tutti graltri,&r coronato d’vna
girlandadi quercia , cantando le Iodi di Cerere con vna troia,© vna vacca
pregna cir- cundaua tre voltci campi pieni di biade, & doppo
ha- uerebeuto del vino,& del latte innanzi che fegarc le
biade/acrificauaà Cerere la troia, ò la vacca. Et il pa-
ftorcvolendoalficurarcilfuo belliame dalla rogna & da tutte altre
malattie, gli fpruzaua prima 1 acqua fopra, &di poifatta
vnafaccellinad’aIloro,& di fauina mefeo- lata con zolfo
I’acccndeua,& tre volte circondando il Tuo belliame con certi verlì
facri Io profumaua,facrifi- candoneH’vltimo vna torta di miglio, & di
latte alla Dea Pale,auocata dei pallori, credendo in quello modo
rende , in rendere ficuro( come e detto) il Tuo
gregge da tutti quanti i mali. ~1d E q L‘ V g V X I, ET Z>
E U lor dignità. Verta fpetie di religione fu portata à Ro-
cicerone ma & inlegnata da i Tolcani , la quale A»g»re.
Cicerone (per eflèrc flato di quefto or- dinc^ Icriue nel libro della
Natura de rate di prò gli Dei, 8i doue egli hi parlato de Diin-
^tf^aiKo natione,cllerc fiata tanto venerata da Romaniche non mani.
harebbono mai fatto, ne deliberato cofa alcuna dentro o fuora di Roma,che
prima non haueflìno prefo l’Au- gurio. Anzi venne quella dignità in tale
riputatione, rifpetro allhonorc & vtile , che ne riceucuono
quelli eh erano Auguri,che i primi Romani cercauono d’en- trare in
quefto laccrdotio, come fi vede per le medaglie di Pompeo, &di Ccfarc
Dittatore, che vi mcllèanchora M. Antonio & Lepido, nelle quali fi
troua il lituo(bafto- m. Anio- ne torto & limile alpaftoralcdeinoftri
vclcoui^ilfym- pulo,i 1 cappelloni vafo,&i pulcini , tutte infegne
che moftrano la dignità &cofe necclfaric à quefto officio.
IL LI * « IL L 1 TU 0, S USTORI B UV- gurale
degli antichi Romani. GIVLIO CESARE. POMPEO.
argento. a r r. f. n t o. M. AVR.
zz 5 M. AVR. ANTONINO, ET AEL. VERO. RESTI T.
ARGENTO. ARGENTO. ARGENTO. M. ANTONIO. ARGENTO.
ARGENTO. Erano Nuwfro de gli Auguri.
Auguratorio. jJtuoJbajlo ne Augurale. zi 4 Erano
in quello Collegio degli Auguri tre nel principio diputati,àcaufia delle
treTribu,&di poi quattro comeficriueHalicarnalèo. Madomandando il
popolo col tempo che quello numero folle crclciuto, ve nefuro no
aggiunti cinque della Plebe & mi. Patri tij, & coll continouò
dipoi femprequeftavfanza di noueinterpre- ti de gli Dei fino alla fine.
Il luogo, nel qualcfipiglia- uono gl’Augurijieraà modod’vn tempio, douc
l’Au- guratore ftaua àlcdcrccon latclla velata, & il Lituo in
mano,col quale fegnaua 1 quattro angoli del ciclo, eficn- do veftito
d’vna verta doppia, & lunga,tintain Scarlat- to, &chiamata Lena,
o Trabea da i Latini, come fi vede nelle medaglie di M. Antonio ,
con tale infcrizione, MARCVS ANTONIVS LVCII FILIVS MARCI NEPOS,
AVGVR 1MPERATOR T E R T 1 V M. Et in vn’altra fi vede la terta del Sole ,
con tali parole abbrcuiatc,TRlVMViR REIPVBLICAE consti. TVENDAE
CONSVL DESIGNATVS ITE R VM ET TERTIVM: & figurate con altre di
LcntuloSpin- ter,nel modo che fi vede qui di fiotto. m.
anto"n ia ARGENTO. Lcntu
LENTVLO SPINTE R.. ARGENTO. ARGENTO. Ec
per venire alla conclùfione di quanto io voglio vtjtidift- fcriuerc de
gl’Augurij, io metterò qui dinanzi la. figura a»*
ritrattadVnàmedagliad’argétod’AuguJfto, nella quale SUuU ' fi veggono
ifacerdoti conlorovcfti lunghe, & il fimpu I . lo , & lituo in
mano x tutti inrtrumenti accomodati alla loro religione,
• -V P • H] k
i fi Wc ite • xXrGygt ET SACERDOTI. CHE.
PORTANO L'Vfitt- gnt tltld religioni per mejlrdr U fitti. Quanto
all’augurio de Galletti , & del loro beccare, onde gl’Aurpici de i
Romani folcuono pigiare l’augu- rio, & giudicare delle
cofefuture,anchora che io ne hab- bia ragionato qui difopra,&chciociò
ftimicofa ridicu la, vana & piena di fuperftitionc, io nondimeno non
ho voluto mancare per fatisfatione del lettore & de gli amatori
delle buone lettere di moftrarne qui Ja.prefen- te figura.
P a FiayK^f È ITA ATT A Dt-LL c/f JUXD^GtliA D'iAM-
gmtt iiJU.Lef ìit rriummrt. I Romani hcbbcro in tale venerationc i
lacerdoti drepolli allo Aufpicio, che ei fondauono tutto il loro
giuditiodcllccolcaucnire & di quello che doucuono fare,(opra il
beccare de polli, non cominciando alcuna imprefa che prima non hauclTìno
prefo quello augu- rio,ncl quale fé vedeu ono beccarli allegra
mentc,piglia *uonotalcofaperbuonfcgno,&lcalrrimentiaccadcua, ne de
ro- non faccuono in quel giorno cola alcuna. L’huomo, che baueua la
cura di quelli polli, li chiama ua pvll a • Rio, & la gabbia, ò
Hia douc erano rinchinlì, cavea tVL l aria, fatta nella medelìma forma
diqucliachclì vede di marmo nella loggia del palagio dei Cardinale
Cclìsin Roma,accompagnara d’vn bcllilHmo epitaffio pollo qui di Lotto nel
modo chefegue, wt I. 0 ST1U *P ZJ L L
ria, ritratta <Tì>n marmo antico in Roma . M. POMPEIO M. F. ANI
ASPRO LEG. XV. APOLLlNAR.> COH. III. PR. PRIMOP. LEG. III.
CYREN PRAEF. CASTR. LEG. XV. VICTR. ATIMETVS LIO.
PVLLAR1VS FECIT ET SIBI ET M. POMPEIO M. F. ET C1NCIAE
COL. ASPRO SATVRNINAE , FILIO SVO ET VXORI SVAE M. POMPEIO M. F COL. ASPRO FILIO
MINGRI U.varro. 1 fdctrioti differenti
fecondo le dijferentìt de gli Dij. Ornamen- to del
fla- mine Dia- le. Del Flamine Diale. Sacerdoti di
Giouc& di Marte fumo ora- dinari, & chiamati Flamini da
Numa Pompilio: onde Varrone nel libro della Lingua Latina
dicc,chcgrantichi hebbe- ro tanti Flamini j. quanti haueuono Difc
come il Diale di Gioue,il Marnale di Marte, il Quiri- nale di Romolo, il
Volcanale dì V òlcano, & molti altri alla differenza de noltri che
noi chiamiauono Vcfcoui, Archiuefcoui, Patriarchi, Cardinali. Mail
Senatodipoi ordinò anchora Flamini à ^'Imperatori diati da
loro deificati-come gl’Auguftali per Augufto,& gl’ Antoni- ni
per Antoninoctra quali il Diale era meglio vellico de gl'altri, &
haucua la fua Tedia d’auorio, ordinata loia- mente per i Magiftfaci,
&il Flamine lolo portauail cap- pello biancojfcnza.il quale non gli
era lecito vfeire fuo- ra dicafa- CAP .«. z)i
CAPPELLO DEL FLAMINE ritratto et i>n fregio antico di marmo eh e
in /Lorna. De Sali], Ra tutti quelli faccrdoti ne fece
Numa anchorax 1 1. chiamati Salij,da i Etiti Io Icnni,che ei
faccuorio ne i loro facrificij. Et dipoi Tulio Hbftilro gli crebbe
infì- noà x xiiil & di x x 1 1 n. alla fine flir- tanti che
feciono vngran Collegio^, ne potcuono cfleredi quello ordine le non
quelli, che non haueuo- no padre ne madre. Di quelli Icriué Tito
Liuio, egli andauono cantando & ballando per mezzo la Ara- ba,
& cantando veri! Saliarij n<*l melodi Marzo porra- uono in mano lo
feudo célerte 1 chiamato , zHncilè ì in ho- norc di Marte, come lìvedeDtr
le medaglie d’Àu’truAn <^efaxe,& d’Antonino nmm
Poi» pii infittiti iSalif. Tutto fillio. Anale,
jcu- ànrrltM* 1 AVG. CESARE. ARGENTO. ANT.
PIO. BRONZO. totani*- L’acconciatura di quelli Salijcra
vna velie honorc- turddis*- uo I Cj di calore pagonazzo, con vna celata
in capo,& quando ballauono pcrcoteuono i loro feudi con vna
daga,o pugnale che portauonoin mano. Uj, <
Sdendoti tbumeti Epuloni.
2>e \ij. h uomini Epuloni. Er quanto fi è potuto
conofccre, quello ordine d’Epuloni era vna fpetie di faccr-
doti,trouatida i Pontefici ppr ordinare! conuicichei Romani
faccuono,cclebran do le fede de i loro Dij, annuntiando il giorno
nel quale fi doueua fare la cena di Gioue:doucfc per fortuna accadcua che
la folcnnità non foflcintcra- mcnte oflcruata,con ledebite cerimonie, ci
lo diccuono à i Pontefici, che rimediauono à tutto ; quantunque i i
lutili*. GrccigHchiamaflbno piuto{ltì»^«f«, cioè,faccrdoti di buon tem
po, che fare facnficio à i loro Dij. L. CAL xjj L.
CALDO SEPTEMVIR EPVLONE. ARGENTO. Vedeli la
memoria di coftuianchorahoggi in Roma Vir<tm ^ e • 1 _ | \ c ' c
* . . , ittica che per le paroleinragliarcin vna Guglia, o Piramide
di mar fìutdcint *■ jno quadrata, che fono tali, opvs a bsolvtvm D i E _
«irto*. BVS CxXX. EX TBSTAM. C. CORNELII TRIB. pleb.
septemviri epvlon v m> le quali interpreta* tc voltano dire,ch'ella fu
fatta in ex xx. giorni per tc> ftamenro di Caio Cornelio,Tribuno della
plebe, & del numero di quelli v 1 1. Epuloni, moftrando l’autorità
& portanza che egli haucuono con limili parole, tv c ivs
CALDVS SEPTEMVIR EPVtONVM. De due y cl xv. huomini.
Tarquino fumo ordinati due mini per fare fieri
ficiorà quali ne agg Zeftio & Licinio Tribù olì fletterò lino à
temp Sylla,chc veneaggiunfcv.altri lcuan donc duciamo che in tutto
furnox v.lacerdoci fulamcn M buoni- tc:l’officio de quali era d» leggere
& interpretare i librila- P 3 mento il tm.
— J»< tf- cri; oSibilIini:&rifpondcre &
consigliare al popolo Romano tutte le cole dubbiofcj affiftcndoiifacrif icijd'A*
pollo.romcmoftra il Tri podeftampato nelle medaglie di Vitcllio & di
Velpafiano con lettere che dicono» qvindecim vir sacris fAc ivndis.
\ VITELLIO. VESPASIANOTli '* ARGENTO. ARGENTO. Del gran
‘Pontefice. Ra tutti i Pontefici creaci da Numa nc fu fatto
vno più grande degl altri,il qua* lecol tempo venne in tanta
riputatone chenonpoteua eflerne alcuno fenonSe t l cttione Ba^aa a
natorc,& cofi m orendo glabri Pontefici drigri fon minori
ncelcggeuonovn’altro.come fanno hoggi i nc *É“cZ* ftri Cardinali vn Papa.
Haueua quello gran Pontefice 5 cura delle eofc Sagre, coli priuatc come
publiche» delle cerimonie, prodigi], rnortorijjd’intcrpretarc le cofc
diui? hp.u * nc,fegnare,{criucrc accomandarci qualialtari&r Dij
fi * doucuono fare i facrificij : & Sopra tutto. por mente 8t ■
’ prohibire a x J5
prohibirc che nuoue vfanze non entragno in Roma
perdifturbatc,o corrompere le cerimoniedclla loro pri ma
religione & loro Dij : della quale autorità ha ferino non ricette-
Cicerone nel Po ratio ne che fece per conto della fua prò U0 "‘ 0n 0tte
pria cala in quello modo» Cum multa, diuimtusfponnfi- cerimonie
ces.amaiorilms no (lri« inuenta arane inftirura fune, rum mini rt
^~ , . , J v , , 1 . / _ 1 gwnr. praclanns quam quod
)>o; @T religioni bui Deorum immorta- lium , (g) flemma
Xeipuhlica pratjfe \>oluerunt,'vt ampi fimi clarifiimi Citte;
ReipuMicabene gerendo , ‘Pontifico s reli- gione; fapienttr interpretando
, Rempuilicam conferttarenr. Laonde per meglio inoltrare la lua
autorità & dignità chcgl’antichi (timauono tanta, eiportaua vn
cappello, fatto nel modo che lì vede per le medaglie di Celare Die
tatore in compagnia del fimpulo& lettereche dicono, ^fg^UnPò
CAESAR IM0ERATOR PONTIFEX MAXIMVS. All teficc. chora che in
altre medaglie fi vegghino la tazza, il cappcl lo, il limpulo,&: il
lituo , come proprie infegne del gran Pontefice. GIVL.
CESARE. ARGENTO argento li „
Non ottante quello fi veggono anchora affai meglio cappella ^
quelle inlègnc della religione, & cappello del gran Potè u$xT ° ^ ce
nc » fregi di marmo , che fono in Roma {colpite in quello
modo. .MM CAPPELLO 2) E L ‘Pontefice.
confetta- La confccratione di quello Pontefice è tanto ridicu- tione dipo
la & llrana,che ella merita d’efièrc tutta interamente di- “rldentio.
mollrata nel medefimo modo che l’hà ferina Pruden- tio:il quale dice che
quello Pontefice nel fuo habito P5- tificale,con la miccra in tc(la,&
la velie alzata entraoain vna foflà,fopra la quale era vn pótedi legno
tutto bue- cato,douc dal Victimario era condotto vn toro ornato
Horr Mi tutro fi° r * > & d’oroin torno alcapo , che il detto coa-
ctto,& del fangue co fi caldo che n’v • cr i bufehi del
ponte,cra il detto Pon teficc cerimonie
ductorctcriuanelp Mti - feiua & trapclaua
p Cenativi loridi. il tordo di *
litato libo. *37 teficc tutto imbrattato con
fregartene gl’occhi 3 gI’orec- chUclabia & la bocca, & coll
vfeendo fu ora coli fpor- cho & brutto,& molto terribile a
riguardare, era da tut- to il popolo falutato & adorato. L’altre
cerimonie , fatte per i piccoliPontcfici,Flamini,Archiflamini &
albera- no i conuiti magnificamente apparecchiati, de quali hi
jfcritro Macrobio dicendo, che all'entrare della Cenale tifici, prime
viuande prefentate erano fpinofi di mare, dipoi s P ino fì & peloridi
& fpondili,fpetic di nicchi , o chiocciole mari- spo ^ c p* ne,&
tordi,chc i Romani ftimorno cofi dilicato cibo, che venuti in
tauolalafciauono ogni altra viuanda , & pc^trouarli mcgliori nel
tempo d'Auguftogli riempie- uono dentro di più buòne cofe. Dipoi
feruiuòno fpara- gi con vna gallina grafia, oingraflàta àpoda, la
quale vfanza leuò via pcrleggc & bando publico Caio Annio
cjjoAmifa Eannio, volendo che le galline fi mangiaflero,comc elle
ramo. erano trouatc,dclmodode iquai conuiti chivuole an- chorapiù
àpieno vederne lniftoria, legga Varrone & ColumcIla,doucegli
infognano tutti i modi della gola. Doppo quelle colè veniuono
piatti d’oftrighe, peloridi, che ci chiama , Salanos nigros ffialbos,
fpondilos&gly- BaUnL comandas,fpetie di nicchi & d'altri pefei
che non fi pof- fano (non fendo in vfo) altrimenti dichiarare al nortro
BeccafiebU tepo, bcccafichi, colombcllc,vn’arifta di porco, cingialc,
rorpórj . capretti, bcccafichi impattati, po!ipi,oporpori et murici «i
[angue del (angue de quali gPantichi faccuono lo fcarlatto , &
de quali fcriuédo Seneca nella prima Epiftoladel x 1 1 1 1. libro dice ,
marauigliandofi della gola degli huomini, O quanteforti di Conchili
portati di lontani paefi pallazfcUmatti noper loftomacodell’huqmo,chclbno
ben poucri d’in
Seneca. gegno. gegno, &dilgratiati poi che maggiore hanno
lappemo che il ventre .El fccòdo piatto era d’vna teda di cinguia-
Ic,vn piatto di pelei fritti nella padella: vn piatto di Som- sommta.
mataj f atta delie poppe d'vna troia, che haucflTc figliato
frclcamente,lequali erano (limate tanto migliori quan- to più erano piene
di latte. Doppo quelle leruiuonoi petti dcH'anitre
faluatiche,ccrucllid’animali Jeifi , lepri, vani detta molti vccelli
arroftiti,con pani della Marca d’Ancona, ^Ancona. * quali fifaccuo no di
farina ftcmpcrata noue giorni ncl^ latifana,oalica,&poiarroftica con zibibbo
in vna pen- tlinio. toladi terra dentro alfornoja quale (come dice
Plinio) non fi poteua poi altrimenti disfarete mangiare fc non meda
nel lattc,o nell’acqua & nel mclIe.Et taleerail mo do del cenare
& l’apparecchio delle viuandede Pontefi- ci, ripiene d’vn fi grande
numero di viuande mefeokte. 2) e fi cerdoti ^ugttjldli^ di
loro collegio* I berlo Celare fu quello chccrcò prima,
il collegio defàccrdoti Augullalijdoppò Ihauerc edificato vn ten^io ad
Augu- ro, che C,. Caligu la co nfiigrò dipoi ap- porne fi
vede rUerio c» fare fondi glihngyfU
predo la morte di Tiberio per la fua medaglia di bronzo..CESARE.
CALIGVLA. BRONZO. BRONZO. Scriuc Strabono nell in.Iibro della
Tua Geografia che Tempio à LyoncdoucilRodano&laSona fi congiungono
in- * A w* ficmc ,fu fatto vn altare, &vn tempio doppo la morte
’^yoM? d’Augufto,&quiui porta vnaftatua da tutte JcProuin- cic
della Francia, la quale cofa m’hà fatto penfitre che quello
poteflèeflereilluogOjdoucchoggilaBadiad’Ai- colonne di né,rifpctto alle
gran colonne di getto che vi fi veggono w dentro:&quiui penfcrei io
che folle fiato il collegio de i faccrdoti Auguftali, come chiaramente
dimoftra vna pietra antica di marmo, eh e fi vede nella chiefa delle Mo
nache di S. Pietro, in Lyonc, IO VI O. M. (VADCINNIVS VRBId FIL. MARTINVS
SEQ. SACER.DOS ROM AE ET A VG. AD ARAM AD CONFLV ENTES
ARA. RIS ET RHODANI FLAMEN ff. V 1 R IN CIVITATE
SE QJ/AN OR VM. Ter Per il (opra (cricco epitaffio (ì
conofcc , che non Co Ia- menccàRoma&àLyonc,mapcr tutto il
mondodoppo la morte d'Auguflogli furono edificati templi, dcrizati
a ^ CiU ' con vn collegio di Sacerdoti detti Stxtum-'vir't^iu Ut.
gujlalesjin honored’Auguflo, comcanchora fi vedein vna pietra fcritta
alla porta di S.Giufto in Lyone,in que- llo modo, D. M.
C AL VISI AE VBRICAE ET MEMORI AE S A N C TISSI MAE P.
POMPONIVS GEME LLl N VS limi. VIR AVG. LVGD. À CONIVGI
CARISSIMAE ET INCOMPARABILI POS VIT. Tranquillo Quello
collegio de gl’ Augurali venne col tempo in sagio gA tanto credito,
che( fecondo che fcriuc Tranquillo) Scr- ba A«gW * gj 0 G a lb a innanzi
che fode Imperatore, vi. volleencrare dentro, & fu
riceuutotraifàcerdoti Auguflali ,de quali inficmecol Scflumuiratohaucndo
àbaflanzafcritto,& maffime neh n.libr.delle mie Antichità di
Roraacócro all’oppenione dclI’Alciato nelm. libro.del Codice, &
moftroqual’era rautoritàdc Decurioni,&comeei dona
uono&diftribuiuono quelli offici) perle Prouincic,tor nero à parlare
della Cittàdi Lyone,la quale doppo ede- re data popolata daPlanco per
ordine del Senato Ro- mano, paflò di grandezza, di magnificenza, & di
richez- za tutte raltrcterrcdelmondo,rifpettoallefierc& traffi-
chi che fempre fono flati in edà fatti , come ^iùi I Ugo io ho moflro ne
detti mici libri dell’Antichità di Roma, cdcndoobligatodi pagare quello
debito alla mia patria. De Aleuto.
lodi della Città di Lyooe. X 2) e
Sacerdoti di Cy Itele Madre degli Dei. Sacerdoti di quella dea fumo detti
Gal- li^ Archigalio il maggiore di loro:i qua li nel principio
della primaucra (come recita Herodiano)vfauonoogn’anno fa re
vnagran fella in honoredi quella, por il lìmulacro.o ftatua della,
acompngnato dalle più prctiolè cole, che haueuono in cala, come vali
riccamente lauorati d’oro & d’argento, elfendo permef- foà ogniuno di
traucllirlì & vcltirlì in che modoglipia- ccua celebrando quella
fella,la quale chiamarono Me- galejìa&ioè, maggiore di tutte lai tre.
Quella fu folcnne- mcntc già fatta da Com modo Impalipoi che
cghhcbbc (campato dallacongiurationedi Materno, & fattoli ta-
gliare la tella, però che clTo Commodo volendo ringra- tiare la dea del
pericolo paflàto,portò egli medelìmo tue tele reliquicdi quella, & il
popolo fecegrandi/Tima alle- grezza & diuerlì giuochiper la falutc
del Principe, chia- mandoli Seteria, cioè,facrifìcij di falutc:dcllc
quali ceri- monie chi vuole più largamente fapere, legga ilxxix.
libro delle Decadi di Liuio.Vedclì adunque che l’officio di tutti quelli
faccrdoti non era altro che fare facrificio à i loro demonij più rollo
che Dij,inlIcmecon procef- fìoni& orationi, oringratiamenti di
qualche vetroria hauuta, opcr mitigare l’ira dclcielo : portando
innanzi il lìmulacro di Giouc,& fu per i canti delle vie pofando-
lo fopra certi altari,quafì comc noi hoggi vlìamo di fa • re per lafèlla
del corpo di Chrillo,anchora che non con uenga quelle vere & lecite à
quelle falfc & profane ceri- ci Calli, Sacer doli di Cy-
bele. Tejla in ho nore di <jne /la Dea.
MrgalcfU. Sacrificio di falutc d't to
Sotcria. Tifo Limo. Qual tra l'officio d'i
faccrdoti. Cofiumi de gli antichi guardati in
trancio. Ordine del le procreo ni degli
an- tichi. Nel I-libr. degli F ajli. monic
aflomigliare.Et à quello propofito io mi ricordo hauere veduta vna
medaglia di Dominano, nel rouclcio della quale era vna proceflìone fatta
da i Romani,do- uc fi vedeuono innanzi à tutti i fanciulli chetici, &
poi i fiiccrdoti più vecchi in habito, & getto dicaminarei
tutti con vna girlanda in tcfta.in mano vn ramo d’allo; ro,&
l’Imperatore ncll’vltimo, vettito di (carlatro:onde none dubbio alcuno
che i prieghi, l'offerte, i voti,i facri- ficij,& l'orationi fono i
mezzi, per i quali s’arriuaàgl’o-, recchi di Dio: quello che afiai bene
haferitto Ouidio quando ei dice, Fleti itur ir ar ut 'voce
rogante Deut. Sape Iouem \idi,cum fetta mietere pellet
Fulmina, th ur e dato fujlinuijjemanttm. L’orationeha tanta forza,fccondo
Pittagora,chc media te quella fiorirono tutte falere virtù, & ella
conduce l’huomo infino al cielo, eflendo fatta con fede inuerfo
Dio.il quale c quello che ci fa forti contro àtutte le pafi*. fioni&r
dilgratie humane,rifufcitandoinnoi Iafpcran- za che faremo difefi da
lui,&per mezzo dcH’orationcfà remo ripieni di carità con animo di
correggerci de no- ftri errori, &nó tornare piùà peccare,
comchabbiamo fatto per il pattato, trouàdoci tanto fortificati.che cofi
fa cilmentenon potremo piùcrrarc:Sc finalmente delibe- rando di
viueregiuftamentc, & accompagnarci con la temperanza con fermo
propofito di vincere tutti gl’tn- fortunijchecipoccttìnoaueniredi Dio,
eflendo ragionc- uole che fotte ringratiato colui,checidaua&dona
tutti i beni, il che non fi può fare per altro mezzo migliore.
fittene, che quello dcll’orationc:ilchc cófcrmò finalmente Pi*
F de loratione fecondo Pit tagora .
cone tonedicendo,chcà l’huomoera ncccflàrio
d’honorarc, & riuerirc Dio,volcndolo hauerc con elfo Iui,&
prolpc murre in rare in ogni atrionc:ondc fi vede che quelli che di que-
;ìfi fto non hanno curarono il più delle volte dilgratiati, ne
damentode fono mai eflauditi da Dio, come per contrario fortunati o
felici tutti coloro che ricorrono à Dio, come moftra Homcrodicendo,
o't « èiriT<i'S»T«i, ixdtut Ti<t>u»r iu-n. Cioè,
coluièeffauditodaDio,cheolIcruaifuoi precetti. colui indi Era
parimente l’officio di quelli fiiccrdou di fare ogni [ 0 he annoi voti
publicidoppoleCalendidi Gennaio, come fuoiprtut- fcnueTacito nelfcfto
libro de fuoi Annali, & Plinio Se *«• condo nel fuo Panegirico,
dicendo che i Romani vfauo atiiom* nodi nominarci voti perl’eternità.
deH'Impcrio , per la rL fanità de Cittadini, & principalmente per Ja
falutc de Principi, che è quello che i Latini propriamente hanno
detto, Nuncupare ìord, facendo facrificij publici : onde 2T* 0 * nafccche
fi trouano lettere diuerfe fcritte in quella for- ma , vota PVBLICA, QVIN
QV ENNAL1A, DECEN- N ALI A, VICENN ALIA, TRICENNALIA, QVADRI*
c e nn a l i a , come fi vede in più medaglie di Impera -
severo geta: ARGENTO. ARGENTO. CRISPO. GIVLIANO.
BRONZO . ARGENTO CONSTANTI NO. GIVLIANO. BRONZO.'
BRONZO. Mallìm/a MAòSIMIANO. DIOCLETlANO. BRONZO.
BRONZO. Faccuanfi quefle cerimonie da ifaccrdoti &? Flami- ni vertici
nel loro habito (accrdotalc alla pri Lenza de- Confoli, Pretori
&Cenfori, che pigliauono il votopubli cp innanzi à tutto il popolo
Romano. CARAC ALL A. bronzo MEDAGLIONE
DI CR tSPINA. ' Tutti iM agi tirati di
poifaceuonofcriuerequeftLvo ìuotiferit- ri in vn marmo>o in vna tauola
di ramc.battendo meda wlicchc mollrauono gl’anni domadati per
ricominciar- uolc di t *■ li,cio<ì di cinque in cinque anni, di x.di
xx.di xxx. &tal Wf * Ovolta iniìnoàxL. come moftrano le
medaglieri Maf- fentio & Dccentio,neIlcqualic ferino, votis
qvin- QVENNAL1BYS MVLTiS D E C E NN A LI B VS, ornate di
cappelletti guarniti nella fommitàdel laboro,& intór- no
lettere che dicono, v ictorue do minouvm NOSTRORVM AVCVSTORVM ET
CAESARVM. M ASSENTI O. DECENTI O. BRONZO-
BRONZO. *47 $CUZ> O 7)1 FORM .A oliale gratto del marmo
antico . TERi Etpcr le medaglie d*
Antonino Pio &. di M. Aurelio Ci veggono i voti fatti per zo.anni
conejueftc parole,v ot a syscepta vicennalia,& iUàcerdotc il qual
prò-, metto de render i voti. ; i-
,|K3Kl L'/ * v Ó Q.
4 é MS della religione
FLAVIO Gl VL IO CRISPO ” BRONZO. BRONZO..
Tra l’altrc mie medaglie ione hòdue d’argento l’vna di Valente
& l’altra di Teodono Irap.ne rouefei delle, voti# jo. fi veggono i
voti di xxx.&2fxxx.anni,conrimagi tir 4 m ne di Roma à
federe,chc tiene vn globo io mano con la croce difopra , lignificando
[imperio de principi Chri- ftiani. VALENTE. TEODOSIO.
Quello elici faccrdotidomandauonoin quelli voti inliemecol
popolosa lunghezza di vita per gl’impe- ratori. Ronwiù
w lor uoti,<ì gli Dei. a*? ratori ,
ficurtà dell’Imperio , la grandezza della cala de cfcr donni i
i.Principi,la fortezza delleflercito^a fidelità del Sena- <<4 " 4no
' to,la bontà del popolosa pace del mondo, & Iavctto- ria
contro à nimici,comc li vede per le medaglie polle quidi fopra,doue
habbiamo villo, vie tori a domi- NORVM NOSTROR VM AVGVSTORVM ET
CAE- s a r v m, in maniera che quelli voti hanno durato infi-
no àhogg’,&fubito che i Romani erano giunti al ter- mine di elfi, di
nuouo ringratiauono Dio,& (come fcri- uc Plinio Secondo à
Traiano)faceuono altari con facri p /&„•„ $ f _ ficij, balli, fede
& conuiti, dimando opera rcligiofa & pia,quello che piu torto fi
doucua profano Si empio KO manintt giudicare, poi che egli haueuono
licenzadi fare ogni ma ringratù - lcicon ciò fia infino che negli
Anfiteatri i carcerieri correuòno per il circo, le bertic feroci erano
ammaza- noti «iu- te, i gladiatori sbranati, & gli Imperatori faliti
lopra vn piut, ‘ palco ragionauono di dare la Mancia ai-popolo , che
fdtrimnti gridaua ad alta voce, c<w ?~ Denofins dnnu
dugedt ubi I uff iter dnnos. Latino, cr Et mentre che fi faceuono
quelli voti, il Pontefice era tramo di - vcftito d’vna verta lina tutta
bianca, & lunga fino ài piedijfignificando la fermezza d’vna
rifplendcnte virtù: za. & de gli altriiàcerdoti chi cantaua
hymni &peani,chi fonaua flauti, chi la lira, o la ceterajn tanto che
il mini- ftrodcl facrificio tcneua vn bue,& vn’alcro detto
vitti- roario lammazaua,comc fi potrà vedere nelle Meda- glie di
Dominano, & di Geta per la cclebrarionc de i cMtuu* loro giuochi,
& fcfte feculari. ™ bi 5 ri.
» ■ -enfe- r*b% tljrm 4 FtGVRA
ritratta ht* gmochifeciLm d\yt*g*fb. iiiiiii
DOMITIANO ANT. GETA BRONZO.
BRONZO. domiti ano: BRONZO. BRONZÒ.
Facendoli quelli facrificij , tutto il popolo in Geme
con l lmperatorc fi inginocchiaua.&adorauono i loro
fallì Dij,come lì vede nelle mcdagliedi Dominano. DOMI
Sagrauono nmilmcntc le imagini de i loro Dij > non firn* togli per
amore di quelle (come dice Platone) ma perche elle fomigliauono le deità
di quelli, come noi hoggi figuria- mo le no(lre,& tral’altrc cofc
venerauono affai la faetta di Gioueffimaginedellaqualccra confagràta dal
gran d! UtoZ Pontefice, (limando che per quella via il popolo
&lc fiumi!*» biade farebbono accurati dalla tempefta del ciclo,
co- 4i Romam. me fa vc dcpcr le medaglie qui di fotto. AVGVSTO! A N
T. P 1 0~ A’ que ijj A' quello mcdcfimo effetto
quello che i Cetili oflci> ùauono& crcdcuono nella loro
fupcrftitiofa religione, noi l’vfiamo hoggi nella conlàcrationcdcllc
noftrc cam Confacra- panc, (limando che fonate caccino il mal tempo, fi
co- me egli vfauono ilfalc,l’acqua&gli cflorcifmi,pcnfan • do
che cacciafiìno i cattiui (piriti d intorno à i luoghi, & à le
perfone:ondcio mi marauiglio grandemente che tanti begli ingegni, &
valorofi faui,& prudenti huomi- ni, come fumo i Romani, penlàflino
((appendo la licen tiofa& dishonefta vita di Gioue) che egli hauefle
forza La uta 4 di tonare, danneggiare, mandare laette, & beneficare
le ^ iou * co le humanc,chiamandolo Ottimo, Mafiìmo & Omni
potente , & perche più torto non crcdefiìnodi poi che Chrifto era già
nato di molto tempo, che come illoro Efculapiojchci fcciono volare al
cielo per forza, non hrrtligio. poteflè più torto Giefu Chrifto hauere
rifulcitato i mor- • ti,& che ci folTc figliuolo d’vna vergine,
come ei diceuo - no che vergine era Verta &madrc de gli Dei, &
chcno- ftro Signore haueua alluminato vn cicco, come egli af-
fermauono hauere veduto fare quello medefimo mi- racolo à Vcfpafiano in
Alertandria.Ma tutta quella in- credulità nafceua dal demonio che
gl’accccaua. Ha- ucndo aliai à balla nzaoflcruato & Icritto de
l’ordine di quelli facerdoti,facrificij & voti , i quali erano
anchora, che fecondo lefortune che egli haueuono (campate & la
qualità de voti fatti, egli appicauono alle mura de haucr t /Um templi le
tauole,douc erano dipinti tutti i cali, fi come pato qual - hoggi fi
coftuma in Fiorenza, & in molte altre chicfe f . he ca f°
d'Italia,ondcHoratio fcriflc; Fortiuw. Me rnr
qual ca gioitegli ut fichi facri * ficomo.
Cerimonie del ftcrifi- ciò. Moti. Plinio
nel 17. libr.de tHifioria tutur. N«n»M fa- cùfico
il primo 4 Dio, fecon- do il diredi Plinio.
Microbio. Virgilio. purgatione degli anti-
chi con l'oc qua ffiarfa. Jrfe tabula facer ZJ attua paria
indicai h umida Sufj>endiJJe potenti ZJefimenta maria Dee.
Refla à vedere tutte le cerimonie & inftrumcnti vfad da
glantichi ne i loro làcrificij,i quali fc alcuno mi do- mandali! perche
erano fatti, rifponderei per tre cofc. La prima,pcr honore di
Diod’altraper vtilcdel faccrdote, che impetrauafanitàper il
Principc,& per il popoIo;co- mc cofa più prctiofa tra l’altre, &
la terza , per doman- dare perdono à Dio dcgl’crrori commcflì,
pregandolo di volere fanarc l’alma inferma. Era adunque il princi-
pio di quello facrificio che il prete innanzi, che ammaz- zare la
bcflia,lcmcttcua fui capo , o Culla fronte della farina, dell’orzo
arroflito,& del fale tutti mcfcolati in- ficine, la quale millura gl
antichi chiamorono Mola, come fi vede in Plinio, quando ei dice, che Numa
fu il primo chcfacrificò à Dio col grano, & lo pregò con la
mola falatarnondimeno innanzi che fàcrificareil faccr- dote fi
lauaua,& quando volcua folamcntc rappacifi- care l'ira de gli Dei,o
rallegrarli fi gettaua l'acqua fopra» come fcriuc Macrobio,& Vcrgilio
parlando di Didone apparecchiata per fare facrificio,
^yfnnam,cara mihi nutrixfuc fi fi e fororem. Die corpus
properet fluuialifargere lympha. Etaltroue quando il detto Poeta
parla della fèpoltura di Mifeno,ci moftra come gl’ailìilenti al
facrificio erano purgati dal facerdote con l’acqua fparfa convn
ramo d’vliuo,o d’alloro nel modo chefeguev Idem ter focios pura
circumtulit inda, Spar $pdrgen$rortleHÌ,(èfr rtmoftlicìi
olia*, _ \ Mai Romani di jjoì in luogo di quelli rami vfarono
vn’afperge, limile a quella che fi colliima hoggi nelle nollre chicle,
come li vede in più medaglie & fregi an- tichi che fono à Romaà
quello modo.Quelta alperge llaua ncll’acqua,douc prima era /la- ro
fpcntovn torchio accerojchchaueuaferuiro al làcri- ficiofu l’altare.
Et di qui nacque l’acqua di Mercurio . predo alla porta Appia,della quale
via ua il popolo Ro" « £££ manoinuocando Mercurio, & penfando
coli fcanccl- s ^ rr fi i ~ Ure i peccati leggieri & fpccialmcnre la
fede rotta , & le ‘ÌZ bugic.Oltrc a quello ho olléruato che
gl’antichi driza- uono innanzi ài loro templi vna Pila magnifica,
douc del continouo teneuonol’acqua, con la quale li tocca- uono
prima che entrare nel tempio per fare fa orificio. A
%}( ‘PILLjl T 1 2t sAT DEL ' marmo antico.
I !» ir Vfauonodi poi
vn’altro vafctto minore & portatile. li con acqua, limile à quello
che portano anchora hoggi uà nelle chicfc & fuora i noftri
preti. 1 1 Fi g V a sin ir
tot tf VI 257 FigVK^l 2)'
UK VASETTO portàtile a tenere l acqua [aera. Ma
gl’Hebrcià l’entrare de loro templi vfauonovn Tind gran vafo fatto in
forma di Tina, chiamato da i Latini altrimenti lal>rum ì del quale i
facerdoti che andauono per (acrilica- re pigliando dell’acqua lì lauauono
le mani,& i piedi, & il modo di volendola benedire vi gittauono
dentro le cenere della f ar l ac ì u4 vittima arfa,& di quella con vn
ramo d’hifopo bagna- degli h «- uonogl’alfiftenti, benché io ho
ofleruatoche nella fine trfi * de loro facrifìcij, quando il fuoco era
per mancare, vi gittauono fopra certe fcheggicdi cedro, hifopo , &
co- rnino, & della cenere diqucfte tre cofefaceuono l’acqua
facra.Douec danotarcchein tutti i facrifìcij antichi lì rrèfortidi
trouauono tre forti di purgationi,cioè di pino, di zolfo, pmrgationi
& d’acqua, quello che conferma Plinio nel vi. libro quando ei dice
che la teda, o vero pino tra tutti gl’albc- ri, che fanno la ragia, è
molto grato per il fuo fuoco nei R i5 8 vrodo.
facrificij. Del zolfo (come dice Proclo) vfarono i faccr- doticon 1 alphalto
o bitume, & acqua di mare nelle loro purificationi,pcrchc il zolfo
per l’acutezzadcf fuo odo- zoìfo. ^ re ha forza di purificare.Et Plinio
/criue che il zolfo è buonoalla religione &per purgare le cafe col
fuo fu- mo. Oltre a quello i fàccrdoti ftauono conrinenri & di-
giunauono prima checntrarc al facrificio,ondc volen- ti»* ^.° ^ uma Pom
P'^° pregare perla ricolta & facrificnre, Tompj&di s aftenne
prima dal mangiare della carne, & dalle don- GiulUno nc. Et Giuliano
Imperarore(fe noi vogliamo crede- spartùno. re a Spaziano) fi contentò
prima che andare al facri- ficio di cenare d’hcrbe & di pere
folamenteicon ciò fia (come dice Porfirio) che l'vfo della carne nuoca
piùto- fto alla fanità chele gioui,confiderato che le
infermità nenzf. afii ' fi N g uarifcon ° benc fpàfo per dieta. Et
cofi per fobrie- ta,pcr carità, & religione debbiamo cercare di
purgare, & nettare l’anima , acciochc ella viua ficura contro ì
ogni pericolo che le poteflè auenirc, cacciando da noi . tutti i
penfierichecipo{ Tonoporrarepregiudicio, &o£ fufcarci 1 ingegno
& la ragione, confiderato che I’aftinenzaguardal huomo di peccare, la
/obrietà fa finge - TauoUfu- gno fottile, &ildigiuno perl’eflèmpiodellatauoIa
/agra bru'dì ri- & ^ 0 ^ r,a ^ e P‘ ta g or,c, >cifa viucrc
lungamente. La legge tagorid. de i Bracmani era tale, che ella non patiua
, che alcuno ugge de entraflè nelloro collegi o,chc non potelfe aftenerfi
dalla diunto i carne, dal vino, & dal peccato. Et le noi porremo
ben hjUncnzi. mente al x xx v. libro di Tito Liuio, noi troueremo
il digiuno c ^ c il digiuno fu oflcruato per «lamichi, quando ei di-
ojjWo ce, che comandando il Senato all’officio de’Dicci huo- Sf anti '
mini di riguardare i libri Sibillini,pcr intendere il /igni-
iìcato d'alca ni prodigaci rilpofono,chc bilognaua di cinque in cinque
anni ordinare i digiuni in honore del- la Dea Cerere. Ma quanto alla
continenza, ella c vtile all’anima &r al corpo,comc inoltrarono
ilaccrdori de- gli Atenielì chiamati Hierofantes , i quali lìcallrauono h
icrofdn* col bere il fugo di la cicuta.Ne balla quello (blamente, Us
‘ che ei bifogna fpogliarlì d’ogni affezione & pallìone
particulare , come dice Cicerone nelle Tue queltioni cicerone Tulculanc,
chiamandole pcllifercmallattie dell’animo: ondeincambio, che gl’antichi
penlauonodilauare con l’acqua i loro peccati , lauiamo noi con la
penitenzai penitenza noltri euori/eguitandoin quella la Temenza di
Seneca. èilueromo in Thiefte,dooc ei dice, t&fi'ì /£ Qutm
poenitet peccajje,pene e/l innocens.. Iute. La quale cofa ci
feruira di vero zolfo , Se vera bitume , Seneta * come Icriflc Ouidio,nel
libro </r Tonto, ouidio. Sape leuant pcenas,ereptd<jue lumia*
reddunt, Cùm bene peccati poenieuijje V idear. Vlauono
anchora gl’antichi rElcmolìna , come ferme Spartiano nella vita
d’Antonino Caracalla, dicendo, s P* rtiano ' 'Nontenaxin Urgitionem , non
lentus in eleemofynam. Ec La limojìn* Homcro narra d’vn giouaneche
s’adira con Anrinoo “ ^P r< \“ Proco, perche egli haucua ingiuriato vn
pouero huo- m tr^gU mo, che gli domandaua la limolala innanzi aH’vfcio R-
0 '"*'"*"»- della Tua cala, inoltrandogli che Diocclclle
lopunireb- *** ** be.E' certo che i laccrdotidc Gentili innanzi che fare
tf*eerdo i i facrifìcio lì confeflauonod’hauereerrato,domandando
(come dice Pitagora & Orfeo) ài loro Dij Tempre cofe facrip.care
giulle,doppo la quale confcdionc publica il preteche u f auAno ld andaua
innanzi & miniltraualecole fagre vfaua di f lr co ^ c P ,onr ‘
R a 2.60 silcntio ne - mili parole, hoc age , per
fare che il popolo tacef- <'ir™ ncl fc,& ftclfc intento à i
facrificij, facccndo fare largo con grf . 7 vna bacchcttaùlqualcfilentioè
neceffario nelle cofcfa- grc,come Icriuc Ver^ilio quando dice,
Hinc fida filtntia fiacris. Non elfendo dubbio alcuno che
ogni bene procede rune ft- d a l poco parlare. Et coli il prete comandaua
fautrtfa- trfto. crù,ò funere linguis , che altro non è (come dice
Fedo) che honafiari, le quali parole io ho vfate latine per
non vfeirefuora de termini antichi circa ài facrificij, maflì- «
inamente che i noftri poethvolcndo dire filentio, vfa- rono aliai quello
\cxbo fiauere. Finalmente quando il -, . prete s’appreflaua all’altare
per facrificare, ei lo trouaua ornato in quello modo,
FigVX^i 2 ) 1 U ^ LT^XE 0 nato de fiefioni,come fi vede nel marmo
antico Menandro. Et il faccrdotc era coronato d’herbe
chiamate ver- verbene. bene, per edere appropriate,& (limate felici
ne i facrifì- cij.Ie quali coglieuono in luoghi fagri : quantunque
noi impropriamente parlando chiamiamo verbene Tallo- ro,Tvliuo,&
la mortine, nondimeno Mcnandro afferma che quello era proprio la mortine
vfata nelle loropurifi cationi infieme col Pcntafìlo,chc noi diciamo
cinque foglie:anzi erano gTantichi d'oppinione che Tvliuo foflè
proprietà albero tanto netto &puro,che fcvna meretrice, o altra
^Muo. femina impudica lo toccaua , o piantaua,non portadè frutto,
& fi fcccadè.Et benché gTantichi ornaffino i lo- ro altari di quede
foglie , pur nondimeno (limauono che ogni Dio haueife la fua hcrba,&
albero particularc: comeGioue Te(cuIo,ch’è vna fpctiedi quercia,
Apollo l’alloro, Minerua Tvliuo, Venere la mortinc,àcaufadel fuo
buono odore,Pan il pino, & gli Dei infernali Tarci- preflò, per non
rimettere mai quefla pianta vna volta f° tagliato tagliata, non più che
vn morto non e buono à nulla: Bacco Tcllera,& Hercolcil popolo
nominato di (opra. veUeraeo- Stimauonoparimentechc ogni loro Dio hauede
vna- * nimale proprio, come Bacco la capra,o ilbecco, perche ogni dìo
I Romani eonfatraro - no ad ogni Dio la
fua berba. Varcipref- ei nuoce alle vigne.
Cerere la troia, perche guadale *» biade, Diana ilceruio & il cane,
Nettunodl cauallo per proprio. le ragioni allegate di
fopra,Fauno,laca^l,Gioue il to- ro, Efculapio il gallo,
& Ifis , Tocha. NclTimmolaré adunque, o (àcrificarc quedi animali, il
Flamine, o fa'- cerdoteera veditod’vna vede di lino bianca,
chiamata da Latini lignificando che la purità e grata
àDio,& perche ogni colà che efee della terra , è nel fuo t fce di
u principiopura & nettadaquaje vfanza c anchora hoggi terra ' m
~ R 3 “ t0 ' Zdi trai noftri preti nella
popa di loro faenfieij, & nel prin cipio che egli entrano all'altare
: & vogliono alcuni che gl'Egittij ne fodero inuctori,vfando le dette
velli ne i fa- crificij d’vn lino detto A^/flWjonde fu detta la vede
Xylin* rUnio. nel modo che lo IcriuePlinionel xvi ni. libro
dell’Hi- cucrone. fLoria naturale. He Cicerone dice nel libro delle
Leggi, che il colore bipco e molto grato à Dio:&r che le vedi
colorate non debbono fcruire le non à gl'huomini di HrfWfo de
guerra:fomma, che quello habito faccrdotalecra fi lun- [kcerdoti
go,ched’ogni parte dracinaua per terra, come lì vede per la prclcnte
figura. SACRIFICIO TIRATO DEL MARMO ARTI, co Ài Jlom*.
Veluuon a * 3 Veftiuonfi ancora quelli faccrdoti d’vna
tonaca dr- pinta,&foprala tonaca vna falcia intorno al petto,
fi comcparlandodiNuma Pompilio ha fcritto Tito Li- uio,dicendo che
ei creò à Giouc vn Flamine Diale per- petuo, vcftillo d’vna bella verte ,
&gli donò la Iella Cu- rulc:& clic oltre à quello ordinò xii.
preti Salij per fa- re lacrificio à Marte, vertendoli d’vna tonaca
dipinta con vna falcia di rame intorno al petto, quali nella ma-
niera che vlàno hoggi i noftri facerdori.ma di feta orna- ta d’argento,
& d’oro, & di piecre pretiofe.Ornolli Umil- mente d’vn cappello
di la nabiàca, chiamato Albogalc- ro,il quale perche à caufa del troppo
caldo non pote- uono Iellate fopportare,fi legauono vn filo intorno
al capo,non ellendo loro lecito d’andare lènza nulla in te-
rta,nondimeno bifognaua che idi delle felle lo portafli- no,pcr moftrare
meglio la dignità facerdotale: oltre à tutte quelle cofe bifognaua che il
facerdore antico ha- uerteil caporafo/ccondoil modo degli Egitti] ,
come fcriuono Herodoto&Plinio,dicendo che altroue i pre- ti
portauonoi capcgli,main Egitto nonronde Com- modo Antonino volendo
portare (come fcriue Lam- pridio)rimagined’Anubi,bifognòchefiradefie il
capo: ia quale cola gl’interpreti della Icrittura (aera , &
mallì- mc S. Hieronimo hanno interpretata che la tefta rafa non
vuole altro lignificare,, che la depofitionc di tutti i penficri &
cofe temporali, & che la corona, ò cherica de ipreti fignificala
corona del cielo. Ma ritornan- do alle cerimonie de noftri facrificij
antichi , dico che quando fi veniua à facri ficare , il facerdore
voltando- li dallaltarc inuerfo il popolo, fi mcttcua la mano al-
R 4 Tonaca do i fateraori. Tito Lir.
MÌO. A Ihogale- royucjlimtn to del fla- mine
Diale* Alfacerdo- te non tra lecito an- dar con
la tefta ignu- da. il facerdo- te antico
baueua la tejta rafa. Commodo fi fece ra- dere il
ca- po. Hieroni- mo. Cherica de
freti. Segno di fi- lmilo. *?4
DELLA RELIGIONE la bocca, lignificandoli il filcntio, quali nel modo che
fi sonatori volgono i preti di noftra religione : nel quale mezzo *
"io. ^ auc ‘ & ^ cctcrc fonauono,i quali flauti ne i facrificij
erano di boflolo : & nelle fede & giuochi fècolari d’àr-
ornamento g cnto > & la vittima paffo à paflo andaua caminando
4riu uitti- verfo l’altare ornata di fiori intorno al capo, & certi
pa- m ' ternoftri dorati, che le penderono dalla punta de corni, efifendo
condotta da i vittimarij mezi vediti d’altre pelli ntn , JU di beftie,chc
egli haueuonogia facrificate, comcmoftra Ouidio dicendo,
-Induraque cornilus auro vaglio. Vittima. EtVergilio,
vlinio. ^ ft atUdm ante ar4S dUrata fronte iuuencum. Quello
che ha confermato Umilmente Plinio , nel xxxiii. libro deH’Hiftoria
naturale, douc ci dice, che non fi penfaua nel fuo tempo ad altra colà
che trouare vna gran bcftia,con le corna doratc,pcr farne honore
& facrificio «à gli Dij immortali nel modo che fi vede qui
difotto. FIG V DE GL ANTICHI ROMANI. is 5
• FiCjVR^ YlrTZrrfZi IdeZ marmo antico, che fi vede in Roma.
Mala viteima minore cheli doneua imolareà qual- i» oUtione
che Dio,era coronata d’vn ramo delle foglie dell albero dedicato arale
Dio,o veramente d’vna falcia di lana, chiamata infula, dalla quale
pendeuonoduc bendedette Tal viti da Greci, & Vitu & a i Latini,
& fe menata all'alta- re Lenza clfcre legara(quantunquc per l’adietro
ella lo fo ledè ellèrcjcome inoltra Iuuenaledicendo, Sei
proctil extenfum perulans <j uatìt hojìia funem.) segni di ella
faccua refiltcza d’accoltarlì , o fi fuggiua,o che per-, colla gridaua,o
cadcua da vn’altro lato che quello, che lime de ro dilègnauono i Romanici
pélauono quello cllere mal- mani • R 5 Virgilio
. 1 Vittima ri j dowrjli- t duerno le
bejUcperle vittime. Tranquil- lo. Audacia
di Ceftre. Btfticpiù utili ithuo
a<r<? ‘l’augurio,# illacrificio non grato à gli Dij, nondimeno non
lafciauonod’ammazzarlaful luogo medcfìmo,do- ue era fopragiunta, come per
contrario,pigliauonoin bcne/c pacientcmente ella afpcrtaua il
colporqucllo che ha moftro Vcrgilio in quel verfo,chc dice.
Et duElus cornu Jldbit fteer bircus dJ dir dm. & Hadriano
Imperatore nelle fuc medaglie. MED. GRECA D’HAD~RIANO.
BRONZO. BRONZO
Dipoi per ouuiare à quefli dubbi) , Scnondiftur- barei {acri
fìcij,ordinorno gli antichi i vittimarij à polla, che domellicauono le beftie, &
coli facilmente le conduceuonoaH‘altare:quantunque Celare del
fuggire, o non fuggire della vittima(come lèriucTraquilh
faceflèconto,&non IalcialTedi combattere doue rione lì prefentaua :
anzi fumo gl’antichi in quelli, riolì , che prima che itnolare vna
bcftia.la poneuo mentedaleapo lino ài piedi, accioche ella folle
fènz "^ , ~ula,& coli pcnfauonodouerc cflerc molto piùgra-
Ioro Dij.Etfurono le vittime vfatedai Romani,!* ;a,la troiani bue,
&la capra,comebellicpiù man- fuece z6
7 fuctc& facili à condurre douc l’huomo vuole, & an- no,
trono cho come beftìe più vtili alla vira dcH’huomo, con ciò lìache
le pecore danno il latte & la lana, & i buoi lauora- p t u e de
«- noia terra , & del jfelo delle capre gl’antichi faccuono ft
roniin feltri per la pioggia, & delle pelle dccaftroni cucite in- v ^
0 ‘* , ^ oUd ficme , i foldati mantelli perla guerra.Et coli
nelprin cipio del facrificio illàcerdotc Romano veniua all’al- tare
velato Scoronato d’alloro in compagnia del coro di fanciulli^ fonatori di
flauti & di ccrere.che fonauo- no&cantauono,come moftralaprefcnte
medaglia di Longino Triumuiro. ti Romani perla
gu nr ra. LONGINO TRIVMVIRO.
ARGENTO. ARGENTO. Oltre àqueflo non farebbe parfo
interamente buo- no ilfacrificiOjfc illaccrdore non haueflè tenuta la
ma- no fu l’altare , come ha moftro Vergilio nel 4. dell’ Ac-
vtrgilio. neid.doueei dice: Talli ut orantem JiBis ardfijue
tenentem ’ * ^duJtit omniporens. Volta
soltuono i Voltaua Umilmente il iàcerdotc il vifo all’Oriente
nel g^Umt P rc g arc gli Di j, -fida mattina di buon’hora,
{limando titutxr f*- gl’antichi che quello folle il tempo proprio, nel
quale gli ucrfrorié- Dci lecndeuono nel tempio perricctiere & vdirc i
prie* te. ghi,& voti di queflo
&dic]ucllo:Ia<]uaIev{anzahabbia Forano, moritenutaanchora noi
ncllanoflra Rcligione:& Por- fino ha voluto che le ftatue &
entrate de templi fiano tutte volte aH’OrientCjConforme in
<juc{lo(feben miri- cordo)con Vitru uio. ' FiqLm^t
TlTt^T^l Z> L- la colonna di Traiano. tifine 1
Doppo quello il facerdote pigliaua tra le corna della vittima del pelo,
& lo gitrauafoprail fuoco accelo, nel modo che ha fcritto Vergilio
quando dice. Et fummat carpens mediti inter comua feto*»
Jgnibta imponitfacris. La quale fuffumigatione fatta con
altre di frutti & biade primaticcie, chiamate dai Greci come fi
vede per la prelènte figura. i Co
Virgilio . Fl^VR^A T> E COLTURE, don erano
polle le primicie ftj fruttijnnanzi cine facrifìcafiino.
Gl’antichi penfauono quelto cflcreaugurio di futura fertilità,
rendendo gratic à gli Dij d’cflcrc arriuati in vn tempo più ciuile,&
più bcllo,nel quale in cambio di ghi ande & d’orzo potcuono mangiare
viuande più dili- catc. I granelli di quello orzo mclcolati con Tale (
Sic mifcel a 7 o Cerche mef tnifìellam inteìligunt
Oraci ex hordeo, & f*le> mar eri am ) Ronuni f- fichiamauono
Ole&cUle,\ quali coli magiauonagl'an- orzo con il tichi,prima che
folle in vfo il macinare. Ne vi mefcola- rt ficrifi- uono *1 P cr h
fertilità, eflcfndo cola (Ieri le, nc manco àj. per ringratiaregli
Dij,ma perche lo Rimarono vn lega- Uftlcriprc mc £ f e£ , no d’amicitia ,
& di qui nafceua che innanzi à game dumi gl hofti&aglamici
liprclentaua il (ale prima che tutte citu. l’altrccofè, volendo /igni
ficare la fermezza dcH’amici- tia,& moltrarechecomedi più acque
fijfavn corpofo- Iidò(quajc c il (ale)cofi della volontà di più perfone
fi genera vna perfetta concordia & amicitia. il medefimo
faccrdote d ipoi gittaua tra le corna della vittima la mola, & verfaua del
vino,comehà moftroVergilio, douc ei dice. Simbolo di
ucraamici- tu. Mola. Vrobatione -Frontone inuergit
vinafacerdos. della uitti - lignificando per quello che la vittima
era crcfciuta in di ma " gnitàr&ancho lo faceuonopcr prouarc
fecllahaucua paura , {limando che lenza la mola il ficrificio non
era . . grato à i loro Dij:&: il vino era portato in vn vafo
detto l 0 . Prcfcriculo,per vnodei miniflridel lacnficio,nclmodo
chcfe ne veggono à Roma invìi marmo antico. VUSO VUSO,
Tinnirò DEL M^tR- mo antico-, chiamato ^ref inculo.
Ma innanzi che il prete fpargefleil vinofu la tcftadel- Ia
vittima, eil’aflàggiauacoì/ìmpulojchceravnaltro pie s imputo.
colovafo , fatto nel modo che fi vede qui difotto,& ri- tratto
da diuerfi marmi & medaglie antiche. SI MTV LI TIRATI D‘V
2ST fregio dntico cine in Roma. Ne man
t 7 i i Ro»Mn{ Ne manco fi faceuono quelli fiicrificij fenza
fuoco, il non fucrifi- q Ua J c era dilegnc (ceche porte fu l'altarc,fi
come vfiamo ““fuoco, anchora hoggi ne i noftri facrificij (non per
ouuiareallc tcnebre,ma per moftrarc nell’adoratione fegno di gioia)
& come fi vede per il candeliere de gl’antichi, fatto in quella
forma, CERVELL ERE, RITRUT- to del nurmo
antico. Lclegnedel detto facrificiononpoteuonoc/Ièred’v- téttiu o
tu- liuo,d’alIoro,ne di quercia, perche gl’antichi ftimauono *’"*•
che tutti quelli alberi faceflìnocattiuoaugurio:& quan- fidccold il
do il facerdote racccndcua,pigliaua vna fiaccola di pi- P in0 \ • no
guardando bene di non errare fecondo l’ordine delle Cerimonie ’o ,
• i , i i< -t primdch oc loro cerimonie antiche ,doppo le quali
il prete toccaua eiderUuit- | a k e ftj aC0 n vn coltello, dalla iella
per infino allacoda, yergìlìo, come ha moftro Virgilio, douc dice»
Et V 273
(. -Et tempora ferro ' Stimma notar pecudum.
