Grice e Gaetani: la ragione conversazionale e ’implicatura
convesazionale di Catullo -- APVD NEAPOLIM – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Martano). Filosofo italiano. Grice: “I like Gaetani, for one, he
is a duke – and kept beautiful gardens at Martano – he philosophised on the
‘ottocento’, as any philosopher from the Novecento would!” Figlio di Carlo, conte di Castelmola, e Giuseppina
Chiriatti. La famiglia Gaetani annovera oltre al ramo dei Castelmola, anche
quello dei Laurenzana, di cui si ricorda il Barone Di Laurenzana, esponente del
movimento radicale. L'insegna araldica dei Castelmola è costituita da uno scudo
forgiato di due strisce blu ondeggianti che lo attraversano in senso
trasversale. I G., prima Caetani, vantarono alcuni papi, tra cui Bonifacio
VIII. Il padre, Carlo, avvocato, fu
ripetutamente eletto tra le file dei radicali nel Consiglio comunale di Napoli.
Da Napoli attiene, fino a tutta la Grande Guerra, alla cura del patrimonio
fondiario in Martano, acquisito dal matrimonio con Chiriatti. Questa infatti si
era trasferita a Napoli dopo l'uccisione del facoltosissimo padre Paolo,
nell'ambito di una torbida vicenda che vide infine coinvolta la madre di le quale
mandante, assieme al prete Mariano, dato che i due erano in tresca. Diviso il
patrimonio tra le due figlie Giuseppina e Paolina Chiriatti, e la madre stessa,
vennero iniziati i lavori di costruzione del palazzo Chiriatti-G.. A Palazzo
Chiriatti-G. la famiglia venne a dimorare mentre man mano la gestione delle
fortune familiari passava in capo a G., che si impegna in un'ardua opera di
bonifica e di razionalizzazione colturale, culminata con l'acquisto di diversi
macchinari ad alta tecnologia. E però proprio il malfunzionamento
dell'attrezzatura finalizzata all'estrazione dell'acqua dai pozzi, bene
capitale nelle aride campagne della zona, a determinare l'infiacchimento del
capitale di famiglia e il progressivo indebitamento verso il Banco di Napoli,
che culmina con la fine del fascismo.
Frattanto G., che si fregia del
titolo di duca, a seguito del matrimonio con la duchessa d'Ascoli, Leopoldina,
si dedica alla FILOSOFIA, mentre, del resto, ha a ricoprire la carica di provveditore
a Potenza. La sua filosofia e ispirata dalla Francia, della che e un grande
amatore, nonostante il fascismo e nonostante la sua adesione al regime, che ad
un certo punto ne impedì la circolazione in Italia. Crociano, segue lo schema
tracciato dal maestro, mentre l'ultimo ricordo della natia Martano e un canto
dedicato alle tradizioni grike, di cui raccomandava appassionatamente la
conservazione e il culto. Nei giorni
furenti che precedettero il Referendum istituzionale appoggia in pubblici
comizi la Monarchia, e per questo paga dazio dovendosi allontanare all'indomani
del voto e rifugiarsi in Napoli, tutto teso negli studi letterari. Altre saggi:
Villon (Napoli); “Un carteggio inedito di F. Bozzelli (G.), L'Aquila, Masseria,
Martano (Lecce); “Un bilancio letterario” (Roma); “Per onorare un maestro: il
Torraca, Napoli); “Catullo” (Roma); L'Ottocento” (Napoli); “La bancarotta del
rosso: commedia in tre atti (Lecce); “Per la venuta del Duce” (Lecce); “Bernardo
Bellincioni, Galatina (Lecce); “Il benedettino-cistercense d. Mauro cassoni nel
Tempio, nella scuola, negli studi (Lecce); “Ricordi di Croce” (Napoli); Vicende tipi e
figure del Casino dell'Unione” (Napoli); Napoli ieri e oggi: passeggiate e
ricordi” (Milano-Napoli); “Apud Neapolim” (Napoli); Fonti storiche e letterarie
intorno ai martiri di Otranto, Napoli. "Catullo" rimanda qui.
Se stai cercando altri significati, vedi Catullo (disambigua). Sirmione,
busto di Catullo Gaio Valerio Catullo (in latino: Gaius Valerius Catullus,
pronuncia classica o restituta: [ˈɡaːɪʊs waˈlɛrɪʊs kaˈtʊllʊs]; Verona, – Roma)
è stato un poeta romano. Il poeta è noto per l'intensità delle passioni amorose
espresse, per la prima volta nella letteratura latina, nel suo Catulli
Veronensis Liber, in cui l'amore ha una parte preponderante, sia nei
componimenti più leggeri che negli epilli ispirati alla poesia di Callimaco e
degli Alessandrini in generale. Indice 1Biografia 1.1Origini
familiari 1.2Trasferimento a Roma, vita sociale e letteraria 2 Opera 3Il mondo
poetico e concettuale di Catullo 4Note 5Bibliografia 5.1Rassegnebibliografiche
5.2Traduzioni italiane 5.3Commenti 5.4Studi 6Altri progetti 7Collegamenti
esterni Biografia Il busto di Catullo presso la Protomoteca della
Biblioteca civica di Verona. Origini familiari Catullo da Lesbia, dipinto
di Lawrence Alma-Tadema (1865). Gaio Valerio Catullo proveniva da un'agiata
famiglia latina che aveva contribuito a fondare la città di Verona, nella
Gallia Cisalpina; il padre avrebbe ospitato Q. Metello Celere e Giulio Cesare
in casa propria al tempo del loro proconsolato in Gallia[1]. Per quanto
concerne gli estremi cronologici della sua biografia, San Girolamo[2] pone l'87
a.C. e il 57 a.C. rispettivamente come data di nascita e di morte e specifica
che appunto egli morì alla giovane età di trent'anni. Tuttavia, poiché nei suoi
carmi accenna ad avvenimenti che riportano all'anno 55 a.C. (come l'elezione a
console di Pompeo e l'invasione della Britannia da parte di Cesare[4]), si è
maggiormente propensi a ritenere che egli sia nato nell'84 e morto nel 54 a.C.,
dato per certo il fatto che sia morto a trent'anni. Trasferimento a Roma,
vita sociale e letteraria Trasferitosi nella capitale, si suppone intorno al
61-60 a.C., cominciò a frequentare ambienti politici, intellettuali e mondani,
conoscendo personaggi influenti dell'epoca, come Quinto Ortensio Ortalo, Gaio
Memmio, Cornelio Nepote e Asinio Pollione, oltre ad avere rapporti, non molto
lusinghieri, con Cesare e Cicerone; con una ristretta cerchia d'amici
letterati, quali Licinio Calvo ed Elvio Cinna fondò un circolo privato e
solidale per stile di vita e tendenze letterarie. Durante il suo soggiorno
prolungato a Roma ebbe una relazione travagliata con la sorella del tribuno
Clodio, tale Clodia.[5]. Clodia viene cantata nei carmi con lo pseudonimo
letterario "Lesbia", in onore della poetessa greca Saffo, molto cara
a Catullo e proveniente dall'isola di Lesbo. Lesbia, che aveva una decina
d'anni più di Catullo, viene descritta dal suo amante non solo graziosa, ma
anche colta, intelligente e spregiudicata. La loro relazione, comunque,
alternava periodi di litigi e di riappacificazioni ed è noto che l'ultimo carme
che Catullo scrisse all'amata fu del 55 o 54 a.C., proprio perché in essa viene
citata la spedizione di Cesare in Britannia. Da alcuni suoi carmi emerge,
inoltre, che il poeta ebbe anche un'altra relazione, omosessuale, con un
giovinetto romano di nome Giovenzio. Catullo si allontanò, comunque, varie
volte da Roma per trascorrere del tempo nella villa paterna a Sirmione, sul
lago di Garda, luogo da lui particolarmente apprezzato e celebrato per il suo
fascino ameno, situato nella sua terra di origine e che per questo induceva al
poeta distesi periodi di riposo. Seguì Gaio Memmio in Bitinia: in quella
circostanza andò a rendere omaggio alla tomba del fratello situata nella
Troade. Quel viaggio non recò alcun beneficio al poeta, che ritornò senza
guadagni economici, come sperava al momento della partenza, né la lontananza
riuscì a fargli riacquistare la serenità perduta a causa dell'incostanza e
dell'indifferenza di Lesbia nei suoi confronti. Fu tuttavia una nota positiva
la visita alla lapide del fratello, in occasione della quale scrisse il Carme
101 (a cui si ispirò in seguito anche Foscolo per la poesia In morte del
fratello Giovanni). Catullo non partecipò mai attivamente alla vita politica,
anzi voleva fare della sua poesia un lusus fra amici, una poesia leggera e
lontana dagli ideali politici tanto osannati dai letterati del tempo[6].
Disprezzava infatti la politica di allora, dominata da politici corrotti che
servivano soltanto il proprio interesse: riteneva dunque che favorire l'uno o
l'altro non significasse niente di meno che aiutare l'uno o l'altro a
perseguire il suo vantaggio personale. Tuttavia, seguì la formazione del primo
triumvirato, i casi violenti della guerra condotta da Cesare in Gallia e
Britannia, i tumulti fomentati da Clodio, comandante dei populares, fratello
della sua celebre amante Lesbia e acerrimo nemico di Cicerone, che verrà da lui
spedito in esilio nel 58 a.C. ma poi richiamato, i patti di Lucca e il secondo
consolato di Pompeo. Una nota da sottolineare è il Carme 52 dove, per usare le
parole di Alfonso Traina, "il disprezzo della vita politica si fa
disprezzo per la vita stessa": (LA) «Quid est, Catulle? quid moraris
emori? sella in curuli struma Nonius sedet, per consulatum peierat Vatinius:
quid est, Catulle? quid moraris emori?» (IT) «Che c'è, Catullo? Che
aspetti a morire? Sulla sedia curule siede Nonio lo scrofoloso, per il
consolato spergiura Vatinio: che c'è, Catullo? Che aspetti a morire?»
(Carme) Opera Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio:
Storia della letteratura latina (78-31 a.C.). Marco Antonio Mureto,
Catullus et in eum commentarius, Venetiis, apud Paulum Manutium, 1554.
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Liber
(Catullo). Il liber di Catullo non fu ordinato dal poeta stesso, che non aveva
concepito l'opera come un corpo unico, anche se un editore successivo (forse lo
stesso Cornelio Nepote a cui è stata dedicata la prima parte dell'opera) ha
diviso il liber catulliano in tre parti secondo un criterio di tipo metrico: i
carmi da 1 a 60, sotto il nome di "nugae" (letteralmente
"sciocchezze"), brevi carmi polimetri, per lo più faleci e trimetri
giambici; i carmi da 61 a 68, i cosiddetti "carmina docta" d'impronta
alessandrina e per lo più in esametri e distici elegiaci; i carmi dal 69 al 116
sono gli epigrammi ("epigrammata"), in distici elegiaci. Il
mondo poetico e concettuale di Catullo Il poeta Catullo legge uno dei
suoi scritti agli amici, da un dipinto di Stefan Bakałowicz. Catullo è per noi
uno dei più noti rappresentanti della scuola dei neòteroi, poetae novi, (cioè
"poeti nuovi"), che facevano riferimento ai canoni dell'estetica
alessandrina e in particolare al poeta greco Callimaco, creatore di un nuovo
stile poetico che si distacca dalla poesia epica di tradizione omerica divenuta
a suo parere stancante, ripetitiva e dipendente quasi unicamente dalla quantità
(in riferimento all'abbondanza dei versi di quest'ultima) piuttosto che dalla
qualità. Sia Callimaco che Catullo, infatti, non descrivono le gesta degli
antichi eroi o degli dei[7], ma si concentrano su episodi semplici e
quotidiani. Per giunta, i neòteroi si dedicano all'otium letterario piuttosto
che alla politica per rendere liete le loro giornate, coltivando il loro amore
solo ed esclusivamente alla composizione di versi, tanto che Catullo dichiara
nel carme 51: «Otium, Catulle, tibi molestum est:/otio exsultas nimiumque
gestis» «L'ozio per te, Catullo, non è buono;/ nell'ozio smani e ti scalmani»
(traduzione a cura di Nicola Gardini). Talvolta il poeta ostenta il suo
disinteresse per i grandi uomini che lo circondavano e che stavano scrivendo la
storia: «nihil nimium studeo, Caesar, tibi velle placere» «non m'interessa,
Cesare, di andarti a genio» (carme 93), scrive al futuro conquistatore della
Gallia. Da questa matrice callimachea proviene anche il gusto per la poesia
breve, erudita e mirante stilisticamente alla perfezione. Si sviluppano,
originari dell'alessandrinismo e nati da poeti greci come Callimaco[8],
Teocrito, Asclepiade, Fileta di Cos e Arato, generi quali l'epillio, l'elegia
erotico-mitologica e l'epigramma, che più sono apprezzati e ricalcati dai poeti
latini. Catullo stesso definì il suo libro expolitum (cioè
"levigato") a riprova del fatto che i suoi versi sono particolarmente
elaborati e curati, le poesie raffinate e curate. Una delle caratteristiche
peculiari della sua poetica è, infatti, la ricercatezza formale, il labor limæ,
con cui il poeta cura e rifinisce i suoi componimenti. Inoltre, al contrario
della poesia epica, l'opera catulliana intende evocare sentimenti ed emozioni
profonde nel lettore, anche attraverso la pratica del vertere, rielaborando
pezzi poetici di particolare rilevanza formale o intensità emozionale e
tematica, in particolare come nel carmen 51, una emulazione del fr. 31 di
Saffo, come anche i carmina 61 e 62, ispirati agli epitalami saffici. Il carme 66,
preceduto da una dedica ad Ortensio Ortalo, è una traduzione della Chioma di
Berenice di Callimaco, che viene ripreso per mostrare l'adesione ad una
raffinata elaborazione stilistica, una dottrina mitologica, geografica,
linguistica ed infine la brevitas dei componimenti, con la convinzione che solo
un carme di breve durata può essere un'opera raffinata e preziosa. Note ^
Svetonio, Vita di Cesare, 73. ^ Chonicon, ad annum. ^ Carme 113, 2. ^ Carmi 11,
12; 29, 4; 45, 22. ^ Secondo un'indicazione di Apuleio nell'Apologia, 10, la
donna a cui si riferisce Catullo rimase vedova nel 59 a.C. di Quinto Metello
Celere, sicché si può pensare a Clodia. ^ Al riguardo si veda il carme 93: «Nil
nimium studeo, Caesar, tibi velle placere / nec scire utrum sis albus an ater
homo» - «Non mi interessa affatto piacerti, Cesare, né sapere se tu sia bianco
o nero». ^ Eccezion fatta, forse, per i carmina 63 e 64. ^ Morelli Alfredo
Mario, Il callimachismo del carme 4 di Catullo, Cesena: Stilgraf, Paideia:
rivista di filologia, ermeneutica e critica letteraria: LXX, 2015. Bibliografia
Rassegne bibliografiche J. Granarolo, Catulle 1948-1973, in Lustrum, vol. 17,
1973-1974, pp. 27-70. J. Granarolo, Catulle 1960-1985, in Lustrum, vol. 28-29,
1986-1987, pp. 65-106. H. Harrauer, A Bibliography to Catullus, Hildesheim,
1979. J.P. Holoka, Gaiu Valerius Catullus. A Systematic Bibliography, New
York-Londra, 1985. Traduzioni italiane Mario Rapisardi, Napoli, 1889. E.
Stampini, Torino, 1921. U. Fleres, Milano, 1927. C. Saggio, Milano, 1928. Guido
Mazzoni, Bologna, 1939. Salvatore Quasimodo, Milano, 1942. V. Errante, Milano,
1943. E. D'Arbela, Milano, 1946. Enzio Cetrangolo, Milano, 1950. Vincenzo
Ciaffi, Torino, 1951. Giovanni Battista Pighi, Verona, 1961. E. Mazza, Parma,
1962. Guido Ceronetti, Torino, 1969. Mario Ramous, Milano, 1975. T. Rizzo,
Roma, 1977. Francesco Della Corte, Milano, 1977. Enzo Mandruzzato, Milano,
1982. F. Caviglia, Roma-Bari, 1983. Giovanni Wesley D'Amico, Palermo, 1993.
Gioachino Chiarini, Milano, 1996 Guido Paduano, Torino, 1997. Luca Canali,
Firenze, 2007. Alessandro Natucci, Roma, 2008, 2020 anche in formato Kindle
Alessandro Fo, Torino, 2018. Commenti R. Ellis, Oxford 1876. A. Riese, Lipsia
1884. E. Baehrens, Lipsia 1885. G. Friedrich, Lipsia-Berlino 1908. W. Kroll,
Lipsia 1923. Massimo Lenchantin de Gubernatis, Torino 1928. G. Fordyce, Oxford
1961. G.B. Pighi, Verona 1961. K. Quinn, Londra 1970. F. Della Corte, Milano
1977. F. Caviglia, Bari 1983. E. Merrill, Boston 1983. H.-P. Syndikus,
Darmstadt 1984-1990. Studi Paolo Fedeli, Introduzione a Catullo, Roma-Bari,
Laterza, 1990. J. Ferguson, Catullus, Oxford, 1988. E.A. Schimdt, Catull,
Hidelberg, 1985. F. Della Corte, Due studi catulliani, Genova, 1951. C.L.
Neduling, A Prosopography to Catullus, Oxford, 1955. D. Braga, Catullo e i
poeti greci, Messina-Firenze, 1950. O. Hezel, Catull und das griechische Epigramm,
Stuttgart, 1932. J.K. Newman, Roman Catullus and the Modification of the
Alexandrian Sensibility, Hildesheim, 1990. A.L. Wheeler, Catullus and the
Tradition of Ancient Poetry, Londra-Berkeley, 1934. Ulrich von
Wilamowitz-Moellendorff, Catullus hellenistische Gedichte. in Hellenistische
Dichtung in der Zeit des Kallimachos, II, Berlino 1924. Mario Rapisardi, Catullo e Lesbia. Studi, Firenze,
Succ. Lemonnier, 1875. Enzo Marmorale, L'ultimo Catullo. Napoli, 1952 Giancarlo
Pontiggia, Maria Cristina Grandi, Letteratura latina. Storia e testi. Vol. 2, Milano, Principato,
marzo 1996, ISBN 978-88-416-2188-2. (EL) N. Kaggelaris, Wedding Cry: Sappho
(Fr. 109 LP, Fr. 104a LP)- Catullus (c. 62, 20-5)- modern Greek folk songs, in
E. Avdikos e B. Koziou-Kolofotia (a cura di), Modern Greek folk songs and
history, pp. 260-270. Catullo, Gaio
Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Modifica su Wikidata Massimo Lenchantin De Gubernatis, CATULLO, Gaio
Valerio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1931.
Modifica su Wikidata (EN) Gaio Valerio Catullo, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Gaio Valerio Catullo, su
BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Gaio Valerio Catullo, su
Musisque Deoque. Modifica su Wikidata (LA) Opere di Gaio Valerio Catullo, su
PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Modifica su Wikidata Opere di
Gaio Valerio Catullo / Gaio Valerio Catullo (altra versione), su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata (EN) Opere di Gaio Valerio
Catullo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata. Opere di Gaio
Valerio Catullo, su Progetto Gutenberg. Modifica su Wikidata (EN) Audiolibri di
Gaio Valerio Catullo / Gaio Valerio Catullo (altra versione), su LibriVox.
Bibliografia di Gaio Valerio Catullo, su Internet Speculative Fiction Database,
Al von Ruff. Modifica su Wikidata (EN) Gaio Valerio Catullo, su Goodreads.
Modifica su Wikidata Il Liber di Catullo tradotto in italiano, su
spazioinwind.libero.it. Il Liber di Catullo con concordanze e liste di
frequenza, su intratext.com. Le grotte di Catullo, su smugmug.com. URL
consultato il 1º maggio 2019 (archiviato dall'url originale il 9 luglio 2009).
Scansione metrica del Liber di Catullo, su rudy.negenborn.net. La Chioma di
Berenice: traduzione di Alessandro Natucci, su digilander.libero.it. Il carme
64: traduzione di Alessandro Natucci (PDF), su classiciscriptores.weebly.com.
Portale Antica Roma Portale Biografie Portale
Letteratura Categorie: Poeti romaniRomani del I secolo a.C.Nati nell'84
a.C.Morti nel 54 a.C.Nati a VeronaMorti a RomaGaio Valerio
CatulloEpigrammistiValeriiPoeti italiani trattanti tematiche LGBTSalvatore
Gaetani. Gaetani. Keywords: APVD NEAPOLIM, l’implicatura di croce. Croce,
Catullo -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gaetani” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Gagliardi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Marino). Filosofo italiano.
Grice: “I like Gagliardi; I spent some time with medics at Richmond,
talking Greek! Anyhow, Gagliardi shows why the Angles
prefer physician – since ‘medicare’ is such a trick!” – Grice: “Philosophically
interesting bit is that Gagliardi applies ‘medico’ and qualifies it with
‘morale’!” –Nacque a un feudo dei Colonna, nell'area dei Colli Albani, come
riferisce Moroni nel suo Dizionario di erudizione, e come riferito dallo stesso
G. nel in "L'idea del vero medico fisico e morale formato secondo li
documenti ed operazioni di Ippocrate" (Roma). In effetti, il cognome G.
esiste all'epoca a Marino ed è tuttora tramandato. E impegnato in ricerche
morfologiche, microscopiche ed anatomo-patologiche a proposito delle ossa,
compiendo importanti scoperte in questo campo: in “Anatomia delle ossa
illustrata con le nuove scoperte", Roma) descrisse per primo la struttura
lamellare delle ossa. Inoltre effettua alcuni esami e ricerche comparative tra
le ossa umane e quelle del vitello. Descrisse probabilmente per primo un caso
di tubercolosi ossea. La sua opera fu piuttosto lodata, e l' “Anatomia” fu
ristampato. Fece importanti studi sul "mal di petto". Filosofa
sull'educazione morale. Diede anche ammonimenti contro i guaritori ciarlatani e
fornì alcuni suggerimenti deontologici.
Abitava nel rione Sant'Angelo, presso via delle Botteghe Oscure. In
questa strada un suo servo fu ucciso misteriosamente nottetempo. Durante le
villeggiature dei papi presso la Villa Pontificia di Castel Gandolfo G. ha il
privilegio di offrire la frutta al papa. Alessandro VIII gli conferì un titolo
nobiliare, ma non sappiamo quale. I suoi lavori, conservati nelle maggiori
biblioteche di Roma, rivestono un particolare interesse se anche duecento anni
dopo la loro scrittura, il vice-direttore dell'Ospedale San Martino di Genova, Arata,
diede alle stampe una lettera inedita del Gagliardi sull'itterizia. Si ha
svolto un proficuo lavoro di ricerca su G., scoprendo anche una firma del
medico in margine ad un saggio discusso all'Università La Sapienza. Altre opere: “L'infermo istruito nelle
scuole” (Roma); “Consigli preventivi e curativi in tempo di contagio dati in
forma di dialogo” (Roma); “Relazione de' Mali di Petto che corrono
presentemente nell'Archiospedale di Santo Spirito in Sassia” (Roma);
“L'educazione morale” (Roma). “Come sopra l'influenza catarrale che
presentemente regna in Roma e Stato ecclesiastico” (Roma). Si veda
l'annotazione di “Due baiocchi” in "Castelli Romani", Bossi,
Dell'Istoria d'Italia antica, Enciclopedia Treccani G. Sterpellone, I
protagonisti della medicina, Tiraboschi, Storia della letteratura
italiana, Lucarelli, G., Giornale de'
letterati d'Italia, Ros, La "Relazione de' Male di Petto" en el
ambiente anatomo-clínico romano, in Dynamis: Acta hispanica ad medicinae
scientiarumque historiam illustrandam; Moroni, Dizionario di erudizione
storico-ecclesiastica, Venezia, Emiliani; Lucarelli, Memorie marinesi, Marino,
Biblioteca Torquati, Ordinamento universitario dello Stato Pontificio
Tubercolosi ossea; G., TreccaniEnciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. 1 te cose senza profondarvi in alcuna di efse, ed allora
appunto diverrete più capaci di fare maggiori progressi, e tanto più se vi
servirete per regolatore delle vostrej operazioni di quel saggio avvertimento
feftina lente: Esplorerò dunque con private conferenze l'animo di ciascun
di voi separatamente, per meglio accercarmi di ciò,che vi farà bisogno , non
potendo il Medico dare ajuto al suo Infermo s se prima non avrà ben conosciute
le cagioni del suo male, e spero in oggi; e domani di potere ricavare da voi
ciò, che sarà più necessario, ch'Io sappia, per meglio indirizzarvi.
Ritiriamoci ora à fare il privato esame, per potere Lunedì prossimo dar
principio alle nostre Giornate. M Nella quale si moftra cofa fi ricerchi
d'eljena ziale per efere Medico je ciò, che gli rechi
ornamento. Avveddi jeri dal vostro parlare; che non siete tutti voi
di genio uniformi,perche conobbi bene, che tal'uno di
voi non restava persuaso, & altri più ; ò meno, s’appagavano delle mie
ragioni, e riflettendo, che ciò possa nascere dalla diversità delle vostre
menti più o meno sublimi, & animofe. Quindi è, che prima d'inoltrarmi nel
presente ragionamento, stimo necessario di premettere una breve partizione
delli vostri ingegni, à fine di regolare ciascuno di voi secondo la propria
capacità : Ecer tamente , conforme nell'esterno non vi assomigliate trà
voi, così ancora nell'interno sarete differenti, cioè, che non avrà ciascuno di
voi la medesima capacità, & apertura di mérite ; il medesimo talento, ē
spirito, la medesima memoria , e ritentiva , & il medesimo giudizio, o
perspicacia d'ingegno; onde, ciò suppofto, io non potrò con la medesima misurd,
e regola mostrare à tutti voi ciò, che vi converrà d'essenziale, è d'ornamento
per potere diventare veri Medici. Dunque mi converrà necessariamente dividere
left fenziale dall'ornamento, perche l'effenziale dovrà competere egualmente à
voi, che fiete di mente più sublimi, che agli altri d'inferiore capacità :
L'ornameiro poi, perche non potrà competere egualinente , nè potrà essere in
tutti voi uniforme, bisognerà regolarlo fecondo la propria capacità, e
genio di ciascuir di vois con pensare al modo, che poffino l'ingegni inferiori
uguagliare per altra via ancora nell'ornamento li più subliini ; E ciò servirà
primieramente per dare un'ottima direzzione alle menti di maggior capaci.
tà, in farli conoscere ciò, che si debba di elli premettere d'essenziale , per
poscia potersi avanzare in quello di più, di cui saranno capaci. In secondo
luogoperche non si confondano, & avviliscano le menti meno sublimi, anzi
per istruirle , & ani. marle insieme à fupplire con l'Arte al di, fetto di
Natura, Certo, che ognuno di voi deve avere il medesimo fine, cioè di
divenire Medico; Onde dovrà unitamente con gl'altri incaminarsi per la medesima
strada, e fino à tanto, ch'abbia conseguico il suo in, tento ; Mà perche chi si
trova in forze maggiori trà voi è portato facilmente dal suo spirito ad uscire
dalla careggiata, quindi è, che bisognerà idearsi un caso, che dia un buon
regolamento à tutti unitamente, che sarà il seguente : Vi fia trà voi chi
posseda in contanti due, chi trè , e chi quattro talenti , e che voglia
ciascuno per uso proprio fabricarsi una casa compita, che abbiad d'avere il
medesimno uso, e la medefima fruto struttura, certo è, che li
fondamenti converrà, che li facciate uniformi, il sopra terra dovrà alzarsi
eguale, le stanze doyranno essere di numero, e capacità consimili, altrimenti
non avrà la medesima struttura. In idearsi queste case non potrà l'Architetto
eccedere la spesa di due talenti, altrimenti non potria senza indebitarsi compire
la sua fabrica ,chi di voi hå che due foli talenti; Si dolerà facilmente con
l'Architetto chi ne hà d'avantaggio, perche non gl'abbia delineato fabrica più
sontuosa , à cui facilmente egli risponderà, è meglio, che litalenti vi
avanzinoy che manchino, perche li potrete impiegare in ornato, e così la vostra
farà più bella comparsa ; Sentendo questo voi, che avete soli due talenti vi
dolerete ancora coll'Architetto, che non vi rimarrà cosa da spendere per
ornarla , e perciò la voftra fabrica non potrà comparire bella al pari delle
altre, vi risponderà il medesimo, abbiate pazienza , che vi darò il modo per
far comparire vaga la vostra ancora al pari delle altre : Mă se per
vostradisgrazia spenderete li vostri talenti senza le buone regole
dell'Architettura, é voglia ognuno di voi farsi una casa à suo genio . Vois che
avete quattro talenti vorrete fare il doppio degli altri, vi profonderete più
del bisogno ne' fondamentis farece muri più larghi; l'alzerete più dell' altri;
con tutti li vostri quattro talenti Atenterete à copritla ; con che denari poi
la stabilirete? A che servirii la magnifiċenza della vostra casa , non
potendola in tutto compire per renderla usuale? Tanto peggio seguirà in
voi, che possedete meno, se nella vostra fabrica spetdeste più di quello; che
dovete je po tete; correreste pericolo di non poterla ricoprire, onde vi
rimarria affatto infruto tuosa, Altro inconveniente ancora potrid fascere
si nell'uno, come nell'altro caso, che saria di risparmiare ne' fondamenti
qualche porzione de’talenti per impiegarla nell'ornáto, iii questo modo le
vostre cafe fariano sempre in pericolo di rovina. $e , con tutta la sua bella
apparenzas fatta [ocr errors] ad imitazione di quei Mercadanti, che ciò
che hanno tengono in mostra , e questi sono quelli, che ben spesso si veggono
fallire. Questa fabrica , ch'ora vi hò ideato è appunto la Medicina
Pratica, la quale fi deve da tutti voi apprendere , e nella medema conformità,
affinche ne ricaviate un metodo di medicare uniforme, facile , e sicuro , e se
in apprenderla voi, che siete dotati d'ingegno più subliine degl'altri, vorrete
stendervi più in oltre delli vostri Compagni, vi confonderete con facilità con
tutto il vostro bel talento, perche fzcilmente il vostro spirito grande vi farà
divagare in quelle cose, che apprese in altritempi , che resivi più capaci,
meglio lo capirete, & adatterete al vostro bisogno. Șia per esempio, se in
questo tempo, che attendete alla pratica , vi venisse fantasia di leggere,
& imparare molti, e diversi liftemi, e li varj metodi di medicare, che Lono
nella Medicina , questo vi reccherà confufione, contenendo tanta diversità di
pensieri,d'ideese di modi con tutto che la 7 verità delle cose sia
una sola , onde con Fagione riferisce Lacuna, (a) ch'esclamava à suoi tempi
Galeno : Judicij veri difficultatem liquidò oftendunt tot , tàmque variæ
hærefes, quòt in Arte Medicâ reper riuntur; E tanto maggiorinente, che
quefti distogliendovi da quel bell'ordine, che voi avevate preso in offervare
l'andamenti de? mali con li vostri propri occhi, vi faranno acquistare una
pratica fimile alla vostra ideata fabrica, che non farà côpita, & in
conseguenza non ne potrete cavare quel profitto,che ne riporteranno li voftri
Compagni , li quali à cagione della maggiore attenzione, che hanno in
apprendere quella sola,non divertendosi in altro, se ne approfitteranno bene, e
la loro pratica sarà compita , e potrà avere il suo uso, giacchè al
parere di Cicerone : (6) Affiduus ufus, uni rei deditus, die Ina genium ; &
Artem fæpè vincit ; Sicchè in questa parte eforto tutti voi à non applia care
ad altro , allora che prendete lame pra(a) Comment 1. Aphorism. 1. ex
Lecuno in Epit, (6) Cicero pro Cornel. Balb. 1 [ocr errors]
pratica, che à quell'esercizio, che fate, eccettuatone alcuni tempi destinati
per Ja Notomia, e per la Boštanica, Perfezionati, che farete in detta,
pratica , & appreso, che avrete un metodo facile, e più sicuro di medịcare,
allora converrà di ornarla di altre cose , che abbiano correlazione con la
Medicina , secondo il proprio genio , e capacità, con fermo proponimento però ,
che non vị abbiano da distogliere dallo studio di er fa , nè da confondere ciò,
che auete con li propri occhi offeryato più volte, eţurto ciò, che avețe
appreso per ornamento non l'avrete da profeflare come negozio principale,
altrimenti vi distoglierà da quello , che avevate già acquistato dị buono nella
- Medicina, ma sopra di cio più diffusamente ne tratteremo in ap: presto
Questą praticą, appunto acquistatą, mediante le reiterate esperienze, e
diligenti osservazioni fatte intorno li Malati è quello , che fi ricerca
d'essenziale nel Medico , & oltre di questa ogn'altra cosa, che
s’acquisterà di più gli servirà d'ornamento maggiore : Che sia così,per
consolazione di yoi, che siete d'ingegni meno sublimi, yeniamo alle
prove. La prima sarà con l'autorità d'Ippocrate chiara , e testuale ;
Dice dunque , egli:(a) Ars fane medica jām mihi tota inventa ese videtur, quæ
fic comparata eft, ut fingulas, da consuetudines , temporum occasiones doceat.
Qui enim hoc pactó Artis Medicæ cognitionem habet , is minimum ex, fortuna
pendet , fed & citrà fortunam, çum fortunâ rectè eam adminiftrabit ; Firma
enim eft Ars tota Medica , cjusque prçceptiones , ex quibus conftat dr.
Consistendo dunque tutta la Medicina in sapersi ciò, che sia solito à farsi, e
le congiunture de' tempi, nelle quali fi deve operare, queste chi meglio di voi
le potrà sapere, avendole con li yostri propri occhi più volte osservate? e
bastando ciò per bene medicare, secondo la dottrina d'Ippocrate, sarete dunque
, mediante la vostra buona pratica, allora già divenuti Me(a) Hippocr. in
lib. de loc. in bom.nesa Medici; E fe poi desiderate sentire sopra ciò
più chiaro parere d'Ippocrate , legge. xe De decenti ornatu, dove così vi parla
; Sint cu in memoria tibi morborum curatio. da harum modi, quo
multipliciter, quomodò in fingulis fe habent; bọc enim principium eft in
Medicina , medium, & finis = che sono appunto questi il costitutivo del.
l'essenziale: Sia all'oppofto tal'uno ornato di tut, te le scienze, nià
che non abbia acquistato ancora in Medicina una buona pratica , questi non si
potrà dire con tutte le sue scienze Medico pratico, perche non saprà ben
mcdicare, e gl'accaderà per l'appunto, ciò, che succederia ad un'insigne Geo.
grafo se volesse viaggiare senza la guida , queiti nelli bivj, ò trivj
sbaglierebbe la strada , per non averne la buona pratica , e con tutto , che
possedeffe la situazione di tutto il mondo, in un piccolo tratto di paese si
smarrirebbe; Mà tutto questo con Pesempj più chiari ve lo farò costare,
Tralasciando di riferirvi un lungo Catalogo de' Medici , che hanno scritto
in fola sola Medicina pratica, e che fiorirno con gran lode, mentre
vissero, senza effere ornaci d'altre scienze, perche lo potre te, volendo, con
li vostri proprj occhi rincontrare , leggendo i loro libri ; Vi riferirò
solamente alcuni casi accaduti à Medici, ch'avevano appreffo di noi molta
ftima', per essere versatiliminella buona pratica di medicare, e si poteuano
annoverare trà quelli, di cui parla, Ippocrate nel libro De Arte : Viri hujus
Aricis periti , re ipfi lubentiùs, quàm vero bis demonftrant ; li quali vennero
al cimento con Medici di maggior grido di loro nelle altre scienze, e ciò , che
ne seguì . Gio: Giacomo Baldini ne fù uno di questi , il quale efsendo
folamente un buon Pratico, e dotato d'isperimentată prudenza , era per li fuoi
pingui guadagni molto invidiato da alcuni di quelli, che li riconoscevano in
molte scienze superiori di gran lunga à lui, s'abbattè egli una volta in un
consulto con due Medici delli più celebri nella facondia, 1 B
с рiй e più versati in molte altre scienze,e per tal cagione poco conto
facevano di lui; Ora questi avevano già premeditati li loro discorsi molto
eruditi, à fine, che meglio comparisse à tutta una nobile Udienza , che vi
dovea intervenire, la poca sufficienza, & infelice modo di di(correre del
Baldini, furono sì lunghi li sudetti eruditiffimi ragionamenti, e s'ina
oltrarono tanto in cose fuori del propofito, che in vece di dilettare
annojarono tutta l'Udienza, & avvedutofi di ciò il buon Pratico, in vece di
gareggiare con loro nell'eloquenza , fece un breve di. scorso, mà tutto
indirizzato all'urgente bisogno, conobbe meglio degl'altri il male, lo confermò
con l'autorità puntuale d'Ippocrate, fece il suo pronostico mortale, che si
verificò in breve, venne alla cura , propose alcuni rimedj, e terminò il
consulto con applauso uniuersale di tutta quella nobile Udienza , diccndo
: : mo, che ha discorso à proposito, e se ne partì tutto contento, e consolato.
Gio [ocr errors][merged small] 1 1 Giovanni Tiracorda già in
questo Archiospedale degnissimo Decano, che nella pratica Medica aveva quei bei
lumi, che felicirano le cure ardue , si abbattè in un consulto con un Medico
catedratico eruditissimo nelle lingue , c Greca in ispecie, nelle Matematiche,
ed ancora nella Teologia ; L'Infermo era Oltramontano y poco prima giunto in
Roma , che li ainmalaffe, ed in tempo di aria sospetta, il' di cui male fù
creduto dal sudetto eruditiffimo Professore eflere una febbre etica , e con
tali, erante ragioni s'ingegnava di provarlo in ispezie per il pollo basso che
aveá, che fariano per certo bastate à formarne liga gran ležzione in cattedra.
In tanto il buon Pratico Tiracorda penaya in fentire ciò, che conosceva non
potersi in modo alcuno verificare, e dovendo egli concludere , con breve
discorso fece capire essere il male del povero foratieri) una febbre maligna,e
di pelimo costume, che se presto,e validamente non era foc corso farebbe morto,
disse ciò, che con veniva B2 [ocr errors] veniva farsi con
sollecitudine, e l'esito funesto, in breve seguito , ne fù il Giu-
dice, chi di loro avesse meglio conosciu- to il male, Riferirò
per terzo ciò, che seguì ad Antonio Piacenti mio Maestro, la di cui
perizia nel ben medicare è nota , per via vere ancora molti, che furono da effo
ne’loro gravi mali bene assistiti, onde per essere io interessato , non
m'inoltrcrò di vantaggio in lodarlo, e lascierò, che facciano altri quella
giustizia , che le sue gloriose ceneri meritano. Questi ebbe occasione più
volte di trovarsi alsieme co' Professori di molto grido, per le varie scienze,
che possedevano, e vedevo, che il suo configlio, ò era feguitato, ò volendosi
fare diversamente per lo più si sbagliava; Accadde una volta nella cura
di un'Infermo, che pativa di un male graue di testa, creduto da esso procedere
da pienezza d'umori viziofi, che nel basso ventre dimoravano, c per ciò
gl’aveva proposto il dejettorio, che à ciò si oppose chi era versato più di
luiin altre scienze fuori della pratica medicinale, con il motivo, che
l'evacuazione glavria inolto pregiudicato. Stette egli faldo nella proposta già
fatta, quale fù esaminata da altri Profeffori, e conclusa: ed eseguita che fù,
l'efito moftrò d'onde procedeva il male, e chi l'aveva meglio accertato,
posciache mediante l'evacuazione ne rimnase libero. Due gran motivi si
poffono dedurre dalli riferiti casi, uno di confolazione per voi, che non avete
genio ; ò abilità all'acquisto di altre scienze, vedendo, che nella vostra
sfera pratica; abilitati che sarete , potrete ftare à fronte con quelli di più
letteratura di voi, purche abbiate prudenza , e giudizio in sapervi ben
regolare; e l'altro servirà d'avvertimento à voi d'ingegno più perspicaces che
desiderate apprendere tutto lo scibile, à non fidarvi folamente sù quello, ch'è
ornamento Medico, dovendo ancor voi poffedere Fondatamente, al pari degl'altri,
quella buona pratica Medica, ch'è la direttrice del ben curare, senza
[merged small][ocr errors] la quale sono inutili tutti gl'altri ornamenti:
Consolatevi però ancor voi, che bramate d'apprenderli : perche quando saranno
uniti alla buona pratica, vi ferviranno ancor'elli di scorta, e vi faranno
divenire eccellenti Medici, & in prova di ciò non vi mancano esempj di
cafile, guiti, che fanno conoscere quanto accrescano di chiarezza alle nostre
menti le Filosofie sperimentali, la Ģeometria, l'Aftronomia, & altre
scienze, che porfono avere correlazione con la Medici. na, mà per ora potrà
bastarvi l'oracolo d'Ippocrate allora, che scrivendo à Tel, Lalo gli notificò:
Geometria mentem acuit, e longè Splendidiorem reddit ; e nel libro de Aere,
Aquis, & locis ; Ad Artem Medicam Astronomiam ipfam non minimum, fed
plurimum poteft conferre ; Ben'è vero, che rari fono quelli, a'quali datum eft
adire Corintum , perche tutte queste cose averle , poffederle, e maneggiarle à
quel segno, che conviene, cnon più oltre non a ricerca minor prudenza di
quella, che aveva il Re Mitridate iu reggere un Coco [ocr errors]
Cocchio tirato da bravi , e numerosi de strieri, altrimenti andandosene tutte
in pampani , e fiori, che non legano, produrranno pochissimo frutto, quantuns
que fosse vaghiflima la loro prima ap. parenza. Sicché parmi d'avervi à
bastanza mostrato , che l'essenziale del Medico non consiste in altro, che
nella buona, e soda pratica acquistata mediante le re. iterate osservazioni di
ciò, che fiegua nelli progrefli de’mali, e quanto fiac. quisterà di più fia
tutto ornamento. E da questo si possono comprende reli gran vantaggi, che
necessariamente nel ben medicare, non solamente li Gio. uani Praticanti, &
Aliftenti ne riportano dalle continue offeruazioni , che fi fanno negli Spedali
ove sono numerosi gl'Infermi, mà ancora gli Profeffori primarj, che ivi
esercitano, potendo questi, mediante le reicerace osservazioni, che si fanno in
lunga serie di anni, acquistare molta perizia pratica , e franchezza ancora nel
medicare, conforme, che ogn'uno di esli ben se ne avvedeje lo confeffa. E
finalmente, acciocchè non resti quanto vi hò detto infructuofo,converrà, che
ora vi mostri come vi dovrete contenere nell'acquistare detta pratica tutti
assieme, e conformé, fi dovrà regolare ciascun di voi ; secondo la propria
capacità , in quello, ch'è ornamento, mà effendo questi più punti , che
meritano matura riflessione, bisognerà riportarli alla Giornata di domani,
venite però tutti, e voi precisamente, ch'avere più brio, e spici:o più vivace
deglalri preparati di sofferenza, perche sarà Giornata di attenzione, e
mortificazione infieme. [ocr errors][merged small] [blocks in formation]
Nella quale si fà vedere ciò, che dovre farsi da tutti unitamente per ben
confeguire una buona prática, e quello, che dovrà operare ciaschedino secondo
la propria capacità per uguagliarsi a' Comia pagni in quello , ch'è
ornamento. Mi : I dispiace nella Giornata
di jeri accennato, ch'oggi vi mortificherei , perche jacula prævisa minus
feriunt ; Mi persuado , che di già farete venuti preparati per sentire da me
rimproveri sopra li vostri poco lodevoli portamenti, da me più volte osservati,
mà abbiateci pazienza ò perche ciò G fa per voftro bene. Ditemi di grazia
à che fine venite in questo luogo pieno di miserie ? Frana camente mi
risponderete : A prendere la pratica di Medicina; e questa in che modo la
prendete yoi più disinvolti, & allegri , che mostrate d'esfere più
spiritofi degl'altri? Con paffeggiare per lo Spe. daledale, confabulando
trà di voi sopra le novelle di queito mondo? Questo non è il modo da prendere
pratica di Medicina, nella quale si richiede una fomma applicazione, mà più
tosto da divertirvi: Sappiate, che lo Spedale non è luogo da perderci
inutilmente il tempo in divertimenti, e svari, perche è ripieno di aria
infetta, chi non brama d'approfita tarsi non si curi dimorarvi , mà se ne vada
in aria migliore, e più amena di fta, che farà per lui più utile, e sicura , e
non mi faccia cestar bugiardo, poiche in cal guisa continuando, non folamente
daria à divedere che la Medicina sia Arte lunga , mà ancora, che non si possa
in conto alcuno acquistare, essendo questo tutto l'opposto di ciò, che da
principio vimostrai. 15 TMarcello disse, rimproverando li suoi foldati,
che non aveano fatto come e doveano, e poteano il loro uffizio: Mula ta
vidi Romanorum corpora, fed Romanum vidi neminem; e così ancora io potrò direfin'ora
di voi: Multa vidi discipulorum [ocr errors] corpora , fed difcipulum
vidi neminem ; Spero però, che conforme servirono di stimolo a' suoi soldaţi le
parole risentite di Marcello per fare, che superassero nel giorno susseguente
Annibale,cosi le mie moveranno ancora gl'animi vostri in ay. venire ad operare
con più attenzione, e fervore di prima scusandovi del passa perche non
sapevate ancora in che modo vi dovevate contenere ; Qual mutazione, oltreche
recherà à voi gran vantaggio , si perche più prestamente vi sbrigherete, e con
miglior ordine v’im. poffefferete della buona pratica Medica, à cui devono
indirizzarsi tutte le vostre operazioni , sarà ancora di mia somma
consolazione. Prima però di porvi à questo ftudio pratico farà di
mestiere, che possediate , oltre il buon costume, l'Istituzioni Me diche, con
le quali diverrete già iniziati à questo nuovo esercizio, essendo legge
d'Ippocrate di non doversi praticare altrimenti, ordinando egli (a) doppo
aver detto: (a) I* Hippocratis lige : detto: Institutionem à puero
fit moribus generofis , venendo alla Medicina pratica, Hæc verò cum facra fint
, facris hominibus demonftrantur, prophanis verò nefas priùsquàm foientiæ
facris initiati fuerint ; e facendo voi diversamente non potrete capire ciò,
che vi si presenterà d'offer= väbile, e s’aveste ancora appreso la cognizione
de'mali , vi recheria quefta un sommo vantaggio, insegnando Ippocrates ( b )
che Qui autem fignorum cognitio: nem habuerit is: folus ritè ad curationem
aggredietur, caso che nò procurerete , che sia questo il primo vostro studio, e
lo farere ; con discrivere in un libretto di memorie tutti li segni , che fanno
venire in cognizione di quel tal determinato male, con indicarvi quali sono li
essenziali ; ex. gr. dell'Angina, dell' Epátiride &c. é quelli, che sono
distintivi; che fanno conoscere, se sia Colico, Ò Nefritico il male, se fia
vera , ò falfa gravidanza, e così proseguendo in tutti quei casi confimili, che
hanno bisogno di (b) la lib.de Media [ocr errors] [ocr errors] di
qualche segno proprio, che meglio li faccia comprendere , e tutto ciò è
necessario à farsi, perche attorno l’Infermo dalli segni si rinviene il suo
niale , e questi sono neceffarj d'averli à memoria, perche all'ora non si può
ricorrere à leggerli ne’libri, quando sareçe interrogati, che male quello sia ;
Dovrete ancora lasciare in detto libretto di memorie molto spazio di casta
bianca in ciasche, dun caso, doppo avervi descritti gl’accennati segni per
notarvi ciò, che biso, guerà in appresso, Acquistata , ch'avrete la
cognizione de' mali più frequenti, e che vagano in quella stagione, e questo in
breve tempo lo potrete fare , incomincierete ad osservare il modo, con il quale
si curano , & in quel medesimno libretto dove avrete descritti li segni ,
v.g. della Punfura , capitandovi d'osservare il detto male, verrete descrivendo
la cura, e mutazioni, che di giorno in giorno eslo anderà facendo, tanto in
meglio, che in peggio, con tutto ciò , che offerverece di riguardevole,
mà succintamente con qualche contrasegno indicativo,per non fare scrittura
voluminosa. Di dette cure da offervarsi contentatevi di prenderne poche
da principio, e le più facili , per poterle esattamente confiderare, e capire
bene, quali in progresso di tempo l'anderete moltiplicando, e scegliendo
secondo vedrete meglio poterle possedere , e comprendere; Avvertite però non
caricarvenc troppo, nè di tralasciarle, se non ne avete veduto l'evento felice,
ò funesto , quale noterere per meglio impoffeffarvi nelli pronoftici da farsi
in casi consimili, nelle congiunture, che vi si presenteranno . E tutto questo
è coerente al consiglio d'Ippocrate dato nella sua legge, ove dice : Ad bec
longi temporis induftriam accedere neceffe eft, quod disciplina veluti
gravidata felicitèr , & benè crescendo maturus fructus efferat.
Lo studio, che dovrete fare in casa sarà di leggere solamente dui, ò trèlibri
pratici de’migliori , che potreteavere si antichi, che moderni scelti dal
Direttore vostro Macítro, & in quelli procurerete rincontrare se ciò,
ch'avete osservato si uniformi alli loro sentimenti, e noterete, in che cosa
consista il di- . yario, per domandarne sopra ciò la cagione à chi sarà vostro
Direttore nella pratica, ò almeno alli Medici Affiftenti di detto
Archiospedale, che sono già pratici, de' quali ancora vi dovrete prevalere in
molte occorrenze, potendoli avere più pronti, e nel luogo istesso dove vi
esercitate, Mà perche le conferenze accrefcono fervore, e facilitano
insieme li progressi, per cagione dell’utile emulazione, e di sentire da?
Compagni qualche cosa di più, che talvolta non fi sapeva ; Quindi è, che almeno
una volta la settimana vi dovrete congregare tutti insieme per conferire ciò,
che ogn'uno avrà acquistato di più nel suo esercizio pratico, & à questa
conferenza potria avere qualche sopraintendenza il Medico Af fiftente di
guardia, che deve necessaria. mente [ocr errors] mente essere nello
Spedale permanente ; E quando sarete disposti à tal’utile esercizio non avrete
da affaticarvi in cercare luogo à propofito, conforme era neceffario prima,
perche voi, che di presente ftudiate avete avuta la sorte propizia, mediante
l'animo generofo , e magnitico di Monsig. Illuftriffimo Gio: Maria Lang cifi,
cho con tanti suoi incominodi, c con si considerabile spesa, à publico bene, hà
stabilito sì grandiosa, e nobile Libraria , ed in questo medesimo luogo, dove
vi esercitate, potrete ivi radunarvi, e fare con tutti li vostri commodi
l'utilissime conferenze , con quel di più, che ne potrete ricavare da'vn'abbon,
dantislima scelta di libri , che vi si custodiscono d'ogni scienza, & in
particolare, assai più numerofi d'ogn'altra in Medicina. Qual commodo fe
l'aveflimu avuto noi, che ora fiamo avanzati negl'anni, in nostra gioventù,
quanto mai ci faria stato grato; poiche per fare conferenze allora, bisognava
andare in luoghi privati à dare incommodo, e pure si face vano vano
con fervore conforme seguì int cafa del Dottor Girolamo Brafavola, dove
ogni Lunedì si teneva congreffo publico, e si leggevano un difcorso con due
problemi Medici, oltre le conferenze, che si facevano fopra altre materie,
concernenti la Medicina, è detto.congreffo continuò con fervore per molti anni
, e con profitto di chi lo frequentava. Talmente che tutta vostra la colpa
fària se voi ora che avețe derta commodità la trascuraste', non potendosi ciò
attribuire ad altro, e con vostra somma vergogna, che al poco desiderio, che
aveste di approfittarvi. Vi riuscirà più commodo di fare alcune diligenze
intorno alli Malati, che vi fiere scelti da offervare , prima della visita del
Medico Principale, che consor feranno d'interrogarli, con descrivere ciò, che
vi troverete di novità per essere sbrigati , e pronti nel tempo della visita,
nella quale sentirete voi ancora il polso à tutti gl’Infermi del Quartiere per
impoffeffarvi delle differenze di esia C e ciò e ciò farete
con qualche attenzione particolare, per meglio comprendere ciò che nel giorno
vi scorgerete differente dalla mattina , e nelle visite susseguenti, ciò, che
di divario dalle antecedenti, ed in ispecie se più , ò meno celeri, se più, ò
meno eguali , se più , ò meno duri, se più alti , ò più basli , e molte altre
differenze, che avete gia letre nel trattato de' Polfi, ed occorrendovi sopra
di ciò alcuna difficoltà , non abbiare timore di spiegarvi, e di dirlo à chi vi
sopraintende , perche da tutti con somma cortesia vi sarà spianata; Starete
attenti quando s'interrogano li Malati nuovi per rinve- ; nirne l'idea del
male, & offerverete il modo , che si tiene con quelle persone idiote, che
non sanno rispondere à ciò, che si domanda loro , & apprenderete la gran
pazienza, che bisogna averci, per potervene servire ancora voi abbattendovi in
Gimili Infermi idioti. Vi porrete à mcmoria quell'idea, che dal Medico
Principale farà stabilita à quel male, e pet non dimenticarvene la noterere
in un libretto conforme vien praticato da. gl’Afiftenti, con notarvi
insieme il no me dell'Infermo, e numero del letto, invigilerete in sentire , e
capir bene cutte le ordinazioni, che si faranno, con rincontrarne ancora li
suoi effetti, non trascurerete di sentire ciò, che si dice del pronostico del
male, e d'ogn'altra cosa concernente tal'infermità, ed in ispecie in quelli,
che vi siete scelti per osservare, e facendo yoi ciò, che vi hò decco , vi
assicuro , che quell'Arte, che Ippocrate chiamò lunga, la farete divenire più
breve di quello, che vi credevate, potendo yoi in tal guisa con facilità non
solamente apprendere il modo più sicuro di medicare , mà ancora la franchezza
del ben pronosticare, conforme insegna Ippocrate : (0) Eventa igitur per
experientiam cognita prædicenda, id enim gloriam adfert , c cognitu ejt.
facile. *Terminata , che farà la detta visita seguirete il Medico , che
vi conduce inpratica per osservare le visite, che sono per la Città, nelle
quali procurerete di fare le vostre osservazioni nel miglior modo , che vi sarà
permesso. Con il sudetto vostro Direttore, e Maestro conferirete tutte le
difficoltà, che vi occorrono, con animo però decerminato d'apprenderne li loro
documenti, essendo questi li semi di quanto di buono in voi germoglierà à
suo tempoo conforme disse Ippocrate nella sua legge : Doctorum præcepta feminum
rationem habent, non già di contradire con pertinacia à quello, che verrà da
esso detto, e risoluto, ed imiterete in ciò le Api, che succhiano il mele da'
fiori, è non già le Vespi, che pungono con li loro aculei colui, à cui si
approssimano. Credetemi, che la modestia, e li buoni costumi, l'attenzione, e
la docilità ne? giovani formano la base stabile di tutti li loro avanzamenti,
dove, che il mal costume, la pertinacia , la garrulità , e la petulanza affatto
l'atterrano, elanniçhilano. Nelli [ocr errors] [ocr errors] Nelli
tempi poi, che saranno prof fimi alle offervazioni anatomiche comincierete ad
alleggerirvi dalle occupa. zioni Mediche, per attendere con più fervore alla
Notomia, e procurerete in quelle vicinanze di trovare un'Indice delle
oftenfioni, che fi faranno , per istudiare preventivamente ciò, che pu- .
blicamente si dimostrerà, ed in oltre vi troverete presenti à tutte le
preparazioni delle parti, che si faranno in privato, non solo per meglio capire
, & impofseffarvi di quello , ch'avete letto, mà ancora per mostrarvene già
pienamente istrutti quando le vedrete publicamente dimostrare i Non
trascurerete , essendovi occafioni d'aperture de cadaveri, di trovarvi presenti
à quelle, e tanto maggior mente se avrete osservato li mali di quei poveri
defonti, e se non l'avrete visitati, procurerete informarvi delle loro
infermità , perche mediante tali ispezioni verrete meglio in cognizione del
luogo affetto, e di qualche cagione ancora di detto C 3 detto
male, e noterete in succinto nel vostro libretto ciò, che si farà rinvenuto in
quelle di considerabile , acciocchè vi resti memoria per prey aleryene à suo
tempo. Ed affinche meglio le possiate ritrovare , riporterete in un repertorio
per ordine alfabetico ciò , che offeryato avrete, tanto nelle cure de inali,
esiti de’madesimi, che aperture de' cadaveri, senza lasciare nè pure un giorno
di non notarvi qualche cosa offervata, e questo l'andrete bene spesso rileggendo,
à fine non vi scordiate di ciò, che una volta apprendeste. Quando si
faranno l'ostensioni bota taniche non occorrerà, che trascuriate l'altre vostre
applicazioni mediche,perche non richiedono queste quell'attenzione, ch'è
necessaria per la Notomia. E tanto più, che durano tutta una stagione, onde
basterà, che per tal'effetto Jeggiare qualche libro bottanico, e con
l'esercizio oculare ricontriate nell'Orto Medico le più usuali per meglio
conocerle , le quali per voi possono esse re [ocr errors] re
sufficienti con la notizia delle loro virtù.
Impiegato , ch'avrete il primo ane no, con fervore, in fare tutto ciò,
che fin'ora vi hò detto, ristrignerete poscia in una nota
tutti quei mali più essenziali à saperfi, che ancora non avevate
offer- vati, à fine , che capitandovi possiate in quelli continuare
li vostri studj, imitan. do quei Giardinieri, che vogliono
for mare un vago prato di fiori ; Questi colo tivano tutto quel
terreno, e con buona ordinanza vi dispongono li semi, à fine non vi
resti del sodo incolto, ove non nascono fiori , mà sol'erbe
campestri, e che li fiori, che nascono , non resting trà loro
confusi. Quando avrete già offervato ocularmente le cure de' mali
più riguardevoli, e frequenti, e quelle occorsevi di nuovo, l'avrete più volte
ancora rincontrate nelle cose essenziali, uniformi, e che possederete già la
Notomia, elsendo divenuti capaci di meglio discernere ciò, che fate, all'ora
converrà , che [ocr errors] vi applichiate à rinvenire le cagioni de?
mali , e non prima, perche essendo tante , e così diverse tra loro le cagioni
descritte dagli Autori in un medeliino male per la diversità di sì
numerosi sistemi, novamente inventati, che se Galeno à fuo tempo giudicò al
parere di Lacuna che : Judicis veri difficultatem liquido ostendunt tot,
tantæque variæ hæreses, quot in Arte Medicâ reperiuntur ; Che giudizio
accertato ne potreste formare voi ora , che sono cotanto più cresciute, prima
d'essere nella pratica bene istrutti? Oggidi li giovani sono così perspicaci, per
non dire arditi, che li raziocinj, che già udirono da’loro Maestri, quali come
buona femenza dovriano conservare, & aspettare, che con il tempo
crefceffero , conforme ordina Ippocrate nella sua legge: Tempus omnia hæc ad
plenam nutritionem confirmat, in vece di çoltivarli ora non li seguitano più,
& in vece di quelli se ne scegliono delli più vaghi, onde quando ciò abbia
da esfere è pur meglio, che l'apprendiate quandofiete divenuti più suficienti à
farlo, ed all'ora appunto, che sarete à pieno informati dell’idee de'mali,
delli loro sina tomi, del modo, che s’abbiano à curare, e dell'esito , che
possono avere, perche potrete allora con più sperimentato giudizio sceglervi
quel raziocinio intorno alle sudette cagioni morbose più adattabile degl'altri
al vostro bisogno: Sentite di grazia come al proposito ve lo infinua Ippocrate
: (d) Preclara enim res eft, quæ ex opere , quod quis didicit proficifcitur
oratio ; Écon maggior chiarezza in altro lạogo , (e) dove così parla : Ncque
priùs ad ratiocinationis perfuafionem quàm ad ufum cum ratione conjunctum
animum adhibere ; Ratiocinatio enim in eorum, quæ fenfu comprehenduntur
recordatione quadam confiftit ; ed in appreffo : Nullum ex his , quæ folâ ratione
concludun- , tur fructum percipere licet , verùm ex his , qua operis
demonstrationem habent, fallax enim, & ad errorem proclivis affeverario; Ed
operandosi da voi in questo modo, effendo già divenuti più abili, e capaci, da
un principio più accertato ricaverete un ražiocinio è certo , ò per lo meno
probabile, dove che facendosi diversamente con impoffeffarvi prima d'ogn'altra
cosa delli raziocinj in aria, e di bella comparsa, che possono con danno
notabile preoccupare le vostre menti, e quefti effendo Icelti da voi per mero
genio , fenza saperne il perche, vi faranno dedurre delle conseguenze, che vi
pareranno certe , ed evidenti, le quali in atto pratico le troverete diverse
das quelle ve l'eravate figurate; onde per acquistare pofcia la buona pratica
vi converrå deporli, conforme è convenus to farli da altrui, che se ne sono
ayveduri , per non continuare ne' loro pregiudizj, e sentite come à meraviglia
fi ritrovano costoro delcritti da Ippocrate: (f) Venuste enim cognitionis
intelligentia apud iftos sparsa ejš . Cum igitur hi ex neceffitate indocti
exiftant eos ad utilem *xercitationem cohortor . Mà veniamo all' esempio per
caminare con più chiarezza. S'idei il più bell'ingegno, che frà voi si trova,
che il tal male proceda da un' acido esaltato, è da un calore eccellivo, ne
dedurrà subitamente con la sua perspicacia , dunque và curato con gli alkalici,
ò con gl’attemperanti. Volesse Iddio, che ciò si verificaffe , non avreste per
certo bisogno d'affaticarvi tanto intorno l'Infermi per apprendere la vera
pratica , perche in questo modo diverreste presto Medici; Mà non è questo il
modo da caminare con licurezza, perche se quella cagione non è accertata farà
neceffariamente incerta ancora la conseguenza da quella dedotta , la quale
potrà talvolta produrre all'innocenti Infermi un nocabile danno, perche Gi
tra{curerà di far quello, che s’è osservato altre volte effer loro di
giovamento per andare in traccia à ciò,ch'è incerto, e so. lamente da noi
ideato. Qual verità udite con che chiarezza si ricava da Ippocrate:(8) Quidquid
artėm artificiosè di&tum ef(d) Hippide deciørd. (e) Id, in lib.de
tracept 1 efem(f) In lib.pracept: eft, (8) Hippocr.de
decobabitki [ocr errors] eft , non autèm factum, viam, rationem artis
expertem arguit.. Opinabile
fiquidem fine actione infcitiæ , nullius artis indicium eft ; Opinatio enim cum
præcipuè in Arte Medicâ, eâ quidèm utentibus crimini vertitur; His verò qui eâ
indigent exitium afferty fi namque fuis verbis perfuafi exiftim mant se
opus ex scientia profectum novisse, quemadmodùm aurum adulterinum igni
probatur,tales se ipfi etiàm produnt ; e ciò lo conferma ancora nella sua
legge, dicendo, che la sola opiņione ignorationem parit . Il modo dunque
praticabile più sicuro sarà di dedurre la cagione demali dalla già accertata
cura , osservata più volte profittevole, con que’lumi, che vi darà di più
la Notomia, e quando anche per questa strada non se ne rinvenisse la più certa,
non potrà nascerne quel pregiudizio già accennato , perche la cura anderà a suo
dovere, essendo fatta secondo le buone osservazioni pratiche; oltre di che
caminando voi con quest'ordine non vi regolerete con l'incertezza dell'opinioni
degl'uomini,ogni giorno variabili, mà bensi con la certezza delli giudizi di
Natura, sempre più accertati , come divinamente considerò Cicerone allorche
diffe : Hominum com. menta delet dies, naturæ judicia confirwsat. Quindi
è, che Pittagora non fenza cagione faceva tacere li suoi scolari sinche
aveffero compiti cinque anni di studio , perche voleva , che cominciassero à
parlare quando appunto capivano ciò, ch'elli dicevano , e veramente chi presto
parla non ha premeditato ciò, che dice, e chi non hà premeditato ciò, che dice,
parla à caso. Per conferma di quanto vi hò detto, ed à fine non prevarichiate
ora, che avere da me sentito dire qual potesse esfere il inodo facile sì, mà
non già sicuro, da prestamente liberarvi dall'intraprese fatiche, v'addurrò
altri sentimenti d'Ippocrate,da’quali non potrete discostarvi se vorrete essere
tenuti suoi veri seguaci, dice egli ( b :) parlando in termini difare progresso
nella Medicina : At vero in Medicina iampridem omnia fubfiftunt in eaque
principium , via inventa eft, per quam præclara multa longo temporis fpatio
sunt inventa, bu reliqua deinceps invenientur; Si quis probè comparatus fuerit,
ut ex inventorum cognitione ad ipforum investigationem feratur, Qui verò his
omnibus rejectis , ac repudiatis aliam inventionis viam ; aut modum
aggrediatur, to aliquid Je invenise jactitat, is cùm fallitur , tùm alios fallit,
neque enim iftud ullo pacto fieri poteft. Ippocrate dunque vuole, che dalle
cose accertate si passi all'investigazionc di esse,per meglio discernere ciò,
che in quelle non fosse ancora palese,mà non già, che dalle incerte si pasli à
fare al. cuna investigazione , dicendo chiaramente, che chi farà diversamente
ingannerà se stesso , e gl'altri, e tutto ciò vie. ne più precisamente
individuato redarguendo quelli, che dalle cagioni incerte ne vogliono dedurre
una certa cura, come si legge in appresso: At verò nunc ad cos , qui novâ
quadam ratione artem ex přo." propofita materiâ investigant
nostra revera tatur oratio fiquidem eft calidum, aut fria gidum, aut ficcum,
aut humidum , quod hominem lædit , & eum, qui rectè mederi volet opporret
calido per frigidum, frigido per calidum , ficco per bumidum, & humido per
ficcum opitulari . Exhibeatur mihi aliquis naturâ non admodùm robuftâ , fed
imbecilliore; qui triticum crudum, & inelaboratum edat , quale ex areà
fuftulit, carnes crudas , & aquam bibat , ex qua victus ratione non dubium
eft quin multa , gravia fit perpeffurus. Nàm & doloria bus conflict
abitur, & imbecillo erit corpore, O ventriculus corrumpetur, nequè vitam
diù tollerare poterit . Quodnàm igitur ità affecto præfidium comparandum
Calidum nè , aut frigidum, an ficcum, an humidum? Siquidem horum quodque
fimplex eft. Namque fi quod lædit ab his ipfis eft diversum contrario disolvere
convenit , velut ipfifatentur - Eft enim certifima, & evidentiffima medela
, sublatis quibus utebatur cibis , pro tritico panem exhibere , da
pro crudis carnibus coctas, dj insupèr vinum propi narly
nare, neque fieri poteft , quin his commu: tatis convalefcat ; e questa
accertata cura come si è ritrovata , se non dal vedere, che le sudette cose
hanno altre volte conferito in simili casi? Seguitate pure la strada
calcata da' noftri maggiori, se non volere errare, per la quale ebbe origine, e
si è avanzata la vera Medicina, e questa è quella dell'offervazioni, conforine
chiaramente confessa Ippocrate.(i) dicendo : Neque verò pigeat ex plebeis
sciscitari fi quid ad curandi opportunitatem conferre videatur , fic enim
censeo artem univerfam coma moftratam fuiffe , quod fingula ex fine abi
fervata, ad eadem aggregata fuerint. Animum igitur adhibere oportet fortuit,e
occafioni , qu& plerumque fe offert , quæque cum utilitate, &
lenitudine conjuncta eft, quàm cum sollicitatione, & forti defenfione; e
ricavate pure li vostri raziocinj dalle cagioni de' mali, dalle cure à voi
note, ed in quella conformità, che più vi appagano, che ottenuti in questa
guisa, se non fi) Hipp.praceptiones . [ocr errors][ocr errors] non
dimostrativi , faranno almeno inno- centi, non potendo recare
pregiudizio alcuno, e state fermi in tale proposito, per l'esempio
di più d'uno , conforme, che diceffimo, à cui è convenuto mutare li
raziocinj delle cure dapoi, che hanno osservato in pratica meglio
gl'andamenti de' mali, e non prima d'allora si sono accertati , che
l'opinione era assai diver- sa dalla verità, conforme nel suo sogno
ci fà conoscere Ippocrate, ( a ) non solo perche li comparvero assai
differenti trà di loro, mà perche la verità dimorava appresso
Democrito, che non s'inganna- va, e l'opinione trà l’Abderiti già
pre- giudicati, per la falla loro credenza, che Democrito delirasse. Appreso,
che voi avrete le cagioni ancora de'mali, all'ora sarete arrivati à
qualche perfezione maggiore , poten- do, rotto già il silenzio
Pittagorico, con fondamento parlare, e con franchezza ancora
medicare, resterà solo d'istruirvi in che modo si dovrà contenere
ciasche- duno (a) Hippo in epiß. Pbilope.2. [ocr
errors][merged small] D [ocr errors] duno di voi in ornare, secondo la
propria capacità ciò, ch'avrete acquistato tutti in commune. > Parlerò
prima con voi di mente fu. blime, e generofa, che vi pare un troppo angusto
campo la sola Medicina , onde per far conoscere a tutti la vostra maggiore
abilità, volete stendervi più oltre, ed all'acquisto d'altre scienze,conforme
nelle private conferenze apertamente diceste, ove tal’un di voi mostrò genio
grande d'apprendere le Mattematiche, altri l'Astrologia', e chi per ornamento
le Lingue straniere, & in ispecie la Grecaj e chi per divertimento ancora
l'erudizioni Istoriche i Mi dispiace d'aver sentito dire, che trà voi yi
fia chi lo faccia per genio grande, perche questo vorrei, che tutto lo ponefte
alla fola Medicina's qual dovrete profeffare, onde viva pur sempre caurelato ,
e circospetto chi di voi hà fimit geniono che non gli faccia perdere
-Hamore à cid, ch'avrà dianzi acquistaso; perch'è solito, che chi apprende
congenio grande una cosa nuova, trascura necessariamente ciò, che
prima se non per genio , almeno per impegno lo appagaya . Io per me
non posso, nè devo op- pormi à quanto deliderate, si perche è
onefto , sì ancora perch'essendo all'ora voi già divenuti
Maestri vorrete fare à vostro modo ; Vi dò solo questo conse- glio,
che facciate regolare la vostra in clinazione fempre dalla prudenza , e
dal giudizio, e che non la lasciare in tutta sua libertà, e facendo
voi in questo mo- do non potrete errare, perché le sudette virtù
mai non permetteranno, che fi din ftacchi dalla Medicina già appresa ,
nè che nel fare li nuovi acquisti gli rubi quel tempo, già
destinato per lei, e final mente faranno in modo , che non l'ap-
prendiate à quel segno di poterle pro- feffare , mà per solo ornamento, e
per poterne ancora voi discorrere in quella parte , che
possa servire alla Medicina. Mà vediamo d'ajurare , e consolare
insieme voi altri, che restereste altrimena 1 [merged small][ocr
errors][merged small] [ocr errors][ocr errors] timesti, non solamente per la
separazione, che faranno da voi li vostri compagni, inà eziandio per la cagione
di essa . In primo luogo parliamo chiaro intorno a'vostri difetti , per dare à
ciascheduno di essi il suo rimedio , s'è possibile. Dilli s'è poffibile,perche
se sarete affatto inetti, & incapaci mutate mestiere, conforme hò fatto
fare à qualcheduno di simile inabilità, perche altrimenti vi affaticherete in
darno fino , che viverete , mà re, ò la vostra memoria apprende con qualche
difficoltà , tenétela continuamente esercitata , che migliorerà, volendo
Cicerone, (b) che : Affiduus usus uni rei deditus, & ingenium, a artem fepè
vincit ; ò il vostro giudizio non è pronto , ajutatelo con l'attenzione, e
vigilanza, date tempo, che si farà, perche molte piante fioriscono prima, &
altre sono più tardive; ò il vostro discorso è alquanto infelice, e non siete
pronti, esercitatevi nclli discorsi publici , bene imparati à memoria,
discorretela continuamente con li vostri (b) Cicero pro Cornelio
Balbo. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] vostri compagni più franchi
di voi, fae tevi animo, & abbiate forma fiducia , che il vostro
timore cesserà. Aspettate ora da me di sapere il modo, che dovre- te
tenere per adornare ancor voi l'ope- ra già fatta , à fine di non
iscomparire trà gl'altri vostri compagni, e con ragione. Già voi non
vi curate d'uscire dal- la Medicina , in questa dunque converrà
trovare l'ornamento, che sia adattato al vostro bisogno, e doppo fatta
matura rifeflione, non trovo miglior conseglio di quello, che fi
ricava da Prospero Marziano Medico di grand’ingenuità , all'ora ,
che ricercando la cagione, per- che li Medici antichi erano tanto
stima- ti, & onorati assai più di quelli, che vivevano à
suo tempo, egli fù di fenti- mento, che procedeffe ciò
per effer stati. glantichi versatillimi ne' pronostici, e non vi
sia discaro à sentire ciò, ch'egli diffe : () Cur prisci Medici tanti habiti fint
apud homines, ut non folùm primas in Ci. (c) Prosper Martian. 2.prediff.
perf.23. e [ocr errors] D 3 Ciuitatibus, ac Regnis tenerent ,
Regibus Principibusque imperarent , fed etiàm summus honos , Diisque folis
præstari folitus, Medicis tribueretur, admiranda enim circà agrotos , &
præftitife, & prædixise eft. necessarium ; Sicut vice versâ mirum non eft
ifi nunc adeù vvilitèr tractentur, quando nèc in curando, nèc in prædicendo
quidquam spectabile pr&tent noftri, cum ea faciant tantummodò, a dicant ,
quæ ipfis idiotis sunt manifefia, & tamèn'artis pradantiam noftrorum
temporum continuò jaEtant imperiti , Medicinamque posteriores ditasse
profitentur , fed veniunt excufandi, eo quod antiqua thefauros adhùc non
percepere, quibus tota quidem Hippocratis do. Etrina plena eft; Verùm præfens
liber, [h.c. prædiétionum secundus ) adeò abundat, ur folus paupertatem, cu
miferiam artis noftrorum temporum indicare fufficiat, nam quis nostrum eft qui
centefimam partem eorum cognofcere poffit, qu& antiquiores Medicos
comunitèr prævidere confueviffe in hoc libro teftatur Hippocrates ; Sicchè voi
per fare spicco , & essere molto stimati nella [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] nella professione impoffeffatevi bene de!
pronostici d'Ippocrate , che uniti alla buona pratica acquistata , vedrete, che
vantaggi questi vi recheranno , & effendo stati ricavaci da molte
offervazioni uniformi, accadute in più secoli, non vi serviranno d'ornamento
inutile,mà bensi molto profittevolese necessario, e tanto maggiormente se
spoglierere ancora ciò, che v'è di migliore nell'Epidemj, ed in tutti gl'altri
divini libri d'Ippocrate , per mettervene à memoria più , che potrete , å
fine di serviryene secondo li i bisogni, che vi si presenteranno, e que
sto studio lo farete in quell'ore, nelle quali vi persuaderete, che li vostri
compagni le terranno impiegate all'acquisto d'altre scienzcacciocchè vi cresca
il fervore ad apprenderle con emulazione. Ornati, che sarete tutti nella
conformità, che s'è detto, ogn'uno di voi ne farà la bella comparsa ne
consulti, ed all'ora si conoscerà chi di voi avrà fatta i miglior
elezione del compagno, e si rina contrerà, che voi, ingegni, ch'eravatemeno
apprezzati degl'altri, per la voftra applicazione, e prudenza , certamente, che
non iscomparirete tra gl' altri di maggior talento di voi. Se il modo,
che vi hò proposto non farà buono, e profittevole trovatene altro
migliore,& acciocche lo possiate rinvenire più commodamente sia posto ogn'
un di voi in sua libertà di sceglierlo à fuo piacere. S'avete genio di studiare
prima della Medicina altre scienze, cosa ne feguirà facendosi, che non potendo
sapere ancora cosa vi possa bisognare vi converrà ftudiarle ex profeso, e se
l'avrete apprese con genio à quel fegno, che le pofliate profeffare, ciò, che
studierete in appreffo; con minor piacere , lo subordinerete alla prima, che di
già possedere. te, mà ne seguirà peggio ancora, che tutto farete meglio,
eccettuatone il Medico, conforme vi farò costare in appresso. Se il genio
vi porterà ad apprenderle insieme con la Medicina, che ne feguirà? Ciò appunto
, che accade à chi [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] in
un medesimo tempo getta in un camро semi diversi, e mescolati , e che ne
raccoglierà? Un frutto confuso, e quem sto ancora à voi potrà succedere, poiche
la bella ordinanza è quella, che facilita, e felicita le grand'imprese , dove
che la confusione le preverte , e le annichila. Inoltre s'avrete studiate
le Mattematiche, con gran genio , e studio profondo, e vorrete poi fare il
Medico niuna cosa di Medicina vi appagherà, cercherere in essa le dimostrazioni
evidenti, e non trovandole, che ne seguirà, se non sarete nella pratica ancora
versatiffimi? Che per temenza d'errare vi formerete un metodo di medicare à
vostro modo , con pochi rimedj, creduti da voi sicuri à non poter nuocere , e
semplici, come fono Occhi di granci, Stibio diaforetico, Sperma ceti, un poco
di Caffia , qualche ottava di Tartaro di Bologna, qualche Clistiero, qualche
bevuta d'ac. qua di Nocera , Oglio d'Amandole dolci, Sangue ircino preparato ,
Corno di Cervo filosofico, Giacinto bianco , e cofe [ocr
errors][merged small] cole simili, tutte sicure à non poter nuocere, & in
questa conformità vi regolerete tanto ne' piccioli, ne' gravi, che ne'
gravissimi mali. Questo è un modo sicuro, mà nell'infermità benigne, e
leggiere, non già in tutti i casi gravissimi, ne' quali è chiamato il Medico
per dare un pronto riparo, non già per complimento, per espugnarlo, ò almeno
per retundere la sua veemenza , e questo pretenderete di farlo con cose innocenti?
ch'è il medesimo, che dire con cose attività ? Queste dunque adoprerete
ne' bisogni inaggiori , ne' quali : Melius eft anceps experiri remedium quàm
nullum. Rimedi sicuri vi persuaderetç, che siano quelli, che non possono fugare
il male ? Questa sarà una licurezza inutile, mentre non rileva il pericolo,
sarà sicurezza, per chi assicura, non già per chi deve essere assicurato ,
perche se in quefta borasca si sommerge la Nave,non è tenuto chi assicurò al
rifacimento del perduto, mentre che và tutto à danno dell'aficurato. Un tal
modo di operare lo di poca [ocr errors] lo potrebbe ancora
esercitare , chi non sapesse altro di Medicina , perche già ch'è sicuro non ci
vorrà grand'arte per praticarlo, mentre l'arte consiste in la. per conoscere
ciò, che in un caso potrebbe nuocere, e nell'altro giovare, e per questo
effetto si chiama il Medico, onde essendo gl'accennati rimedi sicuri, e non
potendo nuocere à ch'effetto vi sarà bisogno del Medico per darli? Oltre di
che, per parlarvi ingenuamente, questo modo di medicare è assai confimile à
ciò, che fanno coloro , ch’imparano la scherma, che per non offendere, nè
effere offesi adoprano certe smarre senza taglio, ed in vece di punta acuta
hanno ivi un bottone di ferro foderato di pelle, ò cottone , qual sorte d'arme
sicura in tempo di pace, di ch'efficacia sarà all?ora, che l'inimico ci
affalisce con armi pungentiffime, lo potremo offendere , à almeno difenderci da
effo? Credo di nò con questa sorta d'armi sicure, ci converrà per certo
adoprare almeno armi eguali, e se saranno superiori riusci. ranno
[ocr errors] ranno migliori ; il fimile appunto succederia quando il male grave
alfalisse, se questo lo voleste espugnare con l'accennati rimedi sicuri,
combattereste seco con quell'armi appunto senza taglio, e fenza punta, poco
atte à fare validas difesa. E non basterà in questi casi Parme sola , mà
converrà saperla ben maneg. giare, per fare que' colpi sicuri riservati a' soli
Maestri dell'arte, quali come li fapreste fare se mai non aveste maneggiate simili
armi, volendovene talvolta prevalere? Sò, che questa voce di medicamento
sicuro, che non può nuocere'è molto plausibile appresso alcuni, che la
considerano superficialmente, mà capita bene, è molto nociva , poiche nel
bisogno più urgente non è tempo di passarlela con cose di poca attività,
richiedendo quello ajuti maggiori , ò equivalenti alIneno ad esso, e tutto ciò,
ch'è sicuro. à non nuocere non basta per rimuovere ciò,che nuoce, onde se
non ammazzano direttamente possono almeno indirettamente nuocere, per la
cagione, che non sono sufficienti à rimuovere ciò, che puol’ammazzare.
Ippocrate,che conobbe tal verità assomigliò il Medico al Governatore della
Nave: questi appunto trovandosi in una borasca di mare cofa dovrà fare ? Deve
in primo luogo alleggerire la Nave, con gettar via ciò , che più l'aggrava,
acciocchè tando più galleggiante non venga ricoperta dall'onde; Voi già mi
capircte, onde non occorrerà mi spieghi di vantaggio, potendo considerare da
voi medefimi , che alleggerimento rechino a'corpi, che si ritrovano nella
tempesta del inale, eripieni di viziosi umori, si piccoli , e poco efficaci
medicamenti. Io non pretendo già porvi in difcredito li dettirimedj,
perche in qualche caso possono essere profittevoli : Per esempio ne' veleni corrosivil'oleofi,
ed in qualche altro caso ancora grave sono utilissime le copiose beure d'acqua,
e cose simili, mà che siano sufficienti questi per per curare tutti
li mali, dicovi apertamente di nò , perche in molti mali gravi convengono altri
rimedi più efficaci, conforme ordinò Ippocrate : (d) V alentibus verò morbis,
valentin natura medicamenta exbibeantur ; & altrove : Extre. mis morbis
extrema remedia optima funt. Anzi, che se si tralasceranno da voi li più
efficaci in quei casi, che competono per sostituirvi questi più leggieridico,
che peccherete d'omissione gravemente, potendone nascere pregiudizj gravi alli
vostri Inferini in trascurar ciò, che li compete,per dar loro ciò, che non può
recare profitto equivalente al bifogno. E quando il solo differire un rimedio
possa recare del danno, come bene avvertì il divino Ippocrate : (e). Cum enim
ab omni ante aliena fit procrastinatio, tùm verò maximè in Medicina , in qua
di. latio vitæ periculum affert ; quanto maggiore lo recherà l'omiffione ,
essendo difetto più conliderabile della dilazione Ne (d) Hipp de loc. in
hom. (e)ld.in epift.ad Crat. Nè per cimore d'essere tacciati di omiffione
dovrete fare d'avantaggio di quello , che fiete tenuti di fare, perche all'ora
incorrereste in un'altro errore , non inferiore al primo, mà come vidovrete in
ciò regolare ve l'insegna Ippocrate nel primo Aforismo in tal guisa: Seipfum
præftare oportet opportuna, & quit decent facientem. Se divenuti
Profeffori d'Astrologia farete ancora il Medico , non vi capiterà Infermo, che
non vorrete alzargli las figura del decubito, non gli darete ri. medj se non
che a' buoni aspetti de' Pianeti, e fuggendo li cattivi,cosa ne seguirà? Che
perdendosi l'occasione pronta d'operare, l'Infermo se n'andrà all'altro mondo à
riconoscere più da vicino li suoi malefici Pianeri, stanteche Occasio præceps,
à quella bisogna , che indirizziate tutta la vostra attenzione, oltre di che vi
servirete d'una scienza più incerta della Medicina per accertare ciò, che in
essa crederete fallace. E se ornati di tutte l'erudizioni Istoriche vorrete
esercitare ancora las Medicina per far pompa in quello, che meglio saprete ,
& è di vostro genio, comincierete à discorrere con li vostri Infermi,ò con
altri, che ivi si troveranno presenti ab Urbe conditâ fino al tempo dell'Impero
Romano, e con vostro sommo piacere , il meno poi , che farete sarà di pensare
all'Infermo , che avete avanti gl’occhi, à cui dovete dare ajuto. Iddio
guardi, che tal’uno di voi , ch'avefse più spirito, che prudenza, s'annojasse
di far ciò, che ho detto intorno l'osservazioni Mediche, e si volesse
porre à fare il Medico senz'avere acquistato un buon metodo di medicare,
affidato solo in una gran scelta di belle, ed efficaci ricette, questi sarebbe
simile à colui, che custodisce delle bellissime armi, mà non le så maneggiare,
ed in conseguenza caderia in uno delli maggiori errori, che si possino mai
commettere nella Medicina , cioè di divenire un gran Ricettante, e de' più
validi, e pronti ri مرور rimedi si Chimici, che Galenici, che
avemo, e non sapendo il modo d'adopee rarli l'applicheria à casa, con tutto,
che fi fosse ideato d'imitare un Capitano, che per conseguire la vittoria fi
serve di valorosi soldati, e questo modo d'ope, rare quanto possa riuscire
dannoso, lo lascerò considerare à voi, per quando farete divenuti già provetti
; solo riflettete ora, che quel Capitano, che non sa comandare li suoi valorosi
soldati, in ve. ce di vittorie riceverà bene spesso delle sconfitte, e quel
troppo ardire indica ignoranza, come afferi Ippocrate: (a) Audacia verò, artis
ignorationem arguit : E in altro luogo :(b) At quod temerè fit nullo modo
fubfiftere videtur, sed nomen tantùm inane efle . Non riuscendo dunque
tanti altri modi ricercati da voi sarà neceilario,che seguitiate quello, che
v'è stato da me proposto, con il quale farete sicuri di abilitárvi à poter
divenire veri Medici E )quan(a) Hippocr. de lege. (b) Idem in lib.
de Arte,pro ftri fore inp Ver ner te, fo fe quantunque
fiatc trà voi d'abilità difu. guali, & in particolare per quel profittevole
uso, che potrete ricavare dalle diligenti, creiterate offervazioni fatte
intorno l'Infermi, non potendosi questo apprendere in altro modo , conforme
giudicò Ippocrate : (a) Usus namque, qui in fapientia , tùm in arte ei adjuncta
, doceri nequit ; e questo di quanta efficacia fia, sentitelada Cicerone: (b)
Aljungant ufum frequentem, qui umnium Magiftrorum precepta fuperaf. Mà
non vorrei, che tornaste ora à contriftaryi, voi, che fiete di natura
malinconici, parendovi forse troppo, quanto v’hò proposto per neceffario in
acquistare la buona pratica , perche se vorrete diyentare veri Medici, ed
eflere compresi nel minor numero di quelli, di cui parlò Ippocrate nella sua
legge così: Medici nomine quidèm multi, re ipfa perpauci , sarà necessario, che
facciate dal canto voftro ogni posibile, & à fine pro(c) Hipp.de
decenti ornatu . (d) Cicero 1.de Oratore . [ocr errors] proseguiare con
maggior fervore li vostri studj, vi mostrerò in domani quella fortuna propizia,
che vi potrà toccare in premio delle vostre virtuose fatiche. Venga pure chi di
voi la desidera ottenere, che gli farò conoscere quella forte, ch'è sempre
favorevole, non essendo soggetta à vicende, à fine, che di efla se ne
innamori. 1 [ocr errors][merged small][merged small] GIORNATA
III. Nella quale si mostra la fortuna , che deve defiderare, e procurare
il vero Medico , e la via più figura per ottenerla, A D
un gran cimento oggi m'espon in volervi mostrare la vostra buona fortuna,
posciache desiderandovela propizia, durevole, e senz'effere soggetta á vicende,
qual potrà essere mai questa fortuna sì prospera Quando nè le grandezze, nè gli
onori, nè le ricchezze, né le delizie, e piaceri,cose cotanto bramatç nel
mondo, la possono in cale stato costituire ? Appena è arrivato l'uomo alle grandezze,
od onori sommi, che questi cominciaio da bel principio à contriftarlo, alle
ricchezze, che l'infaftidiscono, alle delizie, e piaceri, che questi ancora non
gli rechino goja, e confiderabile danno: in somma si scorge chiaraméte,che Nemo
fua forte contentus. [ocr errors][ocr errors] In conferma di ciò
riferisce Ippon crare nella lettera scritta à Damageto , che Multi
fene&tutem exoptant, cumque cò pervenerint gemunt, nulloqae in fatu firmâ
mente perfiftunt . Principes, ac
Reges privatum beatum prædicant , privatus Re. gium Imperium affe&tat , qui
rem publicam regit, artificem tamquàm periculi expertem laudat , artifex verò
illum velut in omnia potentiam exercentem. E pur questi quan to mai avranno desiderato fimili
fortu. ne, quanto vi ayranno faticato peč conseguirle, & ottenute , che
l'ebbero, punto ne rimasero contenti; Ela cagione di ciò fù, che questi
andavano in traccia della bell'apparenza della fortu. na fallace, non glà della
di lei sostanza ftabile , e quello, ch'è peggiore , la cer. cavano ancora fuor
di strada, conforme nella sudetta lettera fi legge: Rettam enim virtutis viam
puram , minimèque af peram, ac inoffenfam non cernunt ; Questa via dunque
bisognerà , che ancora vi mostri, acciocchè pofliate tutti ottenere il yoitro
intento, ed io uscire dal mio. E 3 cie [merged small][ocr
errors] [ocr errors] cimento con reputazione ; state attenti per non
isbagliarla, perche si tratta di fare acquisto di una fortuna stabile,eterna, e
non soggetta á vicende. Che il Medico debba essere foriu. nato non vi
cade ombra di difficoltà ; mentre , che se fosse diversamente, chi mai fi
vorria prevalere dell'opera di coPii, al quale la forte foffe contraria ,
Paveffe affatto abbandonato, e che non gli piovessero addosso da per tutto, che
infortunj, e miserie, da ogn’uno sarebbe certamente sehernito, e per necessità
gli converria mutar mestiere, sicchè è incontrovertibile, che Oportet Medicum
fe forfanatum Mà qual fia questa fortuna, che strada dobbiate tenere in
cercarla, e ciò, che dovrete fare per confeguirla , procurerò ora mostrarvi con
la buona fcorta d'Ippocrate, à fine non possiate sbagliare. Due sorti di
fortune fi ritrovano descritte da Ippocrate, (e) una delle quali (c) 110
lib.de loc:in hom. 1quali è quella, ch'è fuori di noi, & ope* ra
independentemente da noi, e l'altra, ch'è sempre con noi , & opera conforme
noi vogliaino . Quella, ch'è fuor di noi così apa punto egli la descrive
: Sui enim juris eft, Fortuna , nulli imperio paret , neque ad cujusquam votum
fequitur; qudla poi, ch'è sempre con noi l'accenna con dire : Mihi enim foli bi
fortunatè afequi , idemque infortunatè non assequi videntur , qui recte quid ei
malè facere fciunt , e dependendo il bene, ò male operare da noi, la for tuna
dunque, che da ciò resulta, da noi dependerà, e sarà questa per sempre
inseparabile da noi medesimi. La fortuna dunque, ch'è fuori di noi è
quella, ch'è affatto cieca , e non considera il merito di chi benefica, ma dà à
chi più le aggrada di vantaggio ancora di quello, che il beneficato da ella
sappia mai desiderare : Talvolta ad un Contadino avvezzo å zappare la terra, fà
discoprire un tesoro; capace à farlo divenire molto ricco, con tutto, che
le sue 1 E 4 fue brame fossero di pochi soldi; Ad un?
altro ancora più miserabile farà conseguire una grazia nel giuoco, che lo
toglierà per sempre dalle sue miserie, e tutto ciò proviene-, perche vuol fare
à suo modo, giacchè Sui juris eft, nulli imperio paret L'altra poi; che
risiede in noi, è quella, che secondo, che la trattiamo ella ci corrisponderà,
se la vorremo propizia , se variabile, fe peffima, propizia, variabile ; e
pelima ancora l'otterremo, conforme da ciò, che Ippocrate c'insegnò li puol
dedurres & ancora dall'esperienza di coloro , qui rectè quid, vel malè
facere fciunt, giornalmente vediamo. Certamente, che la prima fortuna non
è quella, che deve essere desideratiz, e procurata da voi, che non dovete
zappare la terra , nè tampoco dilettarvi del giuoco, ed anco maggiormente ,
ch'effendo cieca, forda, e per non dispensare à dovere le sue grazie ingrata
ancora , questa non deve effere defiderata da voi, che dovete conseguire il
premio per giu Aizia, stizia , ed à quel segno, che vi si deve ;
Oltre di che la sua sola istabilità bafte, rebbe per farvela odiare,
dovendo voi defideíare una forte stabile, e permanen- te; per
non provarne le di lei vicende, Esclusa dunque la prima forte,
neceffa- riamente dovrete contentarvi della se conda; e tanto
maggiormente, che la potrete regolare à vostro piacere.
In trè modi dunque potrete fabri- carvi
la vostra fortuna, ò buona , ò va- riabile , ò peffima , se la vorrete
buona , dovrete operar bene, conforme v'inse gnò Ippocrate
nel detto libro in tal gui- la : Fortunatè enim affequi eft rectè
facere, hoc enim, qui fciunt faciunt , ed allora cià
otterrete , quando scaccierete affatto da voi li vizj, e
farete in modo, ch'ella sem pre ammiri le vostre virtù, e si ponga
in soggezione, quando anche non voleffe, di operare
a'vostri vantaggi. Se poi la bramerete variabile, fatela
conversare con le vostre virtù, e con li vostri vizj,
che imparerà dal diverso modo d'opera re, che li pratica trà
esli ad effere variag bile [ocr errors] 2 1
; bile ancor essa. Qual modo l'indicd ancora con dire : (f) Ego verò fi
omnibus modis ditefcere voluiffem ; cioè se per via di virtù, e de vizj
avesse voluto fare fortuna , non ad vos decem talentorum gratid, fed ad magnum
Perfarum Regem proficiscerer ; con che fece conofcere ancora l'incostanza di
detta fortuna, rimirandosi ella ben {peffo istabile, sì in quei fervigj, che
dependendo dalla volontà di molti con la sola virtù non s'acquistano, come bene
speiso l'esperimentano i Medici condotti; che nelle Corti, ove trà molti altri
la provorno tale Seiano e Bellisario.Se poi vorrete farla divenite pellima,
consegnatela in potere de' vostri vizj, che apprenderà da questi i loro pessimi
costumi , e perima certamente diverrà, ed udite con quantas chiarezza ve lo
dice egli nel libro sopracitato : Qui enim non reftè quid facis, non
fortunate afēqui poterit? quum reliqua , que æquum eft facere non faciat.
Talmente, che la vostra buona fortuna, the voi do! (f) In
epif.Abderir. Hippo dovete procurare è quella che proviene dalle vostre
buone, e virtuose opere, c questa l'avrete propizia, e ftabile fino, che
vorrete , effcndo subordinata al vostro sapere, e volere, giacchè al parere
d'Ippocrate nel luogo sopracitato, effa fi può felicemente conseguire, da chi sda
e vuole: Et facile eft ipfam felicitèr alle. qui, fi quis fciens uti velint,
d'onde faa cilmente n'è nato quel detto: Virtute dua cey comite fortuna.
Non basterà però d'avervi ciò brem vemente accennato, per potervi cons
sicurezza determinare il modo , che dov vrete tenere in procurare questa buona,
e tanto desiderabile fortuna, perche ciò, che vi hò detto fin'ora , non è
sufficiente à farvi capire in che maniera vi dovrete contenere , allora, che
sarete Eper porvi in viaggio per cercarla, e ciò, che dovrete fare nel
progresso di quello , 6 quanto di felice ne potrete riportare dalla vostra
lunga, ò breve navigazione, onde sarà necessario, che per meglio esaminare li
sopr’accennati punti, che cifiguriamo d'essere già presenti al porta
dell'imbarco , e che nel fare detto viaggio mi serva della seguente ideata
maniera per iinitare ancora in ciò Ippocrate, che dovendo andare a trovare la
sua fortuna in Abdera, conforme udirete in appreffo, ancor egli vi si porcò per
mare, ed in una nave non presa à caso, mà scelta da lui con molta cautela,come
si legge nella lettera prima scritta à Damageto, che comincia : Cum apud te
Rbodi ejem Damagete, navem illam vidi , cui Solis infcriptio inerat , quæ mihi
perpulbhra , puppi probè, idoneâ carinâ inAructa , muliaque transtra habere
vifa eft, tu verò eam comendabas c. cam ad nos mitrito @c. E tutto ciò, non
senza gran mistero, mentre circospetto, e con il buffolo da navigare avanti
gl’occhi deve viaggiare chi cerca la fortuna, e deve per tale effetto
scegliersi un bastimento sicuro. Questo Porto è appunto il luogo , da
dove s'intraprende, il camino verso il Tempio della felicità, ove dovrete
por. ancora tarvi 1 tarvi, per conseguire la buona
forte a. e queste trè navi sono già qui allestite per ogn’uno di voi, che voglia
fare il sudetto viaggio , converrà , che à vostro piacere ve ne scegliate una
di esse, mà prima , che facciate tal'elezione , nella quale facilmente potreste
ingannarvi, fentite da me un breve ragguaglio di tali bastimenti, del loro modo
di viaggiare, de pericoli, che s'incontrano, e dell' esito, che si hà della
navigazione in ciascheduno di efli. Mirate colà à finiftra, quella si
chiama la nave del Sole, ivi la Prudenza regge il timane, la Giustizia invigila
al buffolo , la Fortezza regola l'antenne ela Temperanza sopr'intende al tutto:
ivi non risiedono altro, che virtù,e tutte attente alli loro assegnati
ministerj. Per entrare in questa si ricercano due requiz fiti, e sono i
Attestato di abilità, e provę di buoni costumi , altrimenti chi n'è privo, non
vi fi può imbarcare. L'altro bastimento, che stà alla deftra , li chiama
la nave di Giano, questa hà [ocr errors][ocr errors] hà parimente
buoni Piloti, che sono le accennate virtù, che regolano la nave del Sole, mà vi
è solamente di male, che vi si trovano alcuni vizj, e tra questi vi è il
proprio interesse, la Politica,la Menzogna, l'Adulazione, il Secondo fine,
vestiti tutti di Zelo, ela Malizia, che s'infinge tutta umile, in somma vi sono
con le virtù mescolati li vizj, che per dimorare insieme con esse conviene loro
di stare molto circospetti, e tramutati in altri sembianti, e per entrare in
detto bastimento, non si ricerca altro attestato, che dell'abilità. Il
terzo poi, situato nel mezzo, che fà sì bella comparsa, si chiama la nave felice
: ivi al timone presiede la Malizia, al bussolo sopr’intende l’Inganno , lw
vele si maneggiano dall'Astuzia, la Maledicenza,e l'Impostura consultano
continuamente trà esse cose gravi, la Lussuria , la Gola, con tutti li vizj
consimili festeggiano , ciripudiano tra loro, ed allettano chiunque vedono- ivi
approfsimarsi ad entrare nella loro nave, dicen do [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors] do à tutti: Per entrare quì trà noi non si
ricercano tanti requisiti; qui non serye abilità, li buoni costumi non
s'apprezzano, basta, che abbiate genio à gustare de’noftri piaceri, che
subitamente vi ammetreremo, e condurremo in un trata to al porto della
felicità. Vado vedendo, che tal'uno di voi è portato dal proprio genio di
eleggerli questa nave, che ha il nome felice, con tutta l'apparenza di
prosperità, senza pensare più oltre, conforme:(8) Magna pars hominum eft, que
navigatura de teme peftate non cogitat. Mà riflettete bene à ciò, che fate,
poiche non bisogna tosto fidarsi di quel bel nome, e di quella prima vaga
comparsa, conviene ancora ri. flettere al fine, che può avere una simile
navigazione, che ora vi spiegherò. Si ftaccherà questa nave dal porto con
allegria, mà nel viaggio incontrerà molti pericoli , perche non è regolata
dalla Prudenza, e quantunque la Malizia , e l'Inganno facciano quanto
pollo [merged small][merged small][ocr errors] no, (g) Sexeca de
Traxq.Anims.sapoll. 1 no, acciocchè non si sommerga, nulladimeno
questa non potrà sfuggire il passo dell'Ignominia , che stà situato un buon
tratto di camino prima di giugne. re al porto della felicità, (dove bisogna
neceffariamente arrivare per ottenere la buona forte) si rimira ivi uno scoglia
grande, ove è la residenza maggiore di tutti li vizj, hà nella sua estremità,
ver, so il sudetto porto alzate due gran colonne, ove è scritto : Non plus
vltrà, affinche sappiano tutri li vizj, che fino colà possono giugnere , mà che
più oltre è vietato loro il passare. Approdata, che sarà detta naye al sudetto
scoglio, è su, bitamente visitata , e ciò, che di viziosa ivi si trova, con
tutti'li viziosi , e vizj loro viene arrestato, non potendo anda, re più oltre
simil pefte , cosa di buono vi potrà mai essere dove fono tanti vizj,
consideratelo voi? Onde farà necessario, che tutto ivi rimanghi in potere de'
vizj. Che faranno all'ora quei miserabili, che s'imbarcarono in fimile
navę, renduti schiavi de'proprj vizj ; qual fortunaspropizia avranno ritrovato,
quando, che la loro pessima ancora l'abbandonorà, per non restare ancor essa
schiava ed il tormento maggiore, che avranno, farà di rimirare con li propri
occhi tra, passare quelli, che navigano ne i bastimenti del Sole,e di Giano
ancora,fe chi viaggia in questa fi farà regolare dalle virtù ; oh che cattiva
elezione avreste fatto mai se aveste condesceso al vostro genio ! come vi
trovereste, che farele in fimili miserie , privi della libertà, e della forte?
Plinio ciò predisse faggiamente, dicendo, ( a ) che Habet has vices conditio
mortalium , ut advere fa ex fecundis , ex adverfis secunda ne 2 cantur.
Sicchè fuggire, per quanto potete, i simili imbarchi , che vi conducono,
non al porto della felicità, mà bensì à quello ? dell'ignominia , e delle
miserie ; onde bisognerà, che vi scegliare è la nave del ? Sole, ò quella
di Giano per giugnere ti al desiato porto della felicità, per ri, F
tro(a) In Panegir. at Trajan. [ocr errors] 2 [ocr errors] trovare
la vostra buona fortuna Il proprio genio vi farà inclinare talvolta
d'entrare più costo in quella di Giano, con la quale crederete di poter
ritrovare una miglior fortuna, à questo non mi opporrò, perche dove vi è la
Prudenza , c la Giustizia, sc farete à lor modo , con tutto, che vi siano vizi
ancora, questi non potranno molto nuocervi; Mà prima di entrarvi, sarà bene,
che sappiate il viaggio, che fanno, si questa , à cui vi porta il vostro genio,
che quella del Sole, che voi poco gradite, e che tributo portano sì l’una, che
l'altra al Tempio dell'Eternità, affinche meglio fiate informati di tutto,
prima , che vi determiniate all'imbarco. S'incaminerà con prospero vento
la nave di Giano verso il porto della felicità , incontrerà nel camino varie
tempeste , mà la Prudenza, e la Giustizia, che la regolano, le opereranno senza
il disturbo de’vizj, le supereranno tutte con la loro buona condotta; capiterannó
molte, e varie occasioni assai vantag giose, [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] giose, se n'approfitterà più , ò meno chi farà ivi
imbarcato , secondo, che si consiglierà con li vizj, ò con le virtù, fe darà
orecchie a’yizj , & in ispecie al proprio interesse, gli dirà, che tutto
può fare, fe alla Giustizia , se non quello , che deve, ch'è convenevole, e
giusto, arriverà all'accennato passo dell'ignominia si fermerà per iscaricare
ivi tutti i vizj, con tutto quello, che di vizioso fi ritrovi nella ricerca
generale, che ti farà della nave, e se per disgrazia di chi ivi s'imbarcò,
Coffe ftato guadagnato da? vizj, e fossero questi in detto viaggio divenuti
arbitri della sua volontà, resterà ivi tutto l'acquisto fatto,come cosa
proveniente dalla loro viziosa industria, e quel, ch'è peggio, ne seguirà del
mifero passeggierofatto schiavo, ciò, che successe à chi navigò nel bastimento
felice, le povere virtù con l'infelice forte abbandoneranno chi le tradì, chi
le vilipese, e se n'andranno altrove à ritrovare chi meglio le tratti.
Succedendo poi diversamente, è cie l'in [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] F 2 [ocr errors][ocr errors] l'imbarcato abbia fatto
tutto quello che gli fu suggerito dalla virtù fattosi il sudetto espurgo, e
lasciati ivi tutti i vizj, proseguirà la nave il suo viaggio verso il porto
della felicità, dove appena giunta, che si scaricherà tutto ciò, che fi porta
al Tempio dell'Eternità, e lo presenterà la Gloria avanti il Tribunale della
Giustizia eterna, che ivi à tal'etfetto presiede, domanderà questa, se quel
tributo, che si offerisce sia stato in alcun tempo inescolato con robbe viziose
, & inferce , risponderà la Gloria , che quantunque fia venuto accompagnato
da' vizj, nulladimeno, che sia Rato già espurgato à bastanza nel pallo dell'Ignominia,
dove tutto ciò, chew d'inquinato vi era , fù lasciato assieme con i vizj; non
basta, risponderà la Giuftizia, è tributo, che ha avuto comercio una volta con
cose infette, non deve andare à dirittura al Tempio dell'Eternità, fi consegni
al Tempo , che gli faccia fare una lunga , e rigorosa quarantena onde bisognerà
aspettare la discrezio [merged small][ocr errors] ne del Tempo, quando le
vorrà eternare! Il viaggio poi, che fà la nave del Sole , è bensì più
adagiato , perche que fta non naviga à tutti i venti, hà delle tempefte , mà le
supera, perche la regge la Prudenza; non fà grandi acquisti, mà fono sicuri,
perche li regola la Giustizia, nel passo dell'ignominia non si ferma punto,
perche non hà seco li vizj, che la facciano trattenere per il loro sbarco,
giugne finalmente al porto della fesicicà, non avendo quanto si porta per
offerta avuto in alcun tempo comércio con cose infette, e viziose , appena
presentato dall'Umiltà senza pompa avanti il Tribunale della Giustizia, che
questa fubitamente ordinerà , che si trasporti tutto al Tempio dell'Eternità ,
eflendo cose pure, e non sospecte d'inquinamento alcuno, e che fi registri
ancora trà gli Eroi il nome di colui, che l'offerisce, ed ecco la sua fortuna
divenuta già stabile, ed eterna, per goder’ancor'effa i favori
dell'Eternità. AveteAvere già sentito il tutto, ora siete in istato di
deliberarvi, e di prendere quel partito , che vorrete per consiglio mio,
imbarcatevi pure nella nave del Sole, se avete tutti li requisici necessarj,
che sono abilicà, e buoni costumi, e se ne siete privi, procurareli pure à
tutto costo, perche farerc più sicuri di portare offerte , fe non molto
considerabili, alimeno sincere, ed affai gradite dall'Eter nità, se lo
farete di controgenio : Durum eft confcendere navim ; sappiare però, che è un
quieto vivere, dove l'ainbizione non perturba la fantasia, l'ira non rode il
cuore, l'invidia non consuma le mi. dolle, la superbia non accieca , e dove
finalmente tutti gl'altri vizj non possono punto nuocere, ftantechè non vi
dimorano, l'ingresso vi parer à duro, mà il rimanente vi riuscirà felice, e
quando non aveste altro motivo di sceglierla, vi doyria animare å farlo , che
Ippocrate per andare in Abdera à cercare la sua forte non fi fervi della nave
felice, nè di Giano, mà benisi di questa del Sole, e la : CO-
. [ocr errors][ocr errors] comendò non solo prima d'averla provata, mà
molto più dapoi, dicendo; (b) Cui cum Solis figno, etiam fanitatem apponito cùm
re verâ , prospero numine vee la fecerit . E certamente, che prospero numine
ancor in questa si navigherà per, essere regolata dalle sole virtù. Se
poi sarete risoluti di cercare la vostra forte sù la nave di Giano, procurerete
almeno di non navigare à curti li venti, e terrete frenato il vostro inte.
resse,acciocchè quando la Giustizia non potrà navigare , esso non ordini il
disancoramento, e che quando la Sincerità vorrà operare, allora l'Adulazione
non la turbi, e finalmente difautorerete tutti li vizj, che ivi ritroverete, e
li porrete in catena , come tanti schiavi, altrimenti sotto specie, ed ombra di
virtù v'inganneranno sempre: Fallit enim vitium fpecie virtutis, umbra.
Operando voi in questa maniera, acquisterete più gloria, che se navigate
nella (b) In 1.6 2.epift. ad Damagetum. F4 [ocr errors] nella nave
del Sole, perche vi farete saputi ancora difendere dagl'inimici domestici , e
la vostra fortuna restando ammirata del vostro inodo d’oprare , vi sarà molto
propizia , e gli darete voi medesimi stimolo d'invigilare à vostro favore,
vedendo , che operate per eternarla; sappiate però, che in tutto il tempo di
detta navigazione, vi converrà stare vigilantissimi , e non meno di quelli, che
passeggiano sopra precipizj, mà à far questo hoc opus : bic labor eft. Da
queste trè figurate navigazioni, comprenderete non solo ciò, che nel corso di
vostra vita vi potrebbe accadere, mà il modo ancora di schivarne ogni finiftro,
che fosse valevole à ritardarvi l'acquisto della buona fortuna , perche se voi
da bel principio vorrete darvi in preda a' viziosi piaceri , che progreffi mai
potrete fare ? E che fortuna prospera potrete conseguire? Ed incominciando una
volta à gustare le viziose delizie , non avrete più palato capace di assaporare
il nettare delle vir tù; [merged small][ocr errors] [ocr
errors][ocr errors] tù ; la malizia, l'inganno , e la frode vi sosterranno sino
che gl'è à grado , mà alla tine avendo conseguito ciò, che bramavano da voi ,
vi lasceranno cadere, anzi forse ajuter anno, come fanno l'infidi compagni, nel
precipizio maggiore delle miserie, nel quale ritrovandovi, di chi vi dovrece
lagnare? forse che della vostra mala sorte innocente , quando, che voi medesimi
ne licte stati glautori. La vostra fortuna non ha mancato , ella troppo hà
fatto per esservi propizia, ambiva di favorirvi, mà voi all'ora la tenevate
lontana, perche credevate, che il trovarvi in delizie, in ispafli, e viziosi
divertimenti, fosse il miglior negozio, che potreste mai fare : E se talvolta
v'infinuava la strada delle virtù con qualche stimolo interno , voi la
rigettavate con dispreggio , onde meritamente esclama contro costoro Ippocrate
: (c) Indoetus autèm qui eft , quomodò fortanatè affequi poffit? Si quid enim
etiàm affequatur, non Memorabilem fanè fucceffum babebit ; Qui enim (c)
Hippode locis in bom. 3. A 3 [ocr errors] cnim non rectè quid
facit , non fortunate affequi poterit , quum reliqua , quæ æquum et facere, non
faciat;cd altrove :(d) Ego verò ut fortuna quidem quavis in re non nibil tribuo
, ità certè cenfeo malè à morbis curatis , ut plurimùm adverfam fortunam contingere
; e nell'epistola à Damagero così dice, parlando di simili sfortunati viziosi:
Eorum res adversas derideo,eorum infortunia intento rifu excipio. Veritatis
enim instituta violant. Se poi vorrete seguitare la strada di mezzo, e
mantenervi amico delle virtù senza discostaryi affatto dalli vizj, e questa con
tutto sia meno pericolosa, non è molto sicura , perche quantunque in essa
farete più ricchezze, stante il fecolo corroto, il buon nome non l'acquisterete
stabile, e di lunga durara, edin conseguenza incostante farà la vostras fortuna
, inercèche tutti quegl’artifici usati, quelli difettucci d'adulazione di
qualche bugiòla à tempo, e di quelle mormorazioncelle coperte, di quel
zeloaf(d) De Arteaffettato, e giustizia con il secondo fine, modi più tosto
appresi da Correggiani ozioli, che da buoni Maestri, scoperti , che saranno
dagl’uomini di stima , e di senno, questi vi perderanno quel concetto, che
prima avevano di voi. Oltre di ciò, che vita mai infelice sarebbe la vostra,
dovendo servire à due Padroni Deo, Mammona : Deo, ch'è il Protettore delle
virtù, & Mammona de' vizj: Nemo poteft duobus Dominis fervire , Deo,
Mammond . Mà dato ancora il caso, che vi riusciffe di farlo, che vantaggio ne
ricavereste mai, mentre le dolcezze dell' ingenuità ve le amareggierà
l'adulazione, quelle della giustizia ve le dissapo, rerà il proprio interesse,
quelle del zelo l'attolicherà il secondo fine, vivereftę continuamente inquieti
, stando sempre vigilanti, che non si scoprissero li vostri difetti, perche
vorreste passare per ingenui , e non sareste , per giusti, e prende reste ogni
arbitrio contro il dovere, con qualche cosa di vantaggio -; ficchè il partito
più sicuro farà di vivere lontani da, 1 da'vizj, e starsene
con le fole virtù ; perche quantunque le ricchezze non vi pioveranno addosso da
per tutto, nè l'aura popolare vi porterà molto in alto, con tutto ciò quel buon
nome, quel buon concetto, che formeranno di voi gl’uomini sensati, non vi sarà
mai tolto, durando sempre stabile ; perche è fondato sù le vostre virtù,
permanenti sù il vostro onore immutabile, che est Splendor virtutis , come S.
Ainbrogio negli Officj asserisce. Onde voi operan+ do bene otterrete la sorte
stabile, conforme ve lo predice ancora Ippocrate, (e) dove così parla :
Fortunatè enim affequi eft re&tè facereshoc autem qui sciant faciunt , e
d'avantaggio, viverete con una somma tranquillità d'animo,perche goderete tutto
quel gran dilettoyche apportano le virtù a' loro seguaci, non potendosi ciò per
altra via conseguire, mentre: (f) Semita certè=Tranquilla per virtutem patet
unica vitæ ; nè per questo non istabilirete la vostra casa, anziche 1
le). Deloc.in hom. [f] Juvenalis forira 10: me ز meglio
degl'altri, e per due ragioni, la prima, per avere fatto li voftri acquisti
onoratamente con le fole virtù; l'altra poi, perche il mondo non è così
spopolato d'uomini, che amano, e seguitano le virtù, quanto da alcuni si crede,
effendovene di molti, onde voi, che se guitare questa buona via ò sarete pochi,
ò numerosi ; se pochi, viverete bene, perche da molti Tarete stimati, fe
poi į farete numerosi, converrà, che li viziosi ancora , ch'avranno
bisogno dell'opera vostra s'accommodina alli vostri retti costumi.
Caminando dunque voi per la via delle fole virtù , potrete senza fallo conseguire
la vostra buona sorte, e por trete allora dire çon ragione : Nos te,
Nos facimus fortuna Deam, coloque locamus • Dove che caminando
voi diversamente, appena vi sarà permesso il poter dire : Nos
facimus fortuna Deam , mundos que locamus, Stan [ocr errors] Nos te
, Stanteche appena sù l'aura popolare iftabile, in tal caso, la
potrete appog. giare, nella quale non si curò punto Ippocrate di fondare la sua
fortuna, come da più motivi si ricava, c primieramente, da ciò, che scrisse
egli à Democrito, manifestandogli, che dal volgo, disprezzatore delle buone
opere, aveva ricayato più tosto riprensione, che onore, con che fà credere,
ch'egli non procurava có compiacergli da cattivarselo, affinche aveffe detto
bene di lui, e l'avesse onorato, perche la sua politica solo consisteva, in
operare, conforme si doveva, ed in far ciò, che solamente era decente al vero
Medico, conforme fi spiegò nel primo de' suoi Aforismi in tal guisa : Se ipfum
præftare oportet, quæ decent facientem; e ciò in termini prù preciâ l'individua
affai meglio in altro luogo , (8) dove così dice : Neque verò gratiam, qua tibi
homines demerearis subtrabo , cum fit Medici præftantia digna , eorum autem,
que per Instrumenta adhibentur, & de mon (8) Hipp in lib de
præcepto monftrationis eorum, quæ fignificant , reliquarumque ejusmodi
memoriam adeffe oportet, quod fi vulgi tibi audientiam comparare voles, id non
valdè gloriosè insti. tuas , neque tamen cum ostentatione portia. câ fiat,
industrie enim impotentiam arguit, neque certè probo induftriam multo labore
partam in alium ufum transferri , quod per Se fola ut eligatur grata fit ;
Inanem enim fucı laborem cum ambitiofà oftentationes tibi impones. In
oltre tal verità si ricava ancora , dall'aver egli ricusato il servigio del
potentiffimo Rè Artaserse, mentre certa cosa'era, che se avesse desiderato
d'acquistare l'aura popolare , non doveva egli ricusarlo, poiche ritrovandosi
in un tal posto, senza dubbio alcuno tutta la Persia saria corsa ad onorarlo,
niuno averia potuto più dir male di lui per tema di non incorrere
nell'indignazione del Rè potentissimo Artaferse, onde con averlo ricusato dà à
divedere, che egli non fi curava punto di dett'aura popolare, nè delle
ricchezze, e fortuna, che dacssa provengono, conforme apertamente fi spiegò nella
lettera scritta alli Abe deritani, dicendo ivi: Ego verò fi omnibus modis
ditefcere voluifem viri Abderia tæ , nè decem quidè m talentorum gratiâ ad vos
venirem, fed ad magnum Perfarum Regem proficiscerer , ybi &c. E per
far conoscere meglio à tutti, ch'egli non caminava per la via dell'aura
popolare, nè delle ricchezze, mà bensì per quella della sola virtù volle
portarsi in Abdera , folainente per visitare, e trattare con Democrito, e
questo perche lo faccffe lui medesimo lo confesso, dicendo : (b) Eum autem
gravibus , firmis moribus ele præditum intelligo ; talmente, che stimò egli
fortuna maggiore quella, che sperava ottenere con trattare con un'uomo di
questa sorta , per apprenderne da esso qualche buon dor cumento, non solamente
de i dieci talenti offertigli dagl’Abderiti,inà ancora di tutte le ricchezze, e
grandezze insie: me della Persią, & udite con quantan chiz (h) in
etir. Abderit. [ocr errors] chiarezza lo dice : (a) Rex Perfarum nos ad
fe vocavit nefcius mibi potiorem of fapientiæ , quàm auri rationem . E
finalmente , acciocchè meglio comprendiate , che quanto v'hò detto intorno alle
trè strade, che vi sono per cercare la fortuna, o qual di queste dobbiate
scegliere, s'uniformi sempre più con i sentimenti del gran Maestro,
confermiamolo ancora con l'accennate trè vie di cercare la fortuna , contenute
in detta lettera. Primieramente con il quomodocumque ditefcero ci addita un
bivio, cioè tanto la strada, che conduceva in Persia , à fare acquisto di
cesori, e grandezze considerabili, che quella di Abdera , che allettava
all'acquisto di dieci foli talenti ; La prima di queste egli non la ftimò à
proposito, perche conduceva in paesi barbari, inimici, e dove vi era la peste ;
La seconda nè tampoco , perche dubitava, che quel vizio dell'inte, resse, que'
dicci talenti, avessero possuto rendere servile, e schiava la sua virtù,
G cosa (a) Hippo in epiß. Denetr. cosa fece egli per battere su'l
sicuro, fi fabricò la terza via, espurgata da ogni vizio, e prima d'incaminarti
per essa la descriffe in tal guisa all’Abderiti: Mihi verò ad vos venienti ,
non Natura , neque Deus argentum promiserit . At nequè vos [viri Abderite] per
vim obtrudite, fedlia berè artis liber â elle finite operâ . Qui autem mercede
operam fuam locant, hi fcien. sias, tamquàm ex priore libertate manci. pio
dantes , fervire cogunt . Oh Ippocrate, se questi tuoi documenti fossero
stati mai dati à rivedere à quel Quinto Petilio Pretore Urbano, à cui
pervennero in mano i libri del dia finganno composti da Numa Pompilio ,
certamente che,ò l'averia fatti brugiare, conforme che fece quelli, o pure ti
averia fatto quel favore , che fecero gli Abderiti al suo Democrito, che lo
dichiarorno pazzo, e fi faria servito come Precote delle seguenti cognecture
per dichiararti cale, primieramente avrias dedotto contro di te, che tu per
portarti da Democrito, da cui non potevi sperare bene alcuno, perche appena
aveva un Platano, che lo difendeffe dal Sole, ed un sedile di pietra, dove
potesse sedere, mostrasti smoderato desiderio d'andarvi, conforme costa nella
prima lettera scritta à Damageto , dove così dicit Navem ad nos mittito , fed
fi fieri poteft, Hon remis , fed alarum remigio instruct amo res enim, eu
amicitia urget. In oltre, che per benc andare in Persia , dove,
oltre offerte sì grandiose , eri tanto desiderato da un Rè potentissimo, cu
fosti prontissimo à rie cusar la chiamata , conforme costa nella lettera da te
scritta ad Hiftano, senza riflettere , che quel potentissimo Rè poo teva
distruggere la tua Patria per tua cagione. Chi dunque procura , ed effettua con
tanta sollecitudine, ed anfietà una cosa, che non gli può recare profitto
alcuno , e ricusa con altrettanta prontezza ciò, che gli può moltissimo
giovare, senza considerare ciò, che può sopravenire di male dal ricusarla ;
certamente, ch'egli si può condannare per pazzo. Saria stata però troppo
ingiusta que [ocr errors] quefta sentenza di Petilio , quando
l'avesse cosi pronunziata , poiche per condannare un'uomo savio per pazzo, prio
mierainente si ricercano più rilevanti prove di queste : in oltre bisognava
dargli le sue difefe', in cui deducesfe lc sue: ragioni prima di condannarlo,
nelles quali faria stato dedotto, primieramente, che non sussisteva in fatto,
che da Democrito non se ne poteva sperare bene alcuno, costando dall'Ippocratica
confeffione , quanto mai di bene egli ne ficavasse , ch'è questo: (b) Tum
ego Democrite præftantisime magna hofpitalitatis tud munera mecum in Co
reportabo, cùm multa me fapientia tua admonitione compleveris. Prçco enim
tuarum laudum rem vertor, quod natura humana veritatem inveftigasti, a mente
complexus es; Acceprâ autem à te mentis curatione discedo ; La grand'ansietà
dunque di andare à fare simili acquisti, non era indizio di pazzia, ma bensì di
somma prudenza , di sommo giudizio. Che poi per noneffere andato in Persia
foffe censurato a torto è chiaro, mentre non avendo alcun bisogno di quanto gli
poteva da ciò risultare, conforme egli confesso: (c) Nos vietu, veftitu, domo,
omnique read vitam neceffariâ cumulatè frui ; Perfarum autem opibus uti , nequè
mihi æquum eft; non doveva esporsi di andare à fervire popoli barbari , ed
inimici, e quanto erano maggiori l'offerte, che gli faceva. no , tanto più lo
costituivano loro schia, vo. E quando vi fosse andąco, cosa mai averia
riportato? Oro, argento, onori sommi, e grandezze, e quetti potevano
paragonarli all'acquisto, che fece, con Democrito, di dottrina, e faviezza di
mente maggiore? Ed essendo egli andato per curare uno creduto pazzo, per
cagione di quel medesimo ei ritornò più savio, e più dotto di quello, che era
prima ; e da ciò fi può dedurre quanto mai bisogna stare cautelato à dichiarare
pazzi coloro che non sono potendo queIti tali talvolta illuminare ancora i
Savja L'or(c) In epif. Hylani. [ocr errors] L'ottima dunque di
queste trè ftrade fi scelse Ippocrate , per acquistare la sua fortuna, e
Pottenne profpera, stabi. le, ed eterna i poiche fino, che il mondo durerà, la
fua fortuna ancora sarà ri. fplendente; per questa voi dunque vi dovete
indirizzare le volere effere suoi veri seguaci, e questa ancor meglio la
scorgerete, dapoi, ch'avrere nella Giornata di domani udita la gran deformi. tà
de' vizj, ed il danno grande , che possono apportare questi al Medico, che
caminasse per quella via , giacchè conto traria juxtà fe pofira magis elucefcunt
, GIOR [blocks in formation] Nella quale si tratta delli vizj ,
mostrando quanti pregiudizi poffona apportare al Medico , e le in lui
alcuni di esli pana fcufabili , almeno quelli, che sembrano Ermafroditi.
[ocr errors][merged small] Na dura , ed ardua Provincia og gi intraprendo
per voi, dovendo parlare contro la corrutela del tempi, ' lati, e contro
uno stile già invecerato , con tutto ciò bramando voi sapere da me il vero per
non ingannarvi, dirò con Seneca ; (f) Quaramus quid aprime fa&tum fit, non
quid ufitatissimum, & quod nos in poffeffione felicitatis eterna
conftituat, non quod vulgo veritatis peffimo interpreti probatum fit.
Vorrei potcre scusare ancor io li vizj, conforme fanno quelli, che li rimirano
solamente mascherati con gli abiti delle virtù à fine di consolarvi, sc
cofa G4 [merged small][ocr errors] [ocr errors] 104 Dell'Idea del
vero Medico. cosa difficile vi sembrasse mai il poteryene affatto spogliare.
Per esempio ricoprono la bugia con il manto della prudenza , e dicono, ch'è
prudenza di celare all'Infermi la verità, perche ciò fi fà per loro bene ,
acciocchè non si contristino maggiormente del male, che foffrono. Gli adulano
ancora talvolta se defiderano qualche cosa , che non competa loro, con tutto,
che possa molto nuocere, sotto pretesto d'aver carità, ed à fine, che
vietandola non s'inquietino maggiormente, e così vanno ricoprendo molti
altri vizi per renderli familiari, e meno deformi . Mà perche hò promesso di
parlarvi con chiarezza, e fincerità, non potlo, nè devo adularvi. Li vizj li
dovrete cenere per vizj; e le virtù per virtù : Li vizj, e le virtù le dovete
considerare , come due linee p2rallele, che non possono in alcuna delle loro
particombagiarli, come due contrarj diametralmente opposti, che non possono tra
loro convenire; Dovete con. fiderare li vizj come mostri spaventofi ,
che che avvelenano con l'alito chiunque ad effi fi avvicina , come dunque
ardin, Tete d'accostarvi ad essi per ricoprirli? Mà conceduto ancora ,
che si poteffero mai travestire, ditemi di grazia, viaggiorefte voi con una
comitiva di ladroni, benche fossero travestiti in abito di gatantuomini,
caminereste sicuri di non effere offesi da essi, con tutto, che fossero sì
civilmente adornati a Certamente mi risponderece di nò: Tali apa punto fono li
vizj, poniamoli addosso quelmanto, che volemo, e questo non facendoli mutare il
loro perverfo costume, sempre vizj saranno, sempre nuoceranno di molto ; E
siccome li Leoni, e le Tigri per quante carezze loro fi fac ciano mai
deporranno la fierezza, cosi ancora al parere di Seneca: Vitia nun, quàm bona
fide manfuefcuniş trasmutateli pure in che sembiante volete, anzi, che essendo
questi travestiti , faranno de danni peggiori, perche non potendosi conoscere
per vizj à prima vista, non li potranno subitamente scacciare da
chiKabborrisce, onde ancora trà questi ayeriano all'ora maggior campo libero da
machinare le loro infidie, ed acciocchè meglio putiare scoprire li loro
tradimenti, contentatevi, che ve ne descriva qualch’uno di quelli , che nel
Medico fono più decestabili, e nocivi, con pers mettermi che non servi
quell'ording solito à praticara da chi tratta di esli , perche essendo
fregolati non meritano di effere trattati con buon'ordine, ba. standomi solo di
farvi capire la loro deformità, c quanto erano mai da Ippo, crate odiari, e
creduti nocivi al vero Medico, mentre giudicò essere parte di buona Medicina il
saperfi:(8) Qua faciunt ad demonftrandam incontinentiam quæftuofam, &
fordidam Professionem ixexplebilem habendi fitim , cupiditatem, de traditionem,
impudentiam , fiquidem iftas Spectant ad eorum cognitionem dc.e non già à fine
di seguitare , må bensì di fug. gire fimili diferci. La bugia, inimica scoperta
del ge nerc (g) De decenti babita. nere umano, come tratta li suoi
fidi re. guaci & Li separa, scoperti che sono, dal publico, e privato
commercio de viventi, fà, che niuno presti loro più fede, gli costituisce
infami, e li pone il più delle volte in evidente pericolo di vita, facendoti
publicare ciò, che non fù mai verità, e questa come si potrà scusare nel Medico
in ispecie, in cui ella è reato più grave, che non è in altri Profeffori, sì di
Legge, come ancora di Teologgia, e che ciò sia, veniamone alle prove, Dica una
bugia il Procuratore al suo Cliento gli potrà pregiudicare nella robba, venendo
talvolta à perdere mediante quella la sua lite ; La dica un Teologo, che abbia
di già prevaricato, à chi è da lui diretto nello spirituale, gli farà perdere
l'anima ; La dica il Medico al suo Ammalato, gli farà perdere la robba, la
vita, e l'anima insieme , ed ecco l'esempio chiaro: Dica il Medico al suo
Infermo, il di cui male si avanza : Lei stia di buon'animo, che la sua infer.
mità non è di gran momento , li segni non [ocr errors] nonsono
mortali , Ella guarirà , fi fidi di me, viva pure sicuro, e riposato ; mediante
questa bugia l'Infermo non pensa a' casi suoi, non aggiusta le partite dell'
anima, che premono tanto, non fà téItamento, non dinunzia li suoi crediti, è
ripostini segreti, non accresce diligenze, acciò la sua cura sia allistita da Me.
dici più esperti, si avanza tanto in un tratto nel male, che si sopisce, o sų
aliena di mente, resta incapace à fare cosa alcuna di proposito, e se ne muore,
ed ec che ha perduto la vita , la robba, e l'anima ancora, se per
ispeciale grazia di Dio non fù illuminato à pentirsi de' suoi peccati prima ,
che diveniffe incapace à poterlo fare, e questi sono trè reati nati da una sola
bugia, la quale benche dete ta à fine di sollevargli lo spirito, in vece di ciò
gli hà cagionato un'improvisas morte, per lui così svantaggiosa. Dis spongono
le leggi, che li delitti sono maggiori, e più qualificati, quando li
delinquenti ne hanno commessi numero maggiore, è della medesima fpeçie, ò
CO, equivalenti, ficchè calcolandosi mag. gior numero di tali reati nella
bugia del Medico, che in quella del Legista, e del Teologo, in conseguenza
viene , che è più grave delitto la bugia nel Medi. co , che negl'altri due
sopr'accennati Profeffori. In oltre se il Medico, per persuadere al suo
Infermo, acciò prendesse con maggior fiducia il rimedio da lui propostogli,
affermasse, che quel medesimo avesse giovato ad altrui, e ciò non fosfe vero ,
rincontrandosi poscia la verità, in che discredito rimarria ape preffo à cui
disse tal menzogna, certo è, che non lo terria in avvenire più nel numero de'
veri Medici, mà bensì di parabbolani,de' quali Ippocrate cosi disse: (h)
Virtutis apud ipfos modus eft , id quod deteriùs eft, mendacii enim ftudium
exercent ; e parlando de' Medici menzogneri così disse: (i) Quapropter veritate
nudati, omnem improbitatem, ac ignominiam ing duunt. L'adulazione è vizio, che
s'infinua dol(h) In epiß. Domag. (i) Dedec.bablik, dolcemente, e
con galanteria , è un veleno , che fi beve fraposto con un'apparente netrare, e
questa parimente nel Medico cresce in qualità di reato, posciacchè dica
qualsifia altro Adulatores à taluna, ch'è deforme, non meno di aspetto, che
povera di abilità.: Voi Giete una bellissima, una compitissima , egalantiffima
Giovane, fiete eccellente in molte cose; nelle quali non avete chi vi fuperi ;
le darà compiacimento bensi con formo suo diletto, ma non l'ucci derà ; Dica il
Medico ad una sua Infer. ma, che desidera gustare un grappolo di uva: V. S. ne
puol mangiare un poco , perche bisogna condescendere qualche volta al desiderio
dell'Inferma , quod face pit nutrit , lo faccia pure liberamentes Se la povera
adulata Inferma lo farà, non folamente vi averà compiacimento, e diletto per
allora , mà poscia potrà ancora morire per tal cagione, non è quem sto caso già
da me inventato, mentre si legge in Ippocrate seguito nella figlia di
Eurianatte, che per aver gustata l'uvale crebbe non solo notabilmente il male,
mà se ne morì, dice egligdoppo di avere narrato, che l'era sopragiunta la
refrigerazione delle parti estreme il delirio: (1) Ifta autèm ut ferebant ex
deguftata uva huic contigerat ; potrete dunque voi nel Medico scufare
l'adulazione omicida per conciliarvi la grazia dell'Infermo ? Risponderà
Ippocrate certamente di no, perche dice egli in termini precisi dell'adulazione
nella regola dal vivere: (m) Is velut res horrenda vitari debety a gratia
vitanda per quam unitas deperit. E non solamente è reato gravissimo nel
Medico l'adulazione in ciò, che riguarda la regola del vivere, mà ancora nel
prescrivere medicamenti . V'incontrerete in molte contingenze, nelle quali
gl'Infermi , ò glastanti proporranno riinedi, ed il più delle volte quegli, che
non saranno à proposito, in questi casi avvertirete bcnc à non adulare il genia
di chi li propose', mà doverete fare ciò, che il bisogno richiederà, e non
altri menti: (1) Epid.lib.3./46.2.egroting (in) Do pracipe. [ocr
errors][ocr errors] per adula menti: Conforme ancora, se venendo
proposto da altri Medici ciò, che non vi parerà essere profitcevole
all'Ammala- to, in tal caso non dovereste zione tacere, e lasciar
correre ciò, che fù proposto da altrui , mà bcnsi con tut- ta
civiltà addurre li vostri motivi, cra- gioni, che avete in
contrario, à fine venghino esaminati,essendo questo l'ob- bligo de
veri Medici, conforme Ippo- crate insegnò, dicendo: (n) Qui quid-
quid do&trinâ acceperunt in medium profen & facultate
dicendi utuntur , ad gratiam comparati, & pro gloria,qua indè provenit
decertare parati,doctrinam fuam ad veritatis lucem repurgantes.
Dell'Ateismo vizio esecrando non ve ne saria d'uopo parlarne , perche egli è
cosi repugnante, che chi hà uso di raa gione mi pare assai difficile vi poffa
in effo cadere, con tutto ciò, perche certe proposizioni, che sparse, e
feminate alle volte fi ritrovano in alcuni libri, che vengono da lontani paesi,
potriano alle menti (n) De decohabitu. runt , 1 0
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] inenti di voi, che volete volare troppo i
alto,recare qualche disturbo, non istimo superAuo di dar loro sopra ciò
qualche luine, à fine stieno più circospette, e cautelare, e
particolarmente nel sentire certe proposizioni dirette à ridurre le
operazioni animaftiche alla sola machi26 na, e struttura del corpo fatta
dalla na tura, con sì mirabile artificio, guarda tevene pure da
queste , perche hanno de l'ateismo nascosto, e tenete fermo, che en vi voglia
sempre un primo Movente di . ftinto, e separato dalla struttura, perche
de quantunque la detta struttura fia necef. faria alli moti interni, ed
esterni , nulla- dimeno senza il primo Moyente, che è l'anima
rationale nell'uomo , cessa ogni li moto regolato, come si scorge chiara.
mente ne' cadaveri, ne' quali con tutto, che rimanga la mirabile
struttura , sepa- rata ch'è l'anima dal corpo iyi
ogni mo- le to regolato finisce. Nè
solamente nel leggere ciò , che viene scritto converrà stare cautelati, e
circospetti, mà ancora in quello fi sente [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] riferire intorno alle pazzie di coloro , che, per essere
reputati di singolar dottrina , tralasciorono di credere ciò, che dovevano,
perche non capacitava le loro meni materiali, se non ciò, che con li propri
occhịrimiravano, ò palpavano con le loro mani, contro de' quali Sant' Agostino
fortemente inveisce, chiamanı doli uomini di carne. Spero dunque, che per
quanto leggerete di male in questo genere , ò sentiFete dire, non diventerețe
così pazzi , che vi vogliate assomigliare alle bestie , Je quali, in ciò, che
riguarda il dare un minimo contrasegno interno d'eternità, punto non
s'assomigliano all'uomo,mentrechi mai di effe ha saputo ritrovare il modo di
scolpire, ed intagliare l'effigie brutale di alcuna della sua , ò d'altra
fpecie, come seppe inventare l'industria umana? ed ancora in durissime pietre ,
per conservarla visibile, tale quale appunto ella fù vivente, per secoli
innumcrabili? e ciò donde è proceduto ? se non da quell'interno desiderio ,
che l'uo ) [ocr errors] Puomo hà in fe fteffo
d'eternità. L'Ira è un vizio, che deforma li suoi seguaci, li quali
conforme diffe un sayio Letterato, molto da me stimato, eriverito, fe questi li
potessero rimirare nello specchio , allora, che sono nel suo furore, yedendosi
divenuti così deformi, e trasfigurati in mostri,odierebbono,non solamente cal
vizio , anziche se medesimi; Modo tenuto dalli Spartani,che per fare concepire
orrore all'ubriachezzas conduccyano li loro figliuolini in certo tempo
dell'anno, nel quale fi concedeva libertà d'ubriacarsi, in luogo publico ,
affinche questi vedessero , che deformę spettacolo cagionava tal vizio, per concepirne
in avvenire di esso maggior spavento . Voi dunque per meglio apprendere à che
segno dobbiate tenere lontana da voi l'ira, non accaderà velo moftri con parole
, essendo di maggior efficacia , che rimiriate con li vostri propri occhi , in
chi si trova adirato, più al vivo una tale, c tanta deformità, giacchè: H
2Segnius irritant animos demiffa per aures [ocr errors] Quàm quæ
funt oculis subiecta fide "libus, E così comprenderete meglio ancora
, se tal vizio sia tollerabile nel Medico, che deve avere sempre l'animo
compofto , conforme comanda Ippocrate de Medico : Eum quoque spect are oportet,
ut animi temperantiam excolat, non taciturnitate folùm , verùm etiam reliquâ
totius vita moderatione , quod ad illi comparandam gloriam plurimum affert
adjumenti ; e più chiaramente, ancora lo comanda in altro luogo, (a) dove dice:
Ne quid perturbato animo facias ; Ed è la cagione appunto di ciò, perchè il
Medico, che deve invigilare con somma attenzione alle cure de' suoi Infermi,
non deve avere la mente turbata, per poter meglio discernere li partiti
megliori, e più profittevoli, che dovrà prendere à prò de fuoi Malati, ed à
tale effetto Ippocrate comanda, che sia incombenza del Medi co (a] Inlib
de decora. co il sedare litumulti, ordinandoli ef pressamente:(6)
Tumultus verbis caftiges, G ad omnia fubminiftrandi te prome ptum
adhibeas. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Converrà però prima in voi medesimi se mai foste dall'ira
predominati, che sediate li vostri interni cumuli, per poter muovere più
facilmente glaltri con il vostro buon'esempio ad imitarvi. Mà vi sono
alcuni Iracondi, che credono essere cosa nociva alla salute il ceprimere in un
subito li loro primi moti, onde per tal cagione lasciano termin nare il loro
corso : Mà quanto questi s'ingannino lo fà vedere Ippocrate con dire :(c) Ira
contrabit , cor, pulmonem in fe ipsa, din caput, & calida , bumidum; il
qual testo Vallesio così la spiega : Ira eft furor fanguinis circa cor c.
hinc fit ut fervente Sanguine,cor , pulmo , & caput calefcant , &
repleantur. Nimirùm fanguis fervore tumet, & venas, arteriasque tumefacit,
fed ob vebementem calorem, qui illis in locis eft, co contrabitur ubi[b]
Dodec.hab. [c] 6.Epid.fe5.4., [merged small][merged small][merged
small][ocr errors][merged small] [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] H
3 ubique fanguis. Undè fit, ut
multis ob iram oculi, du vene frontis intumefcant, & tota facies rubore
suffundarur , eo tempora pulfent , & caput doleat , quin do febris fuu
perveniat . Si persuadono dunque questi, che
gl'accennari danni che cagiona l'Ira à parti sì principali, sia più vantaggio
di pazientarli, che di rimuoverli? Onde non dovrete in conto alcuno farvi
dominare dalla collera, e non solamente per quello che riguarda la buona
direzione della cura, mà ancora li vostri proprj avanzamenti, stanteche quel
povero Infermo pur troppo annojato dal suo male , avvedutofi, che ancor voi gli
accrefcere moleftia, adirandovi per ogni piccola cagionc,se ne disfarà
facilmente per non potervi più soffrire. La Superbia nella Medicina à che
segno sia deforme riflettetelo in Menecrate Medico, che insuperbito forfe per
effergli alcune piccole cure riuscite felici, ed ayer sentito dire, che
Esculapio, in quei tempi rozzi per tal cagione fù annoverato trà Dei, egli
volendolo su pe [ocr errors][ocr errors][merged small][merged
small][merged small] perare, scrivendo ad Agesilao Ř è de Spartani ; pose nella
soprascritta : Ager filao Regi Menecrates Juppitèr ; gli calzò bene però la
risposta, che gli fù data da quel saggio Rè in tal guisa : Menecrati Medico
Agefilaus Rex mentis fanitatem; nè fù ciò sufficiente per reprimnere la sua
superbia , mentre riferisce Leone Sansio, (d) che : Eo furoris in hoc genere
delatus eft , ut quofcumque liberaffet à morbo jurejurando anté sanitatem
rcceptam adıētos , Jecum deindè benevalentes adduceretistatis temporibus
tamquam fervos; atquè jatellites, eâ tamen lege, ut alius quidèm Herculis
insignibus indutus ; alius Apollinis babitum gerens ; alius Mercurii perfonam fuftinens
, alius aliumi mutatus in Deum, Menecratem, utpote Jovem Optimum Maäimum Dii
minorum gentium sequerentur. Onde converrà, che la teniate lontana da voi , per
non essere stimati pazzi, e maggiormente quando vi troverete nell' auge delle
vostre prosperità , perche allora la superbia molto vi potria nuocere, fc
[d] In Florid.9.prafat. [merged small][merged small][merged small][merged
small][ocr errors][merged small][merged small][merged small] H 4 se foste
da efla dominati, allora vi sforzeria à distaccarvi dalli vostri più antichi, e
cari amici, solamente perche vi conobbero prima, che le vostre fortune
incomincialfero : E pafferia ancora più oltre allora il suo ardire, fe ella
potesse dominaryi à suo modo, meiltre vi faria prendere tal compiacimento di
tutte le vostre, sì grandi, che picciole opere, come se fossero singolari, e da
niun'altro fattibili à quella perfezzione, che voi fatte l'avrete, senza
permettervi punto d'indugiare å formarne concetto, con forine far fi deve delle
cose proprie , almeno fino a tanto, che dal tempo fiano tolte dalle mani
dell'Adulazione, e pofte in quelle della libera sincerità, à fines che doppo
averle ben confiderate dia loro il suo giusto valore, secondo il quale , e
forse meno deve stimare le cores proprie, chi si trova in prosperità di fortuna
, per goder egli il favore dell'adulazione. Onde in tutti gli stati , e
maggiormente in quello di prosperità, nel quale sarete più oiservati da tutti
doveteseguitare l'ottimo conseglio d'Ippocrate , (e) che dice : Medicum urbanitater
quamdam fibi adjunétam babere convenit, affinche possiate effere da tutti
tenuti cortesi, umani , e senza superbia. La defiftimazione, ed il
disprezzo del compagno è un vizio dependente dalla superbia, onde develi dal
vero Me dico abborrire, al parere d'Ippocrare: Ne superbus , do inhumanus
videatur ; E tanto più , che deve essere d'animo modesto, e cemperato , di
ottimi coitumi, umano, e giusto, conforme egli giudicò nel libro de Medico : E
se il Si. gnore diede à voi maggior talento degl' altri vostri compagni, perche
nel coufronto, che ne fate, in vece di ringraziarlo, mostrate più tolto di
biasimarlo, con dire, che difetraffe in non fare uguale à voi chi è d'inferiore
capacità di voi, potendo il disprezzato rispondervi : Ipfe fecit nos, & non
ipfi nos; Dunque, che colpa è la mia 2 E non avendo voi ragione da dotervene
meco, prendeteveland con Tel Dedec.org. [ocr errors] con chi mi hà
fatto ; sicchè fuggire pure fimil vizio, che può ancora paffare
più oltre,inentre da quel disprezzo,da quel- la
disistimazione nascendone il discredi- to del vostro compagno, chi
sà, che non vi facessero divenire pessimi Medici, fer- vendovi di
caloccasione per procurare qualche servigio di colui, che fù da voi
posto in discredito? Olère di che;chi fos- te mai di simile viziosa
natura disprez- zeria ancora bene spesso quelli piccoli mali, che
in breviffimo tempo possono divenire giganti con non piccolo disca-
pito della sua esistimazione. Qando mai potessero
fcufarsi, che non credo , in alcrui li vizj spettanti alla gola,
che sono la crapula, e l'ubriachez- za , nel Medico sempre faranno
molto condannati, perche dovendo egli gior- nalmente opporsi a'
defideri depravati de' suoi Infermi, con ordinar foro las dieta,
come mai potrà persuadergliela, se non gli darà egli buon'esempio?
Fa- cendo più profitto questo di qualunque ragione, al parere di
Seneca, che vuole, che [ocr errors] 1 [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] 20 che (f) Longum iter eft per præcepta,
bre ve, & efficax per exempla. E se poi de' la vostri disordini ne
fossero stati spettatori in li vostri Infermi, come mai potreste per
fuader loro il contrario, di ciò, che voi seco faceste? Se volete dunque essere
ub bediti fiate fobri, e tali certamente dooi vrete essere, se non
vorrete essere peg{ giori de' bruti stessi, perche conforme riferisce
Ippocrate:(g) Sitit quidem Aper, oli sed quantum aquæ appetit, Lupus vero
di. laniato quod Je se obtulit necesario alimento, quiescit; Mà quando
tutto ciò non vi bastasse vi doveria far abborrire que fti vizj la sola
rifellione, che questi poffono ó abbreviarvi la vita, ò per la meno
rendervela penosa, fino, che viverete. co Non essendovi cosa nel mondo
più nociva della Lussuria, chi potrà mai scue farla negl’uomini, quando, che la
vedianio sì moderata , e sì ben' regolata dal solo istinto di natura in quasi
tutte le bestie prive dell'uso di ragione , alla riserva folainente di alcune
poche , trà quali (f) Epift.6. [5] In cpif.Demag: [ocr errors][ocr
errors] ti [ocr errors] quali vi sono quelle , che più s'assomis gliano
all'uomo, che sono li Scimiotti, e Gatti mamoni, rare volte li bruti à
confusione de' sensuali fi veggono do. minati da detto vizio, se
non sono proffimi à quei tempi destinati dalla natura, per la moltiplicazione
della loro fpecie, solamente il Lussurioso è più brutale di effi , che non ha
in ciò hà in ciò tempo determinato, essendo in ogni tempo dominato dal
suo vizio, che lo consuma , & annichila, conforme riferisce Ippocrate : (b)
Ep annorum quidem temporum ordo terminus eft brutis ad choitum, at homo
perpetuò insano libidinis aftrostimulatur. Qual'estro infano di libidine
faria più , che in altri detestabile nel Medico, fe non lo sapeffe reprimere
con la sua continenza , posciacchè dovendo egli giornalmente conversare con
donne conforme avverti l'istesso Ippocrate:() Et omni horâ mulieribus ,
virginibus illi occurrunt; Sicchè Iddio guardi, ch'egli non corrispondesse con
tutta fedeltà à quella (h) In epift.Damage (i) De doc.ork
[ocr errors] per ca. quella somma confidenza , à cui gione della
sua profeflione; viene am- meslo, diverria ogni suo trascorso reato
gravillimo, sì proprio, che della pro- fellione isteffa , talınente, che
l'innocen- te Medicina ancora ne faria calunniaca. Onde voi, che
desiderate far molti pro- grelli in essa , dovrete vivere lontani,
e detestare simil vizio ; Altrimenti perde- reste ogni speranza di
fare un minimo progresso in effa ; Converrà dunque,che fedelmente
offerviate il seguente giura- mento d'Ippocrate : Juro &c.fed
castam, bu ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm ætatem meam
perpetuò præftabo. Ecercamente, che non dovrete fare diversamente,
sì per li vostri avanzamenti, che per profitto delli vostri Infermi, mentreche,
come mai potreste applicare con attenzione alli vostri vantaggi, alle cure de'
vostri Infermi, se le vostre menti in quel tempo divagassero altrove, e fossero
distratte in linili oba brobriosi pensieri ? Confido dunque,che con la vostra
prudenza, e temperanza [ocr errors][merged small] nonnon sarete per
cadere in simili reati , che sono detestati da putti, per essere mancamenti
commessi in mestiere di buona fede, conforme è la Medicina,
L'Ingratitudine è vizio ancor esso detestabile, per essere aborrito ancora
dalle fiere, essendosi osservata tal’una di esse aver usata gratitudine al suo
benefattore ; mà questa sarebbe ancora più detestabile, se nella Medicina
seguisse , che lo Scolare si mostrasse ingrato al suo Maestro, mostreria
certamente, è una natura molto perversa, ò di aver perduto l'uso di ragione,
mentre qual gratitudine mai potria egli sperare, che non l'usò à cui tanto era
tenuto, quali progrefli mai potria fare, allontanandosi da chi gli porge la
mano per sollevarlo, e promoverlo? Credo,che un simile yizio, Ò Giovani
generosi farà sempre lontano dalle vostre menti, conforme deve stare dalla
mente di chi spera divenire Maestro, per il motivo di non aver à ricevere il
fimile contracambio da' suoi Scolari, che stimolati dal suo mal'esempio
faria facile facile loro riuscissero essi ancora ingrati.
Quindi è, chę Ippocrate per esimere li suoi Şcolarida un fimile
obbrobriofo ar- tentato gli faceva obligare con poliza e promettere
con giuramento le seguenti cose: Juro , & ex fcripto Spondeo
planè obfervaturum, Præceptorem quidem , qui me hanc artem edocuit
, Parentum loco ha- biturum , eique cùm ad viftum, tùm etiàm
ad usum neceffaria , grato animo communi- çaturum, & fuppeditaturum,
ejusque poftea ros apud me eodem loco 9.quo germanos
fratres, eofque, libanc artem addifcere volent,absque mercede, fyngraphâ
edoctu [ocr errors][ocr errors][merged small] rum &c. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Da un'altra poco inferiore ingratie tudine
spero vi guarderete voi, che ambite avanzarvi per la via delle virtù , & è,
che se sarete da qualche vostro come pagno fatti chiamare à dar consiglio, ò in
loro assenza sostituiti à curare tal* uno de' suoi Malati , non tramerete
contro loro insidie , per subentrare in sua vece , stanteche tal’enorme ingratitudia
ne, non è usata, fe non da quelli, che sono ignoranti, e che diffidano per la
buona via delle virtù potersi avanzare ; e per tal cagione si servono di quella
del vizio ; Onde con ragione consigliava Ippocrate al Medico à non prevalersi
delli Softituti ignoranti , ftanteche de’loro errori ne resta debitore colui,
che li propone, in questo caso però non ne re, steria punto debitore, poiche
pagheria il mancamento commesso con la sua elpulfionc , & affinche non
abbiate da ri, cevere fimile ingratitudine v'iinpegnerete quanto meno potrete
di promovere ignoranti, e maliziosi , 34 0 fono e
€ L'Invidia, che per lo più proviene dalla mancanza di ciò, che fi
desidera, è da altri si vede possedere , come la po. trere seguitare senza
condannare voi stesi inabili à potere conseguire ciò, che bramate , avendolo
potuto ottenere un' altro vostro compagno, questa non vi avyedete, che vi fà
dichiarare da voi medesimi da poco, e codardi ? Onde impiegherete aflai meglio
tutto quel tenipo,e pensieri,che malamente li spregano [ocr errors][ocr
errors] in invidiare il bene altrui, con cercare di conseguire ciò, che
desiderate , per le sue yie proprie, & oneste, e credetemi, che questo
vizio non regna se non negli animi vili, e codardi , trà quali voi, che avete
abilità, e spirito vi dovete vergognare di esservi annoverati,e tanto
maggiormente, che questi viziofi furono da Democrito giudicati ancora stupidi,
ed ignoranti,allorche ad Ippocrate disse:(a) Et certè fufpicor pleraque in Arte
tuâ aut per invidiam, aut per ingratitudinem palàm contumeliâ affici ; & in
appresso dice , Cum fint ignorantes , quod melius eft dama nant , calculoruin
enim fuffragia stupidis attribuuntur, nequè ægrotantes fimùl ap probare
volent, neque ejusdem Artis focii bi teftimonio confirmare , cùm invidia
obfter Gr. Veritatis enim nulla eft cognitio, nei què teftimonii
confirmatio, Ed è certamente cosa assai difficile, i che li seguaci di
simil vizio poffino con tenersi nel semplice desiderio di ciò, che da
essi è invidiato, senza passar più oltre [ocr errors] ne (a) In
epift.Damaget. in procurarlo ancora , e con modi ignominiofi, anziche si
serviranno talvolta della calunnia, e dell'inganno, per confeguirlo, e vi pare,
che simili maniere fiano degne del vero Medico rationale ? Quando Ippocrate (b)
giurò, che : Medicum ratione utentem, alterum numquàm invidiosa calumniaturum?
Mà che siano modi praticati solamente da quelli, che Forensem quæftum fectantur
, trà quali non faria convenevole, che voi fofte annoverati. Mà acciocchè
possiate mantenervi lontani da simile obbrobrioso yizio, sarà necessario, che
vi dia alcuni utili avver. timenti, che sono: Vedendo yoi avanzare qualche
vostro compagno nellinegozj,è cosa nacurale,che fentiate dentro di voi un certo
stimolo, che incomincicrà da principio a farvi contriftare,e questo sarà
appunto il primo seme, che insinuerà dentro di yoi l'invidia per farvi divenire
suoi seguaci, di questo, affinche efla non trionfi di voi, è servitevene
disprone per avanzarvi ancor voi, con imitarlo, se il detto vostro
compagno opererà conforme si deve, ò di remora, fe vedrete ,
ch'egli si avanza per la via del vizio, ed in tal caso, con
riflettere solamente, che à voi non conviene d'in- vidiare ciò,
ch'è disdicevole al vostro onore, detto seme verrà in un tratto di-
Itrutto. In oltre sappiate, che non do- vete rimirare solamente
l'efteriore com- parla, che fà il vostro compagno, mà ancora
dovrete rillettere à quanti disag- gi, che talvolta soffrirà egli per
effajalle fatiche eccellive,all'inquietitudini grane di, alla
scarsezza del tempo, ch'egli hàg che gli toglierà ancora il riposo
necessa- rio, le quali cose se tutte le rifletterete , certamente
in vece d'invidiarlo , più tosto lo compatirete, e direte con Vir-
gilio : Non equidem invideo miror magis. A tempo di
Seneca vi era un certo vizio vagabondo, chiamato da lui Core curfatio, che
necessitava li suoi scguaci andar girando continuamente per las I 2
Città [ocr errors][ocr errors] Città allo sproposito cercando li negozi
senza aver prima determinato nella loro mente quali, mà solamente quei, che à
ventura si presentavano loro d'avanti, e questo tal vizio lo descrive
per un'inquieta dapocaggine, un perdimento di tempo, con non altro
profitto,che d'una certa stanchezza di corpo,acquittata per tanto girare ora in
quà , ora in là. Galeno, conforine egli riferisce nel principio del suo
merodo , fù da alcuni di quelli, che pareva, che l'anassero più degl'altri ,
stimolato fortemente à seguitare questo vizio, dicendogli, che se non
tralasciava d'essere tanto indagatore del vero, e non si accomodava allo stile
di quel tempo, d'andar girando tutta la mattina, à visitare per complimento li
Signori, e la sera d'andare à cenare seco, non saria stato amato, nè averia
contratto le loro amicizie, riferendolo appunto in tal guisa : Me verò ex iis ,
qui me unicè diligere funt visi, nonnulli fæpè increpant , quòd plus justo
veritatis studia Jim addiétus , quafi nec mibi ipfi ufui , niec
ipfis [ocr errors] [merged small][merged small][merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
ipfis in totâ vità fim futurus , nifi, & ab hoc tanto veritatis
indagande studio defi- ftam, da manè salutando circumeam ,
vefperi apud potentes cænem. His enim artibus tum amari , tùm
amicitias conci- liari, tùm verò pro artificibus haberi
&c. Ed in tanto non volle egli condescende- re à
farlo, perche la giudicò per cofa impropria di chi era seguace di ottimo
Maestro, soggiugnendo in appresso da- poi averne commendato
alcuni di que- fti : At horum nemo , nèc mane potentium
fores ipfos falutaturus , nè vefperi cænatu- rus frequentabat , fed ficut
Hefiodus cer, cinit : Namque alium ditem cernens cui
deeft, quod agatur : Ipfe folum vertit tauris, &
semina ponit. Onde fuggirete ancora voi simile
vizio, se desiderate d'essere veri seguaci d'Ip- pocrate.
La Pertinacia, e lo spirito di con- tradizzione sono
due difetti nel Medico di sommo rimarço, e non si possono per
con [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] I 3 conto alcuno in lui scusare ; se vi contaminasse
mai il primo, vi costituirebbe ignoranti, cogliendovi quella bella proprierà,
che hanno li Dotti, ch'è : Sapientis eft mutare confilium ; vi faria anche di
peggio,che vi costituirebbe simili alle bestie, perche farebbe divenire ancor
voi incapaci di ragione , e perciò venendo esclusi dal commercio degl'uomini
savj cosa fareste infectaci di simile vizio? Se poi, che Iddio je me liberi
fofte invali da quel 'cattivo spirito di contradizzione y guai alli vostri
Infermi, perche venendo loro proposto da altri ciò, che si deve, e voi non
volendo, che fi eseguisse , mà più tosto in vece di quello , altra cosa
contraria, come anderebbe l'a cura facendosi à vostro modo, se foste ancora
pertinaci? Ippocrate insegnò à questo propofito ciò che si debba Fare, e che ne
risulti di male facendosi diversamentc , & è:(0) Neque fanè indecorum
fuerit fi Medicus in rei præfentis anguftiâ , circà agrum verfaturz imperitiæ
etiam tenebris circumfufus , alios quoque accerfiri jubeat, quo communi
confilio , que in rem agri sunt disquirantur, & illi ad præfidiorum
facultatem operas fuas confoTint; e cosa ne seguirà seregneranno trà di essi
questi vizj? De eo munimini ambitiosè contendere, se ipfos ludibrio exponere,
Sicchè voi , che sperate divenire veri Medici Ippocratici, vi converrà tenere
lontani da voi tali vizj, che tanto vi potriano pregiudicare. etiam [C]
Hipp.præcept. L'Avarizia fù talmente odiata da Ippocrate, che se avesse potuto
l'averia del tutto sbandita dal mondo, poiche scrivendo à Crateva erbario
famofiffimo de' suoi tempi, così appunto gli manifeftò il suo desiderio : Quod
si Crateurs amaram pecuniæ cupiditatis radicem excindere poffis , ut nulla ejus
reliquia extent, hoc probè teneto, quod unâ cum hominum corporibus , etiàm malè
affeétos purgaremus, fed hæc quidem in votis habenda : Tanto scrisse Ippocrate,
con tuttoche non gli fossero ancora giunti à notizia li documenti di Demnocrito
, cheportandosi poscia alla sua cura in Abdera da lui medesimo sentì , trà
quali vi fù questo contro l'avarizia: (d) Quinàm enim Leo aurum defolium in
terrum abdidit? Quinàm Taurus , alienum ufurpandi cupiditate , ad prælium
impetu quodam delarus eft &c. e con ragione così esclamava Democrito scorgendo
l'uomo caduto in tal vizio peggiore de'bruti. Quanto mai cresca la
deformità dell'ayarizia in chi è avanzato negl'anni sentitelo da Cicerone:(6)
Avaritia senilis vituperanda eft maximè : Poteft enim quidquañ effe abfurdius ,
quàm quo minus via restat , eò plus viatici quærere? Mà più d'ogn'altro
la saria obbrobriosa nel Medico , perche essendo stato da Ippocrate dichiarato
fimil vizio per male più grave della pazzia, cgli farà tenuto non solo di
crederlo tale, mà ancora di medicarlo, onde se in vece di far ciò lo
procurasse, ecustodisse in femedesimo con diletto , in qual trascorso egli
incorreria? E certamente più grave, e me [d] inefiß.Damag. [e] In
Cat,Maior. [blocks in formation] e meno scusabile faria, che in
ogn'altro, per non aver egli apprezzato li documenti d'un tanto Maestro, che
sono li seguenti: (f) Miserabilis sanè eft humana vita , quòd ad eam totam
intolerabilis are genti cupiditas, velut hybernus flatus pervaferit, ad quem
morbum infania graviarem curandum , utinàm Medici umnes potiùs concurrerent. E
lo dimostra in termini precisi altrove , () dove così saggiamente consiglia :
Neque verò exigenda mercedis cupiditate duci oportet, nifi ut ad artem
edifcendam tuos inftruas , fuadeoque nè in eo inhumanitèr nimis te geras, fed
& opum affluentiam, & facultates refo picias, interdùm gratis cures ,
itaùt memoris gratitudinis potiorem,quàm præfentis existimationis rationem
habeas. Quòd fi thofpiti, vel egeno largiendi occafio se te offerat his , vel
maximè fuccurrendum eft. Qui enim erga
homines humanum fe exhibuerit, is artis amore teneri censetur. Cofa dirà l'Avaro , & altri viziosi leggendo,
tanti ottimi consigli, dati loro da Ippo crate? [f] In epif. Senar.
Abderit. [5] Inlibede prai: [ocr errors][ocr errors][ocr errors] crate 2
Mi persuado; che quello appunto , che diffe Quinto Pecilio Pretore Urbano,
riferito da Livio, allorche ebbe terto li libri di Numa Pompilio, che erano
stati tanti secoli sepolti : Se fe eos in ignem coniecturum , perche , dos
legi, fervarique non oportere; e questo perched non per altro, perche egli era Pretore,
e non gli compliva, che altri sapessero , che molte cofe, ch'egli faceva erano
mal fatte , poiche que' libri altro non contenevano, che di rimuovere ciò, che
non era ben fatto, e ciò, ch'era sommamente pregiudiziale al popolo,
trattandosi in quelli De diffoluendis falfis religionibus. Questo vizio
certamente non farà scusato da chi è di mente sana , nè da chi ben riflette à
quanti disaggi mai soggiacino li miseri Avari senza potersi sapere ad utile di
chi lo faccino. In beneficio proprio certamente che nò, poiche non altro, che
travagli ne ricavano dal cumulare, che fanno ; A prò degli Eredi 2 nè tampoco,
perche se potessero immaginarsi , che gli Eredi volessero go [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] godere
con ispendere liberamente, priveriano fubitamente dell'eredità, fic. che di
questi solamence Padrone ne rimarrà l'avarizia , inentre per sodisfarla esi
cumulano , c questa , che ne farà di tanti avanzi ? facilmente non sapenda
servirsene li consegnerà al lusso, affinche disipandoli in un tratto ne
impingui altri Avari. Ippocrate odiava il lusso grandemente, à segno ,
che compose un libro contro di effo, ch'è appunto quello De Decenti ornatu ,
nel quale non solamente incarica à Medici di fuggirlo , mà dà ancora per cagione
del lusso il modo di distinguere li veri Medici da Parabolani, de quali ultimi
parlando, così dice: Si enim conventu facto ambitiofa, e quem fuofâ fuâ
profeffione decipientes in urbium circulis verfantur, Quos ex veftitu , cum
cæteris ornamentis, quis cognofcere poterit, quin etiam quò fumptuofiùs ornati
fuerint , cà majori odio adversandi , ab eis, qui eos confpexerint , fugiendi ;
dove de veri, e buoni Medici cosi ne parla : Quia bus [ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] bus non ineft exquisitus, nequè
cariofus ornatus, qui fe fe excultus venuftate, cu frugalitate, non tam ad
fuperfluam curiofitatem,quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi
moderationem compararunt , ad inceflum verò eo femper sunt habitu ; Sicchè dal
Medico seguace d'Ippocrate devesi fuggire il lusso per quanto gli preme la
propria riputazione ; certe mode straniere, e galanti non gli competono , come
si legge (b): Peregrie nus cultus immodicus calumniam tibi com. parabit .
Tiberio s'ingannò, allorche propoftofi in Senato di proibire il gran luffo di
quei tempi, essendo egli di sentimento contrario, persuadendoli, che in
lasciarlo correre à briglia sciolta, da se medefimo si faria stancato, e perciò
disse : Nos pudor , divites satietas, pauperes egestas in meliùs mutet; qual
vergogna ne' suoi {moderati succeffori punto non si mirò mentre in Nerone si
vidde à che segno s'inoltrasse il lufto. Mi persuado però,ch'egli si volesse
ingannare per altro fine politico, mentreche girandosi dal
lusso continuamente la ruota della fortuna , gli compliva più di
vedere tante muta. zioni di stato ne' suoi sudditi, che disau.
torato chi li cagionava, e tanto mag- giormente che avendo questo
vizio un dominio tirannico s'uniformava al suo governo . Tiraneggia
per verità il luffo li suoi seguaci , mentre l'impoverisce e vuole
eliggere da tutti gradimento di quanto male fà loro. Ordina , che
dalla Persia , e dall'Indie sia trasportato un drappo non più
veduto , forza li suoi sem guaci à prenderlo ad ogni maggior co-
ito, e fà, che oltre il gran dispendio ringrazjno quel Perfiano,
quell'Indiano ancora, che lo portò, perche appagò il loro desiderio
, li quali ne resteranno fa- cilmente ammirati, non meno di quello
ne rimanesse Tacito , allorche li Romani per abbassare gl’animi
dell’Inglesi, li fe- cero assuefare à molti costumi loro, e da
essi non più praticati, e l'appresero per foimo favore , mà ben se
ne ayvide Ta- [ocr errors][ocr errors][ocr errors] cito del fine,
che in ciò si aveva dicendo: (i) Que humanitas cenfebatur, cùm efet Species
fervitutis. L'Infedeltà, e Fellonia sono vizi confederati, e detestabili
in ogni qualità di Persone, mà più d'ogn'altro nel Medico, posciache ogn'uno
ciò, che ha di più prezioso, che sono la vita, e l'onore glielo fida; Onde se
csso mancaffe, à cui gli prestò tanta fede, che gastigo mai li potrebbe trovare
de' maggiori, che lo potesse punire à bastanza , avendo commesso un reato di
fimil forta, un mancamento di buona fede ? Sicchè odiateli pure simili vizj
esecrandi, conforme l'abborriya Ippocrate, non volendo insegnare la Medicina à
chi non aveva giurato prima sù tutte le Deità ciò,che segue, cioè: (1) Nequè
cujusquam precibus adducturus , alicui medicamentum letale propinabo , neque
hujus rei author cro , nequè simili ratione mulieri pellum subdititium ad fætum
corrumpendum exhi bebo, (i) In Vita Agricola. 11) In lurejuri
Hippocr. [ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] bebo,
fed caftam, ab omni fcelere puram, tùm vitam , tùm diatem meam perpetuò
præftabo . Sicchè con ragione, e con giusti motivi verrà escluso chi mai in
fimili vizj cadesse dall'effer vero Media co, e degno seguace
d'Ippocrate, Non è piccolo difetto nel Medico l'essere troppo curioso di
quelle cose , che non fanno al suo mestiere, conforme tra l'altre sono li fatti
domestici de' suoi Infermi; onde da tal vizio ye ne dovre. te aftenere,perche
tal curiosità vi potria tenere distratti da quel negozio, à cui dovete
principalmente applicare, ch'è il ben dirigere le cure de vostri Infermi, come y'astringe
il giurainéro d'Ippocrate,ch'è questo:In quafcumque domos ingrediar , ob
utilitatem Ægrotuntium intrabo. Mà di più di questa ancora può efa fere
viziosa la troppa curiosità delle cose moderne, e peregrine, e particolarmente
ne' Medici giovani, che non pofsedono ancora la Mcdicina à quellas perfezzione
, che fi richiede ; onde da questo vizio v'asterrete , sì perche vi fa
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] ria divagare inutilmente in
cose, che ancora dal tempo non sono state ben digerite , come ancora vi terria
lontani da ciò, che farà necessario di fare, cioè d'impossessarvi bene di
quanto è stato da molti secoli confermato, à segno, che diverreste periti nelle
novità incerte, rimanendo inesperti nell'accertate da lungo tempo , quali
poscia sentendole vi giugneranno nuove ,. sopra di che mi riporto à ciò, che
disli nella secondas Giornata , nella quale mostrai, come vi dovrete regolare
per divenire Medici. Solo ora vi foggiugno quello, che à questo proposito ne
dice Ippocrate, ed affinche meglio discerniate tutto il vizioso, per tenerlo
lontano da voi: (m) Multæ namque ad ambitiofam quamdam operam comparat&
videntur , ea videlicet , qua de nulla re utili quaftiones agitant ; E quali
siano le cose utili nella Medicina, lo spiega in appresso soggiugnendo :
Priusquàm verò ad Ægrum ingrediaris , fac cognitum habeas quid agendum fet
;. ple(m) De dec.org. che pleraque enim non ratiocinatione ,
fed au» dia xilio indigent : E se ciò non fosse chiaro ida à sufficienza
passiamo al libro De Fractua cioè ris, dove parlando de' Medici , qui sao
da pientiam fibi falsò arrogant , così chiaracha mente dice : Verùm
enimverò multa hoc stil modo hac in arte æftimari folent. Quod la enim
peregrinum eft , nèc dùm conftat an en utile fit, confueto, quod jam norunt
utile elle anteponunt , quodque ab ufu communi day abhorret ei, quod eft
probè cognitum ; e non evi vi sia discaro di sentire quanto mai à ci proposito
redarguisce Ippocrate coloro, ei che vanno cercando le belle idee : (a)
ei Hujufmodi igitur , ubi præellem non tàm de vi curandi ratione cum illis
conferrem, verùm, m ut auxilium ferrent audactèr peterem : Veo d. nuste enim
cognitionis intelligentia apud eito istos Sparfa eft , cum igitur , bi ex
necesitait; te indocti existant, eos ad utilem exercitaci- tionem cohortor, ubi
prçceptorum cognitione .: deftituuntur. L'Ozio padre di tutti li vizj, se
non t; lo terrete lontano da voi, vi potria farperdere tutto ciò, che di buono
aveste mai acquistato; Egli è capace di farvi nauseare le virtù , d'arrestarvi
nel mezo della vostra carriera, d'abbatęrvilo spișito , e finalmente di
trasfigurarvi in quella mostruosa figura, che più sarà di suo genio, e sențite
appunto, come ne parla Ippocrate di questo pessimo vizio: (b) Quod enim otiofum
eft , nilque agit ad improbitatem viam affectat, ad eamque rendit ; Talmente
che per divenire voi yeri Mcdici, dovrete fuggir l'ozio , deftruttore d'ogni
yostro bene; c per ciò farç, vi dovrete ancora astenere dalle frequenti
musiche, dalli ridotti de' Novellifti, e da altri consimili divertimenti, ne?
quali non si puol'acquistare altro, che dį pascere inutilmente la curiosità, ed
il proprio genio , e ciò con ragione fi puol giudicare tempo perduto, perche
profitto alcuno da essi non se ne ricava. Gran infortunio sarebbe della
Me. dicina, quando v'entraffe la Malizia à corteggiarla, avendo questa già
impa rato (h) Dedecenti babits, [ocr errors] rato adimitare
tutte le bạone virtù con finzioni soprafine , ed in che guisa, ne parleremo più
diffusamente in appresso; Solamente ora vi avvertirò, che se tal? uno di
yoi reftasse mai inferrato da fimi31 le vizio diyerrebbe subito uniforme à 1
quei Medici descritti da Ippocrace :(9) Qui quidem Perfonarum, quæ in
Tragediis producyntur maximè fimiles esse videntur ; mentrechę farebbe
tante comparse difi ferenti, quante gliene dettasse la sua madi lizia nelle
congiunture à lei opportune , ci mà come termineria la tragedia lo moAd stra
Ippocrate chiaramente doppo aver N avvertito, che Orium , ignavia mali
tiam quærunt, soggiugnendo: (d) Hi enim - Sunt, qui fora frequentant ,
ruditate, ac Ti infcitia sua imponentes, & circulis Civita tum
verfantes ; Talmente che per non cheffer yoi posti nel numero di
Parabolani necessariamente vi converrà fuggire , afe e detestare fimil
vizio . Il timore, e l'ardire , con tuttoche K 2 sem- (c) In
Hippocratis lege. (d) Hippoer.de dec. habitu. [ocr
errors][ocr errors] 2. [ocr errors] sembrino trà di loro contrarj,
nulladimeno vengono molto biasimati da Ippocrate nel Medico, dichiarandoli in
lui per segni viziosi d'ignoranza, dicendo egli : (e) At verò imperitia malus
eft thefaurus , malaque opes reconditæ iis, qui ram tùm opinione ipfi, tùm
revera possident fecuritaris animi, du lætitiæ expers, timiditatis, &
audaciæ nutrix; Ac timiditas quidem impotentiam , Audacia verò artis
ignorationem arguit. Perloche non di potrete nè segúitare, nè scusare, nè anco
sotto lpecie nel primo di circospezzione, e nel secondo di spirito, perche
diversi sono trà loro il timore, e la circofpezzione, l'ardire, e lo spirito .
Il timore vi farà perdere l'occasione pronta , che vi si presenterà di operare
per non faperla voi conoscere, ma non già la circospezzione, che nasce dal
poffe dere molto bene ogni danno , ed ogni profitto, che ne poffino risultare
da ciò, che voi farete, onde questa vi renderà folamente per breve tempo
irresoluti, e fino (e) Hipp Text. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] e fino a tanto, che averete bilanciato il bene, & il male, e
conosciuto, ch'avrete quale delli due prevalga , sarete prontissimi esecutori
di quanto avrete deliberato. L'ardire poi per essere temerario vi porterà con
violenza ad operare , onde non vi farà diftinguere quando ve ne dobbiate
servire , dove, che lo spirito , che vi rende perspicaci, & accorti, Ve. lo
farà ben capire , quando fia tempo. opportuno di farlo, conforme egregiamente
avverti Ippocrate : (f) Temeraria namquè proclivitas, do promptitudo,quam. vis
valdè fit utilis, despectui eft , at confiderandum quando bis uti liceat.