Comandando dipoi al vittimano di mettere i coltelli fo pra alla
bcftia,come dinuouo ha inoltrato Virgilio qua do dice,
Supponunr alif cultros , Et di qui c nato che gl’antichi
diceuono mattare, cioè crefccre,percotcndo la viteima con vn maglio/atto
nel modochefi vede qui difotto, MAGLIO ET SCURE
con quali ammazzinone le Vittime. Non era
lecito à i miniftri di percuotere la vittima» ^ fé il faccrdote non
Io comandaua;gI habiti de quali per i mnìjbi cflerc differenti , mi è
parfo inoltrarne la figura qui di- d, ff eTtnte >
(beco. FICfV'R^l Z>’ l MJlslJSTXJ del facrifdo,
ritratta del marmo antico. Et tutti quelli ch’andauono
innanzi 1 . grand jfacrifì cijdicenro buoi, chiamati Hecntombc,ciòè
trombet ti, fonatori di flauti, o dicorni, & quei chcconduccuo
no le vittime , óccheporrauono i vali, Se altre cofe ne ceflaric per il
ficrificio, èrano differen temerne corona ti, 6i vcftiri *ncl modo che fi
vedc.qui difolto, H eeatobr.
SO no innanzi alle vittime, Quella vittima
era bene fpellbammazata di coltello, colteUochi fubico che il làcerdotc
comandaua di ferirla nella gola, Sf " il quale coltello, chiamato
Seeejpira, era limile à quello ritratto da i marmi & fregi antichi ,
che fi veggono in Roma. S a ■v zf? Wf i
<K1 / X r z J ! qjj ^ L 1 ammazzino le vittime.
Etalcunialtri tcneuonograndillìmi bacini da loro detti difchi,per
riceucre gli inteftini della beftia,Ia forma de quali Ci vede in Italia
& in Francia in molti luoghi fatta à quello modo.
S Tutte quelle colè non erano fatte lènza millerio, con ciò
lìa,chc doppo haucre glatichi lacrificato i buoi, per Mijitrio memoria
del facrificio,& in honorede loro Dij faccuo- no f u I luogo (colpire
1 bacini, &:i tcfchidc buoi, có fcfto* pojitnticni. # . c • . \
| . r, nnntorno.comeinpiulati li vede mgran marmi anti- chi, &
maflìme fopraà gl’archi delle pone di S.Giufto in Lyonc. 2) 1 S CO,
0 2 CI Fregio *7* FX3 q io TTYZTro
Wltm marmo antico eh' è in Lyone. Pelle detto vittima
in- Alcuni alcri,lcQrticatada vittima/accuorio rtietrère
la pclleconl’altreinfegne della religione, dormendo bene fpeffone i
templi fopra le dette pelli, per affettare la ri- religione. fpofta de
iloro Dij,come mollraVerglio, quando dice, y ‘Pellihus ine uh ut t
JlratisJomnofque perirne. S 4 vìD l
UT'' I Giu Etficomeletcftedc buoi erano quiui collocate
per moftrare la pietà & la religione, & tutte le loro
cerimo- nie vfate nei facrificij, colici mctteuonoanchora quelle de
caftroni facrificati,fi come fi vede nel fopradetto fre- gio, onde io ho
fatta ritrarre la prefente figura. a i ,/V'y, '■ ' . ^ x
yfq i8o' /. TESCHIO DEL' TO X q mejfo tra le infegne
della religione.
ito ‘ I Giudei (come fcriue Straberne al vi. libr.)haueuo- i Giudei
no anch’eglino quella vfanza di dormire ne i tcmpli,& di vegliami
dentro , come faccuono i Romani , perche tomcTUo- comehà detto Cicerone,
gli Dei parlano (blamente à mni ' coloro che ei trouano dormendo : la
quale vfiinza (co- me (criucEufebio Panfilo) fu dipoi tolta via daCoftan
E “A bio tino,auertito de i maliche fotto colore di bene fi face-
uono là dentro. ‘PELLE PELLAI VITTIMAI.Vltimamcnte il
fiicerdotefaceuarizarc vna gran ta- uola chiamata EncUhrnjz ome i vafi ,
che fcruiuono per ifacrificij, fumo detti EncUbria, , fopra la quale
faceua porre la vittima (parata percercarcdiligctemente gl’in-
QsoUinte- teftini (quali erano il cuore,iI polmone &il
fegato)con vn coltello di ferro,& cognofcerc fe gli Dei s’erano con-
* tentati del facrificio & pacificatila i Greci (come'
fcri- ue Paufania) appreflo hauere guardati gl’inteftini de Taufaù.
glagnclli, capretti, & vitelli, folcuono predire le cofc ■;.v: - - _
S 5 jl8i della religione officio de
future.EfgrArufpicioflcruauonofolamentclc fiamme t^nelfacri' delfuoco,dal
q ua le era la vittima abbruciata. Hauen- ficio. do i faccrdoti coli bene
effeminati gl’intcftini , faccuo- no diuiderele membra della beftia,
& quelle coperte di farina,& polle in vn paniere, ne faceuono
offerta à c o- lui,chehaueua fatto il fecrificio,&cofì (limauono la
vit- tima pcrfetta.il coItcIlo,col quale era la vittimafquar-
DoUbré tata, fu chiamato Dolabra ‘Pontifici* , fi come Tito Liuio
ponfj/icu, ha nominato quello, col quale fe le tagliaua la gola , Se-
ua,yel a fecando SeceJj>ir*.}Az i coltelli, coni quali s’am-
mazzauonoi piccoli animali, fumo detti Cultrii come ottico nel hàmoftro
Ouidio quando ci dice, il TrJff ‘ ‘PercuJJufque [augnine cultros
form, lnficit. Et de gl abri coltelli che feruiuono alla caccia,
detti Ve- natori) cultriy ha fatto mcntione Tranquillo nella vita
di Claudio, douc ei dice , Reperti eejuejlri ordinuduoin pu- hlico cum
dolane & "venatorio cultro. Solamente i Giudei
Coltelli di nelle loro circuncifioni vfaronoi coltcllidi pietra.
putra per * e™™"' ~SCVRE ET COLTELLA [A N TJ CH ì\
Laltro Ì83 L altro coltello , col quale era
fquartata la vittima, coltelli per era fatto nel modo,che fi vede qui
(otto. uìttim LTXO CO LTE L LO
^ANTICO. Inuitami la diuerfitàdi quelli co!telIi,& per
fare pia- piwr p f j ccreàgl’amatori delle cofe antichc,à riprefentare
quindi de coltelli forco la figura dei coltelli antichi, che i vittimarij
porta- * uono appiccati alla cintura in quello modo.
COL i8 4 della religion e • COTTE L Li CHE
‘PORT^V^'HO w »*» ordinariamente i ZJittìmarij alla cintura.
4 Etfc alcuno purefteflc anchora in dubbio del
mo- do di quelli facrificij, mi è parfo di riprefcntarc qui al
naturale quello che fi è potuto ritrarre della colonna di Traiano à Roma.
. S.JCR 1 Bh>'ob -A. ih' iup 31 l MI 51 ■1141^♦Ha
. ; t pn jnnr. 3 KV)*j f ■ :J. ^ 'ff ’ !:Ì,W MJtll
11 * 03 1 n I : ,obomofbop ni Mina; ; sjbinoàiq ; :
onta* zfy s uc r i fTcTo~~u wr Tcori fxZf ttò
dalla colonna diTr alano. Riguardata la vittima,
& fatto preferite al facrifica- tore di pezzi migliori , il prete gli
faceua abbruciare fu l'altare, quantunque benefpclfo la carne reftaflè i
i fa- ccrdoti doppoil (angue fparfo fu l'alrare,come hi tno- ftro
Vergilio quando ei dice, Sanguinis @r [acri patera*.
Mane gran &crificij .dntida i la vittima h gittaua tutta
intera dentro al fuoco , come hi dimoftroil mcdefimo Poeta dicendo,
Etfolida imponunt taurorum inferra fammi s. La
ittLa quale carne non era coli torto porta dentro a 1
fuo- frtu ì'tc- co, che il prete vifpargcua fopra delì incenfo del
corto, nerliiuen- & altre cole odorifere, che ci pigliaua dentro à
vna caf- fetta detta ^ cetra da i Lati n i,& de noi hoggi Turibulum
, come moftrala predente figura, , t ~ . ~ ‘ d C
S S E TT yA DOVE TEMEVANO ifacerdoti line enfi. W ’ :
il uino in Qucfto iflccnfo,o profummo (comeio penfo) s’ab- ufo ntl fa-
bruciaua per amorzarc il cattiuo odore della carne «rifido, abbruciata,
doppo il quale il facerdote vcrfauadcl vino rane in mag fu l’altare
, & all’hora fi ftimaua fornito il facrifici tono in ma
g LU I aitare , oc auuuia u muuw lumuu n facrificio, gior pregio
quantunque il più perfetto & maggiore era tenuto quel mi Curi - j Q ^
c j lc ^faccuad’vnatroiajd’vn toro,d’vn becco, &d’vn montone, &
appreflo àgl’Ateniefi d’vna troia.d’vn mon- tone & d’vn
toro,chiamatodai Romani Solitaurilia , & fatto da Cenfori ogni
cinqueanni,pcrluftrarc,o purga- re la Città di Roma, come qui lo dimoftra
la figura, "" ■'* “ ' ~ “ SjLCZi nel
facrifi ào . Solitaurilia. SACRIFICIO CHIAMA TO S
0 L 1- taurihajirato dui marmo antico. ~ Qiì e ft ovoca
bolo,folo,dirnoflra laqualirà delfacrU ficio, cioc che egli era perfetto
& intero, conciofia che Solum in lingua T ulca lìgnificaua intero,
come dimoierà . Solum - Tito liuio, chiamando gli ftrali fohferrei,cioè
tutti di T i itoiiuio. ferro.Nel refto & vlrimo de làcrificij i
medclìmi preti apparecchiauono la cena, alla quale era permeilo di Ctnd ^
i trouarfì à ciafcuno, che era flato prelènte aIlacrificio:& preti
Ro- di quel che auanzaua,poteua il facrificarorcportarc & mnu
donare ài parenti, &à gli amici,qualì come li fa nella <
noftra religione hoggi del pane ,che ogni domcnicair
diftri nijlribu- diftribuifce per
Icchicfc.il modo del loro mangiare craj tionejetta nc l tempio ftauono
tutti ritti con certi panetti ton- ati anti * diin mano, mentre che
ficantauono d’altra parte le lo- «*>*• di di Dio , facendo cuocere la
loro carne dentro à vn vafo detto Olld,&. da noi Pentola, nel modo
che da i marmi antichi ella fi vede ritratta qui difotco. •
PENTOLA DOVE 1 S UCÌtl El- ettori ftceuano cuocere Ucarne de li
facrijìcij. Hauendo anchora olìcruato per la icultura
d'vn'al- tro marmo antico, che fi vede fopra la porta della chicia
di Bcauieu ixn. leghe di Lyone.comcdoppo che la vit- tima era fiata pofta
morta lu l’altare, il vittimario fe la caricaua fu le (palle,& la
portaua per metterla in pezzi, & farla cuocere, come fi vede
pcrilgiouane vittima- rio,che porta la pentola & la mcfiola,& il
facrificatorc noUfiU- il paniere douc era la mola falata , però mi è
parlo di u, riprefentarne qui la figura al naturale. r • ~ ■
Eigv 4 > M Me
FiqUR^l T12tUT<st' D'V'N fico eh’ è /opra la porta
de la chiefa di Tcauiett in Seauiolois. . J Cerere
lulus^ per le biadc,di Venere Ereriches,c ioc picn d’amore, & di
Bacco, Dityramhus : benché grimbriachi h yanl de haucuono i loro hynni à
parte, i quali Ariltofanc inXd- ba chiamati *ft**yÌHunct , à caufa che i
Greci chiamano e». 4 >1 tremito de la tefta*p>*a'>irr, &
mangiare & bere J troppo. H ora appreflo à tutte quelle cole,
il prete, liccn- venilio. tiaua ogniuno,comc moftra Vcrgilio, quando
dice, -Dixutjue nouifiirru vtrl> 4 . 1* il fine del
^ et: volendo mollrarccheil facrificio eraforni- fecrifieio.
to,comehoggi anchora fanno i noftri preti alla fine del- la mefla, quando
dicono, ItemiJJa e fi. In quelli templi tra l’altrc era vna Tedia à parte
dinanzi all’altare, perii ^ Principe, o quello che tencua la
giuftitia, intorno ali ai- r tare vn coro, & nel rcfto del
tempio erano portichi Ioggie,doucil popolo lpaflcggiaua,afpcttando che
lì facelle il lacrificio. Et certamente che Te noi mettiamo ogni
induftria & facciamo ogni grande fpela per Tare ^ bei palagi,
&: belle cafe,tanto più douerremo ingegnarci ^ di fare beile chielc,
Scorationi à Dio , per intrattenere Religione co *‘ * a P‘ cta, * a
religione & la mifericordia,come ci hati degli enti-
noinfegnatoCefarc Augufto,Vclpafiano,Ncrua,&M. 'Jf ehi impero
Aurelio, tutti buoni & diuoti Impcratori,pcr quanto li tifarne- vede
nelle loro medaglie, doue fono tutte infegne della gnifiebité- antica
loro religione, nel modo che fi trouano qui di- fottO;
ANTON. A Pf- 2*1 ANTON. PIO. M.
AVRELIO. ARGENTO. ARGENTO. Ma perche gl’ Egitcij fono (lati i primi
, che Icuando Religione gl’occhi in verfo ilcielo,& affifando la
mente nella co- E S‘*' gnitione di Dio.trouorno molte cerimonie, &
modi di religione:pcrò ho giudicato non fuora di propofito , Io
fcriuere qui neH’vlfimo qualche colà di loro: & come penfando che il
Sole & la Luna fodero Dij ,chiamorno quello Ofiris,& quell’altra
Ifis, adorata poi infino à Ro- ^ s ' ma,come fi vede per la infraferitta
mcdaglia,dclla qua- le io ho fcritto altroue adai largamente.
MEDAGLIA DEL CINOCEFALO. ARGENTO. T 2 Et Commodo
Imperatore (come fcriuc Spartiano) hpiiorò molto tra gli altri
facrificij, quello di quella Dea, come fi vede nelU fua medaglia , doue
ella tiene vna sfera in mano, come madre di tutti Parti, & vn
vaio, ovcroamfora piena di Ipighe, lignificando la fertilità
d’Egitto. BRONZO. BRONZO. L’vfanza de gl’Egitij
nell’adorarc i loro Dij,fu nel principio pura &femplice,fenza
effuzione di fanguc, o vfare altra crudeltà, però che egli offeriuono fu
l'altare quei mcdcfimi frutti, che ei magiauono, il che fecio-
noanchora tal voltai Romani, come dimoftra Iaprc- fente figura: &
abbruciando le radici & le foglie infic- mc,guardauonoi frutti
offerti all’altare, pacificando gli Dei celefti col fumo
fidamente. v pinzi fo- gli Egitti/ nelTadora- rt »
loro X>ij. s^Cz/ SACRIFICIO 2)1 FRVTTI
TIRATO del marmo antico di Roma. Scriue Porfirio che in quel primo
tempo non erano Porfirio. invfo ne rincenfo, nc Iamyrra,nc la cannellate
il zol- fine il zafferano, ma l'hcrba verta, la quale moftraua »
la potenza della cerra, & tale facrificio quale fi faccua
propriamente delle herbe fi chiamaua da Greci 5v*t*. Di poi vennero
Hipcrbio & Prometeo che trouorno il Hipfr&io modo di Eterificare
le bclfic,& di conofcere selle erano intere &fane,& il
facrificio grato à gli Disperò chefcil fiacri fi tato- toro rifiuta u a
la farina, o le capre i ceci,chc erano pre- acif ~ (curati loro ,
giudicauono il facrificio ne le beftie edere buono.Dipoi offerirno myrra
&: zafferano, & ndl'vlti- T 3 Cerimonie degli
Egit- ti f, i felli' tarloroDij ld mattina.
Vitruuio. Itore certe per far ora tione,cr
ci tare. P linio. Tacito. Macrobio,
Marcelli- no, Cojlume t Orfeo à far giurare i
forejiitri entrido nel la fua religione. L
ecofebuo ne communicate ima Ugni, perdo nolorripu-
tatione. mofcciono vna vera beccheria dei facrificij loro. L’al-
tre cerimonie de gl’Egittij erano di falutare la mattina i loro Dij,il quale
modo da gl’antichi fu detto adoratio- nc,comc moftra Vitruuio nel in i.
libro della Aia Ar- chitettura,doueci vuole che i templi de gli Dei
fiano prdl'o alle ftrade macftrc:acciochc i paflànti gli pollino
più commodamentc falutare & adorareda quale vfanza pare che habbino
ritenuta i noftri preti,diccndo il mattutino, &terza &feda, comcgr Egirtij
faccuonoorationc la prima, feconda & terza hora, cantando hynni &
altri canti, fitti in laude del loro Dci,& fcritti (come fcriuc
Plinio) ne i loro libri di Rcligione,per figure & caratteri di
beftic,d’vccelli,& d’altre cofe, che Tacito, Macro- bio &
Marcellino chiamano Hycrogliphice , come an- chora fi può vedere ne i
loro obclifci, o vero piramidi & guglie, delle quali ragiona Plinio
al x x x v i. hb.dcl- fHiftoria naturale in quello modo,Gl’intagli,
caratteri, & imagini,chc noi veggiamo, fono lettere de
gl’Egittij fcnzaordine& inrclligcnza di perfona,fcnondi coloro
che crono prepolli alla religione. Et Orfeo (come narra Firmico)
mollrando à gli huominiforellieri,chc entra - uono nella fua religione, i
lecreti & miflerij di quella, gli faceua prima folla portadel tempio
giurare, che non riuclcrebbono maicofa,che egli hauellìno veduta ài
profani, cioè à quellichcnon erano dell’ordine loro:& certamente non
fenza ragione, conlìdcraco come le co- le buone perdono di
rìputationcquando ellcfonocoftì municatc à huomini ignorami,
incredulfonuidioii, per- fidi & maligni. Vlauono oltre à quello
gl’Egittij, che pi- gIiauonogl’ordinifacri,di pigliare anchora
prefentida ogniuno. a* 5 ogniuno,& poi
faccuonovn conuitoà tutti quelli , che erano flati prefentialle cerimonie
loro: &il gran facer- dote (come noi diremo hoggi vno de i noftri
vefcoui) infegnaua poi lorc^ciò che ci doueflìno fare, dandoli vn
libro, o ruotolo , come quelli che vfauono i Giudei. I Romani poi
(come habbiamo detto) haueuono altri vigniti de ordini tra loro, come il
maggiore & minori Pontefici, flamini,archiflamini,& protoflamini,
limili alnoftro Papa, cardinali, patriarchharchinefcoui, vefcoui ,
abbati* priori, canonici & altri , à i quali porta uono molto
ho- nore& obbediuonogl’antichigrandemcntr-.ondc Cicerone fcriuc,che
la religione fu quella che fece coli gran- urrllgim di i Romani, anchora
che egli haueflino affili nationifu- periori à loro in molte cofe.
Pofledcuono parimente gl’antichi benefici) con la difpenfa del maggiore
Ponte- eB fìce,come fi vede in Tranquillo nella vita di CLAUDIO, &
doti Antichi in LIVIO, quando ci dice che il figliuolo di Fabio
Maflimo haueua due bencficij,quando ci fu fatto Pon- tefice:i quali
benefici) erano di fi gran valuta, che non folamentc ei poteuono intrattenere
le loro cafc& famiglie magnificamcnte,ma peruenire alle fbmmc dignità
de i loro trionfi, nonlafciando perqueftodi tenere altri of- fici)
fecolari & publichhandarc alla guerra, & fare mer- canti a,
fecondo che roccafionc fi prefcntaua:& erano quefli
bcneficijdidueforti d’vnaVfa fuggettaalla colla- tionedc Ponteficbde la Republica,
& degli Imperatori, & l'ahra reftaua libera &
hcreditaria di mano in mano à R 0m JT « i fucceflorijche chiamorno tali
facerdotij Gentilirij,& tuamentr. quafi al modo noftro patronati:de
quali hà coli parlato CICERONE, nel libro de Aruftìcum reftonfìs, Ei fono
(dice citarne. , che hanno fattoi T 4
egli) in qucfto ordine molte perfone intrjte de facrificij
Gentilicij in quello iftclTotcmpio.Nc e dama- tntjiaf. rauigliarfi fc
l’enrrattc di quelli benefici j antichi erano cofi grandi, confidcraro
che quando i ROMANI veniuo- noa fondarctcpli o munillerj,ci gli jfotauono
digran- dilfimi beni, cofi indanari,& penfioni,comcin
tcrre& altre cole (labi li, & i Re &gl IMPERATORI le faccuono
fi- jonluioni a quelle , che in Francia fi chiamono Fondationi
rtélL Realidcntratte delle quali fi coinè fono rifeofTe & pagate dai
Riceuitori del Dominio, cofi quelle de ROMANI paflàuono per le mani de Questori,
o Telorieri, fi co- coUcgìdd m x c m °ft ra LIVIO, quando ei dice che NUMA
ordine V rftaii no i Collegi de i Flamini & delle vergini Vcftali,&:
aflc- - N ^ id4 £ n ° foro entrate & prouifionidei beni publicida
quale vfanza non bifogna dubitare che non fo/Iè poi ofleruata &
matcnuta da gl altri fondatori che vennono do- cSformiti P° lui.
Concludendo che fc noi porremo ben mente,noi troucrrcmo & vedremo che
gl’ordini della noflra reli- Gentili con gionefonóin moire cole limili à
quelli de gl’antichi Egit k nojircin tij, ROMANI, comclbno i camicide
pretine ftolcde piì- netejecherichc ralc, che i Franzcfi, chiamano
Corone, lo inclinare della tcfla, volgendoli all altare, il
principio et la fine del facrificio, i prieghi,i voti,l’orationi , gl’fiy
tini, le mufichc delle voci,ifuonicomequellidegli organi, proccfIìoni, &
molte altre cofc,chc vn buono spirito potrà facilmente ricorre, hauendo
bcneconlideratc quelle cerimonie & qucIle:ecccttoche quelle de Gcn-’
df ti,icrano ^«tlupcrfiitiofe, ma lenollre fono Chri- g aitili. diane
& catholichc, eflèndo fatte inhonoredi Dio Pa- dre Omnitenrc,
&di Gicfu Chrillofoo figliuolo, à cui fia gloria eternalmente. Grice:
“There are many issues about philosophical theology, as we may call it. The
romans were into cult, rather than religion – they didn’t even know where
‘religio’ came from, and Lucrezio famously disagreed with Cicero – It seems it
was all about killing livestock in lieu of humans, as the barbarians did!” -- Grice: “Enzo should concentrate a bit on how the
ancient Romans dealt with their civil religion. Roma and romanitas. Carlo Enzo.
Enzo. Keywords: l’uomo, essegesi, ermeneutica, i quattro sensi – from Genesis
to Revelations: a new discourse on metaphysics, eschatology – perhaps Moses got
more than the 10 comm from Sinai --. Ebraismo e romanita – romanita pagana – la
teologia naturale dei romani antichi – la religione civile dei romani – I
simboli della religione romana pagana --. La religione ufficiale della Roma
antica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Enzo” – The Swimming-Pool Library.
Grice
ed Epicaride: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. He is said to have been a
Pythagorean who solved the problem of not being allowed to eat living things by
killing those things first!
Grice
ed Epicarmo: la ragione conversazionale all’isola -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Palermo). Filosofo italiano. He writes comedies. He achieved a reputation as a
philosopher through several works. He was one of the seven sages (according to
Hippoboto) and may have been a Pythagorean.
Grice
ed Epicoco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della
religione civile dei romani -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Mesagne). Filosofo
italiano. Grice: “I like Epicoco; he has a way with words – e.g. ‘only the sick
heal.” Is that synthetic a priori?” Grice: “My favourite is Epicoco’s emphasis
on some symbols, like blood, and Canova’s Eros – and ‘l’amore che decide.’ Insegna a San Carlo Borromeo
all'Aquila. Altre opere: Vergine Madre
figlia del tuo figlio; Itaca editrice; Jesu dulcis memoria; Itaca editrice; Il
grido di Benedetto XVI; con Michele G. Masciarelli; Tau editrice; Futuro
presente. Contributi sull'enciclica Spe salvi di Benedetto XVI; con Angelo
Amato e Paola Bignardi; Tau editrice; L'Immacolata perfezione. Sentieri in
preparazione alla festa dell'Immacolata; Tau editrice Io vedo il tuo volto. Arte e liturgia; Tau
editrice Ex coelesti virtute.
Miscellanea di studi in onore di S. E. Mons. Giuseppe Molinari nel Suo 50º di
Sacerdozio; Tau editrice Etty Hillesum.
Introduzione ad una donna; Tau editrice
Piccola introduzione alla Bibbia; Tau editrice Qualcuno accenda la luce. Conversazioni
sull'Enciclica Lumen Fidei di papa Francesco; Tau editrice Giovanni Paolo II. Ricordi di un papa santo;
con Mons. Piero Marini; Tau editrice La
misericordia ha un volto. Il Giubileo straordinario della Misericordia secondo
papa Francesco; Tau editrice Preghiere
di ogni giorno; Tau editrice Nati per
amare. I giovani raccontano la famiglia; LUP
Solo i malati guariscono. L'umano del (non) credente; San Paolo,
Milano Educare è meglio che curare; Tau
editrice, La malattia è un dono di vita.
Storia di Teresa Ruocco; Tau editrice La
stella, il cammino, il bambino. Il natale del viandante; San Paolo, Milano Quello che sei per me. Parole sull'intimità;
San Paolo, Milano Amen. La Parola che
salva; San Paolo, Milano Sale non miele.
Per una fede che brucia; San Paolo, Milano. Telemaco non si sbagliava. O del
perché la giovinezza non è una malattia; San Paolo, Milano L’amore che decide; Tau editrice, Camminando tra pastori e Re Magi. Trenta
piccole meditazioni e un "quaderno" per la riflessione personale: un
percorso di preparazione al Natale, San Paolo, Cinisello Balsamo, Qualcuno a cui guardare. Per una spiritualità
della testimonianza, Città Nuova, Roma,. Note
A L'Aquila Epicoco diventa il nuovo preside dell’Istituto Superiore
Scienze Religiose, Giovani: don Epicoco (filosofo), “proporre un incontro che
può cambiare la loro vita”, in Servizio Informazione Religiosa, 11 settembre. Intervista a Il Faro di Roma Scheda in Itaca
libri Scheda sito San Paolo Scheda del docente nel sito dell'Università
Pontificia Articolo incarichi
diocesani Intervista a Credere Sito della Parrocchia Universitaria L'Aquila Incarichi nel Sito Ufficiale della Diocesi, su
diocesilaquila. Scheda sul profilo di don Luigi Maria Epicoco Radio Radicale Comunicato stampa Sito Rai Caterpillar Rai Due intervento a NemoNessuno escluso in
prima serata Membri Cavalieri della Luce
Archiviato il 18 gennaio in. Testimonianza nella rivista Credere Roma Sette sul nuovo Messalino edito da San
Paolo Intervista e nuovo libro sul sito
Aleteia La prefazione di Massimo
Recalcati al libro di don Luigi Maria Epicoco
Don Epicoco nuovo preside dell’Issr L’Aquila Conferenza di don Luigi Maria Epicoco a Nizza
il 13 novembre. Wikipedia Ricerca Religione sistema
di credenze e attività umane nei confronti di una o più entità sovrannaturali
Lingua Segui Modifica La religione è un costrutto sociale formato da
quell'insieme di credenze, vissuti, riti che coinvolgono l'essere umano, o una
comunità, nell'esperienza di ciò che viene considerato sacro, in modo speciale
con la divinità, oppure è quell'insieme di contenuti, riti, rappresentazioni
che, nell'insieme, entrano a far parte di un determinato culto.[1]
Alcuni simboli religiosi. Da sinistra a destra, dall'alto verso il basso:
Cristianesimo, ebraismo, induismo, bahaismo, Islam, Neopaganesimo, Taoismo,
Shintoismo, Buddismo, Sikhismo, Brahmanesimo, Giainismo, Ayyavazhi, Wicca,
Templari e Chiesa Nativa Polacca Va tenuto presente che «il concetto di
religione non è definibile astrattamente, cioè al di fuori di una posizione
culturale storicamente determinata e di un riferimento a determinate formazioni
storiche».[1] Lo studio delle "religioni" è oggetto della
"Scienza delle religioni" mentre lo sviluppo storico delle religioni
è oggetto della "Storia delle religioni".
EtimologiaModifica Cicerone fu il primo autore a proporre un significato
etimologico, collegato all'attenzione verso ciò che riguardava gli dèi, e una
definizione del termine religio. Lattanzio (250-327), apologeta
cristiano, criticò l'etimologia di "religione" proposta da Cicerone,
ritenendo che questo termine dovesse essere riferito al "legame" tra
l'uomo e la divinità. Il termine religione deriva dal latino relìgio, la cui
etimologia non è del tutto chiarita[2]. Secondo Cicerone, la parola
originerebbe dal verbo relegere, ossia "ripercorrere" o
"rileggere", intendendo una riconsiderazione diligente di ciò che
riguarda il culto degli dèi[3]: (LA) «qui autem omnia quae ad
cultum deorum pertinerent diligenter retractarent et tamquam relegerent, sunt
dicti religiosi ex relegendo, ut elegantes ex eligendo, diligendo diligentes,
ex intelligendo intelligentes» (IT) «invece coloro che
riconsideravano con cura e, per così dire, ripercorrevano tutto ciò che
riguarda il culto degli dei furono detti religiosi da relegere, come elegante
deriva da eligere (scegliere), diligente da diligere(prendersi cura di),
intelligente da intelligere(comprendere)» (Cicerone. De natura deorum II,
28; traduzione in italiano di Cesare Marco Calcante in Cicerone. La natura
divina. Milano, Rizzoli, 2007, pagg. 214-5) Jean Paulhan evidenzia come
Lucrezio fece invece derivare religio dalla radice di re-ligare, nel
significato «dei legami che uniscono gli uomini a certe pratiche»[3] –
derivazione che fu poi ritenuta tale anche da Lattanzio e Servio Mario Onorato
(però col significato di «legarsi nei confronti degli dei»[4]). Secondo Michael
von Albrecht, da essa, poiché verbo contrario all'idea di liberazione, Lucrezio
ne derivò il significato negativo, del quale è: «molto grafica l'espressione
religione refrenatus (5, 114), che rispecchia le inibizioni al pensiero
filosofico causate dal paganesimo: l'uomo è trattenuto, impedito, essendo le
sue mani letteralmente "legate dietro la schiena"». Inoltre «parla
spesso dei “nodi stretti” [...]della religio, dai quali Epicuro avrebbe
liberato l'umanità».[5][6] Un significato simile le aveva attribuito lo storico
greco Polibio, dando alla religione, ma con particolare riguardo alla
tradizione e ai costumi dei Romani, il senso di un instrumentum regni.[7] Nello
specifico Lattanzio (250-327)[8], che fu ripreso anche da Agostino d'Ippona
(354-430)[9], correggendo Cicerone, sostiene: (LA) «Hoc vinculo
pietatis obstiicti Deo et religati sumus ; unde ipsa religio nomen accepit, non
ut Cicero interpretatus est, a relegendo.» (IT) «Con questo vincolo
di pietà siamo stretti e legati (religati) a Dio: da ciò prese nome religio, e
non secondo l'interpretazione di Cicerone, da relegendo.» (Lattanzio.
Divinae institutiones IV, 28. Traduzione di Giovanni Filoramo. Le scienze delle
religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286) Così lo studioso Luigi Alici
(1950-) mette a confronto la lettura etimologica offerta da Agostino in De
civitate Dei X,3, che si richiama a Cicerone, con quella di Lattanzio il quale
"preferisce insistere sull'idea primitiva di 'ciò che lega' di fronte agli
dèi": «tale legame sarebbe pure indicato dall'uso simbolico delle
vitae, cioè delle bende con cui si coprivano il capo i sacerdoti» (Luigi
Alici. Nota 5 in Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004, pag.462)
Tuttavia lo storico delle religioni italiano Enrico Montanari (1942-) osserva
che: «Etimologicamente, religio non deriva da religare('legarsi faccia a
faccia con gli dèi'): questa interpretazione, di fonte cristiana (Lattanzio),
fu attribuita agli antichi, ma sulla base del nuovo culto monoteistico.»
(Enrico Montanari. Roma. Il concetto di "religio" a Roma. In Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.642)
Quindi, per Enrico Montanari, l'origine del termine "religione" è da
ricercarsi nella coppia dei termini religere/relegere intesi come
"raccogliere nuovamente", "rileggere"[10] osservare
"con scrupolo e coscienziosità l'esecuzione di un atto"[11] e quindi
eseguire con attenzione l'"atto religioso". Furono i primi teologi
cristiani, nel IV secolo, a rovesciare il significato originario del termine per
collegarlo al nuovo credo[12]. Allo stesso modo osservò Gerardus van der
Leeuw(1890-1950) che coniando l'espressione homo religiosus lo oppose all'homo
negligens: «Possiamo quindi intendere la definizione del giurista Masurio
Sabino: religiosum est, quod propter sanctitatem aliquam remotum ac sepositum a
nobis est. Ecco precisamente in che cosa consiste il sacro. Usargli sempre
debiti riguardi: è questo l'elemento principale della relazione fra l'uomo e lo
straordinario. L'etimologia più verosimile fa derivare la parola religio da
relegere, osservare, stare attenti; homo religiosus è il contrario di homo
negligens.» (Gerardus van der Leeuw. Phanomenologie der Religion (1933).
In italiano: Gerardus van der Leeuw. Fenomenologia della religione. Torino,
Boringhieri, 2002, pag.30) Storia della definizioneModificaOccidenteModifica
Grecia anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Religione dell'antica Grecia. Il termine che nella lingua greca
moderna indica la "religione" è θρησκεία (thrēskeia). Tale termine è
collegato a θρησκός (thrēskos; "pio", "timoroso di Dio").
Quindi anche se nella cultura religiosa greco-antica non esisteva un termine
che riassumesse quello che noi intendiamo oggi per "religione"[13],
thrēskeia[14] possedeva tuttavia un ruolo e un significato precisi[15]:
indicava la modalità formale con cui andava celebrato il culto a favore degli
dèi[16]. Scopo del culto religioso greco era infatti quello di mantenere la
concordia con gli dèi: non celebrare loro il culto significava provocarne
l'ira, da qui il "timore della divinità" (θρησκός) che lo stesso
culto provocava in quanto connesso con la dimensione del sacro. Roma
anticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Religione romana Monaci manichei intenti a copiare testi sacri, con
un'iscrizione in sogdiano (manoscritto da Khocho, Bacino del Tarim). Il
manicheismofu una religione perseguitata, al pari di altre, nell'Impero romano
in quanto contrastava con il mos maiorum. La concezione romana di
"religione" (religio) corrisponde alla cura nei confronti
dell'esecuzione del rito a favore degli dèi, rito che, per tradizione, va
ripetuto finché non risulti correttamente eseguito[17]. In questo senso i
romani collegavano al termine di "religione" un senso di timore nei
confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della
religione stessa[18]. In un ambito più aperto i romani accoglievano
comunque tutti i riti che non contrastassero con il mos maiorum dei
tradizionali riti religiosi, ovvero con il costume degli antenati. Quando nuovi
riti, e quindi novae religiones, venivano a contrastare con il mos maiorum
questi venivano proibiti: fu il caso, ad esempio e di volta in volta, delle
religioni ebraica, cristiana, manichea e dei riti bacchanalia[19]. La
prima definizione del termine "religione", ovvero del suo originario
termine latino religio, la dobbiamo a Cicerone il quale nel De inventione così
la esprime: (LA) «Religio est, quae superioris naturae, quam
divinam vocant, curam caerimoniamque effert» (IT) «Religio è tutto
ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolti ad un essere superiore la cui
natura definiamo divina» (Cicerone. De inventione. II,161) Con l'epicureo
Lucrezio (98 a.C.-55 a.C.) si affaccia una prima critica alla nozione di
religione intesa qui come un elemento che sottomette l'uomo per mezzo della
paura e da cui il filosofo deve liberarsi[20]: «Humana ante oculos
foede cum vita iacere / in terris oppressa gravi sub religione / quae caput a
caeli regionibus ostendebat / horribili super aspectu mortalibus istans, /
primum Graius homo mortalis tollere contra est / oculos ausus primusque
obsistere contra» «La vita umana
giaceva sulla terra alla vista di tutti turpemente schiacciata dall'opprimente
religione, che mostrava il capo dalle regioni celesti, con orribile faccia
incombendo dall'alto sui mortali. Un uomo greco[21] per la prima volta osò
levare contro di lei gli occhi mortali, e per primo resistere contro di
lei.» (Lucrezio. De rerum natura I,62-7. Traduzione di Francesco
Giancotti in Lucrezio. La natura. Milano, Garzanti, 2006, pagg. 4-5) (LA)
«primum quod magnis doceo de rebus et artis religionum animum nodis exsolvere
pergo» «prima di tutto in quanto
grandi cose insegno, e tento di sciogliere l'animo dai nodi stretti della
religione» (Lucrezio. De rerum natura I,932) Occidente
cristianoModifica Massacre saint Barthelemy di François Dubois
(1529–1584) conservato presso il Musée cantonal des Beaux-Arts di Losanna. A
seguito dei massacri provocati dalle Guerre di religione i pensatori francesi
del XVII secolo misero in dubbio la sovrapposizione delle nozioni di civiltà e
religione fino a quel momento in vigore. Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio:Cristianesimo. Ebrei in preghiera il giorno
dello Yom Kippur, opera di Maurycy Gottlieb(1856–1879). Nell'Occidente
cristiano, l'Ebraismo, come l'Islām, verrà indicato come una religione solo a
partire dal XVII secolo. Le prime comunità cristiane non utilizzarono il
termine religio per indicare le proprie credenze e pratiche religiose[22]. Con
il tempo, tuttavia, diffusamente a partire dal IV secolo, il Cristianesimo
adottò tale termine nell'accezione indicata da Lattanzio, individuandone
l'unicità in quanto la "religione" era l'unica via di salvezza per
l'uomo. La relazione tra religio cristiana e quelle dei culti o delle
"filosofie" precedenti fu variamente interpretata dagli esegeti
cristiani. Giustino (II secolo)[23], ma anche Clemente Alessandrino e Origene,
sostennero che partecipando tutti gli uomini al "Verbo" coloro che
tra questi vissero secondo "ragione" erano comunque dei
cristiani[24]. Con Tertulliano (III secolo) la prospettiva cambiò e le
differenze tra mondo "antico" e il mondo dopo la
"rivelazione" cristiana furono decisamente accentuate. Con
Agostino d'Ippona (354-430), ma già precedentemente con Basilio, Gregorio
Nazianzeno e Gregorio di Nissa, il pensiero platonico rappresentò per i teologi
cristiani un esempio della comprensibilità di cosa fosse la vera "religione"[25].
Rispetto ai significati del termine "religione" nel mondo cristiano,
lo storico delle religioni svizzero Michel Despland osserva che:
«Diventato cristiano l'Impero, si trovano presso i cristiani tre accezioni
della parola. La religione è un ordine pubblico mantenuto dall'imperatore
cristiano che instaura sulla terra la legislazione voluta da Dio (idea
imperiale). Può anche essere l'eros dell'anima individuale verso Dio (idea
mistica). Infine religio può designare la disciplina propria ai battezzati che
hanno fatto voto di perfezione e sono diventati eremiti o cenobiti
(Monachesimo).» (Michel Despland. Religione. Storia dell'idea in
Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi,
Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni.
Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg.) Quindi se inizialmente il termine
"religione" è assegnato esclusivamente agli ordini religiosi[26], a
partire dalla Francia il termine accoglie dapprima anche quei pellegrini o
cavalieri che se ne mostrano degni attraverso il mantenimento dei loro voti,
poi i mercanti onesti e gli sposi fedeli, aprendo così il termine all'intero
mondo laicale che osserva con scrupolo i precetti della Chiesa. Con la
Scolastica la "religione" venne collocata tra le "virtù
morali" inserite nella "giustizia" in quanto essa rende a Dio
l'onore e l'attenzione che gli sono "dovuti" esprimendosi con atti
esteriori, come la liturgia o il voto, ed atti interiori, come la preghiera o
la devozione[27]. Infine il termine "religione" diviene sinonimo
di "civiltà". Con la Riforma protestante a partire dal XVI secolo il
termine "religione" è assegnato a due confessioni cristiane distinte,
e solo con il XVII secolo l'Ebraismo e l'Islām saranno considerate
"religioni"[28]. Le Guerre di religione del XVI secolo
provocarono in Francia l'abbandono dell'idea che il termine
"religione" potesse essere sovrapponibile a quello di civiltà e, ad
incominciare dal XVII secolo, alcuni intellettuali francesi avviarono una
critica serrata al valore stesso della religione[28]. «Vive forze
nazionali si risvegliano e insorgono contro l'adattamento compiuto dopo le
guerre di religione. Da allora la religione è vista come riguardante
un'autorità oppressiva, la fede come una credenza poco ragionevole, anzi quasi
irragionevole. In Francia, le intelligenze cominciano a preferire la civiltà
alla religione. E c'è la tendenza a credere che quanto l'uomo più si
civilizzerà tanto meno sarà incline alla religione.» (Michel Despland.
Op.cit.) Occidente moderno e contemporaneoModifica A partire dal XVII secolo,
la Modernità attribuisce valore supremo alla razionalità affrontando con questo
strumento conoscitivo anche l'alveo della religione che così viene sottoposto
al suo esame. Se da una parte autori come Gottfried Wilhelm von Leibniz
(1645-1716) e Nicolas Malebranche (1638-1715) dopo l'analisi razionale
esaltarono i valori religiosi, altri, come ad esempio John Locke (1632-1704) o
Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), utilizzarono la "ragione" per
spogliare la "religione" dei suoi contenuti non giustificabili
razionalmente. Altri autori, come l'irlandese John Toland (1670-1722) o
il francese Voltaire (1694-1778) furono propugnatori del deismo, una lettura
decisamente razionalista della religione. Con David Hume (1711-1776) vi
fu un rifiuto dei contenuti razionali della religione, nell'insieme considerata
un fenomeno del tutto irrazionale, nato dai timori propri dell'uomo nei
confronti dell'universo. Partendo dal giudizio di "irrazionalismo"
della religione, in Occidente, con ad esempio Julien Offray de La Mettrie
(1709-1751) o Claude-Adrien Helvétius(1715-1771), si affacciarono le prime
critiche radicali alla religione che portarono all'affermazione
dell'ateismo. In questo ambito Paul Henri Thiry d'Holbach (1723-1789)
giunse a sostenere che: «L'idea di un Dio terribile, raffigurato come un
despota, ha dovuto rendere inevitabilmente malvagi i suoi sudditi. La paura non
crea che schiavi [...] che credono che tutto divenga lecito quando si tratta o
di guadagnarsi la benevolenza del loro Signore, o di sottrarsi ai suoi temuti
castighi. La nozione di un Dio-tiranno non può produrre che schiavi meschini,
infelici, rissosi, intolleranti.» (Holbach, Il buon senso, a cura di S.
Timpanaro, Garzanti 1985, p.150) Culture non occidentaliModifica Nelle culture
non occidentali il termine "religione" viene reso con termini che non
hanno la stessa etimologia latina. Così, se in Occidente, fatto salvo la lingua
greca, il termine "religione" ha ovunque origine dal latino religio,
l'etimologia del termine ebraico origina invece da un termine proprio
dell'antico persiano, allo stesso modo l'arabo dove il termine
"religione" origina dall'avestico. Nelle lingue del Subcontinente
indiano invece il termine "religione" viene reso con termini di
origine sanscrita e, in Estremo Oriente, con termini di origine cinese.
Vicino e Medio OrienteModifica In lingua ebraica il termine occidentale
"religione" viene reso come(alfabeto ebraico) traslitterato in
caratteri latini come dath. Tale termine compare alcune volte nel Tanakh, così
nel Libro di Ester Il re ordinò che così fosse fatto. Il decreto (dath) fu
promulgato a Susa. I dieci figli di Amàn furono appesi al palo.» (Libro
di Ester, IX,14) In questo verso (dath) sta per "editto", "legge",
"decreto". L'ebraico dath deriva dall'avestico e dall'antico persiano
dāta[29]. Il termine avestico dāta possiede in quella lingua sempre il
significato di "legge" o di "legge di Ahura Mazdā"[30],
ovvero legge del Dio unico e supremo dello Zoroastrismo. (AE)
«ahmya zaothre baresmanaêca mãthrem speñtem ashhvarenanghem âyese ýeshti, dâtem
vîdôyûm âyese ýeshti, dâtem zarathushtri âyese ýeshti, darekhãm upayanãm âyese
ýeshti, daênãm vanguhîm mâzdayasnîm âyese ýeshti.» (IT) «Con questo
zaothra e baresman desidero questo Yasna per il generoso Manthra, il più
glorioso e lo desidero per Dāta, la Legge, la più gloriosa, santificata Aša,
istituita contro i daēva, e per la legge insegnata da Zarathuštra. Desidero,
questo Yasna, per Upayana, l'antica tradizione mazdea, e per Daēna, la santa
religione mazdea.» (Avestā II, 13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in
Avestā. Torino, UTET, 2008, pag.96) In lingua araba il termine occidentale
"religione" viene reso come دين (alfabeto arabo) traslitterato in
caratteri latini come dīn. Oggi ho perfezionato la vostra religione ( dīn)
compiendo per voi il mio beneficio e ho scelto per voi l'Islām come religione (
dīn)» (Corano V,3) Il termine arabo dīn deriva dal medio persiano
dēn[31]. In lingua persiana il termine occidentale "religione"
viene reso come دین (alfabeto arabo-persiano) traslitterato in caratteri latini
come dīn. Tale termine deriva dal termine medio persiano dēnche, a sua volta,
deriva dall'avestico daēnā che in quella antica lingua significa
"religione" intesa come splendore, luminosità di Ahura Mazdā. Daēnā a
sua volta proviene, nella medesima lingua, dalla radice dāy(vedere).
(AE) «nivaêdhayemi hañkârayemi mãthrahe speñtahe ashaonô verezyanguhahe
dâtahe vîdaêvahe dâtahe zarathushtrôish darekhayå upayanayå daênayå vanghuyå
mâzdayasnôish» (IT) «Annuncio e celebro in lode del benefico ed
efficace Manthra, ašavan, rivelazione contro i daēva; rivelazione che viene da
Zarathuštra, e in lode di Daēna, la buona religione mazdea, che ha un'antica
Tradizione» (Avestā I, 13. Traduzione di Arnaldo Alberti, in Avestā.
Torino, UTET, 2008, pag.92) Subcontinente indiano Modifica La bandiera dell'India. Al centro
della bandiera è collocato, raffigurato in blu, il Čakra di Aśokaovvero il
sigillo che compare negli editti promulgati dall'imperatore indiano Aśoka
(304-232 a.C.) e che rappresenta il Dharmačakra, la "Ruota del
Dharma". Nella lingua hindi, la lingua ufficiale e più diffusa dell'India,
il termine occidentale "religione" viene reso come (alfabeto
devanagari) traslitterato in caratteri latini come Dharma. «È abbastanza
difficile trovare un'unica parola nell'area dell'Asia meridionale che denoti
ciò che in italiano è definito "religione", un termine effettivamente
piuttosto vago e dall'ampio raggio semantico. Forse il termine più appropriato
potrebbe essere il sanscrito dharma, traducibile in diversi modi, tutti
pertinenti alle idee e alle pratiche religiose indiane» (William K.
Mahony. Induismo, "Enciclopedia delle Religioni" vol. 9: "Dharma
induista". Milano, Jaca Book, 2006, pag.99) Gianluca Magi precisa tuttavia
che il termine Dharma «è più ampio e complesso di quello cristiano di
religione e, dall'altro, meno giuridico delle attuali concezioni occidentali di
"dovere" o di "norma", poiché privilegia la consapevolezza
e la libertà piuttosto che il concetto di religio od obbligo» (in Dharma,
"Enciclopedia filosofica" vol.3. Milano, Bompiani. Il termine Dharma
è usato nella maggior parte delle religioni di origine indiana per indicare
tali contesti religiosi: Induismo Sanātana Dharma), Buddhismo Buddha Dharma),
Giainismo Jain Dharma) e Sikhismo (Sikh Dharma). Ma anche per indicare le
religioni occidentali come l'Ebraismo (Dharma ebraico) o il Cristianesimo
(Dharma cristiano) Il termine Dharma deriva dalla radice sanscrita dhṛtraducibile
in italiano come "fornire una base", ovvero come "fondamento
della realtà", "verità", "obbligo morale",
"giusto", "come le cose sono" oppure "come le cose
dovrebbero essere". O guardiani dell'ordine cosmico (Ṛta), o Dei le
cui leggi (Dharma) sono sempre realizzate, voi salite sul vasto carro del cielo
più alto; a chi, Mitra e Varuṇa, mostrate il vostro favore, la pioggia del
cielo dona abbondanza di miele» (Ṛgveda, V 63,1 a-c) Estremo
Orientesānjiào yījiào Tre religioni (insegnamenti) una religione (insegnamento).
Confucio (Kǒng Qiū) e Lǎozǐ proteggono il Buddha Śākyamuni Shìjiāmóuní)
infante. Rotolo dipinto su seta, Dinastia Ming conservato presso il British
Museum di Londra. Scrittura oracolare su ossa, all'origine del carattere
cinese (zǐ, bambino). Il carattere
cineseche indica la singola "religione" è (jiào) e si compone, oltre
del carattere (zǐ), del carattere (lǎo, vecchio), il tutto ad indicare
l'insegnamento. In lingua cinese il termine occidentale "religione" viene
reso come , traslitterato in caratteri latini in zōngjiào (Wade-Giles
tsung-chiao). Da questa lingua il termine religione viene così reso nelle altre lingue
estremo-orientali in: lingua giapponese shūkyō; lingua coreana jonggyo lingua vietnamita tôn giáo. In lingua
cinese (jiào) rende anche il khotanesedeśanā, a sua volta resa del sanscrito
deśayati(causativo del verbo di III classe diś: "mostrare",
"assegnare", "esibire", "rivelare") e anche il
sanscritośāsana (insegnamento). Il carattere è formato da (zǐ, bambino, dove la figura stilizzata
è avvolta in fasce e agita le braccia),
(lǎo, vecchio). Mentre
(zōng) indica "scuola", "tradizione acclarata",
"religione" quindi "insegnamento di una tradizione
acclarata/religione". Il carattere cinese (zōng) è formato dai caratteri (mián, tetto di un edificio) e ( shì
"altare", oggi nel significato di "mostrare") a sua volta
composto da (altare primitivo) con ai
lati (gocce di sangue o di libagioni);
il tutto a significare "edificio che contiene un altare". Le
singole religioni vengono indicate dal nome che le caratterizza seguite dal
carattere (jiào): Buddhismo (Fójiào da Fó Buddha), Confucianesimo (Rújiào, da
Rú, letterato confuciano), Daoismo (Dàojiào da Dào) Cristianesimo (Jīdūjiāo
da Jīdū Cristo), Ebraismo ( Yóutàijiào da Yóutài Giuda), Islām (Yīsīlánjiāo
da Yīsīlán Islām). DescrizioneModifica Il dibattito sulla nozione di
religioneModifica La nozione di "religione" è problematica e
dibattuta. Da un punto di vista fenomenologico-religioso il termine
"religione" è collegato alla nozione di sacro: «Secondo Nathan
Söderblom, Rudolf Otto e Mircea Eliade, la religione è per l'uomo la percezione
di un "totalmente Altro"; ciò ha come conseguenza un'esperienza del
sacro che a sua volta dà luogo a un comportamento sui generis. Questa
esperienza, non riconducibile ad altre, caratterizza l'homo religiosus delle
diverse culture storiche dell'umanità. In tale prospettiva, ogni religione è
inseparabile dall'homo religiosus, poiché essa sottende e traduce la sua
Weltanschauung (Georges Dumézil). La religione elabora una spiegazione del
destino umano (Geo Widengren) e conduce a un comportamento che attraverso miti,
riti e simboli attualizza l'esperienza del sacro.» (Julien Ries. Le
origini, le religioni. Milano, Jaca Book, 1992, pagg.7-23) Da un punto di vista
storico-religioso la nozione di "religione" è collegata al suo
esprimersi storico: «Ogni tentativo di definire il concetto di
"religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non
può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti
fondamentali e generali della storia delle religionie della scienza della
religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne
condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva,
la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non
reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà"
della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che
cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto
di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni
dai modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo. Religione in Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620)
Da un punto di vista antropologico-religioso la "religione"
corrisponde al suo modo peculiare di manifestarsi nella cultura: «Le
concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e
rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del
pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di
riferimento» (Enrico Comba. Antropologia delle religioni.
Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, pag.3) Anche se come evidenzia lo stesso
Enrico Comba: «Non è dunque possibile stabilire un criterio assoluto per
distinguere i sistemi religiosi da quelli non religiosi nel vasto repertorio
delle culture umane» (Enrico Comba. Op.cit. pag.28) Quindi, come notano
Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio, il fenomeno della religione:
«come forma specifica della cultura umana, ovunque presente nella storia e
nella geografia, è un fenomeno estremamente complesso, che va studiato con
molteplici procedure, mano a mano che queste ci vengono offerte dal progresso
degli studi delle scienze umane, senza pretendere di dire mai in proposito
l'ultima parola, come accade per un lavoro che sia costantemente in corso
d'opera.» (Carlo Tullio Altan e Marcello Massenzio. Religioni Simboli
Società: Sul fondamento dell'esperienza religiosa. Milano, Feltrinelli, 1998,
pagg. 71-2) Analisi filosoficaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: scienze delle religioni Natura problematica della
definizione di "religione" Max Weber (1864-1920) sostenne
che la definizione di "religione" si può declinare alla fine della
ricerca su di essa. Leszek Kołakowski(1927-2009) ha osservato che, come
per altri ambiti umanistici, difficilmente si potrà addivenire ad una
definizione condivisa del termine "religione". La definizione moderna
del termine "religione" è problematica e controversa: «Definire
la religione è compito tanto ineludibile quanto improbo. È infatti evidente
che, se una definizione non può prendere il posto di una indagine, quest'ultima
non può avere luogo in assenza di una definizione.» (Giovanni Filoramo.
Op.cit 1993, pag.621) Già Max Weber aveva sostenuto che: «Una definizione
di ciò che la religione 'è' non può trovarsi all'inizio, ma caso mai, alla fine
di un'indagine come quella che segue.» (Max Weber. Economia e società
Milano, Comunità, 1968, pag.411. (prima ed. 1922)) Melford E. Spiro (1920-)[32]
e Benson Saler[33]obiettano in proposito che quando non si definisce l'oggetto
di indagine in modo esplicito si finisce per definirlo in modo implicito.
Lo storico polacco Leszek Kołakowski (1927-2009) rileva invece che:
«Studiando le attività umane nessuno dei concetti di cui disponiamo può essere
definito con assoluta precisione, e, sotto questo aspetto, 'religione' non si
trova in una situazione peggiore di "arte", "società",
"storia", "politica", "scienza",
"linguaggio" e innumerevoli altre parole. Ogni definizione della
religione deve essere fino ad un certo punto, arbitraria, e, per quanto
scrupolosamente tentiamo di far sì che si conformi all'impiego attuale della
parola nel linguaggio comune, molte persone riterranno che la nostra
definizione comprenda troppo o troppo poco.» (Leszek Kołakowski. Se non
esiste Dio. Bologna, Il Mulino, 1997) Le spiegazioni sulla natura e le ragioni
dell'esistenza dei credi religiosi Ulteriori informazioni Questa sezione
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Il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach (1804-1872) sosteneva che: la religione
consiste di idee e valori prodotti dagli esseri umani, erroneamente proiettati
su forze e personificazioni divine. Dio sarebbe quindi la costruzione di un
Super uomo (uomo potenziato con attribuiti ideali dati dall'uomo stesso). È una
forma di alienazione (che non ha lo stesso significato attribuito da Marx), in
quanto la religione estranea l'uomo da sé stesso facendogli credere di non
essere in prima persona: l'uomo è sottomesso da sé stesso. La religione si
trova ad essere dunque un rifugio dell'uomo di fronte alla durezza della realtà
quotidiana. Karl Marx (1818-1883) affermò che: la Religione è «il gemito
della creatura oppressa, l'animo di un mondo senza cuore, così come è lo
spirito d'una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l'oppio dei
popoli»[34]. Secondo l'ottica di Max Weber (1864-1920): le Religioni
mondiali sarebbero capaci di raccogliere vaste masse di credenti e di
influenzare il corso della storia universale. Weber non crede che la religione
sia una forza conservatrice (Karl Marx), bensì crede che essa possa provocare
enormi trasformazioni sociali: La religione influisce sulla vita sociale ed
economica. Il Puritanesimo e il protestantesimo, ad esempio, furono all'origine
del modo di pensare capitalistico. Ne ”L'etica protestante e lo spirito del
capitalismo” Weber discusse ampiamente l'influenza del cristianesimo sulla
storia dell'Occidente moderno. Weber scoprì che effettivamente alcune religioni
sono caratterizzate da un ascetismo ultramondano, che privilegia la fuga dai
problemi terreni, distogliendo gli sforzi dallo sviluppo economico. Il
cristianesimo sarebbe una religione di salvezza per Weber, poiché è incentrata
sulla convinzione che gli esseri umani possano essere salvati purché scelgano
la fede e seguano le sue prescrizioni morali. Le religioni di salvezza
presentano un aspetto rivoluzionario perché sono caratterizzate da un ascetismo
intramondano, cioè uno spirito religioso che privilegia la condotta virtuosa in
questo mondo. Le religioni asiatiche invece avevano un atteggiamento di
passività rispetto all'esistente. Tra le riflessioni contemporanee,
particolarmente interessante è la spiegazione del fenomeno religioso proposta
da Marcel Gauchet a iniziare dall'opera del 1985 Il Disincanto del mondo[35]: secondo
lo storico-filosofo francese, la religione non è né una tensione individuale
verso il trascendente, né una costruzione funzionale alla giustificazione del
potere. La religione va invece intesa, in una prospettiva storica e
antropologica, come maniera particolare di strutturazione dello spazio sociale
e umano. In particolare la forma più pura di religione è da rintracciare negli
animismi che caratterizzano quelle società che Pierre Clastres definisce
“contro lo Stato”. Nelle società di questo tipo, la legge viene cioè fatta
risalire a un tempo e a forze assolutamente altre rispetto al presente e nessun
membro della società può quindi rivendicare un rapporto privilegiato con il
trascendente. La nascita di un'istanza separata del potere è indisgiungibile da
una trasformazione della religione: dopo tali trasformazioni, il mondo terreno
e la realtà trascendente entrano in rapporto. La religione, che nella sua forma
più pura era un disinnescamento totale dell'instabilità sociale, una rimozione
assoluta della divisione attraverso l'assolutizzazione della separazione
terreno/trascendente, si apre a quella che Gauchet definisce l'uscita dalla
religione. Alcuni termini classificatori e descrittivi delle
religioniModifica Edward Burnett Tylor introdusse, nel 1871, la nozione
di "animismo". Il teologo calvinista svizzero Pierre Viret
(1511-1571) che, nel suo Instruction chrétienne del 1564 introdusse il termine
"deismo". Friedrich Schelling nel 1842 introdusse per primo il
termine "enoteismo" poi ripreso e diffuso dall'indologo Friedrich Max
Müller (1823-1900). John Toland(1670-1722) nel suo Socinianism Truly
Stated. By a pantheist (1705) utilizzò per primo la nozione di
"panteismo". AnimismoModifica "Animismo" (dall'inglese
animism, a sua volta dal latino anĭma) è il termine introdotto nello studio
delle religioni primitive dall'antropologo inglese Edward Burnett Tylor
(1832-1917) che, nel 1871 nel suo Primitive Culture: Researches into the
Development of Mythology, Philosophy, Religion, Language, Art and Custom, lo utilizzò
per indicare quella prima forma di credenza spirituale ("anima" o
"forza vitale") che viene riscontrata in oggetti o luoghi. In tal
senso la teoria di Tylor si opponeva a quella di Herbert Spencer(1820-1903) che
invece poneva nell'ateismo le convinzioni degli uomini primitivi[36]. La
teoria "animistica", già messa in discussione da Marcel Mauss
(1872-1950) e da James Frazer (1854-1941), è rifiutata oggi dalla maggior parte
degli antropologi. Tuttavia, come nota Jacques Vidal[37] «in
mancanza di altre espressioni l'uso del termine rimane frequente.» Carlo
Prandi[38] nota anche come tale termine venga utilizzato per indicare le
credenze religiose dell'Africa subsahariana, quelle afrobrasiliane e quelle
attinenti alle culture dell'Oceania. AteismoModifica Esistono religioni
atee, per considerarle tali prevale la definizione legata al culto piuttosto
che al sacro, e l'interpretazione strettamente etimologica su quella abituale
di "atteggiamento antireligioso".[39]. Nel 1993 durante i lavori del
Parlamento Mondiale delle Religioni (PoWR) i buddisti, guidati dal Dalai Lama,
protestarono contro l’uso del termine Dio che essi rifiutano, concordando solo
su quello di Realtà suprema[40]. DeismoModifica Il termine
"Deismo" (dal francese déisme, a sua volta dal latino deus[41]) fu
coniato dal teologo calvinista svizzero di lingua francese Pierre Viret
(1511-1571) che nella sua Instruction chrétienne (Ginevra, 1564) lo utilizzò
per indicare un gruppo che si opponeva agli "ateisti", ma Viret
descrisse questo "gruppo" come di coloro che pur credendo in un Dio
unico e creatore rigettavano la fede in Gesù Cristo. Il poeta inglese
John Dryden (1631-1700), in Religio Laici del 1682 definì il "Deismo"
come la credenza in un Dio creatore rifiutando qualsivoglia dottrina propugnata
dalla tradizione e dalla rivelazione. Con la pubblicazione del
Dictionnaire historique et critique (Rotterdam, 1697) di Pierre Bayle
(1647-1706), che riprese la nozione di Déisme (s.v. "Viret"), il
termine si diffuse ampiamente nella cultura europea. Tuttavia il
significato di "Deismo" ha posseduto, di volta in volta, connotazioni
diverse. Allen W. Wood[42]ne ha identificate quattro: credenza in un
Essere supremo privo di tutti gli attributi di personalità (come intelletto e
volontà); credenza in un Dio, ma rifiuto di qualsiasi cura provvidenziale da
parte di questi per il mondo; fede in un Dio, ma negazione di ogni vita futura;
credenza in un Dio, ma rifiuto di tutti gli altri articoli di fede religiosa.
Molti filosofi e scienziati, per lo più illuministi del Settecento, sostennero
tali posizioni; varianti istituzionalizzate del "Deismo" sono il
Culto dell'Essere supremo durante la Rivoluzione francese e la spiritualità
della Massoneria. EnoteismoModifica "Enoteismo" (dal tedesco
henotheismus, a sua volta dal greco εἷς eîs + θεός theós "un dio") fu
il termine coniato dal Friedrich Schelling (1775-1854) in Philosophie der
Mythologie und der Offenbarung(1842) per indicare un "monoteismo "
rudimentale sorto durante la preistoria della coscienza e precedente al
"monoteismo evoluto" e al politeismo. In questo senso il termine si
presenta simile a quello di Urmonotheimus ovvero "monoteismo
primordiale" elaborato nel 1912 dall'antropologo e sacerdote Wilhelm
Schmidt. Successivamente, l'indologo tedesco Friedrich Max Müller
(1823-1900) utilizzò questo termine[43] per indicare una pratica propria del Ṛgveda
consistente nell'isolare una divinità rispetto alle altre durante le
invocazioni rituali. Nel suo significato storico-religioso,
"enoteismo" occorre ad indicare quella forma di culto per cui una
divinità viene, durante il rito, momentaneamente isolata e privilegiata
rispetto alle altre, assurgendo così a divinità principale.
MonoteismoModifica Il termine Monoteismo (neologismo greco, dal grecoμόνος,
mónos = unico, solo e θεός theós = dio) caratterizza quelle religioni che
propugnano l'esistenza di una singola divinità. André Lalande (1867-1963)
ha così descritto, nel suo Vocabulaire technique et critique de la philosophie,
revu par MM. les membres et correspondants de la Société française de
philosophie et publié, avec leurs corrections et observations par André
Lalande, membre de l'Institut, professeur à la Sorbonne, secrétaire général de
la Société (2 volumi) Parigi, 1927, il termine "monoteismo":
«Dottrina filosofica o religiosa che ammette un solo Dio, distinto dal
mondo» Il tema, controverso, è quali possano essere le religioni
ascrivibili a questo contesto. Dopo una disamina di tale problema, Paolo Scarpi
così chiosa: «In questa prospettiva, pertanto conviene limitare l'uso del
termine monoteismo alle forme religiose che storicamente si sono affermate come
tali e che hanno elaborato una speculazione teologica finalizzata alla
dimostrazione dell'unicità di Dio» Intendendo in questa prospettiva
sostanzialmente l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islām. Di tutt'altro avviso è
invece, ad esempio, Theodore M. Ludwig che nella Encyclopedia of Religion nata
dal progetto internazionale proposto da Mircea Eliade include, sia
nell'edizione del 1987 che nella seconda edizione del 2005, nella voce
Monotheism[44], altre religioni oltre quelle qui sopra citate come lo
Zoroastrismo, la Religione greca nella forma di alcuni culti e nel pensiero di
alcuni teologi greci, la Religione egizia del culto di Aton, il Buddhismo nella
forma della Terra Pura, l'Induismo in alcune sue particolari manifestazioni e
il Sikhismo. PanteismoModifica Il termine Panteismo (dall'inglese
pantheism a sua volta dal greco παν pan + θεός theós = tutto Dio) letteralmente
significa "tutto è Dio". Tale termine fu derivato da analogo termine,
pantheistic, utilizzato dal filosofo irlandese John Toland (1670-1722) nel suo
Socinianism Truly Stated. By a pantheist (1705), ed ebbe larga diffusione in
Europa durante le polemiche inerenti al Deismo. Oggi il termine
"Panteismo" occorre come termine tecnico-descrittivo per individuare
quei credi religiosi, o filosofico-religiosi, che individuano una divinità che
abbraccia ogni cosa, ovvero Dio che compenetra ogni aspetto e luogo dell'universo
rendendo così sacro ogni aspetto dell'esistente, anche quello naturale[45].
Sono imparentati ad esso i termini di "panenteismo", termine coniato
nel 1828 da Karl Krause per indicare una visione in cui Dio è sia immanente che
trascendente. e di "monismo", genericamente ogni dottrina unitaria
che presuppone un'unica sostanza, nella fattispecie la concezione di un unico
Dio impersonale ed ozioso [46]. PoliteismoModifica Il termine
"politeismo" è attestato nelle lingue moderne per la prima volta nella
lingua francese (polythéisme) a partire dal XVI secolo[47]. Il termine
polythéisme fu coniato dal giurista e filosofo francese Jean Bodin, e quindi
utilizzato per la prima volta nel suo De la démonomanie des sorciers (Parigi,
1580), per poi finire nei dizionari come il Dictionnaire universel françois et
latin (Nancy 1740), il Dictionnaire philosophique di Voltaire (Londra 1764) e,
l'Encyclopédie di D'Alembert e Diredot (seconda metà del XVIII secolo), la cui
voce polytheisme è curata dallo stesso Voltaire. Utilizzato in ambito teologico
in opposizione a quello di "monoteismo"; entra nella lingua italiana
nel XVIII secolo[48]. Il termine polythéisme, quindi
"politeismo", è formato da termini derivati dal greco antico: πολύς
(polys) + θεοί (theoi) ad indicare "molti dèi"; quindi da polytheia,
termine coniato dal filosofo giudaico di lingua greca Filone di Alessandria (20
a.C.-50 d.C.) per indicare la differenza tra l'unicità di Dio nell'Ebraismo
rispetto alla nozione pluralistica dello stesso propria delle religioni antiche[49],
tale termine fu poi ripreso dagli scrittori cristiani (ad esempio da Origene in
Contra Celsum). Tale termine indica quelle religioni che ammettono
l'esistenza di più dèi a cui destinare i culti. Non vi rientra pertanto il
Dualismo, che nella versione classica del Manicheismo vede il mondo retto da
due principi opposti in lotta tra loro, il Male e il Bene, quest'ultimo
destinato a trionfare alla fine dei giorni. Il termine Dualismo viene inoltre
esteso ad eresie quali gli Gnostici e i Catari, che nell'esaltare la figura del
male distinguono nettamente tra spirito e materia, ma trattandosi di Cristiani,
per quanto borderline, vanno inclusi tra i Monoteisti. Religioni (in
ordine alfabetico) con maggior numero di fedeliModifica BuddhismoModifica
Il Buddhismo nel mondo Il Buddhismo è una religione che comprende una varietà
di tradizioni, credenze e pratiche, in gran parte basata sugli insegnamenti
attribuiti a Siddhārtha Gautama, vissuto nel Nepal intorno al VI secolo a.C.,
comunemente appellato come il Buddha, ossia "il Risvegliato".
Le numerose scuole dottrinarie afferenti a questa religione si fondano e si
differenziano in base alle raccolte scritturali riportate nei Canoni buddhisti
e agli insegnamenti tradizionali trasmessi all'interno delle stesse scuole.
Le due grandi differenziazioni all'interno del Buddhismo riguardano le correnti
Theravāda, presente prevalentemente in Sri Lanka, Thailandia, Cambogia, Myanmar
e Laos, e Mahāyāna, presente invece prevalentemente in Cina, Tibet, Giappone,
Corea, Vietnam e Mongolia. CristianesimoModifica I cristiani nel
mondo per nazione Il Cristianesimo è la religione più diffusa nel mondo, in
particolare in Occidente (Europa, Americhe, Oceania). Le forme storiche del
cristianesimo sono molteplici, ma è possibile indicare quattro principali
suddivisioni: il Cattolicesimo, il Protestantesimo, l'Ortodossia e
l'Anglicanesimo. Oltre a queste quattro suddivisioni, esistono alcuni credi che
si riallacciano al Cristianesimo ma non sono classificati nelle quattro
categorie principali, tra cui Mormonismo e i Testimoni di Geova. Tutte
queste tradizioni cristiane riconoscono, seppure con piccole varianti, che il
loro fondatore, Gesù di Nazaret, è il Figlio di Dio, e lo riconoscono come
Signore. Credono altresì, a parte i Testimoni di Geova, i Mormoni e i
Protestanti Unitari, che Dio è uno in tre persone: il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo. Inoltre, tenendo presente che la Bibbia protestante ha 7
libri in meno della Bibbia cattolica, considerano la Bibbia un testo ispirato
da Dio. La Bibbia dei cristiani è composta dall'Antico Testamento, il quale
corrisponde alla Septuaginta, versione e adattamento in lingua greca della
Bibbia ebraica con l'aggiunta di ulteriori libri[50], e dal Nuovo Testamento:
quest'ultimo ruota interamente sulla figura di Gesù Cristo e del suo
"lieto annuncio" (Vangelo). InduismoModifica Induismo nel
mondo L'Induismo è un insieme di dottrine, credenze e pratiche religiose e
filosofico-religiose che hanno avuto origine in India, luogo dove risiede la
maggioranza dei suoi fedeli. Secondo la tradizione, questa religione è eterna
(Sanātana dharma, religione eterna) non avendo né un principio né una
fine. L'Induismo fa riferimento ad un insieme di testi sacriche per
tradizione suddivide in Śruti e in Smṛti. Tra questi testi occorre ricordare in
particolar modo i Veda, le Upaniṣad e la Bhagavadgītā.
IslamModifica Presenza musulmana nel mondo L'Islam è la più recente delle
tre principali religioni monoteiste originarie del Vicino Oriente. Ha come
principale riferimento il Corano considerato libro sacro. Il testo in lingua
araba, una raccolta di predicazioni orali, è relativamente breve rispetto ai
testi sacri ebraici o indù. Il termine Islam significa letteralmente
"sottomissione", intesa come fedeltà alla parola di Dio. L'Islam
condivide con l'Ebraismo e il Cristianesimo gran parte della tradizione
dell'Antico Testamento, legittimando il riferimento biblicosecondo cui Isacco
(progenitore degli israeliti) e Ismaele (progenitore degli arabi) erano
entrambi figli di Abramo. Riconosce la vita e le opere di Gesùritenendolo però
un profeta. La figura di riferimento dell'Islam è Muhammad (Maometto), vissuto
nel VII secolo nella penisola arabica, di cui la Sunna raccoglie gli aneddoti.
Le due suddivisioni principali di questa religione sono l'Islam sunnita e
l'Islam sciita. Altre religioniModifica Altre importanti religioni,
diffuse soprattutto in Asiasono: Animismo Bahá'í Confucianesimo Culti
sincretici africani Ebraismo Ermetismo Esoterismo Giainismo Gnosticismo
Manicheismo Mitraismo Shintoismo Sikhismo Taoismo Zoroastrismo Nuovi movimenti
religiosiModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Nuovo movimento religioso. Bambini di Dio Chiesa dell'unificazione
Meditazione trascendentale Movimento raeliano Neopaganesimo Organizzazione
Sathya Sai Pastafarianesimo Rajneeshismo Rastafarianesimo Sahaja Yoga
Scientology Testimoni di Geova Wicca NoteModifica ^ a b Religione, in
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL
consultato il 6 settembre 2020. ^ Sull'etimologia di "religio" si
possono vedere gli studi di Huguette Fugier, Recherches sur l'expression du
sacré dans la langue latine, Saint-Amand, Ch.A. Bedy, 1963, pp. 172-179 e Godo
Lieberg, "Considerazioni sull'etimologia e sul significato di
religio", Rivista di Filologia Classica, (102) 1974, pp. 34-57. ^ a b Jean
Paulhan, Il segreto delle parole, a cura di Paolo Bagni, postfazione di Adriano
Marchetti, Firenze, Alinea editrice, 1999, p. 45, ISBN 88-8125-300-3. ^ ««le
fait de se lier vis-à-vis des dieux», symbolisé par l'emploi des uittæ et des
στέμματα dans le culte.» (( FR ) Alfred Ernout e Antoine Meillet,
Dictionnaire étymologique de la langue latine - Histoire des mots ( PDF ),
ristampa della IV edizione, in nuovo formato, aggiornata e corretta da Jacques
André (1985), Parigi, Klincksieck, 2001 [1932] , p. 569, ISBN
2-252-03359-2. URL consultato il 24 luglio 2013.) ^ Michael von Albrecht,
Terror et pavor: politica e religione in Lucrezio ( PDF ), su
basnico.files.wordpress.com, ETS, 2005, 238-239. URL consultato il 5 giugno
2017. ^ cfr. anche ( EN ) Robert Schilling, The Roman Religion, in Claas Jouco
Bleeker e Geo Widengren (a cura di), Historia Religionum I - Religions of the
Past, vol. 1, 2ª ed., Leiden, E. J. Brill, 1988 [1969] , p. 443,
ISBN 978-90-04-08928-0. URL consultato il 5 giugno 2017. ^ Polibio, Storie, VI
56. ^ Concetta Aloe Spada, “L’uso di religio e religiones nella polemica
antipagana de Lattanzio”, in Ugo Bianchi (ed.), The Notion of «Religion» in
Comparative Research. Roma: 'L'Erma' di Bretschneider, 1994, pp. 459-463. ^
Retractationes I, 13. Anche se in De civitate DeiX,3 Agostino segue invece
l'etimologia offerta da Cicerone: «Eleggendo quindi Dio, o piuttosto
rieleggendolo (da cui verrebbe il termine religione) avendolo perduto per
nostra negligenza» (Agostino. La città di Dio. Milano, Bompiani, 2004,
pag.462) ^ Cfr. anche Giovanni Filoramo. Che cos'è la religione. Torino,
Einaudi, 2004, pag.81-2. ^ Giovanni Filoramo. Op.cit. 1993. ^ Giovanni
Filoramo. Op.cit. 2004 pag.82 nota 2; Op.cit. 1993, pag. 624; Le scienze delle
religioni. Brescia, Morcelliana, 1997, pag.286 ^ Cfr., ad esempio, Paolo
Scarpi. Grecia (religione) in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni
Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, p. 350. ^ Dialetto ionico. ^ Questo tuttavia
al di fuori del dialetto attico, cfr. in tal senso e per una più approfondita
disamina dei termini Walter Burkert, La creazione del sacro, pp. 491 e sgg. ^
«Tutti questi dati si intrecciano e completano la nozione che la parola
thrēskeia evoca di per sé stessa: quella di 'osservanza, regola della pratica
religiosa'. La parola si ricollega a un tema verbale che denota l'attenzione al
rito, la preoccupazione di restare fedeli a una regola.» Émile Benveniste. Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, voll. II. Torino, Einaudi, 1976,
p.487. ^ «Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti e di
proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine,
venerazione e timore degli dèi.» (Mircea Eliade. Religione in
Enciclopedia del novecento. Istituto enciclopedico italiano, 1982, pag.121) ^
Enrico Montanari. Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo).
Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-4 ^ Enrico Montanari. Op.cit., pag. 642-4 ^ Va
precisato tuttavia che gli epicurei non negavano l'esistenza delle divinità
quanto piuttosto affermavano la loro lontananza e il loro disinteresse nei
confronti degli uomini. ^ Si riferisce ad Epicuro. ^ Michel Despland. Religione.
Storia dell'idea in Occidente, in Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques
Vidal). Parigi, Presses universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario
delle religioni. Milano, Mondadori, 2007, pagg. 1539 e segg. ^ I Apologeticum
XLVI, 3 e 4. ^ Tra questi Giustino cita esplicitamente Socrateed Eraclito:
«Coloro che hanno vissuto secondo il Logos sono cristiani, anche se sono stati
considerati atei, come, tra i Greci, Socrate ed Eraclito, ad altri simili, e
tra i barbari, Abramo, Anania, Azaria, Misael, Elia, e molti altri ancora, dei
quali ora non elenchiamo le opere e i nomi, sapendo che sarebbe troppo lungo.
Di conseguenza coloro che hanno vissuto prima di Cristo, ma non secondo il
Logos, sono stati malvagi, nemici di Cristo e assassini di quelli che vivevano
secondo il Logos; al contrario coloro, quelli che hanno vissuto e vivono
secondo il Logos sono cristiani, non soggetti a paure e turbamenti»
(Giustino. Apologia I, 47,3 e 4. Traduzione di Giuseppe Girgenti in Giustino
Apologie. Milano, Rusconi, 1995, pagg. 125-7) . ^ Cfr. a titolo esemplificativo
Agostino d'Ippona. De vera religione 1-3. ^ «Nel XIII sec. una religione è un
Ordine religioso» (Michel Despland. Op.cit..) ^ Antonin-Dalmace Sertillanges. La
philosophie morale de saint Thomas d'Aquin. Parigi, 1947. ^ a b Michel
Despland. Op.cit.. ^ F. Brown, S. R. Driver, Ch. A. Briggs. A Hebrew and
English Lexicon of the Old Testament. Oxford, Clarendon Press, 1968 ^ Dāta'
nella Encyclopædia Iranica. ^ «DlN, I. Definition and general notion. It is
usual to emphasize three distinct senses of din: (i) judgment, retribution; (2)
custom, sage; (3) religion. The first refers to the Hebraeo-Aramaic root, the
second to the Arabic root ddna, dayn (debt, money owing), the third to the
Pehlevi dēn(revelation, religion). This third etymology has been exploited by
Noldeke and Vollers.» (Louis Gardet. Encyclopedia of Islam, vol.2.
Leiden, Brill, 1991, pag.253) ^ Melford E. Spiro. Religion: problems of
definition and explanation, in M. Banton (a cura di) Anthropological Approaches
to the study of Religion. London, Tavistock, 1966, pag. 90-1. ^ Benson Saler.
Conceptualizing Religion: Immanent Anthropologist, Trascendent Natives, and
Unbounded Categories. Leiden, Brill,
1993, pagg. 28-9. ^ Karl Marx, "Introduzione" alla Critica della
filosofia hegeliana del diritto pubblico, in Opere filosofiche giovanili,
Torino, Einaudi 1969. ^ (traduzione
italiana Einaudi 1992) ^ Kees W. Bolle. Animism and Animatism. Encyclopedia of
Religion vo.1. NY, Macmillan, 2005 (1987) pagg. 362 e
segg. ^ Dictionnaire des Religions (a cura di Jacques Vidal). Parigi, Presses
universitaires de France, 1984. In italiano: Dizionario delle religioni.
Milano, Mondadori, 2007, pag. 60. ^ Carlo Prandi. Dizionario delle religioni (a
cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.37 ^ Giancarlo Bascone,
Manualetto di storia religiosa: introduzione ^ Hans Küng, Ciò che credo,
Rizzoli: cap. 6 ^ La sua etimologia è del tutto simile a quello di
"Teismo" derivando quest'ultimo dal greco théose il primo dal latino
deus. ^ Encyclopedia of
Religion, vol.4. NY, Macmillan, 2005, pag. 2251-2 ^ Friedrich Max Müller.
Selected Essays on Language, Mythology and Religion, vol. 2, Londra, 1881. ^
Theodore M. Ludwig. Monotheism, in Encyclopedia of Religion vol.9. NY,
Macmillan, 2005, pagg. 6155 e segg. ^ H.
P. Owen. Concepts of Deity. Londra, Macmillan, 1971. ^ Maria Vittoria Cerutti,
Storia delle religioni, EDUCatt: 2. 4 ^ Paolo Scarpi, Politeismo in Dizionario
delle religioni, Torino, Einaudi, 1993, p. 573. ^ Alberto Nocentini,
L'Etimologico, Firenze, Le Monnier, 2010 edizione elettronica ^ Gabriella
Pironti. Il "linguaggio" del politeismo in Grecia: mito e religione
vol.6 della Grande Storia dell'antichità (a cura di Umberto Eco). Milano,
Encyclomedia Publishers/RCS, 2011, pag.22. ^ Da tener presente che la Bibbia
protestantecontiene una differente raccolta di libri rispetto a quella, ad
esempio, cattolica. BibliografiaModifica Ugo Bianchi (a cura di),
The Notion of 'Religion' in Comparative Research. Selected Proceedings of the
16. Congress of the International Association for the History of Religions,
Rome, 3.-8. September, 1990, Roma, 'L'Erma' di
Bretschneider, 1994. Angelo Brelich, Introduzione alla storia delle religioni,
Roma-Bari, Editori Laterza, 1991. Walter Burkert, La creazione del sacro,
Milano, Adelphi, 2003. Yves Coppens, Origines de l'homme - De la matière à la
conscience, Paris, De Vive Voix, 2010. Yves Coppens, La preistoria dell'uomo,
Milano, Jaca Book, 2011. Alfonso Maria Di Nola, Attraverso la storia delle
religioni, Roma, Di Renzo Editore, 1996. Ambrogio Donini, Lineamenti di storia
delle religioni, Roma, Editori Riuniti, 1959. Mircea Eliade, Trattato di storia
delle religioni, Torino, Bollati Boringhieri, 1999. Giovanni Filoramo, Storia
delle religioni, Roma-Bari, Editori Laterza, 1994. GiovanniFiloramo, Maria
Chiara Giorda e Natale Spineto (a cura di), Manuale di Scienze della religione,
Brescia, Morcelliana, 2019. Voci correlateModifica Ateismo Antropologia delle
religioni Credenza religiosa Critiche alla religione Culto Dio Divinità
Fanatismo religioso Fenomenologia della religione Filosofia della religione
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Modifica su Wikidata ( EN ) Kevin Schilbrack, The Concept of Religion, in
Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for
the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Dale
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Centro Studi sulle Nuove Religioni
(CESNUR), su cesnur.org. Controllo di autoritàThesaurus BNCF 7544 · LCCN( EN )
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religioni Dio entità divina, essere supremo e oggetto di fede Wikipedia
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Lingua Segui Modifica La religione romana è l'insieme dei fenomeni religiosi
propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come varietà di culti,
questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città e del suo
popolo[1][2]. Giove Tonante in una scultura risalente al 100 a.C.
circa. Le origini della città, e quindi della storia e della religione di Roma,
sono controverse. Recentemente l'archeologo italiano Andrea Carandini[3]
sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma
all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli scavi da
lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal
racconto tradizionale[4][5]. Le origini della religione romana vanno
individuate nei culti dei popoli pre-indoeuropei stanziati in Italia[6], nelle
tradizioni religiose dei popoli indoeuropei[7] che, probabilmente a partire dal
XV secolo a.C.[8], migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca[9] e della
Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i
secoli. La religione romana cessò di essere la religione
"ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di
Tessalonica e i successivi editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore
romano convertito al cristianesimo Teodosio I[11], il quale proibì e perseguitò
tutti i culti non cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli pagani[12].
Precedentemente (362-363) c'era stato il vano tentativo dell'imperatore
Giuliano di riformare la religione pagana per contrapporla efficacemente al
cristianesimo, ormai ampiamente diffuso. Una religione civile L'espressione
"religione romana" è di conio moderno. Il termine italiano
"religione" possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine
latino religio ma, nel caso del termine latino, esso esprime una nozione
circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli
dei, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente
eseguito[13], e in questo senso i Romani collegavano al termine religioil
vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e
quindi della religione stessa[14]: (LA) «Religio est, quae
superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»
(IT) «Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolte a
un essere superiore la cui natura definiamo divina» (Cicerone, De inventione.
II,161) Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma (monarchica,
repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo scopo,
doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il diritto di
stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione romana è una
religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di conseguenza,
nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un apparato
religioso"[15]. La nozione moderna di "religione" è
invece più complessa e problematica[16] andando a coprire un più ampio spettro
di significati: «Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in
miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi
generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori
ideali e di modelli di riferimento» (Enrico Comba, Antropologia delle
religioni. Un'introduzione. Bari, Laterza, 2008, p. 3) Precisare la differenza
di "contenuto" tra il termine latino religio e quello di uso comune e
moderno di "religione" rende conto della caratteristica unica dei
contenuti religiosi del vivere romano: «La religione romana (o più in
generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una
religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale,
essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto
singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e
nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano
è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la
comunità politica.» (John Scheid, La religione a Roma. Bari, Laterza,
1983, p. 8) Ne consegue che per i Romani la religio non aveva molto a che fare
con quello che noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è
lo Stato a essere il tramite tra l'individuo e la divinità[17]:
«L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal sistema della fede.
Religio non equivale a credo.» (Robert Schilling, Rites, Cultes, Dieux de
Rome. Parigi, Klincksieck, 1979, p.74; cit. in John Scheid, Op.cit., p. 8) Il
sentimento religioso romano (pietas) verte dunque nella forte volontà di
garantire il successo alla respublica mediante la scrupolosa osservanza della
religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua tradizione, osservanza che
consente di ottenere il favore degli dei e garantire la pax deum (pax
deorum)[18]. Tale concordia con gli dei determinata dalla scrupolosa osservanza
della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i Romani, dal successo di
Roma nei confronti delle altre città e nel mondo. (LA) «...sed
pietate ac religione atque una sapientia, quod deorum numine omnia regi
gubernarique perspeximus, omnes gentes nationesque superavimus.»
(IT) «... ma è nel sentimento religioso e nell'osservanza del culto e
pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto intendere appieno che tutto
è retto e governato dalla volontà divina, che noi abbiamo superato tutti i
popoli e tutte le nazioni.» (Cicerone, De haruspicum responso, 9; traduzione
di Giovanni Bellardi, in Cicerone, Le orazioni vol. III, Torino, UTET, 1975,
pp. 302-305) Il che fa concludere a Cicerone: (LA) «Et si conferre
volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores
reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores.» (IT)
«E se vogliamo confrontare la nostra cultura con quella delle popolazioni
straniere, risulterà che siamo uguali o anche inferiori sotto ogni altro
aspetto, ma che siamo molto superiori per quello che concerne la religione,
cioè il culto degli dei.» (Cicerone, De natura deorum. II, 8; traduzione
di Cesare Marco Calcante. Milano, Rizzoli, 2007, pp. 156-7) La
"mitologia" romana: le fabulae La nozione di "sacro"
(sakros) nella cultura romana Lapis niger stele (modificato).JPG Qui
sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI secolo a.C. che riporta
un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto archeologico compare per la prima
volta il termine sakros (Forum inscription (dettaglio).jpg: sakros es)[19]. Dal
termine latino arcaico sakros originano due successivi termini latini: sacer e
sanctus. Lo sviluppo del termine sakros, nel suo variegarsi di significati
procede, per quanto inerisce al sanctus per via del suo participio sancio che è
collegato a sakros per mezzo di un infisso nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur
provenendo dalla stessa radice sak, possiedono dei significati originari molto
diversi. Il primo, sacer, è ben descritto da SESTO POMPEO FESTO nel suo “De
verborum significatu” dove precisa che: «Homo sacer is est, quem populus
iudicavit ob maleficium; neque fas est eum immolari, sed, qui occidit,
parricidii non damnatur». Quindi, e in questo caso, l'uomo sacro è colui che
portando una colpa infamante che lo espelle dalla comunità umana deve essere
allontanato. Non lo si può perseguire, ma non si può perseguire nemmeno colui
che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non è perseguito, né è tutelato
dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che appartiene ad 'altro' rispetto
agli uomini, appartiene agli Dei, come gli animali del sacrificium (rendere
sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak inerisce a ciò che viene stabilito
(quindi ciò che è sak) come non attinente agli uomini. Sanctus invece, come
spiega il Digesto, è tutto ciò che deve essere protetto dalle offese degli
uomini. È sanctaquell'insieme di cose che sono sottomesse a una sanzione. Esse
non sono né sacre, né profane. Esse non sono comunque consacrate agli Dei, non
appartengono a loro. Ma sanctus non è nemmeno profano, deve essere protetto dal
profano e rappresenta il limite che circonda il sacer anche se non lo riguarda.
Sacer è tutto ciò che appartiene quindi a un mondo fuori dall'umano: dies
sacra, mons sacer. Mentre sanctus non appartiene al divino: lex sancta, murus
sanctus. Sanctus è tutto ciò che è proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini
e, con questo, anche sanctus si relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col
tempo, sacer e sanctus si sovrappongono. Sanctus non è più solo il
"muro" che delimita il sacer ma entra esso stesso in contatto col
divino: dall'eroe morto sanctus, all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus. Su
questi due termini, sacer e sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo
dall'etimologia incerta, religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli e
significati che consentono all'uomo romano di comprendere il "cosmo",
di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei.
Così la città di Roma diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla
majestas che il dio Iupiter ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso
le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione agli uomini nello
spazio "sacro" da essa rappresentato. La sfera del sacer-sanctus
romano appartiene al sacerdosche, nel mondo romano unitamente all'imperator[21]
si occupa delle res sacrae che consentono di rispettare gli impegni verso gli
Dei. Così sacer divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le
loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei
"sacerdoti". Mentre sanctus è riferito alle persone: i re, i
magistrati, i senatori (pater sancti) e da questi alle stesse divinità. La
radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui
è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo
fondamento e conforme al cosmo[22]. Da qui anche il termine, sempre latino, di
sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di
significati, il sakrossancisce un'alterità, un essere "altro" e
"diverso" rispetto all'ordinario, al comune, al profano[23]. Il
termine latino arcaico sakros corrisponde all'ittita saklai, al greco hagois,
al gotico sakan[24]. La presenza di una mitologia romana che prescindesse da
quella greca è stato oggetto di dibattito fin dall'antichità. Il retore greco
Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) ha negato questa possibilità attribuendo
a Romolo, fondatore della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare
qualsivoglia racconto mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti
degli uomini[25]: (GRC) «τοὺς δὲ παραδεδομένους περὶ αὐτῶν μύθους, ἐν
οἷς βλασφημίαι τινὲς ἔνεισι κατ´ αὐτῶν ἢ κακηγορίαι, πονηροὺς καὶ ἀνωφελεῖς καὶ
ἀσχήμονας ὑπολαβὼν εἶναι καὶ οὐχ ὅτι θεῶν ἀλλ´ οὐδ´ ἀνθρώπων ἀγαθῶν ἀξίους, ἅπαντας
ἐξέβαλε καὶ παρεσκεύασε τοὺς ἀνθρώπους {τὰ} κράτιστα περὶ θεῶν λέγειν τε καὶ
φρονεῖν μηδὲν αὐτοῖς προσάπτοντας ἀνάξιον ἐπιτήδευμα τῆς μακαρίας φύσεως. Οὔτε
γὰρ Οὐρανὸς ἐκτεμνόμενος ὑπὸ τῶν ἑαυτοῦ παίδων παρὰ Ῥωμαίοις λέγεται οὔτε
Κρόνος ἀφανίζων τὰς ἑαυτοῦ γονὰς φόβῳ τῆς ἐξ αὐτῶν ἐπιθέσεως οὔτε Ζεὺς καταλύων
τὴν Κρόνου δυναστείαν καὶ κατακλείων ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ τοῦ Ταρτάρου τὸν ἑαυτοῦ
πατέρα οὐδέ γε πόλεμοι καὶ τραύματα καὶ δεσμοὶ καὶ θητεῖαι θεῶν παρ´ ἀνθρώποις»
(IT) «Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano
offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non
degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli
uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso
possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura
divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli
né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose
fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri
del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro
servitù presso gli uomini.» (Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19;
traduzione di Elisabetta Guzzi, p.94.) Calco in gesso della fronte del
"Sarcofago Mattei" (III secolo d.C.), conservato presso il Museo
della civiltà romana (Roma). L'originale del calco è murato nello scalone
principale di Palazzo Mattei in Roma. Questa fronte del sarcofago intende
raffigurare una delle fabulae fondative della civiltà romana: il dio Mars
(Marte) che si avvicina a Rhea Silvia (Rea Silvia) addormentata[26]. I gemelli
Romulus (Romolo) e Remus (Remo) saranno il frutto della relazione tra il dio e
Rhea Silvia, figlia di Numitor (Numitore), questi discendente dell'eroe troiano
Aeneas (Enea) e re dei Latini. Allo stesso modo il filologo tedesco Georg
Wissowa[27] e lo studioso tedesco Carl Koch[28] hanno diffuso in età moderna
l'idea che i Romani non avessero in origine una propria mitologia. Diversamente
il filologo francese Georges Dumézil in varie opere aventi come oggetto la
religione romana[29] ha invece ritenuto di considerare la presenza di una
mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella indoeuropea, al
pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente il contatto con la
cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto dimenticare ai Romani questi
loro racconti mitici basati su una trasmissione di tipo orale. Lo storico delle
religioni italiano Angelo Brelich[30] ha ritenuto di individuare una mitologia
propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza come quella greca, è comunque
parte autentica e originaria di quel popolo. Lo storico delle religioni
italiano Dario Sabbatucci[31]riprende di fatto le conclusioni di Koch quando
individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno concentrato nel
"rito" religioso il contenuto "mitico" non estraendone, a
differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente lo storico delle
religioni olandese Jan Nicolaas Bremmer[32] ritiene che i popoli indoeuropei e
quindi di eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i Romani, non
abbiano mai posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non in forma
assolutamente rudimentale, la particolarità della mitologia greca risiederebbe
quindi nel fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli appartenenti alle
antiche civiltà orientali. Allo stesso modo Mary Bread[33] ha criticato le
conclusioni di Dumézil sulla presenza di una mitologia indoeuropea, collegata
all'ideologia tripartita, presente anche nella Roma arcaica. Di certo a
partire dall'VIII/VII secolo a.C. si osserva la penetrazione di racconti mitici
greci in Italia centrale con i reperti archeologici che li raffigurano[34][35].
Nel VI secolo a.C. l'influenza greca emerge in modo decisamente impressionante
con la costruzione del tempio a Iupiter Optimus Maximus al
Campidoglio[36]. Andrea Carandini ritiene di individuare una precisa
cesura tra la mitologia originaria del Lazio e quella successiva determinata
dall'influenza greca: «Ma a partire da un certo momento la creatività
mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori sviluppi cominciano a perdere
autenticità, per cui viene a prodursi una cesura. Questa cesura cade a nostro
avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando avvengono manipolazioni del mito
indigeno ed intrusioni di miti greci paragonabili a un grosso intervento
chirurgico nella cultura del tempo.» (Andrea Carandini, La nascita di
Roma, p. 48) Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini, per mezzo della
quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche proprie dei Greci,
era già stata evidenziata da Mircea Eliade: «Sotto la dominazione etrusca
perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove, Marte e Quirino, che
viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e Minerva, istituita
all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza etrusco-latina, che del resto
apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno ora delle statue: Juppiter
Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è presentato ai Romani sotto
l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.» (Mircea Eliade, Storia delle
idee e delle credenze religiose, vol. II, p. 128) Se quindi già a partire
dall'VIII/VII secolo a.C. i racconti mitologici greci, questi decisamente
influenzati dal contatto della civiltà greca con quelle orientali, segnatamente
con la civiltà mesopotamica[37], penetrano nell'Italia centrale determinando la
successiva e decisiva influenza della mitologia greca sulle idee religiose
latine, resta che alcuni racconti di natura mitica, alcuni dei quali anche di
possibile eredità indoeuropea, possano essere appartenuti alla cultura orale
latina arcaica e poi ripresi e in parte riformulati dai letterati e dagli
antichisti romani dei secoli successivi. L'accezione moderna del termine
"mito" inerisce a racconti tradizionali che hanno come oggetto dei
contenuti di tipo significativo[38], il più delle volte afferenti al campo
teogonico e cosmogonico[39], e comunque inerente al sacro e quindi del
religioso[40]: «Il mito esprime un segreto proprio delle origini, che
conduce ai confini tra gli uomini e gli dei.» (Jacques Vidal, Mito,
in Dizionario delle religioni(a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori,
2007, p. 1232) «Il mito si distingue dalla leggenda, dalla fiaba, dalla favola,
dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di ciascuno di questi
generi letterari. [...] Tutti questi tipi di racconto hanno in comune il fatto
di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono il mito
profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso» (Carlo
Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo),
Torino, Einaudi, 1993, p.494) Il termine moderno "mito" risale al
greco μύθος (mýthos)[41] laddove, invece, i Romani utilizzano il termine fabula
(pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for, "parlare" di
contenuti religiosi[42]. Se fabulaper i Romani è quindi il "racconto"
di natura tradizionale circondato da un'atmosfera religiosa, esso possiede
l'ambivalenza di essere anche il "racconto" leggendario che si oppone
a historia[43], il "racconto" fondato storicamente. Ne consegue che
il fondamento di verità di una fabula è lasciato all'uditore che ne stabilisce
il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla tradizione. Così Livio, in
Ad Urbe Condita (I), ricorda che tali fabulae fondative non si possono né
adfirmare (confermare), né refellere (confutare). Le fabulae fondative di
Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una letteratura che prosegue
per circa sei secoli[44]. Tali fabulae narrano di un primo re dei Latini, Ianus
(Giano), cui segue un secondo re giunto esule dal mare, Saturnus (Saturno), il
quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Picus (Pico), a sua
volta padre di Faunus (Fauno) che generò il re eponimo dei Latini, Latinus
(Latino). A partire da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la
civiltà, quindi l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città.
EvoluzioneModifica Lo sviluppo storico della religione romana passò per quattro
fasi: una prima protostorica, una seconda fase dall'VIII secolo a.C. al VI
secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una terza
contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e
greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si
diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale. Età
protostoricaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Fondazione di Roma. Nell'età protostorica ancora prima della
fondazione di Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel
territorio dei colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni
di forze soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano
tuttavia personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi
dei contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci (nell'VIII secolo a.C. poi
nel IV-III secolo a.C.), i Sabini e gli Etruschi, tali forze cominceranno a
essere personificate in oggetti e, solo a Repubblica inoltrata, in soggetti antropomorfi.
Sino ad allora erano viste come forze chiamate numen o al plurale numina,
grandi in numero e ciascuna avente il suo compito nella vita di tutti i
giorni. Età arcaicaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Età regia di Roma. La fase arcaica fu caratterizzata da
una tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei
culti indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine
indoeuropea. Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di
Roma, la sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di
leggi scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto
ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii,
i Feziali e i Pontefici[45]. Busto di Giano bifronte, culto
istituito da Numa Pompilio[46] Gli dei principali e più antichi venerati nel
periodo arcaico, la cosiddetta "triade arcaica", erano
Giove(Iupiter), Marte (Mars) e Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil
definisce invece “triade indoeuropea”[47]. Proprio a Iupiter Feretrius (garante
dei giuramenti) è dedicato il santuario cittadino di più antica consacrazione:
stando a Tito Livio era stato proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[48],
così come fu responsabile della creazione del culto di Iupiter Stator (che
arresta la fuga dai combattimenti)[49]. Tra le divinità maschili troviamo
Liber Pater, Fauno, Giano (Ianus)[46], Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il
dio del silo in cui si racchiude il frumento), Nettuno (in origine dio delle
acque dolci, solo dopo l'apporto ellenizzante dio del mare[50]), Fons (dio
delle sorgenti e dei pozzi[51]), Vulcano (Volcanus, dio del fuoco
devastatore[52]). In questa fase primitiva della religione romana è
riscontrabile la venerazione di numerose divinità femminili: Giunone (Iuno) in
diversi e specifici aspetti (Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno
Moneta)[53], Bellona, Tellus e Cerere (Ceres), Flora, Opi (l'abbondanza
personificata), Pales (dea delle greggi), Vesta[46], Anna Perenna, Diana
Nemorensis(Diana dei boschi, dea italica , introdotta secondo la tradizione da
Servio Tullio come dea lunare[54]), Fortuna (portata in città da Servio Tullio,
con vari culti entro il pomoerium), la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo
chiaro[55]), la dea Agenoria (la dea rappresentante dello sviluppo).
Frequenti sono le coppie di divinità legate alla fertilità poiché essa era
ritenuta per natura duplice: se in natura esistono maschio e femmina dovevano
esserci anche maschio e femmina per ogni aspetto della fertilità divina. Ecco
così Tellus e Tellumo, Caeres e Cerus, Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In
queste coppie il secondo termine rimane sempre una figura secondaria, minore,
una creazione artificiale dovuta ai sacerdoti teologi più che alla reale
devozione[56]. Il periodo delle origini è caratterizzato anche dalla
presenza di numina, divinità indeterminate, come i Larie i Penati. Età
repubblicanaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Repubblica romana. La mancanza di un "pantheon" definito
favorì l'assorbimento delle divinità etrusche, come Venere(Turan), e
soprattutto greche. A causa della grande tolleranza e capacità di
assimilazione, tipiche della religione romana, alcuni dèi romani furono
assimilati a quelli greci, acquisendone l'aspetto, la personalità e i tratti
distintivi, come nel caso di Giunone assimilata a Era; altre divinità, invece,
furono importate ex novo, come nel caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato
sulla religione, infatti, non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi
tendeva a favorirla, a condizione che questi non costituissero un pericolo
sociale e politico. Nel II secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali
con Senatus consultum de Bacchanalibusdel 186 a.C. perché durante tali riti gli
adepti praticavano la violenza sessuale reciproca (sodomia compresa),
specialmente sui neofiti, e ciò era in contrasto con le leggi romane che
impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti degli
schiavi, mentre il culto dionisiaco fu represso con la forza. Età alto
imperialeModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Alto Impero romano. L'imperatore Commodorappresentato come Ercole
La crisi della religione romana, iniziatasi nella tarda età repubblicana,
s'intensificò in età imperiale, dopo che Augusto aveva provato a darle nuovo
vigore. «[Augusto] ripristinò alcune antiche tradizioni religiose che
erano cadute in disuso, come l'augurio della Salute, la dignità del flamine
diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei Ludi Saeculares e dei Compitalia. Vietò
ai giovani imberbi di correre ai Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze
di partecipare alle rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere
accompagnati da un adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero
adornati di fiori due volte all'anno, in primavera ed estate.» (Svetonio,
Augustus, 31.) Le cause del lento degrado della religione pubblica furono
molteplici. Già da qualche tempo vari culti misterici di provenienza
medio-orientale, quali quelli di Cibele, Iside e Mitra, erano entrati a far
parte del ricco patrimonio religioso romano. Col tempo le nuove religioni
assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche escatologiche e
soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della religiosità
dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti vuoti di
significato. La critica alla religione tradizionale veniva anche dalle correnti
filosofiche dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi propri della
sfera religiosa, come la concezione dell'anima e la natura degli dei.
Un'altra caratteristica tipica del periodo fu quella del culto imperiale. Dalla
divinizzazione post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si
arrivò all'assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole e alla
teocrazia dioclezianea. Età tardo imperialeModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Tardo Impero romano. Nel 287 circa
Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di
Herculius[57][58]. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune
caratteristiche del sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove,
era riservato il ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano,
assimilato a Ercole, avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente"
le disposizioni del collega[59]. Malgrado queste connotazioni religiose, gli
imperatori non erano "divinità", in accordo con le caratteristiche
del culto imperiale romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei
panegirici imperiali; erano invece visti come rappresentanti delle divinità,
incaricati di eseguire la loro volontà sulla Terra[60]. Vero è che Diocleziano
elevò la sua dignità imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione
romana. Egli voleva risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et
deus, signore e dio, tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita
una dignità sacrale: il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri
sacrum consistorium[61][62]. Segni evidenti di questa nuova qualificazione
monarchico-divina furono il cerimoniale di corte, le insegne e le vesti
dell'imperatore. Egli, infatti, al posto della solita porpora, indossò abiti di
seta ricamati d'oro, calzature ricamate d'oro con pietre preziose[63]. Il suo
trono poi si elevava dal suolo del sacrum palatium di Nicomedia.[64] Veniva,
infine, venerato come un dio, da parenti e dignitari, attraverso la
proschinesi, una forma di adorazione in ginocchio, ai piedi del
sovrano[62][65]. Nella congerie sincretistica dell'impero durante il III
secolo, permeata da dottrine neoplatoniche, e gnostiche, fece la sua comparsa
il cristianesimo. La nuova religione andò lentamente affermandosi quale culto
di Stato, con la conseguente fine della religione romana, da ora indicata
spregiativamente come "pagana", sancito, nel IV e V secolo, dalla
chiusura dei templi e dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare
religioni diverse da quella cristiana. Flavio Claudio Giuliano,
discendente del cristiano Costantino I, tentò di restaurare la religione romana
in forma ellenizzata a Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose
fine al progetto. Teodosio Iemanò nel 380 l'editto di Tessalonica per la parte
orientale, rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, poi nel 391-92
con i decreti teodosianicominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani
nell'Impero romano; infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte
occidentale, dove stava avvenendo specialmente a Roma una rinascita
pagana. A partire dal XX secolo emersero correnti neopagane, come la Via
romana agli dei e il neo-ellenismo. Organizzazione religiosaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sacerdozio
(religione romana). Secondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari
sacerdozi e a stabilire i riti e le cerimonie annuali[66]. Tipica espressione
dell'assunzione del fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario,
risalente alla fine del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere
l'anno in giorni fasti e nefasti con l'indicazione delle varie feste e
cerimonie sacre[66]. Collegi sacerdotali Augusto nelle vesti di pontefice
massimo La gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali
dell'antica Roma, i quali costituivano l'ossatura della complessa
organizzazione religiosa romana. Al primo posto della gerarchia religiosa
troviamo il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni
religiose compiute un tempo. Flamini, che si dividevano in tre maggiori e
dodici minori, erano sacerdoti addetti ciascuno al culto di una specifica
divinità e per questo non sono un collegio ma solo un insieme di sacerdozi
individuali[67]; Pontefici[66], in numero di sedici, con a capo il Pontefice
massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso;
Auguri[66] , in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare, addetti
all'interpretazione degli auspici e alla verifica del consenso degli dei;
Vestali[46] , sei sacerdotesse consacrate alla dea Vesta; Decemviri o
Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione
dei Libri sibillini; Epuloni, addetti ai banchetti sacri. SodaliziA Roma vi
erano quattro grandi confraternite religiose, che avevano la gestione di
specifiche cerimonie sacre. Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli
dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano
sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più
tardi identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano
un'antichissima cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia. Luperci,
presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si
teneva il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani.
Salii[66] (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi
in due gruppi da dodici detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i
sacerdoti portavano in processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi
di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte
costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La
processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il
Carmen saliare ed eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[68]. Feziali
(Fetiales), venti membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere
Bellum Iustumdoveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater
Patratus pronunciava una formula mentre scagliava il giavellotto in territorio
nemico. Dal momento che, per motivi pratici, non era sempre possibile compiere
questo rito, un peregrinusvenne costretto ad acquistare un appezzamento di
terreno presso il teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna
Bellica, che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva
quindi svolgere il rito. Feste e cerimonieMagnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Festività romane. Suovetaurilia, Museo del
Louvre Delle 45 feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a
quelle suddette, erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle
dedicate ai defunti, in febbraio, come i Ferialia e i Parentalia e quelle
connesse al ciclo agrario, come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli
Opiconsivia di agosto. Sulla base delle fonti classiche si è potuto
individuare quali tra le numerose festività del calendario romano vedevano
un'ampia partecipazione di popolo. Queste feste sono la corsa dei Lupercalia
(15 febbraio), i Feralia (21 febbraio) celebrati in famiglia, i Quirinalia(17
febbraio) celebrati nelle curie, i Matronalia (1º marzo) in occasione delle
quali le schiave venivano servite dalle padrone di casa, i Liberalia (17 marzo)
spesso associata alla festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i
Matralia (11 giugno) con la processione delle donne, così come i Vestalia (9-15
giugno), i Poplifugia (5 luglio) festa popolare, i Neptunalia (23 luglio), i
Volcanalia (23 agosto) e infine i Saturnalia (17 dicembre), la cui vasta
partecipazione di popolo è attestata da numerose fonti[69]. Durante le
cerimonie sacre spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle
divinità cibi e libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una
cerimonia, la lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi
circensi (ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario
(dies natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si
svolgevano i Ludi Magni. Pratiche religiose «Cumque omnis populi Romani
religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid
praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve
monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita
persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse
nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum
inmortalium tanta esse potuisset.» (Cicerone, De natura deorum, III, 5)
Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era
l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei.
Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario
conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti
adeguati. Le pratiche più seguite riguardavano: il volo degli uccelli:
l'augure tracciava delle linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi
Lituo), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per interpretare
l'eventuale passaggio di uccelli; la lettura delle viscere degli animali:
solitamente un fegato di un animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici
di provenienza etrusca per comprendere il volere del dio; i prodigi: qualsiasi
prodigio o evento straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi,
ecc., era considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed
era compito dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni. Lo spazio sacro Edicola
dedicata ai Lari nella Casa dei Vettii a Pompei Lo spazio sacro per i Romani
era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali,
secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del
cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o
ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai
sacrifici. Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente
gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli
incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i
sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale
edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del
dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini
diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro. Il tempio romano
risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti
elementi dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del
tempio romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto
podio, accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare
maggiore importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro
di recinzione e privo dunque del colonnato. «“Roman religion” is an
analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient
city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and
social structure of the city.» (Robert Schilling (1987) Jörg Rüpke
(2005), Roman Religio, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) ^ Sul considerare la "religione romana"
strettamente collegata alla città di Roma: «Although Rome gradually
became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the
capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions
and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and
its nearby surroundings (ager Romanus).» (Robert Schilling (1987) Jörg
Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol. 12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) Ma anche: «La religione romana esiste solo a
Roma o là dove stanno i Romani» (John Scheid, La religione a Roma. Bari,
Laterza, 1983, pp. 13-4) ^ Cfr. Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi,
Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà. Torino, Einuadi, 2003; Milano,
Mondadori, 2010. ^ La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco
Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da
Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore
indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino
all'814-813. ^ Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, L'eta dei re in La
grande storia dell'antichità -Roma (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e
sgg. ^ Così Mircea Eliade in Storia delle idee e delle credenze religiose, vol.
II, p. 111: «orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il
risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli
invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente Georges
Dumézil, in La religione romana arcaica, p. 69-70: «A differenza dei greci che
invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in Italia
non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che occuparono il
sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da un popolamento
denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono a pensare che i
pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati semplicemente e
sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi, i tasmaniani
dai mercanti venuti dall'Europa.» ^ Per un'introduzione alle religione degli
Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei in Dizionario
delle religioni (a cura di Paul Poupard). Milano, Mondadori, 2007, pp. 891-908;
Renato Gendre, Indoeuropei in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni
Filoramo). Torino, Einaudi, 1993 pp.371 e sgg.; Regis Boyer, Il mondo
indoeuropeo in L'uomo indoeuropeo e il sacro, in Trattato di antropologia del
sacro (a cura di Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg. ^
André Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture, Bari, Laterza, 1989, pp.
78-79; Francisco Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il Mulino, 1997 p. 480. ^
Per le decisive influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr.
Marta Sordi, L'homo romanus: religione, diritto, e sacro, in Le civiltà del
Mediterraneo e il sacro., in Trattato di antropologia del sacro (a cura di
Julien Ries) vol. 3. Milano, Jaca Book, 1991, pp. 7 e sgg. ^ Per quanto attiene
alla decisiva influenza della mitologia greca sulla religione romana si rimanda
alle conclusioni di Georges Dumézil in La religione romana arcaica, Milano,
Rizzoli, 2001, pp. 63 e sgg. ^ Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in Storia
del cristianesimo (a cura di Giovanni Filoramo) vol. 1, Bari, Laterza, 2008,
pp. 321 e sgg. ^ Gli editti contro gli eretici e gli apostati furono in seguito
raccolti nel sedicesimo libro del Codice teodosiano del 438. ^ «Per i Romani
religio stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso
lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli
dèi.» (Mircea Eliade, Religione in Enciclopedia del novecento. Istituto
enciclopedico italiano, 1982, pag. 121) ^ Enrico Montanari, Dizionario delle
religioni (a cura di Giovanni Filoramo, Torino, Einaudi, 1993, pag. 642-644 ^
Pietro Virili, La politica religiosa dello Stato romano, Nuova Archeologia
(inserti), marzo/aprile 2013. ^ «Ogni tentativo di definire il concetto di
"religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non
può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti
fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della
religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne
condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva,
la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non
reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà"
della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che
cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto
di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni
dai modi a noi abituali.» (Giovanni Filoramo, Religione in Dizionario
delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo). Torino, Einaudi, 1993, pag.620)
^ In tal senso Pierre Boyancé, Etudes sur la religion romaine, Roma, École
française de Rome, 1972, p.28. ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del
genitivo. ^ Cfr. Julien Ries in Saggio di definizione del sacro. Opera Omnia.
Vol. II. Milano, Jaca Book, 2007, pag.3: «Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel
1899 vicino al Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio
Severo, nel luogo che si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei
re, figura la parola sakros: da questa parola deriverà tutta la terminologia
relativa alla sfera del sacro.» ^ Cfr. Émile Benveniste: «Questo presente in
latino in -io con infisso nasale sta a *sak come jungiu 'unire' sta a jug in
lituano; il procedimento è ben noto.», in le Vocabulaire des institutions
indo-européennes (2 voll., 1969), Paris, Minuit. Ed. italiana (a cura di
Mariantonia Liborio) Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Torino,
Einaudi, 1981, pag. 426-7. ^ Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo
l'inauguratio, ovvero pieno della "forza", della "potenza",
che gli consente di avere relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione
molto più tarda riferita prima al ruolo militare e poi politico di alcune
personalità della Storia romana. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del
sacro, in Grande dizionario delle Religioni (a cura di Paul Poupard). Assisi,
Cittadella-Piemme, 1990 pagg. 1847-1856 ^ Julien Ries, Saggio di definizione
del sacro, Op.cit.. ^ Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, Op.cit. ^
Dionigi di Alicarnasso, II, 18-19 ^ Questa versione della fabula è in Ovidio,
Fasti, III, 11 e sgg. ^ Religion und Kultus der Römer, 1902 ^ In Der römische
Jupiter del 1937. ^ Una riassuntiva è La Religion romaine archaïque, avec un
appendice sur la religion des Étrusques, Payot, 1966, edito in Italia dalla
Rizzoli di Milano con il titolo La religione romana arcaica. Miti, leggende,
realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice sulla religione degli
etruschi; in tal senso cfr. p. 59 edizione del 2001. ^ In Tre variazioni romane
sul tema delle originidel 1955 con revisioni fino al 1977, Roma, Editori
Riuniti, 2010. ^ Ad esempio in Mito, rito e storia, Roma, Bulzoni, 1978. ^
Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth and Mythography, University of London
Institute of Classical Studies, Bulletin Supplements S. No.52, 1987. ^ Cfr. ad esempio
Early Rome, In Religions of Rome I vol. (con John North e Simon Price),
Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 14 e sgg. ^ In tal senso cfr.
Mauro Menichetti, Archeologia del potere. Re, immagini e miti a Roma e in
Etruria in età arcaica, Roma, Longanesi, 1994 ^ Da ricordare che la stabile
presenza dei Greci nelle colonie italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C.
^ «The most impressive testimony to early Rome’s relation to the Mediterranean
world dominated by the Greeks is the building project of the Capitoline temple
of Jupiter Optimus Maximus (Jove [Iove] the Best and Greatest), Juno, and
Minerva, dateable to the latter part of the sixth century. By its sheer size
the temple competes with the largest Greek sanctuaries, and the grouping of
deities suggests that that was intended.» (Robert Schilling (1987) Jörg
Rüpke (2005), Roman religion, in Encyclopedia of Religion, vol.12. New York,
Macmillan, 2005, p. 7895) ^ In tal senso e ad esempio cfr. Charles Penglase,
Greek Myths and Mesopotamia: Parallels and Influence in the Homeric Hymns and
Hesiod, Londra, Routledge, 2005. ^ «Myth is a traditional tale with secondary,
partial reference to something of collective importance.» Walter Burkert,
Structure and History in Greek Mythology and Ritual. Berkeley, University of
California Press, 1979, p. 23. ^ Per il livello teocosmogonico cfr. Carlo
Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo),
Torino, Einaudi, 1993, p.492 e sgg. ^ Come "fondamentale indicatore
religioso" e come "irruzione della dimensione del sacro" cfr.