L'Odio è un vizio, che trà li maggiori può divenire il primo, quando fi stenda
fino alli ultimi confini della sua iniquità, cioè alli benefizj ricevuti,
pafsando allora à quell'esecrando reato , che solamente trà gl'uomini regna,
esfendone le bestie più fiere esenti, conforme da tanti esempj registrari nello
Istorie si può comprendere, & in ispecie di (f) In lib.de
Medica [merged small][ocr errors][merged small] K 3 [ocr errors]
[ocr errors] di quel fiero Leone , che nell'Anfiteatro Romano il' véce di
divorare il suo Beriefattore condannato ivi ad bestias, lo difese dalla
violenza delle altfc, mà quellos che si rende più considerabile, si è, che alle
volte' , quanto č maggiore il benefizio, tanto più viene perseguitato
dall'odio, giacchè al parere di Tacito: (g) Beneficia coʻusquè leta sunt , dùm
videntur exfolvi poffe, ubi multum antevenere pro gratia odium redditur;
Darebbe l'animo à voi non dico di seguitare' vizio sì obbrobrioso, e
ripugnante' ad ogni in il pretesto del naturale di chi lo segue ,
inclinato a farlo, per non potersi moderare. Senticenc però prima d'impegnarvi
à ciò, cosa ne diffe ad Ippocrate, quel grand’amatore della giustizia
Democrito:(b) Plerique' verò quæ natur& hoc adSéribentes Benefactorem odio'
habent, co parům abeft ut indignè ferant fi debitores effe puténtur , fed eu
pleriquè artis ignorantiam in se ipfis habeotes, a imperiti (g) Annal.
lib.4. [h]. Epiß. ad
Damageexiftentes, id quod meliùs eft purgant intero stupidus enim
fiant suffragia. Talche il solo sospetto
d'essere infetti da un fimile vizio, vi renderia incapaci per
sempre di quanto voi bramate conseguire. Quanto mai sia
difficile d'esprimere tutte le trame dell'ingarinoz ed impostu- ra,
sentitelo riferire da Ippocrate in tal guisa : (i) Difficile eft multorum
malorum machinatricem folertiam verbis exprime- re, cum eorum fit
infinitas quædami din bis cum dolofis conimentis prava mente in-
ter le conversentur; apud eos autèm virtu- tis modus habetur , quod eft
deteriùs; men- dacia enim amant, do in bis fe exercent,
voluptatis ftudium extollunt; legibus mini- me parentes a
Certamente che meglio non fi poteva da Ippocrate esprimere l'inganno
vizio tanto diletto da' maližiofi Impostori, mentre da questi li modi più
improprj, che si praticano sono credati per loro virtù , nè fi seguita da efi
altro studio, che della menzogna, nè fi atten de (i) In
epist.Domaget. [merged
small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] K 4
1. avendo de ad altro, che à piaceri,
e diversi- menti, fenz'alcun timore di gastigo. Le tristizie di
costoro non si pofsono mai à bastanza esprimere, stanteche,
fingen- dosi questi Mcdicis con modi improprj. accreditano li loro
medicamenti , non punto di rossore ne di servirsi di testimoni
corrotti, che con menzogna: attestino il gran giovamento, che das quelli ne
ricevettero con tuttoche non se ne fossero mai prevaluti, nè di ripromettere
ne' mali incurabili quella certa salute, che non è in potere de' Medici,
, quantunque espertislimi , il farla conseguire ; In oltre giudicano
graviffimi, e inortali tutti quei mali, benche di sua natura leggieri , purche
rechino aglo Infermi qualche apprensione, affinche credano questi esfere stati
mediante la. loro virtù risanati , e d'avantaggio , per non essere riconvenuti
d'aver errato ne? pronostici, parlano con doppio linguag. gio , à tal’uno
diranno, che quel tale Ammalato deve necessariamente morife,& ad altri, che
deve infallantemente mie [ocr errors] rllanare, per avere pronto si
nell'ano, che nell'altro evento chi contesti la loro, fimulata perizia in
sapere ben prevedere gl’esiti de' mali; Milantano in oltre costoro i loro
grand’arcani, con i quali fi vantano d'avere refuscitato molti, già fatti spediti
da Medici. Solamente dico. no con verità, che in mano loro niuno. muoja, perche
ridotti che li hanno in: pessimo stato di salute, abandonano li loro Infermi,
non potendoli più lusingare con le solite false speranze di salute, de' quali
prima fi servivano per ifmugnere le loro borse. Per inantenersi poi in
creditozli pongono forto alte protezioni, e sfuggono d'incontrarsi con Medici
dotti, ed esperti, non porendo ftare à fronte con chi ben sa discoprire la loro
ignoranza . Al divino Ippocrate furono note alcune di queste verità, mentre
egli (1) così ne parla : Qui igitus in ignorantia profundo fubmerfi funt , ij
prædicta ( cioè l'operare con ingenuità) minimè percipiunt , cum Medici nomine
iz digni [] Intib.præcepat [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] 'digni re ipfà comprobent ; quàm repente evetti fint , fortune
tamén egentes per die vites quofdam ex anguftiis emergunt viri- que
es éventu nominis celebritatem adepti &c. ed in appreffo : Qui certè
ad curatio- nem non accedunt ; ubi vident miserabilcm effe
affectionem, c ejulatibus plenam, alio- rum-Medicorum congreffum fugiunt;
e in altro luogo: (m) Qui igitur eos reprébena dunt qui viltis à
morbo manus non admo- vent , non minùs adhortantur ad ea fufci-
pienda , quæ attingere fas non eft ; quàm que fas eft , in eoque apud eos
qui nomine tenus Medici sunt admirationem fibi conci- liant , ab
artis verò peritis ridentur. Mà crescerebbe più oltre ancora
l'iniquità di costoro, quando ; che unisfcro alle loro male arci l'ippocrisiaj
conforme che più volte si è osservato' ins ral'uno di essi,che postosi adosso
un'abito di fimulata penitenza, e' čutto umile con li seguenti artificj
procurava di maggiormente accreditarli. Introdotto, ch'egli era clandestinamente
in qualche cura (m) in lib.de Arte, čura, doppo di aver fatte
molie insolite, ed affetrate offervazioni intorno all'Ammalato, cosi
incominciava à parlare : Io coinpatisco infinitamente li Signori Medici, che lo
curano s perche questo è un male'assai oscuro , e difficile à ben curarsi, non
essendo ciò da cutti, fin qui scorgo , che hanno fatto tutto quello , che
sapevano", nè io drdisco di biasimare ciò, che fino ad ora harino fatto,
perche quest'abito ; che porto in doffo non mi permette di dir male del mio
prosimo, nè di togliere la riputazione à Profeffori cotanto accreditatie tanto
maggiormente, che quando anche non foffe ftato fatto a fuo' dovere ciò, che si
è fatto sin’ora', non siamo più in tempo d'impedirlo, dico bene , che io
peccherei mortalmente, se non' dicelli libera.. mente ciò, che debbasi fatie in
avvenire, questo male à conto mio và curato in tal guisa : Primieramente gli si
devono dare i tali, e tali' rimedi , e dipoi develi fare in questo modo, e ac
fi opererà diversamente, io mi protesto che questo poveroInfermo se ne morirà
quanto prima ; e lo. vedrete con vostro cordoglio. É fe tal
uno degli astanti più prudente lo prega- va d'abboccarsi con li Medici
della cura, à fine di comunicar loro questi suoi sen- timenti, ei
ricusava tal congresso, con pretesto , ch'essendo odiato da tutti
li Medici per la sua ingenuità, e dottrina non fariano mai
condescesi à quanto di buono egli avesse proposto, onde , che
reputava non solamente superduo tale abboccamento , må ancora non
pratica- bile da un suo pari, che deve,per l'umil- tà, che
profetava, effere injinico delle difcordie; onde avessero pure fatto
ciò, che ad esli pareva , e piaceva , bastando- gli d'aver
accennato il gran pericolo, ed il modo insieme più sicuro da sfuggirlo
per mera carità di giovare à quel povero Infermo così aggravato , non già
per in- teresse alcuno, da cui egli n'era lonta- nisiino. Infinite
confusioni cagionarono simili parole pietose in più cure , stante-
che tal’uno de' più creduli, che vi si tro- vorno presenti, diffe : Sentiste
, con che [merged small][ocr errors] modestia parlava quel
sant'Uomo, se non fosse così scrupolofo, oh quanti errorici averia discoperti,
commesli da' noftri Medici ignoranti in questa cura ! Si vede però, ch'egli
intende, perche hà fatto certe osservazioni particolari intorno all'Ammalato,
che non le abbiamo vedute fare da' noftri Medici. Ed altri di più consigliavano
à licenziare tutti li Medici per farlo curare da esso folo, per-. fuadendofi,
ch'egli l'averia certamente guarito . Quali danni ne riportino li poveri
Infermi da costoro, che Medicorum congreffum fugiunt,gli espresse assai bene, e
con pochissime parole Ippocrate nel sopracitato libro , dicendo ivi; Ægroti
verò dolore conflictati in utrâque improbia tate natant ; cioè in quella dell'ignoranza,
e dell'inganno di simili viziosi Impostori. Quello però, che reca non
ordinaria meraviglia si è, che il popolo più volte caduto à dar fede à fimili
viziosi Impostori con danno notabile, & evidente della propria falute
ritorna di bel nuo nuovo a creder loro , & à restarne insieme
nuovamente deluso, conforme ancora che con tutto abbiano questi nociuto à
molti, niuno contro di essi dell'offesi ne fà risentimento , e la cagione di
ciò / non puol'essere altra, che godono questi quel vantaggio, che hanno le
donne di mala vita, da cui ne s'allontanano molti, che da esse furono
danneggiati, nè alcuno contro di esse ne fà rilentimento proporzionato al male
ricevuto', e ciò cre. do, che segua sì nell'uņo, che nell'altro caso,per la
vergogna,che ogn’uno di essi hà di manifestarsi con atto publico per imprudéte,
onde perciò pazienta,e ţaçe. E finalmente se per disaventura un fimile
yizio contaminafle mai il Media co dotto, ma politico, oh quanti danni ancor
peggiori di questi apporteria à molti, posciacchè inestandosi al ben radicato
sapere l'inganno , e l'impostura , che frutti velenosi mai produrrią unas
fimile pianta ? e nocenda questi senza effere creduti nocivi, non solamente trà
l'idioti , mà ancora trå li più cautelati, e cir. ) ) e
circospetti troveriano lo smaltimento, c per non diffondermi più oltrc, dirò
solamente che il Medico dorco, e politico, quando che fosse divenuto Impostore,
avendo egli perduto la sua ingenuità diverrebbe allora non solamente tiranno
de' suoi Infermi, facendo loro arţificiosamente credere , che da esso depende
lą loro falute, anziche la vita isteffa , e che non poțriano nè pure un momento
di più yiyere, quando si allontanassero dal suo consiglio,& ajuto,mà ancora
di tutti gli altri Professori ingenui , potendoli conculcare à suo piacere per
prevalersi egli delle frodi somminiftrategli dall'inganno, alle quali non
potendo contraporre le proprieşper esserneprivi,conviene loro cedere , per non
sapersene schermire, giacchè Års luditur Arte. Fuggite dunque yoi, che ambite
di mantenervi ingenui, e divenire veți Medici fimil vizio, e voi, à cui specta
d'invigilare alla publica salute. Non tantum tollerate nefas hanc tole
lite peftem. Ded [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr
errors] Del miserabile vizio dell’Ignoranza poco sarà d'uopo parlarne, sì
perche vi è già nota la sua deformità, sì ancora perche vi vedo incaminati à
gran passi per la strada della sapienza,solamente vi riferirò per vostra
consälazione, affinche prestamente ne diveniate veri possessori di questa, ciò,
che Ippocrace à questo proposito insegnò, con una bella somi glianza ,
& è: (n) Non alitèr enim ac Miniftri , & Miniftræ in domibus
tumultuantes, ac ceriantes , fi quando de repente eis hera adfuerit, attoniti
conquiefcunt , fimilitèr etiàm reliqua animi cupiditates malorum, hominibus
funt administre, at ubi fapientia in conspectum fe dederit, tanquàm mancipia
reliqui affe&tus difcedunt. Insegna parimente Ippocrate nell'iscoprire li
seguaci di tal vizio il modo da conoscere li Medici ignoranti, mà di ciò non
devo parlarne, perche il mio fine è diretto à detestare li vizj , fenza andar
cercando li viziosi. Non però tacere devo il gran danno, che questi
apportanoalla povera Medicina riferito da Ippocrate irel principio della sua
legge in tal guisa : Omnium profectò artium Medicina nobilisfima, verùm propter
eorum , qui eam exercent ignorantiam c. omnibus artibus iàm longè inferior
habetur . Finalmente con la Maledicenza terminerò io ancora di dir male
de vizji questa è un vizio assai incivile, perche opera sempre contro li buoni
costumi, e contro la civiltà , questa certamente non si dovrà seguitare da voi,
venendovi da Ippocrate tanto proibita nel libro : De Medico, che in tal guisa
incomincia: Hoc fcripto Medico imperamus, eo dicimus, dove tra l'altre cose,
che coinanda vi sono le seguenti: Ut animi temperantiam excolat , non
taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquâ totius vitæ moderatione , bom nis, ac
honeftis fit moribus, & æquus in omni vitæ confuetudine fe præftare debeat
; Le quali cose come le potrete osservare, essendo maledici ? Ed affinchè
meglio comprendiate quanto il ben moriggerato Ippocrate odiasse questo vizio,
passia L mo [ocr errors] mo à rillettere ciò, ch'egli dice
nel libro De Arte , il quale comincia così : Non nulli turpitèr in
sectandis artibus artifi. cium suum collocant , neque id,
quod facere Se credunt meo quidem judicio obrinent , sed
Jue scientia oftentationem faciunt aci E poi soggiugne : Qui verò
ea, quæ ab aliis sunt inventä inhoneftorum verborum arti- ficia
contaminare contendit , nequè quida quàm corrigit, fed à
peritis inventa, apud imperitos traduçit . Is fanè prudentice exiftimationem
tueri velle non videtur , fed potiùs naturam fuam, aùt ignoratiam nem malitiosè
prodere : Solis enim artium ignaris, hoc opus competit, qui ambitiofiùs quidem
contendunt , neque tamen improbie tate suâ ullo modo præftare poffunt, ut
aliorum opera, vel recta calumnientur , vel non recta repræhendant : Eos igitur
, qui in alias artes hoc modo invadunt,coerceant, fi poffint , quibus hæc cura
eft, quorumque id intereft. Vedete voi à che segno odiava il divino Ippocrate
li maledici, che voleya , che fossero ristretti , essendo indegni di convivere
tra uomini di ono. re [ocr errors] [ocr errors] re. Crederei, che
quanto hà detto cosi chiaramente , & al propoliço Ippocrate vi pofsa
bastare per odiare un limil vizio, e tanto maggiormente se rifletterete, che
quanto voi direte di male degli altri, altri ancora ne potranno dire di voi ,
ficchè parlate bene degl'altri, Ò tacete Țacerò ancor Ia per non
nausearvi di vantaggio nel descrivervi la laidezza di tutti gl'altri vizj,
sperando , che ciò, che vì hò detto di questi pochi,pofsa baftare, per farvi
prendere odio a tutti gli altri, ed à quel segno , che li viziofi lo porteranno
facilmente alle virtù, qual? odio pero spererei, che in un subbito deponessero
į viziosi , se spogliati per pochi momenti d'ogni loro difetto, si aboccaflero
insieme con effe, allora cofa disebbono sentiamolo da Seneca; (a) Quidquid
opravi inimicorum execrationem puto ; Quidquid timui Dii boni quantò melius
fuit , quàm quod concupivi cum multis inimicitias gefi, & in gratiam ex
odio res L 2 dii (a) De Vita beata cap.2. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] dii buc. quid aliud quàm telis me opposui dc. Avere inteso come parlerebbero bene li viziosi se
avessero la forte dili berarsi da? loro difetti solamente per breve tempo,
approfittatevene dunque voi, giacchè per sempre, se vorrete, potrete effere di
mente capaci di conoTcere la loro deformità, e fuggirla. Mà quando mai credeste
per cosa molto difficile di potervene affatto spogliare, fate almeno, che con
le vostre virtù vi si fra. meschi solamente tanto di vizioso, quanto
communemente si tollera nell'oro di lega bassa , c non più , che non arriva ad
avvilirlo, nè à fargli perdere il suo vago Splendore. Passerò ora alla
seconda parte per esaminare se li vizj ermafroditi si possino alıneno tollerare
nel Medico. Per vìzio ermafrodito intendo quello, che dalla malizia , e
dall'inganno viene talmente trasmutato in virtù, che difficilmente si potrà
discernere, se prima non si scoprono le sue parti vergognose, che و
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] che fino ad ora non hanno
sapuco, ne potuto ricoprire. Sia per esempio, se la malizia,e l'in-
ganno vogliono , sono capaci di trasfi- gurare così bene la
superbia in umiltà, l'iniquità in zelo di giustizia , che
diffi, cilmente senza l'ajuto del disinganno , che
scopre le loro vergogne , li potranno distinguere. Nel prino caso
si serviran- no facilmente de' seguenti artificj. Da-
rete à suo tempo voi un'opera alla luce, ò vi riuscirà felice
la cura di un male grave, è cosa facile, che ne abbiate del
compiacimento interno, e questo avvan- zandosi più del dovere, è facile
ancora, che palli à farvene qualche poco insu- perbire, di
quell'opera, di quella bella cura, cosa faranno la malizia, e
l'ingan- no per farvene affatto insuperbire ? Ri. copriranno la
piccola vostra superbian con il manto dell'umiltà , & in
congiun- tura, che sentirà lodarvi gl'insinueranno in tal guisa à
rispondere : Questo non so- no cose degne di lode, sono bagattelle,
non meritano d'essere lodare da un Vir: L3 tuofo suo pari, sono parsi di
un debbole ingegno ; Chi sentirà si limili risposte resterà sorpreso da üná
tanta umiltà, ed állora maggiormente s’infervorirà dilo darvi, entrerà nelli
meriti della causazed allora appunto avranno compito il loro negozio,in farvi
maggiormente insuperbire, che cosa converrà fare per iscoprire le vergogne alla
in ascherata superbia , per conoscere se quella umiltà sia stata vera ; ò
fimulata; bisognerà ricorrere al disinganno, che la scopra. Aspetterà questi
facilmente la congiuntura proposito, & in vece di lodaryi dirà tutto
quello, che la finta yostra umiltà aveva già detto di voi, con qualche par,
ticolarità di più, che sarà vera , sì perche il disinganno non mentisce; sì
ancora perche i chi è capace d'insuperbirli, non essendo di gran prudenzaś può
in qualche cosa trascorrere ; Allora sentendosi la superbia toccata sul vivo
lacererà in un tratto il bel manto dell? umiltà, e da se medesima mostrerà le
fue vergogne rispondendo : Come ! non fono [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors] ز sono cose degne di lode? sono parti di un
debbole ingegno sono bagáttelle? sono tutte cose d'eterna memoria ;
voi non le capice, perche liete un'ignorantë. Che ne dite ? questa
è quell'umiltà, che una volta parlava così bene; è forse scu-
sabbile nel Medico avendo questa un naturale si fraudolento? Mi persuado
, che ora, che la conoscere ; non la scuse- rete, anzi la
biasimerete più costo. Nel secondo caso se venisse in pen-
siero à tal’uno, che Iddio non voglia, di promovere al
servigio d'un'Ipocondria- co da lui curato qualche suo
amorevole, mà dovendosi rimovere chi attualmente lo serve, e
competencemente bene, sen- za l'ajuto della malizia, e
dell'inganno.». non si poiria ciò effettuare. Questi cacci-
vi vizi per servirlo, che cosa faranno ? procureranno di
vestire l'iniquità con abito di zelo di giustizia, e che diča
à quell'Ippocondriaco, ch'è vero, che viene servito
bene da quel suo Ministro, mà che premendogli tanto la sua salute,
il suo zelo, & il suo obligo richiedono [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] gli procuri sempre li
suoi vantaggi, ed in ispecie trattandosi di propria salute, e di salute, che
gli premetanto, per 12 conservazione della quale il Signor Tale foggetto nel
suo mestiere unico, che non hà pari, saria veramente à propofito , mà non per questo
è dovere di far perdere il pane à chi lo ferve, si dice solamente, che lo
sappia , che vi è chi lo servirebbe assai meglio, caso che capitasse mai
congiuntura ; Fatti, che hà l'iniquità questi projetti ad un'Ippocondriaco, che
non brama altro, che vivere, con tutto quel di più di male, che sentirà
dire per altre vie di quel povero galantuomo, che lo
serve,procurate da chi vuole lubentrare; Credete voi, che non si
effettuerà fimile tentativo dall'iniquità? Forse prima di otto
giorni farà espugnata la Piazza, perche tanto si batterà, che si farà
brec- cia, e vi si porrà dentro, e di sì bella impresa ne trionferà
la sola iniquicà. Voglio, che sia vero , che il Ato ne sia capace,
má vediamo un poco se il fine è stato retto, e se il zelo digiu- stizia
1 che il propo [ocr errors] [ocr errors][merged small] stizia ne fù
egli il primo motore? Chi avrà procurato simile ingiustizia , certainente, che
non sarà molto eccellente nel suo mestiere, perche chi è tale, è ancora giusto
, e prudente, dunque ve ne saranno de' più esperti di lui. Ciò supposto
procuriamo, che il disinganno ne faccia le sue diligenze, e questo facil. mente
farà infinuare al sudetto Ippocondriaco, che giacchè hà megliorato nella
mutazione di quel suo Ministro, procuri ancora di mutare il Medico , e ne trovi
un'altro megliore di quello, che ha presentemente, e piacendogli
tal'insinuazione, cd effettuandola, cosa dirà colui, quando si vedrà fuori del
servigio? fi lamenterà forsi del torto, che gli ha fatto, avendolo tanto tempo
ben servito ? mà di chi si lamenterà? dovrà dolersi di se medesimo, perche gli
è stata fatta quell' ifteffa giustizia , ch'esso hà procurato foffe fatta
altrui; Dà dunque a conoscere chi operò in questo modo, che non ebbe per fine
il zelo di giustizia , perche questo non gli è piacciuto, mà forse ne
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] ebbe [ocr errors][ocr
errors] ebbe qualchedun'altro di quelli, che low no chiamati secondi fini, cosa
ne dite voi di questo vizio ermafrodito & vi pare di poterlo scusare nel
Medico; e se ve ne fofreche non credo ; tal’uno trá efi to scusereste forse ?
Io per me lo scuserei nella forma appunto , che diffe di fimili viziofi
Democrito ad Ippocrate: (b) Cum igitur tot indigenas; e miferas ánimas videamus
quomodò eorum vitam ejusmodi intemperantja deditam ludibrio. non bao beamus
2 Molte altre frodi,tramåte dalla malizia, e dall'inganno potrei orá
riferirvij fe non dubitäsli, palesate; che fosseros che tal’uno ( di voi non
dico , che siete di ottima inclinazione ) sentendole riferire se ne potesse
abusare; onde in ciò procurerò con Tacito più tosto Artem oblivionis , quàm
memoria. Avete già udito la gran deformità de' vizj, il danno, che
apportano a'suoi seguaci, ed il non doverfi seguitare ; nè fcufare in conto
alcuno , che possonofervirvi di motivi efficacissimi per tenerli lontani da
vois purche non si siano di già radicati ne' vostri cuori, nel qual caso faria
necessaria la gran Medicina proposta da Ippocrate per isvellere affatto li
vizj, ch'è la seguente: (C) Equidem omnes animi morbos vehemences(che sono
appunto i vizj) insanias reputo ; cùm opiniones quasdam, da vifa rationi
fufcitant, ex quibus fanéscit s qui per virtutem repurgatur.Preparerò dunque
per la Giornata di domani la sudetta Mediciija,dalla quale se ne avrete bisogno
rimàrrete certamente sanatis casos che nò, preservati almeno da fimili
infezioni, in avvenire . Venite tucci, che vi aspetto con desiderio ; perche
sarà Giornata di molto profitto quella , in cui si parla delle virtù.
[ocr errors][merged small] [blocks in formation] Nella quale. fi discorre
dell'acquisto delle virtà, e del bene , che apportano al vero Medico , e se
alcuna di effe fi poffa in lui cenfurare non Vanto mai sia
infelice, e miferabile la condizione umana,lo dimostra. 110 non
solamente li vizj,mà anca. ra le virtù, posciacchè li primi,che tanto nuocono,
spontaneamente in noi germogliano, e le seconde, che sono così utili,
senza reiterare fatiche, & una lun. ga , & industriosa coltura si
acquistano. Appena nasce l'uomo, che in lui subitamente l'ignoranza si
manifesta, e quel primo vagito , che dà n'è il primo contrafegno , mentre non
ne sà ancora il perche egli lo faccia : Cresce, ela malizia fi scopre, l'ira, e
la gola si manifestano ; S'inoltra nella gioventù , e la lussuria si risente, e
di mano in mano , che gl’anni fi avanzano, li vizj tutti un dop
[ocr errors][ocr errors] doppo l'altro fi veggono germogliare; Con
ragione dunque disse Democrito : (d) Totus homo ab ipfo ortu morbus eft
; e ne assegna la cagione : Talis enim ex materno cruore Sanie
permixto promicuit Infelice , e miserabile dunque condizio ne
umana, che per fare acquisto di ciò, che l'è nocivo, punto non hà
d'affaticar- si, perche spontaneamente li vizj li fan- no
possessori di noi, essendo concepiti, e nascendo con noi medesimi, e
questa è la cagione, perche erunt vitia donec homines, dove, che
per ottenere ciò , ch'è di nostro sommo bene dupplicate fatiche si
ricercano; La prima delle quali consiste nello svellere da noi le tanto
im- poffeffate radici de vizj, e l'altra d'an- dare à poco à poco
introducendo in sua vece li semi delle virtù, e ciò non basta,
perche conviene ancora di cuftodirli fino à tanto, che siano assicurate bene
le loro radici, per non essere dove sono se, mentari suolo nativo.
E perche ò lante virtù spontaneamente ancor voi, ccon quel(d)
In epi.2.Damaget. [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr
errors][merged small][merged small]
quella medesima facilità non germoglia.. te in noi per renderci felici?
Conosco, che voi fiere un'attributo divino, ma non per questo, vi dovęte tanto
sdegnare di unirvi con noi, che siamo creati ad im. magine, e fimilitudine di
Dio, conosco ancora, che per ricevervi li richiede abitazione espurgara da ogni
iminondezza, pura, e proporzionata à voi, e se per questa cagione voi state
lontane da noi, la colpa non sarà la vostra, mà bensì di noi medesimi, che
siamo quelli, che vi impediamo l'ingresso, e che ritardiamo si gloriofe
conquiste, che ci possono rendere beati, con trascurare ciò, che voi
richiedete Oggi sì, che voglio far prova di voi per conoscere à che segno
liano gli animi vostri generosi, e se avere ancora acquistato l'uso di ragione
, potendo, se vorrete, ciò che si trova d'infelice in voi commutarlo in
prosperità, e ciò, ch'è disgrazia in fortuna: Accingetevi pure, se ne sarete
sprovisti, all'acquisto delle belle virtù, se ambite divenire Semidei,
dicendo apertamente Ippocrate, (e) ches Medicus Philofophus Deo &qualis
habetur ; e cosa voglia intendere per Medici Filosofi lo spiega divinamente in
appresso, cioè quelli, che habent , quç faciunt ad demonstrandam
incontinentiam, quatuoSam, ac sordidam profefionem, inexplebilem habendi fitim
, cupiditatem , detraa &tionem, impudentiam ; che sono per l'appunto quelli,
che seguirano le virtù , ed hanno in abbominazione li vizj. Sbandito
dunque , che avrete da voi ogni vizioso inquinamento, e perciò renduti più
capaci dell'acquisto delle eroiche virtù, proporrò in primo luogo ciò, che
concerne alla Religione, come quella, ch'è la suprema di tutte le virtù, &
ancora la loro base fondamentale, in cui sono appoggiate tutte le altre.
La Religione quanto debba essere àc cuore al Medico, sentitelo da
Ippocrate: (f) Hactenus igitur cum sapientia, communionem , eorumque etiàm
plurima habet Medicus, nam & Deorum cognition [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][merged small] дет (C, &f) Hippode $65.0TMnem ipfe
potiffimùm animo complectitur , cumque aliis in affe&tibus , & casibus
Medicina multum Deos colere comperitur duc. e tutto ciò lo afferisce dapoi di
avere insegnato, che nella Medicina vi era ancora: Superftitiofi metus
aversatio preAantia Divina . E non solamente à benefizio vostro ciò converrà ,
che facciate , mà ancora à prò de' vostri Infermi, perche venendo ogni bene dal
Cielo , nelle vostre più gravi, e pericolose cure converrà , che non vi fidiate
della vostra fola perizia, mà ancora, che supplichiate Dio, che vi assista con
la sua santa grazia à bene indirizzarle; qual pio sentimento si ritrova ancora
descritto in Ippocrate, e dato à coloro, che disprezzando gli ajuti Divini , fi
raffidavano solamente ne' loro incantesimi, à cui cosi parlò risentitamente;
(8) Quos contrafacerc decuerat, facra facere nimirùm , & precari , ad
Templa deducere, Diis fupplicare ; e sotto dice: Maxima ergò, fceleratisima
peccata Deus expiat , dapu rificat (g) De morbo facro.. rificat
tuteláque noftrâ existit ; e non imitando voi la gran pietà di tanto Maestro
come potrete essere annoverati trà suoi seguaci ? A questa viene in
seguela la Prudenza , la quale è una virtù al parere di Democrito riferito da
Ippocrate, che non solamente fà conoscere, e bene distinguere il prasente, mà
ancora fà prevedere il futuro: (a) At folus hominis sensus recta intelligentia
eminùs splendescens. Quod præfens , & futurum eft prævidet; E questa è
quella, che toglie ogni confufione, e libera da qualunque pericolo chi la
poisede : Qui enim hæc ipsa prudenti cogitatione difponunt , ii & facilè
liberantur , meum risum fubleuant ; E questa non si può ottenere senza prima
rimovere da noi tutti quei vizj, che prevertono la nostra mente, trà quali li
principali sono l'ira , la superbia , l'avarizia , l'invidia, e l'inganno, li
quali sono tutti capaci di farla prevaricare, e renduta che sarà per la
mancanza di M que(a) Epist. ad Damag. [ocr errors] questi
quieta, e tranquilla , la Prudenza con maggior facilità si potrà
acquistare. Senza questa bella virtù, regolatrice di tutte le buone
operazioni, non pensate di potere esercitare la Medicina, perche come vi
potrete regolare senza effa , allorche v'incontrerete in Maláci indiscreti, e
disobbedienti, in mali simulati, in controversie con altri Profeffori, ed in
tanti altri emergenti, che vi possono giornalmente accadere, in quali laberinti
vi trovereste? in quante confufioni, se non aveste la scorta della Prudenza,
quali inquietudini provereste se foste privi di sì bella virtù ? (6) Non poteft
effe vita jucunda, à qui abfit Prudentia , come disle Cicerone; Cni possiede
detta virtù hà quanto di buono poffa mai desiderare, ftanteche (c) Nullum Numen
abest fi fit Prudentia. Quindi è, che Ippocrate fino, che visse non
solamente fi fece regolare in tutte le fue operazioni da questa virtù, come
nelle sue memorie si scorge, mà consiglia li suoi seguaci , e comanda loro
insieme à non discostarsi punto dal suo patrocinio, insegnando ancora il modo
per acquistarla, conforme da moltislimi suoi documenti potrete comprendere ,
de' quali ve ne riferirò quei soli, che sono registrati nel libro De decenii
habitu , dove doppo aver descritto il vestire positivo del Medico accreditato,
soggiugne : Qui se fe, ex cultus venuftate , frugalitate, non tàm ad fuperfluam
curiofitatem , quàm ad optimam existimationem, prudentiam, e animi moderationem
compararunt; e passando à ciò, che deve provedersi di necessario con(b)
5.Tufculon. (c) Juven.fat.10 per il suo mestiere , lo avvertisce,
che sia prudente in farlo, altrimenti : Horum penuria mentis inopiam, at
detrimentum affert ; Vuole anco in appreffo, che usi prudenza in prevedere ciò,
che può avere di bisogno j'Infermo, che non operi con animo turbato, che sedi
le confusioni, e li tumulti, che sgridi l'Infermi disobbedienti,l'intimorisca ,
mà insieme con prudenza, che Blandè eos excipiendo, consoletur , confor
[ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr errors] me ancora, che avverta di non
li prevalere di Sostituti imperiti, affinche de' loro mancamenti non resti esso
debbitore, e quelli , che opereranno in tal guisa cosa acquisteranno? Gloriam
tùm apud majores, tùm apud pofteros fibi comparabunt; e finalmente insegna il
modo di conseguire con facilità la sudetta virtù, soggiugnendo : Qui etfi non
multarum rerum cognitionem habent , earum tamen ufis afliduo prudentiam
affequuntur . Apprendercla dunque ora, che fapete il modo facile per
conseguirla , caso,che non ne foste proveduti à sufficiene za , per imitarlo
anco in questa. La Giustizia, una delle altre virtù principali confifte,
al parere di Galeno , di dare à ciascheduno ciò, che gli compete: (d) Naturæ
iustitiam in eo confiftere, ut quod unicuique competit distribuat ; E. questa
non la potrete acquistare, se da voi non terrete lontana l'iniquità, con turti
li suoi vizj feguaci, che sono le passioni, l'adulazione, ed altri, che operano
tutto il contrario di ciò, che alla Giustizia piace. Il bene, che
apporta detta virtù è dupplicato, perche non fo- lamente benefica
chi la riceve , mà an- cora, chi l'esercita; chi la riceve ottiene
tutto quello , che deve desiderare, e conseguire, e chi l'esercita non
puoles- sere censurato à ragione, perche le sue operazioni saranno
sempre regolare con giustizia, e tutta quella giustizia, che si fà
, si riceve ancora da altrui, in ciò , che riguarda gli proprj
avanzamenti ftanteche (e ) Fundamentum perpetud coe mendationis,
famæ eft juftitia, fine qua nihil effe poteft laudabile.
Meritamente dunque compete al giusto di fiorire co- me la Palma :
Juftus ut palma florebit, perche conforme la Palma quanto è più
caricata di grave peso, tanto maggiore mente sormonta , così ancora il giusto,
quanto più fi procura deprimerlo, tanto maggiormente viene
inalzato. Questa eroica virtù non solamente
viene incaricata da Ippocrate al Medico [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] M 3 con (e) Cicero
i.de Offic. con precetti, dicendoli : (f) Æquum autem in omni vitæ
confuetudine se preo ftare debet ; e ne assegna la ragione, fog. giugnendo: Cum
omnibus in rebus multum fit in justitia præfidii; mà ancora fù da lui medesimo
seguitata, conforme in tutte le sue memorie si può rincontrare, trà quali per
non dilungarmi, riferirò solaméte ciò,che si legge in una lettera da lui
scritta al Senato di Abdera, nella quale dicc à tal proposito : Ego verò fi
omnibus modis ditefcere voluiflem viri Abderita , nè decem quidem talentorum
gratiâ ad vos venirem , fed ad Perfarum Regem proficifcerer , ubi Urbes tote
opibus humanis refertiffime occurrissent; e ne assegna la cagione, perche ei
non lo fece foggiugnendo: Regias autèm opes ignominia mihi futuras, opulentiam
Patria inimicam reportaffem, quibus circumaffuens Urbium Grecia deftructor
exifterem ; Antepofe dunque Ippocrate à sì confiderabiliffimi proprj vantaggi
il publico bene, fù dunqu'egli perciò disinteressarissimo,e come tale (t)
De Medico. [ocr errors] tale fece conolcere à che segno amava la giustizia,
non potendolo chi veramente l'ama con prove più demostrative far costare, che
con quelle dell'essere di. finteressato. Custodire dunque la Giustizia
co. me pupilla delli vostri occhi , perche questa è quella , che vi può rendere
feli. ci, non potendoyi mancare cosa alcuna, quando la vostra mente sia giusta,
come viene espresso in due versi esametri scol. piti sopra la Porta Romana di
Marino mia Patria, Feudo Nobile dell'Eccellentiffima Casa Colonna, che sono:
Hic tibi tuta quies, do que cupit odia virtus. Defisietquè nihil, fo mens
non deficit equa , Infeparabile dalla Giustizia deve effere la
Fortezza, pofciacchè non sempre li potrebbe eseguire ciò, che la prima dispone
senza l'autorità della seconda. Ippocrate diede la legge conforme fi avevano da
regolare gl'Infermi,mà ordinò ancora al Medico fuo Esecutore, che M
4 che in caso di trasgressione de' suoi Malati fi armasse di fortezza per
farla eseguire : (8) Eumque à fuis cupiditatibus deterreat, bu fimul quidèm cum
amaru- , lentiâ vehementèr increpet . E questas virtù come s’acquista ? con
togliere da noi ogni timore, ogni pufillanimità, con invigorire lo spirito, e
rendere l'animo pronto, & obbediente ad eseguire ciò, che li viene dalla
discrera Giustizia ordinato'. Doppio bene parimente ne nasce mediante la
sudetta virtù ; Il primo è , che sono sicuri gl'Infermi curati da chi è giusto
di non essere adulati, ponendosi da essi in esecuzione tutto ciò, che loro
compéte, e non di vantaggio, e l'altro è, che chi la possiede ne riceve stima ,
erispetto,ponendo in sogezzione coloro, con quali si tratta . Örnatevi
dunque voi ancora di quefra neceffaria virtù, dovendo nelle occorrcoze
resistere alli'defiderj dopravaci de voftriInfermi, male avvezziin sanità
ز [ocr errors] à cra (5) Hippode decenti ornatu , [merged
small][merged small][ocr errors] * crapulare giornaliente , e dovendo
opporvi à ciò, che fuor di proposito ver- rà motivato dagli aftanti, come
potreste resistere, se non foste armati di fortezza, e costanza ,
neceffariamente caderefte nell'adulazione con danno sì della loro
Calute', che della vostra riputazione ; oltre di che con pochi
contradittori vi abbatterete , perche conoscendovi di quell'animo
descritco da Orazio ; Juftum ; tenacem propofito virum. Non
Civium ardor prava jubentium, Nec vultus instantis T yramni: Mente
quatit. Per loro quiete più di uno vi lascierà stare senza recarvi
moleftia . La Temperanza è quella virtù, che frena li noftri (moderati
desiderj, e li restrigne dentro i limiti dell'onesto , e ci rende finalmente
padroni di comandare à noi stessi ; Quindi è, che Democrito, fiinproverando
coloro, che hanno defiderj smoderati , (h) disse : Et cùm multis dominare
velint , fibi ipfos imperare ne queunt : (3) Hipp. epif.Damag,queunt ;
Senza questa bella virtù nelle maggiori prosperità non si puol godere di quelle
e Alessandro il Grandes appena ebbe notizia, che vi erano più mondi, che
subitamente si concristòs e perdette tutto quel contento, che forli aveva ris
cavato dalle coniquifte di più Regni , perche gli crebbe subitamente il delide,
rio ambizioso di fare maggiori progrefli. Come s’acquisti questa virtù
linsegno Seneca s ( b ) con dire : Sani erimus , cu modica concupifcemur, fi
unusquisque se numeret , metiatur fimul corpus , fciatquè hec multùm
capere, nec diù pode ; Nihil tamen æquè tibi profuerit ad temperantiam omnium
rerum, quàm frequens cogitatio brevis avi, a bujus incerti, quidquid facies
refpice ad mortem ; Octima Media cina, e degna veramente di quel gran Morale
per moderare i nostri sfrenati desiderj. E con ottimi sentimenti ancora si
ritrova registraro in Ippocrate in tal guisa: (i) Quod fi quis omnia , quæ
facit pro viribus mente verfaret, vitam ab omni cafu (h) Epif.94. (i)
Inepif. Damago cafu immunem fervaret, se ipfe probè non fcens, fuam
ipfius concrétionem apertè intelligens, cupiditatis ftudium in infini, tum non
extenderet, fed naturam divitem, & omnium alumnam per ea, quæ abundè
suppetunt, sequeretur. Quemadmodùm autèm
optimus corporis habitus affectionum periculum denunciat s lic magnus rerum
fucceffüs lubricus eft. Elsendo
dunque tanto utile questa virtù, quanto è desiderabile la propria felicità, la
dovreté bramare, e procurare insieme, e non solamente per vostro proprio bene,
ma ancora delli vostri Infermi; perche se sarece immersi profondamente nelli
vostri fmoderati desiderj, avrete la mente sempre così distratta da quelli, che
à tutt'altro penserete, che à ciò, che possa essere di profitto agli Ammalati,
e se pure lo farete, farà cog mence stanca, per breve tempo, e di paffaggio,
doveche avendo roli delide, rj onesti, questi poco vi affaricheranno la mente ,
onde avrete campo di applicare con più attenzione alle cure, e da [merged
small][ocr errors] [ocr errors] inferioris che eravate al negozio, divers sete
superiori, alleggeriti che ne farete, con notabile vantaggio di chi si
prevalerà dell'opera vostra. E tanto maggiormente, che l'offervanža di si
bella virtù non fù solamente incaricata da Ippocrate a' suoi seguaci,
comandando loro:(2) Eum quoque Ipe&t are oportet, ut animi temperantiam
excolat, non taciturnitate folùm, verùm etiàm reliquả totius vite moderatione
Quòd ad illi comparandam gloriam plurimum affert.adjumenti ; Ed altrove: (m)
Bonum Medicum minimè impellit ut fuam atilitatem quærat , verùm ut potiorem fuæ
existimationis rationem habeat ; Itaques longè satiùs eft à morbo fervatis
exprobrare, quàm perniciosè habentes emungere ; Mà di più per darci esempio la
volle egli medesimo religiosamente osservare, po. sciacchè chiamato dal Rè
Artaserse, e con che promesse !.(n) Auri igitur quana fum volet, reliquaquè
quibus indiget effuse ei (1") De Medico. (m) De precept.
(n) Ix epift... Hellefp.Præfee. 6110 ei exhibeto, di ad nos
mittita, cum Perform rum enim optimatibus eodem erit honore; Şicchè la promessa
confilteva in ricchezze, commodi , & onori à quel fegnio, che ne ayeise
potuto defiderare, cosa rifpo e il modeftiffimo ? (0) Quàm celerrime refcribe,
nos vietu, veftitu , domo, omniquè re ad vitam neceffaria cumulatè frui; Pere
sarum autèm opibus uri neque mibi fquum eft; E scrivendo à Demetrio
manifesto anche meglio la sua moderazione, di, cendoli: (P) Rex Persarum nos ad
fe vocavit nefcius mihi potiorem effe fapientiæ , quàm auri rationem; Chi altro
farebbe itato di animno sì moderato in fimili congiunture, che ad una chiamata
di un Rè potentissimo, alle offerte sì grandiofe si fosse potuto contenere con
quella moderazione Ippocratica di ricusarle? Ne crediate, che Ippocrate non
considerasse li vantaggi , che ne poteva riportare, perche in congiuntura, che
ricusando, per non rendere schiava - la scienza Medica delle venalità, li dieci
talenti offer [ocr errors] tigli (0) In epift.2. Hystania (p) In
epift.Demetr. . tigli dalli Abderitani per la cura di Democrito ,
così loro rispose :(9) Ego verò ja omnibus modis ditefcere voluiffem viri
Abderit , ne decem quidèm talentorum gratiâ ad vos venirem, sed ad magnum
Perfarum Regem proficifcerer, ubi Ürbes tot& opibus humanis refertiffimæ
occurriffent dc. divitiæ non funt pecuniæ undequaquè comparat&; Magna enim
sunt virtutis facra , quæ à juftitiâ non teguntur , Jedin apertum fe
proferuntur. Ex morbis quajtum non facio. Sono tutti questi esempi, che
provano un'eroica moderazione di animo, una somma temperanza, e se è vero ciò,
che riferisce Seneca, (r) che Platonc, ed Aristotele ricavassero più profitto
dalli costumi di Socrate, che dalle sue parole. Questi del nostro Ippocrate
sono tali, che possono bastare à togliervi dalIa mente ogni (moderato desiderio
per farvi divenire seguaci di sì eroica virtù , come è la Temperanza, ed allora
potrete con essa ridervi di quelle vagheapparenze di felicità da alcuni tanto
apa prezzate, consistendo tutte in fottilidima superficie, mentre dentro di se,
non altro contengono, che incommodi. Un legno dorato fà una vaga apparenza,mà
dentro di se, non altro nudrisce, che molte tarle , che lo divorano, nè vi G2
discaro à sentire ciò, che ne dice Seneça: (S). Et cum auro teita profundimus
quid aliud , quàm mendacio gaudemus ? Scimus enim fub illo auro feda ligna
lati. tare buco omnium istorum, quos incedere altos vides bracteata felicitas
eft , infpice , e disces fub iftâ tenui membrana dignitasis quantùm mali lateat
. Sicchè la vera felicità non consiste nell'esterna apparenza , non nella
superficie vaga, må bensì nel godere internamente una tranquilla calma, che
dalla bella apparenza esterna più costo viene turbata, che dotta. Hò
cercato, come si fuol dire , per mare, e per terra un ritratto al naturale
della verità pro per farvelo vedere, mà
non l'hd 17 Epiß.115. 1 1 l'hò potuto
ritrovare à proposito, perche, chi l'hà dipinta con il viso coperto, chi dentro
un pozzo al bujo, chi l'hà profondata anco più bassa, onde non sapevo come fare
per farvela vedere , non troyandola delineata in formas ostensibile . Mi venne
in pensiero diricercare in Ippocrate , fe in occasione, che fù per curare
Democrito l'avessi à forte potuto vedere nel suo emi abbattei per
l'appunto nel sogno, che egli fece prima di andare in Abdera , nel quale al
vivo descrive la Verità , ed in quella guisa appunto, che gli comparve in
sogno, (t) ve la descriverò ancora io. Gli parve di vedere, nel primo spuntare
dell'Aurora una bella Dea alta, e risplendente, ornata positivamente, e senza
pompa , li suoi occhi risplendevano come dui scintillanti stelle, ed avendolo
preso per la mano lo conduceva per la Città di Abdera à passo lento, e
finalmente nel disparire, che fece ella gli disse , ch'era la Verità , e che
nel giorno pozzo, se(1) Is Epift.P hilop. 3 [ocr
errors][ocr errors] seguente lo aspettava da Democrito do. ve dimorava.
Meritano veramente molte circo. stanze di questo misterioso logno d'efservi
interpretare; La prima delle quali è la sua maestosa bellezza, e questa denota,
che la verità è degna di essere da tutti amata; La seconda il suo ornamento
positiuo, e senza pompa significa, che non hà bisogno di francie, nè di altri
abbellimenti superfui ; La terza, li suoi occhi risplendenti mostrano , che
ella abbia necessità di buona vista, dovendo vedere , e ben discernere li vizj,
che la perseguitano; La quarta, con il prendere per la mano Ippocrate fà
comprendere, che non vuole contraere amicizia con gente di cattivo
costume, perche bene li avvedeva, che appreffo ad Ippocrate non si accostavano
nè la bugia, nè l'adulazione ; La quinta il condurlo à palli lenti inferisce,
che chi vuole andare accompagnato con la verità non deve caminare in fretta, mà
adagio , come faceva Ippocrate. La festa il dire, che lo N
aYC [ocr errors] averebbe aspettato da Democrito, dove ella dimorava,
significa, che non ama le grandezze del mondo, ne vuole fare la fua comparsa,
se non in quei luoghi , dove alla è conosciuta , e rispettata con fchiettezza,
e sincerità. Obella Dea, se questi sono li voftri fentimenti, date à
divedere , che voi fiete troppo folitaria , modesta, e circospetta; E perche
non frequentate luoghi più magnifici, e non vi fate vagheggiare publicamente ?
Forse, che temete di faziare chi vi rimira con il vostro afpetto, conforme fù
detto di Poppea Sabbina bellissima Dama de' suoi tempi, per non farsi vedere in
publico , che col viso coperto ? E finalmente , perche non conversate con
persone di sfera inaggiore de poveri Filosofi, con quali domesticamente voi
trattate? Sapete come risponderà facilmente la Verità: lo son contenta di
ftarmene così solitaria, perche fono troppo odiata , sentendomi dire da per
tutto : Veritas odium parit ; ed io, che abborrisco di soggiacere à
quest' [ocr errors] odio, per vivere quiera , e tranquilla , son forzata
nel mondo à ftarmene folie faria ; Solamente nel Cielo godo ogni libertà , ivi
sono amata da tutii, ivi sono il Caduceo di eterna pace, e fapete per. che ?
Perche ivi l'Invidia non mi perseguita , l'Adulazione non mi tradisce,
l’Iniquità , è la Malizia non mi possono punto nuocere, come dunque posso io in
Terra liberamente conversare , senza pormi à rischio di perdere quanto ho di
buono, quanto ho di pregiabile, ch'è ciò, che dico. Se io comparisle da per
tutto, non potrei fare di meno di non incontrarmi bene spesso con miei iniqui,
e fraudolenti persecutori, e se questi, che fanno tante prede mi guadagnassero
con lodare la inia bellezza, e mi facesseroprevaricare , non farei più virtù,
onde per mantenermi tale, quale devo essere sono forzata vivere in folitudine
con il mio bene accostumato Democrito. Avrete da quanto vi hò descritto
sin'ora compreso non solamente la bele N 2 lezzalezza della Verità
, mà ancora li suoi divini costumi, onde fi accinga pure ogni uno di voi à
sposarla , perche cosa più bella , ed utile di questa non potrete ritrovare, e
tanto maggiormente, ch'è affai facile à potervi fortire una simile ventura,
bastandole , che finceramente l'amiate, che farà tutta vostrą. Vi avverto però,
ch'ella è gelofillima, ondę vi converrà per conviverci in pace odiare la
menzogna, l'adulazionc, l'iniquità, e l'inganno, altrimenti vi perderefte in
un'istante la sua grazia. Mi perfuado , che lo farete di cuore, perche
Ippocrate , ch'ebbe la sorte, come dilli , di rimirarla una sola volta , ccome
in sogno, ne restò così invaghito di ella, che fino, che visse l'amò
fedelmente, à segno di esporsi ad evidente pericolo di perdere tutto il suo
acquistato concetto; Posciacchè nella cura di colui, ch'era avvezzo di vivere à
suo capriccio, e perciò facilmente fù ferito in testa, confesso candidamente di
averlo curato male, dicendo , ivi : Hoc me latuit [ocr errors]
latuit sectione opus habere , deceperunt aux sèm me future.(a) Biasimerà
taluno di quelli che amano più la loro estimazione, che la Verità questa tua
confeffione publica ò Ippocrate, trattandosi di un'errore di questa forta , c
tanto maggiormente, che niuno ti forzava à palesarlo, e ti diranno : Dovevi
pure prevedere, che la maledicenza avrebbe fatto contro di tè quanto poteva per
iscreditarti, à cui egli rifponderia facilmente, se vivesse, non mi dà
faftidio, che si mormori di me, purche io non tradisca la Verità, hò voluto
lasciare quest'esempio,acciocchè li miei seguaci non cadano in simile errore, e
segua pure contro di me quel male ne så seguire ; Sapete, che danno ne hà
riportato Ippocrate da simile confessione ? Due elogij frà gl'altri, capaci à
renderlo glorioso per tutta l'eternità, che sono li Teguenti: Cornelio
Celso così ne parla di questo fatto : (b) A futuris fe deceptum effc (a)
L16.5.Epid <grot.-7. (b) Lib.8.cap.4. N 3 effe Hyppocrates
memoriæ prodidit , more fcilicèt magnorum virorum ; & fiducian magnarum
rerum habentium; Năm tevia ingenia ; quia nihil habent, nil fibi detrahunt;
magno ingenio, multaque nihilominùs babituro convenit etiàm fimplex veri errò:
ris confeffio; præcipuèque in eo ministerio , quod utilitatis causâ pofteris
traditur, ne qui decipiantur eâdem ratione ; qua quis antè deceptus eft.
Quintiliano ancora lo commenda in tal guisa: (c) Hyppocrates clarus in Arte
Medicâ videtur honeftifimè fecife , dùm proprios quofdam errores confeffus eft
, boc fine , nè posteri peccarent. Certamente, che non avrebbe riportáte
tante lodi Ippocrate, se avesse tenuta celata tal verità, e se non avesse
confessati li propri errori, non li darebbe tanta credenza à ciò, che
dice. Dunque animateyi voi ancora à ree guitare un sì glorioso Maestro, e
non remete dalla Verità , che sposerete , doverne riportare alcun svantaggio,
anzi te (c) Lib.z. cap.8. [ocr errors][ocr errors] tenete per
infallibile di poterne voi ana cora ricavare glorie immortali. Il
difensore maggiore, ch'abbia la Verità è il Disinganno, egli è quello, che
discopre ciò, che si fà contro di essa, che impiega ogni sua attenzione , &
efficacia à suo prò, non prendendosi alcuna soggezione de' vizj, anco maggiori,
in manifestare le loro iniquità; Hà finalmente tal possanza, che qualunque
Verità più occulta la rende palese à tutti Niuno senza il di lui ajuto sarebbe
capace d'avvertire alli proprj errori ; onde converrà se vorrete seguitare la
Verità paffare con esso lui ancora buona corriso pondenza , rispettarlo, e
farvelo vostro amico di confidenza ; Vi avverto però, che se vorrete veramente
confederaryi con il Dilinganno, non dovrere effere ostinati, nè pertinaci nella
vostra opinione, perche altrimenti nel meglio vi abbandonerà , onde converrà di
farvi regolare in tutto da lui , e vedrete come vi favorirà nelli maggiori
vostri bifogni. Se non si fosse fatto regolare Ippo: crate da questa
eroica virtù, come mai fi sarebbe potuto avvedere del sopr’accennato errore, e
d'altri, e proprj, e del Medici suoi coetanei , che egli riferisce ; Certo è,
che se fosse stato pertinace nella sua opinione il Disinganno non gli avrebbe
fatto conoscere la Vericà qual' era , & in ispecie nel caso di
quell'Ancella di anni dodici, nella quale ei confessò,:(d) Hoc cognitum eft
rectè fe&tione opus habere , fecta eft autèm non velut opportebat , fed
quantùm reli&tum eft , pus in ipso factum est ; Et in questo confeffa, che
non fù fatto il taglio à suo dovere . Nel male di Eupolemo, chi gli averia
manifeftato:(e) Hic videbatur biberari pofle, fa unicâ amplå feftione fectus
fuiffet ; E perche non si fece ? Mortuus eft. Conforme ancora nel caso di
quell' Uomo quafi leproso, (f) che andando al bagno di acqua solfurea guarì dal
male,che aveva, mà morì poscia Idoprico per la retrocesfione del primo; E di
Scamandro, (8) à cui gli accelerò la morte un potente folutivo, come avrebbe
possuto dire : Videbatur plus temporis fubstinere potuille. nisi ob vim
pharmaci; E nel figlio di Teoforbo :( 6 ) Huic exulcerats est alvus fortitèr à
magnâ pharmaci vehementia , moru tuus eft autèm tertiâ die poft potionem ;
Nella moglie di Antimaco , à cui : (i) Datum eft potu Elatherium vehementius ,
quàm opportebat, pou mortua eft circà mediam noctem; In quell'uomo Eubeo, (i)
il quale:Cùm bibiffèt pharmacum expurgans fres dies purgabatur, e mortuus eft ;
E nel caso di Artandro, (m) il quale : Sanus erat à catapotio extinctus eft ; E
finalmente in quello di Trinone , (n) lasciando di riferirne altri : Cùm ad
nervum fanè parum medicamentum erodens fuiset adhibitum, opistotono mortuus
eft. Dunque queste utili memorie, che noi leggiamo in Ippocrate tutte le
dovemo al Disinganno, che gliele fece cos nofcere. Ovirtù così sublime, perche
ancora non consigliaste tanti altri Profeffori eccellenti, che scriveffero
ancor esli con questa Ippocraticà ingenuità nello scoprire li propri errori à
pofteri; Quanto bene averia apportato à noi simile verità; Hanno scritto; è
vero, molo te mirabili osservazioni, mà hanno ancora con quelle più tosto
cantato li loro trionfi, che compianto le altrui sventure. Fate almeno, che li
secoli venturi godano di questo bene , & à voi toccherà di ereditäre ò
Giovani ingenui questa purità di scrivere Ippocratica ; se vi uniformcrete
conforme egli fece alli consigli del vostro disinganno: yemo (g)
Epid.lib.5.&gr.15. (h) Ep.lib.5.&gr.17. (1) Ep. lib.s. agr.18. (1)
Ep.lib.5.agro3s. (m) Lib.s. agr.42: (a) Lib.gi .gr.74 7 La
Vigilanza à che segno sia neceffaria nel Medico , ne dà non piccolo contrasegno
il sagrificio, che bramava Esculapio del Gallo, fiinbolo della vigilanza,
volendo facilmente quell'antico Nume della Medicina far capire a suoi seguaci
ciò medianto, che desiderava da essi, più d'ogn'altra cosa , la vi
[ocr errors] ) [ocr errors] vigilanza, e con ragione, stanteche nella
Medicina : 60 ) Occafio præceps; occafio in que tempus non multum ; E se à
prenderla quando si presenta , non li fà con atten zione è cosa facile di
perderla , con dia scapito di ciò, che si poteva ottenere in vantaggio
dell'Infermo ; Quindi è, che Ippocrate dà titolo di ottimo Medico à colui solo;
che prevede le cose future, dicendo :(p) Medicum prænotionem adhibere optimum
effe mihi videtur ; Prenoa scens enim , & prædicens apud ågrotos, da
prafentia, & præterita, & futura ; E questo non già per altra via ,
che per quella della vigilanza , si può ottenere. Per conferma di ciò fà
à proposito la somiglianza, che apporta Ippocrate (9) del Medico con il
Governatore della nave, che si ritrova in tempeita, à cui non conviene già
dormire per non sommergersi insieme con il suo baltimento trà l’onde; Ed in
verità yi converrà essere nelle vostre cure molto circospetti, e
vigilanti, non (0) Hipp.Præceptiox. (9) De veteri
Medio. (p) Di Prenot. non essendo sufficiente la fola vostra
pea tizia , mentre che al parere d'Ippocrate: (r ) Bonis autèm Medicis
fimilitudines pariunt errores , ac difficultates; E cresce maggiormente à tempi
noftri tal neceffità per cagione della separazione, che ha fatto la
Medicina dalla Cirugia , e Farmacia, perche fe allora baftava una parte di
vigilanza , dicendo il detto Ippocrate : Nec folùm feipfum præftare oportet
opportuna facientem, verùm, e agrum, affidentes de exteriora, a' quali dovendo
invigilare il Medico, acciò non trascurino di fare ciò, che da esli si deve,
ora maggior obligo gli corre di dupplicarla per questa nuova aggiunta. Nè
vi riferirò, per perfuadervi ad essere vigilanti, l'esempio, che ne diede in se
stesso Ippocrate, per non avervi à ripetere tutto ciò che abbiamo di esso,
mentreche non fi legge nelle sue opere cosa che non denoti una somma avvedutezza,
una grandissima vigilanza , & in ifpecie ne' suoi pronostici, ne'quali
fi puol (r) Epid. lib.6.dift, &: puol dire con ragione, che
ancora de Bercore collegit aurum , onde spero , che con rincontrarle
ocularınente à fuo tema po, sempre più vi crescerà lo stimolo di efsere
vigilanti, e tanto maggiormente ne sarete, quando in quelle leggerete, (che :
Vigilantia verò &c. ad vitæ boneftatem refert . Majorem enim apud alium
fibi gratiam conciliat, fi ad artem traducatur , eique decus, ob gloriam comparat
; & in appresso: Bonus Medicus vigens ipfus artis opifex nuncupatur.
Della Vigilanza è compagna inseparabile, e fedele la fatica , la quale per
essere opposta all'Ozio padre di tutti li vizj, li può chiamare madre di tutte
le virtù, e questa nella Medicina è cosi essenziale, che senza essa è
impoflibile di poterli acquistare, esercitare, ed ampliare , A voi
dunque, che desiderate essere veri Medici converrà accingervi à triplicara
facica. La prima vi servirà per fare acquisto della Medicina; La secon
dada per impiegarla nell’efercizio di effa , ela terza finalmente per lasciare
degną memoria di voi in ampliarla à quel fegno', che vi farà permesso dal
vostro ingegno. Già della prima ne fù discorso nella seconda Giornata,
nella quale fù moftrato ciò, che si debba fare per conseguire la buona pratica
; mi resta fola. mente ora da soggiugnervi, che quella sola non può bastare per
farvi vivere ripofati , e senz'altra briga , ftanteche quantunque, fia
sufficiente per potere esercitare la Medicina, nulladimeno per essere ancor voi
annoverati trà Proferfori più esperti, e capaci di dare più accertati consigli
vi converrà infino al fine di voftra vita faticare in fare sempre nuovi
acquisti, restandoyi tuttavia molto da apprendere, sì per incontrarvi alle
volte in mali non più osservari, conforine Celso avvertì , dicendo : Sæpè vero
etiàm nova incidere genera morborum , che per essere la Medicina scienza sì
va#a, che niuno fin'ora ha potuto scoprire li suoi ultimi confini, nè
Ippocrate, nd tampoco Esculapio, che ne furono l'Inventori , conforme egli
confessa ingenuamente :(t) Ego enim ad finem Medicinæ non perveni, etiamfi iàm
fenex fim, nequè enim ipfius Inventor Esculapius. Quale appunto debba
essere la seconda fatica nel professarla, così ve la descrive: (1) Crebro ægrum
invife diligentem considerationem adhibeas, ut iis, qui decepti sunt per
mutationes accurras; Facilior enim tibi cognitio fuppetet , fimula què te
promptiùs expedies • Instabilitèr enim moventur quæ in humidis confiftunt.
Questo testo è così chiaro , che non hà bisogno di dichiarazione maggiore, ris'
chiedendo da voi Ippocrate nell'esercizio pratico la fatica unita alla
vigilanza, e facendo voi in questo modo vi assicura, che minori brighe avrete,
perche presto tirarete à fine ciò, che facendo con trascuraggine vi
apporterebbe maggiori incominodi, La terza fatica è arbitraria, e viene
fo(t) In Epif.Democt (0) De decenti babiru. [ocr errors] folamente
abbracciata da quelli fpiriti investigatori, che hanno unita la vivacità
dell'ingegno alla prudenza, e questi per il desiderio , che hanno di
eternare li loro nomi, riescono in tale opera profittevoli, de' quali credo ,
che frà voi ve ne farà caluno abile, dal quale spero non si ricuserà fatica sì
gloriosa,abbracciata, e consigliata insieme da Ippocrate, dicendo: (*) Nunc
verò ea , quibus summo studio prudentes incumbere debent, partim quidèm à
majoribus excerpta, partim verò etiàm nunc per nos inventa ad te
fcripfimus. Nè delista taluno di voi, che sia abile à sì gloriosa impresa
d'effettuarla per vedere impallidito di volto, emaciato di corpo, &
invecchiato prima del tempo chi abbracciò fimile fatica; posciacchè da
quell'emaciazione di corpo, da quel pallore di volto, e dal comparire più
vecchio, ch'egli sia, gran benefici ne hà ritratti che sono,maggior vivacità di
mente , senno, e prudenza. Mà (x) In Epif ad Reg.Demetr. [ocr
errors] Mà quando ancora da tal gloriosa cagione ne risultasse qualche fisico
svantaggio, fi bilanci qualsia peggiore, se quefto, ò pure quello, che ne
proviene dall'ozio; e si vedrà senza fallo, che l'oziofi non solamente sono
soggetti ad infermità peggiori di quello fieno gli ftudiofi, mà ancora , che
terminano più presto la loro miserabile vita , onde non è prudenza il temere
ciò, che può recare minor danno per andare in traccia à ciò, che ne può recare
maggiore, e con lo svantaggio di più, che à prò degl'affaticati Letterati stà
sempre preparata un' eternità di gloria, dove, che à danni de gl’oziofi una
perpetua ignominia. Non mi stenderò di vantaggio in esaminare le altre
virtù , che restano perche vi si richiederia più tempo di una sola giornata, e
tanto più , che poffedendo voi le già descritte vi si renderanno famigliari
tutte le altre; Solamente del più bel frutto , che producono le virtù , ch'è il
buon costume, non sarà fuori di proposito oggi parlarne , stante
che che questo da Ippocrate viene stretta. mente incaricato al Medico ,
per farvi conoscere insieme à che segno egli lo profeffava . Il buon
costume è un'abito essence ziale per la vita civile, acquistato solamente da
chi poliede un'aggregato di moltiffime virtù', trà quali risplendong la
Prudenza, la: Sincerità, la Gratitu, dine , l'Umiltà, la Discretezza , la Bez
nedicenza , l'Urbanità, e la Conyenienza, e questo abito deve essere
continuato, perche fe la Superbia , l'Ira , l'Ambizione, & altri vizi di
fimile perversa natura l'interrompono, il buon costume passa fubitamente in
cattivo, Chi hà la forte di poffederlo è ricchisiino, mentre hà un tesoro, del
quale quanto più ne fpende , tanto più resta in capitale ; Per csempio, chi hà
il buon costume di lo-, dare, non solamente non riceve alcun discapito dalle
lodi, che dispensa, mà n'è perciò egli ancora lodato. Devesi nondiineno usare
prudenza in non eccedere molto con affettazione ne' buonicostumi, ftantęche
alle volte, quando sono soverchiamente adoperati, e con affettazione nauseano,
& in vece di apportare del bene,fanno del male, e tanto maggiormente,
quando ciò viene regolato da qualche secondo fine, nel qual caso la lode
istessa può essere nociva, e perciò ebbe à dire Tacito ; Peffimum inimicorum
genus laudantium. A che segno sia necessario al Medi, co il buon costume,
mediante il quale viene colta ogni ambiziosa contesa, lo dimostrò Ippocrațe
doppo di aver fatto , conoscere la necessità , che vi sia di consultare con
altri Profeffori li mali oscuri, soggiugnendo : (a) De eo minimè am. bitiosè
contendere , fe ipfos ludibrio exponere; Pofciacchè fimil maniera non è propria
de' Medici racionali, mà solamente di quelli triviali, che : Forenfem queftum
fectantur , conforme egli dice in appreffo. Nè solamente il mal costume
pone in discredito chi lo esercita , mà passt O 2 per [a] De
Præcept, و 'per causa sua ancora nell'innocente Medicina la
calunnia ; L'esempio è chiaro : Contrasteranno due Medici tra di loro acerrimamente,
se fi debba, ò no dare un'orzata in un male acuto, se debbali, ò nò colare,fe
prima debba darsi, ò doppoi il seccimo giorno, e se sia praticabile ayanti, che
il male sia terminato, le quali essendo questioni inutili, e come fi fuol dire
, di lana caprina , perche con l'esperienza fi può rincontrare se ne posfa
feguire quel gran danno, che si figura chi contradice, onde finili contese non
poffono à mio credere autenticare al che l'imprudenza, e mal costume di
chi le promove, e picciol male recheriano, se la colpa di ciò restafse trà li
foli Artefici altercanti, il peggio è, che ne passa alla Medicina la calunnia;
Quest'esempio non è stato inventato da me, ritrovandofi descritto da Ippocrate
così bene, che non vi recherà punto di noja il sentirlo riferire : (b) Que
igitur ignorantur bee funtó quanam de causâ in morbis acutis, quidam Medici
toto vita tempore in Ptifanî non colatâ exhibenda perfeverents rectè fe curare
existiment; Quinàm etiàm omni ratione contendunt', ne ullo modo hordeum æger
devoret , quoad indè magnum fecuturum detrimentum exiftiments morbis (b)
De ration. Tic.in morbiacut. tro, verùm per linteum excolantes ejus
fuccum porrigunt . Horum etiam nonnulli , nequè Ptisanam craffam , neque succum
exhibent, ubi quidem dùm feptimum diem eger attigerit , alii verò dùm in totum
morbus judicatus fuerit ; E ciò, che da simili altercazioni ne fiegua l'esprime
in tal modo : At verò Ars tota magnam quidèm apud vulgum calumniam fubftinet ,
ut nullam omninò Medicinam efe exiftiment a kquidem in acutis morbis, in tantùm
inter Te diffentiunt Artifices , ut quæ alter exhi. bet, veluti optima reputans
, etiàm mala alter exiftimet. Due ingiurie vi farei nel medesimo tempo ,
se pretendesli d'insegnarvi il buon costume: una saria di riputarvi male
accostumati, che per ļa Dio grazia non siete, e l'altra di credervi
stolidi, ed incapaci di ragione , per non esservi approfittati di ciò,
che vi disli, detestando quei vizj, che costituiscono il mal cos ftume.
Continuare di buon'animo á fuggire li vizj, e seguitare queste virtù, che vi hò
mostrato, e non dubitate , perche Hi vostri buoni costumi in breve diverranno
ottimi, & acciò possiate conseguire con più facilità fimil sorte vi
rappresenterò alcuni costumi eroici d'Ippocrate, li quali vi potranno fervire
di norma in moltissime vostre occorrenze , che vi si presenteranno facilmente à
suo tempo. Egli fù così esemplare nell'offervanza degli ottimi costumi,
che non sò fe trà Medici ( alla riserva di quelli dia chiarati già Santi) ve ne
sia stato, ò ve ne sia di presente , chi lo possa uguagliare La Pietra
del paragone per cono. fcere se il costume sia ottimo sono li onori, ftanteche
honores mutant mores , onde quando l'onorato non cambia li fuoi costumi in
peggio per cagione dell? onore ricevuto's tenete pure per certo,
che ) che il suo costume sia ottimo. E la ca. gione di ciò è,
perche con gli ottimi regna l'umiltà in grado eroico, e dove è questa , la
fuperbia non s'accosta, fa. pendo per esperienza, che inutilmente impiegheria
ogni sua fatica, e la superbia è quella, che perverte il buon co. stume , mà
contro l'ottimo non fi ci meriti, ) Che Ippocrate abbia
ricevuti onori fommi non trovo fi controverta da ale cuno, mentre fù chiamato
dal Rè potentiffimo Serse, con promesse di ciò, che egli avesse saputo
desiderare, oltre di costituirlo Magnato della Persia, fù cre duto ancora, che
discendeffe dal Dio Esculapio, che fosse in grazia del Rc Demetrio', e di molti
altri Potentati, e finalmente, che ricevesse dagli Ateniefi onori maffimi, non
solo umani, mà ancora divini effo vivente, come costa per Senatus Consulto,
ch'è questo : Ut igitur conftet Populum Athenienfem Græcis femper utilitèr
confuluife , utquè dignam pro meritis Hyppocrati gratiam referat,
decrevit Poo 0 4Populus ut is magnis mysteriis ; Hor fecùs at
Hercules Jovis filius publicè initiaretur, O coronâ aureâ mille aureorum
coronaret tur. Coronam ipfam Quinquatribus magnis in gymnico certamine pręcone
proclamante, omnibus Coorum liberis liceat non fecùs às Atheniensium Athenis
pubertatem ageres quod coram Patria ejufmodi virum proCreavit, Hyppocrates
verò, ut Civitatis jis re, victu in Pritaneo toto vita tempore donetur. E
questi commi onori qual mücazione produsero ne' suoi costumi? niuna appunto,
mentre non furono capaci di farlo insuperbire, come fi legge nella sua lettera
, che scrisse già divenuto vece chio à Democritó : Et ego fanè plus
repræhenfionis , quàm honoris ex arte mihi confecutus videor ; Vedete quanto
stimava l'onori maslimi, e se s’infuperbivad punto di quelli, credendoli inferiori
ad una picciola riprensione , dico picciola, perche delle grandi non n’era
capace un’Ippocrate . Più gli premeva , per quanto li può congetturare dalla
mede fima lettera, la cagione delli ònori,mentre mostrava di dolersi, che
eisendo diyenuto già vecchio non era potuto ancora giugnere à tutta la
perfezione dell' Arre; volendoci forsi con questo far conofcere, che non sono
tanto pregiabili gli onori, quanto è la cagione, che li produce, ch'è la virtù
, la quale dipende tutta da noi, doveche gl'effetti di quella dipendono
dall'altrui volontà; Avendo dunque Ippocrate resistito à non fare alcuna
mutazione nelli suoi buoni coftumi in tanti, e tali onori ricevuti, è
contrasegno evidente, che foffero arri. vati al grado dell'ottimo , nel quale
solamente, come fi è mostraro, sono im.mutabili li costumi. Che vi sia
stato à luo tempo, ò dapoi fino al presente chi abbia.conseguito limili onori,
non se ne ritrova memoria, per quanto fia stata cercata, onde non hà
alcun'altro Medico avuto occasione, doppo di lui di mostrare ugual costanza del
suo buon costume in fimili prosperità; Ricevendo dunque voi onori,
faprece [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] con l'esempio di un tanto
Éroe, confora me vi doyrete contenere affinche le prosperità, che ne risultano
da esli , non vi facciano, conforine appunto fecero prevaricare li antichi
Romani, che fusono ne' primi secoli della Repúblicas esemplari in bontà, mà
avanzandoli pom fcia nelle ricchezze andavano declinando , e finalmente
nell'auge delle loro felicità, e grandezze da buoni divennes ro cattivi , onde
con ragione esclamò Tacito : Felicitate corrumpimur. Mi di{piacerebbe però
sommamente,che simili sventure si verificassero in voi, perche goderei vedervi
tutti esemplari, e degni imitatori d'Ippocrate, non solamente nella dottrina,
mà ancora negli ottimi costumi Mi rimane per totale conferma del mio
intrapreso assunto di corroborare con altri esempi ciò, che hò proväto con le
ragioni ancora. Il primo de'quali sarà di farvi vedere, con quanta
civiltà egli scrise de gli antichi intorno à quelle cose che effi
11011 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] non sapevano, e che furono
dalla sua induftria inventate . Dice egli intorno la regola del vivere : (c)
Alii quidem aliud ättigerunt, totum verò nes unus quidem adhùc ex his , qui
antè extiterunt ; Neque tamen eorum quisquam reprehendendus , quòd invenire non
potuerint ; quin potiùs Jaudandi omnes'; quod quædam inveftigao tione aggreffi
fint ; Neque ergò que recta dieta non funt argüere decrevi , fed his , qué
abundè funt cognità affentiri in animo habeo ; quæ igitur ab iis , qui antè nos
fuerunt reétè di&ta funtzde bis fieri non poteft fi alitèr ferihatur, ut
reétè fcribam, quæ verò non rectè dixerunt fi ea quidem , quod ità non habeant
redarguero nihil profecero ; E cosa abbia fatto in questo caso lo dice in
appresso, cioè: Que non rette fuerint cognita aperiam; Quin etiàm qua corum
nultus , qui antè me fucrunt explicare aggreffus eft qualia fuerint demonftrabo
; Ed altrove con chę prudenza ne parla:(a) Sed nequè de victus ratione
quid quàm [c] Dx viftus ratione lib.i. [d] De ratione vitus
in grutis. [ocr errors] quàm effatu dignum veteres fcriptis
tradiderunt , eamque , quamvis magna res fit, omiserunt s Varia tamen morborum
fingua lorum genera , multiplicemque eorum divid fionem non ignorarunt quidàm.
Avete of servato con che creanza , con che giua stizia; e con che prudenza ne
parla un' Ippocrate de' suoi Antichi, scusandoli in ciò, che non seppero, e non
pregiudicandoli punto in seguitare, e confeffare ciò, che di buono efi dissero;
Si è praticato questo buon costume da alcuni de' noftri Moderni verso li
Antichi? Mi pare di leggere, per dire il vero, più tosto il contrario, anzichè
mi sono avveduto, che taluno di efli há palleggiato con tal fasto invidioso
dace sopra quelle gloriose ceneri, che ne sono rimasto molto scandalizato,
rifettendo, che Ippocrate con li suoi Antichi diversamente faceva, nė vi
riferirò da vantaggio per non farvi nauseare di ciò, che essi ancora hanno
fatto di bene .; Per fecondo vedremo, come egli fi portò in quelle cose,
che lo toccavanoal vivo. Gli pervennero à notizia alcune predizioni
(e) credute da Prospero Mar. ziano suo Espositore accurato, Astro-
loggiche, che appresso gli Egizj si prati- cavano in quei tempi, che
erano alli Greci ancora ignote, le quali non li pia- cevano,
mentre disse : Egnautèm hujuf- modi vates effe nolo ; e con
ragione, per- che gli pervertevano ciò, ch'egli con
tanta diligenza aveva ricavato dalle proprie offervazioni intorno
alli prono- stici de' mali, e che aveva appreso dagl'
altri, e pure con questa modestia si con- tonne :
Prædictiones Medicorum referun- tur permultæ tùm præclar& , tùm
admira- tione dignæ, quales neque equidèm prædixi,
neque quemquàm, qui prædiceret, audivi; e cosi destramente se
ne liberò senza contradirle . Questa maniera sì dolce
non è stata già praticata nel giugnere à notizia tante belle
invenzioni Anatomi- che ; contro la circolazione del sangue
cosa non fù detto mai? Senza possedere un'ottimo costume non
fi può lodar ciò, che (e) Lab.2.Prædi&ionum [ocr errors]
che perverte un'abito fatto da lungo tempo, e che si è praticato per lunga
serie di anni. Per terzo riferirò comę egli firegelaya quando era
necessitato à palesare qualche errore commesso. Questo lo faceya senza
individuarne l'Autore, ece cettuatone li proprj, li quali publicamente
confessava , come già fentiste, parlando del disinganno, e questo, da chi vien
praticato Solainente d'Ippocrate fi racconta fimile ingenuità, & in caso
ancora, che abbią apportato laws morte, Per quarto finalmente per far
trionfare la sua gran bontà riferirò il giuramento, ch'egli fece, che nella
Medicina à suo tempo non vi era alcun Medico razionale, (f) che non fosse di
buoni costumi, e questo giuramento, chi lo farebbe à tempi nostri ? Onde
bisogna neç ffariamente confeffare, che unico fia stato Ippocrate non solamente
nella dottrina, mà ancora nell'ingenuità de' co stumi; [f] In lib.de
præcept, [ocr errors][ocr errors] ftumi ; Sicchè con ogni giustizia li
com. pere il principato nella Medicina, che egli da tanti secoli
pofliede. Dovrete yoi dunque per essere tee nuti degni, e veri suoi
seguaci non folaa mente abbracciare,& uniformarvià ciò, ch'egli scrisfe in
Medicina , mà ancora ftrettamente osservare quanto nella morale si debba fare,
ftimando forG il buon' Ippocrate più necessarj li buoni costumi al vero Medico,
delli suoi Fisici docu. menti, mentre questi li lasciò in libertà di
ciascheduno di seguitarli, mà li primi con giuramento forzava tutti ad offer.
varli esattamente, obligandoli a giurare di essere grati, di vita incolpabili,
onorati, casti, giusti, modefti, pudichi, fedeli , e di somma segrerezza , e
sentite sotto che pena l'obligava: Hoc igitur jusjurandum , fi religiosè
obfervavero, ac minimè irritum fecero , mihi liceat cum fummâ apud omnes
existimatione perpetuò vitam felicem degere's & artis uberrimum fruEtum
percipere , quod fi illud violavero, pejeravero , contraria mihi
contingant ; E quan [ocr errors] E quanto mai il buon costume nel Medl
att [ocr errors] mente si può comprendere da ciò, dice
nel libro Di lege : Quifquis enim Medicine scientiam fibi vere
comparare volet eum his ducibus voti fui compotem fieri
oportet natura, dottrina , moribus generofiss è chiunque di questi
ne farà privo, come uomo profano, diverrà im-
meritevole gli sia dimostrata una scien- za sì facra ,
conforme e la Medicina, soggiungendo ivi : Hæc verò cum sacra
fint , facris hominibus demonftrantur , pro- phanis verò nefas,
Sono dunque, secondo la mente d'Ippocrate , effcnziali nel Medico le
virtù morali , e nientemeno di quello fieno li documenti Fisici, ed in
conseguenza ancora come tali apporteranno necessaria- . mente un commo bene al
vero Medico , non potendo esser tale, se non ne farà ornato à sufficienza,
conforme in termi. ni precisi più diffusamente lo dimostra lo stesso Ippocrate
nelli libri De Medico, © De Decenti ornatu, e nel libro De Pre و (
9 ceptionibus , ove affinche non se ne possa dubitare l'attesta con prova
legale, cioè mediante il suo giuramento, ch'è questo : Hoc namque jurejurando
affirmare audeam , Medicum ratione utentem , alterum nunquàm invidiosè
calumniaturum, fic enim animi impotentiam prodit. Verùm id potiùs faciunt , qui
forensem quastum seEtantur . Sicchè per essere veri Medici razionali
dovrete essere ornati di virtù , e non contaminati da’ vizj , conforme sono
quelli, che per essere meri mercenarj non meritano il titolo di vero Media co ,
quantunque fossero nelli documenti Medici versati ; e perciò saggiamente egli
nel libro De Lege asserisce: Non folùm verbo , fed etiam opere Medici
existimationem tueri oportet; ch'è quanto dovevo mostrarvi nella prima
parte. Se poi alcune virtù fi poffino giuftamente censurare nel Medico,
che è la seconda parte del mio discorso, in qualche caso crederei di sì,
conforme con un'esempio riferito da Ippocrate brevemente vi farò vedere.
P TutteTutte le virtù hanno un fine retro, e se fi lasciano operare à
tutto loro potere s'inoltrano con tanto fervore, che da alcune di esse in vece
di ricavarné profitto , se ne riporterà del danno, La Giustizia, & il Zelo,
tra le altre , fe si cferciçano con sommo rigore, & à quel segno, che
arriva la loro autorità. Quefte sono capaci di porre cutto il mondo in
sconcerto, e perciò diffe Salomone:(+) Noli effe juftus multùm; onde è
necessario unirlo alla civiltà per renderle fruttuose.Simili fconcepci appunto
potrebboro giornalmente accadere nella Medicina, fe il Medico si voleffe
fervire della sola Giu. ftizia, del solo zelo con quell'Inferma male avvezzo in
fanità à fare à fuo modo , allorche trasgredendo alla regola di vivere,fosse da
esso con tutta giustizia riprefo, & afpramente sgridato di tal’erróre, cosa
se ne ricaverebbe di profitto da çal giuftiffima,mà indiscreta riprensione? Se
non che, ò l'Infermo facesse peggio in; (1) Ecclef.cap.79 1
[ocr errors] in avvenire, e che senza alcun profitto perdesse ogni çispetto à
chị lo riprese, ed in questo ca fo giustamente il Medico verria censurato,
perche non si servi in fare una simile riprensione del prudens ziale consiglio
d'Ippocrate, (a) che dice ciò, che deve fare, doppo di averlo afpramente
{gridaco,& è : Simulque cum commonefaciendo , & blandè excipiendo
consoletur ; & altro ve dice : Condonandum aliquid consuetudini ; Quel poco
di dolce, che gli porgerà doppo l'amaro della riprélonę opera tato di bene che
faràche la Giustizia usata divenga profittevole , Il ţimile pariinentě ne
seguirà se voi, con zelo poco discreto , vorrete riprendere taluno , che sia
ricaduto in mali venerci ; questo tale, quanto più lo [griderețe , tanto peggio
farà , bisogna dolcemente che gl'infinuate , e gli facciate capire il danno ,
& il pericolo, che gli può sopravenire da fimili ricidive, le miserie, la
morte penosa inevitabile saranno quelle , che, inlinuate con gius [ocr
errors] (a) In lib.præcept. [ocr errors] dizio, lo potranno più
facilmente perfuadere di fuggire simili errori, perche questi motivi restano
impressi per lungo tempo nella mente , mà le gridate, che passano presto in oblivione
, riescono infruttuose, perche sentendosi con animo irritato , non s'apprendono
quanto: fi dovriano . Molti altri esempi potrei apportarvi, mà credo , che li
riferiti pollino essere sufficienti per farvi capire tal verità ; Volete
dunque, che le vostre virtù non fiano censurate , accompagnatele, e non le fare
operare fole, e fate appunto conforme si suol praticare con le donzelle vistose
à fine non si mormori di loro che accompagnate con altre donne più provetre , e
prudenti possono trattare in privato, e comparire in pliblico senza
taccia. Mi persuado che li documenti, le ragioni , e gl'esempj
d'Ippocrate, che vi (hò addotti fin'ora, saranno senza fällo sufficienti a
farvi incaminare per il retto fentiero delle virtù , il quale spianato in tal
guisa , fe à caluno di voi paresse tut tavia [ocr errors]
tavia disastroso, non occorrerà s'affati chi di vantaggio, perche per lui
non fa. ranno à proposito le virtù, e per tanto se ne viva pure à
suo bell'agio con li suoi vizj diletti, nè occorrerà, che in do-
mani quivi si presenti, perche voglio in avvenire parlare solamente a
quelli, che hanno generosamente determinato d'ab- bandonare affatto
li vizj, e seguitare le sole virtù. [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][merged small][ocr
errors] G. I Ô R N Å TA V I. Nella
quale s'accenda il modo di prévalerfi del consiglio delle virtù
contra l'infidie. de vizj, affinchè il vero Medico poffan godere
una vita iranquilla , e lasciare di se doppio morte una gloriufi
memoria : [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] On mio
contento non ordinario vi vedo oggi, prima del solito , quì tutti
preferiti; posciacchè averidoviderto nel fine della Giortiada di jeri, che chi
nơn s'era già determinato di seguitare le fole viétừ, non occorreva ch'oggi
forfè venuto; temevo che almeno quelli , che gliscorgevo più pensoli degli
altri, foffero mancati; Mà vedendo quì ancor voi, e più ilari , e disinvolti
del consue. to, è chiaro contrafegno, che le vostre menti, che si ritrovavano
nelle Giornate passate ambigue, non sapendo ancora à che partito appigliarsi,
abbiano già déterminato di seguitar le virtù, avendo jeri gustato, e meditato
in appressoquanto di benc da elle ne possa risultaa re; Onde tutto il giubilo
interno; che voi ora provares non nasce da altro, che dall'essere divenuti
padroni del vostró volere. Spero dunque, che tutti inGeme äverere avuto la
medesima forte d'allontanarvi affatto da' vizj, e di confederarvi con le sole
virtù, e queste fatele ora padrone dispotiche della vostra voz lontà, e non
temere de viżj , che fuor di voi fi ritrovano , che possano essi punto
nuocervi, con tutto che vi tramaffero continue insidie per lo sdegno concepi .
to contro di yoi's che ve ne siete da efti affatto allontanati , perche farà
curau delle virtù il difendervi: Vi säria gran timore quando questi inimici
teneilero tuttavia assediato il vostro cuore, e fiorreffero liberamente
d'intorno alla voftra volontà ; Allora sì che tion potreste fidarvi delle loro
insidie , ftanteche in tal caso le virtù non potriano affiftervi. Vivete dunque
cautelati á non tradire. voi stesli orche ne fiece liberi; e questo seguiria
facilmente quando apriste qual [ocr errors] che segreta porta , per dove
poteffero i'vizj dentro di voi tornare. Per altro faccino pure
fuori di voi quel più , che possono s che punto non vi potranno
danneggiare.L'esempio l'abbiamo chiaro ne i Romani, che fino ch'ebbero Annibale
nell'Italia stiedero con ragione molto mesti, ed affitti per il timore delli
gran danni , che poteva loro apportare, mà appena partito, sollevorno lo
spirito, con tutto che proseguisse à molestarli, e di niuna cola elli ebbero
più spavento, che della guerra intestina, la quale alla fine fù cagione , che
perdelfero la loro libertà. Parerà oggi discorso superfluo il mio,mentre
voi avêdo in abbominazione li vizj;ed essendovi dichiarati seguaci delle virtù,
potrete con la guida di esse consigliare più tosto gl'altri, che aver bisogno
di Direttore, con tutto ciò perche non avete à bastanza ancora acquiftato Puso
di prevalervi di effe , non vi farà infructuoso il sentire da me in compendio
quel bene , che à suo tempo, ed [ocr errors] [ocr errors] in tutti i
vostri maggiori bisogni , questo vi apporteranno , potendo ciò ancoras fervire
per confermarvi di vantaggio della vostra lodevole risoluzione. E cominciando
prima dalla Religione, che con puro cuore profeffate , poiche Non fi
comincia ben se non dal Cielo ; Qucfta non solamente vi darà lume, e vi fervirà
di scorta per quello che riguarda l'eternità, mà vi configlierà di fare fempre
uniti con le virtù, facendovicon chiarezza vedere la deformità de' vizj, e li
gran danni che apportano; Quindi è, che neceffariamente la fapienza deve ftare
unita con la Religione, conforme diffe Lattanzio : Homines ideò falluntur ,
quòd aut Religionem fufcipiunt omissá Sapientiâ , aut Sapientia foli student
omissa Religione , cum alterum fine altero non poffit effe verum ; Oltre di che
vi farà conofcere meglio di che forta d'amici avrete da fare elezione, perche
fe vi abbattete con taluno di coloro, che sono affatto increduli di ciò, che
non veggono, v'in [ocr errors] [ocr errors] finuerà, che questi non sono
à proposito per voi , che ci trattiace quanto porta il mero bisogno ; ma non
più oltre, perche questi sono tenuti da Sant'Agostino per tomini carnali ,
dicendo ; In homine carnali tota regula intelligendi est consuetudo cernendi
quod solent videre credunt ; quod non folentznon credunt; conforme ancora, che
fuggiare ogni altro vizioso , è che v'intrinfechiare solamente con chi è
seguace delle virtù, e finalmente vi terrå fempre circospetti in non prestare
fede à ciò,che leggerete, ò sentirete dire; che poffa in qualche parte
alienarvi dal suo vero sertimento Non ritrovandovi ora in istato di
potere profeffare la Medicina , per non essere totalmente esperti in essa , vi
converrà cercare ottimi Direttori, nella di cui elezione consigliandovi con la
Pradenza , v'insinuerà, che vi appoggiate -à quell'appunto, che descrive
Cicerone in tal guisa : Eft igitur adolescentis majores natú vereri, ex iisque
deligere optimos, e probatisimos , quorum confilio , atque au
auctoritate vitantur : Ineuntis enim ætatis, inscitia ferum conftituenda da
regenda prudentiâ eft. V’insinuerà d'avantaggio la giustižia come vi
dovrete contenere per acquistarvi il loro affetto , che sarà, oltre l'accennato
ossequio, di esser loro fede li, e schiecti z di moftrarvi sempre pune è
tutali, obbedienti, e diligenti in tutti li affari, che v'insporranno,
perche operando või in questa guisa, non solamento v'istruifanio con tutto
l'amore, må vi loderanno da per tutto, dalla quale preventiva commendazione
germoglieranno à suo tempo li principi delle vostre fortune', e troveretegià
spianata la ftria da de voftri progreni s állorché principierete à
medicáre. Intraprendendo con questi felici principj l'attual'esercizio
della Medicinás allorche' già farete divenuti esperti , non pafferă lungo
tempo, che molti di prevaleranno dell'opera vostras & allora appunto li
vizj vi comincieranno à muoa vere guerras e Vinvidia farà la prima ämoà
molestarvi. Questa già da bel principio vi aveva fissato adosso li suoi maligni
sguardi , mà non prima di vedervi avanzati si muoverà per suscitarvi contro li
suoi seguaci, e le comanderà, che spargano da per tutto, che fiere troppo
giovani , che non avete ancora pratica sufficiente, e che dicano con finto zelo
: Oh poveri Malati, che si pongono nelle voItre mani, se questi guariscono
seguirà per miracolo, non per la vostra perizia, e se vedrà, che ciò non basti
per arrestaryi ne' vostri progrelli, invigorirà allora li suoi comandi, e farà
disseminare dalli medesimi, che siete veramente infelici, mentre quanti Malati
vi capitano, tanti ne muojono, e che non sanno capire , come siano così pazzi
coloro, che vi chiamano. Sentendovi calunniare à torto in tal guisa, cosa
dovrete fare? Non altro, che consigliarvi con la Prudenza, e con la Giustizia,
che vi favoriranno assai bene : primieramente vi esorteranno a non prendervene
alcun fastidio, perche è affai migliore la vostra forte و
sorte , per essere invidiati , che non è quella delli vostri calunniatori , che
non hanno chi l'invidj, mà appena tal’uno, che li compatisca. Vi consiglieranno
poscia à non prendervela con quei miseram bili , e vili esecutori dell’Invidia
, perche operano come suoi schiavi, non già come uomini liberi, e se foffero in
loro libertà opererebbero come voi, che aba borrite simili iniquicà. Vi
consiglieranno bensì à mortificare l'Invidia in questa forma, cioè, di
contraporle la vostra umiltà, quando d'Invidia vedrà, che voi non siete ricorsi
alla vendetta rarne il suo ajuto, mà in sua vece vi servite dell'Umiltà,
resterà talmente forpresa, e confusa, che si vergognerà in avvenire di
ciinentarsi più sola con voi, avyedendosi di non potervi abbattere ; mà cosa
farà per non cedere? Si unirà con il Dispreggio, e con lo Sdegno per
necessitarvi à ricorrere alla Vendetta. Questi vizj baldanzosi comanderanno à
qualchuno de' suoi petulanti seguaci, cine vi faccia una mala creanza, e vi
mo per implom desti senz'averne data occafione, in queIto caso ricorrete
subbitamente per consiglio alla Prudenza, che vi farà capire, che di
tal'ingiuria , non ne doyete chiedere fodisfazione dalli seguaci del Dispregio,
e dello Sdegno, perche quei, che seguitano questi yizj , come imprudeņti, sono
ancora pazzi, & į pazzinon essendo capaci di discernere ciò che fạnno, non
sono tenuti di renderne conto; Contro li principali dunque, & autori caderà
il vostro sdegno , e questi, come vi consiglierà che li mortifichiace ? Non già
con la vendetta, perche questo appunto desidereriaạo che faceste, cioè, che
ricorreste ad un'altro vizio, che vi tradise, e cogliessę nel mezo per forzarvi
å rendervi à loro discrezione, inà bensì con la sola sofferenza tanto da essi
temuta per il grandanno, che loro apporta, & affinche lo facciate con
aniino generoso vi riferirà li seguenti casi. A Diogene Filosofo Stoico,
mentre stava disputando particolarmente della collera , gli fù da un protervo
giovane fpu Sputato in faccia , sopportò egli il tutto
piacevolmente , e da savio, e solo disse: Io non vado veramente in collera , mà
non lasciò però di dubitare , fe in questa occasione doveffi farlo.
Catone mentre staya difendendo una causa ricevette da Lentulo giovane seditioso
ua folenne sputacchio nella fronte, egli si nettó, e rasciugò la fronte , &
armato di una gran sofferenza, solo diffe: lo affermarò à tutti, ò Lentulo, che
fi gabbano quelli, che negano, che tù abbi bocca. Rifettendo voi dunque
all'ingiuria maggiore della vostra fatta ad uomini di tanta stima, & al
modo, che si conțennero vi si renderà più facile l'esecuzione del confimile
ripiego propostovi dalla prudenza , mediante il quale avvedutosi il Dispregio,
e lo Sdegno, che in vece di quocervi vi hanno accresciuto ftima appresso tutti,
desisteranno ancora eff di più moleftärvi, vedendosi dalla vostra sofferenza
delusi, e vinti, Arriverete al fior degl'anni avan. [ocr errors] zati già
ne' commodi, & in conseguenza con più lautezza nudriti. Allora vorrà
facilmente la lussuria cimentarsi con voi, e per farvi qualche danno
considerabile, vitenderà molte insidie , vi farà trovare occasioni pronte;
procurera, che siate con vezzi, e lusinghe adescati; Allora cosa farere?ftate
faldi,perche sarà contro voi questa una gran guerra, mentre non avrete campo in
quel punto preso di consigliarvi con le virid, ftanteche : Vinum, &
Mulieres faciunt prevaricare Sam pientes., come ben diffe Salomone. State
faldi, che è pur troppo vero, che molti si sono arrenati per questa cagione nel
meglio de’loro avanzamenti : Vi converrà dunque procurare di prevenire
l'infidie della lussuria, e non aspettare di cssere prevenuti da effe , e
questo lo farere , quando sarete prossimi à quel tempo con chiamare à consiglio
generale turte le virtù per risolvere cosa sia efpediéte,che facciate,ò di
accasarvi,e con chi, ed in che tempo, ò di continuare lo Aato libero,e con che
cautele maggiori,La Prudenza, e la Giustizia vi con figlieranno facilmente à
prender mor glie, con il motivo gịultiflimo,che quel la vita, che da voltri
genitori riceveste con voi non si estingua, mà che per la conservazione della
propria specie law propaghiate ne posteri, ed à buon fine ancofa, che non
abbiate tanto da impazzirvi nella vostra vecchiają à cercare l'eredi, conforme
ad alcuni, che non mai fi cușorono del titolo di padre è accaduto; La sola
difficoltà si rifringerà allo sciegliere chi faccia per poi , perche la
Prudenza, e la Giustizia vi vorranng consigliare diversamente da quello si
pratica in alcuni luoghi, dove il folico di cercare chị abbią dotę groffa
, chi sia bella, e fpiritosa; la Prudenza non vorrà, che cerchiate questo, in
primo luogo, mà bensì, chi sia di buoni natali, di perfetta faļute, e di ottimi
costumi, ¢ ben’educata ; e con ragione, perche non deve essere affare di minore
impostanza l'accasarsi, di quello, che sia di fær compra di un cavallo; e se
per comprare un [merged small][merged small][merged small][ocr
errors] [merged small][ocr errors] un cavallo ( che non riuscendo buono fi può
subitamente dar yia) fi ricerca in primo luogo la buona razza, fe fia fano, e
se abbia vizio'alcuno, perche nel pro- : vedersi della compagnia inseparabile
non si hanno da fare fimili diligenze Sicchè trovato che ayrete chi abbia le
condizioni sudette stringete, senza più indugiare , il vostro matrimonio, con
quella dote, che avrà, senza ricercarne d'avantaggio, che farete un'ottimo
negozio, perche quattro faranno le doti, che prenderete, una sola apprezzata ,
e trè inestimabili , per non effervi prezzo, che le uguagli', e saranno, la
buona nascita,la salute, e gli ottiini costumi, con la buona educazione, &
avvertite à non fare diversamente , per non cadere nella sventura di Socrate,
che fi abbatte in una inquietisima Santippa. Circa il tempo in cui lo dovrete
fare viconsiglieranno, che non lo facciate nè troppo giovani , nè croppo
vecchi, mà bensì nell'età virile, ed allora appunto, che ayrete stabilito
un'assegnamento suffi ciente 1 [ocr errors] ciente per
il inantenimento della vostra fameglia, e non prima , pèrche si
ricerca fenno, e cominodica per effere, buon Pa- dre di fameglia.
Non troppo giovani, per non distogliervi da vostri studj, ed
avanzamenti, ne' quali non sarete anco- ra bene stabiliti , nè troppo
vecchi, per non lasciarli, se avrete figliuoli, troppo immacuri, e
senza avyiamento, e per non foccombere ancor yoi fotto il peso del
matrimonio prima di quello , che fareste vivendone disciolti ,
conforme à tanti è accaduto , Şe poi voi adurrete alla Prudenza
, e Giustizia li seguenti motivi, che avete esimervida simile
legame, che sono; ò che già vi è nella vostra fameglia, chi sia atto à
sostenere un simil peso, ò che dubitate , che la moglie, e l'educazione
de'figliuoli vi possano distogliere dalla voftra professione, qualche altro
inotivo à voi folamente noto non crediare, che yi forzeranno già à farlo, vilascięrano
in tutta yostra libertà, vi consogneranno bensì alla Fortezza, e Tempe
Q: per [ocr errors] ranza, } ranza , acciocchè vi
consiglino, e prestino ajuto in caso, che la Luffuria vi fa. ceffe qualche
violenza . Il consiglio, che quefte virtù vi daranno sarà facilmente, che siate
circospetti, ed appena , che vi sarete avveduti di qualche laccio, che yi
tenderà la Lussuria di troncarlo,e prima che vi poniate il piede, che siate
fempre cautelati nel parlare , ę fentendo qualche parola equivoca, l'interpreciate
sempre à favore dell'onestà, né la crediate detta per voi, che ricevendo
qualche cortesia insolita, la crediate fatta solamente per isperimentare la
vostra modestia, e non ad altro fine , onde la cancellerete subitamente, acciò
la rimembranza di quella non turbi la vostra fantasia ; Che vi moftriate sempre
sostenuti più tosto, che galanti in certe occasioni di confidenze, dalle quali
con bel modo procuriate di liberarvene , che da certi luoghi sospetti,se ne
potrete fare a meno, ne stiate lontani, & andandovi, procuriate efservi in
ore, che vi fieno altri, perche al parere di Seneca : Magna pars
peccatorum tollitur fe peccaturis teftis alibi Aat(a); ed ivi non
vitrattenjate più del bisogno necessarios e sempre con discorsi
serj, ed uniformandovi alli consigli della Fortezza, e Temperanza
non diffidate punto della loro allistenza nelli maggio si vostri
bisogni, che dureranno lino à tanto. che sarà in auge il fervore
della vostra gioventù . Il vizio della gola vorrà aticor'egli
fare tutti li suoi sforzi contro di voi in decto tempo più profpero di
vostra vita, per vedere se vi potesse adescare; e cofa
farà a comanderà facilmente à qualche- dano de' suoi ricchi feguaci
, che facen- do uno de' fuoi sontuolillimi pranzi, o
cena; conviti ancor voi; considero , che vi troverete in quel
punto preso incri- garislimi, perche rifletterete allora ,
che le ricuserete tale invito , sarete' tenuti per
uomini incivili, che non gradite li favori, e cortefie, che vi fi
fanno; fed l'accetterete,metterere ad un gran risico
Ja vostra temperanza , onde vi converrà (*) Episi 11.di
questo ancora chiederne preventivo Consiglio s. per aver pronto il suo fano
imedio per quando vi capitaffe il bio fognb. si Consigliandovi
preventivamente con la Prudenzás.per sapere in che modo allora vi dovrete
contentere, sarà facilesi chievi dica;;che se viritroverete in luoo ghi dove
sia solito, e che frequentemente li Medici fiano convitati, & intervenghino
in fimili bancheteis. non ricusate tali inviti s perche quelle cose, che sono folite',
nou recanto alcuna aimniirazione, non facendosene caso,basterà solamente; che
yi sappiate regolare con giadizio in non pregiudicare di molto alla
vostra consueta fobrietás perche nuocerestu e è più li denti nel
masticare , che la gola nell'inghiottire si e diportandovi in tal guisa,la gola
avrà poco guadagnato con voi; Sepois dove voi dimorerete , non fosse in uso, mà
solamente, che di rado li Medici v'intervenissero con modo al fai civile,
che lo ricusiate pure,non man.. candovi legittima scusa, mentre ò la vo(tra
complessione non assuefatta à fimili disordini, ò qualche cura riguardevole,
che avrete in quel tempo, queste vi potranno efiinere onestamente da qualunque
taccia d'inciýiltà . 03.15 Sò che vi appagherete di tal distinzione saviazfatta
dalla Prudenza, effendo. voi capaci di riflettere , che dove i Mea dici
ricevono spesso simili correfie fono molto stimati, ed in conseguenza i loro
difetti non sono con tanta attenzione norati da tutti, come l'opposto segue
dove di detta stima si penuria. E certamente l'esperienza hà fatto
vedere, che nel secondo caso, quando li Medici si sono voluti azardare à fimili
cimenti, se ne sono poscia pentiti, ftante che, ò per non essere cosa solita ,
ò mediante la curiosità di vedere in che modo si regolavano coloro, che tanto
biafie mano la crapula, hanno ritrovato iyi molti spettatori de' loro
portamenti, che li hanno posti in qualche suggezio. R 4 [ocr
errors] ne, he', mediante la quale ; se hanno procutato di contenerli
nella sobrietà, hanno. fentito de'motteggiametitizñiehte da effi graditi, e se
hanno disordinato, gli sono giunti all'orecchie certi sussurri della's fervitů
z che diceva : Il buon Medico che biasima tanto li disordini , egli troppo fà
peggio di noi, andiamo à credere cið, ch'egli dice; Se poi taluno di elle fia
restato gabbato dal vinos non hà troVato già chi l'abbia seusato ; conforme
fece Seneca a favore di Catone; impuitato di fimile vizio, dicendo, che non
poteva essere, che un Catone fi ubriacasses mà quando che ciò fosse stato vero,
in un Catone fimile vizio faria passato in virtù . Mà non si sono già
pentiti quelli ; the civilmente ricufarono fimili inviti, mentre fattisi capaci
coloro, che desideravano di vederli crapolare; dalli giusti motivi apportaci
per iscusa, rimasero più tosto edificati, che disgustati da fiinili repulse, ed
in segno di ciò ne diedero in avvenire attestati di maggior ftima: Ne
ро [ocr errors] [ocr errors] potrei di questi efempj riferire alcuni a
mà, per non dilongarmi troppo , ftimo bene di tralasciarli . Sicche, per
vincere la gola , il partito più sicuro sarà di fuga gire l'occasioni pronte di
crapolare con un'onesta ritirata , conforme la Prudene za configlia :
Stabilito che avrete il vostro itato à quel fegno che potrete ; non solo per
decentemente vivere , e mantenere con decoro la voftra casa j mà ancora con la
vostra economia accrescerla commodamente; allora l'ingordigia , e l'infariabia
lità di cumulare vi comincieranno & muover guerra, e quello, che farà più
formidabile con apparenze vantag: giofe v'infidieranno alla vita , mentre vi
Itimoleranno, e vi violenreranno infieme ad accettare tutto ciò che vi si pre
fenterà davanti , e fe quefto non bastera à renervi nottése giorno occupati, vi
ftimoleranno à procurarne de' nuovi fervigj, e certainente non per altro fing,
che per distruggere in breve il vostro inzia dividuo con una eccelliva fatica,
con una 1 250 Dell'Idea del vero Medico. una continua
inquietudine di animo,con una perpetua schiavitudine, credute tutse dal Mondo
pazzo per felicitàe per prosperità di fortuna Cosa dovrete dunque fare
per rimuovere da voi un sì evidente pericolo di vita, che vi sovrasta 2 Vi
converrà certameute prenderci rimedio prima, che questi nemici facciano breccia
nel vostro cuore., e parlamentino con il vo. ftro desiderio, perche altrimenti
con lo fplendore dell'oro li guadagneranno, ed il suo rimedio ficuro farà, che
quando ' non ifta concento di ciò che hà, e vorrà procurare cofe
maggiori, di consigliarvi tosto con la Prudenza, che questa facilmente lo
quieterà con dirvi : Cofa bramate d'avantaggio a non avete, più di quello vi
bisogna rimirate quanti altri, che hanno accor essi egual merito alvoftro, sono
più attempati di voi, e pure non sono così ben proveduti, come voi fiere:
Ditemi, che tempo avete , che vi avanza , quando appena ne resta tanto ,che
basti per lo studio necessario's e pery il bisognevole riposo ? E quale
di questi due tempi vorrete impiegare nelle cure di più, che deside rate
confeguire ? forse il primo ? La Giustizia se'ue sdegnerà per non esser vostro:
Forse il secondo, che è cutro vostro & come potrete vivere s fapendo voi,
che: Quod caret alterna requie durabile non eft. Riflettete attentamente, che
lo le pioggie curte cadessero sopra pochi campi, in vece di ravvivarli, e
rendera li più fécondi , opprimeciano più costo quanto di verde li ricopres e
che la gran Providenza ,che saggiamente opera, dispensa il publico bene à prở
di cucţi; facendo, che il Sole non per pochi, mà bensi per tutti risplenda', c
finalmente che le taluno vorrå soverchiainente cam ricare il suo stomaco, anco
di dolcissimo cibo , gli converrà ben spesso soffrire aspri dolori di ventre.
Risplende molto l'oro, må riflettere ancora , ch'è più' grave di qualunque
altro metallo , onde neceffariamene ammaffarne di molto non si può
G può senza restarvi affatto oppresli id Breve sotto il suo grave peso, o per
la meno perderci la propria libertà; Quindi è, che faggiamente Curio ricusò
da'. Sanniti tutta quella gran quantità di oro, che gl'avevano portato 5
dicendo foro, che esso credeva cosa più gloriosa il poter comandare à chi
molt'oro possedeva , di quello che fosse il possederne di molto ; volendo in
tal guisa farci ca. pire, che non si poteva cumulare oro in: gran copia, e
mantenere la sua libertà. Il mio configlio dunque è, che freniate il vostro
defiderio, acciò non bramjata nè pure una cura d'avantaggio di quel le, che
potrete commodamente reggere, e tanto maggiormente, che quefta voce Cura
appresso li Latini non significa altro, che Briga, è travaglio, ex eo quod cor
edat, dw excruciet, delle quali conviene ayerne folamente tante,quante baftino
à poterle fofferire, e non più , verificandosi in esse più, che in ogn'altra
cosa quel detto: Ne quid nimis . Sentitene però il parere della Giustizia per
res go: [ocr errors] golarvi fino dove vi potrete stendere;
per non incorrere nella caccia d'insa- ziabili. Voi sarete
facilmente rimasti per ora appagati di quanto vi avrà detto
la Prudenza, à segno, che non vi curerete sentire altro
conseglio, con tutto ciò per convenienza almeno sarete
tenuti,aven- dovi ciò la sudetta incaricato, di sentir-
ne il parere della Giustizia , intorno al vostro regolamento, e con
tale occasio- ne vi potrete consigliare ancora sopra un certo
ripiego, che facilmente il vo- ftro desiderio visuggerirà, cioè di
all.com gerirvi de’ servigi antichi per proveder- vi
de' nuovi di maggior vostro profitto, e minor briga, il quale non
lo dovrete porre in esecuzione senza l'approvazio- ne
della Giustizia. Esposto , che avrete a questa fanta virtù ciò, che
bramate sapere, ella cortesemente y'insegnerà ciò, che dovrete fare intorno al
vostro regolamento, che sarà di misurare in primo luogo le vostre forze , &
il tempo, che vi resta libero, [ocr errors] e poi l'impiego , che vi si
presenta, e se rincongrerete le misure proporzionate trà di loro , accettatelo
pure, senz'alcun timore della taccia d'insaziabili; Vi suggerirà però, che
stiate bene oculati in prenderne le dette misure à suo dovere, affinchè non
reftiate ingaonati, perche . altrimentiaffatto infructuofo riusciria il fuo
configlio,ed acciocchè non segua un tale errore, vi darà lei medefima dug meze
canne, una delle quali la troverete molto scarfa, e l'altra affai vantaggiosa;
con la prima yi ordinerà, che miluriate le voitre forze, & il tempo, che vi
ayanza ; con la feconda l'impiego, che vi li presenta, e prendendo voi le
misure in questa guisa yi assicura la Giustizia , che non potrete errare. Doye
che facendoli da voi diversamente, tutte le altre meze canne , che adoprerete ve
le porgerà il yostro desiderio fatte à suo modo, e saranno tutte yantaggiose di
molto quelle, con le quali misurerete le vostre forze, & il tempo, e
scarsiffime quelle, delle quali yi servirete per misurare l'occasio
ni, [ocr errors][ocr errors] ni , e questa è la cagione de? sbagli, che
fi prendono contro il volere della Giuftizia , c per due capi, (primieramente,
perche chi misura in cal guisa erra per abbreviare la lunghezza di fuá vita ,
divenendo omicida di fe medesimo, sì ancora per il danno,chie nc poffono
riceveré alcunische ad ore affai incongrue, ed à mente stracca gli cocca per
fimilisbagli essere curati. In glçre vi dirà apertamente, che non dovrere
in conto alcuno disfarvi delli servigi antichi per prenderne de' nuovi in fua
veće, perche non avete alcuna giusta cagione di farlo , anziche facendolo,
mostrereite una somma ingratitudine in abbandonare chi in temро de'
vostri bisogni vi fù grato , e chi vi favori ne' vostri avanzamenti, non con
altro motivo, che de' yostri maggiori vantaggi ; se poielli, senza alcuna
vostra colpa, fi alienaffero da voi , in questo solo caso, perche volenti nan
fit injuria, lo potreste fare senz'alcuna taccia d'ingratitudine; e së
esercitaste la Me256 Dell?idea del vero Medica, Medicina in certi luoghi
lontani, dove alcuni li prevalgono di un Medico fino à tanto, che lo vedono
incominciare à far negozj, ed allora se ne disfanno per prenderne à proteggere
un altro : İyi basterebbe pazientare un poco, che vi li presenterebbe
l'occasione di poter: lo fare, mà dove ciò non li costuma vị convien’essere
grati, e costanti, fische sarete capaci di medicare, Con tutto che
resterere per qualche tempo appagati di quanto vi hanno consigliato la
Prudenza, e la Giustizia perche il vostro desiderio yerrà conținuamente
bersagliato daļli sudettį ab. bominevoli vizj, sarà necessario, chcimploriate
l'affiftenza della Fortezza , e Temperanza , acciò perseveriare sempre Itabili
nell'offervanza di detto consiglio, & il maggior bene, che dette virtù vi
potranno apportare, sarà d'infinuaryi diverse istorie di coloro, che per essere
Itati insaziabili, nel colmo delle loro credute prosperità sono mancati, eche
infelice memoria di esia ne fią rimasta trà noi [ocr errors] و
[ocr errors] noi, mentre chi ha lasciato la sua fameglia appena slattata ,
senza indirizzo, a senza guida, chi intricata la sua eredità , per non aver
avuto tempo in vita di ben'impiegare li suoi avanzi; chi, doppa fofferta una
lunghissina, e dispendiosa infermità, acquistata per li suoi grans Strapazzi ,
appena hà lasciato tanco, che bastasse al suo funerale; e finalmente cosa sia
stato detto di tutti doppo morti, cioè, che non'ınericavano d'essere compatiti,
perche erano morti per colpa loro, avendo voluto abbracciare troppo, e più di
quello, che potevano reggere, çon tutto quello, che la maledicenzą gradita, e
senza timore alcuno så inventare di peggio contro i poveri des fonti,
Impresli, che avrete sì spaventosi esempj nelle vostre menti, con la
riferfione, che il simile seguirebbe in voi, fc cadefte in tali errori, non
temeţe più , che il vostro disiderio possa essere superato da simili vizj ,
perche questi gļi serviranno di un gran freno , R Nelle Nelle
vostre maggiori prosperită l'Adulazione ancora vi farà doppia guerra la prima
confifterà in ispargere di voi più lodi di quelle , che meriterete, per
risvegliarvi contro l'Invidia , quando fi foile mai adormentata, mà trovandovi
già premuniti de' buoni avvertimenti dativi dalla Prudenza, non vi potrà punto
nuocere in questo primo asfalto, e se uniręcę alla fofferenza una profonda , e
fincera umiltà, supererete l'Adulazione, el'Invidia nel medesimo tempo,
Màvedendofi da voi la maliziosa Adulazione fchernita , adoprerà tutte le sue
frodi per violentarvi ad essere suoi seguaci , e per farvi divenire per forza
Adulatori, come farà mai ? Sentite bene; Pren. derà l'occasione di qualche cura
grave, nella quale intervengano molti parenti, & amici dell'Infermo, e vi
farà da queiti porre in angustie di diventare Adulatore per forza,
per li seguenti impulsi : Vi dirà taluna di esli , questo male si aggrava,
perche non gli fate applicare quattro vefficatorja se ne morirà senza
questo [ocr errors][ocr errors][merged small][merged small] questo
rimedio, e la colpa farà tutta yostra, che trascurate un rimedio sì efficace.
Un'altro vi dirà: perche non gli date una buona Medicina da tirare giù ? lo
volete lasciar morire senz'ajuto? ayver, cite, se muore , fentirere, che si
dirà di voi, à me basta di avervelo avvisato. Vi sarà ancora trà essi chị vi
ayyertirà, che se gli cavate sangue morirà certamente, perche non gli conviene;
e d'avantaggio vi dirà , che se lo cayerere lo amazerete, e derro male farà per
appunto un'infiammagione interna , nella quale non conviene ciò, che viene
proposto , e gli sarà necessario quanto viene ritardato. Vedete in chę angustie
, in che laberinţi vi troverefte, se non aveste la Prudenza configliera ?
Imitercste senza dubbio, ò quel Medico, à cui un tempo fà , fù suggerito da
un'amico dell'Infermo , in un caso simile , un certo riinędio, dicendo, che lo
proponeva , perche cra esso ancora mezo Medico ; A cui alquanto alterato gli
rispose: & io son tutto Medico , conviene dunque, che la mecà ce [ocr
errors][ocr errors][merged small] fi: 28 公
1 da al tutto; Io, che sono tutto, non voglio che si dia , non si deve
dunque dare; O pure quell'altro, che ritrovan. dosi in un fimile intrigo»,
doppo aver dette le sue ragioni , senza profitto, rifpose : Giacchè loro
Signori ne fanno più di me, facciano loro la cura , e se ne andiede via, mà ciò
non lodandolo la Prudenza, sentirete dunque da lei , in che forma vi dovrere
regolare. Sentendo riferire da voi questo fatto la Prudenza disapproverà
molta, che chi non è Professore, ardisca così francamente di proporre, ed
escludere quelli rimedj, che in mali sì gravi danno molto da pensare alli
medesimi Professori provetti, e che pongano à cimento li onorati, con modi si
violenti, di diventare Adulatori, e facilmente in tal guisa vi consiglierà:
Dite le vostre ragioni à chi bisogna, con animo composto, e questi, ò fi
appagheranno di quelle , ò nò, se ne resteranno fodisfatti, rimarrà già
terminata la controversia , e potrete fare liberamente à voftro modo, se poi
persisterahtio ancora ostinati nella loro opis nione , allora suggerite, che
tratrandosi di un male sì grave con tante controverfie, desiderate nella cura
di avere altri Professori compagni per meglio risolve. re ciò, che si debba
fare ó e procurate, che con sollecitudine ciò segua y acciòcchè la lunga
dilazione non pregiudichi all'Ammalato, e che ne consulti siano presenti
coloro, che fuscitorno le controversie , affinche sentano con quante
circospezioni sono serviti gl'Infermi, ed ancora se avranno qualche cosa di più
la poffano dedurre à tutti. Facendo voi à modo della Prudens za, non
dovete avere più timore di prevaricare, perche la Fortezza vi assisterà, c
consolerà insieme , l'assistenza sarà di non farvi prendere in questi casi
certi : dannosi ripieghi, che sariano , in vece de' vefficanti d'applicare li
senapismis di un purgante , dare un leniente, ed in tanto d'andare differendo
la sanguigna , facendovi conoscere, che l'operare in questo modo non è da
Medico, mà bensi [ocr errors] 9 [ocr errors] da Adulatore, e che
quancunque questi tali nelli funesti eventi fieno dall’Adulazione tenuti
indocenti, e difefissorio però dalla Giustizia creduti rei di gran colpa s con
tutti quelli, che ne diedero l'occasione, e vi confolerå parimente la Fortezza
con dirvi: Si poffono chiamare tempi felici nella Medicina li presenti, non
vedendoli ora l'Adulazione premiata à quel segno, che era ne' tempi di Galeno,
nè la lincerità così vilipesa; Allora trionfavano li Medici Adulatori, erano
ricchi, e potenti gerano stimati , e riveriti, ogn’uno facęya à gara di fayòrirli,
eli onorati, sinceri, e docti se ne stavano abbandonati, derisi, evilipeli, e
se non fosse stata la mia grand'alistenza,che prestavo loro , nè pure úgo ne
sarebbe rimasto di efli, anzi Galeno isterlo, che non avesse prevaricato per
quanto venivano violentati dall'Adulazione :' So, che presterete fede à quanto
vi dico, mà volendovene accertar meglio di quanto fuccedeva in quei cempi
leggere ciò , che Galeno riferisce nel primo del suo [ocr errors]
me. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr
errors][ocr errors] metodo, che appunto è questo: Eoque jure fit cum ægrotare
cçperint Medicos advocent , non quidem optimos į utpotè quos per Sanitatem
noscere nunquam ftuduerunt , fed eosy quos maxime familiares habent ; quique
ipfis maximè adulentur , qui du frigidam dabünt; si banc popofcerint, lavabunt
cùm juferint; a nivem; vinum= que porrigent poftremò quidquid jubebitur
mancipiorum ritu facient &c. itaque non qui meliùs arten callet ; fed qui
adulari aptiùs novit apud iftos magis in pretio eft , buic omnia plana's
perviaque funt , huic ædium fores patent ; hic brevi efficitur dives,
plurimùmque poteft &c. Quali violenze oggidì sono cessate , mercèche hanno
imparato molti à proprie spese à non commertere più la loro vita in mano
degl'infidi Adulatori, e perciò essendo mancati per loro l'impieghi, e li gran
guadagni, che in breve facevano,è mancato ancora quel grand'impulso, che vi era
à dover effere Adulatori per essere adoperati, e tutto questo mi costa
per essere io la Fortezza, che affifto à quei ز e. lig a fe ne be
he ni dy 112 to 5, 10 generofi spiriti,che abborriscono l'Adulazione ,
& abbandono quei vili, che se le danno in preda Se poi non bastasse
all'Adulazione d'avervi fatto violentare da parenti, ed amici, mà volesse ancora
farvi forzare dall'Infermo isteffo à divenire suoi fem; guaci , in questo caso,
fatte che avete le diligenze propostevi dalla Prudenza; e. che mediante quelle
egli non resti appagato, la Giustizia non vi violenterà già à continuare il
servigio, vi forzerà bensì à non divenire Adulatore , onde in questo caso, con
tutta civiltàs procurerete ( quando l'Infermo' non deliri) di consegnare ad
altri ciò, che non fà per la vostra riputazione ; ben’è vero, che questi sono
casi rarissimi avendo molte altre cose da penfare l'aggravato Infermo, che di
voler'essere adulato, con tut per farvivedere, che ve ne sia stato
qualcheduvo, che abbia desiderato di cllcre adulato fino alla morte, viriferirò
la presente istoria : Una persona di qualità cospicua, molti anni sono,
dovendosi pro to ciò [ocr errors] [ocr errors] provedere di
Medico; ne scelse uno tutto di suo genio, ed avendolo participato al suo amico
di confidenza ; questi in vece di rallegrarsene seco se ne condolse, dicendogli
apertamente, che poteva fare meglior'elezione , essendovene tanti più esperti
del già eletto 3 replicò à questo: Lolo-sò beniffimo, mà hò voluto pren derne
uno, che faccia à mio modo ancora quando mi trovo ammalato, perche io non poffo
Coffrire quel Medico, che allora mi voglia forzare à fare à suo modo, gli
rispose saviamente l'amico : Signore, chi fà à suo modo quando ft benes:
conviene , che faccia à modo del Medico quando ftà male, non poffo lodare la
sua elezione, con tutto che sia di suo genio, perche si tratta di Medico, à cui
si consegna la propria vita, non già di un servidore di mera comparsa ; che
poco importa di che abilità egli sia, mà non paffarono molti anni, che detto
Signore cadde inferino di lunga , e fiftidiosa malacia, che terminò finalmente,
per essere vissuto à suo inodo in un'ascelfo interno, espurgava della marcia
per feceffo , la vidde l'isteffo Infermo, che diffe, non farà marcii , må bensì
il pangrattato, che hò preso questa mattina lo domandò al suo Medico, che gli
rispose per dargli gufto, quello appunto & Signore, e con quel pangrattato
se ne mori, adulato sempre fino al fine della fua vita. L'Iniquità, e
l'Inganno confederati , nôn porerido più Toffrire, che voi godiare quella bella
tranquillità interna per cagione delle vostre virtù, vorranno ancora effi con
le loro frodi adoperare ogni sforzo possibile per turbarla ; ed in fare ciò vi
toccheranno facilmente nel più vivo, inolestandovi in qualche cosa di vostra
somma premura , e doppo di aver consultato trå fe più danni,risolve, ranno alla
fine di farvi perdere il servigio di quelli, che vi sono più á cuore, € tanto
si adopereranno,e con tanti mezi s'ingegneranno, che finalmente gli riufcirà
ciò, che bramavano i onde voi, senza faperne il perche , e senza averne
data و [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] data
alcuna occafione , essendosi con in? sidie segrete proceduto , all'improviso vi
troverete esclusi da quel servigio da voi tanto prediletto. E che farete
allora? vi dolerete forse con la Giustizia ; che siete stati licenziati à torto
? Avvertite , che facendo in tal guisa imitereste Santippa, che si doleva della
morte di suo marito , perche si faceva morire å torto, à cui il sapience
Socrate rispose : E che desideravi forse, che io foli fatto morire à ragione ?
questa appunto è la mia gloria, che sono fatto inorire à torto. Sicchè alla
Giustizia non vi cooviene ricorrere, må berisi dapoi che fi sarà alquanto
calmato quel senso, che neceffariamente vi avrà apportato una nuova ingrata, ed
improvisa, dovrete ricorrere alla Pradenza per riceverne il suo configlio à
fine di poter più spedicamente restituire all'animo vostro quella bella calma,
che dall’Iniquicà, e dall'Inganno gli era stata rubata : La Prudenza
senrendo da voi tal novità vi consolerà certamente, ftate al [ocr
errors][merged small][ocr errors] allegri, dicendovi , che questa è una's
grazia, che vi fà la Divina Providenza, facendovi capire , che vi dovete
alquana: to staccare da ciò, che nel mondo vi è più caro , per confidare
solamente in lei, che non mai hà abbandonato chi fedelmente la serve. E di che
vi dolete? forse perche perduto avete un servigio à voi caro ve ne restano pure
tanti altri? com- .. partite tra questi il vostro affetto, che così non avrete
fatta perdita alcuna potendone del vostro amore ricevere da molti maggior
ricompensa di prima, ò pure (che sarà meglio ) questo vostro amore non gradito
dagl'uomini accrefcetelo à Dio, che vi recherà molto maggior profitto di quello
, che vi rendeva prima. E se veramente amate di cuore quella casa, che avete
perduta g non vi dovete contristare della perdita vostra , mà bensi della sua ,
avendo lasciato voi, ch'eravate già istrutti da tanto tempo nelle complessioni,
e mali di chi ivi conviveva per prenderne uno affatto novizio , che prima , che
ne qa divenuto 1 capace à quel segno, che voi siete, vi vuole del
tempo affai, & in tanto come anderà? e poi se questo nuovo eletto fù
complice ancor'egli nelli segreti trattati dell’Iniquità, e dell'Inganno , che
bell. acquisto , che averà fatto, prendendo uno di simili costumi in vostra
vece , che fiete uomini di onore, talche non voi, mà chi vi lasciò hà occasione
d'afAliggersi, perche danno à se stesso feçe, non à voi, che per essere esenti
da questa briga ne ricevere sollievo ; chi è pari. mente entrato in luogo
vostro , se pur? egli è complice, come disfi , ayrà molta occasione da
contristarsi per la finderesi, che gli resta di non avere operato come dovea, e
per il timore, che un giorno il fimile possa succedere à lui ancora.Quietatevi
dunque , giacchè rammarico alcuno non vi resta d'averli mal serviti, con questa
ferma fiducia, che in quel sito ( come tante volte è accaduto ) da dove la
malvagità, e l'inganno hanno tolto à viva forza un virgulto , la Giustizia vi
pianterà un vago, e glorioso lauro con [ocr errors] con questo motţo
;Ųno avulo splendidior non deficit alter; molto di più vi potrei dire, se non
lo riputaffe superfluo, poiche gl’animi vostri ben moriggeräti con pochi motivi
si sodisfano, e li calma. no, allorche vengono da accidenti im. provisi
turbati, Udifte come vi consolo bene la Prudenza, e con che fortį motivi
, li quali fe li cerrețę impressi nelļe vostre menti, quantunque vi giungano
simili accidenti in avvenire, punto non vịcontristeranno, avendo questi forza
di disporre gl'animi vostri à foffrirli coftantemente, ed in conseguenza di
fare, che li sudetti vizj delle loro iniquità non trionfino. L'Ambizione
yorrà ancor'effa nell' auge delle vostre fortune tentare, fe potesse fare
con yoi quaļche acquisto; s'ingegnerà di porvi nella mente idee grandiofe ,
viftimolerà à molte imprese, con pretesto di rendervi a' pofteri gloriofi : Per
esempio , fe y'insinuerà di comporre qualche vago sistema di Medicina, qualche
nuoyo metodo di medicare , à qualche altra cosa non pensata , nè tencat fin'ora
da altri, e voi ricorrere subbita. mente alla Prudenza per consiglio, e vedrete
come v'indirizzerà bene ; intorno à nuovi sistemi, e metodi di medicare vi farà
questo dilemma: O ve ne sono trà gl’inventari de' veri,ò nò; Se ye ne sono,
perche non li seguitate? che cosa yolete cercare di megliore della. verità? Se
poi non vi è cosa ancora accertata in quelli, avendoyi per tanti secoli
frayagliato una infinità d'uomini dotti, cosa yi persuaderete di fare di
vantaggio ? non vi avvedete , che indarno faticherefte ancor voi, senza speranza
alcuna di gloria, e se pure la conseguiste saria per pochi momenti; Il sistema,
ed il metodo corrispondono al tutco, e quando questo non regge , e non
suflifte, è se. gno evidente, che le fuc parci costitutive fono difertose;
Impiegate dunque ogni voftra fatica in accertare , e rendere palese qualche
parte di esli, che vi avvedrere, che sia oscura, ò che manchi, la quale benchc
minima , nulladimeno una gran gloria vi apporterà, allorche l'averete
accertata, e rinvenuta , e lascierete tali imprese grandi a' pofteri , che fi
renderanno più facili a'medesimi, ale lorchè acquistate, saranno maggiori
notizie delle loro parti costitutive,di quel, le ve ne fieno al presente; E per
non effere creduți imprudenti scegliere di queste le necessarie , come avvertì
Cicerone, (a) dicendo : Alterum eft vitium, quòd quidàm nimis magnum
gran ) ftudium , multamque operam in res abfcuras , atque
diffaciles conferunt , eafdemquè non necesarias; e quelle ancora, che sieno
proporzionate alle vostre forze, come insegnò Orazio :(b) Sumite materiam
vestrisqui firibitis aquam. Viribus , & verfate diù quid
ferrere cufent Quid valeant humeri. E
perciò vi consiglierà la Prudenza d'impiegarvi in yostra gioventù intorno į a'
ritrovamenti Anatomici , Chimici, of[a] Primo de Officiis. (b] De Arte
Poetica. osservazioni Mediche e d'altre cose utili, che
richiedono ayvedutezza di mente, buona vista , afsiduità , pazien-
za, e sanità, e questi accertati, che sono incontrovertibili, rimangono
per fem- pre, e vi dissuaderà in detta età di dare alla luce
trattati di nuovi modi di inedi. carc,essendo allora appunto come i
frut- ti fuori di stagione, che non hanno tutta la loro
sostanza, dovendosi ciò maturare nell'età avvanzata, e colma
d'esperienze pratiche , dal che si può dedurre la ca-- gione,
perche talvolta ne’libri,che trat- tano di pratica , alcune cose, che vi
fi ritrovano non si verificano punto, e ciò proviene , perche
furono descritte da Medici , che non avevano ancora tutta
l'esperienza necessaria per meglio accer- tarle. Vedendo
questo vizio di non avere { potuto nella vostra persona fare alcun
guadagno, vorrà far prova, se per l'amore, che portate à qualche vostro
figliuolo vi potesse far prevaricare, e vi anderà suggerendo à poco a poco, che
avendo S voi [ocr errors][ocr errors] voi de' buoni
Protettori, gli procuriate, mediante il loro ajuto, qualche titolo nobile ,
qualche carica onorifica superiore alla vostra condizione per inalzarlo, e
dargli insieme attestato del vostro amore, e benche questo non cada nella
persona vostra direttamente, con tutto ciò, venendo procụrato da voi, tanto
sarete tenuti consigliarvege con la Prudenza, anzi con la Giustizią-ancora , e
consigliandovi con queste virtù vi diranno concordemente, che il maggior benc,
che voi potrete fare a' vostri figliuo, li sarà, il procurare con ogni maggiore
judustria , che divengano capaci , e meriteyoli di dette cariche, di detti
titoli, che così, con poco ajuto de' vostri Protettori, potranno à suo tempo
conseguire ciò, che sapranno desiderarc, e gloriosamente, venendo loro ciò
conferito à cagione del proprio mcrito, ed operando voi in tal guisa ,
l'Ambizione nonpotrà trionfare di voi; trionferebbe bensì, quando che voi
usaste violenze in procurar cose, delle quali non ne fossero [ocr errors]
me [ocr errors] meritevoli, nel qual caso ancora quanto farete loro
ottenere sarà per l'appunto consimile à quel titolo nobile, e speciofo, che si
legge nel frontispizio di qualche libro, à'cui la materia rozzamente, senza
dottrina in esso trattata non gli corrisponde, che in vece ne formi concetto di
esso chi lo legge, e considera, lo muoye più tolto al risos e perciò resta in
un cantone derelitto, senza che alcuno più lo consideri, L'Avarizia con
duplicato pretesto di zelo vi assalirà ancor'effa, ftantechę se non avrete
figliuoli, ò nipoti y’infinuerà, che facciate degl'avanzi più che potrete, à
fine di stabilire qualche degna, e grandiosa memoria di voi à prò de' posteri;
fe poi gli averete, li facciate ancora per lasciarli più commodi, ed in questo
frete bene circospecti, poichè Fallit enim vitium fpecie virtutis ,
du umbra; Onde appena, che in voi fentirete certi impulli, certi stimoli
infolici di cumulaà tali effetei, consigliatevi con 13 S2 PruePrudenza, e
con la Giustizia, le quali vi faranno capire ciò, che dovrete fare , c vi
diranno facilmente intorno alla memoria grandiosa, che meditate di
lasciasciare, essere meglio, che la lasciare ale quanto meno magnifica, e senza
alcuno ajuto dell'Avarizia, che grandiosa con viziosi avanzi, perche tutto quel
di più, che mediante il vizio l'accrescerete, in vece di apportarvi gloria , vi
recherà ignominia , e che rispetto al cumulare di vantaggio per li figliuoli, e
nipoti non lo facciate, perche quello lascierete loro di più,acquistato con
Avarizia consumerà ciò, che avrete onestamente acquiftato, in oltre che voi
siete tenuri di lasciar loro tanto, che li bafti à potersi avyanzare ancor'essi
nelle virtù, stante che : Haud facilè emergunt quorum vir
tutibus obftat Res angufta domi . : E v'infinueranno d'avantaggio, che
Ippocrate v'insegnò' chiaramente à tal proposito ciò, che dovete fare,
dicen dovi [ocr errors] [ocr errors][merged small] dovi: (a) Neque
verò exigende mercedis cupiditate duci oportet , nisi ut ad artem
edifcendam tuos instruas; E che quando gli averete duplicato, ò
triplicato ciò, che fù lasciato à voi, e vi bastò per di- venire
virtuosi, sarete giudicari da tutti per buoni Padri di fameglia, e che
av- vertiate bene, che certe ricchezze, che superano la propria condizione,
e per altro non bastano à mantenersi in altra sfera superiore ,
sono pericolosissime, perche à cui fi lasciano , volendosi trat-
tare quefti d'avantaggio di quello, che compete loro, preftamente le
dißiperan- no, conforme l'esperienza quotidiana lo dimostra
ben? fpeffo , per non volere questi tali ad altro impiego applicare
, che à quello dello dispendioso diverti- mento, non
servendo ftrertiffimi Fide- commiffi , nè altri legami inventati
per impedirlo; ftanteche nella medesimais conformità,
che da'viventi si passeggia sopra li sepolcri de’defonti, cosi
ancora per l'appunto si passa sopra le loro vo- [ocr
errors][ocr errors] lon(a) De pracept. S 3. 278 Dell'Idea del vero
Medico. lontà, e che quello, à cui dovrete invia gilare più d'ogn'altra cosa
farà, di lasciarli virtuosi, ben’educati, e con buoni avviamenti, che allora ,
quantunque li lascierete con mediocri commodi, da se medesimi potranno divenire
ricchi, e con questo vantaggio maggiore , che quelle ricchezze, che da se
medesimi fi accumuleranno , non già le disliperan10 , conforme bene speffo in
quelle , che si ereditano succede. Ponderate bene questi consigli, e
servitevene, se volete in tutto abbattere l'Avarizia. Incominciando voi à
porre il piede nella vecchiaja , à cui conviene di cedere, ve ne avvedrete
facilmente, quando che non potrete con quella facilità di prima reggere le
voftre solite occupazioni , ed allora cosa farete? Non altro certamente che di
consigliarvi con tutte le virtù, che v'indirizzinó per qual via dovrete
caminare acciocchè voi , li quali sarete utili alla Republica per la lunga
esperienza, che avrere, possiate più lungamente giovarle. La [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] La Prudenza, come Maestra di tutte le altre
virtù vi dirà, che non è convenevole d'abbandonare tutti quei fervigj di
coloro, che da voi per lungo tempo ne hanno ricavato del profitto nella loro
salute , ed anco lo sperano in avvenire, per la fiducia , che hanno in voi,
efsendo in istato ancora di potere ben'oprare , nè tampoco parte di elli ,
perche faria molto odiofa una tale vom ftra parziale risoluzione ; onde voi non
potendo disfarvene, per non sentire ilamenti dei vostri clienti, vi converrà
perfare di andare sostituendo qualcheduno, che vi poffa alleggerire almeno la
fati ed acciò abbiate facilità in eleggerlo, vi apporterà le trè malime
sostituzioni , che il mondo tutto rimirò nel primo secolo della commune falurcs
cioè : La prima, che fù fatta da Augusto in persona di Tiberio ; La seconda da
Galba in quella di Pilona ; e la terza da Cocceo Nerva in quella di Trajano; ed
in tal guisa facilmente v'istruirà , dicendovi : Nella prima Augusto ebbe
una $4 pelli [ocr errors] pessima intenzione,inentre scelse
un soggetto di reprobi costumi; un Tiberio ben noto per la sua iniquità, ed al
sostituente più di ogn'altro, stanteche: (6) Comparatione deterrimâ fibi
gloriam quafavisse . Nella seconda vi fù ottimo fine, perche fù eletto un
meritevole, solamente si mancò ne i mezi , e di questo ne fù cagione l'avarizia
di Galba, giacchè:(c) Confit at potuiffe conciliare animos, quantulacunque
parci jenis liberalitate, c perciò ebbe l'esito infelices Nella terza
finalmente tutti li requisiti furono ottimi, non vi fù punto di vizioso sì nel
principio, che ne i mezi, e fine , e perciò fù gloriofiflima. Queste , benche
fie00 state sostituzioni maflime, nulladime‘no possono servire di norina ancora
nelle picciole, mentre dalla prima ne ricaverete, che vi sarà che vi sarà
poco bene accostumato; chi farà vizioso non meriterà di essere da yoi eletto ;
Dalla seconda ne dedurrete, che chi elegge deve stare lontano dall'avarizia, e
non esser punto do[b) Tasit. Annal lib. 1. [] Tacit.
Hia.Jib.1. redominato da questo vizio, se brama, che tutto vada
felicemente ; Sicché la terza, in cui concorrono tutte le buone condizioni farà
quella , che si dovrà imitare da voi per fare una degna elezione,mentre non fù
già eletto da Cocceo Nerva Trajano per cagione di parentela , nè di {moderato
amore, che gli portasse , mà bensì per il suo merito, e per la bontà de' suoi
costumi, e non ebbe già per fine principale di gratificare l'eletto, mà
solamente coloro , che doveano effergli. fudditi, e perciò riuscì un'ottimo
Imperatore, e felicissimi tempi furono chiamati quelli del suo Impero. Non
intendo già per questo di consigliarvi d'abbandonare li parenti, gl'amici, e
quelli, che più d'ogn'altro ainate, perche ciò non saria ragionevole, anzi vi
dico, che fiere tenuti à preferirgli ad ogn'altro eguale, ed anco qualche poco
superiore à loro, conforme vi ordinerà la Giustizia isteffa , vi avverto
solamente, che non vi serviate della parentela, dell'amicizia, e dell'amore per
inicroscopio, acciò ز [ocr errors] vingrandischino di molto il
soggetto, che prendete di mira per sostituirlo, altrimenti v'ingannerete , e
chi lo mirerà fenza questi microscopj se ne avvederà molto benes conforine
capirete anco voi istelli rimirandoli fpassionatamente ins fimile forma : E' ud
verso affai trito; mà però che cade molto al proposito quello, che dice:
Quifquis amat ranam, ranam putat effe Dianam; E la cagione fiè, perche
l'amore non solamente så ingrandire il merito , mà ancora så ricoprire li
difetti degl'oggetti amati. Se farere dunque voi la vostra elezione con
rimirare li soggetti calig quali realmente sono 1109 alterati, per quali vi
pofsono parere, non solamente sarà questa gradita , e profitcevole, mi eziandio
riuscirà per voi gloriosa , conforme seguì à Cocceo Nerva, à cui la maggior
gloria , che gli fia rimasta trà tante altre è quella ; di aver'egli saputo eleggere
un Trajano per fuo successore all'Impero , e solo da questi ogn'uno [ocr
errors] ora comprende à qual segno giugnesfero la sua prudenza , il suo
giudizio, e la sua integrità, ed essendo questi documenti della Prudenza per
appunco coerenti à ciò, che Ippocrate c'insegna, cioè :(d) At verò imperitis
nunquam quidquàm procurandum committes. Sin minùs ejus, quod malefactum eft
vituperium in te recidet &c. non potrete da esli punto discoItarvi.
Palliamo ora all'incunbenza, che dovrà avere questo vostro sostituto, il quale
essendo da voi scelto di buoni cos stumi, e dotto, caminerà in curto fecon: do
la vostra direzione, onde profitcevole in conseguenza sarà , à cui l'avrete
proposto, perche ne riceverà da esso un servigio alliduo, animato dal vostro
prático configlio, e di questo ve ne prevalerete da principio ne'casi più
leggieri, per poi, fecondo che v’andrete inoltrando negl'anni, avanzarlo
ne'.gravi, con questo però, che abbiate l'occhio arrento al servigio, con
visitare ancor voi di quando in quando gl'Infermi, per diriga gerli meglio con
li vostri più accertati consigli , e facendo voi in questo modo non solamente
non avranno fcapitato punto li voftri Infermi, anzi che più toito acquistato ,
restando loro tutto il voAro consiglio come prima con l'afiftenza maggiore del
giovine sustituito, che da voi , mediante le vostre occupazioni, non lo
potevano esiggere, e precisamente nelle ore più fastidiose, e tutto questo
benefizio sapete perche lo riceveranno, ftanreche il sostituto fù scelto da
voi, e da voi non preso à caso, mà bensì capato trà li buoni per il migliore,
dove che se fosse stato preso per via di raccomandazioni, e senza la vostra
dependenza , non caminerebbero le cose così felicemente, poiche sdegneria tal
da voi independente sostituto caminare con le yostre direzioni, volendo
far'egli à suo modo, e non saria picciolo favore,quando ve lo facesse, in caso
di qualche controversia , di non ispargere da , che voi siete vecchi
rimbambiti, e che quan; [d] De dec.orn. non [ocr errors] non
fiete più capaci di medicáre, per iscreditarvi con fimili menzogne, e da ciò
qual vantaggio se ne riporteria à prò degl'Infermi, se non che una confusione,
una inquietudine continuata , ponendosi in dubbio talvolta à chi de* due fi
dovesse prestar maggior fede, se al giovane petulante, e scostumato,ò al
vecchio, benche ingiustamente vilipeso; Con ragione dunquc Ippocrate inveisce
contro costoro, che per vie indiretre si avanzano, dicendo: (e) Quàm repentè
evecti fint, fortunæ tamèn ægentes per divites quofdam ex anguftiis emergunt
utrique exi eventu nominis , celebritatem adepti, & in pejus ruentes luxu
diffluunt , quæ in arte nulli rationi reddende sunt obnoxia negligunt ac.
In questo proposito il Disinganno, che hà il cuore sincero vi scoprirà un'altro
pregiudizio delli massimi , che corrono trà alcuni , che non sono nella
professione versati, quali credono per cosa utile nelle cure le controversie,
edissenzioni trà Medici, e dicono, che essendo trà essi discordi, si scopra
allora meglio la verità, confondendoli da quefti tali ciò, ch'è disputa
virtuofa , utile anzichè neceffaria , dalla diffenzionc, e discordia superflua,
e viziosa, nata dal mal costume . Il Disinganno vi scoprirà il tutto, e vi
dirà: la disputa neceffaria è quella, che risulta da qualche indicazione dubbiofa
per meglio discernerla, e questa trà Professori esperti, e di buoni costumi
termina prestamente ; perche seguitandofi da elli solamente il configlio
megliore, in un subito si accertano, le quali ragioni , e quali motivi
prevalgono, se gl’affermativi, ò pure li contrarj, ed à megliori concordemente
si appigliano ; Dovechè la diffenzione, e difcordia , che proviene dal mal
costume, che per lo più viene fomentata da puntigli, e germoglia da picciole
occasioni, non solamente è molto dannofa , inà perche si yà al cattivo, non mai
viene affatto terminata,stanreche in simili contenzioni = Qui velit ingenio
cedere nullus eriti [ocr errors] erit ; ela cagione di ciò n'è,
perche tutto proviene dalle volontà discordi,che non amano di unirsi assieme, nel
qual caso lę ragioni più valide, li motivi più evidenti, ò non appagano, ò non
si vogliono capire, à segno , che alla fine annojarifi del troppo altercare, in
vece della decifione letteraria fi passa qualche volta all' obbrobriosi
improperj, senza ricavarne altro profiețo, che : Şeipfos ludibrio exponere ,
come insegnò Ippocrate , (f) € questo è per appunto quell'ideato bene', che à
prò degl'Infermi se ne riportą da fimili contese, sicchè non v'è altra strada,
che quella della concordia, à cus uniteci il consiglio già propostovi dalla
Prudenza, & approvato dalle altre virtù entrando voi nella vecchiaja, se
bramate con vantaggio,e profitto de' vostri Infermi alleggerirvi dalle fatiche,
nel qual caso trovădoyi aggravati dall'ostinata Discordia , la Giustizia non vi
obligherà à paziétare di vataggio,mà farete, che ogn’uno si serva pure à suo
piacere , (6) Lib. de Praçept. [ocr errors] Inoltrati, che poi
sarete nella vecchiaja , che ve ne avvedrere pur troppo, se non vi vorrete
lusingare, dalla notabile mutazione, che proverete in voi da quello ,
ch'eravate una volta, poiche le forze del vostro corpo languiranno, il vostro
perspicace ingegno, la vostra. gran memoria, la vivacità del vostro fpirito, il
discorso così spedito non si scorgeranno più quelli, che già furono, rincontrandoli
ogn'uno molto mutati. In tale stato inevitabbile, cosa vi converrà fare? Non
altro certamente, che d'imitare quei celebri Pittori, che per non perdere quel
glorioso nome, che per lo passato aveano acquistato, allorche si avvedono, che
i loro pennelli non sono più à dovere regolati dalla tremolante mano li
sospendono per trofei delle loro opere già fatte, e terminano in questa guisa
gloriosamente il loro mestiere. Seneca assomigliò faggiamente la
vecchiaja alla nave, che comincia per la sua antichità à scomporsi,
dicendo: Quem 12 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Quemadmodùm in Have, que sentinam trabit uni rime , aut alteri
obfiftitur : Ubi plurimis locis laxari cæperit , q cedere,
fuccurri'non poteft navigio dehiscenti : Ità in fenili corpore
aliquatenùs imbecillitas fuftineri , c fulciri poteft, ubi tamquàm
in putri ædificio omnis junctura dilabitur , Odùm alia excipitur ,
alia difcinditur cir- cumspiciendum eft quomodò exeas . E po- tendo
egualmente la detta nave, che il vecchio, pericolare nel suo
consueto viaggio, converrà dunque ad ambedue prendere il sicuro
porto per prolungare più, che sia poflibile il suo essere. Mà
questo distaccamento vi parerà il più duro, il più difficile di qualunque altra
cosa, che averete emendata in voi sino à quel tempo; sì perche quest'impotenza
insensibilmente se ne verrà ayanzando, onde in un subbito non ve ne potrete
avvedere, e forse non prima di allora , che voi sarete renduti affatto inabili
per la repugnanza grande , che hà Pumana natura à dichiararsi inabile, come
ancora, perche non godendo più T quel е quella bella
perspicacia di mente, quella pronta risolutezza di prima, non saprete così
bene, come una volta, scegliere, e prontamente eseguire li buoni consigli della
Prudenza, e se il buon'abito fatto non vi ajuterà allora à fare tal
risoluzione, infingardamente procrastinando di giorno in giorno ad effettuarla
, farete più tosto voi prevenuti dalla neceflità, di prevenirla ; Sicchè prima,
che voi abbandoniate li negozj; elli averanno lasciato voi's Quindi è, che per
non cadere in fimile obbrobriofa miseria converravvi, per ben consultarla, nè
d'afpettare allora , che la vostra mente farà notabilmente deteriorata, nè, per
eseguirla, quando sarete molto proflimni al non potere più operare, e quanto
queste risoluzioni più generosamente intraprese saranno , tanto più
gloriosamente, e facilmente vi riusciranno, nè crediate , che un simile
distaccamento, con tutto che la nostra natura vi repugni , lo sia impoflibile à
farsi, mentre lì è veduto praticare da più d'uno , e trà gli altri dalMedico
Romolo Spezioli , il quale nel colmo delle sue prosperità, doppo un lungo
servigio della Regina Cristina di Svezia , di gloriofiflima memoria, che
continuò finche ella visse; doppo essere ftato Medico Pontificio della santa
memoria di Alessandro Ottava, incaminatosi già per la via Ecclesiastica,
proseguì questa, e lasciò affatto nell’auge delle sue occupazioni, e della sua
età con generosa risoluzione, contento di ciò che aveva acquistato ,
l'esercizio della Medicina , nè alcuno de' suoi clienti si è potuto dolere con
ragione di lui, perche li abbandonò è vero, mà
per servire folo à Dio, che con quanta esemplarità egli lo
faccia , offenderei non solamente la fua modestia con riferirlo, mà temerei
ancora, con fargliene molti encomj, che non restaffe à bastanza appagato chi
con occhio fincero giornalmente rimira le fue degne operazioni. Nè devo
in questo proposito paffare sotto silenzio il ritiro , che fece Antonio
Piacenti di felice memoria, mio di T 2 let [ocr errors][ocr
errors] lettissimo Maestro, avendo voluto egli tra le altre fue virtù, per
compimento della sua gloria collocarvi questa ancora del bel distaccamento dal
mondo,e nell' istabilirlo mi disse, che lo faceva per prevenire la sua
inevitabbile impotenza, ftimando , che il prevenirla fosse cosa più vantaggiosa
, che d'effere da effas prevenuto per gl’esempj, che aveva offervati in alcuni
, che quantunque decrepiti, e finemorati, con tutto ciò non vollero lasciare di
fare il Medico' più per rendersi ridicoli appreffo li giovani, che punto non li
compativano, che di effere a' suoi Infermi profittevoli, e con ammirazione di
tutti ponevano à pericolo quel buon concetto , che avevano fino allora
acquistato, per un tenuiffimo, c miserabbile premio, del quale non nc avevano
alcun bisogno, per essere già divenuri molto ricchi. Sicchè per isfuggire
simili sventure vi converrà d'andar pensando in tempo opportuno, e quando
ancora sarete con fegtimenti vegeri, à questo buon ritiro, c fino
[ocr errors] la e fino da quel tempo appunto, che.co“ mincierete ad
alleggerirvi le fatiche, perche ciò, che la Prudenza allora vi consigliò fù
tutto preordinato à questo effetto, e la prima diligenza, che vi converrà fare
sarà di agiustare li yoftri affari domestici in quella forina appunto, che
fogliono praticare quei saggi viandanti, che devono sempre stare allestiti per
passare in remotislimi paesi, e che non possono indugiare punto, allorche sono
ayyifati per partenza. Questi tengono sempre pronto ciò, che fà di
bisogno per il loro viaggio, si aggiustano le loro puntuali rimelle , e poi
danno la sopraintendenza generale di ciò, che possedono à chi fedelmente lo
custodisca, ed à tal ministero eleggono un proprio figliuolo,se farà prudente
economo,e fenza vizj,altrimenti un'estranco di provata fedelcà, economia, e
prudenza . Dato un buon fefto , che voi averen te alli vostri affari
domestici in tanto, che anderete vedendo se caininerà tutto à vostro modo , per
poterlo emendare, [merged small][ocr errors] [ocr errors] fe in qualche
cosa difettasse, à fine di non avervi più da inquietare intorno ad csso ,
fupplicherete le virtù, che vi configlino , e preftino il loro ajuto, in questo
penultimo paffo, che dovrete fare, le quali avendovi sempre affiftito per lo
paflato, certamente che non vi abbandoneranno nel meglio, ed allora appun
che vi trameranno infidie la fastidiofaggine, l'impazienza, il sospetto,
l'incostanza, l'amore proprio, con il soverchio timore di ciò, ch'è
inevitabbile , vizj tutti, che aspettano il quando voi farete languenti non
meno di corpo,che di mente, per dominarvi à fuo modo ; nel qual compaflionevole
stato cosa fareste mai di buono, se non ayelte le virtù consigliere?
Queste divideranno facilmente il loro conGglio in sette parti; La prima farà il
quando lo dovrete farê; La feconda il come ; La terza dovë ;La quarta con chi ;
Quinta;con che preparamenti; Sesta, cosa dovrete allora fare; Ela settima, che
cosa fuggire. Primo, ز Primo ; circa al quando, vi dirà la
Prudenza, che allora appunto facciate il vostro distaccamento, quando che
proverete sensibile il peso degl'anni, che la memoria vi anderà notabilmente
mancando, e che fentirete la fatica, benche allegerita, molto molesta , ed
averete allora giusto motivo di pensare solamente à voi stessi , senza più
indugiare à farlo. Secondo, intorno al come lo doyrete fare, vi
consiglierà la Giustizia di usare ogni maggior civiltà possibile in licenziarvi
da tutti quelli, che si prevagliono di voi, con far loro conoscere, che fino à
tanto, che avere potuto, non avete risparmiato nè fatica, nè incommodi per
servirli bene, ma ora, che vi sono mancate le forze, il solo buon'animo, che vi
resta, non lo credere sufficiente per li loro bifogni, e che li confoliate
insieme, che avendoli già voi proveduti di soggetti non inferiori à voi ,
potranno essere da questi in avvenire affai bene affiftiti; Ne
seguirannofacilmente varj atti di reciproca tencrezza, mà fate, dirà la sudetta
virtù, che questi nè vi distolgano dalla risoluzione già fatta, nè vi pongano
in qualche forta d'impegno d'averla in qualche loro occorrenza, ò
imprudentemente da ritrata tare , ò mancar loro di parola. Terzo, nè vi
consiglieranno già , che vi scegliate qualche solitudine remota per fare il
vostro ritiro, mà bensì un'appartamento assolato della vostras casa, nel quale
vi sia minore strepito, anzichè vi dissuaderà la Prudenza, se aveste mai
qualche pensiero d'allontanarvi dal. la Città, d'effettuarlo, per li seguenti
motivi, perche ne' piccioli luoghi non potrete ritrovare tutti quei commodi, nè
godere di quei vantaggi, che nelle fole città vi sono, dove il governo risiede,
la civiltà, e la convenienza rcgnano, doveche al contrario questi mancano, ò
almeno scarseggiano, oltre il correre rischio di penuriare di molte cose,
s'incontrano facilmente de' disguki, à cagione della poca cognizione,
e civiltà, che ivi li suol praticare , & in ispecie con quelli,
che la dottrina, & il valore l’inalzò, essendo perciò molto
dall'inciviltà odiaci, e benche Scipione il Grande nel suo, non tutto
volontario ritiro in Linterno; (perche lo fece per accomodarsi alla
necelli:à di quei calun- niosi tempi) avesse la sorte di essere
stato venerato da molti uomini facinorofi,che ivi accorsero per
ainmirarlo, è stato egli quasi singolare in questo, mentre altri
furono assai diverLamente trattati, trà quali basterà riferirne uno
solo,mirabbi- le per l'accidente, che vi
s'incontro. Venne volontà nel secolo passato ad un' Officiale maggiore di
guerra,doppo molsi illustri fatti felicemente occorsili, di ritirarsi alla sua
picciola patria, già dia venvto vecchio, per godere ivi la sua quiete. Mà
appena giontovi , che incon minciò ad essere deriso, e beffeggiato da quei
rpstici abitatori; Ditali impropri trattamenti se ne rammaricava il valo, roso
vecchio, mà per non prenderla con tanti, andava disimulando. Si suscita.
[merged small][ocr errors][ocr errors] tono in questo mentre alcuni principj di
guerra, ed ecco all'improviso Inviati con sacchetti d'oro, che andavano cercando
quel merito così vilipeso da quella rustica progenie, allora quel meritevole
prendette spirito, e per mortificare li suoi persecutori fece spandere quell'
oro alla vista di tutti, che ammirati attoniti, e confusi ebbero occasione di
ravvederli del loro errore ; mà se quell' oro non compariva , il merito ivi non
già risplendeva. Mà perche avanzandovi nella vecchiaja non potrete sapere
à che segno la vostra salute si di corpo, che di mente vi potranno reggere ;
Quindi è, che per compire faggiamente il corso di vostra vita, le virtù
vi consiglieranno à sceglicre chi potrà essere à proposito per voi, allorche
vorrete vivere solamente à voi medefimi, tanto in caso di felice, che di penosa
vecchiaja , e facilmente yi diranno la Prudenza, e la Giustizia : fceglietevi å
tal'effetto un Direttore spiricuale de' più dottia e discreti, che vi
COR [ocr errors] conservi vivi li yoftri abiti virtuofi. Una amico fido,
e prudente, che vi suggerisca ciò, che dovrete operare, caso che, ve ne
dimenticaste , che sopraintenda.a’ vostri interessi,acciocchè non fieno
trafcurati,per negligenza di chi li maneggia. Un parente amoroso, e
disinteressato, per supplire all'amico, e dare anco soggezione à chi vi serve,
ed un servidore abile, che vi allista con carità , amore, e discretezza, e
questi non basterà , che yeli siate scelti, mà dovrete ancora mane tenerveli
ben’affetti, altrimenti disguftandoli con voi , vi troverete intrigati a, e
sappiate la cagione del disgusto de' trè primi, quale potria effere ;
l’incommodo, senza loro utile, delle frequenti visite, e brighe continue per
voi, mediante le quali annojari , fi potriano facilmente alienare da voi;mà per
rimediare à quefto, non dovrete fare altro, che di fervirvi della potentissima
efficacia di qualche cortesia usata loro si che, se ve ne farà d'uopo, cambierà
in un tratto ogni più dura fatica in ispasso", ogni noja in ز
piacere, ed ogni più grave disaggio in dilettevole divertimento ; caso poi, che
non ve ne fosse molto bisoglio, diportandovi voi con esli grati , essi ancora
verso di voi saranno più diligenti, aslidui , ed affezionati : Munera , crede,
mihi placant, bomines que, Deosque ; E renete pure per certo , che
favolosi sono quei casi, che di alcuni Gentili fi raccontano, che tutto elli
facevano per puro amore, e che l'incommodo maggiore degl’altri era da questi lo
più ricercato; Mà però con il servidore abile, che dovrà stare affiduo con voi,
per tenerlo contento, vi converrà praticare due modi, uno privativo, che
consisterà in non maltractarlo nè con fatti, nè con parole, dovendo voi, che
avrete bisogno di lui, acquistarvi il suo amore, e facendo voi diversamente, in
vece di guadagnaryelo , più tosto lo perderefte, quando che ve qe portasse : E
vero, che difettando egli, lo dovrete correggere, mà pero con maniera umana,
con farglicapire'il suo fallo, non già con ingiuriara To, e caricarlo di
strapazzi, perche venendo trattato da voi in tal guisa , cosa ne seguirà ? O
che vi abbandonerà nel meglio, e voi come rimarrefte? O continuerà a fare
peggio di prima, e voi cam fa avreste acquistato ? E l'altro positivo, che
consisterà in fargli capire, che voilo amate di cuore, e non per solo vostro
vantaggio , mà come fosse un vostro figliuolo, e che ciò sia, lo crederà allora
appunto quando si vedrà trattato bene da voi, comandato con discretezza, c
meglio di ogn'altro glielo farà capire , quando si vedrà regalato da voi con
giudizio , e questo regalo non consisteria in altro, che di usargli
un'amorevolezza pecuniaria , à proporzione del vostro potere, ogni anno nel
vostro giorno natalizio,con promettergli negl'anni venturi sempre di
raddoppiarla, e questa, con tutto che sia una gran cosa in apparenza, voi, che
sarete avanzati negl’ anni, la potrete ufare con più generosità de' padroni
giovani,che sperano di cains pare lungo tempo, & al servidore gli sarà
grato à segno, che non lascerà cosa, che possa giovare à farvi vivere più
luagamente, che non la procuri. Avrà fempre timore , che non vi disgustiare ,
che non patiate , & allora appunto lo avrete già interessato nella vostra
vita, e nericaverete un'ottimo servigio. pare Quinto, oltre li
preparamenti neceffarj già da voi fatti per sostentamento, e
sollievo del corpo, vi consiglieranno facilmente, & in ispecie la Fortezza
, à farne ancora degl'altri per l'animo, non meno necessarj de primi, e questi
saranno di proyedervi di molta sofferen ed ilarità, che facilmente ve ne
bifogncranno , acciò non venga turbata la vostra bella tranquillità di animo,
che goderere, santeche trà mali familiari dell'inoltrata vecchiaja yi fi
annovera quello ancora della fastidiosaggine, e questa non con altro rimedio si
puo curare che con l'abbituara sofferenza ; E perche danneggiano ancora
di molto pell’età avanzata la malinconia, & il di za ,
[merged small][ocr errors] disgusto; Quindi è, che per tenerli lone tani, vi è
d'uopo dell'ilarità , mediante la quale solamente diverrete ad essi
superiori. Sesto , parerà forse cosa impropria à chi udirà , che voi come
Medici provetti possiate avere di bisogno allora del parere altrui
intorno à ciò, che dovfete, ò non dovrete operare, mà fe ben rifletterà , che
non mai fù nocivo ad alcuno il caminare con il consiglio della Prudenza, e
della Giustizia in ispecie, cambierà facilmente parere , e tanto maggiormente,
che niuno in caufa propria puol'essere competente Giudice e più precisamente in
quella età, in cui tutto ciò, che abbiamo di meglio, allora languisce; Le virtù
luderte vi diranno à tal proposito, che non crediate già,che il vostro ritiro
abbia à servire per totale riposo del vostro corpo, 8c acciocchè se ne stia
affatto ozioso, & infingardo, perche passereste in tal caso, da un'estremo
vizioso all'altro, senza profitco alcuno, essendo questo egualmente
nocivo dell' dell'anrecedente, perche, come ben sapete, consistendo
la vita nel continuo movimento de fluvidi , che dentro il nostro corpo si
aggirano , & ancora, che questo venga agevolato dalle pressioni musculari ,
sicchè ogni qualvolta cefferete di muovervi, non avendo tanta forza li muscoli,
in istato di quiete , di propellere , neceffariamente seguirà , che detti
duvidi lentamente scorreranno, e più d'ogn'altro ne' vecchi, impoveriti de'
spiriti, onde in conseguenza ne verrà, che la vira iftelsa ne riceverà del
danno notabile, mancandole ciò, che se le deve , per il suo più necessario
prolongamento, oltre di che ne' vecchi cade un'altra necessità particolare di
doversi muovere, & è, perche tendendo eli alla ficcità, li loro tendini, e
legamenti, atti più dell'altre parti à contraerla , cessando di moverli si
possono irrigidire à segno, che impediscano loro affatto il poter più camminare
, conforme più chiaramente fi scorge in quei vecchi, che à cagione di qualche
loro [ocr errors] indisposizione per lungo tempo forzata-
mente giacciono in letro, li quali, ben- che abbiano superato quel male,
che li teneva al riposo, nel volere camminare si accorgono di
non poterlo più libera- mente fare come prima. Il sudetto ritiro
dovrà servire bensì per riposo, e calma della vostra mente, già stanca
per li so- verchi pensieri, la quale non dovrete', nè potrete
quietare con renderla affaito oziosa , mà bensì con contracambiare
quei di già nojosi con altri più ameni , ! quei cotanto laboriosi, con
altri, che non la stanchino di vantaggio, mà più tosto la ricreino,
conforme in appresso diremo. Mà ritornando al moco
, che vi competerà di fare , questo sarà appunto quello, (vi
dirà la Giustizia ) che altrui di età avanzata voi avrete
consigliato, cioè di farlo in tempi sereni, & aria ri. scaldata
dal Sole, non già irrigidita del- la notte, & allora appunto, che il
vostro stomaco ayerà digerito il cibo, con que- fta avvertenza di
più, che avvedendovi di non potere continuare l'esercizio, a quel segno di
prima, lo modererete, non tutto in un tratto, ma bensì à poco à poco, finche vi
poniare in una regola di poterlo continuare, senza voftro disaggio, & à
quel segno , che lo stimerete necessario , e ve lo permetteranno levostre
indisposizioni, che soffrirete, & acciocchè sia continuato per quando non
potrete uscire à cagione de' tempi fred. di ventofi, ò umidi,lo farete in casa.
Solevano à tal'effetto una volta li vecchi praticare l'esercizio chiamato
dell'attacco, che conGsteya in istringere con le mani un certo ferro foderato
di corame, che era conficcato in due lati prossimi ad un'angolo della stanza,
all'altezza di un'uomo, al quale attaccati , non solamente si distendevano , mà
con maggior agilità ancora movevano faltellando li piedi, modo appreso forse da
Eumene, che ritrovandosi assediato, per avere più agili li suoi cavalli, caso
che gli fosse convenuto fuggire, in un modo assaiconfimile a questo li
esercitaya, mà fù nel fea secolo passato già dismesso
tal'esercizio, con molti altri neceffarj alla salute,e non se ne sà
comprendere altra cagione, se non perche, non erano commodi, stan-
teche strapazzavano il corpo', il che fi congettura dal vedere , che da
allora in qua non si è aèreso ad altro, che à cerça- re questo
commodo, fe pure commodo si potrà chiamare ; (soggiugnerà la
Pru- denza) ciò, che incommoda la salute ; Commodo si potrà dire
una carozza,che posi shule Molle con cignioni lunghi, che non
isbarta punto, allorche le sue ruote urtano ne' faili, per chi foffre il
inale di pietra nella vellica, per chi parisce bru- ciori di orina
, per una giovane gravida, folita di abbortire, perche ò non posso-
no soffrire lo sbattimento, ò è loro no- civo; onde :
conviene , che facciano conformc è loro permesso; Mà per un giovane
sano, à cui lo sbattere gli conferisce alla salute, af-
sodandogli la sua buona complessione commodo non si deve chiamare,mà
ben- si incommodo, perche presto glicla in- [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] ز [ocr errors] 0 el [ocr errors]
.com commoderà. A questo proposito vi riferirò un caso terribile di un
Cavaliere, il quale à cagione di propria commodità non moveva nè pure un dito,
se non gli era accompagnato da chi lo serviva, fi faceva fino imboccare, quanto
mai egli era commodo ; onde lo conduffe la sua pazzia à diventare un tronco,
mercechè volendo una volta muovere un braccio, non lo poteva più fare,un piede
nè tampoco , e come un ciocco gli convenne vivere, se pure quello vivere
li [ocr errors][ocr errors] poteva dire, Dall'esercizio corporale
ritorniamo à quello della mente, la quale, conforme dicemmo, non la dovrete stancare
di vantaggio con cose laboriose ayendo voi à tal'effetto bramato, e procurato
il vostro ritiro, mà nè tampoco converrà di tenerla affatto oziosa, acciocchè
non ritorni à coltivare le specie antiche, non sapendo, che altro fi fare. Nel
principio del vostro distaccamento, come vi suggerirà la Prudenzala terrete
occupata in diverse cose, con il suo rin par [ocr errors][ocr
errors] partimento dell'ore più proprie ad esse. Ne darete alcune agl'esercizj
fpirituali à prò dell'anima vostra , secondo il configlio del vostro
Direttore,qualche altra servirà per l'esercizio corpcrale, e le rimanenti alla
quiete della mente faranno da voi destinate in due maniere , cioè, con leggere
, ò sentirlo , e con il riposo; Li libri da leggere, proprj per tal'effetto,
già ve li sarete scelti , allorche vi preparaste per il ritiro , e si può
supporre, che saranno inorali, prediche, vite più esemplari de' Santi, e cose
confimili, e se vi sarete serbato qualche libro Medico, questo facilmente non
tratterà di altro, che del regolamento della vecchiaja, e del modo conforme si
possa più agevolmente ella sopportare , & inoltrandovi finalmente nella
penosa vecchiaja, non troverete maggior refrigerio, e sollievo, che di
uniformarvi in tutto nella volontà di Dio, e se giornalmente farete qualche
meditazione sopra la morte, vi recherà questa del vantaggio , perche divenendo
perciò superiori [ocr errors] ad effa, non vi potrà punto contristare,
allorche da vicino la scorgerete venire, e tanto maggioripente se meditandola
rifletterere, che se ne viene per togliervi dalle miserie, e collocarvi in
un'eternità di bene, essendo voi vissuti con le buone direzioni delle virtù,
non già con le lufinghe fallaci de vizj. Settimo, finalinente, diranno le
vir. tù , se volessimo rammentarvi tutto ciò, che non è convenevole, che ora
facciate inolto averelimo da dirvi, solamente alcune cose vi avvertiremo, nelle
quali potreste facilmente cadere . La prima delle quali sarà , ( se vorrete
caminare con le buone direzioni della Prudenza ) che avendo voi una volta per
giusti motivi risoluto di lasciare la Professione, non mai più dovrete
pentirvenç, e ritornar di bel ouovo à profeffarla», se non in quel caso
impossibile, che voi cựngiovenifte, altrimenti facendolo acquisterefte ritolo,ò
d'instabili , imprudenti, ò per la meno di superbi, potendosi da ciò
.cognetturare, che allora non lo facesteper impotenza, mà bensì per
isdegno concepito per non vedervi stimati à quel segno, che
bramavate di essere. La seconda, se vi venisse mai volon- tà di
mutare, senza giusta, & urgentili- ma occafione , il vostro già
fatto tefta- mento, mà solamente per motivo di me-
gliorarlo, che non lo facciate, vi coman- deranno la
Prudenza, e la Giustizia in conto alcuno, mentre questo saria
uno delli maggiori infortunj , che vi poteffe allora
accadere, perche se quello , che avrete fatto in tempo , ch'eravate
con sentimenti più vegeti, ora non è di vo- stra
sodisfazione , come potrà fodisfarvi l'altro fatto da voi ,
dapoiche vi siete ritirati, à cagione di debolezza , non nie- 110
di corpo,che di mente la quale entre- rà prestamente, per essere in
quella età sospettosa nella casa della dubietà, mà
ritrovandofi ancora languida , e piena di timore tosto le sembrerà
un laberinto, non sapendone rinvenire la strada das
uscirne, e perciò la sera penserà ad una cosa, e depofta quella,
la mattina ad un' altra, [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] V 4 altra, oggi farà di un
genio, e domani facilmente di un'altro, e durando per qualche tempo così
incostante, non folamente si confonderà, mà s'inquieterà ancora ; onde quel
tempo, che avevate dato alla calma del vostro animo , in questo modo glielo
rubbereste per darlo alla vostra inquietudine , fenza ricavarne un minimo profitto,
perche se pure giugnefte à fine di stabilire la vostra ultima disposizione,
sarà questa assai peggiore della prima, e se non arriverete à compirla ,
l'inquietudini riccute, che giovamento viaveranno apportato ? E quanto dette
virtù vi hanno ordinato, l'esperienza pur troppo l'hà fatto vedere, mentre chi
nel suo ritiro hà avuto simile tentazione, non solamente è vissuto
inquietissimo tutto quel tempo, che aveva destinato alla sua quietc, mà hà
fatto una nuova disposizione del suo avere così intrigata, così confusa, che hà
dato di fe molto da dire . In niun tempo si deve andare in traccia dell'ottimo,
essendo questa distruttivo del bene, mà [ocr errors] 1 mà in
questo stato meno d'ogni altro nel quale è molto espediente di dare
orecchie à ciò, che si legge in Tacito, ed è : Confilium , cui impar erat
fatu per- mifit ; E certamente, che quando siete meno capaci di
risolvere, è pur meglio, che lasciate correre ciò, che faceste di
vostro genio quando eravate più atti, che di mutarlo divenuti meno
sufficienti ancora ad emendarlo. Vi
pregiudicherà per terzo ancora di molto la troppa curiosità, &
in ispecie de fatti domestici , come ben vi avverri tirà
la Prudenza, perche più d'una vol- ta sentirete cose tali, che vi
turberanno notabilmente la vostra quiete,& affinche dal
non ricercarli fi scanzi ogni pregiu- dizio, fate., che quel vostro
amico, quel vostro parente, de' quali da principio parlammo,
gli diano il suo rimedio, ci pensino essi, che meglio di voi lo
faran- (no , e senza inquietudine vostra. E caso poi, che la
necessità portaffe di farvenc consapevoli sfuggano per quanto si
può di dirvelo di sera , per non togliervi 0 [ocr
errors] il riposo della notte. La quarta intorno à ciò, che dovrete
fuggire in caso di qualche incommodo abituato, che da soverchi anni procedere ,
la Giustizia, e la Temperanza vi diranno : Ricordatevi, che una volta in altri
non l'avreste curato, mà folamente mitigato; onde non facciate, che la molestia
, che vi recaffe vi stimoIalle ancora à divenire carnefici di voi medesimi ,
con pretendere di farvelo curare, conforme à più di un Medico avanzato
negl’anni è accaduto , per esserfi voluto esporre al taglio della pietra ,
quantunque ad altri così avanzati in età non l'averiano consigliato.Questa
penfione , che Iddio hà posto sù il gran benefizio della lunga età che vi ha
conceduta , vuole, che da voi fi paghi, altrimenti il fudetto benefizio
mancherà prestamente 5 Limnolesti pruriti esterni , li bruciori d'orina , le
vigilie frequenti, che bene spesso ne' vecchi accadono , fapete pure, che non
vanno curati con rimedi eradicativi, mà mitigar ben fi de [ocr
errors] 1 [ocr errors][ocr errors] devono con cose anodine, trå quali
il latte , amico de vecchi asciutti hà il primato , e per essere
ancora egli il pris mo querimento, che si prende, non è disdicevole
, che non venendo à cagionc del soverchio sonno ritardato, sia
ancora Pultimo, conforme praticò con profitto Fabio Mafsimo nella
sua età decrepiti. Per quinto avvertimento vi
con- verrà stare molto circospetti per non cadere in
certi errori, che li vecchi li stimano sussidi dell'età cadente,
ftante- che provando languidezza di forze fi, portano con
desiderio (moderato à pre- valerli de’yini più generosi, e di
altri più fpiritosi liquori , intorno a' quali vi ricorderà
la Temperanza, che sapete pure quanto di male apportino alla in-
languidita tefta , all’inaridite viscere, e quanto di solfo communicano
alli ni- trofi fluvidi, ed in conseguenza di che danno essi
siano , che voi ben lo sapete, onde in vece di questi vi servircte
più ļosto del perfetto cioccolato , de' buoni brodi,
de' vini gentili, e delicati, c di altri liquori consimili, presi con
moderazione, e con questa distinzione , che effendo taluno di voi grasso, &
avendo disposizione al soverchio sonno prenderà spesso il cioccolato la
mattina, nel doppo pranzo , ò di sera il caffè , ò il the, è la bollitura di
salvia , sc poi sarà dimagrito , e sottoposto à vigilie, las mattina
frequenterà più tosto un brodo con la fetta del pane ivi bollita, e del
cioccolato se ne servirà qualche volta doppo pranzo immediatamente, conforme
ancora in vece del thè, e del caffè ricorrerà all'uso della bollitura dell'orzo
abrustolato, resa grata con qualche odoroso liquore, all'emulsioni fatte in
brodo , con semi di meloni , in particolare fe farà molestato da pertinaci
vigilie. Per fefto , fuggite ogni sorta di be vanda gelata, vi diranno la
Fortezza, e la Temperanza , quantunque la moleIta fete, che alle volte suole
travagliare li vecchi vi rendesse ansiosi di effe, perche sapete pure quanto
danno vi po triano [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] triano recare, & in vece di queste servis teyi
delle bevande attualmente calde , che vi smorzeranno con più facilità
la sete per quella cagione à voi nota, che sciogliono li liquori
caldi più facilmente quei fali, che titillando le papille del gusto
non solamente le costringono, mà recano ancora aridità à tutta la mem-
brana interna del palato , & esofago in- crespandola à guisa di carta
pecora, e questi con il liquore caldo vengono più facilmente
sciolti, & ancora le parti ina- ridite con più prontezza fi
distendono, doveche dalle gelate ne segue l'opposto, e per questa
cagione tali acque sono consimili à quelle , che Quò plus
sunt potæ , plus fitiuntur aqud; E perciò non si sà capire per qual
cagio- ne in particolare ne' vecchi sia stato dif- messo il bevere
caldo tanto praticato dagli antichi Romani , e tanto maggior-
mente, che dall'abuso di dette acque gelate ogn'anno ne seguono delli
casi funesti, coine ben sapete ; Dal soverchio bere,
7 bere, con tutto che non sia gelato, ve no asterrete ancora,
effendoyi noto quanto di male possa apportare alli stomachi debilitati dagl’anni,
potendo non sólamente inlanguidire li fermenti digestivi, mà opprimere insieme
preventivamente quel calore, che stà per finire. L'esperienza dimostra
chiaramente , che le piante annose inaffiate à suo dovere si conservano, mà
soverchiamente più preftamente mancano, Per settimo, v'avvertiranno la
Prudenza, e la Giustizia di non porvi in una regola rigorosa di vivere, con il
motivo della moderazione del vostro esercizio consueto , perche la natura già
affuefatta da tanto tempo à quella quantità di nutrimento, vedendolo tutto in
un tratto notabilmente scemare ne riceveria incommodo considerabile, costando
pur troppo per esperienza , che alcuni vecchi,li quali l'hãno voluta tanto
ristrignere preltamente sono mancati. Quello, che dovrete praticare sarà di guardarvi
da certi cibi di dura cozzione, di cattiva qua qualità atti à poter
nuocere , per altro nella quátirà l'anderete moderando con occasione, &
avyedendovi di non poterla ben diggerire, allora l'anderete scemando, mà però
lentamente, accioca chè non riesca molto fenfibile derta mutazione, perche è
cosa evidente, che allora appunto, che i vecchi allentano di mangiare , poco
resta loro di vita. Peggiore di questo ancor saria, se cadefte in quella
opinione tanto dangosa , che per vivere fano sia neceffario di prender cose,
che non facciano escrementi, mà che con l'odore delle vivande, con qualche
brodo di sostanza, si possa meglio , e con più salute campares di quello si
faccia con tante altre cose piene di parti escrementose, perche la Datara vuole
fi camini per le sue strade ordinarie, vuole da tutti egualmente efiggere ciò,
che brama . Quell'incommodo, che vi reca nel restituire le feccie ella sà per
quali fini lo faccia , non è à caso. Non n'elimè già Alessandro Magno dal suo
fetore, conforme che li suoi Cor teg teggiani adulandolo dicevano ,
perche ella non sà cosa sia signoria, e grandezza fà che la morte (a) Æquo
pulsat pede pauperum tabernas, Regumque Turres. Per tre gran
benefici la natura volle , che vi fossero li tanto odiati escrementi: Primo,
perche dentro di noi si facilitassero mediante queste tante digeftioni, che vi
si fanno , conforme l'esperienze chimiche ad evidenza lo dimostrano, in tante
digestioni fatte con il Fimo, e da quì rifletcete quanto s'ingannino coloro,
che procurano anziosamente à forza di tanti reiterati purganci star-, ne senza;
Per secondo, che nell'uscire che fanno impari à conoscere ogn’uno se stesso, à
che segno debbasi insuperbire chi dentro di se conserva fimili fetidillime
materie; E il terzo per convincere chi non credesse il primo, con farlivedere
quanta fecondità questi rechino alli terreni sterili, che colsuo beneficio
divengonono fertiliffimi , talche erroneaè à priori quell'opinione di potersi
nudrire con cose, che non abbiano escrementi, conforme ancora tale à pofteriori
si dimostra per essersi veduto chi l'hà voluto praticare divenire un marafino,
che in breve fini i suoi giorni. Per ottavo , & ultimo finalmente,
ch'è forse il più forte di tutti, vi diranno le virtù : Guardatevi da quelli
trè gran persecutori de' vecchi, che sono, la caduta, il catarro, & il
corpo soverchiamente lubrico ; La caduta , voi sapere molto bene, che per due
gran motivi è nella vecchiaja più dannosa, che in altre etadi, sì per essere li
vecchi di mi. nor vigore, e li più facili à terminare la lor vita ,
ritrovandosi arrivati allo scorto di effa , sì ancora, perche cadendo come un
tronco ciò, che viene loro percoffo riceve colpo pieno, non venendo riparato
dall'agilità delle mani, nè dallo scanzo della vita , come segue ne' giovani di
maggior agilità di loro, onde per evitare una simile fventura dovrete andare
sempre con il vostro bastone, ne fa [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] farere come alcuni, che l'abboriscono per mofrar braura ,
quando braura più tosto sembreria l'ayere in mano il bastone di comando";
onde non senza mia stero fù chiamato da’ Latini il bastonc della vecchiaja
Scipio, & il prendere Sufcipio. L’occasioni di prendere li catarri à
che segno le dobbiate fuggire, l'efperienza altrui ve ne fece maestri, (vi
suggerirà la Temperanza) mentre osservaIte, che chi li espose all'aria rigida,
chi ftiede in luogo soverchiamente caldo, chi disordinò in cibi grossi, come
sono il formaggio, legumi , & alrre cose consimili furono da essi
moleftati, converrà dunque à voi ancora fuggirli, se non avrete quell'erronea
massima, che ebbe quel Medico, che disordinava molto, sù la fiducia, che niuna
cosa gli potesse nuocere, dicendo, che li Legislatori non sono soggetti alle
leggi, mà gli convenne soffrire la morte immatura per questa sua falsa
credenza; e finalmenre quanto dobbiate stare cautelati, per non incor
rere 1 rere nella foverchia lubricità di ventre, non
occorrerà vi sia suggerito, sapendo i da voi medesimi, che l'abuso de'
dolciu mi, cde'frutti producono fimile indifposizione. L'irascibile
ancora spesso in, citata con l'abuso de' cibi caldi per accrescere pungoli alla
bile , quanto la poffino rendere frequente nell'età avanzata lo sapete assai
bene, con tante altre cagioni, che farà superfluo viliano ram, mentate.
i Essendo voi dunque nel corso della vostra vita camminati sempre con le
dii rezioni delle virtù, avete da sperare fer mamente di potere
incontrare una gloriosa morte, perche esse in quel vostro estremo
bisogno, più che non fecero in é altri,vi assisteranno; La Prudenza vi
farà soffrire ciò, ch'è inevitabile, con animo generoso ; La
Giustizia sperare quel pre7 , mio, che sarà dovuto alle vostre gloriose
opere ; La Fortezza vi darà cuore da refiftere intrepidi ad ogni patimento più
duro ; e finalmente la Temperanza vi consolerà, con farvi vedere, che trà
X 2 quel [ocr errors][ocr errors] ز quelli molti , che
vissero, pochi ne giunsero all'età voftra ; onde voi, che avrete sempre dato
saggio di tanca moderazione, come potrete non contentarvi di essere già vissuti
à bastanza, potendo con intrepidezza dire : Vixi, quem dederat curfum
for tuna peregi; Sicchè felice sarà la vostra morte , & invidiabile
da tutti , nè crediate che fiano per abbandonaryi queste doppo morte , perche
allora più che mai saranno inseparabili da voi,posciacchè quando ancora eravate
viventi si poteva dubitare, che potefte essere, ò nò, prudenti, giusti, forti,
e temperari, perche in realtà potevate dare occasione à dette virtù d'alienarsi
da voi, mà doppo morte, che tal cagione finì, non si potrà più dire di voi, che
prudenti, giusti , forti, e temperati non foste, ficchè resteranno allora da
voi eternamente inseparabili le vostre virtù. E chi mai rimarrà doppo morte più
glorioso di voi? forse il ricco? questo no, perche le sue ricchezze già
al [ocr errors] Ja morte, allora passarono in altri, non sono
più fue; Forse il potente ? nè anco, perche la sua grandezza è
rinchiusa allora den- tro la sua urna , & il suo potere è
diven- tato un niente; Forse chi ottenne fingo- lari prerogative di
natura , come sono la somma bellezza, salute , e robustezza di
corpo? questi nè tampoco, perche quelle già furono, e non sono più
doppo restando un nulla , giacchè : Quod fuit, non eft pro
nihilo reputatur . Solamente dunque chi vive seguace del- le virtù
può sperare di ritenere ancora per se doppo morte quanto gadè in
vi- ta, e fù suo proprio , con tutta quella gloria imınortale, che
acquistò chi visse virtuosamente, de' quali parlando Ip- pocrate
(*) così diffe : Quique hac viâ incedunt gloriam tùm apud majores ,
tùm apud pofteros fibi comparabunt, ch'è quan- to dovevo
mostrarvi. Ed eccoci giunti al fine della festa
Giornata, e convenevole sarà di ripo- sarci,farci, in venerazione
di chi creò l'Universo, giacchè egli ancora requievit die Septimo ab universo
opere , quod patrarat , do benedixit diei feptimo , & fanétificavit
illum [ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] X 3 (-) De
decenti babita , è à priori (2) Horat.Carnr. odc 4 fa.
dicom (e) Hipp.de Pracepticx. fo quan
(1) De pracept: fione [d] Epidem.lib.5. @grot.28. ex Valefio.
[e] Epid.lib 5. ægrot.7. (f)
Epidilib.5.>.g. ap(4) In epift. Abderit. (r) Epift.6.
rano (d) In Comment Hipfoer. de Fraft. fers (b) 18 epiß.
Damogit, alla (a) In epif Philop. K per(a) In
lib.præcepto ch' Th. In lib.de pracept: fprone [b) De
preception. Set
era (b) In 2.epiji. ad Domeg. 1 F 3 i [ocr
errors] fare 1 (h) Hippocr. de veteri Medico C2 pra(c)
De decerti babits. In. Morale, DE'FIGLIUOLI e
Medica DEL DOTTOR DOMENICO GAGLIAR DI Divisa in due Parti. PARTE PRIM
A Sopra l'Educazione Morale. DEDICATA ALLA SANTITA'DI N.S. INNOCENZO
XIII, Neglectis urenda filix innascitur agris Hor. Sat. 3. lib.
I. In ROMA, MDCC XXII. Nella Stamparia di Pietro Ferri alla
Minerva. Con licenza de'Superiori . [blocks in formation]
[ocr errors] sien L Titolo gloriofifsimo di Padre Universale , it quale viene
fo lamente attribuito all'Altissimo Merito di Voltra Santità , mi rende
più a 3animoso à consagrarle la prcfentc Opera sopra l'educazione
de'figliuoli Morale, e Medica, con ferma speranza , che Ella comc zelantissimo
amatore del buon costume non solamente la riceverà sotto il potentissimo fuo
patrocinio; ma le farà di vantaggio godere gl'effetti della sua somma clemenza
; mercecche non permetterà già qucsta, che rimanga infruttuoso ogni qualunque suo
documento profittevole allo stradamento de'figliuoli per farli divcnire amanti
dellc virtù, cd aperti nemici de' vizj, essendo tal desiderio appunto il
maggiore che possa avere un'ottimo Pan dre; mente dal principio del
suo Gloriofiflimo Pontificato ha fatto la S. V. colle operazioni più gloriofe
conoscere al mondo tutto; vedendosi tanto il suo Paterno Zelo, quanto la sua
somma beneficenza indiri, zati folamente al giusto, ed all' onesto, gastigando
i 'rei , c premiando i meritevoli: conforme appunto costumarono tanti
Santillimi Pontefici suoi Antca natì di gloriofiffima memoria. Talmente che
l'Eroiche Virtù in V. Beatitudine essendo ereditarie, si trovano profondamente
radicate,e queste di fimin le natura debbono neceffaria, men, a 4
zarsi, seppure l'ottimo potranno sormontare. i Nè lì veggono nell' Antichissima
, c Nobilissima Famiglia de Conti ereditarie l'eroiche virtù dc'suoi Maggiori
nei foli Sommi Pontefici ;. mentre risplendono questo ancora , in tutti gli
altri, c. con applausi universali; cssendosi veduti do. po la dcgnissima
esaltazione di V.B. al Trono Pontificio, nc' più a Lei congiunti di Sangue la
medesima nioderazione di animo, ed affabilità princicra ; assegno chc,non senza
ammirazione,fan ben conoscere a tutti, che le presenti felicità non han
na a gli animi generosi, e forti, in cui regnano abituate l'Eroiche
Virtù. In tempi dunque felici, o fortunati,ne'quali la verità svelata pud
comparire avanti al Principe , godo la forte di presentarle prostrato à
Santissimi Piedi di V.B. e consagrarle inficmc qucfte mie fatiche, diret. te
non ad altro, che al publico bene; mostrando queste a Padri di faniglia,non
folamente l'obbligo loro, ma cziandio il modo più facile d'indirizare benc i
proprj figliuoli, affinche non divengano elli viziosi per. turbatori della
publica quie te. ritevole dell'efficace Patrocinio del Principe,
essendon'egli di essa vigilantissimo Custode: Contribuendo dunquc alla felicità
del Principato la buona cducazione de'figliuoli , como cagione della publica
quicte; affinchè là S. V. possa godere tutta quella lunga serie di anni felici
, che ardentemente le bramo con ogni maggiore offequio la supplico à volerlo
rendere degno del suo Supremo Patrocinio, potendo questo accrescere alle sue
prove, e ragioni momento di forza bastevole a renderle più convincenti nel
ripulire gli animi rozi,dano, e baciandole i Santillimi Piedi con profonda
venerazione mi umilio. Di Voftra Beatitudine Omilifs,e fedeliss.
Suddito Domenico Gagliardi. AL C On rilevanti motivi ho
intrapre so lo scrivere sopra l'Educazione de' figliuoli : primieramente,
perchè leggendola Sacra Scrittura ho con chiarezza conosciuto l'obbligo grande
col quale da essa viene aftretto ciascun Padre ad educar bene i propri
figliuoli; ordinando l'Ecclesiastico al 30. Curva cervicem ejus in juventute,
fu tunde latera ejus, dum infans eft, ne forte induret, Ego non credat tibi, Er
erit tibi dolor anime . Doce filium tuum , E'operare in illo , ne in
turpitudinem illius offendas; e trovandomi molti figliuoli era anch'io compreso
nel numero di questi . Incominciando dunque a cercare qual modo foffe il
migliore , per sodisfare a’mici doveri, benc mi avvidi alla prima, ch'era
d'uopo conosce per congetturare meglio ove le proprie inclinazioni li
aveffero portati . In feguela di questo considerai, che indarno si sarebbe
affaticato ogni qualunque ben’esperto educatore, se l'educando difetrasse nella
esatta regola del vivere, quantunque fosse dotato dalla natura di un'ottima
indole ; mercecche il nudrimento , eccedente in quantità, e qualità, potrebbe
cagionargli internamente tal moto inordinato negli spiriti, che fosse capace di
togliere alla sua mente quella limpidezza neceffaria a chi ha d'apprendere la
buona educazione . Si avanzò più oltre la mia mente coi suoi pensieri,
cominciando a meditare se co gli ajuti medici, allorchè già introdotto negli
educandi l'accennato interno sregolamento, si fosse potuto questo calmare; c
con molti lumi ricevuti da Ippocrate, ove tratta de Aere Aere ,
Aquis , EX Locis , arrivò a comprendere, che potevano queste giovaredi molto in
tale occasione. Accertatomi per le fudette rifleffioni, che l'educazione
de' figliuoli poteva trattarsi da un Medico provetto, appartenendo appunto ad
ello più che ad ogni altro il conoscere i temperamenti, donde nascono i
naturali, la regola del vivere, ed il modo di calmare gi’interni moti
inordinati de’fluidi, mi accinsi a tale impresa, non potendomisi addoffare da
critici, che io abbia contravenuto al documento, che insegna Orazio nella sua
Arte poetica a chi brama di scrivere con profitto, cioè: Sumite materiam
veftris qui fcri bitis æquam Viribus , & versate diu quid
fer re recufent, Quid valeant humeri. E per corrispondere con
attenzione, grandezza dell'argomento intrapreso, formai alla prima la
seguente partizione di effo. Divisi primieramente la presente Opera in
due parti, cioè in Morale, c Medica, affinche con facilità maggiore ti
riuscisse di apprendere quanto scris vo trovandolo non confuso. Nella prima
Decade troverai descritti molti avyertimenti, che dò, acciocche chi voglia
accasarsi; possa provederli di ottima moglie; nè ti paja ciò fuori del nostro
proposito ; perchè se non si abbatcerà in una moglie prudente, ed onesta , duc
gran mali riceverà l'educazione de' suoi figliuoli; il primo de'quali sarà
ereditario dicendol’ ArioIto: Di vacca nascer cerva non vede sti,
Ne mai colomba d'aquila, nè figliaonefti E l'altro poi come potrà queste
ajutarti ad educarli bene , fe non sapràche cosa sia la buona educazione, per
non averla mai in se medesima sperimentata? Laonde conviene conchiudere, che la
base fondamentale della buona educazione consista in iscegliersi una ottima
consorte; ed avendola trovata, fi danno parimente molti documenti utili per
mantenerla costante nel suo buon costume ; ed inoltre si mostra di quai modi si
doverd fervire avendo sbagliato alla prima nel provedersi di effa , affinche
molto minori divengano i suoi infortunj. Nella seconda Decade principia.
1'Educazione Morale de figliuoli; ed in questa scorgeranno i Padri di famiglia
quanto siano tenuti d'invigilarci, e quali inconvenienti nascono dalle
loro era, [ocr errors] zio la similitudine de campi, nc'quali fa
vedere di che pregiudizio sia questa, dis cendo: Neglectis urenda filix
innascitur agris E che le Madri non debbansi abu, fare dell'amore verso i
figliuoli, essendo questo trascorso molto nocivo allawi buona educazione, a
segno che, se molti non avessero avuto l'asilo materno per esimersi da
gastighi, averebbero depofti quei vizj,percui poscia divennero infelici .
Troverai parimente documenti facili, e profittevoli, de quali potrà ogniuno
feryirsi sccodo le diverse loro inclinazioni per educarli. E perch'è il
compimento della buona educazione l'istradarli a ciò, che doveranno applicarsi,
quindi è, che si tratta ancora del modo, col quale si doveranno provedere i
figliuoli secondo gl'impieghi, de que quali si conosceranno
meritevoli ; e dandosi il caso per lorosventura, che i genitori morissero,
trovandosi elli di tenera età, si propone ciò, che pare conveneyole a farsi in
simili calamitose cótingenze:e' per non lasciare poi in abbandono i poveri, che
non ponnoricevere tutti quegli ajuti da Macstri conforme possono avere i
figliuoli de'bene Itanti, fiè pensato anche ad essi per dare un ripulimento più
universale contro vizj,essendo tal semenza in tutte le condizioni degli uomini
perniciofiffima per la Republica. Quattro sono gli interlocutori ideali
della presente opera : Sempronio giovane molto accorto, il quale brama
d'istruirsi; Mecenate , e Publio prudenti direttori, ed il Medico provetto ,
per dilucidare alcune cose appartenenti alla Medicina. Mi fono servito di
Publio ammogliato per la sperienza grande, chc che si trova colui,
il quale per molti an ni è vivuto in tale stato: di Mecenate sciolto da tal legame,
periscoprire quel di più,chenon può eslere noto, a chi hà moglie,rimirando le
cose più sincere chi si trova in disparte, enon ha abbagliato la vista dalle
proprie passioni. Inoltre raccontando Publio cioca chè costumavası fare
in tempi meno rilassati, farà maggiormente conoscere la differenza de'correnti,
& additerà ancora il modo, che si potrebbe tenere per emendarli,quando
questi discordafsero molto da quelli . Nè potrà dolersi alcuno di quanto io con
tutta sincerità procuro di darti a notizia; essendoche conforme il Medico non
può trovare il rimedio opportuno al male se non forma l'idea giusta, con
esaminare esattamente la natura, cagione, e gli effetti di esso, così ancora
nel ritrovare isimedj ai vizj, che sono mali dell'animo b 2 caca [ocr
errors] è necessario sapere precisamente la natura, le cagioni, e li cattivi
effetti di esli ; oltre di che, non parlando io in particolare di alcuno, ma
solamente in generale diciò, che è detestabile, non si potrà dolere di me
se non chi da se medefimo conoscerà d'essere macchiato di tali difetti,come a
tale proposito disse S. Ambrogio ne'suoi serm.pag.102. Ego non de omnibus
loquor Etc. ego neminem nomino : conscientia fua unumquemque conveniat.
Averei potuto ancor darui la feconda parte; ma per maturare meglio alcune cose
contenute in essa ci è d'uopo di maggior tempo, c per iftabilirle ancor con
provo più convincenti; ti baa Iti per ora un picciolo abbozzo di ella affinchè
poffi da questo comprendere il progresso da me tenuto per compire una
educazione più generale . Quattro sono i punti Medici prinche convenga nel
tempo, che sono già cipali, che si tratteranno nella Decali de
terza, in ordine alla buona educazione; il primo fiè quello , che deesi fare
per vantaggio di essa, prima di concepire figliuoli: Il secondo, cioc
[ocr errors] in ito lif [merged small][merged small][ocr
errors][merged small][merged small] per cola [ocr errors] concetti, e
dimorano nell'utero materno; il terzo che far si debba, dati che sono alla
luce, e finattanto, che dura la loro pucrizia: Il quarto finalmente, ciocche
convenga allorchè sono in età, nella quale dee in effi manifestarsi l'uso di
ragione , indugiando questo. Nel primo si farà vedere assai difficile il
potersi avere figliuoli di buona indole, e docili , se tra marito, e moglie
regneranno continue discordie; se faranno l'uno, o l'altra di essi dediti
all'ubriachezza, ed alla crapula; con dimostrare loro donde ne provengala
cagione; oltre le sperienze dimostrative di ciò. b 3 Nc
[blocks in formation] [ocr errors] Nel secondo, che non debba una deviata madre
tenere la medesima vita, che faceva , prima di concepire; con mostrarle ancora
gl' incomodi che può ricevere ella medesima, ed il feto, che porta riell'utero,
per tal cagione, e quanto possa venire danneggiata la buona educazione da
questo. Nel terzo si farà conoscere , dati alla luce, di qual latte
debbano nutrirsi, e qual regola in cffi debba tenersi, allorche saranno
slattati, per deprime. re quel principio , che si scorgesse avvanzato in loro a
danni della buona educazione; e qual cuftodia abbia d'aversi di esli , affinche
non divengano di cattiva complessione, la quale sarebbe molto pregiudiziale
alla buona educazione, E finalmente nel quarto , vedendosi questi ne'
buoni documenti morali non fare progressi, fi esamina sela sero avere
pofsanza tale da deprimere, o innalzare alcuni principj in esli, o
foverchiamente assottigliati, o più del dovere sopiti; mediante i quali ne
nascesse ostacolo alla mente nell'apprendere, e ritenere i documenti necessari,
e questo sedebba farli con ajuti più efficaci mostrandoci anche Orazio, che
Incultæ pacantur vomere sylve. Nella quarta Decade poi troverai dieci
ragionamenti sopra i vizj, e le virtù, con esaminarsi ancora ifrutti di ambidue
; e servendo questa come di una appendice all'opera, goderà il vantaggio di
efsere trattata con ragioni, e documenti filosofici, medici , morali, e
naturali, secondocheayerà d'voро di essi ; & intanto si sono queste
materie poste nel fine , per non dilungare troppo i ragionamenti, potendo ciò
renderli tediosi; ed essendo per altro neceffario il farc: ben
comprendere a tutti quanto di buond, o cattivo nasca dalla buona, o cattiva
educazione; doveva questo non trattarsi solamente di passaggio, conforme si era
già fatto nelle antecedenti conferenze; ma farfene bensì particolari
ragionamenti a parte per dimostrarlo con più di chiarezza, potendone da ciò
risultare un infinito bene; conciosiacosache fàconoscere chiaramente il nostro
Ippocrate nella risposta, che diede agli Adderiti, essere feliciquei Popolizi
quali ben sapeano, che la loro sicurezza non consisteva nelle alte torri,cd in
altre materiali fortificazioni;mà bensì nella bontà de Citradini,e ne'loro
prudenti consigli:spiegandosi ivi : Beati profectò funt populi , qui sciunt
bonos viros suaesse munimenta, nonturres,neque muros, fed fapientum. vi. rorum
sapientia confilia ; É venendo interrogato Socrate nel convivio de'sette
fa fapienti di Platone, qual fosse la più ben munita Città, egli rispose
: Que bonos viros habet . Quale la più felice : In qua præfe&ti focietate
conjunguntur: E finalmente qual fosse la migliore di tutte, egli disse: In qua
plurima virtuti premia proposita sunt . Nè può di ciò dubitarsene, insegnandoci
l'oracolo della Divina Sapienza al 6. Multitudo fapientum fanitas orbis.
Spero finalmente, che saranno ricevute queste mie fatiche con animo benigno da
quei, che sono amanti delle virtù, e se faranno vilipesc da chi ha già fatto
l'abito di āteporre i vizja queste,verranno da essi più costo a loro mal grado
onorate; riputandole di pregionó dissimile a quelle cose solite da essi a
pofporsi; mi basterà, che fiano grate a chi possiede il buon costume, ed utili
a chi brama di acquistarlo, perchè gid sono divenuto capace , che nel mondo
erunt vitia conec homines; con questa diferenza solamente del più, o del
meno,nè io pretendo di vantaggio. Vivi costante nel bene operare per continuare
ad essere felice, e far conoscere agl’infelici viziofi colla tua tranquillità
di animo meglio le loro mi serie. Si videbitur Reverendissimo Patri
Sacri Palacii Apoftolici Magiftro. N. Barcbarius Episc. Bojanen.
Vicefg: APPROVAZIONI. Etta, è considerata del si gnor Dottore
Domenico Gagliardi , intitolata l’Educazione de figliuoli morale ; o medica ;
per commissione dei Padre Reverendiffimo Gregorio Sel. Seri Maestro del Sagro
Palazzo Apoftolico; non ci hò trovarà cosa vervna , chic fia contraria alla
Fede, o clic offenda i buoni costumi . Con verità bensi poffo; c debbo
attestare; che una tale opera per mio sentimento è degna di uscire in luce, perchè
oltre l'effere or: nata di scelta crudizione, e di soda dottrina ; può essere
molto fruttuosa ; ed al publico, ed al privato, spiegandosi ia essa con dotta;
e giudiziola chiarcze [ocr errors] za la maniera di ben educare la prole,
affare di somma importanza , come è ben noto a chi non hà cicco l'intendimento,
ed offuscata la ragione. Cosi ne giudico ; c francamente mi persuado, che
altrimente non ne giudicherà chiunque col leggerla dalla forza del vero G
conoscerà obbligato ad approvare con giusta lode il zelo ben commendabile, e
con eso l'erudito , e saggio faperc del chiarissimo autore, che per la publica
utilità non hà ricusato di addosCarG acl colmo delle sue Mediche applicazioni
una cale fatica, che ben lo palesa non meno versato negli studi più propri
della sua professione, che negli altri, per cui sono degnamente accreditati i
più celebri per fama di erudizione. Io Fra Tomaffo Maria Minorelli
de'Pre dicatori Maestro di Sagra Teologia, « Bibliotecario
Cafanastense Per P Er commissione del P.RñoGregorio
Selleri Macstro del Sagro Palaze zo Apostolico avendo letra , e confiderata
l'opera dell'Eccellentiffimo Signor Doctor Domenico Gagliardi , intitolata
L'Educazione de figliuoli morale,e Medica, non avendo trovato nella medesima
mala fimc repugnanti alla nostra Santa Fede, ed alla bontà de costumi, nè
discordanti da i buoni fondamenti della nostra Professione di Medicina la
considero degna di publicarli con la Stampa questo dì 20. Gennaro 1722.
Michelangelo Paoli IMPRIMATUR. Fr. Gregorius Selleri Ordinis
Prædica corum Sac.Palat. Apoft. Magift. Delle Conferenze,
PSopra l'elezione della Moglie , e sue condizioni più essenziali. Sopra l’età più propria, epro. porzionata
di accasarsi ; e quale sia svantaggio maggiore, farlo prima del tempo convenevole,
9 nella vecchiezza : Dove la mostra,in che cose faa esenziale
l'uguaglianza nei Matrimonj; e quali jvantaggi nascano dalle disuguaglianze in
queAte. Sopra gli antichi costumi, pras ticati appreffo alcuni
Popoli per la generazione ; ę se sia più vantaggioso lo scoprire
scambievolmente i propri , corporali difetti , prima di sposarsi, o
l'occultarli. Nella quale si mostra , in che modo si maritino le belle ,
le ricche , ę le deformi quantingue povere. Nella quale si esaminano piut
distintamente i pregiudizi, che risultano dai matrimonj fatti senza
l'intervento della Pruden74.Sopra i difetti , e le virtu delle
donne. Come si debba regolare
l'uomo colla moglie scelta di ottime qualità. Come si debbano regolare i
saggi mariti con le mogli imprudenti , e viziose . Sopra i ripiegbi prudenziali , che
debbonsi prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggie ,
incontrandosi in viziosi, ed indiscrefi mariti, Sopra l'educazione Morale de'figliuoli, Nella
quale si mokra, che co Ta sia edncazione , cui appartengo piid di ogni
altro; e sefia necessario luogo particolare, ove debba farsi . Intorno a quello , che debbas farsi da
Genitori per educar bene i figliuoli .
Intorno all'uffizio, e qualita dell’Ajo, e dei Maestri . Sopra l'educazione delle Pin
gliuole, Sopra l'etd opportuna d'
apa prendersi le scienze, ed il modo più facile per accer tarsi
delle particolari inclinazioni de'figliuoli .
Sopra gl' impieghi , che do vranno darsi da saggi Padri a
figliuoli ben’educati, e dotti. Come debbano i Padri rego larsi nel
provedere i figliuoli ingnoranti , e viziosi. Sopra il modo di ben collacare le
figliuole. Sopra l'educazione de
Pupil li : e come debba ciascuna portarsi verso i suoi Genitorį
defonti, Sopra l'educazione
de'figliuoli poveri, e donde venga questo danneggiata . 539 [ocr
errors] Sempronio , ( Mecenate .
[ocr errors] Sem. Engo talmente af frettato da mici cogiunti a
prender moglie, che non mi lasciano vivere, sti molandomi giornalmente di
farlo; a segno che, per non poterli più sentire, sono in necessità di compiacer
loro : solamente due core mi ritardano; e fono l'educazione de figliuoli, che
possono nascere,e la cura, la quale fi dec avere di esli, efsendo in ciò
inesperto ; per altro mi trovo già pronto a consolarli : istruitemi, Mecenate,
in queste, potendo voi fare due beneficj in un tempo;cioè, d'istruire me,
econsolar' efli, che tanto bramaDo le mie nozze. : А Mer.
Mec. Mà questa moglie,ci è già scelta approposito per voi ? Sem. Ci sono
tante giovani oggidi belle , galanti , e ricche, che essendo anche io giovane,e
commodo di beni di fortuna la posso scegliere a mio genio, e fodisfazione in
brevissiino tempo. Mec. Però non sò se tutte queste belle , galanti, e
ricche, faranno per cala voftra,leggendo in Ateneo che: demens eft , qui oculis
uxorem accipit : come fece appunto Monimo il quale , avendo sposata una
Giovane , senza ricercare prima i suoi costumi, divenne infelicillimo marito; c
dolendosi della sua {ventura con Olimpia madre di Alessandro, lo riprese della
sua trascuragginc, usata nello sceglierla. Sem. E che ! la dovrò prendere
forse deforme , scoriese, e povera ? Mec. Neanco questa farebbe al caso
voftro. Sem. E chi dunquc doverò prendere? Mec. Una's clic lia
donna di propo, fito, Sem, [ocr errors][ocr errors]
Sem. E quelle, che sono belle , egalanti, sono donne ancora di propofito.
Mec. Mà non tutte buone per voi. Sem. Quali saranno quelle, che voi
Itimate buone per me? Mec. Quelle appunto, che sapranno softenere con
senno, e con prudenza la metà del peso della casa, e dell'educazione de
figliuoli; onde quando voi la tropaste di queste qualità avercre risparmiato la
metà del penfiere dell'educazione, e cura de figliuoli; e queste sono appunto
quelle Itimate appropolito da Plauto, in Stiche, ove dice: UI per orbem
cum ambulent Omnibus , os obturens , ne quis meritò maledicat fibi.
Essendo queste ornate di tutte quello desiderabili prerogative, descritte daw
Seneca in O&avia. Probitus , fidesque conjugis , mores, pue dor
placeant inarito. Sem. Io credea , foffe fufficiente, che ja moglie sapeffe far
figliuoli, c chou ogr’una di queste fosse a propofito.Mec. Per farli, lo credo
ancheio, ma non già per educarli bene, e per adempire quanto dee' una vera
madre di famiglia; essendo che per far questo liricerca, che sia dotata di
senno e di prudenza' : vi avvedete voi ora del vostro errore, e che come si
suol dire, ponevate il carro avanti i buovi, con istruirvi nell'educazione de'
figliuoli , senza sapere ciò, che ci vuole per iscegliersi una buona moglie: e
se v'incontrasto in una imprudente, garrula, e contenziosa, à che vi gioverebe
il sapere educar bene i figliuoli, se quanto di buono voi operaste, ella
sarebbe capace distruggere colla sua imprudenza, e garrulità ?, allor sì che
fareste caduto in quella fyentura descritta dal Poeta Saririco : Semper
habet lites, alternaque jure gia lectus In quo nupta jacet, minime
dormia tur in illo . O.pure vi abbatteste in una, che fosse di quella
natura superba, descritta dal me. desimo, la quale dicesfc; Нос [ocr
errors] voluntas ; Imperat ergo viro. In questi casi educate bene i
figliuoli se potere . Sem. La bramerei savia, e prudente, ma vorrei, che
foffe anche gentile, e galante ; perche le donne di fattezze grossolane non mi
sono mai andate a genio. Mec. Se questa sarà sana , e prudente non ci hò
cosa incontrario, ma se poi colla sua gentile, e delicata complesfione ci fosse
unira qualche indisposizione di animo, e di corpo, il che suole alle volte
accadere, non vi consiglierei a farlo. Sem. E perche ? Mec. Vi porreste
in tal caso a pericolo di fare una cattiva razza; eredicandog da figliuoli non
meno il bene , che il inale di effe ; ed hò sentito da Medici, che più dalle
Madri, che da i Padri questo si ritragga, per il nutrimento dato loro quei nove
mesi, che li portano nel ventre nè fi può fperare, che [ocr errors]
A 3 che dal seme velenoso del nappello nasca un giglio, o una rosa: non
sarebbe poco, quando meno velenosa germogliasse quella pianta , che dee ello
produrre : e poi voi, il quale vi dilettate de cavalli, dovreste sapere per
isperienza, che quelli nati da cattiva razza, riescono i meno generosi; e
perciò dovete anche riflettere, che il limile poffa seguire negli uomini, come
lo descrisse Orazio. Fortes creant ur fortibus , du bonis : Et in juvencis, eft in
equis patrum Virtus : nec imbellem feroces Progenerant aquile
columbam . Sem. In maggior confusione di prima ora
mi trovo, sentendo da voi , lian neceffario ancora di scegliere una donna
savia, e prudente per moglie; onde, per liberarmi da tanti guai, seguiterò le
vostre orme, e viverò libero da questo legame anche io, e dicano ciocche
vogliono i miei parenti. Mec. Non fatedi grazia, Sempronio, questo
sproposito, Sem. [ocr errors][ocr errors] Sem. E voi perche l'avere
fatto ? Mec. Non aveva allora la sperienzas d'adesso ; nè mi abbatiei in
consigliere sincero; e sappiate , che mi sono pentito più volte, e
particolarmente avanzaadomi negl’anni, di averlo fatto. Sem. E per quali
motivi? Mec. Perche non anderei tanto lambiccandomi il cervello in cerca
del mio erede (briga dolorosa dell'età avanzata) se avesli figliuoli.
Sem. Essendo voi tuttavia robusto, farefte anche in tempo di farli. Mec.
E che vi dispiace forse la mina robustezza, che me la vorreste far
perdere? non sono più in tempo di farli; hò procurato finora di non esser
ridicolo, & ora più del passato son tenuto di farlo, e voi mici varrefte
far diventare per cantare di me forse ciocchè disse il Taffo di Vincilao
: Vincilao, che sì grave , e faggio innante Canuto pargoleggia, e
vecchio amants : Queste risoluzioni, Sempronio , deona fare in gioventù , per
poter vedere i suoi figliuoli bencincaminaci prima di mori. re, essendo
che a me potrebbe succedere ciò che dice Plauto: Poft mediam ætatem, qui
ducit uxorem, Si eam fenex prægnantē fortuitò feceris , Quid
dubita's quin fiet parasū nomen puero . Poftumus? Sem. Dunque
saranno ridicoli tani vecchi, che si accasano,e con giovanette anche
belle? Mec. Io non debbo entrare nei freci altrui, debbo bensi pentire 2
cali miei, ora che ho il pieno uso di raggione, acquistato cò gli anni; ma
questi sono discorsi fuori del nostro proposito, dovendo voi risolvervi a
prender moglie , per non avervi a pentire poi ancor voi di non averla pigliata
; e per ciò dovere farvi ora istruire in quello, ch'è necessario per fare un
ottima elezione. Sem. E da chi? Mec. Da colui, che la seppe far
ottima , e perciò gode vita felice , e tranquilla.Sem. Ma io non vorrei,
Mecenate mio, palesare alero , che à voi il mio interno; perche sapete pure
qual vento spiri oggidì, che si van cercando id fecti alcrui per mantenere
allegre le nostre notturne assemblee, laonde di scoprendo le mic debolezze ad
un'altro, sarebbe cosa facilissima si divulgoffero fra molci. Mec.
Viverenino in tempi infelicissim mi, re in Citcà si vasta la secretezza re.
gnasse in me solamente, Sem. Mà non potreste voi solo istruire mi in
cucto , essendo vomo di molta fperienza nelle cose del mondo. Mec. In
teorica potrei darvi molti avvertimenti, ma in cose pratiche nors posso
consigliarvi ; perche essendo io sciolto da limil legune, no ho avuta occasione
di approfittarmi in tal faccenda. Sem. Oh quanto mira meglio colui, il
quale stà in disparte, i difetti dongeschi di quello facciano i mariti! e come
giudice spassionato , quanto li distingue anche meglio! Mec. Voi sapete quanto
vi amo, u per: perciò non lascierei cosa alcuna, che non facessi
per consolarvi; mà conos . cendo io, che meglio potreste essere iftruito in
tutto coll'intervento di chi averà navigato felicemente molti anni per questo
gran mare , perche vi amo, dico questo ; potendo egli molte cose aver conosciute
in atto pratico,alle qualinon possono giungere le mie teoriche. Sem. Se
lo giudicare necessario bisognerà farlo : ma chi sarà ral'consigliere?
Mec.Ci sarebbero Publio Roscio,che per lo spazio di quaranta tre anni, e vivuto
in pace con sua moglie. Massimo trentanove anni parimente, senza contendere,e
Silvio Paterno trentadue;ora sceglietovi, chi volere di questi. Sem. Oh
bene avete trovati i parenti più prossimi à Noè, che sono in questa Città !
quai consigli mi potranno dare questi vecchi decrepiti, che non firicordano del
seguito nel dì avanti; e poi a tempi loro non usandofi le galanti maniere
constumate oggidì, a che mi fervirebbono i loro ancichi consigli , non
pra. praticabili a tempi nostri? Mec. Tutte queste eccezioni, che
da. te loro sono in vantaggio vostro; per, che, se non si ricorderanno quello ,
che udiranno da voi, niuno risaprà i fatti voftri , e se, senza tante galanti
maniere di oggidì, fi feppero far amare dalle loro consorti, insegnando a voi i
modi, da loro tenuti, ci guadagnerere molto in saperli, e se non siete ancora
informato della capacità de’vecchi, apprenderes la da Ovidio, Jura fenes
norint , dow quid liceata que , nefasque, Falque fit inquirant, legumque
exa. mina servent. E da Cicerone , il quale, de Senectute, così parla del
Vecchio: Non facit en que juvenes, at verò multa majora, meliora facit ; non
enim viribus , aut ves locitate corporis res magne gerantur , fed confilio ,
authoritate , fententia , quia bus non modo non arbari , fed etiam auga. ri
senectus folet. Laonde faggiamento l'Ecclef. al 25. dico ;- Corona fenun muba
ta peritia : Sem Sem. Sceglietene dunque uno di quefti a vostro
genio, e quello, che conoscerete più approposito per il bisogno mio. Mec.
Publio sarebbe più al caso, per. che quantunque egli meno si ricordi delle cose
presenti, conforme sono tutti i più vecchi, ha felicissima memoria nel
ricordarsi delle passate:e poi avendo numerola famiglia, e così bene
accostuinata , saprà anche istruiryı nella educazione di essa. Sem.
Attenderò dunque con anfierà i consigli di Publio; ma faprà istruirini incio,
che riguarda la cura, che si dec avere per conservare la prole con buona
falute Mec. L'esperienza, avuta in molte cõgiunture ad esso accaduce lo
averà facilmente renduto capace, a darvi qualche buon consiglio in questo
ancora; ma non già con tanta esattezza cõforme farebbe chi foffe profeffore di
Medicina. Sem. Sarebbe dunque bene u’interveniffe uno di questi; c
difcegliere tra periti il migliore Merg. Mec. Il vostro Dottore è
pratichiffimo, avendo avuti molti figliuoli, è anche ingenuo , e sò che vi ama
di cuore, onde migliore di ello non saprei sccglierlo. Sem. Così è: or
ditemi, come doverò contenermi nelle nostre conferenze? Mec. Domanderete
quando si presenterà l'occasione tutto quello, bramate di sapere; e non vi
vergognate di fare anche quesiti di poco rilievo ; perche non facendoli,
rimarrete con perplessità in molte cose. Sem. Come si farà per informare
Publio,che al Dott. parlerò io modelimo' Mec. Sara inia cura d'informarlo
di tutto, e già che siamo di primavera potremo portarci al mio giardinetto,
contiguo alle mura della Citrà, ove come disse il Petrarca: Non palazzi ,
non teatro , e loggia , Ma in lor vece un abete , un faggio, un
pino, Fra l'erba verde , el bel monte vicino , Levan
di terra al ci el nostro intelletto , E faremo ivi due volte la settimana le
nostre conferenze. Sem. Mà non sarebbe meglio, per approfittarmi
prestamente , il farle tre volte ? Mec. Vicompiacerò anche in questo,
purche le occupazioni degl’aleri lo permettano ; ma voi, Seinpronio, averete
già dato luogo nel vostro cuore a qualche oggetto, perche bramate sapere con
sollecitudine se quefto ci abbia da rimanere,viconsiglierei però quádo ciò
fosse, a spogliarvene prima, per applicare tutto il pensiero a quella, che
converra à yoi, & alla vostra casa , che vientri per meglio
stabilircela , Sem. Non sono determinato ancora, quantunque abbia posto
l'occhio in più parti, onde posso facilmente spogliarmene affatto, e starò con
anfietà attendendo l'avviso del giorno, in cui si darà principio alle nostre
conferenze. DECADE PRIMA CONFERENZA PRIMA Sopra l'elezione
della Moglie, e fue condizioni più ellenziali. Mecenate , Publio,
Sempronio , e Medico. Mec. O notificato à Publio ciocchè voi
bramate da esso, il quale vi copatisce a maggior segno; posciache egli
ancora si trovò in un fimile laberinto,allor che dovea prender Moglie, comc
jeri appunto mi disse, e da lui medesimo sentirere ora con vostra
confolazione. Pub. Quantunque anch'io venifli Atimolato da mici Genitori
ad accasarmi andavo nulladimeno téporeggiado d'effettuarlo;perche apprendeva
fosse schia vitudine grande la vita cognugale, ma la ritrovai, per
verità, assai diversa das quello, che io mi avea figurato ; & efsendo stato
sempre mio costume, anche da giovane di regolarmi col consiglio d'uomini favii
, c provetti, mi portai da un di questi mio amico, che non aveva alcun
interesse in cal affare, per consigliarmi seco , fe dovessi risola vermi a
prender moglie, il quale uditas ch'ebbe tale proposta, cortesemente mi disse:
figliuol mio è tempo ormai , che vi risolviate di farlo ; perche avendo voi già
l’età di venticinque anni poiere esser capace d'indrizare una donna per la
buona strada , quantunque aveste sbagliato in isceglierla nelle cose meno
essenziali, e sappiate, che l'uomo savio bene spesso fa divenire la moglie non
dissimigliante da lui , siccome l'imprudente donna precipita l'uomo poco
avveduto : figuratevi alla prima di dover navigare per un vasto oceano dover
essere voi il nocchiere, che guida la nave : sappiatevi ben regolare
nelle [ocr errors] e di [merged small][merged small][ocr
errors][merged small][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] nelle tempeste, per non sommergervi ; prendetela sana, ben accostumata,
e di buon parentado, non vi lasciate abbagliare dalla bellezza, dote, e
nobiltà; e risolvetevi ; perche quanto più differirete, altrettanto inaggiore
sarà il morivo di pentirvi della tardanza: raccommandatevi al Signor Iddio,
essendo che: A Domino autem propriè uxor bona , come disie Salomone;
procuratela giovane, nè tardate di vantaggio. Sem. Quanto mi consolo ,
che vi siete ancor voi trovato in fimile laberinto; e son sicuro, che perciò
compatirete le mie debolezze. Pub. Vi comparisco a maggior segno figliuol
mio , fatevi però animo ; perche quantunque paja la vita conjugale alla prima
di un gravissimo peso, quando però questo viene portato concordemento
d'ambedue, riesce molto leggiero, an. zi foare'; e tal fortuna l'hò sperimenta.
--ta io medelimo. Sem. Vi abbatteste à caso in sì buona compagnia, o pur
faceste preventivos [merged small][ocr errors][ocr errors] diligenze per
isceglierla 2 Pub. Le feci certamente esatciflimus per non operare da
balordo ; perche se per provederci de' cavalli, cani, anzi di vili giumenti si
fanno efatte diligenze', acciocchè siano sani , edi buona rizzi; quattro
maggiormente sono neceffario queste nello provedersi di moglie, come
puntualmente si trova registrato in Tcognide, Canes quidem, a afinos querimus
, • Cyrne, dequos Generofos, cu hec quisque vult ex bona progenie
Sibi parare ; uxorem aurcm ducere malam Ex mala progenie non curat 1. Vir
bonus ; modo fibi pecunias multas 1offerat. * Sem. E qual modo teneste in
farle? - Pub. Avendo posto l'occhio ad una Gentildonga modesta,non diriguale
alla mia condizione, & in età nubile, miraccomunaadai di cuorc al Medico ,
che fa. Noriva la mia casa , acciocchè avessesavesle ben Dell'Elezione della
Mog. 19 procurato di accertarsi della sua salute , avvertito à non ingannarsi,
per non ave. re a fare ancor esso la penitenza del suo fallo; posciache se
fosse stata mal sana, dovendola curare, briga maggiore gli averebbe apportata;
senza speranza di premio straordinario ; per esserne egli Itaro la cagione, che
fosse entrata in inia casa; ciò però dilli per ischerzo. m Sem. E detto
Medico, come lo potcs va scoprire, se non l'avesse avuta ini cura ? Pub.
Penetrò tanto, che mi bastò , Sum. Com'egli fece ; Pub.
Avendo confidenza col suo Speziale, segretamente cercò nel di lui libro maltro,
se vi era descritto alcune medicamento, servito per effe lei, e non trovandovi
cosa di rilievo, mi disse : ftiamo bene di salute, perche none, si è mai
purgata . Sem. E leu fosse fervita di qualches altro Speziale? Pub.
Questo non si costumava di fare in quei tempi tanto allo Speziale, quanto
al Medico. Una volta, ch'essi erano ftati ammessi, fino alla morte
continuavano, ed'eravamo per ciò ben serviti; imperciocchè con molto amore effi
s'in. tereflavano ne i nostri vantaggi,conforme comprenderete da quanto
soggiungerò. Non si appagò già l'affezzionato Medico di questa fola diligenza
usata', mà volle far di vantaggio, e fu d'abboccarsi col Dottore, che medicava
in quella casa,introducendo seco discorso sopra la poca salute, che godevano
alcune giovani, ch'egli curava, attribuendone la cagione di ciò al poco
esercizio, ch'esse facevano ; e di poi passò à domandargli, di quali rimedij
egli si prevaleva per conservare in salute quella , che doveva appunto essere
la mia futura fpofa, la quale in appareaza mokravas essere più sana dell'altre;
cui replicò, ch'avendo ella sortito un ottimo temperaméto, no aveva d'uopo
dell'opera lua, & in segno di ciò nel mal de vajuoli da ella sofferto
appena cgli vi fu chiamato nel oel fine', tanto la natura le fu propizia
, che senza alcuno ajuto medico fece il fuo corso felicemente; e con questa
seconda diligenza mi accertò della buona salure, ch'ella godeva. Sem.
Questo favore toccherà à voi, Dottore, di farmelo... Med. Non mi ponete
di grazia in Gmile intrigo ; perche non essendo io si avveduto, non vorrei
errare nello scoprire gli altrui difetti : e poi se îi desse il caso, che io
avelli curato quella giovane, l'onor mio n'anderebbe di mezo , discoprendovi la
verità delle cose con, fidateini. Sem. Della vostra avvedutezza punto non
dubito: e poi porrò la mira a qualcuna, che non fia medicata da voi; onde non
mi contriftate col recufare di f.2vorirmi ; perche altrimenti sarete voi
cagione, che io non prenda moglie, noa potendomi fidare meglio di alcun altro in
questo, se non di voi. Med. Per servirvi la vedrò, considererò il suo
temperamento, e fisonomia; B 3 mà mà tante altre diligenze,
praticate per Publio, non vi prometto di firle; perche ora non si costuinano
più molte cose, che si facevano allora. Sem. L'usanze buone non si
debbono dismerrere mai, io mi dichiaro con voi, non per ischerzo, come diffe
Publio , mà con tutto il fenno: che se non sarà fana , toccherà à voi di
curarla senza fperanza di ricompensa , succedendomi per colpa vostra tale
sventura'. Mega Vorrci, Sempronio, che mi mostraste qual privilegio voi
avere più del Dottore di dismettere l'usanze buone; essendo ch'è pur usanza
buona riconoscere col dovuto guiderdone il Medico, il che voi volete
disinertere', obbligandolo di più ad osservare quello, che fa per
voi. Sem. Lo dicevo per animarlo, 20ciocchè lo facesse con più fervore:
non già tutte le cose, che si dicono si fanno. Mec. Questo però non è già
premio , che animi, mà bensì minaccia , che avvilisce più costo ; olore di che
non è già ben ܪ ben fatto di proporre con tanta franchezza
ciò, che non si vuole praticare, Sem. Non parliaino più di ciò; palliamo
al costume ; questo in che dee cons Giftere, avendomi voi significato, non
essere necessario, che la moglie lia garbata, e galante? Mec. Cerra cofa
è, che il buon costume della donna, non dee coolisterer in questo, mà bensì in
aver cura delle casa, in saperla ben reggere, e gover: nare di cui parlando ne?
;suoi Proverbij Salomone diffe : Confickeravit. Jemitas domus fue , panem
otiofa non comedia Ed il Nazianzeno nei suoi documenti che da alle vergini,
così dice Neque domibus cxternis olideas , neque menfis. Ed altrove
contro le donne più del doc yere ornate, così parla . Mos eft mulieribus
[res pretiofa] domi manere [ocr errors] Plurimum, & divinis
alloqui sermonibus Telaque , fufoque ( hoc enim munus eft mulierum)Ancillis
opera distribuereservos vitare , Labiis vincula ferre,
oculis,atq;genis: Neq; pedē exirà vestibula Sepè babere; E Menandro
comico greco così dice , Intus manere mulierem oportet oportet :: Bonam,
egredientes autem foras nullius pretii sunt . Sem. Come scopriste, Publio
, che fosse di questo costume la vostra Conforte? Pub. Avevo in quel
tempo un servitore molto affezionato, & insieme accorto, diedi ad effo
segretamente l'incombenza, che lo aveffe scoperio ; e fi pora tò egli così
bene, che in brieve fui informHo ditutio. Sem.' E come fece? Pub.
Conduffe, ove questi sogliono ricrearsi, un certo fuo conoscente, il quale da
molto tempo serviva in quella casa, e dopo d'essersi insinuato avvedutamente
appresso di lui,introdusse discor. so, come è lor costume, sopra le stravaganze
de padroni, & interrogato, che l'ebbc de cractamenti, che riceveva
dal fuo suo, passò alla giovane, di cui ne diffe un infinito bene,
con individuargli alcune particolarità, le quali denotavano forfe savia, c
prudente . Sem. Questi come poteva essere apa pieno informato delle
qualità della gior vane, non trattando in quei tempi lei padrone con
servitori? Pub. I servitori in ogni cempo sono ftati curiofillimi di
scoprire i fatti de'padroni, & anco i più segreti', come ava vertì
Giovenalc. Scire volunt fecreta domis, atque inda timeri. E siccome
sempre vi è stata qualche affezionata corrispondenza tra essi, e le donne di
servigio, onde per questa via, ciocche effi nonodono, ne offervano, lo
penetrano : nè è stato mai possibile, che le donne di servigio ili fiano
astenute dal'non palesare i difetti del: le padrone , almeno a questi loro favo
riti, per mostrare con elli confidenza. Sem. Vi bastò quefta sola notizia
? Pub. Procurai in oltre rincontrarl24 da più parti prima di crederla ;
pofçiag che che udito efferii da quella casa partita disguitata una
donna , fecidiella prenderne inf rmazione, la quale contesto le medelime
cose,che dette aveva il servitore; ed essendo uniforine à questo notizie il
publico conceito, che di essa fi aveva nel vicinato, mi appagai del suo buon
costuine ie non feci altre dili. genze intorno à questo. ni Sem Manon
sarebbe stato ineglio vi foste informato da qualche Uomo das bene? Pub.
Non lo stimai neceffario , avendo rincontrato da più parti il medesimo: e poi
per dirvela giusta , chi è buonio non è curioso d'investigare gli altrui
difecii; ed anco sapendoli si guarda molto bene dal publicarli..."
Sem. Il vostro Ulisse, Mecenate, sa, rebbe approposito per iscoprire gli altrui
difetti in Mec.. Ma non in questo affare, perche egli cicala troppo: si
ricerca in tale affare chi sia destro, e serio , che compri, c non venda.
Sem. Sem. Palesatemi ora , Publio, qual modo usaste nell'informarvi della
prosapia della vostra Conforte ? Pub. Vi era in quel tempo un certo
sfaccendato investigatore de' fatti altrui, il quale andava curiosamente
cercando le memorie delle antiche famiglie negli Archivi ; cui feci parlare dau
un'amico, è che mostraffe desiderio, tanto delle notizie della mia famiglia,
quanto dell'alcra, con fargli promertere un convencvole riconoscimento per le
sue fatiche'; e per verità in brieve tempo d'ambidue pose in chiaro quanto
circa ad un secolo a poteva tro. vare, e seorgendo verificarsi ciocchés aveva
detto della mia, prestai fedes à quanto aveva ritrovato dellal, tra; e vedendo,
che fiftava quasi del pari tanto nel bene, quanto nel male's non ini curai fare
diligenze di vantag. gio'intorno a questo ancora potendomi bastare. Sem.
Dunque quantunque sapeste, che in quella viera qualche eccezione,
non [ocr errors] [merged small][ocr errors] non ne faceste caso?
Pub. Mà se vi era questa nella mias ancora, come potevo farne caso, do. vendoci
ne' Matrimonj servare uguaglianza. Mec. Credete forse, Sempronio, che
tutti noi descendiamo da Cerari, e che per non interrotta serie di molti secoli
le nostre famiglie siano state sempre illuftri? Se li potesse ora ritrovare la
de. scendenza vera degli Arsaci; e Tolomei, oh quanti di questi si troverebbero
esercitare arti vili, e forse core peggiori ancora . lo per tal motivo no mi
fon punto curato di far ricercare dell'albero della mia casa , se non l' ulcimo
secolo ; e tanto maggiormente, che un mio amico, il quale si mostrò più curioso
di me, bramandolo di due , dopo di avere speso di molto in ricercare i fatti
de'suoi antenati; vi trovò alcune cose, che forse nulla li piacquero, o fece
tralasciare l'opera:solamente queIto guadagno vi fece, che non milançava più la
sua nobiltà , come prima.Som. Di avere però l'albero della sua casa lo stimo
neceffario, affinche i posteri seguirino i loro illustri maggiori.
Mec. Lo credo anch'io , mà però non conviene farne publica mostra , se uon cui
averà trà suoi ascendenti chi abbia goduta la Sovranità, mediances la quale
degnamenre merita la preminenza sopra tutte le altre una sì illustre famiglia.
Potrei riferirvi à questo proposito ciò, che fece un saggio Prencipe, cui fu
presentato l'albero de'suoi antenati; lo rinirò egli ben bene , & essendoli
avveduto , che l'adulazione vi avca innestare alcune cose ideali, lo fè
piantare profundamente in una fund Villa, atfinche da quello germogliaffed
l'albero de'suoi descendenci più glorioso, essendoche lo fc piantare ivi ad
onta dell'adulazione. Med. Licredo anche utili detti albe. ri per prova
della salute goduta dagli asccadenti ; posciache se il Padre mori ottuagenario
, il nonno parimente in età decrepita , conforme anco l'atavo , ed il
tritayo, sarebbe questa una provas grande della perfetta falure in quella
famiglia; e tanto più se questa si proyaffe ancora per parto delle donne; dove
che se fossero morti giovani , e vi foffero regnati tra eli mali creditarj,
farebbe far un cattivo negozio, d'incftare a piante si cattive la
propria. Sem. Riuscirà ora cosa difficile à potersi sapere i difetti del
casato, col quale dov.erò apparentare, per non esserci più quegli avveduti
indagatori dei difetti altrui. Mec. Non dubitate, perche non ci è questa
penuria ; sono stati, e saranno sempre nel Mondo niolti, a quali premono più i
farti altrui , che i proprj, ricavandune da ciò notabile guadagno ; basterà
essere loro grati, perche di quc sto vivono , per altro ne troverete molti: e
poi ci sono ora tanti manoscritti, e libri anche stampati, i quali trattano
delle nostre famiglie, che vi si renderà più facile di quello, che credete, à
Caperlo giusto ; Sc però non averanno, tore scritto con passione,
clivare; il che si difeerne facilmente, non potendosi mai celare questi canto ,
che non si scuoprano. Sem. In questo supplicherò voia favoriemi, avendone
già pratica di molte ; Ini mette solamente pensiere il mor do di scoprire ciò,
che accennò il Dor concernente all'età , che fieno viyuti, & alla
loro falute, ed in questo ancora vi prego , Dottore , che mi ajutiate.
Med. Questa non è incombenza di Medico, dovendo egli cercare i vivi per
'risanarli , se sono infermi ; ma ai morti qual bene potrà apportare,
ricercandoli ? Sem. Apporterete à me il bene, le non lo farcte a defonti,
con trovarmi moglic , che descenda da famiglia sana, ed in conseguenza ancora a
miei descendenti. Mec. Il Dottore ha da fare, non gli date questa briga ;
vi voglio inícgnare io il modo per uscoprirlo; posciache, fc [ocr
errors][ocr errors] se la famiglia, colla quale voi volete app arentare, sarà
illustre, e di antica pro fapia, ci saranno tante lapidi sepotcrali,ove son
descritti i fatti degli ascendenti , ed ivi troverete anche gli anni, che
questi vissero ; se poi saranno famiglie moderne, l'invidia farà palese più di
quello, che bramerete sapere di cfle , ritrovandosi ricche. Sem. Passiamo
ora all'età più propria d'accasarsi. Mec. Voi,Sempronio, vorreste essere
in un sol congresso istruito di tutto; riferrete di grazia,che Publio è
vecchio, ed il Dottore ha le sue occupazioni ; non ci abuliamo della loro
sofferenza.; e poi non è già vostro vantaggio di far lunghe conferenze, perche
meno a apprendono li troppi documenti, di quello si faccia udendone pochi per
volta ; differiamolo dunque alla seguente Conferenza. CONFERENZ A
11. Sopra l’età più propria, e proporzionata di accasarsı ;
e quale fia svantaggio maggiore , farlo prima del tempo
conyenevole, ò nella vec- chiezza. [ocr errors][ocr errors]
Sempronio , Publio , Mecenate, e Medico. [ocr errors][ocr errors]
Sem. 01, Publio , che avete avuto fortuna nel vostro accasamento, ditemi
di grazia: in qual'età cravate,quádo prédeste moglie? Pub. Appena
io avca terminato l'anno. vigelimo quinto. Sem. E la vostra sposa
qual’età avea? Pub. Era allora appunto entrata nel vigefimo. Sem. Perche
non la prendeste prima?Pub. Perche non mi pareva di avere acquistato ancora
turto quel conosciméto necessario per far passaggio a detto stato. Oltre di che
trovando scritto questo Sacramento per ultimo , ftimai bene d'effectuarlo dopo
l'età stabilita da conferirsi il Sacerdozio, per non errare. Sem. Ma
prendono pur tanti moglie prima di questa età ? Pub. Da ciò forse deriva
, che molti fi lagnano ancora di essersi accafati ; ed è cola facile, che per
non sapersi in quell'età iinmarura regolare con giudizio, e prudenza ,
incontrino più disastri, che consolazioni, Sem. Dunque avendo i vecchi
più fperienza, senno, e prudenza de giovani converrebbe aspettarsi a farlo fino
all' età fenile. Pub. Per altri motivi però, apportati da Euripide , non
si dee aspettar tanto, dicendo egli: Et nunc juvenes adhortor
omnes, Ne in senecture nuptias celebrantes [ocr errors] Vix
liberos procreént;nec enim voluptas eft, Sedres
inimica mulieri fenex vir, Ed altrove, Amarus juveni uxori fenex
maritus . Sem. Sono però accaduti à rempi noftri cafi felici
ne’vecchi sposati con le giovani, ed hanno avuto prole. 3 Pub. Questi
matrimonj bisogna , che riuscissero assai infelici anticamente;podi
sciacche di Omero racconta Erodoto į nella di lui vita, che sdegnatoli egli
con tro alcune donne,che sacrificavano à Co. rcre in un trivio,
imprecase loro questo o gran male. Audi flavi Ceres precor, hoc mihi
perfi ce votum: Hanc numquam juveni matronam junge I marito,
Sed tremulo fit nupta feni , cui vertice cani Fundantur crines, E non
avendo saputo augurare loro infortunio peggiore di questo;qual felicisà dunque
potranno essi godere? Potrà [ocr errors][ocr errors] effere tal volta,
che le donne di oggidi fieno divenute più savie di quello fossero allora; o
pur,non trovando alcune di esse mariti giovani fi contentino di quelli, che
possono avere , senza contristarsene punto; se pure non è qualche caso
singolare questo da voi riferito , il quale non è sufficiente à formare
Aato. Sem. Bramerei in primo luogo sapere da voi , se debba essere uguale
l'età dell' uomo à quella della donna, per servare in tutte le cose perfecta
uguaglianza? Pub. Appunto per cagione di proporzionata uguaglianza , non
debbono essere ambidue di consimile erà , perche deesi, come ben'avvertì
Euripide regolar questa dalla durazione della fccondità , non dagli anni ,
dicendo egli. Malum eft juvenem uxorem adolescenti conjungere. Diuturnior
autem eft marium vigor , Fæmineum verò corpus citiùs puberta. sc deftituitur
. Sem. [ocr errors][ocr errors] Sem. Quefta differenza di età in
che doverà consistere , e quanti anni doverà avere più l'uomo della
donna? Pub. Sopra questo particolare ini persuado , che non si possa dare
certa, c determinata regola;contutto ciò potrà dire il Dottore, quello ch'egli
ne senta. Med. Aristotele pone la fecondità dell'uomo fino all'età di 70.
anni, e quella della donna sino à 50.jma perche ora forse sono le complessioni
deceriorate , e perciò non si osserva, se non di rado giugnere à questo
termine, voglio in ciò regolarmi con quello , che piu } frequentemente
suole accadere,il quale appunto è; rispetto all'uomo incirca al 60.anno ;
& alla donna intorno al 40. talmente che nello spazio di 20. anni,
confifterebbe detta fecondità di più o nell'uomo che nella donna.Ciò
ftabilito, ogni qual volta nou trapali in detrá - proporzione il triplo
l'età dell'uomo sempre farà in uguaglianza g rispetto al sempo di poter
generare; purche non C 3 VCI yenga variata da qualche
indisposizione morbofa. Sem. Sicche dunque un uomo di 40. anni farebbe-
nell'uguaglianza , prendendo una giovane, che ne avesse venti? Med. Così
è: uscirebbe bensì da calc proporzione , se la prendesse di 14.anni; poiche
trovandoli la donna nell'età di anni 34.avendone il marito 60. sarebbe già
divenuto sterile sei anni prime di effa. Sem. E se la donna fi accalaffe
in età maggiore di quella del marito , che ne potrebbe seguire da ciò ?
Pub. Le riuscirebbe certamente pii facile di fare à suo modo; imperciocche non
prendendosi quella soggezione del marito , che suole apportare di più
l'anzianità, disporrebbe, tụtto à fuo piacere;ed Iddio guardi,che la diffcrenza
degli anni foffe tale, che il marito le potess’essere figliuolo,allorsi,che lo
vor. rebbe tenere, e regolare da subordinato in tutto à se medesima : e poi è
da riflet. tersi, che difficilmente inducendoli ladonna, se nő è molto
stimolata dal senso, à congiungersi in macrimonio con ginvani di tanta
disparità; onde in questo caso soffrirebbe il povero marito per molti capi penc
considerabili: solamente la gelosia, che ne potrebbe ella avere gli i
recherebbe tormento grando; olere di chc, comc vuole Leonide , sarebbe
sen- za prole, e senza moglie, posciacche egli dice:
Conjuge nec frueris,nec frueris fobole . Sem. Io , che non
voglio tanti guai, la bramo più giovane di mie; mà diremi, Dottore, qual'è
l'età competente della donna,per cffer moglic? Med.La giovane può
prendere marito allor'appunto, ch'è atca à concepire , effédo divenuta già
dóna;c può succedere questo alle volte nell'età di 12. anni, altresì di 13.,
0.14.3 e più tardi ancora ; onde in detço tempo porrebbe divenire sposa.
Mes. Sarebbero però quelle di 12., 0 13.anni spose immature; e non só
quanto potessero riuscire buone mogli; poi che [ocr errors][ocr
errors] C 4 che lasciando la conliderazione di do. versi queste scegliere
uno stato nel quale conviene perseverare fino alla morreu, cd in conseguenza
averebbero bisogno di più maturo senno per fare detto passo: e senza riflettere
a tanti disaggi, che ponno incontrare nei primi parri; doinando, come si
sapranno bene regolare col marito, e nell'educare i figliuoli? Med. Hò
considerato anch'io queste difficoltà; mà dall'altro canto è da riAettersi
ancora, che prendendoli così giovanette ; si possono ind rizare, come li vuole
; ed abbiano l'esempio nelle piante, le quali allorche sono tenere , con
facilità grande le poisiamo piegare a nostro compiacimento ; mà non già questo
accade allorche sono indurate Virgilio parlando di domar la gioventù, dice, che
nell'età più tenera con più facilità succeda. viamque infifte domandi,
Dum faciles animi juvenum, dum mo bilis ætas. Mec. Io mi maraviglio, che.
voi co [ocr errors] me [ocr errors] meMedico non vi opponiate 'a
maritag: gi di età si tenera, potendo meglio di chi non è vecfato in medicina
conoscere il danno, che possa apportare alle cenere giovani similc mutazione di
stato Med. Non vi maravigliare di questo, perche noi circgoliamo nel modo di
vivcre colle consuetudini de? paefi', insegnandoci il nostro Ippocrate, che:
dandum fit aliquid regioni, & confuetudini; e non per questo , che
qualche.caso liano seguito funesto, debbong esse variure, essendoche cziandio
consimili cali fe, guono nelle più adulce, pericolando queste ancora ne parti.
Mec: Lasciamo le consuetudini dan parte, e dicemi di grazia, se inariterelte
una vostra figliuola in età si tenera ? Med. Ci penserei alquanto , &
anderei procrastinando il trattato , fin tanto che li assodasse un poco più
negli anni; c tanto maggiormente, se non fosse ben complessa ; poiche non
vorrei, che nel cominciare si prestamente à far figliuo. li , quello, che
dovesse andare in suo [ocr errors] crc [ocr errors] crescimento ,
G.deviasle altrove..' Sem. Si differiranno facilmente quefti maritaggi,
per non ispropriarsi della dote, e voi alori Medici, che fiete renuti alquanto
interessati, forse per ciò differirete di effettuarli. -:" Med. Non fiamo
però sì ftolidi, che non riflettiamo, che la dilazione non paga debito, e che
questo fodisfacendosi fpedicamente ci libera da cravagli di doverlo
pagare.. Sem. Qual'età voi realmente credere più propria da prendersi
marito? Med. Se la giovane goderà prospera falute , mi persuado , che
intorno al vigelimo anno lia la più convenevole ; le poi foffe gracile, si
potrebbe anche in. dugiare qualche anno di più, per meglio ftabilirsi; purche
non paffalse il vigefimo quinto; ftantccche facendoli talri. soluzione di
accasarsi, per godere prole sufficiente alla conservazione della fami. glia ,
ciè d'uopo di figliuolanza, che fopraviva, e ci fiano ancora de'maschi , e ciò
nello spazio di 20. anni di fecons [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
dità si può commodamente ottenere. Semi Talmente che, chi bramasse di
avere più numerola figliuolanza,gli coverrebbe prendere una giovane di 15.
anni? Med. Per istabilire bene la sua casa, non fi dee solamente
procurare il nuinero defigliuoli, mà ancora la robustezza, e vitalità
de'medefini; e questi,co. me vuole Aristocile nel 7. della sua politica,
nascendo da Padri giovanetri, sono di poco vigors, almeno i primogeniti, i
quali fogliono per lo più accafarsi. Quindi è, che Tacito, ove parle de'costumi
de'Germani, dice; che tras cffi le vergini fi maricavano già adulte, cche
perciò passasse ne'figliuoli la ro, bustezza dei genitori. Sem. E l'età
dell'Uomo più congrua di accasarsi, quale sarà ? Med. Quella appunto, che
si contiene erà lo spazio di 25., 30.anni;quando ciò da altro impedimento non
venga ri. tardato. Mes, Lo credo anch'io, che da molte cagioni potrà essere
ritardato : im. percioche, se averà egli impieghi,i quali richiedono
applicazione grande, e non si troverà sufficientemente proveduto di beni di
fortuna, per sostentare la famiglia ; fe non goderà salute competente; se in
casa averà molte sorelle, e madre in particolare, che fosse donna risentita, in
questi casi doverà indugiare a farlo, fin tanto almeno, che si troverà in
istato più opportuno, non essendo convenevole porli sotto ad un giogo di questa
forta con simili impedimenti svantaggiosi alla quiere conjugale. Semi Vorrei
sapere, quali danni risulterebbono,s’io tardasli a prender moglie fino alli
anni 35. Mec. Se voi tarderete tanto, temo, * che non la prenderete più,
e per ducor motivi: primièramente perche trà tana to facilmente' vi potreste
deyiare, cd abbattendovi in qualche donna scaltrita , saprà ben'ella distorvi
da tal penfie ro con le sue arti; e guai a voi, le fi af fomigliaffe questa a
quella donna impu dica,descritta da Salomone al 7. dc' suoi Proverbj, la
quale ; ornatu meretricio prçparata ad capiendas animas; e con quali artificj !
victimas pro faluse vovi, hodiè reddidi vota mea ; idcirco egreffas fum in
occursum tuum, defiderans te vin dere , e reperi ; intexui funibus lectulum
meum , ftravi tapetibus pietis ex Ægypto, aspersi cubile meum mirra , a aloe
br. E poi trovandovi in quell'età, farà facile, che comincierete a rifertere sù
l'incertezza di poter'invecchiare, e facilmente direte ; come anderebbe allora
la niiafamiglia séza’l mio stradaméto;qual pensiero , se non vi distogliesse
affitto, vi renderebbe almeno irrisoluto nell'effettuarlo; onde farc à mio
modo, risolvetevi, e non procrastinate di vantaggio: perche altrimenti vi
seguirà cioco ch'è accaduto à me medeliino, che mi fono invecchiato senza
successione. E sapere , che diranno di voi le donne, elsendovi avanzato negli
anni? Questi è vecchio, che ne vagliamo fare? E perciò converrà allora,
volendola prendere, ассо accommodarvi a chi troverete , con le
condizioni che da ella vi saranno date; dove che adesso farà a vostro modo quella
, che vorrete prendere. Sem. Questo certamente sarebbe svantaggio grande
per me; laonde non bisognerà perderci teinpo. Pub. E tanto più
sollecitamente vi risolverete,sentendo li pregiudizj grandi , ricevuti da cui
tarda moltó a pren. dere moglie,i quali sono anche maggioridi quelli, che
possono accadere à chi lo fà prima del tempo. Sem. Quali sono, Dottore,
questi Matrimonj fatti prima, ò più tardi del dovuto tempo? Med. Li
preventivi sono; se un giovanetto fi accasaffe in età di 15.9 16. anni; e li
tardivison quelli, che si fanno, allorche tal’uno è divenuto già veça
chio, Sem. Quali danni apporterebbe ad un giovane lo accafarli di 15.
anni? Med. Questi accompagnandosi con, una giovanetta coetanea , non
saprebbe [ocr errors] regolare le sue operazioni; c s'egli in quello
primo fervore fregolato pregiudicaffe allo proprio individuo, quanti svansaggi
ne riporterebbe? E qual'indi. rizzi sarebbe capace di dare a suoi figliuoli,
avendo egli bisogno di chi lo dirigeffe? E stando tuttavia in crescimeto,
defraudandofi questo per il diyiamento della miglior parte del suo sanguc
iinpiegata nella troppo sollecitas generazione, come potrebbe convertirli in
suo beneficio ? Oltre di che noll possono fperarsi frutti perferti da simili
piante, le quali non sono arrivate an. cora alla loro perfezione, Pub.
Aristotile nel 7. della sua Politica fà sopra di questo un'ottima riflerfione ;
cioè, che fimili figliuoli, che pajono quasi coetanei a Padri, poco rispetto
portano loro, querclandofi sovente sopra il governo della casa contro di
efli. Med. Ci sono però alcuni cafi, che debbonsi eccettuare
dall'accénata regola , e tra questi sono quelli unichi , cd [ocr
errors] ed antichi rampolli di qualche illustre, e ricca famiglia, che per non
vederlas estinta , fi procura in età tenera di accafarli. Siccome ancora, se si
vedesse un giovanetto ben complesso, che comincialle a deviarhi, non avendo chi
lo tenesse a freno;onde per non vederlo precipitare , converrebbe accasarlo ,
senza indugiare di vantaggio ; ed in questi casi li doverà prendere un'altra
inisura , competendo loro piu tosto una saggias giovane, che avesse qualche
anno di più di loro, affinch'essa regolaffe alcune operazioni concernenti alla
salute , potendo la moglie saggia molto adoperarfi in fimili affari. Sem.
I poveri vecchi allorche foffero robufti, perche non potrebbero divenire fposi
anch'elli? Med. Perche, conforme dice Euripide. Sed, aut feneétus
Veneri valere jubet; Aut Venus senibus molefta eft . Onde per tal cagione
si accelerarebbero la inorte, çssendo anche potenti, e ritrovandosi inabili a
questo , si contri- sterebbero per molte cagioni:primiera-
mente per essersi accinti ad un'impresa, nella quale non riescono abili
perlochę verrebbero anche derisi,e beffeggiati da giovani, e per
non vedersi corrisposti dalle loro conforti con quelle maniere
cortofi, ch'elli vorrebbero, e final mente per essere privi della
bramatas. prole, come descrisse Virgilio ;: Nec dulces natos,
Veneris nec prçmian noris. E vi parc,che questi poffano vivere
con- tenti? Con ragione dunque Blepirone appresso Aristota ne
diceva: -Heu, mihi infeliciis qui senex. cxiftens duxi
uxorem. E Menandro esprimendo le fvcnturc de?. vecchi amanti, così
fayella: Nurde miferius poteft daramante Seine, Hifi
alius fenex amans; Nam , qui frui cupis rebus , à quibus
Propten tempus, quomedò ille non mi Jerefte),
06.01.10 D Mere [ocr errors][ocr errors] arasiit
Mec. Ia questo li credo infelici anch? io, leggendo in Catullo : Er fenis
amplexus culta puella fugit. Ed in Arenco ciocche disse Teognide, ch'è
appunto. Sero Viro juvenis uxor magna calamiras. Cymba fine anchora ,
effractisq; Tudensibus. Pub. Udite ciocche dice Plauto di questi: Tum
capire cano amas fenex nequif fime? Si unquàm vidiftis pictum amantem,
bem illic eft. Ed Ovidio, ch'era informatiffimo de' genj delle donne di quei
tempi, così ebbe a dire : Que bello eft habilis , Veneri quoque convenir
, stas ; Turpe fenex miles', turpe fenilis amor. Quos petiere Duces annos
in milise aforit Hos petir in focio bella puella viro. Laonde, qnando a
vecchi venitfe in fantasia di preader moglie, a configlino con 2
con Orazio , il qualc dice : Intermiff - Venus diu Rursùs bella
moves:parce precor precor, : Non fum qualis eram. Sem. Riceveranno questi
certamente, prendendo moglie , svantaggi affaimag. giori di quelli, che
incontrano i giovanerti? Med. Senza fallo; posciacche questi, crescendo
loro con gli anni il senno, u la robustezza, vanno incontro al tempo
migliore ; dove quelli sempre più u precipitano nel più miserabile : or
re dere voi, Sempronio , che danni apporta il diffrire tanto lo
accasamento Mec. Ho conosciuto però un vecchio, il qual, essendo caduto
nelle reti di Venere, piangeva dirottamente la sua sventura; e volendolo io
confolare, persuadendomi, che li lagnasse dell'errore commesso; cgli mi rispose
: oh che fallo hò commiffo io a non prendere moglic, quando era giovane!
poiche fe valoroü so mi son portato nell'età inaridica della un vecchiezza ,
quanto più farei stato nel , [ocr errors] 2 la verde giovenile? Gli
replicai però: guai à voi, se in quel tempo foste stato così dedico à fimilc
piacere; posciacche vi averebbe farro inyecchiare prima del ecinpo; dicendoli
dell’ainor lafcivo. Ef juvenis juvenes, qui facit ille fenes. E per
meglio illuminarlo gli apportai l'iscrizione sepolcrale di Menelao, ch'è
questas Inter opus medium lafcivå mørte for lutus; Hic fitus eft , dom
init jam Menelaus bumum ; Qui blande. Veneri visa facraverat Haud aliter
vitam ponere juffus eraf. Sem. Or ditemi : questa uguaglianza come dec
essere nelle altre cose? Pub. L'esamineremo in appresso. [ocr
errors] [ocr errors][merged small] CONFERENZA III. :2 [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Dove si mostra,in che cose sia
esenziale l'uguaglianza nei Matrimonj; quali svantaggi
nascano dalledisuguaglianze in queste. Sempronio ;
Publio , Mecenate's Medico. M [ocr errors] Sem. I
persuado, Publio, che non essendo seguite trà voi, clas voftra conforte, al.
tercazioni,e discors die, averece goduta la sorte di una perfectisfima
uguaglianza in tutte le cose. Pub. In tutte è impossibile poterlos
ottenere ; bafta solamente , che difuguaglianza non sia nelle più esenziali,
nelle quali certamente fui fortunato,ef. fendo di verificato in me il Proverbio
diSalomone: Qui inuenit mulierem bonam, invenis bonum : du auriet jucunditatem
à Domino Sem. E queste quali sono? Pub. La prima è il genio buono
uniforme in ambidue: e questo non potrete credere, quanto mai trà noi foffe
reciproco ; poicche, quanto io volea,senza repugnanza alcuna cra grato anche ad
effa ; ed in quello poteva immaginarini, che fosse stato di sua sodisfazione,
ci concorreva anche la mia, à segno, che delle nostre volontà, sen'era formata
una sola ; onde di noi con ragione si poteva dire, ciò ch'è registrato
nell'Ecclesiastico al 25.,ch'è grato à Dio, ed à gli uomini : Vir, &
mulier benè fibi confentientes . Sem. Sicche dunque se vi potevate
immaginare, che avesse deliderato un, bell'abito, ò una nobile Stufiglia allas
inoda,voi l'avereste compiaciuta prontamente Pub. Non desideravano le
mogli queAte cose in quei tempi, ne'quali non costu. [ocr errors]
costumavano ; bramavano bensì di avej re provisioni abbondanti di lini,
cana pc, e cottoni per farne lavorare copio se biancherie ; di
vedere fatte le provi. i sioni à tempo debito , di quanto biso gnava per
servizio di casa cutto l'anno ; di avere otrimi maestri per istruire bene i
figliuoli; e servitù fedele, e benc accoltumata. Sem. O tempi felici: non
poteva io essere nato allora ! Pub. Ed io vorrei trovarmi giovane in
questi coll'uso di ragionc, cd esperienza , che godo : Sem. E la seconda
quale sarà ? Pub. Che questo genio uniforme fi ftabilisca sopra le virtù
cristiane, e morali in primo luogo; c di poi in tutto le altre cose utili per
lo stabilimento della casa,cd in queste è stata veramente seinpre singolare;
imperciocche vedendo, che bramavo di sodisfare all'. obbligo, che corre ad ogni
benestante, di sovvenire i poveri, essa ancora facea le sue parti con mia somma
consolazio D4 ne ; ne; e nel rimanente vedendomi artento agli
affari domestici, s'ingegnava per quanto poteva, di sollevarmi in molte cose ;
talmentecche hò sperimentato in me ciò, che diffe. Appollonide : Certè
inter homines Non aurum , non regnum , non divitia. .. rum luxus Voluptates tam
eximias prebent , Quam buni marici , & uxoris pia Volunt as jufta , &
legitimè affecta. Sem. Lo credo anch'io[facendo voi cosi]che potevare
godere una perpetua felicità. Pub. E voi ancora la potrete godere, se
farete il medesimo. Sem. I tempi calamitofi , ne'quali siamo , non
lo permettono. Pub. Se dipenderà da tempi, converrà avere pazienza ;
perche farà irremcdiabile; mà se dipédeffe poi da voi,senza fallo potrete porvi
rimedio: or'vediamo,da chi dipenda. I tépi calamitofi dāneggiano co carestie,
pestilézcguerre, terremuoti,c tempeste ; c queste non effens
20 [ocr errors] effendoci ora crà noi,come possono corbare il regolamento
della propria casa? Onde vedere, che dipende da noi', non da tempi ; dunque à
torto vi lagnate de'tempi ; essendo voi , non cfli l'origine della vostra
infelicità; e se poressero questi parlare , direbbero in loro dif colpa: voi ci
calunniare à torto, per ricoprire i vostri mancamenti; perche vi piace tale
modo di vivere, e vi dilet. ta, quanrunque ne moftriate un'appa. rente
rammarico. Sem. Si pratica oggidi fare diversa. mcate d' allora i
conviene accomodarli ai più : bisogna averci pazienza . Puh. Questo è un
pretesto peggiore i dell'antecedente; perche voi conoscere, che fate
male; ed avere la cognizione, che non facendolo fareste felice ; porche dunquc
lo fate , dipendendo da voi il farlo, ò non farlo? Ohcecità ! volere piuttosto
effere imitatore di chi voi conofcete; che faccia male, che di quellig che
operano bene; e poi, se voi dite che ci vuole pazićza,perche vi lagnate?
Som. [ocr errors][ocr errors] Sem. Operavano allora cutti in questa
forma? Pub. Io non andava cercando, se vi era caluno , il quale
diversamçare operaffe ; perche volendo prendere l'esempio da chi lo faceva ;
questi solamente rimiravo, per imitarlo. Mec. Sempronio mio, non vi
avanzate più oltre in questo, perche Publio. vi convincerà di vantaggio ; e vi
farà anche conoscere, che i vecchi non sono storditi, conforme alcuni credono;
efsendo che al parere di Plutarco;la mente in vecchiaja ringiovenisce.
Sem. Vi è altro trà le cose neceffarie. da fervarli uguaglianza ? Pub.
Nella ftatura ancora ci vuoly, se non totale uguaglianza, almeno proporzione ;
posciacche, se sarà la spora pigmea, ed il marito gigante , se ne avyodrà ella
ne'parti, ed in alere segrete occasioni ancora ; laonde à questo proposito
parlò Ovidio : Quàm malè inæquales veniunt ad aran tra juvenci,Tam premitur
magno conjuge nuptas minor. : Sem. Sarebbe dunque bene prendernc prima le
misure di ambidue per formarne una giusta pariglia. Pub. Non è ciò
necessario, nè conve. niente ; perche coll'occhio ancora fi può discernere la
notabile disuguaglia, za. Debbo ancora avertirvi , che li rim cerca la
proporzione de'beni di fortuna; ? perche se vi apparentaste con gence mi
lerabile, alla vostra casa coccherebbe il mantenerla: altrimenti non vi sarà
pace con vostra moglic; perche la vora rà soccorrere di nalcolto, sc non potrà
farlo palesemente. Sem. E la Nobiltà dee entrare ancora essa trà le cose
necessarie da ugu2 gliarli ? Pub. Questa uguaglianza non è ftia mata
essenziale , secondo il sentimcnto i di Platone, registrato nel tive del
suo Regno; ovcper teffere la tela della buo. na discendenza , cgli
procura di moa strare, non ricercarli cosa più effenzia, le [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] ke ne'maritaggi, che d’innestare le virtù
; per esempio, al temperamento forte unire il moderato : onde potendo questa
unione formarsi con inferiori di condizione ancora ; non si ricercheranno nè
ricchezze, nè poffanza, nè altre credute dal mondo vantaggiofe condizioni, per
tesserla a suo dovere ; come appunto lo fà contesfare à Socrates ; perche egli
considerava talc affare in ordine al bene univerfale , non particolare di
ciascuno ; persuadendosi, che congiungendoli in tale forma , fi potesfc porre
il mondo in migliore consonanza. Ed in conferma di questo, cade in acconcio la
bella concione , fatta dawa Camulejo Tribuno della plebe l'anno 310. ab Urbe
condita, la quale viene riferita da Livio; e dimostra questa con vive ragioni
tutti quei vantaggi, che possono apportare i maritaggi scambie. voli trà
nobili, c plebei alla Republica. Io però mi persuado , che più decoroso fia,
secondo l'apparenza del Mondo, fceglierla non plebca. Mec. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Voi dice benc , Publio ; malo
colla nobiltà fosse unito il mal costume scegliere te forte piuttosto una
Meffalina, che una ben'educara, c prudente plebea per vostra consorte?
Pub. Questo poi nò ; perche in tale caso mi perfuado minor caccia, porerne
ricevere, sposando una plebea , la quale col suo buon costume,.c fenno, in
brieve tempo fi farebbe conoscere non dissomigliante à quelle nate nobili;
doveche la nobile mal’educata , e viziola, degenerarebbe in plebea fenza fallo.
Mer. Vedete dunque, che la sola nobiltà non dee attendersi, mentre voi medesimo
la posponere al buon coftu. Sem. Vi sono esempj di nobili savj, che
abbiano sposate giovani ignobili? Pub, Molcillimi. Vifu Teodofio lin.
peratore , il quale antepose la figliuola di un povero Filofofo à cutte le più
nobili, riconoscendola meritevole di tale grandezza , per la fua buona
educazioac. Ed Abramo che desiderò, volen do [ocr errors] 1
70 me. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] do prendere moglie?
Uditelo das. Ambrogio : Difce quid in uxore queratur : "Non aurum , non
argentam quafivis Abraham, non poffiones , fedt gratiam bons indolis : lib.i.
de Abr. cap.9. Sem. Nella bellezza, ò deformità fi dovrà cercare
proporzione? Pub. Qualche forta sarà bene di procurarla ; perche , fe
diforme sarà il inarito , c bella la moglie, dirà ogni rivale, ammirato di
questo; con Virgilio : Mopfo Nisa datur , quid non fperemus amantes! !
Oltre di che in un continuo tormento di gelosia fi ponc, chi la prende éon fimile
disuguaglianza; e tanto maggiormente , dicendo Giovenale : Rara eft
concordia forma, • Atque pudicitia. 21 che viene anche confermato dal Petrarca
in tal guifa : Due gran nemiche erano insieme ago gionte: Bellezza,
ed'oneftade Oltre di che poi [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Fastus
ineft pulcbris, fequitur superbiaus formam . Sem. Nelle ricchezze
fi dee cercare od uguaglianza? Pub: Quella appunto , che fu detta i
dell'ecà , cioè, che sem pre fiano ad una certa proporzione inferiori
quelle della cala, con cui volete apparentarvi,perche, come disse ben Marziale
: Inferior Matrona fuo fit, Prifce marito, 4 Non aliter fiunt
femina,virque pares.. Sem. Sc uno volcffe prendere moglic in lontani
paesi, e di diversi linguaggi, indurrebbe questo disuguaglianza alcuna ?
Pub. Forse che si, quando non s'incontrasse donna di gran fenno ; perche il
costume , e modo di vivere differenti, prima, che si accomodino a quelli, che
troveranno , possono fare nafcere molti diffapori ; se pure potranno mai uniformarli;
come ne dubitano Emilio Probo : Non cadem omnibus funt honefta atque turpia ,
fed omnia majorum inftitusis, judicant ; nemaque nibil rectum puosat, nifi quod
patriæ moribus convenit. Ed Ovidio così canto: Nefcio que nasale folum
dulcedine cun stos Ducit , immemores non finit effe fui. Beo'è vero però,
che in quei luoghi, fe Veducazione delle giovani fosse mi gliore di
quella del vostro paese, forse che potrebbe questa accrescere vantaggio a
voi. Sem. Se il marito farà dotto, indur. rà disuguagliáza l'effere la
moglie ignorante Pub. Anzi più tolo disuguaglianzas apporterebbc , fe
fosse dotta, ed erudi-$perche come vuole Giovenale ; Non habeat matrona , tibi
qua junctae recumbit Dicendi genus , aut curtum fermones rotatum.
Torqueat enthimema, nec biftorias soins ? omnes, Sed quædam ex libris, non
intelli. Ed udite, come dice l'Ecclesiastico di ques [merged
small][ocr errors] queste al 28. Lingua tertia mulieres vin ratas ejecit, o
privavit illas laboribus fuis ; Qui respicit illam non babebis rea quiem , nec
habebit amicum in quo requieJoar. Mec: Posso a questo proposito riferire
ciò, che è accaduto a tempi noftri. Vi tù un dotto Jurisconsulto, che aveva una
sua figliuola, e volle addottrinarla nelle materie legali,cd avendo acquistato
detta giovane molta perizia in esso le convennc,morto il padre,
prédere,inarito, e si trovò la povera giovane talniente confusa nelle faccende
domestiche, che si pentiva grādemente di avere applicato allo studio, dicendo:
che mi serve ora di sapere le leggi, non avendo įmparato quello, che mi
conviene fapele per governare la casa? Sem. Già fu parlato della
uguaglian. za, o proporzione , ch'essere dee tra l'uomo , e la donna intorno
all'età ; ina se portasse la necessità , che un attempato unico della sua
famiglia dovesse prédere moglic, pornon lasciarla cftinguc: E [ocr
errors] re re, ditemi, Dottore , quale sarà l'età, se non proporzionata ,
almeno più fe. conda della donna, con cui dovesse con. giungersi Med.
Quella, nella quale più facilmente li concepisce, ch'è tra i venti, e li venticinque
anni. Sem. Orsù Mecenate risolviamoci ambidue a prendere moglie, potendo
ogn' uno di noi provedersela della medesima ctà, e non permettere , che la
vostra famiglia si illustre fi cftingua in voi. Mec. Credeva essermi già
bastantemente spiegato nella prima conferenza, ma voi non avete capito le mic
raggioni, tornando la seconda volta a configliarmi 'l medesimo, con mostrare
premura maggiore per la mia descendenza, che per me; onde vi torno a dire, che
nella mia età non è più convencvole lo aceafarli; dicendo Euripide :
Verùm fonecta jubet valere Cypridem, Et ipfa rursus senibus infensa est
venus. Quindi è, che Sofocle interrogato allorch'era già vecchio s'egli
esercitava [ocr errors] a più gli atti venerei : Iddio me ne guardi
diffe, che io mi sono guardato un pezzo fa da coresti, come da una impetuofa, e
violenta tirannide, Valerio Mallimo lo riferisce. Sem. Io ne domando
scusa, dichiza randomi non averlo detto a questo fi ne , Delidero ora
faperc i pregiudizj; EI che apportano ne' matrimonj le disus guaglianze; ed in
primo luogo ; fe faranno di genio differenti tra loro. Pub. Dice
Salomone: Melius eft habitars in terra deferia , quam cum mulieu rerixoja,
litigiofa; onde vi potrete i figurare di vedere la casa piena di con fufione,
ove regnano genj differenti; * pofciache ciocche vorrà il marito, ve
nendo ad essere disapprovato dalla mo glie, onon fi effettuerà, o per la
meno I in qualche parte verrà variato, e que Ito medelimo darà occafionc
à discordie perpetue tra effi , fe il marito non averà la prudenza di Giove ,
cui Giunone si opponeva sempre come vuoo le Omero,Dum moliuntur,dum
comitur annus est. Sem. Ed il rimedio per questo, quaEin le
farebbe? Pub. Lo diremo a suo tempo. . Sem. Ho conosciuto marici alti due
palmi più delle mogli, e il doppio più i grossi, ne da questa disuguaglianza ho
veduto seguirne inale alcuno. Med. Ed io ; che fon più vecchio di voi, ho
medicato più d'una di questo nel tempo, che stavano per partorire, ridotte a
termine di morte, per non poter dare alla luce i loro figliuoli, se non dopo
alcuni giorni , e coll'ajuto del Chirurgo, e di queste, alcune sono pei
rite. Succederà a quelle di avere parto felice che nella gravidanza
avendo fi avuta inappetenza grande, il feto si sarà poco nudrito; e
perciò rimanendo picciolo, questi non averà ftentato ran to nel uscir
fuori; o pure la cassa del o corpo della madre, con quanto è neces sario,
per rendere meno difficile il parto , sarà stato in queste proporzionato al
bisogno. Ma preventivamente alcu [ocr errors] ne di queste cose non
costumandoli ri. conoscere tra noi , conforme appresso alcuni popoli li faceva,
e perciò, per esimerki da tal pericolo, conviene riAeterle prima del
maritaggio, toccan. do questo a'padri di famiglia. sem. Sc un bel giovane
prendeffe per moglie una donna deformc , che male potrebbe ciò apportare?
Pub. Niuno, quando però foffe egli fodisfatto, e la donna fosse prudente, e non
l'avesse presa per cagione di grofsa dote; perche si farà quest'invaghito delle
sue rare qualità, ed averà egli facilmente appreso da Salomone ne' suoi
Proverbj, che: Fallax gratia , e vana eft pulcritudo : mulier timens dominum
ipfa laudabitur. Sem. E se il motivo di prenderla foffe Itata la
dote Mec. Seguendo per lo più simili deliderij in giovani , i quali
penuriano di beni di fortuna, la pace tra essi dyrerebbe lintanto, che la dote
foffe in picdi: mà appena consumata questa , allo. ra 1 [ocr
errors] racomincierebbero reciproche doglian. ef ze; quelle del marito
sarebbero, diri. trovarsi vicina la moglie deforme, e della donna di non
vedere più la sua dote, Caduceo di pace tra di loro. Sem. Dandosi però
vincolata , ciò non potrebbe seguire . Mec-Non si può ottenere questo in
limili disuguaglianze ; perche vogliono tali sposi libero il danaro, per
vincolarsi cili colla deformità della moglie, finche dura la doce. Sem.
Non so capire perche s'abbiad d'apparcntare con casc men facoliose ; perche
questo apporterà. svantaggio nella dote. Pub. Ma però quiere maggiore,
ove entrerà limile sposa; perche quella giovane , la qual’esce da una casa, ove
con gran laurezza viveva, difficilmente po trà acomodarli alla vostra,
ove 1101 i potrete con quel fasto trattarla ; onde da ciò ne nasceranno
amarezze continuc ; o pure (arece forzato , volendola consolare, ad impoverirvi
prestamente. E4 Sen. of [ocr errors] Sem. Il prendere
una moglie nata in paesi lontani potrebbe forse recare gran vantaggio ; perche
non avendo parenti vicini, sarebbe più ossequiosa al marito, nè lo disgusterebbe,
e ciò farebbe felicità grande. Pub. E voi credete, che 'l Padre fia sì
sciocco, che non penserà ancora di raccomandarla à chi lia d'autorità ,
acciocchè le assista in caso di bisogno? c quando avesse cgli difetrato in
questo, credere voi, che chi parte dal suo pae. sc, sia così insensata di non
sapere col suo ingegno trovare chi la protegga in un suo urgente bisogno? Qual
patrocinio cal volta sarà molto più autorevole; ed efficace di quello, potesse
ricevere da suoi congiunti: non v'invaghite di straniere, se non in caso, che
mancare sero donne del paese, ove voi dimorate. Mec. Sono andato più
volte rifectendo, che non sarebbe forse svantaggio lo sceglierla , non dico da
paesi remoti, ma da città convicine, e mi ha mosso que in questo
pensiero Giovenale, con dire Malo Venofinam , quam te Cornelia [ocr
errors][merged small] Grascorum , fi cum magnis virtutibus be affers
Grande supercilium, & numeras in dos be te sriumphos ; id Perche
queste riescono più docili, eve nendo in città più nobile, gradisco no ?:
quanto si fa loro, più delle proprie cita tadine, e fogliono ancora eslerc meno
dedite al luflo , Pub. Vi sono le sue difficultà in queste i .
ancora . Imperciocche Carone, con e tutto che fosse uomo sì faggio, quanti di
guai ebbe con la sua moglie Acrorias I Paola, quantunquc povera, e nata in ¿ un
villaggio ? fu questa superba, vio2 lenta , e debole di mente. Laonde a
tal propofito S. Girolamo lib. 1. in Joviniznum diffe; Nequis putet si
pauperem dy xerit fatis fe concordie providili &c. E bij maggiormēte
ora che il lusso ha polto il piede da per tutto; ne crediare che vorranno
vestirc con minore pompa delle E 2 Fu [ocr errors] Junonem autem
non adeo accuso, neque irafcor, Semper enim mihi consueta eft
impedire quidquid intelligo, Sem. Ma quale rimedio ci sarebbe in questo
caso per fuggire le discordie? Pub. Conoscendo' voi il costume di vostra
moglie, che sia di contradirvi, come espresse Terenzio, Novi ingenium
mulierum Nolunt ubi velis, ubi nolis Cupiunt ultro. In questo
caso ordinate tutto l'opposto di ciò, che bramare, per esser ubbidi
to. : Sem. E se avesse poco fervore nellas pictà, e trascurassc alquanto
gli affari domestici, scorgendo quancunque suo marito attcntiffimo a
tutto? Pub. Sarebbe segno, che avesse altre cole, credute da essa di
premuras maggiore di queste , che le andasse. ro per la mente; perche non si
trascurano affari si rilevanti, se non da quel. le, di cui disse Terenzio
;ciccadine, se non s'incontrerà in savie, c prudenti. Sem. Mi piacerebbe
di avere una moglie, la quale mi sollevasse con qualche storietta ; perche
dunque il fatirico dice: Nec historias feiat omnes? Pub. Perche, con
sapere le donne molte storie, essendo cosa facile il poterG abusare di qualcuna
di esse, niun vantaggio vi apporterebbe ; e sappiate che ci sono libri molto
lascivi, i quali non comple in conto alcuno, che da esse si leggano,
confessando tal verità Ovidio medesimo quantunque fosse impudico, con dire :
Eloquar invitus, teneros no tange poetas , Summoveo dores impius ipfe
meas . Callimacum fugito non eft inimicus e mori, Er cum Callimaco tu
quoque Coe noces . Carmina quis potuit tutò legifeTibulli ? Veltua, cujus Opus
, Cintia fola fuit ? Quis potuit lecto durus difcedere Gallo? Er mea, nefcio
quid, carmina tale fo E [ocr errors] [ocr errors] E poi due cose
non si possono fare: die vertirsi nel leggere, e reggere la casas; e
dovendo a voi premere la secondands ( conviene ch'essa abbandoni la prima ;
¢ sappiate, che Giovenale dice a questo proposito Quis ferat
uxorem,cui conftent omania? Mer. Plutarco però dice, che sarebbe di
profitto al marito d'istruire la mo* glie nella geometria, ed in alire cores o
dottrinali, ed onoratissime ; perches ď allora si spoglierebbe affatto delle
leg. gierezze, e vanirà de pensieri , e si aAterrebbe dal danzarc,
Pub. Che la moglie s'istruisca nei buoni documenti morali, e di pietà da mariti
è cosa ucile, e lodevole; maw, che s'impieghi ad apprendere la geomei
tria , quando fi trovare inadre di più fi: gliuoli, non so come le
potesse riuscire avendoli d'intorno , per lo strepito ch' delli fanno ;
se poi fi allontanaffe da elli , ecco che l'educazione loro anderebbe a
male. Sarebbe ciò solamente tollera. bile in una donna itcrile, avendo
servis tà tù sì buona, della quale si potesse ad chiusi occhi fidare,
per divertirsi con tale scienza, c passare la noja che le recherebbe il
trovarsi senza figliuoli; per altro se abbiamo d'aspettare , che las geometria
tolga la yanità donnesca, regnerà questo difetto per sempre nelle donne : e poi
la mia moglie, che nulla sa di geometria, odia la vanità, ed i balli; dunque
possono fuggire detti vizi quelle ancora, che non sono geome tre.
Sem. Vorrei sapere distintamente, che cosa fia questo matrimonio ; perche
dovendomi accasare bramo di esserne informato, per non operare alla cieca in
così rilevante materia ? Mec. L'udirete da me nella venturas
conferenza. CON [merged small][ocr errors][ocr errors] Sopra gli
antichi costumi , praticati apprello alcuni Popoli per la
generazione; e se sia più vantaggioso lo scoprire scambievolmente i proprj
corporali difetti , prima di sposarsi, o l'occultarli..
Mecenate, Sempronio ; Publio e Medico. i Mec. On mi ftéderò
molto nel riferirvilan. tichissima libertà de? Greci, nè tampoco
l'incestuoli modi de' Persiani, praticati ne gli atti conjugali, per non
contaminare le vostre orecchie; mentre i primi a guisa di bestie
moltiplicavano, conoscendo i figliuoli solamen te te le loro madri,
comme scrisse Tzetzes Iftorico Gracorum priùs mulieres per Greciam,
Non quemadmodum nunc , conjungebantur legitimis viris, Sed inftar
jumentorum mifcebantur omnibus volentibus ; Erant igitur unius naturæ
tunc filii , Sobas agnofcentes matres , non patres, Ed i secondi
non avevano orrore di esse. re figliuoli, c mariti, come riferisce Catullo,
Nafcatur magus ex Gelli, matrique nefando Conjugio , con discat Persicum
aruspi cium , Nam Magus ex matre, donato gigne tur oportet
i Si vera eft Perfarum impia religio. Sem. Ma il Cielo
lasciava impunici fi effecrandi delitti Mec. Non già; perche, come si ricaya
dal fudecco Tzetze furono mediante il diluvio puniti, dicendo egli in
appreffo.a Poft illud , quod in Ogygis tempore inci. dit
diluvium , Cecrops acceffit ad Aibenas Gracia, Has Ashenas cū
vocaffet ex Soi Ægypti, Cum multis aliis rebus commoda vis
Gracia; Tùm lege conftituit mulieribus nuptias 5 legitimas, 1M Ex
quibus filii cognoverunt duos pa rentes. Anzi per farvi conolcere ,
che la natura stessa abborrisce l'incestuosi connubj, vi posso apportare molci
csempj de bruti, tra quali, non solamente il camelo lo ha in orrore, uno de'
quali ammazzò il suo cuftode , che lo ingannò a coprire la madre, appena
avvedutofene , coine riferiscono Aristocile , ed Eliano ; ma Plinio ancora
racconta, che nellad campagna di Rieti vna cavalla avvedu tasi di questo,
immediatamente si prei cipitasse, e Varrone fcriffe, che un ca vallo per
la medesima cagione faceffe tale impeto contro il suo armétiero, che
l'uccidcffe:e dell'elefante raccora il me deliof desimo avvenimento
Nicolò Lirense. Sem. Ma come faceano a riconoscersi i figliuoli da'
Padri,avendoli cosi confufamente generaci . ; Pub. Appreffo alcuni Popoli,
allorche i figliuoli aveano compito il quinto anno, quei, che più li
assomigliavano a gl’incerti padri, erano tenuti da essi per loro figliuoli;
come racconta Stob. Ser. 42. Sem. Quanto è stato peggiore il mondo in
quei tempi di quello fia oggidi ! Mec. Se voi sapeste il rimanente, ftu.
pirere anche di vantaggio. Sem. Eche, vi sono state altre scelleratezze
ancora? Mac. Contentatevi di non udire altro per ora ; e lasciate simili
notizie , per quando farete più proveito : passiamo aderlo a' tempi incno
infelici. Ristabilito, che fu il matrimonio, s'introduffe da alcuni popoli il
contratto della vendita delle loro figliuole, cioè da' Greci, Traci; Aliri,
Arabi, Indiani, ed al, tri, come da Tiraquello nelle sue leggi COS
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] · conjugali si
racconta, e Sofocle intro- o duce le donne, che cosi favellano fo-
pra dició: Ubi verò ad pubertatem
hilares perve- nimus Pellimur foras, atque
divendimur Procul à Diis patriis, a parentibus, Alia quidem
peregrinis, alia barbaris. De' quali parlando Pomponio Mela riferisce, che:
proba , formof&que in pretio erant . Sem. In quei tempi saranno stati
con: ienti i padri, nascendo loro figliuole , e non già mesti, conforme ora
sono, che debbono dotarle, mercecch'essi al-, Jora ne ricevevano utile
grande; oltre I di che saranno state anche molto più cu stodire queste
mogli a caro prezzo com* prate di quello si faccia ora, ch'effe b con grosse
doti comprano noi; poiche offervo, che se un cavallo ci costa molK to,
abbiamo somma premura di esso. Mec. L'interessati padri può effere, di
che lo faceffero, ma non già i buoni, che le amavano, e perciò
riflettevano, F [ocr errors] ancora, che se non portavano dote le
loro figliuole, non acquistavano, ovc foffero entrate, dominio alcuno. Ele
mogli fi ftimano c rispettano ancor adeffo da giusti, e saggi mariti , per
questa modelima cagione ; e poi quelle, che portano grosse doci fanno ben farli
portare rispetto anche da’mariri non favj , dicendo Giovenale : Intolerabiliùs
nibil eft, quam fæmina dives. Dicendo ancora Cleobulo appreffo Stobeo: Si
babebis uxorem ditiorem , aut nobiliorem, dominos habebis , non affines. In
oltre si costumava da altre nazioni ancora comprarsi dalle mogli i mariti;
conforme fi ricava da Virgilio; Teque fibi generū Thethis emas omnibus
undis. E Boetio, nel lib.z. de Commenti alla topica di Cicerone, così parla.
Tribus modis uxor habebatur,usu,farre, & coemptione ; fed confarreatio
folis Ponsificibas conveniebat; quæ autem in mamum per coemprionem conveperat ,
hæc [merged small][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
mater familias vocabatur &c.; Sem. Si è costumato in alcun tempo, che
non fa corsa tra contracnci dote ale cuna ne’inaricaggi? Mec. Nelle leggi
di Solone, Licur. go, e di Platone fu stabilito questo ; ben è vero però, che
la sperienza has fatto conoscere, che fuccedevano più di rado i matrimonj , per
non effervi il suo fuflidio dotale ; essendocche pochi vi erano', che
volessero soccomettersi al grave pero di essi, senza il follievo della dote;
onde vedendoli dan ciò risultare notabile danno alla Republica , la prudenza
Romana ftabilì con leggi le doti,da consegnarsi alle figliuole , per sostentare
non solamente li peli del matrimonio, ma per allettare maggiormente ancora,
mediante effe, gl uomini a prender moglie, come disse il Satirico, Veniunt à
dote sagitsa . Pub. Erano certamente troppo pregiudiziali fimili leggi,
dalle quali lcfcludevano le dori; c perciò Aristotilo discordò dall'opinione
del suo Macftro Platonc provando ne' suoi Problemi , che fia cosa obbrobriosa
prendere moglie indotata ; e che sia anche gran pazzia di colui , che lo facefle
, dovendo egli riflettere al peso, che se gli accresce: onde sopra di ciò
interrogato Anafsandro, cgli 'rispose ; che sarebbe divenuto servo certamente
colui il quale bisognoso prendeva moglie indotata; perche in vece di se solo,
dovea alimentare più persone. Quindi è, che con somma prudenza fu risoluto nel
Concilio Arelatcose; che non si dovesse fare matrimonio alcuno senza dotc ,
como riferisce il Fontanella. Sem. E' stato costumato da nazione alcuna
il prendere più d'una moglie nel medesimo tempo ? Mec. Anzi tuttavia
dagl'infedeli fi pratica ; ben è vero però, che tra eli le mogli sono trattate
, come schiave , tenendosi racchiuse , e guai a voi, Sempronio, se vi fosse
permesso più di unas moglie , allora vedreste in che travagli maggiori vi
porrebbero le donne , che go [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
godono la libertà, ond'è stato fantisfimo il provedimento , che unica fia la
conforte. Sem. E da chi ebbe origine, questo matrimonio in fimile
forma? Pub. Dal grande Iddio ; posciacche, crcato Adamo, formò Eva, e
glicla died'egli medesimo per conforte; onde ad iinitazione di questo gran
matrimonio dce ogni fedele contentarsi di una's fola compagna, e di rispettarla
ancora, conforme fece il primo marito, il quza le allorche la ricevette per sua
sposas, così disse : Hoc nunc os ex ossibus meis, caro de carne mea , hæc
vocabitur virago, quoniam de viro fumpta eft : quamobrem relinquer homo patrem
fuum, a matrem, adbarebit uxori suæ, derunt duo in carne una; e da ciò
comprendere, quale ftima li debba fare della propria moglie. Sem. Ma
tornando alle doti, queste da principio in che quantità furono ftabilire ? Mer,
Non fu allora ciò determinaco, ben [merged small][merged small][ocr
errors] F 3 ben è vero però, che in appresso, essendo divenute ecceffive,
furono stabilite in una certa quantità, secondo le condizioni delle persone ;.
e particolarmçate nei domini, ben regolati. Sem. E questo viene
offervato? Mec. Qualche volta, ma non sempre; fentendosi assegnate a
caluni in fommas più considerabile degl'altri,quantunque fiano della medesima
condizione Pub. Mi piacerebbe lo stabilimento fiffo , secondo lo fato
delle persone, ma da che proviene questa inosservanza? Mec. Dal lusso
accresciuto, il quale effendosi anch'esso posto tra le spese necessarie per il
sostentamento matrimoniale, viene anche considerato per tale da chi dee
accasarsi ; e perciò dice, tanta dote io voglio , per pocer fare quello, che si
costuma dagl'altri. Pub. Qnando io preli moglie, e per qualche cempo in
appreffo , & contentava ogn’uno di ricevere competente dore; perche questo
lusso di oggidi non non vi era. More [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Mec. A tempo ancora, che vivevas Gnco Scipione, le doti parimente erano
molto proporzionate al vivere di allora , ascendendo la più pingue, quale ebbe
Magulia, che fu chiamata las dotata, a cinquecento mila affi, come riferisce
Valerio Maffimo. Sem. Non erano dunque si tenui les doti ascendendo a
tanta somma. Mec. Avvertite Sempronio, che gli affi non erano già scudi; ma
solamente ogo’uno di essi arrivava appena al valore di quattro de' noftri
quattrini di rame; onde turci icinquecento mila afli formavano la somma di
circa quattro milas fcudi de' noftri; e poi le più frequenti erano di dieci
mila asli, come ebbe Tacia figliuola di Cesone , il quale non era ignobile, e
cal somma appena ascendeva a scudi ottanta, Sem. Ma da che proveniva, che
corressero doti si tenui in quei tempi ? Mec. Non da altro, che dal non
efservi lusso, Sem. Ma perche non si pone dal Prin cipe [ocr
errors][merged small] F4 cipe sopra di ciò la prammatica ? Pub.
Perche aon ci è bisogno in queIto della sua autorità. Sem. Come non ci è
bisogno? Pub. Ditemi, Sempronio, se voi poteste senza l'autorica del
Principe far cosa, che fosse anche di sua fodisfazione, vi sarebbe bisogno
della sua autorità per farla? Sem. Non ci sarebbe certamente di uopo di
essa. Pub. Or ditemi, s'è in voftra libertà, nel farvi un'abito ,
spenderci 50. ò pur 100. scudi , ed in una carrozzas 500.Ò 1000. in questo vi
astringerà forfc il Principe alla spesa maggiore? Sem. Certamente, che
no; Pub. Perche dunque non lo fate confiftendo in qưesto la prammatica
? Sem. Perche gl'altri non costumano di farlo. Pub. Or dunque
domandate a questi, che pongano efl'la prammatica, non al Principe, il quale
non comanda, che fi ecceda gel lufto,Mec. A questo proposito essendo ftato
supplicato Tiberio , a porre moderazione all'eccellivo lusso, che correvad in
quel tempo, egli negò apertamente di farlo, dicendo come riferisce Tacito:
Pauperes neceffitas, divites fatietas, Nos pudor in melius muter; onde da ciò
comprendete , che noi siamo i padroni di prendere quelle misure, che più ci
aggradano nei nostri trattamenti ; & udite da Tacito medesimo, come mai lo
espresse al vivo nel secondo de' suoi Annali: Cur ergò olim parfimonia
pollebat? Quia sibi quisque moderabatur : non ritrovandoli Gneo Fabrizio, e
Quinto Emilio, che un tondino, ed una saliera di argento, per servirsene nei
sagriticj; per altro tenevano da se lontano ogni luflo , conforme fecero ancora
i Publicoli, i Curj, i Scauri, & altri valoroG uomini, i di cui pensieri
non si aggi. rayano già intorno alle ricchezze, ma bensi agli onorevoli
Consolati alle me. ravigliose Dittature, ed ai Trionfi , per çimagcre immortali
nella pofterità: cos me [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] me riferisce Valerio Malimo : Sem. Hò capito a bastanza, e
conofco, che il mancamento viene da noi. Notificatemi ora, Dottore , quali sono
questi difetti corporali delle donne, i quali voi meglio degli altri
conoscerere: Med. Non posso servirvi in ciò, ele sendo che quanto sò di
occulco, non, debbo palesarlo. Mec. Il Dottore è compatibile in questo,
perche s'entrasse egli in disgrazia delle donne, potrebbe dire di aver finito
di fare il Medico; imperciocche, comincierebbero queste a dire, che tutti di
suoi infermi muojono, e perciò sias sfortunatissimo nel medicare, e di
vantaggio sia un vecchio stordito, che non sappia ove si abbia la testa; e
sapere purc, che queste muovono gl'animi colla loro eloquenza più di Demostene;
onde lo porrebbero in una totale defiftimazione, non facendoli scrupulo alcuno
di far ciò quanrunque fosse di pregiudizin grande a professori, il dicui merito
effe non sanno conoscere, per vedersi [ocr errors] [ocr errors][ocr errors]
da effe anteporfi gl'adulatori a questi. Med. Non è questo il motivo, che
mi ritarda il palesarli, ma bensì, l'avere io qualche segreto di cal’una, che
si trova con qualche imperfezione, onde non vorrei , che mi credesse manca.
core di fede , figurandofi, parlaffi di lei: per altro, non mi ritarderebbe già
di farlo quello, che voi avete accennato; perche, se dicessero mal di me,
diverrei Medico fortunato, essendo che non me . dicando , non mi potrebbe
morire alcuno, e per questo riposo ancora goderebbe la mia mente tranquillità
maggio [ocr errors][ocr errors] re. Mec. Queste sono belle
rifleffioni, ma - però ad ogn'uno piace l'effere adopera to, e questo
senza protezione difficile mente si conseguisce. Med. Piacerebbe a me
ancora quan. do ciò non distruggeffe il mio indivi. duo ; e cercherei
ancor io queste pro- tezioni, quando accrescessero dotčrina ; ma non
potendo le stelle cramandare i quci benigai inguda, ch'effe non hanno
onde onde per tal cagione mi persuado, che queste ancora non potranno
addottrinare. Voi conoscere il mio naturale ; di grazia non diciamo
altro. Sem. Se non diremo altro, non termineremo la nostra conferenza, ed
io rimarrò senza essere istruito. Mer. Vi consolerò io , ch'essendo già
vecchio, niū fastidio mi prédo delle doglianze feminili, non curandofi esse più
trattare meco. Vi persuaderete forse, Sepronio, che tali difetti personali
occulti sieno cose grandi , essendo, che il Dottore ricusò palesarveli? questi
non sono altro, per quanto mi vado immaginando, che un poco digobba, la quale
viene ben uguagliata da buftini ripieni nella parte mancante . Sono qualche
palmo di giunta ne'calcagni, per potere coparire al par delle altre ; qualche
piaghetta,ò fistola occulta,o ferore di naso, ò di bocca ; ò pure altro
impedimento, mediante il quale si rendono infeconde: Ma non crediate già, che
tutte le donge abbiano fimili imperfezioni , effen, do [ocr errors]
do solamente alcune poche queste così imperfette. Pub.
E' certamente curioso quel caso riferito a tal proposito da San Vincenzo
Ferrerio nei suoi fermoni. Aveva un giovane sposato una donna , la
quale gli parea di giusta ftatura , rimase poi cgli quando la vide
porsi a letto manca- ta in un momento per metà. Dubito da
principio, che gli fosse stata cambiata, mà miratala bene in viso, si
avvide effe. re la medesima , onde stimò bene dirle, cosa avesse
fatto dell'altra metà della sua persona ; l'accorta non fece altro
, che mostrargli le sue pianelle, ò tram- pani per la loro
grandezza, che appun- to allora si era cavati, i quali non erano
inferiori all'altezza della base di una co- longa. Sem. Fra
tutte l'accennate imperfec zioni, niuna mi darebbe maggior faItidio del fecore
del nalo, ò della bocca ; perche io, che sono dilicato, non potrete credere ,
che avversione ciò mi recherebbe; onde di questo , prima difpofarla, voglio
ben'accertarmi in vicinanza tale, che possa scoprirlo io medefimo. Pub. E
che ? forse temete, udendolo per relazione altrui, d'incontrare las bontà di
quelle donne, che redarguite, perche non avessero palesato il fetore della
bocca de loro mariti, effe rispofero ; che credevano , che tutti gl'uomini
odorassero in quella forma? D.Hier. in Jovin. Sem. Come si potrebbe fare
per isco. prire quefti difetti corporali occulti? Mec. Doverebbero
palesarsi reciprocamente alla prima, altrimenti, essen. do il matrimonio un
contratto, vi farebbe inganno, ciò non facendosi : E fe nei contratti delle
compre de' schiavi, ò cavalli, quando la frode fi scuopre, esli si possono
riscindere, così mi persuado, che sia in questo, cadendo-yil'inganno in cose
essenziali alla fecon- N dità; oltre poi, quando non si poteffc riscindere ,
quante occasioni daranno di perpetui disturbi tra di effi fimili diferti.
Sem, [ocr errors][ocr errors] 3 Sem. Şi è dato mai il caso, che
siang palesati questi prima delle nozze? Mec. Molti esempj ci sono, e tra
gli alori, quello di Crate Filosofo Teba. no, cui portando grand'amore
Hipparchia, la quale aveva non inferior genio col Filosofo , che colla sua doctrina
, onde richiedendolo per marito, che, fece egli ? si scoprì il dorso,
cmostrolle la sua gibbosità; e di poi posto in terra il maorello, bastone, e
tasca , che 2veva, le disse: Signora, queste sono tutte le mie supellectili, la
mia defor mirà già l'avete veduta, onde considerate seriamente ciò, che fare
per non. avervene a pentire . La saggia donnarei plicogli, che aveva già
sufficientemen te proveduto ogni bisognevole, e confiderata ogn'altra
cosa, e perciò credeva, che più bello di lui, e più ricco non fosse nato al
mondo; onde che l'avesse pure condotta dove voleva , come sua moglie . Ed il
simile fece ancora nel discoprire la sua gibbofità il Padre di Sergio Galba a
Livia Occellina Daman mol per mo molto ricca, è bella, per
non ingannarla. Sem. Bisogna, che queste non credersero deformità
svantaggiosa la gobbas de’loro mariti , perche hò osservato i figliuoli di
cocefti molto diritti , e belli; mà vorrei sentir riferire qualche caso di
donna, che avesse scoperto all'uomo i suoi difetti. Pub. Vi fu una
giovane bellissima amata teneramente da un Gentiluomo, il quale avédola farta
chiedere glie , fi scusò ella di non poterlo compiacere, onde da simile ripulsa
s'accese di desiderio maggiore , per averlas; mà che fece la savia giovane,
vedendo , ch'egli non defifteva ? gli fe intendere, che lei medesima gli
averebbe palefata la cagione, per la quale ritardava di condescendere alle sue
brame, e c011"certato il luogo , ed abboccatisi insienie gli scoprì il suo
petto , e felli vedere un canchero , ch'aveva in una zinna, dicendogli,Signore,
questa carne, ch'è incominciata ad incadavcrirli voi amato [ocr
errors][ocr errors] ta [ocr errors][ocr errors][ocr errors] canto! Rinase
egli confuso nel rimira, re tale spettacolo, il quale frenò in gran parte
quell'ardente amore, che le portava's desistendo in avvenire di farla più
importunare. Sem. lo credea , che le donne non fossero facili a scoprire
i loro difetti, sarauno però rari questi esempi : Mec. Il simile credo
anch'io, e da ciò facilmente oasceranno molte contese cra mariti, e mogli ,
d'onde provengono i divorzj, e fe li palesaffero alla prima scambievolmente i
loro difetti, forfe che non seguirebbero; posciache essendune ainbidue
consapevoli, non li pom trebbero allora dolere, se non di loro medefimi.
Sem. Perche non si potrebbero fare ri. conoscere ambidue prima del matrimos nio
per meglio accertarsene? M26. Questo ripiego fu disapprovato, quantunque
lo aveffe proposto Platone; onde che fi dirà apportandolo you?' Evi pare, che
l'oneltà lo debba permettere? Appena le leggi Romane antiche tolle.
G [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr
errors] 98 Conf. 4. Dec. prima il rarono una tale ricognizione nell'uomo,
proibendola efprenainente nelle donne: e re Platone aveffe osservato cioccheri
feriscono Plinio, e Solino, che i cadaveri delle donne galleggiano sù l'ondes
con il ventre all'ingiù, e degli uomini all'opposto, cercamente, che averebbe
appreso dalla natura il documento di doverte, trattare con maggior onestà,
vedendoli naduralmente risplendere un non fo che di modestia in eile, anche
dopo morte. 1. Pub. A questo propofito lessi in Plufarco, con mią grande
ammirazione, ciocch'egli racconta di quelle Vergini Milelie, le quali ,
divenute pazze a cagione d'influenza peftifera,che ivi vagava, erano forzate
dal loro delirio a morire appiccare, e questi spectacoli giornalmente fi
trimiravano nella Città di Mileto ; fenza che le preghiere, e le dagrimé de'
genitori potessero impedirli; solamente il contiglio di un Savio porè
rimuoverlig. e fu di procurare con decreto del Senato, che tutte quelle,che si
sospendessero in avvenire , forfero esposte nude in nezo alla piazza a vita di
ogniiuno:Indusfe nella fancatia di cucina te le giovani tale spavento, ufc4to
sopra di ciò l'editto, che manco affatto Porrido fpettacoto, aftenendoli
age'unas in avvenire di farlo ; perche concerioz per cola assai peggiore
perfere veduta ignuda , benche morta, che vestica ap. piccata . Med. Due
altri fatti poffo riferire anch'io di donne savie : Polisena fu unas di queste,
di cui così ne parla Euripi de, At illa jam moriens tamen
Multum providit , ut honeftè caderet . Celaretque', que celare oculos
virorum oportet i Ed Ovidio ancora, nelle sue Metamor, foli, così
dice della medesima , Tunc quoque cura fuis partes velare, pudendas Cum
caderet , castique decus fervare; pudoris ; E l'altra fu Olimpia madre di
Alessan dro il Grande , che trovandoli proffiina alla morte, con i propri
capelli, e vefti ricopriva ciocche l'onestà non permetteva - Acimirasle
scoperto . Sem. E chc G farà delle belle, delle ricche, e delle brutte, e
povere ancora , come troveranno queste marito? Mes, L'udirete in
appreso. [ocr errors][ocr errors][merged small] [ocr errors][merged
small] [ocr errors] Nella quale si mostra, in che modo si maritino le
belle, le ricche, e le deformi quantunque povere.
Mecenast , Sempronio , Publio , & Medico. Mec. A lunga
sperienzando che hò del mondo, grá cose mi ha fatto conoscere intorno
a_matrimonjoli qua, li per essere contracti, come fu detto, hò scoperto
in effi ancora i suoi scnsali , conforme fono negli alori trafichi. In quei
fatti a doves re de quali già parlammo hò offervato sempre mezana la Prudenza,
la le non già di approveccia di alcuna fensaria per se medesima, come
sogliono qua, praticare gli altri sensali dc' matrimo. nj.
Sem. Quali sono questi altri? Meci Amore , l' Ambizione, e las
Bugia. Sem. Che fofle Amore sensale Ò, 'mezano de' natrimonj' lo sapevo
anch? io; ma questi alori mi giungono nuovi; e come mai l'Ambizionc potià
trattare i matrimoni? Mec. Vi sarà una giovane brutta ral. volca , e
povera , c perciò Amore l'averà abbandonata'; ma perche si trove rà umfratello,
che si potrebbe avanzare nelle armi, ò nelle letrere, che farà l'Ambizione? li
metterà a trattare il di lei matrimonio, e con motivi si efficaci darà ad
intendere , che da quel mari. taggio, ne risulteranno vantaggi tali a prò di
quel giovane, cui la propong, che lo porranno in grandezze, edonorificenze
molto considerabili in breves tempo - Sem. Ma non li avvede, ch'ella è de
forme Mero Mec. In questo l'Ambizione s'inge. gnerà di non
fargliela comparire tanto brocca con mostrarli, che ci sono tante più deformi
di effe, le quali pure hanno trovato marito; e di poi gli caricherà tanto le
specie dell'apparence bene futuro, che arriverà ancora , quantunque. fyfle
brutiifiina a fargliela comparire vaga a segno, che lo farà divenire diella
amante. Sem. Ma questi sarà impazzito, se non diftinguerà ciocche a leoli
esteriori si fa palese. Mec. Credere forse voi,che solamen. ce Amore
faccia impazzire gli Orlandi? l'Ambizione ancora è capace di farlo; e questa
appunto è la sensaria, ch'ella brama: cioè di vedere fuori de'suoi sen. rimenti
anche gli uomini savj, e talvol? ta quelli ancora , che si stimavano capaci di
dare ottimi consigli ad altri. Sem, Ed Ainore, che fensaria ritraer da?
suoi maritaggi? Mes. Non altra ; che di vederli in brieve tra di loro
disgustati, essenda,che come si luol dire per proverbio; chi per amore si
prende, per rabbia li lascia. Sem. Ela Prudenza , che ne ritrae di
sensaria? Mec. Di vederli con perfecta pace tra elli, di sentirli dire
con Aufonio trai di loro : Uxor vivamus , quod viximus', dove teneamus,
Nomina, qua primo fumpfimus in than)lamo : Nec ferat ulla dies, ut
commutemur in Ævo, Quin juvenis tibi fim, tuque
puellas mibi. Sem. Questa per verità è un'ottima fenfaria, che
volentieri si può pagare da curti,e con fomino diletro.Ma palliamo ora
all’Avarizia ; com’enera questa nei matrimoni, vedendosi introdottas oggidi
tanta pompa , e splendidezza in elli , che pajono più costo trattari', u
regolati dalla prodigalirà sua nemica. Mec. Cosi non ci cotraffe: :
vedrete una giovane non solamenté bructa, ma [ocr errors][merged small]
anche mal sana , ricca però affai: e chi mai [poserebbe questa , con cucce le
sue ricchezze, se l'Avarizia non trattasse il suo parenrado ? Sem. E come
mai ella opera ? Mer. Si porrà d'intorno ad un bel giovane, ma povero , e
gl'infinuerà, che quel partito potrebbe farlo divenia re molto riccbi e gli
riempirà la testad fcema, che si ritrova, di molte, ei molte migliaja di scudi;
dicendogli , che potrà allora godere, e stare allegramente; e susurrandogli
qualche altra cosecca di più alle orecchie, lo farà fare in tutto, e per tutto
a suo modo; fenza che gli amici lo possano più rimuovere con tutta la rectorica
di Cicerone, e l'energia di Demostene. Sem. Questi ancora mi sembra un
paz-s zo. Ben è vero però, ch'è caso raro , effendoci fatto divenire
dall'Avarizia i posciache i suoi seguaci non buttando il loro non sono tenuti
pazzi; conformea potrà contestare il Dottore', che conos sce, che cosa fja
pazzia, Mede [ocr errors] Med. Cilono però diverse specie di questo
male; laonde se non sono di quefta fpecie di di:Sipare il loro gli Avari sa-,
ranno di qualche altra; mentre alcuni di essi, per non ispropriarli del danaro
, divengono tiranni di se medefimi i ed inoltre, quanti Avari vi sono stati,
che per leggiere cagioni hanno dato la morce a se incdelimi , e quetti di
riputere: voi forse savj? e tornando al caso proposto, à me pare, che per
avarizia coftui spreghi il meglio, che si ritrovas, ch'è appunto il fiore delli
suoi anni, spofando una donna mal fana, e brutta . ..Sem, Che sensaria mai può
guadagnare l'Avarizia in far questo? » Mer Ella spera di potere acquistare
tanti seguaci di più, quanti poveri arricchisce per questa via, essendoche
quando erano poveri, non potevano : cflere Avari, perche non avevano mo-> do
da cumulare i dove che arricchiti poffono averlo .. Sem. Mà come potrà
avanzare? dicendogli, che faute, che avesse il pa. ren rentado,
averebbe goduto, e sarebbe ftato allegramente , e questo non si può tare da
quelli , che vogliono cumula Meo. Voi non capice il parlar equivoco
dell'Avarizia ; ella non già intende il godere , e stare allegramente
dispendiofo , ma bensì quello di cumulare , creduto da efla , e suoi seguaci
piacere , e contento maggiore di tutti gli alori"; è ben vero però, che in
questi cali rimane ella fovente delusa ; posciache i giovani dislipano tanto in
tali occalioni, che bene spesso si pente l’A. varizia di esservisi
ingerita. Semi Com'entra la Bugia ne'matri. monj? Mec. In quanti se
ne fanno, senza le direzioni della Prudenza essa vuole-ingerirsi, e per un
verso; d per Palero ci vuole avere in questi la sua parte. 7 Sem. Si dice
però communemente, che la Bugia abbia le gambe corte, onde fi fcoprirà, e non
potrà perciò fare breccia. diri Mele 1 Mec. Non è così perche
non opera già sola. Se Amore per esempio trarre. rà un parentado, essa pronta
vi accorre, e si affatica tanto per fare apparire quel. la giovane , per cui si
tratta , savia, prudente, e di abilirà : ò quel giovane di costumi angelici, e
di abilità sommas; quando per verità farà tutto l'opposto. Sem. Mà quelto
in brieve si può scoprire. Mec. Prenderà ben ella il contratempo, e
quando vedrà che i genj, mediante Amore, saranno cominciari as collegarsit,
allora, ciocche ella dirà , sadà creduto per vero; nè fi pafferà più oltre per
iscoprirlo, quantunque fosse falfifsimo: lo fomina in tali occasioni la Bagia
si affatica tanto; che arrivò as dire un Filoloto, che s'ella non si ri-,
mescolaffe à questo segno si troverebbe per certo il mondo.più spopolaco
notabilinente Sem. E come ? e perche ? Mec. Popolandoli il mondo,
median-> te i matrimonj, quando questa non aju.taffe à farli, oh quanti di
meno ne le guirebbero! Onde per mancanza di effe molto fcemerebbe ; talmente
ch'essad lo mantiene cosi popolato . Sem. Non credo però; che abbia tanta
parte in essi, quanta voi dite. ) Mec. Ed io credo di vantaggio ancora;
imperciocche dicemi: nel mondo, quali sono più numerosi, i buoni, ò i
carrivi? Sem. Questo calcolo non so chi l'abbia fatto : ti dice bene da
pertutto, che gran parte in esso vi sia di cattivi. · Men E credete voi,
Sempronio, che questi trovassero moglie, se la Bugiai non ricoprisse i loro
vizja: Sem. Io credo di nò; Mec. Dunque non facendosi tutti questi,
che danno considerabile apporterebbero alla popolazione del mond? Sem.
Ditemi, che fensaria ella riceve ? Mec. Non altra, che di trionfare
allorche li scuoprono gl'inganni da efsa orditi; e li prende sommo piacere
del lc de discordie, e dissensioni, nate da ciò tra in
arirari. Sem. Oh che razza di gusti deprava Mic. Quéli appunto sono
i piaceri, che li prendono i vizj, non confiitendo in altro, che nel vedere
precipitato chiunque dura loro fede, e perciò non iè bene di prevalerli,
Sempronio, della opera loro in conto alcuno. -- Semi Mirpersuado , che la
Prudenza non tratterà fimili mariraggi, onde pochi faranno quelli, nel quali
effa s'in. trometterà : per efeinpio, se sarà bella da giovane, lascierà
trattare il suo pa. rentado ad Ainore, ed effa fi discolto. rà.
Mec. Non è così ; perche la Prudenza non è già tanto indiscreta, che odj la
bellezza, c fe vedrà, che colla beh - lezza ci fia unica anche l'onestà, ed
il buon costume, li tratterà , e concladerà infieme; ma quando poi fi
ávvedesse, che colla bellezza, questi non ci fossero, allora ne lafcierà la
libertà ad A mo more , che le marici a suo piacere : Sem. Mà
ci sono elempj di queste belle accasate dalla Prudenza? Pub. Tanti
appunto, quante donne helle hanno mantenuta la fede illibata) ai loro mariti; e
di queste Plutarco ne riferisce molte, parlando delle donne illuftri į
confessando ancora l'Ariosto nel canto 37. non esservene stata mai pea nuria di
esse, con dire: E di fedeli , e caste , e faggie , e forti Stare ne
fon, ne pur in Grecia, e ithead [ocr errors] Roms, Ma in ogni
parte, ove fra gl'Indi, gl’Orti Dell'Esperidi il Sol spiega la chioma;
Delle quai sono i pregi, e glonor mortis Sì ch'appena di mille una
finoma, E questo perche avuto hanno a'lor tempi I Scrittori
bugiardi, invidi , ed empji. lSem. E nci maritaggi con ricche doti s'ingerisce
mai la Prudenza , effendo disuguali di condizione ? Mes. In questi ancora
, quando ritrova, che amili ricchezze fono venu te te per vic
oneste;descritre così da Sene's ca de Vila beat a cap.2 3. Nulli detractas, nec
alieno fanguine cruentas , fine cujufquam injuria parias , fine fordidis
quæstibus, quarum tam honeftus fit exitus,quàm introitus, quibus nemo
ingemifcat , nifi malignus. E non scorgendo di mal cofume chi le poflede, li
conclude ancora; perche come mostró Platone į non induce disuguaglianza
disdicevole las fola disparita di condizione. Sem. Quale farebbe questa
disugua. glianza disdicevole? Mec. Sarebbe appunto, se un nobile, per
cagione della gran dote, volefse sposare l'unica figliuola map educa. ta di un
vile, e sordido arcista; l qual matrimonio non solamente darebbe da dire a
molti, ma ancora per lungo tempo sarebbe privo di potere conversare con uguali,
chi prendesse una fimile Spofa, Sem. Vi fuschi di Te in fimile
congiuntura, che de mormorazioni solamente per qualche tempo duravano, mà
chc che le grosse dori rimanevano per sem., pre; io però non sono di
genio si vile. Méc. Credo, che voi manterrete il decoro di Gentiluomo,má
replico bensis a colui, che punto non lo consideras :: che i figliuoli ancora
riinangono per : seinpre di somiglianti inclinazioni, e co. ituini; essendoli
osservato in molii, che hanno voluto canto digradare dalla lo-> ro
condizionc, con prendere per moglie giovani mal nate , e di poco buon co->
itume', 'credirarsi da loro descendenti » gonj vili, c plebej; cosa alai più
dannoia , e pregiudiziale , di quello sieno le mediocri picchezze nelle
famiglie ile luftris onůc perciò il poeta Satirico conrra di questi
disle,....... 9. Scilicet expectas, us tradat mater boSo do neftosigilom
Aut alios mores, quam quos babet? E quell'altro anche canto Infequitur
leviter filia matris iter... Olere diche certi matrimonj fatti con tanta
disparità di condizione, se non, averà prudenza la moglie , riescono ang che
infaufti a mariti; come provò Fulvio, il quale avendo sposato una Ichigvå, fu
dalla medeliina tradico, denunziando ove egli era nascosto, csendo tra i
proscritti in tempo del Triumvirato ..., Sem. Vorrei anche sapere, fela
Pru-, denza tratti marrimonj didonne brurce, e ditettofe... * Mec. Questi
ancora maneggia , quando ci trova il suo conto; cioè a dire che quella da voi
creduta deformità non pregiudichi a fare figliuoli, nè alla pace
doinestica. Sem. Io mi perfuado, che la brut. tezza poffa ritardare
'ambidue ; perciocche, come si potrà amare una donna deforme e non amandoti
questa, come li potranno avere figliuoli, ed esserci la pace domestica di
Mec. Dovete sapere , Sempronio ; che due bellezze sono nelle donnc ; una delle
quali è di fola apparenza, e perciò viene detta eftcriore, e l'altra inter, Da,
la quale risicde nell'animo: la pri. [ocr errors] ma si rende inanifesta
ad og i uno, che Ja rimira; la seconda poi, quanto più si nasconde tanto
maggiormente risplende'; quale di queste due voi bramerefte, Sempronio, che
avesse il primo luogol nella vostra sposa ? Sem. Quella , che porelli
vedere, we godere insieme. Meci Questa sarebbe lefterna , che per breve
tempo la potreste vedere, er godere ; essendocche prettamente fier nisce,
venendo da' Poeti assomigliatas alla rosas Collige virgo rofas dum fos novus,
o nova pube's, Er memor efto , ruum fic properare tuum. Ed altri:
Rofa viget breve tempus, fi autem pra
terierit Quærens invenies.non rofas, fed fpinas. E
Seneca dinle Anceps.forma bonum mortalibus , Exigui donum
breve temporis , U velox celeri peide laberis : H 2 8.
Ed [ocr errors][ocr errors] Ed il Petrarca ancora così ne parla
Questo noftro caducong fragil bene, Cb'è vento ed ombra , ed ha
nome beliade. L'altra bensì, effendo radicata nell'ani. ino, non languisce
in alcun tempo; anzi che in certe contingenze fa vedere quanto opera in
conservare la pace domeftica. Vi potrei a questo proposito addurre molti
csempj; ma quello riferito da Enea Silvio della moglie di un celebre Medico
Sanesc fa al nostro propofito. Questa era molto deforme , nulladimeno, per le
fue rare viciù, l'amaya suo marito svisceratamente, chiamandola la sua buona
Ladiç; ed appunto d'onde possa ciò nascere lo spiega Lucrezio, dicendo : Nee
divinitùs interdum , Venerisque sagittis , Deteriore , fit ut a
forma muliercula ametur ; Nam facis ipfa fuis interdum fæminar factis Morigerisque
modis , cu mundo corpore cultu Ur fucile insuefcat fecum vir
degere vitam. Sem. Ma effendoci l'efteriore , per- · che non potrebbero
ancor' acquistare 1.1 bellezza interna coll'industria de’lo"ro
mariti? Moc. Onanto siete buono, Sempronio, che vi volete affaricare in
merte, re "il giudizio, ove non sia ; e non sapite, che fin'ora non è
bastato l'animo ad alcuno di porcelo: bisogna pregare Iddio, che non vi
abbarciate in caluna, che penurj di effo; perche altrimenti è tuito tempo
perduto quello, che s'impiega per farlo entrare, ove non sia. Pub.
Sempronio procurare di grazia di stare cautelato; perche questa bellezza
esteriore, che voi tanto bramare, fi uniforma alle volte a quella dei tempi
degl'Egizj, ch'erano belli di fuori, e e brunti al di dentro : oltre di che
apprendere questo utiliffimo documento da S. Girolamo : non facilè cuftodisor,
quod omnes amant, O in quo totius popu. li vosa fufpirant; e canto
maggiormen te , [ocr errors] H 3 .te, che il Nazianzeno la
chiama : temporis, & morbi ludibrium : Santamente, dunque l’Ecclesiastico
dice: Ne respicias in muliere speciem, nec concupiscas mulierem in
fpecie. Scm. Coinc fa la Prudenza a conosce. re, che questo giudizio vi
lia, ove law bellezza non regna? Mec. Lo comprende ben ella allorche rimira
una giovane modesta , circospetra nel parlare, non curiosa, ftabile, attenta ,
ed applicata a fare ciocche dee; onde la reputa perciò giudiziosa; mà le poi la
scorge incostante, disapplicata, curiosa', garrula , c vana , que. Ito le basta
per crederla imprudente, c non fi prende penfiere alcuno di essa. Sem. Ho
udico raccontare più volte, che alcune giovani pri na di maritarsi fieno ftatc
tenute per giudiziose, e prudenti, ma che poi fattefi (pose sieno diveoute
l'opposto di quello, che dianzi erano reputate , per avere sciolta labri. glia
a tutti quei vizj, che tenevano ce.Mec. Bisognerebbe con esattezzas esaminare,
per colpa di cuilia ciò provénuto , se di effe, o de i loro mariti; u se fi
rincontraffe , che avessero in ciò peccato i mariti, sarebbero esse degne di
compaffione, dovendo come subordinate regolarli secondo quello, che a medelimi
vedranno operare; potendo ancor esse scusarfi, come fecero le don. ne Ebrce
allorche furono riprese, perche fagrificavano nell'Egitto, le quali dillero :
Numquid fine noftris viris fecimus? fer: 44. Sem. Come Opera la Prudenza
per concludere fimili matrimoni? Mec. Primieramcnte con fare riflettere
al giovane, che brama di accasar fi, quale sia il fine principale del
matri,-monio , cioè per ottenere figliuoli, o che questo non fi orriene
mediante los bellezza, ma bensì per la sanirà del corpo;: onde che non debba
quell'anceporsi a questa ; ficcome ancora cons fare confiderare i danni, che
potrebbe qucla bellezza ofteriore apportare [ocr errors][ocr errors]
mariti, li quali provò appunto Uria per la bellezza di Bersabea ; ed Abramo
uomo saggio per isfugirli, che cosa facelle, avendo Sara per moglie, donna.
belliffima , allorche dovea andare in E. gitto, e fu , Gen.12. Novi quod
pulchra fis mulier, & quod cum viderint te Ægyptii di&turi funt : uxor
illius eft, interfcient me, o te refervabunt : dic ergò obfecro te, quod foror
mea fis &c.: Eche quando simili infortunj, non accadersero per cale cagione
, potrebbero per altro succedere dicendo Leucippo:che la bellezza sia una
saetta, la quale ferisce con maggiore velocità di quellow, che viene scoccata
dall'arco : e Ciro che debbali più temere questa, del fuoco, il quale non
offende in qualche distan. za conforme fa la bellezza; insegnando
l’Ecclefiaftico al 9. Propter Speciem mulieris multi perierunt , & ex bac
concipifcentia quafi ignis exardefcit : oltre di che gli farà ben capire, che
non solamente,egli viventesquefta polsa danneggiarlo , ma cziandio clinto che
sarà , c CON [ocr errors] con qaciti motivi lo ani nerà a scize
glierti per inoglie più costo la laggine, che la bella. Sem. Mà come
dalla moglie belles potrà strapazzarli il maritu defanto? Mec. Lo
comprenderete dal seguente avvenimento riferito da Petronio Are bitro. Dimorava
in Efeso una Matrona, non meno bella, che stimata da tutti di fomma pudicizia ;
ed essendole morto il inarito, non solamente dirottitfunamente lo pianse, mà,
accompagnatolo al sepolcro, delibero volere ivi termic nare la sua vita con
esso ; nè fu porabile, che i parenci , anzi il Magistrato stesso la potessero
rimuovere daral penfiero. Già sofferri. avea cinque giorni di rigorosa
astinenza, quando un sol. dato, il quale cuftodiva alcuni cadaveri de ladri,
ch'erano stari, giustiziati vicino a quel sepolcro, si avvide di notte, che
usciva un cerro lume da unas contigva casetta , ed udiva insieme ivi piangerl ;
vi accorse , cd animalo vi entro, e calato che fu dove si piangeva,
ap [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Conf. 5. Dec. prima appena vedute
due donne'appreffo ad un cadavero, sen tornò in dietro a prendere la sua poca
cena, e ritornato che fu, cominciò a consolarle con offerire loro quel poco di
ristoro, che feco portato avea. La più addolorata , la qual'era la sudetra
Matrona non mostrò punto di gradire le cortesi esibizioni del feldato, anziche
più costo'raddoppiava ischiamazzi con svellersi i capelli, e percuoterfi
maggiormente il perto : non si perdette egli di animo per questo , ma fi
accosto all'altra, ch'era la fervente , offerendole cortesemente il vino, che
avea ; ed ella non fi moftro canto ritro. fa; posciache'riftoroffi con quello,e
guftò ancora il cibo'; ed indi si pose ad efpugnare la pertinacia della sua
padrona, e tanto le leppe dire, che alla fine la vinse, eristoroffi anch'ella.
Vedendo il soldato, efferli renduta in questo, passò più oltre', e coll'ajuto
della fervente gli riusci di prenderla per moglie, non dispiacendo alla vedova
l'aspetto del fudecco giovane ; ¢ ciò fu concluso frete [ocr
errors][ocr errors] frettolosainente . Dimorarono tre gior- ni in decto
sepolcro i sposi, uscendo ap- pena di noite tempo il soldato a
prove- dere ciocche faceva d'uopo per alimca- tarsi tutti. In
questo montre da' paren- ti degli appiccati fu portato via uno di
quei cadaveri , ed avvedutofene il sole dato lo palesò alla sua fpofa
tutto con- tristato ; dicend le, che non era coave- niente di
aspettare la sentenza del giu- dice , essendo egli incorso nella
pena di vita , per la sua trascurata custodia ; on. de che gli
avesse pure preparato il luo. go per fepelirlo allieme coll'altro suo inarito,
essendo egli già disposto a darli la morte . Ciò udico, la compaffionevole
donna rispose: non sia mai, che io abbia da vedere due de' mici carifli.
mi mariti, defonti nel medesimo tempo; desidero più costo appiccare il inorto,
che di perinettcre, che il vivo perisca: deh prediamo questo cadavero,e
collo? chiamolo, ove manca quello del ladro. Ubbidi prontamente il
soldaco ; e nel di seguente cucco il popolo f maravi. Conf. s. Doc. prim.
gliò, coine inai quel njorto, così teneramente pianio, fosse stato posto sopra
un paribolo: Sem. Talmente che saranno tutte finzioni quei gran pianti, e
schiamazzi, che fanno le donne vedendo morti i mariti? Mec. Per lo più
cosi credo anch'io ; perche, non avendo queste la prudenzas virile, con faciliià
grande fi pongono as piangere, ma noui tono già così gli uo. mini. Pub.
Voi mostrato di non avere letto Filostrato in Sofijt.: il quale raccontas ciò,
che fece Erode il Sofista nella morte di sua moglie, ch'è questo appunto. Non
si contentò egli di averla pianta dirottilmamente, stando anche sopra terra, ma
volle continuare a farlo tutto il rimanente di sua vita : e come se le inura
della sua casa pocessero essere as parte del suo dolore, le fè tutte vestire di
bruno, e la sua casa fu dall'alto al barlo così bene dipinta a color nero, chu
rendca gränd'orrorc: inoltre volle, che tutti quei, ch'erano al suo
servigio fof. sero mori, o per natura, o per arte: cgli stesso si fè cignere
co’carboni il vol. to, per portare ancora in fronte la di. visi del suo dolore.
Tutti i suoi mobili anche i piatii, e bacili', ne' quali li lavava crano neri .
Passò del tempo in questa bizaria, senza volere udire alcu. no di quei, che
volcano persuaderlo a cambiare risoluzione. Lucio, che gliera amico, gli aveva
più volte parlato di questa materia, mà senza frutto; allas tine una sola
parola di scherzo lo guada. gnò. Le sue serventi lavavano un giorno alla
fontana certe rape; le vide Lucio , e domandò , fe quelle doveano servire per
la tavola del loro padrone, il che affermarono; se ciò è cosi disse Lucio ;
riferitegli da mia parte, ch'egli fa un gran torto alla sua moglie, e che non
dee mangiare rape bianche in casas vestita tutta di nero ; onde che si era
infinitamente maravigliato , com' egli non riparasse a cosi grave disordine,
dovendo il suo bere, cd il suo mangia. [merged small][ocr errors][ocr
errors][merged small] TC re essere vestiti come lui di gramagliw; ed a
queste parole cominciò ad aprire gli occhi, per vedere, e riconoscere le sue
stravaganze, e questi era pur Filosofo non già donni ! Sem. Iftruitemi di
grazia meglio sopra i matrimoni, fatti senza l'intervento della Prudenza, per
non cadervi. Mec. Nella: ventura conferenza vi consoleremo. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small] 100,
avendola me CONFERENZA VI. 6'1 Nella quale si esaminano più distintamente
i pregiudizj', che risultano dai matrimonj farci fenza in l'intervento
della Prudenza. Sempronio, Publio , Mecenate © Medico
6,156 OL Uanto mai mi ha contriftato la storia riferita della cru. dele
donna di Efe. fo glio considerata . Pub. Non bisogna sgomentarsi,
Sempronio , per fi lieve cagione ; perche. primicramenre chi fa , le veridico
lia tutto ciò , che in esta si racconta parendoini molto inverisimile , che li
di lci parentis cd amici l'avessero del cute [ocr errors] to cata,
avendo, oltre i natali, Giulio s 1981 Conf. 6. Dec. prima
qualche concerto maggiore, per lo sviscerato amore mostrato verso suo marito;
oltre di che, chi potrà mai credere, che una donna, i dopo efsere stata cinque
giorni, con tanta attinenza, poreise pensare , non che effettuare ciò , che fi
lppone facesse : e poi, quando' realmente fosse ciò foguito , vi posso riferire
moltissini esempj dimogli fedeliflime, le quali o per vero dolore sono morte,
quando videro i loro consorti estipfi, è dettero chiari atteftati del loro
fincero , e costante amore. Laodamia fù una di queste, la quale mori di
cordoglio sopra il çadavere di Protesilao fuo marito , ucciso da Etrore. Ed
Artemisia a che segno amò le ceneri di Mausolo suo marito , che fin volle ,
stemprate tolle sue lagrimc, dar loro ricetto nel suo corpo ingojandole a poco
a poco! 'E finalinente, per non diftendermi di vantaggio nel riferirne inolte
altre : Peponilla moglie dime riferisce Xitilino, sotto l'Impero di Vespasiano,
aon visse nove anni con suo marito dentro un sepolcro, ove diede la vita a due
figliuoli? e questa lo tenne lontano dal supplicio, per quanto le fu permesso,
non già ve lo mandò. ? Sem. Tutto va bene; ma però, che una donna, dopo
tante lagrime sparse per suo marito, l'abbia esta condannato al patibolo, mi
pare grave, e detestabilc facro; posciache, se non amava quel cadavero, à che
fine bagnarlo di tante lagrime? e se poi l'era ficaro, come mai ebbe tanto
cuore di fare un' atto si crudele contro di esso, feuzan averle data occasione
alcuna? Mec. Quell'iniqua fantesca fu la cagione di tanta fceleratezza;
impercioc" che la povera padrona, dopo cinque giorni di dolorofa
inedia sofferta, non trovando dalla morte pietà alcuna in voler porre fine ai
suoi cordogli, e vedendosi imporcunara dalle preghiere di essa s’induffe à
prendere quel poco diria ftoro', offertole non già da pareoti , che
I l'ave [ocr errors][ocr errors] l'avevano abbandonata, mà bensì da
un cftranco, che fu la ruina della sua réputazione, perche chi d'altrui preode,
se Iteffa vende. Sem. Mà come! nc anco dentro il repolcro è sicura la
pudicizia , ed allas prcfenza del marito defonto! Mec. Diceva il Re
Filippo, che non era inespugnabile quella fortezza, ove fusse potuto entrare un
mulo carico di oro; e voi credere sicura una donna bella, guardata da una sola
fancesca in luogo remoto ? quando trovandofi già languida è affalita da un
soldato armato, giovane bello , ed avvenente , ristorandola col cibo , adulandola,
e lusingandola insieme con dolci parole. A queIto proposito cade in acconcio il
proverbio di Salomone. Mulierem fortem quis inveniet? E tanto inaggiormente,
quando il marito giace estinto, e per. ciò nè può correggerla, nè punirla. :
Sem. Queste ragioni non mi appaga. no punto, onde per non avere a cadere in
fimili infortunj , bramerei che voi con [ocr errors][ocr errors]
con la vostra solita ingenuità mi scopriIte molti altri pregiudizj, che
potrebbero nafcere , non avendo la Prudenza parte uc'maritaggi ; e perche avete
voi conversato molto in yostra gioventù , vi sarere incontrato facilmente in,
più contrasti nati tra i mariti , e mogli. Mer. Gli hò uditi certamente
fpefso riferire , e letti ancora ; e quantunque non li abbia provati, per essere
vivuto libero, con tutto ciò sono appicno informato di molciffimi avvenimenti
in fimili materie. 1 Sem. Or dunque, in quelli fatti per opera d'Amore,
senza intervento della Prudenza , che vi avere offervato di inale ? Meo.
Ne hò veduci tanti di questi principiare bene, ma poi cambiare in un tratto la
bella apparenza, ed allas fine rerminare infelicemente ancora . Sem. Come
cominciali bene, e poi mutarfi? fe: Chi ben comincia , bà la metà
dell'opra? Mec. E pur così è seguito ; impera cioc [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] I 2 ciocche
alla prima, in quel fervor di afferro, la sposa era tenuta in pianta di mano;
ma appena intiepidito questo de qualche lieve cagione mutava faccia il tutto, e
quel grand'amore in breve pafsava in noja, ed alla fine questa si avanzava al
dispregio. Quindi è che l’Ap. piense disse: 174 Ef modus , dulci, nimis
immodera ta voluptas Tædia finitimo limite semper babet : Cerne nouas
fabulos rident florente colore Piet a, velut primo vere coruso at
bumus, Cerne diu tamen bas, hebetataque lumina fleetas, Et tibi
conspectus nausea mollis erit. Pub. Voi, Sempronio, avete lascia.
to il meglio, cioè, Non si comincia ben se non dal Cielo. E credete, che
facendosi il matrimonio per opera d'Amore senza l'intervento della Prudenza,
sia esso cominciato dal Cielo ? Sem. E perche no, avendol per fine
la la conservazione della propria specie ? Pub. Il fine è fanto, ma
il da voi proposto mezo, per conseguirlo , non è buono;non dovēdosi ricorrere
ad Amore per farci conseguire una buona moglie, ma bensì a Dio, conforme
c'insegna Salomone : Uxor prudens à Domino · Sem. Per quali motivi si
avanzano di poi al dispregio? Mec. Per molti ; lasciando in disparte
l'interesse della dote (molto tenue per l'ordinario nelle donne belle)
promessa, e per lo più non pagata; che suole frea quentemente turbare la pace
domeftica: Il primo de' quali è il dominio, che vuole acquistare la donna bella
sopra il marito; imperciocche come vuole Mcnandro : Superba res eft
pulchra mulier: E pretenderà per giustizia di poterlo efiggere mediante il
favore , che gli hà fatto di prenderlo, essendofi veduta vagheggiare da tanti
altri, che la bramavano per inoglie. Il secondo sarà la gelolia, che apporterà
tra loro una continua guerra.... Sem. Come la gelosia, essendosi pre . fi
per amore? Mer. Amore medesimo , che li uni, per prendersi di elli
diletto, s'ingegnerà di suscitarla ; e per promoverla, ba. sta, che faccia
concepire ad un di effi un minimo sospetto di essere passato in altri quell'affetto
, ch'egli godeva intiero; non essendo altro la gelosia al parer di Cicerone ,
che : Ægritudo, 6x quod alter quoque poriatur co , quod ipse concupicris, e
come questa operi uditelo dal Taffo N'arde il marito, e dell'amore al
fuoco Ben della gelosia s'agguaglia il gelo, E va in guifo
avanzando a poco , a poco Nel tormentato petro il folle zelo , Che
da ogni uomo l'afronde in chiuso loco; Vorria celarlo a tutti occhi del
Cielo. Sem. Mà questa Publio potrebbe anche nalcere, quantunque la
Prudenzas avesse avuto parte in detto matrimonio, Pub. Difficilmente, essendo
che aves reb [ocr errors] rebbe ella saputo scegliere una donna
saggia , che avesse colte fiınili ombre, quando fossero nate nella mente del
marito, senz'occasione alcuna , e che non fosse ella stata capace di
suscitarvele. Sem. E come potrebbe far questo una donna? Pub.Con
fuggire ogni eccesso di vanità; insegnando S. Crisostomo nell’onilia 21. al
popolo : Ornatus Zelotypia fuSpicionem ingerere folet; cd in appresso, che ;
modeftia ornatus omnem improbar fufpicionem expellis, omni autem vinculo
formius conjugium conciliat. Sem. Vi sono casi seguiti di donne,
ch'abbiano usata tanta prudenza? Pub. Certamenre , che ve ne sono molti
antichi, e moderni ancora: tra gli antichi , la moglie di Focione , di Trajano
, & Alpolia moglie di Ciro, e di Arcasserse, e tra moderni. Madama di
Chantal, come scrive il Padre Cordier uclla sua famiglia Santa , fu unan di
quefte; posciache ella non G vede.rs giammai meglio vestita , che quando [ocr
errors] doveva trattenersi col marito; se doveva egli andar fuori, e fare
qualche viaggio, non ornava mai il suo corpo, che quando cia di
ritorno : le fu detto un giorno, troyandofi lontano da molto teippo il Barone
suo marito: Madamas ogn'un crederà , ch'abbiate vendute le vostre velti, ed i
vostri ornamenti, voi non li fate più comparire, come se dubitafte, che da
alcuno dovessero esservi rubati: non mi parlare di questo rispose ella ,
pofciache gli occhi , a' quali devono piacerc,sono cento leghelungi di quà.
Riferisce anche il medesimo, che la Ducheffa di Gandia Vice-Regina di Catalogna
avesse una somma modederazione nel yeftiré, non curandosi di portare abiti di
fera , nè con oro. Una delle sue confidenti prese parimente un giorno ardire di
così favellarle: Madama di altro non discorre per tuttas questa città , che
della riforina de' vostri abiti, pare', che sempre voi diveniate di minor
condizione di quella, fiecc Aata ; più vi fi accrescono beni di for
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors][merged small] fortuna, meno ve ne service ; cui rispose:2 ine non dà il
cuore di portare nè seta, nè oro, quando il mio marito vas sempre ricoperto di
un'aspro cilizio , ed in questo anche riflettere, quanto operi il buon'esempio
del marito, per frenare la vanità donnesca. Sem. E quelli, che tratta
l'Ambizione senza l'intervento della Prudenzas, che fine fortiscono? Mec.
Pellimo, stante che, non verificandosi punto quanto s'era da essa promeso, li
riinane con moglie deforme, ed indotata ; e di vantaggio ancora, è con molti
figliuoli sulle spalle ; ed alle volte ancora privi di elli', senza speranza di
poterli ottenere, per la poca falua te di fimile consorte . Sem. Se vi
avesse avuto mano la Prudenza, come si potevano fuggire queste disgrazie
? Pub. Avcrebbe con maggiori cautele questa consigliato, cfaininando
atcentamente, che fondamento potevano avere le milácate speranze; ç
rinvenute le [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] le acree, ed insuffiftenti, averebbe dilsuaso
più costo, di effettuarlo ; ò per la meno nella dubietà di cffe averebbe
assicurato meglio le buone qualità dellas donna, affinche'andando le speranze a
male, fosse piinasto questo di certo : di aver una donna prudente in casa,la
quale quantunquc povera , come vuole Salomone. Sapien's mulier edifcat domum
fuam. Ne averebbe già permesso a Tiberio, che avesse sposato Giulia, las quale
oltre il disprezzarlo, come non uguale a lei; ci faceva lecito di vivere a luo
piacere; conforme riferisce Tacito nel primo de' suoi Anoali. Ne tampoco Silio
averebbe sposaro Meffalina, vivente Claudio, se la Prudenza vi forse
intervenuta:nè già di Claudio Mellalina sarebbe stata conforte. Sem. E li
matrimonj fatti dalla solas Avarizia, che danni possono apportarc? Mec.
Maggiori di quello, che vi potrete mai perfuadere; posciache in tali casi non
li sposa già la giovane, mà bensi la dote i mercè che : veniunt à dote;di
fagitta ; onde considerare voi, come ella ella sarà trattata dal marito, e che
amoal re le porterà; quando l'affetto non è inndi dirizzato alla moglie,
ma bensì tutto alinero interesse ; ed avvedutali effa di E essere
posposta ad una cosa inanimatas, che dirà, e farà mai, troyandosi ricBt
ca ? Sem. Bisognerà ben, che soffrá , I ftia focto l'ubbidienza del
marito .. 1 Mec. Voi fempronio non avere letto Anafsandro , e perciò
parlare in cal # guisa , il qual dice, Si quis pauper pecuniofam uxorem 1
Duxerit, non uxorem , fed dominam habeti [ocr errors]
Cujus eft famulus , de feruus ; E credete forse , che quancunque
paja- no fortunati coloro, che prendono grof. u se dori, realinente
siano sempre? Oh quanto sono infelici ! come conobbs o anche Menandro con
dire : Quisquis uxorem unicam heredem cupit adfcifcere Divitem ,is
vel irasis pænamluit Diis, Vel inf. lix effe vult s-sub nomine for
tunati. Sem. Gran cose si dicono da questi poeti, che fono favole; lo vedo, che
le grosse doti arricchiscono le cafe. Meca Li poesi son chiamati Vates da’
Latini, qual voce significa anche indo. vino, ed in questo ho osservato , che
per lo più l'hanno indovinato; oltre di che tra efli vi sono stati Filosofi
celebri. Io non nego, che qualch’uno prendendo groffe doti Gi sia potuto
arricchire; essendosi però incontrato con moglie saggia; mà quanti li fono
finiti di fpiantare per questa medesima cagiore, elsendosi abbattuti in mogli
imprudenti? Sem. E come ciò può accadere, prendendofi quantità grande di
danaro in fimili matrimoni? Mec. Per questo medelimo segue;po. fciache
addolorato diceva Demenao. Argentum accepi ; dote imperium ven didi.
Laonde, comandando esse , sono capaci di darli fondo, con difsiparlo in
bre ale fon ve tempo.; ed eccovi appunto il guadagno, che si ricava
da effe. Sem. Questo però seguirà , quando di incontreranno mariti, che
non sapranno farG ubbidire. Mec. Porrà accadere agl'altri ancora dicendo
Giovenale; Intolerabilius nihil eft , quam fæmina EI dives, i Ed
andare a cozzar con queste ? andate le a riprendere; ed affinche Gate
meglio informato ; udite ciocche dice a questo & propofito
Artemone, fazio, ut fcias Quid periculi fir dotata mulieri convi
cium dicere. Si potranno con facilità maggiore reg. gere bensì quelle, che non
averanno portata dote, come si ricava da un detto greco: Sponfa indotata non
habet libertatem, fiuè audaciam loquendi. Sem. Questo ardıre lo potranno
avere forse le belle. Mec. Lo hanno le brutte ancora re [ocr
errors][ocr errors] fa [ocr errors] saranno ricche , e superbe , come
vien riferito da Gellio , Me miferum, qui Corbulam duxi , & talenta
decem Nanam , mulierculam, cubitalem, cujus Superbia adeò intolerabilis
eft! Sem. Ed in che cosa potrà gettare il fuo la moglie, dovendo essere
soggetta al marito? Mec. Chi è ricca, come abbiam detto, non vuole stare
soggetta ad esso; onde vorrà spendere a luo modo : se vedrà, che una sua uguale
condurrà tre servitori, ella per la sua grossa dore, pretenderà condurne sei,
bramerà anche gli abiti di inaggior valuta; Carrozze più nobili, e suntuose s e
vorrà effe. refrattara in tutte le cose con magnificenza superiore alle altre;
e se il marito non si troverà commodo di farlo, elibirà cfla medesima la sua
dore , per fupplire a quanto bisogna ; e durando molto que, fta vita , anderà
in malora la dore , con tutto il capitale del inarito . Or vedete , che fortuna
s'incontra nel prendersi grof. [ocr errors][ocr errors] is grosse
doti, e che svantaggi ne riceveranno da questa anche i loro figliuoli.
Sem. In questo io vorrei mostrare spirito, e farla fare a mio modo. Pub.
Vi voglio riferire un caso a quefto proposito assai curioso ; Una certas
giovane, che si trovava ricca dote, la prima sera , che cenò col suo marito ,
non volle gustare cosa alcuna , e ftando in tavola molto contristata, le fù
domandato ; da che ciò provenisse , e qual occasione la rendeffe così meftas,'
ella rispose; come volete, che io man. gi, se non vi è l'uomo nero, che
ini ser1 va in tavola ; e non hò piatti d'argen , proporzionati alla
dote, che hò portata : il marito le rispose, che nel giorno seguente averebbe
fatto trovare più d’un uomo nero, i quali l'avercbbero servita , come
desiderava : fec'egli comparire nel tempo del delinare due mori ben neri ,
acciocche la servislero, s'icfierà per tal cagione la giovane a segno, che si
levò di tavola , e nacquero da ciò infiniti disturbi tra di elli,onde vedete
voi, Sempronio, che vantaggi risultano dall'essere risentito in fiinili
contingenze: bisogna pregar Iddio, che la moglie ricca, sia ricca anche di
senno, aliriinenti la casa andrà in malora , quantunque avesse portato il
doppio di dote. Sem. Hò udito sempre dire, che las metà della dore non si
possa alienare, e che li fidecommiffi rimangono sempre in piedi; come dunque
potranno seguire l'accennati dilapidamenti? Mec. Il lusso però oggidì hà
usurpato il privilegio di poter alienare ogni reliduo dotale, e di svincolare
ancora ogni più stretto fidecoaimiffo . Sem. Mà in che modo?.. Mec.
Si fingono pericoli di case, che stanno per cuinare, e per tal cagione di
toglie ogni più stretto vincolo, posto sopra i capitali: mà passiamo ad altro,
perche questa è materia molto lagrimevole. Sem. Talmente che a derro
vostro re alla moglie ricadesse quaich'eredità; con [ocr
errors][ocr errors] converrebbe rinunziarla, per non incorIf rere in fimili
fventure ? Mec. Muta faccia il cafo ; perche la moglie, ch'è vivuta
qualche anno col marito, trovandosi molti figliuoli, ed a vendo già passato
quei primi fervori del. le nozze , ne' quali si spende molto, non averà genio
più a dissipare, ed effen• dosi assodata nel governo della casa, se pur
farà qualche sfarso di più , sarà con i moderazionc , e proporzionato al suo
Itato, Sem. Or io ho capito, come si abbia da scegliere la moglie, che
sia di tutto proposito ; cioè nè povera , nè riccas, e che abbia più cervello,
che bellezza, acciocche non si abbia da dire di essaie : quello mi fu
raccontato una volta, che dicefle la scimmia , effendo entrata nella
bottega di un arteficet, che lavorava modelli di cera, ove prendendo nelle
inani una bella cesta, dopo di averla ac carezzata, e baciata, mettendo
den| tro di essa la mano, c trovatala vota gridò: Oh che bella gefta, mà
de manca il cervello ! K Pube [ocr errors] Pub. Or sì, che
voi la capite per il suo verso; e scegliendola di questa forta allora sì, che
farere forçunato, e potrete dire di avere presa una grandislima dote , conforme
è succeduto a me: evi voglio raccontare ciocche ini seguì nel tempo , che io
era sposo : mi fù domandato da un mio, amico, che dote io avca ricevuto, e
trovandomi sodisfatto delle buone qualità della mia compagna , gli rispofi ;
che credeva di aver ricevuto cento mila scudi ; rimase egli ammirato , sapendo
, che io non eras folito di milantare le mie cole, nè fimile dote fi costumava
allora, folamente mi replicò: in che corpi li avete ricevuti? cui soggiunfi, in
contanti dieci mida, ed in giudizio il rimanente ; egli di pose a ridere; cd io
non ho avuta sin ora occasione alcuna di contristarmi di ciò. Sem.
Desidererci ora sapere, che altri miali, poffa apportare la Bugia , concludendo
etsa il matrimonio? Mec. Se lo-traria di passaggio , non suolo apportare
danni molto conlidera 1 i bili; mà se poi s'interna nelle cose
cffen ziali, guai a chi si fida di essa ; pofciache se ricoprirà i
mancamenci d'una donna impudica a segno, che quel povero uomo, che la vuole
sposare, la creda una casta Penelope ; effettuandolo diverrà infelice; e se
vorrà fare com parire le ricchezze dello sposo affai e maggiori,
s'ingegnerà ben ella di pro: curarlo, e con infolite maniere : che non ha
fatto a giorni nostri in fimile afa fare! e arrivata fino a fingere le note
dell'avere, nelle quali vi erano regiftra ti molti crediti fruttiferi ,
senza il no* i me de? debitori; con pretesto, che si celavano questi ,
perche , essendo fiignori di qualità, non volevano essere nominati; e
nebanchi ancora non è arrivata a fare apparire grosli depositi in faccia
di Tizio', i quali erano mere imei prestanze, che nel dì susseguente tor
navano a credito di Sempronio suo vefo posseditore? Sem. Bisognerà dunque
vivere molto caurclaro'nci trattati de matrimonj,per K 2 non
[ocr errors] non essere dalla Bugia tradito sin Mer. Udite di più : se
una poverad giovane sarà ingannata da esla's facendole apparire il suo futuro
sporo ricco; che tenga carrozza; si trovi las cafa ben fornita di preziose
suppellettili, a segno che le faccia credere che quel partito sia una gran
fortuna; cadendo. vi in effettuarlo, in un tratto si avvede. rà, che il cutto
fù mera apparenza; pois che appena consumato il matrimonio, sparisce il palazzo
incantato di Armida, e li cavalli, o carrozza tornano al fuo padrone ; : e per
vivere conviene dar di mano alla sua dore, trovandosi il mari10 fpiantato. Vi
voglio raccontare una storiella, nella quale scoprirete l'astuzia usata da uno
di questi miserabili,che con inganni giunse a sposare una ricca giovane. Se ne
stava egli nel giorno fta. bilito per le nozze penlierofo , e mesto, a segno
che la Suocera si mofle a domandargli cosa egli aveva; cui replicò, che
certamente non aveva cosa alcuna ; fco. perte, che furono di poi le fue
miseric,G dolse leco la medesima, ch'era statas da esso ingannata ; replicò il
ribaldo: fignora lei si ricorderà benissimo, che's io le diffi nel tal
giorno, domandando i mi cosa io aveva, che niente le replicai? che occasione
dunque ella ha da dolerlei dime , se le palesai la verità, con dirle', che
nulla avea. Sem. Accadono questi cali? Mer. Cosi non accadeffero,
anzi ve ne sono de'peggiori ancora. Sem. E quali sono ? Mec.
Volendo la Bugia accasare un giovane deviato, che farà? comincie. rà a lodare
il suo buon costume, la sua modeftia, a fegno, che lo farà compa0
rire in iftato d'innocenza cadendo las povera fpofa a credere questo,
tuttaa allegra acconsentirà, non solamente al matrimonio, mà
sicuramente ancoras converserà seco; non dico altro, che in breve
diverrà un cadavero, median- tc i quel malo ;-col-quale l'averà mal
concia. Şom. Sono vesiquefi cali, Dottore?
Med K 3 Med. Accadono, e non di rado;quando però liamo
avvisati in tempo, diamo loro il suo rimedio ; ma allorche il malfattore vuol
fare da Medico., la finisce di stroppiare con quei secreti, che talvolta averà
egli in se medelimo provati , i quali applicati in una compleffione gentile,
essendo rimedji mercuriali, potranno in vece di giovamento apportarle danno
notabile. Pub. Questi pregiudizj tempo fà non seguivano; imperciocche, se
allora cal uno cadeva in fimili mali, îi faceva prima curare , e risanato,
ch'era perfertamente prendeva moglie. Sem. Talmente, che questa Bugia ne
matrimoni cagiona danni molto confiderabili, ond'io procurerò di tenerlas
lontaga allorche tratterò il mio accalamento. Mec, Bisognerà, che stiáre
però molto avvertito; posciachc comparirà travestiça; e sotto specie dį verità
per ins gannarvi. Sem, Io fona un bell'umorcänon cres derò
1121 N derò allora all'istefa verità, per non di ingannarmi,
giacche la Bugia fi vestu dei suo manto. Mec. Alla verità conviene
prestarlo d fede in ogni tempo, mà però vi è il modo da discernerla,
quando cssa sia pura , ò simulata. Sem. E come? Mec. Quando voi
vedrete ingrandire le cose assai più di quello , che fieno ve. risimili, ivi
ftà nascosta la menzogna, e datele la tara di due terzi meno di quello vengono
rappresentate, che così di poco sbaglierete. E se vedrete poi in alcune
altre ufarsi artificj, c diligenzu u maggiori, di quello, che convenga,
per farvele credere, e voi togliete tre terze parti a ciò, che fi dice, e
credete solamente quello , che rimane, che così l'indovinerere. Sem.
Dovendo io prendere moglie poco fastidio mi prendo dei difetti de gli
uomini , vorrei bensì sapere quei i delle donne, da' quali doverò
guardarini. K 4 Mer. [ocr errors] Mec. Nella ventura
Conferenza farete istruito in questi. Pub. Bisognerà fargli conoscere
ancora le virtù di esse, affinche fappia difcernere quali siano le buono.
[ocr errors][merged small][ocr errors][merged small] CONFERENZA VII.
Sopra i difetti, e le Virtù delle donne. Sempronio , Medico ,
Mecenate e Publio , M Sem. I persuado Dottore, che
niuno meglio di voi conoscerà les imperfezioni delle donne , effendo voi
meglio di ogni altro informato de' naturali, e tempera menci loro. Med.
Secondo il parere di Democri. to, le povere donne soffrono , per cam gione
dell'utero, seicento mali di più degli uomini ; come si legge nella lettem ra
da esso scritta ad Ippocrate', over Sexcentum arumnarum mulieri auctorSem. Io
non voglio sapere da voi li mali dell'utero, ma bensì quelli dell'animo, non
quelli, che sono ad effe di moleftia, ma quei che possono altrui ancora
nuocere, conforme sono i loro vizj. Med. Di questi ogni uno, che per
qualche tempo le abbia trattate , ne può effere bastantemente informato .
lotor110 poi al temperamento delle donne, vi poffo ben dire, che una volta fu
promossa questa gran disputa ; qual foffe più caloroso, l'uomo , ò la donna, e
dipoi essersi molto dibattute le ragioni dell'una, e dell'altra parte, fu
detto, che quando la donna non fia di temperamento più caldo di quello
dell'uomo , non si possa mettere in dubio che non sia più callida di esso ;
cioè a dire più astuta Pub. L'aluzia però, quando non è maliziosa, c
fraudolenta, non entra tra i difetti deteftabili; dicendo Teren. zio in Andria
i Aftutum fallere difficile eft. [ocr errors] [ocr errors]
201 [ocr errors][ocr errors] Onde questa può ftimarsi avvedutezžas,
Jodata dall'Ecclesiastico al 19. Aft ut us agnoscit fapientiam.
Mec. Nelle donne però farà sempre detestabile, non essendo
quefte fcarse di malizia, e d'inganni, al parerc di Se1 neca
in Hippolyto : 1 Sed dux malorum foemina , d fcelerum artifex,
E di Plauto in milite : Quid pejus muliere ; atque audacius?
Quid? Nibil. E l'Ariosto così ebbe a dire di effe Non siate
però tumide, efastofe + Donne per dir,che l'uom fia vostro
figlio," Che dalle spine nascono le roje, E d'una
ferid'erba nafce il giglio. Importune', Superbe , e dispettose
Prive di amor; di fede , e di consiglio; Temerarie , crudeli, inique,
ingrate , Per peftilenza eterna al mondo nate. Pub. Piano di
grazia , Mecenaco; cliente perche parlando in tal guifa', correcc
pericolo di essere lacerato dalle donne come fucceffe ad Orfeo, di cui
parlaw Pla 1 Platone ne' suoi simposj. Per tal unas,
che sia stata cattiva tra effe , con questo vostro modo di parlare cosi
generale, pregiudicate a tante illustri femmine degne di eterna memoria, anzi
che as vostra madre medefma, e con essa a voi ancora. Leggere,le opere di
Cristina Pisana, è di Lucrezia Marinelli, che troverete ivi, quanti più iniqui,
escellerari uomini vi sono stati, che donne ; onde ci comple stare cheri; e
tanto maggiormente, che le donne cattive, fono appunto come le vipere, le
quali, sc non vengono compresse, o con altri modi irritate, non mordono già ,
nè avvelenano; ina gli uomini perverfi, non sono già così, assomigliandoli al
lupo quel detto greco: homo homini lupus: da cui non giova punto l'allontanarsi
; perche ello va cercando di danneggiare. E parliamo con tutta sincerità; avete
voi veduto mai alcuna donna andare di. predando i.paffaggieri per terra , ò per
mare, conforme, fanno gli uomini E giacche avere apportato l'Ariosto con
[ocr errors] 1 [ocr errors][ocr errors] tro di esse, perche non riferite
ancoras el ciò, che dice a loro favore? che apporDe tai nella conferenza
quinta, ch'è appunto : E di fedeli , e caste, Saggie, e forti State
ne fon ne pur in Grecia,e in Roma; ti Ma in ogni parte , ove fra gl'Indi ,
6 "gl’orti Dell'Esperide il fol spiega la chioma, Delle
quai sono i pregi, e gi’onor morti, Si ch’appena di mille una fi noma
, E questo, perche avulo hanno a lor sempi Iscrittori
bugiardi , invidi , empj. E finalmente doverebbe bastare ciocche dicono
Socrate, e Platone di esse per frenare la lingua di chi ne dice male,
1 cioè, che sono capaci molce di effe d? amministrare la republica ancora
. Mec. Bisognerà dunque credere, che le donne non abbiano difetti, per
non pregiudicare a qualcuna , che tra esse fia ed Itata buona? Pub.
Io non pretendo difendere les cattive , ma fulamente cancellare lo buone del
numero di queste, nè voglio fcu 1 scusare i vizj, chc
insidiano le donne ; ma se le Virtù non isdegnano di accompagnarsi con effe,
come posso tenerle çelate in pregiudizio di cante? e precisamente di quelle di
cui l'Ecclesiastico al 26. ne fa gloriosi encomj,chiamandole : Lucerna splendens
; columna aurea super bafes argenteas ; fundamenta æterna: Laonde , Mecenate,
non dobbiamo in conto alcuno dir male delle donne; poffiamo bensì censurare
quei difetti, che le perseguirano; perche facendo in tal guisa non fi potranno
dolere di noi le buone , le quali non danno a' vizj ricerto; no tampoco, se
taluna cadeffe a darglielo, farà contro di noi risentimen. 10 alcuno, per non
dichiararsi da se medelima viziosa : e regolandoci con que. Ita norma faremo
conoscere, che non odiamo le donne, ma bensì quei vizj, che da loro medefimc
debbonli odiaren come loro capitali nemici. Sem. Iftruitemi dunque,
Mecenate, sopra questi vizj, scorgendovi molto informato di effeMec Di alcuni
ne fono informato; ma cutti tutti io non li so: perche mi fido' guro che siano
tanti appunto, quanti so. i no i caratteri Cineli: vi posso riferire li
più principali , che doverebbe fapere ogni marito, per potersi ben regolares
scorgendoli nelle mogli. Il primo di questi è la Vanità, la quale ha un
gran i seguito di altri vizj, a se fubordinati, mà cominciamo ora da
questa, che die ď poi parleremo degli altri. Sem. Che cosa è
precisamente, ed in che consiste questa vanità? :) Mec. Credo, che fia un
vižio, tanto in esse, quanto negli uomini effeminati, diretto a procurare ftima
maggiore, che competa loro in genere di bellezza.in c. 10,4:19.fi Sem.
Spiegatevi di vantaggio affinche possa comprendere meglio quanto avete
detto. Mec. Ciocche dilli mi pare chiaro', con tutto ciò mi spiego più
diffusamente , e dico: che se una donna, ò-un uomo effeminaco deformi procureranno
pre all prevalersi di superfui abbellimenti a fine di comparire
belli, pretendendo das ciò ricevere stima maggiore nel concetto delle persone
intorno alla loro bel. lezza. Questi saranno vani. Sem. Dunque le belle
non saranno vane, non avendo d'uopo di fienili abbellimenti. Mec. Ponno
cadere queste ancoras in detto vizio ; quando paresse loro di non essere tanto
belle, che abbiano a rapire il cuore di tutti, e perciò effe credessero colla
vanità di potere diveairvi a quel segno. Sem. Come fono numerose le donne
di questo genio? Mer. Poche sono quelle, che non lo abbiano ; la moglie
di Publio è tras quefte, che odiano la vanità. Sem. E che! la vostra
moglie, Publio, non si ornava, come le altre , quando era giovane ?: Pub.
Si ornava in quella forma, che io desiderava, a fine di compiacermi,non già per
fare pompa di fa con altri. Sem. [ocr errors][ocr errors] 1
1 Sem. Come vi contenevate per firla di perseverare in cotal guisa?
posciache a alcune per breve tempo incominciano a farlo, mà dipoi vedendo
le altre , che fi adornano, b-lasciano trasportare dal i mal costume
anch'efle Pub. Avevå ella fomma venerazione alle fentenze de' Santi
Padri, ed affinche meglio le comprendeffc, l'erano da me spiegate : onde
adducendole sopra ciò quella bella sentenza di S. Cipriano, che dice : Non eft
pudica, qua affeet at animum "altorius movere , etiam Jalva corporis
caftitate ; fi afteneva ella perciò dal vestire con pompa, dovendo uscire di
cafa, Sem. Se faceffero tutte cosi, andrebbe la maggior parte assai
positivamente vestira ; imperciocche li mariti per non u ispendere, non
direbbero già loro, che fi ornassero, e studierebbero giorno ,' notte
fentenze contro la vanità. Mes. Che male ciò apporterebbe loro 2 Sem, Non
altro, che si farebbe di ef fe oggidì poca ftima; essendo che, chi non fa
la lụa comparsa, come le altre, non è punto contiderata , Mec. E te
taluna la faceffe con inde. bitarti, chi sarebbe di queste due più considerata
, la yana, ò la modefta? . Sem. Certamente quella, che più di ornaffe,
perche niuna và cercando, come questa comparsa si faccia , effepdo molto noto
quel detto : Unaè bibe'as, quaris nomo, Sedopor. tet babere. Mec. Si
cercano, come anche voi di. ceste, più i fatti altrui oggidi, che i proprj;
onde per questo motivo yi ammetto, che sarebbe più considerata la ya-na , che
la modefta; e poi quando quefti non si cercassero, non credo già, che i
mercanti vogliano donare il loro; onde dipoi,che averanno aspettato un pezzo,
forzati a domandare giudicialmente il loro nelle publiche udienze vi pare, che
possa stare celato? ell'essere conf. derata in questo modo, vi pare, che posla
apportare decoro , ò vituperio? Pub, [ocr errors][ocr errors]
d Pub. Senza queste vostre rifellioni, di forma cattivo concetto delle
vane solamente a rimirarle, şi era ornata Thamar c deposti avea gli abiti
yedoyili più modefti, e Giuda quando la vide i in quella forma, che
concerto ne fè di effa? Suspicatus eft efe meretricem: Genef. 38. vedere
dunque yoi, Sempronio, come sono considerare le vane da parenti anche più
congiunri? Sem. Dicemi, che altro pregiudizio apporti questa yanicà
? Mec. Quando esce fuori de' suoi limi. ti, hà due altri vizj, che per
l'ordinario noll'abbandonano, e sono la prodi. galità, e l'impudicizia Sem.
Sono queste certamente due peflime compagne, le quali possono apportare gran
male, infidiando alla ro. ba, ed all'onore; mà è seguitata da alţri vizj?
Mer. E più correggiata la yanità das cu efli, di quello sia un Generale di
esser cito da 'suoi Officiali, posciacche 120 fuperbia, l'invidia, il
dispreggio, l'ineganno, con molti altri di questa perversa natura, a vicende la
servono, onde chi è vana, è anche superba , invidiosa , dispreggiatrice, e
fraudolenta, tramando sempre inganni, e frodi. Pub. In conferina di
questo, diffe S. Crisostomo. In Gen.fim Homilia 41. A corporis cultu innumera
frunt mala , arrogantia, que intus nafcitur, defpectus proximi , faftus
spirisus, animą corruptio, voluptatum illicitarum fomes &c. Sem.
Questa vanità fino a che segno potrebbe tollerarsi nelle donne? Mec.
Sarebbe certamente indifcreto quel marito, che non tollerasse alla moglie
giovane una mediocre vanità, quantunquc da questa fi poffa facilinente fare
passaggio alla grande ; dee bensi per tema di ciò egli ftare vigilante,
affinche non trascenda questa i suoi limiti, li quali le vengono prefissi
dall'onesto: e lidee questa tollerare ancora, affinche s'inducano alcune più
facilmente a pren. dere marito. Pub. Sant'Agostino riprese rigorofa
men [ocr errors] [ocr errors] mente Eudicia per voler andare troppo
ncgletta nel vestire, e le fè incendere, che averebbe dimostrata umiltà
maggiore con ubbidire a suo inarito , che a vestirsi di panno vile, per lo
spirito di contradizione , esclamando il Santo : quid absurdius, quam
mulierem de bumi. I li vifte fuperbire ? Sem. Come li conoscerà, che
questa trascenda i limiti prefilli dall'onesto a Mer. Allorche una
donna vorrà rico- prirsi di gioje, e di oro, e quello è peg. gio,
senza riflettere se le sue entrate lia- no sufficienti a poter fare tante
spele, venendone di ciò ripresa da Ovidio poe- ta lascivo,
dicendo: Quis pudor eft cenfus corpore ferre Juos? Ed
altrove. Gemmisque auroque teguntur Omnia , pars minima eft
ipfa puellae fui. E Properzio dice anche di più.
Matrona incedit cenfus induta nepatum Pub. [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] L 3 Pub. Seneca al 7. de Benef. dice ancora : Video
uniones non fingulos fingulis auribus comparatos; jam verò exerci14 aures oneri
ferendo funt ; junguntur interje, & infuper alii binis fupponuntur Non
faris muliebris injania viros fubjegerat , nifi bina ar terna patrimonia
auribus fingulis pependisent. Ma meglio di ogni alero S. Ambrogio : De Nabut.