Carlo Prandi, Mito in Dizionario delle religioni (a cura di Giovanni Filoramo),
Torino, Einaudi, 1993, p.494 ^ Da considerare che il termine "mito"
(μύθος, mýthos) possiede in Omero ed Esiodo il significato di
"racconto", "discorso", "storia" (cfr. «per gli
antichi greci μύθος era semplicemente "la parola", la
"storia", sinonimo di λόγος o ἔπος; un μυθολόγος, è un narratore di
storie» Fritz Graf, Il mito in Grecia Bari, Laterza, 2007, 1; cfr. «"suite
de paroles qui ont un sens, propos, discours", associé à ἔπος qui désigne
le mot, la parole, la forme, en s'en distinguant...» Pierre Chantraine,
Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, p. 718). Un racconto
"vero" (μυθολογεύω, Odissea XII, 451; così Chantraine (Dictionnaire
Etymologique de la Langue Grecque, 718: «"raconter une histoire
(vraie)", dérivation en εύω pour des raisons métriques».), pronunciato in
modo autorevole (cfr. «in Omero mýthos designa nella maggior parte delle sue
attestazioni, un discorso pronunciato in pubblico, in posizione di autorità, da
condottieri nell'assemblea o eroi sul campo di battaglia: è un discorso di
potere, e impone obbedienza per il prestigio dell'oratore.» Maria Michela
Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.50),
perché «non c'è nulla di più vero e di più reale di un racconto declamato da un
vecchio re saggio»(Giacomo Camuri, Mito in Enciclopedia Filosofica, vol.8,
Milano 2006, pag.7492-3). Nella Teogoniaè μύθος ciò con cui si rivolgono le dee
Muse al pastore Esiodo prima di trasformarlo in "cantore ispirato"
(cfr. 23-5: Τόνδε δέ με πρώτιστα θεαὶ πρὸς μῦθον ἔειπον) ^ Deriva *for, il suo
valore religioso è messo in evidenza da Émile Benveniste (in Il
vocabolario delle istituzioni indoeuropee, vol. II, Torino, Einaudi, 1981,
p.386). Dall'arcaico *for deriva anche fatus e fas ma anche fama e facundus; il
suo corrispettivo greco antico è phēmi, pháto, ma manca completamente in
indoiranico il che lo attesta nell'indoeuropeo di parte centrale (vedi anche
l'armeno bay da *bati). ^ Termine e nozione di eredità greca. ^ Angelo
Brelich,op.cit. p. 83; per un'esaustiva rassegna dei testi Brelich rimanda ad
Albert Schwegler, Römische Geschichte, Tübingen, 1853, Vol. I, pp. 212 e sgg.
Cfr., comunque, Virgilio Eneide, VII 45 e sgg. 177 e sgg.; VIII, 319 e sgg. ^
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 63-73. ^ a b c d Floro, Epitoma
de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.3. ^ George Dumezil, La
religione romana arcaica, p. 137 segg. ^ Tito Livio, 1, 10, 5-7 ^ Jacqueline
Champeaux, La religione dei romani, p. 23 ^ Jacqueline Champeaux, p. 32 ^
Jacqueline Champeaux, p. 32-33 ^ Jacqueline Champeaux, p. 33 ^ Jacqueline
Champeaux, p. 25-26 ^ Jacqueline Champeaux, p. 37 ^ Jacqueline Champeaux, p. 44
^ Jacqueline Champeaux, p. 29 ^ Aurelio Vittore, Epitome 40, 10; Aurelio
Vittore, Caesares, 39.18; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 8 e 52.3;
[1]Panegyrici latini, II, XI, 20. ^ Bowman, "Diocletian and the First
Tetrarchy" (CAH), 70–71; Liebeschuetz, 235–52, 240–43; Odahl 2004, pp.
43-44; Williams 1997, pp. 58-59. ^ Barnes 1981, pp. 11–12; Bowman,
"Diocletian and the First Tetrarchy" (CAH), 70–71; Odahl 2004, p. 43;
Southern 2001, pp. 136-137; Williams 1997, p. 58. ^ Barnes 1981, p. 11; Cascio,
"The New State of Diocletian and Constantine" (CAH), 172. ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.4. ^ a b E.Horst, Costantino il Grande, p.49. ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Zonara, XII, 31. ^ . ^ Aurelio
Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Eumenio, Panegyrici latini, V, 11.
^ a b c d e Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I, 2.2. ^
Jacqueline Champeaux, p. 39 ^ Jacqueline Champeaux, p. 43 ^ Jörg Rüpke. La
religione dei Romani, Torino, Einaudi, Montero, Sabino Perea (a cura di),
Romana religio = Religio romanorum: diccionario bibliográfico de Religión
Romana, Madrid, Servicio de publicaciones, Universidad Complutense, 1999. Fonti
primarie Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I. Tito
Livio, Ab Urbe condita libri. Fonti storiografiche moderne R. Bloch, La
religione romana, in Le religioni del mondo classico, Laterza, Bari 1993 A.
Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini, Editori Riuniti, Roma
2010 J. Champeaux, La religione dei romani, Il Mulino, Bologna 2002 R. Del
Ponte, Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica,
ECIG, Genova 1985 R. Del Ponte, La religione dei romani, Rusconi, Milano 1992
G. Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 2001 D. Feeney,
Letteratura e religione nell'antica Roma, Salerno, Roma 1998 K. Kerényi, La
religione antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio, Roma, 1951 U. Lugli,
Miti velati. La mitologia romana come problema storiografico, ECIG, Genova 1996
D. Sabbatucci, Sommario di storia delle religioni, Il Bagatto, Roma, 1985 D.
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1986 D. Sabbatucci, La religione di Roma antica, Il Saggiatore, Milano, 1989 J.
Scheid, La religione a Roma, Laterza, Roma-Bari 2001 Voci correlateModifica
Mitologia romana Via romana agli dei Sacerdozio (religione romana) Sacro
(Romani) Dies religiosus Religione romana, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Religio romana, su novaroma Portale
Antica Roma Portale Religioni Flamine floreale Palatua Flamine
pomonale Wikipedia Il contenutoGrice: “The
Italians take ‘natural theology’ for granted; at Oxford, as Webb pointed out in
his very first Wilde lecture on natural theology, things ain’t that easy, and
they are not meant to be easy by the lecture founder, Dr. Wilde. Webb analyses
Wilde’s letter in some detail. There’s naturalism and natural theology, there’s
revealed theology, but there’s also civil theology, and it’s nice Webb’s main
source is Varro!” Grice: “Most of the best Italian philosophers have been very
much ANTI-ROMA; in part influenced by classical culture, but more so by the
German protestant movement, which also had affinities with the Italian passion
for ‘l’antico’” “Ironically, Roma is considered hardly a representative of
romanita!” Cf. the neo-paganism of Evola, which is meant to represent romanita.
-- Luigi Maria Epicoco. Epicoco. Keywords: Wilde readership in natural
religion. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Epicoco” – The Swimming-Pool
Library.
Grice
ed Epitetto: la ragione conversazionale -- Roman slave – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Upon freedom, he studied philosophy under Musonio Rufo, but he was
expelled from Rome under Domiziano. For some reason, the emperor Antonino took
a liking to his mode of philosophising, even though, of course, due to their
different classes, they never met in the flesh.
Grice
ed Eraclide: la ragione conversazionale e l’esperienza -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. He writes a large work expounding the
empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.
Grice
ed Eraclio: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo. He invited the emperor
Giuliano to one of his lectures, hoping to make an impression. He did, but it
was an unfavouable one, and Julian duly produced a written piece critical of
him.
Grice
ed Era: la ragione conversazionale e l cinargo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated
the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a
packed Roman theatre. Unfortunately for E., whereas Diogenes had only been
flogged, E. was beheaded.
Grice
ed Erato: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo romano. A Pythagorean, according to Giamblico.
Grice ed Ercole: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della difesa della metafisica –
transnaturalia -- esologia, essologia, e sinautologia – filosofia italiana Luigi
Speranza (Spinazzola). Filosofo
italiano. Grice: “I like it when Ercole emphasizes that bit in De
Interpretatione which I love – every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo,
semantikos, -- adds Ercole quoting from the Greek) of this or that – even a
prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole; for one, he expands on my idea of
the longitudinal unity of philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he
thinks history can be regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism –
this is pretty interesting; for another, he tutored for years on the very same
topics I did, notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a
theory of semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si
perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla
"Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo
iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione
all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato
contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo
classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre
opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia,
Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua
abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana,
Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e
storicamente considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano”
(Torino, Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e
Spencer” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del
pitagorismo” (Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia
della natura di Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica
di Ceretti” (Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di
Ceretti”, “La sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica,
la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona),
“La logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani. Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo
quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano
mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e
l'uno e l'altro. È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle
mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o
fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in
questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli
scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo
permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza
voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso. Ciò non ostante,
non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo
general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato (1)
Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata
da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità »
per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si
potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua
Sinossi. Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora
non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra
nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci,
dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito
de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che
può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico. In giovinezza viaggiò, e
per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse
genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone
la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ed è, certo, da tal
visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a
procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto
più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e
lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le
lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure
conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida
e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe
mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente
un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero
filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un
fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere
(1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario
comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche
e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano
una riforma sociale basantesi su principii filosofici. In una dozzina
d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e
propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio
in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di
un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti
poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto
filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più
importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a
comprendersi l'oscurità del Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a
scandagliar primamente con essi la pubblica opinione. De' primi qualche
giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del
secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse
nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi
specialmente a questa (1) L'elenco compiuto di esse si trova nella mia
citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una
quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero
letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti
essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della
madre notte, che non lascia vedere cosa veruna » (1). Dopo questa prima, quasi
ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e
cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità. Singolare uomo!
rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e
quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che
sovente ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente
non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei
volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche,
filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante,
queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli
stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto nel 1874 da
una paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a
poco a poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor
sempre l'occuparono fino alla morte, avvenuta nel 1884. Quanto agli
scritti, omettendo di allegare i poeticoletterari, che non è qui il luogo e
l'intento, ricordo i principali filosofici. La citata opera latina doveva
essere (1) La mia celebrità, pag. 101, allegata alla mia citata
opera. di otto volumi, ma egli non ne scrisse che propriamente cinque e
non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e ad un'altra opera filosofica,
intitolata : Idea circa la natura e la genesi della Forza, e rimasta
incompiuta, scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa; Sogni e
Favole (il titolo par letterario, ma è opera filosofica e voluminosa);
Considerazioni circa il sistema generale dello spirito e circa il sistema della
natura entro i limiti della riflessione; Insegnamento filosofico; Stramberie
filosofiche, e parecchie altre minori. Nella gran massa de'suoi scritti
il pensiere del Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma si mutò anzi
non poco, e passò per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche il pensiero
poetico, sociale e letterario) si possono riassumere in quattro o cinque, e
sono la fase poetica; la fase filosofica hegeliana; la fase filosofica di
transizione; la fase utopistica e riformativa sociale; e finalmente la fase
detta del sistema contemplativo (filosofica anch'essa). La fase poetica
fu la prima della mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che per
studi e produzioni. Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione della
sua mente, va notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto egli
passò per varii stadii e varie maniere di concezione e corrispondente
produzione poetica, cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po'
per quella di Giusti e finendo con una concezione e forma poetica
umoristicofilosofica. Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla
sua propria designazione indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne'
suoi svariati, larghi e profondi studi filosofici giunse ad accogliere come
risultato finale di essi la filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato,
credo, il solo hegeliano, o certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più
che egli non si limitò alla pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma
si allargò ed elevò ad una propria produzione sotto il nome di riformazione del
medesimo (1). Ma ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere
subisce di bel nuovo una evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno
de'quali è una specifica fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o
queste specifiche fasi sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come «
speculazione hegeliana», l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa
come di « divorzio dalle idee hegeliane » 2). Io però (come ho ampiamente
mostrato nella mia citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere
dell'autore, dico che queste fasi specifiche del suo [ocr errors] (1)
Nella prefazione alle Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni
pei tipi di Bona, alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella
storia filosofica passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia
ellenica, del neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto
dell'hegelianismo, guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un
ulteriore sviluppo speculativo, e si costituì in proprio sistema ». (2)
Vedi La mia celebrità, pag. 92 e 107. pensiere filosofico son tre, cioè
la hegeliana, una seconda, che ho appellata di transizione, e finalmente quella
del sistema contemplativo. Or la Sinossi, che si pubblica presentemente,
è un'opera che cade appunto nella fase di transizione del pensiere filosofico
di Ceretti; e di ciò fra poco. Quanto al così detto sistema contemplativo
cerettiano, che non entra neppur esso nella considerazione e nei limiti della
mia Introduzione, rimando il lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia,
segnatamente a pagina cccxxix ss. Qui mi limito a dir solo che esso è un
complesso di idee stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il
subbiettivismo poi (già cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale
estremo da essere un subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il
Ceretti cominciò coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso
l'Idealismo obbiettivo di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte
(fase di transizione); e questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il
sistema contemplativo nel senso predetto. La fase utopistico-sociale è
pure in grosso e chiaramente designata dalla sua denominazione stessa. Infatti,
il Ceretti in essa propugna uno stato sociale e una relativa costituzione, che
non sono lontani da quelli della repubblica di Platone, ossia da una società
civile addirittura utopistica. Poste queste generalità, vengo allo scopo
principale di questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo [ocr
errors] particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non
s'intenderebbe ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente
pensiere filosofico cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in
parte, deviazione, cosi comincerò da quest'ultimo. L'antecedente
pensiere, che fu anche il primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è
stato parimenti detto che il Ceretti non accolse l'hegelianismo come un
semplice riproduttore di esso, ma come un riformatore del medesimo. Ora, che
cosa pensava egli dell'hegelianismo? pensava che, nella storica evoluzione filosofica
il pensiere hegeliano rappresentasse il momento culminante, il pensiere
speculativo più puro, però non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo
assoluto (1). Da questo modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui
accolto, seguivano due cose. L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente
pensiere, il pensiere hegeliano fosse il più elevato e il più compiuto, pur non
era interamente compiuto, era ancora difettivo. L'altra, che bisognava
correggerne i difetti ed integrarlo. La correzione e la integrazione sono
appunto la riforma dell'hegelianismo, quale il Ceretti la intende; e la
esecuzione di ciò costituisce un proprio sistema filosofico, che è il sistema
panlogico cerettiano. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
(1) Logus hegelianus (aveva egli detto nella citata opera latina, vol. I, pag.
685) est cogitationis cogitatio magis pura quam omnis hactenus a philosophia
prolata logica cogitatio, nondum vero quantum logus absolutus requirit. Chi non
ha l'edizione latina confronti la traduzione italiana, vol. I, Prolegomeni,
pag. 875.I difetti, che il filosofo intrese trovava nel filosofo di Stoccarda
si estendevano a tutte le tre parti della filosofia di quest'ultimo, alla
Logica, alla Natura ed allo Spirito. Rispetto alla Logica ei trovava i
seguenti. Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si genera dialetticamente
in sè stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova giusto che la Nozione si
generi dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però vizioso ed irrazionale il
prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce Nozione (di un'Idea che
non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica, nel suo processo
dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle categorie, mentrechè,
per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il Ceretti, un processo di
esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta trattazione costituisce
piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume astrattamente in un
risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso esplicativo.
Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano in linguaggio
più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e astrazione (non
concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il rimedio a questi vizii
(e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per lui, primamente che la
Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza, secondamente che il
processo dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo ad un tempo, in
terzo luogo, che tal processo logico non lo si vedesse ed esprimesse in un
semplice risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in ogni singolo momento
del suo corso. Rispetto alla Natura (e corrispondente filosofia), ei
trova il general difetto che il processo dialettico, che Hegel segue in questa,
è anche astratto (come nella Logica) e non locca le concretezza della Natura
istessa. La filosofia della Natura pel Ceretti non dev'essere, come per Hegel,
un’Idea raccoglientesi in sè stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua
esteriorità, ma dev'essere anche e piuttosto un veramente naturare l'Idea
logica. L' emendazione a tal difetto s'intende bene che pel Ceretti consista
nell'effettuare il processo naturale della Nozione o dell'Idea in guisa che
questa realmente si obbiettivi e concreti nell'esteriore realtà.
Finalmente, rispetto allo Spirito, il filosofo intrese trova, lasciando da
banda qualche vizio secondario, due vizii principali. Il primo è che, nel
processo dialettico hegeliano, lo Spirito sorga in ultimo come un risultato,
invece di sorgere e costituirsi in tutta la serie evolutiva dello Spirito
stesso. Il secondo è che lo Spirito non raggiunga quella libertà, nella cui
essenza il filosofo tedesco lo fa massimamente consistere. Anche qui
l'emendazione consiste nel rimuovere i notati difetti, e però far sì che lo
Spirito si costituisca tale nella suc: cession graduale della sua evoluzione e
raggiunga veramente la libertà. lo qui allego senza discutere: qualche
vizio rilevato anche a me è parso reale, altri no: rimando per questo il lettore
alla mia opera sul Ceretti e lì, in una discussione piuttosto ampia in
proposito (1), veda e giudichi da sè stesso. Come effettua ora il Ceretti
la emendazione dei predetti vizii e la conseguente riforma
dell'hegelianismo? Come segue. Va innanzi tutto notato che egli
nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso; e qui ha ragione, e
mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e profondo. Giacchè ei
pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti costituiscono e debbono
costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di un solo universale
Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale Pensiere.
L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio, comprensivo di
Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica della
filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur accogliendolo,
ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli. Di fatto, oltre al
pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato della storia
filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il principio, pur
hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il sistema dommatico,
lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il pensiere hegeliano
fondamentale della triplice forma del principio assoluto, forma logica,
naturale e spirituale, non che la conseguente triparti (1) Citata
Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini dell'opera
del Ceretti, zione e trattazione di tutta la materia filosofica. Ha
parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il metodo
dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii. Ma,
ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma
l'hegelianismo. Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto
ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi
il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel
cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la
filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana,
mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è
l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo
assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione
riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente
disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una
universale considerazione speculativa del Logo. Il Logo è cosi il nuovo
principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e
specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di
Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione
di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda
designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del
Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella
seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere
chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo
e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano. Si
noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la
Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi,
d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e
modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal
Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa
emendazione) il Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che
naturale, è una naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in
lui Coscienza (non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta). In tal
guisa Logo assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un
sol principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico
emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto
all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo
Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa
cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno
due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol
principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico
principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo
e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o
puramente e semplicemente la Coscienza. Che poi e come poi il Ceretti
colla Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di
Hegel, o almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel progresso
del discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è che dei
predetti due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo o Logo
assoluto è quello che dà più specialmente denominazione, concezione e
sistemazione alla fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il
secondo, o la Coscienza (pur già appariscente nella predetta prima fase), è
quello che dà più specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione
della seconda fase, cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il
che vuol dire, in altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema
panlogico dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza
informa più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi. Diamo
ora brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce ancor
sempre il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per veder ciò,
naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne
fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi
lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia. del Ceretti: il quale sguardo
ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera sinottica. Il
Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la
filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua universalità ed
assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori
di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il significato e valore
di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività
(obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e
Obbiettività. Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si
troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza
che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è
Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere
nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza
nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per
dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il
Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è
essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non
è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è
soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed
è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali,
sono le tre predette. Queste tre forme di esistenza, speculativamente
considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali
è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un
po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o
dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da
(85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da
cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè. A maggiore
intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto
di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di
considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come
il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi
dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è
pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e
obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la
Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la
(1) Lo dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha
in Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può
intender meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del
Panlogismo cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole,
dottrine del Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o
Pasalogice: titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche
un'altra cosa, cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane,
in quanto la Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia
corrisponde alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la
Sinautologia corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del
medesimo. Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del
pensato, e finalmente la Sinautologia è la considerazione speculativa del
pensiere del pensante. Sempre dunque considerazion del pensiere: Il
pensiere del pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere
del pensato è la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima
è la considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere
subbiettivo e pensiere obbiettivo). Ciò posto, ecco ora come l'autore
pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò
qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente
Sinossi apparisce poco o punto. Esologia. Questa è la logica cerettiana,
nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è
essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La
Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora
esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo
naturale, Natura). Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre
dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La
prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la
seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo
considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.
Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana,
corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella
dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo
il Ceretti col nome di Prologia. La Prologia cerettiana (vicinamente alla
dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e
del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla
Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi
diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè
l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la
Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del
Giudizio stesso. Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento
della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non
posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che
pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale
triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione.
È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle
particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio
e del sillogismo. La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera
questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di
Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti
e La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea
appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii
subordinati, come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la
essenza, la necessità, ecc. Chi è pratico delle cose hegeliane, si
accorge che il Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli
spostamenti, trasportando e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e
persin l'essenza stessa), che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La
cagion di ciò, a mio credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica
(anzi tutta la materia filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della
Riflessione e della Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii
o momenti hegeliani dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della
riflessione) sotto il proprio Essere, considerato appunto secondo il momento
della riflessione; ossia ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso.
L'Autologia finalmente, che è pensata come unità della Prologia e della
Dialogia, tratta de'tre principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che
anche in questi vengono distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati
come Sapere immediato, mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc.
I tre principii predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa
e sfera subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e
costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico
(ossia logico). Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane
poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella
storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche
(esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle
particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è
pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di
Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò
un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e
paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e
il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una
modificazione. EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice
anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa
parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza
ancora inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende
benissimo; perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a
passare per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza.
Questo stato ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella
mentovata designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di
incoscienza. Qualche cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche
come Coscienza dormente. Distingue la Natura (alla hegeliana) in meccanica,
fisica, organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo fisico e
Logo organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il punto
culminante della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è l'organo
sensorio. Col senso poi (che è funzione e manifestazione di quest'organo) si
esce dalla sfera della Natura propriamente detta e si entra in quella dello
Spirito, ossia della Coscienza del Logo conscio, e però del pensiero del
pensante, la cui speculativa trattazione è la SINAUTOLOGIA. Il concetto
della sinautologia dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in questo, che il
pensiero del pensante da essa considerato esprime la concretezza del pensiero
istesso, cioè la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel Pensiero), che
nella Esologia e nella Essologia era ancora inconscio. Le parti in cui si
suddivide la Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica e
l'Antroposofia. Queste stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre
subordinate, trattandosi in ciascuna in grosso quei principii che nell'
hegelianismo fan parte dello Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle
particolarità io rinunzio di entrare, tanto più che la maggior parte di esse
entrano nella Sinossi, che si presenta ora al pubblico. Con ciocchè è
detto, che io lascio senza apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel
caso di conoscere quelle antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è
continuazione, dall'altra, ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla
presente opera sinottica. Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi
riferirò: l'uno è quello dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa:
l'altro è quello di dare una idea generica del suo contenuto e di rilevare
alcune cose che mi paiono degne di nota. Per ciò che concerne il primo
punto, il manoscritto che mi fu consegnato, di indicazioni del contenuto e
dello scopo dell'opera non portava che soltanto il titolo generale di essa,
cioè Synossi dell'Encyclopedia speculativa. Non aveva prefazione od altra
indicazione di sorta, ma cominciava subito col primo paragrafo, e così
senz'altro continuava in sussecutivi paragrafi fino all'ultimo. Or bene,
io ho creduto utile di fare innanzi tutto due piccole innovazioni: primamente,
di ammodernare l'ortografia dell'autore; secondamente di fornire l'opera di
intestazioni. Quanto all'ortografia, il Ceretti era un uomo, dirò cosi,
stampato sul classico, e però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme
latine e greche. Gli è per ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel titolo
predetto, egli scriveva analysi, systema, sympathia, philosophia, abysso, e via
dicendo. Adduceva anche le ragioni di ciò, e, in una scrittura umoristica (1),
riferendosi a questo punto, pregava che lo « si lasciasse spropositare a suo
agio, perchè la sua crassa ignoranza di orthographia italiana non gli
permetteva di fare altrimenti ». Senza che io mi distenda su questo
punto, il lettore intenderà che al nostro tempo una tale ortografia non poteva
trovar favore presso il pubblico. L'autore stesso, (1) Nella Prefazione
ai Sogni e Favole (ancora inediti, ma che si pubblicheranno fra non
molto). del resto, non l'aveva seguita neppur egli in tutte le sue
scritture italiane. Per esempio, non l'aveva seguita nè in una sua prima opera
filosofica italiana, rimasta incompiuta (intitolata Idea circa la genesi e la
natura della Forza), nè in qualche opera letteraria de' primi tempi (poniamo,
nelle Lettere d'un profugo): in generale poi non l'ha mai seguita nelle sue
opere poetiche italiane. Io poteva dunque senza scrupoli innovarla.
Quanto alle intestazioni, mi sono parse utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno
scrittore molto difficile, è sovente oscuro. Leggere una sua opera senza
intestazioni di sorta, tranne quella del titolo generale, è una cosa che non
invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad agevolare a questo l'intelligenza e
la lettura della medesima, ho diviso innanzi tutto l'opera nelle grandi e
generali parti che la costituiscono, e ho dato loro le rispettive intestazioni;
poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi, dando, sia ad un solo sia a più
insieme, la intestazione corrispondente al pensiere da essi espresso. Per
la giusta lezione del testo mi son dato tutta la cura possibile. Non una, ma
ben molte volte sono intoppato in difficoltà: tanto più che il manoscritto era
scritto da un amanuense. Nelle difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti
coll'originale, nei quali la figlia dell'illustre filosofo, tuttora
amorosamente intenta alla pubblicazione delle opere paterne, mi ha prestato
valido aiuto (1). Ma, (1) Ad onor del vero, mi piace di far noto che
l'opera della figlia verso il padre non è soltanto di riconoscenza filiale, ma
di intelligente ad onta del buon volere e degli aiuti, mi è rimasto
qualche scrupolo, che in questo o quel luogo qualche mancamento od inesattezza
vi sia rimasto. Quanto a mancamento, mi cade in acconcio di potere
affermare siccome una verità, che, per chi conosce le opere filosofiche
cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere si risentono un po'
tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e all'integrità del
pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una, che, avendo ogni
scrittore un momento culminante nella sua attività intellettiva, il Ceretti lo
ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo egli, dopo la pubblicazione de'
tre primi volumi di questa, fermamente deliberato di non pubblicar più nulla,
ha creduto che le sue opere rimanessero inedite; e con tal credenza la cura di
esse è minore: una terza, che negli ultimi dieci anni di vita (in cui cadono
quasi tutte le opere filosofiche italiane, compresa la Sinossi) egli fu
travagliato dalla mentovata infermità. Continuando a dire dell'opera da
me prestata, rilevo che, per l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità
del pensiere dell'autore, vi ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi
son parse necessarie od almeno utili. E finalmente, un po' per la ragione
ora detta, un po' per continuare a far conoscere la persona é gli scritti del
Ceretti, un po' per agevolare al lettore l'entrata nel prestazione, come
ha anche dimostrato, benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata
pubblicazione delle Grullerie poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse
contemporaneamente ad esse. pensiere della Sinossi, vi ho preposta la
Introduzione che sta ora leggendo. Per ciocchè concerne il secondo punto,
quello del contenuto, comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del
lettore sul principio costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio,
come ho già detto innanzi, che l'autore crede distintivo della propria
filosofia da quella di Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più
specificamente l'Idea conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho
detto, antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la
differenza che il Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di
Hegel a me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E
che la cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore.
Nella sua Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso
de'suoi pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi (1) che l’Assoluto
è la Coscienza, e la Coscienza nel suo svolgimento è, correttamente parlando,
una storia, ma fui lontano dal distinguere la Coscienza dallo spirito e
considerare lo spirito come un momento storico della Coscienza. Per me la
Coscienza era un ente, piuttosto che il termine generale, la cui distinzione
costituisce gli enti ». È chiaro dunque che una distinzione vera dei due
principii non l'aveva ancor fatta. Però qualche cosa di (1) La mia
celebrità citata, pag. 89. Il tempo di cui parla è verso il 1870, certo, dopo
la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina, pubblicazione che
cessò il 1867, distintivo cominciava ad andargli pel capo. Di fatto, egli
afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di cui si sta parlando
« principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più generale dello spirito,
Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico momento. Quest'idea gli era
balenata molto tempo prima, ma piuttosto come un'imagine dell'idealità che come
una categorica avvertenza, la quale avvertenza principiò in questo tempo ed
ebbe il suo categorico fondamento anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale
riposa la nostra cogitabilità » (1). Da questo luogo, che conferma il
primo, non solo emerge ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor
veramente fatta nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure
aveva cominciato a parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo
baleno di pensiere presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora
veramente visto, compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto,
che io non aveva neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato
e, sopratutto, documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di
farlo qui. Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal
distinzione, ed è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale
e fondamentale principio (1) Loc. cit., pag. 104. Può parere strano che
il Ceretti faccia poggiare la cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano
sparisce, quando si pensa che per lui l'infinito nulla è uno de' modi di
designare l'essere indeterminato. Ora, il pensiere è appunto o una
determinazione dell'essere indeterminato, o una ulteriore determinazione
dell'essere già determinato. di tutto l'Essere e di tutto lo Scibile
(Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come si scorgerà dalla
lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò: Che, giusto perchè la
Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico universale essere, ella
accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de' propri momenti, una delle
proprie manifestazioni e forme di esistenza (1). Ad intendere ciò, e in
generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego volentieri il seguente
luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo « considera l'animale come
un momento definito nel sistema della Natura, la Natura come un momento nel
sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel sistema della Coscienza »
(2). Ora può meglio comprendere il lettore, perchè io, nel dividere la
Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la relativa intestazione, ho
sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto, l'istesso autore dice che: « la
Coscienza, sendo il termine più generale, che possibilita l'essere e
l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più generale, nella cui
distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia speculativa » (3).
Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel contenuto della
Sinossi, rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle quali ella è
divisa, sono la Coscienza universale, ossia i Principii logici o
logico-metafisici, che (1) Vedi in questo stesso volume appresso $ 21,
pag. 10. (2) Si confrontino specialmente il g 164 e la mia relativa nota,
non che il S 203. (3) Sinossi, $ 163, pag. 124, voglian dirsi (Logica);
la Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza
spirituale o Principii spirituali (Spirito). Quanto alla Coscienza
universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in
particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto
ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità;
poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere
la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere
sistematico logico. Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in
a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile
speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è
quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè
stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore ». Queste verità
necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella
Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei
pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della
Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia
necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale
a dire, alla forma o tipo logico. Quanto alle verità logiche supreme,
elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza. E, di fatto,
ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come
« verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta
nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più
particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella
proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante » (1). A queste due
proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin
dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può
essere fuori della Coscienza » (2). Quanto alla natura della Logica, ei
l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della
cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».
Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma
limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la
categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e
quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale
il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati
ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero
finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza » (3). Questa
individuazione, soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura. (1) La
Coscienza pensante è per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la
dice, a differenza delle forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza
riflessa e la Coscienza sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza
estetica e si estende alla religiosa). (2) Sinossi, S 203, pag.
218. (3) Vedi Sinossi, pag. 1-12. [blocks in formation]
Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione,
in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa
in due termini, che hanno l'apparenza della separazione », e che sono a l’lo e
il Non-Io » (1). Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la
Natura in a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica). Cominciando a
dir della prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura
istessa, di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e
persin coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o
empirico-induttiva), la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura
come disanimata e puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per
egualmente false, ritenendo invece per unicamente vera la considerazione
speculativa. Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii
primitivi e condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il
Movimento, la Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi
la Materia. Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la
consimile unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è
stata già hegeliana. Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la
considera nella vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la
considerazione estetica, che attribuisce a « Vita e Coscienza analoga
all’umana », siccome questi (1) Sinossi, $ 28, pag. 13. [ocr
errors] fantastica. Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e
considerazione speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi celesti....
debbano possedere necessariamente la propria vita, dalla quale abbiano il
proprio movimento, la propria forza e le proprie fasi formali ma respinge
interamente che « detta vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale
» (1). Passa quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza
nei corpi celesti; e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi,
dice che « la Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto
somigliare a quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che «
l'armonia generale de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici
prova evidentemente che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla
coscienza pensante e razionale » (2). Allontanandosi, ciocchè qui dice
l'autore, non poco dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare
ulteriormente il suo pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la
ragione, per la quale egli respinge anche la considerazione riflessa della
Natura (che è poi in grosso la considerazione delle scienze naturali).
Riattaccandosi a quest'ultima, dice che, se la considerazione estetica
attribuisce vita e coscienza agli astri, sbagliandosi nel modo
dell'attribuzione, la riflessione spegne (1) Sinossi, § 41, pag. 22 e
seg. (2) Sinossi, $ 42, pag. 23. addirittura l’una e l'altra. Imperocchè
essa, nella concezione e considerazione della natura, è dominata « dalla
cardinale irrazionalità » di considerare il pianeta terrestre « come un ente
meccanico e fisico, e non mai come un organismo planetario vivente e cosciente
di vita e coscienza propria, altra dalla vegetabile ed animale » (1). L'autore
attribuisce alla riflessione l'errore della « diremzione (scissione) della
Natura e della Coscienza », per cui « deve necessariamente considerare i
singoli fenomeni come altri da quelli della Vita e della Coscienza o (2).
Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa considerazione si della
Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto che « la speculazione,
ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea della Natura sono
reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una Natura qualsivoglia
non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse specifiche nature
sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della loro vita e
coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita e coscienza
de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli animali. « La
speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza è possibile se
non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se non come un
sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi (1) Sinossi, $ 49,
pag. 30. (2) Sinossi, $ 52, pag. 32. nazione, locchè è Vita
». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella speculazione non sono
menomamente limitate all'analogia del processo vegeto-animale; epperciò,
dicendo che i corpi celesti, il globo terrestre e le materie terrestri sono
vive e coscienti, non intendiamo dire che un numero finito di organismi
componga un tale organismo, ma semplicemente che tutta la natura è organica,
viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo è principio e fine di altri
organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna minima particella
divisibile all'infinito » (1). Non men lontano dalle comuni intuizioni è
ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia del globo.
Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce il
significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli ha
adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un
organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un
individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia
un'anatomia, una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli
« usa questi vocaboli in un significato più generale che non in quello della
vita vegeto-animale » (2). E quanto all'espressione di psicologia del globe,
che è quella che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica
e chiarisce (1) Sinossi, $ 53, pag. 29 e seg. (2) Loc. cit., $ 59,
pag. 36. il significato come segue. « Dobbiamo per prima cosa notare,
dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato analogo a
quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato amplissimo di
coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso della sua facoltà
locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica; ma questo non vuol
dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e di meccanica
razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma semplicemente il senso
regolativo della statica, requisito della pratica della locomozione; ma non è
una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della medesima. In questo
significato generalissimo di coscienza la terra possiede la sua psicologia, non
altrimenti che ogni individuo vivente » (1). Da tutto ciocchè il Ceretti
dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza e corrispondente
psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli attribuisce sì ai primi
che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo ultimamente allegato chiama
coscienza vivente, cioè una coscienza che si caratterizza e risume nella vita,
una coscienza che potrebbe chiamarsi inconscia. E questa è quella coscienza che
antecedentemente io stesso ho designata come generica, non già come specificata
e molto meno come individuata. Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti
il principio universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la (1)
Sinossi, $ 74, pag. 47. Coscienza come universale ed assoluta. In quanto
la Coscienza è universale ed assoluta, è già Coscienza la Natura stessa, che è
una delle forme di manifestazione ed esistenza della Coscienza. Se è così, è
ben naturale ch'ei pensi come cosciente (genericamente, non individuamente gli
astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la Coscienza della Natura, nelle formazioni
siderali della medesima, non si è ancora individuata, soggettivata , ossia è
una coscienza che non è ancora presente a sè stessa, non è consapevole di sè
stessa, è una Coscienza ancora inconscia. Ora, il Ceretti pensa che tutto
il processo della Coscienza naturale o, come comunemente diciamo, della Natura,
consiste appunto nella graduale individuazione e soggettivazione di questa
Coscienza. Nella terra ed in genere nella natura minerale tale individuazione,
almeno tal vera e reale individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua
i relativi gradi evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza
verso una propria individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare
nella vita vegetativa» (1). E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa,
chè, benchè la pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità
planetaria, quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita
vegetabile » (2). E di questa equivocità arreca varie ragioni. (1)
Sinossi, $ 80, pag. 52. ' (2) Sinossi, $ 85, pag. 55.
Additata l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella
ulteriore e superiore forma di esistenza della animalità. È primamente
nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene la compiuta
individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in tutta
l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo dell'individuazione, da
una parte, « si palesa progressivamente nelle specie superiori », dall'altra,
si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto nell’uomo; il quale nella
serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico
dell'animalità » (1). « Quando l'animale, dic'egli, arriva definitivamente alla
soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io distinto
categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza spirituale.
Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo
passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano » (2).
Con l'antecedente esposizione il Ceretti, nella Evoluzione della Coscienza,
esce dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale, cioè nella
terza parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di senso e
pensiero, vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice, fasi
dello spirito, le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il
concetto. Il concetto è la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva,
secondo (1) Loc. cit., $ 96, 106, 107, pag. 61 e seg. (2) Sinossi,
$ 115, pag. 76. che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento
è da lui inteso in senso più largo del senso, tanto che designa come momenti
del sentimento l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il sentimento
viene ad esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto, quella
funzione che costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente alla
cogitante (1), e che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano facoltà
rappresentativa (Vorstellungsvermögen). Segue l'evoluzione della
Coscienza spirituale in quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana,
fan parte dello spirito soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato
primitivo dell'uomo (primitiva coscienza umana); sonno, sogno e veglia ;
temperamento; specifiche disposizioni mentali, tra le quali piglia di mira
anche il genio nella sua distinzione dall'ingegno; carattere e criterio.
Dopo di ciò passa alla considerazione di quei principii che possono designarsi
come costitutivi della Coscienza oggettiva (oggettivata), che corrispondono a
quelli del cosi detto spirito oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa
Sinossi risume ne' tre di Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti
sociali degl'individui consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla
Coscienza. Il Diritto, facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza
morale, statuisce (1) Ei dice di fatto: « La Coscienza che dalla
sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè
comune alla umanità ». Sinossi, S 128. una legge che divien comune e
normativa nei rapporti esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le
esigenze della Morale e del Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e
dell'elemento oggettivo della civile società (1). Continuando, l'autore
segue l'evoluzione della Coscienza spirituale nella sua costituzione sociale.
Da prima rileva e determina i gradi evolutivi di questa ultima nel regime
patriarcale, strategico (militare) e politico. Poscia viene alla determinazione
della ragione, la quale è « come il fattore essenziale del buono e del giusto
contenuto » nelle organizzazioni sociali. Alla ragione disposa la coltura, in
quanto l'una e l'altra si suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei
si esprime, reclama un libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo
della ragione; questa e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si
possono reciprocamente realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del
proprio sistema » (2). Termina questa parte con la distinzione, la
determinazione ed il rapporto dello scibile delle discipline finite e dello
scibile speculativo. Assolta questa parte della Coscienza spirituale,
passa all'ultima e suprema della medesima, che è quella che si riferisce
all'Arte, alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale lo stesso, alla
Coscienza artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste tre ei considera
non solo (1) Sinossi, § 139, pag. 96 e seg. (2) Sinossi, S 134,
pag. 113. nel suo principio, ma anche nella sua storica evoluzione. Gli
stadii di si fatta evoluzione sono in genere l'asiatico, il pagano, il
cristiano; e quindi arte, religione e filosofia asiatica; arte, religione e
filosofia pagana; arte, religione e filosofia cristiana. Quanto all'arte,
egli accenna non solo all'arte in genere, ma anche alle diverse forme di arte,
additandone l'evoluzione appunto ne' predetti stadii asiatico, pagano e
cristiano. Il medesimo fa per la religione, e qualificando la religione e
le religioni asiatiche per naturalistiche, la religione e le religioni pagane
per antropomorfistiche, la religione e le diverse forme religiose cristiane per
spiritualistiche. E finalmente, quanto alla filosofia, rilevato il
generale concetto di essa e il suo legame coll'arte e colla religione, viene a
toccare della sua storica evoluzione. Comincia dalla filosofia asiatica, nella
quale dà importanza alla filosofia indiana, essendo questa nell’Asia « la sola
che si possa considerare come un tentativo di speculazione esordiente. Ella si
distingue in tre grandi periodi, di cui il primo è teologicamente ortodosso,
epperò armonizza colla religione costituita; il secondo ed il terzo consistono
di sistemi teoretici, che però non negano il principio fondamentale della
religione, alla quale contradicono » (1). Passa alla filosofia pagana, la
quale si risume essen (1) Sinossi, S 191, pag. 188 e seg. zialmente
nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla
teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni estrinseco
alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della filosofia
greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ». Ella « si
distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione
naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è
speculazione pneumatologica » (1). Termina colla filosofia cristiana,
nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta
filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma
piuttosto a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto
di vista filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a
nuova speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una
semplice rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si
distingue per la forma delle nuove filosofie », come in Giordano Bruno, in
Giacobbe Böhm e in qualche altro. Quello però che fonda la filosofia
cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i
posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia
cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano
dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella
si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia (1) Sinossi, $ 195,
pag. 192 e seg. unità distinta dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla
Idea fuori di sè stessa (Natura). Questa concreta unità prima è realizzazione
dei suoi termini separabili, che astrattamente si svolgono in astrazioni
fisiche o metafisiche; poscia è concreta unità dei suoi termini indirimibili e
distinti » (1). Questa è la tela del pensiere filosofico della Sinossi
dell'enciclopedia speculativa. Ora, a complemento della cosa, credo ancora
utile di rilevare alcuni punti ed alcune opinioni dell'autore, che mi sembrano
degni di nota. Primamente mi riferisco al punto concernente le idee
cerettiane sugli astri in genere e sulla terra in ispecie, e propriamente
riguardo all'animazione e persin coscienza che l'autore ha vedute in
essi. Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera di lui: in questo
si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione planetaria, la quale poi non
è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in questa mia Introduzione
si è appellata la Coscienza naturale. « La mia astronomia, dic'egli, ossia
perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia punto alla disciplina finita
(cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo nome, ma si riferisce
semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la genesi di quei corpi.
L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo celeste corrispondono alle
varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e cosi oltre, e
conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso appartengono
a (1) Sinossi, $ 199, pag. 204 e seg. vari momenti della sua età.
Cosi, per es., la vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale
momentaneità della vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si
chiama Terra » (1). Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed
animale, ossia vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una
manifestazione planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in
altri termini che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In
conseguenza di ciò il Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita
e coscienza del pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha
parlato di anatomia, fisiologia e psicologia della terra. È indubitato
che queste ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente
ancora suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada
nella scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano
perdendo non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e
senza meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri
seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti
libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per
esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen
Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von D. Hermann
Wolff. Leipzig 1890. Zwei Bände ». (1) La mia celebrità già citata, pag.
66 e seg. Ebbene, il Wolff parla anch'egli non solo di psicologia
animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula.
Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Ernesto Haeckel, seguito poi
da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Il Wolff va ancora più
innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene,
inorganica) (1). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di
manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi
segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene
alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen
psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur) (2). Siffatte
manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza
individuale animata, ma comuni manifestazioni di specie » o generi (3). Anche
il Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza
degli astri e della terra non è individuale, ma generica come ho fatto innanzi
rilevare. Fo considerare, inoltre, come ora si parli non poco di
Panpsichismo: chi è a notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo
spirito universale di Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del
medesimo sono imparentati con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato
l'Inconscio del vivente filosofo Eduardo di Hartmann; giacchè l'Inconscio
contiene in sè un ele (1) Vedi dell'Opera citata del Wolff, vol. I, pag.
239 e seg., 245 e seg, (2) Loc. cit., specialmente a pag. 334. (3)
Al secondo volume di detta Opera, pag. 145, mento pensivo e spirituale
che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si
manifesta ed agisce nel mondo materiale. Altra intima parentela con
queste intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si
ha un solo principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed
inconscio insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo,
come anche nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e
giudicare con sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice
intorno all'animazione e coscienza degli astri. L'aver testè ricordato il
nome di Eduardo di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per la
mente, che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e
propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito
a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi
provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un
principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando
l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai
degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può entrare
in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro che ora
conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra occasione,
nella quale ritornerò su di ciò. Un altro punto, che si collega ai
precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il dichiarare e
ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura meramente
inorganica, cieca e macchinale » (1). Con questa dichiarazione egli si fa, sia
direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e dell'Evoluzionismo,
in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a lui. Io non ispregio
punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche ed evoluzionistiche: e
persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra volta) che accolgo l'evoluzionismo
disposato all'hegelianismo sotto il generale concetto e processo di evoluzione
finale. Ma ritengo immensamente irrazionale l'evoluzionismo meccanico, col
quale non solo non si possono spiegare i prodotti superiori della realtà,
l'arte, la religione, la scienza, la vita domestica e sociale ecc., ma neppure
la vita animale e vegetale, e diventano inesplicabili gli stessi prodotti
minerali nelle ordinate formazioni dei medesimi. Già l'antichità al
meccanismo atomistico e in genere naturalistico aveva giustamente contrapposta
la finalità, specialmente nelle scuole platonica ed aristotelica. Il principio
finale, che fu accolto ne' tempi e filosofi posteriori, è stato nell'ultima
filosofia accentuato specialmente da Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato
nella natura un finale, razionale e progressivo organizzarsi della medesima in
tutte le sue maravigliose forme. L'evoluzionismo con Spencer ha assai
progredito a [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi
tedeschi in moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha
immensamente regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà
pensare che la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente?
Ebbene è proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta
il meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e
spenceriani riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a
una tale assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo,
o bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne
questo mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo
assai rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale,
pur movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra
via a quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto
anch'io(1). Altro punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del
Ceretti rispetto all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè
si tratta di cosa oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che
egli si discostasse tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in
fondo, ei riesca alla stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo
supporre che una specie si (1) Vedi Le nouveau spiritualisme del
VACHEROT, Paris 1884, specialmente il capitolo intitolato l'Évolution finale,
pag. 359. Nell'istesso anno 1884, nel mio Teismo filosofico cristiano, senza
che io sapessi nulla del filosofo francese, ho sostenuto (vedi pag. 414 in
nota) lo stesso principio, con la stessa espressione di evoluzione
finale. tramuti in un'altra come tale, perocchè le specie sono mere
distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo
naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò parrebbe quasi quasi che non
ammettesse vere specie di sorta e non si accordasse col darwinismo. Ma, d'altra
parte, ei soggiunge: « La vera trasformazione della specie non si deve
investigare nelle specie come lali, ma piuttosto ne'minimi termini della
specie, ossia nelle variazioni individuali. Queste variazioni, tuttochè
lentissime, modificano col volgere de' secoli le specie » (1). Ora a me
pare che l'opinione cerettiana si converta colla darwiniana: perchè secondo i
darwinisti le modificazioni alle specie provengono e non possono d'altronde
provenire che dagl'individui. Un altro punto non meno dibattuto e
controverso è ai di nostri quello della religione; e mi piace di rilevare
l'opinione cerettiana in proposito. Innanzi tutto egli è contrario ad ogni
religione filosofica o scientifica che voglia dirsi. « Provate, dic'egli, a
istituire un culto, ossia una pubblica credenza filosoficamente ragionata; e
voi fallirete senza dubbio al vostro scopo, perocchè la Coscienza pubblica non
è disposta a un filosofico sistema ». E per tal rispetto può dirsi ch'ei
si oppone al positivismo, a dir vero, non a quello del fondatore del medesimo,
perchè Comte ammetteva la ragion di essere della religione, ma al comunale
positivismo, che vuol sostituita la religione colla scienza. E, venendo poi ad
esprimere (1) Sinossi, $ 185, pag. 174 e seg. il suo pensiere su
tale importante argomento, ei dice: « La religione che conviene al nostro tempo
e alla nostra civiltà non può essere una religione di miti e di misteri. Non
può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un luogo, epperciò non può
essere una religione autorizzata da un codice e da una tradizione. Il solo
fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è l'idealismo
trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione generale che
governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio, possibile oggetto
d'una credenza religiosa » (1). Probabilmente il lettore troverà che
anche questa religione proposta dal Ceretti (e che abbastanza generalmente, e
da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da filosofi, scienziati e uomini
colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io, per parte mia, penso
lo pensava anche il filosofo intrese) che la religione in genere sorge
dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè può essere mai filosofica o
scientifica che dir si voglia; così una religione scientifica, quale la
vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera e, per giunta,
assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che costituisce
qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa de'
credenti. Questi sono i punti principali e le relative opinioni
dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.
(1) Sinossi, $ 108, pag. 71 e seg. Prima di terminare questa già lunga
Introduzione, non posso a meno di rivolgere ancora l'attenzione del lettore
sulla posizione della Sinossi nel complesso e nel corso del pensiere filosofico
dell'autore, non che sulle ragioni che hanno consigliata la pubblicazione
dell'opera. Quanto alla posizione, ho già detto che essa rappresenta una
fase o momento di transizione dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto
dall'autore ed espresso, pur già con modificazione, nella sua opera latina) ad
un assoluto idealismo subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai
vicino a quello di Fichte. Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso
dello schellinghianismo, del quale son visibili alcuni vestigi nella presente
opera. Il lettore che leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da
sè stesso. Se non che io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho
già rilevato nella mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso,
rimando il lettore a questa (1). Quanto alle ragioni della pubblicazione
(oltre al desiderio, anzi volere della figlia del filosofo, la quale crede
dovere filiale di cooperare a far conoscere e pregiare il suo genitore), elle
son varie. L'una è che, benchè ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla
latina, ciò non di meno, con tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre
parti che la costituiscono, è pur sempre tale da meritare di essere conosciuta.
Una seconda è che, (1) Alla più volte citata notizia, e propriamente alle
pagine clxxx e seg., CXCIII e seg. siccome essa rappresenta una delle
fasi di transizione del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer
questo tutto intero, era necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che
essa, tra le opere filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle
migliori. Una terza ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica
latina, è bene che se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che,
essendo rimasta incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che concerne
la filosofia dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi, che si
estende anche a questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello spirito
nell'opera latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un generico
fondo hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è questa
che, come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai
probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o
logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è
rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione
della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa
giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la
Sinossi, invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la
filosofia della natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non
è improbabile che il Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la
logica nell'opera latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella
Sinossi, che fu scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così
eminente individualità filosofica, poetica e letteraria, quale fu il Ceretti,
venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla
degnamente, non bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna
abbracciarle tutte; giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e
complessa, bisogna vederla e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue
opere. Dividerò e tratterò in "varii punti la quintuplice forma
di Logica enunciata nel titolo. Il primo punto è che questa
quintuplice forma di Logica si riattacca nel modo più intimo al mio
scritto già pubblicato ed intitolato: L'Essere evolutivo finale come
tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico
uscente dal- l' Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione,
la posizione e la soluzione delle indicate forme logiche dipendono in
tutto e per tutto dal medesimo. Il secondo punto concerne la
importanza della trattazione delle enunciate forme logiche.
La importanza, quanto alla Lo gica aristotelica, è addirittura imm ensa,
in quanto sì fatta Logica conta ormai 24 secoli di esis tenza, di
ammirazione e di attuazione nel pensiero umano in genere e nel pensiero
filosofico in ispecie. Per ciocché concerne la importanza della
Logica kantiana, benché questa, rela- tivamente al tempo, conti poco più
di un secolo di esistenza, pur la sua importanza è assai grande, in
quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la Logica
aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa materia alla
susseguente Logica di Hegel. Quanto poi alla Logica
hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è immensamente minore
della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con- tando
appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à
del fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la
Logica hegeliana, da una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_
reale od ontolog ica alla aristotelica ritenuta e detta formale, e,
dall'altra, sviluppando, integrando e realizzando in un compiuto
organismo dialettico il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più
impor- tante fatto e pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla
importanza della cosi detta Logica matematica, tale importanza rispetto
al tempo è di bel nuovo assai minore non solo della 24 volte secolare ari-
stotelica, e della poco più che secolare kantiana, ma della stessa secolare
hegeliana. Giacche la Logica detta matematica conta soltanto pochi
decennii di vita, ed anzi, nella sua ultima determinata forma, appena una
ventina d'anni. E da ultimo, per ciocche concerne la importanza
della Logica indiana, tale impor- tanza è grandissima anch'essa; in primo
luogo, perchè la Logica indiana è una reale e vera forma logica distinta
dalle altre, e pensata ed esercitata da un popolo anti- chissimo tuttora
pensante e logicante con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto alla
universale evoluzione della Logica in genere, la Logica indiana è la prima
ma- nifestazione, avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni
essenziali potrei aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è
assai poco conosciuta, ed è invece degnissima di esserlo, il che avverrà
coll'accenno mentovato della medesima. Un'ultima considerazione
rispetto alle predette forme logiche, e specialmente rispetto alla
sequela storica delle medesime, è la seguente. Che, cioè, benché la
indiana sia la prima in ordine di tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla,
e trat- tarla in ultimo, perchè essendo essa di un tipo abbastanza
dissimile dalle altre enun- ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne
la natura dopo aver esposte quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e
razionale rispetto ad essa. Il terso punto concerne lo scopo della
trattazione delle predette Logiche. Il quale scopo è quello di
determinare quale è la vera natura di ciascuna di esse, consi- derandole
sì dal punto di vista storico, epperò evolutivo, sì dal punto di vista
teoretico. Di tutti questi punti dunque tratterò separatamente,
cominciando dalla Logica aristotelica. Aristotele è detto il Padre
della Logica. Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L
ogica prima _della sua ? e se ce n'è un'altra, in qual relazione sono
quest'altra e la aristotelica, da una parte, dal punto di vista della
anteriorità e della posteriorità, dall'altra, dal punto di vista della
evoluzione storica dall'una all'altra ? La risposta a tal quistione
sarà più opportunamente fatta e compresa dopo la trattazione e
giudicazione di tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari-
stotelica. Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra
esposizione e trattazione. Tutti intendono che la prima ed
essenzial Fonte è Aristotele stesso e questa noi avrem sempre presente
nel testo originale. Aggiungiamo solo che, come Aristo- tele, specialmente
attraverso del Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e riferito
nella famosa traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta
come giusta interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci
serviremo anche di questa, allegandola persino ordinariamente accanto al
testo greco. La edizione de' due testi che noi abbiam presente e
seguiamo è quella della « Academia Regia Borussica, Berolini, 1831-1836 „
fatta da Emanuele Becker e da Cristiano Augusto Brandis.
Altre Fonti importantissime sono le seguenti: Severino Boezio
(l'infelice e insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere dal
re Teodorico). Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come
tradut- tore e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist.
Stag., Organimi, Boethio Sever. interp. età, Venetiis, 1547.
Geschichte der Logik etc, von D/ Cari Prantl, che è un'opera addirittura
mo- numentale nel suo genere. System der Logik und Geschichte
der Logischen Lehren von D. r Friedrich Ueberweg, 4 e Àufl., Bonn, 1874:
opera eccellente anche questa, dovuta al merito e alla giusta fama di
quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia
della Filosofia. Aristotelis Organon etc, edidit Theodorus
Waitz Philos. Dr. Lipsiae, MDCCCXL1V: importantissima e stimatissima
opera in due volumi contenenti il testo greco e il commento di lui al
medesimo. D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc,
nella quale (zweiter Theil, zweite Abtheilung) vi è un volume speciale,
di quasi un migliaio di pagine, trattante di Aristotele.
Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der
Geschichte der griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione
del 1911 (Leipzig) elaborata (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing.
Trendelenburg, Elemento logìces Arist., Berolini, 1836, 9* ediz. 1892 :
notissima e importante operetta. Barthélemy
Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4 voi. Alle Fonti
già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella del nostro
Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli Elementi di
Filosofia, in cui ha- una lunga trattazione della Logica pura; l'altra,
amplissima, quella delle Lezioni di Logica e metafisica; e, occasionalmente,
forse anche qualche altra Fonte, per esempio quella di Ruggiero
Bonghi. E ora vengo alla indicazione ed esposizione degli scritti
logici aristotelici. Gli scritti logici o V Organo (tò òqyavov) della
filosofia aristotelica. È opportuno riferire una osservazione che fa il
Waitz [Arist. Org., II, 293 ss.), e che accoglie e riferisce anche il
Zeller (nel suo terzo volume precitato, pag. 187, nota 3), sulle
denominazioni di Logica ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli «
espositori greci fino al sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di
queste deno- minazioni come l'espressione tecnica e generalmente
accettata degli scritti logici di Aristotele : ma che però più tardi
questi vengono " già denominati organici {òqya- « vmd), perchè essi
si riferiscono all' òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo- ■ aotplag
». Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono:
1° Le Categorie (KaziqyoQiaì); 2° De Interpretatione {LTeoì c
EQH7]vslag) ; 3° I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa
; 4° 1 Secondi (o Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa;
5° I Topici (8 libri): Tomxd; 6° 8U Elenchi Sofistici (De
Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì "EÀsyxot. Le Categorie.
Questa prima parte degli scritti logici aristotelici è importantis- sima,
perchè essa costituisce come un anello di congiunzione tra la Logica e la
Me- tafisica di Aristotele. Il lor significato e la loro estensione
appartengono e si allar- gano ad entrambe queste parti del pensiero
filosofico aristotelico. Il significato è che essi esprimono i
supremi pensabili, cioè, i supremi concetti sotto cui cadono e si
aggruppano nel nostro pensiere gli ogge tti della universale
realtà. Il numero di tali supremi pensabili, ovvero delle
categorie, secondo Arist., è, notoriamente, di dieci: infatti, egli dice
(Kateg., cap. 4, all'inizio): zwv xazà firjóe- filav ovfMiÀoxrjv
Xeyofièvoìv è'xaozov tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq zi
f} nov ^ note f} xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina
men- tovata di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione
dicuntur, unumquodque " aut substantiam significat aut quantum aut
quale aut ad aliquid aut ubi aut quando " aut situm esse aut habere
aut agere aut pati „ ■ Il predetto numero e la denominazione delle
Categorie son anche riferiti in modo chiaro e preciso nei Topici (I, 9,
al principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic. zà yévrj %&v
xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov,
nozè, xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv (1). Per lo scopo
che io mi propongo non posso entrare in tutte le particolarità, nelle
quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come
rias- suntivo dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo
del Zeller (loc. cit., pag. 267). " Fra le singole
Categorie, dice questo, la più importante è di gran lunga la * SQstg^za,
della quale in seguito dovrà parlarsi più diffusamente. La Sostanza, in
" senso stretto, è sostanza singola. Ciocche si lascia dividere in parti è
un Quanto " (ein Quantum) ; se queste parti son divise (getrennt),
il Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse sono insiem
congiunte, il Quantum è una Grandezza; " se sono in una determinata
posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi le " parti
son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la Grandezza non
e (1) Vedi pei due luoghi greci Zeller, 3° voi, citato, pag.
259; e nel testo greco stesso, vedi Arist., KaTijy., cap. 4° e Tonino, al
luogo indicato. » Secondo il gusto e l'uso de' versi memoriali,
queste 10 Categorie furono espresse dal seguente distico :
Àrbor sex servos calore refrigerat ustos ; Cras ruri stabo, sed
tunicatus ero. spaziale (ist eine unràumliche). L'Indiviso (das
Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo di cui vien conosciuta (erkannt) la
Grandezza, è la Misura della Grandezza stessa; ed è questa appunto la
nota distintiva della Grandezza, che essa è misurabile, che ha una
Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al Tutto sostanzialmente di-
visibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante le quali vien diviso
il Tutto. Giacché per Qualità in senso stretto Aristotele non intende
altro che la nota distin- tiva, o la determinazione più vicina, in cui si
specifica un dato Generale. E come le due specie principali delle Qualità
egli designa quelle che esprimono una deter- minazione essenziale, e
quelle altre che esprimono un movimento od attività. In altro luogo egli
novera quattro determinazioni qualitative come le principali; ma - queste
però si lasciano sottordinare a quelle due. Siccome nota propria della
Qua- ■ lità vien considerato il contrapposto di Simile e Dissimile. Del
resto, l'istesso Ari- * stotele è imbarazzato nel conterminare
questa Categoria verso altre. Al Relativo " appartiene tutto ciò, la
cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un deter- « minato
comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui
* corrisnonde la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie,
le quali però « si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non
rimane eguale a sè stesso ; ed ancor * meno sa evitare più di una
miscela (Vermischung) con altre Categorie, ovvero ot- * tenere una
nota sicura di quella costituente il Relativo. Le altre Categorie furono
* da Aristotele sì brevemente trattate nello Scritto delle Categorie, che
anche noi " non possiamo trattarne più diffusamente „. E
basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del secondo scritto del-
l'Orbaco, cioè del " IIeqì èqiirivtiac, „, o De Interpretatiom.