Ifrael. cap.s. lo fa capire . Dele&tantur compedibus mulieres dummodo auro
ligentur non putant onera effes fi pretiofa funt: non pusant vincula efi, fi in
iis shefauri corufcant : delectant de vulnera , ut aurum auribus inferatur, do
margarita depen. deant c. E finalmente conchiude . Non parc unt dispendio , dum
indulgent cupidisati. Laonde fantamenre dice l'Ecclefiafte ; Averre faciem tuam
à muliere compta. Sem. Må se sarà nobile , non potrà fare di meno,
quantunque le sue rendi. te foffero tenui, di non ornarsi pomposamente,
vedendolo praticare da chi è mcno дobile di ella. Mece [ocr errors]
Mes. Ditemi per cortesia, forle che questa sua nobiltà, senza danaro, potrå
fodisfare il costo di tante pompe? Sem. Mi perfuado che nòsmå pare una
certa cosa, il comparire meno delle alo tre, alla quale, chi è nobile non si
può accomodare. Mec. Anzi queste , per fár comparire maggiormente la loro
nobiltà, non doverebbero soggettarsi a cose vandag per far conoscere inlieme,
ch'essa rin fplenda assai più dell'oro, e delle gioje. Sencite, ciò che diffe a
tale proposito la saggia moglie di Focione ; come riferisce Plutarco nella di
lui vita. Şi trovava un giorno questa illuftre Dama ins conversazione di altre
donne, ornate tutte pomposamentes vi fu chi le disse: perche non era venuta
essa ancor adornata come le altre, cui rispose : che le bastava per ornamento
la virtù di suo marico, al che non seppe che replicare la più curiosa, e vana
delle altre. Pub. A questo proposito dice Aristocile, che il buon
ornamento nelle don ne', non debba già consistere nella pompa, mà bensì
nella modeftia, e nel modo onesto, e decente di vivere ; il quale fu da Aspasia
praticato, come riferisce Eliano , quantunque ella avesse avuto per
mariti due gran Monarchi; cioè Ciro, & Artafferse, ciò non ostante fi feppe
ella così bene guardarc dalla soverchia curiosità, e pompa, che recò am
mirazione a tutto l'universo. Elodando Plinio la moglie di Trajano, non seppe
apportare fatto più glorioso di queIto a suo favore: che di efferli, come donna
mantenuta sempre lontana dallas vanità superflua. Sem. E se l'entrare
fossero sufficienti, potrebbe dirsi vana una, che trascendeffe i sudet i
limiti? Mec. Se la vanità non fosse unira col. la prodigalità, forse che
in questa, se non trascendeffe molto, sarebbe rollera bile, ma il vizio della
prodigalità non le permetterà moderazione alcuna; posciache: Prodiga non sentit
pereuntem fæminas fenfum. E poi credete voi, che'l fine, per cui fi orna a quel
segno, fia sempre onesto? non lo credetre già Seleuco , quel gran Legislatore
de' Locri, il quale fè quefta legge; che non fosse permesso ad altre donne di
ornarsi pomposamente, se non a quelle che volevano amoreggiare, e fare anche di
peggio; e sappiare , che, fù questo un gran rimedio contro la vanità; posciache
divenne quel Dominio per qualche tempo modeftiilimo, spor gliandosi le donne
delle loro fupes Aves pompe. Quindi è, che da saggio padre operò Lisandro, come
riferisce Plutara co, con rimandare a Dionilio tiranno le preziose vefti, che
aveva mandate in dono alle sue figliuole, con tutti gli altri ornamenti; con
fargli incendere; che averebbero più tosto tali ornamenti viruperato le sue
figliuole, in vece di or. narle. Sem. E le ricchissime, che non
soggiacciono al pericolo d'impoverire,perche non poffono fare tutto quello
sfara fo, che bramano? 1 [ocr errors] tutte Mec. Non tutto quello,
che si può, è convencvole a farli. Giovanna di Navarra consorte di Filippo il
Bello, trovandosi in Burges, mortificò molte Dame, che andarono a visitarla con
abiti sontuofiffimi , dicendo loro. Credeas effere in questa città io solamente
la Reging, mà ne trovo mille. Pub Chi brama servirsi bene delle proprie
ricchezze, non dee impiegarle per fodisfare le sue voglie, ed in cose
superflue ; dee ancora pensare and quelle, che sono maggiormente necef• farie,
che ornano l'anima, come insegna S. Cipriano dicendo : locupletem te effe dicis
e utere divitiis , fed ad bonds are tes; divitem te fentiant pauperes
&c. Sem. Se taluna fosse deforme , potrebbe ornarli più dell'onesto
per comparëre bella e Mec. Faccia pure quanto può la deforme , che fempre
scoprirà di vantage gio la sua deformità; e guai a quelles, povere damigelle,
che vi harno a conbattere, perche rimirandofi allo fpero [ocr
errors] chio, deteriorare più costo con quelli abbellimenti,
che li pongono, si per- suadono, che per difetto di effe ciò deo
tivi', non sapendo bere addattarli, ed a questo proposito cosi
parla Giove- nale, Quid Pfecas admifit , quænam eft
culpa puella Si tibi difplicuit nasus tuus? Sem.
Consideriamo i sarti quanti rimproveri riceveranno di vantaggio Mer. Vi
fù uno di questi gli anni scorfi, che avendo portari alcuni abiti ad una ricca,
e deforme, ed allorche se li provava , diffe, che non erano ben fata ti; perche
non le stavano bene al viso ; quel povero uoino vi ebbe un pezzo fof. ferenza,
må alla fine le disse : Signora io gli ho fatti a misura della sua vita , alla
quale vanno benissimo , non già del suo viso; onde questa non è colpa mia , mà
deila natura, se non stanno bene ad effo. Sem. E le brutte, è
belle, che siano adoperando i bellectiglo fanno per vanitá a Moc.
Mec. Questo certamente è molto dubioso; posciache, se lo fanno per essere
stimate più belle, s'ingannano, mentre ogni uno, che le rimira, le tienes per
copie mal dipinto, non già per ori . ginali, e voi sapete ; quanto lieno
più timati gli originali delle copie, quantunque pajano ben colorite; e
poi quel mal odore, che tramandano quegli unguenti posti sul viso, come le
possono rendere amabili? ed udite Plauto, come ne parla, Vei fefe sudor cum
unguentis fociavit illico, Ibidem olent, quafi cum una multa jura
confundit coquus, Quid oleas , nefcias ; nifi id unum male olere
intelligas. E Giovenale così dice: Interea fæda aspectu , ridendaque's
multo Pane tumet facies, aut pinguia popeana Spirat, hinc miferi vifcantur
Labra marici. Ed in appresso; Tal Tot medicaminibus ,
coctaque filiginis Offas Accipit , &
madido, facies dicetur anni ulcus ? E guai a queste se
intervenissero al giuo, .co, che inventò Frine, riferito da E rasmo lib. 6.
Apophtegn.pofciache si troverebbero confufe, e mortificate. Ef sendo ella in
conversazione di donne; tra quali ben si avvide effervene non poche bellettate
, introdusse il giuoco del1e penitenze, uscendo a forie chile doveffe
comandare; e toccando a lci, ordinò, che fosse portato un gran carino pieno di
acqua', e che ciascuna dovesse ja varsi il viso, come ella faceà ; 'non
poterono le altre scufarfi, effendoli'impegnate ad ubbidirç, e ne seguì da ciò
tal metamorfofi,che li domandava il nome ad alcune non riconoscendosi più per
quelle , ch'erano prima. Pub. Bisognerebbe , che leggeffero S.Ambrogio :
Examer. 6. cap. 8. per illuminarsi, ove dice : Deles picturam' mulier , f
vultum tuum materiali candore,oblinius, fi acquifito rubore perfundas : ila la
pi&tur a via, non decoris eft ; illa pi. Eura fraudis , non fimplicitatis
eft ; illance pictura temporalis eft, aut pluvia, aut Judure fergiiur : illa
pi&tura fallit, de ripit, ut neque illi place as , cui placere de
laderas , qui:nielligit non tuum, fed alicnum effe, quod placeas, & tuo displiceas
auctori , qui vidiet opus fuum efl deletun; ed apporia inoltre, lib.i. de
Virginibus, un dilema affai calzante a questo propofito, dicendo, fepulchra es,
quid abscomderis? fi deformis, cur te formosam effe mentiris? neç tud
conscientia , nec alieni gratiam erroris habitura? Şem. Lo faranno
çalvolta le bruite per ricoprire ļa ļoro deformità. Mes. Quanto s'
ingannano queste; posciache in vece di ricoprirla più costo in tal guisa la
rendono palese a tutti; cfsendo che non potendo mai fare in modo, che non si
conosca ciocche di più del naturale si sono poste sul viso, das Joro medesime
si discuoprono per defore mi, çon pregiudizio anche delle bells, Şe
[ocr errors] [ocr errors] se ciò facessero; perche saranno queste ancora
credute di ayere difetti tali, che abbiano d'uopo di essere ricoperti; E se poi
la deformità proveniffe dall'improporzione delle parti, che non è male da
biącca, come la potranno rimcdiare? posciache converrebbe in tal calo inventare
il modo da profilare mcglio il naso, ristringere la bocca, e di slargare la
fronte, ed a questo non potendo ațrivar esse senza maggiormente deformarli,
perche dunque li pongono a garreggiare col Divino Artefice, che così le formò
per fini a lui ben ooti? Sem. Hò udito però, che quelle, che cadono in
fimile errore, sia impoffibile, che possano più aftenersi dal non farlo, e
queste in che modo le coayincereste Publio? Pub. Sono certamente infelici
quelle donne, che non piacciono a se medefime , come disse S. Cipriano , de
Bon. Pud. femper eft mifera, que non fibi places qualis eft. Onde queste
difficilmense potranno convincerli; con tutto ciò, quan: Tollens
ergo quando' mai godessero un momento di mente tranquilla , domanderci
loro, se amano più la bellezza dell'anima, è quella del corpo, e dicendomi,
come è più verifimile , ch'amino più quella dell'anima , apporterei loro
ciocche dicc S. An:brogio : in Examer 6. cap. 8. ergo membra Ch ifti
faciam membra meretricis? Abfit, quod fi quis adulteret opus Dei; grave crimen
admittit , grave eft enim crimen , ut pures, ut melius te bomo , quam Deus
pingat . Grave eft , ut dicat de te Deus, non cognofco 16lores meos , non
agnofco imaginem meam, non agnofco vultum, quem ipse" formavi, Rejicio
ergò quod meum non eft , illum quare, qui te pinxit , cum illo habeto
confortium , ab illo fume gratiam, cui mercodem dedifti. Quid refpondebis ? ed
udite ancora quanto lo detefta S. Cipriano de Habit wirg. Manus Deo inferunt
quando illud, quod ille formavit, reformare, transfigurare contendunt ,
nefcientes quod opus Dei eft omne quod nafcitur:Diaboli, quodeumque mutatur ac,
tu te exi, Jimas impunè Laturum tam improbare meritatis audaciam Dei
artificis offenfama Ut enim impudica circa bomines, du inn cefta fucis
lenocinantibus non fis ,' corruptis, violatisque, qua Dei funt péjor adultera
derineris dc. Sem. Quelle, che fi bellettano, mi persuado certamente, che
non averanno uditi gliaccennati sentimenti di queisti Santi; perche in verità,
sc riflettes sero attentamente a ciò , che questi di cono, fi alterrebbero dal
farlo; mà vor: rei sapere in oltre da voi, Dottore, se pollano queste lordure,
che si pongor Ho le donne sul viso, essere di nocumento alla loro salute?
Med. Sono senza dubio molto dannosi; perciocche se il tingerfi solamenrei
capelli ha apportato a molte la mor- to, come riferisce Gal. de comp.medic.
fec. locos , cap.3. de tinet.capil. oye dice: Non folum enim in periculo
verfatas fape frio -fæminas ; fed mortúas ex perfrigeratione capitis per
hujufmodi pharmaca induéta , Ed Aczio parimeate afferisce , libr. 6. M
CAP 1 cap: 57. di averne vedute morire alcune per tale cagione
apoplettiche, e tabide; quanto più facilmente potranno es. fere danneggiate da
cosmetici , ne' quali entra il solimato? E posso io asserirvi di avere veduta
più di una di queste divenute , ò asmatiche, ò apopletriche, à paralitiche, ò
idropiche in érà proverra; senza poi quel danno, che suode recare in gioventù a
tutte , ne' loro denti ; e gignive; nè preftino fede a coforo, che fabricano
belletti, quantun. que dicano di averli fatti fenza folimato, poiche le
gabbano. Sem. Si che dunque aon gioveranno ne per l'anima, ne per il
corpo? Mas come si doveranno regolare i poveri mariti , fe queste fi
oftinaffero in voleres tutte le cose alla moda 2 Mer. Io non farei altro,
che spiegare loro i seguenti vèrsi di Properzio ar. vocato di effe : * Quid
juvat arnato procedere vitta ca pillo Et tenues Cos vete movere
finns ?Aut quid orontea crines perfunderes mirra?
Teque peregrinis vendere muneribus ? Naturęque decus mercato perdere
cultu? Nec finere in propriis membra nitere bonis estir's Ed
altroye: Nunc etiam infectos demens imitance Britannos Ludis, o caterno
gincta colore caput, E soggiunge : Ut natura dedit, fic omnis recta
figura, Turpis Romano Belgicus ore colar E Plauto ancora, che pone in derisione
queste tante variazioni di mode : dicendo in Epidico Quid ifta ?
Quo quotannis nomina in In veniuntur noua * Tunicam
rallama tunicam spilam Linteulum, Cæcisium, Indosiatam,
Palegiatam. Calšbulan, aut Crocotulam. er. Pub. Allai meglio
facente, Mecenate, a fare intendere loro ciò che dice San Cipriano dihi de
babitu Kirginum ; ovewi . Ceterùm fi tu te fumptuofiùs cumas, per
publicum notabiliter incedas , oculos in se juventutis illícias', fufpiria
adolefcentum poft te trabas , concupifcendi libidinem nuFrias, peccandi fomitem
yuccendas, ut fi ipfa non pereas, alios tamen perdas, velut gladium te, du
venenum videntibus se prabeas * excufari non potes , quafi mente cafta fis, do
pudica s redarguit te cultus improbus id impudicus ornatus , conforme lo fa
conoscere Aufonio in Delia, od ei Delia, nos miramur ,'eft mirabile ,
quod tam Diffimiles eftis ruque , fororque túa ; ?> Hæc habitu casta , cum
non fit caffats videtur, Tu preter cubium nil meretricis habes. Cum caffi
nores sibi fint , buic cultus honeftus, Te tamen, cultus damnat,
caftus cam. Sem. Parfando ora all'ira , queltas noir mi pare, che
abbia tanto dominio i nelle donne, quanto negli uomini, aven do
[ocr errors] do veduto adirati più questi, che quelle alcune volte, che mi sono
abbattuto seco in Gimili contingenze. x Mec. Non doverebbero certamente
le donne adirarfi ; pofciache divengono allora talmente deformi , che più non
si riconoscono , .quanto mai li erasfigurano; onde avendo effe in orrore la
deformità, doverebbero anche odia. re la cagione di essa ; Ma yoi , Sempro,
nio, le averete facilmente trovate in bonaccia, non già in tempo di furore ; e
perciò dite, che vi pajono gli uomini più colerici di esse; fe però vi foste
abbattuto nel vedere adirata Ja moglie di quel povero, Grammatico riferito
lepidamente da Ausonios diversamente para lcreste ; mentre di essa cosi dice:
Anma', virumque docens, atque arma virumque peritus':' Non duxi uxorem ,
fed magis arma do 1 ܢ ܀ Namque dies fotos y Botafque ex ordine !
noctes :: Liribus oppugnat a, meques meumque Ata [ocr errors] M
3 giam ! Atque , ut perpetuis dotata à Marre duellis risin
Arma in me follit , nec datur ulla quies: Jamque repugnanti dedam me,
wide nique victum Jurget ob hoc folùm, jurgia quod fuOltre di che
Salomone, che non 'mentisce, dice ancora: non eft ira fuprà iram mulieris
. Sem. Non saranno però ofinate les donne, che averanno i marici più
rifenciti di effe , e non tanto buoni, come era il sudetto Grammatico?
0:0, Mec. L'oftinazione alle volte liavanza tanto in effe , che le rende
incorre. gibili, come comprendercte ancora dal feguente avvenimento riferito
dal Poga gi. Vi fu una di queste» che dopo ave. rc ricevuto moltisms bastonate
da fuo marito, non potendola far ritrattare dall'ingiuria, che gli facea,
chiamaadolo pidocchiofo,la calò anche nel poz . 30, fin tanto che poteva
parlare sem.. pre [ocr errors] pre fu percinace nel medesimo
disprego gio ; finalınente, avendo anche la te. ita fommersa nell'acqua, colle
unghie de deti grosli soprappoftę gli faceva cenno di quello , che averebbe
colla voce pronunziato , se avesse potuto Oltre di che il vizio della vendetta
facilmente di collega con esse, dicendo : Giovenale:Vindicta Nemo magis
gaudet , quam femina. Sem. Le finzioni, e le menzogne and che segno
s'internano acll'animo dona, nesco ? Mec. Nelle donne scaltrite più
affai, che nelle milense:Ben è vero però,che se s'incontreranno in mariti
accorti, apporteranno loro gran danno le proprio finzioni, e menzogne; come appunto
seguì alla moglie di Teodofio à allas quale avendo egli donato un pomo di
eccessiva grandezza , volle ella gratifi care con esso uno de principali
Signori della corte, il quale due giorni dopo mandollo in dono all'Imperatore
;quantunque mostrasse apparentemente di gradirlo n'ebbe per ò egli intern
rammarico;perloche essendo cornato dipoi dall’Imperatrice, domandandole, se
riteneva più quel bel pomo; gli rispose, che lo aveva mangiato, ed avendola
pregata, che avesse fatta matura riflessione a quanto diceva, ella ostina. tamente
confermava il suo derto; allo. ra l'Imperatore per convincerla lo fè portare in
sua presenza, ele disse: Voi Giete una finta donna ; ne mostrò in av. venire
feco più confidenza . Sem. Hò uditi con molto mio rammarico i difetri
donnefchi; consolatemi ora voi, Publio, con riferirmi le Virtù delle donne, ed
in ispecie qvelle, che ponno apportare profitto alli mariti. & Pub. La
Prudenza, e l'Amore Gince. ro sono le principali virtù, che debbono risplendere
nelle mogli. Sem. Ma di queste Virtù sono capaci Je donne? Pub. Non può
dubitarf di ciòyinenero le le ftorie non solamente profane, ma faa
cre ancora lo confermano, e presentemente vediamo anche risplenderé mole cisime
di effe con fimili virtù. Sem. Perche duaque fi dice tanto ma le delle
donne Pub. La cagione di ciò la trovo in Euripide, il quale dice:
Miferrimum eft muliebre genus , femel Nam , quæ peccant etiam
immeritis Dedecorifque funt mulieribus, com municant
vituperium, Mala non malis , Ma questo, e un abuso grande, ed in. giusto
posciache contro di noi altri uomini non si costumà addollarsi a' buon il
vituperio de' cattivi, e qual ragione dunque vuole, che ciò militi contro di
effe ? Ovidio però le difende da tale in. giusta maledicenza con dire:
Parcite paucarum diffundere crimen ist Spectesur meritis quaque paella
fuis. Sem. Voglio credere che donnes prudenti vi siano ffate ayendo
udita rasa omnes: raccontare molci saggi farci delle Porzie,
Cornelie , Paoline, e Paoline, e di altre ; Mà di queste , che con amore
sincero abbianoamato i loro mariti vorrei udirne riferire qualche altro csempio
per meglio accertarmene. Pub. Vi posso fodistare in questo picnamente, e
principiando dal grande, e fincero amore', che mostrarono a loro mariti
carcerarile donne Spartane;men. tre queste andando a visitarli li ferono
vestirc de iloro abici, ed effc rimasero carcerate: pafferò poi a riferirvi,
ciocche fè Cabadis Reina di Persia, la quale parimente liberò suo marito
carcerato con vestirâ ella de' suoi abiti, e rima. nere priva della sua libertà
, c vita ancora · Riferisce parimente il Tarcagnota un fatto molto riguardevole
a tales proposito. Avendo ottenuto per capi. tolazione di uscire solamente le
donne dalla città di Vespergia cariche di quello, che più loro piaceva,
abbandonando queste oro, e supellectili preziose, she avevano, trasportarono
sulle spal. le [ocr errors][ocr errors] le i loro più congiunti. Ed
udite finalmencé un esempio singolare dell'amorce sincero di una saggia Regina,
riferito dal Padre Cordier · Roberto Re della gran Bertagna si trovava ferito
con una laetta velenata , fu giudicato da’Medici per unico riinedio il farla
succhiare da cui avesse voluto esporre la propria vita, per salvare quella del
Re ; la Regina sua moglie fi mostrò prontislima di farlo, ma non voleva in
conto alcuno il Re permetterle, che si esponesse a tal pericolo. Chę fè
l'amorosa moglic ! aspetto, che fosse addormentato , ed allora appunto, sciolta
la ferita , succhiolla intrepidamente, e con tanto felice successo, che rifano
il Re, senza riportarne nocumento alcuno l'amorosa Consorte... Sem.
Persevereranno queste prudenti, ed amorose consorti semipre nella. medesima
forma ? Pub. Se faranno i mariti prudenti in faperle bene diriggere, lo
fåranto, come udirete nella seguente ConfeTenzi. CONFERENZA VIII.
Come si debba regolare l'uomo colla moglie scelta di ottime
qualità. Sempronio , Publio, Mecenase , e Medico
M Som. perfuado, chief sendo la giovane di ottimi costumi,non
civoglia grandparte nel regolarla, po sciacche da se mca delima sapra ben
governarsi. Pub. Non è già così , Sempronio ; quantunque sia buona, ci
vuole anche attenzione in reggerla , affinche non divenga cattiva , perche
conforme fi dice, che prendendo marito, muci sta10, può anche cambiare costume;
im, [ocr errors] L2perciocche il corso è di molti anni, é fi
dee navigare in un mare, nel quale s'in. contrano de' scogli, e continuando la
metafora , descrittami da quel vecchio, che la donna sia la nave; questa quan.
tunque non abbia difetto alcuno, da se fola, e senza chi la indirizzi, a fola
di: screzione de' venti , che sono i suoi pen• ficri, non può giugnere al
defiato porto della felicità , onde conviene, che l'uomo faccia da nocchiere, e
non dor ma; quantunque fia bonaccia.. Sem. Infegnatemi, dunque come do.
vrò regolarmi, per non errare? Pub. Potrò riferirvila direzione del la
quale io fteffo mi sono servito, eve: drete, fe questa vi aggrada. ' Sem.
Avendola voi posta in esecuzio. nc felicemente, poffo fperarne anch'io
profitto. Pub. Ebbi alla prima quest'avverte11za di non addomesticarmi
seco in ecceso fo, ma solamente, quanto bastava per -farle conoscere, ch'io
l'amava , c perciò la rispettava , ferviva, ed oporava s mà mà çon
tenere sempre un tale qual den, coroso fuftegno. Procurava in oltre, ché non
iscopriffe il mio debole, c per fare prova del suo afferto, di quando in
quando, mi facea da essa scorgere penberolo, ed alle volte ancora alquanto
mesto: non li assicurava ella di ricerca. fc la cagione di ciòs solameore dopo
qualche giorno, faccosi animo, mi diss fe: Signore, yorrei vedervi allegro,
comc debbono essere i spost ; fe poffo io sollevarvi in cosa alcuna , eccomi
pronta': comandatemi, ed indirizzatemi che non ricoferò di obbedirvi . Mi senti
a tale corcese offerta immediatamente giubilare il cuore, e le rispoli con
faccia ilare : Signora viringrazio delle obliganti esibizioni, che voi mi fate,
u vi afficuro , che me nc prcvalerò, avendomi molto sollevato con questo voftro
-corcese parlare : E guitai immediatamente di quella confolazione registrata
nell'Ecclesiastico al 26. Gratia mulieris -Sedula delectabit virum fuum,
copaiba ljus impinguabit . Sem. 6 [ocr errors][ocr errors]
Sem. E se fosse entrata in sospetto , che voi non l'aveste amata? Pub.
Questo non poteva crederlo perche, come diffi , la rispettava, cd onorava con
particolare artenzione ; cd essendo ella prudente, ben fi avvedeva, che della
sua persona era sodisfattiffimo; sospettava bensì, come mi riferi dipoi,
il che da altre cagioni ciò veniffc ; u con bel modo tanto fè, che alla
fine un i giorno, dapoi avere presa meco confia denza maggiore ,
interrogandomi sopra ciò, seppe da me la cagione de' mici turbati penfiori ;
cioè : che questi dcrivavano dal timore, che io aveva di non cffere ancor
baltantemente capace di cducare bene i figliuoli, e di non sapere mantenere
fino alla morte il reciproco affetto coniugale a quel segno, che fi dovea
. ! Sem. Che rispofe ella? Pub. Con volto ilare mi replicò, che a
questo dovea anch'effa contribuire la sua parte , ic perciò ca ayefli pur
deposto la metà di detti pensieri , ch'erano tuoi. Sem. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se vi aveffe risposto ; penfiamo ora a
darci bel tempo : figliuoli non po abbiamo quando quefti nasceranno Gi farà,
come li potrà, non ci contriftiamo ora di quello, che non è presente.
Pub. Non fi parlava così in quei rempi, ne' quali il divertimento non erao
anche divenuto affare creduto rilevan. te, ed essenziale, che richiede sfe
giornata intera ; era bensì creduco effenziale il provedere quanto faceva
d'uopo, ed il prevedere ciocche poteva fuccca dere. ... Sem. Vi manrenne la
parola data di sollevarvi , quando sopravenne il bisagno Pub. Fè anche di
vantaggio, pofcix che fcoperto ch'ebbi il suo buon animo, un giorno così le
parlai: Signora mia, voglio, che camminiamo di buon conia certo in reggere la
casa ; abbiamo tansto assegnamiento, che può bastare as Amantenerci nel nostro
stato decorosamente ; pofliamo tenere tre fervitori, due per lei, ed uno per mc
, una ser [ocr errors] vente, ed una matrona, ed avere la noftra
carrozza, che serve ad ambiduc; of dividiamo ora l'incumbenza: voi pen+ ferere
alla tavola, alle biancherie, ed io al rimanente ; dell'esazioni
voglio ne fiare anche voi consapevole per vom ftro governo ;
ficcome ancora dell'esi- to, per caminare di buon concerto tra noi
nello spendere: debiti non voglio ne facciamo, nè avanzi
considerabili fino a tanto, che abbiamo l'assegnamen. to fiffo , c
non amministriamo tutte le rendite; e basterà , che solamente po-
niamo da parte ogni anno qualche cosa, per fupplire alle stagioni
fterili, alle ritardate rescoffioni, ed alle spese straor- dinarie, per
non ritrovarci allora bilo- gnosi di danaro : All'educazione de'
fi- gliuoli penseremo concordemente, al- lorche Iddio li
manderà. Sem. Ed essa accettò queste brighe ? Pub.
Anziche mi ringraziò ; mo- strandofi contentissima, per averla po-
fta a parte del governo. Sem. E se aveffc risposto; io non vo-
glio ingerirmi in questo affare ; pensateci voi, col maestro di casa; perche
non voglio prendermi questo tedio? Pub. Sarebbe stata troppo ardıca
simile risposta in quei tempi, ne quali crano molto rispettati dalle mogli i
mariti , contentandoli vivere subordinate ad effi , e non succedca già come
dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulier si primatum babeat , contruria eft viro fuo;
perche qucfta maggioranza non la godevano. Sem. Mà come riusciva in
quelle cose , che le toccavano di fare? Pub. A maraviglia bene; posciache
aveva la matrona , ch'era donna savia, e consigliandosi con essa lei, divenne
in breve tempo espertisfima in tutte quelle cose, che le appartenevano.
Sem. Chi potrà trovare oggidi quefta matrona non costumandosi più tal servigio
? e poi quando anche si trovassc, diventerei ridicolo, se prendesi, per servire
mia moglie, la matrona . Pub. Perche ridicolo? forse che fa. rebbe cosa
mal fatta? Som. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
Sem. Non dico mal facta , mà effendo in disufo , farebbe segnato a dito, chi
l'introduceffe. Pub. Mà da chi? forse da' savj, u prudenti? Sem.
Non credo da questi ; mà bensi da tutti quelli, che non costumano te.
nerla. Pub. Or io di questi non mi prendcrei soggezione alcuna; mi
dispiacereb. be bensì , che i savj biasimassero le mie operazioni ;
imperciocche possono farvi altro dispetto costoro,che non son savj, che di non
conversare con esso voi? E che perdita da ciò riceverefte? ogni qual volta
questo provenga, non per cagione di cosa malfatta, mà più tosto decorosa, ed
onesta, che sono vantag. giose per voi ; nel qual caso efli li renderebbero
meritevoli della censura de' savj. Io vi poffo ingenuamente confessare, che se
non fosse stata in cafa mia la matrona, che avesse indirizato da pria. cipio la
mia consorte , non averci già goduta quella tranquillità di animo fpe
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] rimentata fino al presente; posciacche
questa matrona essendo nata civilmente, e così ancora trattata da me, dando
alla mia conforte buoni conligli, la istruiva ottimamente, e perciò non vi è
stata occasione alcuna di discordie tra noi; il che non sarebbe già seguito, se
fi fosse configliata con qualche donnas ordinaria, e giovane, da cui facilmente
pellimi consigli averebbe ricavati. Sem. Questa matrona itava al fervia
gio attuale? Pub. Quantunque fosse falariata, era però distinta
dall'altra donna, che mi serviva, e faceva molce cofe spontaneamente di più di
quelle, che le toccavano, per l'amore, che portava alla casa, ove sperava
terminare i suoi giorni; non costumandofi licenziare queste , fe non per
cagioni assai gravi, le quali raro volte accadevano ; e quando la Signora
partoriva , essendo pratichisimas; non li può esprimere , che aflistenza le
prestava in tutto quello, lc occorreva ; ed in tempo di malattie cra
singola re; 2 re; oltre di che nell'educare bene i figliuoli,
e le femine in ispecie, cra mol. to eccellente, sapendosi far amare, a
rispettare insieme: or vedere voi quali danni ha apportato privarsi di
effe. Sem. Mà perche è stato dismesso si buon fervigio ? Pub. Io
precisamente non lo sò, può essere, che sia noto a Mecenate. Moc. Io ho
udito riferire più voltes che queste volessero fare troppo lezelaati, e perciò
fi fia verificato in esse la favola di Efopo, ove parla del trattata di accordo
fatto tra il lupo, e la pecor ra,contro la soverchia custodia de' cani; e per
verità, vi erano alcune, di esse, che facevano la guardia alle figliuolo più di
quello , che facciano i cani alle pecore; -mà questo non era motivo fufficiente
per dismettere un servigio cotanto utile al decoro, ed onestà dellas casa,
conosciuto ciò, anche da Tibullo quantunque molto lascivo, mentre egli
consigliò: At tu cafto precor maneas, fanétique pue Aft [ocr
errors] dorisa N3 Affideat cuftos fedula femper anus . Sem.
Come regalavate, Publio, fperso la vostra sposa? :- Pub. Oltre le mancie
solite del Natale, e del giorno mio natalizio, che consistevano in dodici
piastre per.volta, e quando si riscotevano grosse somme, fempre qualche moneta
di oro le davas, perche mi è piaciuto , ch'ella 'manegiafle danari. Sem.
E che ne faceva 279 Pub. Quando arrivava a cumulare la somma di cinquanta
scudi , creava un cenfo, e la metà del frutcabo di effo dispensava a poveri, c
fi verificava in lei ciò, che dice Salomone delle donne savie: Manum fuam
aperuit sinopi , & palmias suas extendit ad pauperem , dell'altra si
serviva per vestirdi:. ;1 Sem. E le fpilte non se l'era riservate ne'
capicoli matrimoniali? LifPubi Questo non costumava allora... non facendofi
tanto consumo di effe,come 'oggidì, che liveste alla moda . Sem. Eche a
non fi vertiva alla moda in quel temposPub. Si vestiva all'usanza propria det [
paese, quale era di non cangiare sì di sovente, quella , che
correva. Sem. Non è questa la vera moda, mà bensì quella, che oggi si
porta da paeli stranieri, ed indi a pochi meli, venen, done un'altra, la prima
non si usa più , perche le ultiine sono quelle , che dilectano, ed appagano gli
occhi . Pub.E degli abiti di vecchia moda anche in buono essere che fe ne
fa? Sem. Si esitano a quel prezzo, che fi trova, e con discapito grandissimo,
Pub. Come costa questo vestire all? ultima moda , perche io, che vivo all
antica, non ne sono in formato ? Sem. Costa assai per verità, essendo che
bisogna pagare sempre di più del suo valore quel drappo di nuova moda; mà ad
alcuni ciò non da fastidio, perche i mercanti sono cosi cortesi', che lo danno
in credenza. ti ''p Pub. Questa , per parlarvi con tutta fincerità, mi
pare la vera moda diandare in malora; perche estendo sì cari, Conf. 8.
Dec. prima ed il mercante volendo alla fine essere pagato, che si farà allora ,
non essendovi danaro per sodisfarlo? Mec. Si mucerà paese, e per verità
quando questa nuova moda non era tanto in uso non si vedevano già i galant'
uomini , divenuti per essa miserabili, nè mutare paese, essendo per loro poco
sicuro quello, ove vestirono a tutta moda. Sem. Con chi coversava la
vostra fposa ? ? ? Pub. Con i suoi parenti più proflimi , li quali in
giorni festivi, in occasione di male , ò di altri bisogni venivano as
visitarci, ed altresì noi con effi loro facevamo. Sem. Ma non recavano noja
fimili conversazioni Pub. Anzi erano di sollievo grandislimo; essendoche
i capi di casa fi ritiravano in disparte a difcorrere fopra gť iatereffi
domestici; consigliandosi tras loro, per meglio regolarti, nel far colcivare la
campagna, ne irinvestimenti da da farsi, e nel governo economico
della casa : le donne poi colli ragazzi, ftavano divertendosi tra loro.
Sem. Ed in che? Pub. Nel domandare , che profitto facevano i
figliuoli,che belli premj avevano avuti da loro maestri, e come fi portavano le
figliuole ne' loro lavori, i quali bene spesso portavano seco queste, per farli
vedere ; e ciò serviva per eccitar emulazione tra elli a portarli meglio
in avvenire, lodandosi, e premiandos ancora chi s'era portato benc. Sem.
In detto tempo a costumavad giocare? Pub. Questo non fi faceva ,
eccettuato, che in tempo di carnevalc. Sem. Si giocava alle ombre in
detto tempo? Pub. Questo si costumava ; posciache ove si giocava, non vi
era Sole . Sem. Voglio intendere colle carte di fpade , bastoni , coppe,
e danari. Pub. Queste ne pur si conoscevano in quel tempo da esse, e se
l'avessero co no [ocr errors] nosciute', non averebbero giocato con
carre tantó-misteriose, le quali fanno vedere , che le spade, i bastoni, e le
coppe , malamente adoperate consumano tutto il danaro , .. Sim. Ele
conedie li udivano allora? Pub. Queste erano frequentare', ò'da curiofi
forestieri, è da paesani ožiofi per alcro le donne se n'altenevano ; e se
non era più, che qualche rappresentazione facra, fatta di giorno, avevano
rossore di comparirvi. Sem. Eli passeggi si costumavano ins quel
tempo? Pub. Passeggiavano ancora, mà per essercitare iutto il corpo a
beneficio della salute , non già come si fa oggidi, per 'indolirli folamente la
schiena , a cagione di tanti inchini, che Gi fanno, fenza muovere un
paffo. Sem. Lecafe, come erano bene a dobbate Pub. Asai meglio',
che non sono adesso, rimirandovisi appcfi nelle pareti di effe akuni quadri di
carte', ches er [ocr errors][ocr errors] ga in erano le
piante delle tenute, che si possedevano,dalle quali & ricavava groffi ffimo
frutto, ed allora non vi era tanto luffo; poiche loro, ch'oggidì s'impie
in apparenze superflue d'indorature, e nelle vanità alla moda, fi ipendeva in
quei tempi assai meglio in compre diterreni, e di alcre cose fructifere. Ne si
commettevano già furti di piatti, fottocoppe , bacili, candelieri, ed altri
vali di argento ; perche questi allora. erano. assai meglio custoditi ; effendo
pochi elli, che gli aveano, e perciò di rado ancora venivano adoperati. -Sem.
Sapete Mecenate, che mi crovo confuso a cagione di questo racconto fatró da
Publio, riflettendo a ciò, che sarebbe più utile , mà non lo potrò seguitare,
per il diverso costume introdotto oggidi ; e dichiarandomi volere vivcre così,
non troverò moglie; dall' altro canto a seguitare il modo, che si tiene, sono
arrivato a comprendere , che è molto dannoso per cutti i verfi. Dunque che
dovrò fare?Mec. Di non isbigottirvi punto per qucsto. Scegliete voi il modo,
che credece migliore, e dichiaratevi pure apertamence , che questo volete
seguitare e troverete ciò non oftante moglie, u forse senza d'uopo di ricercare
tanto al minuto il costume; posciache quelles giovane,che si contenterà di
essere tratcata in questa guisa , sarà certamente fac via, e bene accostumata
. Sem. Mà se le altre non la vorranno trattare per non seguitare ciocche
effe fanno, come si troverà ? Mec. Che pregiudizio risulterà a voi &
ad effa da questo, che farebbe la voftra fortuna? anzi voi medelimo lo do.
vreste procurare, affinche non la deviaf. sero dai suoi doveri. Sem. Or
io così farò, e dica ogn'uno ciocche vuole ; perche hò uditi molti mariti
sospirare frequentemente; da che provenisse questo, non lo só precisamente, sò
bene, che senza cordoglio non ti sospira . Or ditemi , che altro doverò fare
per mantenerla costante nel fuo [ocr errors] suo buon costume
? Pub. Nun altro, che di non darle al. cun mal'esempio, e di tenerla
continuamente occupata in devozioni ; affari do. mestici; e nell'educazione de'
figliuoli; perche la vita oziosa è pessima, dicenda l'Ecclefiaftico: Mitte
illum in operationem, ne vacet; multam enim malitiam docuit otiofitas .
Sem. Come mi dovrò contenere intorno alla devozione? Pub. Le darete in
questo voi huono esempio ,' conforme richiede l'obligo voltro ; imperciocche
tanto io , quanto la mia conforte cravamo favoriti dal medesimo direttore
spirituale , c trequentavamo sovvente le nostre devozioni ; la sera poi colli
figliuoli, e servitù fi recitavano alcune preci, e li leggevano anco libri
fruttuosi per l'anima, ed in oltre da noi si sovvenivano bene spelso i poveri,
e da ciò ne hò ricavato quel bene, che si trova registrato nell'Ecclefiaftico :
Mulieris bona beatus Vir, numerus enim annorum illius duplex . Sen.
. Sem. In che altri affari domestici la tenevate occupata ? Pub.
Effendomi avveduto , ch'aveya desiderio di copiosa biancheria , ordinavo, che
fossero proveduti nelle fiere canape, lini , e cottone, é veden. dole si
rallegrava molto, e li faceva filare, e reffere a suo modo; e ciò per verità la
teneva impiegata qualche ora del giorno , ingegnandosi ancor essa di filare , ò
d'inaspare; e facendosi le bucate in casa, rinnacciava a maraviglia , quanto ne
aveva bisogno, affieme colla matrona ; ed io rimirandola cosi diligente ne
godevo fommamente, vedendo verificarsi in essa quella condizione ancora di
donna saggia, descritta da Salomone: Quafivir lanam, d linum, operara eft
confilio manuum suarum. Sem. La conducevate in Villa? Pub. In certe
belle giornate lo praticavo; anzi che le faceva vedere le nostre tenute, e
tutti quegli stabili, che la casa godeva in campagna, con istuirla ancora,
sopra quello che si poteva fars [ocr errors] fare di van aggio, per
renderli più frutriferi; sopra di che ne ricercavo ancora il suo parere, da poi
che la vidi ben, informata di tutto Sem. E qual bisogno avevate di
configlio donnescovoi, che fiece sì esperto in tali affari? Pub. Il
prendere consiglio giova agli inesperti, e non pregiudica mai a i pratici; e
poi sapere voi il mio fine qual’ era:che, se Iddio mi avesse chiamato a se
prima di essa fosse riinasta informata. di tutte le cose: e sappiate, che le
povere vedove sono gabbate da loro miniftri, quando non si trovano informace
degl'interessi domestici; il che non legue già allorche fanno ciò, che debbas
farsi. Ne crediate già , che sia cosa im, propria alle donne d'essere informate
della campagna, ponendo tra le condizioni di saggia donna Salomone anche questa
: Consideravit agrum, a emis eum: De fructu manuum fuarum planiavit vineam.
Sem. Nell'educazione de' figliuoli, che [ocr errors] che diligenze
usavate Pub. Eravamo tanto io, quanto essas attentiffimi a tutte le loro
operazioni, per poterli di ogni minimo difetto correggere da principio; eflendo
che le piante velenose fi svellano alla primas con facilità grande dalla
terra,mà allorche sono ben radicate v'è d'uopo di maggiore facica. E
riflettendo che tanto si fà, e quanta industria si pones per ridurre docile un
cavallo da maneggio, mi pare che questa sia più necessaria d'impiegarla a pro
de' figliuoli, da quali vantaggi maggiori si ritraggono senza fallo, che da
cavalli . Sem. Come viriusciva facile il correggerli? Pub. Per
verità facilisimo, perche erano docili ; e questo beneficio l'hò riconosciuto
dal buon naturale della madre, il qual passò anche ne' figliuoli; scorgendoli
bene spesso all'opposto i vizj de genitori paffare ne' figliuoli
ancora. Sem. Quale induftria usavate nel di. riggerli ?un canto viera
l'altarino con tutti li suoi Pub. La prima fu d'istruirli nella pie-***
Tu tà cristiana, e d'insinuarla bene ne'lo. si ro cuori ; primieramente col
buono esempio, e poi colle parole; ed era vely ramente di consolazione
grande il vede re quei figliuolini attenti, e divoti nel fare orazioni ;
e di poi, per meglio afficurarmi delle loro naturali inclinazioni, aveva fatto
preparare per divertirli varie cose in una stanza spartata , ove in [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] arneli; sin altro
l'armariuccio con certe armi di legno tinte, che sembravano di ferro ; vi erano
ancora in altra parte din versi giocarelli puerili, ed altrove qual che
libretto in una picciola scanzia ; c nelle ore di recreazione li conducevo ivi,
affinche si divertisfero. Quei ch'erano portati dal genio all'Ecclefiaftico,
correvano alla prima all'altarino, el ornavano in quella forma į che l'ayeano
veduto in chiesa; e ciò serviva per renderli maggiormente attenti alla
devozione: altri poi secondo le loro incli O [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] na. nazioni si divertiyano, coi libri, è
colle armi,e di rado alcuni di efli li spas, favano co i
giocarelli; e stava attentifli- mo osservando quelli, che
persevera- vano nel medesimo genio ; perche con- forme
averete ancora voi osservato, non è fempre uniforme l'inclinazione
de’ra- gazzi, e mi sono finalmente accertato , che quelli,
ove il genio li portava , sono stabiliti in esso divenuti
adulti,col- tivava però sempre le loro inclinazioni, vedendole
disposte al buono. 1 Mec. Gli Archieli foleano condurre i
loro figliuoli ad una fiera, per com- prendere i loro genj, e quei,
che ve- deano desiderosi di provederli de' libri, li
mandavano all'Accademia, quei poi , che aveano compiacimento a
rimirare le armi, li deftinavano per
la guerra Sem. E le figliuole, che facevano ?
Pub. In altra ftanza fi syariavano,afliftite ò dalla Madre,ò dalla Matrona,ove
erano coscinetti, per commodo das cucire ; ferri da fare calzette, piccio.
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Dell'Elezione della Mog. arr
le conocchie, ecommode per filare ; e diverse pupazzine vestite, ò da spose , ò
da monache ; ed ivi ancora chi affifteva loro', fcorgeva Vinclinazio ni,
ch'avevano", rimirando a’ quali di queste cose le portava il genio ; ed in
fatti quella, che si fè monaca, non si divertiva in altro, che in ispogliare, e
rivestire la sua pupazzetta in abito da monaca, e l'altra, che prendette marito
, sempre giocolava colla sua pupazzetta vestira da sposa . Sem. Felice
coppia! non saprei anch' io abbattermi in simile compagnia. Pub. La
troverete anche voi cercandola, perche non è già estinta nel mondo la razza di
quelle di cui parlò l'Ecclesiastico al caj. 26. Mulier fortis obleEtat virum
fuum, de annos vitæ illius in pace implebit. Sem. Sì bene, mà se per mia
sventura m'incontrafí in una , che non fosse così buona; che doverò fare in sal
caso ? Meca, L'esaminereino nella venturas [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] conferenza, nella quale meglio anche
apprenderete il modo, che dovrete tenere in, fare perseverare la buona,
co(tante nel suo lodevole costume avendola scelta per vostra conforte,
CON, the te CONFERENZ A IX. [ocr errors] Come si
debbano regolare i faggi mariti con le mogli imprudenti,
e viziofe. Publio , Mecenate , Sempronio , & Medico
Pub. O, ch' hò navigato lungo tempo per questo vasto Oceano degli
ammogliati, posso servire di fida scorta a voi,che doyete entrarvi. Le
maffime principali, che dovrete tenere sono queste : primieramente di operare
più col buono esempio, che con semplici parole, confessando Platone, ed
Aristocile che maggiore profitto fi ricavava da ciò, che si vedeva fare a
Socrate, che da' suoi morali documenci. Quindi è, che'Plutarco ne' suoi
ammaestramenti matrimoniali ebbe a dire: che non preten. da il marito di far
divenire la moglie buona economa , s'egli coll'esempio non le mostrerà efferlo
anch'effo : onde non recherà maraviglia, ciocche diffos Ovidio. Dum fuit
Artrides una contentus , illa, Caffà fuit , vitio eft improba
fuftaus viri. Mec. L'esempio però di Socrate appresso la sua moglie
Santippe nulla giovava, Pub. Sapete perche ? Si abbatte il una donna
talmente pazza, che dovea più tosto essere legata colle catene, che ammonita
con esempi, e parole : mà di questo ne parleremo a suo tempo. Or proseguendo il
mio discorso; in secondo luogo deesi togliere ogn'occasione, che possa farle
cambiare di buona in cattiva, perciocche quantunque ottima da principio, per
trascuraggine del marito può divenire peffima, ed in che mo [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] modo uditelo da Euripide.
Sed nunquam nunquam [ neque enim, femel dicam Oportet
prudentes, quibus eft uxor, Ad uxorem in domibus accedere finere
Mulieres, ipfæ enim præceptores funt
malorum. E che più ! Levina donna da principio caftiffima
per la libertà, che le diede suo marito di andare vagando per il
mondo , quanto , quanto si mutaffe mutasse , sentitelo da questo
Épigramma. Cafta , nec antiquis cedens Levina Sabinis, Et quamvis tetrico
triftior ipsa viro, Dum modo Lucrino , modò fe permitrit
Averno, Et dum Bajanis fæpè fovetur aquis, Incidit in
flammam, juvenemque fequuta , relicto Conjuge, Penelopes
venit, abiit Helena. E d'onde ciò avvenne, se non dalla li. bertà,
che le diede il marito ? Nè Mef- salina averebbe già commessa quella
sì enorme scelleragine di sposarli con Silio [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] publicamente, e nel palazzo imperia, le , fe Claudio
Imperatore l'avesse condotta seco ad Oftia; del qualc attentato parlandone
Tacito arrivò a dire : laborabit annalium fides; c credete forse , che se
Ottone non avesse lodata a quel segno la bellezza di Poppea Sabina sua moglie
alla presenza di Ncrone, glie l' averebbe tolta ? non già ; ma il pazzo
arrivando a dire, nel levarsi dalla menfa dell'Imperatore, che se ne andavas
lieto a trovare sua moglic stupore di bellezza, a lui solo concedura, e
desiderata da tanti, e volete chc Nerone, udendolo non s'invaghisse di essa
? Sem. Averanno forse da tenerli chiu. se le mogli per far verificare,
ciocche disse il Satirico ? Pone feram choibe , fed quis custodiet ipfos
Custodesē cauta eft, & ab ipfis inci pit uxor. Pub. Io non intendo
dire questo, mà folamente di trattarle, come diffe Tacito del popolo Romano ,
che: nec tam, tam [ocr errors][ocr errors] fam feruitutem pati
poteft, nec totam libertatem , cioè colla misura di mezo, discreta, e
giudiziola e finalmente conviene compatire molte leggiere debolezze di effe con
non farne calo, di quelle particolarmente, ove non si scorge malizia, e cattivo
fine ; ¢ quando mai vi fosse d'uopo di rimedio, non dee questo darsele in
publico, nè con istrepito contenzioso, e riflettere a ciò, che dice Plutarco;
che Venere fù collocata dagli antichi vicino a Mercurio, affinche con arte, ed
avvedurezza , e non con violenza in tali faccende li procedesse ; e lasciando
il profano da parte, vediamo che rispetto avesse a sua moglie il nostro primo
padre Adaino : dipoi di avere detto, ch'era una porzione di se medesimo; cioè:
cara de carne mea; soggiunse « quamobrem relinquer bomo patrem fuum , &
matrem, &adbarebit ukuri sud, do crunt duo in carne una Gen. cap. 2.
Sem. Questo però mi reca gran tercore, perche se Adamo trattò così bere
sua : sua mnoglie, ed erano nel Paradiso terrestre ; ne- ella
poteva essere stata crea . ta da mano più perfetta , contuttociò ingannò suo
marito a segno , che tutti noi ce ne risentiamo, che farà dunque una figliuola
di essa in questo mondo? Pub. Fu fedotta però dal serpente, allorche
Adamo dormiva, onde apprendetene dà ciò questo documento: di non dormire,
quando vi sia il serpente, che tenti sedurre voftra moglie. Sem. Mà qual
serpente ci sarebbe, se io sposarsi una giovane, che da zitellas aveffe dato
sempre saggio di somma mo. deftia ; ed appena entrata in casa mias, cominciasse
a dire ; voglio un'altro abito alla nuova moda: queste gioje non; sono legate
all'usanza; voglio lo scarabattolo, come hanno le altre mie pari; qual
ferpente la tenterebbe in questo caso, per farla parlare in tal guisa ?
Pub. Sarebbero due non che un fojo, li serpenti; cioè l'eccessiva vanità, e
l'ambizione proprie ò insinuate,e quefti converrebbe scacciarli,er. [ocr
errors] Sem. Ed in che modo? Pub. Voi averece già scelta la giova.
CH ne nata da? savj, e discreti parenti, and mutt quali avrete
facilmente manifeftato l'animo voftro , in che forma la vorretes trattare;
accordandomi ciò, mi pare, cosa quasi impossibile, che una giovane
ben'educara possa alla prima avanzarsi Q a domandare imperiosamente
ciocche be brama ; se pure non sarà stata mal con figliata; da qualch’una
poco prudente, i onde per ovviare questo, converrà , che alla prima
stiate attento di non farlas trattare , se non con quelle, che voiconoscerere
savie, e prudenti, delle quali potrete essere sicuro, che non sarà configliata
a questo; ò pure se voi medelimo nolle darete mal'esempio ; conforme a questo
proposito avvertiscePlutarco, ne? suoi precetti matrimoniali, oye dice'; vir
corporis ftudiofus, uxorem reddit la sciviori cultui deditam ;
voluptuofus amas, toriam, & libidinofam ; boni , honestique amator ,
modeftam , & honeftam: E sog. giugae di vantaggio; nè putes à super,
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] mo, fuis , profusifque
fumptibus uxorem temperaturam ; fi te ad hæc omnia minimè contemnentem confpiciat',
quin potiùs auratis poculis , pietifqae cubiculis, mulorum, & equorum
phaleris gaudentem videat ; non enim fieri poteft, ut à mulieribus luxus
removeatur, quo viri circumfluunt . Sem. Mà come farà praticabile il pri
se terrà visite publichce ove ogn' una farà a gara di comparire con mag . gior
pompa dell'alere? Pub. Se conoscerete, ch'ella abbias la prudenza della
moglie di Focione, di cui già parlammo, permetteteglielo pure liberamente;
perche farà della natura di quella , di cui parla l’Ecclefiaftico al cap. 26.
Mulier fenfata, tacita non eft immutatio eruditæ animæ : mà per al. fro, se non
farà di tal senno vi porrete ad evidente cimento di essere forzato a tractarla
meglio delle altre , e con pompa maggiore, per esfere sposa novella. Sem.
Ma queste non si potranno fuggire; imperciocche lo potrebbero incon
fra: [ocr errors] trare inimicizie, ricusa adofi ; ò per la a meno li
darebbe moito da dire à tuttaa la città. Pub. Se non si potranno fugire,
e voi permettetele. [ocr errors] Sem. Mà facendolo poi bisognerà ,
che seguiti ciocche praticano le altre. Pub. Non è da porsi in
dubio. Sem. Consigliacemi dụnque, che dovrò fare. Pub. Non mi dà
l'animo. Sem. E perche ? Pub. Perche scorgo più volonterolo
voi di queste visite, di quello che sarà la voftra sposa, compiacendovi forse,
che si vedano le vostre grandezze, e sono molti del vostro genio', che mostrano
in apparenza dispiacimento di tal cosa, che internamente con ardenza la bra.
mano; e fanno come diffe Tacito di Ti. berio : Specie recufantis vebementiffime
cupiebat. Sem. Mà è possibile, che non ci siad mezo termine per isfuggire
queste prime vifte, senza che rimanga alcuno disgutaco? Pub. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] Pub. Si potrebbe questo
trovare,ogni qualvolta però non abbiate voi compia. çimento di averle. di Sem.
E questo quale sarebbe? Pub. Di condurre la vostra sposa fuofi della
città in distanza tale, che non rioscisse facile alle altre di venirla a
visitare. Sem. E chi sà, se la sposa fi contentasse di questo? Pub.
Non vi contenterete voi ; perciocche una giovane bene accostumatas farà ciocche
vorrete : toccate voi ora colle mani, che i mariti sono per lo più arrefici
delle loro ruine, e non le povere mogli. Sem. Mà andando fuori, e poi
tornando , faremo nei medefimi termini di prima, rispetto à queste visite
: Pub. Così credo anch'io ; pofciache vorrete fodisfare allora al
desiderio,che avere di riceverle; mà udite di grazias, ciò che ne potrebbe
nascere di buono da questa vostra lontananza dalla città : Che intanto voi col
vostro giudizio po tre [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] trefte istradarla in modo , che non sarà poi facile,
che diça , qucsto voglio, po: sciache le potrete far ben conoscere
i precipizi , che nascono dall'ecceffivo lusso, ed i danni, che
apporta l'ambi, zione;ed averefte inoltre in quelto men. tre, che
dimorerete in villa , tempo op: portuno d'istruirla ancora nella
buona economia, la quale è l'unico antidoto contro la prodiga
vanità. Sem. Insegnatemi dunque, che dovrò fare fin
tanto che staremo in villa? Pub. Contratto, che averete trà voi
quel santo amore conjugale, le farete comprendere, che guadagno abbia recato
alla vostra casa l'efferyi portaticolà, e che per farle conoscere , che voi non
l'avete fatto già per avarizia , ma per esimervi bensì dalle confuloni, u
disturbi, che nascono da tante visite, e rivisite, che si costumano, donare ad
effa la metà di detta somma avanzatas; affinche ne faccia una soccita di
animali, ò la rinvesta a suo piacere, c commodo, e procurerete , che facendosi
detta foccita, non abbia questa disgrazia alcuna per più anni, con foggiacere
voi as quei discapiti, che l'inclemenza delle Stagioni potrebbero apportarle, e
vedrete in atto pratico y qual amore effa. porrà all'economia. Le prime
impresfioni sono quelle , le quali radicateli negli animi foftri tanto del
bene', quanto del male, difficilmente fi cancellano più, mentre che, Quo
fuerit imbut a recens feruabir odo rem Tefta diu. Sem. Questo
mi piace affaislimo; perche mi concilierà l'amore di essa, edonerò senza fare
discapito alcuno ; mentre ciocche dono, rimane in cafa; mi farebbe discaro
bensì, quando andaffe in börfá de mercanti: Mà se in progrefso di tempo
desiderasse qualche abito , come mi dovrò regolare? Pub. Dovrete
invigilare di provederla preventivamente di ciocche è necefsario al decente
ornato, secondo il voItro grado ; affinche non sia forzatas [ocr errors]
chiedervi cosa alcuna . Sem. Mà se ciò non ostante lo facesse, hò da
negarglielo? Pub. Se voi la scorgerete attaccatas, al danaro non glielo
negate , questo si, che in vece di spendere voi, date la moneta ad ella,
acciocche la spenda a suo modo, Mec. A questo proposito posso riferire un
caso accaduto. Venne voglia ad una donna civile di farsi una certa scuffia alla
moda; il di lei marito, ch' era accorto , non glie la negò; ben è vero,
che le diede il danaro nuovo di zecca per farsela ; ella cominciò à con, tare,
e ricontare dette monete, li le parvero assai belle, e perciò non s’induceva
à spenderle ; le domandò į egli pallato qualche tempo, se fi cras ancora
fatça la scuffia; cui rispose, che non aveva potuto trovare cosa appropo.
fito; le replicò : fatela quando vi piaci ce, perche il danaro è vostro, e se
lo Ha volere impiegare in altro, fate voi; mà ella non lo spese già per
goderselo. P Sem : [ocr errors] le qua [ocr errors][ocr
errors] Sem. E se fosse liberale ; che non fa. ceffe conto del danaro ?
Meo. In questo caso pariinente non mostrare renitenza in sodisfarla ; dite
bensì, che commetterete fuori, e farété venire merletti più belli, e più alla
moda di quei, che sono in città; perche intanto, ò le passerà la voglia di
farsela, ò si murerà la moda , come si vede giornalmente accadere, e potrebbe
anche darli il caso, che un giorno fi rendeffe capace di ciocche disse Crate,
Filosofo : che ornamentum eft, quod orhaf:ornat autem quod mulierem boneftiorem
reddit. Quindi è, che secondo quel detto greco : Mulieri ornamentum
mores, e non [ocr errors] durum Sem. E se le venisse tentazione di
porfi qualche manteca nel viso, per comparire più vaga? Pub.Ciò non
dovrete tolerarlo in conto alcuno riso.it Sem. Che averò da fare?
sgridarlas .forse, e mortificarla inleme Pub. [ocr errors] fa
Pub. Questo poi nd; pofciache me. no verrece seco alle brutte, meglio semnot
pre farà per voi, ed affinche possiate di in ciò regolarvi con prudenza, vi
rifeac rirò per convincerle dolcemente, cioc che dice Zenofonte
nell'economico, ch' è questo: Die mihi uxor, nonne hisce legibus matrimonium
inivimus, ut quod effet utrique faculsatum, invicem communica. remus ? annuit
illa . Jam ait , fi poftquam tu tuam portionem bonæ fidei contulifes, ego pro
veris gammis fiétitias , prò auro puro, adulterinum darem , prò torquibus
aureis vitrum auri bracteis oblitum prò monilibus folidis , ligna 'auro, argen
to, incruftamentis obducta, num boni confuleres, aut judicares , me plus tibi
contuliffe ; fi talibus technis tibi imponerem, quam fi quod baberem', uti eft
in medium conferrem? quod illa excipiens , cave , inquit, ne mibi talis fis ,
neque enim te ex animo amare pollem; quo audiio ille fic perrexit : atqui nos
in hoc potisimum convenimus, ut alter alteri corporum Noftrorum copiam
faceremas, quod P. 2 [ocr errors][ocr errors] h cum
Pub. Nira maltrattato ? cum uxor annuiset. Sum ne, inquit , tj bi
gratior, aut carior futurus, fi corpins boc, uti eft, nullo medicamento
vitiatum Communicem, an fi os,oculofque minio infestos tibi ofculandum
preberem? At ego in. quit uxor; minimum nunquam attigerim, neque fucatos oculos
gratius, quam tuos afpexerim . Et mihi , ait ille , puta mentem eamdem effe:
nec tam mentito (quem tu cerufit, fib:oque inducis) colore delectari, quam tuo
nativa. Quo tam commado fermone caftigata mulier abjecit omnia tectoria,
formaque medicamenta . Onde di questo convincentissimo ragionamento vi potrete
anche voi prevalere per ridurla a suoi doveri, senza contendere seco,
Sem. E se diveniffe fastidiosa, iraconda, e garrula, che dovrò fare? Pub.
Tutto l'opposto di quello , che farà lei, imperciocche altrimenti sarà la. casa
vostra un continuo inferno. Sem. Come si potrà praticare questo
Pub. Non vi potrà fare mai peggio di uxor. unda , quello, che
faceva Santippe a Socrate, e pure la sopportava , come viene dea
scritto da Bigo poeta : Ferendum eft Socratis exemplo quodcumque
peregerit Xantippen, fiquidem convitia multas
moventem , Cum blando argueret, fædatus defuper Nil nifi
deterso, poft tanta tonitrua, dixit Vertice, se pluviam non
ignorante se quutang Sem. Bisognerebb’essere però Socrate per sopportare
tanta ingiuria . Pub. Cominciando ad operare da Socrate potreste anche
voi divenire simile ad esso ; posciache interrogato per qual cagion'cgli
sopportava tanti strapazzi ricevuti dalla sua insolente moglie, rifpofe : Cum
illam domi talem perpetior , infuefco, dw exerceor ,'ut ceterorum quoque foras
patulantiam, et injuriam facia liùs feram; laonde con sopportare l'in
giu [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] P 3 [ocr
errors] giurie della vostra moglie, diverreste Socrate anche voi. Sem. Mà
se fosse altera , ambiziosa di commandare, e non volesse fare ciocche dal
marito le veniffe ordinato Pub. Socrate sopportava questo ancora ..
Sem. Mà voi, Mecenate, che non fieţe Socrare, che fareste? Mec. Vi posso
riferire ciocche fecero alcuni in fimili casi, e con profitto . Vi fu una certa
vedova, cui erano morti trè mariti, a cagione dei gran disgusti dati loro da
essa ; non trovava questas più alcuno, che la volesse prendere per moglie, un
giovane alla fine, sapendo ch'era divenuta inolto ricca la volle sposare ; mà
cosa fè questi ? ordinò, che fosse trovato il cavallo più indomito, che fosse
nella città, con ordinare al fuo cocchiero, che nella mattina feguente alle sue
nozze lo avesse fatto andare furiosamente per il cortile del suo palazzo, e che
avesse di poi eseguito puntualmente ciocche da esso gli fareb, be
1 be stato comandato; in quella macci na il cavallo fè furie grandi
; venne cuole riosità alla sposa di vedere da che pro cedesse quel gran
rumore, che udivano in si affacciò alla feneftra, e nel medesimo tempo
ancora vi accorse lo sposo, il quale domandò al cocchiero , la cagione di ciò,
cui rispose : Signore, è unas beftia, che non si può domare, e perciò ogni
giorno farà il medesimo; allora egli comandò, che fosse trucidato, conforme
crudelmente seguì; la povera sposa rimase attonita da sì risoluto comando, c
voltatosi lo sposo verso di effa , le disse : Signora mia, quando le bestie non
G poffono domare è necessario di venire à queste risoluzioni : das dovero, che
mutò ella modo di vivere, e di leone divenne agnella. Vi fù parimente una
moglie assai disobediente,alla quale avendo ordinato il marito, che non fosse
uscita di casa ogni giorno, e tornata di notte, mà vedendo , che
colle buone non ricavava profitto alcupo; udite un giorno quello le fece
nel [ocr errors] P 4 tor tornare a casa : teneva'pronte le
forfici, e le recise i capelli, dipoi le disse : oh adesso andare fuori di casa
quando volete, che farete una bella comparsa : sapete voi, che se ne
aftenne, ed in avvenire fu più obediente a suo marito. Sem. Vedete voi,
Publio', che con mostrarsi risentito, si possono anco togliere i difetti
donneschi? Pub. Questi sono casi rariffimi, che felicemente riescano : I
più frequenti però fanno vedere il contrario. Nacque una volta competenza tra
il Sole e l'Aquilone, a chi di loro fosse riuscito più agevole, a togliere da
dosso il mantello ad un viandante : si adoperò con tuttas la sua violenza il
secondo, mà, ftringendoselo alla vita chi lo portava , non fu mai possibile
farglielo lasciare : cominciò dipoi il Sole, senza usare violenza, a
percuoterlo coi suoi continuati raggi ; refiftè egli per qualche spazio di
tempo ; mà alla fine & spogliò non solamente del mantello, ma del giuppone
ancora; e da questa ápologo.com, pren: [ocr errors] i prenderete se
riesca più utile la violenob za , ò la piacevolezza continuata per ri
muovere i difetti donneschi : ed Ovidio che le conosceva bene,così
canto: Define, crede mibi, visin irritare vetado Obfequio
vinces aprius ipfe tuo. Sem. E se fosse ostinata in non volere
cedere mai, mai , allorsì , crederei , che fosse d'uopo prevalera di quel
rime dio contenuto in questi due versi : .. Rendon più frutta donne , afini
, e noci A cbi ver loro ha le mani più atroci . Pub. E da cui
apprendeste, Sempronio, modo sì ingiusto, e villano das trattar le mogli? forse
che dall'indiscreto Ercolano Sanese ? il quale, conforme racconta il Dolce nel
secondo del. le istituzioni delle donne, avendo comprati certi tordi , mentre
li stava mangiando con sua moglie, le diffe ; se aveva mai veduti tordi più
grassi di quelli ; vi replicò la moglie ; ch'erano merli, mà , volendole far
capire il marito, ch'erano tordi, non fu mai possibile, crsendofi oftinata
nella sua falsa credenza;alla fine, dopo le contese, l'Ercolano fi avanzò a
percuoterla col bastone, il quale non tolse già la sua pertinacias; posciache
in capo all'anno disse al marito, che in quella medesima sera era Itata così
malamente trattata per quei maledetti merli, ch'egli diceva essere tordi ; e
convennegli fare l'anniversario ancora , con batterla nuovamente, come accadè
in molti anni seguenti. Or vedere, che profitto apportano le battiture alle
donne pertinaci? Poteva l' Ercolano crederli anche per storni; perche ciò non
diminuiva loro già il sapore: mà, se fosse egli stato sotto la censura di
Catone, non averebbe certamente commesso fimili attentati; imperciocch'egli
voleva, che i mariti, che percuotevano le mogli, foffero puniti col medesimo
gastigo, che si dava a coloro,che rubavano nei tempi dei loro Dei, come
riferisce Plutarco. ES. Crisosto. mo nella umilia 26. epift. prima D. Pau. li
ad Corinthios, così dice: Neque verberandam uxorem dico , abfit: ultima
nam [ocr errors] 201 [ocr errors][ocr errors] namque ignominia eft
non ejus qui verbe- ratur , fed qui verberat &c. e dipoi , vos
viros illud admoneo , nullum fit tam magnum peccatum, quod ad
verberan- dum uxorem vos compellat , per lo che meritamente cantò
il Guazzo: Offende il Cielose il santo amor discioglie Quel
che con empia man baste la moglie. Sem. E se si credesse impudica,
li ha da fare da Socrate in permetterglielo ? Pub. Questo poi nò : fi dee
bene fare da Socrate in non ingannarsi nel crederla cale, quando non fosse ;
perche alle volte la gelosia fà travedere le ombre per corpi; e fa credere,
anche le menzogne rapportate da uomini sceleraci per cose vere; ed udite a tale
proposito questo prodigioso fatto. Si trovava al servigio di S.Elisabetta
Regina di Portogallo un paggio di ottimi costumi, u perciò da effa amato, di
cui si prevale va per suo elemofiniero ; fu questi ca* lunniosamente
imputato appreffo al Re di soverchia confidenza verso la sua pa.
drona, ed anche reciproca di essa verso . di [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] di lui ; fu data credenza alla calunnia ; onde il Re adirato fè
ordinare ad un fornaciaro, che avesse gettato dentro l'ardente fornace il
primo paggio, che nel di seguente gli mandava; comandò dunque all’innocente ,
che si portafíe colà; mà perche udà sonare la campana di una chiesa, mentre era
in viaggio, la sua devozione lo spinse ad andare verso quella parte ove si
trattenne in ascoltare più messe qualche spazio di tempo; mà, perche il
Reviveva impaziente di udire il successo, ftimò bene inviarvi l'altro paggio
calunniatore, il quale, essendo arrivato il primo , conseguì il meritato
gastigo, ch'era preparato per l'innocente : ed arrivato poi il secondo portò al
Re l'avvifo, di essere ftato ubbidito; e risaputali poscia las cagionedal Re,
perche fosse egli indugiato tanto, ben si avvide della sua innocenza, e della
giustizia di Dio. Viene riferito dal P. Crodier. Sem. Mà corne potrò
conoscere d'a. vere occafione di dubitarne con fondamento? Pub [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Se voi per esempio non ufafte a ad
Jei tutta quella fedeltà dovuta , ò pure se per cafî faceste conversare
gioventù in più vistosa di voi, e con tutta libertà; allorsì forse forse,
che, se non fosse più, che la carta Penelope, ne potreste alquanto
dubbitare. Sem. Ed in questo caso, che dovrei fare per correggerla , e
gaftigarla ancora bisognando?, Pub. Bisogna , ch'esaminiamo prima chi
foffe il reo principale in questo caso, se voi, ò essa? Sem. Sarà essa
lei , perche io voglio, che sia pudica. Pub. Voi volere, chefia, e fate
ogni possibile, che non lia. Sem. E come? Pub. Con darle
primieramente mali esmpio col vostro cattivo modo di operare; e poi con darle
commodo di fare ciocche ella vuole. Credetemi, Semipronio , che le donne, se
non hanno il cattivo esempio dato loro di mariti, ad ditficilmente
s'inducono a far male, Scn 3 d Sentite ciocche dice a
tale proposito Euripide, Stulla quidem fumus mulieres,
non nego, Cum autem infit hoc animis , peccat
ma- ritus Faftidiens connubia , imitari vult Mulier viruń, co aliui
parare ama fium. Ed operandosi in questa guisa , tutto questo procede per
colpa de' mariti, e sentitene ora il parere de' Santi Padri, | S. Agostino così
dice , lib. 2. de adult. conjug. Periniquum effe videsur , ut pudicitiam vir ab
uxore exigat, cum ipse non exhibeat , ed inoltre dice , ui quales volumus
uxores noftras invenire , ipfe nos inveniant , du fi intactam quærimus, intatti
fimus ; c Lactanzio, de vero cul. cap. 2 3. Exemplo continentiæ docenda uxor,
ut fe caftè gerat , iniquum eft enim, út id exigas, quod ipse præftare non
poffis; e poco in appresso, uxorem ejus qui circa corrumpendas alienas uxores
occupatur , exemplo ivcitatam, aut imitari se putare,aut vindicare; e l'uomo di
Dio Giob così parla , fi deceptum eft cor meum fue 2 per per
muliere, a fi ad oftium amici mei infi diatus fum , fcortum alterius fit
uxor mea, od fuper illam incurventur alii , e notare quella parola alii,
che denota, che non sarà un solo. Sem. Ma se per colpa mia non venisse,
ed ella fosse sì pazza , che volcsse trau dirini, che dovrò fare? 1 Pub. Questo
sarebbe caso rarissimo, s poiche avendola scelta di famiglia ono rata;
non facendole mancare cosa alcu. na, e non dandole veruna occalione di
tradirvi, sarebbe una grandiflima ini. quità , fe lo faceffe ; in questo caso
dunt. que da principio dovere stare vigilantes alla di lei custodia con fare
molte caure diligenze. Sem. E da che me ne potrò avvedere? Pub. In
primo luogo dal suo affetto til vero, che s'intiepidirà verso di voi, ef
sendo che questo non può portarlo a dụe gel medesimo tempo Sam.
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem. E se fosse finta, come potrò di.
stinguere il vero dal fimulato affetto ? Mec. Con un poco di tempo ve ne
av. vedreste beniffino, con dirle, che volete fare un lungo viaggio con essa
lei, e cominciando a porre all'ordine ciocche fa di bisogno, per farvi
conoscere risoluto ; può essere, che da principio diffimuli, onde se vedrete,
che in progresso di tempo ella li contristi, almeno in assenza vostra , credere
pure, che qualche cattivo pensiere le va per las mente, essendo quaGi
impollibile , che chi hà simili attacchi, non si rammari. chi allorche dee
allontanarsi; e tanto maggiormente, quando non abbia avu. ta in altri tempi
repugnanza alcuna di viaggiare . Sem. Io che dovranno confiftere
l'accennate diligenze ? Pub. Principalmente in vedere, che fidata servicù
voi avete in casa ; posciache, se farà al vostro servizio qualcuno bizarro, che
faccia spese disorbitanti, di questi non vi fidate punto, che non
ten [ocr errors] di tenga mano, perche d'onde gli vengoo? no l'entrate da
spendere tanto, non ba stando la sola paga per far queste ? licenziatelo
dunque alla prima, e se il ma le da ciò procedeffe , tal volta potrebbe
in questo solamente bastare.In oltre sareb-'. be anche ben fatto,
sospettando voi dela la di lei fedeltà, d'intraprendere qualche viaggio ad
onefto titolo di devozio ne; con andare a visitare qualche Santi
tuario ; ed in tale occasione le userere, delle cortesic più del ordinario, per
riscaldare quell'affetto, che si era inties pidito verso di voi; e fatela
girare un gran pezzo, che così le ritornerà il rens no, che aveva incominciato
a perdere; e voi sapete, Dottore , quanto bene può apportare il viaggiare in
questi casi. Med. Certo è, che allontanandoci da quell'oggetto, che turba
l'animo postro, può quefto più facilmcórc cálmarfi , conforme lo conobbe anche
Proper: zio dicendo : Unum erit auxilium mutatis Cinthia terris
Quan 1 [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Quantùm
oculis, animo tàm procul ibis. Amor. Ma per addurvi autoricà più propria
vi apporterò ciò , che ne dice Cornclio Celso : Mutare debere regiones , fi
mens redis , annua peregrinatione effe jaDandos. Sem. Hò da farne alla
prima risenti. mento, cominciando a sospeccarne con fondamento Pub.
Questa è materia molto gelofa ; onde con prudenza grande doverà cratcarli, e
con molta circospezione. Mec. Così credo anch'io, rifetten. do a ciò, che
dice Ausonio: Toxica zelotipo dedit uxor maca ma wire. Sem. Mà se il caso
si avanzasse tant' oltre, che mi accertalli di tale misfatto? Pub. Due
rimedi ci sarebbero, un o legalc, cl'altro suggerito dalla somma
prudenza , o fancità, Sem. Lasciamo il legale ; l' altro qualid? Pub,
Marc'Antonio Filosofo Impera [ocr errors] bi tore prudentissimo
diffimulò, come rac conta Giulio Capitolino ; il gran torto 1 fattogli da
Faustina sua moglie, dicenddo di esso : tantùmque abfuiffe , ut de cas
ejufque adulteris fupplicium ex lege fumeret, ut illos fibi non ignotos (gran
virtù in chi tutto poteva ) pra ceteris ad ve#rios honores, &
magistratus promoveret s du in iis Tertullum, quem cum ea prandena sem
aliquandò deprebenderat. E S.Paolo Eremita, come vien riferito da Socr. in
fripart. historia lib. 1. cap. 2. Avendo ritrovato la sua moglie adultera, che
fec' egli. Nil aliud , quam tacitè subrifis, jureque jurando affirmavit , fe
nunquam cum ca concubiturum , ad adulterum au tem; tibi, inquit , tam
babeto, & cuma 1 difto adberemum abiit . Mec. Rimali sorpreso da maraviglia,
Dottore, quando lesti nel lib. de cap. util. ex adverfis , come mai il vostro
Carda no autore di esso ;' uomo sì celebre, vi * abbia posto gli utili ,
che ne' possa ri portare il marito dalla moglie adultera ; pour
essendoche quanto da fimile misfattorisulta , è tutto danno, e'
vituperio. Med. Non parla ivi il detto autore dell'utile onesto, e
decorofo , mà bensi di quello, che si ricava (per servirmi della frase di
Tacito) Ex induftria facinorofa ; ed avendo egli intrapreso l'affunto di
ricavare da tutte le avverGità quell'utile, che ponno dare, da questo non si
poteva ritrarne altro che un vàntaggio viziolo e detestabile chiamandolo egli
medesimo:surpe auxilium. Sem. E se li moftcafie gelola di me? Pub.
Sarebbe segno, che molto vi amasse, nel qual caso, facendole cono. fcere, che
sono vani quei sospetti, che concepisce di voi, che vivete, comes debbono i
buoni mariti, farebbe colas facile, che deponeffe tal gelosia. - Sem. Ma
se non vivefli offervantiflimo, ed andafli in qualche luogo un poco fospetto,
solamente per divertirmi , mà fenza fare inale alcuno 1 Pub. Evoi
tralasciate di andarvi,che così cesserà ancora.la gelosia; altrimensi quel
vostro divercimento xi.cofterà са [ocr errors][ocr errors] caro ,
togliendovi la pace domesticas; e rifertere di grazia allo spaventofo fuccesso
seguito nell'isola di Lenno; ove, le donne per gefolia z ch’ebbero, che i loro
marici fi foffero invaghiti di alcune belle schiave, congiurarono contro di
essi talmente, che divennero ftudiofamente tutte vedove in una notte : oltre di
che, udite ciò, che dice l’Ecclefiaftico al 26. Dolor: cordis , do luctus
mulier zelotipa : : Sem. Mà se pretendeffe poi,che io so. disfaccffi al
debito matrimoniale di vantaggio , che fosse convenevole, cho dovcrò
fare? Pub. Avendola voi scelta di buoni coo stumi, non avere da temere
questo ; se pures non ile darete occasione di farlo! Sem. E quale sarebbe
questa ? 15,368 Pub. Potrebb’essere il gran confumo di cioccolata , e
pistachiara , di rosolà, e vini generosi, e di altre cose, che
accendeffero il sangue , che si faceffe in * casa vostra ; orde basterebbe ,
che lo toglie te via ; imperciocche, [ocr errors] Sine Cerere ,
Bacco friget Venus . Sem. E se questo rimedio non baItasse? Pub.
Allor conviene ricorrere alla prudenza , con farle ben capire, che quello
sarebbe il modo da farla divenire prettamente vedova ; e che per non farle
provare una così infelice fyenturas, dovete opporvi alle sue eccedenci
brame... Mer. Ad un certo marito, che si tro. váva spesso in fimili angustie
, gligiovò molto il fare l'astrologo, posciache non mostrava già di opporli a
quanto deside, rava la moglie, ma bensì le diceva , ch' cra d'uopo trovare
prima nell'Effemeri. di, se in quel punto G farebbe generato figliuolo sano ;
ed alle volte le dava ad intendere, che sarebbe nato cieco, altresi zoppo, onde
in questo modo operava tanco, che li bastava per indurre a fare a suo modo la
credula moglie . Sem. E se non volesse applicare a farai domestici, come
mi doycrò conteacre ? Pub. 7 [ocr errors][ocr errors] #1 Pub.
Bisognerà , che voi claminiace boy bene d'onde ciò provengà ;
pofciache, se nascesse per cagione di qualche indis1 posizione di
testa sopravenutale il non ad potere applicare i converrebbe, che voila
comparifte, cd in tal caso potrcbI be fupplire la matróna a quanto ad
ella spettava, 18 Sem. Si che dunque non potrò fare di meno di non
provedermi di questa matrona , potendonc avere bisogno grande di essa?
Pub. Questo non è da porta in dubbio, fe bramercte, che la direzione della
vostra casa vada bene, e non vorrete voi medefimo fare da donna', Sem. E
se non provcnifle dall'accennata cagiones Pub. Doverete anche informarvi,
se ciò procedeffe, perche qualcuno voftro favorito le volefle fare da
sopraftante, il che non sarebbe conveniente, ed in tal calo to doverefte
ammonire a defi. ftate, quando nollo vogliate rimuovere, ed allora vedretc, cho
e Ha sarà appli ciui 1 [ocr errors] cata, ò pure , se si
divertisse ia altre cose per dare sodisfazione a voi, ael qual caso non potrebbe
applicare alli facci domestici : per esempio, se vi veniffe voglia, che
imparasse, a sonare, a cantare, e ballare, ò pure qualche linguage gio
straniero , certamente, che non potrebbe ella applicare con attenzione a tante
cose ; onde mutando voi fimile pensiero la vedrete tornare attentissima alle
cose domeftiche, Sem. Mà se non vi fosse alcuna delle fudette cagioni ,
mà che per il suo catcivo nacurale volesse inquietarmi con operare da pazza,
che doverò fare? Pub. S. Crisostomo insegna in questi casi gell’amilia
26. epist. 1. D. Pauli ad Corinthios, che cosa si debba fare: cioè quello,
appunto, che pratica un buono agricoltore nel coltivare il sao campo, il quale,
fe lo conosce sterile, procura di ajutarlo con industria, per farlo divenire
fecondo ; e non per questo, sem mentato che abbia ivi il grano, nafcendovi
dell'erbs.catcive, si duglefe. co, perche le abbia prodotte ; mà beni sì con
sofferenza grande le carpisce a po co a poco , senza danneggiare
punto quel seme di frumento, che ivi vede - germogliato. Or perche non si
ha dad praticare il medesimo colla moglie? fors' ella è meno meritevole
del campo di ricevere simili ajuti ? è forse il seme umano inferiore a quello
del frumento? ed udice ciò, che dice il fudeko Santo: quotiescumque aliquid
molefti domi contigerit, fi quid uxor peccaverit , confolare, cu noli marorem
augere Licèt enim omnia proiicias, nibil, moleftius continger, quàm non, babere
benevoham domi uxorem; licèt quodcumque dixeris peccafuni, nuha lum magis
dolendum , quam cum uxorlu Jeditionem habere. Quod fi inuicemones ra ferenda
funt , multo magis uxoris, fi pauper fi, noli exprobrare fistulta, noli ei
infultare ; fed efto modeftior . Etes nim tuum membrum et Garo una fa&i
cfis. Sed falta eft cbrid auracundai Igitus dolendum eft , nox irafcendum ut e
poi soggiunge. Quod fi vorberaveris [ocr errors][ocr errors] exafperabit
morbum ; afperisas enim mare fuetudine , , non alia afperitate disolui
Sem. E sc le veniffe voglia di vedere tutte le comedie , andare a' festini , c
di frequentare tutti gli altri divertimenti, che doverò fare Pub.
Arendola alla prima assuefatta diversamente, come potrà venirle tale volonca ?
E quando in particolare averà più figliuoli, ò pure farà anche gravida: non li
potrebbe dare altro caso, che le faceftc mutare costume voi mcdefimo, divenendo
curioso , c vagabondo : mantenetevi costaoce nel ben operare i ch'ella ancora
persevererà nelles medefima forma; ed usatele ancora in quei tempi qualche
amorevolezza di vantaggio, per tenerla contenta . Mer. Questo lo credo
anch'io ben fatto, avendo conosciuto un certò marito , cui era discaro, che la
sua moglie, c figliuole fossero andate alle comedies & ad altre publiche
feste, mà che cosas egli faceva ? in cambio di questo , leroy [ocr
errors] o galava in quei tempi frequencemente, dando loro l'equivalente a
quello , che averebbe potuto spendere in fimili died vertimcoti; e
quantunque ad effe dispia cesse per allora di non andarvi, nulladi. meno
vedendo quelle insolite cortelier, si consolavano, e terminato poi
ch'eras # quel tempo, diceva la madre alle fi gliuole : nulla averemmo
guadagnato di buono , se fossimo state alle comedie, dove che da non averle
vedute, ne ab. biamo ricavato molto; e poi per verità erano una volta proibice
alle donne certe feste notturne, come da Tito Livio, lib.g.Dec.4. fi ricava,che
in compendio, e questo: Viri per noctem fæminis, dousenere etati turpiter
miscebantur . Qua nc comperts , fuere S.C. fublata, din mulros animadverfum
fuit. E Svetonio lo conferma nella vita ancora di Octaviano Augusto Sem.
Ditemi finalmente, se uno avefin se pensiere di sposare una vedova , come du fi
doverebbe regolare in diriggerla ? Pim. Se questa averà avuto un
mari [ocr errors] Ate condizioni unite è cosa difficilissima ,co
saggio, sarà facile parimente, che un altro faggio marito la poffa regolare, mà
elsendo stata assuefatta di fare a sno - inodo, non si potrà mai piegare a far
diversamente : posciache una pianta assodata con cattiva piega, non si può più
addirizare. Io non consiglierei a prendere queste per moglie,se non chi(quando
fosse tuttavia in età di farlo) si trovarfe molti figliuoli, e non avesse tempo
d'invigilare attorno ad effi; e che fosse pienamente accertato, che la detta
vedova avesse dato faggio di somma prudenza in casa del defonco marito; e che
in oltre non avesse figliuoli proprj, nè fosse più in iftato di farli, e li
trovaffe prospera falute; mà chi abbia tutte que di trovarla dall'altro
canto non essendoci queste, si prepari-pure a soffrire molti travagli, chi
vorrà applicare a fimili matrimonj , poiche queste fogliono effere troppo
scaltrite . Sem. Vado riflettendo, che molti di Q uesti buoni consigli
non saranno prati [ocr errors] [ocr errors] [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cabili nei nostri tempi, onde se
I ddio non ci provede , non sò come potremo più softenerci in avvenire .
Pub. Perche non sono praticabili forse che non dipende ciò da voi? Sem.
Dipende da me , mà è dura cosa di essere il primo riformatore degli
abusi. Pub. Non si fanno già queste riforme colla corda al collo, come
disponevano le leggi di Ligurgo; c poi non sareste già il primo voi , essendoci
i Curj oggidi ancora, ma questi non si rimirano già per non averli da in
mirare; onde questo sarebbe appunto quello , che vi doverebbe animare a farlo :
posciachei non volendovi gli altri seguitare, non riferterebbero con attenzione
a quello, che voi operafte. Sem. E nella ventura Conferenza sopra clie fi
tratterà? Pub. Bisognerebbe confolave quelle povere mogli-faggie, che G
abbattono in mariti viziofi, ed insegnare loro coinc debbanfi contenere in
simile sveninca.CONFEREN ZA X. Sopra i ripieghi prudenziali, che debbonsi
prendere in diverse occorrenze dalle mogli saggic, incontrandosi in viziosi, ed
indiscreti mariti. Sempronio , Publio, Mecenate , € Medico.
Semi mag Iferitemi , Publio , quali sono i vizj,de' mariti cattivi.
Pub. Questi sono molti, e forse non minori di quelli delle mogli
pellime : iinperciocche , fe farà egli trascurato, da tal difetto ne verrà il
precipizio di tutta la casa: se prodigo peggio che peggio : se avaro , farà
mancare ancora quello , che sarà necefsario : fe fcapestrato, guai a quella
povera moglie, che dovrà combattere fe [ocr errors] [ocr errors]
seco : se giocatore , fi porrà a peri. colo in una sola notte di perdere quan,
to egli possiede : se lascivo, non li con. tenterà dell'onesto : fe affatto
impotente, poco amore per lo più suole avere verso la moglie : sc goloso fuori
dimo. do, oltre di soggiacere a continue in. fermità , sarà oppresso anche da
dobbiti. Or vedere in che miserie Gi troveranno le saggie donnc in mano di
costoro ? E se per disgrazia fi abbattessero ancosa in taluno debole di senno,
che avesse appresso di se qualche servitore fcal. trito, il quale lo dominaffe,
c lo facesse fare a suo modo, oh quanti disaggi se converebbe soffrire !
Sem. Come dunque li doverà regolare una donna saggia , ed attenta col 04rito
trascurato ? Pub. Con ama rlo teneramente, quancunque fi avveg ga della
sua trascurag. gine. Sem. E come lo potrà fare? Pub. La prudenza le
infinuerà di far. lo, per vedere , fe per questa via lo po acres
[ocr errors][ocr errors] réffe indurre ad essere applicato,, perciocche, fe per
sua sventura facefle il contrario, e cominciasse a sgridarlo , certamente
ch'egli si mostrerebbe assai più trascurato ; e credete pure per co. fa
certa, che colle buone più profitto ne ricaverà, che irritandolo. Sem. E
se vedeffe , che ciò non ostanu Te', continuasse ad cssere trascurato , doyrå
ella perfeverare in questo grand'amore? ... Pub. Senza fallo ; anzi che, invece
di scemarlo; più costo, glie lo dee accrescere; poscia sche, se non sarà più ,
'che'affatto iosensato , fi avvedrà alla fine, che lo ama di puro caore ; ed
accertatoli di questo, come potrà fare di meno di non amarla anch'effo ?
Platone, allorche gli fu riferito, che Zenocrate Two scolare enipiamente
parlaffe di esso, * *ffpofe : non essere credibile : ut quem tantoperè amaret ,
ab eo invicem non di ligeretur; ed intal proposito dice Sene• Ed Lpift.g.
Ego tibi monftrabo amatorium Dane medicamente fine berba , fine ullius
0 [ocr errors][ocr errors][ocr errors] er veneficæ carmine ; fi vis amari
, amau. :l Ed udite anche ciò, che dice S. Ago stino : Nulla est major ad
amorem in vitai tio , quam prævenire amando. Sem. E che le gioverà questo
reciproco amore , quando le cose domestiche andranno di male in peggio?
Pub. Assai più di quello , che voi credete; imperciocche quando sarà ac.
certata di questo reciproco amore, ed informata insieme dei disordini
domestici, in certe congiunture, che le donne fanno prendere, lo saprà con
dolci maniere ben'effa illuminare. f Sem. Ed illuminato , che fosse,
se non sarà capace di operare di vantaggio, a che gli potrà servire
? Pub. A molte cose ; imperciocche prenderà ben' ella un'alera simile
congiuntura, e ne otterrà ciò, che saprà bramare; che farà appunto il maneggio
dispotico della casa : e vi pare, che questo amore abbia operato poco a far. le
spuntare tanto dominio? Sem. E se glie lo negasse ? R Pube
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Non è
possibile, che ciò faccia, se pon farà più che inumano . Sem. E se fosse
? Pub. Allora converrebbe prendersi altre vie, senza però scemare punto
del suo cordiale affetto. Sem. Queste quali sarebbero ? Pub. Essendo
egli trascurato sarebbe cosa facile, che potesse la saggia donna trovare
qualche buon canale fecreto,da far penetrare a chi comanda lo stato, nel qual
li trova quella infelice casa. Sem. Basterà poi questo , per farlo
divenire applicato? Pub. Oh quanto opera tale istanzas fatta da faggia, e
pudica moglie ! si udirå all'improviso dichiarato unEconomo al trascurato
marito, e si verificherà in Jui il proverbio di Salomone : Qui ftultus eft
ferviat fapienti ; ò pure quell’al feruus fapiens dominabitur stultis
filiis : e recherà ammirazione, che non potrà penetrare, donde fia provenuta
tale istanza, non potendosi egli mai persuadere, che l'abbia procurata la
sofferentiffima moglie. Ed ecco rimediato a tutto senza strepito,
e concesa alcuna; non dovendosi a queste esporre le fag- gie donne;
conformc lo dimostra il la- crificio, che costumava presso i
gentili farsi 2 Giunone Dea delle nozze, cui non ardevano già le
vittime, alle quali non era stato prima levato il fiele, eget- taro
via , per denotare, che non deb- bano mai marito, e moglie adirarsi
in- fieme. - Sem. Qualche volta però è riuscito
alla moglie, che ha mostrato perto , di ottenere ciocche voleva da suo
marito. Pub. Sì bene dal marito prudente,mà non già dall'imprudente
, e vizioso . Santipre non averebbe già fatto fare a fuo modo , fe invece di
Socrate foffe stato marito suo l'Ercolano, di cui parlammo ; e ragionando noi
ora de' mari. ti viziosi, e mogli saggie, nulla gioverebbe a queste,il
mostrare petto;anzi facendolo doverebbero cancellarsi dal numero delle
prudenti. mi Se fosse prodigo, come ella si [ocr errors] dovrà contenere
? Pub. Oltre di amarlo, come si è detto di sopra, dovrà guardarsi dal
riprenderlo soverchiamente, e con modi aspri per non irritarlo maggiormente;
insegnando Plutarco, che l'austerità della donna dee, come quella del vino ,
renderá giovevole, e grata , non già amara, e dispettosa, conforme quella del.
l'aloe. Sem. S'indurrà facilmente la moglie, per goder ella ancora de'
suoi fcialacqui, a non riprenderlo. Pub. Non è così ; perciocche la donna
faggia patisce fuori di modo, nel vedere dilapidarsi la casa; anzi che
procurerà di non goderli per quanto può, u fi conterrà nel vestire pulita si,
ma senza alcuna vanità; mostrando Plutarco, che l'unico mezo per acquistarli la
grazia del marito, fia la vita esemplare, lontana da cutte le vanità superflue
: cu quando il marito, la volefie forzare a far diversamente, sarà capace di
scusarfi con un santo pretesto di divozione, dal [ocr errors][ocr
errors] dal quale venga moffa a vestirsi di unj abito votivo, cd accompagnerà
ancor'a questo astinenze, ed orazioni, per ottenere da Dio la grazia , che il
marito fi ravvegga. Sem. E le ciò non ostante, egli continuafle nella
medelima forma , non sarebbe pur ineglio, che godesse ancor essa, potendo in
tal guisa dar gusto as suo marito? Pub. Non lo farà essendo prudente;
perciocche considererà , ch' essendo due a dilapidare, più prestamente si
darebbe fondo a tutto ; mentre due deAtrieri, che concordemente corrono al
precipizio, poco indugiano a cadervi; dove che, quando uno di essi è refio, lo
può ritardare di vantaggio. Sem. Sin ora però non iscorgo riparo
alcuno. Pub. E credere voi, che il marito , vedendola così ben composta,
e così esemplare nella modestia, a lungo andare non s'illumini? Quello esempio,
çh'egli avrà continuamente avanti gli [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] occhi, sarà di tanta efficacia , che finalmente lo farà rayvedere : ed
udite ciò, che dice Euripide a cale proposito: Domiperdam etiam virum probibet
UXOR Bona , ci conjuncta , fervat domum. Mà meglio ancora apprenderete
tal verità da S. Crisostomo in Joan. Homil.60. Nil potentius muliere bona ad
inftruendum, & informandum virum, quodcumque voluerit : neque tam lenitèr
amicos, neque, magistros , neque Principes patietur, ut conjugem admonentem ,
atque consulentem . Habet enim voluptatem. quamdam admonitio uxoria, cum
plurimùm amet, cui consulit. Multos poffums afferre viros asperos, immises per
uxores mites redditos, & manfuetos; ipfa enim mensa, lector. E conclude:fi
prudens erit, & diligens, omnes vincot. Sem. Tutto questo bene si
potrà ottenere, allorche avrà dilapidato ogni cosa; ed à che le potrà giovare
l'effersi tanto affaticata, allorche averà ricevu., to il colpo facade?
Pub. [ocr errors] Pub. Non è così, Sempronio ; perche se indugiass’egli
molto à ravvedersi, non già trascureranno i propri parenti ò pure colui,
che aveffe con autorità suprema a porgervi riparo, mossi dalla gran sofferenza
della saggia donna. Sem. Ma non sarebbe rimedio più speditivo, che
intentasse la donna il giudizio contro di esso, per farlo dichiarare
dilapidatore? Pub. Questo non farà mai chi è saggia; perche considererà
molto bene, che dopo un simile paffo non vi sarebbe più pace tra loro : e poi
diciamola giusta, per via di liti, se facesse il marito comparire, che in vece
di effere dilapidatore, fosse più costo economo, che cosa se li potrebbe fare ?
sapete pure, che i raggiri non mancano. Sem. Quale sarebbe dunque il
rimedio per ovviare fimil male , quando colle buone non si potesse ottenere
? Pub. Di porre un'altra testa capace à governare bene la casa, in vece
di quella, che governava male, qual sarebbeappunto un'altro Economo, per fare
verificare ciò, che dispone l'Ecclesiaste: Servo fenfato liberi serviant
. Sem. Io bisogna, che parli, come la intendo: ho veduto alcuni Economi
in breve tempo arricchirsi con queste ainministrazioni; onde non vorrei, che
simili economati servissero di apparenza; mà che poi in sostanza le cose
continuaffero nella medesima forina ad andar male; con questa differenza
solamente; che quello , che si deteriora, non apparisca, passando nascostamente
in borsa dell'Economo; il che mi perfuado , che possa esser'errore peggiore del
primo ; mentre facendolo il padrone confumerebbe il suo ; mà l'Economo fi
apo proprierebbe quello degli altri. Pub. E di quelli , che hanno
amministrato con ucile considerabile dell' economato, ne avete veduto
alcuno? Sem. Di questi ancora. Pub. E de' prodighi , chi avete
osservato, che non abbia dissipato tutto il fuo? Serg Sem. A
lungo andare niuno. meh Pube Or dunque complirà alla Repu blica, che vi
sia detto economato; e 1 particolarmente , se la moglie sarà pruI dente, e non
vorrà anch'essa approvece ciarsi di qualche cosa; nel qual caso i non potrà già
l'Economo fare dispotica mente a suo piacere, avendo ch’invigi li
attentamente alle sue operazioni : 0 i poi se questi si arricchiscano, ponno
far lo con altri impieghi onoratamente , essendo uomini di somma
abilità. Sem. Mà non sarebbe meglio, che separasse la sua dote, e
riconoscesse il fuo? Pub. Queste voci di mio, e tuo non sonavano bene
alle orecchie di Platone; e le detesta Plutarco in bocca delle mogli, volendo
che tanto il bene, quanto il inale sia comune tra efli: ed io credo, che questa
reciproca comunanzas fia molco vantaggiosa per il marito; pera che se la moglie
crederà per sue ancora tutte l'entrate della casa, non ispenderà con tanta
facilità queste in cose sus per: [ocr errors] perAue , essendo le
donne di natura tenacissiine nello spropiarsi del proprio. Sem. E se
foffe Avaro a quel segno, che per ingordigia di cumulare moltoro facesse
mancare il bisognevole alla moglie, ed a' suoi figliuoli ? Pub. Questo
non dovrebbe farsi, e da persone civili maggiormente, essendo padri di famiglia
; tanto per non dire a’figliuoli mal'esempio , quanto perche dee l'uomo civile
lasciare a posteri gloriosa memoria di se medesimo; questa non si acquista già
mediante l'oro viziosamente radunato; perche non sarà più suo dopo morte,
passando all' erede, per lo più prodigo, il dominio di effo, il quale
scialacquandolo ravviverà bensì l'ignominiosa memoria dell'Avaro, che lo
cumulò; dicendo ogn'uno allorche lo vedrà spendere malamente in bagordi ,
crapole, e luffi : vedere dove và l'oro dell'Avaro ? onde à che gli sarà
servito l'effere stato tiranno di se medesimo nel cumularlo, e che bei vantaggi
ne avrà riportato ? Quindi è, che non 0. non senza inistero
fà da un'ombra del suo inferno domandare il Dante all'Avaro. Dicci , che
'l sai, di che sapor è loro 3 Mec. Se l'avesse doinandato à Crasso,
averebbe risposto francamente, ch'era molto amaro amaro, come dice il
Petrarca. E vidi Ciro più di sangue avaro , Che Crafo d'oro,e l'un,
e l'altro n'ebbe Tunto alla fin, che a ciascun parves amaro.
Mec. Fu data una bella risposta à colui, che trovandosi presente al
sontuoGislimo funerale fatto dal figliuolo generoso al Padre zvaro, domandò ad
un suo amico : che averebbe detto il defonto se fosse risuscitato, ed avefle
veduti tanti lumi di cera ardere nel medesimo tempo, quando egli vivente, in
casa sua, non pocea Coffrire , che più di una lucer, na di olio ardeffe ; cui
rispose : nullas certamente, posciache tuito s'impic-. gherebbe in estinguere
prestamente col suo fiato quei lumi, affinche non li logoralsero di vantaggio;
ayerebbe bensi [ocr errors][ocr errors] mu mutato con sollecitudine
il testamento; perche tal generoso erede non gli sareb. be piaciuto. Sem.
Vorrei sapere, che dovrà fare la povera moglie, e come lo potrà amare,
trovandosi priva del bisognevole? Pub. Ciò non oftante conviene, che lo
ami, lo serva, e gli faccia tutte le maggiori finezze poslībili, con mostrarne
anche piacere de' suoi sordidi avanzi, fintanto che sarà divenuta padrona del
suo cuore per regolarlo à suo modo. Sem. E questo appunto egli
defidererà; mà in tanto la meschina patirà doppiamente, facendolo di
contragenio. Pub. Abbia un poco più di sofferenza; perche guadagnato ,
che avrà l'animo di esso, farà allora ciocche vuole, essendoci moltissimi
esempj di Avari fatti divenire anche prodighi dalle mogli; onde quanto sarà più
facile a renderli persuali, di dover fare le loro convenienze: Mec. Si
racconta dal Sabellico un ingegnosa maniera, della quale si servi ladem faggia
moglie di un Signore molto avatro. Questi per ammassare quantità im mensa
di oro, che si produceva dalle di miniere, scoperte nel suo dominio, tei nea
impiegati à tal opera tutti i conta dini, che coltivavano la tèrra ; e
perciò n'era nata grandissima carestia, per la quale correva pericolo di essere
tagliato in pezzi l'autore di essa, se las iaggia moglie colla sua prudenza non
lo aveffe illuminato. Questa dipoi di csferfi ben internata nel suo affetto fè
dan molti artefici formare coll'oro tante vivande, quante n'erano necessarie in
un sontuosislimo banchetto, e perfezionare segretamente che furono , invitò fuo
marito à definare nel suo appartamento, e portatovig rimase egli ammirara
allas prima, nel vedere quel sontuoso imbardimento di vivande, tutte di
oro, e fi persuadeva, che ciò fosse itato fatto per ; una.vaga prima comparsa ;
mà rimirane. do in appresso, che non compariva a'.tro, che oro in varie forme
di vivaride lavorato , le disse ; Signora ;, e quan do do verranno
le vivande da potersi mangiare ? Replicogli la moglie, che trovandosi tutti li
contadini applicati alle miniere , non si attendeva più à coltivare la terra ;
onde bisognava accomodarsi à mangiare oro, perche de' soliti comestibili già si
penuriavad affatto ; fi avvide egli del suo errore , e fe dismettere tal lavoro
per attendere à quello, ch'era più neceffario, e dopo piamente utile per la
conservazione del suo individuo. Sem. Essendo il marito scapestrato , che
cosa dovrà fare l'infelice moglie? Pub. Arinarsi di' una santa sofferenza
con amarlo più, che sia possibile . Sem. Maltrattando però anch' ellas
con fatti, econ parole; non sò, come potrà continuare ad amarlo, e
fopportarlo. Pub. Non potendosi cimentare seco la saggia moglie, non
potrà farne di meno; perche altrimentine anderebbe sempre di sotto ; come
accennò Ovidio nel secondo de' Fasti: Quid faciet? pugnet? Vincetur
fæmina pugnans • E parlando altrove d'Ipemnestra , le fe dire : Che
deggio io far del ferro? in che con viene Coll’armi una donzella 2 io più
conformi Ho le braccia , le man, la forza , ib cuore All'ago, all'apo
, alla conocchia, al fufo, Che all'armi crude, e bellicosi ferri . Laonde
sempre meglio farà à soffrire', 1 andandolo bensì illuminando a poco ad
poco con dolci modi, mediante i quali le fiere stesse depongono la loro crudel.
tà; e s'egli non averà un cuore più cru do di quello delleone , non
incrudelirà - certamente contro di essa, raccontando Plinio di questo
animale : ubi sævis, in viros, plus, quam in fæminas fremeres 1 veluti
natura eum docuerit mulieres mi tius, quam viros elle tractandas. E for
tuttavia perseverasse à rampognarla, si serva di quell'avvertimento, che
diero no [ocr errors] no i capitani di Ciro ai suoi soldati : che
venendo i loro inimici alla zuffa gridan. do , con silenzio gli avessero
accolti ; mà se tacendo, andassero efli ad inveftirli gridando; dal che ne cavo
Plutarco layvertimento, che debbano tacere le donne, allorche vedono i mariti
adiraci; quando sono mesti bensì debbano animarli, e dar loro sollievo con
affettuose, ed efficaci parole. Sem. Voglio credere, che la moglie
manierosa lo possa addolcire à fine, che seco non contrasti; mà fuori di casa
come lo potrà trattenere, che non prenda impegni di duelli, ò di riffe ?
Pub. Quello , che seguirà fuori di casa, essa non potrà cercamente impedirlo,
essendoche non dee andargli appreffo; lo domerà bensì in questo caso
qualcun'altro, perche vexatio dat intellecium ; onde maltrattandolo qualcuno, ò
effo altri, in ambidue i modi potrebbe mettere giudizio; poiche, feri.
ceverà, oh quanti mutano vita dopo di avere fofferta qualche disgrazia
confi. de. [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
derabile , e se offenderà altri, il gasti. go ancora, che gli sovrasterà lo
potrebu be far ravvederc . Mer. Hò conosciuto molti di questi , che hanno
perseverato qualche tempo nelle loro stravaganze, e poi si sono domati, e
particolarmente quei, che hanno sofferte considerabili sventure. Pub.
Alcuni di questi ancora si ravveggono allor , che divengono padri di numerosa
famiglia, crescendo loro il pensiero di provederla , e particolarmente avendo
molte figliuole ; onde non dee mai la saggia donna disguItarsi con fimili
mariti; dee bensì raccomandarli al Signore , che li faccia ravvedere , ed
abbandonando le vanità mondanc, attendere al governo dellas sua casa più
diligentemente, che sia poflibile. Sem. Essendo giocatore, come dovrà
regolarsi con esso lui ? converrà che lo seguiti anch'essa per darli
sodisfazione? Pub. Per andare in rovina prestamente, cosi potrebbe
fare.Sem. Forse che nò; perche tal volta perdendo uno, vincerebbe l'altra, e
maggiormente, che sogliono le donne vincere sempre ; onde potrebbero andare le
cose compensate, e senza veruno discapito. Pub. E se perdessero ambidue,
bella compensazione , che seguirebbe! Le donne possono vincere con licurezza
solamente quando si contentino di fares perdite maggiori,terminato il giuoco, è
prima di principiarlo; per altro sono anch'esse soggette alle perdite.
Mec. E curiofo,ciò che accadette una volta in mia presenza : giocava un mio
amico con una donna alquanto atrempata, ed avendo egli carte superiori, io gli
disli, che non le avesse scoperte, e fi foffe fatto vincere, giocando con una
donna. Questi mi rispose, che non las teneva più per donna altrimenti, avendo
passico li quaranta anni, mà bensì per uomo. Sem. Or ditemi , che cosa
debbas fare? Pub. [ocr errors][ocr errors] [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Amare, e sopportare il marito, ed i suoi
difetti. Sem. Questa è la solita canzona; mà intanto in una notte
potrebbe giocarsi tutto il suo; ed allora che le averebbe giovato
l'amare, ed il sopportare? I. Pub. Dite voi dunque ciò, che dovesse fare
per darvi più opportuno riparo . Sem. Diricorrere, farqi sentire con
iftrepito, per impedire, che non potefse più giocare. Pub. Oh bene ! É
non sapete voi, che nitimur in vetitum ; onde questo sarebbe à appunto il
motivo di fargliene venire maggior desiderio di prima ; e se avesse
dismesso per lo passato il giuoco à meza notte, di farglielo durare in avvenire
sino à giorno, per fare dispetto all'imprudente moglie. Sem. Mà che dovrà
fare questa infei lice donna? Pub. Non altro, che sofferire , ed amare,
più che mai, ed udite ciò, che dise S. Ambrogio Sec. Offic. Quid tam
ino. [ocr errors][ocr errors] S 2 S [ocr errors][ocr errors]
inolitum , atque impreffum affe Etibus humanis, quam, ut eum amare inducas in
animum, à quo te amari velis? Sem. Penurierà la casa del necessario, non
si pagherà la servitù, i debiti cresceranno, le tenure deterioreranno, anderà
tutto da male in peggio, e questo sarà appunto il frutto del soffrire , ed
amare. Pub. Forse , che lo schiamazzo della moglie, quantunque giugnesse
à quel fegno descritto da Virgilio: Fæmineum clamorem ad. cæli fidera's
tollunt. potrebbe dare riparo à tanti mali? certo che no, mentre, come dicemmo,
diverrebbero maggiori. A tal pro- en pofito cade in acconcio la risposta , che
diede il Re Filippo à coloro, che lo fti- dic molavano à muovere guerra ai
Greci, i quali beneficati da esso sparlavano della sua real persona, che fu
quefta : Quanto peggio farebbero , se fossimo nemici la loro ? Sem. Però
se io fosfi ne. suoi piedi, [ocr errors] non [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] non potrei essere così amoroso di un marito,
che procura di mandare la casa in malora. Pub. E che fareste dunque di
vantaggio? 50 Sem. Sei iniei parenti non mi volesseed ro dare
ricetto in casa loro , me ne sta rei in un appartamento separato , e pro.
1 curerei di non trattarlo più; perche, come si suol dire : occhio non
vede, cuor non duole. Pub. Sarebbe questa certamente una gran pazzia
conosciuta anche da Eui ripide per tale; mentre egli fa dire ad Giunone;
non esserci altro rimedio più opportuno , di questo, per
riconciliare gli animi, che il conversare insieme , dicendo:
Ho disegnato a lunghi lor contrasti Ho giammai di por fine con un
modo Segreto, e nuovo a lor, unırli insieme. i Onde qual vantaggio
riporterebbe dallo ftare lontana dal marito, e di abbandonare affatto il
letto nuzziale , fe non di eternare le discordie? e se non sapete,
che [ocr errors] S 3 che cosa guadagna la donna , con fare la
disgustata, udirelo da Salomone: Qui confundit domum fuam poffidebit ventos ;
onde fi ritroverà alla fine colle mani piene di vento, e questo sarebbe appunto
tutto il guadagno, che averebbe fatto. Mec. Io, che in mia gioventù sono
fato amico di qualche giocatore , il qual faceva grosse perdite , in occalione,
che taluno di effi mi riferiva le sue sventure, non potevo contenermi di non
domandare, se la sua moglie n'era consapevole, e mi dicea, non avere potuto
farne diineno di non palesargliele, allora, che dovendo fodisfare la grossa
perdita già fatta , gli era convenuto più volte chiedere le gioje, per
impegnarle, non trovandosi pronto il danaro; cui replicavo : che schiamazzi
averà fatto ella trovandosi doppiamente disgustata ; e rimaneva ammirato
nell'udire, che qualcuna di effe con prontezza grande glie le dava ; e di
vantaggio mi riferiva, che non vi era già pericolo, che la trovasse colcata,
quando cornava quancunque avesse tardato molto; anzi, che con faccia molto
allegra li dava la buona sera, allorche lo vedeva comparire; e mirallegravo
seco dellas buona sorte, che godeva nelle sue sventure, essendosi abbattuto in
una sì prudente moglie; ne mi poteva contenere, avendo seco confidenza, di non
riprenderlo in tale occasione con dirgli:c voi siete sì crudo, che non avete
comparfione di farla ogni sera tanto parire: troppo fo, mi dicea egli ; perche
se non pensasli ad essa talvolta, che mi trovo sotto nel giuoco,chi sà quando
lo avessi terminato, e che perdita maggiore avessi fatto ; allicurandomi
inoltre che di tanti incomodi, che le aveva recati , ne averebbe avuta viva
rimembranzada à suo tempo, per farla godere, se soprayiyeva ad esso, pensando
di lasciarlas erede, non avendo figliuoli; conforme appunto è seguito ; onde la
sua sofferen· za , fu alla fine rimunerata . Sem. Ed in quei giocatori,
che avevano le mogli risentite, vi siete mai abbattuto? Mec. [ocr
errors] S4 Mec. In questi ancora, e domandan. do loro, che dicevano le
mogli allorche sapevano le loro grosse perdite, vi fu tra questi chi in tal
guisa mi rispose : il maggiore tormento, che io abbia allorche fo qualche
groffa perdita è di vedere inviperita mia moglie, cui chiedendo le gioje, per
impegnarle, me le hà sempre negate ; mà io l'hò mortificata con vendere altre
cose, ch'erano di sua somma fodisfazione ; affinche conoscesse, che io era il
padrone. Pub. Vedere dunque , Sempronio , quanto sia meglio soffrire in
questi casi, che fare risentimento; e voi Mecenate, di grazia cessate di dir
male più delle donne, avendo confeffato, che vene sono delle prudenti ancora
. Mec. Sono però queste di fimile natura rariffime, non contentandosi per
lo più le mogli di farli impegnare le gioje, e particolarmente à sodisfare per
le perdite fatte nel giuoco . Sem. Come debbonsi le mogli regolare,
quando scorgogo i mariti diviati a Pub [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] [ocr errors] mente, Pub. In niuna altra occasione si conosi
sce meglio la donna saggia , quanto in fi questa ; imperciocche le tocca sul
più 1 vivo; onde doverà adoperarvi cutta la prudenza poffibile per
divertirlo. Sine tanto, che il fatto sarà secreto, non dee darsene per intesa;
e se taluna lv rapportasse , che viene tradita da fuo marito , dee ella
replicarle con risentimento: ch'egli l'ama , e crede ferma che per questa
cagione non le possa fare un simile torto, dee però servirsi dell'avviso, per
rincontrare dalle mutazioni , che scorgesse in lui , tanto nell'affetto, quanto
nella stima verso di lei, se debba prestarle fede. Sem. Doverà dunque
lasciar correre trascuratamente, senza darci riparo , male fi considerabile,
una donna in particolare, che non gli da occasione alcuna di farle simile
torto? Pub. Ho udito dire da' Medici, che ci siano alcuni rimedi , che
sono peggiori del male, al quale si applicano ; onde non vorrei, che questo
fosse uno di quelli; palesatemi dunque voi qual credereste in questo caso
essere il suo ri. medio più valido , quando non vi piacciano i più beoigni
. Sem. Di fuggirsene immediatamente in casa de' suoi genitori, con animo
di non tornare più da suo marito. Pub. Questo appunto sarebbe uno di quei
peffimi rimedi, posciacche dandofegli campo libero in avvenire di fare, ciò,
che vuole, accrescerebbe non folamente il male antico, mà ne produrrebbe, anche
degli altri, che sono las totale discordia conjugale, ed il divul. garsi da
pertutto ciò, che non è bene, venga publicato. Sem. Che cosa dunque ella
dovrà fa , per non morire accorata , dimorando in casa del marito ?
Pub. Conyerrebbe , in questo caso principalmente , ch'ella ben apprendesse quel
consiglio dato da Platone as Zenocrate, qual fù : che sacrificate alle grazie ,
per essere più avvenente, che per lo passato ; e così con dolci manie.
re [ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors][ocr errors]
re potrebbe facilmente conciliarsi il suo affetto ; dicendo Salomone che:
Mulier gratiofa invenit gloriam. E quali debbano essere queste dolci maniere ;
non occorre, che mi diffonda per istruirne le donne, cfsendone di effe maestre:
diro solamente, che se la palma, ch'è un albero insensato arriva, come vuole
Plinio, à piegarsi, allorche stà vicino alla sua palma femina , volete , che il
marito ancora non si renda alle piacevoli maniere di una saggia moglie? Fu
interogata Livia Drufilla da una Dama, perche faceva fare ad Augusto marito suo
ciò, ch'ella volea ; così rispores : perche fo volentieri quello, che io
conosco essere di Cesare in piacere, e non ricerco i fatti suoi , come racconta
Dio. ne. Sem. E se faceffe praticare per casas una sua qualche
donna Atraniera, come la potrà tollerare ? Pub. Anzi la dee, per non
irritare maggiormente l'animo di suo marito, e farle corresie ancora, mostrando
di non essere consapevole di cosa alcuna ; conforme appunto fè Terzia Emilia moglie
del maggiore Affricano, la quale, non solament’egli vivente, diffimulò di
fapere, che suo marito amaya una fuas schiava, mà dopo la morte di esso
las fè libera, e la diede per moglie ad un suo liberto ; come racconta Valerio
Massimo. Ed Omero riferisce di vantaggio, che la moglie di Antenore aveffe
egual cura di un figliuolo fpurio di esso, di quello , che avea de proprj, per
non disgustarfi suo marito. Plutarco ancora racconta nel libro delle donne
illuftri, che Stratonica si prendesse il pensiero di educare bene i figliuoli
di Dejotaro suo marito, quantunque forsero nati da Elettra sua serya :
oltre poi quello, che dice la facra Genefi di Sara, ė di Rebech ab 16. &
30. Sem. Questo però non lo porrà mai fare una moglie di spirito ; non potendo
questa soffrire un simile torto . Pub. Quefte, che hò riferite , avevano
spirito, cprudenza; ne mi persua [ocr errors][ocr errors][merged
small][merged small][ocr errors] deco, [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] derò, che possiate darvi à credere , che - Olimpia madre di Alessandro
il Grande lie non avesse spirito, e pure questa , venendole rapportato,
che Filippo suo marito era talmente invaghito di una giovine di Teslaglia, che
si credea communemente, foffe ammaliato ; volle conon scerla , ed appena
veduta, che l'ebbe le disse : Tecum enim philtra babes, quanto mai le parve
bella ! e non fu questa picciola finezza il dire ad una sua rivale, che rapiva
il cuore di tuti. Mec. Io so, che alcuna di queste per aver
ricevute.cortesie obbliganti dalle saggie mogli, sono fervite di mezane , per
riconciliare l'affetto era effe,e i loro mariti : altre poi, che hanno ricevuto
strapazzi,sono state cagione di odj mag. giori tra essi ; onde seinpre hà
giovato alle mogli saggic, di non inafprire maggiormente la piaga con irritarla.
Pub. Un'ottimo ammaestraméto vien dato à queste da Plutarco, ed è di non
allontanarsi mai dal marito, perche facenda altrimenti, la rivale diverrà
af for [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][ocr errors] soluta
padrona, non solamente del letto mà ancora della casa tutta, Sem. Mà
durerà sempre questo disordine ? Pub. Non durerà, perche la prudente
moglie saprà vincere col tempo las violenza dell'altra, come ben cspreffe Ofeo
Poeta : Capitur ergo ab infirmis celer, Aquilamque brevi testudo
vincit. E la testuggine appunto, essendo Gimbolo della donna onefta, non
recherà maraviglia, se questa ancora frenerà il volo dell'aquila, con aspettare
però l'occafione opportuna, la quale potrebbe essere, allorche li fa dimora in
villas, ove l'amica non fosse presente; ed il maggiore argomento che potesse
addurre per allontanarlo dall'amore impudico, sarebbe appunto di fargli
conoscere colle buone, il cattivo esempio, che ne prendono i figliuoli; con
insinuargli ancora,per giuoco,quel detto di una pudica donna, tratta å forza
dal Re Filippo: deh lasciami andare, gli disse, per [merged small][ocr
errors][merged small][merged small][ocr errors][ocr errors] na , Il che
tutte le donne , portata via la lucer sono simili ; mà se poi imitasse *
quella prudenre Gentildonna Sicilianad di cui fa menzione Lodovico Vives,
nel *' lib. 2. de Christiana fæmina , quanto mai u lo renderebbe à se
affezionato? Questas andava osservando ciò , che facevano i servitori,
che fosse al padrone marito suo più grato, e quello ella facea di sua mano
studiosamente; se bene talora con estrema fatica fua, quello poi , ch'era di
meno travaglio, fatica, e noja, comandaya à servitori. Sem. Mà quando non
fosse deviato altrove il marito, che cosa porrà fare la i donna savia , à fine,
che non ecceda con i essa lei in pregiudizio della propria falute ? Pub.
La saggia donna non dovrà mostrarsi renitente à fodisfare le brame di E fuo
marito ; ben è vero però, che dee'as 1 poco a poco, andargli dolceinente
infio nuando il danno, che potrebbe appor tare l'immoderata frequenza
degli arti conjugali , potendogli questi abbrevia Per que .
re anco la vita con danni notabili della sua famiglia ; e starà ben ella
circospet- ta nell'ordinare vivande, calorose per la mensa, ed
ancora nel tenerlo lonta- no dallo frequente uso del cioccolato,
erosolì. Crescere res poset nimiùm damnofa
libido. Come vuole Ovidio . Sem. Prometteste, Dottore, di mo. strarmi
sino à che segno poffa giugnere l'uomo in pagare il debito matrimoniale senza
discapito della propria salute. Med. Epicuro, Democrito , Averroe, ed
altri Filosofi ancora credettero, che sempre sia molto dannoso l'uso venerco :
Altri poi lo credono solamente, allora, ch'eccede i limiti dell'onesto.
Sem. Or io non voglio andare cercando malanni ; per battere al sicuro mi
contento starmene senza prendere moglie ; perche la propria salute mi dee
premere molto più della moglie. Med. Ditemi di grazia , Sempronio, senza
andare in collera : Voi che avete fpiriti generosi, fe venisse un
esercitoDell'Elezione della Mog. 289 per distruggere la vostra patria, per
salvare la propria vita, abbandonereste la difesa di essa é o pure vi porreste
ad evidente pericolo di morte per difenderla ? Sem. Sarei un gran
codardo, quando l'abbandonaffi; dovendo per sua difesa porre à pericolo la vita
con tutte le mie sostanze Meda E per conservare la vostra specie, la
quale può difenderla ne' suoi bisogni, perche ricusate di farlo? non ponendo
già ad evidente pericolo, nè vita , nè roba , contenendovi dentro i limiti
della moderazione, esponendovi in tal caso solamente à pericolo di soffrire
qualche moderato, e breve disaggio: e se voftro Padre fosse stato di questo
sentimento come farefte voi [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
naro ? Sem. Converrà dunque farlo ; mind u questa moderazione nell'uso
venereo, in che doverà confiftere? Med. Primieramente in fuggirlo più,
che sarà possibile la state: dicendo Cel. co 10, aftate in fptum, fi fieri
poteft, abftinen. , dum ; e nell'autunno dice : neque autumno
utilis venus eft ; nel rimanente poi dell'anno non abufandovene sarà sempre
meglio per voi, Sem. Mà da che potrò comprendere tale abuso? Med.
Dalla stanchezza, che riceverete dopo di esso, perseverando questa, per qualche
tempo, nella forina , che descriffe Ovidio di averla osservata in un amante
Vidi ego cum foribus laljus prodiret amator Invalidum referens ;
emeritumques latus, Sem. E cadendo io in questo, che rimedio averò da
praticare? Med. Aftenervene per qualche tempo, dicendo Virgilio nella
Georgica; Nulla magis vires industria firmat Quam Venerem, cæci fimulos
aver tere Amoris, E di questo niuno meglio, che voi ne potrà essere
giudice s purche sia la voItra mente libera, e non preoccupatas
dall [ocr errors] [ocr errors] dall' estro libidinoso . Şem. E per
fuggire questo, qual ri# medio sarebbe opportuno ? Med, Il vitto
moderato, e la moglie - favia sono i veri antidoti per indurre moderazione
nelli cimenti di venere. Pub. Vedere dunque , Sempronio, quanto possa
giovare una saggia donnas nel fare prolungar la vita à suo marito ? prendetelo
dunque à buon fine, quan do la vostra moglie vi frenaffe in que1 fto,
facendolo per noftro bene. Met. Or io non vorrei starmene raffi, dato
alle donne sopra di ciò; perche affai di rado fi riceverebbe da effe tale
beneficenza;vorrei più tosto prendere l'efeinpio dai bruti, i quali , toltone
quei tempi prefisli loro dalla natura, non si ac. costano più alle
femine, nè tampoco ef: se appetiscono i maschi; ed udite come lo conobbe
bene Democrito riferito , Dottore, dal vostro Ippocrate nellas u lectera
scritta à Damageto; Anniversa riorum temporum ordo, brutis quidem
danimantibus coitus finem adfert , homo T2 verò [ocr errors]
[ocr errors] verò infano libidinis stimulo continenter agitatur. Sem.
Dandosi il caso, che il marito fosse impotente, ne viverà contristatas la
povera moglie di questo? Pub. Prescindendo dal rammarico, che averà,
trovandosi priva di figliuoli, credetemi , ch'essendo prudente, non fi prendera
di ciò fastidio alcuno;perche considererà ben'ella, che quel momentaneo diletto
è compensato da molti altri tormenti, che îi soffrono, non solamente nelle
cattive gravidanze, e laboriofi parti , mà quello, ch'è di travaglio maggiore,
nell'educar beoe i figliuoli , de' quali taluno alle volte riesce scapestrato
laonde se rifletterà à ciò che dice l’Ecclefiaftico al 16, Utile eft mori fine
filiis quam impios habere, aidarà pace essendo priva di elli. Sem. Io
conoseo alcune di queste sterili, che non fanno alcro, che sospirare; eso che
volentieri introdurrebbero il giudizio del divorzio. Pub. Ed io conosco più di
una di que [ocr errors] 2 fte, fte, che si
trovano nella medefima nave, le quali stanno contentiflime, e pensano
perseverare col suo marito fino allas morte, quantunque sia impotente. E forse
credono quelle , che il tentare questo divorzio sia qualche delizioso
divertimento ? Sappiano, che converrà loro esporsi à prove, e recognizioni ,
che danno molto da cicalare per tutta la citrà. Ed inoltre, facendo ciò,
mostreranno ancora di essere libidinose,deliderando avere più validi
mariti. Sem. Mà coine ci potrà essere pace i tra simili conjugi?
Pub. Se la moglie sarà prudente, non i ci sarà discordia alcuna ; perche vedenÛ
dofi il marito così impotente, procurerà per altre vie divertirla , se
non fürà del tutto disamorato. Sem. Mi persuado , che poco averà ·
da dolerâi la moglie del marito goloso , * quando però faccia anche ad essa
gufta10 re qualche delicata viyanda? Pub. Non è così; perche la donnas
prudente di questo fi rammarica al parodi tutti gli altri difetti, essendo che
fis mile vizio persevera per lo più fino allas morte ; onde con facilità grande
può far impoverire; conforme si legge nell' Ecclesiastico al 21. Qui diligit
epulas in egeftate erit, qui amat vinum, Q pin. guia non ditabitur . Oltre poi
imali, che suole apportare alla salute. Sem. Mà comc ci potrà dare
rimedio ? Pub. Conosco anch'io, che farà cola difficile il poterlo
affatto rimuovere, mà la prudenza, e l'ingegno donnesco potranno darvi bensì
qualche riparo , con guadagnarsi l'affetto del suo marito, il quale acquistato,
se le réderà à poco à poco facile à titolo di sanità, d'introdura, re qualche
moderazione ia effo : avvertali però, che la servitù rimanga in qual. À che
parte compensata di quegli avanzi della mensa , de' quali soleva partici- ;
parne, altrimenti questa per tal cagione sarà capace suscitare discordie traefo
sa, e suo marito, con inventare infinite menzogne, Sem. 11
[ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Sem, Ed abbattendosi con
mariti di la mente debole, come hanno da fare per di rimuovere dalla loro
grazia certi servis I tori favoriti, che li dominano ? Pub. La donna, che
colla sua pru. denza può giugnere à rimuovere dal cuore di suo marito caluna,
che lo porfedeya indebitamente, con quanta facilità maggiore potrà allontanare
questi,quando voglia abusarli della dilui grazia ; ed in ciò non occorre
istruirla di vantaggio, essendone espertissimas; basterà solamente accennarle ,
che faccia passaggio delle cose leggiere, e nelle gravi norf operi con violenza
grande, per non porlo in impegno di sostenerlo ; mà venendo l'occasione
opportuna in qualche fuo trascorso rilevante, gli faccia conoscere , ch'ella
non opera per passione, ma bensì per suoi vantaggi. Sem. E se aveffe
anche la Suocera cartiva , la quale consigliaffe suo figliuolo à Itrapazzarla ,
che cosa doverà fare? Pub. Di sopportarla , amarla , erispettarla , come
costuma fare con fuo [ocr errors] [ocr errors] marito ; perche non
nascono già per altra cagione le discordie tra suocera, u nuora , che dalla
gelosia , che hanno le madri , che i figliuoli amino più le mogli ch'esse, da
cui ricevettero l'efsere Sem. Mà se ciò non ostante continuarse à fare il
medesimo, non sarebbe me. glio di metterla in discredito appresso il figliuolo,
à fine che non le desse più credenza ? Pub. Questo non dee fare la donna
saggia'; dee bensì riflettere à ciò, che, fi costumava nella città di Lepidi in
Affrica per meglio imparare à soffrire. Racconta Plutarco, che ivi era
costu che nel giorno seguente alle nozze la sposa mandasse à domandare
alla suocera una pentola, la quale le venivad negara ; e questo si facev'à fine
che, non G sdegnafre, le in avvenire le avesse negato alcuna cosa. Sem.
Converrebbe ora discorrere fopra le stravaganze grandi, che nascono tra i
marişi çattivi, cle mogli peffime , [ocr errors][ocr errors] me ,
[ocr errors][merged small] Pub, [ocr errors] Pub. Non è certamente
neceffario parlarne ; posciacche, à chi darebbes l'aniino di consigliare
costoro, che sono incapaci di ragione ? Bisogna, che tra loro si aggiustino, e
fogliono per lo'. più essere concordi', perche niuno di loro può rinfacciare
all'altro i difetti, elsendone ambidue colmi . Il danno è bensì de' poveri
figliuoli , che non si educano bene, tanto per l'esempio cattivo, che danno
loro, quanto per la direzione, della quale eli penuriano : ben è vero però, che
quando questi li avanzano alle discordie', non effendoci mezo capace à poterli
più riconciliare tra loro, solamente l'autorità del prencipe può impedire le
rovine maggiori che possono nascere per i dilapidamenti delle loro sostanze, 'à
fine și non vedea ce mendichi i loro discendenti. Sem.Sarebbe però un
vantaggio grande, che tutti i mariti catrivi prendesse. ro mogli (imili ad essi
; perche alloran per i buoni rimarrebbero le buone solamente. Pub.
Pub. Succede frequentemente così , essendo questi portati dal loro genio ad
amare simili ad essi, secondo il pro-. verbia : aqualis æqualem delectat, ý
semper à fimili fimile amatur. Il che viene confermato dal Nazianzeno , di.
cendo: Pulli quidem pullis amici , coruique corvis , [ocr
errors] Et furnis sturni , puro autem pretiofus. eft purus : Meglio però
di tutti l'insegna l’Ecclesiaste: Diligit fimile fibi , dow omnis homo fimilem
fibi, omnis caro ad fimilem fibi conjungitur, omnis homo fimili sui sociabitur.
Onde se accaderà, che una catciva giovane prenda un buon marito non sarà già di
sua volontà, mà verrà bensì sforzata da' parenti à farlo, e das quefto nc
nascerà quello appunto, che, dice l'Ecclefiaftico al 26. Mulieris ira , o
irreverentia , & confufio magna: on- ; de guai à chi toccherà limile
infortunio. ; Sem. Mà che potrebbe fare chi li trovafle in simili
miserie?Pub. Di prevalersi di quest' ottimo consiglio, riferito.da Gel. in
Sat.Menip. Vitium uxoris's aut tollendum , aut ferens dum ; perche : Qui tollit
vitium, uxorem commodiorem præftat , qui ferte se fe meliorem facit. Sem.
E cui riuscì il potere far questo in core rilevanti ? Pub. Tra gli altri
à Socrate; come ris ferisce Plutar.de Choib. ira: il quale avendo seco à
defináre Euridemo, quando nel meglio si alzò in piedi Sancippe , e dopo di
avere caricato di villanie socrate roversciò la tavola in terra; onde Euridemo
si alzò in piedi addolorato per partirli; cui Socrate disse con gran Aemma: non
accadè poco innanzi in casa tua, che una gallina yolando fece l' isteffo ? e
pure niuno vi fu , che li contriftaffe disinile avvenimento; perche dunque voi
ora lo fate 2 Sem. Non si è parlato Gin'ora, come fì abbiano da regolare
le povere donne per iscegliersi un buon marito Pub. Nom dçe la donna sceglierli
as suo suo compiacimento il marito; mà bensì riceverlo da' suoi più
congiunti, e di questo ne parleremo nell'educazione de' figliuoli, mostrando le
diligenze, che doveranno farg da' padri å fine di provederle bene. Sem.
Spererei di sapere scegliere las moglie, ora che ini trovo in ciò istruito; mà
sposata che l'avefli mi troverei intricato nell'educare i figliuoli, quando
Iddio me li concedeffe, non avendo ancor appreso à bastanza il modo das
regolarmi per bene diriggerli. Pub. Nella seguente Decade tratteremo di
questo. [ocr errors][merged small] Sopra l'educazione morale de'
figliuoli CONFERENZA nella quale si mostra, che cosa sia educazione, cui
appartenga più di ogni altro; e se sia necessario
luogo particolare,ove debba farsi. Sempronio , Publio ,
Mecenate e Medico. [ocr errors] Sem. N che consiste
l'educazione? Pub. Nello svellere da gli animi de' tcneri figliuoli tutti
quei vizi, che spontaneamente germogliano in elli, e nell inestarvi in
loro vece i preziosi gerini delle virtù ; effepdoche, come ben'er preffe
VIRGILIO nella Georgica parlando degl'innesti ; Pomaque degenerant , fuccos
oblita priores, sem. Come! in noi spontaneamente nascono i vizj!
Pub. Non è da dubitarnę mentre nascono molti vizj con noi medesimi insę.
gnandoci il Profeta : Ecce enim in iniqui, tatibus conceptus fum ; du in
peccatis concepit me mater mea; verità conosciutas, anche da' gentili ;
posciacche Orazio così scriffe: Nam vitiis nemo finè nafcitur.
Optimus Qui minimis ur getur . E Democrito, che ; totus homo ab ipfo are
fu'morbus eft ; ed inoltre, che secondo l'età in noi germogliano i vizi propri
di effe, i quali se non saranno a tempo dçbito estirpaţi, quei della puerizia
fivedranno adulti nelle altre età; ma vie peggio ancora, che vedo verificarsi
ciò che diffe Orazio nell'Odę 6. lib.3. cioè i Ætas parentum pejor avis
tulit Nos nequiores, mox daturos Pro ille eft,
Sopra l'educ. de figliuoli. 303 Progeniem vitiofiorem , E da ciò comprenderece
à che segno debba essere ora l'educazione più esatta di prima. Mec. Ed io
che soglio conversare spesso co' miei amici ho veduto più di una volta, in
occasione, che questi as. pertavano qualche visita di soggezione, verificarli
ciò, che dice Giovenale nella satira, Hofpite ventura ceffabit nemo
tuorum ; Verre pavimentum, nitidas oftende columnas, Arida cum tota
defcendat aranea tela, Hic lavet argentum, vasa aspera fergeat
alter, Vox domini fremit inftantis, virgam. que tenensis.
Ergo mifer trepidas ne stercore fæda cao ning Atria difpliceans oculos
veniensis amici, Ne perfufa luto fit porticus, tamen uno Semodio
foobis , her emendat fervulusE quel ch'è peggio ancora , che vedo verificarli
appresso alcuni ciò, che se gue : Illud non agitas, ne sanctam
filius omni. Afpiciat fine labe domum, vitioqae
carentem, Sem. Vi concorre altro alla cattivas Educazione, che la
trascuraggine ulata in non eftirpare à tempo debito gli ac GE cennati
difetti Pub. Potrebbero anche renderla peg el gior e i cattivi esempj
dati a' figliuoli, luz dicendo Giovenale nell'accennata satira. Sic
natura jubet velociùs, du citiùs nos Corumpunt vitiorum exempla
domeftica magnis Cum subeant animos auctoribus . Quali
cattivi esempi potrebbero a’proprj accrescere gli altrui difetti . Sem.
Mà come possono essere capaci in di cattivi esempi i teneri fanciulli non
distinguendo questi ancora il bene dal male? Pub. Pub. Dice Plutarco
nell'educazione de' figliuoli, che s'imprimono gli ammaestramenti in elli
conforme appunta fanno nella cerà molle i sugelli, e che perciò il divino
Platone saggiamente avertisce le balie à non raccontare loro favole di
ogni sorta , mà solamente u quelle, che ponno essere giovevoli al buon
costume;confermandoci ciò S.Ba, filio, il quale, scrivendo à quei
dellas città di Neocesarea , confessò loro di ellere debitore di
una buona parte della sua divozione alla nutrice, la quale,non
perdendo mai alcun sermone di Gregorio, li serviva di molti belli derti
uditi da esso in tutte le congiuntùre, che se le presentavano per
imprimnerglieli benc nel cuore ancora tenero ; laonde saggia- mente
diffe Focilide : Mentre fanciullo lei, virtute impara , Ma oltre il
malesempio', pregiudicano anche ad elli molto le carrive insinua.
zioni, Sem. Ma questi mali esempi non sa. ranno dati già loro dai
genitori, quants [ocr errors] 3 ci [ocr errors] [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][merged small] cunque fossero viziosi; perche
vediamo i ciechi desiderare i figliuoli bene illuminati, ed i zoppi, che questi
liano liberi, e spediti al moto: ne tampoco infinueranno loro cose
cattive. Pub. Così appunto dovrebb’essere, e pure ciò non liegue ;
posciache alcuni hanno voluto insinuare à i loro figliuoJini l'invecchiati
difetti da' quali esli erano contaminaci. Vi furono due di questi, di cui fa
menzione Enea Silvio libr. 1. comment.; che dediti all'ubriachezza procuravano
, appena slactati ch'erano i loro figliuoli, di affuefarli al vino facendone
gustare loro de' più generofi, che si trovassero; ed uno fti, persuadendosi ,
che non averle il suo figliuolo bastantemente bevuto vino di giorno, volle di
notte, in tempo chc dormiva,farglielo ingojare con un cannellino; mà perche
sonnacchioso corceva la bocca ingiuriò aspramente las moglie ; dicendole, che
non era suo fi. gliuolo legittimo, per non affomigliarsi ad esso, cui tanto
piaceva il vino. E vi [ocr errors] ed uno di que [merged small][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] re [ocr errors] recherà
orrore il sentire di vantaggio bu quello, che riferisce S. Gregorio di un li
esecrando bestemmiatore il quale ingi nuava ad un suo figliuolino di
cinque anni di ritrovare bestemmie anche infoJite, e riferisce ancora il
gastigo , che da Dio ricevette per sì detestabile dclitro, Mec. Mà senz'
and are cercando gli antichi esempi ; non ci è stato à giorni noftri un Padre,
che premiava de' suoi figliuoli quello, che cimentandoli co i suoi
fratelli, rimaneya vittorioso nel d fare à pugni ? cosa tanto crudele ,
che non fi racconta già praticata da Gladiatori Romani tra fratelli, Sem.
Le Madri però non saranno state così perverse nel mal'educarli, Pub.
Queste ancora sono state colpevoli di ciò; scrivendosi di Draomirad, :
Principessa molto vana, che per colpa fua diveniffe Boleslao parricida, e
fratricida ; dove che il fratello Vinceslao educato da Ludimilla sua ava
molto fagi gia, e pia divenne un Sanco , come nela la sua vita si
riferisce; e da ciò comprendere quanco di profitto apporti la buona
educazione. Mec. Questo non è da porfi in dubio, scorgendoli anche ne
bruti profittevole; mentre racconta Plutarco, che Licur. go per fare conoscere
tal verità a? Spartani fè comparire due cani , uno de quali era avvezzato per
la caccia, e l'altro, dedito in tutto alla sua naturale inclinazione, non
attendeva ad altro, che à leccare pentole di cucina, e nel mede: simo tempo à
vista loro fè portare anche una lepre, ed un carino di broda : nel vedere il
primo fuggire la lepre li pose a seguirla ; e l'altro se ne andò verso il
catino; soggiungendo egli a’Spartani: così faranno appunto i vostri figliuoli
ancora , se saranno, ò nò istruiti. Quindi è che avendo Tolomeo Re di Egitto
domandato ad un Savio quale foffe las negligenza maggiore, che regnava tra gli
uomini, egli prontamente rispore : ch'era la trascuragginc nell'educare i figliuoli,
mercecche da questa infinitimali ne potevano nascere: Sem. Mà à chi
dev'essere più à cuore questa educazione? Pub. A coloro, cui dev'essa
maggiormente premere, che sono i genitori, e questi debbono con industriose, e
diligenti manière spogliarli d'ogni difetto, e d'andare ne i loro teneri
cuori giornalmente istillando il prezioso liy quore delle virtù, senza
desistere mai; essendoche, come avvertì Plutarco questa voce costume ,
pronunziata in lingua Greca, significa anche continuo esercizio, onde da ciò si
può comprendere che non ci vuole trascuraggine nell'educare i figliuoli.
Riferisce ORAZIO, le diligenze in ciò usate da suo padre; verso di lui lib. 1.
Sat. 6. che furono. Sed puerum est ausus Romam portare docendum; Ipfe
mihi cuftos incorruptiffimus omnes Circum doctores aderat , quid mulia?
pudicum, Qui primus virtutis bonos , fervavit ab omni Non folùm facto
verùm opprobrio quo que furpi. Santamente dunque ordina Salomone ne' suoi
proverbj : erudi filium tuum , do refrigerabit te, & dabit delicias anime
tudo Sem. Mà le saranno i Padri talmente occupati, che non abbiano tempo
das poterlo fare? Pub. Se averanno occupazioni più riLevanti di questa,
saranno compatiti, caso che nò, sono tenuti di farlo, e non facendolo meritano
la riprensione del vecchio Crate,qual disse;contro costoro: Dove andate
meschini, d voi, che nel cercare di farvi ricchi movete ogni pietra; e
nondimeno de' voftri figliuoli, a' quali lieto per lasciare le vostre facoltà,
vi prendere poco pensiero ; al che sog. giugne Plutarco, che questi operano in
quella maniera, come se alcuno governaffe bene le sue scarpe, e de i piedi non
fi curaffe punto. Or ditemi di grazias qual potrà essere l'occupazione più
riguardevole di questa ? Sem. [ocr errors][ocr errors] [ocr errors]
Sem. I publici affari, per esempio, oltre il decoro personale, i quali
ricercano somma attenzione, e si può dalli buona amininistrazione di questi
ricavarne molta gloria, e molto lustro, vantaggiosi ai figliuoli ancora,
onde perciò non potranno distrarsi per educarli bene. Pub. E questo
lustro, e gloria se si estingueffe nc'figliuoli mal educati qual i
acquisto averebbero fatto i Padri? Gli Ateniesi nelle feste di Cerere
faceano un misterioso giuoco, ed era , che comparivano avanti l'alcare quei
destinati ad effo à prendere ivi un luine acceso, qual dovea porgersi ad
un'altro , che in una decerininaca distanza lo stava aspettando, per
consegnarlo ancor esso ad altri, che in egual lontananza lo atrendevano: se il
detto lume si foss' estinto prima di giugnere all'ultima mera , era in libertà
di ogni uno beffeggiare colui in inani di cui si estinguěya. E Platone fu di
se. timento nelle sue leggi, che : gignentes, alentes liberos vitam
tanquam 1 lampada alii aliis tradunt. Or figuratevi ancor voi, che
questo splendore, che voi dite debba passare ne' posteri; come rimarrebbe colui
, che per la sua malas educazione lo estingueffe ? in che ludibrj egli li
troverebbe venendo da tutti, beffeggiato ? e sapendosi, che vi ebbe colp’anche
la poca applicazione del padre in educarli, dirà facilmente qualcuno : quanto
era meglio un poco meno di luftro, mà più durevole nella sua descendenza.
Mec. Da questo dunque procederà, che alcuni figliuoli di uomini illustri sono
di costumi tanto diversi da efli , che pajono più tosto nati dal disonore,
averanno quelli facilmente difefcato nell' educarli. Pub. Plutarco ne
adduce ancora un alıra cagione credendo egli che i fi. gliuoli degli uomini
illustri divengano facilmente superbi, ed arroganci; e lo comprova coll'esempio
di Diofanto figliuolo di Temistocle, il quale solevas, dire ne cerchi, che
tutto ciò, che li fos se se piaciuto sarebbe anco al popolo d'A.
tene piaciuto; perche quello , che voleva egli voleva la inadre; e quello che
la madre Temistocie, e quello che Temistocle anco tutti gli Ateniefi.
Sem. Credo però , che più comparibili polfano essere le Madri se diferteranno
in deira educazione, essendoche alcune di esse hanno impiegato turte le ore del
giorno in adornarli, in ricevere, ò fare visite, in passeggi , ò conversazioni;
talmente che pochissimo tempo potrebbe rimanere loro di badare a'
figliuoli,quando non foffero diftrarte an. che nel giuoco . Pub. Già sono
capace, che premono oggidi ad alcune più i divertimenti, che i propri
figliuoli. E vi pare, Sempronio, che debbanli queste scusare? Non averanno
certameote occasione alcuna di lagnarli , se faranno questi cartivas riuscita
;. perch'esse vi hanno difettato non solamente colla trascuraggine, w cziandio
col mal esempio dato loro ies S. Girolamo scrivendo a Leta non diffgià, che
foss'esfa scufabile, dando a'figliuoli mal esempio, mentre così parla: Nihil in
te, & in patre suo videat , quod fi fecerit peccer . Sem. Non si
potrebbe supplire coiu Maestri, & Aij alla propria trascurag
gine? Pub. Si potrebbe in caso di necessità; mà però è assai differente
l'industria,che adoperano i propri genitori da quellas, che sia l'altrui, ed
eflendo questa à proporzione dell'amore , quanto maggiore sarà quella de'
propri genitori, che più di ogni altro li ainano? Si suol dire ingeniofus amor
, e questo appunto è quello, che li ricerca nella buona edu. cazione .
Sem. Se dunque li può supplire, saranno scufabili quei genitori, che
sostituiscono in loro vece chi lo faccia. Pub. Non per questo però
debbonli affatto allontanare da efsa, senza averci qualche sopraintendenza
particolare, e non usando questa non si potranno mai scusare, Mer.
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Meg. Siete Publio troppo rigoroso, e questo credo , che proceda ,
perche voi foste l'educatore de' vostri figliuoli; mà non sono ora più quei
tempi felici , ne' quali si pensava di lasciarli più rosto ben educati, che
ricchi; non sarà poco, che abbiano ora i figliuoli un Ajo di ti. tolo , che non
li lasci almeno precipi. tare in tutti i vizj ; onde da alcuni, che sono
arrivati a conoscerlo a è trovato quel santo ripiego di porli nei seminarj,
assai giovanetti, e prima che la malizia fi avanzasle in elli. Pub. Or io
non mi sono curato di porre i miei figliuoli in questi seminarj; perche ho
voluto fare a modo del Profeta , il qual dice : Filii tui ficut novelle oliva.
tum in circuitu menja tuk. Sono questi seminarj fantissimi,istituci ostimi per
ap: prendere il rimore di Dio, mà oh quanto fà di più quel Padre amoroso , ed
actento, quella Madre faggia, e divora, in educarli in tutto , avendoli
appreffo di loro ! e questo ben lo conobbe Orazio ringraziando suo padre della
buo V è C. na sua educazione in tal guisa . Laus
illi debetur,à me gratia major; perche : obiiciet nemo fordes mihi . Mac.
Voi aveste però la fortc,, che vi furono i vostri figliuoli, tanquam novelle
olivarum ; perche, se riflettiamo alli rami di elli, sono simbolo di pace , e
tali appunto sono li vostri ellendo dotati di ottimo naturale ; fe al frur. to,
è vero ch'essendo immaturo , inolto amaro, ma questo con industria
diviene anche dolce, ed il fimile è seguito in elli, essendo giovani; se poi
final. mente al sugo, che da' suoi frutti maturi si esprime, ch'è l'olio,
questo non fà alcun movimento, solendosi dire per proverbio : è cheta come
l'olio , e contimnili à questo sono anche i vostri figliuoli, contro de' quali
aon si è senci. to alcun richiamo fin'ora, e spero, che trovandosi già avanzati
negli anni , cresceranno sempre più in bontà: mà se in vece di novella olivarum
Iddio ve li avelse dati, come piante di mirto, questi non iftavano bene in
circuitu menja tud. Sem. [merged small][ocr errors][merged
small][merged small][merged small][merged small][ocr errors] [ocr errors] Semi
E per qual cagione, producendo il mirto un fiore gratissimo ? Mer. Sì
bene, mà però senza alcun frutto, ed è pianta dedicata à Venere, e tra esli
facilmente si annidano i serpenti, e se fossero ftati di limile cattiva natura
i vostri figliuoli, Publio, come vi fareste contenuto con efli loro? Pub.
Gli averei ben domati io; perche più fieri de'Leoni non potevano già essere, e
pur questi coll'arre divengono mansueti, e vi assicuro, che non averei fatto da
cerusico pietoso; avendo appreso da Salomone il rimedio qual'è; nos li
subtrabere' à puero disciplinam ; fi enim percufferis eum virgâ, non morietur.
** Més. Sapete pur, che Dione, con forme racconta Plutarco nella sua vita, per
il soverchio rigore usato , e fatto ufare, nell'educare il suo figliuolo, fu
cagione, che per disperazione cgli si precipitasse da una finestra : il rigore
paierno non è sempre moderato , per cagione, che il più delle volte questo
parsa dal soverchio amore, al foverchio deg no ; e poi i Padri vorrebbero
in un tracto estinguere tutti i difetti de’loro figliuoli, e questi han d'uopo
di tempo preparatorio non meno, che le valide medicine, come fa il
Dottore. Med, Questo è veriflimo, perche dandoli un violento rimedio,
senza prepa, sare prima gli umori, danno maggiore potrebbe apportare ; quindi è
che il noItro Ippocrate c'insegnò : Corpora cum quis purgare volucrit oportet
Auida facere , Pub. Però se Neocle non avesse usato tanto rigore , con
arrivar sino à privare della sua eredità il figliuolo , certamente, che la
Grecia non avrebbe avu. PC to il gran Temistocle, il quale ritrovan. doli
in tali angustic ricavò dalla necefficà la virtù, essendo che bene spesso :
veWatio dat intellectum . GULE Mec. Questo esempio appunto fa conofcere,
che sotto padri tanto rigorofi non possono educarli bene i figliuoli ; fpc
posciache avendolo diseredato lo mandò ancora fuori di casa, e perciò
averàalırove trovato chi lo cducasse con più discretezza; e poi questo fu un
bene per accidente, il quale assai di rado rie. sce con tanta felicità,
rimirandosi dall' altra parte infiniti, che discacciati da' propri genitori ,
datisi in preda maggiormente de vizj, terminarono infelicemente la loro vita
negli spedali, ò disperati, di trovare modo da vivere, presero il soldo
militare, per foftentarli in quel breve tempo, che vissero . Pub. Or io
sono di questo parere, che debbano i propri genitori educare i loro figliuoli;
perche, se saranno buoni , e docili, riuscirà facile l'educarli; re poi
perversi, ed ostinati niuno credo, che potrà usare diligenza , ed attenzione
maggiore di cfli: saprete pure quel che seguì tra lo scolare, ed il maestro,
fingendo il primo di studiare diceva sotto voce : tu credi, che io studj, e non
istudio, al quale sotto voce anche risspoodeva il secondo : e cu credi, che jo
mi curi di questo che nulla mi preme. Mec. Voi dite orcimamche, perche
fete capace di farlo, e fiete anche pru. dente, mà come pretendete
esiggere tutto questo da un Padre imprudente, e vizioso, il quale
non rifletterà punto à quel saggio documento di Giovenale
registrato nella Satira 14. il quale è:Maxima debetur puero reverentia,
so quid Turpe paras, nec tu pueri contempferis
annos, Sed peccaturo obfiftat tibi filius infuns, Nam fi quid
dignum cenforis feceris ira, Quandoque fimilem tibi ; te non
corpore Bantung Nec vuleu dederit, murum quoque filius, &
cum Omnia deterius tua per veftigia peccer. Pub. Allorsì, che
converrebbe tro- vare chi foffe capace di farlo , per la ra- gione,
che Giovenale medefimo appor- ta successivamente nella Satira da
voi citata : Unde tibi frontem, libertatémque parensis Cum
facias pejora fenex? Wacuumque cerebro Jampridem capul huc venioja cucurbito
quçrat . Mà però, che l'educatore insieme coll' educando dimorassero in propria
casa. Mec. E se in casa propria, oltre il mal esempio, la laurezza del
vivere ritardassero i loro progressi? Pub. Confesso,che in questo caso
converrebbe mandarli fuori, ed in paesi anche remoti; acciocche il mal esempio,
e la trascuraggine grande de' genitori, colà non giungeffero.Mà è possibile,
che questi, a' quali non dev'esser cosa di maggior premura di questa, possano
as proprio compiacinento dare mal efempio a' figliuoli? e poi se non sono
prudenti, perche s'inducono à divenire Padri ? Certa cosa c,che i figliuoli mal
ducati non apporteranno loro altro, che confulione, dicendo l’Ecclesiastico al
22. Confusio pat.is eft de filio in disciplinato. Mer. Il mondo oggi
corre cosi, mol. ti sono. Padri di nome, e solamente perche li hanno generati ,
onde perciò con vie. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] X viene ricorrere ad altri Padri savj, u prudenti ,
che gl' istruiscano, e fuori del proprio nido , essendo ora gran parte de'
genitori divenuti imitatori de' corvi, è dello struzzolo, che gli abandonano,
non già delle aquile, che con tanta attenzione istruiscono i loro polli.
Pub. Polliamo dunque conchiudere , che se i genitori saranno capaci, e
diligenti nell'educare i loro figliuoli, niu. no meglio, di efli potrebbe
farlo; e fe nella casa paterna si vivesse, come conviene non sarebbe d'uopo
cercare altro luogo per educarli,potendosi con profit. to istruire in
effa. Sem. Che doverà fare il buono educatore, sia Padre, è estraneo, per
isvellere da efsi i difetti? Moc. Questo lo vedremo nella seguente
Conferenza. CON [merged small][ocr errors] Intorno à quello, che
debba farsi da' Genitori per
educar bene i figliuoli. Mecenate , Sempronio , Publio , e
Medico мес. . L peso maggiore,
che abbiano i Pa. dri , mi persuado che sia l'educazione dei figliuoli s
perche si tratta di navigare sempre contro acqua, dovendo opporsi bene spesso
alle loro cattive inclinazioni, e superarle à forza d'ingegno; e si trovano
alle volte torrenti si rapidi, che si rende assai difficilc poterli alla prima
superare. Sem. Non mi fono risoluto fin ora di prender moglie; perche hò
consideratoanch'io le molte difficoltà, che s'incontrano in questi tempi à
ben’educare i fi. gliuoli , ne' quali vedo , che appenas slattati che sono,
pretendono di fares à lor modo, senza avere alcun riguardo à quanto viene
ordinato loro da'genitori . Mec. Non vi sgomentate per questo ; Sempronio
mio, essendoci il suo rimedio , quando chi sopraintende há prudenza, e la
prendere, come li suol dire, la lepre col carro. Vi dirò io sci avvertimenti
generali, che vi potranno molto giovare, allorche sarete Padre di famiglia ;
nel particolare poi sarete meglio istruito da Publio.Ed il primo farà; che
tanto voiquanto la vostra con. forte diare loro buono esempio. Sem. Ed in
quali cose ? Mer. In tutte ; perche se voi sarete in continue discordie
con vostra moglie, come potrete correggerli, quando mai foffero discordanti tra
fratelli? se vorrete, che non disordinino nel nutrirsi, come lo potranno fare
vedendovi cra po [ocr errors] [ocr errors][ocr errors][merged
small] polare giornalmente se li bramerece divori, come potranno essere, se non
mostrerete voi coll'esempio, ciò, che volete , ch'essi facciano 3 E scoprendovi
tutti dediti agli spasli, e piaceri, come pretenderece,che siano applicari allo
studio, divagandosi ancor elli collaa mente nel pensare di fare il simile
quanto prima , per imitarvi? non fate 10 una parola, che quel difetto,che
volete da effi (vellere lo rimirino in voi medeliini, dovendo voi imitare
Agricola, quando fi portò al governo dell'Inghilterra , allorche si trovava
molto rilassata, il quale prima da se medelimo cominciò à dare il buono
esempio. Sem. Ed il secondo qual sarà ? Mec. Di trattarli
ugualmente tutti, senza mostrare parzialità benche minima verso alcuno.
Sem. Che male potrebbe apportare questa parzialità paterna Mes. Infinito
; percioche usandola voi, non solamente darette occasione di odio tra fratelli,
ed ecco, che invece [merged small][ocr errors] che il pre ce di
svellere da esli i vizj gli accrescere. ste di vantaggio, mà ancora, che il diletto
sarebbe meno attento degli altri ad approfittarsi de' vostri buoni docu. menti,
persuadendosi egli, che' compacirete i suoi difetti, per l'amore, che loro
mostrate, e gli altri,dal mal esempio di questo, che profitco farebbero ?
Igenitori debbono : imitare il Sole, e la Luna , che risplendono ugualmente as
benefizio di cutri : e sappiate che la parzialità, che usò David per Ammone fu
la sua ruina ; impercioche questa lo fè divenire incestuoso, e quell'amore
troppo tenero, che fè trascurare tal mi. sfatto,incitò Abfalone à divenire
fratri. cida; mancamenti tutti derivati dalla connivenza paterna. Sem. Il
terzo qual sarà ? Mec. D'accomodare l'animo vostro alla dolcezza, ed al
rigore secondo le occasioni, che vi si presenteranno. Sem. E queste quali
saranno ? Mec. Se voi li vedrete attenti , e che & approfittino dei
buoni documenti che [ocr errors][ocr errors][ocr errors] avete dati loro,
in quel tempo sarà opportuna la dolcezza; mà se poi vedre. te, che trascurino,
e diferčino, dovrete servirvi del rigore per correggerli. Sem. In tutti i
loro trascorsi mi dove. rò contenere ugualmente severo? , Mec. Ci sono
alcuni difetti, de' quali non si dee far caso, essendo prudenza alle volte non
darsene per inceso; altri sì, benche minimi in apparenza, non debbonsi lasciare
impuniti : per esempio una tal inavvertenza, nata più tosto da disapplicazione,
che da disubbidienza è compatibile; mà non già una benche picciola bugia , ò
una finzione maliziosa anche minna, dovendosi quefte con risentimento svellere
affatto dow principio ; perche se prendono piedes non li svellono più ; ed in
correggerli di queste non dovete usare il rigore alla prima, mà bensì colle
buone far loro confeffare la verità, e conoscere il mancamento, e dipoi con
risentimento ainmonirli, facendo loro capire , per quan. to sarà poflibile, la
deformità grande [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr
errors][merged small] di tali vizj, con non perderli sopra quefti più di mira ;
concioliacosache come insegna l’Ecclesiastico al 20. Mores hominum mendacium
fine bonore : du confufro illorum cum ipfis fine intermifione . Sem. Il
quarto quale sarà ? Mec. Di essere tanto voi, quanto las Madre sempre
concordi in ammonirli; perche se un di voi li coreggerà, e l'altra li vorrà
scusaro, non solamente non fi approfitteranno della correzione , mà prenderanno
animo di far peggio, trovando chi li difenda ; ed in questo errore fogliono
cadere frequenteinente le Madri con danno evidente della buona educazione; come
par che l'accenni Salomone ne' suoi proverbj al 29. Puer qui dimittitur
voluntati sur confundit miirem suam : ond'effe , per non cadere in questo,
debbono imitare quelle faggio miatrone del testamento vecchio tra le quali che
non fece Sara per l'educa. zione d'Isac, Rebecca di Giacob, od Anna di Samuele
; siccome ancora Sansa Monaca, S. Celinia, che fecero ofetime educazioni de'
figliuoli, dilendo- ne da queste nati un S. Agostino, un S.
Remigio: tra le quali merita anche di essere annoverata la pia , e
zelance Madre di S. Andrea Corfini, che non desistè giammai
d'industriarsi Gintanto, che non lo vide di lupo cambiato in
agnello. Sem. Riferitemi ora il quinto. Mec. Dovete parimente
tener celato l'amore, che portate loro, ne tampoco con quotidiani gaftighi far
loro credere, che Giete disamorato affatto verso di essi ; perche il soverchio
amore li farà prendere troppa confidenza con voi ; ficcome alli continui
gastighi facendovi il callo,non li prezzeran più . Quella correzione risentita
, fatta à suo tempo, cou parole, che li pungano, serve as molei di stimolo
maggiore ad operare bene, più di quello che facessero le sferzate . La scimmia,
allorche si moftras madre sviscerata de suoi parti,con troppo ftringerseli al
lato li uccide, e questo segue per lo soverchio amore, che por [ocr
errors] porta loro , non già per isdegno. Il destriero più generoso colle
continue sferzate divien reftio. Ordinariamente de Madri sogliono peccare di
troppo affetto , ficcome i Padri di soverchio rigore; e da ciò ne viene , che
più amorosi li portano i figliuoli verso le Madri, che verso i Padri, de'quali
hanno bensì maggior timore. Sem. Ed il sesto finalmente ? Mec. Di
non farli trattare in assenza vostra con persone, che possano distrug. gere
quanto di buono avere in esli inlinuato; posciache debbono anche credere, che
cutti abbiano da operare in quella forma, che voi prescrivere , che elli
vivano; e se per disavventura udiranno da qualche malvagio consigliero maslime
contrarie alle vostre , quanto male apporterebbero queste infinuandosi in
quelle tenere menti, e non atte ancora à ben discernere qual sia il veleno, e
quale l'antidoto. Ne vi starò so-. pra di ciò à riferir esempj, perche di Umili
miserie ne accadono giornalmen tes [ocr errors] E te, come
voi ben sapere ; vi addurrà solamente ciò che si osserva in un certo
animale (come riferisce il Salier Hs: - Juppon:) che dimora in una
montagna del regno di Gotto nel Giappone, il quale è in
grandezza, e figura fimile al lupo ; viene però ricoperto da un pelo
morbidiffimo al par della seta, e la sua carne è delicatissima al
gusto;entra que- sto animale bene spesso nel mare; mas
se per fua (ventura s'inoltra molio in
effo, diviene pesce, ricoprendosi di squame, de' quali essendone stato
presentato uno al Re di Gotto, che per metà era divenuto squamoso, e nel
rimanente conservava il suo morbidissimo pelo, fè ciò conoscere tal verità. Or
se il conversare co pesci può far divenire un'animal si morbido anch'effo
squamoso,che farà l'innocente giovanetto conversando cou cattivi? Che
apprenderà di buono da quel lacche vizioso? da quel cocchiere scapestrato, è da
altri viziosi? quando non facesse altro discapito, imparerà a correre, ò pure à
guidare land carrozza, oh che belle prerogative di un giovane nato per
governare, e reggere qualche parte del Mondo! Quindi è che rettamente ordina
l’Ecclefiaftico al 7. Difcede ab iniquo , & deficient man la abfte. E S.
Agostino scrisse che : fitcilius eft fortem stare in martyrio, quam in pravå
societate . Sem. I Genitori, Publio , debbono ugualmente essere à
parte dell'educazionc Pub. Certamente, che sì ; mà però in modo,
che uniforine vada la dettaa educazione, e perciò debbono in tutto portarli
concordeinenre: si possono bene tra loro dividere alcune incombenze; per
esenipio la Madre, essendo assidua, e non vagabonda,averà maggior campo
d'infinuare loro , ed anco di fare apprendere in primo luogo ciò che riguarda
alli precetti Divini , dovendoli allan sofferenza donnesca questa lode, che,
per non attediarsi punto in replicare le medesime cose infinite volte, riescono
in ciò lingolari, cd in segucla d'iftruir. [ocr errors] li nel Galateo
oon affetrato, e vano, ma bensì nel serio , ed in quello, che insegna ciò, che
appartiene ad un gentiluomo cristiano, il quale non solamente è diretto alle
cose mondane, mi alle divine ancora; e sopra tutto al rispecto, e venerazione,
che si dee à Dio in ogni tempo, come dispone l’Ecclesiastico al 2. Serva
timorem illius, do in illo veterafce; perche soggiunge: Quis enim permanfit in
mandatis ejus , & dereli&tus eft? aut quis invocavit eum, &
difpexis ilum? Sem. Ed il Padre quale incombenza doverà prenderli ?
Pub. Essendo un poco grandicelli, e come li fuol dire già smammari, dee il buon
Padre cominciare ad iftruirli in modo, che possano riuscire graci, ed utili alla
Republica, come faggiamence viene avvertito da Giovenale : Gratum eft , quod
patria civem , popu loque dedifi Si facis,ut patria fit idoneus, utiliser
E per fare questo dev'essere vigilaore',non solamente à rimuovere da elli certi
primi difetti, che sogliono in quell'età manifeítarli, come sono la pertinacia
, e disubbidienza , con certa vivacità di spirito contenziosa , e questo farlo
più tosto con uno sguardo severo , e con minaccie, che con percosse in sì
tenera età ; e qualche volca ancora il togliere loro parte della colazione è un
gastigo molto profittevole ; 'mà divenuti, che saranno alquanto più capaci dee
istillar loro maslime nobili, cd onorate, e replicatamente, à fine, che se le
imprimano bene nel cuore. Pub. E queste quali sono ? Pub. La prima,
ch'è la più essenzia. le, sarà di amare sopra tutte le creature Dio, e di
venerare tutci i Sanri, con fare loro comprendere , che tutto il bene, che
abbiamo, viene da Dio, e che non amandolo, non lo potremo da esso conseguire,
non potendo avere altro, che lui, che ci soccorra nei nostri maggiori travagli:
dicendo appunto l’Ecclefiaftico al 33. Timenti deum non occur. rent
[ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] rent mala, fed insentatione
Deus illums confervabit, & liberabit à malis , Sem. E dopo questa ?
Pub. La seconda farà di amare il noftro prossimo come noi medesimi, e di non
fare altrui ciò, che sarebbe discaro à noi stesi ; e far loro di vantaggio
capire, che ognuno sarebbe miserabile in questo mondo , se non fosse soccorso
dal compagno : e venendo l'occasione di comprare qualche cosa,andare infinuan.
do loro in quel punto questa verità, che se quel povero uomo non avesse
faticato per noi, se sarà farto per esempio , noi . anderemmo nudi , ò vestiti
al più di pampini , con mostrar loro ancora, che conviene sodisfarlo delle
dovute mercedi , affinche possa vivere per averci à servire con puntualità
un'altra volta : Capitando lavoratori di campagna farà bene che conprendano,che
se quei miserabili non iftassero di giorno al sole, e di notte allo scoperto,non
si mangierebbes quel bel pane , nè li berebbe quel buon vino, che ci portano in
tavola, onde [ocr errors][subsumed][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] degli altri. che debbonsi
con prontezza sodisfare, acciocche possano con amore attendere à coltivare la
terra, che li produce mediante la loro industria ; e non perdere alcuna delle
occasioni , che capitano per meglio imprimere in quei teneri cuori l'amore
verso il prossimo, clas puntualità in fodisfare quanto si dee a' poveri
mercenarj. Sem. Offervo però quei, che sono più puntuali in
sodisfare,peggio serviti Pub. Non è così, Sempronio, può effere che vi
sia taluno, che operi con questa ingratitudine, mà nell'universalc offervo, che
chi ben tratta è ben tractato, e poi non ci dee già muovere à ben operare il
proprio vantaggio; mà bensì, perche in coscienza liamo tenuti di sodisfarli
puntualmente, ed udite che grave eccesso commette colui , che traIcura di farlo
: Panis egentium, dice l' Ecclesiastico al 34. vita pauperum eft : qui detrabit
illum bomo fanguinis eft. Qui aufert in fudore panem, quafi qui occidis
pre [ocr errors] proximum fuum . Qui effundit fanguinem, e qui fraudem
facit mercenario , fratres '. funt. Mec. Queste massime sono certamen. te
necessarie , affinche divenuti adulti non si facciano guadagnare dal mal
esempio di alcuni , che costumano di fa. re ciocche non conviene ; e sarebbe
anche necessario nel medesimo tempo d’in. finuare ne'loro animi la benevolenza
neceffaria verso la servitù ; affinche la possano riscuotere reciproca dalla
medefima ; perchè, conforme chiaramente fa conoscere Seneca nell' Epistola 47,
è falso quel detto : Quot servi tot hoftes , dicendo egli : non habemus illos
boftes, fed facimus; per non tratçarli in quellas guila: Quemadmodum tecum
fuperiorem velles vivere. Onde io sono camminato sempre colle massime di questo
grande Uomo nel inorale ; che il servitore: 60lat magis dominum , quàm timeat,
e për cagione di ciò assegna:quod Deo fatis eft, quod colitur, eu amatur ; onde
che più di questo noi non dobbiamo esiggere, Y da [merged
small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] da noftri servitori, e tanto più
che non paseft amor cum timorë mifceri. Pub. Dice questo grand’uomo
cercamente il vero ; perche se non farà reciproco l'amore tra il servidore, ed
il Padrone, avendo continuamente questi. al.lato,continua sarà ancora
l'occasione prossima di rammarico tra efl ; e fatto che averà l'abito in
questo, non potrà più aftenersi di non contriftarlo, per ogni lieve cagione.
Sem. Dunque, Mecenate, al parere del vostro Seneca non si potranno licenziarei
servitori, chcli porteranno male? Mec. Non pretend' egli questo ; ma
folamente, che non fieno i Padroni in fervos fuperbiffimi, crudeliffimi , dow
contumeliofiffimi ; come pocrete vedere nella citata Epiftola. Sem. Essendo
però noi li Padroni, toccherà ad efli soffrire qualche noftra ftravaganza
. Pub. Dobbiamo anche noi riflettere, fino a che segno possano quest'
esferes forferte da cali perchè se le nostre stra-,vaganze fossero grandi, e
continue, ci renderemmo noi meritevoli di riprenfio. ne :
vietandoci l'Ecclefiaftico il farlo al 4. ove così dice: Noli effe ficut
leo in doa mo tua evertens domesticos tuos, & oppria mens
fubjeétos tuos . E c'insegna di van-' taggio , come ci dobbiamo portare
co") fervitori senfati al settimo , dicendoci : sonladas
fervum in veritate operum, ne- que mercenáriun danten animam fuam.
Servus fenfatus fit sibi dilectus , quas ani: ma sua ; ne defraudes illum
libertate, nebo que inopem derelinquas illum, - Sem. Ma
se divenissero a noi importu. ni, contradicendo a quello, che noi
bra. miamo di fare, doveremo anche collea rarli? Pub.
Se saranno fedeli, e parleranno per zelo a bneficio voftro, dovrete non
solamente tollerarli, ma eziandio amar-, li più di prima; perche farà segno,
che non vi adulano,facendo cosa ucile a voi, quantunque la considerino
svantaggiosa a loro medefimi, con moftrarne voi dispiacere ; ed udite l'oracolo
dell'Eccle siasti [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] Aico al 33. Si eft tibi seruus fidelis, fortis bi quafi
anima tua : quasi fratrem , fic cum tracta , quoniam in janguine anima
comparasti illum. sibaforis eum iniuftè, in fugam convertetur. É cosa averete
acquistato con perdere per vostro capriccio un servitore tanto fedele? quando
ne trovarete un' altro fimile ad eiro ? & abbiate da me questa certa
notizia, che l'adulazione ne' servitori, si è avanzata a questo segno , per il
dispiacere,che alcuni Padroni mostrano nell'udire la verità fincera : laonde
esli, per non perdere la loro grazia , vengono forzati ad adularli , c tradirli
insieme. Ma vorrei, che questi, che hanno a male di udire da fervitori la
verità, facessero attenta riflessio. be a quello che dice Giob al cap-31. che è
questo: Si contempla fubire judicium cum Servo meo, e ancilla mea, cum
discepia. rent adversus me : quid enim faciam cum Surrexerit ' ad
judicandum Deuse du cum quaferis quid respondebo illi ? Nunquid non in utero
fecit me ; qui & illum operatus eft, & formavit me in vulva unus?
Semp. Sem. Quando però saranno grandi li figluoli li scorderanno di
questi utili avvertimenti . Pub. Non sarà così quando il Padre, oltre il
rammentarli frequentemente', li praticherà esso ancora, dal di cui buono
csempio comprenderanno meglio, che debba farli così.. Sem. Vorrei sapere
, Publio, fe il Pa. dre possa condurre i suoi figliuoli a vedere le
maschere? Pub. Anzi dee farlo, con que sta avvertenza però d'imprimere ne
loro cuori , che quei,che con sembianti sì deformi, e spaventofi si
trasmutano,sono paz. zi, e che quei sconci gefti, e parole oscene,chc dicono,
sono tutticffetti della loro pazzia, con infinuare loro, che divenendo effi
grádinon lo facciano per non essere anch'elli tenuti pazzi. Sole. vano i Spartani
fare ubriacare i schiavi, c li facevano vedere a loro figliuoli, af. finchè
prendessero orrore all’ubriacheza za da quelle pazzie, che da fimile get tc
agitata dal vino fi commetreyades rem ied effendo riuscito a quelli
profittevole; fperarei, che facesse il fimile anco a quefti, e tanto
maggiormente non avendo il mal'esempio da i genitori, perchè se ne aftengono ,
cd essendo veriffimo quel detto : Quo fuerit imbuta recens fervabit ode
Tefta diu. Impreffe che faranno da principio ne' cuori de' fanciulli fimili verità,
difficil. mente si cancelleranno più. Sem. E crescendo negli anni, &
avan. zandosi nella capacità, che averaano da fare i genitori? Pub. Di
prevenire tutti concorde mente i mali, ne'quali potessero cadere; insegnandoci
l'Ecclesiastico al 18. Antò languorem adhibe medicinam , per lo che doveranno
porre un antemurale a vizj in questa forma: Già efli averanno cominciato ad
aver l'uso di ragione, e potranno comprendere qual fia il male, & il
beno,cominciando a conoscere gli effetti dell’uno, e dell'altro; : onde venendo
loro questi meglio spiegati comprende ran. ranno con più facilità
qual mostro orrendo sia l'uomo vizioso, e quanto preggiabile sia colui, che
abborrisce i vizi, quanto odiati da cucci siano i primi, ed amati li secondi,
prenderanno in questa forma ancor efi orrore al vizio; efe non averanno
compagni più che cattivi, i quali vadino seducendoli, come potrà cflere, che
non s'incamminino ancor'eff per la buona via ? ed una volta, che fi sono
incamminati per essa colla grazia di Dio, e con l'occhio paterno vigilante sarà
cosa difficile il discostarsi più das quefta . Sem. E delle massime di
onore, e de puocigli cavallereschinon ne discorrere? Pub. E che credete
voi , Sempronio, che le massime di Dio non siano anch'effe di onore, e
cavalleresche? Impoffel fatevi bene di queste, che tutte le altre vengono di
seguito ; non sapete voi, che la prima vircù : Eft vitium fugere, fapientia
prima Stultitiâ caruifle. Datemi uno , che abbia in orrore il via zio, cche lo
fugga, che io lo crederò perfetto in cutro.Sem. Io credeva, che queste matsime
dovessero servire per i figliuoli, che s’indirizano alla vita religiofa,non per
quel. li, che debbono vivere nel mondo, ove senza aver un poco d'inganno pare,
che non a polla convivère; Pub. Quanto ficte in errore ; perchè
ugualmente sono necessarie le mailime di Dio per i Religiosi, che per i
fecolari, dovendo tutti indirizarci per la via dell' ecernità ; nè crcdiate che
godano quelli, che vivono,come voi dite al mondo, van. taggio alcuno di più di
coloro, che ope. rano come si dee; anzi sono infelicillimi , & uditelo
dall'oracolo dell'Eccle. {iastico al 2. V & duplici corde , d. labiis
fceleftis, du manibus malefacientibus, peccatori terram ingredienti duabus
viis. Va disolutis corde, qui non credunt Deo; & ideo non protegentur
ab.co. Va his, qui perdideruns Justinentiam, & qui dereliquerunt vias
rectas, diverterunt inue vias pravas. Et quid facieni cum infpicera esperit
Dominus ? Se dunque lo mafime del mondo faranno differenti da queste
abban, [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] - abbandonatele
puré , che non fanno per voi , perchè come vi troverete senza il -Patrocinio di
Dio? Sem. Dicemi, se in casa ci saranno,oltre i genitori, altri parenti,
li doveran. no ancor questi ingerire nell' educazione Pub. Questi ancora
, ma però più con dare loro buon' csempio, che con pas role; posciache è cola
inolto difficile, che tutti questi siano uniformi nelle buone direzioni di
effa'; oode fe taluno di questi-inlinuasse tal cosa, la quale sembrasse differente
a quella , che udi da'genitori, o ficonfonderebbe, o per lo meno non
prestérebbe la dovuta crea denza a quanto verrà foro insinuato da suo Padre, è
questo lo mostrerò col segucnce. esempio . Nel domare i pola Icdri [ che
"polledrucci anco possono chiamarsi i figliuoli, avendo bisogno'ral volta
ancor esli di effere domati ] fcfaranno diversi li cozzoni, non folamen te ci
vorrà più tempo in renderli docili , ma ancora potranno correre pericolo
di pren. [ocr errors][merged small] -prendere qualche vizio ;
perchè fentendo, oggi una mano più gravę, nel di seguente altra più legiera,e
certe speronate differenti dalle altre , pon comprenderanno così bene quello ,
che doveranno fare; e cal, volca inasprendoli diverranno anche restj. Se questi
paren. ti fossero tutti uniformi, e caminaffero colle medesime direzioni,
potrebb'effere meno male, ma sempre meglio farà , che sia uno solo quel
complesso , & armonia vaiforme de propri genitori savj, e prudenti,
da'quali una sola volontà li forma. i 37. Sem. Voi, Publio, che avete
educa. toi vostri figliuoli da voi medesimo, in, segnatemi di quali documenti
xifiere servito per iftruirli nelle þuo be creanze, cda cui gli apprendelte per
potermene ancor'io prevalere a suo tempo 2 Pub. Per non crrare mi sono
servito di quci, che non possono fallire, aven, doli ricavati dalla Sacra
Scritsura. Sem. E che parla quefta ancora delle buone creanze, che
debbono insegnarli a'figliuoli? Pub. [ocr errors][ocr errors]
Cena Pub. Divinamente ne tratta l' Eccle. El di fiaftico al 31. ove
dice: Utere , quafi himo frugi iis , que tibi apponuntur , ne cum manduces
multum, odio babearis; cela prior causa disciplina , el noli nimius effe,
ne * forsè offendas. Et fi in medio multorum fe. disti prior illis , e
exsendas manum fuam , nec prior pofcas bibere. Sem. E del rispetto, che
debbe avetfi a Maggiori, ne parla ? Pub. Di questo ancora al 32. dicen.
do: Adolefcons loquere in quâ causå vix', fibis interrogatus fueris ; babeat
caput rée Sponfum fuum ; in multis efto quasi infciusi, audi taceus fimul'
quçrens • • In me dio Magnarum non presumas, & ubi sunt fenes non
multùm loquaris : talmente che leggendo voi attentamente la Sacrae Scrittura ,
potrete divenire un'ottimo educatore de i vostri figliuoli. Sem. Vorrei
sapere ancora qual vizio giudicace peggiore di tutti gli altri, in un uomo
civile, è facoltoso, sopra il quale fia d'uopo d'invigilarci più, che negli
altri, per porerlo affatto svellere da figliuolis [ocr errors] Pub. Io ho
stimato sempre tutti i vizj per pesimi, non effendoci alcuno di effi
tollerabile; quello però, che ho sem. pre proccurato di svellere con più
attenzione da miei figliuoli, è stato l'avarizia; perchè ho sempre creduto,
che, crescendo questa avesse superato tutti gli alcri, figurandomi l'avaro come
una lacuna,che assorbisce in fe moltiffimi rivi, che debbono scorrerc ad
inaffiare, e rendere fecondi molti campi; onde che, stagnando effi, possono
apportare notabile danno a molti, c.quel ch'è peggio con danno notabile di chi
li divia: ed udine, come a propofito l'efpreffe \'Eccicfiaftico al s.F4 &
alia infirmitas peffima, quam vidi fub Jole : divitia conservala in malum
Domini fui , pereunt enim in afflictione peffima, & in appresso miserabilis
prorsùs infirmitas : quomodo venit,fic revertetur . Quid ergo prodeft ei , quod
laborauit in ventum ? Cunétis dicbus vitæ fua comedit in tenebris , & in
con ris multis, & in ærumna, aique friftitiâ ed il perche lo efpresc Orazio
con dire Jemper Avarus eget.Sem. Ora io, che ho udito tanto, non sarà mai pericolo,
che divenga avaro , sembrandomi la vita di questi infelicissima . E tornando
all'educazione: se il Padre non fosse capace di educare, ela Madre fosse poco
prudente, chi si dove. rà sostituire in loro vece? Mec. Buoni Maestri, è
se saranno ricchi , potranno provedersi anche dell' Ajo, di cui discorreremo
nella ventura Conferenza. [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] CONFERENZA III. Intorno all'uffizio, e qualità
dell'Ajo, Ĉ dei Maestri: [merged small][ocr errors] V [ocr
errors] Sem. Ual'è l'uffizio dell' Ajo ? Pub.
L'Ajo dee at- tendere precisame- te al costume,
ed a ciò ch'è ordina. to ad effo. Sem. Ed al Maestro, che
apparticoche di fire ? Pub. Oltre quello, che riguarda il costume, dee
ancora insegnare loro le scienze, & tutto quello, che ha da premettersi per
il conseguimento di elle. Semp. Ma non potrebb’essere anche Ajo Ajo
il Maestro, giacche attende questi al costume ancora ? Pub. Alcuni lo
praticano ; altri poi più facoltosi provedono di Ajo, è dit Maestro i loro
figliuoli , credendo il far ciò diligenza maggiore. Semp. Ma realmente,
chi di quefti fa meglio? Pub. Se s'incontrasse un uomo versacissimo
nell’una, e nell'altra profesione , mi perfuado :, che questi foffe di profitto
maggiore, ma per essere raris : fimi quefti,quindi è, che chi può li provede
dell'uno, dell'altro. Sem. Che condizioni dee avere l’Ajo? Pub.
Dovcado egl'istruire nel costume, lo doverà avere anche otti mo in priino
luogo , dovrà essere prus Idente, ed accorto, industrioso, e diri piego
prontojalliduo, crudito nelle ftoorie, non molto colerico, sostenuto, che di
abbia ancora parti da faríi amare , fia prarichissimo delle cose del
Mondo , e se fosse versato in medicina, sarebbe anche ile requisito.
Sem. [ocr errors] Sem, -Mà trovare tante parti in un uomo farà cosa molto
difficile. Pub. E perciòi rari fono quei , che facciano l'uffizio loro
come si richiede; contenrandoli', alcuni Padri di averly nobile sì, mà nel
riinanente , come si diffe; folamente di citolo, battando loro di avere l'ombra
, e non tutto l'effenziale di efia, persuadendosi , che questa possa essere
sufficiente. Sem. E come, anderebbe Gmil'educa. zione? Pub. Quafi
nella medesima maniera , che se non ci foffe chi la dirigeffe , porendo fare
l'educando a fuo modo . Mac. lo so, che dovendosi provede re un Signore
di qualità dell'Ajo, furongli proposti diverli ; trà quali vi era un nobile
,'mà poco erudito; un Poera infigne ; ed un eccellente Geografo, ed Aftrologo
insieme ; niuno di questi volle al suo fervigio ; ricufando il primo, per il
motivo, che di nobiltà il suo figliuolo nè aveva a sufficienza ; al secondo
oppose , che Aimava fi fosse potuto trop. U troppo divagare dal suo
ufficio chi at tendeva a comporre poemi, nè volle il che terzo, perchè
dubitava che l'aveffe fated to troppo girare colla mente, non che avendo
altro , che discorrere seco, che di cielo, e di terra: alla fine gli fu
pro* posto un buono Istorico, eccellente Fi. losofo, e Matcematico ,
questi disse fà al mio bisogno: perchè gli mostrerà come fi dee yiyere cogli
esempi altrui, l'insegnerà a tirare le linee recte , ed a prendere col compasso
le misure giuste 3 ; e lo fermo al suo fervigio, Sem. In qual'età li dee
porre sotto la cuftodia dell'Ajo l'educando? Pub. Più prestamente, che si
può. Sem. Mà 'non sarebbe fpefa superdua questa , ponendosi in età, nella
quale non è ancora capace di comprendere i buoni documenti? Pub. Non li
chiama mai spesa super, fua quella, che & fà per educare i pro· pri
figliuoli, essendo ucilisfimo rinvesti. ·mento,perciocchè, acquistato che
averanno elli le virtù si troveranno un gran tesoro, e non soggetto alle
vicende della fortuna; ed in quella età, quantunque non comprendano i buoni
documenti, nulladimeno questi in qualche parte, cominciano ad imprimerli nella
loro mente oltre;di che quanto gioverà, per conoscere le inclinazioni nacive
l'averli ayuci in custodia da çenerį anni? Meç. Si disse tempo fà di uno,
che gettava il danaro avendo posto l’Ajo al figliuolo di età adulta, e divenuto
già alquanto vizioso, perchè non averebbe allora potuto egli più emendarlo,
aven. do prelo già possesso in esso i vizj. Pub. Questo lo credo anch'io
; per. chè le piante tenere sono quelle , che si possono piegare a proprio
compiacimento, dove che le già cominciare ad assodarfi vogliono crescere
co’loro di. fepti , quantunque ci si adoperi ogni in. duftria per emendarli.
Quindi è che l'Ecclefiaftico al7.così ordina. Filii ribi sunt, Erudi jllos,
& curva illos à pueritia illorum. Sem. nes [ocr errors]
Sem. Qual onorario si dee dare all' ile Ajo ? Pub. Non ci è danaro,
portandosi be che uguagli il beneficio, ch'egli apporta , onde deefi
generosamente trattare, Mec. V'era un’mio amico', che solea dire che se
avesse trovato un educatore, a suo modo , per i suoi figliuoli, non solamente
lo averebbe trattato assai bene, mà di vantaggio gli averebbe anche la. sciato
nn grosso legato nel suo tcftamento , per maggiormente animarlo ad impiegare
ogn'industria poffibile pro de fuoi figliuoli, Pub. Costui mostrava conoscere
cer. tamente l'utile maggiore de suoi figliuoli; perchè ben comprendeva, che
rimanendo dopo la sua morte efli bene educati quancunque fossero alquanto meno
ricchi di beni di forcuna , sarebbe questo stato compensato dall'utile assai
più riguardevole, che risultaya loro dalle virtù acquistate, posciache al pa.
rere di Cicerone.Ora:pro Sexto: virtus in [ocr errors] tempeftate fava
quieta eft,lucer in tenebris , expulsa loco manet tamen, atque hş. ret in
patria , Splenderque per fe semper, neque alienis unquam fordibus obfolefcit ,
quale sorte cerçamente non godono le richezze. Sem. In qual modo si hanno
da prevalere della loro industria, e prudenza nell'educarli? Pub. Secondo
l'età si debbono anche regolare. Nè teneri fanciulli con maniere foavi debbono
insinuare loro quello, a che dicemmo essere tenuti i propri genitori, ę
fucceffivamente fecondo vedranno i narurali così debbono opcrare Som. Di
quante fpecie possono essere questi naturali? Pub. E quì presente il
Dottore, che meglio di me potrà fodisfarvi ; iftruite, lo di grazia in questo
brevemente e con termini chiari da capirsi da ogn'uno : Med. Secondo la
diversità de temperamenti sono varj ancora i naturali ; posciache questi da
quelli in gran parta des [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
derivano, ed effendo quattro le specie bi principali de temperameati a
quattro sorte ancora si potranno ridurre li naturali de figliuoli, cioè
all'igneo , o biliofo, che dir vogliamo , al femmatico, al melanconico, o al
soverchiamente allegro, detto fanguigno. Ci sono poi altre specie subalterne,
che nascono dalle diverse mescolanze dei liquidi, che nella massa umorale
predominano, de quali ora non ne parlo. Sem. Per meglio distinguerli
dunque i doverebbe l'Ajo essere Medico ancora. Med. Cimancherebbe
questo d'averci anche da impazzire co'ragazzi, forse che non ci danno da fare a
bastanza allora che sono infermi? Sem. Questi naturali sono sempre
uniforme in tutte l'età? Med. Sogliono variare fpeffe volte nelle
mutazioni di esse, offervandoli ciò manifeftamente. Sem. E per quali
cagioni? Med. Perchè varia la massa de Avidi, secondo che ci avanziamo
nell'età acquis [ocr errors][ocr errors] 2 3 acquistãdo
energia maggiore alcuni fer, menti col crefcere gli anni, ficcome questa si può
scemare ancora accostandoci alla vecchiaja. Sem. Come si dovrà regolare
con chi è di naturale biliosoa, Med. In quefti, per quanto si può, è
sempre meglio servirsi della dolcezza ; poscia che colle afprezze maggiormente
si accendono, ed allora divengono pertinaci. Sem. E se di questa si
abusaffero? Med. Allora la dolcezza dell' Ajo dee cambiarsi in rigore per
far loro conofcere , che nel mele, e nel zuccaro ancora è nascosto
l'amaro.' Pub. Di questo già raggionammo baftantemente nella paffata
conferenzas istruendone i Padri, onde non stiamo.a dilungarci di
vantaggio Med. Siami permesso di aggiungere, a quanto fù detto, una mia
rifeflione, ed è quefta : che le severe correzioni riescono più utili fatte a
sangue freddo, canto per profitto dell'educando quanto per vantaggio dell'Ajo ,
che può senza ira insinuargli le sue più mafurate ammonizioni , e restano anche
maggiormente iinpresse ricevute di mattina a ventre vuoto, essendo la mente
anche più limpida, dove che ricevute allorche si trovano già agitati
dall'errore commesso, non sono cosìcapaci di comprenderle. Sem. Come si
doverà contenere co' sanguigni. Med. Questi sono più facili de primi ad
educarli ; perchè sogliono essere difinvolti ;basterà tenerli frenati in
certi eccelli , ne quali potrebbero cadere', di soverchia allegria, e
curiosità, ed avvicinandosi all'età giovenile tenerli lontani da cose veneree
. Sem. Che potrà fare il povero Ajo allor che sono grandicelli, ed
averanno quei stimoli, che fanno prevaricare anche i saggi? Medi Il
miglior antidoto , che fias contro li stimoli della lussuria c, di condurre
qualche volta i giovani ne noftri Spe. [ocr errors][ocr
errors][merged small] 24 spedali , ed in tempo, che si faccias qualche
amputazione di parti genitali putrefatte, a cagione del morbo gallico: e
cercamente induce loro tale spavento sì crudele spettacolo, che si sono alcuni
di questi spogliati affatto di fimili pensieri, per l'orrore conceputo allorchè
udirono, che da donne era ve. nuto quel tanto male, e che per esse conveniva
soffirire sì atroce tormento di ferro, e di fuoco, e di vantaggio di non essere
più uomo. Sem. Ec i malinconici come vanno trattati? Med. Questi
appunto sono quelli , che fanno fofpirare non solamente i poveri Aji, mà ancora
noi quando essi sono malati; perchè hanno un naturale stravagantissimo, é maggiormente
fe regierà in elli qualche porzione di umore chiamato atrabilare : bene è vero
però, che nell'età tenera non hà tal'umore. quella energia, che si manifesta
colcrefcere essi negli anni, e questi ò danno al byono, e divengono eroi, ò al
pessimo , elo. [ocr errors] [ocr errors] e sono molto iniqui, e
perversi; debmit bonsi dunque con grande industria queili fti
trattare, e senza usar loro molta vios lenza, e più coll'affiduirà , e
colli efemin pj fatti da lor medesimi leggere, o rifei riti di persone viventi
da loro cono, of sciute, che con aspre sferzate;debbonsi anche tenere
divertiti, & applicaci a più cose, alle quali abbiano genio. Sem.
Come divertiti, & applicati, parendo queste cose contrarie Med.
Divertiti, dico, con far loro prendere aria amena , conducendoliins villa
più frequentemente degli altri, & i applicati alle volte a cose diverse
dallo studio, come farebbe il suono, il quale se sarà di loro genio li
può tenere lontani da que pensieri tetri, che occupa no continuamente le
loro menti; ma di o questo converrà discorrerne più diffusamente a suo
tempo. Pub. Egliflemmatici come van regolati ? Med. Questi sono
quelli, che se non faranno onore all'Ajo gli recano almeno poo [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] pochi travagli; perchè fogliono
essere pacifici, e tardi d'ingegno: Ben'è vero però, che nelle mutazioni
dell'età sogliono alle volte sciogliersi, e divenire un poco più spiritosi, e
fare ancora com petente riuscita. [ocr errors] Sem. Come suole
essere, Publio, di profitto l’Ajo, facendo anche da Maeftro, nelle scienze
? Pub. Se terrà lo stile praticato da Mae. Ari, riuscirà egregiamente
come dicemmo ; ma se vorrà poi insegnare colla medesima maniera le scienze, che
insinua il buon costume,anderà tutto peffimamente. Sem. E perchè
Pub. Lo stile tenuto dagli Aji in istruire nel buon costume è d' infingare
tutto in voce, il quale nulla giova per fare loro apprendere con fondamento le
frienze ; perchè queste sarebbero superficialmente adattate , & à quella
guifas appunto, che G soprapone loro ridotto in fogli al legno, il quale col
tempo di. sperdendol rimane legno ciò, che mo. Atraa [ocr errors]
tre ftrava di essere oro, dove che il Maes po stro, professore esperto, procura
d'in= finuarle nella mente colle sue regole, e collo scritto, affinche
abbia pronto il comodo di ricordarli di quello , che si fosse mai
dimenticato. G Mec. Ora comprendo da che fia pros ceduto, che viaggiando
molti anni fono udj in una Città discorrere alcuni giovani co molto spirito in
ogni scienza, i quali per essere di poca età mi recarono ammirazione ; ma
avendo avuto curiosità alcuni anni dapoi di sapere se profitto maggiore
avessero farto, mi fu risposto, che avevano più tosto deterio. rato;
bisogna dunque che il loro Ajo gli de aveffe istruiti a braccia , e non con
fon10 damento. Pub. Nerone, che fu istruito da Seneca in questa guisa,
fece alla prima las < sua bella comparsa, ma terminò poi u
peffimamente. Sem. L'autorità dell' Ajo sin dove fi Atende?
Pub. Tanto'oltre, quanto quella del Padre,dovendo essere amplifima, a
fine che f. rendano ossequioli, & obedienti ad effo, Mec. Le Madri
però sono quelle, che procurano di ristrignerla,imponendo loro, che non li
gastighino, nè li sgridino, ma che li compatiscano se non si approfittano
de’loro documenti; e questo lo fanno per rimore, che non fiammalina, e bene
spesso,per questo timore di male ideale , ne nasce il certo male della possima
educazione loro ; perchè per non disgustarle gli Aji fanno a lor modo,
comportando quanti difetti efG hanno: le saggie madri però lasciano che li
gastighino ad arbitrio loro, eli correggano secondo il bisogno , conoscendo
queste per isperienza, quello che per dottrina ancora conobbe Salomone al
prover. 22. ftultitia colligata eft in corde pueri, d virga disciplina
fugabit Cam • Sem. Debbono usare distinzione alcu, na in questo, secondo
l'erà ? Pub. Essendo l'Ajo prudente saprà re. go: ne [ocr
errors] golarsi anche in questo , & accomoderă i il gastigo secondo l'erà,
econ quei mo. di, che conoscerà effere all'educando più sensibili ; per
esempio se lo scorgessc goloso, il fargli sottrarre qualche pietanza in tavola
gli sarà di gran gastigo ; se giocoliero, togliendoli quell'ora di
divertimento, lo toccherà lül vivo; e fe averà un certo roffore in sentirsi
sgridare, questo sarà appunto l'opportuno suo gastigo ; in somma il migliore
sarà quel. lo, che si renderà più sensibile. Sem. Può l’Ajo per qualche
suo af. 1 fare allontanarsi da effo ? Pub. Per quanto meno farà possibilu
dee farlo; perche non mancano scelerati adulatori, i quali, per guadagnarsi la
grazia de padroni giovani,infinuano loro ciò , che può dilettarli , quantun.
que lia pregiudiziale, e per ciò se mai doveffe allontanarsi da effo per
qualche tempo, dee avere di chi possa fidarsi in sua assenza . Sem.E qual
sorta di divertimento deb, bono permettere loro? [ocr errors] [ocr
errors] Pub, :: Pub. Tutti quelli, che non sono viziofi, e fono ad esli
geniali, per esempio il giuoco delle boccie, della palla, del volanıę, ed
altri, anche più laboriosi di questi, competenti alla loro età. Sem. Nel
tempo che sono direrti li fi. gliuoli dall’Ajo possono i Padri educarli ancor
effi? Pub. Se saranno capaci di uniformarfi alle buone direzioni
dell'Ajo, pofranno qualche cosa contribuire ancor essi, L'incombenza loro però
è di offeryare qual profitco facciano, e di sentirne anche il parere di più
persone capaci sopra i loro buoni progrefli , esaminati che li averanno; per
altro scorgendo, che yą. da tutto a lyo dovere non debbono con fondere i figliuoli
con documenti diffc. reori, ne contristare l? Ajo con varjare il loro metodo;
bafterà la loro vigilante Lopraintendenza ; mà muta quando non vogliano
come doverebbero, effimedelimi in tutto instruirli. Sem. Bramerei ora
sapere le condi. zioni che doyerà avere un ottimo Mae. Aro Pub.
[ocr errors][merged small] [ocr errors] 101 Pub. In primo luogo
dev'essere di via ta esemplare, dotto , c prudeme , siccodel me è necessario
ancora, che abbia buo na comunicativa, per farsi ben capire, fia
sostenuto, diligente, e si sappia far 1 amare, e temere, e sia anche
pratico delle tristizie de figliuoli, per non farq gabbare da effi.
Sem. Trovandogi un uomo di tante buone qualità potrebbe anche servire I per
maestro di casa, ed elascore nelme, desimo tempo; perchè facendosi ben
ca. pire, indurrebbe più facilmente i debi, tori a pagare ciò, che
debbono particos e larmente ora, che sono tanto renitenti di farlo, Med.
Questo e uno degli errori mal. fimis perch'essendo talunò ottimo per un impiego
2 con darglicne tanti fi fa in modo , che divenga trascurato in tutti; essendo
grito quel detto; Pluribus intentus minor eft ad fingula fenfus. Or io coftumo
questo s chi mi serve., faccia solamente l'ufficio suo ; perchè considero,' che
non sia poco,che li riesca in una sola cosa, cosa, ed ho provato
con isperienza, che se taluno procura ingerirsi in più, confondendole tutte ,
ne pur una ne farà bene. Pub. Voi Sempronio vi figurate, che fia picciolo
affare l'insegnare a figliuoli le dottrine , e ben picciolo il generarli, mà
non già il farli divenire uomini eccellenti; perchè in un istante si generano,
e con poca fatica , mà per bene addottrinarli non solamente vi è duopo di molti
anni, mà ancora di attenta , ed induftriosa applicazione . Per abbozzare una
statua ci vuole poco, mà per ridurla a somma perfezzione numero infinito di
sealpellate di più ci vogliono; C riflettendo voi al valore della statuas
abbozzata, ed a quello della ridotta a perfezione, ben comprenderete il van.
tagio di più che ne ricaveranno i vostri figliuoli dal Maestro, che istruisce
con profitto. Sem. Io lo dicca a buon fine ; perchè risparmiandosi
qualcheservitore,mi riufciva più comodo di fargli un buono af4 fegnamento ,
acciochè viveffe contea. to. Pub. Glie lo dovete fare senza accrom
(cergli maggiori brighe, se bramare, to che la statua da voi abbozzata abbia
iti ma , e valore grande, Mec. Veramente in quei casi conviene deporre
l'avarizia', ed ogni parkmonia ; e non fare come quel Padre sciocco riferito da
Plutarco, che domandando ad Aristippo ; quanto paga. mento ricercava per
ammaestrare il suo figliuolo, udendo domandare inillo dramme rispose ; questo è
troppo ; perchè con mille dramme potrei comperarç un servo; çoi
saggiamente replicò: duna que averai due servi, tuo figliuolo, e e
quello, che comprerąi: facendogli conoscere, che se non era bene ammacftrato,
sarebbe diyenuto un servo il fuo figliuolo ancora. Sem, Quale farà
l'incombenza del Macftro? Pub. Gjà per quanto appartiene al co. fune
seguirerà quello, che si è detto CON [ocr errors] Аа 1
con cominciare prima da Dio ;' nel rima, nente poi lasciate pensare ad esso,
per; che avendolo scelto pratico, e dotto faprà secondo l'età, e capacità
andarlo itruendo come fi dee: bensi voi di. chiaratevi apertamente com voftri
fi, gliuoli alla sua presenza , che volete,che lo ftimino, ed obbediscano da
Padre, con dargli ogni più ampla facoltà di cor. eggerli, e gaftigarli
severamente in ralo di bisogno; perchè bramare di riconofcere per figliyoli
solamente quei , che studieranno, e faranno passata nelle ccienze 1 Mec. Quanto
fu mai eroico l'atto, che fece l'Imperatore Teodosio ; impercioche avendo
scelto Arsenio per Maestro del fuo figlinolo, ed avendogli detto; Pofthac tu
magis pater ejus quam ego, come riferisce il Baronio all’A.380-avvenne un
giorno, che passando Teodo, 'fio per la camera, oye Arsenio faceva la
repetizione a suo figliuolo, osservò , che il Maestro fe ne stava in piedi, e
lo [colaro affifos ne bo potè coptcnere di non [ocr errors][ocr
errors] non dimostrare ad Arsenio il suo dispia çimento ; veramente gli disse
ini avvcdo, che voi non sapere far bene il vo. ftro uffizio ; tenete, tenere il
grado di Maestro, e non di scolaro : Sagra Mac fta , replicò Arsenio, non
sarebbe punto convenevole, che io mi ponelli a se. dere per dar la lezzione ad
un Imperatore; ciò udito Teodofio tolfe la Coro, na di capo al suofigliuolo,c
comando ad Arsenio , che fedesse ; & ad Arcadio suo figliuolo, che
stasse in piedi colla testad á scoperta, fin tanto che il Maçstro gli parlaffe
, Sem. E se non faceffero tutto quello i profitto, che io defiderasli,
che averò el da fare? Pub, Vedere, Sempronio, parliamo chiaro, i Padri
yorrebbero dopci in bre. yiflimo tempo i loro figliuoli, onde in quefto
non abbiate tanta fretta, lasciateci porre il sempo neceffario per impof
sessarsi bene; må se poi vi accorgette, nel che oon dare tempo al tempo non li
apejet profitrassero, doveţe esaminare d'onds A a 7 prox
, [ocr errors] erro [ocr errors] [ocr errors] provenga la cagione,
e se saranno più Hgliuoli, vedendo , che taluno di edi li di
approfittaffe, e gli altri rimanessero indietro, la colpa non sarebbe del
MaeItro, ma bensi dei figliuoli, e che non applicassero, o che non fossero di
mente ancor capace di apprendere. * Sem. E se la cagione venisse dal Mae. Itro,
che fosse disapplicato , contenzio, so, o troppo bestiale ? Pub. E'voi
trovarene un'altro į mas non date fede loro alla prima ; perchè dopo , che
averanno ricevuto il gastigo verranno a piangere da voi, el dole. che il
Maestro fia bestiale; ma non diranno già la cagione giusta; per çui li ha
gastigati; ed in questo caso avvertite a non dar mai ragione a loro trovandosi
presenti,anzicon volto afpro sgridageli , e dite loro che lo averanno meritato
: informatevi però bene come è andato il fatto , per ritrovare la verità.
Sem. Ma venendo per colpa de figliuoli che averà da fare? Pub,
ranno, Pub. Se saranno disapplicati, vedete ancor voi di usarci diligenza
, con promettere loro premi per animarli ad essere più attenti ; e fe poi
venisse dall'incapacità in qualcuno, bisogna averci pazienza; e rimirate le
dita delle vostre mani, che ancor’esse non sono uguali , e pur la mano turta
insieme fa l'uffizio suo; così parimente sarà la figliolanza, quando venga
secondo la sua capacità impiegata bene. Sem. Dolendosi il Maestro di
questo, e dichiarandosi di non poterci aver più pazienza? Pub.
Confolatelo, & animatelo ad averci ancor effo pazienza, conforme conviene,
che P abbiate ancor voi Mec. Si doleano con Antipatro i MaeAtri, che i
suoi figliuoli non volevano per tante fatiche, e diligenze usate loro ,
approfittarsi punto dei loro documenti, e per consolarli egli dicevan che vi
era un paese nel mondo, ove le parole si gelayano in tempo di verno appena
uscite dalla bocca, a cagione digio freddi ecceffivi, che le
racchiudevano nell'aria, ma appena comparfa la primavera,fgelandoli queste
allora si udivano.. Non dubitate , diceva loro » che verrà ancora in essi la
primavera ; ed alloras queste parole, che odon'ora da voi , fi Igeleranno ancor
effe; continuate pura parfare , per , per uđitne all'ora di vantago Sem.
Dovero comparire nel cempo , che si fa scuola? Pub. Anche, frequentemente
s per ve. dere che si fa, per aninarli insieme a portarfi bene, c tenerli in
freno. Sim. Stimate neceffario ohre di tea net loro il Maestro di
mandarli alle fouo: le publiche? Pub. Per godere di quei vantaggi, che
apporta l'emuluzione può essere utile : debbonfi però avvertire due cofe; la
prima , che vadano sempre accompa. gnati dal reperirore, perchè del fetvis rore
in curto non vi dovete fidare, poa tendolo indurre fare a lor modo:Pal. tra poi
che fixno vicini in feuola a come pa [ocr errors][ocr errors]
mpagni bene accostumati, perchè ivi po. trebbero divenire maliziosi
trattando con carrivi. eri Mec. Bisogna ancora stare molto cau.,
telato nello scegliere questi reperitori, detçi comunemente Pedanti,
perchè vi è stato tra esfi cal’uno, che insegnaya of a' figliuoli
il fare la fabbatina , il giuoco delle carte, & altri vizj in vece delle
virtù; e vi è stato chi di questi ancora così iniquo , che ha procurato,
che abbandonaffe il figliuolo la casa paterna , dopo d'ayer rubaro al Padre
qualche fomma di danaro considerabile, e seco conducendolo fuori di stato , per
ispre. garla. Onde se non si sappia che siano di ottimi costumi, non debbonli
consesgnare ad effi i propri figliuoli, per non ricevere quella riprensione,
che fece Diogenç Sinopio a quei di Megara, dicendo loro, come riferisce Eliano,
che fi contentava di essere più rosto un ariete della lor mandria, che loro
figliuolo, perchè a custodire quello impiegavano uomini fedelilimi, & ad
iftruire questi ripų [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] A a 4 riputavano abile chiunque fi folfe loro
abbattuto dinanzi. Sem. E le figliuole fi debbono regola. re nella
medesima forma? :) Pub. In alcune cose non vanno regolate così, conforme
udirete nella seguente Conferenza. w CON [ocr errors][merged
small][merged small][merged small] Semn. He differenza cie tra
l'educazione dei С figliuoli, e quella delle figliuole ? Pub.
Primieramen: te, che queste,non dovendosi incamminare per la via delles
fcienze , non hanno d'uopo di tanti maeftri; e poi essendo diverli i loro vizj,
e naturali inclinazioni,debbonsi quefticon differenti manicre correggere
, Sem. ' quali sono questi vizj delle figliuole 22 Pub. La vanità
par che nasca con lo ro, quçfta opera, che moltissime di effe [ocr
errors] cffe sino dalla nascital par che mostrino compiacimento in
fegtir lodare la loro bellezza : ha poi la maggior parte di cffe, un certo
difpreggio, il quale viene da alcuni creduto per vivacità di fpirito; altre poi
fin d'allora moftransi vezzofe, e molto affabili; e vi sono ancora di quelle,
le quali danno a divede. re appena nate la loro dispettosa rozzez. za ,
contrafegni tutti non leggieri di ciò, che possa nell'età pid avanzata ope.
rare la loro naturale inclinazione. Sem. Di correggere tali difetti cui
partiene principalmente * Pub. Alle Madri, che con affiduità amorosa
aflifton loro ; dovendo i Padri portarsi giornalmente fuori di casa per affari,
che li tengono alle volte lungo tempo occupati; c quefte avendo bisogno di una
affidua cuftodia da niuno meglio, che dalle Madrila poffono riccvc, re: debbono
però i Padri per quaaco fa. rà perineslo lorosinvigilarci attenicamene te
anch'effi. Sem. Che dovranno fare le Madri in quella tenera età, nella quale ne
put capiscono ciò che loro si dice? Pub. Poffono far tholco, con impea
dire ancora, che non rimirino , ed odino ciò che non è convenevole; perchè quello,
che mostrano inclinazione alla vanità; non bisogna cominciare ad ornarle
vanamente, pe å far loro certi ýczzi disdicevoli, perchè s'imprimono quelle
vanità, e quegli atti con facilità grande in si tenera età; quelle bensi che
mostrano dispettosa rozzezza pof. fono follorarli con fimili vezzi
per inco minciare a poco y a poco a renderle più [ocr errors][ocr
errors] umane. [ocr errors] Sem. E di poi cominciando a capire , che
dovrà farsi? Pub. Allora farà tempo d'incomina ciare a far loro apprendere
, che la bela lezza della donna non confiste ja altro che nella bontà
de'coftumi. Sem. Oh capiranno beneche cosa dano costumi le picciole
figliaole? Pub. Non importa, perchè quantunque allora pon lo capiscano,
nulladime nos [ocr errors][ocr errors] no , effe continuando
ad udirlo a fuo tempo ben lo comprenderanno; basta che allora non si secondino
le innate inclinazioni loro viziose. Sem. Mà fe la Madre avesse
compiacimento di essere stimata bella, c fpiritofa, e forse anche vana , come
potrà istruire la sua figliuola diversamente da sè medesima, e che non abbia da
compiacerli anch'essa di ciò ? Pub. Ora entriamo nei guai grandi, perchè
se la Madre non diriggerà bene tal affire, l'educazione anderà pellina
menic. Sem. In questo caso che dovrà farsi? Pub. Quello appunto,
che fù da me praticato, di provederli d'una buona matrona ; e se questa fù
utile alla mia famiglia, essendovi la Madre capace, evigilance, ; quanto
più sarà geceffaria in questo caso, che voi mi rappresentare ? Sem. Lo
credo anch'io; dunque essendo duopo provedersi della matrona, ditemi quai
requisiti dovrà avere per far bene l'uffizio fuo ; perchè essendog [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
dismesso questo buon servigio, non si potranno trovare con facilità quelle ,
che siano esperte. Pub. Non dev' essere giovane , nè vecchia , mà di età
conlistence, Sem. Perchè non vecchia , pocendo quest' avere maggiore
sperienza del mondo? Pub. E vero , mà la vecchiaja ancora la può rendere
più fastidiosa , e meno attenta : e poi se dovrà cuftodire le vostre figliuole,
che hanno da nascere, chi sà se fosse allor viva ; e vivendo farebbo decrepita
, quale età non lega.molto colla gioventù, e perciò non sarebbe ad effe
accetta,dec ancora essere di buo. ni costumi, e pia,di parentato civile, ed
onoraco , prudente , discreca, attenta, affezzionata', che sappia ben cucire di
bianco , leggere , fcrivere mediocres mente, e che non sia curiosa di leggere:
libri profani, e lascivi. p9 Sem. O che mal farebbe, se leggere ancora
l'istorie profane, potcado fervire si di effe per meglio iftruirlo?
Pub, -1 Pub. Le storie profane non tutge conferiscono alla buona
educazione, el, fondovene alcune molto nocive ad essą come già dicemmo, onde
chi sà, che prendendo diļetto in udirne riferire alGuna di queste, non
prendessero amo, re anche l'educande a simile lectura Sem. E se sapesse
la lingua francese , o spagnuola, non sarebbe maggior van taggio , per
insegnare loro quel parla. xe , che oggidi è tanto in uso ::Pub. Che pretendete
? forse di mari, farle in Francia, o in Ispagna ? Sem. Non lo dico per
questo fine, mà veáendo qualche lignora di quei paeli , o trovandoli con alcuna
, che la parlasse, sarebbe da esse capita, e por trebbero risponderle.
Pub, Voi vorreft'educare le vostre fi, gliuole per far pompa del loro spirito ,
e non vi accorgete, che quefta non è la sua strada; e qual nccefficà
avete,cheessa converfino , e tratejno con gence ftraniera s volere forse, che
apprendano į cofumi loro diffepsadi dai noftri? Sem, [ocr errors]
[ocr errors] GB [ocr errors][ocr errors] Sem. Non bramo quefto, mà hò
sentito dire , che sia vantaggio grandes e l'avvezzarle disinvolte, e
spiricosc, perchè più facilmente fi maritano queste, Pab. Voi prendereste
moglie di spiritofa, e disinvolta Şem. Io non già, ora chc sò come debi
ba sceglierli. Pub. E perchè dunque volete incam, minare le vostre figlie
per una yia , che voi la ftimate non recta e non vi avve, dere , che in ţal
guisa mostrarefte di amarle poco a Sem. Il saper ricamare ancora mi per,
suado, che la requisto necessario nella matrona : i Pub. Per far che ?
per educarle forse nella vanità e non sapete, che cosi fa comincia bel bello ;
posciache dalla sem ta fi paffa al’oro, e dall'oro alle perle per
formarne ricami di gran valore.Cor. 4, nelia madre dei Gracchi fe
conoscere a quella gentildonna Capuana, la quale 0 era alloggiata
in sua cafa, allorchè moArolle i ricami ida effa farsi,per mio fvario.
bano essere i layori delle Madri, con farde yeder i suoi figliuoli, ed in qual
forma da effa fi aducavano, che non era già nelle vanità, mà bensì nelle virtù
. Sem. Bramerei almeno , che sapesse insegnar loro un poco fuono, e di
canto, Pub. Questo poi sarebbe peggio, per: che l'educherebbe cantarine,
& im. parandolo per vostro syario, non lo di fimparerebbero già, per non
dilectare an, che gl'altri. sem. Contenendom’io in questo vo. fro antico
rigore mi farefte mutare il mondo. Pub. Io non pretendo tanto : voi mi
vichiedere del regolamento della vostra cafa ;c chcaforse pretendece che da
queta debba prendere la norma tutto il mondo a facciano gli altri ciò che
vogliono , mi basterebbe di ottenere, che voi, che ricercate il mio parere
appren. deste ciò, che dovrete fare, Sem. Io resto perfuafiffimo di quanto
dite per benefizio mio, ma sifetto añ, cora [ocr errors][ocr
errors] cora nel medefimo tempo a quello , che li il mondo dirà, operando
diversamente da quanto ora li costuma dalla maggior parte . Pub.
Qual parte del mondo stimate voi, che sia più saggia, la maggiore, o la
minore? Sem. Ho udito sempre dire, che sia la minore, Pub. Or
dunque; perchè da voi medelimo volete porvi nel numero de i meno saggi? deh
seguitate la più sana , e non vi prendere fastidio alcuno dell' altra ,
quantunque sia più numerosa : prendete di grazia la mira verso quò eundi
dum, non quò itur. Sem. Rimango persuaso, e quanto m'insegnafte voglio
risolutamente fare. Or ditemi per mia istruzione ; scelto che averò questa
matrona , della quale voglio provedermi prima di prendere moglie, che averò da
fare io, e qual' incumbenza apparrerrà ad essa ? Pub. Voi, allor che le
consegneretç la vostra figliolanza, le direte: che Bb fia [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] lia cura sua
d'istruirla principalmente nella pietà , e devozione, e che rimuova da essa
tutti i difetti allorche li ye desse comparire , senza indugiarvi un momento ;
anzi che meglio farebbe an. cora, se preveniffc al bisogno con semi, narę
anticipatamente ne’loro animili preziosa semenza delle virtù, e che per questo
procuri di non perder la mai di vifta : e vedendo ch'ella li porti diligen. te
nel suo uffizio usatele più gratitudine, affinche non habbia da parerle penosas
quella vita tanto soggetta, che farà ; e credetemi, che il premio è il maggiore
incentivo a farci fare con amore quelle cose, che senza di esso ci parrebbono
molto penose. Mec. Questo è certiffimo, posciache chi mai li porterebbe
il primo a scalare una muraglia, difesa da tanti nemici are mati, se non se
{perasse da questo un premio grande ? Sem. Fatto che avrò le mie parti,
in che forma essa adempirà le sue ? Pub.. Nato che sarà alcuno de' vo
[merged small][ocr errors][ocr errors] ftri figliuoli, principierà il suo
minister ro con invigilare, venendo lattato,dal... la balia, a quanto
sara necessario, con i fare anche da soprabbalia , nè permetteo ra già, come
dicemmo, chc oda,quan tunque non le comprenda ancora , cer, i te canzone
amorose, nè pure, che fifli i suoi occhi innocenti a'rimirare certi datti
scomposti, & indecenti; perchè quantunque non siano allora da esso
conosciuti per quel che sono , nulla dime, no in progresso di tempo, conforme
fi apprendono le parole, così ancora può insinuarsi nell'animo qualche
cintura noSeminaciva di tali difetti; e procurando, che D in vece di quelle
oda, e rimiri cose profittevoli,cd oneste, delle quali se ne i apprenderà
alcuna particella, resterà questa a benefizio dell'educazione, e i
procurerà ancora nel tempo della lacta zione colle buone sue maniere , di
prin- cipiare ad affezionarselo. Sem. Che dovrà fare dipoi
? Pub. Già toccherà ad effa slattarlo, e * si perderà il sonno più
di una notte. B b 2 Sem, [ocr errors][ocr errors][ocr errors]
liri Sem. Sarà bene, acciocche non lo perdiamo anche noi, di tenerlo in
qualche mezanino lontano dalle nostre stanze, Mec. Per questa cagione
sono andato io più volte in collera co i miei amici , avendo osservato lontani
dal loro appartamento i figliuoli anche lattanti,per timore, come dicean'o ,
che non turbarsero il loro riposo, e diceva loro: pere dete pur tanto tempo, e
vegliate tanto per il giuoco, e continue conversazioni, oh bene non potete
vegliare un poco pe’ vostri figliuoli? E se non lo volece perdere voi, cui
tanto debbono premere , vi persuadete forse, che le donne mercenarie di
servigio vorranno perdere il fonno? Dormiranno ben bene, e lasciefanno piangere
chi vuole; ma da questo quanti mali ne saranno seguiti lo faprà meglio il
Dottore. Med. lo dalle offervazioni fatte sono arrivato a conoscere
questa verità ; che più fortunati siano nel mascere, e nel imorire i poveri,
che i ricchi; perchè quelli dalle proprie Madri sono lattaţi, eand custoditi
diligentemente con amore;docal ve che questi sono consegnati alla indi
screta servitù, e trattati assai diversadai mente in tutto ; e posso riferire a
que fto proposito di averne curati alcuni,che caduti dal letto, per
trascuraggine del. le balie , ebbero a perdervi la vita , ed altri, per il gran
pianto fi allentarono , negando cal volta loro il latte le balie, allorche ne
avevano bisogno; e per avere loro ripercosso secretamente il lat. time, quanti
ne sono periti? Giccome ancora quanti ne sono morti af gati per averli tenuti
negligentemente nel proprio letto ? avvenimenti tutti, che afa sai più di rado
G odono accaduti tra po veri , quantunque questi siano assai i più
numerosi, che i bene stanti. Della morte dei ricchi non parlo, perchè
ave. rete uoi medesimo osservato questi, be ne spesso, per li soverchi, e
conculcati : rimedj, dati loro, più facilmente , che i poveri perire,
& alle volte in mano de Ciarlatani. Pub, Se voi dunque
avercte amore per [ocr errors][ocr errors] Bb 3 per i
vostri figliuoli non li terrete lontaa ni dalle vostre stanze in ogni tempo
per. che tal vicinanza darà stimolo maggiore alla matrona di avere per loro più
attenzione , & all'altre donne di fare me . glio il loro uffizio.
Sem. Riferitemi ora il modo, che doverà tenere in appresso per conoscere meglio
s'ella, operi a suo dovere? Pub. Già fu discorso, ma non sarà mai a
bastanza, di quello, che dovrå farli intorno ad imbeverarli ben bene del fan.
to cimor di Dio, e crediate pure per cofa certa, che questo è il fondamento
principale della buona educazione; efsendo esso solamente capace di rimuovere
tutti i vizj, non porendo questi far breccia ove si ricrova benradicato: è vero
però, che questo feme santo noni basta piantarlo solamence, na decli col.
rivare sempre con atrenzione, e fervore, acciocche non perisca, essendo che a
poco a poco germoglia ne teneri par. goletti, ed in questo doverete aricor voi
invigilarvi. In seguela poi dovrà, appe 19 and appena che le
figliuole faranno capa. ci, tenerle impiegate ad apprendere qualche
lavoro di quei necessarj a saperG dalle donne, che sono il cucire , far
calzerte, cessere, e filare, e questi disporli secondo l'ctà, e capacità loro :
nel medesimo tempo impareranno a leggere, e di poi a scrivere, e questa sarà
l'incumbenza , che dovrà avere intorno al lavoro, Sem. O ben le donne
civili, e nobili averaono da teffere, e filare che han. no forse da
procacciarsi il vitto con que. fti lavori Mer. Intorno al filare non
avete occasione di risentirvene, perchè è torna, ta l'usanza di farlo ; non sò
però se per bizzarria, o per profitto ; averere pur veduto, Sempronio, nelle
case civili conocchie sì ben fatre , che fanno venire la voglia di adoperarle
anche a noi al. tri uomini. Sem. Queste le ho veduce certamente, ma però
stare oziose, onde mi perfyadeva, che fossero state fatte per col locarle
dentro i loro scarabattoli nonri: mirandole punto adoperate . Mer.
Nonaveranno filato in presenza vostra, perchè non avendo voi moglie non era
tempo ancora, the imparaste a filare alla moda. Pub. Le caste donzelle in
questo s'im: piegavano anticamente, e tralasciando di riferire, che lo
facessero Penelope, Lucrezia , & infinite Matrone Romane; Alffeandro Magno
fi vestiva co gli abiti teffuti dalle fue Sorelle, come racconka Curzio ; &
Augusto non portò già altri abiti , che quelli, che dalla sua Moglie, Figliuola
, e Nepoti erangli ftati fatti, come riferifce Svetonio: Onde se no li
vergognavano queste di farlo, per qual motivo potranno aftenersene le tanto
inferiori ad effe ? Sem. Ma fe non avessero genio di fardo , tanto più
non vedendolo praticarea alle Madri? Pub. Questo genio può farfi venire
con riferir loro qualche bell'esempio, & appunto de racconta uno il Surio
nel di fe fecondo di Maggio, che se coinincies ranno a gustare le
cose di Dio sarebbe assal a propogto: dice dunqu'egli, che andando S. Antonino
Arcivescovo di Firenze, per una contrada di qite!la città vide un buon numero
di Angeli, che formavano come un corpo di guardias e sopra il tetto di
una povera časa ; li ven , ne in pensiere di catrarvi, e di riconoscere
l'occasionc y per cui meritava canto favore da Dio; non vi trovò, che und Madre
con tre sue figliuole , le quali filavano per guadagnarsi un poco di pane, e
stavano con gran modestia : vedendo il Santo il bisogno , che avevano, fc loa
to una buona limosina :-Dopo qualche tempo ripassando per la medesima strada
vide, che la stessa casa era ricoperta di piccioli folletti, armati di tutti
quei stromenti, che fogliono portare li dediti alla libertà del mondo : entrò,
evide le medesime, che passavano il tempo a ridere, scherzare', e motteggiare ,
e fare le belle: Riferito questo, si poa trebbe soggiungere loro, che se
Iddiogradisce canto il non stare in ozio in quelle, che sono miferabili, quanto
più lo gradirà in effe, che spontaneamente, e fenza bisogno alcuno lo fanno e
credetemi, che non mancano modi per fare applicare le figliuole, effen. do
queste più docili demaschi. Sem. Oltre il lavoro, che averanno da fare di
vantaggio ? Pub. In tutte le cose deve esservi la buona ordinanza, la
quale tutta dcpende dal sapersi ben compartire il tempo , onde queste essendo
pratiche divideráno Je ore def giorno in questa guisa ; la pri. ma della
mattina , dette che saranno le figliuole, e veftite di tutto punto, sarà
impiegata al servigio di Dio con fare orazione, o sentire qualche cosa di
quanto esso vuole da noi; ciò fatto dcefi ristorare colla colazione moderata il
corpo, per poi passare quelle ore de. ftinate al lavoro; e terminate queste ,
conviene di fare alquanto esercitare il corpo in cose non violence, e
permettendolo il tempo, in aria con affatto [ocr errors] rac [ocr
errors] .. 395 K tacchiusa. Avvicinandosi poscia l'oras del definare
converrà prendersi il nutrimento a proporzione dell'età, e poi dopo di questo è
neceffario godere alquan. to di riposo, per potere alle ore destitiate tornare
al solito lavoro. Sem. Sino a qual'età possono i maschi ftare sotto la
custodia della matrona? Pub. Fin tanto appunto, che, cono. scendo le
lettere dell'alfabeto, possono consegnarli al Maestro, per tenerli in quelle
ore , che dovrà far egli scuola fotto la sua custodia; ben è vero peròs che non
essendovi l’Ajo,possono ritornare, per quelle ore, destinate al diverti
mento, sotto la cuftodia della medelima $ matroni. Semi. Nascendo tra
fratelli, e sorelle qualche contrasto come doverå regolarli la marrona?
Pub. Sogliono i fanciulli vivaci essere molesti alle forelle, e da ciò ne
nascono bene spesso trà loro reciproche aleercam zioni, mà se la matronal
manterrå fotenuta a segno, che non pregdano les [ocr errors][ocr errors]
confidenza , avendone rimore di essa, difficilmente si avanzeranno a contendere
tra loro, ma caso che la sua efficacia non bastasse,dee di ciò farne
consapevole il Padre, o il Maestro , affinchè pensano a prendervi il più
opportuno rimedio con tenerli separati. . Sem. Crescendo le figliuole in
età, e scoprendosi in esse qualche differto donnesco, come li dovrà regolare la
matrona per estirparlo? Pub. Non aspetterà quefta , essendo prudente, che
giungano fimili diffetti a manifestarsi ; perchè come dicemmo procurerà con
preventivi ripari di ab. batterli prima che si manifestino. Sem. Venendo
le figliuole negli anni , ne' quali sogliono alcune cominciare a contristarsi,
e fofpirare, che averà da fam rela matrona? Pub. Le figliuole ben'
educate difficilmente cadono in fimili debolezze; ma quando mai ciò seguisse in
alcuna, alJora si conoscerà il senno, e la prudenza della matrona; posciachè si
saprà inters ! [ocr errors] e nare nella sua confidenza per
consigliarl a far cose non disdicevoli alla sua condi* zione,ed a
lasciarsi regolare dal suo amo. roso Padre. 3 Sem. Ma non sarebbe meglio,
quan. do si vedellero contristate, porle in monastero per compire
l'educazione? Pub. Se sarete sicuro , che colà possano vivere con più
ritiratezza, che in casa vostra , ed abbiano migliori direttrici cui dia l'animo
di calinare le loro passioni, potrebbe farsi ; mà se poi vivessero con libertà
maggiore, qual vantaggio ne ricaverebbero ? Sem. Vivono colà tanto
ritirate, che la porta di rado si apre; ne viene permefso l'ingresso libero ad
alcuno. Pub. Qucfto non basta se gli occhi, c le orecchie staranno
maggiormente aperte; perche per esse po lono entrare le cagioni de' sospiri: e
poi voi, Sempronio,mostrate di non fidarvi della voftra matrona , la quale
totalmente dipende da voi, enon diffidate punto di tanţe servenci de’monafterj,
sopra le qua; [ocr errors] di autorità niuna yoi avere. Sem. Sarà
ben vigilante in questo chi averà cura dell'Educayde, Pub. Voi
y’ingánate$épronio, se crede, te,che l'altrui vigilanza superi quella de
genitori attenti , e capaci : onde mi perJuado , che nella casa paterna queste
ftiano meglio , che altrove, Mec. Voi dite bene,Publio , che fiee te
capace di custodirle come li dee, mà datemi un Padre, ed una Madre, che ad
ogn'altro pensino, che all'educazione delle figliuole , e tanto maggiormente se
non averanno una tale donna capace , e fedele a ben diriggerle, o saranno prive
di Madre, la sola casa pater. na sarà sufficiente a custodirle? Pub.
Credo certamente di no. Mec. Or dunque, che fi hà da fare in questo caso
per non lasciarle a discrezio. ne dell'infida servitù ? o bisognerà, chę
qualche faggia parente la conduca in casa sua, o porle in monasterio , sotto Ja
direzione di saggia Maestra, Pub. Non è questo il rimedio appro;od [ocr
errors][ocr errors] priato al loro male, che congste in una gran passione , la
quale non si : può rimovere da esse senza cósolarle.Ne certamente si
cureranno già di ricevere i queste in casa loro le saggie parenti : e
ricevendole le imprudenti qual vantaggio ne potreste Iperare ? E ponendole in
monaftcro sotto la cura di faggiaMaestra qual bene potranno ricevere da
essa ef$ sendo tra loro discordanti di genio ? fa rebbe più capace tal
una di queste di sedurre altre compagne,a far che si unifor massero al
suo genio , più tosto, che di u mutarlo; onde nè ad esse, nè al monastero oi
tornerebbe conto , che vi entrassero, 1 Intorno poi al sudetto riincdio ne
parleremo a suo luogo , e tempo, Şem. E quelle figliuole, che non avea se
ranno le accennate paflioni ponno eduei carsi ne monasteri? Pub. Se i
loro genitori sarın capaci, ed attenti, e viveranno all'antica, non fra farà
d'uopo cercare altra casa , che las paterna per educarle, come dicemmo
parlando de figliuoli della Conferenzís [ocr errors] 1, della presente
decade ; mà se poi foffe il contrario,non sarebbe buona per esse, ¢ converrebbe
anche fanciulle racchiu. derle in monafterio, affinchè si discostas sero
dalrimirare i mali efsempj domesti ci, specialmente quei, che potrebbero dalle
Madri ricevere , Sem. Vorrei che mi diceste, Mecena, te,in che possono
difettare le Madri nella educazione dellc figliuole? Mec, In due cose
principali, che so. no l'eccessivo amore che portan loro,e la libertà che
vogliono mantenere per fare ancor esse tutto a lor modo. L'amore non le
permetterà di contriftarle, ne riprenderle, e la libertà,che vogliono godere ,
le disanimerà a procurare di farle .vivere diversamente da quello ch'esse
.coftumano, e vi voglio riferire un caso seguito in mia presenza, Si trovavano
in una conversazione alcune gentildonne în tempo di carnevale , le quali domandavano
l'una l'altra quante volte avevano condotte, le loro figliuole alle commediese
per verità non udj già che alcu na if ve le avesse condotte poche
volte; vi fù f, bensì la più attempata dell'altre, che hin disse in tempo
ch'ella era zitella rare tudi volte G costumava condurvele, e se non # era
modeftiffima l'opera, che si recitava cui non potevano già udirla le zitelle;
vi fù chireplicò ancora che non si poteva oggidi far di meno di non
condurle;perchè altrimenti fi contrifterebbero tanto, che non ci si potrebbe
più vivere ; non dico altro,che vedo il mondo andare da male in peggio come
predisse Orazio. Sem. Oh consideriamo come anderà l'educazione delle
cittadine , e dello à plebce ! Mec. Sappiate, che a queste fi è dato da
qualche tempo in qua un'ottimo regolamento, essendosi aperte scuole publiche in
ogni Rione, e mantenute dalla generosità del nostro Prencipe , - ove
vengono dirette da Maestre molto esemplari numerose figliuole,molte delle
quali si tratrengono ivi tutto il giorno; onde non solamente hanno occasione
tutte di apprendere il fanto timor di Сс Dio, Dio, ed il buon
costume, ma eziandio d'approfittarli in molti lavori dooneschi utili, e
necessari per la casa , tenendoli in oltre lontane da quelle occasioni, che
potrebbero in esse introdurre difetti; onde fpererei, che quando questo fanto
istituto giuagesse ad eliere sufficienre anche per le più miserabili,
un'infinito bene, e più universale se ne porelle ricevere Sem. Bramerei
ora di sapere quale sia il tempo più opportuno d'apprendersi de fcienze?
Pub. Si parlerà di questo quando ci rivedremo, [ocr errors][merged small]
[ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] 1 Sopra l' età
opportuna d'apprendersi le scienze, cd il modo più façile per accertarsi delle
par. ticolari inclinazioni de' figliuoli, Sempronio , Publio ,
Mecenate , & Medico, [ocr errors] Pub. A proporzione
delle cose li può chiama. re ànima del monL do ; essendo che questa
lo mäntic ne, clo fà risplen. dete : sconcerto grande certamente formano
quelle cose, che sono prive di efsa. Se per sua sventura veniffe genio ad uno,
che avesse voçe rauca abituata di fare il Musico,non doverebbe certamen
Сс 2 quali deb bago Z S Semo
1 1 [merged small][ocr errors] [ocr errors][merged
small] 3. onde to H fpo. F
2 Dum Sem, A 2 Mec. 127. ÇON:
IOI ani te egli effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche
giugnesse a saper cantare, chi si prendesse diletto del luo ingrato canto.
Converrà dunque in tutte le cose prendere la sua proporzione giu. sta, con
proccurare attentamente, in fare ciò, di non ingannarli. Sem. L'erà
dunque proporzionatas ne' figliuoli per apprendere le scienze quale sarà?
Pub. Quantunque secondo il loro spi. rito, e capacità deel cio regolare ;
nulladimeno prima di dodici, o tredici anni farà difficile, che questa sia
proporzionata ; e tanto maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare
la lingua latina , per meglio intenderle. Sem. Ho sentito dire da
qualcuno, che la lingua latina li potrebbe imparare come Gi apprendono gli
altri linguag. gi, o nella manicra, che s'impara la lingna nativa, o dipoi col
sentir parlares altri che la possiedono. Pub. Vedete , Sempronio, se voi
bra. mate fare da buon Padre di famiglia, sia. tc * t'e a mico di
fare poche novità nell'edu care, & istruire i vostri figliuoli, e
fere vitevi di questo avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i
cavalli da essi ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida
vecchia · Anzi che vi dico di vantaggio,che se vi abbaca tefte per vostra
disgrazia in Maestri, che $ volessero sperimentare modi nuovi per
addottrinarli, non vi prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli
perduto ; tempo in mano di questi, converrebbe farli tornare da capo.
Mer. Vi fu a questo proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato
Timor teo, che pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano
imparato l'arrej 1 senza buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che
doppia facica glicon veniva fare ; cioè, che disimparasfero essi
ciò che avevano appreso, e poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte
: onde se dupplicata riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non
avessero pre. sa la strada diritta, il fimile seguirebbe Cc 3 an.
[ocr errors][ocr errors] anche a voi per doverli far dilimparare ciocche
malamente apprefero. Pub. E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli
allorchè non hanno ancora la capacità di apprendere le scienze e quando mai ne
acquistassero alcuna parte di esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ;
ina non capirebbero già quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero
prevalera di quel documento generale,non ben capito,in molte particolari
contingenze; onde tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle
scienze. Sem. Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli
altri, perchè non potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ?
Pub. Dee benli avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a
fimili laborioli studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un
campo fertilissimo, a suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per
non vederlo divenire sterile, e poi chi sà [ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello,
che comparisce prima del suo tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci
đuti di minor ingegno si vedranno cari, chi di frutti, questi non si
rimiri spogliaco di efi? ricordiamoci, che: nil violentum durabile. Met.
Aveva un giovanetto di questi fatto una bella composizione in lode di un gran
Personaggio, e recieztala alla sua presenza con tanto spirito, che ne. i
rimase ogn’uno degl’ascoltanti ammira to; il meno ingegnoso, é fpiritoso,
che vi era tra efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra
ftaja composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi
egli a quel Personag gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c
capacità grande da giovanetti, la quale perdono poi avanzati che sono o
negli anni. Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma
voi Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura
! Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed argu Сс 4
ta ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere
fata fua. , sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno
d'uopo più tosto di ritegno, che di stimolo. Pub. Voi non dovere dubitare
di ciò, vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove
tra i precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà
del freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri. Sem.
Come mi dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più
ad una, che ad altre scienze? Pub. Dovrece principalmente fare esplorare
il loro genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro
capacità, e disposizione naturale. Sem. Come si potrà conoscere, che fia
stabile questo genio ? Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i
figliuoli dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinate egli
effettuarlo ; perchè non troverebbe, quando anche giugnesse a saper cantare,
chi si prendesse diletto del luo ingrato canto. Converrà dunque in tutte le
cose prendere la sua proporzione giu. sta, con proccurare attentamente, in fare
ciò, di non ingannarli. Sem. L'erà dunque proporzionatas ne' figliuoli
per apprendere le scienze quale sarà? Pub. Quantunque secondo il loro
spi. rito, e capacità deel cio regolare ; nulladimeno prima di dodici, o
tredici anni farà difficile, che questa sia proporzionata ; e tanto
maggiormente, che debbonsi prima applicare ad imparare la lingua latina , per
meglio intenderle. Sem. Ho sentito dire da qualcuno, che la lingua latina
li potrebbe imparare come Gi apprendono gli altri linguag. gi, o nella manicra,
che s'impara la lingna nativa, o dipoi col sentir parlares altri che la
possiedono. Pub. Vedete , Sempronio, se voi bra. mate fare da buon Padre
di famiglia, sia. tc * t'e a mico di fare poche novità
nell'edu care, & istruire i vostri figliuoli, e fere vitevi di questo
avvertimento,che i Maa rescalchi, che non inchiodano i cavalli da essi
ferrati, sono quelli, che pongono il chiodo nella guida vecchia · Anzi che vi
dico di vantaggio,che se vi abbaca tefte per vostra disgrazia in Maestri,
che $ volessero sperimentare modi nuovi per addottrinarli, non vi
prevalete di loro; i perchè avendo i vostri figliuoli perduto ; tempo in mano
di questi, converrebbe farli tornare da capo. Mer. Vi fu a questo
proposito un cer. to Maestro di musica, chiamato Timor teo, che
pretendeva doppia mercede & da quei, che avcano imparato l'arrej 1 senza
buoni fondamenti , adducendone op per cagione , che doppia facica glicon
veniva fare ; cioè, che disimparasfero essi ciò che avevano appreso, e
poi d’indi fegnare loro le vere regole dell'arte : onde se dupplicata
riuscirà la fatica a Maestri nel caso , che non avessero pre. sa la strada
diritta, il fimile seguirebbe Cc 3 an. [ocr errors][ocr errors]
anche a voi per doverli far dilimparare ciocche malamente apprefero. Pub.
E poi,che cosa averebbero a fa. re i figliuoli allorchè non hanno ancora la
capacità di apprendere le scienze e quando mai ne acquistassero alcuna parte di
esse, seguirebbe ciò per la felicità di memoria ; ina non capirebbero già
quello che elli avessero appreso, nè tampoco saprebbero prevalera di quel
documento generale,non ben capito,in molte particolari contingenze; onde
tal'età non sarebbe proporzionata per fare acquisto delle scienze. Sem.
Ma se caluno avesse ingegno, e capacità maggiore degli altri, perchè non
potrebbe questi esserae capace anche nella tenera età ? Pub. Dee benli
avvertirsi di vantag. gio in questi se.convenga allora porli a fimili laborioli
studi ; perchè il buono agricoltore , quancunque abbia un campo fertilissimo, a
suo tempo vi getta il seme, e lo fa riposare ancora , per non vederlo divenire
sterile, e poi chi sà [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] si, che non sia un fiore senza frutto quello, che comparisce prima del
suo tempo 2 e che poi allorche gli altri,erci đuti di minor ingegno si
vedranno cari, chi di frutti, questi non si rimiri spogliaco di efi?
ricordiamoci, che: nil violentum durabile. Met. Aveva un giovanetto di
questi fatto una bella composizione in lode di un gran Personaggio, e recieztala
alla sua presenza con tanto spirito, che ne. i rimase ogn’uno
degl’ascoltanti ammira to; il meno ingegnoso, é fpiritoso, che vi era tra
efli , domandò al suo Maestro, che ivi si trovava presente, sçra ftaja
composta dal detto figliuolo, cui rispoe fe di fi ; e voltatosi egli a quel
Personag gio gli dise : fogliono alcuni avere spirito, c capacità grande
da giovanetti, la quale perdono poi avanzati che sono o negli anni.
Udendo questo il figliuolo 1 rispose prontamente a costui: ma voi
Sigaore, da giovanetto bello spirito, c | capacità che averete ayura !
Rimafer quel Signore in vdir si propra, ed argu Сс 4 ta
ta risposta, la quale fe credere a tutti la composizione essere fata fua.
, sem. Questi ingegni dunque , per quanto ho udito, averanno d'uopo più
tosto di ritegno, che di stimolo. Pub. Voi non dovere dubitare di ciò,
vedendolo praticare giornalınente nella vostra scuola di cavalcare, ove tra i
precerci, che averete avuci , vi sarà questo, di non lasciare la libertà del
freno a quei destrieri , che sono più fpiritoli degli altri. Sem. Come mi
dovrò regolare per conoscere, che sieno i figliuoli proporzionati più ad una,
che ad altre scienze? Pub. Dovrece principalmente fare esplorare il loro
genio ftabile qual Ga, eriflettere,fe corrisponda questo alla loro capacità, e
disposizione naturale. Sem. Come si potrà conoscere, che fia stabile
questo genio ? Pub. Ciò di discerne benissimo; pofciache i figliuoli
dalla più tenera età cominciano a mostrare le loro inclinapo [ocr errors]
ruti zioni, & in proseguimento di essa li van. no spiegando meglio,
& alla fine avvici. nandosi al tempo di risolversi , la palesano
espressamente, ed in questo caso è veramente stabile, e fissa. Oh quanto
die si conobbe bene fin da suoi teneri anni il genjo di Marco
Catone : posciache quanrunque venisse violentato con fiere minaccie
a fare cosa da esso creduta di- sdicevole da Quinto Popedio Latino,
si mantennc sempre costante nel suo senti- mento; il di cui animo
intrepido G. avan- zò, crescendo negli anni; posciache condotto
alquanto più grandicello, da Sarpedone fuo pedante a casa di Silla
per visitarlo, e vedendo nel cortile di decto palazzo la lista de'
proscritti, eb. be a dire : è possibile, che non vi sia chi ammazzi
un tiranno sì crudele comes Silla? domandò egli al suo pedante un
coltello, dicendogli , che ad esso fareb- be riuscito facile il poterlo
uccidere ; perchè fi poneva a sedere accanto a lui come riferisce
Valerio Massimo, Sem. E se nell'ecà genera avessero mo.
stra, strato qualche inclinazione ad una scien. za, e poi dopo
qualche anno li fossero invogliati di qualche altra , ed alla fine, venuto il
tempo da determinarli, voJeffero apprenderne alera differente da queste, che
doverà farsi? Pub. Questi sono di genio istabile , e non li fiffano mai,
onde a qualunque fcienza si applicheranno, non sarà mai di lor piena
sodisfazione , ed in questo caso consigliatevi con chi ben conosce. rà il loro
talento, come sono i Macítri, e da esli comprenderete in quale fcienza ciascun
di loro potrà riuscire più atto, e fare in modo , che in quella fi
applichi. Sem. Ma fe moftraffero non avervi genio ? Pub. Questo si
fa venire con far suggerire loro, che quella scienza , la qua. Je si crede
proporzionata alla loro abilità, sia la più bella, la più nobile, la più utile,
c la più dilettevole, che li accomoderanno senza indugio a volerla
apprendere. Sem. [merged small][ocr errors][merged small] Sem.
Sarebbe necessario, che m'in formaste ancora sopra la facilirà , che uno possa
avere in apprendere più una scienza, che un'altra Pub. Se voi scorgerece
un figliuolo serio, e prudente, per quel che potrà portare la sua età, divota',
e che inclis ni all'ecclesiastico, questi pare nato per istudiare Teologia, Se
serio parimente, e prudente , volonteroso di studiare, s che tal volta nelle
picciole altercazioni nare tra fratelli effo fi frapponga , e mostri voler
giudicare , chi di loro abbia corto, o ragione , a questi fate pur
studiare Legge, che diverrà un'altro Bartolo. Se poi obiecterà , sarà riflessivo,
tirerà frequenti conseguenze , questi averà cutti'li buoni requisiti per
divenire un'eccellence filosofo . Se lo vedrere ingegnoso in adattare, e
difporre i suoi giocarelli puerili, prendere misure di alcune cose, il suo
genio lo porterà ad apprendere le Marcematiche ; conforme seguì in Protagora,
ed in Biagio Pa. fcali:c fs lo mirerete sonrinyamente ap [ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] applicato a disegnare, o rimirar
picture, la sua inclinazione naturale lo porterà a fare il Pittore : finalmente
se lo vedrete afliduo nel tempo, che qualcuno sia malato in casa, e desideroso
d'allistergli, c stare con attenzione ad ascoltare ciò, che dirà il Medico, il
genio, e l'abilicà lo portano a studiare Medicina. Sem. Se sarà nobile
però come potrà effere Medico, non costumandoli das pertutto che questi
esercitino cale pro feffionc Pub. Dunque sarebbe affai fortunato uno
de’vostri figliuoli; se fosse Medico; perchè essendo singolare , che stimas
grande averebbe egli, e che belli acquisti apporterebbe a casa vostra ?
Sem. E se tal uno morteggiaffe, che odoraffero questi alquanto di
cattivo? Pub. E voi fate, ciò che fè Vefpafiano a Tito, allorchè riseppe,
che aveva ciò motreggiato, quando pofe la gabella fopra l'orina , cioè di
fargli odorare i danari, che da detta imporzione furono esatti, e trovò il buon
figliuolo, che [ocr errors] [ocr errors][ocr errors] il modo di
medicar cavalli, alcuni nou 3 che non avevano alcun cattivo odore, Dita
ed il (mile seguirebbe anche in questi. Mec. Vorrei sapere da voi,
Sempro>nio, se vi sia stato alcun nobile, che abbia imparato a medicare
cavalli? Sem. Che voi non lo fipete! essendo. !ci quel vostro amico, che
non solamen te lo sà fare, mà anco l'esercita , peel rò nobılmente.
Mec. Oh Dio buono,per medicare le bestie s’ha da impiegare senza alcun
moc teggiamento un nobile ! e per curare un -2.14 uoino tanto più nobile
di esse hà d'ave. mai retinore di essere motteggiato! più no bile dunque
farà creduto da questi of l'esercizio del Manescalco, che quello del
Medico, giacchè quello è esercitato da nobili, e questo da essi viene abbor.
rito? Pub. Hanno dato alla luce libri,sopra bili, tra quali vi è Pasquale
Caraccioli Cavaliero Napolitano, e Marino Gir, zoni Senatore Veneto ; laonde potrebbero
meglio impiegarsi i nobili nello elpi scrivere di medicina, per imitarc
Corne. lio Celso nobile Romano. Med. Vi è stato anche a giorni nostri
Roberto Boile nobile, e ricco Inglese , il quale non hà risparmiato, ne spefa ,
ne fatica per accrescere la filosofia fperimentale ; e quanto di bene egli
abbia fatto, le sue opere lo mostrano , avendolo queste renduto glorioso
a’posteri . Mec. In questo particolare bisogna , che io parli contro di
noi medesimi : per ispregare le nostre ricchezze in lussi, lo facciamo
prontamente ; per impiegarle poi a beneficio della viriù, non ci sappiamo
indurre, perchè pajono ad alcu. ni spregate, quantunque realmente non fiano. Mà
torniamo al nostro assunto. Sem. Vorrei sapere dal Dottore, da che
proceda la varietà dei genj . Med. Questo secondo il mio debole
fentimento credo , che da temperamenti poffa in gran parte derivare, perchè
colui , ch'è malinconico averà genio as cose serie, il bilioso ad altre più
risoluto, il demmático gradirà la quiete, ed 1 [ocr errors][ocr
errors] il sanguigno amerà la varietà delle cose, e poi rifletto, che
l'arie ancora, ove al- cuni nascono, ponno contribuire molto alla
determinazione de genj, essendoche vi sono alcuni luoghi,ove quasi tutti
at- tendono ad un solo metiero, ed in un tal clima li
osservano genj affai differen, ti dall'altro; ben è vero però, che
alle volte ancora le altrui fortune fanno ve. nire il genio più ad
una cofa , che ad un'altra per esempio l'essere un semplice Soldato
divenuto Generale, ha fatto venire il genio a più d'uno di
seguitare la guerra : l'avere lasciato un Medico ricchezze
considerabili, ha dato moti- vo a molti di applicare alla Medicina
ed il fimil è accaduto nell'altre profes- sioni. Leggo però che
nella Cina, cd in alcuni altri dominj fuori dell'Europa quefi genj
sono già fissati , non essendo permesso ad alcuno il fare differente
me- stiero da quello di suo Padre., e perciò colà igenj sono
stabili non potendoli yariarere a suo modo. Şem.
E se quedo genio, che taluna do [ocr errors] de'figliuoli hà,
non corrispondeffe alla sua capacità, che doverà farsi? Pub. Questo suole
per lo più corrifpondere, quando nasca spontaneamente, e aon da impegno; perchè
ci potrebb' essere taluno, che avendo genio il suo compagno di applicare, per
esempio alla legge , e questa quantunque non geniale nulladimeno per non
discoftarli da esso, volesse anch'egli ftudiarla , ed in questo caso, vedendo
voi, che non avesse quell'abilità, che tale profes. fione richiede, potreste
farlo allontanare dal detto suo amico per qualche tempo, senza che penetrasse
il perchè, e così il genio , che nasce dall'impegno,fi muterà facilmente,
quando non vi concorra anche il proprio . Sem. Come mi potrò allicurare,
che fia proporzionato il genio, e l'abilità alla scienza , la quale bramano di
acquiItare ? Pub. Niuna cosa vel potrà far meglio conoscere , che lo
profitio , che faran. no ja quclle, perché è impossibile che con
[ocr errors][ocr errors] di concorrendovi l' abilità , ed il genio , questo
non si faccia anche da principio, ed accertato, che voi sarete di ciò
vivea te pur quieto di mente, che ci è la sua of proporzione. Sem. E se
non ci sarà detto profitto, G doveranno levare da questa per porli ad
apprendere alcra scienza? Pub. Conviene maturare bene fimile si
risoluzione, per conoscere meglio don de proceda il non farsi profitto,
poten. do ciò nascere da due cagioni, cioè,o da fimulata inclinazione, o da
inabilirà : se provenissc dalla prima potrete fare da qualche loro
confidente scoprire i qual fia la loro propria inclinazione, ; dove il
genio li porti, e prima di perdere maggior tempo ponereli in quellas ad essi
geniale ; se poi nascerà dalla inabilità, ovunque li porrete, questa farà
sempre impedimento al conseguimento di essa. Sem. E se procedesse dall'essersipenriti,
ritrovandola più difficile di quello, che se l'erano figurata ? Dd
Pub. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] Pub. Questi
cenereli per istabili, poltroni, che poco di buono ne potrete tiçayare; perchè
ovunque gli applicherere , sempre faranno il medesimo, non avendo fermezza , ge
sofferenza per la fatica, Sogliono però alle volte alcuoi di questi rimetçerli
nella buona strada , quando ciò venisse da una certa pufillanimità di cuore ,
onde farà bene di ajugarli da principio con buoni repetitori, mediante i quali
animandosi , prosegui. ffono poi con profitto , Sem. E se non ayeffe
taluno genio a fofa alcuna, come mi doyero regolare Pub. Vi potrete con
questi regolare a yostro modo , ogni qual volca či liau Pabilità, e l'ingegno ;
perchè sogliono alcuni per modestia in tutço , e per tut: to forromergersi al
volere paternoję queIti riescono per lo più virtuofi , ogni qual voltą abbia
l'ayerţenza di farli applicare a quella scienza, che Gia proporzionata al loro
talento, come già di. femmo Sem. Stimate bene che nel tempo,i che applicano
alle scienze si possano , pare per loro divertimento, far applicare al plin
suonogal canto, o ad altri civili diverčia 0,1 mçnti? open Pub, Şe li yoletę
far divertire day * quells, fateli applicare anche a questi , A Colui, che
applica, e li approfita in cose ferie , non bisogna distrarlo con
çosę amene, perchè le prendeffe cal vol. i ha genio grande a queste come
ande, rebbero , Sempronio mio, le serie an zi che, se ne
moftrassero efli genio,dove. a fe da questo diftorli, con dire loro, che
approfittati, che saranno nelle scienze, * yoi medelimo volere, che si
divețiano o in quelle, ed in turti gli alțri civili orna mengi . In un
caso solamente fi potrebbe ciò permettere, cioè quando il figliuolo fosse di
temperamento molto malin. conico, e çetro per solleyargli l'animo
contriftato, Sem. E se la foyerchia applicazione allo {tudio danneggiasse
la salute, che converrà farsi, Dottore? Med. Primieramente procurerere,
DI? che [ocr errors][ocr errors] illbuono per evitare i nocu.
che si moderi ciocche sarà eccessivo;perchè quello che non fi può apprendere ia
un giorno, fi apprenderà nell'altro, e fe voi vedrete , che ciò non basti,
levateli affatto dallo studio ; perchè è me. glio il figliuolo fano, quantunque
fias ignorance, che dotto divenuto inabile a godere il frutto delle sue
faciche: e non vi fate dare ad intendere da parabolani, che a forza di rimedi
possa superarsi tal incomodo, perchè in tal caso averà due nemici, che lo
perseguiteranno;cioè l'applicazione soverchia, ed il rimedio da taluno credulo,
o malizio. menti di effa, quando lo specifico rimedio consiste nella totale
rimozione dall'applicazione: Sem. Approfftrati che saranno i figliuoli,
che dovrà fare il buon Padre di famiglia per provederli bene? Pub. Ci
penseremo trattanto, e la di. scorreremo in appreffo. CONFERENZA sopra gl'
impieghi, che dovranno darsi da faggi Padri a' figliuoli ben’educati ,, e
dotti. Pub. o sviscerato ainore de Padri verso i figliuoli, li fa
bene spesso cadere in mol. ti eccelli, e partis colarmente allorche
questi nascono ; pofciache fino da quel punto di figurano alcuni di efi , e
senza alcun fondamento, di far loro ottenere grandezze, & onori
confiderabili, e per ciò allora dispongono d'indirizare il primo per l'
Ecclesiastico, a fin che giunga a sublimi posti; di acca fare il fe
con el Dd 3 [ocr errors] condo , e fargli ottenere una groni
lima dote : d'incamminare il terzo per un generalato di esercito: ed al quarto
; c quinto di dat per moglie figliuole ereditieres e ricche, acciocche poffano
passare la quelle famiglic ad ereditarne archie il cognome. Se tali chimere,
senza verun fondamento ideates riuscisfero , oh chie bella cosa che sarebbe!
l'averebbero con quefti modi certamen. té accomodati tutti affai bene : mà
benedetta sia quella volta, che pur una di queste si verifichi in tutto ;
posciachè al destinato per l'ecclefiaftico viene genio di prender moglie; a
quello per la moglie di farsi ccclefiaftico, o religioso; all'altro per
condurre eserciti d'imparate a guidar bene un biroccio ; o muta i fei; ed agli
altri destinati, pet rostegno di famiglie altrui, di rovidare, per quanto
poisono s la propria , con giuochi , é bagordi ; a quali si darino in preda : e
sapete ciò da che nasce dal non avere i Padri appreso bene da Salomone al 16.
quello che debbatio fare , qual'è? Cor. bos st bominis difponii
viam fuam, fed Domini eft. n diriģere grefus fuos; onde per voler fare to tutto
da se medesimi, perciò non poffo. ! nio avere buon fine i loro disegni . of
Mec. Questo l'ho confiderato anche dio più volte, in occasione, che seativa I
dire a Padti: questo l'ho già destinato i per la tal via ; e quello per
quell'altra s # conforme ch'elli fossero stati arbitri del la Providenza
Divina , che regge turto, a difpofitoti assoluti delle inclinazioni de
figliuoli ; é volendo ammonire sopra di ciò talun di quefti , mitróncava il dia
scorso con dire che già poneva da para te gli assegnamenti necessari, e che
pensava ancora alle fpefe straordinarie ; per i quando avessero conseguito
quelle caris che; che bramavano di fare orretiere 2 figliuoli; ed era
quelto trent'aniti primas che le potessero conseguirt , onde mi sembra vano le
loro menti teatri di commedie, ove fiori personaggi paffeggiano · Sem.
Non ci averanno dunque das penfare, i Padri allorche nascono i Ai gliuoli di
far conseguire loro vantaggi? DI 4Pub. Non hanno allora da pensare a questo, mà
bensì di proccurare, che divengano abili a conseguire quella buona sorte , che
Iddio 'averà preparata a meri. tevoli : e perciò fantamente un saggio Padre
aveva in una tela fatti dipingere i suoi figliuoli colla sola camicia, e con
questa iscrizione. Tocca a Dio lo stabilire In che guifa han da
vestire . Volendo significare , che a lui non toccava fare altro, se non
ricoprirli colla ca. micia, affinchè non comparisfero affatto nudi ; nel
riinanentę poi si uniformavi colla volontà di Dio, acciocche li avesse
rivestiti a suo modo, e che questa prima copertura non consisteva in altro, che
nella buona educazione , alla quale dovea cffo pensare; onde non prima , che
fiano educati, ed istruiti questi nelle virtù,possono i Padri comprendere, che
voglia Iddio disporre di eli. Sem. Qual di questi il Signore Iddio averà
disposto per acca farsi? E sem. Quello , che conoscerece più (e frio,
sano, e sensato, e che averà inclina. kizione a questo, perchè avere pur
udito bu qual capacità , e segno ci vuole per prenaf dere moglie? Sem. Se
il primo genito , al quale si suol dar moglie, non avesse tutte queste
condizioni, e foffe volonteroso d'accasarsi, che si averà da fare? Pub.
Se gli mancaffe la sanità, o faviezza sarebbe segno, che Iddio non vo. lesse; e
voi potreste sostituire ad esso chi fosse più capace.. Sem. É se ci fosse
il maggiorasco, che ma potrò far io venendo egli chiamato as [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Pub. Farete dal canto vostro tutto
quello , che potrete ; perchè non manca. no, ripieghi in simili contigenze, per
farlo rinunziare a questo, con serbarli un buon assegnamento; mà se poi non vi
riufciffe converrà averci pazienza; perchà vostra non è la colpa , mà di chi lo
chiamò a questo, che non pensò a tanto. Sem. E per l'ecclesiastico, chi
dielli a doverà incaminare, Pub, [ocr errors] Pub. Il più docilc,
dotto, e divoto. Sem. E se non avess' egli tal genio ? Pub.
Sarebbe segno che Iddio non lo volesse per questa via, e voi sostituitene un
altro ad effo, che l'abbia , quartunque foffe men dotto; o pute incominciatead
istradarlo per questa via alla lon. tana, che può essere's che tal genio gli
venga . Sem. É quale sarebbe questa via Pub. Quella della
Avvocatura, se fará inclinato alle materie legali; mà non to fare Avvocato di
dome, perchè cið (crvirebbe a nulla. Sem. Come mi dovrà regolare in far
questo? Pub. D'incaminarlo per la medesima via , che calcarono quelli che
sono riufciti eccellenti in tale professione ; i quali ne'primi anni
cominciarono a rivolta. fé protocolli negli offizj de Notari. Sem. Mà una
persona nobile non potrà far questo. Püb. E percið non potranno forfe giugnere
ancora alla perfezione di quellig che lo fecero: More [ocr
errors][ocr errors] Med. Vannio pure alla guerra ventu. fieri moltissimi nobili
con pericolo giornalmente di morte, e cominciano meri fanci di volontà; perchè
dunques non possono fare ancor questo, nel quale non li incontra un fimile
pericolo, ed il fine ancora, è retrissimo,onoratiffimos crfendo diretto
all'atimigistrazione della giustizia ? sem. E dipoi che dovranno
fare Pubs Prendere pratica delle cause appreffo i migliori Curiali , ed
esercitari in questa, passare a prenderla dagli Avvo. cati con iftare sotto la
loro dettatvra , se forà bisogno : e finalmeiite im poffeffati, che saranno in
detta pratica ascoltare attentamente per qualche tempo i Giudici de primi
tribunali; ed allor si, che po. tranno porsi a fare gli Avvocati , tros Vandofi
colmi di doctrina , e di sperien2à. Sem. Esercitato che averanno
l'Avvocatura che faranno ? Pub. Avendo acquistata perizia maga giore in
tal ministerio , c per averlo lom de. [ocr errors] deyolmente
qualche tempo esercitato , potranno per giustizia , non già per grazia
pretendere i migliori posti della Republica, e di grado in grado avanzandosi,
potranno conseguire ciò, che bra. mano: Sem. E’lsudetto genio come verrà
? Pub. Chi averà amministrato con rettitudine la giustizia, sarà senza
dubio rimunerato da Dio; se lo fè a Salomone per avere solamente mostrato
desiderio di esser giusto,fupplicandolo di ciò,come fi legge al 3. dei Rè: Quia
poftulafti ver. bum hoc , bu non petiffi tibi dies multos ; nec divitias
&c. ecce feci tibi fecundum Sermones tuos &c. fed, hæc que non
poftulasti, dedi tibi : divitias fcilicet, do gloriam; ed udite ciocche dice
per bocca d'Isaia al 51. Facite justitiam &c. ed ins appreffo: Beatus vir ,
qui facit hoc; e nel libro della sapienza al primo : diligite ju, ftitiam , qui
judicatis terram ; come volete dunque che, a questi non dia las vocazione
ancora di servirlo; cffendogli sì grata la sua servitù.Sem. Se taluno di eisi
volesse farsi re, ligioso, che dovrò fare? Pub. Non altro ch'esplorare se
fia vera vocazione, o soggestiones perchè se farà vera vocazioneld, dioè, che
lo chiama; onde a questa non dovete opporvi s perchè si sono veduti gastighi
assai evidenti fulminati contro chi si è opposto al Divino Volcre , : Sem. Come
mi porrò accertare di questa vera vocazione ? Pub. Dovete alla prima
mostrare res nitenza in dargli permissione, che lo faca cia : conducerelo
continuamente con esso voi, ed informarelo sinceramente di tutte le difficoltà,
che potrebbe in. contrare nella vita religiosa ; come anco delle astinenze, ad
altre penitenze, che tra effi fi costumano, con doverfi privare della propria
volontà, allorchè sarà religioso; e se si manterrà sempre saldo, é costante nel
suo proposito, crem dete per certo, che farà vera vocazione. Sem. Mà non
sarebbe bene, che lo condücelli alle conversazioni, alle comig me
medic, ed ai passeggi per divertirlo me, glio, caso che lo vedcili
malinconico? Pub. Questo poi non dovretç fare ; perchè allor îi che perderebbe
quanto di buono egli acquisto nell'educazione; e non facendoli poi Religioso vi
farebbe fofpirare, per averlo voi con defii mo: di improprj sedotto , E non
crediatę gia che facendosi Religioso, per vera vocazione,egli viverà infelice,
anzi che sarà il più contento, e felice degli altri, per, che godono questi ,
quando non abbia. no ambizione, ed altri attacchi mog, dagi, sommą tranquillità
d'animo, Sem, Sicchè dunquc sarebbe bene, che facefî venirç a qualcun
aloro ancosa la yolontà di farsi religioso, giacchè elli vivono così feļici, e
particolarmense a quelli, che fossero incapaci di alcu, no impiego della
Republica . Pub. Ayversite, Sempronio, di non far questo, con modi
suggestivi, per fini mondani; come sarebbero, per far di, venire gli altri
fratelli,che sono al secolo più facologi mediapre l'augumento delo
la la sua parte șinunziara , o perchè non saperç a che impiegarlo, mentre
questo non piacerà a Dio, onde contentatevi di dare solamente a Dio quelli,
ch'esso yuole, e non quelli che non fanno per voi, come sogliono pure troppo
effettuar re alcuni, che sc hạnno raluno de figliuo, li difertosi, o di poco
fennolo consacra no a Dio, essendo questo il sacrificio apo punto di Çaigo ,
che gli daya le vittiine più magre, e tanto maggiormențe chę essendo questi
turti suoi operarj? come volere, che poslano fervirlo bene, se non avranno
capacità sufficiențe di farlo? Mec, Sarebbero dunque, come quelle
vittime, che si offerivano agl'Idoli di Moloc, ed a quello di Sapurno dai
Gentili, che morivano nelle loro braccia jufocate senza esser capaci di alçro,
che di piançi. Sem. Se paluno & volçís'elimçre da qualunque impiego
per starsene senza pensare a cosa alcuna,che averò da fare? Pub. Coltui
bramerebbe darG all' ozio, e non è volontà di Dio, che stia l'uo l'
uomo ozioso leggendosi nella Geneli al 2. Pofuit eum in paradiso voluptatis, ut
operaretur, e se in luogo di delizie non volle , che stesse ozioso l'uomo ,
come lo permetterà nel mondo? quando allorchè ye lo pose gli disse : In Judore
vultus fui vefceris pane tuo, donec rever. teris in terram ; quale poi fa il
danno, che apporta l'ozio uditelo dall'Ecclefiastico al 33. Multam malitiam
docuit otio. fisas; e maggiormente questo può nuocere a chi hà beni di
fortuna', perchè essendo l'ozio il padre di tutti i vizj, che ne seguirebbe da
questo? Allorsi che la buona educazione gli gioverebbe poco; onde per ovviare a
ciò potreste farli suggerire, se bramasse entrare in corte ove fi sta per lo
più a sedere , gon si fatica, ne fi applica a cose di rilievo, discor, rendosi
bensì delle novelle della città, e del mondo,e li fà una vita neghittosa,la
quale farà facilmente confacevole al suo genio, e perciò, che la provasse un
poco: caso poi, che ricusasse questa ancora, allora vedete a chc aveffe genio,
e la. [ocr errors][ocr errors] sciateglielo fare, perchè sempre
sarà meglio, che faccia qualche cosa', che stia coralmente in ozio ; e tra
gl'impieghi onorevoli ci sono la pittura, nella quale alcuni malinconici i sono
con genio esercitati : il lavoro alcorno : il dar las vernice indiana , ed
altre cose simili , confacevoli a chi non voglia intraprendere affari di
suggezione, ed udite ciocchè consigliava ancora San Girolamo Epist. ad Ruftic.
Vel fifcellam texe junco, vel canistrum piecte viminibus ; più costo che ftare
ozioso. Sem. E se tal uno di essi volesse applicare a far negozj di
cambi, e ricambi, edsagl’affitci'de dazj, averò da permetterglielo? Pub.
Ci penserei prima d'accordarglielo; non solamente perchè nostro Signore Gesù
Cristo levò S. Matteo da far simili esercizj, mà ancora, perchè questi
impieghi, che mediante un fallimento, o altri accidenti del mondo ponno
scomodare di molto, non sono negozj licuri, anzi azzardolidimi in chihà da
perdere molto del suo ; che questo lo faccia chi poco può discapitare di
proprio gl’è tollerabile. Sem. Avendo taluno genio alla caval. lerizza, e
li dilettasse di mantenere più cavalli di quelli, che Geno necessarj,averò da
collerarglielo? Pub. Essendo tal genio diretto alle bestie, quando fi
eccedesse nel numero , o nell'amore verso di effe, non sarebbe tollerabile:nel
numero, perchè al parere del Petrarca: in Dial. de equo; Quot equorum mores
totidem equitum pericula; e nell' amore, perchè gl'uomini quantūque grádi, che
vi cadettero, furono di ciò biasi. mati; tra’quali Alessandro, Augusto, ed
altri. Quindi è, che faggiamente dispone il Deutero.al 17. Rex non
multiplicabit fin bi equos ; or dunque come potrà ciò permcttersegli, essendo
anche dispendioso? Sem. Vado or riflettendo come G rę. goleranno quei
figliuoli educati benc da Maestri,criusciti eccellenti nelle scienze, se non
averanno i Padri attcari, e 'capaci di dar loro direzioni buone in [ocr
errors] j tempo, che debbono prendere stato : © che faranno ancora quci
nati da Padri poco nobili, e meno ricchi,effendo d'uopo riflettere a tante cose
per accomodarli bene? Pab, La gran providenza di Dio supa plisce a
questo; effendoche : bong menfi fuccurrit Deus,Allorchè questi faranno divenuti
capaci,cd abili, da loro medesimi comprenderanno qual ha il volere Divino, ed avanzandosi
colla loro prudenza giugneranno felicemcate fin dove Iddio averà disposto, che
arrivino. Sem. Io sono rimasto sorpreso allo volte nel vedere cerți mal
educati, e poco dotti , ed anco per vie indirctte , giu. gnere a gran posti; ed
altri, alle volte quanrunque di vita esemplarc, meritevoli, e capaci, rimanere
indietro, Pub. Questo ancora è un arcano della Providenza Divina ;
posciachc essas I tollererà , che caļuno s'avanzi per queste ich vie; mà che ?
vedendosi questi nell'au, ge delle loro fortunc cadere a terra, çi i fa
credere, che senza il Divino ajuto for [ocr errors][ocr errors][ocr
errors][ocr errors] formino la statua di Nabucdonosor, 12 quale mediante un
picciolo falsolino s' atterra, come appunto provò Sejano. I E quelli poi, che
rimirate non avanzarsi, avendo merito, Iddio conosce, che quel posto,che voi
credere, che compete. rebbe loro, e non lo conseguiscono, non fàrà per
loro,effendoche, oc'incontrerebbero delle disgrazie, o pur sarebbe dannoso alla
loro eterna salute, e di quefta verità non dubiterere punto ; perchè alle
volte: honores mutani mores, ondes chi sà, che in questi non seguisse cosi? se
volete udire altre ragioni sopra di ciò leggete Seneca che tratta diffusamcnte
di questo nel libro:quare bonis viris mala accidant cum fit Providentia .
Sem. E che dice di più di questo? Pub. Tra le altre cose urili dice la
Pro. videnza Divina a coloro, che di ciò si prendono rammarico al cap. 6.Quid
habetis quod de me queri pofitis vos, quibus recta placuerunt? Aliis bona falsa
circum. dedi , animos inanes velut longo , falla. rique fomnio luff, Auro illos
, argento , ebo [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
ebore ornavi: intus boni nibil eft . Ifti quos profęlicibus aspicitis fi non
quâ occurrunt, sed quâ latent videritis, miferi sunt , fordidi , turpes ad
fimilitudinem parietum fuorum extrinfecus culti . Non eft ifta folida, sincera
folicitas: crufta eft, quidem tenuis . It aque dum illis licet ftare, co
ad arbitrium suum oftendi, nitent , da imponunt cum aliquid incidit , quod
difurbet; ac detegat , tunc apparet quantum alta , ac veræ feditatis alienus
Splendor absconderit. Vobis dedi bona certa, manfura quanto magis versaveritis
, & undique inspexeritis,meliora,majoraque permisi vobis , metuenda
contemnere , cupienda fastidire. Non fulgetis extrinfecus : bona veftra
introrsum obverfa sunt . Non egere feu licitate fęlicitas veftra eft.
Ferte fortiter, bc. · Sem. Sin ora abbiamo discorso intorno al modo da
provederli senza soccorrerli di proprio , vorrei , che ora m’ istruiste come mi
doverò regolare con efli loro nel sovvenirli, vivendo io, e dopo la mia morte
? Pub, [merged small][ocr errors] Ec 3 Pub. Questo è un
prudente quesito, e dev'esaminarsi seriamente, dependendo da questo il
mantenimento ancora della buona educazione acquistata ; posciache bene spesso
conforme diffe Tacito: felicitate corrumpimur. Sem. Come dunque mi dovrò
regola. re coll'ammogliato ? perchè non vorrei pensare al suo mantenimento ,
fentendo giornalmente molci dolersi de loro Pa. dri, che non li provedono in
tempo opporcuno di quanto fa loro bisogno; oltre di che sò ancora, che così
pensa mio Padre trattarmi. Pub. Voi dovrete affegnargli unas convenevole,
c fufficient entrata, che pofsa baftare per il suo mantenimento ; con questa
considerazione di vantaggio di accrescerla, secondo che anderà mul. riplicando
la famiglia. Sem. Mà non averà d'avere qualche cosa di vantaggio del
bisognevole? Pub. Qualche cosarella credo anch' io di fi, perchè accadono
alle volte certe spefarelle impensace, alle quali nonfi farà dato il suo
equivalente assegnamento; mà per altro non debbono i buoni Padri di famiglia
essere molto generoli co'suoi figliuoli ammogliati. Sem. E per qual
cagione? Pub. Perchè dagli affegnamenti soprabbondanti ne nascono il
lusso, las crapola, e cento altri vizj. Sem. Mà se farà ben’educato non
caderà in questi trascorsi . Pub. L'essere ben’educato opererà , che
questi non si dolga del conveniente, e giusto assegnamento fattogli da suo
Padre ; mà per altro fate, ch'egli si ritrovi denaroso, troverà ben più d'uno,
che gli li porrà d'intorno per farglielo spendere in cose voluttuose, onde
toglieregli affatto l'occasione di far questo, che vivererc voi più quieto , ed
egli più fano Sem. Si dovrà quest'ingerire nell'amministrazione
dell'azienda ? Pub. Anzi sarà necessario, che lo facciate istruire in
tutte le cose, dovendo egli, non solamente dopo la vostra mor [merged
small][merged small][ocr errors] te reggere la casa , mà eziandio se mai per
disgrazia voi v'inabilitaste; o pure per la soverchia età volerte attendere
alla quiere. Señ. Ed agl'altri figliuoli dovrà farsi assegnamento per
farli vivere da se ? Pub. Questo nò: li doverece bensì voi provedere di
quanto farà loro'bisogno, al più, che vi potreste stendere; sarebbe d'assegnare
loro un tanto per vestirsi, con qualche cosarella di più, mà non già con
prodiga mano ; perchè l'abbondanza del danaro è la rovina dei giovani, anco ben
educati, e credetemi, ch' io sò qualche cosa in questo particolare, e Mecenate
ne sarà tal-volta informato più di me. Mec. Voi dire la verità, poichè se
un figliuolo di famiglia maneggierà danaro, sarà corteggiato da più d'uno, e
tentato da questi a prendersi divertimenti d'ogni genere, dove che se non
averà, questi Teduttori faranno come le formiche, che non li accofano ove gon è
grano ; come dille Ovidio. Hora [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] Horrea formicæ tendunt ad inania nunquam Nullus ad amisas currit
amicus opes. Sem. Guadagnando taluno di questi, dovrò continuare a fare con
effo lui quello, che fo con gl' altri? Pub. In questo caso voi potreste
fargli da economo , affinchè non ispregasse, con rinvestire in faccia sua i
suoi guadagni , per animarlo ad accrescerli; ed infieme, per eccitare gli altri
fratelli ad imitarlo; e continuerete voi a mantenerlo, essendo la casa non
bisognofa ; mà se non bastassero l'entrate al comune mantenimento, il figliuolo
bene educato spontaneamente vi soccorerà col proprio guadagno; non potendol
prevalere del consiglio di Solone, come riferisce Plutarco: che solamente i
figliuoli, abbandonati da loro Padri, non fossero tenuti, allorche questi
avessero avuto bisogno di esser soccorsi da figliuo, li, efli
didarglielo. Sem. E se uno de miei figliuoli foffo; destinato a qualche
giverno, o 'alera [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged
small] ca. [ocr errors] carica dispendiosa,per servigio del
Prencipe? Pub. In questo caso,Sempronio , con. verrà,che voi facciate
tutti li sforzi por. fibili in soccorrerlo, anche oltre il bisognevole:e per queste
cótingenze debbo. no i buoni Padri avere cumulato danaro per prevalersene, e
non bastando, pofsono anche fare debito; perchè questo si chiama rinvestimento,
che a suo tempo, oltre il decoro , recherà anco utile alla casa. Sem.
Vediamo ora come dovrò lasciarli dopo la mia morte, ed in primo luogo come
averò da contenermi coll' ammogliato; se lasciarlo padrone libero, o
usufruttuario con fare la primoge, nitura ? Pub. Lasciandolo voi, che sia
arrivaco in età affodata, e senza vizj, attento alla casa, e versato nel
maneggio di effa, potreste anche fare di meno di legarlo con fidecommisso; con
tutto ciò, perchè non potrete sapere i naturali de' figliuoli, che da esso
nasceranno, e se [ocr errors] e se sarà in tempo, per qualche
accidca: te di poterlo far esto, non sarebbe male d'istituirlo, con lasciare ad
esso qualche porzione libera, per fargli conoscere, che non diffidate della sua
bontà, ed at. tenzione in moltiplicare la roba. Sem. Ed agl’altri, che
dovrò lasciare Pub. Un Ogorevole mantenimento per potere decentemente vivere
fecon. do la loro condizione, ed a colui, che foffe capace di avanzarsi nelle
cariche, qualche cosa libera per poterlenc prea valere ne'suoi urgenti bisogni
, quando le averà ottenure ; må dite che farefta di vantaggio voi, Mecenate
? Mes. Avendo veduto , che alcuni apa pena eftinti i genitori ,
quantunque fora to la loro dirczione foffero ftati mode tariflimi in
tutto, pull adimeno pelle o pompe funebri, clutto incominciarona di a slargarli
in modo, che non mostravano o essere più quci di prima , cosi ben disci·
plinati nella parhimonia ; questo dico mi o farebbe, avendoqualche rimedio,
acciocche non foffe in tutta libertà loro di manifestare quel ge nio ch'era
quando vivevano i padri fie mulaco,a fine di precluder loro affatto la via di
darsi all'eccessivo lusso. Pub, Sapete pure quanto sia difficile il
volere regolare le cose canto al minuto dopo morte ? e quante disposizioni si
fanno, che non fi osservano dagli eredi? or come potrete far mai, ch'elli
allora fieno buoni economi di quello, che non è più vostro? Mec. Tutto va
bene, mà però certe cose possono farfi eseguire anche dopo morte , perchè li
dispongono in vita, ed allor'appunto, che sono proprie; onde perchè non le
potrei conseguire difpo. nendo, che si dovesse ogn'anno rinvestire una parte
dell'entrate, la quale io credelli soprabbondante al loro decente.
sostentamento? Pab. E che pretenderefte farne di tal vincolato
investimento? Med. Vorrei che dovesse servire per dotare le figliuole ; e
credetemi, che que [ocr errors] [ocr errors] queste doti d'oggidì,
che sono divenute eccessive, sono la rovina delle care, onde quando queste non
si dovessero linen. brare da' capitali mi persuado, che sarebbero esenti dal
deteriorare per questa parte. Farei ancora assegnamento maggiore a Cadetti, di
quello, che alcuni costumano di fare, e particolarmente a quei, che sono ben
incaminati per la strada della letteratura, o militare, non servendo questo
scarso, ed insufficiente assegnamento ad altro, che a fare maggiormente
spregare a primogeniti, godendo più grosse rendite del loro bisogno con
pregiudizio de progressi altrui, perchè in sostanza tutti debbonli, e gualmente
considerare per figliuoli, e fenza demerito alcuno dell'amore paterno
portandoli tutti seco rispettofi. Sem. Voi Mecenat vorreste reftringere
tanto i poveri Primogeniti, che poco rimarrebbe loro per vivere, perchè una
parte dell'eredità paterna la vorreste porre a moltiplico, ed oltre di
questo pre [ocr errors][ocr errors] pretendere ancora di accrefcere
gli assegnamenti consueți de Cadetti;onde stencerebbero i poveri Primogeniti a
vivere anchę mediocremente, Mer, lo non hò preteso di appor. car ļoro
danno alcuuo, ma bensi più fofto giovamento, liberandoli dallas penosa briga di
dover pensare alle dori delle loro sorelle, e figliuoic, facendo trovare queste
pronte in tempo , che ne potranno avere biso, gno, Şem, Sę tante
deligenze si dovranno praticarç per li figliuoli ben educati, e dosti , che
doverà farsi per quei , che non si farango approficcati nell'educa, zione, e nelle
scienze Pub. L'esaminaremo ia appreso, SON [ocr
errors][merged small] Come debbano i Padri regolarsi nel provedere i
figliuoli ignoranti, ç yiziosi, Publio , Sempronio , Mecenate
, & Medico. [ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
Pub. Alomone non solamente notificò il giubilo grande,che godono i Padri
allorche vedono i lo ro figliuoli ben di. sciplinati , come al 23. dc
suoi Proyerbj dice ; Exultat gaudio paser jufti : qui fapientem genuis lætabitur
inco; Må eziandio espresse il rammarico, che ne hanno quei , che li vedono
viziofi al decimo ferrimo ove dice ; Ira patris filius ftultus, dolor
matris, qua genuit eum. Quindi è, che è, che l'Ecclesiastico al 16.
conchiude: Utile eft mori fine filis , quàm impios habe re. · Sem.
Questi cattivi , e viziosi forse non averanno avuto dircttori nei loro teneri
anni, che gli abbiano ben'educari. Pub. Ci sono di quei, che l'ebbero an.
cora, e pure da essi niun giovamento ne riportarono Sem. Come è possibile
questo? Pub. Dovete voi sapere, che quando il vizio è radicato nel cuore
de figliuoli, e che di la si propaga al capo, ardua impresa fi renderà il
poterlo svellere, perchè fi rende allora effo quali padrone della volontà
? Sem. Mà perchè questi non possono. coll'educazione estirparsi dal cuore,
e dalla mente quando di effa fi foffero impoffesfati ancora è Pub. Ardua
impresa, come disi farà prenderla con vizj chiamati da Salomone nelle sue
Parabole al 2 2. Stultitia colligata in corde pueri; e tanto maggior. io
figliuoli, pensare allnde mente quando chi n'è contaminato non coopererà
ancor ello per rimuoverli? Sem. E come potrà farac di meno, avendo avanti
gli occhi canti buoni esempj, ed udendo saggi documenti , e ragioni
convincentisfime ! Pub. Si trovano questi talmente accecati, e sordi, che
non veggono, nè capiscono nè esempj, nè ragioni ; e queIto nasce ancora dal
loro naturale , egenio perverso, che in vece di apprende. re, e vedere con loro
profitto li fà porre in deriGone quanto odono, e veggono, come saggiainente
insegna Salomone al 15. de suoi Proverbj: Stultus irridet disciplinam patris
fui, qui autem cuftodit increpationes astutior fiet. Sem. Questi genj
perversi donde nascono ? Pub. Dalla poca cognizione dell'onefto, e del
vero bene , e da questa deriva, che credono ogni qualunque cosa, che appag! la
loro volontà, per onesta, quautunque sia detestabile, ed avendo, fatto in tal
falfa ccedenza l'abito, quc FF Ito [merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
Ito palsa in naturalezza, e genio, per es. ser divenuta la loro fantasia quasi
consimile a quei cristalli con artificio lavorati, che fanno comparire le cose
proporzionate,e belle per i isconcie,e le íconcie per belle , e proporzionate
. Sem. Indicatemi ora qualcuno di que. Iti vizj tanto perversi.
Pub. Se voi scorgerete in un fanciullo certa crudeltà ferina, qual fù di colui,
che con un ago cavava gli occhi a cerci uccelli : d'altri che feriva col
coltello, o bastone il compagno, e scorgendo sgorgare sangue maggiormente s'infieriva:
o pure una certa inclinazione a trafugare, e nascondere cose non comestibili ,
prese anco da qualche scrigno: l'essere pertinace, e perseverante nel non dire
mai verità, e fare qualche danno per imputarlo altrui; overo quantunque
corretto,e gastigato più volte il continuare tuttavia a non volere apprendere
cose di Dio, con avere dispiacere di sentirne anche parlare ; imparando ben
l'altre dannose al buon costume : non rispettare [ocr errors] i i
genitori , anzi beffeggiarli di più quanworld do sono da elli correcci; e tutti
questi di fetti crescendo esli negli anni vedendosi avanzati più rosto,
che diminuiti, credete pure, che limili vizj sono già divenuti padroni del
cuore , e della volon. tà. Mec. Vi fù uno di questi, che in età di cinque
anni ammazzò con coltello un fuo compagno, e non essendo capace, i
per essere di sì tenera età, di gastigo, o proporzionato a tal'eccesso,
commesso anche con crudeltà per li rinovati colpi, a che gli diede,
fu fatto caftrare in pe na da quel Prencipe dominance, dicendo egli, che
non voleva razza di simili fiere nel suo dominio . Sem. Mà hò udito
riferire più volte, che pur si rendono máfuete le fiere ache o più crudeli;
com'è poflibile dunque, che questi, in qualche modo, dall'industrias
umana non si possano domare? esaminiamo di grazia, se vi poress’essere
qual che rimedio, per rendere mansueci anco o questi, o pur datemi sopra
cio, per mio Ff 2 re regolamento, qualche buon consiglio ;
perchè , fe Iddio per gastigarmi mi desse un di quefti figliuoli, io sarci il
più infelice uomo tra tutti i vivenci. Pub. Lo credo, e perciò bisogna,
che cominciare da or'a supplicarlo, che non vel dia , ed essendo egli sì
misericordio. fo, potrete dopo reiterate preghiere an. che sperarlo ; e voi,
Dottore, avete alcun rimedio di quelli, che chiamare eradicativi per isvellere
questi vizj? Med. Se non foffero cotanto radicati spererei disì, mà farò
qualche studio particolare , anche intorno a questi, per vedere se G trovasse
alcuno specifico, almeno, che potesse minorar loro tant' orgoglio , Pub.
Se si trovaffe questo sarebbe gran vantaggio ; perchè allora coll'educazione li
potrebbe fare qualche cosa di più, se non in cutti, almeno in alcuni di esli ,
onde pensateci seriamente, e fare qualche sperienza tractanto , per riferire a
suo tempo ciò, che averete ritrovato giovevole. Sem. [ocr errors]
. Elio Sem. Mà intanto insegnatemi almeno แบ่ง quello, che li potcffe fare di vantaggio
11 nell'educare questi, perchè poi, che averà ritrovato qualche rimedio
il Dotcore, mi informerà di quello. Pub. Se fi potesse discernere in
tempo, che prende il latte quel figliuolo,in cui la crudeltà volesse fare
progresi, la prima cosa che farei, sarebbe, di mutargli la nutrice, se fosse
donna risentita , e tiera, ed in vece di questa gli farei dal Dottore scegliere
un latte di balia pacifica , e femmatica; effendocche di ciò me ne porge morivo
quello, che seguì all'Imperatore Commodo, il quale per essere stato nudrito da
una donna rifen tita, e barbata come un uomo , data* gliela affinchè
diveniffe generoso; mà in vece di questo divenne un gladiatore ,
per non dilergarfi di altro, che di sangue, j e di caroificine, ed hà ben
creduto talun che appunto detta balia fosse figliuola di gladiatore. Med.
Olrre lo sceglierla proposito,fi potrebbe anch'essa far nudrire di erbe,ed
altri cibi di tenue sostanza, e toglierle ache affatto l'uso del vino, e
slattato che fosse il fanciullo converrebbe non fargli gustare, ne vino, ne
carne per alcuni anni; mà è cosa difficiliffima, per non, dire impossibile , a
conoscer quisto ne? bambini. Sem. A questi sarebbe bene, fin dalla tenera
età cominciare ad usarglı gran rigore per vedere di domarlo? Pub. Se si
verificasse realmente che le vespe muojono nell'olio, e risuscitano
nell'aceto,converrebbe,per estinguere vizj li perniciofi, valerli più costo del
dolce lenitivo, che dell'afpro pungente; contuttociò per assicurarsi meglio
con. viene regolarfi secondo gli effetti, che produrranno in loro i gastighi ;
essendoche xlcuni fanciulli nella tenera era acora s'infieriscono allorchè fi
veggono perciotere colla sferza, onde senza pro ditco alcuno questi di
batterebbero, come insegnò Salomone : ne suoi Proverbi al 27. fi contuderis
ftultum in pila quafi pofanas feriente de super pile, non aufes retur ab eoftultitia
ejus Semo erli che Sem. Ponendosi questi per la buona via , con
deporre gran parte della loro fierezza, si potrà sperare, che divengano
buoni? Pub. Dee sempre temersi, che possano ricadere nel medesimo
eccesso, non potendosi ne anco alle bestię togliere af. fatto la fierezza
nativa, quantunque mostrino essere divenute mansuete. Mec. Riferirò a
questo proposito ciò che seguì di un Leone : questo era divenuto apparentemente
fi mansueto,chę girava per tutta la città senza recare molestia ad alcuno; mà
abbattendosi un giorno in un macellaro , che portava sulle spalle un gran pezzo
di carne , se gli avventò alla vita, lo ferìgravemente colle unghie,e se non
era pronto a dargli la detta carne,l'averebbe anche sbranato. Così mostrò la
sua fierezza , che teneva di anzi celata. Sem. E quelli , che mostrano
inclinazione al furto ? Pub. Questi ancora, se Iddio non gli ajuta',
termineranno malamente la lor [merged small][ocr errors] Ff 4
loro vita; effendo cosa assai difficile, per non dire impoffibile, il poter
svellere af. fatto tal vizio ; perchè quanrunque alcuni non siano forzati dal
bisogno, las cattiva loro inclinazione li porta a rubare, Sem. Si possono
questi gastigare colle sferzate ? Pub. Così fi dee fare, perch'essendo
vili di natura, enon superbi come i primi , dalle percoffe possono ricevere
profitto,almeno in aftenersene per qual che tempo. Mec. Abbiamo
l'esempio di colui , che condannato a morte per ladro, conducendosi al paribolo
fè premurofiffima istanza di rivedere sua Madre, ed oricnura che l'ebbe,
avicinoffi tanto ad essa, che coi denti le svelre un orecchia, dicendole: per
colpa voftra io vado al paribolo, perchè, fe foffi ftato da voi ga. ftigato da
piccolo, non vedreste tale spettacolo, ne tampoco io soffrirei queIta ignominiofa
morte. Pub. E neceffario ancora condurli a 31 2 vedere far
giustizia, e con tal occasione insegnare loro qual gastigo meritano quei, che
rubano', e che in oltre sono semprc miserabili questi infelici, come ben
conobbe Salomone al is, de' suoi proverbj:Alii rapiuni non fua, & femper in
egeftate funt , Mec. Un simile obbrobrioso speccacolo indusse una volta
gran terrore ad uno quantunque ftolido mendico ; poscia che per essere stato
giustiziaco un monctario falso, aveva una collana appesa al collo di dette monete
falsificato da esso, e credendo il mendico, che per quelle monete foffe fatto
morire , al. lorchè taluno gli esibiva una moneta di argento, la ricusava con
allontanarli da eslo , contentandofi solamente di quelle di rame, che non le
aveva vedute appese in quella collana di vituperio. Sem. Mostrando poco
rimor di Dio , e meno rispecto a genitori? Mec. Questo appunto, essendo
il vi. zio peggiore di catti, diviene incorrig. gibile per opera
de'genitori. [ocr errors][ocr errors] Sem. E per opera di chi fi potrebbe
emendare? Mec. Polemone essendo giovane fu viziofiffimo a segno che si
portò un giarno alla scuola di Zenocrate, non già per apprendere da esso alcun
buon documento, mà bensì per disturbare più tosto quei, che aveano genio
d'apprenderli; avvedutofi di ciò il saggio filosofo, cominciò a favellare sopra
il vivere onesto, e li vantaggi, che da esso firiportavano, e con tali
convincenti ragioni , che rimase sorpreso il vizioso giovane a segno, che
abbandonò i suoi viziosi compagni per seguitare Zenocra. te, da i di cui buoni
documenti, u modo di vivere esemplare, si cambiò da peffimo , ch'egli era , in
ortimo, e da ciò ne deduco, che ancor voi non dovete indugiare un momento di
più, essendo il figliuolo in età capace, di non mandarlo in qualche esemplare
seminario , affinchè , co'i documenti, e colli buoni esempj apprenda , e miri
ciocche fare gli convenga; e proccuracedi non farlo tornare più a casa vostra,
se non averà mutato costume , e state ancor voi lontano da esso, mostrandovi
dif. gustato del suo modo di vivere'; e sapranno ben quei buoni' directori,
ayvezzi a domare fimiliceryelli, allertarlo al bene, e con modi più spedienti
correggerlo, e punirlo, affinchè li emen. di. Pub. Debbono parimente i
Padri ftare cautelati nel gastigare i viziosi loro figliuoli, divenuti
grandicelli, perchè fi potrebbe dare il caso, che questi sentendosi percuotere,
fi rivoltassero contro di effi , e li znaltrattassero ancora : Sem. Se
per disavventurà de poveri genicori rimanessero questi incorriggibi. li , che fi
averà da fare per provederli? Pub, Udite come mai parla bene a in questo
proposito l'ecclesiastico ál 22. Confufio Patris eft de filio
indisciplinato: onde come potrà mai in simile confun fione régolarsi egli con
prudenza! Certa cosa è, che per prender moglie questi non sono buoni ;
per Rcligios- neanco; . de [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] de maneggi della Republica non sono capaci; talmente che non sapranno,
che impiego potessero far loro ottenere. Sem. Perchè non sarebbero buoni a
prendere moglie ; pofciachè chi sà, che divenendo capi di casa non mettessero
giudizio ? Pub. A voi darebbe l'animo di convivere insieme con costoro,
se vi foffero compagni Sem. A me difficilmente. Pub. Or dunque,
perchè volere porli a convivere con una giovane senza fpe. rienza? ed a che
vica infelice fiespor. rebbe questa con marito si vizioso? E poi roi procurate
fare il poffibile per togliere da effo i vizj, e non essendovi ciò riuscito ,
pretendere forse far razza de suoi difetti In quanto poi, che il prendere
moglie li possa fare mutar coItume, non è credibile ; perchè, se Mulieres
faciunt prevaricari fapientes, che faranno a vizioli di questa specie? Ne fi
potrà persuadere alcuno, che questi tali non abbiano già provato le
dissolu., sez: [ocr errors][ocr errors][ocr errors] tezze di
Vegere, perchè i vizj al parere di Seneca non vanno mai foli; e se quem ste non
hanno moderato il loro orgoglio, che più potranno acquistar di buono
conginngendosi in matrimonio Il dir poi, che si prenderanno il pensiero dei
loro tigliuoli nell'educarli, questo è lontano dal vero ; perchè li vorranno
bensì allevare limili adelli, e quando ciò non riuscisse loro palcsemence,
mediante le diligenze usate in contrario dalle Madri, faranno il possibile
nasco, ftamente di conservare in effi, alincno in propri difetci, acciocche non
li dica, che non liano loro degni figliuoli; come ap parisce dagli esempj
dell'ubriaco, e de beftemmiatore riferici di sopra . Sem. E qualcuno di
questi perchè non si potrebbe indirizzare per la vian Ecclefiaftica Pub.
Peasate voi che questi abbias vera vocazione di caminare per queIta santa
via. Sem. Mà se G dichiaraffe, che a volesse indirizare per essa , e mi
pregafle, che [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors] che gl'impetrafli qualche pingue beneficio, averò da ricusare il farlo
2 Pub. Certamente che sì, perchè quefi farà mosso dall'intereffe, cioè
dal conseguire l'utile del pingue beneficio, non già dal servire a Dio, come
far dovrebbe ; onde farà non diffimile a colui, che brama prendere moglie, non
per il fine del santo Matrimonio, mà per l'intereffe della pingue dore, che si
ritrova colei , che vuole sposare. Mec. A proposito di groffa dote fece
una donna accorta una bella burla al suo futuro sposo: Ella era per verità
alquanto deforme, e perciò più d'uno dicca al giovane, che la voleva prendere,
il qual era molto bello, che l'aveffe rimirata meglio prima di sposarla,cui
rispondea, che li bastava di effettuare il matrimonio , per dare di mano alla
grossa dore , che aveva; per altro, che di tal moglie punto non si curava i Fù
ciò riferito alla giovane, la quale fe portare da una sua damigella, allorchè
fi dovea spofare, una grolla borsa di danaro in Chiesa, ed aspete
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors] aspettò , che il Parroco avesse domandato
allo sposo se la voleva,il quale udito ciò disse, senza indugiarvi punto: disi;
allora l'accorta donna si fe sporgere la preparata borsa , e tenendola nelle
mani, allorchè fu ricercata anch'essa del suo consenso, nulla rispondeva ; ne
fi sapeva che fine doveffe fare quella borsa; perchè il futuro sposo si
speranzava, che dovesse servire per un publico donativo per effo , ed i
Chierici, che fosse la mancia per loro : alla fine stimolata più volte a
rispondere ella disse; se questo fignore si è dichiarato volersi sposare collas
mia dore, questa, mostrando la borsa,essendo parte di essa, mentre non
risponde, è segno , che non lo vuole qual consenso dunque hò da dare io s'egli
brama la mia doce, e non già me? e così confuso, e mortificato partì il giovane
; onde non vorrei , che facesse il beneficio ancora il Gmile, di ricusarlo,
facendo con esso l'amore a cagione della sua dote. Pub. E poi dovreste
anche rifletreredi quanto scandalo sarebbe un ecclefiastico vizioso , dovendo
cgli essere lo fpechio de'buoni costumi; ne fperace , che questi,che si muovono
per fimile fine possano divenir buoni ; ponno divenire benli peggiori
impiegando il danaro sa. gro in cose viziose. Sem. E se caluno di questi
volesse applicarsi al governo della Republica, c chiedesse il mio ajuto,per
poter e ottencre qualche posto per via di favori, e di regali; perchè non ho da
compiacerlo? Pub. Questo ne tampoco doverete fare, perchè se fosse d'uopo
amministrar la ! giustizia,nó direbbe già egli quello, che diffe Giulio Cesare
: che per un Regno di poteva far torto alla giudizia, perchè lo farebbe per
assai meno, effendo ano che capace di farlo per sodisfare an folo de suoi
viz); onde tanto voi, quanto chi vi avesse contribuito entrerette a parte di
tutte l'ingiustizie, ed iniquità chia capace di commettere un vizioso.
Sem. Che dunque doverei fare , per non vivere da disperato , quando avelli
alcuno di questi? Pub. [ocr errors] Pub. Mandarlo alla guerra per
fargli provare come Gi vive, cd alle volte qucIta è l'unica medicina di
questi cali; perchè se fono fanguinarj possono faziarsi del sangue de nemici;
se attendono alla rapina nc'saccheggiamenti possono sodisfare la loro
ingordigia;se poco cimorati di Dio, e niente rispettoG a genitori, vedranno
quanto temere Gi debba , e rispetrare un Capitano quantunque non gli abbia
creati, o generaci; onde poirebbe essere, che il Signore Iddio gli toccaffe il
cuore, e facesse comprende, re, che se tanto li fa per un uomo , quant. to di
più fi doverà fare per Iddio, e per chi lo gencrò !e sappiate , che dalle lega
gi di Mosè venivano questi condannati ad esser lapidati dal Popolo, come nel
Deuteronomio al 21. Si genuerit homo filium contumacem, da proteruum, qui non
audiat Patris , aut Marris imperium, co coercitus obedire contempferit,
appraben. dent cum, ducent ad seniores civitatis illius, & ad portam
judicii , dicentque ad ços c. lapidibus eum obruet populus Civis Gg
tatis [ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors]
taris, ut auferatur malum de medio ucStric. onde in vece di vedere fimile
spettacolo sarà pur meglio mandarli alla guerra, la quale faggiamente fu difi.
nita: Infolefcentis generis humani tonfura. Sem. E se ricufaffe di andare
alla guerra ? Pub. E voi figuratevi, che vi sia già andato, e fatto
prigione ; onde rinchiudetelo in qualche fortezza : non avendo però commessi
ancora reati gravi , affinchè non siano puniti dalla giustizia con morte
ignominiofa; conforme qualche volta è seguito; e tenerelo ivi fin tanto che
camperere, che così farcte sicuro, che non commetterà gravi eccelsi, trovandosi
guardato, e custodito , Non bisogna però, che prendiate cal risoluzione a
sangue caldo, mà fateci matura riflessione : c regolatevi ancora col consiglio
di qualche faggio , e buono amico, Sem. Per dopo la mia morte comes avero
da disporre le cose ? Pub. Pub. Con lasciare a cattivi figliuoli ma
solamente tutto quello, che non potrei te cogliere loro, non per odio
persona le; mà de loro vizjicon questa condizio. ne però , ch'effendosi
ravveduti, dopo un triennio di vita esemplare, poffino godere un tanto dei
frutti della vostra eredità; e perseverando nel ben operare abbiano ancora
d'avere qualche accrescimento maggiore ; qual perdano intieramente, ed
immantinente, ricornando a menare vita scandalosa. Sem. E se fingeranno
di essere divenuti buoni a fine di poter godere quel i frutto maggiore?
Pub. Non sarà meglio, che facciano così,che operino sfacciaramente male ? de
l'interno Iddio solamente lo rimira ; le l'esterno appena è palese a gli
uomini, i quali di questo solamente pouno appa- garsi; e poi vi è
stato qualcuno ancora , ch’hà incominciato a menar vita mi- gliore
, per conseguire qualche premio, che poi si è ravveduto da dovero.
Mec. Vi è l'esempio di quel Soldato, che [ocr errors][ocr
errors] bu COM [ocr errors] [ocr errors] che si racconra essere
stato convertito da S.Francesco Saverio : Questi era un pessimo uomo, ed
iracondo a segno, che non averebbc sofferta una parola anche indifferente, che
non l'avesse appresa detta per lui, e volesse anco vendicarsene . Le
ainmonizioni, ed esortazioni faccegli dal Santo nulla giovavano; alla fine li
disse mostrandogli una moneta di oro, se voleva guadagnarsela rispose
francamente di sì : or sù dunque replicò il Santo venire meco , e giriamo
d'incor. no l'esercito ; Io la porterò in mano, affinchè la miriate, e voi non
avete a fare altro, che di sopportare con pazienza quello, che udirete dire
contro di voi. Fù dato principio alla grande ope. ra,ed egli rimirando con
occhi tifi l'oro, si rideva di quanto male udiva contro di sè, e cerininato
felicemente il giro, guadagnò il premio. Allora il Santo tiratolo da parte gli
disse: figliuolo mio per una si vile mercede voi avere potuto sopportar tanto,
e per un Dio non poteie sofferire una minima particella diquesto ? il Signore
Iddio in quel punto $ gli toccò il cuore , e fi ravvide per sempre. Sem.
Mà se poi i difetti de' figliuoli non fossero gravi a questo segno, e fos. sero
di quelli, che pure non disdicano ganto, per essere divenuti ormai familiari,
potrebbero con questi proporsi a sudetti ministeri, ed impieghi ? Pub.
Spiegatevi apercamente, quali voi intendere per questi vizj familiari?
Sem. Per esempio se caluno di esli avesse principiato da 14: 0 15. anni a dimorare
la maggior parte della notte fuori di casa, e quancunque suo Padre l'avesse più
volte ammonito, che non lo facesse , ed effo ciò non oftante continuafle ;
contraeffe debiti; e perchè è figliuolo di famiglia, non potendosi obbligare,
facesse obbligazioni dette pagherà. con grandissimo difcapito, senza data ,
per firmarla dopo la morte di suo Padre; ed altre cosarelle non tanto
familiari; come dir male del profimo , di mancare alle volte alla parola data ;
ne ga: [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors] GS 3 [ocr errors] gare ciò, ch'egli averà avuto; e se riyscirà ,
di gabbare il compagao nel giuoco; con altri piccioli vizj di questa
forte? Pub. Cofarelle, piccoli vizj voi chiamate questi! E non
riflettere,che quando il giovane li sarà abituato in questi ugua. glierà egli
taluno de vizioli di primo rango: ad uno che sarà avvezzo la
maggior parte della notte dimorare fuori di sua casa, e sarà giovane, voi
volere impetrare beneficj Ecclesiastici, ed im. picghi gelosi della Republica ?
Và forse a studiare in quelle ore, o a farsi la disciplina negli oratorj,
quando i studj, e questi sono ferrari ? e come vi persuadete, che possano
adempire l'obbligo loro, effendo scarf di dottrina , e di buoni costumi, ed
applicati a cose, in cui per la meno inutilmente si perde il tempo a e fatta
che averete rifcllione agli altri loro vizj, che avete apportati ;
consigliatevi colla vostra coscienza se lo potrete fare : mà esaminiamo di
grazia donde ciò proceda, e se sia solamente colpa de figliuoli canto deviamento.
Sem. [ocr errors][merged small] Sem. É' loro certamente; perchè hò
sentito lagnarsene i Padri di questo, col. le lagrime su gli occhi. Pub.
Questo fu il pianto del coccodrillo, che piagneva il suo figliuolo allorchè lo
aveva ucciso: come si sono portati questi Padri nell'educarli? Sem. Certa
cosa è, che tante diligenze, quante ne hò udite nelle nostre conferenze,non le
han faute. Pub. Or dunque, se non gli hanno educati bene, a dolgano della
loro trafcuraggine, perchè viziosi li vollero efli. Sem. Mà che averanno
da fare ora? Pub. Questa penitenza appunto, che Iddio manda loro;di
sopportare figliuo. li viziogi . Sem. Ci sarà pure qualche rimedio?
Pub. Ciè certamente, ed è questo; di fare alli piccioli nepoti ciò,che non
fece. ro a loro figliuoli, cioè di educarli bene; perchè altrimenti, non
essendo capacii loro Padri di fare questo, i vizj non li fyelleranno mai dalle
loro famiglie: Sem. Voi diceste,che questo cocchi al Padre,
Pub, [ocr errors][merged small][ocr errors] Gg 4 Pub. Sibene quando
sia capace di farlo, e vi pare , che questi viziofi fiano abili ad educare i
figliuoli a suo dove-' re? Il loro mal esempio come permetterà, ch'essi
apprendano le virtùd Onde quantunque schiamazzino alle volte redendo i loro
figliuoli viziosi,č incerco se lo facciano per zelo di amore, o per invidia ,
perchè non possono essi più con. tinuare fimile vita rilassata essendo
vecchi. Sem. Io hò cap to a bastanza , ed ora compreоdo la cagione;
perchè nell'universale non si possono affatto estirpare i vizj, mà voglio
approfittarmene per casa mia, per non avere anche io a fare il pianto del
coccodrillo. Ma le povere figliuole come si doveranno provedere? essendo gran
disgrazia loro, quando capitassero in mano di simili viziofi. Pub.
Esamineremo anche questo , nà non è ora tempo ; perchè richiede affare si
rilevante lungo ragionamento. CON [merged small][merged small][ocr
errors][merged small] [ocr errors] Pub. Onfesso ingenuamente che non séza
rigione alcuni Pa. driffi contristano ál. lorchè nascono tan, co loro
figliuole ; perchè il penfare a collocarle bene non è piccolo intrico,
chiamandoli questo affare dall'Ecclefiaftico al 7.opera grande dicendovi: Trade
filiam, & grandes opus feceris, o bomini fenfato da illam; posciache
saranno state educate alcune di effc col timore di Dio, senza lusso ,c vagità,
modeste comc fi dee, istruite inquanto è necessario per il buon regolamento di
una casa; mà che servirà loro tutto questo , se capiteranno in mano di un
marito imprudente , vizioso, ed indiscreto! e fimile appunto a quello , ch'
ebbe quell'innocente Giustina , il di cui Epitatio sepolcrale è questo.
Immitis ferro secuit mea colla mari. [ocr errors] Dum propero nivei
folvere vincla pedis Durus, ante thorum , quo nupér nupta
coiur, Quo cecidis noftrę virginitatis honos. Nec culpâ meruisse
necem bona Numina testor, Sed jaceo fasi forte perimpia mei Discise
ab exemplo Juftine , difcite pa. tres Ne nubat fatuo filia
veftra viro. Or vedete Sempronio, che gran facenda è questa ! Mec. La
conobbe afrai bene Democr. appresso Stob. dicendo: Qui bonum generum nactus eft
invenis plium, qui verò, malum, fimul & filiam perdidit: quindi è,
che [ocr errors] che saggiamente fù conligliato da Temiffocle quel Padre,
che desiderava das effo fapere , cui dovesse dar per moglie l'unica sua
figliuola; se al dotto povero, o al ricco vizioso, replicò egli a mè aggrada
più l'uomo, che ha bisogno di ricchezze, che le ricchezze , che hanno bisogno
di uomo : come dice Val. Mas. Sem. Mà quando si sono fatte le dili. gen ze
necessarie, e fiè già rincontrato, che sia imprudére, e vizioso chi la vuole
perché non si esclude fimile soggetto ? Pub. Se voi sapeste quante
fraudolenti manifatture Gi fanno, per avere unas giovane savia per moglie,
stupireste; anzi quante più d'imperfezzioni hanno i giovani, che vogliono
accasarli seco, tanto maggiormente queste si adoperano, tanto si fa,che alla
fine riesce fimile facenda. Sem. Mà chi sono questi, che faranno tante
manifatture , non essendo capace un fimil giovane di farle ? Pub. Se non
sarà cgli, saranno ben’i suoi congiunti , i quali raffidati, che per [ocr
errors] [ocr errors] Il fingo della futura sposa cffo possa divenire saggio,
tanti ponti di oro le faranno , che alla fine caderà a dire di sì. Sem.
Mà i genitori come lo permetteranno? · Pub. Saranno ancora effi sforzati
a chinare la cesta, quando colla linguas non poteffero arrivare a proferire
quel doloroso sì. Sem. Saranno dunque anche i suoi genitori poco
prudentia Pub. Oh bene : non fiete voi ancora a pieno informato dal
mondo; mà ne ben Mecenate. · Mec. Ne sono pur troppo, anzi fono arrivato
a conoscere , perchè fi dica insa geniofus amor; avendo scoperto, che amore
aguzza l'ingegno de fuoi fenfali, e rende anche artificiofa la lingua alla
menzogna . Sem. Mà che potrebbero fare questi, quando il Padre steffe
faldo in non volergliela dare? Mes. L'ingegno agguzzato fi ferve
dell'autoricà, e la dispone in modo , che [ocr errors][ocr errors] niuno
più degno di merito si affacci a chiederla, per rispetto di colui, col quale si
tratta : e sapere pure, che in questi cali, per non fare inimicizie, non li
vicne mai alla negativa scoperta , potendovi costringere ad addurre un
ignominiofa cagione,per cui far non si vuole: Siprude bensì un mezzo, termine,
quale è che la giovane pensa di farsi monaca; laonde in questo mentre dal
sudetto pretendente fi fanno affacciare tutti li peggiori, ed i più scapestrati
giovani, che siano nella Città a chicderla,e cutci inferiori di condizione ad
ello; talmente che il Pae dre , che la vorrebbe maritare, trovan dofi
annojato, alla fine li piega, per non che trovare soggetto migliore, che la
fac. i cia domandare : e tanto più, che si tro verà circondato da
consiglieri già guadagnati da chi la pretende. Sem. Sarà dunque peggiore
, e più id svantaggiosa la condizione della donna nell'accasarsi , che
dell'uomo. Pub. Non ci è dubbio alcuno, perchè l'uomo non è ricercato, ne
violentaco per [ocr errors] en [ocr errors] per parte della
donna, mà beasi effa da chi la brama. Mec. Può essere,che quando voi
prendeste moglie ciò non li coftumaffe ; mà ora posso dirvi di certo, che
questo li pratica, essendo seguito in persona mia, che ho avuto più d'una
richiesta fe.voleva accasarmi colla tale, senza ricer carla. Sem.
Or io quantunque non fia versato sufficientemente nelle cose del mon. do,
procurerei segretamente di trovare un giovane favio,quantunque meno ricco, e la
darei a questi; perchè sposata , che fosse,hò sempre udito dire, che: multa
facta tenent, così finirebbe ogni conresa. Pub. In somma in questi casi,
chi più sà, più s'inviluppa nelle difficoltà; onde alle volte riescono migliori
certe risoluzioni fatte senza tante rifellioni ; c voi Sempronio, non avete
detto male; mà non saprete già scegliere questo giovane savio così all'infretta;
converrà dunque che l'impariats, ed [ocr errors][ocr
errors] Ff 3 Ес Pub. . [ocr errors] 1 [ocr
errors] 1 Sem. Come si doverà dunque fare per conoscerlo? Pub. Il
Padre che ha figliuole da mai ritare dev'essere un Argo, per rimirare nel
medesimo tempo cento giovani, ed offervare i loro andanlegri. Mec. Oggidì
però non è necessario averne tanti ; perchè con soli due occhi moltissimi
difetti li possono ritrovare ne giovani, ed in breve; quantunque non corrano
quei calamitosi tempi, che accenna Giovenale alla satira 13. Humani generis
mares sibi noffe volenti Sufficit una domus , paucos confus me
dies, do Dicere te miferum poftquam illic vec [ocr errors] neris,
[ocr errors] Pub. Fatemi piacere dunque voi, Mecenate,d'istruirlo in questo
giacchè fiece più pratico di mè nel discernere i giova. nili mancamenei
correnti; perchè a tempo mio la gioventù viveva diversamen. te, e perciò fi
ftentava più in iscoprire i loro difetti. Mec. Lo faro, perchè non voglio,
ri CU: [ocr errors] cusandolo, che vi confermiate nellas credenza
di qnello , che di me sospettafte,che io fia nimico delle doone,poscia. chè io
ammiro la virtù in alcune di esse, e perciò non vorrei, che questa mancafse
affatto, abbattendosi in viziofi mariti: onde se voi, Sempronio,vedrere un
gio.. vane accompagnarfi, e conversare continuamente con taluno, conosciuto da
voi per vizioso y tencte pur ancor esso per tale, senza fare altra diligenza;
verificandoli quel proverbio:all'accoppiar ti veggio. Sem. E se fi desse
il caso, che questi non converfaffe con altri? Mec. Questo è difficile
oggidì, che fi conversa tanto; mà se caluno fuggisse le conversazioni,mirate
bene la sua firo. nomia, e se la scorgerete tetra , e inalinconica tenerelo
pure per uomo infociabile, e non senza i suoi difetti proprj; se poi foffe
allegro, disinvolto, e non converfasse oggidi con altri, formatene buon
concetto di esso; perchè lo farà a cagionc , che non troverà coma
pa de pagni bene accoftunati uguali ad effo. Sem. Vorrei qualche
altra regola,per meglio potermene avvedere ; perchè se non conoscefli per
viziofi quei, co’quali egli conversalle, potrei ingannarmi. Mes. Se voi
vedrete un giovane stare in chicfa con poca divozione, e discorserc ivi co i
compagni comc farebbe in piazza, questi farà poco timorato di Dio; se
frequenrerà le feste, cd i passeggi, e rimirerà con grand'arrenzione le donne,
in cui si abbaite, farà egli effemminato ; se dispreggerà i suoi compagni,
cvorrà avere sopra di essi una certa superiorità , farà superbo ; se li piacerà
vestire con pompa , sarà vanos se poi oggi dirà una cosa, c domane ne farà una
alıra, farà incostante; e finalmente se frequenterà i ridotti, ove si giuoca ,
gran genio egli avrà a questo vizio; in somma da se medesimo colle sue
operazioni manifeftcrà i suoi difetti. Sem. Starei fresco, se aventi
d'accomodare una mia figliuola in questi tempi, dovendo fare tante diligenze;
mi cor. H vers pa [ocr errors] verrebbe prendere la fantcrna
di Diogene, ed andare per la città dicendo: homi. nem quæro, e caminare più di
un giorno per trovare, chi fosse in cucco; e per turto, senza alcun de'detti
diferci. Moc. Mà chi non vuole affogarla , dee anche servirsi del
cannocchiale del Galileo,che scuopre le macchie del sole. Sem. Io mi
persuado, che se i Padri, c le Madri riguardassero al minuto curti i differti ,
pochi troverebbero moglie. Mer. Sarebbe questo la fortuna de i giovani;
perchè non trovandola allorsi che incomiacierebbero a spogliarfi do loro vizj,
ed in breve diverrebbero bene accostumari, ed a tale proposito posso riferirvi
ciò , ch'è seguito in una riguardevole città. Affinchè iCadetti andassero con
più fervore, di quello faccano , alla guerra, cominciarono le donnc a non
ammettere alle loro conversazioni coloro, che non avevano fatte almeno dues
campagne in gucrra viva ; conciofiacofache li reputavano vili, e codardi.Servi
tale renitepza di Aimolo grande a tutta la Die la gioventù per
andare alla guerra; segnoche pochi furono quci, che non Si seguitassero i
primi, che vi andarono: " or se una fimile ripulsa molte canti ad
andare incontro alla morte; dovrebbe certament’essere di stimolo maggiore, per
andare incontro alla vita migliore, quando questi non trovasfero inoglie.
Pub. Vedete voi,Semprouio,che sconcerti sono questi, di non potere con facilità
come prima trovare mariti a proposito per le figliuole, c.questo da che na.
sce, se non dalla cattiva educazione della gioventù ? rifecrcte dunquc
quano co debba premcre questo affare anco alla Repubblica, Sem. Io lo
scorgo molto bene; mà che fi dovrà fare ritrovandoci in queste an. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors] Mec. Quello che disse quel Filosofo, che presc
per moglie una donna allai picciola, allorchè fu interrogato, perchè l'avesse
scelta così, egli rispose : perchè del male conveniva prenderne il minore: il
fimile anche dirò io de'mariti difetto Hhafi; di prendere quei che hanno
vizj me. no considerabili , che fono appunto quelli che riescono men
disdicevoli alla condizione del galantuomo. Sem. Maritandofi dunque con
questi, che buona direzione doverà darfcle da genitori? Mes. Debbono i
genitori allorche le maricano non seguitare quel caccivo costume di alcuni ,
che le consigliano a farli rispectare, e ftare sostenute con tutti, di non
farli sottomettere alla prima, perchè diverranno, così facendo, infelicissime,
quantunque portassero groffa dote, mà le consiglino bensì nella forma, che
fecero i genitori di Sara, allorchè la consegnarono per isposa al secondo Tobia
con groffa dore; ed uditc ciocchè fecero Tob, 10. Apprebendentes parentes fo.
liam suam ofculari funs eam, & dimiferunt ire monentes eam, bonorare
foceros, diligere maricum, regere familiam, gubernare domum, da se ipsam
inreprebensibilē exhibere. Sem. E se un Padre avesse tre , o quattro
figliuole, che si volessero mari tare [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] tare cuite, chc dovrà egli fare, non efrendo molio ricco? Mec.
Maricarle , con dar loro quella dote più congrua, che può. Sem. Mà li
scomoderebbe troppo privandosi di sì considerabile somma di danaro, o quantità
di roba, che con. veniffe dar loro maritandole turce. Mec. E come
potrebbe farac di me00? Sem. Potrebbe farlo beniffimo con efortarlca fará
Monache. Mec. E se non Gi volessero fare? Scm. Non mancano modi al
Padre accorto, che ci facciago, o colle buones ocolle cattive. Mec. Padre
voi chiamare colui, che vuole sforzare la volontà delle figliuole? chiamatelo
Padrigao, non accorto, màcrudele; perchè qual delitto hanno queste commesso da
chiuderle in vitas. contro il loro genio? Sem. Come chiuderle in vita,
trattantandosi'di darle, e consagrarlo a Dio? Mes, Non si chiama darle a
Dio , [ocr errors][ocr errors][ocr errors] qualia quando la loro
volontà non ci concorra, nè consacrarle a lui, quando non ci sia il lor
consenso : questo li chiamná porle a penare continuamente, non avendole iddio
chiamare a questo stato : ( guai a quei Padri , che lo faranno, perchè del
bene, facendone tanto poco, che non basterà loro , punto non ne parteciperanno:
del male si che ne faranno partecipi di molto, essendo capaci di farlo,
trovandoli in iftato di disperazione. E fappiate, che mi fù riferito un caso
orribile di una di quelle, fatta Monaca per forža, la quale , quando ebbe
eseguito quanto defideraya il Padre, lo chiamò alle grate del Monastero, cgli
disse alle orccchie : fignor Padre or farcte conten. to, che mi avere levata di
casa.in que: fto mondo non ci rivederemo più ; må bensi nell' altro ed in
pellimo luogo, perchè ci danneremo ambiduc . E che vitupero è questo ; per far
godere i maschi, li hanno da porre in disperazione Je feminine? Se voi non
potere dar loro dieci mila sçudi di dorc, dategliene me no, [ocr
errors] cina no , ed acca sacele; quando volontaria. mente non siano
inclinate alla vita reli giosa. Non vi chiederanno già quel tal e giovane
per i sposo, mà vi faranno dire bensì, che la loro vocazione sarebbe
di accasarli . Starà dunque al Padre marii tarle a chi più gli aggrada ;
mà so ben io da che ciò procede. Sem. E da chc? Mec. Dall'eccellive
doti, che corrono, le quali oltre il dispendio,che apportano per le spese
grandi, che si richiedono allorchè â prendono, angustiaao ancora quando hango a
darli altrui nel maricarsi le figliuole. Sem. Or io non voglio
nell'anima. mia questo peccato ; fe li vorranno maricare cutte, le lascierò
mnaritare; mi diremi: che dote farebbe proporzionata, Publio ? Pab.
Quella , che fi foleva comune. mente costumare prima , che foffero inse dal
Prencipe , come già dicemmo ; e se [ocr errors] Hh 4 feaveste
da trattare co persone discrete, potreite anche di loro francamente, che non vi
curate di tanti lussi, e perciò volece dare quella dote, che si costumava in
quel tempo, che questi non vi erano: o fi contenteraano, e voi averete fatto
doppio negozio, essendovi anche accertato di appareatare con gence discreta , e
capace; se poi non lo vorranno fare , averete scoperto , che non sono a
proposito per vostra figliuola, volendo clli vivere con pompa , e lusso
eccellivo. Sem. Questa dote li dovrà consegnare libera ? Pub.
Questo poi nò; perchè potreb. be alienarli , c restare la voftra figliuola
indotata, Sem. E se non vorranno concludere il matrimonio fenza la dote
libera? Pub, E voi sconcluderelo affatto ; perchè è un pessimo segno,
quando si pretenda questo, denotando che ci sia bisogno in quella casa di
danari. Questo sì, che sposata che farà, consegnare allo fpolo quanto gli avste
prometo; perechè non porrere immaginarvi mai, quan. ti difturbi aascono tra
conjugi per quem fta benedetta dote promessa, e non pio gaca ; provando bene
spesso le povero mogli, per tal cagione, molti mali trace tamenti. Sem. E
se non mi trovali il danaro pronio? Pub. Prendcrelo più costo ad
interesse, e perciò i saggi Padri di famiglia sogliono essere buoni econoini,
con met. tere da parte ogni anno qualche fommi di danaro, per essere anche puntuali
allorchè locano le loro figliuolc; e fanno coato allora di fare vantaggioso
rinvs. Itimento. Som. Sarebbe dunqne bene, che s'iq. dutriassero i Padri
di famiglia coi trafichi, e s'impiegaffero con fervore in fare confiderabili
avanzi. Pub. Di far qucfto non sono cenuri in costo alcuno; bilta ch'elli
non fcia. lacquino le loro rendire, perchè li poslono anche fare avanzi
congderabili in questo modo , ellendo che: Parfimonias eft magnum
veftigab. Sem. [ocr errors][ocr errors] 1 [ocr errors] di
; Sem. Almeno lo doverebbero fare, avendone molte da maritare. Pub.
Neanco; perchè il buon Padre re, ed avendole educate bene,molti concorreranno a
prenderle, e con onesta doto,perchè porranno a cõro la buona educazione per
qualche migliajo di scudi, essendo realmente essa l'equivalente;onde
saggiamente diffe. Plauto in Aulu. Dummodo morata rectè veniat dotata
eft fatis, ed Orazio nell'ode 24.li: 3. Dos eft magna
parentum Virtus, metuens alterius oiri Certo federe caftitas.
Sem. Oggidi vogliono però dote, e non chiacchiare. Pub. Sì quelli
che s'innamorano della dote , o vogliono spendere più della loro pollibilità ;
quelli però, chcbramerango avere una moglie saggia, conlide. reranno in primo
luogo le sue buone qualicà, e di queste faranno maggior ca. pitale, che della
dore, la quale è mero bene di fortuna, dove che quelle, non fo
[merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] solamente non sono soggette
alle sue in- costanti vicende, mà sempre crescono di valore , onde
faggiamente Orazio eb- be a dire nella r. Epistola. Vilius argentum
eft auro , virsusibus au- [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Sem.
E se il Signore mi delle', in 32stigo de mici peccati, una figliuola
risentita', vana, pronta, loquace, contenziosa, che con tutta la buona
educazione non si fosse potuta mutare, volendo questa marito, che averò
da fare? Pub. Trovarle uno simile a Socrate, che fu li sofferente colla
sua dispetrosa Sancippe ; cioè a dire un giovane sodo , prudente, non iracondo,
mà soItenuto. Mec. Vi fu però quel filosofo,il quale diede una sua
figliuola simile a questa ad ug fuo nemico, e ricercato perchè avesse ciò fatto
, rispose : per gastigarlo : Sem. Doverò in quello caso conte. nermi
nella moderata dore ? Pub. Per levarvi di casa una figliuo: la di questa
forra, non dovete reftare per dat [ocr errors] . 492 Conf. 8. Deco
feconda la doro, perche date allo sposo un grande osso da rodere, onde, è di
dovere, che gli diate ancora un poco più di polpa, per consolarlo , cd a fine,
che ci abbia ancora un poco più di soff:renza. Sem. E se questa, la prima
volta , che contrastasse con suo marito, tornaflc a casa mia ? Pub. Voi
immediatamente dovete rimandarla a casa sua, senza darle alcun ricetto, e
sgridarla ancora; acciochè non fi avezzafle a farlo più in avvenire ; con dirle
apertamente, che colà hà da mori. re, perche se il Padre comincierà a dar. le
ricetto, è finira; ogni giorno seguirango'nuovi sconcerti, e perciò il Profeta
saggiamente disse: Obliviscere domum Pa. tris tui. Mec. Un saggio Padre
in fimile avveniincnto fè questo: Si portò egli medelimo colla sposa dal genero
, e gli disse. Per grazia vi chieggo, che per questa prima volta le perdoniate
per amor mio, nà se mai succederà cosa fimilc in avvemire, datele pure quel
gastigo, che vor. гс [ocr errors] rece; perchè io non intendo più
inters porre nè pur una minima parola a suo favore ; anzi che non la reputerò
più per mia tigliuola , trasgredendo i vostri, e miei comandi. Ella , che
credeva, che suo Padre fosse scco andato per isgridare fuo marito, perdè l'orgoglio
a segno, che in avvenire muco modo di vivere. Sem. Se avelli una
figliuola brutta, c mal fina, e volelle marito, che avcrò da fare? Pub.
Primeramente vi dovrete informare col vostro Dottore,se possano i suoi difetti
pregiudicarle nel pártorire, con porre a risico la sua vita ; accertato che
farete di questo , che non poffa seguire, maritätela pure nel miglior modo, che
potretc, darele anche buona dote per avere un uomo di propofito.
Mec. Vi fu molti anni sono una lice per cagione, ch'essendosi sposata senza il
consenso de suoi Genitori una giovane, perchè il di lei Padre pretendevas darle
la dote stacutaria, e lo sporo ne chiedeva di vantaggio ; essendo che oltre gli
altri difetti , che aveva era statas sempre senza denti : giunse queftas istanza
all'orecchie del Prencipe , il quale ordinò che fossero alla rolitas dote
accresciuti duc mila scudi di più , per uguagliarc i difetti, che aveva la
sudetta sposa. Sem. Mà se non si affacciaffe alcuno, che li voleffe, non
si potrebbe stimolare a farsi Monaca? Pub. Questo sarebbe peggiore
facrificïo dell'altre, che volevare dare a Dio, essendo stata rifiutata da
tutti gli uomini; e militando per questa ancora le medefine ragioni, non lo
dovete fare ; se non farà chiamata da Dio a questo stato; onde la potrete
tenere in casa vostra , e procurate, che ha servita più degli altri voltri
figliuoli:non dovendo voi permetrcre che all'interne sue imperfezzioni, vi si
aggiungano anco gli esterni (trapazzi. Sem. E con quelle che averanno la
vocazione di farsi Monache, come mi doverò contenere ?, Pub. [ocr
errors] Pub. Primieramente di far esplorare beo bene la loro volontà , per
accertarvi, le lia vera vocazione, c non disperazione ; perchè alcune in questa
cadono alle yo!ce, e precisamente quando non possono avere quel marito, che
bramano; e scoperto che ayerere, che siano chiamate da Dio,adocchiare tre, o
quat. tro Monasterj de più osservanti, į di diversi istituti, e fare ad
effe leggere le i loro regoles acciocchè sappiano ciò,che - doveranno fare ; e
dipoi dice loro, che fi scelgano quell'istituto,che piace loro, e fatele
pur monacare. Sem. Sarà bene di tenere loro una conversa per
forvirle? Pub. Sc alcuna fosse stroppia, venendole permesfo,fatelo, per altro
non inno. vate cosa di vantaggio di quello, che ivi fi suole praticare dalle
altre ; questo sì che dovrete far loro il livello costumandosi, e consegnarlo,
acciocchè lo faccia. no riscuotere a loro modo,affinchè nó ab. *biano da stare
dopo la vostra mortc all' indiscretezza de fratelli, i quali foglio [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] no essere
molto trascurati in soddisfarle, e trattatele in modo, che nő abbiano bi. sogno
di soccorso altrui; perchè così viveranno staccatiffime dal secolo. Sem.
E se qualcuna volesse imparare a cantare,efsendol già dichiarata di far. fi
Monaca? Pub. Non permetterei quefto ; perchè, se poi fi mutasse , ilche
sarebbe cosa ficile cantando delle belle ariette, voi rimarrette colla
cantarina in casa; ditele bensì che lo imparerà allorchè larà Monaca, perchè
ivi averà delle altre compagne ancora, colle quali si potrà esercitare per
meglio apprenderlor Sem. E se volesse viaggiare un poco per il mondo ,
prima di chiudersi? Pub. Questo neanco firebbe ben fit. to ; perchè col
viaggiare si può vedere, e trattandosi,udire più d'una cosa, che po. trebbero
rimuoverla dal suo fervore, e. quando questo desiderio procedesse per cagione
di divozione, conducerela in qualche luogo de più vicini,ove sia qual. chc
divoro Santuario, per consolarla . Soma 1 '1 Sem. Se
bramasse vestirsi da sposa prima di monacarsi, e ricoprirli di gioje, hò da
permetterlo ? Pub. Alifte por motivo di potersi fare l'antichissima
consuetudines per altro doyendofi sposare col Signore , non mi pa. jono
simili abiti da esso graditi, mà ben. † sì i più modefti: Una sola riflessione
in & favor di ciò ci potrebbe essere, che si portassero per
dispreggio, facendo vedere allorchè li spoglia di esli per rivestira dei sacri,
che li rinunziano tutte le pompe, e vanità mondane. Sem. Rimanendo redove
le figliuole , averò da riceverle più in casa inia? Pub. Effendo uscire
da casa vostra, ed essendosi già dimenticate, come vuole fil Profeta,di essa,
non siete più tenuto di riceverle :- e perciò fi foleva ancora nei Kriti
degli átichi Romani praticare colle Spose di muoverle nell'uscire dalla
casa paterna più volte in giro affinché si die : menticassero affatto di
ritornavi più . 4 Sem. Mà se rimaneffero vedovc affai giovani,e senza
figliuoli,che averebbero da fare così solc li Pub. [ocr errors] Pub. In
questo caso, se volessero corparvi, mostrerebbe essere crudele quel Padre, che
ricusaffe riceverle. Sem. E volendoli queste rimaritare toccherà al Padre
penfarci? Pub. Lo ponno fare senza il di lui consenso; bene è vero però,
che le fuggie figliuole fogliono col consiglio pacerno regolarsi in tutte le
cose, ed in particolare in affare di tanta premura , conforme è questo.
Sem. E se avesse più figliuoli anche pargoletti potrebbe penfare il Padre prima
di morire a qualche ripiego, affinchè fossero questi ben' educaci;perchè
rimaritandoli la loro Madre poco penlicro Gi prenderebbe di effi il Patrigno
nell'edu. carli. Pub. A questo ci vuole un poco di tempo per rillerrerci
bene, onde ne pare leremo nella seguente.i Sopra l'educazione de Pupilli: e
come debba ciascuno portarsi verso i suoi genitori defonti. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr
errors] Mec. A pena maggiore, che possa avere il Padre moribondo, essendo
egli in sen. timenti, mi persua do che sia questa: di lasciare i
figliuoli pargoletti, dubicando, che non solamente possano esserc danneggiati
nella roba, mà ezian. dio nell'educazione; posciache rifletterà facilmente ,
che quando la Madro pallasso alle seconde nozze, poco penGaro li prenderebbe di
elli il Patrigno, ela pro propria Madre molto certamente farebbe
dividendo l'affecto per merà trà elli , cd i figliuoli gencrati col secondo
mari. to. Laonde la loro educazione Iddio sà comc anderebbe. Sem. Mà ti è
pur bastantemente proveduto 'a tali sventure, con Tutori, e Curatori ; come
dunque potrebbe andar male l'educazione di effi, venendo cosi bene
affiftiti? Mec. Può essere , che a tempi antichi li Tutori fossero di
giovamento a Pupil. li : oogidì però tra questi fanno nulla i mediocri; fanno
bensì del gran male i cattivi, e gli occimi, che operino all'antica sono così
pochi, che non sò se arriveranno al numero di quelli buoni , di cui parla
Giovenale : Boni quippe homines numero vix funt totidem quof
Thebarum poriæ , vel divitis oftia Nili. Sem. Udii pur da voi , Publio,
nella Conferenza decima della decade passa. ta;effere utili alla Republicà gli
Economi; or come dunque i Tutori, essendo an [ocr errors][ocr
errors] anch'elli Economi, possono apportarc e questo gran mile. Pub. Tra
l'Economo, ed il Tutore ci è differenza potabile; conciofacosache all'Economo
non appartiene l'educazione de figliuoli; ed essendo egli splendidamente
riconosciuro delle sue fatiche procura di servire con somma fedeltà, per
accrescere, o mantenersi almeno il credito acquistato , a fine di essere ados,
perato in altre fimili contingenze; essendo che per profeffione lo esercita ;
dove che il Tutore, dovendo anche invigilare alla educazione , vedendosi poco,
O nulla riconosciuto delle sue maggiori fatiche, non è cosìgeloso della sua
estimazione in cal ininisterio , per non cu. rara punto di fimile briga
inutile , fpecialmente chi non opererà per virtù, la qual'è da pochi seguirata,
e maggiora mente se non si vede rimunerata secondo il sentimento di Giovenale,
il quale dice: Quis enim virtutem ample&titur ipfam Prema fi
tollis? Laon. [ocr errors] 0 li 3 Laonde non
recherà maraviglia se eras efli vi saranno de cattivi. Sem. E questi, che
mali potrebbero apportare, Mecenate? Mer. Primieramente di lasciar fare a
figliuoli ciocche eff vogliono , e poi ponno prendere tanto amore alla roba
de’Pupilli, che se vogliono, possono arri. vare ad appropriarsene buona parte
di cffa. Sem. Edin che modo ? Mec. Faranno comparire debiti
antichi, i quali furono gia pagati, ed accordandoli con detti finti creditori,
fi divideranno per metà il furto, dando loro indietro l'antiche ricevure ;
lascic. ranno vendere all'incanto i corpi più frucciferi , ed effi vi faranno
offerire sot. to mano ; & farà cal vendita, nella quale farà grossa
senfaria a lor favore; faranno rinvestimenti con persone fallite , e non senza
considerabilitimi approvesci loro; in somma, per non infpiegarmi di vantaggio,
sarebbe assai meglio, che questi non ci fossero ; perchè almeno se spregasscro
i figliuoli anderebbe per sodisfare i ca. pricci di chi n'è
padrone. Sem. Costumeranno di far questo i più
bisognofi. Mec. I bisognosi lo faranno per biso . gno, ed i non
bisognosi per arricchirsi di vantaggio. Sem. Mà è possibile, che nel
Mondo ci sia gente così iniqua che lo faccia? Mec. Questa è questione di
fatco; di. cendomi il mio Procuratore , che giornalmente accadono liti di
rendiinenti de'conti in cause de Pupilli, e che si vedono prodotti certi libri
di amministrazione così intricati, per ricoprire le magagne, che ben si scorge
essere stati fatti così da gente molto maliziosa . Sem. Talinente che voi
non lodate, che si diano a Pupilli questi Tutori? Mer. I cattivi
certamente noa posso lodarli. Sem. E quali saranno i buoni?
Mec. Quelli, che ricuseranno di ac- cettar qucfte brighe
Sem. I cattivi non sono a proposito, i buoni non vogliono accettarle ; dunque
bisognerà cadere a prédere per necelfità i mediocri, che non fanno nè bene nè
male. Oh confideriain corne p')trà andar bene l'educazion de figliu li !
Mec. E perciò doverebbe ogni b:100 Padre di famiglia aver un amico confidente
di lom na integrità, è che fosse anche informato de fuoi interelli, e que. fti
impegnarlo da molto tempo prima ad accettare, se li delle mai il caso, ch' egli
morisfe in tempo, che i suoi figliuo. li avessero bisogno di guida, che voleffe
fargli carità di tenerli, ed allevarli, come se foffero fuoi ; senza però
discapito di borsa; ed è cosa facile , che prene desse allora l'impegno di farlo,
perchè fi lusingherebbe, che ciò non fosse per seguire in breve. Sem.
Signor Mecenate mio, scusate. mi, se passo taor'olore; vedo oggidi il mondo
così corrotto che dubiterei molto, che l'amico si ponesse anche in luogo di
Padre con isposare la moglie del l'amico rimasta vedova . Mec. [ocr
errors] Mec. Questo non doverebbe farli da un buono amico, Sem. Questo
ancora è di fatto, conoscendone qualcuno , che lo hà bevislimo praticaco, e lo
sò con tutto che io ab. bi. meno anni di voi. M:c. Losò anch'io; mà questo
diceva per vedere di fuggire il maggiôr male; or dunque bisogna conchiudere,
che doppia disgrazia lia, quando i Padri muojono giovani, Sem. In fimile
intrico dunque o biso. gierà , che il Dotcore trovi rimedio, che in tal erà non
si inuoja , o pure tro. Vire chi poffi fedelinente indirizire cali Pupilli:
avete voi, Doctore , un simile rimedio ? Med. Rimedio per non morire non
si è trovato fin'ora; ben è vero però, che a prolungare la vita con tenersi
lon, tani da cerci spropositi massicci , che possono abbreviarla, a questo si
può are rivare. Sem. Ed in che modo Med. Contenendosi con
moderazione nel [ocr errors][ocr errors] nell'esercizio
conjugale; perchè ci so. no taluni, che si pongono alla disperata in tale
facenda, come se nel dì seguente la moglie dovesse essere loro rubata, senza
avvederfi, che ruberà la morte elli alla moglie , continuando tal vita; oltre
poi tanti altri disordini accompagnati a queste. Bisogna dunque, che viva re.
golato chi ha figliuoli di tenera età , e non li fidi della gioventù ; perchè
que. sta tradisce bene spesso, e che consideri il danno, che apporterebbe alla
sua famiglia , con morire prima d'invecchiarli. Sem. Questo si può fare ;
mà se non baftaffe ? perchè hò veduto morire anchci giovani non aminogliari , e
ben regolati ancora ; che doverebbe dunque farli per terminare la vita non
tanto dolorosamente? Pub. Hò udito riferire, che in alcune città vi lia
una specie di magistrato , composto di persone di sperimentata integrità, le
quali invigilano a questo ; onde introducendoli trà di noi potrebbe
con consolar molto i Padri, cui seguiffc fimil e disgrazia duplicata, per
lasciare i figliuo li non atti ancora a poterli da se regola [ocr
errors] re. [ocr errors] Sem. Questo mi piacerebbe, e vi prometro, che
procurerei ach'io di entrare in derto magistrato. Pub. Se vi avelli da
porre io, due di difficoltà ci avrei ; la prima , che fiere troppo
giovanezessendo cariche da con. ferirsi a persone di provetta e à, e l'al
tra perchè voi lo chiedete, essendo che A finili impieghi, doyendosi conferire
a solimericevoli, aleuoi di questi più toe $ fto li ricusano, che li
domandino; ed è a cosa cerca , che colui, che brama un ins cumbenza, non
solamente senza lucro, mà di molto incomodo ancora', qualche fine vi hà per lo
più vantaggioso per se.. medesimo, il quale potrebbe rendere infructuoso ogni
vantaggio, che da ello, si speraffe . Serth Che averebbero da fare
quefti? Pub. Primieramenre d'inventariare fedelmente tutto quello, che
avesse la. [ocr errors] sciato quel defonto, di eficare poi il superfluo
, e non fruttifero, e rinvestire il ritratto in faccia de Pupilli , con fare le
cose chiare, e senza procacciarli emolumento alcuno . Sem. E che
altro? Pub. Di dare fefto immediatamente all'educazione; con porre nel
migliore feminario i maschi, se saranno di erá ca. paci, e le femmine in un
Monastero dei più csemplari. Sem. Ele rendite chi le amministrerà? • Pub.
Un ministro salariato, che fia capace, o più secondo l'azienda che foffe, i
quali rendessero esatto conto ad uno dei detti sopraintendenti dell'ope. rato
ogni settimana, per potersi poi, da più di elli congregati ogni mese, risol.
vere gli emergenti più difficili, che ac. cadeffero. Sem. E degli avanzi,
che si farebbe? Pub. Andarli rinvestendo , allorche foffero arrivati ad
una certa somma, con tutte le dovute cautele acciocchè fosse. ro fatti a
ragione veduta.Sem. Nello stabilirli poi divenuci adulti chi ci
penserebbe? Pub. Quci deputati medesimi, che sopra intendono
all'amministrazione. Sem. E se caluno di questi avesse figliuolo , o
figliola, ed apparenrasse cilin eli: 0 pur faceffe quello che fu obiettaco a
Tutori. Pub. Vi sarebbero sopra di ciò, le suc regole, in quali casi li
dovesse proibi. re, o ammettere tra esli l'apparentarli; perchè quando mai
fossero eguali, che male farebbe l'appareatare con gente scelta, e capace a
bene dirigere. Oltre di che con qual amore di vantaggio liarebbe amministrata
quella roba ; ¢ qual educazione più vigilante riceverebbero questi in cal
casoBafteşebbe, che non entraffero poveri in detra soprainten denza affinchè
non seguissero casi disdif cevali, che daffero occalione di inormo, rare , ed
essendo questi scelti nobili, c bencftanti, non li indurrebbero a far quelle
cose, che furono obiercare a Tucori, c tanto più ch'essendo molti a for
pra [ocr errors] sopraintendere difficilmente tra questi vi sarebbe chi
potesse, anche volendo, defraudare iPupilli in cosa alcuna per la vigilanza
degli altri. Sem. E se in detta amministrazione seguisse qualche disgrazia,
chi sarebbe teauto-a risarcirla? Pub. O questa seguirebbe casual. mente,
senza colpa altrui, ed in questo caso non sarebbe a ciò tenuto alcuno , mà se
poi ci fi scorgesse inalizia ; il delinquence farebbe obbligato a
risarcirla. Sem. A fare ottenere loro buoni impieghi, e provedecli di
cariche proporzionate alle loro condizioni, e capacità, chi vi doverebbe
pensare, fatti aduki ? Pub. Il medesimo inagiftrato, atinchè con ragione
di potessero chiamare quei, che lo compongono veri Padri della Patria, cgran
sollevatori de Pupilli ; mà divenuti questi capaci sapranno da se medesimi
farli strada per il conseguia mento di effe. Sem. Sino a quale ctà
doverebbero Rarc fotto tal depucazione? Pub. 11 [ocr errors]
Pub. Le femmine fino a canto,che fora ossero collocate ; i maschi poi non
sareb* be male in tempi si calamitosi, che vi stessero fino a tanto, che
fossero atti, è 1 capaci di sapersi regolare da se mcdefifoto mi
nell'amninistrazione de loro beni. Sem. E se caluno di questi rimaneffe d
incapace di operare a dovere? Pub. Affinchè non dilapidaffe il fuo,
converrebbe tenerlo soggetto sin tanto, i che vi fosse chi porelle prendere
partii colare direzzione di effi, come sarebbe di qualche fratello di giudizio
, o altro pa• from rente ricco; pio , ed onorato. Sem. Mà questi pareori,
perchè non potrebbero anch'elli prendersi il pensie. iro di amministrare detta
roba de Pupilli, alineno lin tanto, che foffe ftabilico fimile
magiftrato? Mec. I Parenti , Sempronio mio, talia dc quali però, sono
peggiori degli altri, perchè prendono maggior contidenzas colla roba de
fuoi parenti è perciò facilmente se l'appropriano;onde di questi non vi
prevalec, se non quando li scor gere gerete con lunga sperienza,
che siano ve. ramente difinteresati, Pub. dove sono andati quei parenti
antichi , che avevano premura maggiore della roba de loro congiunti,che della
propria : hò veduto io alcuni di que. Iti mettere fuori somme confiderabili di
danaro per folicvarli nelle loro angustic, ed ancor fenza alcuna usura ; ve ne
fu uno tra gli altri, che prese l'amministrazione di un luo cognato, il quale
eras quali che fallito, e lo ripose in piedi, con liberarlo da tutti i debiti
da esso fatti, che ascendevano a fomma molto considerabile. Sem.
Ritornando alla grand'opera di cariià del sudetto Magistrato , mi perfuado, che
in quei luoghi, ove li costu. i Padri morranno senza avere da pensare
all'indirizzo , che dover ango • avere i loro figliuoli divenuti Pupilli.
Pub. Occalione non hanno di ricerca.. re altri inodi : posciache questo
Magiftrato pensa non solamente a diriggere i Pupilli ricchi, ma anche quei che
riman goo [ocr errors] gono con mediocre commodo. Sem. Oh
luoghi fclici, ove la morte non reca tanto cordoglio, divenendo ivi l'amore, e
l'autorità paterna a guisa di fenice, che rinascono, ed alle volce più i
profittevoli a figliuoli di quello, che fos fero prima a cagione dei
Padri trascura#ci, e nel costume , e nell'economia , e se per questi
ancora ci fosse qualche cenfoi se, quanto anderebbero meglio le cose?
Mer. Voi, Sempronio, che non avein te ancora piena sperienza del mondo
vorrelte aggiustarlo in un tratto ; come fogliono fare alcuni zelanti giovani ,
allorch' entrano a governarne qualche particella di efto. Abbiare de me questo
configlio, cavato da Licurgo, che nelle riforme bisogna camminare affai lenta.
mente, e con molta circospezione , per non cadere in peggio. Sem. Che
doveranno fare i figliuoli per mostrarâ grati verso i loro genitori
defonti? Pub. Due cosc, la prima è di mante, gere nel mondo la meinoria
onorovolsdielli, e l'altra, che maggiormente preme, di alleggerire le loro
pene, che possono foffrire nell'altra vita. Mec. La prima dagli Egizi li
praticava con imball mare i corpi de' loro genitori, e questi conservavano anco
gli atavi , i tritavi, con quel auiero maggiore degli ascendenti, de quali
furono eredi, e con quanta stima, c vencrazione universale! che se ac loro
sommi bifogni avessero avuto necessità di danari, impegnando una di queste
mumie, ne trovavano quanti facevano loro bisogno ; perchè avevano il pensiere
di riscuoterle in breve. Gli antichi Romani ancora fabricavano tempj alle
memorie de’loro Padri, o per lo meno ftatue per mano di eccellenti
scultori. Sem. Come si doverà fare per mantenere viva la memoria de
genitori? Mec. Se sono stati illustri per le loro rare virtù, e maneggi,
debbonsi anche imitare da figliuoli, per fare scorgere a chi non li conobbe, di
essere le loro virtù passare in effi; insegnandoci l’Ecclelia. [ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] ftico al 11. che in filiis
agnofcitur vir. Sem. E se avesse dato alla luce opero letterarie , doverà
imitarlo in queste ? Mer. Certamente più in queste che pcll'edificare
ville sontuose, posciache quelle di Cicerone, e di Seneca fono già da gran
tempo distrutte, ma non già i loro libri, i quali continuano i loro anni sempre
più gloriofi alla fama. Pub. Fù interrogato un favio, se fosse più
defiderabile l'acquistare un regno, o l'avere dato alla luce qualche operas
dottrinale, utile a posteri; rispose egli che la seconda ; perchè della prima
non pofsiamo eslerne altro, che meri usufrutruarj, privandoci della proprietà
di esso la morte, dove che della feconda ne Gamo perpetui poffeffori
,accrescendo più tosto la morte il valore di essa, e perciò con ragione diffe
Giovenale : fat. 8. Libera fi dantur populo fuffragia quis să
Perditus ut dubitet Senecam preferre Neroni. Sem. E se non avessero fatto
cofa al- cuna memorabile ? Kka Mer. [ocr errors]
Mec. Debbono i figliuoli incominciare a farl’elli ; perchè diccndoli poi fatte
dal figliuolo del rale, anco i genicori faranno partecipi della gloria di
efsi. Sem. E se fosse stato un gran Capitano, ed il figliuolo non avesse
quel coraggio, che si richicde in tal carica ? Mec. Procuri egli di
uguagliare la fua gloria in cose concerncati alla pace; perchè si dira:il Padre
fè prodezze grandi in guerra, e questi le ha fatte in affari di
pace. Sem. Lasciando debiti più del suo capitale dovrà il figliuolo
fodisfarli del fuo, quando avesse? · Mec. Certamente che sì, per non farlo
dichiarare fallito ; e di vantaggio le fors' egli ne paeli Elvetici, per non
riceverne infamia; cottumandog colà gaftigare anche i defonci , che per malizia
feceto più debiti del loro capitale. Sem. E se avesse ricevuto fuo Padre
qualche ignominioso gastigo?. Mec. Doverà egli allontanarli dos
quel qu I paesc, per non udirne dir male pui blicamente, non potendolo
scusare; per altro se fosse stato' cattivo a quel fcgno , che non avesse
meritaco‘limiles ignominia,doverà colle opere buone, e a gloriofe
cancellare ogni memoria po. co buona di esso; perch' essendo pro? prietà
della luce scacciare le tenebre così ancora delle buone operazioni
pre fenti è di cancellare la memoria delle 8 carrive passate.
Sem. E se lo avesse privato dell'eredi. tà parerna doverà farannullare il
testa. mento , avendo ciò fatto senza cagione? Mec. Sofferendo ciò farà
credere, che certamente lo faceffe fenza cagione , . i poichè facendo
altrimenti, se non l'ebbe allorchè lo fè, la previde, per dichia. rarsi
dopo la sua morte il figliuolo concrario alla sua volontà, e di ciò ne dierono
un memorabil'esempio i figliuoli di Metello, i quali, quantunque esclisfi
contro le leggi, non vollero,per riverenza dovuta ai Padre , far istanza alcuna
in contrario. Sem. Kk 3 Sem. Se un Padre ainoroso de fuoi
figliuoli, ed anche pio, volesse, allorchè stà vicino à morte, far distribuire
qualche fomma confiderabile di danaro a poveri , ma perchè l'amore verso i
figliuoli lo portasse a farne effi consapevoli, per vedere se fossero contenti
di ciò, come dovranno contenerfi in fimi. le affare? - Mec. Uniformarsi in
tutto , e per tutto al volere paterno , c sappiate che Iddio non solameate
gradirà tal atco , mà lo rimunererà ancora . Pub. Un caso prodigioso si
racconta a questo proposito nel Prato spirituale di un uomo dabene, e fomnmo
elemosiniere', il quale, ritrovandosi vicino a morte, chiamò il fuo figliuolo,
cui dopo avergli fatto vedere una gran somma di danaro disse:figliuolo,che
gradirete più, che vilasci questo danaro, o pure, che vi deputi Gesù Cristo per
vostro curatore rispose il figliuolo: averò più accaro il mio Gesù per curatore
: ciò udito fece dispensare a poveri tutto queldanaro: cosa fè il giusto, e
supremo Cu. ratore? Si ritrovava in Costantinopoli, ove egli dimorava , uno
de'principali, ch'aveva una sola figliuola, la quale per essere ricchissima
veniva da molti desiderata per moglie ; il gran Curatore dell'orfano ispirò
alla Madre di essa, che infinuaffe a suo marito, qualmente la loro figliuola
avesse più bisogno di un uomo faggio, che di ricchezze, e che maritandola a
qualche Signore correva pericolo ch'ella fosse malamente trattata: Piaccque cal
consiglio al marito , il qnale repplicolle : preghiamo dunque Sua Divina
Maesta, che glielo dia a foo compiacimento, ed andare voi in quefto punto
alla Chiesa a supplicarla,e có. ducetemi quello, che immediatamente entrerà in
Chiesa dopo di voi ; qual fù appunto il pio, e generoso pupillo, dal suo grã
curatore arricchito in un istáte. Mec. Or vedere voi, Sempronio, ch'
effetri buoni produce l'uniformarii colla pia volontà del Padre, e quanto si è
detto del Padre doyerà aacora inrcn. der, [ocr errors][merged
small][ocr errors] Kk 4 dersi della Madre, in tutto quello, che
apparterrà a figliuoli. Sem. In che doverà con Gftere il bene che sono
tenuti di fare i figliuoli, per l'anima dei loro genitori? Mec. In
sodisfare in primo luogo tutti i loro debiti, e legati pij, ed adempio re
prontamente le loro disposizioni. Sem. Må se non ci saranno danari
pronti, si averanno d'alienare gli effetti? vi saranno pure i suoi tempi da
sodisfar-, li con commodo ? Mer. Sapete che detti effetti , ne' quali ci
è debito; non vanno considerati come propri, e per ciò, non entrando
nell'eredità a favore dell'erede, che gli dee importare, che si vendano ? fe
poi li vuole appropriare a se, ci prenda danari sopra, se non gli hà, e
fodisfaccia chi dee averc;; e se per cagione di detta dilazione quella povera
anima penaffe in. tanto, oh che bcll'amore moftrerebbe il figliuolo per
suo padre, lasciandolo cor. mentare ! Il più chiaro contrafegno di affetto
verso fuo Padre è questo, di ob be [ocr errors] Les bedirlo
sollecitamente in fodisfare cioco che diipone li faccia seguita la sua
morte Pub. Or io sono di questo parere, che non si debba aspettare fino
alla morte a fodisfare i debiti contratti, c le opere o pie, che si
vogliono fare, e maggior meate mi sono confermato in questo leggendo, che
vi fosse un certo uomo civile sì, mà assai povero, non avendo altro, che
quattro Sparvieri avvezzati alla caccia, coi quali si alimentava; vc
nendo egli a morte chiamò tre suoi fi& gliuoli, ene lasciò uno per
ciascuno, di cendo loro, che il quarto lo vendeffero, e ne
facessero tanto bene per l'anima sua morto che fosse. I detti figliuoli
il di venente, per vivere se ne andarono alla caccia coi quattro
uccelli, uno de quali seguitando la preda non tornò più : co-
minciarono a contrastare tra loro di chi fosse il perduto, ed ogn'uno
giurava, che quello, che era ritornato, ed aveves sulle mani
era il suo ; fi accordarono alla fine, che il perduro era quello , che
do- veva impiegarli in beneficio dell'anima del [ocr
errors] ! [ocr errors][ocr errors] del loro comune Padre ; il quale
rimase privo di quel bene. Sem. Oltre di questo doveranoo far
altro? Mec. Avere giornalmente una viva memoria di essi, col
raccomandarli a Dio in tutte l'orazioni, che faranno, fervencemente; perchè non
è picciolo il bene, che da cfli ricevettero, conGitendo in tutto il loro
etlere, e ciò facendo oltre il sodisfare a propri doveri, daranno anche chiaro
indizio deila loro buona cducazione. Sem. Vorrei sapere da voi , Publio,
so la vedova possa essere capace di ben’ educare i propri figliuoli,parendomi
che da principio ne dubitaffe Mecenate, con dire, che non farebbe poco a
dividere il suo amore materno tra i primi figliuoli, e gli altri avuti col
secondo marito, Pub. Perchè nò ; quando ella perseyerasse costante nello
stato vedovile, fosse dotata di senno, e prudenza, ftesse attenta , ed avesse
petio da farsi ftimare, c rispettare da efl, e Mecenatc parlò del
na delle vedove , che prendono altro mari to, non di quelle di cui diffe
Ovidio, [ocr errors] che. bes 01 ol Sustinent in
viduâ triftia figna domo. Sem. A trovare però oggidi chi sia il dotata di
tante virtù sarà cosa molto difficile, dicendo di queste Giovenale. Rara avis
in terris nigroque fimillima cygno. Pub. Si a voi, Sempronio, che
forse of anderete solamente in cerca de diferti ili donncschi, mà non già a chi
brama di trovare le virtù, per approfittarsene, o gi ainmirarle; e non
crediare già, che ogbe gidi le virtù sieno affatto efiliate dal d mondo, anzi
sappiare, che quando paa re, che i vizj (i dilatino maggiormente, do allora è
il tempo , ch'esse li affaticano in trovare ricetto dai più lavj, per
risplendere maggiormente : ed io vi poffo finceramente palesare, che ci sono
presentemente alcune vedove, le quali vivono con tanta csemplarità , che ponno
uguagliarsi alle antiche matrone, delle quali i Scrittori fecero tanti grandi
elogj.Sem. Bisogna che queste vivano molto ritirare ; c da ciò trascerà che, da
me non son conosciute, laonde notificatemi chi sono, affinche possa anche io
fodar. le, ed onorarle, come meritano , ed apprendere insieme dalle loro
operazioni qualche urile documento. Pub. Mostrare certamente troppa cu.
riosità , Sempronio, con volerle conoscore', e se avete deliderio di apprendere
qualche documento dalle loro operazioni , questo lo potrete appagare con udire
le relazioni dell'operato da esse, e tanto maggiormente, che queste non operano
a fine di acquistare gloria, må bensì di bene istruire i loro tigliuoli, e
perciò non fi curaro punto di essere lodate da alcuno, ed a voi è vietato anco
il farlo dall'Ecclefiaftico al 2. dicendo : Ante mortem non laudes hominem
quemquam. Sem. Informatemi dunque del modo, che questo hanno tenatoy e
tragono in educare i figliuoli? Pub. Quefte , Sempronio , sono quela
le res ope mogli,che amarono di vero cuore i loro
mariti, e perciò appresero da Didone ciò, che rifeșisce nel quarto
dell'Enei- di Virgilio : Ille meos primus qui me fibi junxit
ame- Abftulit ille, babe ai fecum, fervetque sepulchro. laonde
quantunque rimase vedove nel più bel fiore degli anni, non vollero
giammai acconsentire a rimaricarsi ; inà bensì rimirando ne'figliuoli
qualche par. ic de’loro genitori collocarono in elli, per tal
cagione cutto il loro materno affetto; e non li potranno mai
baftantemente esprimere le deligenze da esse usare a
pro dei loro vantaggi ; posciache , ia cu- ftodire, ed
accrcfcere le sostanze di clli, che cosa non fanno mai? Sem.