Rispetto al tempo in cui fu composto questo scritto, è bene di rilevare,
che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo stesso Aristotele dice
chiaramente ed esplicitamente al cap. 10 di questi. L'oggetto di
questo piccolo trattato dell' Ermemia è la £rojosizione, e non . nel
senso di pura e semplice pr oposizione grammatica le, ma di proposizione logica
od esprimente un pensiere logico. Aristotele, analizzatore
per eccellenza, comincia coll'esaminare e stabilire ^li elementi della
proposizione stessa, i quali non sono altro che i nomi delle cose. E
comincia a farlo con una osservazione importantissima intorno al nome (tò
ovo/ia) e al verbo (tò §fj/ta), la quale è che i nomi prima della loro
unione, sia tra loro sia col verbo, non esprimono nulla di vero e di
falso. Ed anzi, secondo lui, quando si dice nome (dvo/ia) in senso lato,
vi si comprende anche il verbo IIzqì yàg (die' egli al Capo I dell'
Ermeneia) oév&EOiv k<xì òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò
àAy&és (nella corrispondente traduzione latina: * nam in compositione
et divisione est ve- " ritas aut falsitas „).
Quando poi col collegamento e colla divisione delle parole,, Qffàa
d<jLnomi, co- mincia la verità e la falsità, allora il noma, come
specificamente logico, è propria- mente Uyog. Uno scrittore che ha
rilevata bene la differenza di òvofia e di Myog e il Biese {Die
Philosophie des Aristoteles, Berlin, 1835, I Bd., p. 55 e 90), dicendo
che " Uyog designa la parola in quanto è espressiva del pensiere „. In
altri termini, kóyog è la parola logica per eccellenza. Altra cosa
notevolissima è che, secondo Aristotele (IIeqì 'Eq^veiag, c. 4), ogni
discorso, Àóyog, è significativo di alcun che (arjfiavxixóg) ; ... ma non ogni
discorso è enunciativo, giudicativo (dnotpavxixóg), sì bene quello che ha
che fare {imdq%£i) col vero e col falso. E soggiunge, ad esempio, che la
preghiera {eb%<t\, deprecatio) è certamente un discorso, ma non è nè
vera nè falsa. Son dunque la verità e la falsità che costituiscono la
proposizione logica, o il giudizio, il quale senza di esse non sorgerebbe
nè verrebbe ad esistenza. Che il g iudizio sia da Aristotele così
concepito, ha una importanza straordinaria rispetto alla quistione della
Logica formale e della Logica reale od ontologica. Comunemente si
dice che la Logica di Aristotele è formale. Ciò è vero in certi limiti e
non in tutto e per tutto. Infatti, il dire che un giudizio è tale soltanto
rispetto alla verità ed alla falsità, vai tanto quanto dire che un
giudizio è vero o falso se- condo che esso è conforme o non conforme alle
coso, ossia alla realtà. Per forma che un giudizio non potrebbe neppure
aver luogo, se, a così dire, non sorgesse ed anzi non fosse prodotto
dalle stesse cose reali. Il Trendelenburg, autorevolissimo in tal
materia, dice (1): " Senza un tal rap- " porto alle cose non
v'è alcun giudizio ». E, conformemente a ciò, lo stesso Tren- delenburg
ne' suoi Ehm. logie. Arisi., p. 63, aggiunge: Aristotelem, qui quidem
enun- ciationis naturam in rerum peritate positam esse voluit etc. Del
resto, già in antico aveva pensato ed espresso lo stesso Boezio (nel cit.
Arisi. Stag. Organum, etc. pag. 6) dicendo: " Sed denominationes
istae (seilic. categoriae) ex rebus pendent etc. „ Ciò posto,
passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo stesso, della proposizione'
logica. E per l'esposizione di questo punto, ne' limiti dello scopo che ci
proponiamo, ci varremo degli stessi Analitici, i quali furon composti
prima dell'Ermeneia, e nei quali Aristotele ne aveva appunto
trattato. La Proposizione (Ilqóxamg) (2). La definizione che ne dà
Aristotele è la seguente : Ilqóxamg [tèv odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj
dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog : cioè: " La ; proposizione è un
discorso affermante o negante alcunché di alcunché „. E la fa- mosa
traduzione latina ha: " Propositio igitur est oratio affirmans vel negans
aliquid " de aliquo „. Subito appresso, determinando
l'estensione e la specifica natura della proposi- zione, o del predetto
discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $ èv fiéqei j} dòióqiaxog. Àéyo)
de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì fmaq%£iv, èv fiéqei de xò xivl % (irj
navxì iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò Ò7iàq%eiv | fifj vnàq%eiv dvev xov
xa&óAov, 1} xaxà fiéqog, oìov xò xCùv èvavxiav slvai xrjv ctvxrjv
èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai dyadòv. Cioè, nella traduzione
latina: " Haec (scilic. oratio) autem aut est universalis, aut
" in parte (particolare), aut indefinita, universale appello omni aut
nullo inesse, in * parte vero, alicui aut non alicui aut non omni inesse,
indefinitum autem, inesse " aut non inesse absque universali aut
particulari nota, veluti contrariorum eandem t esse scientiam, aut
voluptatem non esse bònum „. (1) In Erlauterungen zu den
Elementen d. aristot. Logik, 2 e Aufl. Beri., 1861, pag. 6. (2) In
Waitz, Aristotelis Organon etc, voi. I, pag. 368, vi è una interessante nota
sulla voce jiQÓiuais e le corrispondenti in Cicerone, negli Stoici
ecc. „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad ulteriore intelligenza della
eosa, debbo ricordare al lettore la famosa finzione dello quattro forme
di posizioni ohe rappresen ano una parte „ levan e nella funzione del
Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU nevai m la 7er
9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo « ed i da afnrnro ed e ed
o da "^Urliamo egualmente l'attenzione del lettore su di
un'alt» parlar ^ricor- rente poco appresso nel luogo stesso e
riattaccante* a ciocche e teste detto che ZTu dire di una cosa ohe è
interamente in un'altra vai tanto quanto due che essa interamente
attribuita ad un'altra «-** -W*? « «• ohe il re che una cesa non è
in alcun modo frrt nHj B ™ lta °' uanto dire che essa non è in alcun modo
attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann TelTe due espressioni de. e del
«* la ^ oorrisnondente espressione latina del Didum de amni et de
nullo (2). . Tvendo testò detto che nel trattare della Logica
aristotelica m sare, limitato ai punti fondamentali, Ve
*V^SJS!^^^^^1 tale e che non posso a meno di riferire. Onesto concerne le
regole della conversione t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo secondo; e
per migliore intelligenza ed appre - zam nt'o le allego nella sua
integrità. Però nell'allegarie, s> perche e comunemente neTa la lingua
Francese, si per la grande autorità che ha un traduttore delle opere
aristoWi'he, quale è il B~mv ok S^-H^rna, mi valgo della tradu- ZÌ
°" Oomte tonte proposition (eoa, quest'ultimo) exprime quo la obese est
sim- ■ moment ou quelle est nécessairement, en qu'elle peut étre;
et que dans tonte •I pTee d'attributien, les prepesitions sont
afflrmatives ou negative*: comme, de - plus les prepesitions afflrmativee
et négatives sont tant6t nmverselles, tentot par • Mières tantot
indéterminées, il y a necessitò ,ue la proposto simple umver- • et
privative pnisse se eonvertir en ses prepres termes; par exemple, s, neon
■ nWsir Test un bien, il faut nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit
un plaisir. ■ Crepo tion afiirmative doit anssi se convertir, non
pas en umverselle, ma, • L narticulière; si, par exemple, tout
plaisir est un bien, il faut anssi quo qnelqne . U sl un piparmi les
prepesitions particella, ,'afnrmative se cenver • nécessairement en
particulière ; car si quelqne plars.r est un • „ue quelqne bien
soit un plaisir. Mais il n'y a pas de couversion necessaire peur •
a prTpositien privative: en effet, si homme n'est pas attrihnable qnelqne
animai, . il ne s'ensnit pas qne animai ne soit pas attribuable à qnelqne
homnie. ■ La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la meme
encore pour les p.o (1) Notoriamente in queste Ufiene delle
Scolo, si esprime™ ciò, dicendo: A.serit a, no B »t «, veruni
universiditer «mbo: Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo.
(2) Il si.eiao.to di „..t. ».'*. & — « * "»» 6 <* e
"""" positions nécessaires, c'est-à-dire
que l'universelle privative se convertii en uni- ! vergelle, et que
chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière... Quant ' à
la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non plus se convertir,
par " la mème raison que nous avons dite plus haut. ■
Pour les propositions contingentes, comme contingent se prend dans bien
des " sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible
sont contingente, * la conversion de toutes les propositions
affirmatives se fera ici de la mème ma- 8 niòre... La règie change pour la
conversion des négatives; mais elle est encore la * mènie P° ur les
Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que "
nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas nécessairement.
*! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre cheval, et que la
blancheur [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux choses lune
nécessairement n'est pas, " l'autre n'est pas nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma-
" mete. En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre
homme peut * n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur
peut n'ètre à aucun vètement, ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune
blancheur. Autrement, s'il n'y a nécessité que '• vétemen t soit à
quelque blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque *
véfcemen t- C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses
que " l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus
habituellement et naturellement " de telle facon, ce qui est la
définition que nous donnona de contingent, il n'en * sera plus de
mème pour les conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle
" privative ne se convertit pas, et la proposition particulière se
convertit. Ceci de- ! viendra évident quand nous traiterons du
contingent. Bornons-nous ici à constater, " a P rès tout ce <l ui
précède, que pouvoir n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre' " pas
à quelque chose, ont la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir
est " place dans la proposition comme le verbe ètre; et que le verbe
ètre, à quelques * attributions qu'on l'ajoute, forme toujours et
absolument une affirmation : par * exemple, ceci est non bon, ceci
est non blanc; ou, d'une manière toute generale, « ceci est non cela. Du reste cotte théorie sera
reprise et confirmée plus loin. Mais, " quant aux conversions, ces
propositions contingentes seront comme les autres pro- " positions
„. E ciò basti per lo scopo propostomi,
delle proposizioni, e passo a dire dell'ele- mento del termine.
Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così:
"Ogov óè xalib rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re
xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu f] nQoa'uèefiévov %
òuuQovftévov %ov elvai mei elvai. Ossia: Io chiamo termine quello in cui
la proposizione si scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si
attribuisce, sia che si aggiunga sia che si separi Tessere o il non
essere (nella traduzione latina: « Terminum vero appello in quem
dissolvitur propositio, ut attributum et id cui at- ■ tribuitur, sive
adiiciatur sive separetur verbum esse vel non esse „). L'attributo e
quello a cui si attribuisce sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed
il soggetto. Ciocche è qui allegato intorno al termine
concerne il concetto e la definizione del medesimo. Ma vi sono altre
particolarità essenziali che si riferiscono ad esso. Se non che, come
queste si riferiscono più direttamente al Sillogismo, e si inten- dono
meglio dopo aver detto di questo, così io passo a dir prima di questo.
Il Sillogismo (avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è
bene ricordare un importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più
importante, m quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma
anche degli Analitici, che sono la teoria del Sillogismo stesso.
" Duo sunt, dice Boezio (1), in syllogismo, tamquam in homine corpus
et animus. « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in
animo vis et vita et « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici)
Aristoteles velut de syllogismi « praecipit corpore, hoc est, de
partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque « priora nominantur.
In his autem posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re- « conditis
de anima ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia «
rationis. Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur,
sed hi « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo
ac facie, Aristoteli " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. _
Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla stupenda definizione
che egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà sempre una delle più
belle, più precise e più espressive della vera natura del medesimo.
SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv tivùv foeqóv fi wv
^ifiévcov ég àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè (in italiano): Il
Sillogismo è un discorso, nel quale, posto alcun che, segue
necessariamente qualcosa d'altro da quel che e posto, perciò solo che è
posto. E la corrispondente traduzione latina ha: " Syllo- « gismus
autem est oratio, in qua quibusdam positis aliud quiddam diversum ab us
" quae posita sunt, necessario accidit eo quod haec sunt „. A
spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele
(nella predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico
autem eo quod haec " sunt, propter haec evenire, ac propter haec
evenire intelligo, nullo esterno ter- " mino opus esse ut sit
necessaria consecutio Il caso della consecuzione necessaria senza bisogno
di altro termine esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo
perfetto (léAeiog ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella. Che il
Sillogismo imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi
mezzi da Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di
rilevare. Invece è bene di rilevare intorno al concetto
aristotelico del Sillogismo alcune cose degnissime di attenzione. La prima
è che il rapporto delle proposizioni o de* -iudizii sillogistici ed il
procedimento de' medesimi son tali che costituiscono una necessaria
connessità. Il che importa che il Sillogismo non è un fatto accidentale,
ma è tale che ha una necessaria ragion di essere. La seconda è che la
conclusione non è una ripetizione e riproduzione delle due premesse, ma
esprime altro da quel che è espresso da esse: insomma, esprime un
principio nuovo. Questa seconda cosa è tanto più importante, in quanto in
tempi posteriori ad Aristotele è stata messa (1) In Abist.
Stag., Organum, già mentovato, pag. (2) Dic'egli subito all'inizio
dei Primi analitici. innanzi la opinione (1) che nella conclusione non si
contenga un novello principio, ma soltanto la ripetizione del contenuto
delle premesse. Una terza cosa è che la parola conclusione è a prendere
ed intendere nel vero" significato di inclusione di uno de' termini
negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il
vero chiudersi de' termini l'un nell'altro. E giacche si è
accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche al
concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del
Sillogismo. Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è
costituito da ciò, che le due premesse conducono ad una necessaria
conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó- <piafia) (2), al
contrario, è costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione
colle premesse, che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono
fal- samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito.
Ora è opportuno di ritornare alla esposizione dei Termini, ad
integrazione di ciocche di questi è stato teste detto. I Termini di un
Sillogismo son tre, e non pos- sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I
quali tre hanno un contenuto od estensione diversa; e sono il termine
maggiore (fist^ov àxqov), il minore (è'Àanov) e il medio (%ò \ièaov).
Aristotele li designa anche puramente e semplicemente coi nomi di primo
(tò TiQ&'cov), ultimo (tò ia%a%ov) e medio (tò [aégov). Il
numero di soli tre termini non vien contradetto neppure dal caso del
Poli- sillogismo, nel quale vi possono essere più medii. Perchè i più
medii son ciascuno sempre il medio di un solo Sillogismo nei varii
Sillogismi costituenti il Polisillo- gismo stesso, cominciando dal
cosidetto Prosillogismo e terminando coll'Episillogismo. Indicata
la denominazione e l'estensione de' Termini, la maravigliosa e precisa
mente aristotelica passa alla definizione di essi, che è la seguente:
* Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò
fièaov òv... KaÀà) óè fièaov fièv o xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv
to-ùto) èativ, 8 xal %f\ &éoei yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te
èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv (3). Cioè (in italiano): Chiamo
(termine) maggiore quello in cui è (contenuto) il medio; e
(termine) minore quello che è accolto nel medio Chiamo termine medio
quello il quale è esso stesso in un altro, e nel quale è alla sua
volta un altro, che divien medio anche per posizione. Chiamo poi estremi
sì quello che è in altro, sì quello in cui è altro. E la nota traduzione
latina ha : " Maius extremum appello, in quo medium " est,
minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et ipsum est
" in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit medium. Estrema
autem " appello et id quod est in alio, et id in quo est aliud
„. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa
comprendere come questa espressione aristotelica nella dizione greca è
perfettamente esatta. Infatti, nella prima Figura sillogistica (che è
quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo: B (l'uomo) è A (mortale); C
(Pietro) è B: dunque C è A. Aristotele, invece, nella dizione greca
dice: A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C.
(1) Opinione già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne'
tempi moderni. (2) Amst, Top., 8, 11. (3) Ibid.,
paragr. 4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a vera
Ma questa popone medtana non e q»> ^ ^ come la
conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere Però, ooanto a
-amerò * che ne. Sillogismo non tatto il poso «olle promesse, e
penano m p u» Ae e dimostraai(m e ed ogni vi sono ohe A» proposizioni.
E dopo aver dette ^consta, e ogn Siilogismo di soli tre termini
(nella tradazmne '^^Zm^J^,: ■ 8 iCplan.mestotiams y llo S
ismnmoe„stareexdaabas propos t,on » ^ p preponi ohe 4 »i sono
indahhiamen e ^ ^ adsu . • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S
»v » 3ec nndnm priama t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^,
Lia eipa.es pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » — : ffs :^^r^ti~ -
*U-r + — - ? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0
la Logica aristo- ::' "re S?- " — ""•
seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).
Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque; Latius hos quam
praemissae concludo non vult; Nequaquam medium capiat concludo
oportet; Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto; Utraque si
praemissa neget, mail inde sequetur; Ambae affirmantes nequeunt generare
negantem; Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam; Peiorem
sequitur semper conclusio partem. ki igiene di ,neste rogo.e si a^
«ohe ^ le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema,
V pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai:
perderò Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre
prepo- " an possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu taPP
itit:::v:c: o u^^ lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per
le Scuole; e passo a dire delle Figure sillogistiche pur ricorrenti negli
Analitici, e intimamente connesse col Sil- logismo. Le Figure
(%à affiliata) sillogistiche. Secondo Aristotele il Sillogismo è di
tal natura che si distingue in tre Figure sillogistiche, delle quali la
prima {o%i\fia jiqùxov) poggia sul Sillogismo perfetto, la seconda e la
terza (axVP® devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul Sillogismo im-
perfetto. E qui è necessario di rilevare una cosa, che a primo
aspetto pare di poco mo- mento, ma che è invece importantissima. Ed è che
Aristotele nella esposizione e dimostrazione delle predette tre Figure si
serve come simboli delle lettere dell'Al- fabeto greco, specialmente
delle prime tre del medesimo a, /?, y. Il significato dell'adoperamento
di tali simboli, specialmente per l'applicazione di queste alle
Matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle Figure, è bene
avvertire che Aristotele per esse si vale in com- plesso degli stessi
esempi allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di questi
rappresentare uno de' tre termini sillogistici. Così, per darne una
idea, nella prima Figura (ove adopera i simboli alfabetici a, p, y) si
vale de' termini piacere - bene - animale ; animale - uomo - cavallo ; scienza
- linea - medicina; bene - abito - sapienza ; bene - abito - ignoranza;
bianco - cigno - neve. Nella seconda Figura (ove adopera i simboli
alfabetici <5, e, £, ecc.) si vale di questi esempi, animale - cavallo
- uomo ; animale - inanimato - uomo ; animale - scienza - animale
selvaggio; corvo - neve - bianco. Nella terza Figura (ove adopera i
simboli alfabetici n, q, o) si vale di bel nuovo degli stessi esempi, che
ricorrono nella prima e nella seconda. E, per essere quanto è
possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due Fi- gure seconda e
terza, oltre agli indicati simboli alfabetici, si vale anche dei primi
tre a, /?, y. La conclusione cui giunge Aristotele nelle indicate
operazioni è che " tutti i * sillogismi imperfetti diventan
perfetti mediante la prima Figura (nel famoso testo * latino :
perspicuum est omnes imperfectos syllogismos perfici per primam figuram) „
. La maravigliosa analisi di Aristotele intorno al Sillogismo non
si arresta a ciò, ma si estende alla considerazione e determinazione di
altre forme del medesimo, quali sono il Sillogismo per Analogia, il
Sillogismo per Riduzione all'impossibile, quello per Induzione, per
Ipotesi, per Verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo entrare anche
nella considerazione di queste forme speciali sillogistiche, e passiamo a
consi- derare la seconda delle tre predette cose. Questa
seconda è quella concernente la diretta relazione delle Scienze matema-
tiche colla prima Figura, o, che vale lo stesso, col Sillogismo perfetto : il
qual punto è da Aristotele trattato nel Primo degli Analitici
Posteriori. Prima di riferire da questi ciocche concerne le
Matematiche, rilevo che Aristo- tele anche per queste, come ha fatto per
le altre discipline, si vale di esempi per chiarire e determinare la
cosa. Se non che gli esempi che egli arreca per esse sono sopratutto di
natura matematica. Infatti (nel paragrafo 5 ibid.) allega i seguenti
esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K Triangulo,
dio'egli nella famosa traduzione latina, inest linea et lineae punctum; ed
anche: Triangulo, * qua est triangumm, insunt duo recti, quia per
se triangulum est aequale duobus " recti s, etc. ». Ed
è, inoltre, oltremodo importante per la determinazione della natura delle
Scienze matematiche, che per lui (ibid., paragr. 13) Me Scienze matematiche
versano " intorno alle forme, perchè le cose matematiche non sono in
alcun soggetto „ (" etenim " scientiae mathematicae circa
formas versantur, quia res mathematicae non sunt in * ullo subiecto
„) (1). Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta
relazione delle Scienze mate- matiche col Sillogismo e colle Figure
sillogistiche, dice (ibid., paragr. 14): « Delle 8 Figure la prima è
attissima a produrre la scnenza; imperocché le Scienze matematiche \
" effettuano le dimostrazioni .mediante tal Figura, come V aritmetic a, la
geometria^ e | « l'ottica „ (nel testo latino: " Ex figuris autem
prima est ad scientiam gignendam * aptissima ; nam mathematicae
scientiae per hanc figuram demonstrationes afferunt * ut
arithmetica et geometria et optice Passo alla terza ed ultima delle
tre cose predette, a quella, cioè, concernente la formazione della
conoscenza. La qual formazione è dal grande filosofo (al paragr. 19,
ultimo degli Analitici Posteriori) espressa come segue: " Dal senso si
genera la " memoria Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta
riproduzione della stessa * cosa, si genera l'esperienza; giacche
molte memorie costituiscono una sola esperienza. * Se non che,
dalla esperienza si genera il principio dell'arte e della scienza;
' dell'arte, se spetta alle cose della generazione (2); della scienza, se
spetta a ciocche «è,; (nella traduzione latina: " ex sensu igitur
fit memoria ex memoria vero * saepe eiusdem rei facta fit
experientia; multae enim memoriae numero sunt una * experientia; at
vero experientia fit principium artis et scientiae, artis, si per-
* tineat ad generationem, scientiae, si pertineat ad id quod est „)
(3). La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda
designazione poco appresso è denominato <5ófa, mentre la
considerazione della scienza è appellata Àoyiafióg (4). Ed ora è
tempo che veniamo a determinare quale è in Aristotele il significato
dell'adoperamento dei simboli alfabetici come espressione del Sillogismo e
delle Figure sillogistiche. Ebbene, tal significato, brevemente indicato
nella sua genericità, è che le proposizioni del Sillogismo (le premesse e
la illazione) in tutte le Figure sillogi- stiche di questo vengono intese
e adoperate in Forma universale, ossia in forma estensibile ed
applicabile a tutti gli elementi della Realtà. Ora, questi elementi
sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di entrambi, ossia
il modale (il modo, la misura). Che questo triplice elemento sia costitutivo
(1) E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè, singola e determinata
,_cosa_del_la realtà. (2) La generazione concerne il sorgere e
perirò delle cose. (3) " Id qnod est „ nel corrispondente
greco rò.Sv, e ciocche nell'Hegelianismo, e propriamente nella Logica
hegeliana, è stato designato come das Sein an und fiir sich. (4)
Anche questa denominazione di Àoyurpós è degna della più grande considerazione,
perche Aristotele ha già con essa additato e determinato l'elemento
logico come elemento scientifico per eccellenza, lasciando all'arte il
carattere di elemento soltanto opinativo. della Realtà, emerge
indirettamente dalla stessa tavola aristotelica de' giudizii, cioè de'
giudizii quantitativi, qualitativi e modali, come più chiaramente si sono
appellati nelle posteriori Logiche aristoteliche delle Scuole.
Qui basti l'avere accennato di ciò; le importanti applicazioni che ne
derivano rispetto alla Scienza matematica e alla voluta corrispondente
Logica matematica le faremo, quando giungeremo alla esposizione e
giudicazione di quest'ultima; e ritor- niamo per ora all'argomento delle
Figure sillogistiche, per prendere in considerazione, da una parte, i
Modi, dall'altra, il Numero di esse. Quanto ai Modi, è di bel nuovo
il caso di dire che essi sono comunemente al- legati e discussi in tutte
le Logiche aristoteliche delle Scuole. Fra i tanti uomini autorevoli che
potrei citare a tal riguardo, rimando il lettore alla citata Logica e
Storia della dottrina logica di Friedrich Ueberweg, che ne tratta ampiamente
a pp. 296-344. Ma, per un breve ricordo di questo punto della
Sillogistica, mi varrò invece del nostro insigne Galluppi, il quale,
nelle Lezioni di Logica e Metafisica, Milano, Voi. I, pp. 358-385, espone
tal dottrina con la solita sua lucidezza e preci- sione. Della sua
esposizione e discussione di questa materia, io riferirò brevemente 1
essenziale. " Il Modo del sillogismo (dice egli, p. 36)
consiste nella disposizione delle tre * proposizioni secondo le
loro quattro differenze A, E, I, 0 „. Ora, * secondo la dottrina
delle combinazioni, quattro termini quali sono A, E, " I, 0, venendo
presi tre a tre, non possono diversamente disporsi in più di 64 ma-
* niere ; ma di queste 64 maniere, 54 sono escluse dalle regole generali
sillogistiche „ che sono state innanzi allegate: " restano perciò
soli dieci Modi concludenti „. Ma ciò non vuol dire " che solo
dieci sieno le specie de' Sillogismi, perchè un " solo di questi
Modi può formare diverse specie „, secondo la varia disposizione de' tre
termini innanzi detta. E qui il nostro Galluppi dispone addirittura
i tre termini secondo le possibili combinazioni, e ne risulta una tavola
di 64 Modi, emergenti dalle quattro Figure sillogistiche, delle quali
egli indica anche brevemente le diverse regole. A questo breve
cenno aggiungo però volentieri due cose: l'una, alcuni versi memoriali
dei Modi delle quattro Figure: l'altra, un esempio di Sillogismi secondo
i predetti Modi. I versi memoriali, fra i tanti, li allega Federico
Ueberweg, loc. cit., p. 343 seg., come segue: Barbara,
Celarent primae, Darii Ferioque. Cesare, Camestres, Pestino, Baroco
secundae. Tertia grande sonans recitat Darapt, Felapton, Disamis,
Datisi, Bocardo, Ferison. Quartae Sunt Bamalip, Caleraes, Dimatis,
Fesapo, Fresison. Dinanzi a queste parole stranissime e non
additanti per se stesse alcun senso, il buon Galluppi fa la seguente
sensata osservazione: " Queste formole (dic'egli, " ibid., p.
368), di cui la prima cominciava infelicemente con barbara, sembreranno
in " effetto oggi molto barbare. Esse hanno ricevuto più ingiurie in
un secolo, che onore " in mille anni; esse hanno terminato col
cadere in un intiero obblio; coloro che oggi le volgono in ridicolo non si
hanno sempre dato la pena di meditarle... Il filo- * sofo che
riflette con attenzione sulle regole dell'antica Logica è sorpreso nel
vedere " sino dove gli autori avevano portato l'analisi del
ragionamento. Colla più severa * imparzialità alcuno non può
impedirsi di convenire che ciascuna di queste regole * era di una
rigorosa esattezza, e che il loro insieme era sì completo che una sola ■
delle forme possibili del ragionamento non era loro sfuggita. Aristotele, senza
dubbio u non aveva sovente il soccorso dell'esperienza : era questa la
disgrazia del secolo, nel * quale egli nacque; ma egli è stato
forse il pensatore più profondo, il genio più * eminentemente
didattico che si sia mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io dubito 8
che siensi innalzate dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha
lasciato il * modello „. Quanto alla profondità e
genialità di Aristotele, il Galluppi ha perfettamente ragione, e queste
due doti spiccano di tale luce e verità proprio nella sillogistica
aristotelica e ne' Modi della medesima, che i posteri non hanno avuto ad
aggiungervi nulla, o nulla d'importante. Solo che, contrariamente al
Galluppi, che accoglie il pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro
Figure, il grande Stagirita non ne ammette che tre con tre soli
corrispondenti Modi (1). Ma del Numero delle Figure e de' Modi fra poco.
Un esempio, intanto, del ragionare e concludere secondo le quattro
Figure, è pel Galluppi il seguente: (1) La tavola
aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz, Arisi. Organon, voi. I, pag.
385 (rilevando le espressioni tecniche di nata navtòg, **** m óevòg ecc.,
sia colle corrispondenti De omm et de nullo ecc., sia colle note quattro
iniziali A, E, I, 0), è la seguente: I. a', tò A xatà
jiavTÒg tov B, tò B %mà navTÒg tov P, tò A narà navtòg tov
P. IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg zov B, tò A xatà navzòg
zov P, rò B xazà fiydevòg zov P. y'. tò A xatà
/^ijóevòg zov B, zò A xazà Tivòg tov P, zò B xatà Tivòg tov P
ov. III. tò A xazà navzòg tov P, tò B xazà navzòg zov
V, zò A xazà zivòg zov B, y' . zò A xazà zivòg zov
P, zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà Tivòg zov B.
e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg zov P,
tò A nata zivòg tov B oli §. tò A nata ^ijóevòg zov
B, tò B xarà navTÒg tov P, tò A xazà /^tjdevòg tov P.
/5'. rò A xazà navzòg tov B, tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov P,
tò B naia fA,t]devòg zov P. 5'. tò A xazà navzòg tov B,
zò A xazà zivòg zov P off, tò B xazà zivòg zov P oi!.
zò A xazà [A,t]Sevòg tov P, tò B xazà navzòg tov P, tò
A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata navTÒg zov P, zò B
xazà zivòg tov P, tò A xazà Tivòg tov B. zò A xarà
fifiòsvòg zov T, tò B xazà zivòg tov P, tò A xatà tivòg tov B
oil.Figura (avente il medio come sogg. del magg. e predio, del
minore) Ogni sostanza pensante è semplice, L'anima umana è
sostanza pensante, L'anima umana è dunque semplice. II
Figura (avente il medio come predicato de' due estremi) Niun
corpo è una sostanza pensante, L'anima umana è una sostanza
pensante, L'anima umana dunque non è corpo. Ili Figura
(avente il medio come soggetto de' due estremi) Ogni sostanza
pensante è semplice, Ogni sostanza pensante è indistruttibile,
Dunque qualche sostanza indistruttibile è semplice. IV Figura
(avente il medio come predio, del maggiore e sogg. del minore)
Qualche essere semplice è sostanza pensante, Ogni sostanza
pensante è attiva, Dunque alcune sostanze attive sono esseri
semplici. Il numero delle Figure e de' Modi. — Il lettore ha visto
a pie' di pagina le tre Figure e i tre corrispondenti Modi aristotelici
allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco volentieri una osservazione
concernente la seconda e la terza Figura, nelle quali ei dice (loc.
cit.): " ultimum modum secundae et quintum tertiae Figurae non demonstrari
nisi 8 deductione facta ad absurdum „. Galluppi, come si è
visto, ha opinato doversi ammetter come valida anche la quarta figura e i
corrispondenti Modi. Ma, francamente detto, il Sillogismo, ch'egli ne
arreca ad esempio, da una parte, cammina stentatamente, dall'altra, è di
difficile comprensione. In generale, potrebbe dirsi che la mente umana
nel suo naturale proce- dimento logico non ragiona in quel modo. E un
ragionamento logico che contraria la natura nè può considerarsi come il
migliore, nè deve ammettersi come buon proce- dimento logico.
À conferma di tale osservazione rilevo che in generale i grandi filosofi
si son tenuti alla aristotelica triplità di Figure e di Modi.
Notoriamente, è stato il famoso medico Claudio Galeno di Pergamo (1)
quello che ha così " legato il suo nome alla Dottrina del Sillogismo
(2), che apparisce in " quasi tutti i compendii della Logica, anche
ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo * l'espressione comune, ha
accresciuto il numero delle tre Figure aristoteliche del Sillo- "
gismo categorico coll'aggiunzione di una quarta, nella quale il concetto (o
termine) " medio è predicato della maggiore e soggetto della minore
„. Soggiunge che " la * notizia di tale innovazione „ "
non si trova in tutta la Letteratura greco-romana „, (1)
Zellek, Grundriss d. Gesch. d. Griechischen Phiìosophie, nella citata 10"
ediz. del 1911 del Loktzing, pag. 298, come anni di nascita e di morte
131-201 d. C. (2) Così Prantl, Gesch. der Logìlc, età, I Bd., pag.
570 s. ECC. 117 e che
proviene da fonte arabica, e propriamente da Averroe. Il quale Averroe,
per Giunta ne fa menzione proprio nella confutazione che fa della quarta
Figura. Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto ai
Modi, quanto rispetto alle Figure sono le seguenti.
Quanto ai Modi, Aristotele, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e
cor- rispondentemente alle possibili combinazioni delle loro proposizioni
secondo le indi- cate lettere A E I 0, ha trovato che i Modi valevoli,
perchè non contrarli alle otto regole sillogistiche, sono 4 per la prima
Figura, 4 per la seconda e 6 per la terza, in tutto dunque
quattordici. Galluppi, che (con Galeno) ha ammesso la quarta
Figura, ha anch'egli esaminato le combinazioni e Modi che son possibili e
valevoli in questa; ed ha trovato che, accanto ai molti Modi contrarli
alle otto regole sillogistiche, ve ne sono però 5 validi; sicché il
nostro filosofo napoletano, invece di 14, ammette 19 Modi validi.
Quanto poi alle Figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè,
quello della riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi
imperfetti, alla l a che sola li dà perfetti. , Ora,
tal riduzione, secondo Aristotele, avviene per mezzo di conversione: Azi
yaq ytyvstai òià %fjs dvvunqof^g ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr., I,
cap. 7. Inoltre, la conversione può avvenire in due modi, cioè, o
estensivamente, ovvero per riduzione all'assurdo òemtix&$ % tov
àòvvàiov). E da ultimo, secondo lui, " tutti i sillogismi,
quando sono rettamente convertiti, « si riducono a sillogismi universali
della prima figura „ {tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg àva%Sf\aov%ai eig rovs
& %<$ nqcbto? oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di
quest'ultimo punto, a maggior intelligenza e a complemento della cosa,
allego la solita traduzione latina non soltanto de' passi corrispondenti
a quelli da me alle- gati in greco, ma anche della rimanente parte, che è
dimostrativa e illustrativa dei medesimi La traduzione suona così: «
Semper enim fit syllogismus per conversionem, « praeterea manifestimi est
pronuntiatum indefinitum prò attributivo particulari « acceptum efficere
eundem syllogismum in omnibus figurili, item perspicuum est « omnes
imperfectos syllogismos perfici per primam figuram. aut enim
demonstratione " aut per impossibile perficiuntur omnes: utroque
autem modo fit prima figura, ac « demonstratione quidem si perficiantur,
fit prima figura, quia sic omnes perficie- « bantur per conversionem:
conversio autem efficiebat primam figuram. si vero per « impossibile
confirmentur, adhuc fit prima figura, quia posito quod falsum est, syl-
" logismus conficitur in prima figura, ut in postrema figura si tò a ac tò
p omni y, « probatur tò a inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac
tò § omni y, tò a « inerit nulli y. sed antea positura erat omni inesse,
similiter fit etiam in alns. licet • etiam reducere omnes syllogismos ad
syllogismos universales primae fìgurae. nam » qui fiunt in secunda figura,
sine dubio per illos perficiuntur, non tamen omnes « eodem modo, sed
universales converso pronuntiato privativo, particularmm autem « uterque
per deductionem ad impossibile, particulares autem primae fìgurae perfì-
» ciuntur quidem per se ipsos, sed licet etiam secunda figura eos confirmare
ducendo « ad impossibile, ut si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a
inerit alieni y. nam » si nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y
tò § inerit: hoc enim scimus per « secundam figuram. similiter enim in
privativo syllogismo erit demonstratm. nam si zò a nulli | ac %b 0 alicui
y inest, tò a alicui y non inerit. etenim si omni ■ insit ac nulli §
insit, zò § nulli y inerit: hoc enim erat media figura, itaque cum "
omnes sillogismi mediae figurae reducantur ad syllogismos universales
primae 1 figurae, particulares autem primae ad syllogismos secundae,
perspicuum est etiam " syllogismos particulares primae figurae
reduci ad syllogismos universales primae " figurae. qui vero fiunt
in tertia figura, terminis quidem universaliter acceptis statim "
per eos syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis perficiuntur
per " syllogismos particulares primae figurae. hi vero ad illos
reducti sunt: quapropter " ad eosdem reducentur etiam syllogismi particulares
tertiae figurae. perspicuum " igitur est omnes reduci ad syllogismos
universales primae figurae „. E ora, ritenendo di aver detto a
sufficienza della Sillogistica aristotelica, passo a dire del quinto
scritto dell'Organo, cioè di quello de' Topici. I Topici
{Tonino). — Di questo scritto del grande Stagirita Boezio (loc. cit., p.
7) dà la seguente notevole informazione e giudicazione: " Topica:
hoc est, loci, unde " ducuntur argumenta. Opus est octo voluminibus
distinctum, varium sane, hoc est, " multae eruditionis et
observationis rerum diversarum. Sed ut illa omnia primus " ipse
pariebat, non potuit tam multa simul edere, simul expolire : itaque relieta
est " velut ingens quaedam materia et dives, ad extruendum
pulcherrimum aedificium Questo giudizio di Boezio, primamente, è
vero, come il lettore stesso se ne convincerà dal cenno che noi faremo
de' Topici; secondamente, ha grande importanza anche per l'influenza da
Boezio esercitata nell'insegnamento logico delle Scuole cri- stiane
medioevali (1). Accanto al giudizio di Boezio debbo riferirne un altro
vera- mente acuto e profondo di Trantl {Gesch. d. Logik im Abendlande,
t** Bd., 1855, Leipzig, pag. 341) sulla grandezza speculativa della mente
di Aristotele. Prantl dice che ■ la superiorità {Ueberlegenheit) della
mente di lui era capace di esaminare secondo " il concetto
{begrifflich) e di costruire teoricamente secondo concetti adeguati anche campi
(Gebiete) ed aspirazioni che sono al di sotto della speculazione
propriamente " detta », come sono il campo e la materia de'
Topici. Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una
circostanza rilevata dal Zeller (2), che cioè,il 5° libro de' Topici
rimastoci non provenga da Aristotele, come dimostra " Pplug, de Ar.
Topicorum libro V (1908) „. Ma, ciò nonostante, noi ne accenneremo
egualmente. Cominciando dal Libro I, Aristotele subito nel primo
paragrafo indica lo scopo de' Topici in genere, il quale scopo è quello
di trovare il metodo di argomentare di ogni problema proposto dajrobabili
je£ èvóófrv), e disputarne in guisa da non dir nulla di ripugnante. Nella
traduzione latina il predetto scopo è indicato così: * Propositum huius
tractationis est invenire methodum per quam possimus argumentari
(1) Tale influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra
gli altri, Friedrich Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d.
Philosoph., 8° Aufl., das Alterthum, Beri., 1894, p. 213. (2) Nel
Grundriss d. Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz. 10% 1911 del
Loetzino, pag. 174. « de omni proposito problemate ex
probabilibus, et ipsi disputationem sustinentes " nihil
dicamus repugnans „ (1). _ E soggiunge doversi innanzi tutto dire
" che cosa sia il Sillogismo „, estenden- dosi intorno a questo ed
indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del Sillogismo,
della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della
tratta- zione de Topici è quello di trovare il metodo di argomentare,
foss'anche da' probabili, l'argomentare è un sillogizzare, e quindi
bisogna conoscere come si sillogizza, ecc. Ed in generale il lettore
vedrà che in questi Topici si tratta di una grande quantità di cose di
cui si è già trattato nelle Categorie, nell'Ermeneia e negli Analitici
tanto Primi quanto Secondi. Intanto Aristotele, sempre
preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba inten- dersi per
probabile. E lo determina dicendo (nella traduzione latina): "
Probabile « autem sunt ea quae videntur omnibus vel plerisque vel
sapientibus, atque his vel « omnibus vel plerisque vel maxime notis et
claris „. Nel secondo paragrafo investiga e determina « a quante e
quali cose sia ntite « questa trattazione , de' Topici. E statuisce che
ella sia " utilis ad tna, ad exerci- « tationem, ad congressi, ad
philosophicas scientias. quod igitur ad exemtationem « sit utilis, ex his
perspicuum est, quoniam hanc methodum habentes facile de omni « re
proposita poterimus argumentari, ad congressi autem, quia multorum
opmiombus » enumerata, non ex alienis sed ex propriis singulorum
sententns poterimus cum « eis a-ere refellentes quod non recte dicere
nobis videtur. ad philosophicas autem « scientias, 'quia cum poterimus in
utramque partem dubitare, facile in smgulis per- " spiciemus
veruni et falsum „. Il predetto metodo, soggiunge egli nel terzo
paragrafo, sarà perfettamente pos- seduto, quando lo si adoprerà nella
retorica e nella medicina, come fanno l'oratore e il medico.
Ho rilevata volentieri questa circostanza della retorica e dell oratore,
perche tutti sanno come questa materia trattata ne' Topici è passata
realmente, se non m tutto certo in buona parte nella Retorica: Retorica,
che specialmente noi vecchi abbiamo studiata, con qualche profitto sì, ma
anche con non poca pedanteria d'in- \ segnanti e d'insegnamento.
Sono stato piuttosto diffuso nella indicazione di queste generalità del
1° Libro de' Topici per dare una idea della trattazione e del modo di
trattazione de' mede- simi. Ma ora procederò più speditamente e più
brevemente, fermandomi però alquanto di più ne' punti di maggiore
importanza. Nel paragrafo 4 continua ad occuparsi di sillogismi e
di proposizioni, ma con riguardo ai principii comuni ad entrambi, come
sono il genere, il proprio, l'accidente, Indifferenza, la definizione,
ecc.; e nei seguenti paragr. 5 e 6 determina e illustra siffatti
principii. Nel paragr. 7 pone il quesito: 11 Quot modis idem
dicatur , ; e lo risolve dicendo: (1) Quanto alla materia
de' problemi proposti, anch'essa, secondo l'uso delle Scuole, fu espressa
nel seguente verso memoriale: Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur?
quomodo? quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem, tripertito
distributum esse, aut enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus
appellare, etc. Più avanti al paragr. 9 si propone di definire i
generi delle Categorie, e di indi- carne il numero, che è di dieci; e il
relativo luogo è stato già riferito. Nei paragr. susseguenti
determina la natura della proposizione dialettica, del sillogismo
dialettico, della tesi (determinata al paragr. 11 come " sententia
alieuius * nobihs philosophi , ut dicebat Antisthenes ,). Nel
seguente paragr. 12 si propone di " esplicare quot sint rationum
dialecti- « «tram species „; e in seguito si occupa ancora de 3 generi
delle proposizioni, per quindi occuparsi nel paragr. 17 della somiglianza
(e propriamente della « similitudo consideranda in iis quae sunt in
diversis generica „). E con ciò si chiude la consi- derazione del 1°
Libro. Il lettore che consideri bene la trattazione aristotelica
deve convenire nell'acu- tezza e giustezza del giudizio di Boezio intorno
ai Topici. Libro II. Nel primo paragrafo di questo, Aristotele
torna ad occuparsi de' pro- blemi, in quanto « alia (scilic. problemata)
sunt universali», alia particularia „ ; e si fa a considerarli ne'
diversi rispetti della generalità e della particolarità. Nei
paragrafi immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi
secondo cui alcunché si dica, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Ma nel paragr. 7 passa a considerare un punto importantissimo, e
propriamente quello concernente: La Opposizione e il
Principio di contraddizione: il qual punto è da lui considerato ne più
minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni, suddistinzioni ecc.; e noi
ne riferiremo con qualche ampiezza. ' Q uoniam au * em
contraria (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter se *
coniunguntur, contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta,
oportet " accipere contraria prout expedit evertenti et adstruenti.
sex igitur modis ea coniungi " manifestum est. aut enim utrumque
utrique contrariorum iungitur, atque hoc bi- " fariam, ut de amicis
bene mereri et de inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis
bene, autem ambo de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis ' bene
mereri et de amicis male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis
male. " aut autem de ambobus, et hoc quoque bifariam, ut de amicis
bene et de inimicis • bene, vel de amicis male et de inimicis male,
primae igitur duae coniunctiones " quas dixi, non faciunt
contrarietatem : de amicis enim bene mereri et de inimicis " male
non sunt contraria, cum ambo sint optabilia et eorundem morum effectus „
(badi il lettore alla circostanza e corrispondente espressione del morum
effectus, che net testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov
ij9ov S ). « neque item contraria sunt de amicis male et de inimicis bene
mereri. nani et haec sunt ambo fugienda " et eorundem morum effectus
„. E Aristotele nelle dette distinzioni e suddistinzioni non si
arresta neppur qui, ma procede ad altre, che noi omettiamo di
riferire. N Se non che, continuando a parlare de' contrari!, passa
a considerarli da quel rispetto, che è stato appellato i\ principio di
contraddizione, sostenendo: " fieri nequit " ut contraria simul
eidem subiecto insint „ (cioè, nel corrispondente testo greco: àòvvaiov
yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E trattandosi di un
principio tanto importante, che, per giunta ha avuto poste- riormente una
rigida e non sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche
nella forma più compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò
djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó
(nella traduzione latina: " idem enim simul inesse et non inesse
eidem et secundum idem impossibile " est „). E soggiunge poco
appresso che questo è il più certo di tutti i principii: avxr\ ài]
naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (traduz. latina : " hoc autem est
omnium prin- " cipiorum certissimum „). Noti però il
lettore che, per non fraintendere il principio aristotelico di contrad-
dizione, si deve aver presente ciocche Aristotele ha detto teste, che, cioè gli
opposti non sono contraddittorii, epperò non escludentisi (poniamo, come
amici e nemici) quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia
effetto della natura di essi. L'uomo, per chiarire ancor meglio
l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico ed anche l'essere
nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche cattivo.
Non sarà l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo; ma l'uomo è però
pur sempre il medesimo soggetto, che .ora è amico ora nemico, ora buono ora
cat- tivo: ed inoltre, è amico e buono ne' tali e tali uomini, ed è
nemico e cattivo ne' tali e tali altri uomini. E basti di
questo importantissimo punto. Ne' paragrafi immediatamente
susseguenti si continua a parlare dell'opposizione, si accenna anche alle
simiglianze, e non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del
Libro III. Aristotele apre questo Libro col quesito di ciocche sia
migliore e più desiderabile, e, per giunta, di esaminare e a tal riguardo
" sermonem instituere * (paragr. 1) non de iis quae longe
inter se distant et magnam differentiam habent..., " sed de iis quae
vicina sunt „. E risolve la quistione dicendo che " quod est
diuturnius * et constantius, magis est eligendum quam quod est
minus tale „. E nella elezione è certo anche di peso " quod
eligat vir prudens, aut lex recta..., aut ii qui in uno quoque genere
scientes sunt „. Ne' due seguenti paragrafi continua in grosso
l'esame e soluzione dell'istesso quesito, per poi venire, ne' paragrafi 4
e 5, a prendere in considerazione i luoghi utili a conoscere ciocche
debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E statuisce (paragr. 5): *
Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime universales.
sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt „. E questa è
la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo
Libro. Passo al Libro IV. E qui posso essere ancora più breve di
quel che sono stato nell'an- tecedente Libro. Giacche in questo IV si
torna a discorrere " de iis quae ad genus " et proprium
pertinent „, colla considerazione di differenze, specie, distinzioni e
suddistinzioni di casi, di esempii, di applicazioni (anche al principio di
contraddizione), che servono ad illustrare e confermare il proposto
quesito. E si giunge così al Libro V (che, come è detto innanzi,
non proverrebbe da Aristotele). Ma in questo stesso Libro V non vi
sono altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli
antecedentemente trattati. Infatti questo Libro comincia così:
" Utrum autem proprium sit necne id quod * est propositum, ex
his locis quos deinceps exponemus considerandum est „. E
prosegue dicendo: * Proponitur autem proprium vel per se et semper, vel
per com- " parationem cum altero et interdum „. E passa ad
investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per comparazione,
ecc. E ne' seguenti paragrafi 2, 3 e 4 continua ancor sempre il
discorso intorno al proprio ne' suoi più diversi aspetti e rapporti : ne'
quali aspetti e rapporti non manca la considerazione de' principii
contrarii (fatta nel paragrafo 6), e de' principii con- trarli relativamente
al proprio, per scorgere " an contrarium sit contrarii proprium „
etc. In grosso è lo stesso nel paragrafo 7, in cui " ex
casibus refellitur, si ille casus " non est illius casus .proprium „
etc. E finalmente, nel nono ed ultimo paragrafo, " refellitur,
si quis potestate proprium " tradidit, etiam ad id quod non est
rettulit illud potestate proprium, cum potestas " rei quae non est,
inesse nequeat „ etc. Rispetto alla predetta opinione di Pflug
accennata dal Zeller, dico rispetto a tale opinione, non contro ad essa,
mi permetto di fare una personale osservazione. Ed è che, leggendo e
considerando attentamente questo V Libro, la materia, il modo di
pensarla, ordinarla, distinguerla e suddistinguerla ne' suoi varii rispetti e
rapporti, si mostra, da una parte, interamente simile a quella degli
antecedenti Libri topici, dall'altra, interamente conforme alla mente di
Aristotele. Ed ora vengo al Libeo VI. Questo si inizia
coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con esse ; ma queste
stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con rife- rimento al
proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un argomento che
ha della importanza, e che si addentra nella natura delle definizioni e
nelle diverse parti costitutive di esse, allegherò un lungo luogo, in cui
ciò è effettuato. Della trattazione dunque * quae ad definitiones
pertinet quinque sunt partes. " vel enim definitio reprehenditur,
quia omnino non vere dicitur, de quo nomen, 14 etiam oratio, quandoquidem
oportet hominis definitionem de omni homine vere " dicitur. vel quia
cum sit aliquod genus, non collocavit rem definitam in genere " aut
non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is qui definit, cum in
genere " definitum collocaverit, differentias adiungere, si quidem
eorum quae in definitione " ponuntur, maxime genus videtur rei
definitae essentiam declarare ; vel quia oratio " non est propria
(nam oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et supra u fuit);
vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non definivit, nec dixit
" quidditatern rei definitae. reliquum est praeterea definitionis vitium,
si definivit " quidem, non tamen recte definivit. an igitur de quo
nomen dicitur, non etiam " oratio vere dicatur, ex locis ad accidens
pertiuentibus considerandum est. nam ibi 8 quoque omnis consideratio in
eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an non " verum. cum
enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus esse verum. cum
" autem ostendimus non inesse, dicimus non esse verum. an autem non in
proprio " genere posuerit, vel non propria sit oratio tradita, ex
dictis locis, qui ad genus " et ad proprium pertinent considerandum
est. reliquum est ut dicamus quomodo " disquiri debeat an non sit
definitum, vel an non recte sit definitum, etc. „. Nel susseguente
paragr. 2 vien la considerazione dell' omonimo, del simmetrico, con le
corrispondenti definizioni. Qui stesso Aristotele si fa a considerar la
definizione in rapporto al sillogismo, e se in tal rapporto essa sia fatta
chiaramente od oscuramente ecc. Ne' paragrafi 3 e 4 continua sempre
l'argomento delle definizioni. Nel para- grafo 5 si considera la
definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre ripetuto e si
ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner ed
altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome « id quod habet tres
dimensiones „. Nel paragr. 6 Aristotele fissa l'attenzione alle
differenze, in quanto in esse ' considerandum est an generis differentias
dixerit „. Se tali differenze non sono state indicate e precisate, non vi
sarebbe stata vera definizione. Nei susseguenti paragrafi continua
sempre lo stesso argomento delle definizioni, con esemplificazioni
intorno all'abito (paragr. 9), alla simigliala (paragr. 10), e si termina
con la considerazione della composizione delle cose, della quale, per
avere una giusta definizione, bisogna indicare tutti gli elementi che la
costituiscono. E così si passa al Libro VII. — Gli argomenti
di questo Libro sono anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati
negli antecedenti Libri con speciale riguardo all' Oratoria, la quale
naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc.,
col consueto riguardo ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi
tali o tali altri. Ecco, infatti, come al principio del Libro è
enunciata la materia da considerare in essa : " Utrum autem id de
quo agitur sit idem an diversum, secundum eum modum * qui inter
modos supra de eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum « est.
dicebatur autem maxime proprie idem esse quod est numero unum,
considerare « autem oportet atque argumenta sumere ex casibus et
coniugatis et oppositis. nam « si iustitia est idem quod fortitudo, etiam
iustus est idem quod fortis, et iuste idem " quod fortiter. similis
ratio est oppositorum etc. J. Qui stesso vien la volta di pren- dere in
considerazione anche il sorgere e perire " ortus et interitus „ delle
cose. Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono :
" nam quae " alteri accidunt, etiam alteri accidere debent „. E
ciò vien messo ivi stesso in rela- zione anche colle Categorie, in quanto
" videre oportet an non in uno categoriae ' genere ambo sint, sed
alterum qualitatem, alterum quantitatem vel ad aliquid * relationem
declaret „. Al paragrafo 3 vien la considerazione della definizione
e del sillogismo, pur con riferimento ai generi, alle specie, alle
differenze, non che ai contrarii, alle diffe- renze contrarie, ecc.
Al paragrafo 4 si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma
con riferi- mento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce : "
Maxime autem locorum omnium » apti sunt ii quos nunc dixi, necnon ex
casibus et coniugatis. Ideoque maxime me- « moria tenere et in promptu
habere oportet hos locos (utilissimi enim sunt ad « plurima problemata),
atque etiam ex ceteris eos qui sunt maxime communes, quo- " niam
inter reliquos sunt efficacissimi „. Nel seguente ed ultimo
paragrafo 5 ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti a
definizione, sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il
Libro. Libro Vili. — L'argomento principale di questo Libro de'
Topici è la disposi- zione della materia del discorso, con riguardo
speciale ad interrogazioni, risposte, e ritrovamento (inventio) di quegli
argomenti che spettano ed importano al dialettico, al filosofo. E quale
argomento conduce naturalmente Aristotele a connettervi, come
d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc. Ma sentiamo Aristotele
stesso. Egli indica (nella traduzione latina) lo scopo e la materia della
trattazione con queste parole : " Post haec de dispositene, et
quomodo interrogare oportet, dicendum " est. primum autem debet is
qui interrogaturus est, locum invenire ex quo argu- s mentetur, deinde
interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo "
haec dicere contra alterum. ac loci quidem inventio aeque ad philosophum et
ad " dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt
dispositio et interrogatio " dialectici est propria, quoniam hoc
totum adversus alterum est : philosopho autem " et ei qui ipse secum
veritatem inquirit, curae non est, si vera sint et nota ea ex "
quibus efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet, propterea
quod " propinqua sint quaestioni ab initio propositae ac provideat
quod eventurum sit. " quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint
maxime nota et problemati pro- * pinqua, quandoquidem ex his Constant
syllogismi qui scientiam pariunt ,, Sillogismo senza proposizioni
intanto non si dà ; perciò Aristotele rivolge la sua attenzione a queste.
Di queste ve n'ha di necessarie ed anche di non necessarie. "
Necessariae autem „, dic'egli, * dicuntur eae ex quibus syllogismus conficitur.
quae vero praeter has sumuntur, quattuor sunt : vel enim sumuntur
inductionis causa, " ut detur quod est universale, vel ut
amplificete oratio, vel ut celetur conclusio, " vel ut magis
perspicua sit oratio etc. „. Nell'anzidetto si contiene il pensiere
aristotelico di questo Libro, e s'intende che ciocche segue non può
essere che l'ulteriore e più ampia esplicazione di ciò con applicazione a
singoli casi e quesiti ed a singole corrispondenti soluzioni. A
conferma di ciò, nel paragrafo 2 si pone che nel dissertare " utendum
syllo- " gismo apud dialecticos potius quam apud multos ; contra
inductione apud multos " potius „. Si fanno di ciò, ad
illustrazione, applicazioni a casi vari, poniamo al caso della salute,
valetudo, della malattia, morbum, ecc. Quanto alla natura della proposi-
zione dialettica e al corrispondente elemento dialettico, si dice poco appresso
: " Pro- " positio enim dialectica est, ad quam respondere
licet etiam aut non „. Al paragrafo 3 si prendono in considerazione
le hypoiheses, le captiosae argu- mentationes con riferimento ai
principia ultima, da cui tutte le dimostrazioni e tutti i principi
subordinati traggono origine e ragione probativa. " Nam cetera
(scilic. " principia) per haec probantur, ipsa vero per alia probari
non possunt „. Nel paragrafo 4, riferendosi all'interrogare e
rispondere, dice: " De responsione " autem primun determinandum
est, quod eius sit officium qui recte respondet, quemad- " modum
eius qui recte interrogai est autem interroganti^ ita disputationem
deducere, " ut respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis
quae praeter thesim sunt necessaria ; respondentis vero, ne sua culpa
videatur evenire quod absurdum vel praeter opinionem est, sed propter
thesim „. L'istesso argomento dell'interrogare e rispondere viene svolto
nei paragrafi 5, 6 e seguenti con ulteriori considerazioni di altri casi
e rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo 11, a proposito della
reprehensio argumentationis, ricorre l'accenno ad argomentazioni false e
vere nel senso ed intendimento di ciocche si è discorso ed esposto negli
Analitici ; e il corrispondente luogo, relativo a molti modi di
argomentazione, è degno di essere riferito e suona così : " Qui vero „,
dice Aristotele, " ex falsis verum concludunt, non possunt iure
reprehendi, quoniam falsum " quidem semper necesse est ex falsis
concludi, sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere : hoc autera
est perspiciram ex Analyticis. quando autem argumentatio quae dieta est,
alicuius rei est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil * cum
conclusione probanda commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus.
* sin autem videatur, sophisma erit, non demonstratio. est autem
philosophema syllo- * gismus demonstrativus, epicheirema vero
syllogismus dialecticus, sophisma syllo- * gismus contentiosus,
aporema syllogismus dialecticus contradictionis „. Per ragione del
tecnicismo di queste ultime espressioni della Logica aristotelica, allego
quest'ultima parte del luogo nel testo greco, il quale suona così : "Eati
òe (piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè
avlkoyiofiòg òiaXemmóg, oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe
ovZAoyiofiòg òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo 12 si
stabilisce come massima che 8 argumentatio est " perspicua uno modo,
eoque maxime vulgari, si ita concludat ut nihil amplius opor- " teat
interrogare „. E dopo altre consimili considerazioni si conclude il Libro
Vili con quest'altra massima di carattere generale : - oportet paratas
argumentationes " habere adversus eiusmodi problemata, in quibus cum
paucae argumentationes " suppetant, adversus plurima problemata
utiles erunt. hae vero sunt argumenta- " tiones universales, et quas
assumere ex rebus passim obviis difficile est „. Dopo siffatte, se
non diffuse, certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo scopo e
sul modo di trattazione de' Topici, passo a dire degli Elenchi Sofistici.
JUeqì t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. — Anche per questa parte, come ho fatto
per le altre, della Logica aristotelica comincio coll'allegare un
notevole giudizio di Boezio, il quale (loc. cit., p. 7) dice: * Elenchus
multa significai sed hoc loco prò redar- 14 gutione sumitur. Libri sunt
duo, ad cavendas sophisticas captiones, et ne in disse- " rendo
falsa prò veris per ignorationem colligamus, aut admittamus. Huic operi *
initium dedit Plato in Euthydemo : ostenduntur illic pauci quidem doli
disputatoris " captiosi : Aristoteles autem rem omnem, ut solet, a
primis initiis complexus, " digessit in ordinem et formulas „.
A questo giudizio di Boezio si unisce Prantl. il quale colla sua autorità
in tal materia, lo allarga ed integra con altre importanti osservazioni.
La qual cosa egli fa nella pagina 346 della sua citata opera Gesch. d.
Logik, età, voi. I, primamente, osservando come questi Elenchi Sofistici
si colleghino intimamente ai Libri topici in genere ed al Libro Vili in
ispecie ; e secondamente, esponendo in un breve e succoso cenno la
materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è stato in Italia un uomo,
che, riattaccandosi ai due nominati scrittori, ha fatta una traduzione
eccellente de' primi 14 capitoli degli Elenchi, facendovi pre- cedere un
elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di
sommarli ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche
de' rimanenti venti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare
il tutto con note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata
tutta la parte storica dell'argomento, fino al secolo XIII
inclusivamente. Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è
Buggero Bonghi, il quale non solo mostrò vastità di dottrina in questo
speciale argomento della Logica aristotelica, ma ha allargato ed
approfondito i suoi studi nella traduzione e illustrazione delle opere di
Platone e della Metafisica di Aristotele, traducendo ed illustrando quasi
tutte le opere del primo, e i primi sei Libri della Metafisica del
secondo. E, per giunta, fortificò i suoi studi filosofici, oltre che collo
studio della Storia della Filosofia fino agli ultimi tempi
inclusivamente, anche colle sue amplissime conoscenze di Storia di tutti
i tempi, e con un'ampia erudizione nelle altre discipline dello scibile.
La esposizione che io, per assolvere il mio scopo e compito, farò di questi
Elenchi, consisterà in tre diversi cenni : il primo, quello di valermi della
traduzione italiana stessa e delle corrispondenti illustrazioni del
Bonghi ; quale migliore e più sicura guida nell'adempimento del mio scopo
? il secondo, nell'allegamento di un brevissimo luogo del Boezio,
riportato in nota dallo stesso Bonghi, luogo che ser- virà alla
indicazione delle espressioni latine de' sofismi trattati da Aristotele ; il
terzo, nell'allegamento di un luogo importantissimo dell'Ueberweg, nel
quale, in breve e succoso cenno, sono distinti e illustrati tutti i
sofismi con le relative denominazioni greche. E vengo alla
esposizione. Cominciando dal Bonghi, è bene ed utile di rilevare
alcune importanti afferma- zioni e considerazioni di lui in
riattaccamento a Boezio, a Prantl, allo stesso sorgere e costituirsi
della Sofistica, ed anche a Socrate, Platone ed Aristotele in quanto
riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e
costituirsi della Sofìstica, benché egli ricordi cose note, pur voglio
ricordar le parole di lui. Prodico, Gorgia e Protagora (dic'egli nella
prima parte dell'Introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, pag. 15) "
per i " primi accettarono i nomi di sofisti e fondarono la sofistica
„. E, come essa 8 è il " principio e il fondamento dell' 'eloquenza
e il più grande stimolo e sprone di coltura, " essi furono maestri
di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia ».
Senonchè, pur troppo la sofistica degenerò in eristica. Ora, Platone
(ibid., pag. 18) " si oppose a questa perversione di giudizii „ :
tanto più che " non si sarebbe potuto " mai far intendere il
valore di Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccu- "
pato le menti „. Si aggiunga a ciò, che quando " in Grecia si moltiplicò il
numero " di quei professori o maestri che si ripromettevano
d'insegnare al cittadino la miglior " maniera di condursi per se e
per gli altri nello stato „, nacque una gran " contra- " rietà
d'opinioni ne' nuovi metodi d'insegnamento „. E da questa, e dal " nome
di 8 uno degli Eristici che vi discorre „ trasse origine YEutidemo di
Platone. Vengo ora alle Confutazioni Sofistiche.
Nell'avvertenza alle Confutazioni Sofistiche, come Bonghi traduce il
trattato jieqì %ùv oocpMmxcòv èÀéyx<op (1), egli dice di essere stato
indotto alla traduzione * dal " pensiero, che avrebbe potuto
riuscire di molto interesse e utilità il vedere come una " mente
così sottile, investigatrice, sistematica (come quella di Aristotele) abbia
per " la prima volta messo ordine e luce in una materia per sè così
complicata e buia, " com'è questa del ragionamento usato a inganno
altrui. Neil' Eutidemo Platone aveva " rappresentata l'arte ; nelle
Confutazioni Sofistiche Aristotele, che vi ricorda tante volte " l'
Eutidemo e Platone, ne dette la teorica „. Soggiunge, Aristotele
" non esser facile in nessuno suo scritto; e questo è uno " di
quelli ne 1 quali è più difficile „. Indicando la ragione, i limiti e il modo
come ha Vedi Dialoghi di Platone, trad. da Ruggero Bonghi, voi. IV
(continuaz.), Eutidemo, 2* ediz.; Aristotele, il primo Libro Delle
Confutazioni Sofistiche, ecc. Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la
propria opera, dice essergli • mancato il tempo „ di condurre a termine
la traduzione ; ma che, ciò non ostante, " la trattazione teorica de'
sofismi è ne' primi " (14 capitoli) compiuta „ essendo 8 nei
seguenti (venti capitoli) solo indicate le vie « praticamente utili a
cavarsene fuori „ ; e che, per giunta, come si è detto, anche per questi
ultimi ha aggiunto " lunghi sommari! „ ; sì che il lettore finisce per
aver conoscenza di tutta la materia dell'ultimo trattato logico di
Aristotele. Ora ecco i punti sostanziali di questo.
Aristotele nel Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo dice che
"prende a • discorrere.... delle Confutazioni Sofistiche e di
quelle che paiono bensì confutazioni, " ma sono paralogismi e non
confutazioni , . E nel seguente paragrafo 2 fonda questo suo
giudizio con questa osservazione : " Che de' sillogismi alcuni son
veramente tali, altri paiono e non sono, è manifesto ; " chè come
questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal simiglianza,
• così accade ancora nei ragionamenti. E difatti, la persona, che altri
hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi.... paiono averla.... E
delle cose inanimate è del " pari ; chè di queste quale è argento e
oro davvero ; quale non lo è, ma pare al « senso ; per mo' d'esempio,
d'argento quelle di stagno e di piombo ; d'oro quelle * tinte di
giallo „. E allo stesso modo, sillogismi e confutazioni, quali sono,
quali non sono, ma paiono per l'imperizia. « Dappoiché
(continua egli nel paragrafo 3, indicando la ragione dottrinale della
* differenza di sillogismo e confutazione, ossia di sofismo) il
sillogismo si compone " di alcune premesse per modo, che di
necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle
proposizioni ; e confutazione è sillogismo in cui si con- " traddice
la conclusione „. Nel paragrafo 4, cominciando ad enumerare le
cause, dice che di queste « una " fonte è più copiosa e comune
di tutte, quella per via di vocaboli I vocaboli « sono finiti di
numero e i ragionamenti altresì ; dove gli oggetti sono infiniti ; sicché
" è necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più
oggetti „. Nel paragrafo 5 fa ulteriori esemplificazioni sulla
sofistica, che si intendono e spie- gano con ciocche è detto
innanzi. Ma passando ad indicare ,! le specie de' ragionamenti
sofistici „ Aristotele dice che di quelli "che occorrono
nel conversare, v'ha quattro generi: didascalici, dialettici, pir astici
ed eristici. Sono: Didascalico – “insegnativo” -- quello ragionmento che si sillogizzano da'
principi propri di ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE
(chè chi impara, deve credere) :
" Dialettico” – “discorsivo” --
quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la
contradittoria: "drastico” – “tentativo” -- quell ragionmento conversazionale che lo fa
da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha
la scienza (e in che modo si è chiarito altrove): "eristico” –
“contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono
sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando
che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli
Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi
discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso”
-- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele,
proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si
puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione
II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e
questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo) o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna
di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello
che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo,
di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un
paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare
che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il
fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di
confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri
fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione
generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione
– aequi-vocal --, II anfibologia, III composizione IV divisione V accento
VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne'
susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della
dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione dei paralogismi
fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente, II dal
dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo o posto
o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente
V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal
fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi Aristotele
fa illustrazioni ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche
Aristotele statuisce intorno all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè
intorno a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto
a questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si
dia una unica risposta; benché rispetto a tal caso riconosca che in
alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Aristotele pone
l'alternativa che " o " s'hanno a distinguere così i sillogismi
e confutazioni apparenti come si è detto e fatto negli antecedenti
paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per
principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son
detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente
soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi
paralogismi allegati. Si continua a prendere in
considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli
dall'equivocazione, dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione,
dall'accento e dalla figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il
modo di conoscerli e confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si
generino i sillogismi apparenti, sappiamo altresì per quante si possano
generare i sillogismi e le confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e
confutazione sofistica non solo il sillogismo o la confutazione che
appare e non è, ma anche quello che è bensì, ma proprio della cosa appare
soltanto. E cotesti sono quelli che non confutano secondo la cosa, e non
mostrano che altri l'ignora, che era il caso della pirastica. Ora, la pìrastica
è parte della dialettica. Questa può sillogizzare il falso per ragione dell'
igno ranza di chi rende ragione. Invece, le confutazioni sofistiche, quando
anche sillgizzino la contradizione, non fanno manifesto se altri ignora, poiché
anche chi sa, impacciano con siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo
collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per quante vie appare a chi
ascolta, che si siano sillogizzate appunto le proposizioni di cui gli s'era fatta
interrogazione, per altrettante potrebbe altresì parere a chi risponda. Sicché
per queste, o tutte o alcune, verran fuori sillogismi falsi, che quello
che uno non interrogato crede d'aver conceduto, interrogato lo conce- [derebbe.
Eccettochè in alcuni paralogismi succede insieme che si dimandi quello che
manca, e la falsità si chiarisca, come in quelli dalla dizione e dal solecismo.
Si fanno consimili considerazioni intorno ad altri paralogismi, come quelli
risultanti dall'accidente, dal conseguente, ecc. Aristotele statuisce
che da quanti luoghi si traggano confutazioni di quelli che son confutati,
non bisogna provarsi a determinarlo senza la cognizione delle cose tutte.
Ora, ciò non è di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse,
sicché è chiaro che anche le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve
n'ha anche di vere; stantechè quante cose v'ha luogo " a dimostrare,
tante v'ha luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del
" vero ; p. es., se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo
confuterebbe col * dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché
bisognerà essere scienti d'ogni cosa, ecc. „. " Però
(paragrafo 2) , anche le confutazioni false saranno del pari infinite ; chè
* v'ha secondo ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo
geometria il geo- 8 metrico, secondo medicina il medico ; e dico secondo
ciascun'arte quello secondo* " i principi di essa ,. E ne' seguenti
paragrafi, su questi stessi principi stabiliti, si fanno consimili considerazioni. Aristotele
pone in discussione e srisolve la seguente importante quistione intorno a
ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero : " Non * v'
ha ; dic'egli, tra i ragionamenti la differenza che taluni dicono ; alcuni
ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il
pensare, che altri " sono i ragionamenti che si riferiscono al
vocabolo, e altri quelli al pensiero, e * non già i medesimi
„. " Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al
pensiero se non quando * uno non usi del vocabolo nel senso cui
l'interrogato ha consentito, credendo che * fosse quello che avesse
nella interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al voca- *
bolo. E riferirsi al pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha
consentito, ecc. „. E ne' paragrafi immediatamente seguenti viene
confermando ciò con ulteriori non meno acute illustrazioni ed
applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione che ne fa alle
Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra attenzione per la
trattazione della così detta Logica matematica. " I ragionamenti nelle
matematiche, * dice infatti Aristotele al paragrafo 7, si
riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno D'Ercole. c
I t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso sia la figura
flì della quale s'è concluso, che son due retti rnWn , ■ ! tì g ura
0)> " al pensiero di questo o no? ' '«Wonamento s'è egli
diretto =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii cose secondo
ciascuna è dialettico- eh «ut 71 m aPPa T a ' è ^ - D °" d6
" » ritornare suìl' TZ a h W * ^conducono , so/fe « stessi,
ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni ■nodo, sappiano a tatto „ come
appunto • fauno gli eristici 8 SousUcTche "f T" Ò SOt ' ile,
Se,Tat °' ""-*»■*' » mesta m at"eria degli Elenchi ci : lc
n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8 ** * "' Ksta ^ r te 8 log I '
ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo 1)
cacca adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più ' e
parlano a caso, quando non si siano proposto nulla P P &
• e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a "' abbatteraÌ 1 " na
Wsita ° a » paradosso ' dir r„Zo s are ' er v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge
"° ^ mt.rroga.iene, ma • d'attacco ! ' S ° ,mParare ; daF P°
Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do di £ r:i n ~:ir che A "
istotek abbk ~— « -** • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a ArÌ8t °
tele " Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio luogo quello
aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di aL m „ta
z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs l So
ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™ alla
' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come segue - ■
Il (1) La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore, rappresenterebbe qui
Trento del vocabolo. 81 LA LOGICA
ARISTOTELICA, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA, ECC. 1essere
cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella. Sicché bisogna chi
* parla secondo natura, affrontarlo secondo legge ; e chi secondo legge,
menarlo alla a natura; giacche vi sia luogo a dir paradossi ne' due modi
„. Capitolo XIII. — In questo Capitolo si tratta di un argomento
che par futile, cioè quello del cianciare; eppur questo dà luogo a una
acuta e teorica disamina della sofìstica da parte di Aristotele.
Prima di allegare le parole del grande filosofo, allego una osservazione
inter- pretativa che fa il Bonghi in proposito, e che è questa : Col
cianciare, cioè, dice quest'ultimo, " si passa al quarto fine del
sofista, che è il forzare l'avversario a dir " più volte la stessa
cosa, che torna al cianciare o infilzar parole senza senso. Il presupposto
di tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno colla sua definizione e
quello " non differisce in nulla da questa, sicché si può in una
proposizione surrogare l'uno * all'altra. P. es. doppio si
definisce doppio di metà : ora, se la definizione può essere 8 surrogata
al definito, noi possiamo definirlo : doppio di metà di metà ; e da capo
41 doppio di metà di metà e così in infinito „. Ciò posto, ecco
ciocche dice Aristotele (al paragrafo 2) intorno al discorrere per puro
cianciare : * Tutti i siffatti discorsi vogliono far questo ; se non
differisce " per nulla il dire il vocabolo o la definizione, doppio
e doppio di metà è tutt'uno; se adunque è doppio di metà, sarà
doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo " di doppio, si
ponga doppio di metà si sarà detto tre volte : doppio di metà di metà
" di metà(l). Ed evvi egli il desiderio del piacevole? Ora, questo è
appetito del * piacevole; dunque, desiderio è appetito del
piacevole del piacevole, ecc. L'argomento di Aristotele è il Solecismo e la
sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Aristotele parla e ragiona
in questo modo. Questo, cioè, il Solecismo, v'è luogo a farlo e a parere
senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome diceva Protagora, se ò fiijvig
e ò s**Pff sono un mascolino ; giacché chi " dice oi)Aofiévt]v
solecizza secondo lui, ma agli altri non pare ; chi ovÀó/ievov pare
bensì, ma non SOLECIZZA. (Si noti che firjvig e JvfjÀrji son propriamente
femminili). Sicché è chiaro che uno potrebbe ad arte far questo ; per il
che molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono di
sillogizzarlo, sic- * come nelle confutazioni „. * I
solecismi apparenti (paragrafo 4) hanno occasione pressoché tutti dal
vóde, * e quando la desinenza non manifesta né maschio nè femmina,
ma il di mezzo. Difatti ofirog significa maschio ed a%%r\ femmina ; ma
tomo vuole bensì significare il di " mezzo, pure spesso
significa anche l'uno o l'altro di quelli : p. es. , che è %ov%o ?
Calliope, legno, Corisco. D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze
de' casi Qui mi par di vedere Aristotele (senza menomare la fina
osservazione e interpretazione del nostro Bonghi) riferirsi al famoso
dialettico Zenone eleate, del quale uno degli argomenti famosi, quello
cioè del non potersi andare da un punto all'altro dello spazio, era pensato e
condotto appunto in tal guisa: cioè, di non potersi percorrere l'intero
spazio senza giungere alla metà di questo, non potersi giungere a questa
metà senza percorrere la metà di questa metà, e così non potersi giungere
a questa seconda senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in
infinito, il che era impossibile a fare in un tempo finito."
differiscono tutte, ma del genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che
spesso, " essendosi lor concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse
stato detto %ov%ov ; e del " pari una desinenza in luogo d'un' altra.
E il paralogismo si genera perchè il tóóe * è comune a più desinenze ;
giacche tomo significa quando ovzog quando zovxov. 8 Però deve
significare quando l'uno e quando l'altro ; con è oixog, con essere
iqviqv, 8 per es., è KoQioxog, essere Koqioxov. E nei vocaboli femminili
del pari ; e in quelli, " che son bensì d'utensili, ma però hanno
appellazione femminile o maschile. Dap- 8 poiché tutti quelli che
terminano in o e in v, hanno soli l'appellazione da utensili, 8 come
^vkov, o%oiviov ; ma quelli che non così, l'hanno maschile o femminile,
di 8 cui applichiamo alcuni agli utensili ; p. es. daxòg è vocabolo
maschile, xÀhrj fem- " minile. Per il che anche rispetto a questi
differirà del pari l'è e l'essere „. " E in un certo modo
(paragrafo 5) il solecismo è simile alle confutazioni tratte 8 dal
prendere per simili cose non simili. Giacché come a queste accade di
sole- 8 cizzare sulle cose, così a quello su' vocaboli ; chè uomo e
bianco sono e cosa e 8 vocabolo „. Sicché è manifesto che da simili
desinenze bisogna sforzarsi di " sillogizzare il solecismo.
" Le specie, dunque, de' discorsi contenziosi e le parti delle
specie e i modi son 8 quelli che si son detti „. Con questi
quattordici Capitoli finisce la parte teorica degli Elenchi Solistici, e
che, come si è detto, nei seguenti venti Capitoli si espone e fa l'applicazione
dei primi quattordici. Io ometto di esporre anche questa parte
applicativa, ritenendo suffi- ciente pel mio scopo la conoscenza della
teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice cenno che io voleva
fare degli Elenchi predetti, cioè alla indicazione latina de' paralogismi
o sofismi, secondo la indicazione di Boezio. Questi infatti (vedi Bonghi,
nota 129 alle Confutazioni Sofistiche, pag. 529) indica le tredici
denominazioni sofistiche di Aristotele così : 1° Aequivocatio ; 2° amphi-
bolia; 3° compositio; 4° divisto; 5° accentus; 6° figura dictionis; 7° propter
accidens; 8° propter id quod simpliciter vel non simpliciter ; 9° propter
redargutionis ignorantiam ; 10° propter consequens ; 11° propter id quod
est in principio sumere ; 12° propter id quod non est causa ut causam
ponere, ovvero, propter non causam ut causam; 13° propter phires
interrogationes unam facere. In questa stessa nota 129 il Bonghi ha
un notevole accenno ad Alberto Magno, che pure scrisse degli Elenchi
Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha nella nota 160 per
Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella nota 163 per Duns
Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella Scolastica, e che è
intitolato De sillo- gismo sophistico sive fallaciis. Ed ora
pongo termine alla mia esposizione coll'allegamento dello stupendo e
comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen Lehren,
citato, pag. 370), che suona come segue: " Aristotele
nel suo scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v èXèy%(àv si è fatto guidare 8
nelle diverse parti del medesimo dallo speciale riguardo ai sofismi molto
disputati " al suo tempo. Egli definisce (Top. Vili, 11) il
oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg, " e divide i Sofismi in due
Classi principali : naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog. "
Alla Prima Classe principale novera (De Soph. Elench., c. 4) come
appartenenti sei specie: ófihìvvfila (aequi vocatio), àfMpifioXia
(ambiguitas) , ovv&soig (fallacia a 8 sensu diviso ad sensum
compositum), diaigeoig (fallacia a sensu composito ad sensum "
divisum), jiQoacpòia (accentus), a%f[na vf/g Aé^sojg (figura dictionis) : de'
quali Sofismi " però il terzo ed il quarto (la confusione del senso
distributivo e del collettivo, " ovvero la confusione di ciocche
vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni " singolo
rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto appar-
" tenenti alle fallaciis secundum dictionem, si lasciano aggruppare
(subsumere) sotto " il concetto dell'anfibolia nel senso indicato di
sopra. (Per ayfifiaza zfjg Aé^scog " Aristotele intende qui le forme
grammaticali de' nomi e de' verbi, e, secondo " Poet. c. 19, in modo
speciale le proposizioni grammaticali fondate sui diversi rap- 8 porti di
Predicato con Soggetto : proposizioni grammaticali, alla cui espressione
" servono in parte i Modi verbali, come Comando, Preghiera, Minaccia,
Enunciazione, " Domanda e Risposta). " Alla Seconda
Glasse principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, Aristotele novera
" come appartenenti le seguenti sette specie : naqà tò avfi^s^rjìióg
(fallacia rationis " ex accidente), tò ànX&g fj [lì] àicl&g
(a dicto simpliciter ad dictum secundum quid), " fj tov èXéy%ov
àyvoia (ignoratio elenchi), naqà tò èuó/À,evov (fallacia rationis ex
* consequente ad antecedens), tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai
(petitio principii), " tò /li] ahiov Ti&épai (fallacia de non
causa ut causa), tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma ev " noielv (fallacia
plurium interrogationum). Se non che questi errori sono in parte
errori di dimostrazione (Beweisfehler ; " ved. appresso paragr.
137). Degli errori indicati adduce Aristotele stesso esempi " nel suo
scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v èXéy%(av ; si può paragonare con esso il
Dialogo " di Platone (o di un platonico) Eutidemo. Antiche e moderne
esemplificazioni, però * in gran parte già fatte, dà il Fries
{System der Logik, paragr. 109). Una diffusa ed esatta disamina di Sofismi
si trova in Mill, Log. trad. da Schiel, 2 (e 3) Ediz., " pag.
398-432. Rispetto al carattere nebuloso e confuso di parecchie moderne
spe- * culazioni, e rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo de'
quali, dato l'insolvibile " compito di derivare il pieno dal vuoto,
si è creduto di ottenere l'apparenza di una * soluzione, ha detto
il Trendelenbtjrg (Eri. su den Ehm. der Arisi. Log., 1842, p. 69) "
con ragione : * Sarebbe tempo di tradurre secondo il tempo moderno (iris
Moderne) " lo scritto aristotelico degli Elenchi Sofistici „. Questo
compito è stato risolto soltanto in modo unilaterale mediante Y Antibarbarus
logicus von Cajus, 1851 ; 2 a Ediz., " 1° fase, 1853, comunque il
suo autore nel campo del pensiero filosofico sappia " esercitare con
destrezza di Polizia certe funzioni (polizeiliche) di vigilanza s .
Chiudo la mia considerazione ed esposizione della logica del lizao, e
concludo dicendo che questi punti fondamentali del pensiero logico del
lizeo e la corrispondente legislazione del medesimo sono addirittura una
immortale creazione, che non i soli 24 secoli passati han già confermata
e glorificata, ma che continueranno a confermare e glorificare anche i
secoli venturi. Grice: “How can people speak of
‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics rests on logic?!” – logica
aritmetica, aritmetica logica – His exposition of ‘logica aristotelica’ is
impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De
Interpretatione. His editorial work on Ceretti is excellent. He has written on
some other Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa
della metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
ed Ermino: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Contemporary of Plotino. He
confined his activities mainly to teaching and wrote little or nothing.
Grice
ed Ermodoro: la ragione conversazionale all’isola -- Roma -- filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Siracusa). Filosofo
italiano. A pupil of Plato of whom he wrote a biography. He also wrote a
history of mathematics. According to Suda, he took Plato’s books and sold them.
Grice
ed Erode: la ragione conversazionale e la filosofia degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. One of the richest and best connected people in the Roman empire.
More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He
condemned the Porch philosophers for their lack of feeling. Erode Attico.
Grice
ed Eschine: la ragione conversazionale e la setta di Napoli. Roma – filosofia
antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni, G. (1990), Socratis et Socraticorum
Reliquiae, iv (Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta
da Giannantoni, Naples). 'L' Alcibiade di E. e la letteratura socratica su
Alcibiade'. In Giannantoni e. Narcy, Lezioni Socratiche (Elenchos. Collana di
testi e studi sul pensiero antico diretta Giannantoni, Naples. E. of Neapolis (Naples)
–According to Diogene Laerzio, E. was a Platonist and favourite pupil of
Melantio di Rodi. He seems to have been the same person as the E. said by
Plutarco to have studied under Carneade. Eschine.
Grice
ed Esimo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. An undated inscription found at Pergamum refers to Claudio Esimo as a
philosopher.
Grice
ed Estieo: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. Suda says he was the father of Archita di Taranto.
Grice ed Esposito: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- il sistema dell’in/differenza – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Piano di Sorrento). Filosofo
italiano. Grice: “I like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia
italiana’ owes a bit to the historians of Roman literature and that infamous
embassy of the very best of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte dalla
constatazione dell'esaurirsi del tradizionale lessico della politica e dalla
consapevolezza della necessità di una sua diversa formulazione. Su questo
presupposto, si incentra sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa
tradizione all'interno di nuove esigenze, a partire da una re-interpretazione
delle categorie classiche della filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia
interagire saperi e linguaggi differenti, dalla filosofia alla letteratura,
all'arte, alla poesia, all'antropologia, alla teologia. Dopo i primi studi su Vico e Machiavelli, il
suo lavoro si è concentrato intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico
viene inteso come rovescio impensato dalla politica. Le riflessioni su questo
tema sono confluite in “Categorie dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove
pensieri sulla politica (Bologna, il Mulino), “L'origine della politica” (Roma,
Donzelli). La filosofia della comunità e
biopolitica sono confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino
della comunita” (Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il
concetto di comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati
e presenti, privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da
Heidegger a Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto
legge comune dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che
contiene di irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas:
protezione e negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica
dei conflitti in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo
teorico cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di
questa riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società
rispetto ai rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso
l’immunizzazione è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita
che rischia sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale.
“Bios: biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a
partire da Machiavelli, Bruno e Vico, fino a quella che viene definita Italian
Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie di storia, politica e
vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e Vico (Liguori, Napoli);
Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica (Mimesis, Milano);
“Politica e negazione: per una filosofia affermativa” (Einaudi, Torino); “La
filosofia italiana come problema: da Spaventa all’Italian Theory, "Giornale
Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita
(Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi,
con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso
dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. The category of applicational generality
relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona is not a
person like “I” and “thou”. Grice uses
‘person’ generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex)
with the addition of ‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a
someone – a dog is not for Grice a someone. But then ‘someone’ is a solecism. Esposito considers the communication and
community alla Tonnies. Grice knows the connection community and communication,
when he criticizes Stevenson for trying to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’
circularly, in terms of ‘communication. – The problem of the third person is
fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a grammarian usually not
knowing anything about philosophy, used philosophical concepts – such as person
– first person for “I” is ok, second person for “Thou” is okay – when it comes
to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La sedia e comoda.) – there is
nothing personal about a chair being personal. It is not true that someone is
comfortable (jemand). – there’s nothing personal about this. Since Homer,
prosôpon [πϱόσωπоν],
etymologically “what is opposite the gaze,” has designated the human “face” in
particular, and then, metaphorically, the “façade” of a building, and
synechdochically, the whole “person” bearing the face. Another remarkable
semantic extension is that of the theatrical “mask” (Aristotle, Poetics
1449a36), leading in turn to the meaning “character in a drama” (Alexandrian
stage directions for dramatic works regularly included the list of the prosôpa
tou dramatos [πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς]), and then
to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to the mask
that makes the voice resonate (personare), before it designates a character, a
personality, and a grammatical person (Varro). The meaning of the compound
prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,”
that is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the
dramatic meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history
of the word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted
prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the
dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of
the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is
rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box 6). Whereas terms like
“tense” (chronos [χϱόνоς]) and
“case” (ptôsis [πτῶσις]) are
attested before they appear in strictly grammatical texts, this is not the case
for prosôpon used to refer to the “person” as a linguistic category. On the
other hand, in the earliest grammatical texts, and in a way that remains
perfectly stable later on, prosôpon is adopted to describe both the
protagonists of the dialogue and the marks, both pronomial and verbal, of their
inscription in the linguistic material. In fact, the main difficulty
encountered by grammarians regarding the notion of prosôpon seems to have been
how properly to articulate reference to real persons occupying differentiated
positions in linguistic exchange (speaker, addressee, other) with reference to
the person as a grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel
about definition. In the Technê attributed to Dionysius Thrax (Grammatici
Graeci 1.1 [chap. 13, p. 51.3 Uhlig = 57.18 Lallot]), the verbal accident of
prosôpon is defined as follows: Prosôpa tria, prôton, deuteron, triton; prôton
men aph’ hou ho logos, deuteron de pros hon ho logos, triton de peri hou ho
logos [Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν, δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first,
second, third. The first is the one from whom the utterance comes, the second,
the one to whom it is addressed, the third, the one about whom he is speaking.
This minimal definition clearly sets forth the two protagonists of the
dialogue, distinguishing them by their position in the exchange, and introduces
without special precaution a third position, characterized as constituting the
subject matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a
simple pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real)
first and second persons and the third person; the latter, as Benveniste
pointed out (Problèmes de linguistique générale, 228), may very well not be a
“person” in the strictest sense. This definition, which remained canonical for
several centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as
follows (I adopt the formulation in Choeroboscos [Grammatici Graeci 4.2 (p.
10.27 Uhlig)], a Byzantine witness to the Alexandrian master): Prôton men aph’
hou ho logos peri emou tou prosphônountos, deuteron de pros hon ho logos peri
autou tou prosphônoumenou, triton de peri hou ho logos mête prosphônountos mête
prosphônoumenou [πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The
first person is the one from whom the utterance comes meaning me, the speaker,
the second, the one who to whom the utterance is addressed meaning the
addressee himself, the third the one about whom the utterance speaks and who is
neither the speaker nor the addressee. Apollonius’s arrangement contributes
useful explanations: (a) each “person,” including the first two, can be the
subject of the utterance; (b) the third is defined negatively as being neither
the first nor the second (which implicitly opens up the possibility that it is
a “person” only in an extended sense, insofar as it does not need to be competent
as an interlocutor); (c) the overlap of enunciation and enunciated is explicit:
there is a first person when the utterance refers to the enunciator-source, a
second person when it refers to the addressee, and a third when it refers to
someone or something else. Despite the incontestable advance represented by
Apollonius’s revision, it nonetheless leaves an ambiguity regarding the
designatum of prosôpon: are we talking about extralinguistic entities,
“persons” engaging in dialogue or not, or are we talking about linguistic
entities, “accidents” of the conjugated verb and the pronomial paradigm
(personal pronouns)? Apparently the former, which is surprising coming from a
grammarian who prides himself on correcting another grammarian. In fact, there
is hardly any doubt that in Apollonius, the ambiguity I mentioned is still
attached to the term prosôpon. Consider the following text, taken from
Apollonius’s Syntax 3.59 (Grammatici Graeci 2.2 [p. 325.5–7 Uhlig]): Ta gar
meteilêphota prosôpa tou pragmatos eis prosôpa anemeristhê, peripatô,
peripateis, peripatei [τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ]. The
persons who take part in the act [of walking] are distributed into persons: I
walk, you walk, he/she walks. We can interpret this to mean that in a group of
persons—extralinguistic entities— who are walking, every utterance concerning
the walk will elicit the appearance of verb endings distributing the walkers
among the three grammatical persons: such is the alchemy of Apollonius’s
prosôpon. Jean Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste, Émile. “Structure des relations
de personne dans le verbe.” Chap. 18 in Problèmes de linguistique générale,
225–36. Paris: Gallimard, 1966. Translation by M. A. Meek: Problems in General
Linguistics. Coral Gables, FL: University of Miami Press, 1971. Grammatici
Graeci. Edited by A. Hilgard, R. Schneider, G. Uhlig, and A. Lentz. Leipzig:
Teubner, 1878–1902. Reprint, Hildesheim, Ger.: Olms, 1965. Lallot, Jean. La
grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre National de la Recherche Scientifique. Wikipedia Ricerca Liberté, Égalité, Fraternité
motto della Francia Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione sull'argomento società non cita le fonti necessarie o quelle presenti
sono insufficienti. Liberté, Égalité, Fraternité (in italiano Libertà,
Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto risalente al Settecento e
associato in particolare all'epoca della Rivoluzione francese, divenuto poi il
motto nazionaledella Repubblica Francese. Testo esposto su un
cartello che annunciava la vendita dei biens nationaux, ovvero di quei
possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti, terreni e foreste) che
furono confiscati dopo la Rivoluzione francese (1793). All'epoca, il motto fu
talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o Morte: ma quest'ultima
parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente associata con il regime del
Terrore LibertàModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Libertà. La prima parola del motto repubblicano francese è "Liberté",
che fu all'inizio concepita secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino (1789) la definiva così: «La libertà consiste
nel potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui». «Vivere liberi o
morire» fu un grande motto repubblicano, adottato nello stemma originale del
Club dei Giacobini. Sotto il governo giacobino-montagnardodel Comitato di
salute pubblica, di cui Maximilien de Robespierre fu il leader più importante
(cosiddetto regime del Terrore), divenne famoso il motto: «Nessuna libertà per
i nemici di essa». UguaglianzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Uguaglianza sociale. Timpano di una chiesa
con un'iscrizione risalente al 1905, anno della legge sulla separazione tra
Chiesa e Stato Secondo termine del motto repubblicano, la parola
"Égalité", significa che la legge è uguale per tutti e le differenze
per nascita o condizione sociale vengono abolite (egualitarismo); ognuno ha il
dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a quanto possiede.
Il principio teoricamente era già presente nel concetto di Stato di diritto, ma
con la Rivoluzione Francese venne praticamente messo in atto. FratellanzaModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Fraternità.
Nella Dichiarazione dei diritti e doveri del cittadino, parte integrante e
iniziale della Costituzione dell'anno III (1795), la parola
"Fraternité", terzo elemento del motto repubblicano, è definita così:
"Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi"
(cosiddetta etica della reciprocità) Origini e usoModifica I primi
contenuti riferibili al motto Liberté, Égalité, Fraternité sono presenti nel
saggio pubblicato nel 1774 a Londra da Jean-Paul Marat, Work wherein the
clandestine and villainous attempts of princes to ruin liberty are pointed out
("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e scellerati tentativi dei
prìncipi di cancellare la libertà"), che egli pubblicherà poi in francese
col titolo più noto Les chaînes de l'esclavage("Le catene della
schiavitù"), dove si anticipavano i temi dell'azione politica: una
violenta presa di posizione contro il dispotismo a favore della sovranità
popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro La Costituzione, o
Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino del 1789
vengono ripresi e perfezionati gli ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza
che verranno progressivamente adottati a motto e simbolo. La prima formulazione
del motto è attribuita a Camille Desmoulins (l'inventore anche della coccarda
tricolore francese) per la Festa del 14 luglio 1790, anniversario della presa
della Bastiglia.[1] Sebbene Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto
nato dalla Rivoluzione francese e usato nella Prima repubblica, occorre
attendere la IIIe République (Terza Repubblica) perché venga adottato come
simbolo ufficiale: prima di allora il motto subisce una battuta d'arresto,
insieme ai principi fondanti della Repubblica. L'Impero e la Restaurazione
trascurarono la valorizzazione legislativa del motto, che ritorna alla pubblica
ribalta solo nel 1848 grazie alla penna di Pierre Leroux, all'epoca
rappresentante del popolo in seno alla Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale).
Egli partecipa attivamente al percorso di riconoscimento del motto come
principio costituente della Seconda Repubblica. Nell'ambito di una
repubblica a cui sovente si pospone l'aggettivo "operaia", il motto
acquista significati più ampi: l'adozione del suffragio universale estende a
tutti la Liberté di scelta politica. La Commission du Luxembourg (Commissione
del Luxembourg), nel promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle
cooperative di produzione), estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia
e della società. Infine, per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al
popolo, la Fraternité esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali
ardori estremisti delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a
privilegiare l'Égalité o la Liberté, questa fase storica vede la Francia
percorrere la strada della democrazia con un maggiore equilibrio.
Tuttavia, ancora una volta, la Repubblica si divide: la repressione popolare
del giugno 1848 e il ritorno dell'Empire rimettono in vigore la filosofia e la
portata sociale del triplice motto. È necessario che trascorrano ancora dei
decenni per arrivare a vedere, nel 1880, la celebre massima incisa sui frontoni
di tutti gli edifici pubblici. Poi, le Costituzioni del 1946 e 1958riconoscono
autorevolmente il valore che il triplice motto ha per la storia del Paese
d'oltralpe. Liberté, Égalité, Fraternité rappresentano un valore così
grande da travalicare i confini della Francia, sono simboli che hanno portata e
rilevanza universali. Questo motto, nato dalla fucina d'idee della rivoluzione
francese, è un caposaldo irrinunciabile della moderna cultura
dell'Occidente. Alcune repubbliche sorelle della Francia rivoluzionaria
come la Repubblica Cisalpina napoleonica e la Repubblica Napoletana adottarono
un motto simile ("Libertà Eguaglianza" e "Libertà e
Uguaglianza"). NoteModifica ^ Yannick Bosc, «Sur le principe de
fraternité», 19 janvier 2010. Voci correlateModifica Emblemi della Francia
Motti nazionali Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
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francese - Il sito ufficiale della Francia ( FR ) Liberté, Égalité, Fraternité,
su Les symboles de la République française, Présidence de la République -
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originale il 4 aprile 2010). Portale Francia
Portale Rivoluzione francese Ultima modifica 4 giorni fa di Vituzzu PAGINE
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persone di una società godono degli stessi diritti e doveri Lingua Segui
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sociologia è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni
di Wikipedia. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti diritto e sociologia è priva
o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. L'uguaglianza sociale -
che si applica ai diritti e ai doveri della persona, considerati in termini di
giustizia- è un ideale che dà ad ognuno, indipendentemente dalla sua posizione
sociale e dalla sua provenienza, la possibilità di essere considerato alla pari
di tutti gli altri individui in ogni contesto. Si tratta di un ideale presente,
almeno come tale, in tutti i paesi civilizzati, come rivendicazione di pari
dignità individuale e sociale per tutti. Luigi Taparelli d'Azeglio
Mentre il concetto di giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di
sant'Agostino e alla filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia
sociale" iniziò ad essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del
1700. Al sacerdote gesuita Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto
l'aver coniato il termine, che si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari
del 1848attraverso le opere di Antonio Rosmini.[1][2] StoriaModifica
Studi antropologici su siti archeologici indicano l'esistenza di una
sostanziale uguaglianza nelle società di cacciatori-raccoglitori mentre con
l'avvento dell'agricoltura si rilevano gli inizi delle disuguaglianze[3].
Concetti di baseModifica L'uguaglianza sociale è una situazione per cui tutti
gli individui all'interno di società o gruppi specifici isolati debbano avere
lo stesso stato di rispettabilità sociale. Come minimo, l'uguaglianza sociale
comprende la parità di diritti umani e individuali secondo la legge. Esempi
sono la sicurezza, il diritto di voto, la libertà di parola e di riunione, e
dei diritti di proprietà. Tuttavia, essa comprende anche l'accesso
all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri basilari diritti sociali, ed
inoltre pari opportunità e obblighi. Genere sessuale, orientamento
sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e proprietà, lingua, religione,
convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono tradursi in una disparità
di trattamento. Un problema aperto è la disuguaglianza orizzontale, la disuguaglianza
di due persone della stessa origine e capacità. Nel mondo contemporaneo, poi,
"i confini dell’uguaglianza sociale si spostano in avanti: dopo le
importanti conquiste dei diritti sociali, legate alle lotte di emancipazione
dei lavoratori e alla costruzione dei moderni welfare state, si apre oggi un
piano di azione per una emancipazione ulteriore, che ha caratteristiche più
sottili e insieme più profonde: quelle della agibilità effettiva dei diritti
sociali formalmente sanciti e del pieno dispiegamento delle capacità
individuali ancora compresse o sotto-utilizzate per una larga parte della
popolazione. In questi termini appare evidente la natura «universalistica»
delle nuove politiche, come politiche per la promozione delle capacità e
l’empowerment di tutti i cittadini. Il principio universalistico dunque è
costitutivo dell’approccio di queste nuove politiche"[4]. In
filosofiaModifica L'uguaglianza in termini aristotelici è l'analogia delle
parti da attribuire a soggetti uguali rispetto a qualche caratteristica
specifica (eguaglianza proporzionale) o la pura uguaglianza matematica. Ci sono
diverse forme di uguaglianza relative alle persone e alle situazioni sociali.
Per esempio, si può considerare la parità tra i sessi per quanto riguarda
l'accesso al lavoro; le persone interessate sono di sesso opposto, la cui
situazione sociale comune è l'accesso all'occupazione. Allo stesso modo, la
parità di opportunità, in senso generale, implica l'idea che le persone
dovrebbero essere nelle stesse condizioni di partenza nella vita, ovvero che
tutti dovrebbero avere pari opportunità indipendentemente dalla loro nascita e
successione. Peraltro, una perfetta uguaglianza sociale è una situazione
ideale che, per vari motivi, non ha riscontro in alcuna società odierna. Le ragioni
di ciò sono ampiamente dibattute: circostanze concrete, addotte per il
perpetrarsi della disuguaglianza sociale, sono comunemente ritenute l'economia,
l'immigrazione/emigrazione, la politica estera e gli altri vincoli di cui
soffre la politica nazionale. Storia delle ideeModifica L'uguaglianza
sociale è un obiettivo politico soprattutto dei partiti di ispirazione
socialista in tutte le sue variegature storiche. Il concetto di uguaglianza
anche in massoneria è estremamente importante, divenendone uno dei cardini
unitamente alla tolleranzaed alla fratellanza. Le battaglie in questa direzione
hanno avuto un apice con l'abolizione dei privilegi della rivoluzione americana
del 1791. La prima parla di Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino,
versione francese del 1789, comincia così: Les hommes naissent et demeurent
libres e lala7 en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali
nei diritti). In antitesi vi è il concetto di gerarchiameritocratica tipico
della destra, mentre un sincretismo può considerarsi il
"comunitarismo". Un controesempio di uguaglianza sociale è stata
ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa medievale.
MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si riscontra anche
in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato dall'epoca della
cavalleria (che raggiunse il suo apice durante il XII secolo), dove grande
importanza aveva l'ideale secondo cui la vera nobiltà sgorgava dal cuore delle
persone, i quali quindi sarebbero stati al fondo tutti uguali. «...tu
vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da uno medesimo
Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con iguali virtù
create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo iguali, ne
distinse;» (Boccaccio, Decameron) Tra gli studiosi dell'epoca medievale
c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in quei documenti che testimoniano
la diffusione di questo principio i presupposti per poter parlare
dell'esistenza di un ideale egualitaristico già in epoca medievale.[6] Se così
fosse, nonostante la grande diffusione nella letteratura di corte dell'epoca,
andrebbe comunque sottolineato come questo primitivo concetto di uguaglianza si
limiti tuttavia a una mera considerazione di natura morale, senza che sia
minimamente avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia tale ideale
(nella fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per operare
attivamente sulla società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò si può
anche spiegare in base al fatto che durante il Medioevo dominava nella cultura
popolare e nobiliare una visione della società divisa in classi, regolate da
rapporti gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva essere messo
in discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità[7]. Rimanendo
nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa relativa
all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali nobiliari,
è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Nella Costituzione italianaModifica
In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3 della Costituzione il quale
afferma che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali
davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali»
(eguaglianza in senso formale) Quest'articolo esprime il principio di
uguaglianza in base al quale non devono essere attuate discriminazioni di alcun
genere tra i cittadini. Tale principio può apparire scontato ma ci sono state,
anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non era assolutamente
riconosciuto. Concludendo, poi, che: «È compito della Repubblica
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana» (eguaglianza in senso sostanziale. Paine, Agrarian Justice,
Printed by R. Folwell, for Benjamin Franklin Bache. ^ J. Zajda, S. Majhanovich, V. Rust, Education and
Social Justice, 2006, ISBN 1-4020-4721-5 ^ Kohler,et al., Greather
post-Neolithic wealth disparaties in Eurasia than in North America and
Mesoamerica , Nature, 2017, 551, 619-622, in Chiara Volpato, Le radici
psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, 2019, ed.Laterza, Bari, Paci e
E. Pugliese (a cura di), Welfare e promozione delle capacità, Bologna, Il
Mulino, 2011, pp. 25-26. ^ Domenico V. Ripa Montesano, Vademecum di Loggia,
Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix, 2009, ISBN 978-88-905059-0-4. ^ L'autunno
del Medioevo, p. 82. ^ L'autunno del Medioevo, p. 77. ^ Tra i
contributi alla stesura di questa parte della norma costituzionale si ricorda
quello di Massimo Severo Giannini, offerto su richiesta del costituente Lelio
Basso. Ritenendosi da parte socialista che fosse “un tradimento fermarci
all'enunciazione dell'uguaglianza formale”, ma non essendo “pensabile una norma
di garanzia dell'uguaglianza economica e sociale, che presupponeva un tipo di
Stato allora e anche oggi inesistente”, Giannini propose due soluzioni
alternative: la prima più spinta, che impegnava la Repubblica a offrire a tutti
i cittadini “uguali posizioni economiche e sociali di partenza”; l'altra che
corrispondeva al testo poi accolto. E senza una minima carica retorica noterà
che “non avevamo intenzione di fare del nuovo, ma solo di affermare un
principio di dinamica dell'azione dei pubblici poteri per una società più
giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in Mondoperaio, n.
11-12/2015, p. 36). BibliografiaModifica Carlo Crosato, L'uguale dignità degli
uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una politica morale, ed.
Cittadella, Assisi 2013. Huizinga, L'autunno del Medioevo, Roma, Newton
Compton, 2011 [1919] , p. 82. John Rawls, Una teoria della
giustizia, in Sebastiano Maffettone (a cura di), Universale economica,
traduzione di Ugo Santini, 5ª ed., Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto
sociale, in Universale economica, traduzione di Jole Bertolazzi, introduzione
di Alberto Burgio, 12ª ed., Milano, Feltrinelli, Alberto Burgio, Eguaglianza,
interesse, unanimità. La politica di Rousseau, Napoli, Bibliopolis, 1989, ISBN
9788870882094. Accademia nazionale dei Lincei, Disuguaglianze e classi sociali:
la ricerca in Italia e nelle democrazie avanzate, in Atti dei convegni lincei,
Roma, Bardi, 2020, ISBN 9788821812026. Voci correlateModifica Differenziazione
sociale Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza#Disuguaglianza
Egualitarismo Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari
opportunità Femminismo Altri progettiModifica Collabora a Wikiquote Wikiquote
contiene citazioni sull'uguaglianza Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia
Commons contiene immagini o altri file sull'uguaglianza Collegamenti
esterniModifica Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale Diritto
Portale Politica Portale Sociologia Egualitarismo dottrina
politico-sociale che propone la parità di diritti e opportunità degli
individui Una teoria della giustizia Uguaglianza di genere in Azerbaigian
Wikipedia Il contenutoeguaglianza Condizione per cui ogni individuo o
collettività deve essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè
pari, soprattutto nei diritti civili, politici, sociali ed economici. L'eguaglianza
di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto fondamentale
dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica. In Italia
l'eguaglianza è garantita dall'articolo 3 della Costituzione. Le costituzioni
democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini attraverso la
libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire pari opportunità
nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse possibilità di crescita e
di affermazione personale e professionale. eguaglianza formale e
politica Di eguaglianza si parla in molti sensi: innanzitutto come
eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto che tutti i membri
della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei doveri senza distinzione
di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni religiose o politiche, e non
devono subire discriminazioni. L'eguaglianza politica, invece, sta nel fatto
che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e può a sua volta essere eletto.
Questi ideali di libertà e di eguaglianza si sono venuti affermando in Europa e
negli Stati Uniti alla fine del Settecento, dopo una lunga lotta contro i
regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le colonie
americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di status
giuridico alle classi aristocratiche. Gli ideali di eguaglianza hanno trovato
espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a cominciare
dalla Magna charta libertatum, 1215) e soprattutto nella Dichiarazione d'indipendenza
americana (1776) e nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
approvata dall'Assemblea costituente francese nel 1789, in cui l'enunciazione
di tali principi gettava le basi di un nuovo ordine politico.
APPROFONDIMENTO di Stefano De Luca Entrata nella cultura occidentale con
lo stoicismo e soprattutto con il cristianesimo (che considera tutti gli uomini
dotati della stessa dignità, in quanto figli di un medesimo Padre), l'idea che
gli uomini siano eguali tra loro ha giocato un ruolo decisivo nelle vicende
sociali e politiche soltanto a partire dal Seicento. I principali pensatori
politici del 17° e 18° sec. (da T. Hobbes a J. Locke, da J.-J. Rousseau a I.
Kant) partono dall'ipotesi che gli uomini siano liberi ed eguali e di conseguenza
pongono l'origine dello Stato in un accordo volontario (il patto o contratto)
stipulato dagli individui stessi. Mentre per Platone e Aristotele esisteva una
gerarchia 'naturale' (fondata sull'intelligenza e sul sapere) tra chi è adatto
al comando e chi è adatto all'obbedienza - gerarchia che durante il Medioevo si
irrigidì nel criterio ereditario, fondato sulla nascita - per i moderni
pensatori contrattualisti gli uomini dispongono di eguali diritti e di
conseguenza l'ordine sociale e politico è qualcosa di 'artificiale', che gli
individui costruiscono tramite accordi. Queste idee troveranno
spettacolare applicazione nelle due grandi rivoluzioni moderne, quella
americana e quella francese, i cui più famosi documenti si aprono con un
solenne richiamo all'idea di eguaglianza. All'inizio della Dichiarazione
d'indipendenza americana (1776) troviamo un elenco di 'verità' autoevidenti, la
prima delle quali è "che tutti gli uomini sono creati uguali"; e nel
primo articolo della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789)
troviamo proclamato il principio secondo cui "gli uomini nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti". 1. Diverse interpretazioni
di una stessa idea Il principio dell'eguaglianza si rivelò ben presto
suscettibile di varie interpretazioni: esso poteva infatti essere invocato sul
piano civile, come eguaglianza di fronte alla legge e nei diritti di libertà
(garanzie giudiziarie, libertà di coscienza, libertà di iniziativa economica);
oppure sul piano politico, come eguale partecipazione al potere tramite il
diritto di voto; oppure, sul piano sociale, come eguaglianza nel possesso di
risorse economiche. La richiesta dell'eguaglianza civile ha caratterizzato, tra
18° e 19° sec., i movimenti politici di ispirazione liberale, la cui principale
preoccupazione era la tutela della libertà individuale da ogni forma di potere
collettivo; l'eguaglianza politica - con la connessa richiesta del suffragio
universale - è stata invece, nella seconda metà del 19° sec., la ragion
d'essere dei movimenti democratici, i quali consideravano la partecipazione di
tutti al potere politico (cioè l'autogoverno collettivo) la forma più alta di
libertà; l'eguaglianza sociale, infine, è stata la bandiera dei movimenti
socialisti, che hanno teorizzato - sino alla metà del 20° sec. - la scomparsa
della proprietà privata e del libero mercato, nella convinzione che la vera
libertà potesse scaturire soltanto dall'eguale possesso delle risorse
economiche e non dal possesso di 'diritti astratti'. Tra questi diversi
tipi di eguaglianza, la differenza più grande è quella che separa l'eguaglianza
formale da quella sostanziale. L'eguaglianza nei diritti civili e politici è
un'eguaglianza formale, perché riguarda la sfera dei diritti e non quella dei
beni; di conseguenza, è compatibile con un grado più o meno ampio di
diseguaglianza sociale. Il fatto di essere eguali di fronte alla legge e nelle
libertà individuali significa che ogni individuo non subisce discriminazioni e
che dispone delle stesse facoltà: ma quanto ai risultati, sul piano sociale,
questi dipenderanno dal suo impegno e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza
politica non incide direttamente sulla sfera sociale, sebbene la partecipazione
di tutti al voto (e quindi, indirettamente, alle decisioni legislative) possa
far prevalere politiche di ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza
sociale, invece, è un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i
diritti, ma i bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché
si tratta di una forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti
parlare di egualitarismo. 2. Diritti sociali e pari opportunità Se
per gran parte del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e
democratici (divisi dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo
lo scontro è stato tra liberali e democratici da un lato e socialisti e
comunisti dall'altro, divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici
e della libertà economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti,
infatti, l'eguaglianza civile e politica era soltanto una maschera degli
interessi economici della borghesia, i quali determinavano la più reale e
oppressiva delle diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte
correnti di socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti
conquistati da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con
una serie di diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione,
assistenza sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi
sociali), il cui scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e
ridurre le diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale
si è manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel
principio dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di
studio, i prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui
delle stesse possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza. A
partire dagli anni Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato
un ruolo decisivo nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le
discriminazioni e le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti
personali e dei ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo
ambito, ha avuto negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti
apposite istituzioni il cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità
di carriera nel settore pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita
politica (a livello locale e nazionale).egualitarismo Concezione
politico-sociale tendente a realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto
sancita dalle norme costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto,
fondata sull’equa ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di
una società. L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella
Rivoluzione francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti
socialisti. 1. Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale
mirante a ridurre le differenze retributive tra le diverse qualifiche
nell’ambito di una categoria o nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In
Italia si è parlato di egualitarismo salariale per gli aumenti retributivi in
cifra fissa previsti dai contratti collettivi di lavoro (1969-79) e per
l’unicità del punto di contingenza (1975-86).Roberto
Esposito. Esposito. Keywords: fascismo, il Sistema dell’in/differenza, Vico,
Spaventa, Machiavelli, Bruno. Tanato-ethics, tanato-politica, three
features of the conversational imperative: generality: formal generality,
applicational generality, conceptual generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Esposito” – The Swimming-Pool Library.
Grice
ed Eudemo: la ragione conversazionale e il principe filosofo -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. The father of Publio Elio
Aristides. A philosopher. Antonino liked him.
Grice
ed Eudemo: la ragione conversazionale e il lizio romano – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Galen. Lizio.
Grice
d Eudico: la ragione conversazionale e la setta di Locri -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice
ed Eudosso: lla ragione conversazionale e la setta di Taranto -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Pupil of Archita di Taranto.
Grice
ed Eulogio: la ragione conversazionale e il principe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Little is known about him other that he was a philosopher and that
the emperor Leo I arranged for him to be supported at public expense.
Grice
ed Eumenio: la ragione conversazionale e la scuola di Giuliano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma) FIlosofo italiano. He studied philosophy alongside
Pharianus and Giuliano.
Grice
ed Eufemo: lla ragione conversazionale e a diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Eurimedone: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone – Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Eurifamo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Siracusa). Filosofo
italiano. According to Giamblico, Eurifamo was a disciple of Pythagoras. As an
indication of how seriously Pythagoreans took any agreement, Giamblico relates
how Eurifamo once asked Lisi of Taranto to wait for him outside the temple of
Era. Lisi agreed. Eurifamo forgot all about him and returned the next day to
find Lisi still waiting there. Some fragments of a work on life supposedly by
him have survived.
Grice
ed Eurifemo: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean.
Grice
ed Eurito: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. The information concerning Eurito
is extremely confused. Giamblico describes him as a pupil of both Pythagora and
Filolao di Crotona. He is variously described as coming from Taranto,
Metaponto, and Crotone. According to Diogene Laerzio, Plato visits Filolao and
Eurito in Italia. The connections with Pythagoreanism and Italy are constants,
but unless Eurito lived an ionordinately long time, it seems safer to assume
either that two people by the same name have been confused with each other, or
that some of the information is simply wrong. The association with Filolao is
widely attested and seems unlikely to be wholly mistaken. Eurito.
Grice
ed Eusebio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Eusebio was the tutor of Sidonio and Probo. He had his own schoot at Arelate
(Arles).
Grice
ed Eusebio: la ragione conversazionale e il circolo di Giuliano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend and teacher of Giuliano.
Grice
ed Eustatio: la ragione conversazionale e il circolo di Macrobio -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Appears in the Saturnalia of
Macrobius.
Grice
ed Eutino: la ragione conversazionale e la setta di Locri -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Eutino: la ragione conversazionale e la
diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pythagorean
according to Giamblico.
Grice
ed Eutosione: la ragione conversazionale e la setta di Reggio -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Eutropio: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of Sidonio. Chastised by Sidonio
for manifesting an indifference to public service that smacked of The Garden.
Grice
ed Evagrio: la ragione conversazionale e l’implicatura degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Evagrio was an aristocratic
philosopher based in Rome.
Grice
ed Evandro: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice
ed Evandro: la ragione conversazionae e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. A Pythagorean, according to
Giamblico.
Grice
ed Evanore: la ragione conversazionale e la setta di Sibari – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Sibari) – Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice
ed Evareto: la ragione conversazionale e il circolo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He as a philosopher in Rome, a
friend of the lawyer and legal scholar Publio Salvio Giuliano. Quinto Elio Egrilio Evareto.
Grice
ed Evete: la ragione conversazionale e la setta di Locri -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. A Pythagorean according to
Giamblico.
Grice ed Evola: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della romanità – l’implicatura
di Romolo – filosofia romana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Grice: “Evola was a bit of a linguistic philosopher; I enjoyed his
rambling on the proper use of “Latin” versus “Roman;” Evola notes that the
implicatures differ. ‘Roman’ he links with Spartan, and he opposes to the
formation, ‘greco-romano’ o ‘classico’ – “Latin” he applies to “lingua romana,”
as Orazio and Tacitus had done!” – Grice: “If I had to think of the equivalent
linguistic analysis by an English philosopher, I can only think of DeFoe, and
his satire on what constitutes an Englishman! Later parodied by Gilbert and
Sullivan and put to good effect in “Chariots of Fire,” where Abrams is seen
referred to as “HE IS.. an Englishman! For he himself has said it!” -- - Italian
philosopher – Figlio di Vincenzo e Concetta Mangiapane, barone di
Castropignano. Studia
a Roma. Manifesta un'opposizione a Roma, soprattutto in riferimento alla teoria
del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. Studia
filosofia. Entra in contatto con
alcuni esponenti del Futurismo quali Balla e Marinetti. Partecipa alla
esposizione futurista a Palazzo Cova, Milano. Rientra a Roma dopo il conflitto
ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo del
suicidio. Aderisce al Dadaismo ed
entra in contatto epistolare con Tzara. Fonda “Bleu” Esce un saggio sull'idealismo
magico. Si deve superare i limiti dell'umano per andare verso
“l'oltre-uomo”.Studia la teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto. Nel “L'uomo come Potenza”
compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del
taoismo. Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da
una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Cerca
infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita
quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto. Inizia un'intensa esperienza giornalistica:
partecipa alla redazione di Lo Stato democratico e collabora a riviste come
Ultra, Bilychnis, Ignis, Atanor e Il mondo. Frequenta i circoli esoterici
romani e partecipa alla vita notturna della capitale. Disumano qual è, gelido
architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a
me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato chissà quale
avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso,
segretamente. Coordina “Ur”, che si occupa di esoterismo. Conosce Reghini.
Pubblica “Paganesimo.” Attacca violentemente Roma ed esorta a ritrovare la grandezza
della civiltà romana. Oserà dunque Italia assumere qui, qui donde già le aquile
imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare,
regale, oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterrane?