E come possono , essendo mancato il capo di casa, crescerle? Pub. E pure
ciò non ostante , l'hò osfervato in più di una di effe, c quello, che mirende
ammirazione, senza fordida economia , perchè mantengono illo [ocr
errors][ocr errors][merged small][ocr errors][ocr errors] ro to grado
decoroso, senza scemarlo puoto: laonde sono meritevoli di quell'encomio, che fè
Cicerone a Craffo , ed a Scevoli, chiamando il primo moderatiffimo nello fpendere
fra i fplendidi , e l'altro splendidiffimo tra i moderati ; vi potrei anche
dire di vantaggio, che avendole osservate e faccillime jipitatrici del bombice,
il quale per formare la sua casa poge tutta la sua miglior softanza in essa,
onde spero, che l'imiteranno anche dopo morte, con divenire farfalle per
volarsene più speditanicnte al Cielo. Sem. Hò udito esaggerare tanto
cótro il luffo nelle passare conferenze ; como mai queste si fanno così bene
regolare in tempi, ne quali ci troviamo.? Pub. Vidifli parimente in quelle
, se ben vi ricorderete , che non mancava presentemente ancora, chi viveffe net
costume ancico, e che non si osservalle da tutti chi operava in tal forma ;
perchè pochi erano l'imitatori di efli, c da ciò nasce, che queste di regolano
con tan. tanta aggiustacezza, perchè vivono a quella usanza,
e se li vagliono di qualby che cosa dello presente, lo fanno con gran
moderazione, e più per salvare una certa apparenza, a fine di non
singolarizzarsi, che per vanità. Sem. Mà nell'educarli di che norma si
servono ? Pub. Di quell' appimnto, di cui già i parlammo , ina con
grandiilima atten#zione ; folamente di vantaggio hò osserte vato, che avendo
quefte già bene im bevuti i figliuoli del rispetto dovuto ad effe
ne'ceneri anni, divenuci poscia più ci adulti, deposto il rigore priiniero si
so no servite più costo della piacevolezza ; coli ed in questo modo hanno
continuato ad elggere curta la venerazione ad else dovuta da
figliuoli. Sem. E nel provederli d'impieghi comc li porrano? Pub.
Volelle Iddio, che con tanto fervore operaffino noi alori Padri conforme esse
fanno' in questo; effendoche taluna li ha così ben accomodaci , che
: non non si è renduta loro fenfibile la perdita fatta del Padre,
trovandosi presen!emente in istato tale, che possono contentarsi. Sem. Oh
fortunati figliuoli; se io fossi nei loro piedi , non mi dimenticherei gianımai
di tanto beneficio ricevuto da effe. Pub. Ed io pasferei più oltre, cioè
a riflettere i disaggi, che averano sofferto, per fare conscguire questo bene,e
quanto averanno cenuto occupata la mente co’pensieri, e quante vigilie averanno
sofferte. Or ditemi, vi pare che qucftc, che operano in tal forma, si possano
paragonare alle antiche Porzie , alle Cor. nelie, alle Avie , ed alle Pauline
che cosa fecero quelle più di queste, che meritarono la corona di pudicizia,
pero effere vivate nella stato vcdovile esem. plarissime e Sem.
Certamente che meritano qucm Ite ancora di esser coronate, e credecemi, Publio
, che questo vostro racconto mi hà sommamente confolatozed animato ingeme a
prendere moglie; perchè se io arrivafli á scegliermi una di queste, morrei
certamente men contristato , avendo chi supplirebbe le mie veci nel ben educare
i figliuoli. Mec. Abbiamo finora parlato della cducazione dei figliuoli
de benestanti, e di quelli de' poveri non abbiamo fatta menzione alcuna.
Pub. Conyerrà certamente discorrere anche di questi, essendo cosa essenziale
ondc lo porteremo alla ventura Conferenza. [merged small][ocr errors][ocr
errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors] CONFERENZA
X. Sopra l'educazione de' figliuoli poveri, e donde venga queita
danneggiata. Publio , Mecenate , Sempronio , i Medico.
Pub. He bella cosa fareb. be , se nel monС do ognuno viveffe
conforme richiede l'obbligo cristiano: di non fare altrui, ciò, che a se
dispiace: oh bell’armonia, che nascerebbe da questo allorsì che ciascuno
potrebbe vivere ad occhi chiuli, non trovandosi chi ingannasso il coinpagno ; c
tanre sorte di supplicj , inventare per reprimere', c. gastigare la malizia
degl'uomini rimarrebbero affas. [ocr errors] to oziose; e li ministri di
Giustizia a che | servirebbero, essendo ciascuno retrislimo giudice di se
medesimo? Oh felice, c mi fortunato vivere che sarebbe, essendo ritornato
il secol d'oro, nel quale come lo descriffe Ovidio ne suoi fafti.
Proque metu populum fine vi pudor ipfe regebar, Nullus
erat justis reddere jura labor. E Giovenale nella fac. 6. Cum
furem nemo timerer Caulibus, aut pomis, tu aperto vive.ret borte,
Mà quanrunque fiafi tanto affaticato Platone per farlo ritornare , appena
c rimasto ogni suo pensiero riposto nel ga- binetto delle sue
Idee, senza recare vei runo profitto; onde si può conch iudere, che
questo probabilmente non tornerà [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr
errors][merged small] Sem. Mà non fi potrebbe almeno far ritornare quello di
argento ? perchè a sopportare da gran tempo in qua il secolo di ferro, già
divenuto rugginoso, fembra dura , ed insoffiribile cola. L12
Sem. [ocr errors] Pub. Questo è difficile; e non meno, che a far divenire
un pezzo di ferro argento; intorno al cui lavoro tanti ci si affaticano
indarno. Non sarebbe poco se a questo di ferro,che noi abbiano, il quale ben
diceste, che sia divenuto rug. ginoso, se gli potesse dare una ripulitura,
affinchè non comparisse tanto deforme, come presentemente par, che sia diveDuto
• Sem. Facciamolo dunque ; ma da che parte di esso si doverà
principiare? Pub. Da quella più tenera, come abbiamo fatto finora nei
nobili, cioè dalla tenera gioventù, ove la lima può più facilmente attaccare :
cominciate voi dunque a portarmi il lavoro, che io li. merò. Sem. Qiello
, che' mi premerebbe più d'ogni altra cosa, sarebbe che in. cominciassimo a
ripulire un poco i servitori. Pub. La ruggine in questi è troppo dura;
come volete voi, che limi, efsendo di già quefti divenuti adulti; por
[ocr errors][ocr errors] tatemeli giovaneci, che io cominciero limarli.
Sem. E come potranno questi allora discernerli? Offervandoli, che ne pur i loro
figliuoli hanno genio a fare tal meftiero; ideandosi tanco i Padri, quanto
effi, allorchè cominciano a conoscere i vantaggi della vita civile, di voler
parfare ad effa,con avanzarli di condizione. Pub. Dunque se non si sà
precisamente chi voglia incaminarli per questa via, cominciamo da tutti i
figliuoli poveri , che cosi comprenderemo quelli da incaminarsi in cursi li
mestieri nel inedeliino tenipo. Sem. Che doverà farfi in questi prima di
ogni altra cosa ? Pub. Quello appunto, che già dicem. mc:infinuare bene
nell'animo loro il fan. to timor di Dio, base fondamentale di O tutte le
virtù morali, e cristiane Sem. E chi doverà far questo? th Pub. I loro
genitori. Sem. E se questi non ne avessero appreso tanto, che hastaffc
loro ? Pub. Ci sono i Parochi de'quali è incombenza,non solamente di
proccurare, che fieno istruiti i figlioli, mà anche, i genitori medelimi,
Mec. Se ci fosse un fol pastore in una gran greggia di pecorelle, molte ne
divorerebbero di più i lupi ; onde come potranno baltare questi, che sono pochi
a tanci? Pub. Ci sono i Maestri, che supplisco. no ancor ela. Mec.
Mà quelli che non hanno modo da tenerli? Pub.Sogovi tante scuole per i
poveri, che possono ben ivi apprendere ciocche appartiene a questo Mec.
Mà fe trascureranno di andarvi, ed intanto innoltrandosi i vizj come firi.
medierà?. Pub. Colgastigo, che servirà dierempio agli altri, che non ci
cadano, ed a tal effetto ci è per questi la casa di correzione, ove sono
severamente morti. ficati. Mec. Vorrei, che vedeflimo, Publio , se
[ocr errors][ocr errors] fc ci fosse modo di non avere rovente bisogno di
limili gastighi; perchè vado rifcttcndo, che molti pochi sono correcti da eso ;
e quantunque ci licno le forche alzate, tanto i delicti fi comincitono gel
inedefimo tempo. Pub. E che prerendete forse, che nel monda non feguano
delicti? Mec. Non pretendo tanto, mà solamente che sceinino questi più
notubilincnte, ed in conseguenza ci sia meno duopo digastigo. Pub. E come
fareste per procurare che minor numero deili presenti ne leguillero? Mec.
Vorrei in diverse parti della cietà scegliere i più caritativi ; e pii
artetici, che ci foffero in ogni profeflione, ed a questi consegnare , e
raccomandare più di uno dei giovanetti, arrivati in età di poter cominciare ad
apprendere i principi di quell'arte, alla quale 'mostraffero inclinazione, ed
abilità. Pub. E prima di detto tempo chi ne averebbe il pensiero di
andarli istruendo nel beo operare ? Mr. [merged small][ocr
errors][merged small][ocr errors][merged small] [ocr errors] Mec. Ci sono pur
tanti pii, cd esemplari operarj , zelantisfimi del buon costume, cui non
recherebbe gran briga l'invigilare sopra di elî, con un ben regolato
ripartimento, li quali per rimediare a'disordini maggiori, che incontrasfero
doverebbero avere chi desse loro assistenza, e braccio autorevole; e credetemi,
che dupplicato bene da ciò ne risulterebbe: cioè, che non anderebbono in quelle
ore vagabondando per la città, e li approfitterebbero insieme di molti buon
iavvertimenti, e cosi la gregge averebbe pastori a proporzione del fuo bisogno:
e fapere pure, che quantunque tanto si operi da questi zelancisfimi nello
svellere i vizi già adulti, nulladimeno per lo più poco, o niente di frutto da
cfsi si ottiene , onde mi parrebbero fatiche con profitto maggiore queste
impiegate, allorchè i vizi sono anco teneri, potendosi allora con più facilità
sradicare; che quando sono già adulti,senza tralasciare però d'invigilare a
fradicare anche questi assodati. Pub. [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors] Pub. E chi manterrebbe detti figliuoli da
quei artefici; acciocchè l'istruiffero fin tanto, che il loro lavoro meritalse
premio ? Mer. Sarebbe facile qui tra noi a trovarsi il modo, essendoci si
numerose, e considerabili limosine di pane , da diftribuirli a poveri; nè si potrebbe
dubicare in conto alcuno, che questi non folsero tali ; onde sarebbero con
giustizia , e profitto impiegare in essi ; nè potrebbero gli altri dolerli,
perchè verrebbero anche distribuite colla discreta propora zione rispetto agli
altri bisognosi invalidi; ne apporterebbero gran briga cinque, o sei ragazzi di
questi, provedusi già di pane, avendoli in bottega; ecenendo loro gli occhi
sopra, non potrebbero andare vagabondando in cerca de vizj conforme
facevano. Pub, E'pensiero questo da macurarsi meglio per discernere, che
vantaggio conliderabile potesse apportare. Sem. E se avessero genio di
studiare? Mec. [ocr errors][ocr errors][ocr errors] Mer. Di questo
ne discorreremo nel fine. Sem, Or ditemi dunque quali sono i vizj familiari
a ragazzi poveri ? Mec. Possono essere innumerabili, se non sono
sradicati alla prima da qual. cuno, e tanti appunto, quante sono l'erbe dannose
, & inutili, che nascono in una siepe abbandonata da chi la coltivi.
Posciache questi poffono essere primieramente affatto ignoranti dei misteri
della Santa Fede; non hanno in bocca altre parole, che difonckte, appreses per
istrada, e ral volia per essere figliuolini nè pur fapranno i loro ligniti.
cati ; fi afsucfaranno da teneri anni al rubare, e cominciando dalle core
commefibili faran passaggio all'altre ancora ; diverranno poi tanto impertin
nenti, che daranno fastidio a tutti; bu. giardi , fraudolenci, bestemmiatori, e
malizioli a segno, che quabrunque fico no di dieci, e undici anni saranno già
capaci in pratica di tutti i vizj concernenti alla luffuria . Puo.
[ocr errors] [ocr errors][ocr errors] De i buos
[merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] prove, e do
po [merged small][ocr errors][ocr errors] Sem. Ma è poflibile, Dottore,
che in sì tenera età facciano questo? Med. Io più d’uno di questi ho
vedy. to venire zoppi all'ospedale per ca. gione di buboni gallici, che avevano
acquistati con tali viziose ritrovata la verità gli ho anche mol. to bene
sgridati. Sem. Da che diviene questa gran facilità di cadere in fimili
vizj? Med. Lo spiegò Socrate a Teodata bellissima meretrice,allorche li
gloriava di superarlo nel saper sedurre più facilmente essa i suoi scolari,di
quello avess' cgli potuto fare colla sua dottrina in rimuovere dal suo amore i
suoi drudi, con risponderle,che lo credeva , nè punto fi maravigliava di ciò;
perch'ella li tirava all'ingiù , & a seconda del precipizio con poca sua
fatica dove ch'egli dovendoli tirar fuori da questo aveva d'uopo impiegarvi
fatica maggiore; come riferisce Eliano, Sem. Oh so, che crescendo questi
vizj con gli apoi, quanci mali effetti eli pros [ocr errors][ocr
errors][merged small][ocr errors][ocr errors] [ocr errors] 540 Conf. 10. Dec.
feconda produrranno ! riempiranno per la meno le galee di genec facinorosa, se
pur que. fti non anderanno sulle forche; onde conosco anch'io, ch'è troppo
necessa. rio darci riparo, altrimenti di questi viziosi ne toccheranno ad
ogn'uno per servitori, o per arrifti: ma come fi potrebbe fare almeno , che non
cre. scessero di vantaggio? Mes. Se non li trova il modo, che non vadano
vagabondando per le piazze, e di cenerli lontani da quei, che fono un poco più
adulti di essi, sempre correranno tali pericoli; e perciò lag. giamente ordinò
Ligurgo, che i figliun. li fossero allevati per i villaggi, e gli Egizi non li
faceano porre alla mensa per cibarsi, se prima noa avcano corso a piè nudi due,
o cre leghe. Ed appresso i Parci, se i loro figliuoli non avevano colla frezza
colpito, e fatto cadere il pane, che posto avevano in luogo eminente, non
facevano gustar loro altro; conforme ancora facevano le donne dell'Isole
Baleari, ma colla fionda, c CO: [ocr errors][ocr errors] così li
tenevano occupati , affinchè non aveflcro campo di avanzarli ne'vizj. Ma
trovandosi tra noi impicghi con direttori discreti, sarebbero questi affai più
profitcevoli; potendoli eziandio formare scuole d'apprendere arti, dove fossero
istruiti, e nella pierà, & in quel mestiero al quale applicassero di genio
; ma per opere sì magnifiche crè cose si ricercano , le quali sono ; l'autorità
del Prencipe ; valido soccorso; & allistenza allidua di uomini pii,
ezclanti del buon costume. Sem. Ma vi è pur S. Michele a Ripas grande ove
si fa tutto queito; perchè dunque andate cercando altro? Mec. Abbiamo certamente
tal Ospizio Apostolico utiliffimo, esantißimo, ove col timor di Dio G
avvezzano, e si approfittano ancora in diverse arci, era sendo usciti di là
molti , ch'erano prima senza indirizzo, e modo da softcocarli, divenuti capaci
d'alimentare se medesimi, e le loro famiglie; ma questo folo non è sufficiente
per educare tutri i [ocr errors][ocr errors][ocr errors][ocr errors]
nigliuoli poveri, che sono nella Città; nè è poffibile moltiplicarne canti
altri confimili ad effo, che foffero fufficienti; onde bisognerebbe trovare un
modo praticabile , acciocche fossero istruiti nella medesima forma, ma senza
ag. gravio di spesa equivalente alla proporzione di quella . Pub. Tutto
si potrebbe fare, ma però se non si toglieffe prima quello , che dasse loro
mal' esempio, gioverebbe a nulla. Meo. Questo è veriffimo;.perchè
entrando caluno al servizio, quantunque fosse semplice, e di buon costume ,' fe
cominciarse a comandargli il suo padione certe cose, che non li possono dire in
pubblico, effendo indecenti, como potrebbe far di ineno obbedendolo as non
divenire ancor esso diviato ? effen. do che: a bove majori discit arre minor ,
Se quantunque foffe sobrio, e vedeff: continuamente banchettare , & a vesse
tutto il commodo da disordinare anch' effo, come non diverrà gologfimo? E
par [ocr errors][ocr errors][ocr errors] last particolarmente se si
abbatteffc in chi, come dice Giovenale, Radere tubera terra Boletum
condire, codem in jure na, tantes Mergere facedulas didicit
Sco ap Et cana monstrante gula. Se si accorgerà poi, che manchi di pa.
rola, imparerà anch'esso a farlo dicen. do: se lo fa il mio Padrone, ben lo
posso far arch'io , perchè farà forse oggi di civiltà prar carlo. Voi
dunque, Semi pronio, vidolete attorto dei servirori; doleceri bensì dei
padroni, che gli ac- coltumano viziosi. Sem. Ma io
per la Dio grazia non fò di questo, e pure mi sono capitati molci
cattivi fervitori. Pub. Saranno stati prima corrotti da altri padroni se
non gli avete corrorti voi, e perciò imparare a non mutarli tanto spesso ,
potendovi abbattere ins peggiori, i quali non sarebbero più correggibili:
Barbatos licet admoveas, mille inde magiftros.Mec. Non solamente i servitori si
approfittano del mal'esempio de' padroni, ma tutti gli artisti, e mercanti
ancora, dandosi da caluno di esli a questi, invece del danaro, che avanzano,
certe mercaozie, le quali non trovano ad clitare, e le pongono a prezzi
altissimi, e da ciò essi imparano ad alterare i conti, ed in che forma !
Sem. Ma ci sono pure i periti, che li rivedono, e tarano? Mec. Si bene,
ma però elli l'informano, e fanno ben loro capire, che hanno ricevuto, a
ragione di contanti, assai di meno di quello pretendevano di aver dato loro, a
cagione dei prezzi alterati delle robe ricevute. Sem. Sicche faranno un
bel guada. gno questi , che daranno roba in vece di danaro; e ditemi, Dottore,
se ciò si pratica collo Speziale ancora ? Med. Taluno per quanto ho udito
lo fa. Sem. Consideriamo, che buone medicine daranno loro questi, che
sono così malamente pagari. Med. Med. Li poveretti troppo fi
sforzano die a servirli bene; ma certa cosa è, che vo gliono starci in
capitale almeno, c peri ciò non daraano già loro i migliori ri1 nedj.
Pub. I mercanti Moscoviti, prima che it fosse data loro la libertà di uscire
dal El Regno, avevano una bella maniera di contrattare, la quale era di
chiedere soSelamente il giusto prezzo delle loro mer canzic, e guai a
colui, che l'avesse altea si raco; posciache sarebbe caduto in pene sd
gravissime. Mec. Sicoftumerebbe tra noi ancora, 1 se correffe puntualmente
il danaro; må dovendosi tener morto questo più anni, e poi pagarfi Iddio
sà come, bisogna pur, ch'ella pensino al modo, che debbo. no tenere per
guadagnarci ; diano dunSe qne i primi ad edi buon csempio, che fa raono
imitati. Sem. E per fare, che i servitori non divengano viziosi, olcre il
non dar loro mal'esempio, che si potrebbe fare di e vantaggio ?
Mer. [ocr errors] Mm Mec. Bisogn' anche procurare, che non abbiano
occasione di addocrinarli in certe cose, che mal'interpretate da efli, da buone
che sono potrebbero divenire pesime; e vi riferirò a tale proposito un esempio.
Si abbatte un giorno un mio amico, che seco aveva due fervi. tori, ad udire un
certo discorso morale, fatto da un buon religioso, mà molto semplice, sopra il
furto, e venuto al par. ticolare, a che fomma questo doveste giugnere per
essere peccaminofo , avvedutosi egli, ch'erano attentissimi i suoi fervitori in
udirlo, chiese incontinente licenza,con iscusa di dover fare certo ur.
gentislimo negozio in quel punto;mà come egli,ini riferì il negozio era, che
non udifícro questi , che li potesse con ficura coscienza rubare una anche
minima cosa, perchè, come diceva, costoro l'averebbero reiterato tante volte in
un giorno, che in breve mi farei impoverito. Pub. Mi persuado ancora, che
non convenga dar loro il comodo di approvecciarsi malamente, con fidarsi alla
sjeca di cili, dando loro gran maneggio; per [ocr errors][ocr
errors][ocr errors] perchè la comodità appunto fà l'uomo ladro. Mec. Vi
era uno di questi, il quale prendeva cutto all'ingrosso, e con vantaggio
grande, e dipoi lorivendeva a minuto, ed a prezzo rigoroso al suo padrone, e vi
faceva giornalmente guada. gno considerabile, scusandosi in far ciò,
ch'era per sua industria , perchè non gli aveva ordinato di far
questo il suo padrone. Onde ingannavasi costui in credere di non aver obligata,
ad effo tutta la sua industria, come difatto avea . Sem. Sarebbe dunque
riuscito van taggioso per loro se avessero studiato , ed appreso le buone
dottrine. Mic. Se avessero fatto questo non si porrebbero a servire, come
dice uno di questi al suo padrone, allorchè lo sgrida, ch'era un ignorante, cui
replicó: signore se fossi dotto non servirei , mà bensì averei chi mi
servisle. Sem; Ne hò però ayuti di quei, che sono stati alla scuola, e
sapevano anco ra un poco di latino. Ner. [ocr errors][merged
small][ocr errors][ocr errors][merged small][ocr errors] Mm 2 Mec. Mà che
serviva loro questo? Sem. A nulla ; mà però se non mori. vano i loro
Padri si sarebbero tirati aranti nello studio, e forse sarebbono riusciti
uomini dotti. Mer. Vorrei, ch'esaminaflimo ora qual fosse meglio: chei
figliuoli dei poveri s'incaminassero per la strada delle lettere , o pure fi
ponessero da principio ad apprendere le arti, Sem. E che pretendereste
forse voi impedire, che ogn’uno non s'incamini a suo bellagio per la via, che
giudica per se più vantaggiosa? Capece pure, che vi sono stati molti plebci ,
che sono riusciti in esso come accennò Orazio fat.6.1. Multos fape
viros nullis majoribus oj tos, Ei vixise probos , magnis du
honoribus auctos. Mec. Questi non saranno stati però miserabili, perchè
dice ancora GioveHaud facilè emergunt quorum virtutibus ebfas.Res angufta
domi. e poi se taluno di questi, inà molto di rado, è
riuscito, oh quanti sono andati a inale! onde vorrei, che vedeffimo
quali di questi fieno quelli , che possono essere capaci di compire
questa carriera, ed a quali non getti conto. Perchè il sen. tiere
delle scienze, é assai lungo , ed crto, ed ha difficile ancora il suo
ingres- so; come bene lo descrive Silio Italico dicendo.
Ardua faxofo perducit semita clive , Aspera principio, nec enim mihi
fallera, mos est, profequitur labor ad nitendum
intrare volenti. Onde chi non potesse caminarvi fino al fine, che farcbbe
trovandosi nel mezo di esso ? non vorrà tornare indiccro per vergogna, nè potrà
ivi foftentarli., per essergli mancata la provisione neceffaria; onde non sa a
che partito appigliarsi; dove che la via delle arti, efiendo assai più piana, e
più breve, ed ancomeno dispendiosa, li renderà più facile, e [ocr errors]
Mm 3 van. vantaggiosa a questi di poterla cerminare. Sem.
Sicchè dunque farà meglio, e più vantaggioso per loro d’incaminarsi per il
sentiero delle arti, giacchè questo si renderà più facile a poveri di
compirlo. Mec. Così credo anch'io, perchè almeno giugneranno a
guadagnarli il pa. ne più spedicamente, e con minor pericolo di rimanere
inesperti . Sem. Come pensate voi di fare questa scelta, di chi sia
capace d’incaminarsi per essa, e chi per l'altra più piano delle arti .
Mec. Se per esempio ci fossero figliuo. li di mediocre talento de poveri
artisti, o di vedove, che appena colla loro fati. ca arrivano ad alimentarli
parcamente, questi sarebbero perduti, volendoli incaminare per la trada delle
scienze, e maggiormente, se saranno i loro genitori avanzati negli anni ;
perchè morendo questi, chi li softenterà trovandoạ nella carriera a qualcuno di
quei, che sono nel principio del camino può essere, che; torni
indietro, econ ripugaanza grande si ponga ad apprendere qualche arre,
quelli, che saranno però più inoltraci , vergognandosi di farlo, come si trove.
ranno i meschini, non avendo chi più li sostenri ? talmente che per procac.
ciarli il vitto saranno costretti di fare ogni viltà, purchè salvino l’apparenza
del proseguimento di tale impiego , ch' esli si avevano figuraco di voler
esercitare; laonde poftisi in doslo una toghetta,ed un perucchino, ne quali
consiste il loro capitale, tutti lindi si porranno , essendo ignoranti, a far
da guasta mestiere: e vi pare che questi possano apportare utile alla republica,
stroppiando cause, se prenderanno la via legale ? e quello ch'è peggio , che se
per quella della medicina s'incamineranno quanti ne animazeranno impunemente ?
Olere poi il discredito, che ne riceverebbono professioni (i nobili, per
cagione di essi. Sem. Mà perchè se ne prevalgono di questi?
Mec. [ocr errors] Mm 4 Mec. Perchè la maggior parte, chc litigano
sono ignoranti; e simili a questi ancora sono quelli, che si trovano malati;
onde come potranno discerneru questi a che segno giunga la di loro abilità?
ctanto più, che quantunque penuriando di dottrina i guasta mestieri, non si
trovano già scarû di malizia, per dare ad intendere lucciole per lanterne
quando vi sia duopo, essendo questi gran; mensognieri. Sem. Quali voi
crederefte, Mecenate, che potessero incaminarli per la via del le scienze con
sicurezza maggiore? Meo. Quelli solamenre a quali il Padre morendo in
questo mentre , poresse lasciare 'ranto, che fosse sufficience a poter
terminare i loro studj, cche fossero di buono ingegno; perchè se non saranno
cali gertato averebbero quel danaro, e rimanendo mendichi, ed ignoranti, questi
ancora fi porrebbero a fare molce viltà, e perciò l'Ecclesiast. al 27. csclama.
Propter inopiam multi deliquerunt; de'quali così ebbe anco a dire ORAZIO.
Ma Magnum pauperies opprobrium jubet. Quiduis ad facere et
pari, Virtutisque viam deferit arduam. Sem. A chi toccherebbe
di farne la prova del loro ingeg:10 , e capacità ? Mec. Niuno meglio de'
loro maestri , che li avessero cominciati ad istruire sarebbe più a proposito;
mà taluni di questi alle voltc consigliano i poveri Padri con poca carità a
fare proseguire loro l’opera mal’incominciara . Pub. Sapere, Mecenate,
che non è disprezabile pensiero questo da voi apportato, e rifletto ora
anch'io, che il voler porre con tanta facilità i poveri all'acquisto delle
scienze possa essere una delle cagioni, che ritardano più tosto la buona
educazione, e mi inaraviglio che non si dia già dato opportuno riparo a questo
inconveniente, Mec. Sicte pur pratico del mondo, e non riflettere , che
non tutto arriva all' orecchie di chi vi può dare rimedio,perchè se vi
giugnessero tutte le cose, quanti buoni regolamenti si prendereb [ocr
errors][merged small] Res nale fac. 3:bero dalla vigilanza di effo.
Pub. Che imparassero i figliuoli de’ poveri, a leggere, scrivere , e l'abaco lo
stimerei necessario ; mà che questi poi si applicassero alli studi delle
scienze, non avendo nè capacità necessaria, nè modo da foftentarli, ora che voi
ave. te mostrato tanti inconvenienti lo stimo dannoso anch'io. Sem. Come
fecero Publio, quei celebri filosofi antichi, i quali erano affatto privi
de’beni di fortuna, a divenire così dotti; efsendomi stato raccontato di
Diogene, che appena avesse una botte per difendersi
dall'inclemenze dell'aria : e di Socrate, chę altre di calcare sem, pre la
terra co’piedi nudi, appena venisse ricoperto da un sordido mantello.
Pub. Affinchè meglio comprendiate la verità di quanto diffi, dovete sapere, che
considera AQUINO la povertà in due maniere ; ove parla : Contra genti. Jes;
cioè: aut ex coactâ neceffitate, aut ex propriâ voluntate. Questi filosofi da
voi mentovati erano poveri; perchè non [ocr errors][ocr errors][ocr
errors] si curavano punto de'beni della fortuna, e riputandoli dannosi
non istudiavano di cumulare richezze, quantunque das queste
'venissero adescati . Mentre , che non fece Alessandro il grande per
ri- muovere dalla sua bramata povertà Diogene , quantunque in
darno? Quan, . to non fi adoperò Archelao per fare divenire ricco
Socrate ? mà egli per liberarsi dalla di lui generosa importunità li fè
intendere , che in Atene a vile prezzo si vendevano le farine, e che colà
le acto que nulla costavano; e perciò questa voin lontaria povertà, non folamente
non li * contristava, mà serviva loro più tosto di ajuto per la
filosofia; come riferisce 1 Stobeo, fer.93, che confeffalse, l'isteiro
Diogene . Anzi Epicuro passò più oltre, come si ricava da Seneca
nell'epift. 2 1. persuadendosi egli,che la volontaria poi vertà ,
la quale si uniforma alle leggi di natura , non debba riputarsi povertà,
į inà più tosto ricchezza superiore a tutte 3 le altre, di qual sentimento ,
oltre molti altri filosofi, fù ancora Democrito; men [ocr
errors][ocr errors] tre tre venendo egli interrogato, come ri. ferisce
Scobeo, qual fosse il vero modo da divenire molto ricco, rispose : con divenire
povero di desiderio. Sem. Potrebbero dunque i nostri poveri figurandoli
volontaria la loro forzata povertà, divenire Filosofi ancor efli. Pub.
Non è più quel tempo antico, nel quale i poveri si contentavano audrirli di
solo pane, ed acqua , o di sole erbe, come riferisce Eliano, che faceffe
Diogene; onde questa povertà volontaria, senza un special dono di Dio si
renderà impollibile a conseguirsi . Sem. Vorei sapere, perchè questa
povertà forzata abbia da ritardare l'acquisto delle scienze, c la volontaria
più tosto da promoverlo? Pub. Perchè la forzata contrifta fortemente
l'animo,apprendendo chi la sof. fre di essere infeliciffimo, dove che la
volontaria, riputandoli per feliçità da cui si gode, lo rende sommamente
cranquillo : Laonde chi mai coll'animo con, [ocr errors] tristato potrà
applicare a cose tanto serie, conforme sono le scienze ? le quali richiedono attenta
meditazione da cui brama d'approfittarsene. Quindi è, che Aristotile nel primo
della sua Etica ebbe con ragione a dire: Impoffibile eft indigentem operari
bona; e più chiaramente nel secondo della politica. Impossibile eft inte
digentem ftudio vacare ; c non potendosi i poveri di spontanea volontà chiamare
in digentes,non milita contro di esli l'autorità di Aristotile; perchè questi
hanno ciocche, fà d'vopo al loro necessario sostentamento, ed è ciò sufficiente
per effi , avendolo fatto conoscere Socrate, riferito da Stobeo al serm. 95.
allorchè diffe: Si res 'mea mibi non fufficiunt, du ego ipfis fufficio, as fic
etiam ipfa mibi; al opposto i poveri, che non hanno povero il loro desiderio
ancora , non li appagano punto di ciò, chè si trovano, braman. do sempre di
vantaggio, sembrando loro quanto hanno per esli insufficiente, c per tale
cagione vivono perperuamente contristati. Or ditemi, Sempronio, se [ocr
errors][ocr errors] avere da dire altro intorno al morale? Sem. Non altro
certamente intorno a questo, e credo di avere udito tanto, che se me ne
approfitterò saprò scegliere la noglie approposito, ed allevare nel buon
costume anche i miei figliuoli, che nasceranno. Mi rimane solamente di sentire
dal dottore, quali vantaggi potrebbe apportare all'educazione la filosofia, e
specialmente in quei figliuoli, che ricalcitrano nello approfittarfi de buoni
documenti morali. FIL. Di questo ne tratteremo domani. – “I have a train
to catch.” Grice: “I like Gagliardi. In honest Italian prose, he manages to
write a treatise for the week: the first day (or giornata) and so forth. It is
an empirical ethical treatise along Aristotelian lines of the type I classify
as ‘is’ rather than ‘ought’. Recall that the fundamental question I pose for
pragmatics is why maxims ought to be followed rather than being, as they are,
mainly and ceteris paribus followed! My answer to that is in three stages, and
the first ‘answer, dull and empirical’ is that the maxims ARE, as a matter of
EMPIRICAL fact, followed. This far Gagliardi goes – and succeeds!” – Grice: “He
wrote extensively, knowing British parents, how a father must take care of his
son, or at least find him a good tutor!” Domenico Gagliardi. Gagliardi. Keywords:
“a dull (if at a certain level adequate) answer to the fundamental question
about the conversational categoric imperative”; moralia, etica, mos, ethos –
Grice on morality – morals – educazione – “We learn not to tell lies from our
parents” Hardie, Ethica Nichomachaea, la formazione del carattere. “Empirical fact we’ve learned since childhood
and it would be difficult to diverge from the practice” – “This is a dull
empirical.” -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Gagliardi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Gaio: la ragione
conversazionale e l’accademia a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Although
he appears to have enjoyed a significant reputation, next to nothing is known
about him. Porfirio mentions commentaries on Plato by G. that may have been
edited by his pupil Albino. Gaio.
Grice e Galba: la
ragione conversazionale e il principe filosofo -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Mussonio: deportato da Nerone, pardonato da Galba – Deportato da
Vespasiano, pardonato da Tito.
Grice e Galeno: la
ragione conversazionale e la scuola d’Antonino – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Brought to Rome by Antonino.
Grice e Galetti: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Filosofo. Emporium.
Grice e Galilei: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- Eppur si muove -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Pisa). Filosofo. Galileo Galilei. Grice: “His
father was, like mine, a musician.” – “La filosofia è scritta in questo
grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico
l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la
lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua
matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche,
senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi
è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. Personaggio chiave della
rivoluzione scientifica, per aver esplicitamente introdotto il metodo
scientifico (detto anche "metodo galileiano" o "metodo
sperimentale"), il suo nome è associato a importanti contributi in fisica
e in astronomia. Di primaria importanza fu anche il ruolo svolto nella
rivoluzione astronomica, con il sostegno al sistema eliocentrico e alla teoria
copernicana. I suoi principali contributi al pensiero filosofico derivano
dall'introduzione del metodo sperimentale nell'indagine scientifica grazie a
cui la scienza abbandonava, per la prima volta, quella posizione metafisica che
fino ad allora predominava, per acquisire una nuova, autonoma prospettiva, sia
realistica che empiristica, volta a privilegiare, attraverso il metodo
sperimentale, più la categoria della quantità (attraverso la determinazione
matematica delle leggi della natura) che quella della qualità (frutto della
passata tradizione indirizzata solo alla ricerca dell'essenza degli enti) per
elaborare ora una descrizione razionale oggettiva[N 6] della realtà fenomenica.
Sospettato di eresia e accusato di voler sovvertire la filosofia naturale
aristotelica e le Sacre Scritture, Galilei fu processato e condannato dal
Sant'Uffizio, nonché costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue
concezioni astronomiche e al confino nella propria villa di Arcetri. Nel corso
dei secoli il valore delle opere di Galilei venne gradualmente accettato dalla
Chiesa, e 359 anni dopo, il 31 ottobre 1992, papa Giovanni Paolo II, alla
sessione plenaria della Pontificia accademia delle scienze, riconobbe "gli
errori commessi" sulla base delle conclusioni dei lavori cui pervenne
un'apposita commissione di studio da lui istituita nel 1981, riabilitando
Galilei. La casa natale di G. Abitazione all'800 Abitazione in via
Giusti Dal libretto di battesimo di Galileo riportante come luogo "in
Chapella di S.to Andrea", si credeva fino alla fine dell'800 che Galileo
potesse essere nato vicino alla cappella di Sant'Andrea in Kinseca nella
fortezza San Gallo, il che presumeva che il padre Vincenzo fosse un militare.
In seguito fu identificata casa Ammannati, vicino alla Chiesa di Sant'Andrea
Forisportam, come la vera casa natale. Figlio di Vincenzo G. e di Giulia Ammannati.
Gli Ammannati, originari del territorio di Pistoia e di Pescia, vantavano
importanti origini; Vincenzo G. invece apparteneva ad una casata più umile, per
quanto i suoi antenati facessero parte della buona borghesia fiorentina. Vincenzo
era nato a Santa Maria a Monte, quando ormai la sua famiglia e decaduta ed
egli, musicista di valore, dove trasferirsi a Pisa unendo all'esercizio
dell'arte della musica, per necessità di maggiori guadagni, la professione del
commercio. La famiglia di Vincenzo e di Giulia, contava oltre G.:
Michelangelo G., musicista presso il granduca di Baviera, Benedetto G., morto
in fasce. Dopo un tentativo fallito di inserire G. tra i XL studenti toscani
che venivano accolti gratuitamente in un convitto di Pisa, e ospitato senza
spese da Tebaldi, doganiere della città di Pisa, padrino di battesimo di Michelangelo
G., e tanto amico di Vincenzo da provvedere alle necessità della famiglia
durante le sue lunghe assenze per lavoro. A Pisa, G. conosce Bartolomea
Ammannati che cura la casa del rimasto vedovo Tebaldi il quale, nonostante la
forte differenza d'età, la sposa, probabilmente per metter fine alle malignità,
imbarazzanti per la famiglia G., che si facevano sul conto della giovane
nipote. Successivamente fa i suoi primi studi a Firenze, prima col padre, poi CON
UN MAESTRO DI DIALETTICA e infine nella scuola del convento di Santa Maria di
Vallombrosa, dove vestì l'abito di novizio. Vincenzo iscrive il figlio a Pisa con
l'intenzione di fargli studiare medicina, per fargli ripercorrere la tradizione
del suo glorioso antenato Galileo Bonaiuti e soprattutto per fargli
intraprendere una carriera che poteva procurare lucrosi guadagni.
Nonostante il suo interesse per i progressi sperimentali di quegli anni, la sua
attenzione e presto attratta dalla semiotica, la logica, e la matematica – lo
studio del segno -- che comincia a studiare sfruttando l'occasione della
conoscenza fatta a Firenze di Ricci da Fermo, un seguace della scuola
matematica di Tartaglia. Caratteristica del Ricci e l'impostazione che egli
dava all'insegnamento della matematica: non di una scienza astratta o formale,
ma di una disciplina materiale che serve a risolvere i problemi pratici legati
alla meccanica e alle tecniche ingegneristiche. E, infatti, la linea di studio
Tartaglia-Ricci (prosecutrice, a sua volta, della tradizione facente capo ad
Archimede) a insegnare a G. l'importanza della precisione nell'OSSERVAZIONE dei
dati e il lato prammatico della ricerca scientifica. È probabile che a Pisa segue
anche i corsi di filosofia naturale (fisica) tenuti dal liziio BONAMICI. Durante
la sua permanenza a Pisa arriva alla sua prima, personale scoperta, che chiama
l' “iso-cronismo” nelle oscillazioni di un pendolo. Rinuncia a proseguire gli
studi di medicina e anda a Firenze, dove approfondì i suoi nuovi interessi,
occupandosi di meccanica e d’idraulica. Trova una soluzione al problema della
corona di Gerone inventando uno strumento per la determinazione idrostatica del
peso specifico dei corpi. L'influsso di Archimede e dell'insegnamento del Ricci
si rileva anche nei suoi studi sul centro di gravità dei solidi. Cerca intanto
una regolare sistemazione economica: oltre a impartire lezioni private a
Firenze e a Siena, anda a Roma a richiedere una raccomandazione per entrare
nello studio di Bologna a Clavius, ma inutilmente, perché a Bologna gli preferirono
alla cattedra Magini. Su invito dell'accademia fiorentina tenne due lezioni
circa la figura, sito e grandezza dell'Inferno, difendendo le ipotesi già
formulate da Manetti sulla topografia dell'Inferno. G. si rivolse allora a Monte,
matematico conosciuto tramite uno scambio epistolare su questioni matematiche.
Monte e fondamentale nell'aiutare G. a progredire nella carriera quando,
superando l'inimicizia di Giovanni de' Medici, un figlio naturale di Cosimo de'
Medici, lo raccoma al fratello cardinale Francesco Maria Del Monte, che a sua
volta parla con il potente Duca di Toscana, Ferdinando I de' Medici. Sotto la
sua protezione, ha un contratto triennale per una cattedra a Pisa, dove espose
chiaramente il suo programma, procurandosi subito una certa ostilità
nell'ambiente accademico di formazione lizia. Il metodo che sigue e quello di
far dipendere quel che si dice da quel che si è detto, senza mai supporre come
vero quello che si deve spiegare. Questo metodo me l'hanno insegnato i miei
matematici, mentre non è abbastanza osservato da certi filosofi quando
insegnano elementi fisici. Per conseguenza quelli che imparano, non sanno mai
le cose dalle loro cause, ma le credono solamente per fede, cioè perché le ha
dette ARISTOTELE. Se poi e vero quello che ha detto ARISTOTELE, sono pochi
quelli che indagano; basta loro essere ritenuti più dotti perché hanno per le
mani maggior numero di testi aristotelici che una tesi sia contraria
all'opinione di molti, non m'importa affatto, purché corrisponda alla esperienza
e alla ragione. Frutto dell'insegnamento pisano è “De motu antiquiora”, che
raccoglie una serie di lezioni nelle quali egli cerca di dar conto del problema
del movimento. Base delle sue ricerche è il trattato, pubblicato a Torino, “Diversarum
speculationum mathematicarum liber d Benedetti, uno dei fisici sostenitori
della teoria dell'IMPETO come causa del moto violento. Benché non si sapesse
definire la natura dell’impeto impresso a un corpo, questa teoria, elaborata da
Filopono e poi sostenuta dai fisici
parigini, pur non essendo in grado di risolvere il problema, si oppone alla
tradizionale spiegazione aristotelica del movimento come prodotto del mezzo nel
quale IL CORPO ANIMATO stesso si muove. A Pisa G. non si limita alle sole
occupazioni scientifiche. Risalgono infatti a questo periodo le sue “Considerazioni
sul Tasso” che avrebbero avuto un seguito con le Postille all'Ariosto. Si
tratta di note sparse su fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi
volumi della Gerusalemme e dell' “Orlando furioso” dove, mentre rimprovera al
Tasso la scarsezza della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del
verso, ciò che ama nell'Ariosto non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar
rapido delle situazioni, la viva elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico
di questo, la coerenza dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del
fantasma poetico. La morte del padre lo lasciando l'onere di mantenere tutta la
famiglia: per il matrimonio della sorella Virginia, dove provvedere alla dote,
contraendo dei debiti, così come avrebbe poi dovuto fare per le nozze della
sorella Livia con Galletti, e altri denari avrebbe dovuto spendere per
soccorrere le necessità della numerosa famiglia del fratello Michelangelo. Del
Monte intervenne ad aiutare nuovamente, raccomandandolo al prestigioso studio
di Padova, dove era ancora vacante una catedra dopo la morte di Moleti. Le
autorità della Repubblica di Venezia emanarono il decreto di nomina, con un
contratto, prorogabile, di IV anni e con uno stipendio di 180 fiorini l'anno. Tenne
a Padova il discorso introduttivo e dopo pochi giorni comincia un corso
destinato ad avere un grande seguito presso gli studenti. Vi sarebbe restato
per diciotto anni, che avrebbe definito «li diciotto anni migliori di tutta la
mia età. Arriva a Venezia solo pochi mesi dopo l'arresto di BRUNO a
Venezia. Nel dinamico ambiente di Padova (risultato anche del clima di
relativa tolleranza religiosa garantito dalla Repubblica veneziana), intrattenne rapporti cordiali anche con
personalità di orientamento filosofico lontano dal suo, come CREMONINI filosofo
rigorosamente lizio. Frequenta anche i circoli colti e gli ambienti senatoriali
di Venezia, dove stringe amicizia con Sagredo, che G. rese protagonista del suo
Dialogo sopra i massimi sistemi, e SARPI, esperto di semiotica. È contenuta
proprio nella lettera al frate servita
la formulazione della legge sulla caduta dei gravi. Gli spazii passati dal moto
naturale esser in proportione doppia dei tempi, e per conseguenza gli spazii
passati in tempi eguali esser come ab unitate, et le altre cose. Et il
principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di velocità con
quella proportione che si discosta dal principio del suo moto. G. tiene a Padova
lezioni di meccanica: il suo “Trattato di meccaniche” dovrebbe essere il
risultato dei suoi corsi, che hanno origine dalle “Questioni meccaniche” di
Aristotele. A Padova G. attrezza con l'aiuto di un artigiano che abitava
nella sua stessa casa, una officina nella quale eseguiva esperimenti e fabbrica
strumenti che vende per arrotondare lo stipendio. Perla macchina per portare
l'acqua a livelli più alti ottenne dal Senato veneto un brevetto ventennale per
la sua utilizzazione pubblica. Da anche lezioni private e ottenne aumenti di
stipendio: dai 320 fiorini percepiti annualmente passa ai 1.000. Una nuova stella e osservata d’Altobelli, il
quale ne informa G.. Luminosissima, e osservata successivamente anche da
Keplero, che ne fa oggetto di uno studio, il De Stella nova in pede
Serpentarii. Su quel fenomeno astronomico G. tenne III lezioni, il cui testo
non ci è noto, ma contro le sue argomentazioni scrive un opuscolo Lorenzini,
sedicente lizio originario di Montepulciano, su suggerimento di CREMONINI, e
intervenne a sua volta con un opuscolo anche Capra. Interpreta il fenomeno della
nuova stella come prova della mutabilità dei cieli, sulla base del fatto che,
non presentando la nuova stella alcun cambiamento di parallasse, essa dovesse
trovarsi oltre l'orbita della Luna. A favore della tesi si pubblica “Dialogo
de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito della Stella Nuova. Ronchitti
difende la validità del metodo della parallasse per determinare la distanza
minima di cose accessibili all'osservatore solo visivamente, quali sono gl’astri.
Rimane incerta l'attribuzione del dialogo, se cioè sia opera dello stesso G. o
di Spinelli. Compose II trattati sulla fortificazione, la breve introduzione
all'architettura militare e un trattato di fortificazione. Fabbrica un compasso,
che descrive in “Le operazioni del compasso geometrico et militare” (Padova). Il
compasso e strumento già noto e, in forme e per usi diversi, già utilizzato, né
G. pretese di attribuirsi particolari meriti per la sua invenzione. Ma Capra lo
accusa di aver plagiato una sua precedente invenzione. Ribalta le accuse di Capra,
ottenendone la condanna da parte dei Riformatori dello Studio padovano e
pubblica una Difesa contro alle calunnie et imposture di Capra, dove ritorna anche
sulla precedente questione della nuova stella. L'apparizione della nuova stella
crea grande sconcerto nella società e G. non disdegna di approfittare del
momento per elaborare, su commissione, oroscopi personali, al prezzo di 60 lire
venete. Peraltro, e messo sotto accusa dall'inquisizione di Padova a seguito di
una denuncia di un suo ex-collaboratore, che lo aveva accusa precisamente di
aver effettuato oroscopi e di aver sostenuto che gl’astri determinano le scelte
dell'uomo. Il procedimento, però, e energicamente bloccato dal Senato della
Repubblica veneta e il dossier dell'istruttoria venne insabbiato, così che di
esso non giunse mai alcuna notizia all'Inquisizione romana, ossia al Sant'Uffizio.
Il caso venne probabilmente abbandonato anche perché G. si e occupato di
astrologia natale e non di astrologia pro-gnostica o previsionale. La sua
fama come autore d’oroscopi gli porta richieste, e senza dubbio pagamenti più
sostanziosi, da parte di cardinali, principi e patrizi, compresi Sagredo,
Morosini e qualcuno che si interessa a Sarpi. Scambia lettere con Gualterotti,
e, nei casi più difficili, con Brenzoni. Tra i temi natali calcolati e
interpretati figurano quelli delle sue due figlie, Virginia e Livia, e il suo
proprio, calcolato tre volte. Il fatto che si dedicasse a questa attività anche
quando non e pagato per farlo suggerisce che egli vi attribuisse un qualche
valore. Non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che
credono in quello che vedono. (if you see that p, because you want that p). Non sembra che, nella polemica sulla nuova stella, G.
si e già pubblicamente pronunciato a favore della teoria elio-centrica di
Copernico. Si ritiene che egli, pur intimamente convinto copernicano, pensasse
di non disporre ancora di prove sufficientemente forti d’ottenere
invincibilmente l'assenso della universalità dei filosofi. Tuttavia, espressa
privatamente la propria adesione al copernicanesimo a Keplero – che pubblica il
suo Prodromus dissertationum cosmographicarum scrive. Ho già scritto molte
argomentazioni e molte confutazioni degl’argomenti avversi, ma finora non oso pubblicarle,
spaventato dal destino dello stesso Copernico, nostro maestro. Questi timori,
però, svaniranno proprio grazie al cannocchiale, che G. punta per la prima volta
verso il cielo. Di ottica si sono occupati già Porta nella sua Magia naturalis
e nel De refractione e Keplero negli Ad Vitellionem paralipomena, opere dalle
quali era possibile pervenire alla costruzione del cannocchiale. Lo strumento e
costruito indipendentemente da Lippershey. G. decide allora di preparare un
tubo di piombo, applicandovi all'estremità due lenti, ambedue con una faccia
piena e con l’altra sfericamente concava nella prima lente e convessa nella
seconda. Quindi, accostando l’occhio alla lente concava, percepii l’astro
abbastanza grande e vicino, in quanto essi apparivano III volte più prossimi e IX
volte maggiori di quel che risultavano guardati con la sola vista naturale. Presenta
l'apparecchio come sua costruzione al governo di Venezia che, apprezzando
l'invenzione, gli raddoppia lo stipendio e gl’offre un contratto vitalizio
d'insegnamento. L'invenzione, la riscoperta e la ricostruzione del cannocchiale
non è un episodio che possa destare grande ammirazione. La novità sta nel fatto
che G. è il primo a portare questo strumento, usandolo in maniera prettamente
logica e concependolo come un potenziamento del sentire – il vedere. La
grandezza di Galileo nei riguardi del cannocchiale è stata proprio questa.
Supera tutta una serie di ostacoli concettuali (cf. Galileo sees that the star
is nice +> without a telescope – I could see the cow from the window) -- utilizzando
suddetto strumento per rafforzare le proprie tesi. Grazie al
cannocchiale, G. propone una nuova visione del mondo celeste. Giunge alla
conclusione che, alle stelle visibili ad occhio nudo, si aggiungono altre
innumerevoli stelle mai scorte prima d’ora. L'universo, dunque, diventa più
grande. Non c’è differenza di natura fra la terra e la luna. G. arreca così un
duro colpo alla visione aristotelico-tolemaica geo-centrica del mondo,
sostenendo che la superficie della luna non è affatto liscia e levigata bensì
ruvida, rocciosa e costellata di ingenti prominenze. Quindi, tra gl’astri,
almeno la luna non possiede i caratteri di assoluta perfezione che ad essa
erano attribuiti dalla tradizione. Inoltre, la luna si muove, e allora perché
non dovrebbe muoversi anche la terra che è simile dal punto di vista della
costituzione? Vengono scoperti i un satellite di Giove, che G. denomina la
stelle medicea. Questa consapevolezza l’offre l'insperata visione in cielo di
un modello più piccolo dell'universo copernicano. Le scoperte sono pubblicate nel
Sidereus Nuncius, una copia del quale G. invia a Cosimo II, insieme con un
esemplare del suo cannocchiale e la dedica dei IV satelliti, battezzati da G.
in un primo tempo Cosmica Sidera e successivamente medicea sidera. È evidente
l'intenzione di G. di guadagnarsi la gratitudine della Casa medicea, molto
probabilmente non soltanto ai fini del suo intento di ritornare a Firenze, ma
anche per ottenere un'influente protezione in vista della presentazione, di
fronte al pubblico degli studiosi, di quelle novità, che certo non avrebbero
mancato di sollevare polemiche. Chiede a Vinta, Primo Segretario di Cosimo
II, di essere assunto allo Studio di Pisa, precisando. Quanto al titolo et
pretesto del mio servizio, io desidererei, oltre al nome di matematico, che S.
A. ci aggiugnesse quello di “filosofo”, professando io di havere studiato più
anni in FILOSOFIA, che mesi in matematica pura. Il governo fiorentino comunica
a G. l'avvenuta assunzione come «Matematico primario dello Studio di Pisa et di
FILOSOFO del Ser.mo Gran Duca, senz'obbligo di leggere e di risiedere né nello
Studio né nella città di Pisa, et con lo stipendio di mille scudi l'anno,
moneta fiorentin. G. firma il contratto e raggiunse Firenze. Qui giunto
si premura di regalare a Ferdinando, figlio del granduca Cosimo, la migliore
lente ottica che realizza nel suo laboratorio organizzato quando e a Padova
dove, con l'aiuto dei mastri vetrai di Murano confezionava occhialetti sempre
più perfetti e in tale quantità da esportarli, come fa con il cannocchiale
mandato all'elettore di Colonia il quale a sua volta lo prestò a Keplero che ne
fa buon uso e che, grato, conclude la sua opera Narratio de observatis a se
quattuor Jovis satellitibus erronibus, così scrivendo. “Vicisti G.” -- riconoscendo
la verità delle scoperte di G. Ferdinando ruppe la lente. G. gli regala qualcosa
di meno fragile: una calamita armata, cioè fasciata da una lamina di ferro,
opportunamente posizionata, che ne aumenta la forza d'attrazione in modo tale
che, pur pesando solo sei once, il magnete sollevava XV libbre di ferro lavorato
in forma di sepolcro. In occasione del trasferimento a Firenze lascia la sua
convivente, la veneziana Marina Gamba, conosciuta a Padova, dalla quale aveva
avuto tre figli: Virginia e Livia, mai legittimate, e Vincenzio, che riconosce.
Affida a Firenze la figlia Livia alla nonna, con la quale già convive l'altra
figlia Virginia, e lascia Vincenzio a Padova alle cure della madre e poi, dopo
la morte di questa, a Bartoluzzi. In seguito, resasi difficile la
convivenza delle due bambine con Ammannati, G. fa entrare le figlie nel
convento di San Matteo, ad Arcetri (Firenze), costringendole a prendere i voti
non appena compiuti i rituali XVI anni. Virginia assunse il nome di suor Maria
Celeste, e Livia quello di suor Arcangela, e mentre Virginia G. si rassegna
alla sua condizione e rimase in contatto epistolare con il padre, Livia non
accetta mai l'imposizione. La pubblicazione del Sidereus Nuncius suscita
apprezzamenti ma anche diverse polemiche. Oltre all'accusa di essersi
impossessato, con il cannocchiale, di una scoperta che non gl’apparteneva, e
messa in dubbio anche la realtà di quanto egli asseriva di aver scoperto. Sia
Cremonini, sia Magini, che sarebbe l'ispiratore del libello “Brevissima
peregrinatio contra Nuncium Sidereum” da Horký, pur accogliendo l'invito di G.
a guardare attraverso il telescopio che egli ha costruito, ritennero di *non* vedere
alcun supposto satellite di Giove. Solo più tardi Magini si ricredette e
con lui anche Clavius, che aveva ritenuto che i satelliti di Giove individuati
da G. sono soltanto un'”illusione” prodotta non direttamente dal corpo di G.
mai dalla lente del telescopio. Quest’obiezione e difficilmente confutabile. Conseguente
sia alla bassa qualità del sistema ottico del primo telescopio, sia all'ipotesi
che la lente potessero deformer la vision natural all’occhio nudo. Un appoggio
molto importante e dato a G. da Keplero, che, dopo un iniziale scetticismo e
una volta costruito un telescopio sufficientemente efficiente, verifica
l'esistenza effettiva dei satelliti di Giove, pubblicando a Francoforte la “Narratio
de observatis a se IV Jovis satellitibus erronibus quos G. mathematicus
florentinus jure inventionis MEDICAEA SIDERA nuncupavit”. Poiché i gesuiti del
Collegio Romano sono considerati tra le maggiori autorità scientifiche del tempo,
si reca a Roma per presentare le sue scoperte. E accolto con tutti gl’onori da Paolo
V e da Cesi, che lo iscrive nei Lincei. G. scrive a Vinta che i gesuiti avendo
finalmente conosciuta la verità dei nuovi MEDICAEA SIDERA, ne hanno fatte da II
mesi in qua continue osservazioni, le quali vanno proseguendo; e le aviamo “riscontrate
con le mie” e si rispondano giustissime. Però, a quel tempo non sa ancora che
l'entusiasmo con il quale anda diffondendo e difendendo le proprie scoperte e
teorie suscita resistenze e sospetti precisamente in ambito
ecclesiastico. Bellarmino incarica i matematici vaticani d’approntargli
una relazione sulle nuove scoperte fatte da un valente matematico per mezo d'un
istrumento chiamato cannone overo ochiale e la congregazione del sant’uffizio precauzionalmente
chiede all'inquisizione di Padova se e mai stato aperto, in sede locale,
qualche procedimento a carico di G.. Evidentemente, la curia romana comincia
già a intravedere quali conseguenze avrebbero potuto avere questi singolari
sviluppi della filosofia sulla concezione generale del mondo e quindi,
indirettamente, sui sacri principi. Scrive il Discorso intorno alle cose che
stanno in su l'acqua, o che in quella si muovono, nel quale appoggiandosi alla
teoria di Archimede dimostra, contro Aristotele, che i corpi galleggiano o
affondano nell'acqua a seconda del loro peso specifico non della loro forma,
provocando la polemica risposta del Discorso apologetico d'intorno al Discorso
di G. di Colombe. Al Pitti, presenti il granduca, la granduchessa Cristina e Barberini,
allora suo grande ammiratore, da una pubblica dimostrazione sperimentale
dell'assunto, confutando definitivamente Colombe. G. accenna anche alle
macchie solari, che sosteniene di aver già osservate a Padova, senza però darne
notizia: scrive ancora, l'Istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e
loro accidenti, pubblicata a Roma dall'Accademia dei Lincei, in risposta a III lettere
di Scheiner che, indirizzate a Welser, duumviro di Augusta, mecenate delle
scienze e amico dei Gesuiti dei quali e banchiere. A parte la questione della
priorità della scoperta, Scheiner sostene erroneamente che le macchie consisteno
in sciami di astri rotanti intorno al Sole, mentre G. le considera materia
fluida appartenente alla superficie del sole e ruotante intorno ad esso proprio
a causa della rotazione stessa della stella. L'osservazione delle macchie
consentì, quindi, a G. la determinazione del periodo di rotazione del sole e la
dimostrazione che il cielo e la terra non sono II mondi radicalmente diversi,
il primo solo perfezione e immutabilità e il secondo tutto variabile e imperfetto.
Infatti, ribadì a Cesi la sua visione copernicana scrivendo come il sole si
rivolgesse «in sé stesso in un mese lunare con rivoluzione simile all'altre de
i pianeti, cioè DA PONENTE VERSO LEVANTE intorno a i poli dell'eclittica: la
quale novità dubito che voglia essere il funerale o più tosto l'estremo e
ultimo giudizio della pseudo-filosofia, essendosi già veduti segni nelle
stelle, nella luna e nel sole; e sto aspettando di veder scaturire gran cose
dal peripato del LIZIO per mantenimento della immutabilità dei cieli, la quale
non so dove potrà esser salvata e celata. Anche l'osservazione del moto di
rotazione del sole e dei pianeti e molto importante: rende meno inverosimile la
rotazione terrestre, a causa della quale la velocità di un punto all'equatore
sarebbe di circa 1700 km/h anche se la terra fosse immobile nello spazio. La
scoperta delle fasi di Venere e di Mercurio, osservate da G., non e compatibile
col modello geocentrico di Tolomeo, ma solo con quello geo-eliocentrico di
Tycho Brahe, che Galileo non prende mai in considerazione, e con quello elio-centrico
di Copernico. G., scrivendo a Giuliano de' Medici afferma che Venere
necessarissimamente si volge intorno al sole, come anche Mercurio e tutti li
altri pianeti, cosa ben creduta da tutti i pittagorici, Copernico, Keplero e
me, ma non sensatamente provata, come ora in Venere e in Mercurio. Difende il
modello elio-centrico e chiarì la sua concezione della scienza in IV lettere
private, note come "lettere copernicane" e indirizzate a Castelli, II
a Dini, una alla granduchessa madre Cristina di Lorena. L'horror vacui
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Vuoto
(filosofia). Secondo la dottrina aristotelica in natura il vuoto non esiste
poiché ogni corpo terreno o celeste occupa uno spazio che fa parte del corpo
stesso. Senza corpo non c'è spazio e senza spazio non esiste corpo. Sostiene
Aristotele che "la natura rifugge il vuoto" (natura abhorret a
vacuo), e perciò lo riempie costantemente; ogni gas o liquido tenta sempre di
riempire ogni spazio, evitando di lasciarne porzioni vuote. Un'eccezione però a
questa teoria era l'esperienza per la quale si osservava che l'acqua aspirata
in un tubo non lo riempiva del tutto ma ne rimaneva inspiegabilmente una parte
che si riteneva fosse del tutto vuota e perciò dovesse essere colmata dalla
Natura; ma questo non si verifica. G. rispondendo a una lettera inviatagli da
un cittadino ligure Baliani conferma questo fenomeno sostenendo che «la
ripugnanza del vuoto da parte della Natura» può essere vinta, ma parzialmente,
e che, anzi, «lui stesso ha provato che è impossibile far salire l’acqua per
aspirazione per un dislivello superiore a 18 braccia, circa 10 metri e mezzo. Galilei
quindi crede che l'horror vacui sia limitato e non si chiede se in effetti il
fenomeno fosse collegato al peso dell'aria, come dimostrerà Evangelista
Torricelli. La disputa con la Chiesa Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Disputa tra Galileo Galilei e la Chiesa. La
denuncia del domenicano Tommaso Caccini. Il cardinale Roberto Bellarmino. Dal
pulpito di Santa Maria Novella a Firenze Caccini lancia contro certi matematici
moderni, e in particolare contro G,, l'accusa di contraddire ARISTOTELE con le
loro concezioni astronomiche ispirate alle teorie copernicane. Giunto a Roma,
Caccini denuncia G. in quanto sostenitore del moto della terra intorno al sole.
Intanto a Napoli e stato pubblicato un saggio di Foscarini, “Sopra l'opinione
de' Pittagorici e di Copernico”, dedicata a G,, a Keplero e a tutti gli
accademici dei Lincei, che intendeva accordare ARISTOTELE con la teoria
copernicana interpretandoli in modo tale che non gli contradicano affatto. Bellarmino,
già giudice nel processo di Bruno, tuttavia afferma che sarebbe stato possibile
reinterpretare i passi del LIZIO che contraddicevano l'eliocentrismo solo in
presenza di una vera dimostrazione di esso e, non accettando le argomentazioni
di G,, aggiunge che finora non gliene era stata mostrata nessuna, e sostene che
comunque, in caso di dubbio, si dovessero preferire IL LIZIO. L'anno dopo
Foscarini verrà, per breve tempo, INCARCERATO e la sua Lettera proibita.
Intanto il Sant’uffizio stabilì di procedere all'esame delle Lettere sulle
macchie solari e G. decide di venire a Roma per difendersi personalmente,
appoggiato dal granduca Cosimo: «Viene a Roma il G. matematico» – scrive Cosimo
II a Scipione Borghese – «et viene spontaneamente per dar conto di sé di alcune
imputazioni, o più tosto calunnie, che gli sono state apposte da' suoi
emuli. Il papa ordina a Bellarmino di convocare G. e di ammonirlo di
abbandonare la suddetta opinione; e se si fosse rifiutato di obbedire, il Padre
Commissario, davanti a un notaio e a testimoni, di fargli precetto di
abbandonare del tutto quella dottrina e di non insegnarla, non difenderla e non
trattarla. Bellarmino da comunque a G. una dichiarazione in cui venivano negate
abiure ma in cui si ribadiva la proibizione di sostenere le tesi copernicane:
forse gli onori e le cortesie ricevute malgrado tutto, fecero cadere G.
nell'illusione che a lui fosse permesso quello che ad altri e vietato. Comparvero
nel cielo tre comete, fatto che attira l'attenzione e stimolò gli studi degli
astronomi di tutta Europa. Fra essi Grassi, matematico del Collegio Romano,
tenne con successo una lezione che ha vasta eco, la Disputatio astronomica de
tribus cometis anni MDCXVIII. Con essa, sulla base di alcune osservazioni
dirette e di un procedimento logico-scolastico, egli sostene l'ipotesi che le
comete fossero corpi situati oltre al cielo della Luna e la utilizza per
avvalorare il modello di Tycho Brahe, secondo il quale la terra è posta al
centro dell'universo, con gli altri pianeti in orbita invece intorno al sole,
contro l'ipotesi elio-centrica. G. decise di replicare per difendere la
validità del modello copernicano. Rispose in modo indiretto, attraverso lo
scritto Discorso delle comete di un suo amico e discepolo, Guiducci, ma in cui
la mano del maestro e probabilmente presente. Nella sua replica Guiducci
sostene erroneamente che le comete non sono oggetti celesti, ma puri effetti
ottici prodotti dalla luce solare su vapori elevatisi dalla Terra, ma indica anche
le contraddizioni del ragionamento di Grassi e le sue erronee deduzioni dalle
osservazioni delle comete con il cannocchiale. Il gesuita rispose con uno
scritto intitolato Libra astronomica ac philosophica, firmato con lo pseudonimo
anagrammatico di Lotario Sarsi, attacca direttamente G. e il
copernicanesimo. G. a questo punto rispose direttamente. E pronto il
trattato “Il Saggiatore”. Scritto in forma di lettera, e approvato dagli
accademici dei Lincei e stampato a Roma. Dopo la morte di papa Gregorio XV, con
il nome di Urbano VIII saliva al soglio pontificio Barberini, da anni amico ed
estimatore di G.. Questo convinse erroneamente G. che risorge la speranza,
quella speranza che era ormai quasi del tutto sepolta. Siamo sul punto di
assistere al ritorno del prezioso sapere dal lungo esilio a cui era stato costretto,
come scritto al nipote del papa Francesco Barberini. G. resenta una teoria
rivelatasi successivamente erronea delle comete come apparenze dovute ai raggi
solari. In effetti, la formazione della chioma e della coda delle comete,
dipendono dall'esposizione e dalla direzione delle radiazioni solari, dunque
Galilei non aveva tutti i torti e Grassi ragione, il quale essendo avverso alla
teoria copernicana, non poteva che avere un'idea sui generis dei corpi celesti.
La differenza tra le argomentazioni di Grassi e quella di Galileo era tuttavia
soprattutto di metodo, in quanto il secondo basava i propri ragionamenti sulle
esperienze. Galileo scrisse infatti la celebre metafora secondo la quale la
filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto
innanzi a gli occhi “(io dico l'universo)” mettendosi in contrasto con Grassi
che si richiamava all'autorità dei maestri del passato e di Aristotele per
l'accertamento della verità sulle questioni naturali. Giunse a Roma per
rendere omaggio al papa e strappargli la concessione della tolleranza della
Chiesa nei confronti del sistema copernicano, ma nelle sei udienze concessegli
da Urbano VIII non ottenne da questi alcun impegno preciso in tal senso. Senza
nessuna assicurazione ma con il vago incoraggiamento che gli veniva dall'esser
stato onorato da papa Urbano – che concesse una pensione al figlio Vincenzio –
G. ritenne di poter rispondere finalmente alla Disputatio di Francesco Ingoli.
Reso formale omaggio all'ortodossia cattolica, nella sua risposta G. dovrà
confutare le argomentazioni anticopernicane dell'Ingoli senza proporre quel
modello astronomico, né rispondere alle argomentazioni del LIZIO. Nella Lettera
G. enuncia per la prima volta quello che sarà chiamato il principio della
relatività galileiana: alla comune obiezione portata dai sostenitori della
immobilità della terra, consistente nell'osservazione che i gravi cadono
perpendicolarmente sulla superficie terrestre, anziché obliquamente, come
apparentemente dovrebbe avvenire se la Terra si muovesse, G. risponde portando
l'esperienza della nave nella quale, sia essa in movimento uniforme o sia
ferma, i fenomeni di caduta o, in generale, dei moti dei corpi in essa
contenuti, si verificano esattamente nello stesso modo, perché «il moto
universale della nave, essendo comunicato all'aria ed a tutte quelle cose che
in essa vengono contenute, e non essendo contrario alla naturale inclinazione
di quelle, in loro indelebilmente si conserva».[65] Dialogo Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo. Galilei comincia il suo nuovo lavoro, un Dialogo
che, confrontando le diverse opinioni degli interlocutori, gli avrebbe
consentito di esporre le varie teorie correnti sulla cosmologia, e dunque anche
quella copernicana, senza mostrare di impegnarsi personalmente a favore di
nessuna di esse. Ragioni di salute e familiari prolungarono la stesura
dell'opera. Dovette prendersi cura della numerosa famiglia del fratello
Michelangelo, mentre il figlio Vincenzio, laureatosi in legge a Pisa si sposa con
Sestilia Bocchineri, sorella di Geri Bocchineri, uno dei segretari del duca
Ferdinando, e di Alessandra. Per esaudire il desiderio della figlia Maria
Celeste, monaca ad Arcetri, di averlo più vicino, affitta vicino al convento il
villino «Il Gioiello». Dopo non poche vicissitudini per ottenere l'imprimatur
ecclesiastico, l'opera venne pubblicata. Nel Dialogo i due massimi
sistemi messi a confronto sono quello geo-centrico e quello elio-centrico. Tre
sono i protagonisti: due sono personaggi reali, amici di Galileo, Salviati e
Sagredo, nello cui palazzo si fingono tenute la conversazione. Il terzo
protagonista è ‘Simplicio,’ un commentatore di Aristotele, oltre a
sottintendere il suo semplicismo scientifico. Simplicio è il sostenitore del
sistema geo-centrico, mentre l'opposizione elio-centrica è sostenuta da
Salviati e Sagredo. Il Dialogo ricevette molti elogi, ma si diffusero le voci
di una proibizione. Riccardi scrive ad Egidi che per ordine del Papa il
“Dialogo” non doveva più essere diffuso. Gli chiedeva di rintracciare le copie
già vendute e di sequestrarle. Il Papa adirato accusa G. di aver raggirato i
ministri che avevano autorizzato la pubblicazione. L’Inquisizione romana
sollecita quella fiorentina perché notificasse a Galileo l'ordine di comparire
a Roma entro il mese di ottobre davanti al Commissario generale del
Sant'Uffizio. Galileo, in parte perché malato, in parte perché spera che la
questione potesse aggiustarsi in qualche modo senza l'apertura del processo,
ritarda per tre mesi la partenza; di fronte alla minacciosa insistenza del
Sant'Uffizio, parte per Roma in lettiga. Il processo comincia con il
primo interrogatorio di Galileo, al quale Maculano contesta di aver ricevuto un
precetto con il quale Bellarmino gli avrebbe intimato di abbandonare la teoria
elio-centrica, di non sostenerla in nessun modo e di non insegnarla. Nell'interrogatorio
Galileo nega di aver avuto conoscenza del precetto e sostenne di non ricordare
che nella dichiarazione di Bellarmino vi fossero le parole “quovis modo” (in
qualsiasi modo) e “nec docere” (non insegnare). Incalzato dall'inquisitore,
Galileo non solo ammise di non avere detto cosa alcuna del sodetto precetto, ma
anzi arriva a sostenere che nel detto Dialogo mostra il contrario di detta
opinione del Copernico, e che le ragioni di Copernico sono invalide e non
concludenti. Concluso il primo interrogatorio, Galileo fu trattenuto, pur sotto
strettissima sorveglianza, in tre stanze del palazzo dell'Inquisizione, con
ampia e libera facoltà di passeggiare. Il giorno successivo all'ultimo
interrogatorio, nella sala capitolare del convento domenicano di Santa Maria
sopra Minerva, presente e inginocchiato G., fu emessa la sentenza dai inquisitori
generali contro l'eretica pravità, nella quale si riassume la lunga vicenda del
contrasto fra G. e il LIZIO, cominciata con lo scritto Delle macchie solari e
l'opposizione dei LIZII al modello Copernicano. Nella sentenza si sostiene poi
che il documento fosse un'effettiva ammonizione a non difendere o insegnare la
teoria copernicana. Imposta l'abiura con cuor sincero e fede non finta e
proibito il Dialogo, e condannato al carcere formale ad arbitrio nostro e alla
pena salutare della recita settimanale dei sette salmi penitenziali per tre
anni, riservandosi l'Inquisizione di moderare, mutare o levar in tutto o parte
le pene e le penitenze. Se la leggenda della frase di G., «E pur si muove», pronunciata
appena dopo l'abiura, serve a suggerire la sua intatta convinzione della
validità del modello copernicano, la conclusione del processo segna la
sconfitta del suo programma di diffusione della filosofia, fondata
sull'osservazione rigorosa dei fatti e sulla loro verifica sperimentale –
contro il LIZIO che produce esperienze come fatte e rispondenti al suo bisogno
senza averle mai né fatte né osservate – e contro i pregiudizi del senso
comune, che spesso induce a ritenere reale qualunque apparenza: una filosofia
che insegna a non aver più fiducia nell'autorità, nella tradizione e nel senso
commune e che vuole insegnare a pensare. La sentenza di condanna prevedeva un
periodo di carcere a discrezione del Sant'Uffizio e l'obbligo di recitare per
tre anni, una volta alla settimana, i salmi penitenziali. Il rigore letterale
fu mitigato nei fatti. La prigionia consistette nel soggiorno coatto per cinque
mesi presso Palazzo Niccolini, a Trinità dei Monti e di qui, in Palazzo Piccolomini
a Siena. Quanto ai salmi penitenziali, Galileo incarica di recitarli, con il
consenso della Chiesa, la figlia Livia, suora di clausura. Piccolomini favore G.,
permettendogli di incontrare personalità della città e di dibattere questioni
scientifiche. A seguito di una lettera che denunci l'operato, il Sant'Uffizio
provvide, accogliendo una stessa richiesta avanzata in precedenza da Galilei, a
confinarlo nell'isolata villa del Gioiello, che possede nella campagna di
Arcetri. Si l’intima di stare da solo, di non chiamare ne di ricevere alcuno,
per il tempo ad arbitrio di Sua Santita. Solo i familiari poaaono fargli
visita, dietro preventiva autorizzazione: anche per questo motivo gli fu particolarmente
dolorosa la morte di Livia. Poté tuttavia mantenere corrispondenza con amici ed
estimatori: a Diodati consolandosi delle sue sventure che l'invidia e la
malignità “mi hanno machinato contro” con la considerazione che l'infamia
ricade sopra i traditori e i costituiti nel più sublime grado dell'ignoranza.
Da Diodati seppe della versione in latino che Bernegger anda facendo a
Strasburgo del suo Dialogo e gli riferì di Rocco, purissimo peripatetico, e remotissimo
dall'intender nulla di filosofia che scrive a Venezia mordacità e contumelie contro
di lui. Questa, e altre lettere, dimostrano quanto poco G. avesse rinnegato le
proprie convinzioni copernicane. Dopo il processo scrive e pubblica “Discorsi
e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti la mecanica e
i moti locali”, organizzato come un dialogo che si svolge in quattro giornate
fra i tre medesimi protagonisti del precedente Dialogo dei massimi sistemi: Sagredo,
Salviati e Simplicio. Nella prima giornata si tratta della resistenza dei
materiali. La diversa resistenza deve essere legata alla struttura della
particolare materia e G., pur senza pretendere di pervenire a una spiegazione
del problema, affronta l'interpretazione atomistica di Democrito,
considerandola un'ipotesi capace di rendere conto di fenomeni fisici. In
particolare, la possibilità dell'esistenza del vuoto – prevista da Democrito –
viene ritenuta una seria ipotesi scientifica e nel vuoto – ossia
nell'inesistenza di un qualunque mezzo in grado di opporre resistenza – Galileo
sostiene giustamente che tutte le cose discendeno con eguale velocità, in
opposizione con Aristotele che ritiene l'impossibilità concettuale di un moto
in un vuoto. Dopo aver trattato della statica e della leva nella seconda
giornata, nella terza e nella quarta si occupa della dinamica, stabilendo le
leggi del moto uniforme, del moto naturalmente accelerato e del moto
uniformemente accelerato e delle oscillazioni del pendolo. Intraprende
corrispondenza con Bocchineri. La famiglia Bocchineri di Prato aveva dato una
giovane, di nome Sestilia, sorella di Alessandra, per moglie al figlio di
Galilei, Vincenzio. Quando Galilei incontra Bocchineri, questa è una
donna che si è affinata e ha coltivato la sua intelligenza, sposa di Buonamici,
un importante diplomatico che diventerà buon amico di Galilei. Bocchineri
e Galilei si scambiano numerosi inviti per incontrarsi e G. non manca di elogiare
l'intelligenza di Bocchineri dato che sì rare si trovano donne che tanto
sensatamente discorrino come ella fa. Con la cecità e l'aggravarsi delle
condizioni di salute è costretto talvolta a rifiutare gli invite NON *SOLO* per
le molte indisposizioni che mi tengono oppresso in questa mia gravissima età,
ma perché son ritenuto ancora in carcere, per quelle cause che benissimo son
note. L'ultima lettera mandata di
"non volontaria brevità". Ad Arcetri, assistito da Viviani e
Torricelli. «Vide / sotto l'etereo padiglion rotarsi / più mondi, e il Sole
irradïarli immoto, onde all'Anglo che tanta ala vi stese / sgombrò primo le vie
del firmamento. E tumulato nella Basilica di Santa Croce a Firenze. Il
Cristenesimo mantenne la sorveglianza anche nei confronti degli allievi. Quando
i seguaci diedero vita al Cimento, esso intervenne presso il Granduca, e il
Cimento e sciolto. Convinto della correttezza della cosmologia copernicana, G.
era ben consapevole che essa fosse ritenuta in contraddizione con il testo
cristiano che sostenevano invece una concezione geocentrica dell'universo. Il
cristanesimo considera le Sacre Scritture ispirate dallo Spirito Santo, la
teoria eliocentrica poteva essere accettata, fino a prova contraria, soltanto
come semplice ipotesi (“ex supposition”) o modello matematico, senza alcuna
attinenza con la reale posizione dei corpi celesti. Proprio a questa condizione
il “De revolutionibus orbium coelestium” di Copernico non e condannato dalle
autorità ecclesiastiche e menzionato nell'Indice dei libri proibiti. Galileo si
inserì nel dibattito sul rapporto fra scienza e fede con la lettera a Castelli.
Difese il modello copernicano sostenendo che esistono *due* verità
necessariamente non in contraddizione o in conflitto fra loro. La Bibbia è
certamente un testo sacro di ispirazione divina e dello Spirito Santo, ma
comunque scritto in un preciso momento storico con lo scopo di orientare il
lettore verso la comprensione della vera religione. Per questa ragione, come
già avevano sostenuto molti esegeti tra i quali *Lutero* e Keplero, i fatti del
LIZIO sono stati necessariamente scritti in modo tale da poter essere compresi
anche dagli antichi e dalla gente comune. Occorre quindi discernere, come già sostenuto
da Agostino, il messaggio propriamente basato nella fede dalla descrizione,
storicamente connotata ed inevitabilmente narrativa e didascalica, di fatti,
episodi e personaggi. Dal che seguita, che qualunque volta alcuno,
nell'esporla, volesse fermarsi sempre nel nudo suono litterale, splicito, potrebbe,
errando esso, far apparire nelle Scritture non solo contraddizioni e
proposizioni remote dal vero, ma gravi eresie e bestemmie ancora. Poi che
sarebbe necessario dare a Dio e piedi e mani e occhi, e non meno affetti di un
corpora quasi-umanio, come d'ira, di pentimento, d'odio ed anco tal volta la
dimenticanza delle cose passate e l'ignoranza delle future.” Lettera alla granduchessa
di Toscana. Il noto episodio biblico della richiesta di Giosuè a Dio di fermare
il Sole per prolungare il giorno era usato in ambito ecclesiastico a sostegno
del sistema geo-centrico. Galileo sostenne invece che in quel modo il giorno
non si sarebbe allungato, in quanto nel sistema geo-centrio la rotazione diurna (giorno/notte)
non dipende dal Sole, ma dalla rotazione del Primum Mobile. La Bibbia deve
essere re-interpretata e bisogna “alterar” il “senso” delle parole, e dire che
quando la Scrittura dice che Dio ferma il Sole, voleva dire che ferma 'l primo
mobile, ma che, per accomodarsi alla capacità di quei che sono a fatica idonei
a intender il nascere e 'l tramontar del Sole, lo Spirito Santo dice al
contrario di quel che avrebbe detto parlando a uomini sensati. Nel sistema
elio-centrico la rotazione del Sole sul proprio asse provoca sia la rivoluzione
della Terra attorno al Sole, sia la rotazione diurna (giorno/notte) della Terra
attorno all'asse terrestre. Quindi l'episodio biblico ci mostra manifestamente
la falsità e impossibilità del mondano sistema aristotelico e Tolemaico, e
all'incontro benissimo s'accomoda co 'l Copernicano.. Infatti se Dio avesse
fermato il Sole assecondando la richiesta di Giosuè, ne avrebbe necessariamente
bloccato la rotazione assiale (unico suo movimento previsto nel sistema
copernicano), provocando di conseguenza - secondo Galileo - l'arresto sia della
(ininfluente) rivoluzione annuale, sia della rotazione terrestre diurna
prolungando quindi la durata del giorno. A questo proposito, è interessante la
critica proposta da Koestler, in cui sostiene che Galileo sape meglio di
chiunque altro che se la terra si fermasse bruscamente, montagne, case, città,
crollerebbero come un castello di carte. Il più ignorante dei frati, senza
sapere nulla del momento di inerzia, sape benissimo quel che succedeva quando i
cavalli e la carrozza frenavano di colpo o quando una nave finiva contro gli
scogli. Se si interpreta la Bibbia secondo Tolomeo, il brusco arresto del Sole
non aveva effetti fisici degni di nota e il miracolo rimaneva credibile al pari
di qualsiasi altro miracolo. In base all'interpretazione di Galileo, Giosuè
avrebbe distrutto non soltanto gli Amorrei, ma la terra intera! Sperando di far
passare queste sciocchezze penose, Galileo rivela il suo disprezzo per gli
avversari. Fece analoghe considerazioni in lettere a Dini, le quali destarono
preoccupazione negli ambienti conservatori per le idee innovative, il carattere
polemico e l'ardimento coi quali Galilei sostene che alcuni passi della Bibbia
dovessero venir re-interpretati alla luce del sistema copernicano. Le Sacre Scritture
si occupano di Dio. La filosofia naturale, che fa indagini sulla Natura si fondarsi
su «sensate esperienze» e «necessarie dimostrazioni». La Bibbia e la Natura non
possono contraddirsi perché derivano entrambe da Dio. Di conseguenza, in caso
di discordia apparente, non sarà la scienza a dover fare un passo indietro,
bensì gli interpreti del testo sacro che dovranno cercare al di là del “significato”
splicito superficiale (explicatura). Le Sacre Scritture sono conforme soltanto
"al comun modo del volgo", ossia si adatta non già alle competenze
degli "intendenti", ma ai limiti conoscitivi dell'uomo comune,
velando così con una sorta di “allegoria” il “senso più profondo” di un
enunciato.. Se il “messaggio” “letterale” diverge da un enunciato del filosofo
naturale, non lo può mai il suo “contenuto” "recondito" e più
autentico, ricavabile dall'interpretazione delle Sacre Scriture oltre i suoi “significato”
più epidermico. Circa il rapporto tra filosofia e la rivelazione, celebre è la
sua frase: «intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado,
l'*intenzione* dello Spirito Santo essere d'*in-segn-arci* come si vadia al
cielo, e non come vadia il cielo», usualmente attribuita Baronio. Si noti che,
applicando tale criterio, Galileo non avrebbe potuto usare il passo biblico di
Giosuè per cercare di dimostrare un presunto accordo tra testo sacro e sistema
copernicano o la supposta contraddizione tra la Bibbia e il modello tolemaico.
Deriva invece proprio da tale criterio la teoria di Galileo secondo la quale
esistono *due* sorgenti di *conoscenza* che sono in grado di rivelare la stessa
verità che proviene da Dio. Il primo è le
Sancte Scritture, scritte dal spirito santo in termini comprensibili al
"volgo", che ha essenzialmente valore salvifico e di redenzione
dell'anima, e richiede quindi un'attenta inter-pretazione delle affermazioni
relative ai fenomeni naturali che in essa sono descritti. Il secondo è questo
grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico
l'universo), scritto in simboli», che va letto (decifrato) secondo la ragione
(non la fede) e non va pos-posto alle Sancte Scriture ma, per essere *ben* o
corretamente interpretato, deve essere studiato con gli strumenti di cui Dio –
nostro genitore -- ci ha dotati: sentire, il giudicare, il discorrire. Nella
disputa filosofica di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalla
autorità di luoghi delle Sancte Scritture, ma dall’esperienza sensata (a
posteriori) e dalla di-mostrazioni necessaria (dall’assiomi, a priori): perché,
procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la Natura – la fisi
dei grecchi --, quella come ‘dettatura’ (dictature – dettato ed impiegato) dello
Spirito Santo, e questa ‘dettatura’ come osservantissima esecutrice de gli
ordini di Dio, nostro genitore.” La FILOSOFIA – regina scientiarum – La
‘materia’ della filosofia la rende d'importanza primaria (metafisica come
filosofia prima, filosofia naturale come filosofia seconda. La flosofia non pretendere
di pronunciare giudizi su una verità specifica (la porta e chiusa). Al contrario,
se una certa esperienza non si accorda con un assioma, allora e quest’assioma
che deve essere ri-letti alla luce della experienza. Non vi può essere, in
definitiva, dis-accordo tra ragione ed experienza, essendo, per definizione,
entrambe vere. Ma, in caso di *apparente* contraddizione su un fenomeno
naturale, occorre modificare l'interpretazione dell’assioma per adeguarla
all’esperienza. Aristotele – con il suo geo-centrimo -- non differe
sostanzialmente da G.. IL LIZIO ammetteva la necessità di rivedere l'interpretazione
dell’esperienza. Ma nel caso del sistema elio-centrico, Bellarmino sostenne,
ragionevolmente, che non vi fossero una prova conclusive a suo favore. Dico che
quando ci fusse vera demostratione che il sole stia nel centro del mondo (o
nostro sistema pianetario) e la terra nel terzo cielo, e che il sole (elio) non
circonda la terra (gea), ma la terra circonda il sole, allhora bisogneria andar
con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più
tosto dire che “non l'intendiamo” – cf. Grice on metaphor and ‘My neighbour’s
three-year old is an adult”), che dire che sia “falso” (‘You’re the cream in my
coffee”, “My neighbour’s three-year old understands Russell’s Theory of Types”)
quello che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che
non mi sia mostrata. L’ esperienzia di visione – osservazione -- con gli
strumenti allora disponibili, della parallasse stellare (che si sarebbe dovuta
riscontrare come l’effetto dello spostamento della Terra rispetto al cielo
delle stelle fisse) costituiva invece evidenza contraria alla teoria elio-centrica.
In tale contesto, Aristotele ammetteva quindi che si parlasse di una teoria o
ipotesi o modello elio-centrico solo “ex suppositione” (come ipotesi matematica
geometrica o aritmetica). La difesa di G. ex professo (con cognizione di causa
e competenza, di proposito e intenzionalmente) della teoria geo-centrica quale “reale”
descrizione fisica del sistema solare e delle orbite dei pianete si scontrò
quindi, inevitabilmente, con la posizione ufficiale d’Aristotele. Tale contrapposizione
sfociò nel processo a G., che si concluse con la condanna per veemente sospetto
di eresia" e l'abiura forzata delle sue concezioni astronomiche. RiAl
di là dal giudizio storico, giuridico e morale sulla condanna a G., le
questioni di carattere epistemologico filosofico e di “ermeneutica” che furono
al centro del processo sono state oggetto di riflessione da parte di Grice. che
spesso ha citato la vicenda di G. per esemplificare, talora in termini volutamente
paradossali, il suo pensiero in merito a tali questioni. Contro Feyerabend,
sostenitore di un'anarchia epistemologica, Grice sostenne che Aristotele si
attenne alla ragione più che G., e prese in considerazione anche le conseguenze
etiche e sociali della teoria elio-centrica. La sentenza aristotelica contro
Galilei e razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne
può legittimare la revision. Questa provocazione sarà poi ripresa da Ratzinger,
dando luogo a contestazioni da parte dell'opinione pubblica. Ma il vero scopo
per cui Grice espresso tale provocatoria affermazione e "solo mostrare la
contraddizione di coloro che approvano l’eliocentrismo di G e condannano il
geo-centrismo LIZIO, ma poi verso il lavoro dei loro contemporanei sono rigorosi
come lo sono I LIZII ai tempi di Galileo. Nel corso dei secoli che seguirono, IL
LIZIO modifica la propria posizione nei confronti di G.. Il Sant'Uffizio concede
l'erezione di un mausoleo in suo onore nella chiesa di Santa Croce in Firenze.
Benedetto XIV olse dall'Indice i libri che insegnavano il moto della Terra (“e
pur si muove”) con ciò ufficializzando quanto già di fatto aveva fatto
Alessandro VII con il ritiro di un dicreto. La definitiva autorizzazione
all'”in-segna-mento” del moto della terra e dell'immobilità del sole arriva con
un decreto della Sacra Congregazione dell'inquisizione approvato da Pio VII.
Particolarmente significativo risulta il contributo di Newman, a pochi anni
dalla abilitazione dell'insegnamento dell'eliocentrismo e quando le teorie di
Newton sulla gravitazione risultavano ormai affermate e provate sperimentalmente.
Newman riassume il rapporto dell'elio-centrismo con il LIZIO. «Quando il
sistema copernicano comincia a diffondersi, quale LIZIO non sarebbe stato
tentato dall'inquietudine, o almeno dal timore dello scandalo, per l'apparente
contraddizione che esso implica con una certa autorevole tradizione?
Generalmente si accetta che la terra e immobile e che il sole, fissato in un
solido firmamento, ruota intorno alla terra. Dopo un po' di tempo, tuttavia, e
un'analisi completa, si scoprì che il LIZIO non decide quasi niente su
questioni come questa e che la scienza fisica puo muoversi in questa sfera di
pensiero quasi a piacere, senza timore di scontrarsi con l’adagio, “Master
dixit””. Newman compie della vicenda G. come conferma, e non negazione, del
LIZIO. E certamente un fatto molto significativo, considerando con quanta
ampiezza e quanto a lungo fosse stata sostenuta dai LIZII una certa
interpretazione di questa affermazione fisica geo-centrica, che il LIZIO non l'ha
formalmente riconosciuta (la teoria del geocentrismo, ndr). Guardando alla
questione da un punto di vista umano, e inevitabile che essa dovesse far
propria quell'opinione. Ma ora, accertando la nostra posizione rispetto
all’esperienza, troviamo che malgrado gli abbondanti commenti che fin
dall'inizio essa ha sempre fatto su Aristotele, com'è suo compito e suo diritto
fare, tuttavia, è sempre stata indotta a spiegare formalmente Aristotele o a
dar loro un senso di autorità che l’esperienza può mettere in discussione. Paolo
VI fece avviare la revisione del processo e con l'intento di porre una parola
definitiva riguardo a queste polemiche Giovanni Paolo II auspicò che fosse intrapresa
una ricerca interdisciplinare sui difficili rapporti di G. con la Chiesa e istituì
una Commissione per lo studio della controversia tolemaico-copernicana nella
quale il caso G. si inserisce. Il papa ammise, nel discorso in cui annuncia
l'istituzione della commissione, che"G. ha molto a soffrire, non possiamo
nasconderlo, da parte di uomini del LIZIO. Si cancella la condanna e chiarì la
sua interpretazione sulla questione teologica scientifica galileiana riconoscendo
che la condanna di G. e dovuta all'ostinazione di entrambe le parti nel non
voler considerare le rispettive teorie come semplici ipotesi non comprovate
sperimentalmente e, d'altra parte, alla mancanza di perspicacia, ovvero di
intelligenza e lungimiranza, dei filosofi del LIZIO che lo condannarono,
incapaci di riflettere sui propri criteri di interpretazione del LIZIO e
responsabili di aver inflitto molte sofferenze a G. Come dichiara Giovanni
Paolo II, come la maggior parte dei suoi avversari LIZII, G. non fa distinzione
tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione
sulla natura, di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È per
questo che G. Rifiuta il suggerimento che gli era stato dato di presentare come
un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da
prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale
di cui egli fu l’iniziatore. Il problema che si posero dunque i LIZII sono quello
della compatibilità dell'eliocentrismo ed il LIZIO. Così l’esperienza, con i
suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbliga I LIZII ad
interrogarsi sui loro criteri di interpretazione di Aristotele. La maggior
parte non seppe farlo. Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria
copernicana e difficile da esprimere nella misura in cui il geo-centrismo
sembra far parte dell’insegnamento stesso del LIZIO. Sarebbe stato necessario
contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero e inventare una
pedagogia capace di illuminare il popolo. La storia del pensiero scientifico
del Medioevo e del Rinascimento, che si comincia ora a comprendere un po'
meglio, si può dividere in due periodi, o meglio, perché l'ordine cronologico
corrisponde solo molto approssimativamente a questa divisione, si può dividere,
grosso modo, in tre fasi o epoche, corrispondenti successivamente a tre
differenti correnti di pensiero: prima la fisica aristotelica; poi la fisica dell'impetus,
iniziata, come ogni altra cosa, dai Greci ed elaborata dalla corrente dei Nominalisti;
e infine la fisica galileiana. Fra le maggiori scoperte che G. fece guidato
dagli esperimenti, si annoverano un primo approccio fisico alla relatività, poi
noto come “relatività galileiana”, la scoperta delle quattro lune principali di
Giove, dette appunto “satelliti galileiani” (Io, Europa, “Ganimede” e
Callisto), il principio di inerzia, seppur parzialmente. Compì anche
studi sul moto di caduta dei gravi e riflettendo sui moti lungo i piani
inclinati scoprì il problema del "tempo minimo" nella caduta dei corpi
materiali, e studia varie traiettorie, tra cui la spirale paraboloide e la
cicloide. Nell'ambito delle sue ricerche di matematica – geometria ed
aritmetica -- si avvicinò alle proprietà dell'infinito introducendo un celebre
paradosso di G.. G. incoraggiò Cavalieri a sviluppare le idee del maestro e di
altri sulla geometria con il metodo degli indivisibili, per determinare aree e
volumi: questo metodo rappresentò una tappa fondamentale per l'elaborazione del
calcolo infinitesimale. Quando Galilei fece rotolare le sue sfere su di un
piano inclinato con un peso scelto da lui stesso, e Torricelli fece sopportare
all’aria un peso che egli stesso sapeva già uguale a quello di una colonna
d’acqua conosciuta fu una rivelazione luminosa per tutti gli investigatori
della natura. Essi compresero che la ragione vede solo ciò che lei stessa
produce secondo il proprio disegno, e che essa deve costringere la natura a
rispondere alle sue domande; e non lasciarsi guidare da lei, per dir così,
colle redini; perché altrimenti le nostre osservazioni, fatte a caso e senza un
disegno prestabilito, non metterebbero capo a una legge necessaria. Galilei fu
uno dei protagonisti della fondazione del metodo scientifico espresso con
linguaggio matematico e pose l'esperimento come strumento a base dell'indagine
sulle leggi della natura, in contrasto con Aristotele e la sua analisi
qualitativa del cosmo. Hanno sin qui la maggior parte dei filosofi creduto che
la superficie della luna fosse pulita tersa e assolutissimamente sferica, e se
qualcuno disse di credere, che ella fusse aspra e muntuosa fu reputato parlare
più presto favolusamente, che filosoficamente. Ora io questa istessa lunare asserisco
il primo, non più per immaginazione, ma per sensata esperienza e necessaria
dimostrazione, che egli è di superficie piena di innumerevoli cavità ed
eminenze, tanto rilevate che di gran lunga superano le terrene montuosità. Già
nella lettera a Welser a proposito della polemica sulle macchie solari, G. si
domandava che cosa l'uomo nella sua ricerca vuole arrivare a conoscere.
«O noi vogliamo specolando tentar di penetrar l'essenza vera ed intrinseca
delle sustanze naturali; o noi vogliamo contentarci di venir in notizia
d'alcune loro affezioni» Ed ancora: per conoscenza intendiamo l'arrivare
a cogliere i principi primi dei fenomeni o come questi si sviluppano? «Il
tentar l'essenza, l'ho per impresa non meno impossibile e per fatica non men
vana nelle prossime sustanze elementari che nelle remotissime e celesti: e a me
pare essere egualmente ignaro della sustanza della Terra che della Luna, delle
nubi elementari che delle macchie del Sole; né veggo che nell'intender queste
sostanze vicine aviamo altro vantaggio che la copia de' particolari, ma tutti
egualmente ignoti, per i quali andiamo vagando, trapassando con pochissimo o
niuno acquisto dall'uno all'altro. La ricerca dei principi primi essenziali
comporta dunque una serie infinita di domande poiché ogni risposta fa nascere
una nuova domanda: se noi ci chiedessimo quale sia la sostanza delle nuvole,
una prima risposta sarebbe che è il vapore acqueo ma poi dovremo chiederci che
cos'è questo fenomeno e dovremo rispondere che è acqua, per chiederci subito
dopo che cos'è l'acqua, rispondendo che è quel fluido che scorre nei fiumi ma
questa «notizia dell'acqua» è soltanto «più vicina e dependente da più sensi»,
più ricca di informazioni particolari diverse, ma non ci porta certo la
conoscenza della sostanza delle nuvole, della quale sappiamo esattamente quanto
prima. Ma se invece vogliamo capire le «affezioni», le caratteristiche
particolari dei corpi, potremo conoscerle sia in quei corpi che sono da noi
distanti, come le nuvole, sia in quelli più vicini, come l'acqua. Occorre
dunque intendere in modo diverso lo studio della natura. «Alcuni severi
difensori di ogni minuzia peripatetica», educati nel culto di Aristotele,
credono che «il filosofare non sia né possa esser altro che un far gran pratica
sopra i testi di Aristotele» che portano come unica prova delle loro teorie. E
non volendo «mai sollevar gli occhi da quelle carte» rifiutano di leggere
«questo gran libro del mondo» (cioè dall'osservare direttamente i fenomeni),
come se «fosse scritto dalla natura per non esser letto da altri che da il
LIZIO, e che gli occhi suoi avessero a vedere per tutta la sua posterità.
Invece i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra
un mondo di carta.A fondamento del metodo scientifico quindi ci sono il rifiuto
dell'essenzialismo e la decisione di cogliere solo l'aspetto quantitativo dei
fenomeni nella convinzione di poterli tradurre tramite la misurazione in numeri
così che si abbia una conoscenza di tipo matematico, l'unica perfetta per
l'uomo che la raggiunge gradatamente tramite il ragionamento così da eguagliare
lo stesso perfetto conoscere divino che la possiede interamente e
intuitivamente. Però...quanto alla verità di che ci danno cognizione le
dimostrazioni matematiche, ella è l'istessa che conosce la sapienza divina. Il
metodo galileiano si dovrà comporre quindi di due aspetti principali: sensata
esperienza, ovvero l'esperimento distinto dalla comune osservazione della
natura, che deve infatti seguire a un'attenta formulazione teorica, ovvero a
ipotesi (metodo ipotetico-sperimentale) che siano in grado di guidare
l'esperienza in modo che essa non fornisca risultati arbitrari. Galileo non
ottenne la legge di caduta dei gravi dalla mera osservazione, altrimenti ne
avrebbe dedotto che un corpo cade più rapidamente tanto più è pesante (un sasso
nell'aria arriva prima a terra di una piuma per via dell'attrito). Studiò
invece il moto dei corpi in caduta controllandolo con un piano inclinato,
costruendo cioè un esperimento che gli permettesse di ottenere risultati più
precisi. Anche l'esperimento mentale può essere un utile strumento di
dimostrazione e permise a Galileo di confutare le dottrine aristoteliche sul
moto. necessaria dimostrazione, ovvero un'analisi matematica e rigorosa dei risultati
dell'esperienza, che sia in grado di trarre da questa risultati universali e
ogni conseguenza in modo necessario e non opinabile espressi dalla legge
scientifica. In questo modo Galileo concluse che tutti i corpi nel vuoto
precipitano con una velocità proporzionale al tempo di caduta, anche se
chiaramente non aveva effettuato esperimenti considerando tutti i possibili
corpi con differenti forme e materiali. La dimostrazione va ulteriormente
verificata, con ulteriori esperienze, ovvero il cosiddetto cimento che è
l'esperimento concreto con cui va sempre verificato l'esito di ogni
formulazione teorica. Sintetizzando la natura del metodo galileiano, Mondolfo
infine aggiunge che: «Il vincolo stabilito da G. tra osservazione e
dimostrazione le esperienze fatte mediante i sensi e le dimostrazioni
logico-matematiche della loro necessità – e un vincolo reciproco, non
unilaterale: né le esperienze sensibili dell’ osservazione potevano valere
scientificamente senza la relativa dimostrazione della loro necessità, né la
dimostrazione logica e matematica poteva raggiungere la sua "assoluta
certezza oggettiva" come quella della natura senza appoggiarsi all’
esperienza nel suo punto di partenza e senza trovare la sua conferma in essa nel
suo punto d’ arrivo. È questa l'originalità del metodo galileiano: avere
collegato esperienza e ragione, induzione e deduzione, osservazione esatta dei
fenomeni e elaborazione di ipotesi e questo, non astrattamente ma, con lo
studio di fenomeni reali e con l'uso di appositi strumenti tecnici. La
terminologia scientifica in Galilei Fondamentale è stato il contributo di G. al
linguaggio scientifico, sia in campo matematico, sia, in particolare, nel campo
della fisica. Ancora oggi in questa disciplina molto del linguaggio settoriale
in uso deriva da specifiche scelte dello scienziato pisano. In particolare,
negli scritti di Galileo molte parole sono tratte dal linguaggio comune e
vengono sottoposte ad una "tecnificazione", cioè l'attribuzione ad
esse di un significato specifico e nuovo (una forma, quindi, di neologismo
semantico). È il caso di "forza" (seppur non in senso newtoniano),
"velocità", "momento", "impeto",
"fulcro", "molla" (intendendo lo strumento meccanico ma anche
la "forza elastica"), "strofinamento",
"terminatore", "nastro". Un esempio del modo in cui Galileo
nomina gli oggetti geometrici è in un brano dei Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienze: «Voglio che ci immaginiamo esser
levato via l'emisferio, lasciando però il cono e quello che rimarrà del
cilindro, il quale, dalla figura che riterrà simile a una scodella, chiameremo
pure scodella. Come si vede, nel testo ad una terminologia specialistica
("emisferio", "cono", "cilindro") si accompagna
l'uso di un termine che denota un oggetto della vita quotidiana, cioè
"scodella". Galilei è ricordato nella storia anche per le sue
riflessioni sui fondamenti e sugli strumenti dell'analisi scientifica della
natura. Celebre la sua metafora riportata nel Saggiatore, dove la matematica
viene definita come il linguaggio (o la semiotica, o i ‘signi’ – il segno -- in
cui è scritto libro della natura: La filosofia è scritta in questo
grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico
l'universo), ma non si può intendere se prima non s'impara a intender la
lingua, e conoscer i caratteri, ne' quali è scritto. Egli è scritto in lingua
matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche,
senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è
un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto. In questo brano Galilei mette
in collegamento le parole "matematica", "filosofia" e
"universo", dando così inizio a una lunga disputa fra i filosofi
della scienza in merito a come egli concepisse e mettesse in relazione fra loro
questi termini. Ad esempio, quello che qui Galileo chiama "universo"
si dovrebbe intendere, modernamente, come "realtà fisica" o
"mondo fisico" in quanto Galileo si riferisce al mondo materiale
conoscibile matematicamente. Quindi non solo alla globalità dell'universo
inteso come insieme delle galassie, ma anche di qualsiasi sua parte o
sottoinsieme inanimato. Il termine "natura" includerebbe invece anche
il mondo biologico, escluso dall'indagine galileiana della realtà fisica.
Per quanto riguarda l'universo propriamente detto, Galilei, seppur
nell'indecisione, sembra propendere per la tesi che sia infinito:
«Grandissima mi par l’inezia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto
l’universo più proporzionato alla piccola capacità del loro discorso che
all’immensa, anzi infinita, sua potenza» Egli non prende una posizione
netta sulla questione della finitezza o infinità dell'universo; tuttavia, come
sostiene Rossi, «c'è una sola ragione che lo inclina verso la tesi
dell'infinità: è più facile riferire l'incomprensibilità all'incomprensibile
infinito che al finito che non è comprensibile». Ma Galilei non prende mai
esplicitamente in considerazione, forse per prudenza, la dottrina di Giordano
Bruno di un universo illimitato e infinito, senza un centro e costituito di
infiniti mondi tra i quali Terra e Sole che non hanno alcuna preminenza cosmogonica.
Lo scienziato pisano non partecipa al dibattito sulla finitezza o infinità
dell'universo e afferma che a suo parere la questione è insolubile. Se appare
propendere per l'ipotesi della infinitezza lo fa con motivazioni filosofiche in
quanto, sostiene, l'infinito è oggetto di incomprensibilità mentre ciò che è
finito rientra nei limiti del comprensibile. Il rapporto fra la matematica di
Galileo e la sua filosofia della natura, il ruolo della deduzione rispetto
all'induzione nelle sue ricerche, sono stati riportati da molti filosofi al
confronto fra aristotelici e platonici, al recupero dell'antica tradizione
greca con la concezione archimedea o anche all'inizio dello sviluppo nel XVII
secolo del metodo sperimentale. La questione è stata così ben espressa dal
filosofo medievalista Moody. Quali sono i fondamenti filosofici della fisica di
Galileo e quindi della scienza moderna in genere? Galileo è sostanzialmente un
platonico, un aristotelico o nessuno dei due? Si limitò, come sostiene Duhem, a
rilevare e perfezionare una scienza meccanica che aveva avuto origine nel
Medioevo cristiano e i cui principi fondamentali erano stati scoperti e
formulati da Buridano, da Nicola Oresme e dagli altri esponenti della
cosiddetta "fisica dell’ impetus" del XIV secolo? Oppure, come
sostengono Cassirer e Koyré, voltò le spalle a questa tradizione dopo averla
brevemente processata nella sua dinamica pisana e ripartì ispirandosi ad
Archimede e Platone? Le controversie più recenti su Galileo sono consistite in
larga misura in un dibattito circa il valore fondamentale e l’ influsso storico
che su di lui avevano esercitato le tradizioni filosofiche, platoniche e
aristoteliche, scolastiche e antiscolastiche. Galileo viveva in un'epoca in cui
le idee del platonismo si erano diffuse nuovamente in tutta Europa e in Italia
e probabilmente anche per questa ragione i simboli della matematica vengono da
lui identificati con entità geometriche e non con numeri. L'uso dell'algebra
derivato dal mondo arabo nel dimostrare relazioni geometriche era invece ancora
insufficientemente sviluppato ed è solo con Leibniz e Isaac Newton che il
calcolo differenziale divenne la base dello studio della meccanica classica.
Galileo infatti nel mostrare la legge di caduta dei gravi si servì di relazioni
e similitudini geometriche. Da una parte, per alcuni filosofi come
Alexandre Koyré, Ernst Cassirer, Edwin Arthur Burtt (1892–1989), la
sperimentazione fu certamente importante negli studi di Galileo e giocò anche
un ruolo positivo nello sviluppo della scienza moderna. La sperimentazione
stessa, come studio sistematico della natura, richiede un linguaggio con cui
formulare domande e interpretare le risposte ottenute. La ricerca di questo
linguaggio era un problema che aveva interessato i filosofi sin dai tempi di
Platone e Aristotele, in particolare rispetto al ruolo non banale della
matematica nello studio delle scienze della natura. Galilei si affida a esatte
e perfette figure geometriche che però non possono mai essere riscontrate nel
mondo reale, se non al massimo come rozza approssimazione. Oggi la
matematica nella fisica moderna è utilizzata per costruire modelli del mondo
reale, ma ai tempi di Galileo questo tipo di approccio non era affatto
scontato. Secondo Koyré, per Galileo il linguaggio della matematica gli
permette di formulare domande a priori prima ancora di confrontarsi con
l'esperienza, e così facendo orienta la stessa ricerca delle caratteristiche
della natura attraverso gli esperimenti. Da questo punto di vista, Galileo
seguirebbe quindi la tradizione platonica e pitagorica, dove la teoria
matematica precede l'esperienza e non si applica al mondo sensibile ma ne esprime
la sua intima natura. La visione aristotelica Altri studiosi di Galilei, come
Stillman Drake, Pierre Duhem, John Herman Randall Jr., hanno invece
sottolineato la novità del pensiero di Galileo rispetto alla filosofia
platonica classica. Nella metafora del Saggiatore la matematica è un linguaggio
e non è direttamente definita né come l'universo né come la filosofia, ma è
piuttosto uno strumento per analizzare il mondo sensibile che era invece visto
dai platonici come illusorio. Il linguaggio sarebbe il fulcro della metafora di
Galileo, ma l'universo stesso è il vero obbiettivo delle sue ricerche. In
questo modo secondo Drake, Galileo si allontanerebbe definitivamente dalla
concezione e dalla filosofia platonica per accostarsi invece alla filosofia
aristotelica per cui ogni realtà deve avere in sé stessa le leggi del proprio
costituirsi. La sintesi tra platonismo e aristotelismo Secondo Eugenio Garin
Galileo invece, con il suo metodo sperimentale, vuole identificare nel fatto
osservato "aristotelicamente" una necessità intrinseca, espressa
matematicamente, dovuta al suo legame con la causa divina "platonica"
che lo produce facendolo "vivere". Alla radice di gran parte della
nuova scienza, da Leonardo a Galileo, accanto al desiderio tutto rinascimentale
di non lasciare intentata via alcuna, è viva la certezza che il sapere ha
aperta innanzi a sé la possibilità di una salda cognizione. Se noi ripercorriamo
la Teologia platonica, vi troviamo al centro questa tesi, largamente e
minutamente discussa nel libro secondo: alla mente di Dio sono presenti tutte
le essenze; la divina volontà, che poteva non creare, ha manifestato la sua
generosità col dare concreta e mondana realizzazione alle eterne idee facendole
vivere. La fecondità del concetto di creazione si rivela nel dono della vita
che Dio ha dato, e poteva non dare. Ma la volontà non tocca quel mondo
razionale che costituisce l'eterna ragione divina, il verbo divino, cui dunque
si conforma e si adegua questo mondo il quale, platonicamente, rispecchia
l'ideale razionalità per il tramite dell'intermediario matematico:
"numero, pondere et mensura". La mente umana, raggio del Verbo
divino, è nelle sue radici impiantata essa pure in Dio; è in Dio partecipe in
qualche modo dell'assoluta certezza. La scienza nasce così per il
corrispondersi di questa struttura razionale del mondo, impiantata nell'eterna
sapienza divina, e della mente umana partecipe di questa luce divina di
ragione. Studi sul moto La descrizione quantitativa del movimento
Rappresentazione dell'evoluzione moderna dei diagrammi utilizzati da Galileo
nello studio del moto. Ad ogni punto di una linea corrisponde un tempo e una
velocità (segmento giallo che termina con un punto blu). L'area gialla della
figura così ottenuta corrisponde quindi allo spazio totale percorso nell'intervallo
di tempo (t2-t1). Dilthey vede Keplero e Galilei come le massime espressioni
nel loro tempo di "pensieri calcolatori" che si disponevano a
risolvere, tramite lo studio delle leggi del movimento, le esigenze della
moderna società borghese: «Il lavoro degli opifici urbani, i problemi
sorti dall’invenzione della polvere da sparo e dalla tecnica delle fortificazioni,
i bisogni della navigazione relativamente ad apertura di canali, a costruzione
e armamento di navi, avevano fatto della meccanica la scienza preferita del
tempo. Specialmente in Italia, nei Paesi Bassi e in Inghilterra, questi bisogni
erano assai vivaci, e provocarono la ripresa e continuazione degli studi di
statica degli antichi e le prime ricerche nel nuovo campo della dinamica,
specialmente per opera di Leonardo, del Benedetti e dell'Ubaldi. Galilei fu
infatti uno dei protagonisti del superamento della descrizione aristotelica
della natura del moto. Già nel medioevo alcuni autori, come Giovanni Filopono
nel VI secolo, avevano osservato contraddizioni nelle leggi aristoteliche, ma
fu Galileo a proporre una valida alternativa basata su osservazioni
sperimentali. Diversamente da Aristotele, per il quale esistono due moti
"naturali", cioè spontanei, dipendenti dalla sostanza dei corpi, uno
diretto verso il basso, tipico dei corpi di terra e d'acqua, e uno verso
l'alto, tipico dei corpi d'aria e di fuoco, per Galileo qualunque corpo tende a
cadere verso il basso nella direzione del centro della Terra. Se vi sono corpi
che salgono verso l'alto è perché il mezzo nel quale si trovano, avendo una
densità maggiore, li spinge in alto, secondo il noto principio già espresso da
Archimede: la legge sulla caduta dei gravi di Galileo, prescindendo dal mezzo,
è pertanto valida per tutti i corpi, qualunque sia la loro natura. Per
raggiungere questo risultato, uno dei primi problemi che Galileo e i suoi
contemporanei dovettero risolvere fu quello di trovare gli strumenti adatti a
descrivere quantitativamente il moto. Ricorrendo alla matematica, il problema
era quello di capire come trattare eventi dinamici, come la caduta dei corpi,
con figure geometriche o numeri che in quanto tali sono assolutamente statici e
sono privi di alcun moto. Per superare la fisica aristotelica, che considerava
il moto in termini qualitativi e non matematici, come allontanamento e
successivo ritorno al luogo naturale, bisognava dunque prima sviluppare gli
strumenti della geometria e in particolare del calcolo differenziale, come
fecero successivamente fra gli altri Newton, Leibniz e Cartesio. Galileo riuscì
a risolvere il problema nello studio del moto dei corpi accelerati disegnando
una linea ed associando ad ogni punto un tempo e un segmento ortogonale
proporzionale alla velocità. In questo modo costruì il prototipo del diagramma
velocità-tempo e lo spazio percorso da un corpo è semplicemente uguale all'area
della figura geometrica costruita. I suoi studi e le sue ricerche sul moto dei
corpi aprirono inoltre la via alla moderna balistica. Sulla base degli studi
sul moto, di esperimenti mentali e delle osservazioni astronomiche, Galileo
intuì che è possibile descrivere sia gli eventi che accadono sulla Terra che
quelli celesti con un unico insieme di leggi. Superò quindi in questo modo anche
la divisione fra mondo sublunare e sovralunare della tradizione aristotelica
(per la quale il secondo è governato da leggi diverse da quelle terrestri e da
moti circolari perfettamente sferici, ritenuti impossibili nel mondo
sublunare). Il principio d'inerzia e il moto circolare Sfera sul piano
inclinato Studiando il piano inclinato, Galilei si occupò dell'origine del moto
dei corpi e del ruolo degli attriti; scoprì un fenomeno che è conseguenza
diretta della conservazione dell'energia meccanica e porta a considerare
l'esistenza del moto inerziale (che avviene senza l'applicazione di una forza
esterna). Ebbe così l'intuizione del principio di inerzia, poi inserito da
Isaac Newton nei principi della dinamica: un corpo, in assenza d'attrito,
permane in moto rettilineo uniforme (in quiete se v=0) fino a quando forze esterne
agiscono su di esso. Il concetto di energia non era invece presente nella
fisica del Seicento e solo con lo sviluppo, oltre un secolo più tardi, della
meccanica classica si arriverà ad una precisa formulazione di tale
concetto. Galileo pose due piani inclinati dello stesso angolo di base θ,
uno di fronte all'altro, ad una distanza arbitraria x. Facendo scendere una
sfera da un'altezza h1 per un tratto l1 di quello a SN notò che la sfera,
arrivata sul piano orizzontale tra i due piani inclinati, continua il suo moto
rettilineo fino alla base del piano inclinato di DX. A quel punto, in assenza
d'attrito, la sfera risale il piano inclinato di DX per un tratto l2 = l1 e si
ferma alla stessa altezza (h2 = h1) di partenza. In termini attuali, la
conservazione dell'energia meccanica impone che l'iniziale energia potenziale
Ep = mgh1 della sfera si trasformi - man mano che la sfera discende il primo
piano inclinato (SN) - in energia cinetica Ec = (1/2) mv2 sino alla sua base,
dove vale mgh1 = (1/2) mvmax2. La sfera si muove quindi sul piano orizzontale
coprendo la distanza x tra i piani inclinati con velocità costante vmax, fino
alla base del secondo piano inclinato (DX). Risale poi il piano inclinato di
DX, perdendo progressivamente energia cinetica che si trasforma nuovamente in
energia potenziale, fino a un valore massimo uguale a quello iniziale (Ep =
mgh2 = mgh1), al quale corrisponde velocità finale nulla (v2 = 0).
Rappresentazione dell'esperimento di Galileo sul principio d'inerzia. Si
immagini ora di diminuire l'angolo θ2 del piano inclinato di DX (θ2 < θ1),e
di ripetere l'esperimento. Per riuscire a risalire - come impone il principio
di conservazione dell'energia - alla medesima quota h2 di prima, la sfera dovrà
ora percorrere un tratto l2 più lungo sul piano inclinato di DX. Se si riduce
progressivamente l'angolo θ2, si vedrà che ogni volta aumenta la lunghezza l2
del tratto percorso dalla sfera, per risalire all'altezza h2. Se si porta
infine l'angolo θ2 ad essere nullo (θ2 = 0°), si è di fatto eliminato il piano
inclinato di DX. Facendo ora scendere la sfera dall'altezza h1 del piano inclinato
di SN, essa continuerà a muoversi indefinitamente sul piano orizzontale con
velocità vmax (principio d'inerzia) in quanto, per l'assenza del piano
inclinato di DX, non potrà mai risalire all'altezza h2 (come prevederebbe il
principio di conservazione dell'energia meccanica). Si immagini infine di
spianare montagne, riempire valli e costruire ponti, in modo da realizzare un
percorso rettilineo assolutamente piano, uniforme e senza attriti. Una volta
iniziato il moto inerziale della sfera che scende da un piano inclinato con
velocità costante vmax, questa continuerà a muoversi lungo tale percorso
rettilineo fino a fare il giro completo della Terra, e ricominciare quindi
indisturbata il proprio cammino. Ecco realizzato un (ideale) moto inerziale perpetuo,
che avviene lungo un'orbita circolare, coincidente con la circonferenza
terrestre. Partendo da questo "esperimento ideale", Galileo
sembrerebbe erroneamente ritenere che tutti i moti inerziali debbano essere
moti circolari. Probabilmente per questo motivo considerò, per i moti planetari
da lui (arbitrariamente) ritenuti inerziali, sempre e solo orbite circolari,
rifiutando invece le orbite ellittiche dimostrate da Keplero. Dunque, ad essere
rigorosi, non pare essere corretto quanto afferma Newton nei "Principia"
- fuorviando così innumerevoli studiosi - e cioè che Galilei avrebbe anticipato
i suoi primi due principi della dinamica. Misura dell'accelerazione di gravità
File:Isocronismo.webm Spiegazione del funzionamento dell'isocronismo nella
caduta dei gravi lungo una spirale su un paraboloide. Galileo riuscì a
determinare il valore che egli credeva costante dell'accelerazione di gravità g
alla superficie terrestre, cioè della grandezza che regola il moto dei corpi
che cadono verso il centro della Terra, studiando la caduta di sfere ben
levigate lungo un piano inclinato, anch'esso ben levigato. Poiché il moto della
sfera dipende dall'angolo di inclinazione del piano, con semplici misure ad
angoli differenti riuscì a ottenere un valore di g solamente di poco inferiore
a quello esatto per Padova (g = 9,8065855 m/s²), nonostante gli errori
sistematici, dovuti all'attrito che non poteva essere completamente
eliminato. Detta a l'accelerazione della sfera lungo il piano inclinato,
la sua relazione con g risulta essere a = g sin θ per cui, dalla misura
sperimentale di a, si risale al valore dell'accelerazione di gravità g. Il
piano inclinato permette di ridurre a piacimento il valore dell'accelerazione
(a < g), facilitandone la misura. Ad esempio, se θ = 6°, allora sin θ =
0,104528 e quindi a = 1,025 m/s². Tale valore è meglio determinabile, con una
strumentazione rudimentale, rispetto a quello dell'accelerazione di gravità (g
= 9,81 m/s²) misurato direttamente con la caduta verticale di un oggetto
pesante. Misura della velocità della luce Guidato dalla similitudine con il
suono, Galileo fu il primo a tentare di misurare la velocità della luce. La sua
idea fu quella di portarsi su una collina con una lanterna coperta da un drappo
e quindi toglierlo lanciando così un segnale luminoso ad un assistente posto su
un'altra collina ad un chilometro e mezzo di distanza: questi non appena avesse
visto il segnale, avrebbe quindi alzato a sua volta il drappo della sua
lanterna e Galileo vedendo la luce avrebbe potuto registrare l'intervallo di
tempo impiegato dal segnale luminoso per giungere all'altra collina e tornare
indietro.Una misura precisa di questo tempo avrebbe consentito di misurare la
velocità della luce ma il tentativo fu infruttuoso data l'impossibilità per
Galilei di avere uno strumento così avanzato che potesse misurare i
centomillesimi di secondo che la luce impiega per percorrere una distanza di
pochi chilometri. La prima stima della velocità della luce fu opera, nel
1676, dell'astronomo danese Rømer basata su misure astronomiche. Apparati
sperimentali e di misura Termometro di Galileo, in un'elaborazione
successiva. Gli apparati sperimentali furono fondamentali nello sviluppo delle
teorie scientifiche di Galileo, che costruì diversi strumenti di misura
originalmente o rielaborandoli sulla base di idee preesistenti. In ambito
astronomico costruì da sé alcuni esemplari di cannocchiale, provvisti di
micrometro per misurare quanto distasse una luna dal suo pianeta. Per studiare
le macchie solari, proiettò con l'elioscopio l'immagine del Sole su un foglio
di carta per poterla osservare in sicurezza senza danni alla vista. Ideò anche
il giovilabio, simile all'astrolabio, per determinare la longitudine usando le
eclissi dei satelliti di Giove. Per studiare il moto dei corpi si servì invece
del piano inclinato con il pendolo per misurare intervalli temporali. Riprese
anche un rudimentale modello di termometro, basato sulla dilatazione dell'aria
al variare della temperatura. Il pendolo Schema di un pendolo Galileo
scoprì nel 1583 l'isocronismo delle piccole oscillazioni di un pendolo; secondo
la leggenda l'idea gli sarebbe venuta mentre osservava le oscillazioni di una
lampada allora sospesa nella navata centrale del Duomo di Pisa, oggi custodita
nel vicino Camposanto Monumentale, nella Cappella Aulla. Questo strumento è
semplicemente composto da un grave, come una sfera metallica, legato ad un filo
sottile e inestensibile. Galileo osservò che il tempo di oscillazione di un
pendolo è indipendente dalla massa del grave e anche dall'ampiezza
dell'oscillazione, se questa è piccola. Scoprì anche che il periodo di
oscillazione {\displaystyle T}T dipende solo dalla lunghezza del filo
{\displaystyle l}l:[135] {\displaystyle T=2\pi {\sqrt {\frac
{l}{g}}}}T=2\pi {\sqrt {\frac {l}{g}}} dove {\displaystyle g}g è
l'accelerazione di gravità. Se ad esempio il pendolo ha {\displaystyle
l=1m}{\displaystyle l=1m}, l'oscillazione che porta il grave da un estremo
all'altro e poi di nuovo indietro ha un periodo {\displaystyle T=2,0064s}{\displaystyle
T=2,0064s} (avendo assunto per {\displaystyle g}g il valore medio
{\displaystyle 9,80665}{\displaystyle 9,80665}). Galileo sfruttò questa
proprietà del pendolo per usarlo come strumento di misura di intervalli
temporali. La bilancia idrostatica Galileo nel 1586, all'età di 22 anni quando
era ancora in attesa dell'incarico universitario a Pisa, perfezionò la bilancia
idrostatica di Archimede e descrisse il suo dispositivo nella sua prima opera
in volgare, La Bilancetta, che circolò manoscritta, ma fu stampata postuma
«Per fabricar dunque la bilancia, piglisi un regolo lungo almeno due braccia, e
quanto più sarà lungo più sarà esatto l'istrumento; e dividasi nel mezo, dove
si ponga il perpendicolo [il fulcro]; poi si aggiustino le braccia che stiano
nell'equilibrio, con l'assottigliare quello che pesasse di più; e sopra l'uno
delle braccia si notino i termini dove ritornano i contrapesi de i metalli
semplici quando saranno pesati nell'acqua, avvertendo di pesare i metalli più
puri che si trovino. Viene anche descritto come si ottiene il peso specifico PS
di un corpo rispetto all'acqua: {\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname
{peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname
{peso\;in\;acqua} }}}{\displaystyle P_{S}={\frac {\operatorname
{peso\;in\;aria} }{\operatorname {peso\;in\;aria} -\operatorname
{peso\;in\;acqua} }}}. Ne La Bilancetta si trovano poi due tavole che riportano
trentanove pesi specifici di metalli preziosi e genuini, determinati
sperimentalmente da Galileo con precisione confrontabile con i valori moderni. Il
compasso proporzionale Una descrizione dell'uso del compasso
proporzionale fornita da Galileo Galilei. Il compasso proporzionale era uno
strumento utilizzato fin dal medioevo per eseguire operazioni anche algebriche
per via geometrica, perfezionato da Galileo ed in grado di estrarre la radice
quadrata, costruire poligoni e calcolare aree e volumi. Fu utilizzato con
successo in campo militare dagli artiglieri per calcolare le traiettorie dei
proiettili. Galilei e l'arte Letteratura Gli interessi letterari di Galilei
Durante il periodo pisano Galileo non si limitò alle sole occupazioni
scientifiche: risalgono infatti a questi anni le sue Considerazioni sul Tasso
che avranno un seguito con le Postille all'Ariosto. Si tratta di note sparse su
fogli e annotazioni a margine nelle pagine dei suoi volumi della Gerusalemme
liberata e dell'Orlando furioso dove, mentre rimprovera al Tasso «la scarsezza
della fantasia e la monotonia lenta dell'immagine e del verso, ciò che ama nell'Ariosto
non è solo lo svariare dei bei sogni, il mutar rapido delle situazioni, la viva
elasticità del ritmo, ma l'equilibrio armonico di questo, la coerenza
dell'immagine l'unità organica – pur nella varietà – del fantasma poetico.
Galilei scrittore. D'altro più non si cura fuorché d'essere inteso»
(Giuseppe Parini) «Uno stile tutto cose e tutto pensiero, scevro di ogni
pretensione e di ogni maniera, in quella forma diretta e propria in che è
l'ultima perfezione della prosa.» (Francesco De Sanctis, Storia della
Letteratura Italiana) Dal punto di vista letterario, Il Saggiatore è
considerata l'opera in cui si fondono maggiormente il suo amore per la scienza,
per la verità e la sua arguzia di polemista. Tuttavia, anche nel Dialogo sopra
i due massimi sistemi del mondo si apprezzano pagine di notevole livello per
qualità della scrittura, vivacità della lingua, ricchezza narrativa e
descrittiva. Infine Italo Calvino affermò che, a suo parere, Galilei è stato il
maggior scrittore di prosa in lingua italiana, fonte di ispirazione persino per
Leopardi. L'uso della lingua volgare L'uso del volgare servì a Galileo per un
duplice scopo. Da una parte era finalizzato all'intento divulgativo dell'opera:
Galileo intendeva rivolgersi non solo ai dotti e agli intellettuali ma anche a
classi meno colte, come i tecnici che non conoscevano il latino ma che potevano
comunque comprendere le sue teorie. Dall'altro si contrappone al latino della
Chiesa e delle diverse Accademie che si basavano sul principio di auctoritas,
rispettivamente biblico ed aristotelico. Si viene a delineare una rottura con
la tradizione precedente anche per quanto riguarda la terminologia: Galileo, a
differenza dei suoi predecessori, non trae spunti dal latino o dal greco per
coniare nuovi termini ma li riprende, modificandone l'accezione, dalla lingua
volgare. Galileo, inoltre, dimostrò atteggiamenti diversi nei confronti delle
terminologie esistenti: terminologia meccanica: cauto accoglimento;
terminologia astronomica: non respinge i vocaboli che l'uso abbia già accolto o
tenda ad accogliere. Li utilizza, però, come strumenti, insistendo sul loro
valore convenzionale ("le parole o imposizioni di nomi servono alla
verità, ma non si devono sostituire a essa). Lo scienziato poi segnala gli
errori che nascono quando il nome travisa la realtà fisica o che nascono dalla
suggestione esercitata dagli usi comuni di un vocabolo sul significato figurato
assunto come termine scientifico; per evitare questi errori, egli fissa
esattamente il significato dei singoli vocaboli: sono preceduti o seguiti da
una descrizione; terminologia peripapetica: rifiuto totale che si manifesta con
la sua messa in ridicolo, servendosene come puri suoni in un gioco di
alternanze e rime. Arti figurative «L'Accademia e Compagnia dell'Arte del
Disegno fu fondata da Cosimo I de' Medici nel 1563, su suggerimento di Giorgio
Vasari, con l'intento di rinnovare e favorire lo sviluppo della prima
corporazione di artisti costituitasi dall'antica compagnia di San Luca. Annoverò
tra i primi accademici personalità come Buonarroti, Bartolomeo Ammannati,
Agnolo Bronzino, Francesco da Sangallo. Per secoli l'Accademia rappresentò il
più naturale e prestigioso centro di aggregazione per gli artisti operanti a
Firenze e, al tempo stesso, favorì il rapporto fra scienza e arte. Essa
prevedeva l'insegnamento della geometria euclidea e della matematica e
pubbliche dissezioni dovevano preparare al disegno. Anche uno scienziato come
Galileo Galilei fu nominato membro dell'Accademia fiorentina delle Arti del
Disegno. Galileo, infatti, prese pure parte alle complesse vicende riguardanti
le arti figurative del suo periodo, soprattutto la ritrattistica, approfondendo
la prospettiva manieristica ed entrando in contatto con illustri artisti
dell'epoca (come il Cigoli), nonché influenzando in modo consistente, con le
sue scoperte astronomiche, la corrente naturalistica. Superiorità della pittura
sulla scultura Per Galileo nell'arte figurativa, come nella poesia e nella
musica, vale l'emozione che si riesce a trasmettere, a prescindere da una
descrizione analitica della realtà. Ritiene inoltre che tanto più dissimili sono
i mezzi usati per rendere un soggetto dal soggetto stesso, tanto maggiore
l'abilità dell'artista. Perciocché quanto più i mezzi, co' quali si imita, son
lontani dalle cose da imitarsi, tanto più l'imitazione è maravigliosa.” Ludovico
Cardi, detto il Cigoli, fiorentino, fu pittore al tempo di Galileo; ad un certo
punto della sua vita, per difendere il suo operato, chiese aiuto al suo amico
Galileo: doveva, infatti, difendersi dagli attacchi di quanti ritenevano la
scultura superiore alla pittura, in quanto ha il dono della tridimensionalità,
a discapito della pittura semplicemente bidimensionale. Galileo rispose con una
lettera. Egli fornisce una distinzione tra valori ottici e tattili, che diventa
anche giudizio di valore sulle tecniche scultoree e pittoriche: la statua, con
le sue tre dimensioni, inganna il senso del tatto, mentre la pittura, in due
dimensioni, inganna il senso della vista. Galilei attribuisce quindi al pittore
una maggiore capacità espressiva che non allo scultore poiché il primo, tramite
la vista, è in grado di produrre emozioni meglio di quanto faccia il secondo
mediante il tatto. “A quello poi che dicono gli scultori, che la natura fa
gli uomini di scultura e non di pittura, rispondo che ella gli fa non meno
dipinti che scolpiti, perché ella gli scolpe e gli colora.” Il padre di Galileo
era un musicista (liutista e compositore) e teorico musicale molto noto ai suoi
tempi. Galileo fornì un contributo fondamentale alla comprensione dei fenomeni
acustici, studiando in modo scientifico l'importanza dei fenomeni oscillatori
nella produzione della musica. Scoprì anche la relazione che intercorre fra la
lunghezza di una corda in vibrazione e la frequenza del suono emessa. Nella
lettera a Lodovico Cardi, Galileo scrive: «Non ammireremmo noi un musico,
il quale cantando e rappresentandoci le querele e le passioni d'un amante ci
muovesse a compassionarlo, molto più che se piangendo ciò facesse?... E molto
più lo ammireremmo, se tacendo, col solo strumento, con crudezze et accenti
patetici musicali, ciò facesse...» (Opere XI) mettendo sullo stesso piano
la musica vocale e quella strumentale, dato che nell'arte sono importanti solo
le emozioni che si riescono a trasmettere. Dediche Banconota da 2.000
lire con la raffigurazione di Galileo 2 euro commemorativi italiani per
il 450º anniversario della nascita di Galileo Galilei A Galileo sono stati
dedicati innumerevoli tipi di oggetti ed enti, naturali o creati dall'uomo:
la Galileo Regio, una regione della superficie del satellite Ganimede; l'asteroide
697 Galilea; una sonda spaziale, la Galileo; un sistema di posizionamento
spaziale, il sistema Galileo; il gal (unità di accelerazione); il Telescopio
Nazionale Galileo (TNG), situato sull'isola di La Palma (Spagna); l'aeroporto
internazionale "Galileo Galilei" di Pisa; un gruppo musicale
giapponese, Galileo Galilei; un album degli Haggard dal titolo "Eppur si
muove"; una canzone scritta e interpretata dal cantautore pugliese
Caparezza intitolata "Il dito medio di Galileo"; il sottomarino
Galileo Galilei; una nave da guerra italiana, la Galileo Galilei; la banconota
da 2.000 lire; una canzone Messer Galileo cantata da Edoardo Pachera durante la
52ª edizione dello Zecchino d'Oro; una società, produttrice di strumenti
scientifici, ottici ed astronomici e denominata Officine Galileo; una moneta
commemorativa da 2 euro nel 2014 per il 450º anniversario della sua nascita; un
supercomputer di potenza di calcolo pari a circa 1 PetaFlop, installato presso
il consorzio interuniversitario CINECA e classificato per diverso tempo fra le
prime 500 strutture di calcolo al mondo; una cattedra di storia della scienza
dell'Università di Padova, detta appunto cattedra galileiana, istituita per
Enrico Bellone a cui poi successe William R. Shea che la resse fino al 2011,
più la Scuola Galileiana di Studi Superiori della stessa università, nonché
l'Accademia galileiana di scienze, lettere ed arti di Padova. Galileo Day
Galileo Galilei viene ricordato con celebrazioni presso istituzioni locali il
15 febbraio, il Galileo Day, giorno della sua nascita. Altre opere: La
bilancetta (postuma), Tractatio de praecognitionibus et precognitis and
Tractatio de demonstration. Le mecaniche, Le operazioni del compasso geometrico
et militare, Sidereus Nuncius, Discorso
intorno alle cose che stanno in su l'acqua, Istoria e dimostrazioni intorno
alle macchie solari e loro accidenti (pubblicato dall'Accademia dei Lincei),
1613 (su archive.org, BEIC) Discorso sopra il flusso e il reflusso del mare,
Roma, Il Discorso delle Comete, Il Saggiatore, Roma, Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, Firenze, Due nuove scienze, Leida, Trattato della
sfera, Roma 1656 (su BEIC) Lettere Lettera al Padre Benedetto Castelli, Lettera
a Madama Cristina di Lorena, Lettera a Pietro Dini, Edizione nazionale Opere di
Galileo Galilei, Edizione Nazionale, a cura di Antonio Favaro, Firenze, G.
Barbera, Le opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale sotto gli auspicii di
Sua Maestà il Re d'Italia. Firenze,
Tipografia di G. Barbera, Le opere di Galileo Galilei, Edizione Nazionale,
Appendice, Firenze, Giunti, 2013 ss. in quattro volumi: Vol. 1: Iconografia
galileiana, a cura di F. Tognoni, Carteggio, a cura di M. Camerota e P. Ruffo,
con la collaborazione di M. Bucciantini, Testi, a cura di A. Battistini, M.
Camerota, G. Ernst, R. Gatto, M. Helbing e P. Ruffo, Documenti, a cura di M.
Camerota e P. Ruffo (Edizione digitale delle Opere Letteratura e teatro Vita di
Galileo è il titolo di un'opera teatrale di Brecht in più versioni, a partire
dalla prima risalente agli anni 1938-39. Gli ultimi anni di Galileo Galilei è
il titolo di un'opera teatrale giovanile di Ippolito Nievo. Galileo è uno
spettacolo teatrale del 2010 di Francesco Niccolini e Marco Paolini. Film
Galileo Galilei è un cortometraggio sullo scienziato pisano. Galileo è un film
di Cavani. Galileo si chiama anche il film di Joseph Losey tratto dal dramma
Vita di Galileo di Bertolt Brecht. Per testuali parole di Puccianti, Galileo fu
veramente cultore e propugnatore della Natural Filosofia: in effetti egli fu
matematico, astronomo, fondatore della Fisica nel senso attuale di questa
parola; e queste varie discipline considerò sempre e trattò come intimamente
connesse tra loro, e insieme ad altri studi vari, come diversi aspetti e
atteggiamenti di una stessa attività dello spirito: filosofo dunque, anche
perché portò su questa attività la riflessione e la critica; ma non incurante
delle conseguenze o, come ora si direbbe, delle applicazioni pratiche. I
problemi più importanti e centrali lo impegnarono per tutta la durata della sua
vita scientifica, non con continua opera su ciascuno di essi, ma con ritorni
successivi sempre più approfonditi e più generali, e in fine risolutivi» (da:
Luigi Puccianti, Storia della fisica, Firenze, Felice Le Monnier, Fondamentali
furono inoltre le sue idee e riflessioni critiche sui concetti fondamentali
della meccanica, in particolare quelle sul movimento. Tralasciando l'ambito
prettamente filosofico, dopo la morte di Archimede, il tema del movimento cessò
di essere oggetto di analisi quantitativa e discussione formale allorché
Gerardo di Bruxelles, vissuto nella seconda metà del XII secolo, nel suo Liber
de motu riprese la definizione di velocità, già peraltro considerata dal matematico
del III secolo a.C. Autolico di Pitane, avvicinandosi alla moderna definizione
di velocità media come rapporto fra due quantità non omogenee quali la distanza
e il tempo (cfr. Gerard of Brussels, "The Reduction of Curvilinear
Velocities to Uniform Rectilinear Velocities", edito da Clagett, in Grant,
A Source Book in Medieval Science, Cambridge (MA), Harvard University
Press, e Mazur, Zeno's Paradox.
Unraveling the Ancient Mystery Behind the Science of Space and Time, New
York/London, Plume/Penguin Books, Ltd., Achille e la tartaruga. Il paradosso
del moto da Zenone a Einstein, a cura di Claudio Piga, Milano, Il Saggiatore, Grazie
al perfezionamento del telescopio, che gli permise di effettuare notevoli studi
e osservazioni astronomiche, fra cui quella delle macchie solari, la prima
descrizione della superficie lunare, la scoperta dei satelliti di Giove, delle
fasi di Venere e della composizione stellare della Via Lattea. Per maggiori
notizie, si veda: Luigi Ferioli, Appunti di ottica astronomica, Milano, Editore
Ulrico Hoepli, Cfr. pure Vasco Ronchi, Storia della luce, IBologna, Nicola
Zanichelli Editore, Dal punto di vista storico, un'ipotesi autenticamente
"eliocentrica" fu quella di Aristarco di Samo, poi sostenuta e
dimostrata da Seleuco di Seleucia. Il modello copernicano invece,
contrariamente a quanto generalmente ritenuto, è "eliostatico" ma non
"eliocentrico" (vedi nota seguente). Il sistema di Keplero, poi, non
è né "eliocentrico" (il Sole occupa infatti uno dei fuochi
dell'orbita ellittica di ciascun pianeta che gli ruota attorno) né
"eliostatico" (a causa del moto di rotazione del Sole attorno al
proprio asse). La descrizione newtoniana del sistema solare, infine, eredita le
caratteristiche cinematiche (i.e., orbite ellittiche e moto rotatorio del Sole)
di quella kepleriana ma spiega causalmente, tramite la forza di gravitazione
universale, la dinamica planetaria. ^ A proposito del modello copernicano: «È
da notare che, sebbene il Sole sia immobile, tutto il sistema [solare] non
ruota intorno ad esso, ma intorno al centro dell'orbita della Terra, la quale
conserva ancora un ruolo particolare nell'Universo. Si tratta cioè, più che di
un sistema eliocentrico, di un sistema eliostatico.» (da G. Bonera, Dal sistema
tolemaico alla rivoluzione copernicana, E non più soggettiva, come era stata
fino ad allora condotta. ^ Secondo Giorgio Del Guerra, nella casa sita al n. 24
dell'attuale via Giusti in Pisa (G. Del Guerra, La casa dove, in Pisa, nacque
Galileo Galilei, Pisa, Tipografia Comunale. Verosimilmente, Galileo non dovette
avere buoni rapporti con la madre se non ricorda mai gli anni della sua
infanzia come un periodo felice. Il fratello Michelangelo ebbe occasione di
scrivere a questo proposito a Galileo, quasi augurandosene l'ormai imminente
dipartita: «[...] di nostra madre intendo, con non poca meraviglia, che sia
ancora così terribile, ma poiché è così discaduta, ce ne sarà per poco, sì che
finiranno le lite.» Un Tommaso Ammannati fu fatto cardinale da Clemente VII nel
1385, mentre il fratello Bonfazio Ammannati ottenne la porpora da uno dei
successori di Clemente, l'antipapa Benedetto XIII; quanto a Giacomo Ammannati
Piccolomini, cardinal, fu umanista, continuatore dei Commentarii di Pio II e
autore di una Vita dei papi che è andata perduta. ^ Si ricorda un Tommaso
Bonaiuti, che fece parte del governo di Firenze dopo la cacciata del Duca di
Atene e un Galileo Bonaiuti, medico noto al suo tempo e gonfaloniere di
giustizia, il cui sepolcro nella Basilica di Santa Croce divenne la tomba dei
suoi discendenti; a partire da Galileo Bonaiuti, il cognome della famiglia
cambiò in Galilei. ^ Così scriveva Muzio Tedaldi a Vincenzo Galilei: «per la
vostra ho inteso quanto havete concluso con il vostro figliuolo [Galileo]; et
come, volendo cercar di introdurlo qua in Sapienza, vi ritarda il non esser la
Bartolomea maritata, anzi vi guasta ogni buon pensiero; et che desiderate che
la si mariti, e quanto prima. Le considerationi vostre son buone, et io non ho
mancato né manco di far quell'opera che si ricerca; ma sino a qui son venuti
tutti partiti, per non dir obbrobriosi, poco aproposito per lei… Per
concludere, ardisco di dire che credo che la Bartolomea sia così casta come
qual si vogli pudica fanciulla; ma le lingue non si possono tenere; pure io
crederrò, con l'aiuto che do loro, di levar via tutti questi romori et farli
supire; per il che a quel tempo potrete facilmente mandare il vostro Galileo a
studio; et se non harete la Sapienza, harete la casa mia al vostro piacere,
senza spesa nessuna, et così vi offero et prometto, ricordandovi che le novelle
son come le ciriegie; però è bene credere quel che si vede, e non quel che si
sente, parlando di queste cose basse.» Obbligatoriamente l'iscrizione doveva
avvenire per gli studenti toscani in quell'Università. Chi voleva andare in
un'altra Università avrebbe dovuto pagare una multa di 500 scudi stabilita da
un editto granducale per scoraggiare la frequenza in un ateneo diverso da
quello pisano (In: A. Righini, Op. cit.). ^ Lo testimonierebbe la coincidenza
di argomentazioni esistente tra gli Juvenilia, gli appunti di fisica abbozzati
da Galileo in questo periodo, e i dieci libri del De motu del Bonamico. (In:
Storia sociale e culturale d'Italia, La cultura filosofica e scientifica, La
filosofia e le scienze dell'Uomo, La storia delle scienze, Milano, Bramante
Editrice, Ne descrive i dettagli nel breve trattato La bilancetta, circolato
prima fra i suoi conoscenti e pubblicato postumo nel 1644 (Annibale Bottana,
Galileo e la bilancetta: un momento fondamentale nella storia dell'idrostatica
e del peso specifico, Firenze, Leo S. Olschki Editore). Studi riportati nel
Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, pubblicato in appendice ai
Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attinenti alla
meccanica e ai moti locali. ^ Galileo sottopose a Clavius una sua
insoddisfacente dimostrazione della determinazione del baricentro dei solidi.
(Lettera a Clavius). Giovanni de Medici aveva progettato una draga per il porto
di Livorno. Su questo progetto il granduca Ferdinando aveva chiesto una
consulenza a Galilei che dopo aver visto il modellino affermò che non avrebbe
funzionato. Giovanni de Medici volle comunque costruire la draga che in effetti
non funzionò. (Giovan Battista de Nelli, Vita e commercio letterario di Galileo
Galilei, Losanna, con tale Benedetto Landucci che Galilei raccomandò a Cristina
di Lorena riuscendo a fargli ottenere nel 1609 il posto di pesatore al saggio;
il lavoro, consistente nel pesare gli argenti che venivano venduti, procurava
un guadagno di circa 60 fiorini. Lettera a Cristina di Lorena (Ed. Naz., Vol.
X, Lettera N., Alla dote per la sorella Livia avrebbe dovuto contribuire anche
il fratello Michelangelo. (Lettera a Michelangelo Galilei, Michelangelo... fu
versatissimo nella musica e la esercitò per professione; essendo stato buon
liutista non v'è dubbio che fosse allievo egli pure di suo padre Vincenzo. visse
in Polonia al servizio di un conte palatino; nel 1610 era a Monaco di Baviera
ove insegnava musica, e in una lettera datata del 16 agosto di quell'anno, egli
pregava il fratello Galileo, di acquistargli grosse corde di Firenze per suo
bisogno et dei suoi scolari...» (Dizionario universale dei musicisti, Milano,
Casa Editrice Sonzogno). Le spese per i viaggi in Polonia e Germania furono
sostenute da Galileo. Michelangelo appena sistematosi in Germania volle
sposarsi con Anna Chiara Bandinelli e, anziché saldare il debito per la dote
che aveva con il cognato Galletti, spese tutto il denaro che aveva in un
lussuoso ricevimento nuziale. ^ «Mi dispiace ancora di veder che V.S. non sia
trattata second'i meriti suoi, e molto più mi dispiace che ella non habbi buona
speranza. Et s'ella vorrà andar a Venetia questa state, io l'invito a passar di
qua, che non mancarò dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla;
chè certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma,
come saranno, io le spenderò tutte in suo servitio. (Lettera di Guidobaldo Del Monte a Galilei.
In: Ed. Naz., Vol. X, Lettera N. 35, Ancora vivente, Galileo fu ritratto da
alcuni dei più famosi pittori del suo tempo, come Santi di Tito, Caravaggio,
Domenico Tintoretto, Giovan Battista Caccini, Francesco Villamena, Ottavio
Leoni, Domenico Passignano, Joachim von Sandrart e Claude Mellan. I due
ritratti più famosi, visibili alla Galleria Palatina di Firenze e agli Uffizi
sono invece di Justus Suttermans che rappresenta Galileo ormai anziano come
simbolo del filosofo conoscitore della natura. (In "Portale Galileo")
^ Per moto «naturale» s'intende quello di un grave, ossia di un corpo in caduta
libera, diversamente dal moto «violento», che è quello di un corpo che sia
soggetto ad un «impeto». ^ L'esatta formulazione della legge è stata data da
Galileo nel successivo De motu accelerato: «Motum aequabiliter, seu
uniformiter, acceleratum dico illum, qui, a quiete recedens, temporibus
aequalibus aequalia celeritatis momenta sibi superaddit», ove l'accelerazione
di gravità è indicata essere direttamente proporzionale al tempo e non allo spazio.
(Ed. Naz.) ^ Con lettera da Verona, l'Altobelli riferiva a Galileo, senza dar
credito, che la stella, «quasi un arancio mezzo maturo», sarebbe stata
osservata. In verità, dietro Antonio Lorenzini (da non confondere col vescovo
Antonio Lorenzini) si celava il Cremonini; cfr. Uberto Motta, Antonio
Querenghi. Un letterato padovano nella Roma del tardo Rinascimento,
Pubblicazioni dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano, Vita e
Pensiero, «Nacque in Padova intorno al 1580. Poco più che ventenne professò i
voti nell’Ordine Benedettino, e nei primi anni del secolo XVII si trovava nel
monastero di S. Giustina di Padova, legato in molta intimità col Castelli,
insieme col quale fu discepolo di Galileo, prendendo le parti del Maestro nelle
questioni relative alla stella nuova dell’ottobre 1604.» (Da Museo Galileo). Usus
et fabrica circini cuiusdam proportionis, per quem omnia fere tum Euclidis, tum
mathematicorum omnium problemata facili negotio resolvuntur, opera & studio
Balthesaris Capræ nobilis Mediolanensis explicata. (In: Patauij, apud Petrum
Paulum Tozzium, 1607) ^ Alcuni calcoli astrologici, anche risalenti al periodo
fiorentino, furono conservati da Galileo e compaiono nel volume 19 dell'Opera
omnia (sezione "Astrologica nonnulla", pp. 205-220). Da notare che
per lo più si tratta di calcoli del tema natale, solo in qualche caso
accompagnati da interpretazioni o pronostici. ^ È stata ritrovata una lista
della spesa dove Galilei, insieme a ceci, farro, zucchero, ecc., ordinava di
acquistare anche pezzi di specchio, ferro da spianare e quanto di utile per il
suo laboratorio ottico. (Da una nota di una lettera di Ottavio Brenzoni conservata nella Biblioteca Centrale di
Firenze) ^ Espressione tradizionalmente attribuita da scrittori cristiani
all'imperatore pagano Flavio Claudio Giuliano che in punto di morte avrebbe
riconosciuto la vittoria del Cristianesimo: «Hai vinto o Galileo» riferendosi a
Gesù nativo della Galilea. ^ Il comportamento di Galileo è stato variamente
giudicato: vi è chi sostiene che egli le chiuse in convento perché «doveva
pensare a una loro sistemazione definitiva, cosa non facile perché, data la
nascita illegittima, non era probabile un futuro matrimonio» (come se egli non
potesse legittimarle, come fece con il figlio Vincenzio e come se una
monacazione coatta fosse preferibile a un matrimonio non prestigioso; cfr.
Sofia Vanni Rovighi, Storia della filosofia moderna e contemporanea. Dalla
rivoluzione scientifica a Hegel, Brescia, Editrice La Scuola), mentre altri
ritengono che «alla base di tutto stava il desiderio di Galileo di trovare per
esse una sistemazione che non rischiasse di procurargli in futuro alcun nuovo
carico [...] tutto ciò nascondeva un profondo, sostanziale egoismo» (cfr.
Ludovico Geymonat,). ^ «quel mirare per quegli occhiali m'imbalordiscon la
testa», avrebbe detto Cremonini secondo la testimonianza di Paolo Gualdo. (Da
una lettera del Gualdo a Galilei. Scheiner pubblicò ancora sull'argomento il De
maculis solaribus et stellis circa Iovem errantibus. La priorità della scoperta
andrebbe all'olandese Johannes Fabricius, che pubblicò a Wittenberg, il De
Maculis in Sole observatis, et apparente earum cum Sole conversione. Cioè con i
sensi, con l'osservazione diretta. ^ «Egli pensava infatti che una colonna
d’acqua troppo alta tendeva a spezzarsi sotto l’azione del suo stesso peso,
così come si spezza una fune di materiale poco resistente quando, fissata in
alto, viene tirata dal basso. Fu quindi proprio questa analogia fondata
sull’esperienza osservativa a portare il Galilei fuori strada.» (in IL VUOTO – Elisa
Garagnani – Isis Archimede). Salmi che la figlia di Galileo, suor Maria
Celeste, s'incaricò di recitare, con il consenso della Chiesa. Baretti, in una
sua ricostruzione, avrebbe fatto nascere la leggenda di un Galilei che una
volta alzatosi in piedi, colpì la terra e mormorò: "E pur si muove!"
(In Giuseppe Baretti, The Italian Library). Tale frase non è contenuta in alcun
documento contemporaneo, ma nel tempo fu ritenuta veritiera, probabilmente per
il suo valore suggestivo, a tal punto che Berthold Brecht la riporta in
"Vita di Galileo", opera teatrale dedicata allo scienziato pisano
alla quale egli si dedicò a lungo. ^ In Paschini è riportato che: «secondo le
norme del Sant'Offizio» questa condizione «era equiparata ad una prigionia per
quanto egli facesse per ottenere la liberazione. Si ebbe il timore
probabilmente ch'egli riprendesse a fare propaganda delle sue idee e che un
perdono potesse significare che il Sant'Offizio si fosse ricreduto a proposito
di esse» (cfr. pure Alceste Santini, "Galileo Galilei", L'Unità). Conceditur
habitatio in eius rure, modo tamen ibi in solitudine stet, nec evocet eo aut
venientes illuc recipiat ad collocutiones, et hoc per tempus arbitrio Suae
Sanctitatis.» (Ed. Naz.) ^ A Galileo era infatti proibito stampare qualunque
opera in un paese cattolico. ^ Fonti di questa corrispondenza si trovano in:
Paolo Scandaletti, Galilei privato, Udine, Gaspari editore, Antonio Favaro,
Amici e corrispondenti di Galileo Galilei, Alessandra Bocchineri, Venezia,
Pubblicazioni del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Valerio Del
Nero, Galileo Galilei e il suo tempo, Milano, Simonelli Editore, A. Righini,
Galileo: tra scienza, fede e politica, Bologna, Editrice Compositori, 2008, p.
150 e sgg.; Geymonat, Giorgio Abetti, Amici e nemici di Galileo, Milano,
Bompiani, Banfi, «Galileo fu invitato
alla villa di S.Gaudenzio, sulle colline di Sofignano, alla fine di luglio del
1630, ospite di Giovanni Francesco Buonamici, che con lo scienziato vantava una
parentela da parte della moglie Alessandra Bocchineri: la sorella di lei,
Sestilia, aveva sposato a Prato l'anno prima il figlio di Galileo, Vincenzo.»
(In Comune di Vaiano) Fu permessa a Galilei l'assistenza del giovane allievo
Vincenzo Viviani e, dall'ottobre 1641, anche di Evangelista Torricelli. ^ «La
prego a condonare questa mia non volontaria brevità alla gravezza del male; e
le bacio con affetto cordialissimo le mani, come fo anche al Signor Cavaliere
suo Consorte.» (In Le Opere di Galileo Galilei, a cura di Eugenio Albèri,
Firenze, Società Editrice Fiorentina, 1848, p. 368) Anfossi
pubblicava–anonimamente–in Roma un libro in cui le leggi di Keplero e di Newton
erano presentate come «cose che non meritano la menoma attenzione» e si
chiedeva come mai «tanti uomini santi» ispirati dallo Spirito Santo, «ci han
detto ottanta e più volte che il Sole si muove senza dirci una volta sola che è
immobile e fermo?» (Sebastiano Timpanaro, Scritti di storia e critica della
scienza, Firenze, G.C. Sansoni, L'edizione curata da Favaro si basava sulle
copie allora disponibili, perché l'originale non era stato ritrovato (Avvertimento.
Il manoscritto originale è stato scoperto nell'agosto 2018 e pubblicato come
appendice a Michele Camerota, Franco Giudice, Salvatore Ricciardi, "The
reapparance of Galileo's original letter to Benedetto Castelli". L'effetto
di parallasse stellare, che dimostra la rivoluzione della Terra attorno al
Sole, sarà misurato da Friedrich Wilhelm Bessel solo nel 1838. Per il testo
della condanna, vedi: Sentenza di condanna di Galileo Galilei, su
it.wikisource.org. Per il testo dell'abiura, vedi: Abiura di Galileo Galileisu
it.wikisource.org. ^ Questa frase è stata citata in un intervento molto
criticato di Joseph Ratzinger (cfr. "La crisi della fede nella
scienza" in Svolta per l'Europa? Chiesa e modernità nell'Europa dei
rivolgimenti, Roma, Edizioni Paoline. Ratzinger aggiunge da parte sua che:
«Sarebbe assurdo costruire sulla base di queste affermazioni una frettolosa
apologetica. La fede non cresce a partire dal risentimento e dal rifiuto della
razionalità, ma dalla sua fondamentale affermazione e dalla sua inscrizione in
una ragionevolezza più grande. Qui ho voluto ricordare un caso sintomatico che
evidenzia fino a che punto il dubbio della modernità su se stessa abbia attinto
oggi la scienza e la tecnica.» ^ Già chiaramente indicati nella Lettera a
Madama Cristina di Lorena granduchessa di Toscana. L'Accademia del Cimento, fra
le più antiche associazioni scientifiche al mondo, fu la prima a riconoscere
ufficialmente, in Europa, il metodo sperimentale galileano. Fu fondata a
Firenze da alcuni allievi di Galileo, Evangelista Torricelli e Vincenzo
Viviani. Si lasci alla storiografia stabilire, caso fosse mai possibile, se
Galileo concepisse il moto inerziale unicamente come circolare [...] o se
ammettesse anche la possibilità in natura della prosecuzione indefinita del
moto rettilineo, anche perché in Galileo non si può sensatamente parlare di
formulazione del principio d'inerzia come se fossimo nell'ambito della moderna
fisica newtoniana, ma solo di alcune considerazioni preliminari al principio
della relatività del moto.» Portale Galileo, su portalegalileo.museogalileo.it.Testi
non compresi nella prima edizione dell'Edizione Nazionale curata da Antonio
Favaro, ma in quella curata da William F. Edwards e Mario G. Helbing, con
Introduzione, Note e Commenti di William A. Wallace, per Le opere di Galileo
Galilei. Edizione Nazionale, Appendice Testi, Firenze, G.C. Giunti. Bibliografiche
Abbagnano, Albert Einstein, Leopold Infeld, L'evoluzione della fisica. Sviluppo
delle idee dai concetti iniziali alla relatività e ai quanti, Torino, Editore
Boringhieri, Gliozzi, "Storia del pensiero fisico", in: Luigi
Berzolari (a cura di), Enciclopedia delle matematiche elementari e complementi,
Vol. III, Parte II, Milano, Editore Ulrico Hoepli, Paolo Straneo, Le teorie
della fisica nel loro sviluppo storico, Brescia, Morcelliana, Giuliano Toraldo
di Francia, L'indagine del mondo fisico, Torino, Giulio Einaudi editore, George
Gamow, Biografia della fisica, Biblioteca della EST, Milano, Arnoldo Mondadori
Editore, Max Born, La sintesi einsteiniana, Torino, Editore Boringhieri, Natalino
Sapegno, Compendio di storia della letteratura italiana, Firenze, La Nuova
Italia Editrice, Centro di Studi Filosofici di Gallarate (a cura di),
Dizionario dei Filosofi, Firenze, G.C. Sansone Editore, Ludovico Geymonat (a
cura di), Storia del pensiero filosofico e scientifico, Milano, Aldo Garzanti
Editore, Ludovico Geymonat, Lineamenti di filosofia della scienza, Biblioteca
della EST, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, Federigo Enriques, Giorgio De
Santillana, Compendio di storia del pensiero scientifico, dall'antichità fino
ai tempi moderni, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, Renato Pettoello, Leggere
Kant, Brescia, Editrice La Scuola, 2014, Cap. III, § 6. ^ David Lerner (a cura
di), Qualità e quantità e altre categorie della scienza, Torino, Editore
Boringhieri, Pietro Redondi, Galileo eretico, Roma-Bari, Editori Laterza,
Sentenza di condanna di Galileo. Giovanni Paolo II. Vaticano, discorsi,
Discorso ai partecipanti alla sessione plenaria della Pontificia Accademia
delle scienze, su w2.vatican.va, 31 ottobre Tullio Regge, Cronache
dell'universo. Fisica moderna e cosmologia, Torino, Editore Boringhieri, La
dimora natale di Galileo: l’enigma delle tre case, William Shea, La Rivoluzione
scientifica–I protagonisti: Galileo Galilei, in: Storia della Scienza Treccani,
Aliotta e Carbonara, p. 36. ^ Alberto Righini, Galileo. Tra scienza, fede e
politica, Bologna, Editrice Compositori, Lettera da Pisa di Muzio Tedaldi a Vincenzo
Galilei, «mi è grato di saper che haviate rihavuto Galileo, et che siate di
animo di mandarlo qua a studio». (Ed. Naz.) Kline, Enrico Bellone, Caos e armonia. Storia della
fisica moderna e contemporanea, Torino, POMBA Libreria, Ilya Prigogine, Isabelle Stengers, La nuova
alleanza. Metamorfosi della scienza, Torino, Giulio Einaudi editore, Andrea Pinotti,
"Introduzione al Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico
e copernicano" in: G. Galilei,
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, 2 voll., Milano, Fabbri Editori,
Ludovico Geymonat (a cura di), Storia del pensiero filosofico e scientifico,
Milano, Aldo Garzanti Editore, Paschini,
Lettera di Giovanni Uguccioni al Granduca di Toscana (Ed. Naz., Vol. X, Lettera
N. Lettera a Fortunio Liceti, 23 giugno 1640. (Ed. Naz., Vol. XVIII, Lettera
Galileo Galilei, National Maritime Museum, su collections.rmg.co.uk. URL
consultato l'8 gennaio 2018. ^ Discorso intorno alla Nuova Stella, In Padova,
appresso Pietro Paolo Tozzi,Consideratione astronomica circa la Nova &
portentosa Stella che nell'anno MDCIIII adì X ottobre apparse. Con un breve
giudicio delli suoi significati, In Padova, nella stamparia di Lorenzo
Pasquati, 1605. ^ Antonio Favaro, "Galileo Galilei ed il «Dialogo de Cecco
di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la Stella Nuova». Studi e
ricerche", Atti del Reale Istituto Veneto di scienze, lettere ed arti, Enciclopedia
Treccani alla voce "Ronchitti, Cecco di" ^ Difesa di Galileo Galilei
nobile fiorentino, lettore delle matematiche nello studio di Padova, contro
alle calunnie & imposture di Baldessar Capra milanese, usategli sì nella
«Considerazione astronomica sopra la Nuova Stella del MDCIIII» come (&
assai più) nel pubblicare nuovamente come sua invenzione la fabrica & gli
usi del compasso geometrico & militare sotto il titolo di «Usus &
fabrica circini cuiusdam proportionis & c.» (In: Venetia, presso Tomaso
Baglioni). ^ Antonio Favaro, "Galileo astrologo secondo documenti editi e
inediti. Studi e ricerche", Mente e cuore, VIII (Trieste) pp. 1-10. ^
Poppi, La Repubblica, Galileo as Practising Astrologer, su journals.sagepub.com.
Heilbron,Heilbron, Cesare Lucarini, La porta magica di Roma: Le epigrafi
svelate, Roma, Edizioni Nuova Cultura, Geymonat, Giovanni Reale, Dario
Antiseri, Manuale di filosofia. Vol. 2, Editrice La Scuola, 2014. ^ Ed. Naz., Lettera
di Belisario Vinta a Galileo del 6 giugno 1610. (Ed. Naz., Lettera di Cosimo II a Galileo Il cannocchiale
e i manoscritti A Milano il tesoro di Galileo, Benedetto Castelli, Discorso
sopra la calamita. ^ Geymonat, Pasquale Guaragnella, Galileo e Le lettere
solari ^ Francesco Iovine, Galilei e la Nuova Scienza, Firenze, La Nuova
Italia, Museo Galileo ^ Paolo Antonio Foscarini, Lettera sopra l'opinione de'
Pittagorici, e del Copernico, della mobilità della Terra e stabilità del Sole,
e del nuovo Pittagorico sistema del mondo, Napoli, Lazaro Scoriggio, Guido
Morpurgo-Tagliabue, "I processi di Galileo e l'epistemologia",
Rivista di Storia della Filosofia, G. Galilei, Il Saggiatore, Per una rigorosa
disamina storico-critica della dinamica relativa, si veda: Protogene Veronesi,
Enzo Fuschini, Fondamenti di Meccanica Classica, II edizione ampliata, Bologna,
CLEUB, Ed. Naz., Ed. Naz., Lettera di Galilei a Geri Bocchineri, Ed. Naz., Vol.
XIX, G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi, Alexandre Koyré, Etudes
galiléennes, Paris, Éditions Hermann, Franco Tornaghi, Gabriele Mangiarotti,
Galileo Galilei. Mito e realtà. Itinerario antologico, Milano, CESED, Ed. Naz.,
Eugenio Albèri, Commercio epistolare di Galileo Galilei, Firenze, Società
Editrice Fiorentina, Lettera, in Le opere di Galileo Galilei, a cura di Eugenio
Albèri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Lettera, in Le opere di Galileo
Galilei, a cura di Eugenio Albèri, Firenze, Società Editrice Fiorentina, Arcetri,
in Le opere di Galileo Galilei, a cura di Eugenio Albèri, Firenze, Società
Editrice Fiorentina, Gianbattista Venturi, Memorie e lettere di Galileo
Galilei, Modena, Geymonat, Klaus Lankheit, Florentinische Barockplastik. Die
Kunst am Hofe der letzen Medici, München, vedasi pure Mario Scotti,
"Foscolo, Ugo", Dizionario biografico degli italiani,Giovanni Maria
Caglieris, Copernico, la sorte del De Revolutionibus dopo la condanna della
Chiesa e il ruolo di Galileo, Galileo, Come interpretare le Scritture, G.
Galilei, Op. cit. Battistini, G. Galilei, Lettere, Torino, Giulio Einaudi
editore, Edoardo Aldo Cerrato, «Come si vadia al cielo, e non come vadia il
cielo» su oratoriosanfilippo.org. ^ Galileo Galilei, Il Saggiatore,Galileo
Galilei, su plato.stanford.edu. ^ Koestler, Koestler, Quella citazione di
Feyerabend - l'epistemologo che smitizzò Galileo, in Corriere della Sera. Paul
Feyerabend, Corriere della Sera, tr. it a cura di M. Marchetto, Bompiani,
Milano, Orazio La Rocca, Il Vaticano cancella la condanna di Galileo, in La
Repubblica, Il Vaticano cancella la condanna di Galileo, su
ricerca.repubblica.it. Alexandre Koyré, Introduzione alla lettura di Platone,
Firenze, Vallecchi Editore, Paolo Marazzini Elisa M. Guzzi, Francesca
Bonicalzi, Che cos'è la fisica, Milano, Editoriale Jaca Book, Matthew W.
Parker, Philosophical Method and Galileo's Paradox of Infinity, preprint, Albert
Van Helden, Galileo, su britannica.com.Galileo Galilei, Lettere al Welser,
terza lettera, G. Galilei, G. Galilei, G. Galilei, G. Galilei, Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo, Pordenone, Studio tesi, II giornata, G. Galilei, I
due massimi sistemi del mondo, in: G. Galilei, La prosa, Firenze, G.C. Sansoni,
A. Koyré, cit., Firenze, Vallecchi, Ernst Mach, On Thought Experiments, E.
Brendel, Intuition Pumps and the Proper Use of Thought Experiments in
Dialectica, Barry Gower, Scientific Method. ^ Rodolfo Mondolfo, "Il
pensiero di Galileo e i suoi rapporti con l'antichità e con il
Rinascimento", in: R. Mondolfo, Figure e idee della filosofia del
Rinascimento, Firenze, La Nuova Italia,Luca Serianni, Giuseppe Antonelli,
Manuale di linguistica italiana. Storia, attualità, grammatica, Milano, B.
Mondadori, Serianni e Antonelli, G. Galilei, Dialogo dei massimi sistemi, in:
Opere di Galileo Galilei, Firenze, G. Barbèra, Francesco Bertola, "Galileo
e il suo tempo nella scienza astronomica", in: Enciclopedia Treccani;
vedasi pure Francesco Bertola, Francesco Danesin, Da Galileo alle stelle, Biblos,
Cittadella, Ernest A. Moody, "Galileo e Avempace: la dinamica dell'esperimento
della torre pendente", in: Philip P. Wiener, Aaron Noland (a cura di), Le
radici del pensiero scientifico, Milano, G. Feltrinelli editore, A. Koyré,
"Galileo e Platone", in: A. Koyré, cit., Firenze, Vallecchi, G.
Galilei, Le lettere copernicane, a cura di Massimo Baldini, Roma, A. Armando
Editore, Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, Giulio Einaudi
editore, Wilhelm Dilthey, L'analisi dell'uomo e l'intuizione della natura. Dal
Rinascimento al secolo XVIII, prefazione e traduzione italiana di Giovanni
Sanna, 2 voll., Firenze, La Nuova Italia, Mechanics, su
fromdeathtolife.org). Alexandre Koyré, Galileo and Plato, in Journal of
the History of Ideas, IV Kyle Forinash, William Rumsey, Chris Lang, Galileo's
Mathematical Language of Nature ^ Jay Orear, Fisica Generale, Bologna, Nicola
Zanichelli Editore,Stillman Drake, Galileo and the Law of Inertia, in American
Journal of Physics, v Paolo Rossi, Storia della Scienza Moderna e
Contemporanea, 5 voll., Torino, POMBA, Rinaldo Pitoni, Storia della Fisica,
Torino, Società Tipografico-Editrice Nazionale, The Speed of Light, su
galileoandeinstein. physics.virginia.edu. La misura della velocità della luce
(PDF), su online.scuola.zanichelli.it. Stillman Drake, Noel M. Swerdlow, Trevor
H. Levere, Essays on Galileo and the History and Philosophy of Science, Toronto
(CA), University of Toronto Press, Inc.,Trevor H. Levere, William R. Shea,
Nature, Experiment and the Sciences. Essays on Galileo and the History of
Science in Honour of Stillman Drake, Berlin & Heidelberg, Springer-Verlag, Giovilabio,
su catalogo.museogalileo.it. Termometro, su catalogo.museogalileo.it. Pendulum
Clock, su galileo.rice.edu. Rinaldo Pitoni, cGalileo and the pendulum clock,La
prima edizione è stata pubblicata da Giovanni Battista Hodierna nella sua opera
Archimede redivivo con la stadera del momento, Palermo, Galileo's Balance, su
math.nyu.edu.Testo italiano e traduzione inglese in: Hydrostatic Balance, su
galileo.rice.edu. Roberto Renzetti, Il giovane Galileo, su fisicamente.net. Le
operazioni del compasso, su portalegalileo.museogalileo.it. Galileo, secondo
Calvino, G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Firenze,
G.C. Sansoni, Accademia delle Arti del Disegno, su brunelleschi.imss.fi.it, ^ Chrysa Damianaki, Galileo e le arti
figurative, Roma, Vecchiarelli Editore, Galileo: 'Sopra alcuni problemi
attenenti alla musica', Early Studies in Sound, su library.thinkquest.org. Andrea
Frova, Mariapiera Marenzana, Thus spoke Galileo. The great scientist's ideas
and their relevance to the present day, Oxford (UK), Oxford University Press,Marcello
Cesa-Bianchi, Carlo A. Cristini, Giovanni Cesa-Bianchi, Alessandro Porro,
L'ultima creatività. Luci nella vecchiaia, Milano, Springer-Verlag Italia, Galileo
Regio. ^ Angelo Bassani, "Cesare Pecile e la storia della scienza a
Padova", in: Rendiconti dell'Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei
XL. Memorie di Scienze Fisiche e Naturali, Cesare Pecile e la storia della
scienza a Padova). Galileo Day, Ippolito Nievo, Drammi giovanili. Emanuele e
Gli ultimi anni di Galileo Galilei, a cura di Maurizio Bertolotti, Venezia,
Marsilio Editori, ITIS Galileo su JoleFilm Bibliografia Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Bibliografia su Galileo Galilei.
Nicola Abbagnano, Storia della filosofia, Torino/Milano, POMBA/TEA, Antonio
Aliotta e Cleto Carbonara, Galileo Galilei, Milano, F.lli Bocca Editori, Antonio
Banfi, Galileo Galilei, Milano, Casa Editrice Ambrosiana (ristampato da Il
Saggiatore, Milano), Andrea Battistini, Galileo, Bologna, Società editrice il Mulino,
Ludovico Geymonat, Galileo Galilei,
Torino, Einaudi, John Lewis Heilbron, Galileo, a cura di Stefano Gattei,
Torino, Einaudi, Morris Kline, Storia del pensiero matematico, traduzione di
Alberto Conte, Torino, Giulio Einaudi editore, Arthur Koestler, I sonnambuli.
Storia delle concezioni dell'universo, Milano, Editoriale Jaca Book, Pio
Paschini, Vita e Opere di Galileo Galilei, Città del Vaticano, Casa Editrice Herder,Giovanni
Reale, Dario Antiseri, Manuale di filosofia, Editrice La Scuola, Paolo Rossi
Monti, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari, Editori Laterza, Accademia
galileiana di scienze, lettere ed arti Arcetri Astronomia Bibliografia su
Galileo Galilei Cannocchiali di Galileo Casa di Galileo Galilei Domus
Galilaeana Fisica Galilei (famiglia) Isocronismo La favola dei suoni Meccanica
Metodo scientifico Micrometro di Galileo Museo Galileo Niccolò Copernico
Ostilio Ricci Processo a Galileo Galilei Relatività galileiana Rivoluzione
astronomica Rivoluzione scientifica Termometro galileiano Trasformazione
galileiana Villa Il Gioiello Vincenzo Galilei Virginia Galilei Vita privata di
Galileo Galilei. Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Galileo Galilei, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Galileo Galilei, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Galileo Galilei, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica,
Inc. Galileo Galilei, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. su accademicidellacrusca.org, Accademia della
Crusca. Galileo Galilei, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.Galileo
Galilei, su Find a Grave. MacTutor, University of St Andrews, Scotland.Galileo
Galilei, su Mathematics Genealogy Project, North Dakota State University.Opere
di Galileo Galilei, su Liber Liber.openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Galileo Galilei, su Open Library,
Internet Archive. Opere di Galileo Progetto Gutenberg. LibriVox. Pubblicazioni
di Galileo Galilei, su Persée, Ministère de l'Enseignement supérieur, de la
Recherche et de l'Innovation. Bibliografia di Galileo Galilei, su Internet
Speculative Fiction Database, Al von Ruff. Galileo Galilei (autore), su Goodreads.
Galileo Galilei (personaggio), su Goodreads.
Galileo Galilei, in Catholic
Encyclopedia, Robert Appleton Company.Peter Machamer, Galileo Galilei, in Edward
N. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language
and Information, Università di Stanford. The Galileo Project, su galileo.rice.edu.
Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede, su disf.org. Archivio integrato
di risorse galileiane, su galileoteca.museogalileo.it. Museo Galileo – Firenze,
Italia, su museogalileo.it. Conserva gli strumenti scientifici originali di
Galileo European Cultural Heritage Onlinesu echo.mpiwg-berlin.mpg.de. Scheda su
Galileo Galilei accademico della Crusca sul sito dell'Accademia, su
adcrusca.it.Fondo "Antonio Favaro", su domusgalilaeana.it. Archivio
"Scienza & Fede", su disf.org. Laboratorio storico "G.
Galilei", su illaboratoriodigalileogalilei.it. Lo scherzo d'un uomo
di genio dice cose più serie che non le cose serie dell'uomo volgare; anzi
primo indicio della superiorità è il sorriso. Il volgo andava ripetendo che la
caduta di un pomo preannunziò la scoperta della gravitazione universale: e
Byron scherzando di ceva essere stata la prima volta, da Adamo in qua, che un
pomo e una caduta dessero qualche vantaggio al genere umano. Altro che pomo !
voleva dire il poeta: esatte premesse occorrono alle grandi scoperte e non il
caso. Il pensiero è una catena e ciò che ai più par caso entra nella serie.
Togliete Galilei e Keplero e avrete soppresso le premesse immediate a Newton.
Togliete Copernico, e li avrete soppressi tutti. Togliete le tradizioni
pitagorichealle univer sità italiane e sparisce Copernico. Dov'è il caso? Il
pomo no: una serie di grandi pensieri che furono grandi scoperte sgombrò le vie
del firmamento all' anglo. Un fatto può essere occasionale, ma per quegli
uomini che portano nel cervello quella preparazione, che rias sumendo la serie,
afferra il fatto e lo trasforma. Così nell'astronomia e così proprio in tutte
le altre scienze. To gliete Bruno e Campanella, e non troverete Vico. Togliete
Telesio, e li perdete tutti. Togliete le tradizioni naturalistiche dell'antica
scuola italica— già greca di origine —e sparisce Telesio. È la me desima serie
ed è una riprova della cognatela tra tutte le scienze. E questa serie non si
smentisce neppur dove la reazione crede spennare le reni agl'ingegni alati. Non
fu una reazione il libro della Ragion di Stato —che creò tanti discepoli-contro
il Principe, che aveva già tutta una scuola, cioè Bottero non ebbe il disegno
aperto di reagire trionfalmente contro Machiavelli? Ebbene, mentre il prete
Bottero mandava ad uno de'più grandi e sventurati ingegni 215 italiani quante
maledizioni gli erano ispirate dalla triplice reazione di Parigi, di Madrid e
di Roma, era nel tempo istesso tirato dalla logica a prendere da Machiavelli la
teorica de’ mezzi, come il secre tario di Firenze aveva preso la teorica
de'fini pubblici da Dante e da Petrarca, ispirati — alla loro volta
—dall'antica tradizione ro mana. Ed ecco la reazione entrare nella serie, come
appunto la santa alleanza insinuava ne 'codici tanti principii della
rivoluzione. E ciò non accade soltanto rispetto ai sistemide'quali l'uno
suppone l'altro anche dove il secondo reagisce al primo, ma alle singole teo
riche di ciascuno, le quali non segnano un progresso che non sia una
conclusione di ciò che si era pensato prima. A che mira, infatti, la critica di
Galilei? A reintegrare l'unità della natura. Ma se Bacone lo chiama filosofo
telesiano, voi dovete ricordare che Telesio non solo aveva propugnato il metodo
sperimen tale, ma tentato comporre il dissidio lasciato aperto da Aristotile
tra materia e forma, come Pomponazzi e Campanella avevano troncato il dualismo
tra intelletto e senso, e Bruno tra natura e Dio. Non è un gruppo, è una catena
nella quale il nome di ciascuno s’inanella nel precedente, e tutti insieme
presentano il disegno della rinnovata natura. Per questi il risorgimento fu
naturalismo, fu ita liano, mentre la scolastica era stata europea. Se dalla
serie e dal proprio posto nella serie voi spiccate il nome di Galilei, vi
accorgerete che resterà il nome di un astronomo più o meno insigne, di un
improvvisatore di qualche teorica, dello scopri tore fortunato di qualche astro
e di qualche istrumento, ma che cosa egli abbia aggiunto al pensiero, per quale
via e con quali effetti voi non saprete dire. Ammirerete un mito e sarà volgare
ammirazione. Voi, in somma, assisterete ai miracoli di un prestigiatore non
alle scoperte del genio. Or sospettate voi che io vi voglia esporre ad una ad
una le pre messe di Galilei e di Klepero per arrivare sino a Newton? che
io voglia indicarvi da quali parti specialmente della meccanica terre stre
emerse la meccanica celeste e come la dimostrazione de'quadrati de' tempi delle
rivoluzioni che stanno fra loro come i cubi degli assi maggiori delle orbite
abbia aperto a Newton la conclusione che la forza era proporzionale alla massa?