Influenzato da Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste a favore del
concetto di “tradizione" e fonda “La Torre” destinata a difendere principi
sovrapolitici, in realtà una tribuna di filosofi che si battevano per una
Italia più radicale e più intrepida. Critiche mosse ad alcuni personaggi del
Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento di Starace che prima
diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le
tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene
sospesa. Viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione
all'Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere alcune guardie del corpo
(come testimoniato da Massimo Scaligero). In Meditazioni delle vette, intende
l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei
limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che divengono
due elementi inseparabili, un'ascesa che si trasforma in ascesi. Successivamente
pubblica due saggi La tradizione ermetica e Maschera e volto dello spiritualismo.
“La tradizione ermetica” è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico
dell'alchimia. “Il volto e la maschera” è un saggio critico su quella filosofia
che invece di elevare l'uomo dal razionalismo e dal materialismo, lo portano
ancora più in basso: spiritismo, teo-sofia, antropo-sofia e psicoanalisi. In “Rivolta
contro il mondo” traccia un affresco della storia letta secondo lo schema
ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella
tradizione occidentale. Analizza le categorie qualificanti l'uomo della
tradizione e le anticha "razza divina” Esamina a fondo Il mistero del
Graal e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi
storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione
ghibellina dell'impero", cercando di svincolare il Graal e la sua portata
simbolica da Roma. Collabora attivamente con la Scuola di mistica da Giani,
tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista
Dottrina. La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti,
riguardano principalmente il concetto di “razza divina”, argomento che trova
appoggio da parte di Giani. Il concetto di “mistica” rappresenta
un'incongruenza potendo parlare, al più, di “etica.” Questo perché in realtà la
dottrina non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro,
solo in relazione ai quali si può parlare di mistica. Evola ravveda nella
mistica un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile.
E infatti il sottotitolo di Diorama filosoficola pagina prima mensile e poi
quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime è: Problemi dell’etica. Una
serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica, sono stati
pubblicati dall'editore Controcorrente e aiutano in parte a chiarire le
posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente. Sia
in fatto o nell’ideale, esiste una opposizione fra l'uomo ariano e tradizionale
europeo e l’altri. L’ariano e capace di concepire e di realizzare un'armonia
fra corpo ed anima (“La civiltà occidentale”, Augustea). In “Mito del Sangue
ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà fino alle teorie di Gobineau,
Woltmann, de Lapouge, e Chamberlain. L'ariano (da "Arya") appartiene
al corpo e lo spirito. Si esprime negativamente sul colonialismo giudicando
l'Etiopia conquistata dall'Italia nient'altro che una contraffazione
degenerescente di un organismo tradizionale. Critic ail materialismo zoologico.
Ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito,
dove lo spirito deve avere il primato sull’anima e il corpo. L’opportunità di
questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche
restando biologicamente pura, se lo spirito è diminuito o obnubilat, se ha
perso la propria forza, come presso certi tipi nordici. Un corpo di una data
razza si liga in un individio lo spirito di un'altra razza. Respinge ogni
teorizzazione del razzismo in chiave “zoologica”! ponendo il pensatore
tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere,
in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del
completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino
con serieta. Non è il solo a prendere le distanze dal razzismo zoologico. Altre
note figure della cultura del tempo, come Acerbo, e meno note, come Mazzei, se
ne dissociano. L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del
pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.
Anche Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di razza divina etico-sociale
che rinvia a Il mito del sangue di Evola. Primo, in ordine di tempo fu Orano. Dietro
di lui, con una vena più scadente, comparvero Romanini ed Evola. C’e tre ordini
di razza: corpo, anima, spirito. Dunque, Evola riprende, seppur in maniera meno
esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una
gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane. Cio non impedisce ad Evola di
avere una "doppia affiliazione" ed essere pure membro della
Massoneria. E. non aderisce al Partito e tale mancata adesione gli impedisce di
arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda
guerra mondiale. Critica del germanismo tuttavia l'incompletezza
nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai
principi della "Tradizione".Per esempio una difesa della razza e improntata
giuridicamente e il potere e derivato dal popolo e non un potere regale di
origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini. Teorizza
dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri
principi e di far trionfare la cultura romana pagana delle origini -- un impero
europeo e pagano sotto la guida egemonica della Roma di Cesare. Fa ritorno
nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo rigorosamente
contrario all'abrogazione della Monarchia e alla trasformazione dell'Italia in
una Repubblica, intraprende tentativi di influenza.Si occupa di studiare e
combattere le trame occulte e antitradizionali della massoneria. Pubblica
“Impero”.Scrive E.: “Io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere
certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il
processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo stesso
banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del De
Monarchia e via dicendo.” Si tenta di effettuare una "doppia lettura"
dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica"
per gli "iniziati". Pubblica “Gli uomini e le rovine” che esercita
grande influenza negli ambienti della destra italiana nel quale spiega la
decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di
autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del
razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della tradizione. In
“Metafisica del sesso” tratta la forza magica e potentissima dell'atto
sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni. L'«Operaio»
in Jünger. “Cavalcare la tigre”. Scrive sul concetto metafisico ed immanente di
tradizione, come Il Ghibellino. “Gli uomini e le rovine” e “Cavalcare la tigre”
sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è una fattiva
adesione al ribellismo anti-sistema”Pubblica Il cammino del cinabro, la sua
autobiografia, e L'arco e la clava. Assiste alla costituzione dei
“dioscuri”, sodalizio dedito al ripristino della cultualità romana ed italica,
di cui è uno degli ispiratori, attraverso i suoi scritti sulla romanità, il
paganesimo e le idee imperiali, oltre che attraverso un particolare rapporto di
intimità con i dioscuri. Solstitivm. Evola è propugnatore del
Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato
in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Tale modello si riscontra, da
un punto di vista storico, in la civiltà romana. La civiltà romana non si basa
su criteri economici, materiali e biologici, ma e suddivisa e gestita in base a
criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale. Ogni
azione che avviene durante la vita biologica (il divenire) rispecchia
direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque
imperitura e sovratemporale. Il cammino dell'uomo avviene attraverso un
percorso di tipo circolare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio,
nella teoria delle *cinque età* (dell'oro, dell'argento, del bronzo, degli
eroi, del ferro). La civiltà romana, ritenuta superiora da Evola si basa dunque
su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché
su criteri di ordine materiale. L'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera
divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione),
utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di
contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). Non esiste differenza
quantitativa tra l'uomo e il dio. Ogni uomo è un dio mortale. Ogni dio un uomo
immortale. La razza e "spirituale". Rifiuta una visione zoological,
in favore di un patrimonio di tendenze e attitudini che, a seconda delle
influenze ambientali, giunge rebbero o meno a manifestarsi compiutamente.
L'appartenenza a questa razza spiritual si individuerebbe dunque sulla base dello
spirito, e in seguito del corpo, diventandone col tempo questo ultime il segno
visibile. E un concetto metafisico di razza. La romanita spirituale del quale
parla E. parte appunto dal dato biologico, che gli pare ancora troppo zoologico,
rozzo e deterministico, per sublimarlo e portarlo a pieno compimento sul piano
dello spirito – non romano, ma romanita --, ossia sul piano metafisico. Intendeva
potenziare e nobilitare la romanita, avvolgendolo in una nebulosa
filosofeggiante e scrostandolo di quel tanto di ruvido zoologismo. Vengono
ritrovate sette lettere da E. a Croce (più una indirizzata all'editore Laterza.
Evola invia inizialmente a Croce la richiesta di intercedere presso Laterza per
la pubblicazione dei “Idealismo magico” e “Teoria dell'individuo assoluto”. La
seconda e una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di
apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti dell’Idealismo magico e
Teoria dell’individuo assoluto. Laterza, nonostante l'appoggio favorevole
di Croce, Laterza scrive una lettera in
cui precisa di volersi riservare la massima libertà di decidere anche nei
riguardi di autorevoli amici. E. scrive a Croce chiedendo aiuto per “La
tradizione ermetica”, un saggio sull'alchimia. In una quarta lettera, E.
ringrazia Croce per l'interessamento. “La tradizione ermetica” esce per i tipi
dell'editore barese. E. invia quattro lettere a Gentile. Nonostante le
marcate divergenze sul piano filosofico E. si discosta dall'attualismo
gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico)
il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del
mondo accademico. Tale confronto non produce risvolti interessanti sotto il
profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti,
ed anche i presupposti dottrinali sono inconciliabili. Il tentativo di E.
di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non sboccia. Evola cerca
di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di riferimento
culturale alternativo al gentilismo. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare
così le ragioni di questo mancato incontro.“Ogni riferimento extra-filosofico
di cui il mio sistema filosofico e ricco sirve come un comodo pretesto per
l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che
accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e
di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei
termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco sirve. Però anche da parte
mia vi e un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la
mia fatica speculativa posse servire a qualcosa. Si tratta di una introduzione
filosofica ad un mondo non filosofico, la quale posse avere un significato nei
soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato luogo ad una profonda
crisi esistenziale. Ma vi e anche da considerare (e di questo in seguito mi
resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè l'abito del pensiero
astratto discorsivo, rappresentano la qualificazione più sfavorevole affinché
tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da me indicato, con un
passaggio a discipline realizzatrici.” Gentile tuttavia riconosce ad Evola una
certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo
della tradizione di curare la voce “atanor” per l'Enciclopedia Italiana. Anche
alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolare
Calogero. Giuli successivamente riporta altre informazioni, relative al carteggio
Evola-Gentile, reperite all'interno della "Fondazione Giovanni Gentile per
gli studi filosofici", occupandosi dei saggi che Evola invia con dedica a
Gentile. Invia sette lettere a Schmitt che mette in luce da una parte
alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori (Jünger, Mohler e il
principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la pubblicazione in
italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista Cortes.Tale tentativo non va
in porto, così come fallisce anche il secondo progetto di pubblicare
un'antologia schmittiana. Di rilievo, all'interno dello scambio
epistolare, le due divergenti visioni rispetto al ruolo dell'uomo politico e la
sua autonomia. Evola interpreta il concetto di dittatura incoronata come
«necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un livello di una
dignità superiore, indicata dall'aggettivo incoronata. Per Schmidt, invece,
esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal concetto della
legittimità del regnare a quello della dittatura. La dittatura incoronata significa
solo un pis-aller pratico mai ha concepito questo espediente pragmatico come
una forma di salvezza. E in questo caso così come già ampiamente esposto in
Rivolta contro il mondo moderno, il costante rimando di Evola ad un fondamento
trascendente dell'ordine politico rimane quell'ineliminabile discrimine che non
può essere in alcun modo occultato o minimizzato. L'epistolario assume rilievo
in relazione al tentativo di fornire di solidi contrafforti ideologici e
culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a
combattere la sua battaglia politica. Entra in contatto epistolare con Benn, appartenente
alla cosiddetta Rivoluzione conservatrice. Il primo incontro risale durante la
tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania. Da quell'incontro
scaturisce una recensione-saggio di Benn alla versione di “Rivolta contro il
mondo moderno” che appare in “Die Literatur di Stoccarda”. Nel presentare
“Rivolta contro il mondo moderno”, Benn espone le sue teorie convergendo con la
visione del mondo di Evola. Si ha rintracciato tre lettere da Evola a Benn. Le lettere
sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due autori
rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo conservatrice,
oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel establishment. “Sono sempre
più convinto che a chi voglia difendere e realizzare senza compromessi di sorta
una tradizione spirituale e aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel
mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno che non si pensi unicamente a un
lavoro elitario». E un tentative di riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con
i filosofi conservatori. Invia lettere a Tzara. Si tratta di una trentina di
documenti tra lettere e cartoline. Molte tappe del cammino artistico del
filosofo romano sono già note prima del rinvenimento della corrispondenza con
Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella sua autobiografia, in
parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità
di articolista, che ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache
d'Attualità, Dada e Bleu. Ciò che invece non è noto prima del rinvenimento
della corrispondenza, sono le modalità dell'avventura evoliana nella sfera
artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava. L'archivio
della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il
vuoto di un periodo poco conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia
attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune date,
partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe
più specificamente psicologiche. In particolare quelle che portano Evola ad
annunciare il proprio suicidio e che raccontano di un uomo colto nel pieno male
di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive,
dove la sofferenza acuta si alterna alla disperazione. Altre opere: “Arte astratta,
posizione teorica” (Roma, Maglione e Strini); La parole obscure du paysage
intérieur, Roma-Zurigo, Collection Dada); Saggi sull'idealismo magico,
Todi-Roma, Atanòr); L'individuo e il
divenire del mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere); “L'uomo come potenza,
Todi-Roma, Atanòr, “Teoria dell'individuo assoluto, Torino, Bocca); “Imperialismo
pagano, Todi-Roma, Atanòr); “Fenomenologia dell'individuo assoluto” (Torino,
Bocca); “La tradizione ermetica, Bari, Laterza); “Maschera e volto dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca); “Rivolta contro il mondo moderno,
Milano, Hoepli); “Tre aspetti del problema” (Roma, Mediterranee); “Il mistero
del Graal, Bari, Laterza); “Il mito del sangue, Milano, Hoepli); “Indirizzi per
una educazione” Napoli, Conte); “Sintesi di dottrina” (Milano, Hoepli); La
dottrina del risveglio, Bari, Laterza); “Lo Yoga della potenza, Torino, Bocca);
“Orientamenti, Roma, Imperium”; “Gli uomini e le rovine, Roma, Edizioni
dell'Ascia); “Metafisica del sesso, Todi-Roma, Atanòr); L'«Operaio» in Jünger,
Roma, Armando); “Cavalcare la tigre, Milano, Vanni Scheiwiller); Il cammino del
cinabro, Milano, Vanni Scheiwiller); “Saggio
di una analisi critica” (Roma, Volpe); “L'arco e la clava, Milano, Vanni Scheiwiller);
“Raâga Blanda, Milano, Vanni Scheiwiller); “Il taoismo, Roma, Mediterranee); Ricognizioni.
Uomini e problemi, Roma, Mediterranee); Lao Tze, Il libro della via e della
virtù, Lanciano, Carabba, Cesare Della Riviera, Il mondo magico de gli heroi, Bari,
Laterza, René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli, Emanuel Malinski, Léon De Poncins, La guerra
occulta, Milano, Hoepli, Gustav Meyrink, Il Domenicano bianco, Milano, Fratelli
Bocca Editori, Gustav Meyrink, La notte di Valpurga, Milano, Fratelli Bocca
Editori); Bachofen, La virilità (Torino, Bocca); Gustav Meyrink, L'Angelo della
finestra d'Occidente, Milano, Fratelli Bocca Editori, Mircea Eliade, Lo
sciamanesimo e le tecniche dell'estasi, Milano, Fratelli Bocca Editori, Ur,
Introduzione alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, Otto Weininger,
Sesso e carattere, Milano, Bocca, Spengler, Il tramonto dell'occidente, Milano,
Longanesi, Eduard Erkes, Credenze
religiose della Cina antica, Roma, IsMEO, “Pitagora I Versi d'Oro” (Todi-Roma,
Atanòr); Lao Tze, Il Libro del Principio e della sua azione, Milano, Ceschina, Gabriel
Marcel, L'uomo contro l'umano, Roma, Volpe, E. Jünger, Al muro del tempo, Roma,
Volpe, Hans-Joachim Schoeps, Questa fu la Prussia, Roma, Volpe, Erik Von
Kuehnelt-Leddihn, L'errore democratico, Roma, Volpe); Theodor Litt, Le scienze
e l'uomo, Julius Evola, Roma, Armando, Pascal Bewerly Randolph, “Magia
Sexualis”, Evola, Roma, Mediterranee, K. Loewenstein, La Monarchia nello Stato
moderno, Julius Evola, Roma, Volpe) Robert Reininger, Nietzsche e il senso
della vita” (Roma, Volpe); Avalon, Il mondo come potenza, Roma, Mediterranee, Daisetsu
Teitarō Suzuki, Saggi sul Buddhismo Zen 1, Roma, Mediterranee, Lu Tzu, Il mistero
del fiore d'oro, Roma, Mediterranee, Lu K'uan Yû, Lo Yoga del Tao, Roma,
Mediterranee, Come “Carlo d'Altavilla”: Theodor Litt, Istruzione tecnica e
formazione umana, Roma, Armando, Gustav Meyrink, Alla frontiera dell'Aldilà, Napoli,
Casa Editrice Rocco, Litt, Spranger, Enrico Pestalozzi, Roma, Armando, Franz Hilker, Pedagogia comparata: storia,
teoria e prassi, Roma, Armando, Ulmann, Ginnastica, educazione fisica e sport
dall'antichità ad oggi, Roma, Armando, Karlfried Graf Dürckheim, Hara: il
centro vitale dell'uomo secondo lo Zen, Roma, Mediterranee, Bernard George,
L'ondata rossa sulla Germania dell'Est, Roma, Volpe, Erik von Kuehnelt-Leddihn,
L'errore democratico, Roma, Volpe, Hans Reiner, Etica, teoria e storia, Roma,
Armando, Stephan Leibfried, L'università integrata: l'istruzione superiore
nella Repubblica federale tedesca e negli Usa,
Roma, Armando, Ernst Cassirer, Saggio sull'uomo: introduzione ad una
filosofia della cultura, Roma, Armando, Walter Wefers, Basi e idee dello Stato
spagnolo d'oggi, Roma, Volpe, François Gaucher, Idee per un movimento, Roma,
Volpe, Keyhoe, La verità sui dischi volanti, Milano, Atlante, Altre: I saggi di
"Bilychnis", Padova, Edizioni di Ar, I saggi della "Nuova
Antologia", Padova, Edizioni di Ar, L'idea di Stato, Padova, Edizioni di
Ar, Gerarchia e democrazia, Padova, Edizioni di Ar, Meditazioni delle vette, La
Spezia, Edizioni del Tridente, Diario, Genova, Centro Studi Evoliani, Etica
aria, Genova, Centro Studi Evoliani, L'individuo e il divenire del mondo,
Carmagnola, Edizioni Arktos, Simboli della Tradizione Occidentale, Carmagnola,
Edizioni Arktos, La via della realizzazione di sé secondo i misteri di Mitra,
Roma, Fondazione, Considerazioni sulla guerra occulta, Genova, Centro Studi
Evoliani, Le razze e il mito delle origini di Roma, Monfalcone, Sentinella, Il
problema della donna, Roma, Fondazione Julius Evola, Ultimi scritti, Napoli,
Controcorrente, La Tradizione di Roma, Padova, Edizioni di Ar, Due imperatori,
Padova, Edizioni di Ar, Cultura e politica, Roma, Fondazione Julius Evola, Citazioni
sulla Monarchia, Palermo, Edizioni Thule, L'infezione psicanalitica, Roma, Fondazione
E., Il nichilismo attivo di Federico Nietzsche, Roma, Fondazione Julius Evola, Lo
Stato, Roma, Fondazione E., Europa una: forma e presupposti, Roma, Fondazione
Julius Evola, La questione sociale, Roma, Fondazione E., Saggi di dottrina
politica, Sanremo, Mizar, La satira politica di Trilussa, Roma, Fondazione
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dell'Occidente", Roma, Fondazione Julius Evola, Lo zen, Roma, Fondazione E.,
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Queste, Un maestro dei tempi moderni: René Guénon, Roma, Fondazione E., E.,
Filosofia, etica e mistica del razzismo, Monfalcone, Sentinella d'Italia, Monarchia,
aristocrazia, tradizione, Sanremo, Casabianca, I placebo, Roma, Fondazione
Julius Evola, Gli articoli de "La Vita Italiana" durante il periodo
bellico, Treviso, Centro Studi Tradizionali, Dal crepuscolo all'oscuramento
della tradizione nipponica, Treviso, Centro Studi Tradizionali, Il ciclo si
chiude, americanismo e bolscevismo, Roma, Fondazione Julius Evola, Il Cinabro, Julius Evola, Il problema di
oriente e occidente, Roma, Fondazione Julius Evola, Fenomenologia della sovversione
in scritti politici, Borzano, SeaR, E., Scritti sull'arte d'avanguardia, Roma,
Fondazione Julius Evola, Esplorazioni e disamine, gli scritti di "
fascista,” Parma, Edizioni all'insegna del veltro, Julius Evola, Esplorazioni e
disamine, gli scritti di " fascista", Parma, Edizioni all'insegna del
veltro, Lo Stato, Roma, FondazioneEvola, La tragedia della Guardia di Ferro,
Roma, Fondazione E., E., Scritti per "Vie della Tradizione" Palermo,
Edizioni Vie della Tradizione, Carattere, Catania, Il Cinabro, L'idealismo
realistico, Roma, Fondazione E., Idee per una destra, Roma, Fondazione E., Fascismo
e Terzo Reich, Roma, Mediterranee, E., Il "mistero iperboreo". Scritti
sugli Indoeuropei, Roma, Fondazione E., Critica del costume, Catania, Il
Cinabro, Julius Evola, Augustea, La Stampa, Roma, Fondazione E., Anticomunismo
positivo. Scritti su bolscevismo e marxismo, Napoli, Controcorrente, ulius
Evola, Il Mondo alla Rovescia (Saggi critici e recensioni), Edizioni Arya,
Genova, La scuola di mistica fascista. Scritti di mistica, ascesi e libertàm Napoli,
Controcorrente, Julius Evola, Le sacre radici del potere, Edizioni Arya,
Genova. Evola, Civiltà americana. Scritti sugli Stati Uniti, Napoli, Controcorrente,
E., Scritti sulla Massoneria volgare speculativa, Edizioni Arya, Genova. E.,
Par delà Nietzsche, Torino, Nino Aragno Editore, Evola, Fascismo Giappone Zen.
Scritti sull'Oriente, Roma, Pagine, Julius Evola, Ernst Jünger. Il combattente,
l'operaio, l'anarca, Passaggio al Bosco,, Rigener Azione Evola, E., Il Fascismo
e l'idea politica tradizionale, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo
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razzismo, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, E., Le SS.
Guardia e Ordine della rivoluzione nazionalsocialista, Documenti per il Fronte
della TradizioneFascicolo, Raido, E., I
"Castelli dell'Ordine" e i nuovi Junker, Documenti per il Fronte della
Tradizione Fascicolo Raido, Il
significato di Roma per lo spirito "olimpico" germanico, Documenti
per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, Julius Evola, La Dottrina aria di Lotta e
Vittoria, Documenti per il Fronte della Tradizione Fascicolo, Raido, Etica
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Roma, Fondazione Evola, Lettere di Julius Evola a Tristan Tzara, Elisabetta
Valento, Roma, Fondazione Julius Evola, Lettere a Croce, Roma, Fondazione JEvola);
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di Stato di Roma Registro degli atti di
nascita di Cinisi, Archivio di Stato di Palermo
Registro degli atti di nascita di Cinisi, Archivio di Stato di
Palermo Registro degli atti di matrimonio
di Cinisi, Tribunale di Palermo Registro
degli atti di nascita di Roma Archivio di Stato di Roma Il Barone Immaginario Il Barone
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pagina Vanni Scheiwiller, Nota dell'editore, in E., Il cammino del cinabro,
Milano, Scheiwiller); E., Il cammino del cinabro, Catalogo della mostra con
tutte le opere in: Grande Esposizione
Nazionale Futurista, Milano, Le Presse, Claudio Bruni, Evola Dada, in Gianfranco
De Turris, Testimonianze su E., Roma, Mediterranee. E., Il cammino del cinabro. Egli prende la
terra come terra, pensa alla terra, pensa sulla terra, pensa 'Mia è la terra' e
si rallegra di ciò: e perché? Perché egli non la conosce, dico io. L'estinzione
vale a lui come estinzione, allora egli deve non pensare all'estinzione, non
pensare sull'estinzione, non pensare 'Mia è l'estinzione', non rallegrarsi
dell'estinzione: e perché? Perché impari a conoscerla, dico io.” Lettere a
Tzara, Roma, Edizioni Fondazione E., Carlo Fabrizio Carli, Evola pittore tra
futurismo e dadaismo, su juliusevola. Claudio Bruni, Evola Dada. Per un
approfondimento: Vitaldo Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente,
Atti del convegno di studi "E. e la politica", Alatri Emiliano Di
Terlizzi. Luciano De Maria, Introduzione a: FT. Marinetti, Teoria e invenzione
futurista, Milano, Mondadori, Per un approfondimento sulla produzione pittorica
di Evola si rimanda a due cataloghi: Evola e l'arte delle avanguardie. Tra Futurismo,
Dada e Alchimia, Roma, Fondazione E., e Vitaldo Conte, Julius Evola. Arte come
alchimia, mistica, biografia, Reggio Calabria, Iriti, E., Il cammino del
cinabro. Poi ristampati sotto forma di antologia: Gruppo di Ur, Introduzione
alla magia come scienza dell'Io, Torino, Bocca, 1955. Per una trattazione esaustiva dell'argomento
si rimanda a Renato Del Ponte, Evola e il magico gruppo di Ur, Borzano, Sea R, Evola,
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Evola fra arte e alchimia, Roma, Fondazione E., Renato Del Ponte, E.e il magico
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Gentile dei fascisti, Bologna, Il Mulino, Marco Iacona, Julius Evola e le
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filosofo in guerra, Milano, Mursia, Rene Guenon, Lettere a Julius Evola,
edizioni Arktos, Heliodromos, Speciale E., Catania. Documentari Dalla Trincea a
Dada di Maurizio Murelli. DVD dalla
Società Editrice Barbarossa di Milano, della durata di 101 min., che ripercorre
il periodo artistico di Evola. Con musiche di: Ain Soph, Kaiserbund, Roma,
Wien, Zetazeroalfa. Pio Filippani Ronconi, Reghini, Parise, Pitagorismo
Tradizionalismo, Paganesimo, Via romana agli dei, Fondazione E. Treccani Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Dizionario biografico degli italiani, Rigenerazion Evola, Centro Studi
La Runa. Vatimmo, “E., un filosofo scomodo per tutti”; Approfondimenti sul
pensiero Francesco Rosati, Intervista a Evola, su juliusevola, Monastra, E. tra
la seduzione e l’aristocrazia. Michele Ognissanti, Luci ed ombre su Evola, su salpan.org,
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Polia, Linee per una critica al concetto di tradizione in Evola, Giano Accame,
Evola e la Konservative Revolution, Luca Lionello Rimbotti, E. così com'era, Vitaldo
Conte, Maschere di Evola come percorso controcorrente, Aleksandr Dugin,
Astrazione e differenziazione in E., Opere dadaiste, futur-ism. 2artericerca.
Interviste Intervista a Julius Evola, su you tube Intervista a Tringali, su youtube
Intervista a Lami, su youtube Quando E. intervistò il conte Kalergi, su
rigenrazione evola. ROMA. E. parie
dall’idealismo: il mondo è per lui a rappresentazione dell’Io. Ma poiché
l’Io subisce Kfa rappresentazione del mondo come nn limite e wLffrc
in essa la sua passività, s’impone all’Io l’obblitpi pratico di sciogliere la
sua passività in atti- vità riducendo il mondo sotto il comando suo,
[a- j rendo di esso l ' atto dell’Io. La tecnica di questo pro-
gresso di risoluzione del mondo nell’Io è data dal- l’Occultismo magico.
Dall’innesto dell’Idealismo classico con la Magia nasce /'Idealismo Magico di E..
irò I; r„ Opere principali. Saggi sull’Idealismo magia.
L’uomo come potenza. Imperialismo pagano, Todi, Atanor; Teoria dell’individuo assoluto.
Fenomenologia dell’Individuo assoluto. Maschera e voi. to dello
spiritualismo contemporaneo, Torino, Bocca; L’indivìduo e il divenire del
mondo, Roma, Libreria di Scienze e Lettere; La Tradizione ermetica Bari,
Laterza; Rivolta contro il mondo moderno Milano, Hoepli. Ha diretto le
riviste Ur e La Torre. Dall'idealismo assoluto all’idealismo magico.
La Grande Solitudine. Una volta che l’Io si sia costituito a principio a
sè, a centro distinto di autoriferimento. il fatto stesso che egli possa
comunicare con qualcosa di altro da lui, il fatto stesso che egli
possa in generale conoscere, appare come un singolare mistero. E poiché è
evidente che posto il soggetto da una parte, l’oggetto dall’altra non vi
è più alcun modo di intendere come quella lor congiunzione, in cui
consiste il conoscere, sia possibile; e poiché d’altra parte l’Io
ha preso ormai coscienza di sè e non può più tornare a quello stato di
ingem )4 adesione, di compenetrazione con le cose cli f era appunto
condizionato dal suo non esser.! si ancora posto; resta aperta una sola
via al problema della conoscenza, e cioè: negar,, che l’idea di una
realtà esistente in sè stessa abbia un qualunque senso, affermare che ]
a sostanza delle cose consiste semplicemente nel loro venire
rappresentate o pensate dall’io, intendere dunque che l’intero sistema
mondiale, nella ricchezza sterminata delle sue forme, con i suoi oceani,
i suoi soli e ] t . sue vie lattee, non è che un fenomeno, una
apparizione che è di questo Io e per questo Io, fuori dal quale non gli
si saprebbe coerentemente garentire alcuna consistenza. Lungo una tale
via l’uomo vede dunque venir meno progressivamente tutti quegli appoggi e
tutte quelle naturali evidenze su cui prima riposava — tutto gli si fa
ora dubbioso, problematico, contingente. Tutto ciò che sa, è che egli ora
si trova così e così determinato, che questa è la sua attuale esperienza,
queste le leggi e le categorie secondo cui egli si trova costretto
a pensarla. Ma circa il fondamento di tale determinatezza, di tali leggi
e di tali categorie, egli non sa nulla, e così nulla saprebbe garentirgli
che le cose, se così sono ed anche sono state nei casi osservati,
non possano ad un tratto cambiare, che ogni uni- L rI )iilà cd
ogni costanza non sia astratta e precaria, c h e , fondato su una
radicale contin- g c,lZ za , questo sistema di
fenomeni e di cateti» 1 ' j e non sia che un episodio fugace, disper- mia
incoercibile, imprevedibile vicenda. in Se, dopo di
ciò, l’individuo cerca ancora „ n punto fermo, egli soltanto nel suo io
può Irovarlo. Il mondo è una rappresenta- r joiie,
sta bene: ma si può forse parlare di Ljpprescnlazione, senza nello stesso
punto resupporre resistenza di un « rappresen tall- ite». di un
soggolo cioè che la rappresenti? [n mondo è un sogno: ma ogni sogno non
im- Iplica forse un sognatore? Si può chiamare f a | S o,
illusorio, non esistente l’insieme dell’esperienza — ma colui che sperimenta e
afferma cotesta falsità, illusione, non esistenza non può essere, lui,
falso, illusorio, non esistente. Di là dall’obliquità e dalla fluttuazione delle
cose che sono e non sono vi è dun- que una sola certezza: 17o. Soltanto
qui l’individuo, con un possesso, ha una realtà assoluta ed in sè stessa
evidente. Di tutto il resto _ dell’oceano sterminato dei nomi, delle
forme e degli esseri — non vi è reale certezza: parvenza, contingenza,
violenza di un bruto, irrazionale esser là, tali ne sono i princi-
pi. * lo solo sono — il resto è mia rappresentazione: in ciò si può dunque
intendere la conclusione del secondo stadio della storia della
coscienza. Prima di passar oltre, occorre rilevare v necessità che
questo momento critico deli storia ideale dell’individuo sia portalo e
vk suto sino a fondo. Non prima che egli abbj a di tutto dubitato e
tutto negato, non prima eh,, egli abbia fatto intorno a sè il deserto,
noft prima che di ogni realtà abbia sofferta I’j N realtà, di ogni
evidenza la precarietà, di ogi,, luce l’oscurità: non prima che egli
abbia di- strutto ogni appoggio e ogni rifugio ed abbj a realizzato
il punto della grande solitudine — non prima di ciò l’individuo può
chiamarsi veramente tale, non prima di ciò egli è un essere autonomo ed
autocosciente. E’ quest,, atto negativo, questo assoluto strapparsi
da quanto prima gli dava consistenza — che ora lo fa essere. Così
come secondo l’energico detto di STIRNER: l’Io non è tutto, ma ciò che
distrugge tutto; per questa assoluta negatività albeggia nell’uomo quel
principio tragico che — come fu distintamente visto dal
buddhismo — lo fa superiore all’insieme della natura ed allo
stesso regno degli dei. Si può
precisare il luogo di un tale Io come segue. Ogni esperienza è
inseparabilmen- te accompagnata dalla nota, implicita o espli-
cita, di essere una mia esperienza. Uautorife. rimento, l’ahamkàra della
metafisica indiana, è la condizione elementare, senza di cui non è
concepibile alcuna realtà, giacché la sola di cui posso concretamente
parlare è iella che, in un modo o nell’altro, si risolve r
eal |:l in ull a mia esperienza. Ora è possibile
staccare cpiesto principio di autoriferimento dai particolari contenuti
delle esperienze per rilegarlo in un certo modo su sè stesso. Allo- ra s
i ha: IO — IO, cioè una nuda esperienza, un possesso, qualcosa di
semplice e di ineffabile. Questa nuda esperienza si presuppone, ,|i fatto
e di diritto, a qualsiasi altra esperienza si può dire che essa è come la tela
sul- i a quale poi tutte le particolari esperienze si ritagliano:
qui si ha quel veggente che non -, mai veduto », quel « conoscente che
non è ina i conosciuto, quel punto di centralità pura di cui parlano le
Upanishad, e rispetto a cui ogni particolare esperienza, fenomeno o
pensiero è un posterius, qualcosa che vie- ne dopo e che sta alla
periferia. Si badi: qui non si tratta nè di un io superiore, nè di
un io inferiore, nè di un io empirico, nè di un io trascendentale, —
semplici nomi e astrazioni concettuali — bensì del mio I>>, di
quella assoluta presenza che sono nella profondità del mio essere
individuale. Ora che un tale Io sia qualcosa di immoltiplicabi- lr,
qualcosa che è solo e senza un secondo, è troppo evidente. Parlare di
altri Io da questo livello è infatti contradizione in termini. Gli altri
Io, in quanto sono altri, non sono io, bensì dei particolari contenuti p
P senti nella mia esperienza — dunque degl; oggetti, dei
conosciuti, al più il concett di un conoscente e di un soggetto, non il
So getto, non il conoscente quale è in sè stesso (cioè: come
autoesperienza), che, come t a |^ esso è unico e incomunicabile. Fenomeni
pJj tieolari in questo grande fenomeno, che è il mondo a cui, come
individuo, mi sveglio, altri io ne partecipano la contingenza, sono
qualcosa il cui principio mi sfugge, di cui non ho alcuna reale certezza --
forse che ara che i sogni non mi presentano la parvenza di altri
esseri simili a me? E non potrebbe essere la cosidetta esperienza reale
un sogno più po. tenie e costante impresso in me, come lo suppose la
scepsi cartesiana, da un qualche spirito? -- che cadono fuori da quel centro
che, solo, può costituirmi una terra ferma nel gran mare
dell’essere. E’ questo un punto su cui occorre richiamare particolarmente
l’attenzione: colui che, o per preoccupazioni morali e sentimentali — a
dir vero riconnettentisi alla precedente fase dell’evidenza naturale — o
per insufficienza di riflessione critica, non sia giunto ad estendere il
dubbio sulla realtà stessa degli altri soggetti, epperò a
concepirli come null’allro che mie rappresentazioni, quegli non ha
veramente condotto a fondo quel distacco, di cui poco fa si è parlato,
ep .SO però non ha ancora perfettamente
realizzala la pura essenza dell’individuale. Costui non è ancora
maturo per il passaggio alla terza epoca giacché di nulla può avere
assoluta I certezza quei che prima non ha saputo di tulio dubitare. Passando
dunque alla terza fase, diciamo subito che in essa si ha un superamento
del lato negativo connesso all’adergersi dell’individualità. Come chi una
avversa vicenda avesse gittato sur una isola deserta incalzato, di là dal
primo sgomento, dalla volontà di vivere, va a cercare ed a creare mezzi per
una nuova esistenza, così 1 individuo, che si sente ormai solo con se
stesso nell’intero ambito del mondo, può essere portato a trarre
dal proprio interno un principio che sappia fissare una nuova realtà di
là dall’ordine della parvenza e della mera rappresentazione, in cui
ogni cosa ormai è andata sommersa. Questo principio è LA POTENZA DI
DOMINIO. L’io, infatti, non è una cosa, un dato, un fatto, ma,
essenzialmente, un centro profondo di volontà e di potenza. Come lo dice FICHTE,
egli non è, che in quanto si pone — e soltanto un puro porsi è, a dir
vero, il suo essere. Come tale si rivela, per un ulteriore
autoapprofondimento, la natura di quel punto fermo, che si è realizzato
nel secondo stadio. Ora questo punto fermo può comunicare la propria
consistenza a quel che non ne ha, e ciò evidentemente quando si vadano a
riprendere secondo il rapporto pro- prio ad una affermazione
incondizionata dell’individuale i vari ordini di quella realtà, che prima
appariva irrazionalmente, in bruta con- tingenza, senza partecipazione
della volontà dell’io — quasi come in un sogno. Resta da procedere
ad una determinazione di questo stadio, tale che si definisca l’oggetto
della presente trattazione, e cioè il rapporto del- l’individuo al
divenire del mondo. Nel frattempo si può dire quale sia il criteiio di certezza
che si impone a questo punto. Esso è espresso dal principio. Vi è
assoluta certezza — ed è postulatile realtà — soltanto di quelle cose,
dell’essere o del non essere, del- l’essere cosi o dell’essere altrimenti
delle quali l’io ha in sé, in funzione di dominio, il principio o la
causa', delle altre, solamente nella misura di ciò che in esse soddisfa
ad un tale criterio. Queste cose dipendendo infatti interamente
dalla potenza dell Io, partecipano dell’intrinseca evidenza che è inerente
al nudo principio di questo. Volendo dunque sviluppare la
posizione assunta dalla coscienza nel terzo stadio, si ns idererà
l’unica vera obbiezione incontra- W dall 'idealismo assoluto.
Nell’idealismo assoluto si ha la dottrina che cerca di trasfor- I re in
qualcosa di positivo quel lavoro ne- 1 ,ivo di critica e di scepsi che
definisce il secondo stadio. E ciò cessando di intendere I il
inondo come un fenomeno, come una sem- jj cC apparizione (unica legittima
conclusio- I „ e dell’indagine critica) per intenderlo invece [
come qualcosa di posto, di creato dall’Io. Per- Bianto quando si parla
non più di rappresenta- la bensì di porre e di creare, entra in
giuo- Ico il concetto di una libera volontà, ed allo- I rii sorge
questo problema: lo posso ben ri- B durre il mondo alla mia ruppi
esentazione, nui fino a che punto posso ridurlo anche alla mia
volontà ed alla mia libertà? Qui bisogna porre un punto
fondamentale, e cioè intendere l’essenziale differenza che in- I
lercorre fra spontaneità e volontà. Si ha spon- taneità là dove il
possibile essendo identico al reale ossia dove quel che è essendo ciò
che soltanto poteva essere, l’atto ha la forma di I una
inconvertibile compulsione, di un bruto accadere e scatenarsi, ed è
passivo, impotente rispetto a sè stesso. Invece nella volontà vi f è una
eccedenza del possibile sul reale, non si passa cioè dal possibile al
reale immediata- mente, ma un punto di autarchia, di potestas, domina
l’atto come l’estrema, incondizionata ragione del suo essere o del suo i
1(Jll essere, del suo essere così o del suo essere altrimenti come
alto che è solamente uno c| e j possibili, anzi dei compossibili. E’
importante notare che tanto la spontaneità che la volontà possono
dirsi libere: però mentre nella spoj,. taneità si tratta di una libertà
affatto ncgatj. va, di una libertà cioè che vuole semplicenieji. te
dire: non essere determinato dall’esterno, nella volontà si ha una libertà
positiva, una libertà cioè che significa assoluta assen- za di
condizioni, siano esse interne che esterne, e quindi contingenza, o, se si
preferisce, arbitrarietà dell’atto. Una volta compresa questa
distinzione, che non poggia tanto su concetti e sottigliezze
intellettuali, quanto piuttosto sur un dato immediato di coscienza, sur
una evidenza interna che o si ha o non si ha, quando l’idealista assoluto di
contro al sistema della realtà afferma essere stato l’io a porlo, è
evidente che egli si riferisce non ad una volontà, ma ad una
spontaneità. Egli si riferisce infatti a quell’attività onde le cose
vengono percepite e rese intime al nostro Io, a
quell’elementare assenso onde ci si accorge di esse — as- senso che
se è condizione necessaria per ogni realtà, in quanto realtà sperimentata
dall'Io (e di altra realtà noi non possiamo coerentemente parlare), è ben
lungi dall’essere anche r
^dizione sufficiente. Infatti nel rappresen- c , il reale non è
dominato dal possibile, l’io passivo rispetto al proprio atto — non tanto
Lff ernia le cose, quanto piuttosto è come se i L » cose si affermassero
in lui. Come la passione e l’emozione, la rappresentazione è sì qual- ,
sa di mio, qualcosa che io traggo dal mio proprio interno (e fin qui
arriva la legittimità dell’istanza dell’idealismo, del resto soddi-
sfatta sin dal Leibniz), ma non è me, giacché jo non posso darla
liberamente a me stesso, giacché io non sto in rapporto di signoria
alle determinazioni di essa, onde mi si dispiega lo spettacolo
della realtà che è questa realtà, |l0) i la realtà che io voglio.
Conseguentemeu- i c; in tanto l'idealista può dire di essere stato
[lo a « porre » la natura, in quanto egli riduce l’io a natura, cioè in quanto
di quello, che. c libertà, non sa nulla, o, per meglio dire, fa
come se non sapesse nulla, e, con evidente paralogismo, mutua il concetto
di Io con quello del principio di spontaneità. Posso dire di essere stato
io a porre la natura, ma io in quanto sono spontaneità, non in quanto
sono propriamente un Io, e cioè libertà e dominazione. E questo è il
primo punto. Il realista, riferendosi propriamente al punto della
reale individualità, avanza dunque una istanza che è interamente legittima.
Egli ci pone dinnanzi ad una qualunque contingenza dell’esperienza, per es.
dinnanzi a ,| una tempesta, e ci domanda se possiamo ( |j. re di
essere stati noi a porla. Mentre q U j l’idealista risponderebbe
con l’affermativa e ciò perchè, come si è detto, per lui porre
significa semplicemente rappresentare C o a libera necessità — noi invece, riferendoti ad un porre
che il principio del dominio dell’incondizionata libertà comandi, risponderemmo.
Ciò, in verità, non è posto dal- l’io. Altro non chiede il realista per
dire subito. Poiché ciò non è posto dall’io, vi deve essere un “ altro ”
a porlo » — ed inferisce ad una causa reale o esistente in se stessa
delle rappresentazioni, quale Dio, la materia, il noumeno, ecc. Qui sta
invece l’errore e il punto su cui ci si permette di richiamare tutta
l’attenzione del lettore. — Dire che io, come lo, cioè come principio
sufficiente e libero, non posso riconoscermi come causa incondizionata
delle rappresentazioni, non vuole affatto dire che queste rappresentazioni
siano causate da altro e abbiano per substrato delle cose reali o
esistenti in sè stesse, ma vuole semplicemente dire che io sono
insufficiente ad una parte della mia attività, la quale è ancora
spontaneità, che una tale par- te non è ancora MORALIZZATA, che l lo come
libertà in essa soffre una PRIVAZIONE. Tutto ciò su cui non posso, tutto
ciò che re- 5 j e a iia mia volontà, non è che una privazione
di questa volontà stessa, qualcosa di ne- (ivo, non un essere, ma un
non-essere. Per- il realista va respinto par ime fin de non ecevoir
: egli nel suo riferirsi ad un altro -- Dio, noumeno, sostanza, ecc. — fa del
non- ^sere un essere, chiama reale ciò che essen- j 0 solamente una
privazione della mia potenza , essendo nuH’altro che una negazione ed ’
vuoto nel corpo immoltiplicabile della mia attività, si dovrebbe invece,
secondo giustizia, dire irreale. Così conferma questa privazione
slcssa così {ugge-, all’atto che,
dominandole, possedendole, annulla le cose (1) e redime la privazione,
egli invece sostituisce l’atto che le riconosce e che dà loro
superstiziosamente un essere e una realtà autonoma. Proprio al
primo atto si appunta invece il criterio di certezza della terza delle fasi
indicate: esso chiede cioè che l’Io libero e nudo dell’individuo possa
veracemente affermare il principio dell’idealismo assoluto, epperò dire. In
verità, io stesso son la causa ed il signore di questo mondo, in
cui mi vivo. Ma quando sarà possibile affermare ciò? Evidentemente quando l’individuo
abbia redento in un corpo di li- ti) Naturalmente: le annulla in
quanto sono altre, per affermarle invece come gesti di una vulon- U)
potente. berla l’oscura passione del mondo, quando abbia
fatto passare la forma secondo cui egli vive l’attività rappresentativa
(quell’attività cioè per cui si forma in lui lo spettacolo
dell’universo), da spontaneità — da coincidenza di possibile e reale — a
nuda, incondizipnata causalità, cioè a: volontà potente. Ora
che soltanto in una tale veduta l’atto dell’individuo abbia un valore
cosmico, e che invece in quella del realismo all’attività venga tolto
ogni vero senso e scopo, può risulta- re ad ognuno chiaro. Infatti
l’attività ha veramente un senso ed un valore soltanto là do- ve vi è da
far reale qualcosa, che già non e tale. Questo caso si verifica appunto
là dove l’altro — ossia ciò che rispecchia il limite Come questa
trasformazione, che affermiamo essere non un mito, ma possibilità reale,
possa poi praticamente compiersi, è un problema da noi trattalo almeno
nei limiti in cui sia possibile pubblicamente e genericamente trattarlo —
altrove, c che qui non trova posto. Si può dire soltanto che è un
compito a cui nè cultura, nè devozione, nè FILOSOFIA, nè arte, nè morale, nè
nient’altro di ciò che gli uomini chiamano spiritualità, può portare il
menomo contributo. Quanto alla FILOSOFIA, il suo limite è l’idealismo
magico, in cui perviene a riconoscere la propria insufficienza e a postillare
la realizzazione della potenza come ciò in cui i suoi mas- simi problemi
possono trovare l’unica assoluta lo- ro soluzione. Ella mia ,i,)erla
— venga inteso non come "f 1 realtà bensì come una negazione ed
un K » 0 - allora il mondo appare come qualco- ' l \]i incompleto,
come qualcosa che chiede E u a integrazione a quell’atto
dell’individuo, ILe 1« necessità si faccia libertà, a quello f ii u
pp° deirautoaffermazione onde l’attuale potente dell’unico si estenda e
riaffermi r q U anto ne è la privazione. Se invece si po- f c i K .
1’ « altro » in quanto tale — cioè pro- |Ljo come quel principio che
limita la mia |j!j )ert à — sia non una privazione e un non-es-
bensì una positività e una realtà — allo- ro tutto è già perfetto, tutto
è già essere, e „on occorre far altro. Ogni scopo ed ogni va- lore
dell’attività e del divenire, ogni responsabilità vengono meno — giacché i
vuoti del ìmio essere non sono anche vuoti dell’essere in generale:
l’altro, con la realtà attribuitaglili riempie. Invece nell’altro caso tutto
il inondo appare come una oscura, dolorosa richiesta all’Io affinchè
questi si dia a sè me- desimo secondo potenza e, in ciò, lo attui
nell'essere, in ciò lo redima dalla privazione, in ciò lo faccia reale. E
il divenire — ciò che io faccio — ha allora un valore, un valore
cosmico. Esaminando più da vicino la posizione realistica, si vede
che essa si fonda su questo presupposto: che una attività imperfetta, una
attività limitata da per sè stessa non poJ sa venire concepita, che non
appena sia p r .ì sente una attività limitata si debba snjjju
pensare a qualcosa che sia causa di questa limitazione. Infatti così sta la
quistione nel problema della conoscenza: nelle cose vi è Utl aspetto per
cui esse indiscutibilmente dip,.,,. dono dall’attività dell’Io, aspetto
che si rif c . risce al loro venire in generale rappresentale o
sperimentate; ma vi è anche un secondo aspetto, che rappresenta un lato
negativo nell’attività dell’Io, riferentesi appunto aU’in 1J)(> .
tenza di percepire, non percepire o trasmutare la percezione come si
vuole. Ora su che cosa si basa il realismo? Appunto su ciò, che à
sente il bisogno di dare una spiegazione a questa limitazione, che esso
non vuole ammettere che una attività limitata, cioè una attivi- tà
incompleta, sia ciò che sta prima, e quindi sente il bisogno di spiegare
la limitazione con qualcosa di altro. Si riferisce dunque ad una
realtà distinta dall’Io come causa delle rappresentazioni. Ma un tale
presupposto ilei realista è ciò che vi può essere di più
contestabile. La concezione a cui si rimette è questa: che ciò che
sta prima debba essere l’assoluto e che tutto ciò che è particolarità e
finitezza non sia concepibile altrimenti che come una negazione
operata da parte di un altro. L Ila pienezza di questo assoluto
preesisten- tratta cioè della posizione platonica e te -noziana,
espressa dal principio: « Ciò che ' veramente, è l’universale; il
particolare da 1 ' s è stesso non esiste, cioè: in ciò che esso .
l’universale, e in ciò che è propriamente Articolare non è, è fredda e
piatta negazio- r s Ora ad una tale concezione si può con- Lmporre
l’altra, secondo cui non si va a pre- ' apporre 1,asso,uto al
finito e al P articolare’ f. aim nette invece che ciò che sta prima
sia precisamente il finito e il particolare, intesi \ r ò non come
qualcosa di in sè contraditto- Ijjjo bensì come qualcosa di incompleto,
non conni qualcosa che non esiste da sè stesso, bensì come qualcosa
che già in una certa misura possiede l’essere e rispetto a cui l’assoluto non
ne sarebbe la negazione, ma lo sviluppo- P unto in cui esso va a rentlere Per
' folto il proprio principio secondo un proces- so continuo dal
meno al più, dalla potenza all’atto, da un grado più povero ad un
grado pii, intenso di attualità e di essere. Ora in una tale
concezione — che si impone dovunque sviluppo, sintesi e divenire non
siano un vuoto nome — a ciò che viene prima, in quanto viene prima,
inerisce un certo grado di privazione, il quale gli è naturale e in nessun
modo chiede di venire spiegato. La sua spiegazione, se mai, non sta indietro —
in un assoluto limitato dalla potenza di un altro — bensì avanti — nel processo
dell’incornpi^ to che si integra, della potenza che arde nel
l’atto, onde non vi è propriamente da spiega re, ma da agire, da
procedere in una più j, tensa affermazione. E’ importante notare la
relatività del conte!, to di privazione. Un dato elemento non è mai p ri
. vazione in sè, ma sempre in relazione al valore del- Pautarchia.
Il passaggio ad un tale valore fa di q ll( ,| che era positivo come
spontaneità qualcosa di ne- gativo e di in potenza rispetto al punto
ulteriore. Cosi pure per chi non vuole passare dal punto di vista logico
a quello della volontà il concetto di privazione non è intelligibile, ma
allora l’idealismo astratto resta l’ultima istanza. Quando si crede di
superare la presente dottrina spiegando la privazione con una realtà
distinta, non si fa un passo avanti ma un passo indietro, giacché si [
a uso della categoria logica della causalità, con il chi- questa
stessa realtà diviene condizionata, logicamente posta dall’Io. E il cerchio si
richiude e il livello critico resta il limite. Si passa invece oltre per
un assoluto positivismo. Quale è la differenza fra una cosa reale ed una
imaginata? Rappresentate, lo sono tutte e due egualmente; ma di là da ciò
l’attività rappresentativa a cui corrisponde la cosa reale è una attività
rispet- to a cui sono impotente. Vi sono elementi su cui non posso.
Questo è tutto. Il problema di interpretare questo non-potcre non lo
risolviamo, perchè non lo poniamo e anzi tacciamo di intellettualistica,
di astratta, di irrile- Si può dunque contestare il
presupposto lei realismo, si può non concedere il concel- |.
gpinoziano del finito come negazione su : peso si basa. Poiché le
cose sono, in quan- cu* ^ f anzitutto sono rappresentate,
cosi che un ole rispetto a ciò che davvero importa a questo
unto ogni ricerca di tale genere. Questo è un punto fondamentale: noi
affermiamo che la spiegazione EL] fatto che si è impotenti in certe
situazioni con ricorso ad un altro — cosa in sè, Dio, storicità dello
spirito et similia — è una psendospie- Laziorie, anzi un circolo vizioso
per questo: che in noi il concetto di « altro » trae il suo senso e il
suo fondamento dal concetto di non potere, il quale l ciò che sta
prima e di cui oggettività, cosa in sè, ilio. ccc. non sono che tanti
simboli e traduzioni intellettuali. Le cosidette cose reali sono
simboli ,1,1 mio non-potere, della mia privazione. E’ perché sperimento
una privazione che chiamo reale una cosa c non viceversa. La privazione
spiega il concetto di una realtà oggettiva e non la realtà og-
gettiva il concettò di privazione. Segue da ciò una dichiarata
professione di agnosticismo, un arreco dinnanzi al nudo fatto del non-potere
con ri- nuncia a spiegarlo come che sia? Niente affatto. Ciò che
neghiamo (non perchè non ne possiamo dare una, ma perchè tali spiegazioni
non ci servono e non ci bastano ) è la pseudospiegazione
intellettuale, che lascia i fatti come sono, che non trasforma il
rapporto reale della mia potenza con le cose. (Si crede sul serio che la
miseria e la contingenza che dannano l’essere finito siano in qualche
cosa rimosse quando le si spieghino con la materia anzi-
grado di attività e però di positività è già j n , plicito; poiché
l’Io si può sperimentare imme- diatamente come una energia, come un p r j
n . cipio di azione, come qualcosa che non chi e . de ad altro il
suo essere; poiché di diritto non esiste un limite inconvertibile per lo
svilupp,, del potere; non vi è alcuna necessità di t ra . scendere,
in ordine al problema del conoscere, il concetto di una attività imperfetta (qu
a . le è la spontaneità rispetto alla volontà) che solo, ci viene
imposto da un esame positivo e spiegare la rappresentazione con il
riferimento realistico ad un altro che la causi e la sottenda. In ciò si
avrebbe non tanto una che con Dio. con l’io trascendentale anziché
con la materia, e cosi via, in simili cattive e a buon mercato
astrazioni?. La spiegazione che l’ idealismo magico esige è ben altra: è una
spiegazione mediunte l’azione, una spiegazione risolutiva: è ex-plicare,
ossia attuare, rendere perfetto: far passare in atto ciò che è in
potenza, in perfezione ciò che è imperfezione, in sufficienza ciò che è
insufficienza, secondo un processo sintetico, originale, creatore. Questa è la
sola, vera spiegazione. Il resto è passatempo. Noi aspramente combattiamo
tutta la rettorica intellettuale e filosofica onde l’uomo si indugia
a discorrere intorno alla sua impotenza (ciò noi intendiamo quando ci si
parla di verità, razionalità, ecc., anziché balzare finalmente in piedi,
impugnarsi e, ardendola, farsi ciò che in sé è: un Dio, un costruttore
del mondo. Baione intellettuale, quanto piuttosto il Rfjsnia infingardo
di colui, che, insufficiente, dall’atto. perciò la concezione che si
presenta al ter- s tadio dello sviluppo dell’individuale è, tj
complesso» la seguente: un continuum di Eit’vità che ha per limiti da una
parte la spon- f c ità, dall’altra la volontà libera. La spon- r c
jtà è l’universale, la volontà libera l’individuale. Questi limiti stanno fra
loro come po- I a adatto: tutto ciò che nell’esperienza è Eretti
vità, immediatezza, necessità, è, rispet- to al punto dell’individuale,
il non-essere ine- [fcnte a ciò che è in potenza — e qui si com-
anderà forse a che cosa alludessero certi fistici quando parlavano
dell’oscura passione del mondo, dell’indicibile sofferenza dell’esistenza in
cui il corpo dell’ uomo I celestiale è crocifisso. Di una tale
tenebra, di una tale privazione, la libertà è l’a//o e la Lm ma
luminosa; e il mondo diviene, si fa reale secondo realtà assoluta
soltanto in e per questa fiamma, cioè soltanto nella misura in cui
l’individuo, affermandosi nel punto della potenza e della dominazione,
consuma, arde ! la sua originaria natura, fatta di spontaneità. Da
qui un punto fondamentale: Solamente nell’individuo assoluto, solamente
nell’autarca il mondo diviene reale: la sufficienza che egli si dà a sè stesso
dà alla natura un essere, una consistenza, una certe?*., e una ragione
che essa, prima di lui, non p 0 . siede già, ma chiede. Onde cercare la
verità e la certezza nella natura è un assurdo: <jj ac> che
la natura in quanto tale è privazione axépTjotc e la certezza e la verità
non l’ha i n sè, ma nell’individuo, epperò in tanto Pi la in quanto
l’ individuo se la dia a sè stesso. Il mondo è, soltanto se egli è. Ma questo
essere egli non potrà mutuarlo da nulla, chè, avuto «la altro, esso
non sarebbe più essere, essere essendo soltanto ciò che è da sè stesso
< xxil’ aùtó); se dunque egli non si fa il salvatore di sè
stesso, nulla mai potrà salvarlo. E’ così che la spiegazione e la verità
non stanno dietro, ma avanti — e non in un dedurre, ma in un
passare all’atto. Tutta la natura, insieme di esseri condizionati,
insieme di esseri che si rimettono ognuno ad altro da sè, gravita
sull’individuo: quei che non ha bisogno di nulla, quei che non si
appoggia su nulla — è ciò di cui tutti gli esseri hanno bisogno, su cui
tutti gli esseri si appoggiano e con cui, nella misu- ra in cui
essi sono, sono uno. Egli solo, come colui che ha in sè stesso il proprio
principio, come colui che è ente di possesso, clic è persuaso,
sostiene il peso del mondo: a lui, che consiste, il processo universale
si appen- de e in lui trova la sua condizione, ciò per cui
dall’eternità è, ed in cui ha la sua destinazione finale. Perciò solamente nel
punto in cui l’individuo si attua nella folgorazione jello potenza
sorge una finalità, una ragione f ii uno scopo nella natura: non prima ;
è lui che gliela dà. Essa la chiede al suo atto. Ep- però un solo
imperativo ha ormai l’indivividuo: «SII, fatti DIO, e in ciò fa essere, SALVA H
mondo ». 3 ) Il mondo, atto dell’Io. A lumeggiare
questo punto, connettiamo due ultime considerazioni, riguardanti
l’una il problema dell’essenza e dell’esistenza, l’al- tra quello
dell’uno e dei molti. Le cose sono essenza ed esistenza.
L’idea di cento talleri e cento talleri reali non sono
evidentemente la stessa cosa. Pertanto nei cento talleri reali, così come
lo ha mostrato KANT, non vi è logicamente compreso nulla più che
non sia nell’idea dei cento talleri. Ne segue che in tanto si fa
differenza fra gli uni c gli altri, in quanto ci si riferisce a
qualcosa ili irreduttibile all’elemento logico. Questo qualcosa è
1’ « esistenza », opposta all’essenza, o, più rigorosamente, l’esse existentiae
opposto all’esse essentiae. Ed ora un secondo punto. All’essenza, al
che cosa è di una determinata realtà principio esplicativo è il
concetto: quando una realtà venga mediante il concetto geneticamente
costruita in tutte le note che la individuano, l’istanza esplicativa
nell’ordine dell essenza è esaurita. Pertanto che un oggetto di cui si
sia interamente penetrato ciò che è, sia, il nudo fatto del suo
esser là come oggetto reale, ciò costituisce un punto che sfugge
interamen- te alla spiegazione razionale, è un àXcyov — e principio
esplicativo ad esso adegualo è non il concetto, bensì la volontà o, per
meglio dire, la potenza. Infatti il puro essere delle cose costituisce
per me un mistero fin quando esso ha carattere di bruto dato, di qualcosa
che è là senza partecipazione del mio volere, im- ponendosi anzi
secondo violenza a questo; breve: come una privazione della mia attività.
Mentre l’essenza posso pensarla e quin- di costruirla, l’esistenza
semplicemente la patisco — e per questo mi costituisce una oscurità. Si
imagini invece una situazione in cui possa connettere Tesserci delle cose
al loro volerle incondizionatamente, cioè in cui la mia volontà
avesse valore di potenza creatrice: allora la loro esistenza di fatto di là
dal loro concetto cesserebbe di essermi un mistero, essa al contrario mi
sarebbe perfettamen- te intelligibile — essa sarebbe spiegata. Essenza ed
esistenza hanno dunque per rispetti- vi principi esplicativi la
costruzione ideale opera del pensiero e la causazione reale l"[
0 pera della volontà. E questo è il secondo punto. Il terzo punto è il
seguente, che fra costru- F" nza od esistenza — non vi è
differenza di « nnlinnlo /lì errarlo I .MHpa ò fTÌà 1111
ideale e volontà creatrice — quindi fraatura. ma soltanto di grado.
L’idea è già un dell’affermazione reale; e la eosiddet- f* realtà
oggettiva non è che l’affermazione pii 1 intensa e
completa di quella potenza che forma elementare, determina la cosa sempliceinente
pensata o rappresentala. La realtà non è che l 'atto dell’idea, ciò in cui questa
individua ed esprime interamente sè, cosi copidea non è che una realtà in
potenza, os- sia U na realtà semplicemente abbozzata o al- lo stato
nascente. Fra l’una e l’altra non vi è dunque salto, vi è invece
progressività. Il penderò di cento talleri e cento talleri reali non sono
evidentemente la stessa cosa — ma ciò n0 n qualitativamente -- cosi come
potrebbe pensare chi crede che il pensiero, anziché un'Impotenza,
sia l’imagine impersonale di una realtà oggettiva -- ma intensivamente,
nel senso che i cento talleri reali sono la più profon- da, intensa
potenza, relativa propriamente all’atto magico, dell’affermazione
corrispondente ai cento talleri pensati. Ed ora uniamo questo risultato a ciò
che si è detto poco la. Vi è una esistenza che è morte,
privazione, irrealtà — e tale è quella corrispondente spontaneità
rappresentativa, residuo .yl prima epoca, in cui l’atto è passivo rispep
sé stesso, die l’Io non domina come il SUo gnore. Di questa esistenza non vi è
certeàjj vera: non dipendendo da me come la n»« ne o 1 emozione,
essendo un puro accade un principio di radicale contingenza la ripr e
i de. Vi è invece una seconda esistenza, che i quella che una
volontà elevatasi a pot eri2 può incondizionatamente produrre: sola
mi! te questa è propriamente esistenza, realtà ajJ solida, e
solamente di essa — ove si trova L nn giunto soltanto con se stesso in un
possesso ed in un dominio — l’Io può avere una reale) certezza. Fra
l’una e l’altra di tali esistenze vi è l’attività mentale propriamente
detta. J In altre parole: di là dal limite ideale del regno della pura
necessità — della natura e della spontaneità — come di là dalla
sua privazione, l’individuo fruisce nell’ordine razionale o ideale
di un primo grado dell’at- tualità sufficiente e della libertà.
Questo gra- do procede verso la sua perfezione nello svi- luppo
secondo cui la potenza si riafferma in livelli sempre più complessi e
profondi della spontaneità — dell’antica natura o dell’uni- versale
— fino a dominare lo stesso grado intensivo dell’esistenza reale. Allora
da oscura passione e da feroce deserto fatto di pii- Rione, il mondo si
farà l'atto stesso dell’individuo, ed in ciò sara redento e persuaso . .
. Ji l'Individuo Assoluto. Si può raccogliere insieme
nel modo se- dente quanto si è detto. Il punto di partenza è
l’universale, il qua- L nell’ordine della realtà non costituisce il
grado più ricco — come lo vuole il platonico — ma invece il grado più povero,
non il punto di arrivo, il terniinus ad quem, ma il punto di
partenza, il terniinus a quo. In esso s j ha infatti il semplice stato
dell’essere che trova sè stesso, che è pura spontaneità, che nini
si possiede ma, semplicemente, è. Stato di pienezza e di luce per l’io non
ancor nato, t presso al punto dell’individuale esso appare invece
come oscurità e morte. Cosi in un primo momento esso si dissolve nel mondo
della parvenza e della mera rappresentazione; in Jan secondo
momento viene sentito come passuine infinita, come il dolore cupo e muto della
privazione, come l’indicibile crocifissione nel mondo della necessità.
Ma, nata da lui, questa morte l’individuo la assume ora con gioia. Egli
è sufficiente ad essa. Egli sa che soltanto il suo proprio,
sovrannaturale valore l’essere fatto di possesso ne è la causa; egli
la riconosce come la materia, dalla q a . lo soltanto egli potrà trarre
lo splendore <ij una vita e di una realtà assolute. Ed
allora l’oscurità gradatamente si illumina, allora dall’abisso della
necessità sorge il fiore ferribile dell’individuo assoluto. Egli si erge lentissimamente
nel cielo senza stelle, liacndosj dalla vampa di ciò che egli divora
nella sua potenza. Le cose e gli esseri muoiono nell’intensità
vertiginosa di lui che, gradatamente, irresistibilmente, diviene — che,
spaventevoh nella sua purità, è signore del Sì e del K? Dominatore dei
tre mondi. E in lui, ente di possesso, ente che arde e fiammeggi,
il processo dell’universo avrà con il suo allo, la sua consumazione o
perfezione tinaie. Questo è, ad un dipresso, il senso del sistema che io
sostengo; nel quale da una parte ho cercato di fondere il problema
gnoseologico e il problema ontologico con quello etico e della
autorealizzazione o magico; dall’altra, di rivendicare il valore
dell’individuo e di fargli nascere la coscienza del suo compito e della sua
dignità cosmica. E’ ciò che io riconosco come verità, o, per meglio dire,
è ciò che io voglio come verità. L’individuo e il divenire del mondo, Roma,
Libreria di Scienze e Lettere. Race and the Myth of the Origins of Rome In his Life of ROMOLO, PLUTARCO
writes: ROMA would not have risen to such power had it not had, in any way, a
divine origin, such as to offer to the eyes of men something great and
inexplicable. CICERO repeats the same thing (Nat. Deor.) and then goes on to
consider (Har. Resp.) the Roman civilisation as that which surpassed every other
people or nation through sacred knowledge -- omnes gentes nationesque
superavivums. For the ancient Romans, SALLUSTIO has the expression “religiosissimi
mortales”. On the other hand, in our day, all of that is fantasy or
superstition for many serious persons and critical minds. The facts are the
only thing that count for them. The mythical traditions of the ancients have no
value, or they have it only insofar as it is supposed that, here and there,
they are confused reflections of real events, that is to say, tangibly
historical. There is, in that, a fundamental misunderstanding that is denounced
by Vico, then by Schelling, still more recently by Bachofen and, finally, by
the most recent school of the metaphysical interpretation of myth, and by those
little known today (Guenon,Otto, Altheim, Kerenyi, etc.). According to all
these philosophers, a mystical tradition is neither an arbitrary creation more
or less on the poetic and fantastic plane, nor a deformation or transpositions
of a historical element.. Especially in regard to origins, Bachofen points out
that a symbol or a legends, if only in a dramatised form, may represent
actually and truly the history of the beginnings of a nation. Not the history
of events occurring materially on earth, but rather of spiritual processes that
give birth to a people alongside other people although different in culture and
civilization. This is history, so to say, of its prenatal period. Legend and
history are tightly connected. The former proceeds through interiorisation and
is dispersed through images. The latter proceeds through exteriorisation as
facts, an action, or an event. An image is the result of a formative living
force. A fact is organised by human thought. In a legend, one is transported by
a formative force. In history, there is premeditated organisation of facts. But
the legend is a part and the root of history. A legend is not poetry. Rather, a
legend is a reality much vaster than history itself. The threads of the destiny
of a people that unravel in the most various ways in their historical development
go back to an impulse, to the creative sphere, to which the HERO of its legend is
connected. Bachofen thus reveals that, even at the point in which evidence, by
being recognised as a LEGEND, comes to be rejected by profane history, even
when it is a positive witness to the spirit of a people. In that way, a study
of a mystical tradition, using a different criterion, may lead us to an interesting
conclusion from the point of view of a theory of race that is similarly not
defined by the material aspects of the issues, but also addresses the inner
reality of race. We want to illustrate this interpretative method with the
birth of Rome -- applying it precisely
to the exegesis of the legend of our origins. The legend related to the birth
of Rome concentrates such a quantity of sensitive elements based on general
meanings of civilisations and mythologies of the Aryan people, that a full
seminar would be necessary to analyse them and clarify them adequately.
Therefore, I shall point out here only the most notable themes, among which
are: the miraculous birth, the theme of being saved by the waters, the wolf,
the tree, the rival pair of twins. The legend of the union of a god with a
mortal woman, in the present case, of MARTE with the vestal RHEA SILVIA, form
which union ROMOLO and REMO are born, recurs in almost all traditions in regard
to the birth of a divine heroes. GIOVE and LETONE give birth to APOLLO, GIOVE
and Alcmene to ERCOLE -- ERCOLE being the symbolic hero of the Doric-Achaean
Aryan peoples, and Apollo having a connection with the land of the Hyperboreans
and with the primordial Nordic-Aryan races. An analogous origin, in properly
Germanic traditions, is attributed to the heroic peoples of the Volsungs, to
which Siegfried belongs. In the ancient royal Egyptian tradition - whose remove
origin can with good reason also be considered to be Aryan and
Atlantic-Occidental - every sovereign is thought to have been begotten by a god
uniting with the queen. This is a mystical tradition in which the hidden
meaning of the LEGEND comes to the fore, inasmuch as a miraculous birth without
the help of a man, of a human father, is imagined. Since the queen has her
consort, the idea that her son was conceived by a god, being awaken to life by
her husband, could only indicate that he, not in his moral part, but so to say,
in that eternal and divine part, had to be thought of as a type of incarnation
of a decisive supernatural element that came to confer a royal dignity on him.
In the case of ROMA, therefore, MARTE is such an element from above, that is,
the divine representation of the principle of warrior virility. Such a force
stands therefore at the origins of the Eternal City and at the basis of its secret
origin, veiled by the legend: so that in some traditions form the era of the
Roman Republic itself, it will be directly conceived as the son of MARTE. And
this MARTE force is associated with those who may be the guardians of the
sacred flame of life; symbolically, with a vestal (RHEA SILVIA). The twins ROMOLO
and REMO are abandoned to the waters and are saved from the waters. Here again
is a symbolic theme recurring in many traditions. Moses is saved from the
waters, the Indo-Aryan hero Karna is left in a basket in the river and is saved
from the waters, and so on. But the symbol contained in the most ancient Aryan
tradition is especially important, i.e., the Vedic tradition, in which ascetics
are depicted as supreme natures who stand on the waters. Analogous explanations
and, therefore, the hidden meaning of such a symbol, can be clarified as
follows. The waters have traditionally always depicted the current of time,
i.e., the basic element of mortal, unstable, contingent, passionate, fleeting
life. The weak man is taken from the waters and carried from the waters. The
seer or HERO, the ascetic or the prophet is saved from the waters, or is
capable of standing on the waters, or of not sinking in the waters. Hence, in
the legend of the origins of Rome, this symbol must again characterise the
divine element of the founder of Rome, his, so to speak, super-natural dignity.
The twins find refuge near the fig tree – the “ficus Ruminalis” -- and are
suckeld by a wolf. The word “ruminalis” contains the idea of feeding: the
quality of “ruminus”, related to GIOVE, alluded to the quality of nourisher:
the god who gives nourishment in Latin. But this is the most elementary aspect
of the symbol. In general, in the most ancient traditions of the Aryan race,
the tree is the symbol of universal life, it is the tree of the world or the
cosmic tree. If it is in the form of a fig tree as it appears in the legend of
Roman origins, precisely as a “fico indico”, the Banyan tree, the ashwattha
tree - it is depicted as upside-down in the Indo-Aryan tradition to express
that its roots are from above, in the heavens. The idea of a mystical flood
from the tree is an often recurring theme: the myth of GIASONE, ERCOLE, Odin,
Gilgamesh, etc. Naturally, according to the races and their spirit, this then
present diverse variations. We know from the Hebraic myth that to pick and eat
from the tree in order to make oneself like god is considered as the principle
of guilt, abuse of power, and a curse.Things are conceived in a very different
way in the myths of the Aryan race and even in the paleo-Chaldean myth of
Gilgamesh. Also, in the legends of the Ghibelline Middle Ages, the heroic theme
prevails and the tree often appears as that of the universal empire, reaching
it in the symbolic lands of the mysterious Prester John means insuring the same
dignity that the ancient Ario-Iranian rulers associated with the title of king
of kings. Returning to our subject, in the legend of the twins at the origins
of Rome, we therefore have the allusion to a supernatural food from the Tree -
but also the Wolf. The symbol of the wolf, considered in its entirety and in
all the stories that refer to her, has an ambiguous character. LUCIANO and
GIULIANO recall that, in the ancient world, on the basis of the phonetic
resemblance between the two words, the idea of the “lupa” and of “luce” are
often associated – “lykos” – lizio --, which in Greek means wolf, sounds like “lyke,”
light. But there are also figurations of the wolf a sa hellish animal, as a
dark force. The wolf thus appears to us in the double aspect, symbol of a
ferocious and savage nature and also as the symbol of aluminous nature. This
duality is verifiable, not only in Hellenic-Mediterranean prehistory, but also
in the Celtic and Nordic. In fact, on the one hand in the Nordic-Celtic and
Delphic cults the wolf is connected to Apollo, i.e., to the Hyperborean,
Nordic-Aryan god, simultaneously conceived as the solar god of the golden age
and significantly associated by VIRGILIO with ROMAN greatness. “Sons of the
wolf”, on this basis, was a designation for warrior and heroic peoples of
Nordic-Germanic origins, designations that persisted even up to the epoch of
the Goths and Nibelungs. Yet, on the other hand, in the Edda, the age of the wolf
signifies a dark age, marking the epoch of the outbreak of savage and
elementary forces, almost of the power of chaos, against the forces of the
divine heroes, or Aesir. Now we can certainly also relate this quality to the
principle that, according to the legend of origins, fed the twins insofar as we
see it reflected in their very nature, that is, in the antagonistic duality of ROMOLO
e REMO, as related to us in the legend. As others already noticed, so also the
theme of a single principle from which an antithesis is differentiated, whether
depicted by the antagonism of twins or, in general, of a couple, is found again
in many traditions, and not rarely in respect ot particularly significant
moments for the origins of a given civilisation, race, or religion. For
example, we only recall that in the ancient Egyptian tradition Osiris and Set
are two brothers of discord - conceived as twins - and one incarnates the
luminous power of the sun, the other, a dark, “infernal”, principle, whose
generation is called the “sons of the impotent revolt”. Does not something
similar also show through perhaps in the ROMAN legend? ROMOLO is the one who
marks the contour of ROMA as the meaning of a sacred rite and a principle of
limit -- of order, of law - having received the right of putting his name to
the city form the apparition of the solar number, of the XII vultures. REMO is,
instead, the one who violates such a limit and is killed for this reason. One
could say that the primordial force of Roman origins thus are differentiated
and destroys the dark powers that are contained in themselves, affirms in its
luminous aspect of order, Olympian denomination, purified warrior force. There
have been attempts to see in the contrast between ROMOLO and REMO the
reflection of the contrast between opposed Aryan racial forces, or of the Aryan
type, and non-Aryan or pre-Aryan types. Research of this kind is without doubt
interesting. Problematic in its conclusions, if it intends to remain
exclusively on the plane of material facts, or archaeological and
anthropological evidence. It has greater possibilities if it also penetrates
legend in order to extract elements that integrate research in other domains.
Naturally, in order to accomplish that, it also needs to resolve to outline
general frameworks of various aspects of ancient Roman society, considering,
for example, with various philosophers, somewhat probable that the social
system of castes of ancient Rome has a racial substrate. In this totality, it
is interesting to examine the link between the two principles, whose symbolic
figurations could well be ROMOLO and REMO -- with the two hills Palatine and
Aventine. The PALATINO is, as we know, ROMOLO’s hill and the AVENTINO is REMO’s.
Now, according to the ancient Italic tradition, on the PALATINO, ERCOLE met the
good king Evander (who significantly founded a temple of the goddess Victoria
on the same Palatine hill) after having killed CACO, son of the Pelasgian
(pre-Aryan) god of the subterranean fire: and Hercules conquered and killed in
Cacus’ cave, located in the AVENTINO, and erected an altar to the Olympic god,
to whom he was allied according to the Hellenic legend. Researchers like PIGANIOL
are of the opinion that this duel between ERCOLE and CACO - with the
corresponding opposition of the PALATINO and AVENTINO hills - could be a mythic
transcription of the battle waged by peoples of opposing races. The mythic
legend of the origins of Rome is therefore saturated with deep meaning. The
triumph of ROMOLO and the death of REMO is the key to the origin hidden in
Romanity - and the first episode of a dramatic, outer and inner, spiritual,
social and racial battle, in part known, in part still enclosed in symbols or
in an event not yet penetrated with respect to their most essential aspect -
almost, we will say: with respect to the third dimension. Through this secular
battle, Rome rises gradually and asserts itself in the world as a triumphal
manifestation of a principle of light and of order, of an ethic and a vision of
life that, in its original and uncorrupted forms, is witness to the Aryan
spirit. And we know what it is, according to the most widespread tradition, the
conclusion of the legend of origins. It is the apotheosis of ROMOLO, ROMOLO
deified. He returned from the earth to heaven after his mortal part was
destroyed by means of the dazzling fire. So what has been treated is neither
fantasy, nor poetry, nor rhetoric. Analogous explanations recur in the
traditions of all peoples, according to a uniformity that should lead anyone to
reflection. Also in regards to ROMOLO, the legend contains a faith and a
spiritual certainty. It is the meaning of a reality that, freed from the person
and symbol, is not once, but will always be, and will always be present, in its
greatness beyond history, the race that knows how to recall the mystery. E. è stato il più importante teorico della rivoluzione
conservatrice in Italia. Nei suoi saggi filosofici si ritrova l'utilizzazione
consapevole della espressione «rivoluzione conservatrice», la base
teorica e i limiti entro cui ha senso tale definizione. Tuttavia, in E. la
rivoluzione conservatrice si dissocia nettamente dall 'ideologia italiana. La
sua elaborazione del concetto di rivoluzione conservatrice è attinta
direttamente dalla konservative Revolution tedesca, e ad essa si rifà
espressamente, pur con alcune specifiche motivazioni. In secondo luogo, l’idea
di rivoluzione conservatrice in E. si situa in una linea fortemente
critica verso la tradizione teorica e storica italiana. A cominciare
dall’idea stessa di nazione, di cui E. sottolinea l'eredità giacobina,
egli sottopone a una critica serrata tutte le stazioni più importanti
della ideologia italiana: la critica del Risorgimento, che pure è ricorrente in
tutta l’ideologia italiana, è condotta da E. non più nel nome dell’inveramento
del Risorgimento, inteso come radicalizzazione o correzione di rotta,
ma diviene rifiuto e negazione del Risorgimento, visto come la traduzione
nazionale della rivoluzione francese, e rigettato come l'espressione di
un liberalismo anti-tradizionale. Qui E. accoglie l'eredità del pensiero
contro-rivoluzionario e si situa nettamente nel solco della tradizione
reazionaria, pur non condividendo il riferimento cattolico e cristiano
che la sottende. Critiche non meno nette E. rivolge al processo unitario
post-risorgimentale e a tentativi come quello crispino di generare una
sintesi tra nazional-populismo e autoritarismo. Ma la critica di E. non si
arresta nemmeno alle soglie del FASCISMO, a cui pure il suo nome è solitamente
associato. Quasi tutta la critica evoliana verso il fascismo gravita
proprio sul tentativo fascista di costituire una ideologia italiana o di
inserirsi nella tradizione italiana, sia verticalmente, cioè come
recupero della storia italiana, sia orizzontalmente, come tentativo di
integrare le masse e tutte le diversità in una comunità nazionale. Per E.,
il fascismo non avrebbe dovuto abdicare al suo ruolo di MINORANZA attiva,
di aristocrazia, di OTTIMATI, avrebbe anzi dovuto accentuare la sua diversità,
da quel che costituiva la linea italiana risorgimentalista. La
critica di E. all'ideologia italiana, così implacabile, sconsiglierebbe dunque
di ritrovare nella sua filosofia i lineamenti di quella rivoluzione
conservatrice -- il filo rosso della storia italiana. Le sue scelte lo
porterebbero, piuttosto, nella linea di de Maistre e de Bonald o di larga parte
della filosofia mitteleuropea. Ma a questo punto si dispiega uno dei
maggiori paradossi della dottrina politica evoliana: quanto più E. teorizza una
tradizione radicalmente diversa dalla modernità e integralisticamente depurata
da ogni scoria di pseudo-tradizionalismo» nazionalista e risorgimentale,
tanto più Evola coniuga l’idea della tradizione con posizioni che appartengono
al mondo della rivoluzione. Rivolta, anomìa, anarchismo di destra,
nichilismo attivo sono ricorrenti espressioni della filosofia evoliana che
segnano un indubbio recupero della dimensione rivoluzionaria. Questo dualismo,
solitamente, è stato attribuito a due tappe differenti e fondamentali della
filosofia evoliana, e identificate l’una ne “Gli uomini e le rovine”, e l'altra
in “Cavalcare la tigre.” Ma, più vastamente, l’intera opera evoliana si
dispiega all’interno di un orizzonte antinomico, tra rivoluzione e tradizione,
se si considera l'esperienza pittorica dadaista, fortemente eversiva, il
periodo filosofico, con sostanziali elementi rivoluzionari e stirneriani,
la valorizzazione del tantrismo nel suo aspetto più distruttivo (la via
della mano sinistra). Elementi che convivono nell’opera evoliana con la
ricerca e l'affermazione della tradizione, il primato dell'essere, il recupero
della dimensione metafisica; o nel mondo politico con il richiamo a una
concezione fondata sull'autorità, l’ordine e la gerarchia. Sul piano della
dottrina politica, l'aporia può forse trovare agevole soluzione
se si tiene presente che, in un mondo sconsacrato e secolarizzato, la
tradizione non può che rivelarsi come una rivoluzione e attraverso la
rivoluzione. Il ritorno alla tradizione, in questo contesto, sarebbe infatti un
evento di rottura, una radicale inversione di rotta rispetto alla realtà
presente. La rivoluzione sarebbe dunque per E. il rigetto del presente
nel nome del passato; rivoluzione-restaurazione, ovvero rivoluzione nel senso
dell'astronomia classica, come già ripete E.. In uno scritto divulgativo,
tra gl’ultimi di E., il pensatore tradizionalista afferma. Se si vuole,
ci si può riferire alla formula, solo in apparenza paradossale, di
una rivoluzione conservatrice. Essa concerne tutte le iniziative che si
impongono per la rimozione di situazioni negative, fattuali, necessarie
per una restaurazione. In linea di massima, si può riconoscere la
coerenza di questa posizione e il rigoroso uso dell'espressione di rivoluzione
conservatrice. Tuttavia, soprattutto se si tiene conto dell'orizzonte di
pensiero in cui E. utilizza questa definizione, i due piani di
rivoluzione e tradizione non sembrano poi così nettamente delineati e
divisi. In E. vi sono interpolazioni e attraversamenti: talvolta la
pratica rivoluzionaria finisce col rivoltarsi contro gli stessi principi
tradizionali e finisce con l'assumere valori autonomi. L’anomìa finisce con l’essere una
pericolosa arma a doppio taglio. E dall’altra parte, soprattutto
nell’ultimo E., il metodo rivoluzionario risulta spesso alterato o addirittura
soppiantato da una scelta pratica di tipo conservatore, fondata sui
parametri del salvare il salvabile, preferire il male minore, allearsi
con i moderati per combattere la sovversione, eccetera. A parte questi
sconfinamenti, peraltro marginali se si considera l’itinerario evoliano nel suo
complesso, E. si pone legittimamente come il teorico principale della
rivoluzione conservatrice vista da destra. Il suo pensiero è alle origini
sia dell’integralismo di destra che del modernismo di destra -- in parte
defluito da destra. Non si potrebbe infatti comprendere il neo-tradizionalismo,
anche quello cattolico, senza transitare per le opere di E. imperniate sui
valori della tradizione. Ma dall'altro verso non si potrebbero
comprendere neanche i fermenti della cosiddetta nuova cultura, della nuova
destra o i tentativi di andare al di là della destra e della sinistra,
senza risalire a quel filo rosso che scorre dall’E. dadaista e
iconoclasta all’Evola filosofo, al seguace del tantrismo e soprattutto
all’autore di Cavalcare la tigre. Da entrambe le posizioni, neo-tradizionaliste
e moderniste, si sono staccate frange opposte e simmetriche, che hanno
parimenti rifiutato l'eredità evoliana, l'una nel nome della tradizione
cattolica, l'altra nel nome della modernità assurta a valore. Se il
linguaggio non e improprio e desueto, si potrebbe dire che la sua opera genera una
destra e una sinistra evoliana. È curioso osservare che i modernisti di
destra ripercorrono, pur con specifici tratti, lo stesso cammino già
percorso da un certo radicalismo di destra che trova in Evola elementi per
fondare una scelta rivoluzionaria in senso nazional-popolare. Il
cammino dei modernisti di destra si rivela come la versione debole (e
quindi più intellettualistica, più dolce nel metodo e più esitante) di quello
stesso processo di modernizzazione del pensiero evoliano, la cui versione forte
è costituita proprio dal rivoluzionarismo nazional-popolare. I vari filoni
dipartitisi d’E. ritrovano oggi sul loro cammino gli stessi incroci in cui si
dibatte la filosofia evoliana: trasgressioni e fedeltà, soggettività e tradizione,
organicismo senza statolatria, ricomposizione comunitaria ed élitismo,
rigetto dell’ideologia italiana e insieme esigenza di radicarsi nel
tessuto reale di que sta società, e così via. Le contraddizioni, mutatis
mutandis, sono ancora le stesse. Per ripercorrere queste stazioni cruciali
della filosofia evoliana, e proficuo attraversare le principali interpretazioni
critiche della filosofia d’E. che si possono ricondurre a quattro tesi
fondamentali. In primo luogo, l'interpretazione di E. come maestro eretico
del pensiero negative. In secondo luogo, E. visto come teorico di un neo-paganesimo
anti-cristiano e anti-trascendente. In terzo luogo, Evola visto come un
gentiliano minore che tenta invano di superare l'attualismo. Inine, E. visto
come l'ispiratore del neo-nazifascismo. L’accostamento tra E. e il pensiero
negativo si può far risalire al tempo della contestazione, quando
qualcuno ravvisò impressionanti simmetrie tra il pensiero evoliano e il
pensiero di MARCUSE. Simmetrie che lo stesso E. non ha mancato di sottolineare,
seppure rimarcando la radicale divergenza di fondo. Di quel parallelo
aveva parlato qualche anno fa GALLI, soffermandosi soprattutto sulle sue
valenze politiche. Da un punto di vista filosofico la collocazione di Evola
nell'alveo del pensiero negativo è stata recentemente proposta da MANCINI e CACCIARI.
Entrambi scorgono in NIETZSCHE il crocevia della filosofia negativa. Dopo NIETZSCHE,
si potrebbe quasi parlare di un pensiero negativo di sinistra che coniuga
Nietzsche con MARX, Freud e al limite STIRNER, e che si esprime, soprattutto,
ma non solo, con la triade francofortese Adorno, Horkheimer e Marcuse; e un
pensiero negativo di destra che coniuga Nietzsche con i valori
tradizionali e che si esprimerebbe tra gli altri con E., JUNGER e larga
parte del pensiero rivoluzionario-conservatore. Quale sarebbe il filo comune
del pensiero negativo? In primo luogo, la critica radicale della ragione
e delle pretese sintetiche e costruttive della razionalità. In
secondo luogo, lo smascheramento della civiltà moderna e borghese e la rivolta
contro la nostra società. In terzo luogo, lo sfaldamento della fiducia nel
progresso ma anche negli antichi appoggi; la crisi del principio di
identità e di non contraddizione; indi, la concezione conflittuale e
catastrofica della storia. E scavando più a fondo si giunge alla matrice
del nichilismo: la morte di Dio, la perdita del reale, del senso e degli
scopi, l'incertezza esistenziale, l'oscuramento della metafisica. I due
versanti del pensiero negativo sarebbero dunque compresi nell’alveo del
nichilismo. Soltanto che il versante destro del pensiero negativo, a
cominciare d’E., per estendersi a buona parte della rivoluzione
conservatrice, tradirebbe Nietzsche, mascherando il nichilismo nell'irrazionale
e nella retorica dei valori. A questo punto le conclusioni di un MANCINI
conducono a una condanna senza appello del pensiero evoliano, le conclusioni di
CACCIARI conducono invece a un appello senza condanna agli evoliani:
liberatevi dal camuffamento irrazionalistico, liberatevi dalle
vostre certezze che reggono solo sulla retorica, e procedete con occhio
sgombro verso un sapere senza fondamenti, verso un nichilismo consapevolmente
vissuto e accettato come destino finale. In fondo il discorso ruota
intorno a un’equazione tutta da dimostrare: l'equazione, appunto, tra E.
e il pensiero negativo. È necessario dunque affrontare la differenza
radicale che allontana E. dal pensiero negativo. Una differenza di provenienza
e di approdi, di metodi e di aperture. È certamente vero che il pensiero
negativo e il pensiero evoliano nascono entrambi come filosofie
della crisi. Ma la crisi del pensiero negativo è la crisi di una razionalità
che ha perduto la ragione, di una dialettica che ha perso la possibilità
della sintesi, di un materialismo che ha perduto la materia, di un
orizzontalismo che ha perduto orizzonti, di una rivoluzione che ha
perduto il progetto. La crisi da cui nasce il pensiero evoliano è invece
la crisi di una trascendenza che ha perduto Dio, di un verticalismo che
ha perduto il suo vertice, di un eroismo che ha perduto gli eroi, di un
Olimpo che ha perduto gli dei, di una tradizione che ha perduto i
suoi templi, i suoi riti e i suoi uomini. Da una parte è l’orfanità della
ragione che incita a ripensare i miti. Dall'altra parte l’orfanità del mito
che spinge a cercare le ragioni. In entrambe si assisto al disormeggio
della storia secondo la suggestiva espressione di CIORAN. Da una parte in E. la
tradizione sembra smarrire gl’anelli che la congiungono al presente. Dall’altra
parte nel pensiero negativo il progresso si separa dall’ottimismo e dal
migliorismo storico e scivola nella catastrofe, nel vuoto. Ma differente è
pure la reazione alla crisi. Il pensiero negativo diviene pensiero della
liberazione trasgressiva, sollecita a liberarsi dai vincoli della realtà e
della ragione, oppone la ragione distruttiva come risposta alla
ragione decretante. Opposta appare invece la reazione evoliana alla crisi.
Alla liberazione dal destino si oppone qui l'accettazione del destino, la
fedeltà ai valori oscurati, l’azione nonostante i frutti, la risposta
eroica al nichilismo. Entrambe le vie germogliano dunque dalla crisi:
ma il pensiero evoliano induce a vivere come se i valori esistano. Il
pensiero negativo induce a vivere come se non abbia importanza avere
valori. E. scommette sui valori, il pensiero negativo rigetta la scommessa come
insignificante, fuorviante, mistificatrice. Nel pensiero negativo il
nichilismo è pensato e vissuto come esito finale; nel pensiero evoliano il
nichilismo è inteso come prova del fuoco, come deserto da attraversare.
L’esperienza del nichilismo è rivolta in E. a fortificare il bagaglio
interiore, a essenzializzare la vita, a denudare i valori dalle incrostazioni,
per ricondurli alla nudità originaria. Il nichilismo, secondo questa
prospettiva che E. coglie da Nietzsche, dovrebbe rafforzare ciò che non riesce
a spezzare. Il pensiero evoliano ha Nietzsche alle sue spalle, ombra
titanica che si allunga sul suo cammino; il pensiero negativo trova
invece Nietzsche davanti a sé, scoglio insormontabile per la ragione
dialettica. Ciò che in E. è punto di partenza, che pure si allunga su tutto
il percorso, nel pensiero negativo è punto d'arrivo, oltre il quale
non si può andare. Non è un caso, poi, che il pensiero negativo si definisca
tale, laddove il pensiero evoliano si autodefinisce magico: il pensiero magico
è per sua stessa vocazione rivolto a comporre, a ordinare il mondo
e non a disfarlo, a rivelare la sua segreta armonia, a concepire la libertà
come attività produttiva e creativa. Il pensiero magico risale dal caos
al cosmos, dal conflitto all’armonia, ponendosi infine come pensiero
costruttivo, pensiero positivo. Il pensiero negativo al contrario dissolve il
cosmos nel caos, nell'armonia scorge il contrasto, eternizza il conflitto e la
catastrofe, definendosi infine come pensiero distruttivo. Nel crocevia tra
magia e trascendenza, il pensiero evoliano si inviluppa in alcune contraddizioni:
le forti aporie tra senso della trascendenza e immanentismo volon¬
taristico che si esprimono nell'Autarca, le tentazioni faustiane, il
pericoloso velleitarismo di chi vuole traversare l'abisso, l'etica della
disperazione che si risolve talvolta in Evola in uno spiritualismo nobile ma
cieco, che rigetta i frutti e le prospettive. Ma pur nella contraddittorietà
delle posizioni ciò che distingue radicalmente E. dal pensiero negativo risale
a una opzione di fondo: è la opzione della trascendenza che conduce
Evola alla riscoperta del sacro. La trascendenza resta una dimensione
assente nel pensiero negativo in virtù di una originaria opzione
immanentistica mai smentita. La f iducia in una «più che vita», la
scommessa sull’immortalità, la certezza del sacro, il culto dell'invisibile e
de fì'eterno, accend on o in Ev ola un bag lioré metafisico che non é flato tr
ovare, n el pensi ero negativo. Alla luce del sacro, la stessa concezione
eroica esce dal campo del puro arbitrio, della mera retorica, del volere
autarchico, per farsi essa stessa segno di quella certezza metafisica e
metaesistenziale, espressione e testi¬ monianza che pure vacillando nel
vuoto, la strada percorsa è quella che sale. Occupandosi del radicalismo di
destra, Civiltà Cattolica ha individuato in E. il principale ispiratore
di una nuova destra fortemente anticristiana e neo-pagana . Le argomentazioni
condotte a rinforzo di questa tesi erano attinte quasi interamente dalla
lettura di iperialismo pagano. Che in E. vi sia una forte ascendenza di tipo
pagano è certamente fuori discussione: la grande valutazione del mondo greco e ROMANO,
l’esaltazione della spiritualità nordica, il risalto attribuito alla figura di
Federico II, sono solo alcuni tra i segnali di questa ispirazione pagana del
pensiero di E.. Tuttavia l’interpretazione di E. come padre di un
neopaganesimo anticristiano, è semplicistica e a tratti fuorviante. Vi è
in primo luogo una ragione metodologica: non si può valutare il pensiero
evoliano soffermandosi sulla lettura di Imperialismo pagano, un saggio che
E. scrive non ae che in seguito disconobbe. Imperialismo pagano è un pamphlet
fortemente polemico che risente degli umori del tempo e che si inserisce nel
dibattito preconciliare. Imperialismo pagano è un'opera certamente minore rispetto
ad altre opere evoliane di spessore ben più notevole. Per comprendere E.
bisogna transitare almeno da altre cinque, sei opere ignorate da Civiltà
Cattolica. In secondo luogo, il pensiero evoliano si alimenta di
correnti e torrenti che sarebbe improprio definire di tipo pagano: la
tradizione gnostica e orfica, pitagorica, la metafisica orientale, il
buddismo. Se si vuol definire pagano, nel senso di anti-cristiano,
tutto ciò che non è cristiano, si finisce nel più piatto manicheismo.
In terzo luogo, dal complesso dell'opera evoliana non si può
dedurre un orientamento anti-cristiano e ancor meno un orientamento anti-trascendente.
Altrimenti non si comprenderebbe in Evola la lettura dei mistici
cristiani, l'influenza di certo gnosticismo cristiano, l’attenzione positiva
verso pensatori come Meister Eckart e SAN GIOVANNI DELLA CROCE, la grande
influenza di Carlo MICHELSTAEDTER che rivela profondissime tracce di
cristianesimo. E non si comprenderebbe il carteggio evoliano con
REBORA, il ritiro di E. in un convent, la sua difesa della Chiesa del
Sillabo (se la Chiesa fosse ancora quella del Sillabo — afferma E.—
non ci sarebbero esitazioni a schierarsi dalla sua parte per affermare i
valori della tradizione»), ma anche della fede cristiana e del suo significato
nella nostra epoca sconsacrata. E non si comprenderebbe infine per
quali misteriose ragioni la lettura di Evola sia stata per molti una
stazione d i transito ve rso una riconversion e al cattolicesimo -- una
riscoperta del sacro e del trascendente, del rito e dell aJracE zionèr
Sarà un paradosso^lha mòTti dfcoTo- ro che hanno poi criticato il
pensiero evoliano alla luce del cattolicesimo tradizionale, devono a E. la
conoscenza di autori come de Maistre, Donoso Cortes, de Bonald. È poi
significativo che E. condanni le franga moderniste [del cristianesimo ,
colo ro che riducono la religione nell’orizzonte immanentistico de l
messaggioso . ciale, la stòricizzazione e l’umanizzazione del divino,
la teologia dellà morte di Dio, la razionalizzazione dei principi e delle
tradizioni, la confusione del cr stianesimo conjun moralistico
sentimentalism o borghese. In E. permane, certamente, un senso di
estraneità al cristianesimo, ma non di ostilità; vi è un differente tipo di
spiritualità che trae alimento da differenti tradizioni. Nel cristianesimo
E. denuncia la mancanza di una dottrina esoterica che possa affiancarsi
alla religione fideistica e devozionale. Appare quindi improprio il
tentativo di demonizzare il pensiero evoliano come l'espressione di una rivolta
anti-cristiana con esiti immanentistici. Questa riduttiva interpretazione del
pensiero evoliano rimanda a un'antitesi più vasta e insensata quando pretende
di essere assoluta: l’antitesi tra paganesimo e cristianesimo alla cui
radicalità mostrano di credere da un verso Civiltà Cattolica e dall'altro
verso alcuni esponenti della nouvelle droite, a cominciare da de Benoist.
L'antitesi autentica e radicale della nostra epoca, in realtà, non è tra
paganesimo e cristianesimo ma tra sacro e nichilismo, tra vocazione alla
trascendenza e sfaldamento nell'immanenza. Per un autentico spirito
cristiano la santità è intesa come il culmine del sacro, è il gradino
supremo in cui il sacro si incarna nell'umano e si palesa nel mondo;
per una autentica religiosità di tipo pagano, la santità è una
delle più alte manifestazioni del sacro. Per entrambi resta essenziale
l'antitesi tra sacro e nichilismo. Per una spiritualità di tipo cristiano il
senso elèi sacro può dirsi quasi il rosminiano sentimento fondamentale,
quell'innata vocazione metafisica sulle cui basi si eleva poi la fede
cristiana. Per una spiritualità di tipo pagano, il sacro può intendersi non
come la base ma come il vertice verso cui convergono le religioni, il
principio metafisico di cui le religioni sono bracci, manifestazioni,
assi di una ruota. Nel pensiero contemporaneo, la distinzione di campo più
rigorosa è senza dubbio quella tra pensiero ispirato alla trascendenza e
pensiero esaurito nell’iimmanenza, tra pensiero fondato metafisicamente
(proteso verso l'essere) e pensiero senza fondamenti o comunque fondato
storicisticamente, vitalisticamente e materialisticamente (risolto dentro il divenire).
In questa distinzione di campo, il pensiero di E. ritrova una identità
molto diversa da quella che gli viene attribuita da Civiltà Cattolica e da
taluni esponenti del «neopaganesimo». Vi sono certamente alcune
cadute immanentistiche e superomistiche nel pensiero evoliano che in un
pensatore come GUENON, ad esempio, non sono presenti: ma il pensiero di
Evola rischia l’impurità e talvolta l’incoerenza perché si cimenta con la crisi
contemporanea. È una scommessa più difficile quella di E., un cammino più
arduo: attraversare il nostro tempo. Questa sua scommessa può essere
intesa come la sua peculiarità più feconda e insieme come il suo limite
più netto: ma, in ogni caso, il pensiero di E. si incammina sul l a s
trada, del sacro. Un autorevole filosofo come NEGRI ha individuato in
Evola un «gentiliano minore» che tenta invano di superare l'attualismo.
L’interpretazione di NEGRI ripercorre i sentieri già solcati da SPIRITO,
CARLINI, E SCIACCA che appunto a GENTILE avevano ricondotto il pensiero
di E.. Che l’ombra gigantesca di Gentile si allunghi su tutta la filosofia
italiana può essere difficilmente confutabile. Persino lo spiritualismo
cattolico o la filosofia della prassi di GRAMSCI mostrano i segni di quella
influenza. Ma che vi siano specifiche e preponderanti tracce di influenza
su Evola è largamente inesatto. Si deve anzi osservare il fenomeno
opposto: forse non è mai accaduto che due pensatori, vissuti nello
stesso tempo e nella stessa nazione, associati seppur genericamente in
uno stesso indirizzo «filosofico» e in uno stesso ambiente
storico-politico, siano stati così lontani come Gentile ed E.. Alle
sorgenti della formazione evoliana vi sono correnti e autori in larga parte
estranei a Gentile. Manca a Gentile il riferimento alla metafisica
orientale, al pensiero tradizionale e legittimista, a Stirner, a
Nietzsche, a Bachofen, a Weininger, a Michelstaedter e a tutta la
grande cultura mitteleuropea, a cominciare da Spengler e Junger. E
manca a Evola la lettura del pensiero risorgimentale, l’influenza di SPAVENTA e
di MAZZINI, di GIOBERTI e di ROSMINI, il confronto con la filosofia di
Marx e con lo storicismo, che sono invece determinanti nella formazione
di Gentile. I riferimenti comuni si limitano a certi autori
dell'idealismo tedesco. In E. l'idealismo è un episodio, seppure
notevole, inserito in un altro episodio, seppure importante, quale è il
suo periodo filosofico. Se si prescinde dalle coordinate extrafilosofiche, si è
già lontani dalla comprensione del pensiero evoliano. Inoltre, va
ricordato, della filosofia evoliana si occupa CROCE ma non se ne occupò mai
Gentile, che non vi riconobbe mai alcuna parentela. E della filosofia
gentiliana, Evola se ne è sempre occupato in chiave critica. I suoi rilievi, le
sue critiche all’attualismo sono notevoli, radicali e tutt’altro che
superabili. Sul piano storico, Evola condanna del fascismo quel che
Gentile approva o addirittura egli stesso ispira. E le distanze con
Gentile non si attenuarono nemmeno quando il vento del CONCORDATO
condusse Gentile ed Evola a scontare una comune emarginazione. Come
per Gentile, anche per Evola il fASCISMO e inteso come una rivoluzione
conservatrice, anzi una restaurazione. Ma restaurazione non della tradizione
italiana esaltata dal Risorgimento e dalla filosofia nazionale, come vuole
Gentile, ma restaurazione di LA TRADIZIONE ROMANA e ghibellina. Ovvero
una restaurazione così radicale che finisce con l'essere una rivoluzione
rispetto al passato più prossimo. Nel momento in cui E. superava Gentile in
radicalismo restauratore, lo supera al contempo in radicalismo rivoluzionario. Va
infine considerata l'evoluzione storico-politica del pensiero evoliano in
senso aristocratico e tradizionalista, che diverge nettamente dall'evoluzione
gentiliana verso l'umanesimo del lavoro. In definitiva, se è
riduttivo chiudere il pensiero evoliano nell alveo dell'idealismo, è
doppiamente riduttivo e fuorviarne considerare la filosofia di E. alla stregua
di un attualismo malriuscito, un tentativo velleitario di superare Gentile. In
E. vi è ben altro. Per un tempo, E. è stato conosciuto come l'ispiratore
dell'attivismo neo-fascista e neo-nazista. Una definizione canonica che ha
dominato nel giornalismo e nella cultura politicante, che ha trovato la
sua giustificazione teorica in filosofi come JESI ma una definizione che
ancora resiste, come dimostrano certi interventi al convegno di Cuneo sulla
cultura di destra o certe pagine di un volume collettaneo sulla destra
radicale. In realtà, se vi è stato un autore di destra che più
ha contribuito à scongelare il neofascismo dall’ibernazione nostalgica,
questi è stato proprio E.. Da figla prima di ogni altro filosofo, la
destra ha imparato a leggere IL FASCISMO e il nazismo in
chiave critica, anche se la critica di E. ai due fascismi é pur
sempre dal punto di vista della destra, Leggendo il fascismo di Evola, le
sue Note sul Terzo Reich, la sua critica al nazionalismo e alla
statolatria, al bonapartismo e al populismo fascista, al razzismo biologico e
agl’isterismi del Fuhrer, all'idealismo gentiliano e al sentimentalismo
cristiano-borghese, conoscendo le difficoltà che Evola dovette affrontare
durante il regime fascista, il radicalismo di destra ha avvertito l'esigenza di
rivedere il proprio patrimonio ideale e storico. E leggendo E.,
quella destra ha cominciato a conoscere orizzonti più vasti, prospettive
storiche e meta-storiche più ampie, nel tempo e nello spazio. Ha conosciuto filosofi
e tradizioni che con il fascismo poco o nulla avevano a che vedere. Si
deve principalmente a E., alle sue letture e alle sue divulgazioni, alle
sue traduzioni e ai suoi riferimenti, se quella destra ha potuto
conoscere ampi filoni della cultura mitteleuropea, a cominciare dalla
konservative Revolution, grandi pilastri della sapienza orientale, solidi
pensatori legittimisti e tradizionalisti. In secondo luogo, se vi è stato
un autore di destra che ha meno sollecitato l'attivismo, questi è stato
proprio Evola. Se un limite si deve individuare nella lezione politica di
E. esso è piuttosto di segno contrario: coloro che si sono avvicinati a Evola
si sono solitamente allontanati dall’attivismo politico. Ci si avvicinava
a E. alla ricerca di fondamenti per la propria scelta politica: ma la
radicalizzazione del Politico è coincisa con il rigetto della politica.
La lettura del pensiero evoliano ha avuto infatti un esito
generalmente impolitico. Quando E. richiama tradizioni lontane nello
spazio e nel tempo, remote età dell'oro, inaccessibili vette del grande passato
di cui non sopravvivono più neanche tracce e vestigia, né riti né
fiaccole viventi, la tradizione finisce di essere una radice per
diventare un'idea, cessa di essere una trasmissione di valori per convertirsi
in una rappresentazione concettuale, si estingue come pratica viva e
rituale per ridursi a un oggetto del puro pensare. Tradizione è
collegamento e qui diventa isolamento, è apertura verso il mondo e qui
diventa solipsismo, è anello di congiunzione e qui diventa rottura con
il tempo. Quando Evola definisce la tradizione una discesa
dell’Individuo assoluto nella concretezza storica, priva la tradizione
del suo significato metastorico e metafisico, riduce la tradizione o
travestimento dell'io, a una volizione del soggetto. Non vi è alcuna
tradizione che possa ricondursi a una soggettività. Ogni tradizione
si incarna e trascende i membri di una COMUNITA. Altrimenti tradizione
non è. Quando E. ripropone la dottrina tradizionale dei cicli storici, delle
quattro età, e ci ricorda che viviamo nell'età oscura, ci conduce davanti
a un paradosso insolubile. Se aderisco fedelmente alla dottrina, devo
convincermi che io non posso modificare il corso metafisico delle epoche, e
quindi inutile sarà la mia azione politica, il mio impegno nel mondo. Se
viceversa penso che gl’individui possono cambiare radicalmente il corso
dell'epoca, la dottrina perde il suo vigore metafisico e la tradizione si piega
ancora una volta al soggettivismo volontaristico. Quando E.
sostiene che il fascismo sia stato rovinato dalla natura del popolo italiano,
può avere ragione sul piano della pura teoria, ma esprime un'osservazione
impolitica, riduce il fascismo a una pura categoria dello spirito, astratta
dalle coordinate storiche e temporali. La politica agisce in un dato
tempo, in un dato spazio e in un dato popolo: se si dice che il tempo, lo
spazio e il popolo sono inadatti per quell'idea si fa dell’idealismo
assoluto, e si è decisamente lontani da ogni considerazione politica. Non
può esistere una politica sradicata dalla storia e dalla natura degli
uomini su cui vuole agire. Quando E. sostiene che la nostra patria
non deve essere quella sancita dalla nostra appartenenza naturale e
territoriale, ma la vera patria è l’idea, riduce la patria, e la stessa
tradizione, a un'essenza disincarnata; riduce il radicamento, architrave di
ogni tradizionalismo, a puro convincimento intellettualistico. Sulla scia
di queste aporie ha serpeggiato tra molti evoliani una forma di
pessimismo assoluto, una specie di antiprovvidenza che vuole i migliori
sempre perdenti, poiché il successo di un’idea, nel nostro mondo sconsacrato,
sarebbe il segno del suo scadimento. Se la verità è ciò che si oppone alla
storia, è fatale che la via della verità diventi la negazione della
storia. Si è così insinuata una cultura della disperazione, il mito dell’eroe
perdente, del profeta inascoltato, del suicida veggente. Senza una adeguata
mediazione, questi orientamenti evoliani conducono fatalmente a un esito
impolitico. E conducono a quei due opposti equivoci che inibiscono
oggi il rapporto tra la cosiddetta destra radicale e la politica: da un verso
lo sradicamento e dall'altro l’ibernazione. Da una parte nasce il
tradizionalismo immobile, che per inseguire il soprastorico scivola
nell'a-storico, il tradizionalismo chiuso a ogni forma di attivo impegno
nel mondo e dunque un tradizionalismo senza tradizione perché senza
continuità effettiva. Ma dall'altra è nato il tentativo di disancorare la
storia dalla tradizione, di liberare l’impegno civile e politico da
ogni punto fermo, di emanciparsi da ogni appartenenza radicata. I
due pericoli sono opposti nello sviluppo ma uniti nella genesi: entrambi
nascono dalla convinzione che vi sia una frattura insanabile tra il mondo
dei valori e il mondo dei fatti, tra l’ideale e il reale, fra la tradizione e
la storia. Partendo entrambi dalla constatazione di questa
frattura, le strade poi divergono: i primi seguono la via dell’imbalsamazione,
del dogmatismo e fatalmente approdano all'isola immobile dell’impolitico. I
secondi scelgono la via della liquefazione, del relativismo e finiscono
poi a inseguire il successo ad ogni costo, prescindendo dai motivi di
fondo per cui il successo avrebbe un senso. I due comportamenti sono
fondamentalmente contrassegnati dall'individualismo e si rivelano letteralmente
schizofrenici. Nascono infatti da una dissociazione di fondo tra pensiero e
atto, idea e realtà, essere e dover essere. L'esito dei primi è segnato
dall'idealismo, con la tradizione ridotta a pura rappresentazione mentale
e soggettiva, disincarnata dalle sue forme visibili, sensibili e
comunitarie. L'esito dei secondi è il nominalismo, la riduzione dei valori a
strumenti di locomozione, a convenzioni e volizioni del soggetto.
In questo senso va ripensata non solo la frattura posta da E. tra i
valori della tradizione e gli strumenti della modernità. Ma occorre
rimeditare anche lo iato sancito da E. sul piano storico-politico tra
rivoluzione conservatrice e ideologia italiana. Una frattura,
quest'ultima, che ha contribuito non poco a generare a destra quel
rigetto della tradizione nazionale e quella ricerca di autori e modelli
attinti da altre tradizioni e da altri paesi. Nell'opera in cui Evola
teorizza esplicitamente i lineamenti di una rivoluzione conservatrice,
vale a dire Gl’uomini e le rovine, è ribadita con forza la frattura tra ideologia
italiana e rivoluzione conservatrice. Dopo aver spiegato il senso in cui
si può positivamente parlare di rivoluzione conservatrice, E. aggiunge. Pel
vero conservatore rivoluzionario è questione di una fedeltà non a forme e
istituzioni di tempi trascorsi bensì a dei princìpi. Affermazione che già
presenta l’insidia del puro idealismo ovvero il disancoramento della tradizione
dalla storia; ma, al limite, si può ancora condividere soprattutto se si tiene
conto del passaggio da una veduta integralmente tradizionalista, e quindi
fondata sulla continuità, a una veduta rivoluzionaria conservatrice, e quindi
fondata sulla consapevolezza di una frattura verificatasi fra tradizione e
modernità. E ancor più si può comprendere e apprezzare il riferimento
evoliano se si ha presente il contesto a cui E. si rivolge: riferendosi
agli ambienti del neo-fascismo, E. invita a non confondere la difesa di valori
con la nostalgica difesa di regimi e istituzioni che non sono più
presenti. Quello di E. e un passo forse troppo prematuro, per dissociare
il mondo rivoluzionario-conservatore di destra dal puro nostalgismo.
Ma E. si spinge ancora ben oltre. Egli giunge ad affermare che la
componente rivoluzionaria presente appunto nella rivoluzione conservatrice, va
intesa nel senso di fare tabula rasa della storia per lasciare il
posto alle pure idee. Grazie al carattere rivoluzionario le forze attive
«si presenteranno ad uno stato quasi puro, con un minimo di scorie storiche». E
a questo E. aggiunge: «Appunto perché l’appoggio materiale consistente in
un passato tradizionale ancora vivo e concretizzato in forme storiche non del
tutto scadute è da noi inesistente, la rivoluzione restauratrice dovrà
presentarsi in Italia come un fenomeno anzitutto spirituale ed avente come base
la pura idea. Rispetto a quel che E. intende per tradizione, la sua
conclusione è rigorosa quanto ineccepibile. Ma altrettanto evidente è l'esito
impolitico e la separazione dalla storia che essa sancisce.
Il problema che si pone, in fondo, è questo; se si intende scegliere una
strada esistenziale dissociata da ogni impegno politico, il rigetto della
ideologia italiana, e della storia italiana, è in linea di rigorosa coerenza
con le idee affermate da E. e ha una sua legittimità e dignità incontestabili.
Ma se, viceversa, si intende costruire una linea politica, se si intende
davvero adoperarsi per una rivoluzione conservatrice, allora è
impossibile fare il vuoto intorno e dietro a sé, recidendo i ponti con la
storia del proprio paese e con la realtà del proprio popolo. Né si può
disancorare, in questa seconda ipotesi, l'idea di tradizione dalla
rappresentazio¬ ne storica che ha avuto. Occorre allora
rimeditare la storia italiana, almeno dal Risorgimento in poi, con
spirito critico, senza dubbio, ma senza apocalittici dinieghi. Né
va trascurato il fatto che talvolta, a sostenere cause che meta-storicamente si
possono definire negative, possono trovarsi uomini e ragioni che hanno
intrinseci tratti di giustezza, di nobiltà e di dignità. Uomini
giusti per cause sbagliate. Articolare i giudizi, dunque, pur senza
privarli della loro globalità, e risalire alle intime ragioni di certi
accadimenti. In questo senso la teorizzazione evoliana di una
linea rivoluzionaria conservatrice rivela tratti di insufficienza e di
carenza sul piano storico-politico. Laddove invece, nelle grandi linee
metafisiche e metastoriche, il pensiero evoliano risulta ancora di
inesaurita ricchezza e fecondità. E., Gli uomini e le rovine, Roma, E.,
Cavalcare la tigre, Milano E., Essere di destra, in «Roma», poi in Citimi
scritti, Napoli cfr., Gli uomini e le rovine, cit., Galli su E. cfr. La destra
in Italia, ciLa tigre di carta ed il drago scarlatto, Bologna. Mancini, Il pensiero negativo e la nuova
destra, Milano Cacciari, i riferimenti sono a una intervista da lui concessa a
G. De Turris, Z//r- razionale? E chi lo conosce..., in «Il Settimanale»,
e all'articolo È una figura complessa su Evola, apparso sempre su «Il
Settimanale». E. ha avuto un ruolo importante per la conoscenza e la diffusione
in Italia della konservative Revolution. Oltre ai suoi contributi, e ai
numerosi riferimenti sparsi nella sua opera, E. ha tradotto in Italia II
Tramonto dell’Occidente di Spengler, ha introdotto Anni decisivi dello stesso
autore, h a tradotto/!/ muro del Tempo di Junger (Roma) e ha scritto un’ampia
sintesi dell 'Operaio, solo per citare alcuni dei suoi contributi.
Cioran, Storia e utopia, Milano. Il riferimento è a un editoriale anonimo ma
attribuito allallora direttore della rivista, padre Bartolomeo Sorge, apparso
nella «Civiltà Cattolica», Il neo-paganesimo della Nuova Destra.
Imperialismo pagano, Roma Veneziani, E. tra filosofia e tradizione, Roma. A
tale proposito si veda Benoist soprattutto Come si può essere pagani?,
Roma. Negri, E. e il superamento dell'attualismo in appendice a Veneziani, E.
tra filosofia e tradizione. Negri si riferisce a E. anche nel suo
Sviluppi e incidenze dell’attualismo. I riferimenti a Evola di Spirito, Carlini
e Sciacca sono stati raccolti da G. De Turris in “Omaggio a E.,” Roma. Gentile
non è il nostro filosofo, in «Tradizione», Il filosofo Gentile, in «Il
Conciliatore», (poi in Ricognizioni, Roma). Si vedano inoltre di E. su
Gentile: Saggi sull’idealismo magico, Roma; Il cammino del cinabro, e gli
scritti Superamento dell’idealismo e L'equivoco dell'immanenza raccolti
in Diorama filosofico, cJesi, Cultura di destra. Il linguaggio delle parole
senza idee, Milano Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta,
cit. Si veda anche AA.VV., La destra radicale, Milano E., Il Fascismo
visto dalla Destra. Con note sul Terzo Reich, E., Il cammino del cinabro, A
proposito della teoria evoliana sulla razza è da riferire quanto emerge dai
Documenti segreti del Terzo Reich pubblicati a Roma a cura di Cospito e
Werner Neulen. In uno scritto, una nota inviata dal dirigente dell’Ufficio
politico della razza della NSDAR, dr. Gross, al ministro tedesco per
l’istruzione popolare e propaganda, E. e accusato di elaborare una teoria
razziale «italiana», e fondamentalmente antitedesca. Osservando che E. pone il
primato dello spirito sul corpo, l’estensore della nota rileva che Evola
aderisce all’idea della superiorità spirituale dei popoli latini e asseconda la
favola della barbarie nordica in un altra forma. Dopo aver accusato E. di
teorizzare un razzismo annacquato, privo di scientificità,
antievoluzionistico, il redattore afferma. Dalla latinità dell’autore
scaturiscono concezioni che costituiscono un atteggiamento totalmente
estraneo alle visioni tedesche. Per questa ragione colpisce in molti punti la
sintonia con il cattolicesimo mediterraneo e prosegue con alcuni esempi (dr.
Huttig, Berlino). Su tale idea cfr. Gli uomini e le rovine, «Orientamenti», Roma. A tale proposito cfr. M. Veneziani,
Prefazione all'ultima edizione di «Orientamenti», Roma, Testimonianze su E.,
Roma; E. e la generazione. E., Gli uomini e le rovine. The Germans do
not have the concept of virility. Evola’s concept of ‘maschio’ is very complex
– vir sums up best. Julius
Evola. “Giulio
Cesare Andrea Evola”. Keywords: romanità, virilità. pitagora, roma, origini di
roma, romolo, romanità, virilità, pitagora canti d’oro, ercole, male bonding,
virilita, vir, Dioscuri, castore e policce, Weininger, Buehler, homoerotic,
intergenerational male bonding, tutor/tutee, hero, Aryan, European – Roma, l’implicatura
di Romolo. Refs.: Luigi Speranza,
"Grice ed Evola," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool
Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Evola.
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