Sarebbe riuscire, pel cammino peggiore, a nessuna meta. I dotti · non
imparerebbero una sillaba di nuovo e vedrebbero in espressioni difettive
snaturate quelle forme che chiedono un'analisi esatta, e i meno dotti si
allontanerebbero storditi e infastiditi. Io, dunque,. 216 senza guastare la
serie, debbo dirvi quel che penso io intorno ad al cuni pensieri di quell'uomo
sommo e scelgo — non a caso —i punti seguenti: 1.º Come intese Galilei il
metodo sperimentale? 2. ° Quale valore oggettivo dette egli alla conoscenza? 3.
° Quale fu il risulta mento scientifico e morale delle sue dottrine? Non è
poco, e più che nella cortesia --cosa mediocre— confido nella serietà con la
quale voi ed io vogliamo che sia discusso il pa trimonio glorioso della mente.
II. « Non vogliamo costruzioni scientifiche, non metodi aprioristici, vogliamo
il metodo sperimentale: » Così gridano, e vogliamolo pure, io scrivevo, ma
vogliamolo davvero. Non fu forse proclamato ed eser citato con diverso intento
e diversa fortuna? Non fu fecondo o arido, secondo l'intelletto e la mano che
presero a trattarlo? Non si distin gue dall'empirismo? Bisogna dunque sapere
che è veramente me todo sperimentale. Galilei si trova a pari distanza tra
Telesio e Bacone, due che pro pugnarono il metodo sperimentale senza scoprire
nulla nel mondo naturale, e si trova ad un secolo di distanza da Leonardo da Vinci,
che, professando il metodo sperimentale, strappò più di un segreto alle cose
reali. Perchè dunque l'istesso metodo, arido nelle mani di Telesio e di Bacone,
diventa fecondo nelle mani di Leonardo e di Ga lilei? Ecco il punto. E la
risposta è chiara: — Perchè il metodo non è veramente lo stesso. Per Telesio e
Bacone comincia e resta nel fenomeno e dove al fenomeno aggiunge qualche
ipotesi, è soggettiva, cioè puro ri torno all'antico. Per Leonardo e Galilei
comincia dal fatto e sale alle alte sfere della ragione, mediante il linguaggio
stesso delle cose che è la matematica. La matematica è formale come la logica
—dice Bacone. La matematica è reale come le cose afferma Galilei. Con la
matematica sei arrivato a far girare la terra -è un frizzo di Bacone contro
Galilei. E la terra gira -- grida il pisano. Pur tu ti sei disdetto —rincalza
Bacone. Stolto ! dice Galilei -- potevo disdirmi cento volte, e la prova re sta
e la terra continua il suo giro. 217 Ma chi ti malleva la realtà della
matematica? Il fatto stesso che misuratamente si move, misuratamente per corre
il tempo e lo spazio, nella misura costituisce l'ordine. -La misura è aggiunta.
- La misura è: io la colgo: chi non la coglie non vede il fatto. Telesio non lo
dice. Leonardo lo disse, e scoprì. Telesio e tu non avete scoperto. Il fatto a
voi è stato muto; a noi ha parlato. Fermiamoci. Il divario è grande. Potete voi
dire che sia l'istesso metodo? Fu Bacone l'anglo che intese Galilei o un altro?
Quando si parla di metodo sperimentale, di senso, di fatto, biso gna cogliere
tutto il fatto, il quale non è qualità soltanto, è quan tità; e questi due
termini s'integrano a vicenda, in modo che la quantità si qualifica, e la
qualità si quantifica. Questo pro cesso graduale ed intimo delle cose è
l'evoluzione, e la legge che la traveste, affaticandola di moto in moto, è la
causalità, che in Newton si determina come gravitazione universale. Il fatto
dunque non è fenomeno soltanto, è fenomeno e legge. Così Galilei lo intuisce e
così lo intuisce intero; Bacone coglie un termine solo e mutila il fatto.
L'esperienza che in Galilei è piena, in Bacone è unilaterale; quel metodo che
in Galilei è sperimentale, in Bacone diventa empirico; e quel processo che
nell'uno è fecondo di scoperte, nell'altro è gonfio di precetti pom posi. Ha un
bel rimuovere Bacone tutti quelli ch'ei chiama idoli, se innanzi agli occhi gli
rimane fisso l'idolo peggiore, il fatto eslege. Così aveva fatto Leonardo da
Vinci notando nel fenomeno la legge, e così fa Galilei, entrambi con pochi
precetti e con effetti amplissimi, tirandone l'uno applicazioni mirabili alla
meccanica, e specialmente all'idraulica, l'altro al sistema planetario. E si
ripeta pure che in Galilei l'esperienza naturale è senso pieno, ma quì un fatto
contemporaneo ci deve fermare e impensie rire. Bruno senza i computi di
Copernico, senza il metodo speri mentale e il teloscopio di Galilei, e senza il
calcolo superiore di Newton, non era pervenuto per sola forza di pensiero, alle
medesi me anzi a più larghe conclusioni che non si trovino nell'astronomo
tedesco, nell'italiano e nell'inglese, affermando cose che facevano sgomento a
Klepero e furono trovate poi vere dal progresso poste riore? Il pensiero, da
solo, non valse altrettanto che l'esperienza, e 218 ciò che lo scienziato
induceva computando, il genio non poteva co struire? L'esempio di Bruno, non
bene inteso, potrebbe inficiare la cri tica di Galilei, nè per il genio vale
ricorrere ad eccezioni, che com plicano la quistione e non spiegano nulla. Il
vero è che Bruno intese il fatto e l'esperienza come Galilei, e movendo dal
medesimo punto, l'uno giunse con la logica dove l'altro con la matematica. La
conseguenza è che la matematica è la logica delle cose, e che se rispetto alla
mente, come dice Leibintz, pensare è calcolare, rispetto alle cose moversi
misurata mente vuol dire evolversi razionalmente. Bruno è la riprova, non
l'eccezione. Appena, infatti, il nolano intese il sistema copernicano,
n'esultò, cercò alla matematica la riprova della logica, e come Campanella
scrisse l'apologia di Ga lilei, così Bruno di Copernico. Era dal medesimo punto
di partenza la medesimezza del pensiero logico e del pensiero matematico, con
medesimezza di disegno e di effetti. E-ora si dirà-Cartesio non intese fare la
medesima cosa, cioè costruire la fisica col pensiero, come il nolano,
introducendovi la matematica, come Galilei, e perchè egli riuscì a costruire
una fi sica falsa, disconoscendo Bruno in tutto e in gran parte il disegno di
Galilei? Perchè egli non muove come que due dal fatto, bensì dall'idea astratta,
dal puro cogito, che non è la cosa, ma l'ombra della cosa, e l'ombra ei tratta
come cosa salda. Perciò non solo non giunse per forza di logica, agl’infiniti
mondi del nolano, ma nep pure per forza di matematica a riconoscere
l'importanza del siste ma eliocentrico dimostrato da Copernico e da Galilei.
Bacone errò, mutilando il fatto e attenendosi al solo fenomeno, Cartesio errò,
correndo dietro l'ombra del fatto e improvvisando la legge. L'uno cadde
nell'empirismo l'altro nell'apriorismo. In Bacone riconosciamo il merito di
avere insistito sulla indu zione, e in Cartesio, come dice Comte, il merito di
aver convertito la qualità in quantità, e la quantità continua nella discreta.
Ma l'uno e l'altro, non avendo colto il punto di partenza, non aggiun sero
nulla alla scienza della natura. Justus Liebig, parlando dell'intima gioia
degli scopritori - ne gata a Bacone - nomina Galilei, Klepero, Newton. E perchè
non ricorda Bruno? Quanta non è la sua gioia dove saluta le comete come
testimoni della sua filosofia, e parlando di Copernico, ag giunge qualche
felicità essere toccata al secolo suo, quando dai 219 lidi dell'oceano
germanico un grande astronomo sorse a con forto della sua filosofia. In quella
gioia c'è — come ho detto— l’unità del pensiero logico col matematico, e nella
medesimezza de' risultati c'è la cognatela tra la natura e il pensiero, la
quale vuol essere riaffermata, supe rando da una parte il vecchio idealismo
metafisico e dall'altra il positivismo empirico. Ed ora, dopo il metodo
sperimentale, dobbiamo esaminare in Ga lilei il valore che egli dà alla
conoscenza. III. Non è di piccolo momento questo esame; involge il massimo pro
blema della filosofia ed è un punto importante della mente, e dirò, del
carattere di Galilei. Si può formularlo così: Il metodo speri mentale condusse
Galilei a quel relativismo filosofico che dà alla conoscenza un valore precario,
cioè o relativo al soggetto pensante (sofistica) o relativo ad un certo tempo e
luogo (empirismo)? In altre parole: per Galilei nulla di permanente, di
assoluto, di uni versale entra nella conoscenza, o c'è invece delle conoscenze
che per loro necessità intrinseca s' impongono a tutti gli uomini, e alla
natura come agli uomini, e a Dio come alla natura? Ci sono— risponde il Pisano
- e il fatto ci dice che sono, e ci dice che sono le conoscenze matematiche
sian pure o applicate, perchè non mutano per variare di luogo e di tempo, e
perchè tali si riscontrano nelle cose quali si trovano nella mente. La natura
le impone, la mente le sugella, neppur Dio potrebbe negarle, ma o il sofista o
il pazzo. L'affermazione è solenne, e bisogna lasciargli la parola. Quanto alla
verità, egli dice di che ci danno cognizione le dimostrazioni matematiche, ella
è l'istessa che conosce la sapienza divina. Nessun divario, dunque, in questo
tra la sapienza divina e umana? Di vario di modo, egli dice, lo ammettiamo,
perchè in Dio è sapienza intuitiva quella che nell'uomo è discorsiva; di numero
pure, perchè Dio le sa tutte quelle verità, e l'uomo una parte; ma di necessità
no: sono del pari necessarie per lui e per noi, e mille Demosteni e Aristotili
e-voleva dire—mille Dei non potrebbero scemare la certezza di una sola di
quelle. Partecipa di questa certezza la scienza della natura, le cui leggi sono
matematiche. E il processo fu questo: Telesio affermò che il 220 libro della
filosofia è la natura; Bruno aggiunse che quel libro è scritto in carattere
assoluti: Galilei conchiuse che i caratteri sono matematici. Anche Cartesio
disse come Galilei: Apud me omnia sunt ma thematice in natura; ma lo disse dopo
e timidamente, essendoci questa differenza tra’due pensatori, che per Galilei
le verità mate matiche leggibili nella natura hanno l'istesso valore per la
mente sia divina o umaņa, e per Cartesio niente è limite alla onnipotenza di
Dio, neppure il principio di contraddizione. Se lo disse davvero o per vivere
tranquillo, specialmente dopo le persecuzioni fatte a Galilei, non - so; ma,
certo, l'italiano lo a vanza di tempo e di fermezza. Delle altre scienze che
non sono le naturali Galilei dubitò, perchè si sottraggono alle matematiche e
l'uomo vi mette del suo. Le abbandonò al relativismo. Ma se tutto è evoluzione
e tutto procede da natura, noi ben pos siamo affermare che i suoi Dialoghi
delle Scienze Nuove saranno quasi prefazione di una Scienza Nuova intorno alla
comune natura delle nazioni. Le teoriche sulla psico-fisi e sulla fisica
sociale hanno assai allargato il campo di applicazione alle matematiche. Noi, è
vero, non possiamo mutare le leggi naturali, ma possiamo forse mutare le leggi
sociali e costruire a nostro talento le società umane? La storia non rientra
ogni giorno più nelle leggi della natura e però della misura? La morale par
certo la cosa più im ponderabile, ed è pure altrettanto graduale e necessaria
nel suo processo che il suo moto si potrebbe dire uniformemente accelerato. Dal
pensiero si traduce nella volontà, dall'azione alle istituzioni, e se rea, dal
fastigio all ' imo (1 ). Signori, ho esaminato quelli che nella scienza di
Galilei mi parevano i punti principali ed ho tentato liberare dagli equivoci
volgari il metodo sperimentale. Non a pompa letteraria mi sono giovato di
rapidi raffronti ma per delineare quello che fu il cervello più equilibrato di
quanti al mondo furono scienziati. Le conse guenze scientifiche e morali di
quella profonda rivoluzione intel lettuale io ve le ho segnate senza orgoglio
nazionale e con pura coscienza di uomo. Era cosí alto il tema, così pieno di
pensiero, di (1 ) Qui manca qualche pagina intorno all'applicazione delle
matematiche ai fenomeni sociali e morali, non potuta trovare. 221 poesia, di
storia, di gloria e di dolori che a me non che il tempo, mancò il volere di
divagare. Abbasserei l'occhio da Telesio, da Co pernico, da Galilei per posarlo
sulla politica? Farei allusioni, rim proveri, programmi? Mail monumento che
divisate è mondiale; una sillaba aggiunta al tema macchierebbe la prima pietra:
e, per rien trare nella mediocrità de ' Parlamenti, invidieremmo a noi questa
breve fortuna che ci solleva a colloquio coi legislatori degli astri. Che sono
i nostri codici, i nostri statuti, i disegni nostri, che durata hanno e che
sapienza di fronte alle leggi onde Galilei sta biliva il ritmo dei cieli,
Machiavelli la vicenda degli Stati, e Vico il corso dell'umanità? C'è qualcosa
al di sopra dei codici ed è la pa rola dei fondatori delle religioni, che
lasciano libri sacri e parlano ai millenarii. Pur viene il secolo che mette
nella pagina più au tentica di quei libri il tarlo del pensiero. Ma qualcuno
c'è stato che senza chiamarsi messia nè profeta misurò una parola a lettere di
stelle, la pose nel firmamento, e nessuno la cancellerà. Come chia mate un uomo
che vi trasmette un libro più duraturo di una bib bia? Alzate il monumento e
non mi chiedete altro. The principle of relativity states that it is im-
possible to determine whether a system is at rest or moving at constant speed
with respect to an inertial system by experiments internal to the system, i.e.,
there is no internal observation by which one can distinguish a system moving
uniformly from one at rest. This principle played a key role in the defence of
the heliocentric syst- em, as it made the movement of the Earth com- patible
with everyday experience. According to common knowledge, the prin- ciple of
relativity was first enunciated by Galileo Galilei (1564–1642; Figure 1) in
1632 in his Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo (Dialogue Concerning
the Two Chief World Syst- ems) (Galilei, 1953), using the metaphor known as ‘Galileo’s
ship’: in a boat moving at constant speed, the mechanical phenomena can be
described by the same laws holding on Earth. Many historical aspects of the
birth of the rel- ativity principle have received little or scattered
attention. In this short paper we put together some evidence showing that
Giordano Bruno (1548–1600; Figure 2) largely anticipated Gal- ilei’s arguments
on the relativity principle (Bruno, 1975). In addition, we briefly discuss
Galilei’s silence about Bruno, and the con- nection between the lives and
careers of the two scientists. Figure 1: A portrait of Galileo Galilei by
Ottavio Leoni (en.wikipedia.org). Figure 2: An eighteenth century egrav- ing of
Giordano Bruno (http://www. the history blog . com / wp - content / up-
loads/2012/02/bruno-giordano.jpg). Page 241
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the
Principle of Relativity The Dialogo Sopra i Due Massimi Sistemi del Mondo
is the source usually quoted for the enun- ciation of the principle of
relativity by Galileo Galilei. However, its publication in 1632 was certainly
not a surprise, as Galilei had expres- sed his views much earlier, in
particular when lecturing at the University of Padova from 1592 to 1610. Some
aspects of the evolution of Galilei’s ideas, from the Trattato della Sfera ...
(D’Aviso, 1656) in which the Earth is still placed at the centre of the
Universe, towards the Dia- logo, and passing through his heliocentric cor-
respondence with Kepler from 1597 onwards (Galilei, 1890 –1907), are examined,
for ex- ample, by Barbour (2001), Crombie (1996), Cla- velin (1968), Giannetto
(2006), Martins (1986) and Wallace (1981; 1984). In February 1616, the Roman
Inquisition condemned the theory by Nicolaus Copernicus (1473–1543) as being foolish
and absurd in philosophy. One month before, the inquisitor Monsignor Francesco
Ingoli (1578 –1649) ad- dressed Galilei in the essay Disputation Con- cerning
the Location and Rest of Earth Against the System of Copernicus (Ingoli). This
letter listed both scientific and theological arg- uments against
Copernicanism. Galilei only responded in 1624, and in his lengthy reply he
introduced an early version of the ‘Galileo’s ship’ metaphor, and discussed the
experiment of dropping a stone from the top of the mast. Both arguments, as we
shall see, had previously been raised by Bruno, and later were used again by
Galilei, although with small differences, in the Dialogo. In the Dialogo Sopra
i Due Massimi Sistemi del Mondo, Galilei discusses the arguments then current
against the idea that the Earth moves. The book is a fictional dialogue be-
tween three characters. Two of these, Salviati and Sagredo, refer to figures in
the ok that disappeared a few years after the publication of the book. Salviati
plays the role of the defender of the Copernican theory, putting forward Gali-
lei’s point of view. The second character, Sa- gredo, is a Venetian aristocrat
who is educated and liberal, and he is willing to accept new ideas. Thus, he
acts as a moderator between Salviati and the third character, Simplicio, who
fiercelysupportsAristotle. Thenameofthislast character (reminiscent of
‘simple-minded’ in Ital- ian) is in itself a clear indication of Galilean dia-
lectics, which are designed to destroy oppon- ents. Despite being a famous
commentator of Aristotle, Simplicio manifests himself with an embarrassing
simplicity of spirit. Galilei uses Salviati and Simplicio as spokespersons for
the two clashing world views; Sagredo represents the discreet reader, the
steward of science, the one to whom the book is addressed, and he intervenes
during the discussions, asking for clarification, contributing conversational
topics and acting like a science enthusiast. On the second day, Galilei’s
dialogue con- siders Ingoli’s arguments against the idea that the Earth moves.
One of these is that if the Earth is spinning on its axis, then we would all be
moving eastward at hundreds of miles per hour, so a ball dropped from a tower
would land west of the tower that in the meantime would have moved a certain
distance to the east- wards. Similarly, the argument goes that a cannonball
shot eastwards would fall closer to the cannon compared to a ball shot to the
west since the cannon moving east would partly catch up with the ball. To
counter such arguments Galilei propos- es through the words of Salviati a
gedanken- experiment: to examine the laws of mechanics in a ship moving at a
constant speed. Salviati claims that there is no internal observation which
allows them to distinguish between a smoothly-moving system and one at rest. So
two systems moving without acceleration are equivalent, and non-accelerated
motion is rel- ative: Salviati – Shut yourself up with some friend in the main
cabin below decks on some large ship, and have with you there some flies, but-
terflies, and other small flying animals. Have a large bowl of water with some
fish in it; hang up a bottle that empties drop by drop into a
widevesselbeneathit. Withtheshipstanding still, observe carefully how the
little animals fly with equal speed to all sides of the cabin. The fish swim
indifferently in all directions; the drops fall into the vessel beneath; and,
in throwing something to your friend, you need throw it no more strongly in one
direction than another, the distances being equal; jumping with your feet
together, you pass equal spaces in every direction. When you have observed all
these things carefully (though doubtless when the ship is standing still
everything must happen in this way), have the ship proceed with any speed you
like, so long as the motion is uniform and not fluctuating this way and that.
You will discover not the least change in all the effects named, nor could you
tell from any of them whether the ship was moving or standing still. In
jumping, you will pass on the floor the same spaces as before, nor will you
make larger jumps toward the stern than toward the prow even though the ship is
moving quite rapidly, despite the fact that during the time that you are in the
air the floor under you will be going in a direction opposite to your jump. In
throwing something to your companion, you will need no more force to get it to
him whether he is in the direction of the bow or the stern, with yourself
situated op- posite. The droplets will fall as before into the Page 242
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno
and the Principle of Relativity vessel beneath without dropping toward
the stern, although while the drops are in the air the ship runs many spans.
The fish in their water will swim toward the front of their bowl with no more
effort than toward the back, and will go with equal ease to bait placed any-
where around the edges of the bowl. Finally the butterflies and flies will
continue their flights indifferently toward every side, nor will it ever happen
that they are concentrated toward the stern, as if tired out from keeping up
with the course of the ship, from which they will have been separated during
long intervals by keeping themselves in the air. And if smoke is made by burning
some incense, it will be seen going up in the form of a little cloud, remaining
still and moving no more toward one side than the other. The cause of all these
correspondences of effects is the fact that the ship’s motion is common to all
the things contained in it, and to the air also. That is why I said you should
be below decks; for if this took place above in the open air, which would not
follow the course of the ship, more or less noticeable differences would be
seen in some of the effects noted. (Galilei, 1953: 217). Note that Galilei does
not state that the Earth is moving, but that the motion of the Earth and the
motion of the Sun cannot be distinguished (hence the name ‘relativity’): There
is one motion which is most general and supreme over all, and it is that by
which the Sun, Moon, and all other planets and fixed stars – in a word, the
whole universe, the Earth alone excepted – appear to be moved as a unit from
East to West in the space of twenty-four hours. This, in so far as first
appearances are concerned, may just as logically belong to the Earth alone as
to the rest of the Universe, since the same appear- ances would prevail as much
in the one sit- uation as in the other. (Galilei, 1953: 132). The possibility that the Earth moves had been
discussed several times, in particular by the Greeks, mostly as a hypothesis to
be rejected. Also an annual motion of the Earth around the Sun had been
considered by Aristarchus of Samos (c. 310 – c. 230 BC). Later, some medi- eval
authors discussed the possibility of the Earth's daily rotation. The first was
probably Jean Buridan (c. 1300–1361; Figure 3), one of the ‘doctores
parisienses’—a group of profes- sors at the University of Paris in the
fourteenth century, including notably Nicole Oresme. Buridan’s example of the
ship, which was lat- er used by Oresme, Bruno and Galilei, is con- tained in
Book 2 of his commentary about Aris- totle’s On the Heavens (1971): It should
be known that many people have held as probable that it is not contradictory to
appearances for the Earth to be moved circu- larly in the aforesaid manner, and
that on any given natural day it makes a complete rotation from west to east by
returning again to the west – that is, if some part of the Earth were
designated [as the part to observe]. Then it is necessary to posit that the
stellar sphere would be at rest, and then night and day would result through
such a motion of the Earth, so that motion of the Earth would be a diurnal
motion. The following is an example of this: if anyone is moved in a ship and
imagines that he is at rest, then, should he see another ship which is truly at
rest, it will appear to him that the other ship is moved. This is so because
his eye would be completely in the same relationship to the other ship
regardless of whether his own ship is at rest and the other moved, or the
contrary situation prevailed. And so we also posit that the sphere of the Sun
is totally at rest and the Earth in carrying us would be rotated. Since,
however, we imag- ine we are at rest, just as the man on the ship Figure 3:
Jean Buridan (www.buscabio- grafias . com / biografia / verDetalle / 576 / Jean
%Buridan). moving swiftly does not perceive his own mo- tion nor that of the
ship, then it is certain that the Sun would appear to us to rise and set, just
as it does when it is moved and we are at rest. (Buridan, 1942: Book 2,
Question 22). Here we agree with Barbour (2001), that what Buridan is referring
to is kinematic relativity. To Barbour, ... we have [here] a clear statement of
the principle of relativity, certainly not the first in the history of the
natural philosophy of motion but perhaps expressed with more cogency than ever
before. The problem of motion is beginning to become acute. We must ask our-
selves: is the relativity to which Buridan refers kinematic relativity or
Galilean relativity? There is no doubt that it is in the first place kinematic;
for Buridan is clearly concerned with the condi- tions under which motion of
one particular body can be deduced by observation of other bod- ies. (Barbour,
2001: 203). Page 243 Alessandro De Angelis and
Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity
Later, Buridan (1942) writes: But the last appearance which Aristotle notes is
more demonstrative in the question at hand. This is that an arrow projected
from a bow directly upward falls to the same spot on the Earth from which it
was projected. This would not be so if the Earth were moved with such velocity.
Rather, before the arrow falls, the part of the Earth from which the arrow was
projected would be a league’s distance away. But still supporters would respond
that it happens so because the air that is moved with the Earth carries the
arrow, although the arrow appears to us to be moved simply in a straight line
motion because it is being carried along Figure 4: A miniature portrait of
Nicole Oresme included in his Traité de la sphère. Aristotle, Du ciel et du
monde (n.d.) (en.wikipedia.org). with us. Therefore, we do not perceive that
motion by which it is carried with the air. Buridan already expresses some
concerns about the dynamics involved, but his conclusion is that ... the
violent impetus of the arrow in ascend- ing would resist the lateral motion of
the air so that it would not be moved as much as the air. This is similar to
the occasion when the air is moved by a high wind. For then an arrow pro-
jected upward is not moved as much laterally as the wind is moved, although it
would be moved somewhat. (ibid.). Thus, the theory of impetus is not pushed to
the limit in which one would identify it with the prin- ciple of inertia, nor
with a dynamical concept of relativity. A further step was implicitly taken a
few years later by Nicole Oresme (c. 1320 –1382; Figure 4). Oresme first states
that no observation can disprove that the Earth is moving: ... one could not
demonstrate the contrary by any experience ... I assume that local motion can
be sensibly perceived only if one body appears to have a different position
with re- spect to another. And thus, if a man is in a ship called a which moves
very smoothly, irrespective if rapidly or slowly, and this man sees nothing
except another ship called b, moving exactly in the same way as the boat a in
which he is, I say that it will seem to this person that neither ship is
moving. (Oresme, 1377; our English translation). Oresme also provides an
argument against Buridan’s interpretation of the example of the arrow (or stone
in the original by Aristotle) thrown upwards, introducing the principle of
composi- tion of movements: ... one might say that the arrow thrown up- wards
is moved eastward very swiftly with the air through which it passes, with all
the mass of the lower part of the world mentioned above, which moves with a
diurnal movement; and for this reason the arrow falls back to the place on the
Earth from which it left. And this appears possible by analogy, since if a man
were on a ship moving eastwards very swiftly without being aware of his
movement, and he drew his hand downwards, describing a straight line along the
mast of the ship, it would seem to him that his hand was moved straight down.
Following this opinion, it seems to us that the same applies to the arrow
moving straight down or straight up. Inside the ship moving in this way, one
can have horizontal, oblique, straight up, straight down, and any kind of
movement, and all look like if the ship were at rest. And if a man walks
westwards in the boat slower than the boat is moving eastwards, it will seem to
him that he is moving west while he is going east. (ibid.). Also, Nicolaus
Cusanus (1401–1461) stated later, without going into detail, that the motion of
a ship could not be distinguished from rest on the basis of experience, but
some different argu- ments need to be invoked—and the same ap- plies to the Earth,
the Sun, or another star (Cu- sanus, 1985). All this happened before
Copernicus: a dis- cussion of how things could be, not so much
abouthowthingsreallyare. Thisviewpointwould change after Copernicus. In April 1583, forty years after the
publication of the book by Copernicus and nine years before Page
244 Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo
Giordano Bruno and the Principle of Relativity the 28-year old Galilei
was called to the Uni- versity of Padova, Bruno went to England and lectured in
Oxford, unsuccessfully looking for a teaching position there. Still, the
English visit was a fruitful one, for during that time Bruno completed and
published some of his most important works, the six ‘Italian Dialogues’,
including the cosmological work La Cena de le Ceneri (The Ash Wednesday Supper,
1584) (see Bruno, 1975). This latter book consists of five dialogues between
Theophilus, a disciple who exposes Bruno’s theories; Smitho, a character who
was probably real but is difficult to identify, possibly one of Bruno’s English
friends (perhaps John Smith or the poet William Smith)—the English- man has
simple arguments, but he has good common sense and is free of prejudice; Pru-
dencio, a pedantic character; and Frulla, also a fictional character who, as
the name in Italian suggests, embodies a comic figure, provocative and somewhat
tedious, with a propensity to- wards stupid arguments. In the third dialogue,
the four mostly com- ment on discussions heard at a supper attend- ed by
Theophilus in which Bruno—called in the text ‘il Nolano’ (the Nolan), because
he was born in Nola near Naples—was arguing in part- icular with Dr Torquato
and Dr Nundinio, re- presenting the Oxonian faculty. Bruno starts by discussing
the argument relating to the air, winds and the movement of clouds, and he
largely uses the fact that the air is dragged by the Earth: Theophilus ... If
the Earth were carried in the direction called East, it would be necessary that
the clouds in the air should always appear moving toward west, because of the
extremely rapid and fast motion of that globe, which in the span of twenty-four
hours must complete such a great revolution. To that the Nolan replied that
this air through which the clouds and winds move are parts of the Earth, be-
cause he wants (as the proposition demands) to mean under the name of Earth the
whole machinery and the entire animated part, which consists of dissimilar
parts; so that the rivers, the rocks, the seas, the whole vaporous and
turbulent air, which is enclosed within the high- est mountains, should belong
to the Earth as its members, just as the air does in the lungs and in other
cavities of animals by which they breathe, widen their arteries, and other
similar effects necessary for life are performed. The clouds, too, move through
happenings in the body of the Earth and are based in its bowels as are the
waters ... Perhaps this is what Plato meant when he said that we inhabit the
con- cavities and obscure parts of the Earth, and that we have the same
relation with respect to animals that live above the Earth, as do in re- spect
to us the fish that live in thicker humid- ity. This means that in a way the
vaporous air is water, and that the pure air which contains the happier animals
is above the Earth, where, just as this Amphitrit [ocean]1 is water for us,
this air of ours is water for them. This is how one may respond to the argument
referred to by Nundinio; just as the sea is not on the surface, but in the
bowels of the Earth, and just as the liver, this source of fluids, is within
us, that turbulent air is not outside, but is as if it were in the lungs of
animals. (Bruno, 1975: 117). The Dialogue then moves to discussing the motion
of projectiles, and Bruno starts by ex- plaining the Aristotelian objection to
the stone thrown upwards: Smitho – You have satisfied me most suffic- iently,
and you have excellently opened many secrets of nature which lay hidden under
that key. Thus, you have replied to the argument taken from winds and clouds;
there remains yet the reply to the other argument which Aristotle submitted in
the second book of On the Heavens2 where he states that it would be impossible
that a stone thrown high up could come down along the same perpendicular
straight line, but that it would be necessary that the exceedingly fast motion
of the Earth should leave it far behind toward the West. Therefore, given this
projection back onto the Earth, it is necessary that with its motion there
should come a change in all relations of straightness and obliquity; just as
there is a difference between the motion of the ship and the motion of those
things that are on the ship which if not true it would follow that when the
ship moves across the sea one could never draw something along a straight line
from one of its corners to the other, and that it would not be possible for one
to make a jump and return with his feet to the point from where he took off.
(Bruno, 1975: 121). In Theophilus’ speech, Bruno then gives the following reply
(in reference to the ship shown in Figure 5): Theophilus – With the Earth move
... all things that are on the Earth. If, therefore, from a point outside the
Earth something were thrown upon the Earth, it would lose, because of the
latter’s motion, its straightness as would be seen on the ship AB moving along
a river, if someone on point C of the riverbank were to throw a stone along a
straight line, and would see the stone miss its target by the amount of the
velocity of the ship’s motion. But if some- one were placed high on the mast of
that ship, move as it may however fast, he would not miss his target at all, so
that the stone or some other heavy thing thrown downward would not come along a
straight line from the point E which is at the top of the mast, or cage, to the
point D which is at the bottom of the mast, or at some point in the bowels and
body of the ship. Thus, if from the point D to the point E someone who is
inside the ship would throw a stone straight up, it would return to the bottom
along the same line however far the ship mov- Page 245
Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo Giordano Bruno and the
Principle of Relativity ed, provided it was not subject to any pitch and
roll. (Bruno, 1975: 121). He then continues with the statement that the movement
of the ship is irrelevant for the events occurring within the ship, and he
explains the reasons for this: If there are two, of which one is inside the
ship that moves and the other outside it, of which both one and the other have
their hands at the same point of the air, and if at the same place and time one
and the other let a stone fall without giving it any push, the stone of the
former would, without a moment’s loss and without deviating from its path, go
to the prefixed place, and that of the second would find itself carried
backward. This is due to nothing else except to the fact that the stone which
leaves the hand of the one supported by the ship, and consequently moves with
its mo- tion, has such an impressed virtue, which is not had by the other who
is outside the ship, Figure 5: The ship referred to in the dialogue; note that
the letters are missing (math.dartmouth.edu). because the stones have the same
gravity, the same intervening air, if they depart (if this is possible) from
the same point, and arc given the same thrust. From that difference we cannot
draw any other explanation except that the things which are affixed to the
ship, and belong to it in some such way, move with it: and the stone carries
with itself the virtue of the mover which moves with the ship. The other does
not have the said participation. From this it can evidently be seen that the
ability to go straight comes not from the point of motion where one starts, nor
from the point where one ends, nor from the medium through which one moves, but
from the efficiency of the originally impressed virtue, on which depends the
whole differ- ence. And it seems to me that enough consid- eration was given to
the propositions of Nun- dinio. (Bruno, 1975: 123). The experiments carried out
in the ship are thus not influenced by its movement because all the bodies in
the ship take part in that move- ment, regardless of whether they are in
contact with the ship or not. This is due to the ‘virtue’ they have, which
remains during the motion, after the carrier abandons them. Bruno thus clearly
expresses the concept of inertia, using the word ‘virtu`’, in Italian meaning
‘quality’, which is carried by the bodies moving with the ship—and with the
Earth. Bruno’s arguments certainly constitute a step towards the principle of
inertia. We have seen that in La Cena de le Ceneri Giordano Bruno anticipates
to a great extent the arguments of Galileo Galilei on the principle of
relativity. In fact, his explanation contains all of the fundamental elements
of the principle. The idea that the only movement observable by the subject is
the one in which he does not take part, was presented earlier by Jean Buridan
and Nicole Oresme, together with the notion of the composition of movements,
which was alien to Aristotelian mechanics (see Barbour, 2001). Sim- ilar
arguments were used by Nicholas Copern- icus (1543). The main missing
ingredient was the idea of inertia, which explains the fact that projectiles
move along with the Earth. In fact, while there is a continuous line between
Buri- dan, Oresme, Copernicus, Bruno and Galilei, the arguments of Bruno on the
impossibility of detecting absolute motion by phenomena in a ship constitute a
significant step towards the principle of inertia and providing a dynamical
context for relativity. What is new in Bruno, and what brings him almost
exactly to where Galilei stood, is a clear understanding of the concept on
inertia. The arguments and metaphors used in dis- cussions concerning the world
systems were common to different authors, and were largely derived from
Aristotle, Ptolemy and their com- mentators. Often they were used without ref-
erencing, and sometimes they were attributed to the wrong source. For example,
in his On the Heavens, Aristotle uses as experimental argu- ment the one about
the stone that is sent upwards. In their comment on this work, Bur- idan and
Oresme used a modified version of this experiment in which an arrow is sent
upwards in a ship—although this was possibly introduced by an earlier
unidentified commentator/translator. Nevertheless, the description by Galilei
of exact- ly the same ship experiment that Bruno used in the Cena makes it very
likely that Galilei knew this work. The use of the dialogue form with a similar
choice of characters can also be seen as a possible sign that Bruno influenced
Galilei. Page 246 Alessandro De Angelis and Catarina
Espirito Santo Giordano Bruno and the Principle of Relativity However,
Galilei never mentions Bruno in his works, and in particular there is no reference
to him in Galilei’s large corpus of letters, even though he references the
‘doctores parisienses’ in his MS 46 (Galilei, c. 1584),3 a 110-page long
manuscript containing physical speculations bas- ed upon Aristotle’s On the
Heavens. Some authors (e.g. Clavelin, 1968) have commented on Galilei’s silence
about Bruno, putting forward reasons of prudence, but as pointed out by Mar-
tins (1986) this can hardly explain the absence of any mention also in his
personal correspond- ence. Furthermore, although Galilei himself never mentions
Bruno’s name in his personal notes and letters, several of his correspondents
do mention the Nolan. In a letter to Galilei dating to 1610, Martin Hasdale
tells him that Kepler had expressed his admiration for Galilei, although he
regretted that in his works the latter failed to mention Copernicus, Giordano
Bruno and sever- al Germans who had anticipated such discov- eries—including
Kepler himself: This morning I had the opportunity to make friends with Kepler
... I asked what he likes about that book of yourself and he replied that since
many years he exchanges letters with you, and that he is really convinced that
he does not know anybody better than you in this profession ... As for this
book, he says that you really showed the divinity of your genius; but he was
somehow uneasy, not only for the German nation, but also for your own, since
you did not mention those authors who intro- duced the subject and gave you the
opportun- ity to investigate what you found now, naming among these Giordano
Bruno among the Ital- ians, and Copernicus, and himself. Thus, we can say that
Galileo Galilei was probably aware of Giordano Bruno’s work on the Copernican
system. When Galilei arrived in Padova in 1592 it is also possible that the two
scientists met, because Bruno was a guest of the nobleman Giovanni Mocenigo in
Venice at the time and Galilei shared his time between Padova and Venice. In
1591, Bruno had unsuc- cessfully applied for the Chair of Mathematics that was
assigned to Galilei one year later. Although it might be impossible to prove
that the two astronomers met, it is hard to believe, given the motivations and
characters of the two men and the circumstances of their lives during those
years, as well as the small size of the Italian scientific community in those
days, that they failed to discuss their respective arguments con- cerning the
defence of the Copernican system. 6 NOTES 1. Amphitrite was in Greek mythology
the wife of Poseidon, and therefore the Goddess of the Sea. 2. See Aristotle
(1971: Section 296b). 3. Although Antonio Favaro, the Curator of the National
Edition of Galilei’s works, dates it to 1584, Crombie (1996) and Wallace (1981;
1984) prefer a date of around 1590. We
wish to thank Bonolis, Alessandro
Bettini, Pascolini, Giulio Peruzzi and Antonio Saggion for useful suggestions,
and the anonymous referees for directing us to some important aspects that we
neglected to mention in the first draft of this paper. 8 Aristotle, On the
Heavens. Cambridge (Mass.), Harvard University Press (Loeb Classic Greek Lib-
rary English translation of the c. 350 BC Greek original). Barbour, J., 2001.
The Discovery of Dynamics, Ox- ford, Oxford University Press. Bruno, G., 1975.
The Ash Wednesday Supper. The Hague, Mouton (English translation by S.L. Jaki
of the 1584 Italian original). Buridan, J., 1942. Questions on Aristotle‟s On
the Heavens. Cambridge (Mass.), Medieval Academy of America (English
translation by E.A. Moody of the c. 1340 Latin original). Clavelin, M., 1968.
Galileo‟s Natural Philosophy. Paris, Colin (in French). Copernicus, N., 1543.
On the Revolutions of the Heavenly Spheres. Nuremberg, Johannes Petreius (in
Latin). Crombie, A.G., 1996. The History of Science from Augustine to Galileo.
New York, Dover. Cusanus, N., 1985. On Learned Ignorance. Minne- apolis, The
Arthur J. Banning Press (English trans- lation by J. Hopkins of the 1440 Latin
original). D’Aviso, U., 1656. Treatise on the Sphere of Galileo Galilei. Rome,
N.A. Tinassi (apparently written in Padova in 1606, in Latin). Galilei, G., c.
1584. MS 46. In Collezione Nazionale Galileo della Biblioteca Nazionale di
Firenze (in Latin). Galilei, G., 1890–1907. Carteggio. National Edition of the
Works of Galileo Galilei, Volumes 10–18. Flor- ence, G. Barbera (in Italian).
Galilei, G., 1953. Dialogue Concerning the Two Chief World Systems. Berkeley,
University of California Press (English translation by Stillman Drake of the
1632 Italian original). Giannetto, E., 2006. Bruno and Einstein. Nuova Civiltà
delle Macchine, 24, 107–137 (in Italian). Hasdale, M., 1610. Letter to Galileo
Galilei, dated 15 April. In Galilei, 1890–1907, Volume 10, 314–315. Ingoli, F.,
1616. Disputation Concerning the Location and Rest of Earth Against the System
of Coper- nicus. Rome (English translation by C.M. Graney of the Latin original
at http://arxiv.org/abs/1211.4244). Martins, R. de A., 1986. Galileo and the
principle of relativity. Cadernos de História e Filosofia da Ciência, 9, 69–86
(in Portuguese). Oresme, N., 1377. Le livre du Ciel et du Monde. Book II,
Chapter 25 (manuscript). Paris, National Library. Oresme, N., n.d. Traité de la
sphère. Aristote, Du ciel et du monde. In the National Library, Paris, fonds
français 565, fol. 1r. Wallace, W.A., 1981. Prelude to Galileo: Essays on Page
247 Alessandro De Angelis and Catarina Espirito Santo
Giordano Bruno and the Principle of Relativity Medieval and
Sixteenth-Century Sources of Galileo‟s Thought. Dordrecht, Reidel. Wallace,
W.A., 1984. Galileo and His Sources: Heri- tage of the Collegio Romano in
Galileo‟s Science. Princeton, Princeton University Press. 4
Volgareelatino nel carteggio galileiano Sommario 4.1 Galileo
epistolografo: volgare e latino. – 4.2 Un confronto con Descartes e Mersenne. –
4.3 Le lingue dei corrispondenti. – 4.4 Le lettere latine di Galileo. 4.1
Galileo epistolografo: volgare e latino Per le consuetudini della respublica
litterarum lo scambio epistolare europeo riveste un ruolo importantissimo,
anche in considerazione della censura, in quanto «la lettre n’a pas besoin
d’imprimatur ni de ‘privilège’» (Fattori in Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999,
52).1 Non esistendo ancora i periodici scientifici, le lettere svolgevano anche
tale funzione. Allievi e simpatizzanti, protettori, principi e cardinali,
eruditi ita- liani e stranieri, colleghi ed ecclesiastici, artisti e letterati,
amici e familiari: il carteggio galileiano comprende tutto questo.2 I
destinatari di Galileo sono per lo più in Italia, ma non mancano corrispondenti
stranieri, specialmente in Francia (Parigi e Lione), in Baviera, a Praga e nei
Paesi Bassi: «Per quanto la giurisdizione del 1 Sulla respublica litterarum e
la corrispondenza tra i savants cf. Fumaroli 1988; Bots, Waquet 1994 (in
particolare i saggi di Johns, Fumaroli, Waquet, Frijhoff); Waquet 1998;
Armogathe, Belgioioso, Vinti 1999 (in particolare l’intervento di Marta
Fattori); Jau- mann 2001; Bots, Waquet 2005; Fumaroli 2015. 2 Breve, ma
puntualissimo, Bucciantini in Irace 2011, 344-9; si veda anche Garcia 2004,
257-65. All’epistolario galileiano è dedicato Ardissino 2010; la studiosa ha
cura- to un’antologia delle lettere italiane dello scienziato (Galilei 2008),
con introduzione di Battistini (L’umanità di uno scienziato attraverso le sue
lettere). Sul registro polemico nell’epistolario si veda Ricci 2015.
Filologie medievali e moderne Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio
galileiano suo epistolario sia di estensione europea, Galileo si rivolge
soprat- tutto alla classe dirigente degli Stati italiani, laica ed
ecclesiastica» (Battistini in Galilei 2008, 13).3 In che lingua scriveva
Galileo le sue lettere? Ci si aspetterebbe che, nonostante la programmatica
scelta del volgare per le sue opere, egli utilizzasse nella corrispondenza con
gli stranieri il latino, lingua franca dell’aristocrazia del sapere. Una
verifica integrale nei volumi dell’EN riserva invece la sorpresa di una
situazione affatto diversa, che riportiamo in tabella: Anni Lettere di cui
scritte in latino da Galileo a Kepler (4 agosto 1597, EN 10, 67; 19 agosto
1610, EN 10, 421) 1 a Brengger (8 novembre 1610, EN 10, 466) a Kepler (28
agosto 1627, EN 13, 374) a Fortescue [Aggiunti] (febbraio 1630, EN 14, 83) 1 a
Bernegger [Aggiunti] (16 luglio 1634, EN 16, 111) 1 agli Stati generali dei
Paesi Bassi (agosto 1636, EN 16, 468-9) a Boulliau(d) (1 gennaio 1638, EN 17,
245) a Boulliau(d) (30 dicembre 1639, EN 18, 134) 3 Cf. anche Garcia
2004, 257: «l’espace de cette république semble se réduire, dans son esprit, à
la seule Italie – c’est-à-dire aux trois villes de la Péninsule les plus
actives culturellement, Rome, Venise et Florence». Filologie medievali e
moderne 23 | 19 58 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e
latino nel carteggio galileiano Su un totale di 445 lettere – manteniamo i
criteri di Favaro, che in- clude anche le epistole-trattato, quali le tre sulle
macchie solari, e le dedicatorie – sono latine soltanto 9 (il 2,02 %). Si
tratta delle lettere superstiti, ma, anche supponendo che la sorte ne abbia
distrutto un numero maggiore in latino che in italiano, i dati sono
inequivocabili. Sappiamo poi che di quelle 9, 2 sono state composte da Niccolò
Ag- giunti su commissione dello scienziato (v. infra). Ne restano dunque 7. 4.2
Un confronto con Descartes e Mersenne Il confronto con Descartes è eloquente.
Charles Adam ricostruisce che nel carteggio superstite «sur un total de 498
lettres, 63 sont en latin» (Adam 1910, 22), cioè il 12,65%. Del resto la
familiarità del fi- losofo con il latino era profonda: Il apprit le latin à
fond, non seulement comme une langue morte, mais comme une langue vivante qu’il
pourrait avoir à parler et à écrire. Il la parla, en effet, quelquefois en
Hollande, et même en France à une soutenance de thèses; et il l’écrivit dans
trois ou quatre de ses ouvrages et un certain nombre de lettres. Quelques- unes
de ses notes mêmes, rédigées pour lui seul et à la hâte, sont en latin. Il
maniait cette langue aussi bien et souvent mieux que le français, le plus
souvent avec vigueur et sobriété, parfois aus- si pourtant avec quelques
gentillesses de style qui rappellent les leçons des bons Pères; lui-même avoue
qu’il a fait des vers, sans doute des vers latins, et une fois avec Balzac il
se piqua de bel esprit et lui écrivit dans un latin élégant ‘à la Pétrone’.
(Adam 1910, 22)4 Il latino fu ancor più abituale per Marin Mersenne
(1588-1648), che anche in quanto ecclesiastico (ordine dei Minimi) era più
legato alla lingua antica: su 308 epistole da lui redatte e conservateci sono
la- tine il 38, 64% (119), in francese le restanti.5 Sarebbe interessante uno
studio dell’uso linguistico in tale epistolario che analizzi il tipo di
missiva, la provenienza e la formazione dei destinatari. Accenniamo qui
soltanto al fatto che Mersenne, a cui furono rivolte alcune lette- 4 Al
carteggio di Descartes è dedicato l’ampio volume di Armogathe, Belgioioso, Vinti
1999; vi si veda in particolare il saggio di Torrini che compara l’epistolario
di Descartes e di Galileo: per il primo il carteggio fu un luogo privilegiato
di discussione filosofica, ben più che per Galileo. 5 Conteggio nostro dai 17
volumi della corrispondenza dell’erudito (Mersenne 1945- 1988). Divergono
leggermente dalla nostra la somma indicata nel vol. 17 a p. 107 (330) e quella
che si ricava dall’indice delle missive a pp. 145-9 (317). La lettera nr. 1691
a Baliani ci è tradita in italiano da una stampa secentesca delle opere di
questi, ma si tratta probabilmente di una traduzione dall’originale latino o
francese (cf. il commen- to di de Waard, Beaulieu). Filologie medievali e
moderne 23 | 19 59 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 •
Volgare e latino nel carteggio galileiano re in italiano, non rispose mai in
quella lingua; i curatori del carteg- gio affermano, seccamente, che «Mersenne
savait très mal l’italien» (commento alla lettera nr. 1691). Troppo seccamente,
perché egli comprendeva in verità assai bene l’italiano, come dimostra la
tradu- zione-rielaborazione di pagine galileiane (Les Méchaniques de Gali- lée,
Les nouvelles pensées de Galilée).6 Interessante sarebbe valutare affermazioni
di comprensione o incomprensione di una lingua stra- niera come quelle di
Giovanni Battista Baliani, in cui la grafia sem- bra giocare un grande ruolo.
Per esempio, ha ricevuto da Mersenne una lettera «in lingua francese, ma tanto
chiara ché io l’ho intesa leg- gendola correntemente» (missiva nr. 1429), cioè
è riuscito a legger- la nonostante fosse in francese e nonostante la grafia. Un
mese pri- ma aveva spiegato al corrispondente: «Rispetto alla lingua, in che V.
P. mi deve scrivere, confesso, che mi è più caro che mi scriva in lat- tino,
che già hò preso un poco la pratica del suo carattere. Il france- se però
intendo meno, ancorche intenda assai bene i libri stampati» (missiva nr. 1417;
in nota i curatori ricordano che Torricelli aveva lo stesso problema). Galileo
non leggeva il francese.7 Contrariamente a ciò che era consuetudine e norma
nella respublica litterarum, Galileo fece uso parchissimo del latino per
l’epistolografia. Anche se dobbiamo precisare che era ormai scontata a
quell’altezza cronologica, almeno in Francia e Italia, l’utilizzo della lingua mater-
na per comunicare con connazionali,8 e il carteggio stricto sensu ga- lileiano
– lettere composte o ricevute dallo scienziato – non presenta quasi eccezioni.9
Anche tra le lettere che nell’EN fanno corona all’epi- stolario galileiano
propriamente detto, ma che fornendo informazioni sullo scienziato furono
raccolte da Favaro, sempre o quasi gli italia- ni scrivono a un connazionale
(foss’anche il papa) in italiano. Analo- gamente si comportano i dotti francesi
(pur con qualche eccezione): Mersenne, Fermat, Descartes si scrivono in
francese. Ricorrono in- vece non infrequentemente al latino i dotti tedeschi
per comunicare tra loro: nell’EN si veda Scheiner che scrive a Kircher, e
Bernegger a tutti i propri connazionali.10 Analogamente, l’olandese Hugo de Gro-
6 Sul rapporto Mersenne-Galileo (e Descartes-Galileo) si veda almeno
Bucciantini 2009. 7 Cf. anche Favaro 1983, 1392. 8 Pantin 1996, 58: «À la fin
de la Renaissance, les langues vernaculaires (surtout s’il s’agissait du
français et de l’italien) étaient devenues le premier moyen de s’exprimer et
même de raisonner (dans la correspondances scientifiques du début du XVIIe
siècle les allemands sont souvent presque les seuls à parler latin)». Di
diverso parere Battis- tini in Galilei 2008, 13: «pur essendo ancora il latino
la lingua abituale nel trattare ma- terie scientifiche ed erudite, anche tra
connazionali». 9 Paolo Maria Cittadini, che si firma teologo dello Studio
bolognese, si rivolge in la- tino a Galileo (EN 10, 389). 10 Per un’indagine
sulla corrispondenza dei dotti tedeschi nel Cinquecento si veda Lefèbvre 1980.
Cf. anche Leonhardt 2011, 213. Filologie medievali e moderne 23 | 19 60 Galileo
in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio
galileiano ot (Grotius) scrive in latino a Maarten van den Hove (Martino Orten-
sio nell’EN) e a Gerhard Voss (Vossius). 4.3 Le lingue dei corrispondenti
Galileo non si allinea al costume della comunicazione latina con stra- nieri,
mostrando una forte tendenza a evitare la lingua antica.11 D’al- tra parte,
l’adozione dell’italiano da parte di stranieri testimonia la fortuna della
nostra lingua e il suo prestigio.12 Galileo instaura una comunicazione italiana
paritetica – nel senso che entrambi i corri- spondenti scrivono in italiano –
non solo con Clavius e Faber, che vi- vevano stabilmente in Italia da molti
anni (si noti però che in alme- no due lettere il principe Cesi aveva scritto
al secondo in latino), ma anche con Markus Welser,13 l’ingegnere militare
Antoine de Ville (al- lora in servizio della Serenissima),14 Carcavy, Peiresc,
Reael, Lowijs Elzevier,15 Ladislao IV di Polonia, Massimiliano di Baviera, Jean
de Beaugrand. L’effettiva conoscenza dell’italiano da parte dei corri-
spondenti non si può misurare solo dalle missive, per alcune delle quali va
postulato l’intervento di un madrelingua (certamente nel caso di principi e
regnanti, ma anche le lettere di Reael sono troppo ben scritte per non supporre
almeno un correttore).16 Significativo il caso di François de Noailles
(1584-1645).17 Già sco- laro di Galileo a Padova, ufficiale militare e poi non
troppo abile am- basciatore francese a Roma (1634-36), attivo nel chiedere alla
Chie- sa clemenza per l’antico maestro, lo incontrò a Poggibonsi sulla via del
ritorno in Francia e ricevette una copia manoscritta delle Nuove scienze, delle
quali fu dedicatario. Restano 8 lettere da lui inviate a Galileo dall’ottobre
1634 al novembre 1638. Le prime cinque sono in italiano e risalgono al tempo in
cui era diplomatico a Roma: di esse soltanto una è interamente autografa (EN
16, 144), ma probabilmente 11 Nell’inopportunità di riportare dettagliate
rassegne biografiche sui molti personag- gi che nomineremo, rimandiamo una
volta per tutte all’Indice biografico dell’EN (anche del supplemento 2015) e
agli indici di Drake 1995 e di Heilbron 2010, nonché al rege- sto di nomi
propri curato dal Museo Galileo di Firenze, disponibile online e continua-
mente aggiornato. Daremo qui solamente qualche informazione utile al nostro
discorso. 12 Cf. Stammerjohann 2013. 13 Cf. cap. 2, § 5. Quando questi è
malato, anche il fratello Matthäus scrive in ita- liano a Galileo. 14 Cf.
Pernot 1984 e Vérin 2001. 15 Scrive in italiano anche a Micanzio. Bonaventure e
Abraham Elzevier si erano in- vece rivolti a Galileo in latino. 16 Diodati
scrive a Reael in italiano (EN 16, 492). 17 Su di lui cf. Favaro 1983, 1317-45.
Per i corrispondenti francesi di Galileo riman- diamo a Baumgartner 1988 e ai
riferimenti bibliografici ivi contenuti. Filologie medievali e moderne 23 | 19
61 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel
carteggio galileiano composta o almeno rivista da un madrelingua. Le altre
quattro han- no soltanto la sottoscrizione di pugno del diplomatico. Il 15
gennaio 1636, in un punto morto delle discrete manovre per il mitigamento della
condanna di Galileo, Noailles si scusa con questi del ritardo nel- lo scrivere:
«Potrà similmente attribuire la cagione dell’haver tardato a scriverli
all’assenza del mio secretario italiano» (EN 16, 377). È al- meno in parte un
pretesto, ma ci informa delle abitudini linguistiche della corrispondenza. La
stessa lettera riporta un breve poscritto au- tografo, che può dare l’idea
della competenza linguistica dell’amba- sciatore, buona, ma nettamente
inferiore alla lingua e allo stile esibi- to nelle altre lettere a Galileo: «Il
latore de la presente li darà nove di me, et quanto gran stima fo de le sue
virtù et come sto con desiderio di servirla in ogni occorrenza». Di fatto,
l’uso dell’italiano sembra, non solo in Noailles, un piacere e un omaggio al
maestro degli anni pado- vani e al grande scienziato. Dopo il rientro in
Francia (1636) Noailles gli scriverà personalmente – cioè senza aiuto di
segretari – in france- se (restano tre lettere autografe). Lettere che –
l’ambasciatore dove- va certo esserne al corrente – Galileo non poteva
intendere e di cui restano tra i manoscritti galileiani le traduzioni
italiane.18 A Grienberger e de Groot che gli si rivolgono in latino, Galileo
ri- sponde in italiano. In latino gli scrivono anche Gassendi (con l’ec-
cezione di una missiva italiana composta insieme a Peiresc), Tycho Brahe,
Mersenne, Morin, Abraham e Bonaventure Elzevier, l’avver- sario Scheiner e
parecchi altri.19 Ma non sono conservate le risposte del nostro (a Tycho non
rispose affatto) 20 e dunque non sappiamo in quale lingua fossero composte. Gli
scrissero invece in italiano Martin Hasdale (tedesco, fu a lun- go in Italia
per divenire poi potente consigliere alla corte di Rodolfo II); David Ricques
(polacco o tedesco), Thomas Segget (scozzese, fu a lungo in Italia; poi a
Praga), il greco Demisiani, il cardinale François de Joyeuse, Krzysztof
Zbaraski (nell’EN Cristoforo di Zbaraz), Ri- chard White (allievo di Castelli,
scrive da Londra e si scusa per gli errori di lingua), Giovanni di Guevara
(spagnolo, ma nato a Napoli), Philippe de Lusarches (maestro di camera degli
ambasciatori fran- cesi a Roma), Johannes Riijusk (cugino del Reael, scrive da
Venezia), Francesco van Weert (olandese al servizio della Serenissima), Justus
18 Cf. l’introduzione di Favaro alle missive e il supplemento di EN 18, 436. Al
ruo- lo dei segretari nella respublica litterarum accenna Fattori in Armogathe,
Belgioioso, Vinti 1999, 57-8. 19 Raymund Schorer (mercante tedesco attivo anche
a Venezia), Theophilus Mül- ler (tedesco, linceo, da Roma), Beaulieu (non
meglio identificato), John Welles (da Lon- dra), Jan Friedrich Breiner, Michel
Coignet, Marek Lentowicz (che fu studente a Pado- va), Bartholomäus Schröter
(tedesco), Jean Tarde, Filippo d’Assia, Jan Brozek (polac- co), Maarten van den
Hove (Hortensius, olandese). 20 Bucciantini 2003, 87.
Filologie medievali e moderne 23 | 19 62 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi
4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano Weffeldich (agente degli Elzevier
a Venezia), Jean-Jacques Bouchard (dotto francese che visse molti anni a Roma),
Henry Robinson (ingle- se, fu a Livorno per commercio e abitò per alcuni anni a
Firenze). Restano alcune epistole italiane che Galileo inviò a Leopoldo d’Au-
stria (Innsbruck), a Pedro de Castro conte di Lemos (Madrid), agli Stati
Generali delle Province Unite dei Paesi Bassi (ve n’è un’altra in latino, EN
468-69, di cui parleremo tra qualche pagina), a Francisco de Sandoval duca di
Lerma (Madrid), a Maarten van den Hove (matematico olandese). Scrivono a
Galileo sia in latino che in italiano Leopoldo d’Austria, Jacques Jauffred21
(una missiva privata è in volgare, una pubblica è stampata in latino), Benjamin
Engelcke (di Danzica, fu per alcuni an- ni in Italia).22 Gli Stati Generali
delle Province Unite dei Paesi Bassi si rivolgono a Galileo sia in latino che
in francese (Reael traduce per Galileo; una deliberazione dell’assemblea sulla
proposta galileiana del calcolo della longitudine è redatta in olandese e Reael
la tradu- ce in latino per Galileo). Il francese è peraltro usato anche in
altre occasioni dagli olandesi, come quando Huygens si rivolge a Diodati. Il
quadro generale dell’epistolario è dominato dall’italiano, anche perché la
maggioranza degli stranieri aveva vissuto per un periodo abbastanza lungo in
Italia durante gli studi universitari o per altri motivi. Sono dunque stranieri
con una vasta conoscenza personale della Penisola e della sua lingua.23 4.4 Le
lettere latine di Galileo Si esaminerà ora il ristretto gruppo di epistole
latine di Galileo rima- steci. Della corrispondenza tra Galileo e Kepler, di
importanza capi- tale, restano poche lettere, 7 da parte del tedesco, 3 da
parte del pi- sano. Non si incontrarono mai di persona. La comunicazione si
svolse sempre in latino e coprì, per quanto è conservato, un arco tempora- le
che va dal 1597 al 1627 (ma le lettere scritte da Kepler non vanno oltre il
1611). I rapporti scientifici e personali tra i due scienziati so- no
illustrati nel dettaglio e nell’ampio quadro culturale del tempo in Bucciantini
(2003), a cui ci rifacciamo per la nostra analisi. Al tempo del primo contatto
epistolare (1597) nessuno dei due è famoso: Gali- leo è niente più che il
solido matematico dello Studio di Padova; Ke- pler, dopo aver rinunciato alla
carriera teologica e pastorale, è mate- matico a Graz. I due non si conoscono
neppure di nome. Per tramite 21 Su di lui vedi DBI (s.v. «Gaufrido, Jacopo»).
22 Cf. infra in questo capitolo. 23 Cf. Favaro 1983, 1320-2. Una testimonianza
in senso contrario (ovvero scarsa com- petenza dell’italiano da parte di
studenti stranieri a Padova) è riferita da Mikkeli 1999, 81; ci sembra tuttavia
un’eccezione di fronte alle tante altre. Filologie medievali e moderne 23 | 19
63 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel
carteggio galileiano dell’amico Paul Homberger, Kepler fece arrivare in Italia
il suo My- sterium cosmographicum (1596). «Probabilmente fu lo stesso Keple- ro
a suggerirgli [a Homberger] di destinare una copia allo Studio di Padova,
ovvero di consegnarla a chi in quel tempo occupava la catte- dra di matematica
in una delle università più prestigiose d’Europa» (Bucciantini 2003, 22). E
Galileo, letta solo la prefazione dell’opera, nella quale Kepler dichiara la
sua adesione al Copernicanesimo, de- cise di inviare una lettera di
ringraziamento all’autore per tramite dello stesso Homberger che stava per fare
ritorno in Austria.24 È la missiva del 4 agosto 1597 (EN 10, 67), che contiene
l’importantissima di dichiarazione di Copernicanesimo da parte di Galileo (in
Copernici sententiam multis abhinc annis venerim).25 Importantissima anche in
base alla doppia considerazione che a fine Cinquecento i copernicani si
contavano sulle dita (oltre a Kepler e Galileo, erano Bruno, Roth- mann,
Mästlin, Digges, Harriot, Stevin, de Zúñiga)26 e che prima del- le scoperte del
1610 «le copernicianisme était une opinion extrava- gante et ridicule, et donc
non dangereuse ni ne méritant même d’être condamnée» (Bucciantini 2009, 20). Si
capisce dunque l’entusiasmo di Galileo nell’apprendere che un tale Kepler aveva
le sue stesse idee e pubblicava opere per difenderle e diffonderle, mentre lui,
Galileo, non aveva avuto il coraggio – afferma – di pubblicare le sue osserva-
zioni in difesa del sistema eliocentrico per non fare la fine di Coper- nico,
lodato da pochissimi e deriso dai più. Il latino di questa lette- ra ci sembra
un poco più elevato di quello del Sidereus nuncius, con più frequente
subordinazione (soprattutto frasi relative e infinitive). La gioiosa risposta
di Kepler, contento anch’egli di aver trovato un compagno, è più lunga e
stilisticamente superiore, per quanto non brillante: esclamazioni e
interrogative retoriche vivacizzano il det- tato, che è molto fluido e senza
imbarazzi; vi sono finezze umanisti- che, come l’inserzione di una parola in
caratteri greci (αὐτόπιστα). La strategia culturale di Kepler per
l’affermazione del Copernicane- simo prevede innanzitutto il convincimento dei
matematici ed egli si dichiara disponibile a far pubblicare in terra tedesca
gli scritti di Galileo, se questi teme di farlo in Italia. Ma Galileo, non
condividen- do la strategia proposta, non rispose a questa lettera.27 Stupito
del silenzio, Kepler ritentò attraverso Edmund Bruce di avere nuove di Galileo
nel 1599.28 24 Cf. anche Biancarelli Martinelli 2004. 25 Una dichiarazione di
poco precedente (maggio 1597), ma appena accennata e di- messa, diversamente
dalle righe indirizzate a Kepler, è in una lettera a Jacopo Mazzo- ni (EN 2,
197-202; cf. Bucciantini 2003, 29). 26 Bucciantini 2003, 53. 27
Bucciantini 2003, 73. 28 Bucciantini 2003, 103. Filologie medievali e
moderne 23 | 19 64 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino
nel carteggio galileiano Giunse poi la stagione del Sidereus nuncius, durante
la quale Ke- pler fu il solo grande interlocutore straniero cui Galileo si
rivolse e la cui conferma delle scoperte ebbe importanza paragonabile soltanto
a quella degli studiosi del Collegio Romano. Oltre alla presa di posizio- ne
ufficiale con la Dissertatio cum Nuncio sidereo, Kepler invia a Ga- lileo una
lettera privata il 9 agosto 1610, chiedendo, in sostanza, altri elementi a
sostegno delle scoperte e del cannocchiale. La risposta di Galileo, datata 19
agosto (EN 10, 421), è significativa. Il nostro è an- cora a Padova, ma ha già
ottenuto il posto alla corte di Toscana e la lettera è pervasa da un’esuberante
soddisfazione del proprio succes- so, «con toni che sfiorano
l’autocelebrazione» (Bucciantini 2003, 190): il racconto delle ricompense e
dello stipendio ricevuto dopo la scoper- ta, la protezione e la garanzia del
Granduca quanto alle scoperte, il ti- tolo di filosofo aggiunto ora a quello di
matematico, che Kepler non gli riconoscerà. Galileo non ha molto tempo per
scrivergli (paucissimae enim supersunt ad scribendum horae). Lo stile è solido
e non più impac- ciato come nella lettera del 1597; la scrittura è più fluida,
c’è più mo- vimento, con interrogative e riferimenti eruditi (seppur
scolastici, co- me oblatrent sicophantae) e quasi con affetto per il suo
alleato lontano che, pur chiedendo chiarimenti e testimoni, lo ha appoggiato.
In par- ticolare è insolita, in Galileo, una conclusione come me, ut soles,
ama. Con la pubblicazione della Dioptrice nel 1611 (Kepler fu il padre
dell’ottica moderna), termina uno scambio frequente tra i due: essi non hanno
più avvertito il bisogno di confrontarsi e collaborare rego- larmente, a causa
sia di progetti e attitudini scientifiche differenti, sia di piccole
incomprensioni (per es. la stima riposta da Kepler in Simon Mayr, che dispiacque
al nostro).29 Certo, Galileo si informerà su co- me stia e che cosa faccia
l’altro e Kepler prenderà posizione nelle po- lemiche legate al Saggiatore con
l’Hyperaspistes (1625), ma non è più in gioco una collaborazione stabile e
duratura. Le lettere superstiti, in ogni caso, saltano dal 1611 al 4 settembre
1627 (EN 13, 374-5), al- lorché Galileo raccomanda Giovanni Stefano Bossi al
dotto corrispon- dente perché questi lo accetti come scolaro. La missiva, non
molto in- teressante quanto al contenuto (una raccomandazione), testimonia il
tentativo di riallacciare la relazione. Nel poscritto Galileo aggiunge: Mitto,
cum his complicatam litteris, Orationem Nicolai Adiunctii, adolescentis in omni
humaniore et severiore literatura excultissi- mi: eam sat scio te magna cum
voluptate lecturum, et mirifice fu- turam ad tuum palatum et gustum. Si tratta
dell’Oratio de mathematicae laudibus, uscita a Roma nello stesso anno dalla
penna del giovane Aggiunti, notevole non solo per 29 I motivi del distacco sono
scandagliati in Bucciantini 2003, 198-205. Filologie medievali e moderne 23 |
19 65 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino
nel carteggio galileiano lo stile latino brillante di cui l’autore dava prova,
ma anche per la celebrazione della matematica come modo di vedere la realtà
(una Geometria nos in rerum notitiam perducit, et sola complectitur studia
universa).30 Dopo di che, morto Kepler nel 1630, il Dialogo lo accuse- rà, pur
«con rispetto» (così la didascalia a margine), di aver creduto a «predominii
della Luna sopra l’acqua, ed a proprietà occulte, e simi- li fanciullezze» (4,
54): come è noto, un attacco che si ritorce contro Galileo. A rendere
incompatibili le posizioni dei due grandi vi erano idee radicalmente diverse
sul cosmo e la posizione dell’uomo in esso.31 Veniamo agli altri
corrispondenti. Johann Georg Brengger (1559- 1630 ca.), medico di Augsburg, si
interessava di problemi scientifici.32 Per tramite di Welser pone a Galileo
alcune questioni sui monti lu- nari, cui Galileo risponde con una lunga
epistola in un latino asciut- to l’8 novembre 1610. A sua volta Brengger
risponderà estesamente in latino. Una delle due lettere composte in latino da
Niccolò Aggiunti su incarico di Galileo si legge in EN 14, 83 (datata febbraio
1630) ed è la risposta a George Fortescue.33 Il 15 ottobre 1629 (EN 14, 47)
que- sti gli aveva indirizzato una pomposa lettera latina annunciandogli la
pubblicazione delle sue Feriae academicae (1630), nelle quali, di- scorrendo di
ottica, catottrica, matematica e astronomia, adduceva nonnulla [...]
experientia comprobata mea. Lettera pomposa in cui gli elogi a Galileo,
iperbolici, sono intessuti di riferimenti eruditi (il mi- to di Cefeo e la
costruzione del faro di Alessandria su progetto di So- strato). La notizia più
saliente che il mittente vuole comunicare è l’a- ver fatto di Galileo un
personaggio del libro annunciato: In his usus sum artificio Marci Tullii
aliorumque, qui, ut sibi in dicendo auctoritatem concilient, inducunt
colloquentes Catones, Crassos, Antonios, similesque palmares homines. [...]
Igitur ignosce, Vir sapientissime, si disputantem in scriptis meis temet
repereris, 30 Il passo è riportato in Camerota 2004, 570. Secondo Peterson
2015, 130, inviando a Kepler il testo di Aggiunti, Galileo inviterebbe il
corrispondente a rivolgere un’‘atten- zione matematica’ non solo ai cieli, ma
anche alla realtà terrestre. 31 «L’abbandono [da parte di Galileo] di ogni
visione antropocentrica è certamente una delle caratteristiche della sua
filosofia che più lo allontana non solo da Keplero ma an- che da Copernico»
(Bucciantini 2003, 322). «Il progetto galileiano di fondazione di una scienza
copernicana del moto fu fin dall’inizio antitetico e concorrente alla nuova
dina- mica celeste kepleriana. La forza e la tenacia con cui Galileo proseguì
in ogni momento della sua vita le sue ricerche sul moto inerziale all’interno
di una prospettiva cosmolo- gica gli impedirono di accettare le ‘assurde’ leggi
kepleriane» (Bucciantini 2003, 336). 32 Laureato in medicina a Basilea, ebbe
scambio epistolare con Clavio e Kepler su problemi scientifici (cf. Reeves, van
Helden 2010, 43, 220-1; Keil 2002, 610-11; Buc- ciantini 2003, 230-3). 33
Pochissimo si sa di lui: cf. la voce di Ross Kennedy nell’Oxford Dictionary of
National Biography (2004), con bibliografia; Favaro 1883b, 203-10; Besomi,
Helbing 1998b, 3-4. Filologie medievali e moderne 23 | 19 66 Galileo in Europa,
57-70 Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano
illos inter qui exquisitis suis artibus occiduum hunc sustentant orbem. Alle
pp. 122-59 delle Feriae è allestito un dialogo (con narratore) tra Ga- lileo,
Clavio, Grienberger – astrologorum huius aevi facile principes – e Ferdinando
Gonzaga. Con la missiva Fortescue ne informa lo scienziato e si scusa per non
avergli chiesto il permesso (Ergo da veniam, serius petenti licet, Vir
spectatissime, quod, inconsulto te, cum tuo egerim nomine). Nella risposta –
che commenteremo – lo scienziato dichiara, con accenti che corrispondono del
tutto ai moduli dello stile encomia- stico, che nostram [...] enim mirifice
incendisti cupiditatem, pregando- lo di inviargli copia del libro non appena
stampato (Cum typographi suam operam absolverint, tuique libri editionem
perfecerint, unum vel alterum exemplar ad nos primo quoque tempore perferendum
cures). Non escludiamo che la parte ‘galileiana’ delle Feriae34 abbia potuto
ispirare Galileo e suggerirgli quell’unicum narrativo che è la sua appa-
rizione come personaggio nel Dialogo sopra i due massimi sistemi (3, 176). In
tale passo, per ribadire la priorità galileiana su Scheiner ri- guardo alla
scoperta della correlazione tra macchie solari e l’inclina- zione dell’asse
solare, Galileo si è servito di un fine stratagemma reto- rico-narrativo, unico
nell’opera: Salviati ricorda dettagliatamente una discussione con Galileo e ne
riporta in modo diretto (con due punti e virgolette) le parole. Un intervento
‘diretto’ dell’autore all’interno del Dialogo dei personaggi. Lo stratagemma è
interessante anche perché è un falso creato ad hoc da Galileo, come hanno
acutamente ricostruito Besomi, Helbing (1998b, 720-37) e come era noto a
collaboratori di Ga- lileo: Benedetto Castelli parlò del passo in questione
come «testimonio falso delle macchie del sole» (lettera del 29 maggio 1632 a Galileo,
EN 14, 358). L’influenza di Fortescue su tale episodio è indimostrata, ma
possibile anche in base alla cronologia della composizione del Dialogo.35
Contrariamente alle sue abitudini, Galileo volle rispondere a For- tescue in
latino (questi era stato al Collegio inglese di Roma dal 1609 al 1614; non
sappiamo tuttavia se Galileo ne fosse al corrente), e si affidò per questo al
provetto latinista Niccolò Aggiunti (1600-1635). Allievo di Castelli a Pisa, al
quale succedette nel 1626 sulla cattedra di matematica, Aggiunti fu anche
precettore di corte, dove conobbe e divenne discepolo fidato di Galileo, tanto
che fu tra coloro che du- rante il processo del 1633 asportarono da casa del
maestro le carte giudicate pericolose. Studiò in particolare i fenomeni capillari.
Uni- ca sua opera a stampa è la già menzionata Oratio de mathematicae 34
Accenni in Favaro 1883b, 203-10; Besomi, Helbing 1998b, 3 e Camerota 2004, 206.
35 La parte dell’opera sui movimenti delle macchie solari (3, 172, 10-187) è
stata com- posta «probabilmente dopo il settembre del 1631, dopo che Galileo
aveva letto la Rosa Ursina [opera di Scheiner]» (Besomi, Helbing 1998b, 47).
Filologie medievali e moderne 23 | 19 67 Galileo in Europa, 57-70
Bianchi 4 • Volgare e latino nel carteggio galileiano laudibus (1627),
che fu la prolusione al suo insegnamento universi- tario; restano manoscritti
alcuni altri suoi testi.36 Ebbe fama di otti- mo latinista e per questo Galileo
chiese la sua collaborazione. Ciono- nostante difese anche l’uso del volgare nella
trattazione filosofica.37 Il 30 gennaio 1630 Aggiunti scrisse a Galileo: «Credo
che V. S. Ecc.ma volentieri mi perdonerà così lunga dilazione, vedendo che io
gli pago il debito e in oltre qualche usura: io parlo della rispo- sta al Sig.r
Giorgio [Fortescue], la quale mando a V. S., fatta con quella maggior
accuratezza che ho potuto. Harò caro intender quan- to gli sodisfaccia. Nella
soprascritta basterà fare: Eruditiss.o Viro Georgio de Fortiscuto. Londinum»
(EN 14, 71). Della missiva ci resta la copia autografa di Galileo. In essa,
datata da Favaro febbraio 1630, si ringrazia ampollosamente, anche con richiami
eruditi, per l’onore di comparire come personaggio inter eximios viros e di
essere così celebrato. La lettera è ben nota agli studiosi galileiani, perché
Gali- leo dichiara di lavorare a un arduum opus: magnum mundi systema, quod
trigesimum iam annum parturiebam, nunc tandem pario. E di- chiarandone il tema
(in hoc opere abditissimas maris aestuum causas [...] inquiro, et, nisi mei me
fallit amor, mirabiliter pando), prega il cor- rispondente di inviargli dati
sull’osservazione delle maree: Proinde siquid habes circa hasce alternas
aequoris agitationes diligenti nec divulgata observatione notatum, ad me
perscribere ne graveris. L’altra lettera latina composta da Aggiunti su
commissione di Galileo (16 luglio 1634; EN 16,111) è indirizzata a Matthias
Bernegger (1582- 1640), dotto residente a Strasburgo e traduttore in latino del
Dialogo. Alcuni mesi prima egli aveva scritto a Galileo annunciandogli la
tradu- zione (10 ottobre 1633; EN 15, 299).38 Favaro ricostruisce che probabil-
mente tale epistola non fu consegnata allo scienziato, perché Benjamin Engelcke
(1610-1680), che avrebbe dovuto portarla di persona, la spedì a Galileo ed essa
andò perduta (noi leggiamo oggi la minuta dello scri- vente); l’Engelke scrisse
poi a Galileo informandolo della traduzione. La lettera di Bernegger è stesa in
un latino sicuro e curato, ma non af- fettato, con la sola iperbole finale di
Galileo non Italiae modo tuae, sed orbis, quem immortalibus tuis scriptis
illustrasti, lucidissimum sidus, che rispecchia lo stile encomiastico. Per la
risposta Galileo volle affidarsi anche in questa occasione ad Aggiunti, che
così scriveva allo scienziato il 12 aprile 1634: «Questa qui alligata è la
lettera che, in esecuzione del suo cenno, ho fatta al Bernechero, del quale non
sapendo il nome non ho potuto porvelo. Se le paresse lunga, potrà scorciarla et
acconciarla a modo suo. Io l’ho scritta con mia gran fatiga, perché il considerare
in 36 Su Aggiunti, oltre alla voce del DBI, si vedano Favaro 1983; Camerota
1998; Ca- merota 2004, 21-2 e passim; Peterson 2015, 128-36. 37 Cf.
Camerota 1998. 38 Commenteremo questa lettera nei cap. 8. Filologie
medievali e moderne 23 | 19 68 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 •
Volgare e latino nel carteggio galileiano nome di chi io scrivevo mi
sbigottiva. V. S. nel mio mancamento accusi il suo comandamento» (EN 16, 82).
Ciò testimonia inequivocabilmente che Aggiunti non ha semplicemente tradotto in
latino una risposta re- datta da Galileo in volgare, ma composto in toto la
lettera. Essa sfoggia uno stile brillante, retorico, erudito. Aggiunti parago-
na Bernegger traduttore a un egregius pictor che abbellisce la figura della
persona ritratta: con i latinae elegantiae colores egli riprodurrà le
philosophicae lucubrationes dello scienziato. L’acme retorico-erudita è
raggiunta paragonando la traduzione del Dialogo al ritratto di Antigo- no
sapientemente realizzato da Apelle: essendo il sovrano privo di un occhio – era
appunto soprannominato μονόφθαλμος –, il pittore sfruttò i vantaggi del tre
quarti per nascondere il difetto fisico, come ricorda un passo dell’Institutio
oratoria (2, 13, 12): Habet in pictura speciem tota facies: Apelles tamen
imaginem Antigoni latere tantum altero ostendit, ut amissi oculi deformitas
lateret. Aggiunti si rifà direttamente a Quintilia- no e inscena una ‘cecità’
di Galileo, non fisica, come avverrà più tardi, ma metaforica (difetti di stile
e improprietà di espressione del Dialogo): tuum artificium hoc pollicetur, ut,
citra similitudinis detrimentum, me pulchriorem quam sum ostendas, et, imitatus
Apellem, qui Antigoni faciem altero tantum latere ostendit, ut amissi oculi
deformitas occultaretur, tu quoque, si quid in me mutilum vel deforme offendes,
ab ea parte convertas qua speciosius apparebit. È evidente la soddisfazione e
l’orgoglio per la traduzione latina dell’o- pera che tante umiliazioni aveva
portato a Galileo, soddisfazione e orgoglio accresciuti dai dolori fisici e dalla
perdita della figlia, man- cata pochi mesi addietro (ma di ciò non si accenna
nella lettera): Ceterum deierare liquido possum, post tot turbas et corporis
animique vexationes, quas mihi pepererunt primum studia ipsa, quae radices
artium amarae sunt, deinde studiorum fructus, qui multo ipsis radicibus
amariores fuerunt, hoc tuo erga me studio nullum mihi maius solatium
contigisse. Passi come questo attestano l’alto livello della prosa latina di
Aggiunti: sottolineamo la naturalezza stilistica con cui l’immagine degli studi
co- me radici delle scienze – radici amare perché intrise di fatica – si tramu-
ti nel paradosso dei frutti più amari delle radici, paradosso in cui sono
adombrate le sofferenze e umiliazioni del processo e dell’abiura. Alle quali Galileo
reagisce con nuovi studi e la stesura delle Nuove scienze: Non tamen his
angustiis eliditur aut contrahitur animus, quo liberas viroque dignas
cogitationes semper agito, et ruris angustam hanc solitudinem, qua
circumcludor, tanquam mihi profuturam aequo animo fero. Filologie medievali e
moderne 23 | 19 69 Galileo in Europa, 57-70 Bianchi 4 • Volgare e
latino nel carteggio galileiano Bernegger fu sbalordito dall’eleganza di tale
lettera e non subodo- rò che non venisse dalla penna di Galileo; scrisse
infatti a Diodati: Valde me terruit ipsius [Galileo] epistola, longe tersissima
et elegantissima; quam elegantiam cum vel mediocriter assequi posse desperem,
verendum habeo ne magnus ille vir ingenii sui divini foetum in commodiorem
interpretem incidisse velit. Sed iacta est alea (EN 16, 176-7). Aggiunti morì
nel dicembre 1635. Meno interessanti le ultime tre lettere di cui dobbiamo
occuparci. Il 30 ottobre 1637 il dotto Ismaël Boulliau(d) (1605-1694)39 inviò a
Ga- lileo una copia del suo De natura lucis40 accompagnandola con una lettera
latina in cui si dichiarava amico di Gassendi e di Diodati (EN 17, 207-8) e in
cui annunciava l’imminente pubblicazione del Philolaus sive Dissertatio de vero
Systemate Mundi. È una missiva di ac- compagnamento, piuttosto breve e spedita
quanto a stile. La risposta di Galileo (1 gennaio 1638; EN 17, 245), pure in
latino, ha lo stesso te- nore: con un dettato puramente comunicativo informava
di aver già perso la vista e di non poter quindi formarsi un giudizio sulle
dimo- strazioni del De natura lucis che contengano figure; ha però apprez- zato
ciò che gli è stato letto e si interessa del Philolaus. Infine si scu- sa per
la brevità e sommarietà della risposta: Breviter admodum ac ieiune scribo,
praestantissime vir: plura enim scribere me non patitur molesta oculorum
valetudo. Quare me velim excusatum habeas. Una seconda lettera di Boulliau(d)
risale al 16 settembre 1639 (EN 18, 103): un puro accompagnamento all’invio del
Philolaus, con l’augurio retorico che utinam Deus, qui alligat contritiones
suorum, restituat oculorum lumen tibi ademptum, nobisque tale damnum resarciat,
ut ipse legas libellum, et rationum seriem sine alienorum oculorum opera
dispicias. La risposta latina del nostro, , è del tutto analoga alla precedente.
Ringrazia il corrispondente e apprezza quanto gli è stato letto, ma non potendo
vedere le figure non può giudicare bene. È latina, infine, una missiva di
Galileo agli Stati generali dei Pae- si Bassi, in cui chiede che sia esaminata
la sua proposta per il calcolo della longitudine in mare ligure. È una lettera
non retorica, per quanto contenga alcuni elementi topici come l’elogio del
destinatario: 39 40 Celsitudinum Vestrarum, qui per omnia maria et
terras celeberrimas suas peregrinationes et navigationes cum gloria maxima iam
instituerunt et quotidie porro instituunt, et commercia amplissima ubique
quotidie dilatant [...] (EN 16, 469). Su di lui vedi Beaulieu 1984, 377) e
Hockey et al. L’opera a stampa reca la data 1638; non sappiamo dire se
Boulliau(d) ne abbia inviato un esemplare (cui poi fu apposta una datazione
posteriore) o una copia manoscritta. Filologie medievali e moderne 23 | 19 70
Galileo in Europa, 57-70Galileo 291. HASDALE a GALILEO in Padova. Praga,
15 aprile 1610. Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 120. –
Autografa. mor mo Essendo un pezzo che disegnavo di ritornare in Italia, et
particolarmente a Padova et Venetia, più per godere quella gentilissima
conversatione di V. S. che per altro; et tanto più me ne cresce il desiderio,
quanto che veggo nuovi parti del suo felicissimo et divino ingegno. Delli quali
l'ultimo, intitolato Nuntius Sydereus, ha rapito ultimamente tutta questa Corte
in ammiratione et stupore, affaticandosi ogniuno di questi ambasciatori et
baroni di chiamare questi matemathici di qua per sentire se vi sanno fare
alcuna oppositione alle demostrationi di V. S. Però vanno procurando di havere
di quelli occhiali doppiii, per vederne l'esperienza. re re Io mi truovai, XII
giorni fa, a desinare dal Sig. Ambasciatore di Spagna, dove il Sig. Velsero
portò al detto Ambasciatore uno di questi libbri, mostrandogli molti luoghi
notabili di r quello libro. Il Sig. Ambasciatore mi domandò delle qualità di V.
S. Io gli risposi quello che potei, non già quanto V. S. merita. Mi disse che
voleva sentire l'openione del Kepplero(658) sopra questo libro, sì come credo
che habbia fatto chiamarlo. Ma io questa mattina ho havuta occasione di fare
amicitia stretta con il Kepplero, havendo egli et io mangiato con
l'Ambasciatore di Sassonia; et domattina siamo invitati da quel di Toscana,
dove io vado familiarmente di continuo, essendo quel Signor mio padrone
vecchio. Hora gli ho domandato quello che gli pare di quel libro et di V. S. Mi
ha risposto che sono molti anni che ha prattica con V. S. per via di lettere,
et che realmente non conosce maggiore huomo di V. S. in questa professione, nè
manco ha conosciuto; et che con tutto che il Tichone fosse tenuto per
grandissimo, nondimeno che V. S. l'avanzava di gran lunga. Quanto poi a questo
libro, dice che veramente ella ha mostrata la divinità del suo ingegno; però,
che ella viene havere data qualche occasione non solo alla natione Todesca, ma
anco alla propria, non havendo fattone mentione alcuna di quegli autori che le hanno accennato
et porta occasione di investigare quello che hora ha truovato, nominando fra
questi Giordano Bruno per Italiano, et il Copernico et sè medesimo, professando
di havere accennato simili cose (però senza pruova, come V. S., et senza
demostrationi): et haveva portato seco il suo libro, per mostrar allo
Ambasciatore Sassone il luogo. Ma in quello ch’eramo in questi ragionamenti, è
sopragionto un estraordinario di Sassonia al detto Ambasciatore, che ha
disturbata la conversatione. Ma domattina, piacendo a Dio, ci rivederemo, che
senz'altro porterà il medesimo suo libro con quello di V. S., come ha fatto
hoggi, per mostrarlo all'Ambasciatore di Toscana. Seppi poi la morte del Cl.mo
nostro Sig.r Cornaro(661), con mio grandissimo dispiacere, che me mo Vostro
Aff. Fratello lo Michelag. Galilei. De Kepplero non havendo fattione
mentione. Tra accennato e et si legge, cancellato, quelle cose. – Un LORENZO di
CORNARO era morto (Necrologio Nobili, nell'Archivio di 252 r lo scrisse
il S. Ottavio Pamfilio, quale desidero sapere se si truova ancora costì, perchè
gli vorrei scrivere. Et la prego, havendo occasione, di fare un cordialissimo
baciamano al Padre Maestro Paolo et Padre Maestro Fulgentio(662), suo compagno,
et che spero fra alcuni mesi lasciarmi rivedere con qualche carico. Con che
fine le bacio le mani. Di Praga, Di V.
S. Ecc. ma re mo Serv. Devot. Martino Hasdale. Io mando questa per via
dell'Ambasciatore di Venetia. Mi ricordo degli suoi melloni Turcheschi. mor mo
Fuori: All'Ecc. Sig. P.rone Oss. r Il Sig. Gallileo Gallilei, Mattematico di
Padova.Galilei. Galilei. Keywords: “the sun rises in the east” “the sun sets in
the west” “you’re the cream in my coffee” ‘disimplicature’ -- esperienza,
observazione, visione, nature, aristotele, filosofia naturale, fisis, natura,
interpretazione, semiotica, segno naturale, il padre di Galileo – Some like
Galileo Galilei, but Vincenzo Galilei is MY man” – Galileo e Bruno, lizio,
lizii. Refs: Luigi Speranza, “Galileo, Grice e il saggiatore,” The
Swimming-Pool Library, Villa Grice. Galilei.
Grice e Galimberti: la ragione conversazionale, l’implicatura
converszionale, e l’imaginario sessuale – filosofia italiana – Luigi Speranza (Monza). Filosofo. Grice: “I like Galimberti: he has
philosophised on amore, amicus, amicizia – all topics of my interest – while I
am into vyse, he is into the seven capital vyses! He also has spoken about
speech: the ‘parole nomade,’ and the ‘equivoci’ of the ‘anima.’ – In general
his philosophy is about nihilism and the idea of man in the age of ‘techne’
(ars).” Il suo maggior contributo riguarda lo
studio del inconscio e il simbolo (contractio), inteso come la base primeva e più
autentica dell’uomo – ‘logica simbolica’. Nasce a Monza, la mamma maestra
di elementari e il padre deceduto. Le necessità della famiglia l’obbligano a
lavorare. Frequenta le scuole superiori in seminario. Terminati gli studi
liceali classici, si iscrive al corso di
laurea in Filosofia a Milano. Si laurea quindi con Emanuele Severino con lode,
con “La logica di Jaspers”. Fra i suoi maestri, anche Bontadini. Studia
fenomenologia del corpo con Borgna a Novara. Insegna a Monza e Venezia. Studia
con Trevi.“E se "filo-sofo" non volesse dire "amante del
sagio" ma "saagio dell'amore", così come "teo-logo"
vuol dire dotto *su* Dio e non ‘parola di Dio’, o come "metro-logo"
vuol dire scienzato delle misure e non misura della scienza?” “Perché per la
forma greca ‘filo-sofo’ questa *inversione* della morfologia nella implicatura?
Perché il filosofo greco si struttura come un logico che formalizza il reale,
sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nell’academia, dove, tra
iniziati, si trasmette da maestro a discepolo quesso che lo face un ‘sagio,” e
che non ha nessun impatto sull'esistenza e sul modo di condurla. E per questo
cheda Socrate, che indica come la sua condotta "l'esercizio di morte",
ad Heidegger, che tanto insiste sull' “essere-per-la-morte”, il filosofo si e
innamorato più del saper morire che del saper vivere. Al centro della sua
riflessione sta il corpori degli uomini, che, in un mondo sempre più dominato
dalla tecnica, si sentono un "mezzo" nell'"universo dei
mezzi", riuscendogli sempre più difficile trovare e dare un senso alla sua
vita, alla sua esistenza. Si deve trovare un senso al radicale disagio, alla
tragicità del suo esistere, anche attraverso il recupero dell'ideale antico
greco-romano, evitando mitologie. Il suo maggior contributo consiste nel
porre la dimensione del simbolo (coniactum – the idea is that you throw two
things together so that the recipient may compare them, one becomes the
‘symbol’ – coniactum – of the other – cf. Grice on Peirce on symbol) alla base
primordiale della ragione conversazionale, che ha inteso ordinare il simbolo
(mito, no logos) – dunque l’ambilavenza delle cose ma non l’equivalenza
generale di significati. Il simbolo (coniactum) è il sustratto pre-razionale.
Rappresenta un caos originario che ragione tenta di arginare. Siamo razionali
(apolineo) per difenderci dal simbolo dionisiaco. Il concetto fondamentale del
simbolo non è l’equi-valenza generale, ma l’ambi-valenza. Riprende Freud e Jung,
fondendone con Nietzsche, Severino e Heidegger. Importante è stato il costante
riferimento a Husserl e Jaspers. Il filosofo cerca la “comprensione”
(verstaendnis – cf.. Grice on ‘understand’ – ‘understanding,’ literally, slang
for a leg) e non la spiegazione (verklaerung) del comportamento umano. La psicologia
filosofica o rationale (l’anima di Aristotele) non può operare una
trasposizione tout-court dei metodi e dei modelli concettuali delle scienze
naturali perché, così facendo, l'uomo verrebbe ridotto a mero evento naturale,
fisico, come ha luogo, per esempio, in psichiatria. Contrario, poi, al
dualismo di Cartesio, Galimberti ha anche fatto riferimento al metodo
fenomenologico e al funzionalismo per consentire altresì, alla psicologia
filosofica o rationale, la comprensione e la descrizione fenomenologica di
quelle strette relazioni che intercedono fra nostri corpori assieme al
significato che queste relazioni comportano. E e tutto ciò lo porterà ad
abolire, di conseguenza, ogni distinzione concettuale fra ”salute“ e
”malattia.” Insiste sull'inconsistenza della contrapposizione tutta occidentale
fra scienza e fede – fiducia -- individuando come questa seconda – la fiducia,
cf. English ‘trust,’ truth’ -- sia in realtà l'elemento fondativo dell'intera
coscienza occidentale, all'interno anche della scienza e della tecnica. Scienza
e fede non dovrebbero mai confliggere, è importante che nessuna delle due
invada il campo dell'altra. Tematizza innanzitutto il passo della Genesi
in cui Adamo è definito "dominatore della Terra, sui pesci dei mari e
sugli uccelli del cielo", collocando l'uomo in una posizione privilegiata
rispetto agli animali e la Natura in sé e legittimandolo a operare su di essi
per alimentare la propria esistenza. In quanto il progresso è l'affermazione di
questo primato umano, la tecnica (Greco techne, Latino, ars) è indubbiamente
l'ipostasi che sigilla costantemente quest'affermazione sull'indifferenza
naturale. La coscienza della techne (Latin ‘ars’) tecnica è formulata come una
risposta alle fatiche naturali, si appellerebbe, dunque, a una condizione
strutturale di eminenza consegnata da Dio e propugnata dalla persistenza di un
animale sui generis. Riconosce la cristianità come il carattere di una
scansione temporale che identifica il passato come spazio del peccato, il
presente dell'espiazione, il futuro della redenzione e salvezza. Questo
semplice modello triadico ha una ricorrenza quasi ossessiva nelle forme
occidentali, fra le quali la medicina (malattia, diagnosi, cura), psicoanalisi
(disturbo, terapia, guarigione), scienza (ignoranza, sperimentazione,
scoperta). La triade è il "coefficiente a-storico" necessario a
profilare la possibilità di un progresso, che si esercita eminentemente nello
scenario tecnico. Qui, l'uomo che soccombe alle fatiche naturali della
sopravvivenza, del parto e del lavoro (così come minacciato nella Bibbia) ha
modo di riscattare la propria difficoltà attraverso mezzi che ne purificano
endemicamente l'opera, al costo di un esaurimento delle risorse naturali. Ma,
in fondo, la loro esistenza è preposta a questo. Non si definisce né
"credente" (in senso cattolico) né "non-credente", ma
"greco-romano", nel senso di colui che vuole recuperare la visione del
mondo della civiltà greco-romana, in modo nietzschiano e heideggeriano (si veda
anche Il detto di Anassimandro, un noto saggio di Heidegger sul pensiero greco
arcaico), fondendola però con la pur antitetica visione cristiana: la morte e
la vita vanno pertanto prese sul serio, e non minimizzate pensando a un'altra
vita ultraterrena. La ragione è importante perché, come nel detto "Conosci
te stesso", fornisce all'uomo il senso del proprio limite. Approfondisce
molto la tematica del concetto di tempo e del suo rapporto con l'uomo. La sua
indagine evidenzia come nell'età degli antichi – eta greco-romana, eta classica
-- non si pensasse al tempo come lineare ed escatologico, tanto meno vi era
associata l'idea di progresso. Essi concepivano l'essere come kyklos (tempo
ciclico, l’eterno ritorno di Nietzsche), come un ciclo in cui ogni evento è
destinato a ripetersi. Nella filosofia greco-romana antica era impensabile che
l'uomo potesse esercitare un controllo sul cosmo, o di imporre su di esso i
propri fini. La dimensione dell'uomo era inserita armonicamente all'interno dei
cicli naturali che si susseguivano necessariamente e senza alcuno scopo. Nel
ciclo infatti il fine (in greco telos) viene a coincidere con la fine e la
forza propulsiva (in greco energheia, actus) porta all'attuazione dell’ergon,
l'opera, ciò che è compiuto. Il ciclo si manifesta dunque con l'esplicitarsi
dell'implicito.Il seme diventerà frutto solo alla fine del ciclo di crescita e
maturazione stagionale, e il frutto coinciderà con il fine del seme, con il
dispiegarsi completo dell'energia e delle potenzialità implicitamente contenute
in esso. Nel ciclo, in cui tutto si ripete, non si dà progresso: di conseguenza
divengono fondamentali la memoria dei cicli passati e quindi la parola dei
vecchi, deposito di esperienza, e l'educazione, come trasmissione della memoria
e dell'esperienza passata. Tuttavia, l'uomo è da sempre tentato di conciliare
il tempo ciclico della natura con il tempo umano, che è un tempo “scopico” (dal
greco skopein, che indica un guardare mirato). Con questa operazione l'uomo
vuole reintrodurre scopi umani nel tempo naturale, naturalmente privo di scopi.
Emerge qui dunque la necessità propriamente umana di progettarsi, cioè di
gettarsi-fuori di sé verso un obiettivo, cercando di dotare di senso la propria
esistenza. Questa tendenza tuttavia, può armonizzarsi con il “kyklos” solo se
l'uomo vive con la consapevolezza tragica di non poter oltrepassare i limiti
posti dalla natura, primo tra tutti la sua mortalità. In caso contrario, egli
si macchierà di hybris (superbia), la tracotanza, l'unico vero peccato riconosciuto
dalla saggezza greco-romana.In termini esemplificativi, il cacciatore esercita
il suo guardare mirato nel bosco (skopos) e solo in questo tempo progettuale e
nella compresenza di mezzi e fini, il suo arco diventa strumento e la lepre
l'obiettivo. Si tratta di un tempo lineare che si muove tra due estremi: i
mezzi e i fini (la ragione come phronesis or prudentia).V'è tuttavia un elemento
che si inserisce tra questi termini, impossibile da controllare, ovvero il kairos,
il tempo opportuno, che è anche imprevedibilità, e che può determinare o meno
l'incontro tra mezzi e fini. Non è dunque nelle possibilità dell'uomo il
tessere il proprio destino. Egli deve saper cogliere il kairos, la circostanza
favorevole, e in essa espandere sé stesso. Questo equilibrio tra tempo
naturale, umano e del kairos è stato sconvolto dall'uomo nell'età della
tecnica: obiettivo di quest'ultima è infatti quello di ridurre fino ad
annullare la distanza tra mezzi e scopi (in cui si inseriva il kairos,
l'imprevedibile) per realizzare così un controllo e un dominio assoluti sul
mondo, che da cosmo a cui accordarsi è divenuto natura da dominare, e per
portare a compimento una tirannia completa del tempo umano. Con l'età della
tecnica abbiamo scatenato il Prometeo che gli dèi avevano incatenato,
determinando il trionfo del potere della techne sulla necessità (in greco
ananke) della natura, fino alla paradossale situazione in cui la tecnica non è
più strumento nelle mani dell'uomo ma è l'uomo a trovarsi nella condizione
di mero ingranaggio, funzionario inconsapevole dell'apparato tecnico. Riflettendo
sulle modalità in cui l'uomo abita il mondo, approfondisce il concetto di
‘corpori.’ Studiando genealogicamente il concetto di corpo dal periodo romano
antico – quale e la etimologia di corpo? Quella di Platone e terribile: soma
sema -- mette in contrasto le diverse
modalità in cui esso è stato osservato. I corpori – corpus romano, pl. corpora
– corpore -- sono visto come organismi da sanare per la scienza, come forza
lavoro da impiegare per l'economia (body-abled man), come carne da redimere per
la religione, come inconscio (id) da liberare per la psicoanalisi, come
supporto di segni (semiotica corporale – la semiotica dei corpi) -- da trasmettere
per la sociologia – un segno e un medio fisico – l’immagine e percipita per un
corpo – un corpo mittente – un corpo che recive il messagio – semiotica fisica.
L'uomo e capace di cappire significatum ambi-valente (uno senso Fregeiano e una
implicatura – “He is a fine friend +> He is a scoundrel). Questo
significatum ambivalente e fluttuante e quello che il corpo ha da sempre
assunto. Questa ambivalenza del segno fra corpo 1 e corpo 2 nasce dal suo
sottrarsi all'uni-vocità (or aequi-vocita – or aequi-segno) di una teoria
psicologica categorizzante, concedendosi invece una “con-fusione” de un codex
di senso fregiano e un codex di implicatura, con i quali i corpori sono costituito.
Per salvarsi di un panico creato da questa ambivalenza (significatum fregeano,
significatum griceianum), si sigue il principio d'identità, collocando i corpori
di volta in volta sotto un equi-valente generico che gli garantisse uni-vocità
o aequi-vocita (quando l’implicatura e cancellata). Cogliendo lo sfondo in cui
i corpori si mostrano, si evidenzia la legge fondamentale che lo governa,
ovvero lo “scambio” (o ‘con-versazione’) simbolica – il simbolo e il
significatum griceiano -- in cui tutto è re-versibile e non vi è demarcazione
tra significati – questo che Grice chiama la ‘indeterminazione disgiontiva
infinita: il corpo significa che p1 o p2 o p3 o … L'ambivalenza del segno è una
legge inclusiva per cui ciò che è, è sì sé stesso (principio d’identita), ma
anche altro da sé (principio della negazione – diaphoron). In questo modo i corpori conservano la sua
oscillazione simbolica tra vita e morte: oscillazione che non posse eliminarsi
tracciando una violenta disgiunzione tra vita e morte, tra ciò che è (l’ente,
il ‘being’ di Grice) e ciò che non è (vide Grice, “Negazione e privazione).Proposito
conclusive è quello non tanto di emancipare o liberare i corpori dalla
restrizione impostagli dal senso apolineo fregeiano (che non avrebbe altro
effetto che confermare i limiti in cui i due corpori sono reclusi), bensì
quello di restituire i corpori alla sua originaria innocenza. Si è sempre
schierato su posizioni fortemente anticapitaliste, esprimendosi e professandosi
inequivocabilmente comunista. è stato ufficialmente richiamato da Venezia a
volersi attenere alle corrette regole di citazione degli scritti di altri
autori. Questo per aver riportato alcuni brani di altri autori senza citarli
in. Tutto ha avuto inizio quando in seguito a un articolo de Il Giornale è emerso
che aveva copiato "una decina di brani" di Sissa per un saggio. Ha
ammesso di aver violato il diritto d'autore riservandosi di riparare al danno. Ciò
non ha comunque soddisfatto Sissa perché “quello non chiedere scusa, piuttosto
un cercare delle scuse, un patetico arrampicarsi sugli specchi. Con il passare
del tempo sono emersi altri precedenti analoghi. Infatti anche per il saggio su
Heidegger, copia Zingari. I due arrivarono a un accordo che prevedeva
l'ammissione da parte di Galimberti dell'indebita appropriazione intellettuale
nelle successive edizioni del libro e da parte di Zingari l'impegno "a non
tornare più sulla questione". Oltre a Sissa e Zingari sono stati copiati
testi di Cresti, Natoli e Bradatan. Per difendersi, dice che "in ogni ri-elaborazione
però, c'è uno scatto di novità". L'inchiesta giornalistica de Il Giornale ha
accertato che due dei saggi, presentati al concorso a Venezia erano stati
copiati da altri autori. La commissione giudicante composta all'epoca non si
accorse del fatto. Il rettore ha detto che "non ho, ora come ora, estremi
per sollecitare il ministero, deve essere un professore del raggruppamento a
farlo. Di mio posso dire che in ambito umanistico si producono troppi testi e
che questo è uno dei fattori che causano l'impossibilità di fare controlli
accurati. Nello specifico, secondo me dovrebbe essere Galimberti, nel suo
interesse, a chiedere la convocazione di un giurì o comunque a rispondere e a
specificare le sue posizioni.”Nel giugno
la rivista L'indice dei libri del mese ha pubblicato nel proprio sito un
lungo articolo su altri copia-incolla. In particolare il saggio sul mito è
stato indicato come costituito al 75% da un "riciclaggio" di suoi
scritti precedenti, per il restante 25%, una ristesura di intere frasi e
paragrafi, presi da altri autori, quasi identici agli originali. Le accuse
mosse a Galimberti sono poi diventate un saggio, “La mistificazione
intellettuale (Coniglio Editore, ), in Bucci, elenca i nomi dei pensatori da
cui avrebbe tratto parti di testi senza citare la fonte. Vattimo ha dichiarato
al Corriere della Sera: «si scrive anche a distanza d'anni dalla lettura; la
spiegazione è plausibile. Lui cita l'autore la prima volta; poi ci mette quelle
frasi che ricorda anche senza virgolettarle. Il sapere umanistico è retorico.
Noi si lavora su altri testi, si commenta. Platone e Aristotele sono stati
saccheggiati da tutti. Nella filosofia è tutto un glossare. C'è chi copia dagli
altri e chi da sé stesso».Altre opere: ROMA SERMO ROMANVM -- Milano, Mursia). Agire
(Milano, Apogeo); Amore. Assisi,
Cittadella Editrice,.Tra il dire e il fare. – dire e una forma di fare -- Il viandante della filosofia, con Marco
Alloni, Roma, Aliberti,.Parole d'ordine, Milano, Apogeo,. Amore. Milano, AlboVersorio. Amante, amato,
amico --” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,. “Il bello” Napoli-Nocera Inferiore (SA), Orthotes,.
Eros e follia, Mariapia Greco, Lecce, Milella Editore. Fenomenologia del corpo,
Milano, Feltrinelli – cf. Grice on ‘body’ – in “Personal Identity” “I fell from
the stairs” -- Dall'inconscio al simbolo, Milano, Feltrinelli, 2“Equivoci” (Milano,
Feltrinelli); Parole nomadi, Milano, Feltrinelli; I vizi capitali e i nuovi
vizi, Milano, Feltrinelli. Amore, Milano, Feltrinelli. Treccani. Umberto
Galimberti, nato a Monza, è stato professore incaricato di Antropologia
Culturale e dal 1983 professore associato di Filosofia della Storia. Professore
ordinario all'università Ca' Foscari di Venezia, titolare della cattedra di
Filosofia della Storia. Titolo opera: Le cose dell'amore. Il libro è di:
saggistica, cioè appartiene al genere letterario dei saggi. Sommario: Riassunto
per capitoli: “Amore e trascendenza”: La metafora di Dio è sempre stata
collegata alla metafora dell'amore, nel senso che senza la presenza della
trascendenza, cioè che è al di là dei limiti di ogni conoscenza possibile e
quindi superiore alla ragione umana, l'amore perde la sua forza e la sua
capacità di leggere il mondo. Rimane un enigma dove l'amore vede in Dio la sua
trascendenza, e Dio vede nell'amore la sua natura,e questo intreccio non
presenta sentimentalismi ma solo il nesso tra amore e trascendenza. I “Amore e
sacralità”: La sacralità è dovuta dal desiderio dell'uomo di immortalità
e quindi dal desiderio di conservare la sopravvivenza dell'individuo e della
totalità dell'essere. Oltre al sacrificio, un altro modo di sperimentare la
morte della propria individualità è l'orgasmo, l'apice della vita sessuale,
durante il quale l'Io e il Tu si dissolvono, e ciò è reso possibile dalla
fiducia reciproca. “Amore e sessualità”:
Il sesso non è qualcosa di cui l'Io dispone, ma è qualcosa che dispone
l'Io, aprendolo così alla crisi. Nella sessualità, la meta non è il
godimento dell'Io, ma il suo perdersi negli abissi dell'anima, i quali si pensa
siano rimasti disabitati, e che invece possono riapparire durante quel
rinnovamento della vita a cui l'Io cede ogni volta che ha un rapporto sessuale
e quindi nesso con l'altra parte di sé. “Amore e perversione”: La perversione è
sempre stata giudicata negativamente, perché concepita come sinonimo di
devianza, degrado, ribrezzo e ripugnanza. Il perverso non cerca la
trasgressione, ma la sua aspirazione è di raggiungere uno stato dove è
soppressa ogni nozione di organizzazione, struttura, separazione e dl'universo
di differenze da cui prende avvio ogni principio d'ordine. Il godimento del
perverso non deriva dalla sessualità, ma dalla sessualità portata a quel limite
oltre il quale c'è l'incontro con la morte. “Amore e solitudine”: La
mitologia greca aveva divinizzato la masturbazione, perché era
espressione di autosufficienza e indipendenza dagli altri. Ma questo atto venne
condannato, nell'età dei Lumi, dalla scienza medica e dall'economia: la prima
sosteneva che essa provocava malattie, mentre la seconda affermava che era uno
spreco. Osservando invece il fenomeno della masturbazione da un'ottica diversa
da queste due discipline, questo "vizio dell'adolescente" non appare
come un qualcosa da combattere, ma un qualcosa su cui fare leva per integrare
gradualmente la sessualità. "Amore e denaro": La prostituzione
è uno scambio di sesso e denaro che caratterizza il regime sessuale della
nostra società, e che viene alimentato da un desiderio di rapido miglioramento
delle proprie condizioni economiche. Infatti, di fronte al denaro tutto diventa
merce: quando un uomo paga una donna, non le riconosce alcuna interiorità sua
propria, arrivando a considerarla più come un "genere" che come
"individuo". "Amore e
desiderio": L'amore è un'illusione di stabilità emotiva. Questo sentimento
necessita novità, mistero e pericolo, ma deve saper combattere il tempo, la
quotidianità e la familiarità. infatti, la ricerca della sicurezza e
della stabilità porta l'amore al suo degrado, perché così facendo essa non
prevede l'avventura, la tensione e il senso del rischio che alimentano la
passione. "Amore e idealizzazione": La percezione della realtà è una
costruzione attiva, dove l'immaginazione, la fantasia, il desiderio, di cui
l'idealizzazione amorosa è una figura, intervengono a trasfigurare i dati della
realtà. Da ciò si deduce che l'oggettività è un'ideale impossibile, e infatti
la convinzione di conoscere l'altro in modo oggettivo è una delle tante
illusioni create dalla passione per evitare la delusione. "Amore e seduzione": Nella vita
quotidiana, la trasparenza riesce ad allargare l'orizzonte e lo scenario
dischiuso dall'immaginazione. Infatti il desiderio si trova in ogni fessura
della realtà che lascia trasparire un'ulteriore senso: quello dell'irreale e
de-reale. Il corpo dell'altro diviene così uno specchio che riflette il nostro
desiderio, e questo corpo non deve essere mai nudo, perché la seduzione si
esprime attraverso le vesti, gli accessori, i gesti, la musica. "Amore e pudore": L'amore prevede che
ad amare e ad essere amato sia il nostro Io, una delle due soggettività
presenti in ogni individuo e che, contro la sessualità generica, impone
la barriera del pudore. Essa però non limita la sessualità ma la
individua, sottraendola a quella genericità in cui si celebra il piacere senza
riconoscere l'individualità. E' importante sottolineare che il pudore non è un
sentimento esclusivamente sessuale, ma ha anche una valenza sociale che si pone
alla difesa dell'individuo contro la pubblicizzazione del privato. "Amore e gelosia": Nella nostra
società, dove la sussistenza dipende sempre meno dalla solidità dei vincoli
familiari, la gelosia è vista come un sentimento arretrato che ostacola
la libertà e la sincerità dei singoli. Essa, cha affonda le sue radici
nell'infanzia non per la progressiva rinuncia da parte del bambino al
possesso esclusivo del padre o della madre, ma perché durante questo periodo
chiunque ha provato sentimenti come la solitudine e la paura di essere
abbandonati, altera la percezione, l'attenzione, la memoria, il pensiero e il
comportamento. Per avere controllo su questo potente stato d'animo, bisogna
separare progressivamente l'amore dalla ossessività, cioè civilizzarla.
"Amore e tradimento": Il tradimento risiede nella fiducia originaria,
dove non c'è traccia neppure del sospetto, perché non sorgono ne
l'interrogazione ne il dubbio. Ma la scoperta di quest'ultimo segna la nascita
della coscienza, e questo atto è indicato dal tradimento. Sono presenti diverse
reazioni al tradimento: 1)la vendetta, che non emancipa l'anima ma la
irrigidisce; 2) la negazione, in cui l'individuo che ha subito una delusione
tenta di negare il valore dell'altro; 3) il cinismo, che fa credere che l'amore
sia sempre una delusione; 4) il tradimento di sé, che porta a tradire sé stessi
e le proprie esperienze emotive; la scelta paranoide, un atteggiamento legato
più alla sfera del potere che a quella dell'amore. "Amore e odio": L'odio è il
compagno inevitabile dell'amore, e la sopravvivenza di questo sentimento amoroso
non dipende tanto dalla capacità di evitare l'aggressività, che è il riflesso
dello stato di pericolo in cui si trova la persona che ama, quanto dalla
capacità di viverla e oltrepassarla. In amore, l'individuo può accettare la
dipendenza verso la persona amata, oppure per riscattarla trasforma la passione
amorosa in passione aggressiva, carica di odio, dove il messaggio finale è che
non si può fare a meno di questa persona.
"Amore e passione": A differenza dell'amore, la passione
non segue le regole, ignora il governo di sé, non conosce il limite e non
dipende da progetti. Per questo è possibile dire che l'amore è cristiano,
mentre la passione è pagana. La passione cerca rassicurazione, ma nello stesso
tempo vuole essere smentita, rifiutata e delusa, perché attribuisce
all'affetto, alla domesticità, all'amare e all'essere amato poca importanza.
Questo perché la passione conosce il destino e non lo scambio, in quanto
l'altro è considerato solo come materia per la sua creazione, ovvero la
fantasia, la quale si alimenta del dubbio e dell'incertezza. "Amore e
immedesimazione": L'alienazione nell'altro per amore di sé approda o
nell'assimilazione con la persona amata, che porta alla perdita della propria
identità, o nel possesso della persona amata, con la tendenza ad escluderla dal
mondo. Gli amanti chiamano amore questa reciproca immedesimazione, e questa
rinuncia di sé e della propria libertà non esprime solo un rapporto di
dipendenza, ma una vera e propria condizione di alienazione. Il mantenimento in
amore della propria autonomia non solo evita l'identificazione con la persona
amata, ma consente il recupero di se stesso.
"Amore e possesso": La passione, quando non approda
nell'immedesimazione con la persona amata, si indirizza verso il possesso, che
riduce le relazioni della persona amata, e in cui l'amante non ama propriamente
l'altro, ma solo il potere che esercita sull'altro. Dunque, chi ama per
possesso non si accontenta del possesso del corpo e del godimento sessuale che
ne deriva, ma pretende che la persona amata lasci per lui tutto il suo mondo, e
che lo ami non solo per la sua evidente identità, ma per le sue qualità
nascoste. Solo a questo punto il suo desiderio di possesso è soddisfatto ma,
con la sua soddisfazione, anche la sua passione si estingue, perché non era
amore per l'altro, ma era perverso amore di sé. "Amore e matrimonio":
La nostra società è caratterizzata dall'individualismo, in cui
l'individuo vive in base alla sua personale idea di felicità, senza più
subire l'influenza delle norme tradizionali. Attualmente, l'amore è slegato da
ogni riferimento sociale, giuridico e religioso, e si sta diffondendo la figura
de "l'uomo della passione", che attende dall'amore qualche
rivelazione su se stesso o sulla vita in generale. Da una parte quindi
l'amore-passione, che rappresenta l'evasione dal mondo per raggiungere in sogno
la felicità assoluta, dall'altra l'amoreazione che fonda il matrimonio, che non
evade dal mondo ma assume in esso il proprio impegno. "Amore e linguaggio":
L'amore utilizza le parole per dare espressione a ciò che la logica non sa
cogliere. Infatti, i paradossi del linguaggio dell'amore cercano di
infrangerla, perché la logica include la normalità e la quotidianità, mentre
l'amore vuole esprimere l'eccesso, l'insolito, e non può farlo se rispetta le
regole della ragionevolezza. Questo eccesso concede all'amore nuove libertà di
cui ha bisogno, perché essa nasce quando è totalizzante, e infatti il
linguaggio dell'eccesso pretende la totalità, dove odio e amore possono confluire
e passare l'uno nell'altro. "Amore e follia": L'amore è quasi sempre
stato considerato come un qualcosa posseduto dall'Io. Freud smentisce ciò
sostenendo che non esiste una ragione onnipotente che guida la volontà che
governa le ragioni, in quanto la psiche umana non è razionale. Fu Platone il
primo ad interessarsi alle regole della ragione e agli abissi della follia.
Egli con il termine follia indica un'esperienza dell'anima che sfugge a
qualsiasi tentativo che cerchi di fissarla e disporla in successione. B)
Tesi dell'autore: L'amore non può
esistere senza un raggio di trascendenza. C'è una profonda affinità tra il
sacrificio e l'atto d'amore. L'amore non rinnega il sesso e l'erotica. L'amore
deve sapere accettare anche la perversione.
La masturbazione è segno di solitudine. Con la prostituzione ciò che
si vuole comprare non è il sesso ma il potere su un altro essere umano.
E' importante saper conciliare il bisogno di sicurezza (l'amore) e il desiderio
di avventura (la passione). L'idealizzazione amorosa influenza la nostra
percezione della realtà. La vera
seduzione è possibile solo quando il corpo non si riduce a quel significato
univoco che è il sesso. Il pudore è quel
sentimento che difende l'individuo dall'angoscia di perdersi nella genericità
animale. La gelosia è il rovescio della
passione, dell'intimità e della dedizione che caratterizzano l'amore. Il tradimento è il lato oscuro dell'amore,
che però è ciò che gli conferisce il suo significato e che lo rende
possibile. L'odio è il compagno inevitabile
dell'amore, perché esso è la risposta a quella minaccia che è l'amore. A
differenza dell'amore, la passione non conosce limite e regole. L'amore non prevede la rinuncia di sé. L'amore come passione è il desiderio di
potenza assoluta su di una persona. Il matrimonio non è supportato da alcuna
buona ragione, perché nelle cose dell'amore la ragione non ha gran voce in
capitolo. L'amore si affida al linguaggio per esprimere l'intreccio della
nostra anima. L'amore è un cedimento
dell'Io per liberare in parte la follia che lo abita. C) Impressioni riportate
nella lettura: A mio parere, il libro "Le cose dell'amore" è stato
molto coinvolgente per i temi trattati: l'autore, grazie alla sua esperienza di
vita e alla sua abilità di scrivere che non è da sottovalutare in uno
scrittore, riesce a descrivere tutte le sfumature dell'amore senza cadere nella
banalità e nella monotonia, tendendo sempre accesa nel lettore la voglia di
proseguire la lettura. Ciò è favorito anche dal fatto che molti dei temi
affrontati si riscontrano nella vita quotidiana di ognuno di noi, cioè ci
riguardano da vicino perché fanno parte della società in cui viviamo: l'amore
legato al denaro, e quindi al fenomeno della prostituzione, che è un problema
diffuso in Italia; l'amore legato al pudore, un aspetto necessario per vivere
in comunità, che quindi ha una valenza sociale; l'amore legato alla gelosia, la
quale è vista come un sentimento che, in una società in cui sta avvenendo
l'emancipazione dell'individuo, ostacola la libertà e la sincerità dei singoli;
l'amore slegato dal matrimonio, in quanto nella nostra società si sta
diffondendo l'individualismo. Difficoltà incontrate nella lettura: Durante la
lettura del libro "Le cose dell'amore", ho riscontrato delle
difficoltà nella comprensione di alcune frasi o parole. In qualsiasi lettura è
fondamentale capire e interiorizzare tutto ciò che sta scorrendo sotto i nostri
occhi, e porsi delle domande per essere certi di aver appreso tutto in maniera
corretta. Se si tralascia anche un solo particolare perché non lo si riesce a
comprendere fino in fondo, andando avanti nella lettura si svilupperanno sempre
più problemi di condiscendenza. In questo libro ho riscontrato più di una
frase, o semplicemente delle parole, che hanno sollevato delle difficoltà nella
comprensione dei concetti-chiave. Ad esempio, prima di continuare lalettura mi
sono dovuta soffermare su parole di cui non conoscevo il significato e che
ostacolavano la mia interpretazione di questo testo, alcune delle quali sono:
ambivalenza, assedio, avvedutezza, dissoluzione, ineffabilità, millanteria,
parossismo, prevaricazione. In particolare, ho dovuto cercare informazioni
relative al significato di due parole, trascendenza e alienazione, perché
entrambe sono temi importanti affrontati. Era dunque necessario approfondire il
concetto contenuto in queste due espressioni per raggiungere l'obiettivo di
questa lettura: accrescere le nostre conoscenze. Inoltre ho avuto modo di
riflettere in modo più attento e accurato sul termine "immedesimazione",
che era già stato per me oggetto di studio in alcune discipline, ma non era mai
stato così legato alla quotidianità, così vicino al nostro ambiente di vita. In
conclusione, questo libro mi ha dato l'opportunità di ampliare il mio sapere, e
soprattutto mi ha dato l'occasione di approfondire il concetto di alcune
parole, elencate precedentemente, prima a me estranee. Scheda del libro
Introduzione: L’uomo, troppo spesso, tende a definire l’amore legandolo a
significati che, in realtà, non gli appartengono completamente.
Galimberti, attraverso un’attenta analisi, s’introduce all’interno del
sentimento più incomprensibile ed equivocato di tutti i tempi. Egli non
definisce l’amore, ma associa a questo i tanti falsi sinonimi che gli
vengono attribuiti, cercando di dimostrare che i termini non sono equivalenti
ma solo in relazione. Graficamente, dunque, l’amore e i falsi sinonimi
potrebbero essere rappresentati da due insiemi, con un’ampia parte
compenetrata, ma non sovrapposti. Il risultato evidente risulta
essere un passaggio dalla amore è… ad una più ricca ed attenta osservazione di
amore e… definizione abituale di Amore e... L’amore viene analizzato in
tutte i suoi aspetti, dalla trascendenza, sacralità alla perversione,
seduzione, denaro, dal pudore al tradimento, dall’immedesimazione,
possesso al matrimonio, dal linguaggio alla follia. Il sentimento più
oscuro sembra nascere da un incantesimo della fantasia che fa idealizzare in un
essere la persona amata e cessare con il tempo che, favorendo la realtà,
finisce col produrre una disillusione delle aspettative, trasformando la
passione, l'idealizzazione, iniziale in un affetto privo di partecipazione e
trasporto. Le conseguenze, talvolta, possono essere anche molto gravi tanto da
tramutare la passione in una patologia e sostituire ai poeti d'amore degli
psicologi. La vicenda divina è legata anche all'atto sessuale in cui l'uomo
trasgredisce, eccede, cadendo sotto il peso della passione che non rappresenta
solo uno smarrimento del desiderio e di se stesso ma anche un vero e proprio
patire. "il desiderio, per quel che ancora le parole significano, rimanda
alle stelle: de-sidera" (Le cose dell'amore, 1) Come scrive l'autore,
l'amore e la trascendenza vanno di pari passo e dal momento che il significato
della parola desiderio rimanda alle stelle, quando esso con il tempo si
estingue, non c'è più elevazione dell'anima che è in grado, trascendendosi, di
lasciarsi superare. L'amore e la trascendenza, dunque, sono legati non da un
rapporto reciproco, ma dal sentimento che viene sviluppato per le cose che non
è possibile possedere. Il saggio risulta essere molto interessante nelle
tematiche e negli accostamenti tra gli argomenti e permette, attraverso l'uso
di un linguaggio comune di poter essere compreso da diversi tipi di lettore,
trattando ,infatti, un tema senza età e senza la necessità di particolari
conoscenze umane o scientifiche permette a tutti di immedesimarsi, interrogarsi
ed interagire conil testo ed è proprio questa compenetrazione del lettore che
crea una polisemia di significati e sempre diverse chiavi di lettura sia da
altre persone sia dal tempo che muta le circostanze della vita. L'autore riesce
a non abbandonarsi mai in trattati banali o superficiali finendo in discorsi
pesanti ed inconsistenti ma inserisce diverse tonalità che mantengono viva la
curiosità e la voglia di proseguire la lettura. La contemporaneità in cui vive
gli permette di rapportare al testo l'esperienza personale, permettendo che
venga identificata o differenziata da quella altrui. Le tematiche attuali, lo
stile concreto e il narratore in cui è possibile identificarsi mostrano,
dunque, l'ottima riuscita del libro. "Amore non è solo vicenda di
corpi, ma traccia di una lacerazione, e quindi incessante ricerca di quella pienezza,
di cui ogni amplesso è memoria, tentativo, sconfitta." (Le cose
dell'amore, 19). conseguenza si tende ad innamorarsi solo delle persone
che la fantasia porta a sognare ed idealizzare e a cadere in depressione o nel
deprezzamento di se stessi se il sentimento non è ricambiato, poiché, senza
l'immaginazione, che influenza la percezione ed esalta la realtà il desiderio
di sicurezza potrebbe far cessare sul nascere l'amore per la paura di non
essere corrisposti. L'amore, tuttavia, nelle sue molteplici identificazioni ha
anche un lato oscuro, riconosciuto nel tradimento. Esso rappresenta sia il
dolore per fine della fiducia, che l'inizio dello sviluppo della coscienza,
infatti, solo chi si concede senza avere la sicurezza di non essere tradito può
provare il vero amore. La coscienza può, emancipandosi, portare al perdono e
decidere di passare oltre oppure può svilupparsi in vendetta, cinismo,
svalutazione o malattia, e dal momento che questa è la strada più percorsa
generalmente è bene che non si realizzi come pratica insincera ma come
reciproco riconoscimento, dove chi ha tradito non cerca scuse e chi ha subito
prende atto ed eventualmente accetta il cambiamento poiché tradire qualcuno,
qualsiasi sia il rapporto che lega, è già una possessione che inizia il processo
di arresto della propria crescita. L'amore e l'odio, invece, coesistono
perfettamente, poiché solo chi ama davvero sa odiare e solo chi odia veramente
è, in realtà, in grado di amare. Essi rivelando che, per vivere bene, non si
può fare a meno d'altre persone, sono i soli, unici e veri sentimenti.
"Amore, come Socrate ce lo ha descritto, non è tanto un rapporto con
l'altro, quanto una relazione con l'altra parte di noi stessi" l'amore e
le caratteristiche che gli vengono associate mettono in relazione l'uomo con la
parte folle del proprio essere da cui si era discostato nel tempo. " Ora
che vi ho detto tutto sull'amore, non crediate che io ne sappia più di voi: il
ragazzino, il bimbo appena nato ne sanno quanto me. L'unica differenza è che
lui, che non ha anni e ancor meno esperienza, crede ancora a ciò che lo
tormenta; mentre noi, che siamo carichi di anni e di esperienza, cerchiamo di
affidarci a essi per rendere meno dolorose le nostre illusioni. Eppure con
tutto ciò, sappiamo forse amare meglio di lui?" (M. Chebel "Il libro
delle seduzioni") Galimberti conclude la sua opera con questa breve
citazione, in essa è racchiuso, infatti, tutto il significato dell'amore. Un
sentimento inspiegabile che non è possibile conoscere né completamente né in modo
uguale o simile ad altre persone, una sensazione che gratifica i bambini,
poiché nella loro innocenza la vivono senza tormenti e ansietà pur conoscendola
come gli adulti. AMORE È... "l'amore è un fiore delizioso, ma bisogna
avere il coraggio di andarlo a cogliere sull'orlo di un abisso spaventoso"
(le cose dell'amore, 116 Ivi, 120) L'amore è il più importante tra tutti i
sentimenti, dal momento che è possibile associarlo a tutti gli altri. Esso è
difficile da trovare e spesso viene confuso con altri molto simili ma mai
uguali. Solo chi ha il coraggio di lottare, di sfidare, di mettersi in gioco,
di rischiare può ottenere il vero sentimento ricercato o in ogni caso non
vivere nell'illusione, riconoscendo i falsi sentimenti che cercano
continuamente di insidiare un posto che non appartiene a loro. La fatica di
condurre il "gioco" attraverso la strada se pur più reale, più
complicata porta ad una felicità certa e vera che permette di non patire grandi
sofferenze ma solo piccole illusioni riconoscendo che il male apparente non è
in realtà vero male così come ciò che si definisce generalmente come bene non
sempre è il vero bene. Nella Introduzione al suo celebre libro del 1983
Il corpo(Feltrinelli, Milano, pp. 11-16), Umberto Galimberti così si
esprimeva: È forse tempo che la psicologia incominci a pensarsi contro se
stesse a comprendersi al di là della sua nominazione idealistica che la propone
come «discorso sulla psiche, quindi su quell'unità ideale del soggetto che la
grecità ha promosso col termine ????, e a cui la psicologia non s'è ancora
sottratta neppure nella sua più moderna espressione scientifica. Ma
pensare contro non significa pensare l'opposto, mantenendosi su quel medesimo
terreno d opposizione in cui il conflitto, così come si genera, si riassorbe.
Pensare contro significa pensare fino in fondo, quindi andare alle radici,
scavando il fondo su cui si impianta il radicamento. Questa operazione
che rimuove la solidità delle radici, disloca la psicologia dal luogo che s'è
data, quindi la dis-orienta, la sottrae al suo oriente, alla sua origine
storica. Quest'origine è rintracciabile nella cultura greca e
precisamente in quel momento in cui la specificità dell'uomo è sottratta
all'ambivalenza delle sue espressioni corporee per essere riassunta in
quell'unità ideale, la psyche, che da Platone in poi, per tutto l'Occidente,
sarà il luogo del riconoscimento dell'unità del soggetto, della sua identità.
Ma questo luogo di identificazione contiene già il principio della
separazioneperché, come coscienza di sé, la psyche incomincia a pensare per sé,
e quindi a separarsi dalla propria corporeità. La prima operazione metafisica è
stata un'operazione psicologica. Nata con un significato semplicemente
classificatorio per designare quei libri aristotelici che erano collocati dopo
(µ?ta) i libri di fisica (t? f?s???), la «metafisica» ha guadagnato ben presto
e coerentemente un significato topico che designa un al di là della natura,
quindi una scienza dell'ultrasensibile che si differenzia dal mondo dei corpi
perché, contro il loro divenire e mutare, rappresenta l'immutabile e
l'eterno. L'idea platonica è il modello di questa separazione e
contrapposizione, e la psyche, essendo «amica delle idee, incomincerà a
considerare il corpo come suo carcere e sua tomba. Una volta che la
verità è posta come idea, l'opposizione tra ideale e sensibile , tra anima e
corpo, diventa l'opposizione tra vero e falso, tra bene e male. Valori logici e
valori morali nascono da questa contrapposizione che la metafisica ha creato e
la scienza moderna ha mantenuto, rivelando così la sua profonda radice
metafisica se è vero, come dice Nietzsche, che «la credenza fondamentale dei
metafisici è la credenza nelle antitesi dei valori». A questo punto per
la psicologia, pensarsi contro se stessa, pensarsi fino in fondo, fino al fondo
della sua origine storica, significa pensarsi contro questa antitesi di valori
che non la realtà, ma lo sguardo metafisico, con cui la psicologia ha generato
se stessa, ha instaurato. È uno sguardo che ancora ospita la psicologia come
residuato di quell'idealismo che, a partire da Socrate e Platone, ha percorso
l'Occidente come suo lungo errore. Da questo errore la filosofia si è
emancipata con Nietzsche che ha denunciato quel retro-mondo, quell'«al di là
inventato per meglio calunniare l'al di qua», ma non la psicologia, che così
rimane la più occidentale delle scienze e quindi la più metafisica, se per
metafisica intendiamo il pensiero della separazione, il puro d?a ß???e??,
da cui nascono quelle antitesi denunciate da Nietzsche e fedelmente riportate
dal discorso psicologico sulla norma, dove si disgiungono ragione e
follia. Fattasi carico della logica della separazione inaugurata dalla
disgiunzione platonica tra corporeo e ideale, la psicologia, se vuol essere
coerente a se stessa, non può parlare del corpo se non impropriamente, se non
per un'infedeltà al suo statuto scientifico, a meno che per corpo non intenda
l'idea di corpo che come scienza s'è data. Ma se il corpo anatomico, a cui
questa idea si riduce dopo che lo psichico è stato separato e autonomizzato,
non è luogo in cui la psicologia si riconosce, allora del corpo la psicologia
potrà parlare propriamente solo se si pronuncia contro se stessa, contro lo
statuto della separazione, che è poi quell'origine metafisica da cui la
psicologia è nata, ha fondato se stessa come scienza, e ancora si
conserva. Come luogo della revisione psicologica, il corpo parla
simbolicamente, non nel senso in cui la psicoanalisi parla dei simboli per
ribadire un'altra separazione, quella tra conscio e inconscio, dove
nell'inconscio si ritrova il rovescio dell'iperuranio platonico, il 'vero'
significato di ciò che si manifesta, ma nel senso di abolire la barra che ha
separato l'anima dal corpo inaugurando la 'psico-logia'. Abolire la barra significa
mettere assieme, s?µ-ß???e??. Proponendosi come simbolo, il corpo abolisce la
psicologia come storicamente s'è pensata in Occidente, la sradica dalle
sue radici storiche, che sono poi quelle metafisiche e idealistiche, e così la
costringe a pensarsi contro se stessa. Questo pensiero che è contro,
perché pensa fino in fondo, fino alle radici, incontra la corporeità che, nel
suo sorgere immotivato e nel suo ambivalente apparire, dice di essere questo,
ma anche quello. L'ambivalenza così dischiusa non è ambiguità, ma è
quell'apertura di senso a partire dalla quale anche la ragione può fissare
l'opposizione dei suoi significati ,e quindi quell'antitesi dei valori in cui
si articola la sua logica disgiuntiva quando divide il vero dal falso, il bene
dal male, il bello dal brutto, Dio dal mondo, lo spirito dalla materia, l'anima
dal corpo. Queste opposizioni sopprimono l'ambivalenza (?µf?) con cui la
realtà corporea originariamente appare nel suo duplice aspetto, come un Giano
bifronte, per instaurare quella bivalenza (bis) dove il positivo e il negativo
si rispecchiano producendo quella realtà immaginaria da cui traggono origine
tutte le «speculazioni». Diciamo immaginaria perché la realtà non può mai di
per sé essere negativa se non per effetto di una valutazione. Ma se il negativo
è da interpretare semplicemente come il «valutato negativamente», allora la
negatività attiene essenzialmente al giudizio di valore. Proponendosi come
questo, ma anche quello, il corpo, come significato fluttuante, che si concede
a tutti i giudizi di valore, ma anche si sottrae, con la sua ambivalenza li fa
tutti oscillare. Luogo e non-luogo del discorso, esso opera quel taglio
geologico nella storia che ne rivela tutte le stratificazioni. Da centro di
irradiazione simbolica nella comunità primitiva, il corpo, infatti, è diventato
in Occidente «il negativo di ogni valore» che il gioco dialettico delle
opposizioni è andato accumulando. Dalla «follia» del corpo di Platone alla
«maledizione della carne» nella religione biblica, dalla «lacerazione»
cartesiana della sua unità alla sua «anatomia» ad opera della scienza, il corpo
vede proseguire la sua storia con la sua riduzione a «forza-lavoro»
nell'economia dove più evidente è l'accumulo del valore nel segno
dell'equivalenza generale, ma dove anche più aperta diventa la sfida del corpo
sul registro dell'ambivalenza. Qui «sfida» non significa che il corpo si
oppone a qualcosa o a qualcuno, ma semplicemente che non si affida a una
pienezza di senso e di valore, non perché abbia obiezioni o riserve che
qualsiasi discorso sarebbe in grado di recuperare o di assorbire, ma perché
quella pienezza di senso e di valore è cresciuta sulla sua negazione che, se da
un lato ha lasciato il corpo senza senso, senza nome, senza identità,
dall'altro gli ha dato la possibilità di diventare il contro-senso, colui che
dissolve il Nome e risolve l'identità nelle sue adiacenze: A enon A, perché
questo è il gioco dell'ambivalenza simbolica, e insieme la strada con cui il
corpo può recuperarsi dalle divisioni disgiuntive in cui la struttura
metafisica del sapere psicologico l'ha confinato. Questo recupero è
possibile perché il gioco dell'ambivalenza è aperto prima che il sapere
metafisico fissi le regole del gioco, ma proprio perché le regole vengono dopo,
questo gioco è imprevedibile, perché nessuna determinazione posta in gioco
conosce la sua destinazione. L'unica certezza è quella che non ci si può
sottrarre alla necessità del gioco, non si può dire l'ultima parola sul gioco e
fermarlo per sempre. Per la sua natura ambivalente, infatti, il corpo è
una riserva infinita di segni, entro cui lo stesso sapere psicologico, che ha
individuato nella psyche lo specifico dell'uomo, diventa a sua volta un segno,
una modalità di ricognizione che non può pretendere di dire qual è il senso
ultimo del corpo. Qui il corpo si cela non perché nasconde se stesso, ma perché
in esso i segni sovrabbondano sulle capacità che il sapere psicologico ha di
ordinarli. Il volume di senso indotto dai segni del copro prevale infatti sulla
costituzione dei significati istituiti dalla rappresentazione che il sapere
psicologico s'è fatto. Si tratta allora di demolire la semplicità della
rappresentazione psicologica dissolvendola nella pluralità di senso che la
sovrabbondanza dei segni produce. Se ciò non accade, se la psicologia non
si pensa contro la rappresentazione che si è data a partire da quell'alba greca
in cui ha preso avvio l'autonomizzazione della psyche, la psicologia non
giungerà mai alla comprensione dell'espressività originaria del corpo, ma sarà
costretta ad errare, perché ignora l'errore che è alla base della sua
fondazione epistemica, della sua nascita come scienza. Si tratta di un
errore che non investe solo il sapere psicologico ma ogni sapere razionale
quando, sottraendosi alla polisemia della realtà corporea, si afferma come
asserzione incontrovertibile su di essa. In questo passaggio dalla verità come
ambivalenza alla verità come decisione del vero sul falso, il sapere razionale
dimentica di essere una procedura interpretativa tra le molte possibili per
porsi come assoluto principio, dimentica di essere un inganno necessario per
dirimere l'enigma dell'ambivalenza, e in questa dimenticanza diviene un inganno
perverso. Contro questo inganno il corpo rimette in giuoco la sua natura
polisemica rifiutandosi di offrirsi all'economia politica esclusivamente come
forza-lavoro, all'economia libidica esclusivamente come fonte di piacere,
all'economia medica come organismo da sanare, all'economia religiosa come carne
da redimere, all'economia dei segni come supporto di significazioni. In questo
rifiuto il corpo sottrae a tutti i saperi il loro referente, e alle economie,
che su queste codificazioni hanno accumulato il loro valore, sottrae il loro
senso. Ciò è possibile perché, nonostante le iscrizioni, nel loro immaginario,
abbiano cercato di dividere il corpo in quei settori in cui era possibile
ricondurlo all'equivalente generale in cui si esprime di volta in volta
l'economia di un sapere, il corpo è ambivalente, è cioè una cosa, ma anche
l'altra, per cui: o la decisione del sapere sulla divisione del corpo, o
l'ambivalenza del corpo sulla frammentazione dei saperi, con conseguente
dissolvimento del loro valore accumulato. Per sfuggire a questa
alternativa, che è inevitabile dal momento che ogni sapere è un'assunzione di
prospettiva, quindi una selezionedella visione che diviene condizione
preventiva per la delimitazione del vero e del falso, occorre riguadagnare il
terreno su cui il sapere occidentale è cresciuto. Questa consapevole riappropriazione
non è una regressione, non è l'abbandono del solido terreno del sapere, al
contrario, è la ricostruzione genealogica del suo significato. Riproporre
l'ambivalenza del corpo non significa quindi rifiutare il sapere razionale, né
tanto meno accettarne la resa, ma significa andare alle radici di questo sapere
e scoprirlo per ciò che esso è: nulla di più che un tentativo per far fronte
all'ambivalenza della realtà corporea che, così riscoperta, è ciò che dà
ragionedelle molteplici ragioni. Queste ragioni che i saperi tendono a
soddisfare non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è
scoperto che la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa,
ma l'apertura nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea
custodisce come luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche. Si tratta
di un senso che sta prima di ogni significato, e che nessun significato
promosso dalla decisione scientifica può abolire, perché è prima di ogni inizio
e continua oltre ogni conclusione. Ne consegue che alla metafisica
dell'equivalenza produttrice di quei significati con cui in Occidente si sono
fatti circolare i corpi secondo quel preciso registro di iscrizioni che di
volta in volta li de-terminavano, e sulle cui determinazioni sino nati i vari
campi del sapere, il corpo sostituisce il gioco dell'ambivalenza, ossia di
quell'apertura di senso che, venendo prima della decisione dei significati, li
può mettere tutti in gioco col corredo delle loro iscrizioni in quell'operazione
simbolica in cui il sapere perde la sua presa, perché la delimitazione dei
campi in cui da sempre si è esercitato si è simbolicamente con-fusa.
Questa è la sfida del corpo, una sfida che è già iniziata se c'è da dar credito
a quella «crisi delle scienze europee» denunciata da Husserl. Niente di più
benefico. Sono i primi effetti di quella violenza simbolica rispetto a cui
quella razionalistica è in ritardo di una generazione, perché ancora crede in
una controparte, e quindi non sa che ogni parte e ogni controparte altro non
sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in
atto per affermare il proprio sapere. Ma quando la realtà immaginaria,
prodotta dalle opposizioni polari in cui si articola ogni sapere razionale, non
riesce più a farsi passare per realtà vera, in quel gioco di specchi che si
frantumano a contatto con la polisemia della realtà corporea, allora si è più
vicini all'ambivalenza, non per una contrapposizione dialettica o per
un'opposizione organizzata, ma perché là dove tutte le maschere sono cadute,
compresa quella della bivalenza codificata, ogni termine che ruota su se stesso
si s-termina. Questo è l'esito simbolico che attende l'ordine strutturale di
ogni sapere. E già se ne vedono le tracce. Seguendole, il corpo consegna ogni
ontologia e ogni deontologia alla geo-grafia, alla grafia della terra, la più
dicente, la più descrittiva, quella che non accorda privilegi metafisici,
perché non conosce la mono-tonia del discorso, ma l'ambi-valena della cosa.
Fra tutte le numerose pubblicazioni di Galimberti, questa è,
forse, quella che maggiormente gli ha dato visibilità e lo ha designato quale
uno dei più popolari maitres-à-penser della filosofia italiana
contemporanea. È anche un'opera caratteristica, perché in essa
Galimberti, curatore di rubriche di psicologia su svariate riviste illustrate,
si fa campione di una rivolta della psicologia contro se stessa e cerca di
scalzarne le basi storiche e ideologiche, in nome di un «pensarsi fino in
fondo» che equivarrebbe, nelle intenzioni dell'autore, a un completo
rovesciamento della sua prospettiva e delle sue stesse finalità. Il punto
da cui muove Galimberti per sferrare il suo attacco alla psicologia è che
quest'ultima, «la più occidentale delle scienze, e quindi la più metafisica», è
nata sull'idea della separazione di corpo e psyche che, partendo da Platone,
percorre come un filo rosso tutta la storia del pensiero occidentale. Secondo
l'Autore, la specificità dell'uomo è stata sottratta all'ambivalenza delle sue
espressioni corporee in nome dell'unità ideale, quella - appunto - della
psyche, divenuta l'elemento fondamentale della sua identità. Ma il corpo,
per Galimberti, è portatore di un messaggio ambivalente (non equivoco, ci tiene
a precisare), secondo il quale mostra di essere questo, ma anche quello. Egli
non si prende il disturbo di precisare meglio questi concetti, considerandoli -
evidentemente - di per sé chiari. Afferma invece che l'ambivalenza suggerita
dal corpo realizza una «apertura di senso» (bella espressione, ma altrettanto
vaga del «questo» e «quello»), grazie alla quale la ragione ha la possibilità
di fissare l'opposizione dei suoi significati, ossia l'aborrita «antitesi dei
valori», che ha l'imperdonabile impudenza di voler distinguere il vero dal
falso, il bello dal brutto, il buono dal cattivo. Tale antitesi dei
valori è, per Galimberti, la somma di tutti i vizi della filosofia; riprendendo
il concetto da Nietzsche, egli la ritiene responsabile della lacerazione e
della schizofrenia del pensiero occidentale, del quale traccia una veloce
panoramica per mostrare - con accenti severiniani - che esso è stato un lungo,
deplorevole errore, in quanto basato sulla metafisica e, quindi, sul dualismo.
E il dualismo, si capisce, è un male, perché crea arbitrariamente un al di là,
dal quale poter meglio calunniare l'al di qua; ovvero, per dirla in termini più
razionali, perché si basa su una logica disgiuntiva che sa, vagamente, di
sulfureo (d?a-ß???e??, la separazione, etimologicamente fonda il nome del
Diavolo, «colui» che separa). Questo, dunque, è un punto centrale della
argomentazione di Galimberti: il pensiero che separa è malvagio ed erroneo;
dunque, tutto il pensiero dell'Occidente, essendo dominato dall'idealismo e
dalla metafisica, è un pensiero erroneo e foriero di tristi conseguenze.
La ricetta per uscire da questo vicolo cieco non è, come si potrebbe pensare,
la logica unitiva, bensì il pensiero dell'ambiguità, dove le cose sono queste e
anche quelle, allo stesso tempo; ossia, dove rinviano a una polisemia che può
essere interpretata, volta a volta, in un senso come nell'altro. Anche la
psicoanalisi è una scienza metafisica, anzi, la più metafisica di tutte, perché
reintroduce, attraverso la contrapposizione di conscio e inconscio, la lacerazione
platonica e cristiana tra anima e corpo, tra spirito e materia; e fornisce una
immagine distorta dell'uomo. È a partire da questo punto che il
ragionamento di Galimberti si fa propriamente filosofico, oltrepassando il
campo ristretto della psicologia. Invece di accettare l'ambivalenza del
corpo, la logica disgiuntiva (dell'economia, della medicina, della religione e
della psicanalisi) instaura la sua «bivalenza», dove il positivo e il negativo
si rispecchiano in un gioco di riflessi che rimanda sempre a una rigida
contrapposizione, a una polarità di «interpretazioni della realtà». Ma perché
interpretazioni? Perché, per Galimberti, non esistono il positivo e il
negativo, bensì la valutazione positiva e la valutazione negativa di fatti e
situazioni che potrebbero essere anche i medesimi, guardati però da differenti
punti di vista. Eccoci arrivati, dunque, nel castello del mago Atlante,
dove le cose non sono quelle che sono, ma quelle che vorremmo (o che temiamo)
che esse siano. Come in un labirinto di specchi, a metà fra Borgés e
Pirandello, noi nulla sappiamo delle cose che vediamo e con le quali ci
confrontiamo, bensì emettiamo giudizi di valore che ce le fanno percepire in un
modo piuttosto che in un altro. Rashomon di Kurosawa o Sei personaggi in cerca
d'autore: sia come sia, la negatività è un giudizio di valore; e il corpo, da
Platone in poi, è il negativo: dunque, la negatività del corpo è frutto di un
giudizio di valore. Anche se sostiene di non indulgere a una modalità di
pensiero irrazionalistica, Galimberti sostiene che ogni ragione si serve di una
logica disgiuntiva allo scopo di affermare se stessa, ossia il proprio sapere.
Così, la psicologia afferma la separazione della psyche dal corpo, per poter
affermare il proprio sapere su di essa; esattamente come l'economia politica
afferma la separazione della forza-lavoro dalla totalità della persona, per
poter affermare il suo controllo sulla prima (e a danno della seconda).
Senonché, le opposizioni su cui si articola ogni sapere razionale sono, in
realtà, «immaginarie»: non attengono alla dimensione della realtà, ma a quella
dell'alienazione dalla realtà. Ci si potrebbe chiedere in che cosa questa
realtà ulteriore, questa realtà vera che sta dietro la facciata della realtà
(immaginaria), sia più reale di quella; su che cosa fondi la sua pretesa di non
essere vittima dell'alienazione metafisica; in base a quali criteri la si possa
considerare più concreta, più effettuale della deprecata «antitesi dei
valori». Galimberti non affronta esplicitamente la questione, ma sembra
intuire la possibile critica e anticipa eventuali obiezioni affermando che,
quando il pensiero è capace di accettare l'ambivalenza (e non la bi-valenza,
che è tutt'altro) delle cose, allora cadono tutte le maschere e si è più vicini
alla loro realtà. O meglio, egli non adopera l'imbarazzante espressione
«realtà»; glorifica l'ambivalenza in se stessa, come concetto del tutto
auto-evidente; gli basta impedire che il pensiero duale, oppositivo, bivalente,
non riesca a farsi passare per la «realtà vera». Ma questa «realtà vera»,
in ultima analisi, esiste o non esiste? Galimberti non risponde, l'abbiamo già
detto; si limita ad osservare, con ironia un po' pesante, che coloro i quali si
attardano nel pensiero oppositivo - che, dice, è di per sé violento - non sanno
di essere in ritardo rispetto alle lancette della storia: perché credono ancora
in una controparte, e non sanno che «ogni parte e ogni controparte altro non
sono che l'effetto di quell'operazione disgiuntiva che ogni ragione mette in
atto per affermare il proprio sapere». Vi sono echi minacciosi in questa
affermazione (il trotzkiano «cestino della spazzatura della storia» ove
precipitano i non rivoluzionari, in tempi di rivoluzione), ma anche un po'
patetici (l'ultimo soldato giapponese che continua a combattere nella giungla
per una guerra che è vane questioni, senza rendersi conto di appartenere a una
razza che si è estinta. Si tratta di una posizione quanto mai radicale,
poiché equivale alla condanna senza appello di tutta la filosofia occidentale,
da Platone in poi; anzi di ogni sapere, «dal momento che ogni sapere è
un'assunzione di prospettiva, quindi una selezionedella visione che diviene
condizione preventiva per la delimitazione del vero e del falso». Ma
il vero e il falso, in se stessi, non esistono; così come non esistono le
verità di principio, ma solo le verità di fatto. Non esistono verità, dunque
non esistono saperi che possano presentarsi come portatori di verità: i saperi
sono sempre strumentali, parziali, relativi. È incredibile: siamo in
piena sofistica, che Socrate aveva già brillantemente confutato circa
ventitré secoli fa; ma Galimberti ci presenta le sue conclusioni come se
fossero qualcosa di staordinariamente nuovo, riconoscendosi - casomai - un
continuatore radicale dell'opera di Nietzsche. «Queste ragioni che i
saperi tendono a soddisfare - afferma Galimberti con la massima disinvoltura
-non possono più proporsi con assoluta verità, perché ormai si è scoperto che
la verità non è nella lotta tra l'asserzione vera e quella falsa, ma l'apertura
nell'universo del senso che l'ambivalenza della realtà corporea custodisce come
luogo da cui partono tutte le decisioni scientifiche». E aggiunge che «si
tratta di un senso che sta prima di ogni significato»; ma, di novo, non ci
spiega in che modo egli arguisca l'esistenza di questo «senso originario», dato
che tutti i sensi che noi diamo alle cose forzano la loro vera
essenza. Arrivati a questo punto, possiamo fare alcune osservazioni
conclusive. Punto primo: che il pensiero idealistico sia stato tutto un
lungo errore, forse bisognava sforzarsi di dimostrarlo e non darlo per scontato
al principio di un libro interamente dedicato alla discussione degli effetti
negativi di un tale errore. Punto secondo: che non esista alcun criterio
di verità, è posizione filosoficamente rozza e semplicistica. Altro è affermare
che la verità è difficilmente accessibile, altro è affermare che ogni verità è
una forma di violenza che i saperi cercano di imporre per fondare se stessi. LA
FILOSOFIA è frutto di sottili distinzioni, di una particolare sensibilità per
le sfumature; ma qui, sulla scorta di Nietzsche, si fa filosofia veramente a
colpi di martello (e non è un complimento). Punto terzo: che il corpo sia
il luogo privilegiato in cui la realtà ci svela il suo volto ambivalente,
aiutandoci a liberarci dalle pastoie alienanti del pensiero disgiuntivo, è -
ancora una volta - posto ma non discusso, e tanto meno dimostrato. Eppure
è fin troppo facile osservare che, se l'introduzione della psyche ha relegato
il corpo al ruolo di negativo, l'esaltazione del corpo che fa Galimberti sembra
ribaltare la prospettiva, senza modificarla «alle radici» (come egli sostiene
di voler fare). Ossia, a questo punto è la psyche che rischia di diventare il
negativo o, quanto meno, il luogo dell'errore, dell'illusione, della
disgiunzione. Ma sarebbe perfettamente inutile muovere una simile
obiezione a Galimberti: egli vi risponderebbe, come ha fatto in più occasioni,
che la psyche non è altro dal corpo, che è corpo anch'essa, perché tutto è
corpo. La sua intera filosofia non è che una assolutizzazione della
corporeità; e, pur di sostenere questa tesi, egli arriva a sostenere, senza
batter ciglio, che l'anima è una «invenzione» dei cristiani, avvenuta nel IV
secolo dopo Cristo (cfr. il nostro precedente articolo Galimberti e la morale,
Arianna. Ma davvero basta dire che tutto è corpo, per eliminare
l'antitesi dei valori e restaurare l'età dell'oro del pensiero (del pensiero?)
ambivalente, dove le cose sono finalmente se stesse e non quello che noi
giudichiamo che esse siano? Ora, è verissimo che la vita, nel suo livello
immediato e quotidiano, procede per giudizi di valore che sono spesso
affrettati, imprecisi, immotivati e, soprattutto, soggettivi. Da ciò, tuttavia,
non discende che il rimedio consista nel proclamare la relatività di tutti i
valori e l’inesistenza di ogni criterio di verità. Questo sarebbe quel che si
dice curare il mal di testa con le decapitazioni. Esistono altri livelli
di esistenza - non solo di tipo razionale, su questo siamo d'accordo con
Galimberti -, ai quali è possibile accedere, e nei quali si può intravedere,
pur senza possederlo interamente, un criterio di verità capace di sottrarre le
cose al gioco degli specchi della loro incessante mutevolezza. Se non
credessimo a questo, dovremmo non solo sospendere ogni giudizio di valore, ma
rinunciare a ogni possibilità di avvicinarci al vero, al bello e al buono; in
altre parole, dovremmo ritirare un rigo su ogni possibilità di fare non solo
psicologia, ma anche filosofia. Queste, e non altre, sono le conclusioni
coerenti del ragionamento di Galimberti: per cui, ad essere rigoroso, egli
dovrebbe dichiarare non la riforma della psicologia, ma la sua soppressione
radicale; e, quanto alla filosofia, la sua estinzione irreversibile. Come è
possibile continuare a ragionare in termini filosofici, se dobbiamo prendere
atto che non esistono controparti, ma solo ambivalenze che è possibile tirare
ora in qua e ora in là, secondo il nostro umore del momento? Si badi:
quello che propone Galimberti non è un pensiero complementare, come lo è - ad
esempio - il taoismo, il quale, giustamente, ci ricorda che non esiste luce
senza buio, caldo senza freddo, gioia senza dolore. No, si tratta qui di un relativismo
puro e semplice: io dico che questa cosa è calda, tu dice che è fredda; forse
lo dirò anch'io, domani, se me ne verrà la voglia; per intanto, abbiamo ragione
tutti e due. Io ho la mia verità, tu la tua; e sappiamo che entrambe sono vere,
o che entrambe possono esserlo, o che entrambe lo sono state o lo
saranno. Il relativismo è una cattiva filosofia, anzi è
l'impossibilità di fare filosofia. Eppure, questi sono gli
applauditissimi maitres-à-penser della cultura odierna.Umberto Galimberti. Galimberti.
Keywords: il sessuale, l’immaginario sessuale, sesso, Why did the Romans need
to distinguish between ‘amatus’ and ‘amicus’? -- amore, follia, jung, simbolo,
sole-fallo, simbolo, simboli di jung, I corpi d’amore, I corpi d’amore sessuale
– immaginario sessuale, immaginario collettivo sessuale, cose dell’amore,
platone, il convito, I corpi, I gesti – I gesti dei corpi. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Galimberti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Galli: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Carru). Filosofo italiano. Celestino Galli.
Interesting philosopher. Not to be confused with Galli.
Grice e Galli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dell’amore -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Montecarotto). Filosofo italiano. Compiute gli studi
classici con assoluta regolarità, si iscrive alla Facoltà di Filosofia a Roma,
dove ha come maestri, tra gli altri,
Varisco e Barzellotti. Da Varisco apprende il rigore del metodo negli
studi filosofici. Da Barzelotti aprende la passione per le ricerche storiche e
le vaste esplorazioni letterarie. Si laurea sotto Barzellotti con il massimo
dei voti dopo aver discusso “Kant e Rosmini” (Lapi, Citta di Castello); Insegna
a Senigallia, Bologna, e Firenze. In “I principii della scuola, con particolare
riguardo alla scuola elementare” (Il Risveglio Scolastico, Milano). Insegna a
Cagliari e Torino. Figura centrale della filosofia italiana, Galli esordisce
con una ricerca sullo sviluppo della filosofia kantiana e quella di Rosmini;
temi che non solo non si stanca mai di ampliare ma affina in ulteriori indagini.
Esegue vaste indagini sulla storia della filosofia. Socrate, Platone,
Aristotele, Cartesio, Bruno, Leibniz, e Renouvier. «L'uno e i molti” (Chiantore, Torino)
certifica la teoria. Gli procura l'interesse di larga parte del mondo
filosofico italiano per le conclusioni sui rapporti tra il sentimento e la
reflessivita. Ampie le discussioni, e talora vivacissime, su autori contemporanei,
dai quali esige rigore, chiarezza e intransigenza speculativa. Organo di
polemiche e di interventi nella vita della cultura italiana contemporanea è «Il
Saggiatore», da lui fondata, Privo di ambizioni mondane, sempre affabile, ama
la compagnia delle persone colte e la conversazione delle anime semplici,
destinate al bene e alla verità. Confida soprattutto nella scuola, veicolo
ideale per dare alle generazioni nuove volontà, serietà, cultura adeguata ai
tempi. Una scuola che studia, senza divagare e che sappia attingere costantemente
alle fonti del sapere, ama ripetere. Grazie al suo ininterrotto lavoro di
studioso, il mondo accademico italiano ha beneficiato di un numero
impressionante di sue pubblicazioni, fatto di saggi, manuali per le scuole,
opuscoli e articoli per riviste specializzate. Si dedica all'arte e alla
religione, completando, in questa maniera, il panorama delle sue indagini. La
Scuola media statale di Montecarotto ha aggiunto all'intestazione il nome di
"G.". Altre saggi: La filosofia
teoretica dei manuali, Oderisi, Gubbio, Dialettica dello spirito” (I., Oderisi,
Gubbio); “Lineamenti di filosofia, Azzoguidi, Bologna; La dimostrazione
dell'esistenza del mondo esterno e il valore pratico delle qualità sensibili
secondo Cartesio, Oderisi, Gubbio); Renouvier. II. La legge del numero, D. Alighieri,
Milano, Le prove dell'esistenza di Dio in Cartesio (Valdes, Cagliari);:La
dottrina cartesiana del metodo, D. Alighieri, Milano); “La filosofia di Leibniz:
Facoltà di Magistero, Torino, Statuto, Torino); “Studi cartesiani, Chiantore,
Torino); “Cartesio, Chiantore, Torino, “Dall'essere alla coscienza, Chiantore,
Torino); “L’idealismo” (Gheroni, Torino); “PComenio, Gheroni, Torino); “La Filosofia
greca: I sofisti, Socrate, Platone. Torino. Facoltà di Magistero. heroni,
Torino, Leibniz, Milani, Padova); “Carlini ed altri studi; da Talete al
"Menone" di Platone; il problema di Cartesio, per la fondazione di un
vero e concreto immanentismo, Gheroni, Torino, Corso di storia della Filosofia:
Aristotele, Gheroni, Torino, Da Talete al menone di Platone, Gheroni, Torino, Tre
studi di filosofia: pensiero ed esperienza, sulla persona, su Dio e sull'immortalità,
Gheroni, Torino Socrate ed alcuni dialoghi platonici: Apologia, Convito,
Lachete, Eutifrone, Liside, Jone, Giappichelli, Torino, Linee fondamentali
d'una filosofia dello spirito, Bottega d'Erasmo, Torino, L'idea di materia e di
scienza fisica da Talete a Galileo, Giappichelli, Torino, L'uomo nell'assoluto,
Giappichelli, Torino, La vita e il pensiero di Giordano Bruno, Marzorati,
Milano Sguardo sulla filosofia di Aristotele, Pergamena, Milano, Platone,
Pergamena, Milano; Di carattere pedagogico Filosofia (Oderisi, Gubbio). Idealismo,
spiritualismo ed esistenzialità nella metafisica in Galli; Cartesio, in Italia.
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 51, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, Persée. Portail de revues en sciences
humaines et sociales, su persee.fr. There is another Galli, who also did
philosophical studies – but his brother was more famous, the author of Tabula
philologica. Platone FEDRO
FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, e vado a fare una
passeggiata fuori dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal
mattino; e ora, seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio
delle passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza
più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia
era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia da Epicrate, nella casa di
Monco, quella vicino al tempio di Zeus Olimpio.(3) SOCRATE: E come avete
trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi?
FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come?
Credi che io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete
trascorso il tempo tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio»? (4)
FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate,
l'ascolto ti si addice, poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era,
non so in che modo, sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene
tentato, ma non da un amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in
modo davvero elegante: sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama
piuttosto che chi ama. SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere
un povero piuttosto che un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte
quelle cose che vanno bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i
suoi discorsi sarebbero urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di
ascoltare, che se facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo
Erodico,(5) arrivato alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te.
FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò
in modo degno di lui quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri
contemporanei, ha composto in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi!
Eppure vorrei avere questo più che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco
Fedro, mi sono scordato anche di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra
cosa: so bene che lui, ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una
volta sola, ma ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e
quello si è lasciato convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è
bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha esaminato i passi che più di tutti
bramava; e poiché ha fatto questo standosene seduto fin dal mattino, si è
stancato ed è andato a fare una passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso
ormai a memoria, credo, a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato
fuori dalle mura per recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di
ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi
potesse coribanteggiare con lui (6) e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma
quando l'amante dei discorsi lo ha pregato di declamarlo, si è schermito come
se non desiderasse parlare: ma alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se
non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso
quello che comunque farà molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di
gran lunga migliore è parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non
mi lascerai assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo.
SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate,
non l'ho proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il
concetto più o meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la
condizione di chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per
sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami
che cos'hai nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia
proprio il discorso. Se è così , tieni presente che io ti voglio molto bene, ma
se c'è anche Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue
esercitazioni retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto,
Socrate, la speranza che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci
sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso,(7) poi ci
sederemo dove ci sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a
essere scalzo al momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi
facilissimo camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto
più in questa stagione e a quest'ora.(8) SOCRATE: Fa' da guida dunque, e
intanto guarda dove ci potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano?
SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui
sederci o anche sdraiarci, se vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO:
Dimmi, Socrate: non è proprio da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a
quanto si dice Borea ha rapito Orizia?(9) SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio
da qui dunque? Le acque appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle
fanciulle per giocarvi vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù,
dove si attraversa il fiume per andare al tempio di Agra: (10) appunto là c'è
un altare di Borea. 2 Platone Fedro FEDRO: Non ci ho mai fatto
caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia
vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una
persona strana; e allora, facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di
Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo
morta così si è sparsa la voce che è stata rapita da Borea (oppure
dall'Areopago,(11) poiché c'è anche questa leggenda, che fu rapita da là e non
da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie
di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del tutto fortunato, se non
altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare la forma degli
Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso una folla di
tali Gorgoni e Pegasi (12) e un gran numero di altri esseri straordinari dalla
natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà ridurre ciascuno di
questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una sapienza rozza, avrà
bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il
motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo
l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso;(13) quindi mi sembra ridicolo
esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo. Perciò
mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si crede
riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me
stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta
fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.(14) Ma cambiando discorso,
amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto
frondoso e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed
essendo nel pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il
platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può
sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un
luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo.(15) E se vuoi ancora, com'è amabile e
molto dolce il venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro
delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in
dolce declivio, sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi
perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo
eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero
strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto da una guida e
non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi
sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io
sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla,
gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina
per farmi uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati
agitano davanti a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu,
tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai
in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento,
ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui
pensi di poter leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a
conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che
queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo
perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici
che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non
viene mai un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici
secondo le loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per
provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano
considerano sia ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici
che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver
reso già da tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non
amano non possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per
questo motivo, né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli
amati delle discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non
resta loro altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito
quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande
considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di
coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi
agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il
vero, terranno in maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è
chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male.
D'altronde come può essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha
una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di
allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere malati più che
assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza,
una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene ciò di cui
decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore
degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più
adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che
quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza
corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere,
è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come
si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a
tutti che non hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più
padroni di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini.
Inoltre è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti
accompagnare i loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono
discorrere tra loro credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio
si è realizzato o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad
accusare coloro che non amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario
parlare con qualcuno per amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai
paura perché credi sia difficile che un'amicizia perduri, e temi che se
sorgesse un dissidio per un altro motivo la sventura sarebbe comune ad
entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato
via ciò che più di tutto tieni in conto, a maggior ragione dovresti temere
coloro che 3 Platone Fedro amano: molte sono le cose che li
affliggono, e credono che tutto accada a loro danno. Per questo allontanano gli
amati anche dalla compagnia con gli altri, per timore che quelli provvisti di
sostanze li superino in ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in
intelligenza; in somma, stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che
possiedono un qualsiasi altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti
queste persone, ti riducono privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai
più assennato di loro, verrai in discordia con essi. Chi invece non si è
trovato a essere nella condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue
doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi
odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato,
ma trai beneficio da chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che
dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti
degli amanti hanno desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e
aver avuto esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è
loro chiaro se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà
finita; per quanto riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano
tra loro amici anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro
amicizia risulti sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come
ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore
dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni
dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare
odiosi, dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro
desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna
fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro
che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che
agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me,
innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente,
ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso,
senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco
e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e
cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia
che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere
amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran
conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici
fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma
da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha
bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori,
ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la
massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è
il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di
essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno,
verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca
gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi
è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo
chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua
giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno
partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne
vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non
coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo
stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio,
cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della
loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto
ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono
convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai
rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per
questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli
che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo
atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la
cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe
possibile tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da
ciò non venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è
stato detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia
stata tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non
è stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei
vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono
rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro,
guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo
leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo,
e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! (16)
FEDRO: Ma dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io
scherzi e che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma
dimmi veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra
i Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso
di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te
anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che
bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro,
forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal
momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente
soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che
neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia
un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi
concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose
sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi
sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le
stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i
casi nella maniera migliore. 4 Platone Fedro FEDRO: Ti sbagli,
Socrate: precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha
tralasciato nulla di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che
nessuno mai saprebbe dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle
dette. SOCRATE: In questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e
sapienti, che hanno parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per
farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato
cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro
che le ho udite da qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da
qualche scrittore in prosa.(17) Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In
qualche modo, divino fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire
cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me
niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo,
che da qualche altra fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un
vaso. Ma per indolenza ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite.
FEDRO: Ma hai detto cose bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi
riferirmi da chi e come le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo
proposito. Hai promesso di dire cose diverse, in maniera migliore e non meno
diffusa rispetto a quelle contenute nel libro, astenendoti da queste ultime;
quanto a me, io ti prometto che come i nove arconti innalzerò a Delfi una
statua d'oro a grandezza naturale, non solo mia ma anche tua.(18) SOCRATE: Sei
carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha
sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse da tutte queste; ciò,
credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più scarso. Tanto per
incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi che, sostenendo
che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro che amano,
abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare l'assennatezza
degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che appunto è
necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili argomenti a
chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma la
disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è da
lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò
che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così:
ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non
ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di
maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a
Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! (19) SOCRATE: L'hai presa sul
serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi
che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto
dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione
per un'uguale presa.(20) Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei
capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da commedianti
che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar fuori quella
frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato anche di me
stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma tieni bene in
mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò che sostenevi
di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io sono più
forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico»,(21) e
vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato
Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti,
da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è
la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una
cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela!
FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti
giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti
giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano,
non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno.
SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo
amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti
giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo
giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla!
SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo
essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile
e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO:
Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla
voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così
chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me
il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo
compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di
più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui
molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato
meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno,
saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto,
fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto:
bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai
più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna 5 Platone Fedro
cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio
della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si
accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò
che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se
si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama,
stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza
abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento,
esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un
desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose
belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama?
Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci
governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato,
è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo
bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo,
talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro.
Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale,
la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori
di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza.
La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte
parti; e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede
il soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da
acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene
migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo
possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia
nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale
epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi che
designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è ben
evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto
tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente
più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio
irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una
volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente
dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo
trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros».(23) Ma caro
Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato divino?
FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola,
contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo
sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso
sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono
lontane dai ditirambi.(24) FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la
causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente
potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare
col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui
bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente
questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente
verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi
è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato
il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone
resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso.
Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma
vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante
rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto
a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno
acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura
tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto
che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia
geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre
compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che
diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale
diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui
inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato,
così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante
di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe
fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso.
Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in
nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la
costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone,
dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà
seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole
ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta
invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti
altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a
ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un
punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra
come in tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli
amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar
perdere, dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo,
cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la
protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli
si augurerebbe più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari,
più preziosi e più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre,
parenti e amici, ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima
compagnia che ha con lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli
penserà che non sia facile da conquistare né, una volta conquistato,
trattabile; ne consegue inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto
del suo amore possiede delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante
si augurerà che l'amato sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a
lungo possibile, poiché brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto della
6 Platone Fedro sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio
ha mescolato alla maggior parte di essi un piacere momentaneo; per esempio
all'adulatore, bestia terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque
mescolato un piacere non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come
rovinosa un'etera o molte altre creature e attività del genere, che almeno per
un giorno possono essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la
compagnia quotidiana dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte
più spiacevole. Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta
del coetaneo (credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi
piaceri e procuri amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro
stare insieme genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per
chiunque in qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre
alla differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più
vecchio sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né
di notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a
destra e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare
l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con
piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per
evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al
colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in
fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non
parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando
dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà
elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se
l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a
una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e
dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il
tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte
promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza
di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E
allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato
padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e
follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi,
ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con
la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello
per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come
mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria
precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non
ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di
prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante
di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato
e si dà alla fuga.(25) L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le
imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe
mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi
non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona
infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie
ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto
per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà
cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo,
bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce
assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi
amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto,
Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso.
FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole
per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando
quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei
accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio
mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che
farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi
hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti
sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti,
che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi
si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io,
attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te
a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata
la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata immota?
Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà più
fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e
semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante
la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di
persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio
eccezione per Simmia il Tebano, (26) ma gli altri li vinci di gran lunga). E
ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora
non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando
stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino
che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per
fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di
andare via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa
verso la divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo,
ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò
comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un
che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il
discorso, e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo»
nei confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani».(27) Ma ora mi
sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? 7 Platone Fedro
SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come
quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e
sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di
questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che
Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si
dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato
pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è,
un dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi
pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque
hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è
proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle
arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno
fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi;
per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito
purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato
della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da
amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo
discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti
alla troiana Pergamo.(28) E dopo aver composto l'intero carme chiamato
Palinodia gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di
loro almeno sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver
diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo
scoperto e non velato come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto
dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu
intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e
quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse
innamorato di uno come lui o lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre
diciamo che gli amanti sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono
gelosi e dannosi nei confronti dei loro amati, non credi che avrebbe
l'impressione di ascoltare persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno
mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui rimproveri
che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque,
per vergogna nei suoi confronti e per timore dello stesso Eros, desidero
sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio udito con un discorso d'acqua
dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il più in fretta possibile che, a
parità di condizioni, conviene compiacere più un amante che chi non ama. FEDRO:
Ma sappi bene che sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio dell'amante,
sarà inevitabile che Lisia venga costretto da me a scrivere un altro discorso
sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai quello che sei.
FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui
parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche questo discorso e non conceda con
troppa fretta i suoi favori a chi non ama per non aver udito le mie parole.
FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu voglia.
SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni presente che il discorso di prima era
di Fedro figlio di Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che mi
accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque
parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza
di un amante si deve piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è
in preda a "mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda
a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più
grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la
profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da
mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati,
mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della
Sibilla (30) e di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata
da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte
persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita
certamente di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi
coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o
riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato "manica" l'arte più
bella, con la quale si discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma
considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo
nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la
"t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche la ricerca del
futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli
altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto procurano
assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza umana, la
denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei, volendola
nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica.(31) Perciò,
quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e
l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella,
secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto
all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in
coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie
e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a
causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi,
attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il
tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per
chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto
vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di
un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e
altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi
educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8
Platone Fedro la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente
grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da
quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle
opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non
dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di
intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a
quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria
dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi
all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece dimostrare
il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande
felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini, ma lo
sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo
alla natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue
opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è immortale.
Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro e da
altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò
che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non cessa mai di
muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le altre cose
dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è necessario che
tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo non abbia
origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe
più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche
incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né
altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così
principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né
nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico,
resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita
e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si
proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione
dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene
dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno,
cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è
così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di
necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto
a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia,
sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire
invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve;
parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza
costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.(32) I cavalli e gli
aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono
misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due
cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è
contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda,
è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che
senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende
cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora
nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo,
se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a
qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che
per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto
di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale.
Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo discorso
razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un
dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un corpo
eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come piace
al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la
quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza
dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo
dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di tutte
le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che
è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in sommo
grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e
contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo, procede per primo
alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo
segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia
resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi, quelli che in numero di
dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la propria schiera secondo
l'ordine assegnato.(33) Molte e beate sono le visioni e i percorsi entro il
cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo
ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo
può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando poi vanno a banchetto
per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste,
dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da guidare, procedono
facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del
male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l'auriga che non
l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la prova suprema.
Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte alla sommità,
procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione le
trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del cielo.
Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno il
luogo iperuranio.(34) La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il
coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che
realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato
solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere
della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è
nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui
preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo
l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione
ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa
compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9
Platone Fedro non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che
in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi
chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere;
e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono
e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno
alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla
mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare.
Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel
migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga
verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma
essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il
capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza
riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano
tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e
trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di
arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita
del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime
restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la
grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere
e una volta tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per
cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è
questa: il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si
trova là, e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in
volo. Questa è la legge di Adrastea. L'anima che, divenuta seguace del dio,
abbia visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e
se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non
riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente,
riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda
le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna
natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior
numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare
filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima
che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un
uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto
ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che
sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del
corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore
ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro
di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano
o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del
popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la
vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto
contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo
donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo
periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza
inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro
di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita,
rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano
indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca loro
un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di
espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla
Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente
alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre,
giunte al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che
ciascuna vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi
una volta era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non
ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve
comprendere in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una
molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la
reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere
assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il
capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo
mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è
sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo
che si avvale rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a
misteri perfetti, diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si
distacca dalle occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso
dai più come se delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo
dunque è il punto d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania,
quella per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera
bellezza mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace
guarda in alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così
subisce l'accusa di trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine
questa, per chi la possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva
dalle cose migliori, e chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è
chiamato amante. Infatti, come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha
contemplato gli esseri, altrimenti non si sarebbe incarnata in un tale vivente.
Ma ricordarsi di quegli esseri procedendo dalle cose di quaggiù non è alla
portata di ogni anima, né di quelle che allora videro gli esseri di lassù per
breve tempo, né di quelle che, cadute qui, hanno avuto una cattiva sorte, al
punto che, volte da cattive compagnie all'ingiustizia, obliano le sacre realtà
che videro allora. Ne restano poche nelle quali il ricordo si conserva in
misura sufficiente: queste, qualora vedano una copia degli esseri di lassù,
restano sbigottite e non sono più in sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano,
perché non ne hanno percezione sufficiente. Così della giustizia, della
temperanza e di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è
splendore alcuno nelle copie di quaggiù, ma soltanto pochi, accostandosi alle
immagini, contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del
modello riprodotto. Allora invece si poteva vedere la bellezza nel suo
splendore, quando in un coro felice, noi al seguito di Zeus, altri di un altro
dio, godemmo di una visione e di una contemplazione beata ed eravamo iniziati a
quello che è lecito chiamare il più beato dei misteri, che celebravamo in
perfetta integrità e immuni dalla prova di tutti quei mali che dovevano
attenderci nel tempo a venire, contemplando nella nostra iniziazione mistica
visioni perfette, semplici, immutabili e 10 Platone Fedro beate in
una luce pura, poiché eravamo purì e non rinchiusi in questo che ora chiamiamo
corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come un'ostrica.
Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio
delle cose d'allora, ora si è parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza,
come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati
qui sulla terra, l'abbiamo colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in
quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta
delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di
vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla
nostra vista le offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà
degne d'amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò
che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o
è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza
in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando
guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e
a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha
timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato
di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto
d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di
corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di
allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di
acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una
statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai
brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il
flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera.
Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde
l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le
impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo
dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma
dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta
quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel
momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la
prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano
ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima,
mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e
fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne
viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece
ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si
disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso
dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei
condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata tutt'intorno,
è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta.
In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è turbata per la
stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita comincia a smaniare;
ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare
ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui
che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso
d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa
di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di
questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene
in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di
tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina
perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di
cui si ornava prima d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con
lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio;
infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza
l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge
il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi
invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti
metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi
da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non
del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros
alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può
credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è
proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus,
riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle
ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui,
quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono
sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno
conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e
imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima
esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati
e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo
il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e
l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro
amato in chi ha l'anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per
natura sia filosofo e atto al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono
innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si
erano impegnati in un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e
imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le
tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono
stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando
entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne
assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo
partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa
all'amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le
Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell'anima dell'amato lo rendono il
più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era
cercano un'anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose.
Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo
il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una
volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione
e 11 Platone Fedro l'ammaestramento portano l'amato ad assumere
l'attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza
comportarsi nei confronti dell'amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma
cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con
il dio che onorano. Dunque l'ardore e l'iniziazione di coloro che veramente
amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle
e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall'amico che si trova in
stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all'amore in questo modo.
Come all'inizio dì questa narrazione in forma di mito abbiamo diviso ciascuna
anima in tre parti, due con forma di cavallo, la terza con forma di auriga,
questa distinzione resti per noi un punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli
diciamo che è buono, l'altro no: quale sia però la virtù di quello buono e il
vizio di quello cattivo, non l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque,
quello tra i due che si trova nella disposizione migliore è di forma eretta e
ben strutturata, di collo alto e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi
neri, amante dell'onore unito a temperanza e pudore e compagno della fama
veritiera, non ha bisogno di frusta e si lascia guidare solo con lo stimolo e
la parola; l'altro invece è storto, grosso, mal conformato, di collo massiccio
e corto, col naso schiacciato, il pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di
sangue, compagno di tracotanza e vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede
a fatica alla frusta e agli speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la
visione amorosa, prende calore in tutta l'anima per la sensazione che prova ed
è ricolmo di solletico e dei pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce
docilmente all'auriga, tenuto a freno, allora come sempre, dal pudore, si
trattiene dal balzare addosso all'amato; l'altro invece non cura più né i
pungoli dell'auriga né la frusta, ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con
violenza, e procurando ogni sorta di molestie al compagno di giogo e all'auriga
li costringe a dirigersi verso l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri
d'amore. All'inizio essi si oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti
ad azioni terribili e inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al
male, si lasciano trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare
quanto viene loro ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione
folgorante dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla
natura della bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo
assieme alla temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che
le porta cade supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le
redini così forte che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno,
spontaneamente perché non recalcitra, quello protervo decisamente contro
voglia. Ritiratisi più lontano, l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta
l'anima di sudore, l'altro, cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla
caduta, a fatica riprende fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare,
coprendo di male parole l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e
debolezza hanno abbandonato il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di
nuovo ad avanzare contro la loro volontà a stento cede alle loro preghiere di
rimandare a un'altra volta. Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi
fingono di non ricordarsene, lo rammenta a loro con la forza, nitrendo e
trascinandoli con sé, e li obbliga ad accostarsi di nuovo all'amato per fare i
medesimi discorsi; e quando sono vicini tende la testa in avanti e rizza la
coda, mordendo il freno, e li trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora
più intensamente la stessa impressione di prima, come respinto dalla fune al
cancello di partenza, tira indietro ancora più forte il morso dai denti del
cavallo protervo, insanguina la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a
terra le gambe e le cosce lo dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo
malvagio, subendo la medesima cosa più volte, desiste dalla sua tracotanza,
umiliato segue ormai il proposito dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo,
muore dalla paura; di conseguenza accade che a questo punto l'anima dell'amante
segua l'amato con pudicizia e timore. Poiché dunque l'amato, come un essere
pari agli dèi, è oggetto di ogni venerazione da parte dell'amante che non
simula, ma prova veramente questo sentimento, ed è egli stesso per natura amico
di chi lo venera, se anche in precedenza fosse stato ingannato dalle persone
che frequentava o da altre, le quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a
chi ama, e per questo motivo avesse respinto l'amante, ora, col passare del
tempo, l'età e la necessità lo inducono ad ammetterlo alla sua compagnia;
infatti non accade mai che un malvagio sia amico di un malvagio, né che un
buono non sia amico di un buono. E dopo averlo ammesso presso di sé e avere
accettato di parlare con lui e stare in sua compagnia, la benevolenza
dell'amante, manifestandosi da vicino, colpisce l'amato, il quale si avvede che
tutti gli altri amici e parenti non offrono neppure una parte di amicizia a
confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando poi questi continua a fare ciò
nel tempo e si accompagna all'amato incontrandolo nei ginnasi e negli altri
luoghi di ritrovo, allora la fonte di quei flusso che Zeus, innamorato di
Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore, scorrendo in abbondanza verso l'amante
dapprima penetra in lui, poi, quando ne è ricolmo, scorre fuori; e come un
soffio di vento o un'eco, rimbalzando da corpi lisci e solidi, ritornano là
dov'erano partiti, così il flusso della bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso
gli occhi, e di qui per sua natura arriva all'anima. Quando vi è giunto la
incoraggia a volare, quindi irriga i condotti delle ali e comincia a farle
crescere, e così riempie d'amore anche l'anima dell'amato. Pertanto egli ama,
ma non sa che cosa; e neppure è a conoscenza di cosa prova né è in grado di
dirlo, ma come chi ha contratto una malattia agli occhi da un altro non è in
grado di spiegarne la causa, così egli non si accorge di vedere se stesso
nell'amante come in uno specchio. E in presenza di questi, il suo dolore cessa
esattamente come a lui, se invece è assente allo stesso modo di lui desidera ed
è desiderato, perché reca in sé una sembianza d'amore che dell'amore è
sostituto: però non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Più o meno
come l'amante, ma in misura più debole, desidera vederlo, toccarlo, baciarlo,
giacere con lui; e com'è naturale, in seguito non tarda a fare cio. Quando
dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato dell'amante ha di che dire
all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno in cambio di tante
fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma, gonfio di desiderio
e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante, manifestandogli affetto per la sua
grande benevolenza. Così , nel momento in cui si congiungono, non è più tale da
rifiutare di compiacere da parte sua l'amante, se viene pregato di soddisfare;
ma il compagno di giogo assieme all'auriga 12 Platone Fedro si
oppone a ciò, obbedendo al pudore e alla ragione. Se dunque prevalgono le parti
migliori dell'animo, quelle che guidano a un'esistenza ordinata e alla
filosofia, essi trascorrono la vita di quaggiù in modo beato e concorde, poiché
sono padroni di sé e ben regolati, avendo sottomesso ciò in cui nasce il male
dell'anima e liberato ciò in cui nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e
leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche, di cui né la
temperanza umana né la mania divina possono fornire all'uomo un bene più
grande.(41) Se invece seguono un genere di vita piuttosto grossolano e privo di
filosofia, ma ambizioso, forse, in stato di ubriachezza o in qualche altro
momento di negligenza, i loro due compagni di giogo sfrenati, cogliendo le
anime alla sprovvista e portandole nella stessa direzione, possono compiere la
scelta che tanti considerano la più beata e mandarla ad effetto; e una volta
che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche in futuro, ma raramente,
poiché fanno cose che non sono approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono
in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia durante l'amore sia quando ne
sono usciti, credendo di essersi dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più
grandi pegni, che non è lecito sciogliere perché ciò condurrebbe
all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo senz'ali, ma col
desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non piccolo della loro
mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno già iniziato il
cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella tenebra e camminino
sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice compiendo il
viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano le ali assieme
per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o fanciullo, ti
darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi non ama,
mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali e misere,
dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo come virtù,
la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per novemila
anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e virtuosa
palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione, costretta a
causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con alcune parole
poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba gratitudine per
queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì per la collera
l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in onore tra i bei
fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io e Fedro abbiamo
detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a Lisia, che del
discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni, volgendolo alla
filosofia come si è volto suo fratello Polemarco,(42) affinché anche questo suo
amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la sua vita ad Eros
in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera,
Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho ammirato il
tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi temo che
Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro discorso.
Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava criticandolo
proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava logografo;(43) perciò
forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo,
la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi
che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava
dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva,
Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che nelle città hanno il
massimo potere e la massima reverenza si vergognano a scrivere discorsi e a
lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri, cioè di essere
chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso
il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa dimentichi che gli
uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre discorsi e lasciare
propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un discorso, apprezzano a
tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i nomi di quelli che li
devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non
capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso di un uomo politico
per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il
consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha deciso», o
entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo scrittore cita
se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a parlare,
mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto uno scritto
assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un discorso
scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso regge,
l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato dallo
scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi compagni.
FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano questa
attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un retore o
un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di Dario
(45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede forse
egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di lui la
stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE: Credi
allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a Lisia,
lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13 Platone Fedro FEDRO:
Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche il
proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in sé
lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe
questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e
disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene
e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo
proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia
pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore?
FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire,
vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui
bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi
tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente chiamati
servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che in
questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e
discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi
due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci
lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci
deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in
questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la
fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle
Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel
dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è
questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si
addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46)
Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che
nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di
loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di
cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine
la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver
bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare
senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire
chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore
riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più
graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre,
secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che
viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella
filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei
discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per
molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E allora
bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci siamo
proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non lo è.
FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo bello e
decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il vero
riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro Socrate, ho
sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la necessità di
apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto alla
moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che
sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla
verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono
i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per
questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione.
SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi
persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non
conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro
reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi...
FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso
che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino
chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di
essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile
per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in
molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è
forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO:
Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il
male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni,
facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma
l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni
della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi
che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO:
Sicuramente non buono. 14 Platone Fedro SOCRATE: Ma buon amico,
abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto?
Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non
costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio
consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa
dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce
le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte».
FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi
che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra
di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è
un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il
tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO:
C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono
e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai
bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà
mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete.
SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo
di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma
anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle
grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose
serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito?
FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si
parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo
informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai
sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per
iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO:
Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un
Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo
perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno?
Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE:
Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle
stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no?
SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora
buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che
il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli
ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in
movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova
solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che
si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno
sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili
e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa
cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se
cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica
di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di
pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che
non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che
se ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione
di ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con
precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è
necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado
di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con
le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno
opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa
impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così
. SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco
la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da
ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione
di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque,
amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci
offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare
di sì . 15 Platone Fedro SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso
di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che
definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa,
poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati.
SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due
discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le
parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne
attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle
Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo dono,
poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia
come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del
discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito
che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non
poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli
innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui
sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse
evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di queste
cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma
esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola
"ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la stessa
cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto"
e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e
siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO:
Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO:
è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la
retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è
evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve
innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un carattere
peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi
nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo,
Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che,
nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba
percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende
parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore
appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni
controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello
che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia
l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo
eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo
ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione
dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè,
quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe
dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi
che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non
ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e
in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso
seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso.
Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio
lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia
utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere
ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si
pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...».
SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette
mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e
prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso
di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è
certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE:
E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla
rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche
necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli
argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia
detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza
di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto
questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se
credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso!
SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere
costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non
essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle
estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO:
Come no? 16 Platone Fedro SOCRATE: Esamina dunque il discorso del
tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce
in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida
il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare?
SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che
l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte
lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci
senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene
recitato per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso,
Socrate! SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi
sembra che contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione,
cercando di non imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In
essi, mi sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è
conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano
opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO:
E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con
mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è
una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di
mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento
divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro
parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito
l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica
alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa
è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa,
forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada,
abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo
levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in
onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E
almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE:
Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal
biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il
resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a
caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a
coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel
ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in
uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui
si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa
su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o
male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato
chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici,
SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le
idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna
parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa
concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da
un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e
sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della
follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando
la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver
trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a
buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte
destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro,
ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei
nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono
amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di
essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per
sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle
sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare
ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento
li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di
cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa
l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati
abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di
doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che
chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo
dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come
dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi
procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente
disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della
retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si
trovano nei libri scritti sull'arte del dire. 17 Platone Fedro
SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del
discorso dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze
dell'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una
narrazione seguita da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le
verosimiglianze. Poi vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che
dica l'eccellente uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il
valente Teodoro? SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno
fatte una confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il
bellissimo Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi
indiretti; (55) alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi
indiretti in poesia per esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E
lasceremo riposare Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia
da tenere in conto più del vero e con la forza del discorso fanno apparire
grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e
al contrario nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le
prolissità infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo
da me queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i
discorsi di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO:
Parole molto sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che
anche l'ospite eleo voterebbe con lui.(58) FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come
parleremo dei Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la
ripetizione o il parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse
dei nomi di cui Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59)
FEDRO: E le opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo
tipo? SOCRATE: Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle
cose. Ma quanto ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la
povertà, mi pare che l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo
d'altronde straordinario nel suscitare la collera nella gente e poi
nell'ammansire chi aveva fatto adirare incantandolo, come soleva dire, e
potentissimo nel lanciare e sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci
sia comune accordo tra tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni
danno il nome di riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare
per sommi capi agli ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli
argomenti trattati? SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da
aggiungere sull'arte dei discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena
di dire. SOCRATE: Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto
in piena luce quale potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e
quando. FEDRO: Una potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del
popolo. SOCRATE: Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro
trama non sembra anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri.
SOCRATE: Allora dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo
padre Acumeno e dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da
riscaldarli e raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli
vomitare e persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento
che ho queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare
medico un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che
direbbero dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche
a chi e quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura?
SOCRATE: E se allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi
ha appreso queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che
chiedi»? FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere
diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato
casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se
uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi
lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande,
commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante
altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di
comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se
uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben
connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo
rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un
uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia
come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe
villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in
modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è
necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue
capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni
necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO:
Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte
a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre
una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della
medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo
che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli
accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per
immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18 Platone Fedro scorso
affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come
abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha
scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più
saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna
essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della
dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza
di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte,
hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri
ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i
loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre
ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme,
come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia
proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini
insegnano e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia
detto il vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è
veramente esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un
perfetto campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che
sia come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un
retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una
di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non
mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco.
FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle
sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché?
SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi
celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di
condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle,
oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi,
credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e
giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali
Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per l'arte
dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di procedere
dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE: In
entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra
quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con
arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e
nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù
offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile
che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere
la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura
dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli
Asclepiadi,(63) senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la
natura del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il
discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO:
Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il
discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di
qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere
esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o
multiforme; poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua
natura nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da
che cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per
ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è
portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire,
che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo
privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece
persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un
sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con
arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i
suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE:
Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre
persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e
chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà
e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e
tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo
è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo
luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in
virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE:
In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro
proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di
discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi
e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa.
19 Platone Fedro FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto
pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo
non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento.
Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono
scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare;
perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere
da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE:
Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è
possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte.
FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida
delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia
quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di
conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che
le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche
le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini
di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo
su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo
motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve
innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il
loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di
seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai
niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando
sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali
discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se
stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a
suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi
discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta
che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti
giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia
discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o
indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è
realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi
di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte,
vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro
scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro
modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo,
Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per
questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche
parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non
procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne
una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato
da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo.
FEDRO: Così , per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso.
SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni
che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro,
si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così
anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e
levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come
abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere
sufficientemente esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità
circa questioni giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione,
poiché nei tribunali non importa proprio niente a nessuno della verità su
queste cose, ma importa solo ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui
si deve applicare chi intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna
neanche esporre i fatti, a meno che non si siano svolti in maniera verosimile,
ma solo quelli verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi
parla deve seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità;
poiché è appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta
quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono
quelli che danno a vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono
ricordato che già in precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e
sembra che ciò sia di enorme importanza per chi si occupa di queste cose.
SOCRATE: Sicuramente hai studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci
dica anche questo, se per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che
sembra ai più. FEDRO: E che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a
quanto pare, di saggezza e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e
coraggioso, che ha percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il
mantello o qualcos'altro, viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve
dire la verità, ma il vile deve asserire di non essere stato percosso dal solo
uomo coraggioso, questi deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli,
e servirsi del seguente argomento: «Come avrei potuto io, data la mia
condizione, mettere le mani addosso a una persona come lui?». L'altro non
ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche altra menzogna offrirà
subito materia di confutazione all'avversario. E anche negli altri campi le
cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non è così , Fedro?
FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la scoperta davvero
sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e da qualunque
luogo si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o
no... FEDRO: Cosa? 20 Platone Fedro SOCRATE: Questo: «O Tisia, da
tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci trovavamo a dire che questo
verosimile viene a nascere nei più per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo
spiegato che chi conosce la verità sa scoprire benissimo le somiglianze.
Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo;
altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non
enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno, e non sarà in grado di
dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli uno per uno in un'idea,
non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto è possibile a un uomo.
E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta applicazione; ad essa il
sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per parlare e agire con gli
uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa in
modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra
noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi cura di compiacere non
i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che
discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene,
in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi
tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno
bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si
stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace.
SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è bello anche soffrire, qualunque
cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a
proposito dell'arte e della mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque
sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e
della non convenienza della scrittura, quando essa vada bene e quando invece
sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei
discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di un dio con le tue azioni e le
tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia
tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da
soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai
fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho
sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli
antichi dèi del luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome
della divinità era Theuth.(65) Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la
geometria e l'astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine
anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era allora Thamus e abitava nella
grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre
chiamano il suo dio Ammone.(66) Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti
e disse che dovevano essere trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale
fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a
seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava.
Molti, a quanto si racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro
senso a Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando
poi fu alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli
Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato
il farmaco della memoria e della sapienza». Allora il re rispose:
«Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale
danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene.
Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello
che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della
memoria, produrrà nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza,
perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri
estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco
non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai
tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte
cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più
le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori
di opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità
discorsi egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio
caro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona
venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti
come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una
roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che
parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno
così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla
scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di
tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella
convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo,
dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di
Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare
alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo.
SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di
simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose
vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La
medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino
come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di
ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e
21 Platone Fedro solo identico. E, una volta che è scritto, tutto
quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è
competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e
non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato
ingiustamente ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di
difendersi da sé né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue
parole sono giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un altro
discorso, fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per sua
natura migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e come,
secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la conoscenza
nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e sa con chi
bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato
di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire un'immagine.
SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno
pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone (67) i semi che gli stessero
a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli
in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa, quand'anche lo facesse?
E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul serio servendosi
dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto, sarebbe contento che
quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così ,
Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli altri, come tu dici.
SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle cose giuste, belle e
buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO:
Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente nell'acqua nera,
seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di difendersi da sé
con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la verità. FEDRO: No,
almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e
scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li scriverà, serbando un
tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso giunga «alla
vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa orma, e gioirà a
vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri giochi, ristorandosi
nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi, egli allora, a quanto
pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in ciò di cui parlo.
FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate, rispetto all'altro che
è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi, narrando storie sulla
giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così è in effetti, caro
Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più bello quando uno,
facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi pianta e vi semina
discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire in aiuto a se
stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma abbiano una semenza
dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi capaci di
rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia felice
quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è molto più bello.
SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo giudicare quelle
altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo indagare e per le
quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il rimprovero rivolto a
Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi, quali fossero scritti
con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e ciò che non lo è mi
sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma
ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non
conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in
grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa
dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non è più
divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura
dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il
discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima
variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non
sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe
dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in
precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così
. SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e
scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no,
non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo
detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti
d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica,
nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il
biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere
realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero
evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse.
FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su
qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso
con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e
neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere
sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), 22
Platone Fedro ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per
aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei
discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo
scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza,
compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano
essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca
in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli
di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il
loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro,
è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io
voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto
riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e
digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo
ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri
componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica,
e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei
testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo
com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla
prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di
quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col
nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con
serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente,
Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio;
chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e
conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non
possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto,
rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o
separandole, non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore
di leggi? FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno!
FEDRO: E tu? Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno.
SOCRATE: Chi è costui? FEDRO: Isocrate (69) il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate?
Come lo definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio
dire ciò che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti
naturali sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia
temperato di un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da
meravigliarsi se, col procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora
pone mano superasse più che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai
discorsi, e se inoltre questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo
spingesse a cose ancora più grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro
amico, c'è una forma naturale di filosofia. Pertanto io riferisco queste cose
da parte di questi dèi al mio amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo
Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma andiamo, poiché anche la calura si è fatta più
mite. SOCRATE: Non conviene rivolgere una preghiera a questi dèi prima di
metterci in cammino? FEDRO: Come no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di
questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di
fuori sia in accordo con ciò che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il
sapiente e possegga tanto oro quanto nessun altro, se non chi è temperante,
possa prendersi e portar via.(70) Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da
parte mia si è pregato in giusta misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per
me; le cose degli amici sono comuni. SOCRATE: Andiamo! 23 Platone
Fedro NOTE: 1) Celebre oratore ateniese vissuto tra il quinto e il quarto
secolo a.C., di cui restano 34 orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che
gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo,
originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è
ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca. 3) Epicrate era un oratore
democratico; Morico, forse il proprietario precedente della casa, era un
cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente
bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. 5) Erodico di Megara,
divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di
vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel
Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano
caratterizzati da una forte valenza orgiastica. 7) Piccolo fiume che scorre
vicino ad Atene. 8) Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. 9)
Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio
concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata
poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. 10) Demo
dell'Attica. 11) Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove
aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di
carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati
dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera
era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di
serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime
due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo
sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato
dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto
Bellerofonte uccise la Chimera. 13) «Conosci te stesso» era appunto il precetto
scritto nel tempio di Apollo a Delfi. 14) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del
Tartaro, era un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al
termine di una dura lotta Zeus lo fulminò e lo scagliò sotto l'Etna. Il suo
mito è ricordato in Esiodo, Theogonia 820 seguenti. Da Tifone ha avuto origine
il nome comune indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco
c'è un gioco di parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene
paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare',
'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a
"tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa
uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella
traduzione, per creare paretimologie. 15) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei
fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre
ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi. 16) Una
locuzione simile ricorre in Omero, Iliade libro 8, verso 281. 17) Saffo è la
famosa poetessa lirica di Lesbo vissuta tra il settimo e il sesto secolo a.C.,
autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in
nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e
parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del
sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui
restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa
si allude nel passo. 18) Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica,
giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a
Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. 19) Cipselo fu tiranno di
Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui
si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro
intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. 21)
Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco
gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e
"ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico
è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del
canto. 23) Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e
"róme" ('forza'). Il ditirambo, componimento lirico corale associato
al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui il termine
ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non ispirata
da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. 25) L'immagine è
ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco
dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un colore e a
seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire o
inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge
l'amato. 26) Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli
interlocutori del Fedone. 27) Ibico, frammnto 310, Page. Poeta lirico corale
del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro,
poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la
vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò
per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride
non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze;
questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non
avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà
una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio
dalle accuse che gli aveva mosso. 24 Platone Fedro 29) A Delfi, in
Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca
della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di
Zeus. Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di
Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla
di Cuma, in Campania. 31) L'arte divinatoria, in greco "mantike",
viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il
composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a
"oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a
"oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal
volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere ragione
nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento della
tesi sostenuta da Lisia. 32) è il celebre mito dell'anima come una biga alata,
metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga
rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei
due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui
il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima
impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione dell'anima
che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel Timeo si dice
che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre qui i due
cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale, come prova
anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e bevanda degli
dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a quella divina. è
preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti opposte connaturate
comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione di conciliare per
trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella cosmologia antica
veniva identificata col centro dell'universo, che era immobile; per questo
essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le
dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo
'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera
dell'intelligibile che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile,
esso è raggiungibile solo dell'anima. 35) Adrastea, letteralmente
'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione del destino; in
Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui esposto il
destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi, argomento che
ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo della
Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente
determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della
verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di
verità connesso alla vita in cui si reincarnano. 36) Altro gioco verbale basato
su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per
assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri"
('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'),
"ro-", radice di "roé" ('flusso'). 37. Gli Omeridi erano
una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo
stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude
ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra
"Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da
"pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici
(Iliade libro 1, versi 403-404; libro 14, verso 291; libro 20, verso 74) in cui
si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è
impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo
"Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso
con 'splendente' o 'divino'. 39) Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di
Dioniso. 40) Zeus, innamorato di Ganimede, bellissimo fanciullo frigio, in
forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il
gioco linguistico su "imeros", la nota 36. 41) L'espressione
significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di
per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre
una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il
senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre
differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta
bisognava atterrare l'avversario tre volte. 42) Figlio di Cefalo e fratello di
Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. 43) Ad
Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che
obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio,
avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'),
che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni
di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il
termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto
equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai
compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. 44) L'espressine, un
po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata
una difficile. 45) Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la
tradizione, il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i
sette saggi, Solone attuò, durante il suo arcontato (594-593 a.C.), una riforma
dello stato ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base
al censo. Dario primo, re di Persia dal 521 al 485 a.C., fu il promotore della
prima guerra greco-persiana. 46) Il mito che segue è probabilmente creazione
platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre
discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene
ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le
cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. 47) Sulla
scia del catalogo esiodeo (Theogonia 75 seguenti), le Muse qui citate hanno
nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con
Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. 25 Platone
Fedro 48) Omero, Iliade libro 2, verso 361. 49) Per Spartano qui si
intende semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e
lapidario. 50) I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli
altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era
famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore
era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di
Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità
oratorie. 52) Gorgia di Lentini, nato tra il 485 e il 480 a.C. e morto vecchissimo
dopo il 380 a.C., fu uno dei principali esponenti della sofistica; a lui è
dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano pochi
ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel
quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in modo
combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro di
Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato
di retorica. 53) Allusione ironica a Zenone di Elea (quinto secolo a.C.) e ai
paradossi con i quali cercava di confutare dialetticamente i concetti di
molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e
la tartaruga. 54) Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di
ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che
toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro,
pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è
attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. 55) Poeta e sofista
contemporaneo di Socrate. 56) Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme
a Corace, della scuola retorica siciliana. 57) Prodico di Ceo, uno dei più
importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di
Socrate. 58) Ippia di Elide, il celebre sofista da cui prendono il titolo due
dialoghi di Platone. 59) Polo di Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli
di Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si
allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti, come poco sotto a
proposito di Protagora. 60) Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo
dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato il principale
esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo agnosticismo
religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo relativismo,
sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane
delle sue numerose opere. 61) Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione
dei sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile
oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento 9,8
Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un personaggio
contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto
secolo che radicalizzò il processo democratico della polis portandola al
massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità
oratorie. 62) Anassagora di Clazomene (quinto secolo a.C.) visse per molti anni
ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale
del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al
mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). 63) Ippocrate di Cos,
vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., fu il fondatore della medicina
antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui
e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti riuniti nel
cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un
emporio commerciale greco. 65) Theuth o Thoth era il dio egizio
dell'invenzione, che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la
testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone
assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la
considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la
trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica. 66)
«La regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re
dell'Egitto, viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle
principali divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e
identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a
Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone». 67) I «giardini di Adone» erano
recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e
subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura di Adone, il
bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di
scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma di
gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione
orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto. 69) Il retore Isocrate (436-338
a.C.) fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di
lui restano 21 orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città
greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione
contro i Persiani. 70) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste
del pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia
e per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come
protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la
preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza
della sapienza.Convito Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org Platone Il Convito 1 Biblioteca
Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org I APOLLODORO Credo
proprio di essere bene informato di quello che mi chiedete. Infatti, l'altro
giorno, me ne stavo venendo in città, da casa mia, dal Falero, quando uno che
conoscevo, vedendomi di spalle, mi chiamò da lontano e, con tono scherzoso, mi
fa: «Apollodoro il falerese, m'aspetti un momento?» lo mi fermo e l'aspetto e
quello: «Ti stavo cercando ansiosamente, Apollodoro, perché volevo sapere
qualcosa di preciso sui discorsi che fecero Agatone, Socrate, Alcibiade e tutti
gli altri, al banchetto, discorsi d'amore, a quanto pare; me ne ha accennato un
tizio che ne aveva sentito parlare da Fenice, il figlio di Filippo, ma mi disse
che ne eri al corrente anche tu. Lui, in realtà, non ne sapeva molto.
Raccontami tutto tu, quindi, perché nessuno meglio di te, può ripetermeli, i
discorsi del tuo amico. Ma, prima di tutto, c'eri o non c'eri a quella
riunione?» «Si vede proprio che questo tizio ti ha male informato se credi che
quella riunione di cui stai parlando è avvenuta poco tempo fa e che io, quindi,
vi abbia potuto partecipare.» «Credevo di sì.» «E come hai fatto a pensarlo,
Glaucone? Non sai che da parecchi anni, ormai, Agatone non s'è più visto qui e
che, d'altra parte, non ne son passati ancora tre da quando io me la faccio con
Socrate, che gli sto sempre dietro, per conoscere quello che dice e quello che
fa? Prima d'allora gironzolavo qua e là e mi pensavo di far chissà che cosa,
mentre ero l'essere più miserabile che c'era sulla faccia della terra, come te,
adesso, che credi ci siano altre cose da fare meglio della filosofia.» «C'è
poco da prendere in giro. Dimmi, piuttosto, quand'è che c'è stata questa
riunione.» «Eravamo ancora ragazzi e fu quando Agatone s'ebbe il premio per la
sua prima tragedia, precisamente il giorno dopo i sacrifici che lui e quelli
del coro vollero fare per festeggiare la vittoria.» «Allora ne è passato del
tempo! Ma a te chi te n'ha parlato. Proprio Socrate?» «Magari. Fu, invece, la
stessa persona che ne parlò a Fenice, un certo Aristodemo, del distretto di
Cidateneo, uno mingherlino, sempre scalzo. Era presente alla riunione perché
era un patito di Socrate, più di tutti, a quel tempo. Ad ogni modo, di quanto
mi riferì costui volli chiederne anche a Socrate che mi confermò quanto l'altro
m'aveva raccontato.» «E, allora, perché non me lo racconti anche a me? Questa
strada che porta in città è proprio fatta apposta per conversare.» Strada
facendo, così, ci mettemmo a parlare di questo ed ecco perché, come vi ho detto
in principio, sono al corrente della cosa. Se devo, quindi, raccontarla anche a
voi, eccomi pronto, anche perché, quando si tratta di filosofia, sia che ne
parli io o che ne senta parlare, provo sempre un immenso piacere, a prescindere
dal vantaggio che penso di ricavarne. Quando, invece, sento certi discorsi, i
vostri specialmente, discorsi di gente ricca, di persone d'affari, che barba,
ma anche che pena, amici miei, che vi credete di far chissà cosa e poi non fate
il resto di nulla. Può essere che voi, da parte vostra, mi crediate un povero
diavolo e supponiate che, in effetti, io lo sia, ma di voi, io non lo suppongo
soltanto, ne sono convinto. AMICO Sei sempre lo stesso tu, Apollodoro, sempre
che dici male di tutti e di te stesso; io credo che per te, tranne Socrate,
tutti gli altri siano soltanto dei disgraziati, tutti quanti, a
2 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org
cominciare da te. Perché poi ti chiamino «il Tranquillo», questo proprio non
riesco a capirlo, con tutti i tuoi discorsi sempre così aspri verso gli altri e
te stesso, tranne, appunto, che per Socrate. APOLLODORO Ah, sì? Io, dunque,
bellezza, dato che penso così di voi e di me, sarei un pazzo e un esagitato?
AMICO Ma ora lasciamo perdere questo, Apollodoro, piantiamola di litigare, e,
come t'abbiamo pregato, raccontaci quali furono questi discorsi. APOLLODORO E
va bene, presso a poco furono questi... ma, aspettate, sarà meglio che
incominci dal principio, come me li ha riferiti Aristodemo. 3
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Egli mi
riferì di aver incontrato Socrate tutto bello lisciato, con un paio di sandali
ai piedi (cosa stranissima) e di avergli chiesto dove stesse andando tutto così
bello. E Socrate: «A pranzo da Agatone; ieri, infatti, alla premiazione per la
sua vittoria, riuscii a svignarmela perché tutta quella folla mi dava fastidio,
ma gli promisi che, oggi, sarei andato da lui. Ecco perché mi son fatto bello:
lui è un bello e, sai com'è. Ma perché non vieni anche tu, che fa, anche se non
sei stato invitato?» Ed io, così mi riferì Aristodemo: «Va bene, come vuoi.» «E
allora andiamo,» fece, «e cambieremo il proverbio dicendo che ‹a, pranzo, dal
buon Agatone, van senza invito le brave persone›. Del resto, Omero, non solo
l'ha modificato, questo proverbio, ma l'ha addirittura capovolto: infatti,
mentre ci ha sempre descritto Agamennone come un guerriero in gamba e Menelao,
invece, come uno smidollato, ecco che ti fa presentare quest'ultimo, senza
essere invitato, a pranzo da Agamennone, che aveva allora allora fatto un
sacrificio e si stava mettendo a tavola, lui, un mediocre, alla mensa di un
valoroso.» E Aristodemo: «Ma Socrate, corro anch'io, allora, questo rischio,
non come dici tu ma nel senso che scrive Omero, di andare, cioè, io, uomo da
nulla, senza essere invitato, a pranzo da un sapiente. Vedi tu, che mi ci
porti, come devi metterla per giustificarti, perché io non dirò che son venuto
da me, ma che sei stato tu ad invitarmi.» «Ma sì, andiamo, ci penseremo per la
strada a quello che dobbiamo dire.» Si dicevano questo, mi raccontava
Aristodemo, quando si posero in cammino. Ma, lungo la strada, Socrate si fece
pensieroso, meditando chissà su che cosa, e restandosene indietro e quando lui
si fermava per aspettarlo, gli diceva di andare pure avanti. Quando Aristodemo
giunse alla casa di Agatone, trovò la porta aperta e qui, mi disse, gli capitò
un fatto curioso: un servo gli corse subito incontro e lo condusse dove i
convitati erano già tutti seduti, in procinto di mettersi a pranzo. Appena
Agatone lo vide: «Oh, Aristodemo,» fece, «arrivi proprio al momento giusto, per
mangiare un boccone con noi; se è per qualche altro motivo che sei venuto,
lascialo per dopo. Ieri ti ho cercato, proprio per invitarti, ma non sono
riuscito a trovarti. E Socrate? Come mai non è con te?» «Io mi volto indietro,»
continuò a raccontarmi, «e, infatti, non lo vedo più. Dissi, allora, che ero
con lui e che, appunto da lui ero stato invitato a quel pranzo.» «Hai fatto benissimo,
ma dov'è che s'è cacciato?» «Un attimo fa era dietro di me; sarei proprio
curioso di sapere anch'io dove può essere andato.» «Suvvia, ragazzo, non ti
sbrighi?» fece Agatone, «va a vedere dov'è Socrate e tu, Aristodemo, siediti
là, vicino a Eressimaco.» II 4 Biblioteca Elettronica
Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org Continuò a raccontare così, che
mentre un servo gli dava da lavarsi per mettersi a tavola, un altro venne a
dire che quel bel tipo di Socrate se ne era andato nell'atrio della casa vicina
e se ne stava lì tutto immobile: «L'ho chiamato,» riferì, «ma lui non vuol
venire.» «Ma che sciocchezze stai dicendo?» gridò Agatone. «Torna a chiamarlo,
insisti.» «Allora, intervenni io,» mi raccontò sempre Aristodemo, «pregandolo
di lasciarlo tranquillo perché era una sua abitudine quella di isolarsi tutt'a
un tratto, e di restarsene immobile dovunque si fosse trovato: ‹Vedrete che
verrà, ne sono certo, ma ora non lo disturbate, lasciatelo tranquillo›.» «Ah,
va bene, va bene, se lo dici tu,» commentò Agatone. «Però voi, ragazzi, ora
portateci da mangiare. Voi mi mettete in tavola sempre quello che vi passa pel
capo, se non vi si sta addosso, ed io non me ne son mai presa troppo la briga;
ma oggi, fate conto come se foste stati voi ad invitare queste persone e me e
quindi, trattateci bene e fatevi onore.» Così mi raccontò che si misero tutti a
mangiare e che Socrate, intanto, non si faceva vivo. Spesso Agatone insisteva.
perché lo mandassero a chiamare, ma lui lo sconsigliava. Finalmente Socrate fece
la sua comparsa e non s'era mica fatto aspettare poi tanto tempo, come di
solito faceva: cioè quando il pranzo era circa a metà. E Agatone che stava
seduto in fondo: «Qua, qua,» esclamò, «Socrate vieniti a sedere vicino a me,
così, gomito a gomito, con un sapiente, io potrò godere della grande scoperta
che hai fatto davanti ai portoni; è chiaro che qualcosa l'hai dovuta pur sempre
scoprire, altrimenti mica ti saresti mosso, tu.» E Socrate, sedendosi: «Sarebbe
una bella cosa, Agatone, se la sapienza potesse scorrere da chi ne ha di più a
chi ne ha di meno, soltanto che ci si mettesse uno vicino all'altro, come
l'acqua che attraverso un filtro passa dal bicchiere pieno a quello vuoto. Se
anche per la sapienza è così io sarò onoratissimo di starmene al tuo fianco;
sono convinto che sarò colmato da parte tua di tanta e bella sapienza, perché,
vedi, la mia, seppure ne ho, è ben misera, assai discutibile, vaga come un
sogno, mentre la tua, invece, così luminosa, così ricca di possibilità, tanto
che, proprio ieri, nonostante la tua giovane età, s'è rivelata e ha brillato in
tutto il suo fulgore davanti a più di trentamila greci.» «Sei un mascalzone tu,
Socrate,» fece Agatone, «ma fra poco ce la vedremo, io e te, in fatto di
sapienza e giudice sarà Dioniso. Intanto, per ora, pensa a mangiare.»
III 5 Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG
http://www.esonet.org E così, continuò a raccontarmi Aristodemo, Socrate si
sedette e quando ebbe finito di mangiare, insieme agli altri, fece le
libagioni, poi cantarono tutti in onore del dio, compirono gli altri riti
dovuti e poi si misero a bere. A un tratto, mi riferì Aristodemo, Pausania se
ne uscì in queste parole: «Ehi, amici, non possiamo andarci più piano?
Francamente devo dirvi che mi sento male dopo la gran bevuta di ieri e che devo
pigliare un po' di respiro; e così, penso anche per molti di voi: ieri
c'eravate un po' tutti. Guardate, dunque, com'è che ci possiam moderare un
po'.» E Aristofane: «Pausania ha ragione. Non scherziamoci troppo col vino; io
mi sento ancora come una spugna zuppa, per ieri.» E allora intervenne
Eressimaco, il figlio di Acumeno: «Ottima idea. Su, coraggio, voglio sentirne
qualche altro; e a te, Agatone, come va col vino?» «Macché, anch'io niente
bene.» «Benissimo,» s'infervorò Eressimaco; «è proprio una fortuna per me, per
Aristodemo, per Fedro e per tutti quanti gli altri se voi, che in fatto di bere
ce la mettete tutta, oggi non vi sentiate in forma: di fronte a voi, infatti,
siamo dei pivellini. Per Socrate è un altro discorso: lui se la cava benissimo
sempre; sia che oggi si beva o meno, lui è sempre a posto. Ma, dato che, mi
pare, qui, oggi, nessuno ha troppa voglia di bere, io credo che se vi parlassi
dell'ubriachezza e del male che fa, la cosa non vi sarebbe sgradita; come
medico, è chiaro, devo dirvi che ubriacarsi fa male e che io non vorrei mai
bere più di un tanto e darei lo stesso consiglio agli altri, specie quando il
giorno prima s'è alzato un po' troppo il gomito.» «Sicuro,» intervenne Fedro,
quello di Mirrinunte; «sai che ti ascolto sempre, specie quando parli da
medico; e farebbero bene ad ascoltarti anche questi altri, se hanno un po' di
giudizio.» E così si trovarono tutti d'accordo di evitare una sbornia, per
quella volta e bere ciascuno per quel che gli andava. IV 6
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org «E poiché,
ora,» riprese Eressimaco, «siamo d'accordo che ognuno potrà bere solo quello
che vuole senza che nessuno stia lì ad obbligarlo, io propongo di mandare a
spasso la suonatrice di flauto, che è entrata ora (che se ne vada a suonare per
conto suo o, dentro, dalle donne) e noi, invece, di restare un po' qui, oggi, a
chiacchierare insieme; potrei anche dirvi di cosa, se volete.» Tutti, allora,
almeno così riferì Aristodemo, approvarono e lo esortarono a proporre
l'argomento. E così, Eressimaco, incominciò: «Inizio come la Melanippe di
Euripide, non sono mie le parole che sto per dirvi, infatti sono di Fedro. È
Fedro che ogni volta, tutto sdegnato, mi dice: ‹Non è una indecenza,
Eressimaco, che i poeti si mettano a comporre inni e canti a tutti gli dei e
che per Amore, invece, per un dio di quella specie, per un dio così grande, non
ce ne sia uno, tra tanti, che abbia scritto un solo verso di lode? Se pigliamo
i sofisti di fama, quello stesso grand'uomo di Prodico, per esempio, ti
scrivono in prosa di Ercole o di altri; e questo sarebbe niente se non mi fosse
capitato tra le mani il libro di un gran cervellone nel quale, costui, non
faceva niente po' po' di meno che l'elogio sperticato del sale e della sua
utilità: di questi elogi ne puoi trovare dovunque, in abbondanza. E pensare che
si spreca tanta fatica per simili argomenti e, poi, per Amore non s'è ancora
trovato nessuno, almeno fino ad oggi, che s'è sentito di celebrarlo degnamente:
ecco come si tratta un dio simile.› Secondo me Fedro ha proprio ragione.
Quindi, è mio desiderio fargli questo regalo e mostrarmi compiacente e, nello
stesso tempo, profittando dell'occasione, niente di meglio, a mio avviso, per
tutti noi, di rendere onore a questo dio. Se siete d'accordo anche voi potremmo
passare il tempo così: ognuno di noi, cioè, io penso, per esempio partendo da
destra, dovrebbe fare un discorso in lode di Amore, si capisce meglio che può;
e che cominci proprio Fedro che è il primo della fila e che, d'altro canto, è
stato lui proprio a darci l'idea per un simile argomento.» «Nessuno sarà
contrario, Eressimaco,» intervenne Socrate, «a cominciare da me che affermo di
essere un esperto soltanto in cose d'amore, né Agatone, né Pausania, figuriamoci
poi Aristofane che tra Bacco e Venere, ci passa la vita, e nemmeno questi altri
a quanto vedo. C'è un fatto però, che noi che siamo seduti quaggiù, per ultimi,
veniamo a trovarci in svantaggio; comunque, se i primi diranno quel che devono
dire e lo diranno bene, a noi basterà. E, allora, buona fortuna, Fedro,
comincia a fare le lodi di Amore.» Al che tutti quanti approvarono e fecero eco
alle parole di Socrate. Ora, quello che ciascuno disse, Aristodemo non lo
ricordava bene e, dal canto mio, io stesso, ora, non ricordo più, tutto quello
che lui mi riferì, tranne le cose più importanti e, perciò, vi potrò ripetere
solo quei discorsi che mi parvero più degni di ricordo. V 7
Biblioteca Elettronica Esoterica ESONET.ORG http://www.esonet.org E, così, il
primo a parlare, mi raccontò, fu Fedro che incominciò presso a poco col dire
che Amore è un dio possente, meraviglioso, tanto fra gli uomini che fra gli dei
per molte e tante ragioni ma, soprattutto, per quel che riguarda la sua
nascita: «Egli ha il vanto,» continuò Fedro, «di essere, fra tutti, il dio più
antico e, prova di questo è il fatto che non ha genitori e mai nessuno ne ha
parlato, prosatore o poeta che fosse. Esiodo ci dice che ci fu dapprima il
Caos: la Terra dall'ampio petto, sicura sede e poi per tutti sempre e, poi,
Amore Insomma, secondo questo poeta, dopo il Caos ci furono queste due
divinità: Terra e Amore. E Parmenide così narra la genesi: Primo di tutti gli
dei creò Amore Con Esiodo concorda Acusilao. Quindi, da più fonti, si conviene
che Amore è antichissimo. E, così com'è il più antico, è fonte, per noi, di
grandissimi beni. Io, infatti, non so se vi sia un bene maggiore che avere, fin
da giovani una persona virtuosa da amare o anche viceversa, che ci ami. E, in
effetti, niente come Amore può dare all'uomo quei principi che valgono per
vivere rettamente tutta la vita, non la nascita, non gli onori, non la
ricchezza, niente di questo. Ma a quali principi voglio alludere?, mi chiedo:
alla vergogna per le brutte azioni e al desiderio di buone, senza dei quali né
stati né individui possono mai realizzare qualcosa di grande e di bello. E,
inoltre, io dico che un uomo innamorato, sorpreso a commettere una brutta
azione o a subirla, se la sua viltà non gli consente di difendersi, non proverà
mai tanto dolore se lo vede il padre o l'amico o chiunque altro, quanto se lo
vedesse la persona amata, E lo stesso è per quest'ultima, che se fa qualcosa di
male si vergogna soprattutto se è vista da chi la ama. Oh, se ci potesse essere
una città o un esercito composto tutto di innamorati, non vi sarebbe modo
migliore di reggerlo e di vedere uomini rifuggire dal male e rivaleggiare tra
loro nelle belle azioni; in guerra, poi, messi uno al fianco dell'altro, anche
se in pochi, si può dire che vincerebbero il mondo intero. Perché l'uomo
innamorato sarebbe disposto ad abbandonare il suo reparto, a gettare le armi
sotto gli occhi di tutti, ma non dinanzi alla persona amata, piuttosto
preferirebbe centomila volte morire; e, d'altronde, abbandonare la persona
cara, non prestarle il suo aiuto se è in pericolo, non c'è nessun uomo tanto
vile cui Amore non riesca ad infondere il necessario coraggio, come se fosse
posseduto da un dio e renderlo uguale a chi è coraggioso di natura. Insomma, lo
stesso soffio divino che, a quanto dice Omero, un dio infonde in taluni eroi,
Amore, come un suo dono, suscita in quelli che amano.E poi, solo quelli che
amano sono pronti a morire per gli altri e non solo gli uomini ma anche le
donne. Vedi Alcesti, per esempio, la figlia di Pelia che per noi greci è la più
bella prova di ciò che dico, la quale fu la sola a voler morire al posto del
suo sposo che aveva pure un padre e una madre; costei fu tanto più sublime, nel
suo cuore di donna, acceso, appunto dall'amore, da far apparire i parenti di lui
quasi degli estranei al loro stesso figliolo, legati a lui soltanto dal nome. E
questo gesto fu giudicato così bello non solo dagli uomini ma anche dagli dei,
che questi, pur concedendo solo a pochi, tra i tanti che compiono belle
imprese, il privilegio di vedersi restituita alla luce la loro anima,
consentirono a questa fanciulla il ritorno alla terra, commossi del suo gesto;
questo dimostra che gli dei apprezzano moltissimo lo zelo e la virtù che
nascono dall'amore. Orfeo, invece, il figlio di Eagro, te lo rimandarono fuori
dall'inferno senza che avesse ottenuto nulla, mostrandogli solo la falsa
immagine della sua donna, per la quale egli era sceso nell'Ade e non gliela
restituirono, considerandolo un debole (suonatore di cetra com'era) perché non
aveva avuto il coraggio di morire per amore, come Alcesti, ma, vivo, era
riuscito a penetrare nell'Ade e con l'astuzia. Ecco perché gli inflissero
questa punizione e lo fecero morire per mano di donne. Non così Achille che
onorarono invece e mandarono alle isole dei beati perché per quanto egli fosse
già stato avvertito dalla madre che se avesse ucciso Ettore sarebbe morto
mentre se l'avesse risparmiato sarebbe ritornato in patria e lì avrebbe finito
vecchio i suoi giorni, preferì scendere in campo per Patroclo, per l'amico che
amava e vendicarlo e morire per lui, non solo, ma per lui morto; per questo gli
dei profondamente ammirati gli resero onori grandissimi, come quello che aveva
tenuto così alto nel suo cuore l'amico amato. Eschilo dice un'inesattezza quando
afferma che era Achille l'amante di Patroclo, lui che non solo era più bello di
Patroclo ma di tutti gli altri eroi, imberbe ancora e quindi molto più giovane
di lui come dice Omero. La verità, però, è che gli dei pur onorando assai
questo sentimento d'amore, volgono più la loro ammirazione, le loro lodi a
colui che ricambia l'amore di chi lo ama, piuttosto che a quest'ultimo. Colui
che ama è cosa più divina di chi si lascia amare, perché un dio lo possiede;
per questo gli dei onorarono maggiormente Achille che non Alcesti e gli
dischiusero le isole dei beati. Per concludere io affermo che Amore è il più
antico degli dei, il più degno di onori, quello che più può infondere agli
uomini virtù e felicità, sia mentre vivono che dopo la loro morte.» Questo,
presso a poco, a quanto mi riferì Aristodemo, fu il discorso di Fedro. Dopo di
lui parlarono altri, però non ricordava molto. E così passò a riferirmi il
discorso di Pausania che prese a dire: «Non mi pare che tu abbia ben impostato
il tuo discorso, Fedro, così come hai troppo semplicisticamente fatto le lodi
di Amore. Se, infatti, Amore fosse uno solo, la cosa sarebbe potuta anche
passare; ma il fatto è che non è uno soltanto e quindi è più giusto precisare
prima qual è che bisogna lodare. Ed è a questo errore che io cercherò di
rimediare, in primo luogo dicendo quale Amore convenga lodare e poi facendone
in modo degno l'elogio. Tutti riconoscono che non si può concepire Venere senza
Amore. Se di Venere ce ne fosse una sola, lo stesso dovrebbe dirsi di Amore, ma
poiché due sono le Veneri, due saranno anche gli Amori. Non sono forse due le
dee? Una, la più antica, che non ebbe madre, la figlia del Cielo, che appunto
chiamiamo Celeste, l'altra, più giovane, figlia di Giove e di Dione, che
chiamiamo Pandemia. Ne consegue che l'Amore che convive con quest'ultima,
giustamente vien chiamato Pandemio, l'altro, Celeste. Gli dei, in verità,
bisogna onorarli tutti, ma ora, di questi due, occorre pur dire quali sono gli
attributi. Intanto, ogni azione ha questo di caratteristico: che per se stessa
non è mai bella o brutta. Per esempio: quello che noi ora stiamo facendo, cioè
bere, cantare, discutere, in se stesso, non è che sia bello, ma lo diventa dal
modo con cui questa azione viene compiuta: onestamente e rettamente, è bella,
altrimenti, la stessa azione è cattiva. Lo stesso è quando si ama: non ogni
Amore è bello o degno di lode, ma solo quello che spinge a nobilmente
amare.«Orbene, l'Amore che convive con la Venere Pandemia, è ovvio che sarà
anch'egli Pandemio, cioè volgare e si comporta un po' alla carlona; questo tipo
d'Amore vien prediletto dai mediocri che non fan differenza a giacersi con
donne o giovincelli di cui amano, oltretutto, più il corpo che l'animo, anzi
preferiscono gli esseri sciocchi, tutti presi come sono dall'atto carnale,
senza un briciolo di buon gusto, e accade così che finiscono per comportarsi
come capita, bene o male che sia. Questo perché un simile Amore deriva dalla
Venere più giovane che, nascendo, s'ebbe i caratteri della femmina e, insieme,
quelli del maschio. L'altro Amore, invece, deriva dalla Venere Celeste che
anzitutto non partecipa della natura femminile ma solo di quella maschile (e
questo è l'amore per i giovinetti) e, in secondo luogo è più antica e immune da
ogni forma di libidine. Così, quelli che sono infiammati da questo Amore,
volgono le loro predilezioni al sesso maschile presi come sono da ciò che, per
natura, è più vigoroso e dotato di più aperto intelletto. E in questa passione
per i giovani è facile riconoscere quelli che sono nobilmente infiammati da
questo Amore; costoro, infatti, non si legano ai giovani se non quando questi
hanno già una loro maturità intellettuale e vedono spuntare la prima barba. Io
penso, infatti, che chi per amarli attende che essi giungano a questa età, lo
fa per poter convivere poi tutta la vita con loro in una dolce intimità e non
per ingannarli, per approfittare della loro ingenuità e sbeffarli, piantandoli
poi in asso per correre dietro a un altro. Anzi ci vorrebbe proprio una legge
che vietasse di aver relazioni amorose con i minorenni, per evitare che si
sciupi tempo e fatica per un esito incerto; con i ragazzi, infatti, non si sa
mai come vada a finire, se faranno una buona riuscita o meno, sia per quel che
riguarda le doti fisiche che per quelle morali. I galantuomini se la pongono da
sé questa legge, ma per i dongiovanni da quattro soldi, sarebbe proprio
necessario far qualcosa in proposito, così come abbiamo impedito, meglio che
s'è potuto, che avessero rapporti intimi con donne di condizione libera. Sono
questi che han fatto degenerare la cosa a tal punto che ora c'è gente che
afferma che è brutto corrispondere chi ci ama; e lo dice proprio perché ha
davanti agli occhi l'esempio di questi tipi, privi affatto di buon gusto e di
un minimo di pudore, giacché nessuna cosa, se è fatta nei dovuti limiti e
secondo onestà, può giustamente tirarsi dietro un qualche biasimo. Negli altri
Stati, intanto, le leggi sull'amore non sonio di difficile interpretazione,
regolate da principi assai semplici, così come concettosi e ingarbugliati sono
da noi. Nell'Elide, per esempio o a Sparta o anche in Beozia, dove la gente non
è abituata a far bei discorsi, viene, molto semplicemente, riconosciuto che è
bello corrispondere chi ama e nessuno, giovane o vecchio che sia, si sognerebbe
di dire che è cosa brutta; questo, a mio avviso, perché non vogliono pigliarsi
troppo la briga di persuadere i giovani, inesperti come sono nell'arte del
dire. Nella Ionia, invece, e in molte altre parti dove predominano popolazioni
non greche, la cosa è ritenuta vergognosa; presso i popoli stranieri, del
resto, proprio per i loro regimi tirannici, anche l'amore che uno può portare
alla sapienza o alla ginnastica, è cosa disonesta. Infatti, io penso che ai
governanti non convenga che sorgano tra i sudditi nobili e forti proponimenti o
salde amicizie o identità di vedute, tutte cose, queste, che è proprio l'amore,
di solito, a far nascere. E questo l'hanno imparato anche qui da noi i
nostri tiranni, come l'amore di Aristogitone e l'intrepida amicizia di Armodio,
abbiano distrutto il loro potere. Pertanto, là dove si ritiene che è cosa
disonesta corrispondere chi ama, ciò è dipeso dalla mediocrità dei legislatori,
dall'arroganza dei governanti e dalla viltà dei sudditi; laddove, invece, la
cosa è ritenuta senz'altro bella, in linea assoluta, è stato per la pigrizia di
chi ha fatto la legge. Quindi, da noi, vige una consuetudine più bella che
altrove ma, come dicevo prima, non è facile, però, interpretarla. «Si
pensi, infatti, che da noi si reputa più bello amare alla luce del sole che di
nascosto, amare, poi, soprattutto, chi è virtuoso e nobile anche se è più
brutto degli altri e che si dà un incoraggiamento straordinario a chi ama, non
ritenendo affatto che la sua sia un'azione vergognosa, anzi è motivo di
orgoglio riuscire nel proprio intento ed è quasi un disonore, invece, fallire
nella conquista e che la legge accorda all'amante, per le sue imprese amorose,
la libertà di fare cose addirittura straordinarie e di riceverne lode, cosa che
se uno facesse con altre intenzioni e per altri fini, si tirerebbe addosso il
biasimo di tutti. Se uno, infatti, volendo farsi dare del denaro da qualcuno o
desiderando ottenere un pubblico impiego o qualche carica, si mettesse a fare
quel che gli amanti fanno per i loro fanciulli, suppliche, scongiuri, per
ottenere quello che bramano, i giuramenti che fanno, tutte le notti che passano
fuori davanti all'uscio del loro amore, tutti i servizi a cui si piegano,
quelli più infimi, cui nessuno schiavo s'adatterebbe, costui si vedrebbe
ostacolato in questo suo modo di fare, non solo dagli amici ma anche dai suoi
avversari che gli rimprovererebbero queste smancerie e questo servilismo,
richiamandolo al dovere e vergognandosi per lui; se tutto questo uno, invece,
lo fa per amore, acquista addirittura pregio e la nostra legge glielo consente,
senza che su di lui ricada biasimo alcuno, come se, in effetti, compisse una
cosa bellissima. Ma quello che è ancora più straordinario è che, a quanto
dicono i più, solo a chi ama è concesso, quando giura e poi non mantiene il
giuramento, di ottenere il perdono degli dei perché, a quanto si dice, in amore
non c'è giuramento che valga. È per questo che sia gli dei che gli uomini hanno
concesso, a chi ama, un'assoluta libertà, come ci provano le nostre leggi.
Tutto questo autorizzerebbe a credere che in questa nostra patria, amare e
corrispondere chi ama è ritenuta cosa bellissima. Eppure quando i genitori ti
mettono alle calcagna dei loro figlioli un pedagogo, col preciso incarico di tenerli
lontani dai loro corteggiatori, quando i compagni e i coetanei fanno quasi
succedere uno scandalo se si accorgono di qualcosa del genere, mentre i più
anziani lasciano che dicano e non intervengono a queste esagerate reazioni, a
guardar bene tutto questo sembrerebbe proprio che qui da noi l'amore sia
considerato cosa del tutto disonesta. Il fatto è, a mio avviso, che la cosa sta
invece così: non c'è nulla di assoluto, come accennai prima, e niente è bello o
brutto per se stesso, ma diventa l'uno o l'altro a seconda che sia fatto bene o
male. Così, l'amore diventa cosa spregevole se, senza alcun buon gusto, uno si
concede a un essere spregevole, è cosa bella, invece, quando lo si fa
onestamente con persona onesta. Ed amante del tutto indegno, volgare, è colui
che ama più il corpo che l'animo, perché costui, infatti, non è costante, preso
com'è da cosa che non dura. Quando, infatti, sfiorisce la bellezza del corpo,
di quel fiore che amava, egli ‹fugge lontano, scompare› e addio promesse e
belle parole. Chi, invece, ama qualcuno per la bellezza del suo animo, gli
resta fedele per tutta la vita, perché s'è congiunto a cosa che dura. Perciò le
nostre leggi si prefiggono di ben individuare tutti costoro per accordare, agli
uni, ogni favore e mettere al bando gli altri e per questo si esortano gli
amanti a insistere nelle loro profferte e gli amati a schermirsi, cercando
così, per questa specie di gara, di stabilire a quale delle due categorie
appartengano gli uni e gli altri. Per questo motivo è ritenuta gran brutta
cosa, prima di tutto, lasciarsi sedurre, così, in quattro e quattr'otto, senza
dar tempo al tempo, che, in fondo, si sa, per tante cose è un gran maestro; in
secondo luogo, lasciarsi incantare dal denaro o dalle prospettive di cariche
politiche, sia che il giovane per qualche violenza subita si intimorisca e si
metta in condizione di non reagire, sia che, prospettandogli la possibilità di
far denaro o di avere successo in politica, egli non vi rinunci sdegnosamente:
infatti, nessuna di queste cose è sicura e durevole, oltre al fatto, poi, che
da esse non potrà mai nascere una lunga amicizia. Quindi, secondo la nostra
legge, non c'è che una strada perché l'amato possa onestamente corrispondere e
compiacere l'amante, ed è questa: come non è affatto vergognoso e umiliante,
per chi ama, sottoporsi per il suo amore, a ogni sorta di schiavitù, così c'è
una sola servitù volontaria, non indecorosa o infamante: quella che ha per
oggetto la virtù. «Ed è norma ancora, da noi, che se uno si mette al servizio
di un altro ritenendo che ciò possa contribuire a renderlo migliore nel campo
del sapere o in qualche altra virtù, questa sottomissione volontaria non è
vergognosa, né servile. Occorre, pertanto, che queste due norme, quella
sull'amore dei giovinetti e quella sul desiderio di acquistar sapienza o
qualsiasi altra virtù, si fondano insieme se si vuole che sia veramente una
cosa bella che il giovane conceda le sue grazie a un amante. Infatti quando
l'amante e la persona amata s'incontrano, ciascuno, ligio a una sua precisa
condotta, cioè l'uno disposto a servire il giovane che gli ha concesso i suoi
favori e a servirlo onestamente, l'altro, con la stessa onestà, a seguire la
volontà di chi lo rende sapiente e migliore e quando il primo sia veramente
capace di dare senno e virtù e l'altro veramente desideroso di educarsi e
d'acquistar, in ogni modo, sapienza, quando questo avviene, quando queste due
direttrici convergono a un unico fine, oh, allora, si è cosa bella che la
persona amata conceda i suoi favori a chi l'ama, altrimenti niente da fare. In
questo caso essere ingannati non è nemmeno mortificante; in tutti gli altri
casi, ingannati che si sia o meno, c'è da arrossir di vergogna. Se un giovane,
infatti, in un miraggio di ricchezza, si è lasciato sedurre per denaro e poi
resta ingannato perché s'accorge che il suo seduttore è povero, questo giovane,
compie un'azione molto spregevole, perché s'è rivelato quel che egli era: un
uomo capace di darsi a chiunque per sete di denaro e questo non è bello. E per
un ragionamento analogo, se lo stesso giovane, invece, si fosse concesso a
persona virtuosa, riconoscendo che sarebbe divenuto migliore proprio in virtù
di quella corrispondenza e poi fosse stato ingannato perché il suo amante s'è
rivelato persona del tutto mediocre, priva di qualsiasi virtù, ebbene questa
delusione è motivo di compatimento; infatti, egli ha dimostrato di esser pronto
a dar tutto se stesso a chiunque, ma per la virtù e pur di diventar migliore, e
questo, certo, è tra tutte, cosa bellissima. In conclusione, il concedersi per
ottenere, in cambio, virtù, è bello. Questo è l'Amore della dea celeste,
celeste egli stesso, degno in tutto di venerazione da parte dello stato come
dei singoli individui, che spinge gli amanti e le persone amate, ciascuno per
quel che gli compete, a preoccuparsi soltanto d'essere virtuosi. Quanto agli
altri amori, provengono tutti dalla Venere Pandemia, volgare. Questo è quanto
ho improvvisato, Fedro, così su due piedi, a proposito di Amore.» Dopo la pausa
di Pausania (guarda un po' che giochetti di parole ti sto a fare, che
m'insegnano i dotti), a quanto ebbe a riferirmi Aristodemo, toccava ad
Aristofane, senonché, vuoi per la pienezza di stomaco, vuoi per qualche altra
causa, costui aveva il singhiozzo e, quindi, era nell'impossibilità di parlare.
Si rivolse, allora a Eressimaco, il medico, che gli era seduto accanto: «Cerca
di liberarmi da questo singhiozzo, Eressimaco,» gli disse, «o, almeno, prendi
tu la parola, finoa quando non si sarà calmato.» «Cercherò di venirti incontro
in un modo e nell'altro; parlerò io al tuo posto e poi interverrai tu quando ti
sarà passato; intanto cerca di trattenere il respiro per qualche minuto e
vedrai che il singhiozzo se ne andrà, oppure bevi un sorso d'acqua, fai dei
gargarismi e, se persiste, prendi qualcosa che ti solletichi il naso e cerca di
starnutire e vedrai che, con un paio di starnuti, per quanto ostinato, ti
passerà.» «Sì, ma tu sbrigati a parlare,» insistette Aristofane, «intanto io
cercherò di fare come tu dici.» E così Eressimaco incominciò: «A mio
avviso, mi par necessario che cerchi di concludere il discorso che Pausania ha
iniziato così bene ma che poi non ha portato a termine. Che Amore sia duplice,
ci sembra distinzione esatta; ma che esso non alberga solo negli uomini
attratti dalle belle creature, ma in tutti gli altri esseri, a loro volta presi
per altre forme, negli animali, per esempio, nelle piante e comunque in tutte
le creature viventi, io credo di averlo dedotto dalla medicina, la nostra arte
e, altresì, come Amore sia grande e meraviglioso iddio, presente ovunque in
ogni cosa umana e divina. Comincerò, quindi, a trattar l'argomento da un punto
di vista medico, anche in omaggio a questa arte. La natura dei corpi è tale che
essi hanno in sé questo duplice Amore; infatti, per il corpo, malattia e salute
sono, come tutti sanno, due condizioni diverse e contrarie e, come tali,
perciò, non appetiscono e non desiderano mai le stesse cose. In poche parole,
altro è il desiderio che prova la parte sana, altro quello che sente la parte malata.
E come Pausania diceva poco fa che è bello concedersi a un amante virtuoso e
vergognoso è, invece, darsi a un dissoluto, lo stesso è anche per i corpi per
cui è cosa bella, anzi doverosa, favorire lo sviluppo delle parti sane di
ciascun organismo (e, in fondo, proprio questo è il compito del medico) ed è
male, invece, farlo per le parti malate per le quali occorre agire con
intransigenza, se si è veramente capaci nell'arte medica. Infatti, la medicina,
per dirla in breve, è la scienza che studia le tendenze affettive
dell'organismo nel suo riempirsi e svuotarsi e chi sa distinguere in queste
tendenze, le buone dalle cattive, costui è un gran medico; chi, poi, queste
tendenze le sappia anche modificare o suscitarne una al posto dell'altra o
stimolarne qualcuna laddove non ve ne siano e invece dovrebbero esservi o,
addirittura, cancellare quelle che vi sono, costui, allora, sarà proprio un
maestro eccellente. Bisogna, infatti, che le parti di un organismo che sono tra
loro incompatibili si riconcilino e trovino una loro reciproca armonia. E gli
elementi più incompatibili sono quelli contrari, freddo e caldo, amaro e dolce,
secco e umido e così via; e poiché ad aver saputo conciliare ed armonizzare
tutti questi contrari è stato nostro padre Asclepio, egli, come dicono questi
poeti e come anch'io sono convinto, è il fondatore di questa nostra scienza.
Tutta la medicina, dunque, come vi sto dicendo, è governata da questo dio, come
del resto la ginnastica e l'agricoltura. Quanto alla musica, poi, basta un minimo
di riflessione perché tutti comprendano che essa si comporta alla stessa
stregua delle altre arti, come anche Eraclito, del resto, forse vuol dire,
sebbene non si esprima in termini molto chiari: ‹L'unità in sé discorde,› dice,
‹con se stessa s'accorda, come l'armonia dell'arco e della lira.› Ora, è
assurdo pensare che l'armonia sia mancanza di accordi o che nasca da elementi
ancora discordanti tra loro. Egli, forse, voleva dire che essa nasce da
elementi prima discordanti, l'acuto e il grave, per esempio, che si son poi
accordati per virtù della musica; infatti, non è certo possibile che l'armonia
risulti da suoni tuttora discordi tra loro quali l'acuto e il grave. In verità,
l'armonia è consonanza e la consonanza è accordo; non è possibile, ora, che vi
sia accordo da cose discordi finché restino tali, come impossibile è che vi sia
armonia quando gli elementi discordanti non abbiano trovato il loro accordo;
così come anche il ritmo, del resto, che risulta dal veloce e dal lento prima
discordi tra loro ma poi armonizzati insieme. E l'accordo fra tutti gli
elementi, come per quelli di prima era dato dalla medicina, così per questi è
dato dalla musica che produce, quindi, tra loro, reciproca armonia e
corrispondenza. La musica, quindi, per quanto riguarda il ritmo e l'armonia, è
scienza d'amore. Non è difficile, poi, individuare nella stessa costituzione
del ritmo e dell'armonia questa sua peculiarità, in quanto in essa non vi sono
le due specie d'amore. Quando però si compongono ritmi e armonie per la gente (ed
è questa, propriamente, ciò che si chiama composizione musicale) o si eseguono
fedelmente melodie e partiture altrui (e questo è virtuosismo), allora sì che
viene il difficile e occorre un bravo artista. E qui si torna al discorso di
prima, cioè che bisogna compiacere alle persone per bene o a quelle che ancora
non lo sono ma vogliono diventarlo e conservarsi il loro amore che è poi quello
bello, quello celeste, l'amore di Afrodite Urania; quello di Polimnia, invece,
è l'amore pandemio, volgare, cui bisogna concedersi con prudenza e che
dobbiamo, a nostra volta, con prudenza concedere per goderne senza tuttavia
farne abuso. Del resto, anche nella nostra scienza è molto importante sapersi
ben destreggiare con i desideri per la buona cucina in modo da saperla gustare
senza poi ammalarsi. E così nella musica, nella medicina e in tutto il resto,
sia nelle cose umane come in quelle divine, occorre tener presenti, per quanto
possibile, l'uno e l'altro amore, dovunque contenuti entrambi. «E anche le
stagioni dell'anno, nella loro successione, son colme di questi due amori e
quando gli elementi contrari di cui parlavo prima, il caldo e il freddo, il
secco e l'umido, cadono sotto l'influenza dell'amore benigno che li armonizza e
li compone sapientemente, allora le stagioni recano abbondanza e salute agli
uomini, agli animali e alle piante e non portano alcun danno. Quando, invece,
ha il sopravvento l'altro amore, con tutta la sua violenza, ecco, allora,
rovine e distruzione ovunque, ecco la causa di pestilenze e di molti altri
simili morbi per gli animali e le piante; e, infatti, il gelo, la grandine, la
rubigine derivano dalla violenza e dal disordine con cui si manifestano queste
tendenze d'amore. La scienza che, attraverso il moto degli astri e il
succedersi delle stagioni indaga questi fenomeni, si chiama astronomia.
Inoltre, tutti i sacrifici e i riti a cui presiede l'arte profetica, nel loro
insieme (sono essi a mantenere un rapporto tra gli uomini e le divinità) non
hanno altro scopo che di custodire e salvaguardare l'Amore; ogni scelleratezza,
infatti, nasce perché non si dimostra buona disposizione nei riguardi dell'amor
benigno, né, in quel che si fa, lo si tiene nella dovuta stima e lo si onora.
Cose, invece, che si concedono tutte all'altro amore, sia per quel che riguarda
i rapporti con i propri genitori, vivi o morti che siano, sia quelli con gli
dei. A queste cose, appunto, l'arte profetica è destinata, per cui deve
sorvegliare gli amori e apprestarne i rimedi; e la divinazione è all'origine
dell'amicizia tra gli dei e gli uomini in quanto, delle tendenze umane, conosce
quelle che si volgono alla giustizia e alla pietà. Dunque, tanto grande e
vasta, anzi, universale è la forza d'Amore, ma quello che si volge al bene con
saggezza e giustizia sia nei nostri rapporti umani che in quelli degli dei tra
loro, ha forza ancora maggiore e ci dà la felicità e ci fa vivere nella
concordia e nell'amicizia con tutti e con chi è migliore di noi, cioè con gli
dei. Forse anch'io ho tralasciato molte cose, mio malgrado, in questo elogio
d'Amore; se l'ho fatto, è compito tuo Aristofane rimediarvi; se, invece, vuoi
onorare il dio in altro modo, fallo pure, dato che il singhiozzo t'è passato.»
E così, mi riferì Aristodemo, cominciò a parlare Aristofane che disse:
«Veramente è passato ma solo con lo starnuto, tanto che io mi meraviglio come
il corpo umano, così ben fatto, abbia proprio bisogno di tanto rumore e
solleticamenti, come lo starnuto. Sta di fatto, però, che il singhiozzo è
cessato appena ho starnutito.» «Ma, mio caro Aristofane,» ribatté Eressimaco,
«sta un po' attento a quel che fai; ti metti a far dello spirito proprio ora
che devi parlare e così mi costringi a stare sul chi va là per ogni tua parola,
nel caso ti saltasse in mente di dirle grosse, e sì che potresti parlar
tranquillamente.» «Hai ragione, Eressimaco,» ammise Aristofane, ridendo, «fingi
come se non avessi detto nulla. Ma non stare sul chi va là mentre parlo perché
io ho proprio paura, non tanto perché, forse, con quello che sto per dire, farò
ridere, il che potrebbe essere anche piacevole e coerente con la mia musa, ma
perché mi farò invece deridere.» «Sì, sì, va bene, Aristofane, tu prima lanci
il sasso e poi nascondi la mano; mettici attenzione, invece, e parla come se
dovessi dar conto di quello che dici; da parte mia, intanto, vedrò di lasciarti
tranquillo.» Per dir la verità, Eressimaco,» cominciò Aristofane,
«io avrei in mente di fare un discorso diverso da quello tuo e di Pausania. Io
credo, infatti, che di tutta questa potenza dell'Amore, gli uomini non se ne
siano accorti per niente, altrimenti gli avrebbero innalzato templi grandiosi,
altari, gli farebbero sacrifici magnifici e, invece, nulla di tutto questo
mentre sarebbe la prima cosa da fare. Nessuno come lui, tra tutti quanti gli
dei, è amico degli uomini, viene in loro aiuto, cerca di curarne i mali, la cui
guarigione, forse, sarebbe la più grande felicità del genere umano. Quindi, io
cercherò di svelarvi la sua potenza e voi, a vostra volta, la rivelerete agli
altri. Per prima cosa, dovete rendervi conto cosa sia la natura umana e quali
siano state le sue vicende; per il passato, infatti, essa non era quella che è
oggi. Nel principio, tre erano i sessi dell'uomo, non due, il maschio e la
femmina, come ora: ce n'era un terzo che aveva in sé i caratteri degli altri
due, ma che oggi è scomparso e del quale resta soltanto il nome: l'ermafrodito.
Esso, infatti, era un essere a sé stante che, nell'aspetto esteriore e nel
nome, aveva dell'uno e dell'altro, cioè, del maschio e della femmina; oggi,
ripeto, non resta che il nome che, per di più, ha un significato infamante.
Inoltre, la figura di questo essere umano era arrotondata, dorso e fianchi
formavano come un cerchio; aveva quattro mani e quattro erano pure le gambe;
aveva anche due facce, piantate su un collo anch'esso rotondo, completamente
uguali e attaccate, in senso opposto, a un unico cranio; aveva quattro
orecchie, doppi gli organi genitali e, da tutto questo, possiamo immaginarci il
resto. Camminavano in posizione eretta, come noi, volendo potevano spostarsi in
qualunque direzione e, quando correvano, facevano un po' come i nostri
saltimbanchi che gettano in aria le gambe e capriolettano su se stessi: e
poiché gli arti erano otto, appoggiandosi su di essi, procedevano, a ruota,
velocemente. I sessi erano tre, perché quello maschile aveva avuto origine dal
sole, quello femminile dalla terra e l'altro, con i caratteri d'ambedue, dalla
luna, dato che quest'ultima partecipa del sole e della terra insieme: perciò
avevano quell'aspetto e si spostavano rotolando, perché somigliavano a quei
loro progenitori. Avevano una resistenza e una forza prodigiosa, nonché
un'arroganza senza limiti, tanto che si misero in urto con gli dei e quel che
dice Omero di Efialte e di Oto, che tentarono di scalare il cielo, va riferito
a costoro. «E così Giove e gli altri dei si consigliarono sul da
farsi ma non seppero risolversi: non era il caso di ucciderli, infatti, come i
Giganti, e di estinguerne la specie a colpi di fulmine (il che sarebbe stato
come far sparire onori e sacrifici agli dei da parte degli uomini) e del resto
non era possibile continuare a sopportare oltre la loro tracotanza. A furia di
pensare, Giove, finalmente, ha un'idea: ‹Ho trovato il sistema,› esclamò,
‹perché gli uomini sopravvivano ma, nello stesso tempo, divengano più deboli e
la smettano con la loro prepotenza. Ecco che li taglierò, ciascuno, in due,›
continuò, ‹così diventeranno più deboli, e, dato che aumenteranno di numero
potranno esserci anche più utili. Cammineranno su due gambe e, se non si
metteranno tranquilli e faranno ancora i prepotenti, li taglierò ancora e cosi
impareranno a camminare su una gamba sola, come nel gioco degli otri.› Detto
fatto, si mise a tagliare gli uomini in due come si tagliano le sorbe quando si
mettono a seccare, o come si divide un uovo col crine. E via via che tagliava,
poi, raccomandava ad Apollo che a ciascuno gli rivoltasse il viso e la metà del
collo dalla parte del taglio in modo che l'uomo, vedendosi sempre la sua
spaccatura, diventasse più mansueto; Apollo, infine, provvedeva a chiudere le
altre parti. Girava la faccia e, tirando la pelle, tutta verso quel punto che
noi ora chiamiamo ventre, come chi fa per chiudere coi lacci una borsa, faceva
una specie di groppo, che legava proprio in mezzo alla pancia, quello che noi
chiamiamo ombelico. Spianava, poi, le molte rughe e modellava il petto usando
un arnese un po' simile a quello che adoperano i sellai per spianare, sulla
forma, le grinze del cuoio: ne lasciava, però, qualcuna, nei paraggi del ventre
e intorno all'ombelico, in ricordo dell'antico castigo. Fu così che gli uomini
furono divisi in due, ma ecco che ciascuna metà desiderava ricongiungersi
all'altra; si abbracciavano, restavano fortemente avvinti e, nel desiderio di
ricongiungersi nuovamente, si lasciavano morire di fame e di accidia, non
volendo far più nulla, divise com'erano, l'una dall'altra. Quando, poi, una
delle due metà, moriva, quella rimasta in vita, se ne cercava un'altra e le si
avvinghiava, sia che le capitasse una metà di sesso femminile (che oggi noi
chiamiamo propriamente donna) che una di sesso maschile; e così, morivano.
Allora Giove, impietosito, ricorse a un nuovo espediente: spostò il loro sesso
sul davanti; prima, infatti, l'avevano dalla parte esterna e generavano e si
riproducevano non unendosi tra loro, ma alla terra, come le cicale. Dunque,
trasferì questi organi sul davanti e, così facendo, rese possibile la
procreazione attraverso l'unione del maschio nella femmina; lo scopo era quello
di far generare e di perpetuare la specie grazie a un simile accoppiamento tra
maschio e femmina; se, invece, l'unione fosse stata fra maschi, dopo un po'
sarebbe venuta sazietà da questo connubio e così, una volta separatisi,
sarebbero potuti ritornare al lavoro e alle altre cure della vita. Da tempi
remoti, quindi, è innato negli uomini il reciproco amore che li riconduce alle
origini e che di due esseri cerca di farne uno solo risanando, così, l'umana
natura. «Quindi, ciascuno di noi è come la metà di un unico
contrassegno, dal momento che fu tagliato in due, come le sogliole, e va
continuamente in cerca dell'altra metà. Ora, tutti quegli uomini che son
derivati dalla divisione di quel doppio essere, cioè, dall'ermafrodito, come
l'abbiamo appunto chiamato, sentono tutti l'attrazione per le donne e da lì
provengono anche la maggior parte degli adulteri; così pure hanno la stessa
origine le donne che vogliono il maschio e le adultere. Invece, le donne che
son derivate dalla divisione di un essere di sesso femminile, sono frigide nei
riguardi dell'uomo e sentono, piuttosto, attrazione per le altre donne e da qui
sono nate le lesbiche. Quegli uomini, infine, che son nati dalla divisione di
un essere maschile, van dietro ai maschi e, finché son ragazzi, per il fatto
che son parti di maschio, amano gli uomini e godono di giacersi stretti
abbracciati con loro. Questi sono i ragazzi, i giovinetti più in gamba, dotati
di un'indole virile; c'è della gente che dice che costoro sono degli
svergognati, ma sbaglia: non per impudenza, infatti, fanno questo ma perché
sono arditi, valorosi e virili e, come tali, cercano il loro simile. E questa è
la prova migliore: in età matura, soltanto costoro diventano dei veri uomini e
partecipano alla vita politica. Da adulti, poi, sono loro ad amare i fanciulli
e se non fosse perché la consuetudine un po' ve li costringe, se dipendesse
dalla loro natura, certo non penserebbero affatto a sposarsi e ad avere dei
figli, anzi sarebbero contentissimi di vivere così da scapoli. Insomma, da qui
nascono quelli che amano gli uomini o si lasciano da essi amare, preferendo
sempre chi ha la loro stessa natura. E quando uno incontra quella che fu la sua
metà, non solo chi si sente attratto verso i fanciulli, ma anche ogni altro,
sente allora nascere in sé quel sentimento di amicizia, di intimità, di amore
per cui non sa più vivere separato dall'altro, nemmeno un istante, tanto per
dire. E questi che passano insieme la loro vita non ti saprebbero nemmeno più
dire quello che vogliono per loro; e io penso che nessuno crederà che sia
soltanto l'attrazione fisica a tenerli così appassionatamente uniti; è certo
che l'anima loro cerca qualcos'altro, che non sa definire ma che vagamente
intuisce. Se, per esempio, mentre stanno dolcemente insieme, comparisse Efesto,
con gli strumenti del suo potere e chiedesse loro: ‹Cosa vorreste, uomini,
l'uno dall'altro?› e vedendoli incerti chiedesse ancora: ‹Non desiderate,
forse, diventare una cosa sola in modo che non possiate mai separarvi, né di
giorno né di notte? Se è questo che volete, io vi unirò, vi fonderò in una
stessa natura così che da due voi diventiate uno e la vostra vita la viviate
come un essere solo e quando morrete, anche laggiù, nell'Ade, possiate essere
uno solo invece di due, uniti da un'unica morte. Vedete un po', allora, se è
questo che desiderate, se è questo che vi basta ottenere.› Dunque. se udissero
queste parole, siamo convinti che nessuno dei due rifiuterebbe, nessuno
mostrerebbe di voler altro, anzi, ognuno penserebbe di aver finalmente udito le
parole che da tanto tempo sognava di ascoltare, diventare cioè di due una sola
cosa, unirsi, confondersi nella creatura amata. E la ragione di tutto questo è
che tale era la nostra antica natura e che noi eravamo uniti; e lo struggimento
per quella perduta unità, il desiderio di riottenerla, si chiama amore. Ripeto,
noi, prima eravamo un essere solo ma poi, per i nostri falli, da dio siamo
stati divisi, un po' come gli Arcadi lo sono stati dagli Spartani.
E c'è da temere che se non saremo obbedienti verso gli dei, verremo ancora
tagliati e vagheremo un po' simili a quelle figure in bassorilievo, segate in
due lungo la linea del naso, che si vedono sulle steli, ridotti come dadi a
metà. Occorre, perciò, che ogni uomo consigli gli altri ad essere pii verso gli
dei, sia per evitare questo male, sia per ottenere quel bene al quale Amore ci
volge e ci guida. Nessuno sia ostile ad Amore (chi lo è, è inviso agli dei);
perché se gli saremo amici, se ci riconcilieremo con questo dio, noi riusciremo
a trovare e a congiungerci con la nostra anima gemella, cosa che oggi capita a
pochi. E non insinui Eressimaco, canzonandomi per questo che sto dicendo, che
io voglio alludere a Pausania e ad Agatone (molto probabilmente essi sono tra
questi pochi e hanno entrambi natura virile). Ad ogni modo io dico, in
generale, di tutti, uomini e donne, che la razza umana sarà felice nella misura
in cui ciascuno realizzerà il suo amore e troverà la sua creatura amata,
ritornando così all'antica condizione. Se questo è il bene più grande, ne
consegue che, nelle presenti condizioni, la cosa migliore è quella che più gli
si avvicina: incontrare l'amante che meglio ci sappia corrispondere. Se,
dunque, vogliamo levar lodi al dio che ci può dar tutto questo, è ad Amore che
dobbiamo inneggiare il quale, per ora, favorisce il nostro incontro con chi ci
è affine e, un domani, ci darà le più grandi speranze che, se noi ci mostreremo
riverenti verso gli dei, ci restituirà l'antica natura e, risanandoci, ci
renderà felici e beati. Questo, o Eressimaco,» concluse, «il mio discorso su
Amore, diverso dal tuo, a quanto vedi. Come ti ho pregato, non starmelo a
canzonare, dato che dobbiamo ancora sentire quel che diranno gli altri, anzi
gli ultimi due, perché non sono rimasti che Agatone e Socrate.» «E
va bene, t'accontento,» rispose Eressimaco, «anche perché il tuo discorso m'è
proprio piaciuto; anzi, se non sapessi che Socrate e Agatone son ferratissimi
in fatto d'amore, avrei proprio paura, con tutto quel che s'è detto, che
rimanessero a corto d'argomenti. Ma, nonostante questo, invece, mi sento
sicuro.» E Socrate, intervenendo: «Eh, già, Eressimaco, perché tu hai già detto
la tua e bene anche; ma se ti trovassi qui, al mio posto o meglio nella
posizione in cui mi troverò quando Agatone avrà finito anche lui di fare il suo
bel discorso, saprei immaginare la tua paura, e quanta anche, come ce l'ho io
adesso.» «Non m'incanti, Socrate,» fece, di rimando, Agatone, «tu vuoi proprio
confondermi facendomi credere che queste persone son tutte qui ad aspettare
chissà cosa dal mio discorso.» «E io, allora, sono uno smemorato, Agatone,»
replicò Socrate, «se credessi che ora tu hai paura di noi che siam qui in
pochi. Ho visto il tuo coraggio, la tua sicurezza quando sei salito sul podio
con gli altri attori e hai abbracciato con uno sguardo tutto il teatro pieno
zeppo, poco prima di rappresentare la tua opera.» «Ma che c'entra, questo,
Socrate?» ribatté Agatone. «Non mi crederai mica tanto infatuato per una
rappresentazione teatrale, da non capire che per uno che abbia un po' di buon
senso, poche persone intelligenti fan più paura di una folla di sciocchi?» «Non
sarebbe bello da parte mia, Agatone,» insisté Socrate, «se ti pensassi capace
di un pensiero volgare. So benissimo che se ti venissi a trovare fra persone
che tu ritenessi sapienti, ne saresti preoccupato più che se fossi in mezzo a
un mucchio di gente; il fatto è che noi non siamo tali e, del resto, c'eravamo
anche noi, lì, non più che folla tra la folla. Se tu, invece, ti incontrassi
veramente con dei sapienti, ti vergogneresti davanti a loro, se ti accorgessi
di far qualche brutta figura, non credi?» «Certo, dici bene,» ammise. «E se tu
la brutta figura la facessi davanti alla folla, non ti vergogneresti?» A questo
punto intervenne Fedro e: «Mio caro Agatone,» disse, «se stai lì a rispondere a
Socrate, te le saluto le cose che stavamo dicendo, ma tanto a lui non gliene
importa niente, basta che abbia qualcuno con cui discutere, specie poi se è un
bel ragazzo. Con questo non è che io non ascolti volentieri una discussione di
Socrate, ma certo che ora mi sta più a cuore l'elogio di Amore e avere, da
ciascuno di voi, il rispettivo discorso. Pagate al dio il vostro debito e poi
discuterete come vi pare.» «Dici proprio bene, Fedro,» esclamò Agatone; «niente
mi impedisce di parlare; con Socrate non mancheranno certo le occasioni per
discutere.» «Io desidero prima dirvi com'è che intendo impostare
il mio discorso, dopo entrerò nel vivo della questione. A me pare che tutti
quelli che hanno parlato finora non abbiano celebrato il dio ma soltanto posto
l'accento su quanto gli uomini siano felici per quei beni di cui, appunto, quel
dio è la causa; nessuno ha detto chi sia propriamente costui che ci offre tutti
questi beni. Orbene, l'unico metodo giusto per far qualsiasi elogio, di
qualunque cosa, è quello di illustrare prima chi sia, in effetti, quello di cui
si parla e poi di quali beni sia la causa. Ecco perché noi dobbiamo prima
lodare Amore per quel che egli è, poi per i doni che ci reca. Intanto io
affermo che tra tutti i beatissimi dei (se m'è lecito dirlo e non è peccato)
Amore è il più beato perché è il più bello e il più buono. Il più bello
soprattutto perché è il più giovane degli dei, Fedro. Egli stesso ce ne dà la
prova migliore fuggendo dinanzi alla vecchiaia che, tutti sanno, è veloce e ci
casca addosso più presto di quel che dovrebbe. Naturalmente Amore la odia e non
le si avvicina nemmeno da lontano. Giovane com'è, invece, sta sempre con i
giovani e ha ragione l'antico detto che il simile s'accompagna sempre al suo
simile. Ed io, pur consentendo con Fedro in molte cose, non condivido il fatto che
Amore sia più antico di Crono e di Giapeto. Ripeto, invece, che è il più
giovane di tutti gli dei, eternamente giovane e tutti quei vecchi fatti tra gli
dei che raccontano Esiodo e Parmenide, accaddero per opera di Necessità, non di
Amore, ammesso pure che quei due abbiano detto il vero. Non ci sarebbero state,
infatti, mutilazioni, catene e tutte quelle altre violenze se Amore fosse stato
in mezzo a loro, ma solo amicizia e concordia come è ora, da quando egli regna
sugli dei. Dunque egli è giovane e non solo, è gentile. Il fatto è che gli
manca un poeta, un poeta come Omero che ne esalti la delicata bellezza. Di Ate,
per esempio, Omero dice non solo che è una dea ma che, appunto, è delicata
(almeno i suoi piedi sono tali), quando scrive: morbidi sono i suoi piedi che
non accosta alla terra ma ella procede sfiorando le teste degli uomini. E mi
pare che egli ci abbia dato una bella prova della sua delicatezza col dirci che
non cammina sul duro ma sul morbido. Serviamoci, anche noi, per Amore, dello
stesso indizio a conferma che è delicato; egli, infatti, non cammina per terra
e nemmeno sulle teste degli uomini che, poi, tanto morbide non sono, ma tra le
più tenere delle cose che esistono egli procede e dimora: egli, infatti, ha
posto la sua sede nel cuore e nell'animo degli uomini e degli
dei; non però in tutte le anime indistintamente. Se, infatti, ne
trova una rozza, fila via, se gentile invece, vi resta. Dato, quindi, che egli
è sempre a contatto, e non solo con i piedi ma anche con tutto se stesso, con
le più tenere tra le tenerissime cose, necessariamente deve essere
delicatissimo. Il più giovane, dunque, e il più delicato; ma oltre a questo è
duttile. Non potrebbe piegarsi in tutte le direzioni e entrare di soppiatto
nelle anime e così uscirne se fosse rigido; la leggiadria, per consenso comune,
è la prova evidente delle fattezze armoniche e flessuose che Amore possiede.
Infatti, fra l'amore e la bruttezza c'è sempre reciproca guerra. La bellezza
del suo incarnato ci dice che egli indugia tra i fiori, poiché Amore non resta
dove non v'è cosa in fiore o che sia avvizzita, sia essa corpo o anima o altro,
ma dove tutto è fiorito e olezzante, là si posa e dimora. «Sulla bellezza del
dio può anche bastare, per quanto ce ne sarebbe ancora da dire. Ma ora parliamo
delle sue virtù. La cosa che prima di tutto bisogna notare è che Amore non fa
torti a nessuno, né a uomini né a dei e nemmeno ne riceve. Egli non subisce
violenza (ammesso che subisca qualcosa), perché essa non lo tocca, né con
prepotenza fa quel che fa, ma ognuno serve Amore spontaneamente in ogni cosa; e
quando c'è accordo reciproco tra due volontà, ‹le Leggi che sono le regine
degli Stati›, dicono che è giusto. Oltre che la giustizia, Amore possiede in
sommo grado anche la temperanza. Tutti son d'accordo nell'affermare che la
temperanza consiste nel dominio delle passioni e dei piaceri. Ma non c'è nessun
piacere più intenso dell'Amore e quindi se tutti gli altri sono meno intensi,
sono inferiori a lui che, perciò, trionfa e ha il dominio sulle passioni e sui
piaceri e, come tale, è in sommo grado, temperante. Per quanto riguarda la
forza, ad Amore ‹neanche Marte può stargli a fronte›. Non è, infatti, Marte che
conquista Amore, ma Amore che seduce Marte, amore di Venere a quanto si dice; e
chi possiede è più forte di chi si lascia possedere: quindi, vincendo chi è più
forte degli altri, egli è il più forte di tutti. Della giustizia, quindi, della
temperanza e della fortezza del dio, s'è già detto; resta ora da dire della sua
sapienza: per quanto è possibile, bisogna cercare di non tralasciare nulla.
Intanto, per prima cosa per rendere onore alla nostra arte, come Eressimaco ha
fatto per la sua, dirò che questo dio è poeta cosi sapiente da far diventare
tali anche gli altri; in effetti, ognuno diventa poeta se è toccato da Amore,
anche se non ha mai avuto prima a che fare con le Muse. Da qui possiamo trarre
la conferma che Amore, in generale, è buon poeta in ogni genere di produzione
artistica. Infatti, ciò che uno non ha e non conosce, non può certo darlo, né
insegnarlo a nessuno. E, infatti, chi è che vorrà contestare che la creazione
di tutti gli esseri viventi non avvenga per la sapienza d'Amore che genera e fa
crescere tutte le creature? E, inoltre, nell'attività artistica non sappiamo
forse che chi ha per maestro questo dio diviene famoso e illustre, chi invece
non è toccato da Amore resta oscuro? L'abilità nel tiro dell'arco, la sapienza
nella medicina, l'arte profetica, Apollo le ha scoperte sotto l'impulso del
desiderio e dell'amore, così che anch'egli può dirsi discepolo di questo dio,
come le Muse per le loro arti, Efesto per l'arte di forgiare metalli, Minerva
per quella del tessere e Giove, infine, per quella di governare sugli dei e
sugli uomini. Fu cosi che tutte le questioni tra gli dei si appianarono, da
quando Amore comparve in mezzo a loro, si capisce, Amore della bellezza, perché
delle cose brutte non c'è amore; mentre, come ho detto, prima d'allora, molte e
orribili cose, a quanto si dice, accadevano tra gli dei, perché regnava
Necessità. Ma dopo che nacque questo dio, si amarono le cose belle e ne venne
per gli dei e per gli uomini abbondanza di beni. Così, Fedro, mi sembra proprio
che Amore, bellissimo e buonissimo com'è, rechi anche agli altri bellezza e
bontà. Quasi quasi mi vien da dire in versi quello che fa, per esempio così:
pace agli uomini reca, calma sul mare tregua ai venti e, nel dolore, il
sonno. Egli ci libera dal timore di essere estranei a noi stessi, ci dà un
senso di calda intimità, ci invita a partecipare a riunioni come questa, a
feste, a danze, a sacrifici di cui diventa un po' l'auspice, assicura la
benevolenza, allontana ogni rancore, largo in favori, incapace di malvagità,
benigno, buono, esempio ai saggi, ammirato dagli dei, invidiato dagli infelici,
posseduto dai fortunati, padre della Delizia, dell'Eleganza, del Fasto, della
Grazia, del Desiderio, della Bramosia, sollecito verso i buoni, incurante dei
malvagi, nelle fatiche, nelle paure, nelle passioni, nelle conversazioni, è
guida, guerriero, compagno di lotta, salvezza provvidenziale, ornamento di
tutti gli dei e di tutti gli uomini, duce meraviglioso e perfetto che ognuno
deve seguire e celebrare con inni degni di lui, partecipando al suo canto col
quale egli ammalia il cuore degli uomini e degli dei. Questo, Fedro, il mio
discorso in omaggio al dio, svolto un po' celiando, un po' con ben dosata
gravità, secondo le mie capacità.» Quando Agatone ebbe finito di
parlare, raccontò Aristodemo, ci fu uno scroscio di applausi da parte di tutti
i presenti che riconobbero come il discorso del giovane fosse stato degno di
lui e del dio. E, allora, Socrate volgendosi ad Eressimaco: «E così, figlio di
Acumeno, ti sembra ancora fuori posto il mio timore di prima o non ho forse
previsto giusto, poco fa, quando ho detto che Agatone avrebbe parlato benissimo
e che io mi sarei trovato in un bell'imbarazzo?» «Per il primo punto,» rispose
Eressimaco, «ti do anche ragione, cioè quando dici di aver previsto che Agatone
avrebbe parlato bene, ma che tu, poi, ti trovi nell'imbarazzo questo proprio
non lo credo.» «Ma come faccio a non esserlo, mio caro, e come me chiunque
altro dovesse parlare dopo un discorso così bello e così interessante? Certo in
qualche parte non è stato stupendo come nel resto, ma verso la fine chi non
sarebbe rimasto sbalordito di fronte a tanta bellezza di vocaboli e di
espressioni? Quasi quasi, pensando che non sarei mai stato capace di dire
qualcosa che solo si avvicinasse a tanta bellezza, stavo per fuggirmene dalla
vergogna. Perché il suo discorso m'ha fatto venire in mente Gorgia, tanto da
farmi sentire nella stessa situazione di cui parla Omero, temevo proprio, cioè,
che alla fine Agatone con il suo discorso, gettasse sul mio la testa di Gorgia,
di quel formidabile oratore, togliendomi l'uso della favella e facendomi
diventare di pietra. E ho capito, allora, di essere stato proprio un ingenuo
quando ho accettato di celebrare, insieme a voi, Amore, dicendo che ero un,
esperto su questo argomento, mentre invece, e me ne accorgo adesso, non sapevo
un bel niente, persino come si fa un elogio qualunque. Da quell'ingenuo che
sono credevo che nel fare l'elogio di chicchessia o di qualcosa si dovesse dire
la verità e che questa era la cosa fondamentale; poi pensavo che bisognasse
scegliere, tra le cose vere, le più belle e disporle nel modo migliore; ed ero
tutto contento del fatto mio, sicurissimo che avrei fatto un figurone dato che
conoscevo esattamente il modo di imbastire un elogio. E, invece, a quanto pare,
non è così che si fa un bell'elogio: bisogna al contrario fare le lodi più
sperticate e più belle, corrispondano o meno al vero: si vede che eravamo
d'accordo di lodare Amore, così, per burla, non di farne l'elogio seriamente.
Ed è per questo, credo, che voi tirate in ballo ogni sorta di argomenti e li
affibbiate ad Amore e affermate che egli è questo e quello ed è la causa di un
sacco di cose in modo che appaia bellissimo e perfettissimo ma, è chiaro, a chi
non lo conosce, non a quelli che ne sanno qualcosa. Sfido io che, così, il bel
panegirico è presto fatto. Ma io non conoscevo un simile sistema di far gli
elogi e proprio per questo fui d'accordo con voi di pronunciarne uno anche io,
seguendo il mio turno: la lingua lo promise, non il cervello. E, allora,
statevi bene, perché io un elogio con questo sistema non ve lo faccio, è più
forte di me. La verità, invece, se volete, eccomi qua, pronto a dirvela, a modo
mio, senza far gare con nessuno perché non ho proprio voglia di farmi ridere
dietro. Vedi tu, quindi, Fedro se è proprio necessario un discorso di questo genere
e sentire come veramente stanno le cose, a proposito dell'Amore, con quei
termini e con quello stile poi che lì per lì mi passeranno per la mente.» Ma
Fedro e gli altri, mi riferì Aristodemo, lo invitarono a parlare come volesse.
«E va bene, Fedro, però lasciami prima fare una piccola domanda ad Agatone,
perché voglio mettermi un po'd'accordo con lui e poi parlerò.» «Ma figurati,»
commentò Fedro, «fa pure.» E allora Socrate cominciò presso a poco così:
«Dunque, mio caro Agatone, m'è parso proprio buono l'inizio del tuo discorso
quando hai detto che prima di tutto bisogna esporre quale sia la natura d'Amore
e poi passare alle sue opere; un esordio che mi è proprio piaciuto. Ma ora,
dato che hai così magnificamente parlato su tutto quel che riguarda la natura
d'Amore, dimmi una cosa: Amore, è amore di qualche cosa o amore di nulla? Bada
che non ti chiedo se amore per una madre o per un padre (sarebbe ridicolo
chiedere se Amore sia amore verso la madre o il padre), ma come se ti chiedessi
a proposito del padre: il padre è padre di qualcuno o no? tu, certo, mi
risponderesti, se volessi darmi una risposta appropriata, che il padre deve
essere necessariamente padre di un figlio o di una figlia, non ti pare?» «Ah,
certamente,» ammise Agatone. «E la stessa cosa è per una madre?» Era d'accordo
anche in questo. «E rispondimi ancora,» proseguì Socrate, «a una piccola cosa
per capire meglio dove voglio arrivare: se ti chiedessi: e allora, un fratello,
come tale, è fratello di qualcuno?» «Sicuro che lo è.» «Fratello di un fratello
o di una sorella?» «D'accordo.» «Prova a dire la stessa cosa a proposito di
Amore: Amore è amore di qualcosa o amore di nulla?» «Certo amore di qualcosa.»
«Ebbene,» riprese Socrate, «questo tientelo per te bene a mente e dimmi,
invece: Amore desidera o meno ciò di cui è amore?» «Certo,» rispose. «E quel
che egli desidera e ama, l'ama e lo desidera perché lo possiede o proprio
perché, invece, gli manca?» «Probabilmente perché non lo possiede,» rispose.
«Sta attento,» insisté Socrate, «che non si tratta di probabilità, ma è
necessariamente logico che si desidera quello che non si possiede; quando si ha
una cosa, invece, non la si desidera affatto. Di qui non si scappa ed io ne
sono assolutamente convinto, tu no, invece?» «Ah, anch'io lo sono,» fece. «Ben
detto. Ed effettivamente uno che lo è già potrebbe desiderare di essere grande?
E essere forte uno che è già tale?» «Dopo quel che s'è convenuto, è
impossibile.» «Effettivamente, non può essere privo di queste qualità chi le ha
già.» «È chiaro.» «Eppure,» osservò Socrate, «se uno che è forte, volesse esser
forte o se è veloce, volesse essere veloce o, ancora, se è sano, volesse esser
sano, dato che qualcuno potrebbe pensare, di fronte a un esempio simile o a
casi del genere, che vi siano persone che pur possedendo tutte queste qualità,
tuttavia le desiderano sempre (ti sto dicendo questo per non lasciarci trarre
in inganno); ebbene, Agatone, se ci pensi, costoro che al momento posseggono
queste qualità, è inevitabile che le abbiano, lo vogliano o meno, e se le
posseggono già, come possono desiderarle? Ma se uno dicesse: ‹lo che son sano
voglio essere sano o, pur essendo già ricco, voglio essere ricco e desidero
questo che già posseggo,› gli potremmo rispondere: ‹Tu, caro mio, che hai già
ricchezze, salute, forza, vuoi continuarle ad avere anche per l'avvenire,
giacché, per il momento, tu voglia o non voglia, già le possiedi; pensa un po'
se, quando dici che desideri le cose che hai, tu non voglia dire, invece,
semplicemente, che desideri di possedere anche per l'avvenire quello che oggi
già possiedi.› Credi che non sarebbe d'accordo?» E Aristodemo mi riferì che
Agatone lo ammise. Socrate allora proseguì: «E desiderare che per l'avvenire ci
siano preservate le cose che noi già possediamo oggi, non vuol forse dire amare
quel che ancora non si possiede o di cui tuttora non si dispone?» «Certo,»
ammise. «E quindi, se Tizio o Caio desiderano qualcosa, sarà sempre ciò di cui
ancora non dispongono, che ancora non hanno o quelli che essi stessi non sono o
di cui si sentono privi; non è tutto qui il loro desiderio e il loro amore?»
«Senza dubbio,» fece. «Bene, ricapitoliamo, allora, quanto s'è convenuto.
Amore, prima di tutto è amore di qualcosa e, in secondo luogo, di ciò di cui si
è privi?» «Sì, sempre.» «E adesso ricordati quello che hai detto poco fa, che
cioè l'Amore tende a qualcosa. Se credi cercherò io di ricordartelo: se non
sbaglio, tu hai detto, su per giù, che le questioni tra gli dei s'aggiustarono
grazie all'Amore del bello e che per le cose brutte non c'è amore; non è questo
che hai detto?» «Sì, questo,» ammise Agatone. «E l'hai detto molto
opportunamente, mio caro,» riprese Socrate; «e se le cose stanno così, Amore,
che altro è se non amore del bello e non del brutto?» «D'accordo.» «Ma non
abbiam detto che si ama ciò di cui si è privi, ciò che non si ha?» «Sì,» fece.
«Dunque, l'Amore, non ha la bellezza, ne è privo.» «Per forza.» «E allora? Chi
è privo di bellezza, chi non ne ha, tu lo chiami bello?» «Affatto.» «Se le cose
stanno così, tu sei sempre del parere che Amore sia bello?» «Temo proprio,
Socrate, di non capir più niente di quel che ho detto,» esclamò Agatone.
«Eppure hai parlato bene, Agatone,» incalzò Socrate. «Ma dimmi un'altra
cosetta: quello che è buono, secondo te, non è anche bello?» «Per me sì.» «Se,
dunque, Amore non ha la bellezza e se quello che è bello è anche buono, egli
sarà anche privo di bontà.» «Io non sono in grado di contraddirti, Socrate e
quindi sia pure come tu dici.» «È la verità, Agatone carissimo, e tu non puoi
contestarla; Socrate, invece, sì, lo puoi contraddire e la cosa non è per
niente difficile.» «Ma sì, via, ora ti lascerò in pace. Vi racconterò,
piuttosto, quello che sull'Amore, mi disse un giorno una donna di Mantinea,
Diotima, molto dotta sull'argomento e su un'infinità di altre questioni.
Figuratevi che una volta, con i sacrifici che fece fare agli ateniesi, prima
della peste, riuscì a ritardare l'epidemia di dieci anni. Fu lei a erudirmi
nelle questioni d'amore e quindi, partendo dalle conclusioni che Agatone ed io
abbiamo tratto, cercherò di ripetervi, come posso, a parole mie, il discorso
che ella mi fece. Ebbene, proprio come tu dicevi, Agatone, bisogna definire
prima chi sia Amore, quale la sua natura e poi le sue opere. Ora io penso che
la cosa più facile per me, sia quella di seguire lo stesso metodo che usò
quella straniera quando discusse con me. Anch'io, infatti, le dicevo un po' le
stesse cose che ora mi ha ripetuto Agatone, cioè che Amore è un grande dio, che
è amore di cose belle ed ella cominciò a confutarmi con gli stessi argomenti,
precisamente, che io ho usati ora con costui, cioè che Amore non è né bello
(per usare le mie parole) né buono. Ed io: «Ma com'è che dici questo, Diotima?
Allora Amore è brutto e malvagio?» «Ma che? Ora ti metti pure a bestemmiare?»
fece lei. «Credi forse che ciò che non è bello debba necessariamente essere
brutto?» «Sicuro, io sì.» «E credi anche che chi non è sapiente, sia ignorante?
Ma non ti accorgi che c'è sempre una via di mezzo tra sapienza e ignoranza?» «E
quale?» «Avere un'opinione giusta, ecco, ma senza poterne dare una spiegazione;
non sai,» fece «che questo non è sapere (e come può esserlo se non se ne sa
dare una spiegazione?), ma non è nemmeno ignoranza (e come, infatti, potrebbe
se coglie nel vero?). Insomma, la retta opinione è qualcosa di simile, una via
di mezzo tra la sapienza e l'ignoranza.» «È vero quello che dici,» ammisi io.
«E quindi non insistere a credere che ciò che non è bello debba essere, a tutti
i costi, brutto e ciò che non è buono, debba esser malvagio. E così anche a
proposito di Amore, visto che anche tu sei d'accordo che non è buono né bello,
non pensare che debba essere malvagio e brutto,» concluse, «ma qualcosa tra
questi due estremi.» «Eppure,» obbiettai io, son tutti d'accordo che è un dio
potente.» «Tutti chi?» ribatté lei, «quelli che non sanno o anche quelli che
sanno?» «Tutti quanti.» «Ma come fanno, Socrate, a dirlo un gran dio,» fece
lei, ridendo, «se affermano che non è nemmeno un dio?» «E chi sono questi?»
«Uno, intanto, sei tu, l'altra sono io.» «Ma come fai a dir questo?» «Semplice.
E tu, infatti, rispondimi: non affermi che gli dei son tutti beati e belli?
avresti il coraggio di dire che qualcuno non è bello o non è beato?» «Santo
cielo, io no,» risposi. «E beati, secondo te, non sono quelli che hanno bontà e
bellezza?» «Sicuro.» «Ma non hai convenuto che Amore desidera le cose buone e
belle, proprio perché ne è privo?» «Già, certo.» «E, allora, come può essere un
dio chi non ha né bellezza né bontà?» «Ah, no, assolutamente.» «Vedi, dunque,»
concluse, «che anche tu affermi che Amore non è un dio.» «Ma,
allora,» chiesi, «chi sarebbe Amore? Un essere mortale?» «Ma niente affatto.»
«Ma allora?» «Come nel caso precedente, qualcosa di mezzo, tra, il mortale e
l'immortale.» «E cioè, Diotima?» «Un demone possente, Socrate, che come tutti i
demoni, sta tra il divino e l'umano.» «E qual è il suo potere?» chiesi. «Quello
di interpretare e di recare agli dei le preghiere e i sacrifici degli uomini e,
agli uomini, i comandamenti e i premi degli dei per i sacrifici compiuti; nel
suo ruolo di intermediario, egli colma l'enorme distanza tra gli uni e gli
altri, così l'universo risulta in se stesso collegato. Da lui procede tutta
l'arte della divinazione, tutta la scienza sacerdotale, per quel che riguarda i
sacrifici e le iniziazioni e poi gli incantesimi, ogni sorta di profezie e la
magia. Dio non scende a contatto con l'uomo ma è attraverso i demoni che egli
parla e ha rapporto con gli uomini, sia quando sono svegli, sia durante il
sonno; e chi è sapiente in queste cose è un ispirato chi invece s'intende
d'altro, esercita, per esempio, una diversa arte o un mestiere qualsiasi, non è
che un manovale. Molti sono i demoni e di ogni specie. Amore ne è uno.» «E suo
padre e sua madre,» chiesi, «chi sono?» «È, una cosa lunga,» fece, «ma te la
racconterò ugualmente. Quando nacque Afrodite, gli dei si trovavano a banchetto
e, tra gli altri, c'era anche Poro, il figlio di Metide. Avevano già finito di
pranzare, quando giunse Penia, per elemosinare, dato che sontuoso era stato, il
banchetto e se ne rimase sull'uscio. In quel mentre Poro, gonfio di nettare (il
vino infatti non era ancora conosciuto), se ne uscì nel giardino di Giove e,
mezzo ubriaco com'era, s'addormentò. Allora, Penia, sempre afflitta dalle sue
angustie, pensò se non le fosse possibile avere un figlio da Poro e così gli si
stese al fianco e restò incinta di Amore. Per questo Amore è compagno e
ministro di Afrodite, perché fu concepito nel giorno della sua nascita ed è,
nello stesso tempo, amante del bello perché bella è Afrodite. D'altro canto,
per il fatto che Amore è figlio di Poro e di Penia, si trova in questa
condizione. Anzitutto è sempre povero e tutt'altro che delicato e bello, come i
più se lo figurano; anzi è grossolano, mezzo selvatico, sempre scalzo,
vagabondo, dorme sempre per terra, allo scoperto, davanti agli usci e nelle
strade, sotto il sereno, perché ha la natura della madre ed è tutt'uno con la
miseria. Per parte del padre, invece, è fatto per insidiare ciò che è bello e
buono, essendo di natura virile, audace, violento, gran cacciatore, sempre
pronto a tramare inganni, amico del sapere, ricco di espedienti, tutta la vita
dedito a filosofare, abilissimo imbroglione, esperto di veleni, sofista.
Inoltre né immortale, né mortale, ma, in uno stesso giorno, sboccia rigoglioso
alla vita e muore, poi torna a vivere grazie a mille espedienti e in virtù
della natura paterna; sfumano tra le sue dita le ricchezze che si procura, così
che Amore non è mai al verde e mai ricco. Inoltre è a mezzo tra sapienza e
ignoranza. Ecco come: nessun dio s'occupa di filosofia, né ambisce a diventar
sapiente (ché già lo è), né, del resto, chi è sapiente, si dedica alla
filosofia; d'altra parte, nemmeno gli ignoranti si dedicano alla filosofia, né
ambiscono a diventar sapienti; e questo è il brutto dell'ignoranza, che chi non
è né bello, né buono, né saggio, crede, invece, di esserlo abbondantemente;
naturalmente chi non si accorge di esser privo di qualcosa, non desidera quello
di cui non sente il bisogno.» «Ma, allora,» feci io, «chi sono, Diotima, quelli
che si dedicano alla filosofia, se non sono né i sapienti, né gli ignoranti?»
«Ma è chiaro,» mi rispose, «anche un bambino lo capirebbe che son
quelli che stanno in una posizione intermedia, tra, i primi e i secondi e, tra
questi, c'è anche Amore. La sapienza, infatti, è tra le cose più belle e Amore
ama le belle cose e, quindi, necessariamente, è anche filosofo e, come tale,
sta fra il sapiente e l'ignorante. E la sua origine è un po' la causa di tutto
questo: suo padre è sapiente e pieno di estro, ma sua madre, invece, non lo è
affatto, è ignorante. Tale, Socrate, è la natura di questo demone. Come poi tu
immaginavi che fosse, non c'è da meravigliarsi; per quel che ho potuto capire
dalle tue parole, credevi che Amore fosse colui che si ama, non colui che ama.
Ecco perché, io penso, ti sembrava così bello. Infatti, chi è amato è veramente
bello, seducente, perfetto, degno di ogni felicità; colui che ama, invece, ha
un altro aspetto, quale io ti ho descritto.» Ed io: «E sia,
straniera, tu parli bene, ma se tale è Amore, che utilità arreca agli uomini?»
«È questo che ora cercherò di chiarirti, Socrate. Tale, dunque, è Amore e così
è nato: Amore del bello, come tu dici. Se qualcuno, ora, domandasse: ‹In che
senso, Socrate e Diotima, l'Amore è amore del bello› o più precisamente, ‹chi
ama le cose belle, ama, ma ama che cosa?›» «Che diventino sue,» risposi. «Ma
questa tua risposta,» mi precisò, «esige che si ponga un'altra domanda, di
questo genere, per esempio: ‹Che cosa gliene viene a chi possiede le cose
belle?›» Io risposi che, a una domanda simile, non sapevo sul momento che dire.
«E immaginiamo, allora, incalzò, che uno al posto del bello mettesse il bene e
che chiedesse: ‹Via, Socrate, chi ama il bene, ama, ma ama che cosa?›» «Che
diventi suo,» risposi. «E che cosa gliene viene a chi possiede il bene?» «A
questo,» dissi, «mi è più facile rispondere: sarà felice.» «E, infatti,
concluse, è proprio per il possesso del bene che le persone felici sono tali e
non è proprio il caso di star lì a chiedersi perché uno vuole essere felice. Mi
pare che la domanda abbia già avuto la sua risposta definitiva.» «È vero quello
che dici,» ammisi. «E allora, questo desiderio e questo amore, credi siano un
po' comuni a tutti gli uomini e che tutti desiderano sempre possedere il bene o
pensi diversamente?» «Sì, io credo proprio che siano comuni a tutti,» feci. «E,
allora, Socrate,» continuò, «come mai non diciamo che tutti quanti gli uomini
amano dato che tutti desiderano sempre le stesse cose, ma diciamo, invece, che
solo alcuni amano ed altri no?» «Anch'io me ne meraviglio,» ammisi. «E non devi
stupirtene,» riprese, «siamo noi, infatti, che prendiamo, dell'amore, soltanto
un aspetto e a questo solo diamo il nome generico di ‹amore›, mentre per il
resto usiamo altri appellativi.» «Cioè,» chiesi. «Ecco, tu sai che la poesia è
creazione ed ha un significato quanto mai vasto; tutto ciò, infatti per cui
qualcosa passa dal non essere all'essere, è poesia e, quindi, ogni attività creativa
è poesia e tutti i creatori sono poeti.» «È vero.» «Ma intanto,» continuò lei,
«sai che non tutti sono chiamati poeti, ma con altri nomi; di tutte le attività
creative, solo alcune e precisamente quelle che si occupano della musica e
della metrica, noi chiamiamo poesia; solo questa è poesia e poeti, solo quelli
che si dedicano a questo particolare aspetto della poesia.» «È vero,» ammisi.
«E così è anche per l'amore. In genere ogni desiderio di bene e di felicità è,
per ognuno, ‹possente e ingannevole amore›, ma mentre quelli che cercano di
realizzarlo per altre vie, come per esempio attraverso i guadagni o
l'educazione fisica o la filosofia, noi non diciamo che amano né che sono
amanti, gli altri, invece, quelli che seguono e preferiscono un particolare
tipo d'amore, ne prendono anche il nome generico: amore, amare, amanti.»
«Sembra proprio che tu abbia ragione,» confermai. «Eppure va in giro un certo
discorso secondo il quale gli amanti sono quelli che cercano la loro metà. La
mia opinione, invece, è che non esiste amore né per la metà, né per l'intero, a
meno che, mio caro, non si tratti di un bene; perché gli uomini si lascerebbero
tagliare volentieri e mani e piedi se li credessero dannosi per loro, perché io
credo che nessuno ami le cose proprie a meno che ciò che ci appartiene non sia
il bene e ciò che ci è estraneo, invece, il male; infatti, gli uomini non amano
altro che il bene. Non pare anche a te?» «Per Giove, a me sì,» ammisi. «E,
dunque, possiamo senz'altro affermare che gli uomini amano il bene?» «Sì,»
confermai. «Ebbene, non bisogna aggiungere che essi, questo bene,
desiderano anche possederlo?» «Sicuro.» «E non solo possederlo per un momento,
ma per sempre?» «Sicuro, anche questo bisogna aggiungere,» feci. «Per
concludere, l'amore è possesso perenne del bene.» «È verissimo quello che
dici,» feci. «Ora, se questo è l'amore,» proseguì, «quando è che
la sollecitudine e lo sforzo di quelli che, in ogni modo e in ogni azione, lo
perseguono, può chiamarsi, appunto, amore? Quand'è, insomma, che questo
succede? Sai rispondere?» «Se lo sapessi, Diotima, non sarei così pieno di
meraviglia per la tua sapienza, né sarei venuto da te per imparar tutto
questo.» «E, allora, te lo dirò io: quando si concepisce nel bello, sia da
parte del corpo che da parte dello spirito.» «Bisognerebbe essere indovini,»
azzardai io, «per capire quello che dici ed io, proprio non lo sono.» «Mi
spiegherò più chiaramente,» fece. «Tutti gli uomini, Socrate, hanno in loro,
nel corpo come nell'anima, un seme fecondo e quando giungono a una certa età,
come per un bisogno naturale, desiderano produrre qualcosa; concepire nel
brutto, però, non è possibile, nel bello, invece, sì. Così l'unione dell'uomo
con la donna è procreazione ed è veramente quest'atto una cosa divina, questo
concepire e generare è veramente ciò che di immortale ha la creatura che pure
ha vita mortale. Ma tutto ciò non può avvenire nella disarmonia; e disarmonia,
rispetto a tutto ciò che è divino, è il brutto, come il bello è armonia. Quindi
la bellezza fa da Parca e da Ilitia al miracolo della vita. Per questo, quando
chi ha dentro di sé un seme fecondo, si avvicina al bello, diventa sereno,
atteggia a letizia l'animo suo e allora crea, produce; quando, invece,
s'accosta al brutto, allora, s'incupisce, si chiude in se stesso tutto
afflitto, si ritrae, si ravvolge e non genera ma resta col suo seme fecondo e
ne soffre. Di qui, nella creatura feconda e già ricca, sorge un intenso
desiderio per tutto ciò che è bello perché il bello soltanto libera chi lo
possiede da atroci doglie. Infatti, Socrate,» concluse, «Amore non è amore del
bello, come tu credi.» «Ma, allora, cos'è?» «produrre e creare nel bello.» «E
sia,» ammisi. «Sicuro,» confermò lei. «E perché questo generare? Perché
generare è quanto di sempre rinascente e immortale vi possa essere in una
creatura mortale. E l'immortalità è naturale che si desideri come il bene,
almeno da quel che abbiamo convenuto se è vero che amore è possesso perenne del
bene; ne consegue, inoltre, da tutto questo discorso che l'amore è amore di
immortalità.» Queste cose ella mi insegnava, quando indugiava a
parlarmi di questioni d'amore e, un giorno, mi chiese: «Quale pensi, Socrate,
sia la causa di tutto questo amore, questo desiderio? Non vedi in che terribile
stato son tutti gli animali, sia quelli che camminano sulla terra che quelli
che volano nel cielo, quando son presi dal desiderio di generare, malati tutti
d'amore, prima per il desiderio d'accoppiarsi tra loro, poi per la cura e per
l'allevamento dei loro nati, e son pronti a combattere per essi, perfino i più
deboli contro i più forti e a dare la vita oppure a lasciarsi morire di fame
per nutrirli e a far qualunque altra cosa. Gli uomini, si può dire, che
facciano tutto questo perché dotati di ragione ma, negli animali, donde
proviene questa disposizione all'amore? Sai dirmelo?» E io ancora ad ammettere
di non saperlo. «E credi,» continuò ella, «allora di diventare un esperto nelle
questioni d'amore se non sai nemmeno questo?» «Ma proprio per questo, Diotima,
come t'ho già detto, io son qui, perché so che ho bisogno di maestri. Dimmela
tu, dunque, la causa di queste cose e di tutto ciò che riguarda l'amore.»
«Orbene, se tu sei convinto che l'amore, per natura, tende a ciò su cui più
volte s'è discusso, non devi meravigliarti; anche ora vale il discorso di prima
che cioè la natura mortale tende, sempre, per quanto le sia concesso, di essere
immortale. E le è possibile in un modo soltanto, attraverso la procreazione,
per cui essa lascia sempre un essere nuovo al posto del vecchio, il che succede
anche nella vita di ogni creatura, quando si dice che resta sempre la stessa;
si dice, per esempio, che uno è sempre la stessa persona, da quando è bambino
fino a che è vecchio; in effetti, si dirà che è sempre lo stesso individuo, benché
in lui molte cose si mutino; ma si rinnova continuamente, perdendo sempre
qualcosa, nei capelli, nelle sue ossa, nel suo sangue, insomma in tutto il suo
corpo. E non solo nel corpo, ma anche nell'animo: sentimenti, abitudini, modo
di pensare, desideri, piaceri, dolori, timori, ognuna di queste cose non resta
sempre la stessa in un individuo, ma si rinnova e poi muore. Ma quel che è
ancora più straordinario è che anche le nostre cognizioni non solo nascono e
periscono e quindi noi non siamo sempre gli stessi nemmeno per quel che
riguarda il nostro sapere, ma ciascuna, presa in se stessa, segue, anch'essa
sempre la stessa sorte. Infatti quel che si dice esercitarsi nello studio
presuppone che qualche cognizione possa sfuggire; dimenticare, infatti, vuol dir
perdita di cognizioni, l'esercizio nello studio, invece, suscita un nuovo
ricordo al posto di quel che s'è perduto e salva il sapere in modo che esso
appaia sempre eguale. Del resto è in questo modo che si perpetua tutto ciò che
è mortale, non col rimanere sempre e immutabilmente se stesso, come ciò che è
divino, ma lasciando - ciò che invecchia e vien meno - qualcosa di nuovo al suo
posto in tutto simile ad esso. Ecco, Socrate,» concluse, «in che modo tutto ciò
che è mortale, sia esso corpo od altro, ha la possibilità di partecipare
dell'immortalità; diversamente non c'è altro mezzo. Non stupirti, quindi, se
ogni creatura, per legge naturale, cura e protegge il suo seme, perché in
tutti, questo zelo e questo amore nascono dal desiderio dell'immortalità.»
Ed io sentendola parlare così, tutto stupito, le chiesi: «Ma
sapientissima Diotima, sono proprio vere queste cose?» Ed ella con un fare
tipicamente cattedratico: «Persuaditi pure, Socrate, che è proprio così; basta
che tu faccia caso al desiderio di onori che hanno gli uomini; se tu non
riflettessi a quel che ho detto, ti meraviglieresti della loro follia,
considerando quanto grande è il loro desiderio di diventar famosi e acquistar
gloria immortale per l'eternità e come per questo siano disposti a correre
tutti i rischi, più che per i loro figli e sperperare ricchezze, sopportare
fatiche, sacrificare perfino la loro vita. Credi proprio che Alcesti sarebbe
morta per Admeto o Achille per Patroclo o il vostro Codro per conservare il
regno ai figli, se essi non avessero creduto che sarebbe rimasta immortale la
loro memoria, quale oggi noi la serbiamo? Assolutamente,» disse. «Invece, credo
che ognuno faccia di tutto per ottenere merito imperituro le fama gloriosa (e
questo quanto più si è migliori) affascinato com'è dall'immortalità. E così
quelli che han fecondo il corpo si volgono essenzialmente alle donne e il loro
modo d'amore si risolve nel generare figli e così procurarsi secondo loro,
immortalità, memoria e felicità per tutto il tempo a venire. Quelli, invece,
che han feconda l'anima (e ve ne sono fecondi spiritualmente più di quanto non
lo siano nel corpo), di una fecondità, beninteso che si addice all'anima, ma
quale? la saggezza e ogni altra specie di virtù,» diceva, «di cui tutti i poeti
sono gli artefici, insieme a quegli artigiani che hanno il nome di inventori;
la più alta e più bella forma di saggezza è quella relativa all'ordinamento
dello Stato e di ogni organismo sociale, quella che prende il nome di prudenza
e di giustizia. Dunque, quando uno di quelli, quasi esseri divini, fin da
giovane, ha l'animo fecondo di tali cose e quando, giunto all'età giusta,
desidera creare e produrre, io credo che anche lui vada alla ricerca del bello
in cui generare; perché nel brutto non lo farà mai. Quindi, fecondo com'è,
sentirà maggiore attrazione per le belle sembianze che per le brutte,
figuriamoci poi se, in più, incontra un'anima bella e gentile; quando si
rallegra di questo felice connubio, accanto a una simile creatura egli sentirà
tutto un fervore di ammaestramenti sulla virtù e sul come un uomo per bene
debba comportarsi, iniziando, così, la sua opera di educatore. Infatti, penso
che a contatto con una bella creatura, convivendole accanto, egli esprima e dia
alla luce ciò che da tempo custodiva dentro e, o che le stia vicino o che le
stia lontano, sempre la porta alla memoria e nutre, insieme con lei, ciò che è
nato dalla loro unione; e tra loro nasce un'intimità, un legame molto più
profondo di quello che lega i genitori ai figli, un affetto più intenso dato
che hanno in comune figlioli più belli e immortali. Ognuno preferirebbe figli
simili piuttosto che creature umane e guardando a Omero o a Esiodo o agli altri
grandi poeti non può non provare invidia pensando quale progenie, immortale
essa stessa, essi hanno lasciato, che ha loro assicurato memoria e gloria
eterna o, se tu vuoi, diceva, figli come quelli che Licurgo lasciò a Sparta, a
salvezza di Sparta o meglio ancora di tutta la Grecia; così presso di voi è
onorato Solone per avervi dato le leggi e così altrove, altri grandi uomini,
sia in Grecia che nei paesi stranieri, che hanno compiuto molte e
belle opere, realizzando ogni sorta di virtù. Per questi loro fieli sono già
stati tributati ad essi molti onori, il che mai nessuno s'ebbe per quelli di
carne e di ossa.» «Ebbene, Socrate, io penso,» continuò, «che
anche tu potresti essere iniziato alle cose d'Amore, ma fin qui; a un grado più
alto, a quello contemplativo, cui si giunge appunto passando attraverso questi
stadi, sempre che si proceda sulla via giusta, non credo tu sia adatto.
Tuttavia te ne parlerò egualmente e farò del mio meglio,» disse; «tu cerca,
intanto, di seguirmi come puoi. Dunque,» incominciò a dire, «è necessario,
prima di tutto che chi vuol tendere a questo fine, debba, fin da giovane,
avvicinarsi alla bellezza fisica e, sin dall'inizio, se chi lo guida lo dirige
bene, amare una sola persona e ad essa rivolgere i migliori discorsi;
successivamente dovrà pur rendersi conto che la bellezza che alberga nel corpo
di una persona, è sorella di quella che può esservi in ogni altra e che quindi
se bisogna ricercare quella bellezza che è insita nelle forme visibili, sarebbe
sciocco pensare che essa non sia identica e uguale per tutti i corpi; convinto
di questo deve, allora, sentire trasporto per tutti quelli che hanno belle
sembianze e frenare un po' la sua passione nei riguardi di una sola persona,
riconoscendo come ciò sia meschino e mediocre. Ma, infine, deve ben comprendere
che la bellezza spirituale ha pregi assai maggiori di quella fisica, di modo
che se dovesse incontrare una creatura dall'anima bella ma dal corpo non
florido, se ne contenti egualmente ed ugualmente se ne innamori e le mostri
sollecitudine e sia l'autore di discorsi tali che rendano migliori i giovani,
per cogliere poi, da qui, la bellezza che è nelle azioni e nelle istituzioni
umane e comprendere come essa sia, ovunque, sempre se stessa e persuadersi come
la bellezza fisica sia ben piccola cosa. Dopo le attività umane, si rivolga
alla scienza per conoscerne la bellezza e ammirarne l'ampio dominio sul quale
ormai ella si spande: così non sarà più come uno schiavo, preso d'amore per un
sol giovinetto o per un solo uomo o per una sola attività, non sarà più succube
inetto e meschino ma, rivolto allo sterminato oceano della bellezza e
contemplandolo, potrà dar vita a molti e bei discorsi, a splendidi pensieri
concepiti nell'amore infinito per la sapienza finché egli stesso, rinvigorito e
arricchito, non riuscirà a scorgere che una scienza unica che ha per oggetto la
stessa bellezza. Ma cerca, ora,» continuò, «più che puoi, di farmi
attenzione. «Chi è stato, via via, guidato fin qui nelle questioni
d'amore attraverso la contemplazione delle cose belle, quando sarà giunto al
termine di questa iniziazione, scorgerà, Socrate, a un tratto, una meravigliosa
bellezza, quella stessa che era un po' la ragione di ogni sua precedente
fatica, una bellezza, anzitutto, eterna, che non ha origine né fine, che non
cresce né si consuma e, inoltre, che non è per un verso bella e per un altro
brutta o che a volte sì e a volte no, né bella da un punto di vista e brutta da
un altro, né bella qui e brutta là, come se lo fosse per alcuni e per altri no,
né, questa bellezza, gli apparirà con un volto o con due mani, né come qualcosa
che possa riferirsi ad alcunché di corporeo e nemmeno come discorso o come
dottrina, né come quella che possa esistere in qualche altra cosa, in altri
esseri viventi, per esempio, o nella terra o nell'aria o altrove, ma quale essa
è, in sé e per sé, sempre uniforme e mentre tutte le altre cose belle che di
quella partecipano, nascono e periscono, essa non ha alterazione di sorta, in
più o in meno, non subisce mutamento. E così, quando sollevandosi dalle cose
terrene, in virtù anche dell'amore che si porta ai giovinetti, uno comincia a
scorgere questa bellezza, allora potrà dire di essere vicino alla meta. Infatti
questo è il retto cammino per procedere da soli o insieme a una guida verso le
questioni d'amore, cominciare, cioè, dalle cose belle di quaggiù e, avendo come
fine ultimo questa bellezza, innalzarsi continuamente, come su una scala, da
uno a due, da due fino a tutti i bei corpi e da questi alle belle occupazioni e
poi alle belle scienze, finché non si giunga a quella scienza che di null'altro
è scienza che della stessa bellezza e finché non si conosca, giungendo, così,
alla meta, il Bello in sé. Questo, caro Socrate,» diceva la straniera di
Mantinea, «è il momento della vita che più di ogni altro, per un uomo, val la
pena di vivere: quando giunge alla contemplazione della Bellezza in sé. Se una
volta sola tu riuscirai a vederla, oh, ti sembrerà assai più preziosa dell'oro
o di una veste o degli stessi bei fanciulli e giovinetti che ora guardi non
senza un palpito e per i quali, tu e molti altri, se fosse possibile, rimarreste
anche senza mangiare e senza bere, pur di poterveli sempre contemplare e stare
in loro compagnia. Cosa succederebbe allora,» continuava a dire, «se uno
riuscisse a vedere la Bellezza in sé, in tutta la sua adamantina purezza e non
già quella offuscata dalla carne, dai colori, da tutte le altre vanità terrene,
se gli riuscisse, insomma, di scoprire la Bellezza in sé, divina e uniforme?
Credi forse che sarebbe miserabile la vita di quest'uomo che fissasse quel
punto, lassù e lo contemplasse come va contemplato, congiunto con esso? Ed è
soltanto in quel punto,» continuava, «contemplando la bellezza con quella
facoltà che la rende visibile, che egli potrà dar vita non a parvenze di virtù,
dato che non è a una falsa immagine di bellezza che egli si è accostato, ma a
una virtù vera, per il fatto che egli è nella verità; non pensi, del resto, che
avendo dato vita alla virtù vera e avendola continuamente alimentata, costui
potrà diventare caro agli dei ed essere anch'egli immortale, se mai altro uomo
lo è stato?» Queste cose, Fedro e anche tutti voi, Diotima mi ha detto ed io ne
sono rimasto persuaso e come tale, quindi, cerco ora di persuadere gli altri
che per il conseguimento di tanto bene, non è facile che l'uomo trovi chi possa
meglio soccorrerlo dell'Amore. Per questo io affermo che ogni uomo deve onorare
Amore, come io stesso faccio esercitandomi nelle sue discipline ed esorto gli
altri a fare altrettanto ed ora e sempre esalto la potenza e la forza d'Amore,
nel modo che ne sono capace. Ed ora, Fedro, questo discorso giudicalo, se
credi, come un elogio d'Amore, altrimenti definiscilo pure come meglio ti
piace.» Quando Socrate ebbe concluso, continuò a riferirmi
Aristodemo, e mentre tutti ne elogiavano il discorso, Aristofane stava per intervenire,
perché Socrate aveva a un certo punto, fatto un'allusione sul suo conto a
proposito di una certa teoria. Ma ecco che, a un tratto, si sentì picchiare
alla porta dell'atrio e, poi, un gran vociare, come di gente allegra e la voce
di una suonatrice di flauto. «E, allora, ragazzi, non correte a vedere?»
esclamò Agatone ai servi; «se è gente di casa, fatela pure entrare, altrimenti
dite che abbiam già finito di bere e stiamo riposando.» Dopo un po' si udi
nell'atrio la voce di Alcibiade, ubriaco fradicio, che urlava a squarciagola
chiedendo dove fosse Agatone e che lo conducessero da lui. Egli, infatti,
comparve sulla soglia, sostenuto dalla suonatrice di flauto e da alcuni della
compagnia e s'avanzò verso i convitati, incoronato da una folta ghirlanda di
edera e di viole e con la testa piena di nastri. «Salve, amici,» esclamò, «lo
volete con voi, a bere, un uomo già completamente ubriaco? Oppure possiamo
soltanto mettere questa corona in testa ad Agatone, dato che siamo venuti per
questo e poi filarcela subito? Ieri non mi è stato possibile venire e così
eccomi qua ora, con questi nastri in testa, per passarli su quella di uno che,
senza offesa per nessuno, è il più sapiente e il più bello di tutti. Ma voi
ridete perché sono ubriaco? E ridete pure, tanto lo so; ma, piuttosto, ditemi,
posso o non posso entrare? Berrete con me, o no?» Tutti allora si misero ad
applaudirlo e gli dissero di entrare e di prender posto in mezzo a loro. Anche
Agatone lo invita ed egli si fa avanti sorretto dai suoi amici e, togliendosi dal
capo i nastri, fa le mosse di incoronarlo senza accorgersi che Socrate era
proprio lì, sotto i suoi occhi, al punto che, quando egli si pose a sedere in
mezzo a loro, questi dovette scostarsi per fargli posto. Non appena si fu
accomodato, cominciò ad abbracciare Agatone e a cingerlo di ghirlande.
«Ragazzi,» veniva, intanto, dicendo Agatone, «slacciate i sandali ad Alcibiade,
ché si metta comodo e sia terzo tra noi due.» «Benissimo,» approvò Alcibiade,
«ma chi è questo terzo?» e così dicendo si volse e vide Socrate; a quella vista
fece un balzo: «Santi numi,» esclamò, «ma chi è questo? Proprio Socrate? Ti sei
messo qui per giocarmi ancora qualche tiro e mi compari davanti, al tuo solito,
quando meno me l'aspetto. Che sei venuto a fare? E perché ti sei messo qui e
non vicino ad Aristofane o a qualche altro che voglia fare lo spiritoso? Ma
tanto hai fatto che ti sei piazzato vicino al più bello.» E Socrate: «Vedi un
po' di difendermi tu, Agatone, perché l'affetto di quest'uomo mi sta dando non
pochi fastidi. Da quando, infatti, mi sono legato a lui, non posso più guardare
una persona di bello aspetto, né stare un po' a conversare con nessuno perché,
geloso e invidioso com'è, mi salta su e me ne dice un sacco e poco ci manca che
non mi metta le mani addosso. Sta attento, quindi, che anche ora non me ne
faccia una delle sue e cerca di mettere un po' di pace tra noi e difendimi, se
egli vuol farmi ancora qualche sfuriata, perché comincio proprio ad aver paura
delle sue manie e del suo temperamento eccessivo.» «Niente affatto,» gridò
Alcibiade, «fra te e me, nessuna pace e di quello che hai detto faremo i conti
dopo. Ora tu, Agatone,» riprese, «dammi un po' di questi nastri, ché incoroni
anche lui, questa testa meravigliosa, in modo che non s'abbia poi a lagnare che
ho cinto te di ghirlande e lui niente, lui che nel parlare vince tutti e
sempre, non una volta sola, come te, ieri.» E così dicendo prese
dei nastri e incoronò Socrate, mettendosi, poi, comodo. «E allora
signori,» esclamò quando si fu messo a suo agio, «mi sa che qui volete fare gli
astemi; non ve lo posso permettere; bisogna, invece, bere, così eravamo
d'accordo. Fino a quando non avremo preso l'avvio, i brindisi li dirigo io.
Avanti, Agatone, fa portare una bella coppa, di quelle grandi, anzi, anzi, non
ce n'è bisogno; invece, ragazzo, dà qui quel vaso per tener il vino in fresco.»
Ne aveva, infatti, intravisto uno che conteneva più di otto quartini
abbondanti. Dopo esserselo riempito, se lo scolò per primo; poi disse di
riempirlo per Socrate, soggiungendo: «Amici belli, con Socrate, però, non c'è
niente da fare: più gli se ne versa e più ne beve e non c'è caso che si
ubriachi.» Infatti, appena il servo versò, Socrate prese a bere. Ma Eressimaco,
intervenendo. «Ma così che facciamo, Alcibiade? Vogliamo proprio starcene coi
bicchieri in mano, senza dire una parola, senza cantare un po', vogliamo
proprio darci sotto come tanti assetati?» «Salve, mio caro Eressimaco,» esclamò
allora Alcibiade, «ottimo figlio di ottimo e assennatissimo padre.» «Salute anche
a te,» rispose Eressimaco, «e, allora, che facciamo?» «Ai tuoi ordini, siamo
qui per obbedirti: poiché un medico regge da solo il confronto con molti.
Perciò, comanda quello che vuoi.» «Stammi a sentire, allora,» fece Eressimaco;
«prima che tu venissi si era stabilito che ognuno di noi, partendo da destra,
facesse un discorso in lode di Amore, come meglio ne fosse capace. Noi abbiamo
già tutti quanti parlato, tu, invece, no e dato che hai bevuto, è giusto che
ora tocchi a te; dopo, potrai proporre a Socrate quello che vorrai e lui, a sua
volta, passerà l'invito al compagno che è alla sua destra e così gli altri.»
«Oh, un'ottima idea la tua, Eressimaco,» fece Alcibiade, «solo che non puoi
mettere a confronto il discorso di un ubriaco con quello di gente che s'è
mantenuta sobria; e poi, mio caro, tu ci credi a quello che Socrate ha detto un
momento fa? Non lo sai che è invece, tutto il contrario? Questo qui, se io mi
metto in sua presenza a fare le lodi di qualcuno, uomo o dio che sia, solo per
il fatto che non si tratta di lui, mica me le risparmia le legnate.» «Ma la
vuoi piantare?» fece Socrate. «Per mille tempeste,» rimbeccò Alcibiade, «è
inutile che protesti; in tua presenza io non posso lodare nessun altro.» «E
allora, fa così,» intervenne Eressimaco; «se vuoi, loda Socrate.» «Come dici?»
fece Alcibiade. «Vuoi proprio, Eressimaco, che io me la pigli con questo tipo e
mi vendichi davanti a voi?» «Ma che ti salta in testa,» intervenne Socrate, «di
prendermi in giro con la scusa dell'elogio? Ma che intenzioni hai?» «Dirò la
verità e tu vedi se ti garba.» «Allora, sicuro, la verità te la concedo, anzi
voglio che tu la dica.» «Eccomi subito a te,» fece Alcibiade, «e tu, intanto fa
una cosa: se io non dico il vero, interrompimi se vuoi e dì pure che sto mentendo,
per quanto io, di bugie, non ho intenzioni di dirne. Se, poi, nel riferire i
fatti, io non andrò per ordine, non meravigliarti, perché non è certo facile,
nello stato in cui sono, fare l'elenco ordinato e completo di tutte le tue
stranezze.» «Ebbene, signori, io, Socrate comincerò a lodarlo
così, per immagini. Lui, crederà che io voglia continuar nello scherzo e
invece, le immagini mi serviranno per precisare la verità, non per scherzare.
Comincio col dire, infatti, che egli somiglia a quei sileni che si vedono nelle
botteghe degli scultori, che hanno in mano zampogne e flauti, fatti in modo
che, aprendosi a metà, mostrano, all'interno, immagini di divinità; e soggiungo
anche che somiglia al satiro Marsia. Eh, sì, Socrate, ci somigli proprio,
almeno nell'aspetto, tu stesso non puoi negarlo; e sta a sentire come poi ci
somigli anche nel resto. Non sei forse petulante, e ti posso portare i
testimoni se non vuoi ammetterlo. E non sei un suonatore di flauto? E come
assai più portentoso di Marsia. Lui aveva bisogno dello strumento per incantare
gli uomini a forza di fiato e così, anche oggi, deve fare lo stesso chi vuol
suonare le sue melodie; (quelle che suonava Olimpo, infatti, erano di Marsia,
che gliele aveva insegnate). Insomma le sue melodie, sia che le suoni un
flautista di vaglia o una suonatrice di mezza tacca, sono le sole a
commuoverci, a farci quasi sentire il desiderio di dio, divine come sono e di
iniziarci ai suoi misteri. Tu soltanto in questo gli sei diverso, che senza
strumento, con le sole parole, ottieni lo stesso risultato. Infatti noi, quando
ascoltiamo qualcuno che parla, fosse pure il più bravo oratore di questo mondo,
di quello che dice, non ce ne importa niente, per così dire, proprio niente di
niente; quando invece ascoltiamo te, o anche soltanto un altro che riferisce i
tuoi discorsi, fosse pure un buono a nulla, quanti ne siano, uomini, donne o
giovani, restiamo tutti sbalorditi e affascinati. Quanto a me, signori, se non
temessi di passare completamente per ubriaco, vi direi, dietro giuramento,
quello che ho provato e provo ancora quando questo qui comincia a parlare.
Quando lo sto a sentire, il cuore mi si mette a battere forte, peggio di quello
dei Coribanti, alle sue parole mi vengono giù le lacrime e vedo tutti gli
altri, ma tutti, quanti ne sono, che provano la stessa impressione. Quando
invece sentivo parlare Pericle o altri bravi oratori, mi rendevo conto che
anch'essi parlavano bene, eppure non provavo niente di simile, non mi sentivo
l'anima in tumulto, né turbata al pensiero di essere una ben povera cosa. Ma
per costui, invece, per questo Marsia qui, quante volte mi son sentito come se
non mi fosse più possibile vivere come vivevo. E non dirai mica, Socrate, che
tutto questo non sia vero? Ed io sono convinto che anche adesso, se decidessi
di ascoltarlo, non riuscirei a resistere e proverei le stesse emozioni. Egli,
inevitabilmente, mi farebbe persuaso delle mie molte deficienze e che, perciò,
invece, di badare un po' a me stesso, m'intrigo dei fatti degli Ateniesi. E
così, mio malgrado, io mi tappo le orecchie, come se fossi in mezzo alle sirene
e scappo via perché non voglio mica invecchiare vicino a lui. Soltanto davanti
a quest'uomo io ho provato una cosa che nessuno mi sospetterebbe: quella di
vergognarmi. Davanti a lui solo, io mi vergogno, perché riconosco che non ho la
forza di contraddirlo, di oppormi a quello che mi dice di fare, ma poi, appena
mi allontano da lui, ecco che mi lascio nuovamente prendere dal favore
popolare; così lo evito e lo fuggo e quando lo vedo, solo a pensare a tutte le
cose di cui mi ha convinto, arrossisco dalla vergogna. Tante volte mi farebbe
addirittura piacere che non fosse più a questo mondo, anche se poi, so
benissimo che questo mi addolorerebbe assai di più e così, con un
uomo simile, non so proprio come fare. «E così, questi sono gli
effetti che io e tanti altri proviamo per le melodie che questo satiro sa tirar
fuori dal suo flauto. Ma state ancora a sentire come egli somiglia anche nel
resto a quelli cui l'ho paragonato, e quale straordinario potere egli ha.
Mettetevelo bene in testa, costui nessuno lo conosce: ma ve lo farò conoscere
io, dato che mi ci trovo. Guardatelo qui, Socrate, pronto sempre a innamorarsi
dei bei giovanotti, a corteggiarli, a perdere addirittura la testa; mica poi
che capisca qualcosa, non sa proprio niente, almeno dall'apparenza. E questo
non significa essere un sileno? Altro che: lo stesso aspetto esterno di una di
quelle statuette di sileni; ma dentro, se lo aprite, ve la immaginate,
commensali miei, la saggezza che ha? E poi, dovete sapere che a lui, non gliene
importa niente se uno è bello, anzi lo tiene in così poco conto, che non ne
avete l'idea; e se uno è ricco e ha tutto quello che, secondo la gente fa beato
un uomo, egli dice che tutto questo non vale un bel niente, anzi che noi stessi
siamo addirittura delle nullità, questo ve l'assicuro io. E per giunta passa la
vita, poi, a fare il finto tonto e a pigliarsi un po' gioco di tutti. Se poi fa
sul serio, però e si lascia veder dentro, non so se l'avete mai viste le
bellezze che ha. Io però le ho viste, una volta, e mi son sembrate così divine,
così preziose, stupende e straordinarie, che mi sentii soggiogato e pronto a
fare tutto ciò che Socrate avesse voluto. Credendo che egli s'interessasse alla
mia bellezza, pensai che era proprio un'occasione e una bella fortuna la mia
se, cedendogli i miei favori, avessi potuto apprendere da lui tutte le cose che
sapeva: io infatti andavo tutto superbo della mia bellezza. Con queste
intenzioni, allora, io che prima non ero solito restarmene da solo con lui,
senza la compagnia di un servo, un bel giorno congedai il mio schiavo e rimasi
solo con lui. Bisogna che ve la dica tutta la verità e voi fate attenzione e se
dico bugie, Socrate, smentiscimi pure. E così me ne rimasi solo soletto con lui
ed io credevo che egli avrebbe subito attaccato con quei discorsi che di solito
un innamorato fa al suo ragazzino, quando si trovano a tu per tu ed ero tutto
contento. Invece, niente da fare ma, come al solito, parlò con me e giunta la
sera, se ne andò. Vedendo questo, lo invitai, allora, a far ginnastica insieme
a me, cominciai a esercitarmi con lui e speravo di concludere qualcosa. Anche
lui, in verità, faceva i suoi bravi esercizi con me e lottavamo insieme, spesso
senza che nessuno fosse presente. Ebbene, ve lo devo dire? Non ne cavai un bel
niente. E quindi, visto che in questo modo non combinavo nulla, pensai che con
un uomo simile bisognasse adoperare le maniere forti, altro che lasciar
perdere, dato poi che mi ci ero messo, e vedere un po' come andava a finire la
faccenda. E così lo invita a cena, addirittura come fa uno spasimante quando
vuol far cascare la persona amata. Macché, mica accettò subito; tuttavia, dopo
qualche tempo, si convinse. La prima volta che venne, però, volle andarsene
subito, appena mangiato; quella volta io mi vergognai un po' e lo lasciai
andare. La volta appresso, però, gli tesi il laccio e dopo che finimmo di
mangiare, gli impiantai una discussione che si protrasse fino a tarda notte e
così, quando fece le mosse di congedarsi, io gli dissi che ormai s'era fatto
tardi e quindi lo convinsi a fermarsi. Così egli si mise a riposare in un letto
accanto al mio, lì dove aveva cenato: nella sala, nessun altro avrebbe dormito
tranne noi due. Fin qui niente di male nel mio racconto e anzi potrei
continuare a parlare di fronte a tutti ma, a questo punto, io non
vi darei più nulla se, anzitutto, nel vino, come dice il detto (aggiungeteci
pure i bambini o meno) non vi fosse la verità e poi perché mi sembrerebbe proprio
una cosa ingiusta, dal momento che sto facendo l'elogio di Socrate, passare
sotto silenzio il suo nobilissimo comportamento. Oltre a questo, ancora, io mi
sento come uno che è stato morso da una vipera che, a quel che si dice, non
vuol raccontarlo a nessuno, tranne a quelli che sono stati anch'essi morsi, ai
soli, cioè, che potrebbero comprendere e compatire i suoi gesti e tutte le
frasi che si dicono sotto l'influsso del dolore. Ed io che sono stato punto dal
morso più doloroso e nella parte che più duole... al cuore o all'anima o come
vuoi chiamarla, trafitto e punto dai ragionamenti filosofici che penetrano più
profondamente del dente di una vipera specie quando afferrano l'anima di un
giovane non mediocre e lo spingono a fare e a dire qualunque cosa... io che mi
vedo dinanzi un Fedro, un Agatone, un Eressimaco, un Pausania, un Aristodemo,
un Aristofane (e bisogna anche nominarlo Socrate?) e tanti altri, tutta gente
un po' patita e fuori di sé per la filosofia... Eh, sì, per questo, ora, voi
tutti, mi starete a sentire. E mi compatirete per quello che è accaduto allora
e per quanto sto per dirvi ora. E voi, famigli e quanti ne siete, rozzi o
villani, tappatevi con grossissime porte le orecchie. «Dunque,
signori, quando la lampada fu spenta e i servi se ne furono andati, pensai che
non era più il caso di star lì a gingillarsi ma di esprimergli chiaramente le
mie intenzioni. «Dormi, Socrate?» perciò gli chiesi scuotendolo.
«Nient'affatto,» mi rispose. «Sai cos'ho pensato?» «Cosa?» «Che tu mi sembri
l'unico amante degno di me, però mi pare che tu esiti a dichiararti. Però, sai,
io ho deciso; credo proprio che sia da sciocchi non esserti compiacente in
questo, come in tutto il resto, se tu ne avessi bisogno, dei miei amici per
esempio, delle mie sostanze. Perché, vedi, niente mi sta più a cuore che
diventare il più possibile migliore e nessuno, io penso, può far meglio di te
al caso mio. Anzi mi vergognerei molto di più, di fronte alle persone
intelligenti se non compiacessi un uomo simile, che non dinanzi alla gente
ignorante se gli cedessi.» E lui, dopo essere stato lì a sentirmi, col suo
solito fare un po' ironico: «Mio caro Alcibiade,» rispose, «può darsi proprio
il caso che tu non sia uno sciocco se è vero che io ho tutto quello che tu dici
e se c'è in me una specie di potere che ti possa far diventare migliore. Se è
così, devi aver visto in me un'irresistibile bellezza, di gran lunga superiore
alla tua e, rendendotene conto, ora cerchi di far comunella con me, di metterci
le mani addosso e barattar bellezza con bellezza e così concludere, alle mie
spalle, un affare non poco vantaggioso; cerchi, insomma, di pigliarti una
bellezza vera in cambio della tua che è apparente e pensi proprio di scambiare
oro con rame. Ma benedetto figliolo, fa più attenzione, ché tu non t'inganni
nei miei riguardi, dato che io non sono proprio nulla. Il fatto è che l'occhio
della mente comincia a veder chiaro quando s'affievolisce quello del corpo e
per te, ce ne vuole del tempo.» Ed io dopo averlo ascoltato: «Per quel che mi riguarda,
le cose stanno cosi ed io non ho detto nulla di diverso da quello che penso.
Tu, piuttosto, devi decidere quello che è meglio per te e per me.» «Così va
bene,» mi rispose. «In seguito vedremo e faremo quello che ci sembrerà meglio
per tutti e due a proposito di questa faccenda e anche per il resto.» Quanto a
me, dopo quello che aveva detto, e ora che avevo udito la sua risposta, come se
gli avessi lanciato un dardo, pensavo d'averlo già bell'e trafitto. E così,
senza dargli la possibilità di dire una parola di più, balzai su e gli gettai
addosso il mio mantello (infatti eravamo d'inverno) ficcandomi, poi, sotto
quello suo, logoro, e stringendolo nelle mie braccia (sì, proprio costui,
questo essere veramente divino e meraviglioso) e tutta la notte gli stetti
disteso vicino. Nemmeno questo, Socrate, puoi dire che non è vero. Ebbene,
nonostante che io avessi osato tanto, si dimostrò superiore e mi disprezzò
beffandosi della mia bellezza, schernendola; e si che io credevo di non essere
mica poi tanto male, o giudici (sì, giudici dell'insolenza di Socrate); ebbene,
sappiate, ve lo giuro su tutti gli dei e le dee, che io dopo aver passato la
notte accanto a Socrate, mi alzai come se avessi dormito con mio padre o con
mio fratello maggiore. «Dopo tutto questo, ve lo immaginate come
ci rimasi. Da una parte l'idea di essere stato disprezzato, dall'altra la mia
ammirazione per le sue qualità, per la sua saggezza, per la sua forza d'animo.
Mi resi conto di aver proprio incontrato un uomo quale non avrei immaginato,
per rettitudine e per fortezza. E così non riuscii né a pigliarmela con lui e,
quindi, troncare ogni rapporto, né, d'altro canto, a trovare il modo di
conquistarlo. Sapevo benissimo che col denaro non c'era niente da fare: era più
invulnerabile d'Aiace di fronte alle frecce, ed ora anche l'unico modo con cui
pensavo di poterlo conquistare, m'era fallito. Privo così d'argomenti, schiavo
quasi di quest'uomo, come nessuno lo fu mai d'alcun altro, gli stavo sempre
dietro. Tutto questo accadde prima della campagna di Potidea, durante la quale
combattemmo insieme e fummo anche compagni di mensa. Ricordo che alle fatiche
era più resistente non solo di me ma di tutti quanti gli altri; quando poi si
restava bloccati, tagliati fuori, come capita spesso in guerra e così ci
toccava patir la fame, la capacità di resistenza degli altri non era niente al
confronto della sua; quando invece c'era abbondanza, lui era il solo a
godersela veramente; e a bere, poi, vinceva tutti, non perché ci fosse portato,
ma solo quando ve lo spingevano e quello che è straordinario è che mai nessuno
ha visto Socrate ubriaco e di questo, io credo che ne avrete anche ora una
prova. Quanto poi a sopportare i rigori dell'inverno (e lì il gelo non
scherza), era addirittura straordinario. Ricordo che, una volta, durante una
gelata terribile, mentre tutti se ne stavano chiusi dentro e se qualcuno
usciva, s'infagottava fino all'inverosimile e si fasciava i piedi con panni di
feltro e pelli di pecora, lui se ne andò in giro con quel suo solito mantelluccio
che porta sempre, camminando sul ghiaccio, a piedi nudi, assai meglio di quelli
che avevano le scarpe; e i soldati lo guardavano un po' in cagnesco credendo
che, così, egli li volesse umiliare. «E a questo proposito,
bisogna proprio sentire ‹quello che ancora fece e sostenne quest'uomo animoso,›
laggiù, durante la spedizione. Tutto preso non so in quali pensieri, una volta
se ne rimase in piedi, immobile a meditare, fin dal mattino presto e, poiché
non riusciva a venirne a capo, non la smise, ma continuò a restarsene tutto
assorto nelle sue riflessioni. Era già mezzogiorno e i soldati cominciarono a
farci caso e a passarsi la voce, tutti stupiti che Socrate, pensando a chissà
cosa, se ne stava lì dal mattino presto. In conclusione, col calar della sera,
alcuni soldati della Ionia, dopo il rancio, portarono fuori, all'aperto, i loro
pagliericci (s'era, infatti, in estate) per dormire al fresco ma anche per star
lì un po' a vedere se quel tipo se ne fosse rimasto immobile tutta la notte. Ed
egli lì se ne restò fino a che non si fece mattino e non spuntò il sole; dopo
di che, fece al sole una preghiera e se ne andò. E in battaglia, poi, se volete
sentire, perché anche questo bisogna riconoscergli. Quando ci fu quello scontro
in cui i generali mi dettero una ricompensa al valore, nessun altro mi salvò
tranne costui che non volle lasciarmi lì ferito ma riuscì a portarmi in salvo
con le mie armi. Ed io, Socrate, in quell'occasione, insistetti perché la
ricompensa la dessero a te (neanche in questo caso tu potrai riprendermi e
dirmi che sto mentendo). E poiché i generali, considerando il mio rango,
volevano dare a me la ricompensa, tu fosti più zelante di loro perché venisse a
me attribuita invece che a te. E non è finita, signori miei, perché bisognava vederlo
Socrate, quando il nostro esercito fu rotto a Delio. In quell'occasione io ero
col mio cavallo, lui a piedi, con tutte le sue armi. Tra lo scompiglio delle
truppe in fuga, dunque, egli ripiegava insieme a Lachete. Io per caso
sopraggiungo e, vedendoli, grido di farsi coraggio, assicurandoli che non li
avrei abbandonati. In quella occasione meglio che a Potidea, potetti ammirare
Socrate, anche perché, a cavallo come ero, avevo meno da temere. Prima di tutto
dimostrava un controllo superiore a quello dello stesso Lachete;
secondariamente parve anche a me quello che tu stesso, Aristofane, hai detto di
lui che cioè anche là egli camminava come qui, ‹tutto altero gettando occhiate
di traverso›, tenendo sempre sott'occhio amici e nemici, facendo capire a tutti,
anche a distanza, che se qualcuno lo avesse attaccato, egli era il tipo che si
sarebbe difeso strenuamente. E così procedeva sicuro insieme al compagno,
perché è proprio vero che quelli che si comportano così in guerra, i nemici
nemmeno li toccano, mentre incalzano chi si dà a gambe levate. E ancora per
molte altre cose, tutte straordinarie, Socrate andrebbe lodato. Probabilmente,
però, queste altre qualità si possono anche trovare in qualche altro; quello
che invece è meraviglioso è il fatto che lui non è simile a nessun uomo del
passato né del nostro tempo. Ad Achille, per esempio si potrebbe avvicinare, in
un certo qual modo, Brasida e altri e per Pericle potrebbe trovarsi una certa
somiglianza con Nestore o Antenore e non con questi soltanto e altri paragoni
se ne potrebbero far sempre. Ma quanto a quest'uomo, per il suo modo di fare,
per i suoi discorsi, è impossibile trovare uno che gli somigli, nemmeno
lontanamente, né tra i viventi, né tra gli antichi, a patto che uno non lo
volesse paragonare, appunto come dicevo, lui e i suoi discorsi, ai sileni e ai
satiri, ma non certo a un uomo. Anzi, a proposito, i suoi discorsi (me ne ero
dimenticato di precisarvelo prima) sono proprio come i sileni che si
aprono. «Infatti, se uno si mette a sentire i discorsi di Socrate,
all'inizio, gli sembreranno addirittura ridicoli, come sono tutti inviluppati
per il di fuori, da termini e da sentenze, una specie di pelle di satiro
petulante; infatti, non fa altro che parlare di asini da soma, di fabbri, di
sellai, di conciatori e sembra che dica sempre le stesse cose, tanto che se uno
non se ne intende o è uno sciocco, gli riderebbe dietro. Ma se cerchi di
aprirli, i suoi discorsi, e di guardarvi dentro, prima di tutto ti accorgerai
che sono i soli, tra tutti, ad avere un loro senso profondo, poi che sono
addirittura divini, ricchi di ogni virtù possibile e immaginabile, volti al
sublime o meglio a ciò che deve tener presente chi voglia diventare un vero
galantuomo. Questo è quanto ho da dirvi in lode di Socrate, amici miei. Quanto
al biasimo io ve l'ho già mescolato, riferendovi le offese che mi ha fatto; del
resto egli non s'è comportato così solo con me, ma ha fatto lo stesso con
Carmide, il figlio di Glaucone e con Eutidemo, il figlio di Diocle e con molti
altri, tutta gente che egli ha ingannato fingendo, appunto, la parte
dell'innamorato, con la conseguenza che furono, invece, costoro ad innamorarsi
di lui. E questo lo dico anche per te, Agatone, ché non debba cascarci anche tu
in modo che, fatto esperto dalle nostre disavventure, tu possa stare in guardia
da costui e non debba imparare, da citrullo, a proprie spese, come dice il
proverbio.» Appena Alcibiade ebbe concluso, l'ilarità fu generale,
proprio per quel suo modo franco di parlare, anche perché, così, aveva fatto
capire di essere ancora innamorato di Socrate. «Mi sembra, invece, che tu,
Alcibiade, non abbia proprio bevuto per niente,» esclamò a un certo punto
Socrate, «altrimenti non l'avresti rigirata tanto abilmente, nascondendo il
vero scopo del tuo discorso e alludendovi solo alla fine, come un di più, come
se tutto il tuo parlare non fosse stato per seminar zizzania tra me e Agatone,
fissato come sei che io debba amare solo te e nessun altro e che Agatone devi
amarlo soltanto tu e gli altri niente. Ma non t'è andata bene e questa tua
farsa a base di satiri e di sileni è apparsa evidente. Mio caro Agatone, costui
non deve spuntarla e bada tu che, tra me e te, nessuno venga a mettere
disaccordo.» E Agatone, di rimando: «Ah, sì, Socrate, forse hai proprio ragione.
Ora capisco perché s'è venuto a piazzare tra me e te, proprio per dividerci. Ma
sta fresco, anzi, eccomi qua che ti torno vicino.» «Oh, benissimo,» fece
Socrate, mettiti qua, al mio fianco.» «Santo cielo,» esclamò Alcibiade, «quante
me ne fa passare quest'uomo. Vuole sempre stravincere; ma, almeno, mio
straordinario amico, lascia che Agatone resti tra noi due.» «Impossibile,» fece
Socrate. «Infatti tu hai fatto, in questo momento, le mie lodi ed ora tocca a
me farle a quello che mi sta a destra. Quindi, se Agatone se ne viene vicino a
te, non può mica mettersi a fare il mio elogio prima che io non abbia fatto il
suo, ti pare? Piantala, quindi, tesoro, e non essere geloso se elogerò questo
giovane: io desidero molto tesserne le lodi.» «Iuh, iuh, Alcibiade,» si mise a
fare Agatone, «non è proprio il caso che io me ne resti qui, anzi, mi alzo
subito perché le lodi di Socrate io le voglio avere.» «Eh, già,» commentò
Alcibiade, «la solita musica; quando c'è Socrate, niente da fare con i belli.
Guarda un po' anche adesso, come ha saputo trovarsela facilmente la sua
ragione, in modo che costui gli si strofini al fianco.» E così
Agatone si alzò per mettersi vicino a Socrate, quando a un tratto, una numerosa
brigata di buontemponi si fece sulla soglia e trovando la porta aperta perché
qualcuno era uscito, irruppe dentro di filato verso di noi e ognuno si trovò
comodamente il suo posto. Ne nacque un baccano dell'altro mondo e si perse ogni
misura, tanto che ci demmo a bere a più non posso. Allora Eressimaco, Fedro e
qualche altro se ne andarono, continuò a raccontarmi Aristodemo; quanto a lui
fu vinto dal sonno e dormì profondamente anche perché le notti erano lunghe; si
svegliò ch'era giorno e che i galli cantavano. Quando aprì gli occhi, vide che
gli altri o dormivano ancora o se n'erano andati e che solo Agatone, Aristofane
e Socrate erano svegli e bevevano da una grande coppa che si passavano da
sinistra a destra. Socrate stava discorrendo con loro, ma Aristodemo disse che
non ricordava quello che si dicevano dato che non li aveva seguiti fin dal
principio e, poi, perché (almeno così disse) era tutto insonnolito, ma che, in
conclusione, Socrate stava persuadendo i due amici ad ammettere che uno può
comporre ugualmente sia commedie che tragedie e che chi, per vocazione, è poeta
tragico, sarà anche poeta comico. Quelli, costretti ad ammetterlo, ma senza
capir molto, sonnecchiavano. E ci disse che fu Aristofane ad addormentarsi per
primo, poi, a giorno fatto, anche Agatone. Socrate, quando li vide addormentati,
si alzò e se ne andò e lui, Aristodemo, com'era sua abitudine, lo seguì. Giunto
al Liceo si lavò e, come al solito, trascorse il resto della giornata, poi
verso sera se ne andò a casa a riposare. Educazione guerriera Il
filosofo Gallo Galli, voce narrate dell'educazione fascista scriveva: "La
possibilità, la necessità della lotta armata è immanente alla coscienza
nazionale, è presente in ogni momento di questa. …E non c'è dunque educazione veramente,
vigorosamente nazionale, che non sia ache educazione guerriera."Una delle
caratteristiche fondamentale – e forse la piu nuova e significative – che la
scuola italiana e andata gradatamente acquistando e che sta per trradursi in aao
nella piena chiarezza e precision delle idee direttive e della organizzazione
tecnica, e l’impronta guerriera. Nel dominio dell’educazione, in cui tutta la
vita di un popolo si riflette e da cui insieme trae alimento e vigorose
affermazione, si fa valere, cosi, quell’attuarsi categorico della coscienza
nazionale, che e la missione del Fascismo nella storia d’Italia … La coscienza
militare, lo spirito guerreiero, non e qualcosa di diverse della coscienza
nazionale; bensi costituisce con questa un duplice aspetto della elevazione
dell’individuo al disopra del bene proprio particolare, per attuare le ragioni
ideali della vita: un duplice aspetto in quell concetto della vita come
missione, onde l’individuo perisce nelle sue forme superficiale e caduche e si
sostanzia de realta universal ed eterna … Al dispora della nazione non esiste, invero,
non puo esistere una organizzazione che equamente diriga e governi l’atttivita
dei singoli gruppi sociali-nazionale e instauri, attraverso la composizione dei
contrasti, un armónico equilibrio. … La possibilita, la necessita della lotta
armata e immanente alla coscienza nazionale, e presente in ogni momento di
questa; e la coscienza di essa e la preparazione dell’animo atto a combatterla
sono; diremmo quasi, una seconda facia della coscienza nazionale. E non c’e
dunque educazione veramente, vigorosamente nazionale, che non sia anche
educazione guerriera. Ma non basta. Il compito specific dell’educazione
guerriera, la preparazione alla lotta armata, ha un suo proprio carattere – in
connessione con la natura e le esigenze di tale lotta – per cui non e soltanto
il riflesso o, direbbesi, l’ombra dell’educazione nazionale, ma da questa in
certo modo si distacca e su essa reagisce, aumentandone e integrandone il
valore; e aumentando e integrando, inoltre, il valore anche dell’educazione
generale. La preparazione alla lotta armata e in vero preparazione: 1) alla
rinunzia piu complete al proprio io particolare; poiche si tratta di ninunzia
alla vita, il primo ed il massimo dei beni e da tutti presupposto; 2) alla
rinunzia – sia pure momentanea e quale mezzo a una superior affermazione –
anche alla propria personalita spirituale, mediante l’obbedienza pronta ed
intera: poiche la lotta e azione e nulla v’ha di piu dannoso e folle che
discutere quando e il momento d’agire. Fornisce quell’agilita e pronezza di
movimenti e quella resistenza alle fatiche e forza muscolare, in cui la lotta
armata ha uno dei suoi mezzi piu essenziali. Non solo; per il riscio che e
inerente a molti esercizi ginnastici, anche si rifugga dale acrobazie – con le
quali si sarebbe fuori dal dominio educativo – essa e buon addestramento
dell’animo alla lotta. L’educazione guerriera ha un contenuto per ricchezza ed
importanza infinitamente superior a quello dell’educazione fistica; ma include
questa necessariamente dentro di se. Giovera in ultima accentare agli sports,
in quanto non significhino virtuosismo, ossia abilita tecniche e capacita
fisiche prese come fine a se stesse, ma si dispongano nel Quadro generale
dell’educazione quale stimolo allo sviluppo dell’uomo. Essi in questo caso sono
il naturale sbocco dell’educazione fisica, o meglio l’educazione fisica nella
pienezza della sua attuazione; poiche accentuano il momento del rischio e del
consequente necessario dominio di se. Ma non bisogna esagerare riguardo al
valore degli sports in ordine all’educazione guerriera. Questa ha il suo
fondamento in un mondo ideale che a quelli e compiutamente estraneo; e si
riferisce ad una condizione di cose in cui ben altro sir ischia che non qualche
slogatura ed ammaccatura, e in cui l’Eroe non attende il plauso, ma si vota
sereno e deciso al sacrifizio che, anche, rimanga oscuro.” Gallo Galli. Galli. Keywords:
il fedro, sull’amore, metafisica dell’amore, fisiologia dell’amore, dialoghi
dell’amore, dialoghi sull’amore, sul bello, l’uno e i molti, unum et multa –
the one and the many – Plato – Aristotle – Parmenides’s aporia – D. F. Pears,
“Universals” in Flew, Rosmini, Bruno, ermetico, Galileo, Serbati, Carlini, idealismo,
idealismo critico, dialettica dello spirito, Renouvier, educazione guerriera,
Sparta, Platone, Siracusa, dorio, guerriero, sacrifizio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Galli” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Gallio: la
ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Lucio Giunio Gallio – An orator
with a reputation for his knowledge of philosophy. He adopted Lucio Anneo
Novato, the elder brother of Seneca.
Grice e Galluppi: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Tropea). Filosofo. “Gallupi
is a great one; and much can be philosophised about his philosophy of the
‘parola come segno del pensiero’” – Grice: “On top, he was a Baron!” -- Eessential
Italian philosopher. Figlio del barone
Vincenzo e della nobildonna Lucrezia Galluppi, entrambi della stessa famiglia
Galluppi, una delle antiche famiglie patrizie di Tropea. Dopo lo studio
della lingua latina, apprese filosofia sotto Ruffa. Trasferitosi a Santa Lucia
del Mela, compì il corso elementare di filosofia e presso il Seminario
vescovile della cittadina peloritana. Intraprese dunque lo studio a Napoli
sotto Conforti. Sposa Barbara d'Aquino, da cui ebbe quattordici figli,
otto maschi e sei femmine. Trascorreva le giornate di libertà nella
residenza privata di famiglia, cioè Palazzo Galluppi, sulla Strada Provinziale
a Caria, frazione di Drapia, alla biblioteca o al giardino. Pubblicò a Napoli “Sull'analisi
e la sintesi”. Durante i moti aderì alla causa liberale sostenendo la riforma
costituzionale dello Stato e protestando quindi contro l'intervento repressivo
degli Austriaci. Si riavvicina alla monarchia. Insegna Filosofia a Napoli. Membro
dell'Accademia Sebezia e dell'Accademia Pontaniana di Napoli, dell'Accademia
degli Affatigati di Tropea, di quella del Crotalo di Catanzaro e della
Florimentana di Monteleone. Il suo merito maggiore consiste nell'avere
introdotto in Italia Kant. Le Lettere filosofiche furono definite il primo
saggio in Italia di una storia della filosofia. A G. sono dedicati il
Convitto nazionale, il Liceo Classico di Catanzaro e il Liceo Classico di
Tropea. A Tropea, la sua città natale, è attivo il Centro studi
Galluppiani, associazione culturale dedita alla ripubblicazione dell'opera
omnia del filosofo e che di recente ha decretato l'ampliamento dei fini
statutari, fino ad accogliere e curare altre interessanti iniziative di un
certo spessore culturale. Periodicamente, il Centro organizza il
Congresso degli Studi Galluppiani, importante appuntamento di respiro
nazionale, animato da studiosi e saggisti provenienti da tutta Italia.
L'attuale presidente è Luciano Meligrana. Altre personalità di notevole
importanza nella storia del Centro studi Galluppiani sono stati Pugliese e Cane,
filosofo, appassionatissimo studioso dell'opera di Galluppi. Una vera
dedizione, la sua che non è mai venuta meno fino alla fine della sua vita.
Organizzatore infaticabile di seminari, simposi e conferenze, ha cercato di far
conoscere il pensiero del G., favorendo la pubblicazione dell'opera inedita
"La Filosofia della Matematica" la cui edizione lo ha visto anche
quale curatore. Su G. ha pubblicato numerosi saggi ed articoli in quotidiani e
riviste specializzate. Altre opere: “Memoria apologetica” (Napoli,
Vincenzo Mozzola-Vocola); “Grice, ovvero, Sull'analisi e la sintesi” (Napoli, Verriento);
“La conoscenza, o sia analisi distinta del pensiere umano, con un esame delle
più importanti questioni dell'Ideologia, del Kantismo e della Filosofia
trascendentale” (Napoli, Sangiacomo); “Filosofia” (Messina, Pappalardo); “Lettere
filosofiche sulle vicende della filosofia, relativamente a' principii della
conoscenza umana da Cartesio insino a Kant inclusivamente” (Messina, Pappalardo);
“Logica”; “Metafisica” (Firenze, Tipografia della Speranza); “La volontà” (Napoli,
Giachetti); “Storia della filosofia” (Napoli); “Opera compresa in nove capitoli
a cui si aggiunge l ‘Elogio funebre scritto da Errico Pessina, autore del
Quadro storico dei sistemi filosofici” (Milano, Gio. Silvestri); “Autobiografia”,
“Scritti” (Milano, Dumolard); La
filosofia del Galluppi e le sue relazioni col Kantismo, (Napoli, Morano);
“Lettere filosofiche” (Bonafede, Palermo); “Epistolario Lettere private.
Inedite e rare, Franco Ottonello, Milano, Franco Angeli ("Filosofia e
scienza nell'età moderna" Collana a cura della Sezione di Milano
dell'Istituto per la storia della filosofia. Dizionario biografico degli
italiani. Quella specie di deduzione con cui da una causa, che
cade sotto i sensi, deduciamo un efetto, che sotto i sensi
non cade, o da un effetto, che cade sotto i sensi,
deduciamo una causa, che sotto i sensi non cade,
quando la connessione fra la causa e l'effeto non
si presenta a noi come necessaria, è
fondata su questa verità sperimentale, le cause simli producono o
son accompagnate da effetti simili; ed effetti
simili suppongono cause simili. Tutti e
due questi modi di dedurre i fatti,
che immediatamente non si sperimentano, costituiscono l’argomento detto di analogia. Si argomenta dunque per analogia,
quando dair osservazione di soggetti simili
si deducono qualità simili, e
quando da cause simili si deducono
effetti simili, o
da effetti simili si deducono cause simili. Ma resistenze,
che si deducono, sono di due manière. Alcune possono essere oggetto di esperie
tua, altre non possono esserlo. Sebbene quando vedo l’acqua, che non ho
ancorabevuto, e che giudico di aver essa la qualità di estinguermì la sete, non abbia ancora sperimentato in questo caso
particolare la qualità di cui parlo; pure è
essa un oggetto di esperienza, poiché
posso di fatto sperimentarla, bevendo
l’acqua che ho presente. Sebbene prima di vedere la liquefazione della neve,
io la deduco dalla vicinanza del fuoco;
pure questa liquefazione può colpire i
miei sensi, ed essere
un oggetto di esperienza. Ma vi sono infiniti casi,
in cui l’esistenze che si deducono,
non possono divenire oggetto di esperienza. Domandato ad un uomo perchè egli crede un fatto, che succede in luoghi
ove non è, per esempio,
che il suo amico soggiorna alla campagna, o viaggia per la Francia,
egli vi darà per ragione un altro fatto:
allegherà una lettera che ha da lui ricevuto,
alcune risoluzioni che gli vide prendere,
alcune promesse che gli ha sentito fare. Ora in tutte queste deduzioni,
si suppone, che alcuni dati moti dipendono dalla volontà
dell’amico; si suppone in conseguenza, che il suo corpo sia animato da uno
spirito simile al nostro. Ora lo spirito dell’amico, e
le modificazioni inieinc di esso, non
possono giammai divenire un oggetto di esperienza:
noi non possiamo giammai sortire da noi stessi, e
sentire l’anima sua, e ciò che in essa acca(k;
noi dunque qui argomentiamo da una esistenza,
che è un oggetto sperimentale, ad un altra esistenza,
che
per noi non può giammai divenire un oggetto
di esperienza. Quando vedo la lettera,
di cui si parla io giudico, che fu l’effetto de’ moti del corpo dell’amico, giudico inoltre,
che questi moti furono l’effetto della
sua
volontà. Ora questa volontà io non la posso sentire giammai, risalgo dunque qui da un effetto che colpisce i
sensi miei ad una causa,
che non può giammai divenire un oggetto di esperienza.
Similmente se vedo piangere un uomo giudico che egli è
afflitto, ora l’afflizione di lui non puògiammai divenire
un oggetto di esperienza per ne; io dunque
deduco qui da ciò che sperimento
una causa, che non posso sperimentare.
Ora si domanda: una tal deduzione è es
M legittima? Allora che vedo un uomo, io vedo un corpo simile al mio: se lo vedo camminare vedo questo corpo eseguire certi moti simili a
quelli, che io fo quando voglio camminare,
da ciò conclude, che I
moti del corpo che vedo suppongono una causa
simile a quella, che ho sperimentato, vale a
dire uno spirito,
che vuole tali moti. Pare dunque, che questo
caso possa ridursi alla stessa spezie di quello di sopra,
cioè alla deduzione di una causa simile da un
effetto
simile. Ma vi ha qui una differenza, di cui bisogna tener conto. Quando dal vedere un orologio deduco 1’esistenza di un artifice, io ho osservato non solo gli effetti simili, ma anche le cause simili,
vale a dire,
ho veduta molti orologi fra i quali ho trovato della similitudine, ed Ito veduto ancora molti artefici di orologi, fra I
quali ho trovato ancora della similitudine.
Ciò non accade,quando da’ moti del corpo di un uomo deduco l’esistenza di uno spirito simile al mio, da cui questo corpo è
animato. Io non ho giammai sperimentato un altro spirito,all’infuori del mio,
quindi non lio giammai sperimentato la similitudine delle cause,
da cui derivano gli effetti
de' quali si parla, io dunque esco qui fuori deirespcnenia:
se avessi
erimontato piìi volte che alcuni moti di altri corpi simili
al mio derivano da spiriti simili al mio, allora la mia deduzione avrebbe lo stesso fondamento dell’analogia,
la quale mi autorizza a
dedurre da effetti che sperimento,simili aquelli che ho sperimentato,
cause simili aquelle che ho sperimentato. Ma qui siamo in un caso diverso;io sono racchiuso nella sola osservazione di una causa
sola: ho sperimentato in me solo che alcuni dati moti procedono
da un atto di volontà. Ma non 1’ho sperimentato in altri,nè posso giammai sperimentarlo; or chi mi autorizza a
concludere da un caso solo una legge costante, ed universaledella natura? Nell'argomento di analogia si conclude per un caso ciò che abbiamo sperimentato costantemente in tutti gli altri ,
che ci son occorsi: ho sperimentato molte volte, che il
fuoco posto in vicinanza della neve la liquefa,
nè mi è occorso alcun
caso, in cui non abbia ciò sperimentato: vedendo
del fuoco posto in vicinanza della
neve concludo, per questo caso particolare,
ciò che ho sperimentato costantemente
nella moltitudine degli altri casi.
Ma quando al veder muovere gli altri uomini giudico,
che sono animati da uno spirito simile al mio,
procedo tutto al rovescio dell’analogia,
poiché da un solo caso, vale a
dire da ciò che sperimento in me,
giudico tutti gli altri. Questa obbiezione merita di esser esaminata, poiché l’analisi
dei motivi de’nostri giudizi
è1’oggetto della logica. Io ho camminato un numero incalcolabile di volte,
per varie direzioni, ed in vari luoghi:
ho sperimentato questo fatto costantemente
unito al mio volere:
ho sperimentato fra il cammino
di una volta equello di un altra una similitudine, ed una similitudine fra l’atto di volere di una volta e
quello di un altra: ho dunque qui sperimentato, che effetti simili procedono da cause simili, vale a
dire, che il camminare consiste in moti volontari ;
quando dunque veggo camminare un altro uomo io concludo per questo caso
particolare quello che ho sperimentato nella moltitudine de’casi particolari occorsi in me stesso;
non esco dunque
dell’analogia, con cui si concludeda molli ad uno. È
nondimeno incontrastabile , che l'illazione non può giammai
divenire sperimentale, poiché 1’esistenza della volontà in un altro uomo', che io deduco dal'
vederlo camminare, non può giammai divenire per me un oggetto di esperiaiza come può divenirlo questa illazione:il fuoco che vedo liquefarà la neve a
cui è vicino: Ma ciò mi sembra,che non tolga alcuna
forza alla deduzione, che esaminiamo. Quando dal vedere
il
fuoco posto in vicinanza della neve deduco la liquefazione di questa,
io giudico prima dell'esperienza;
ressere perciò l’illazione di natura a
poter divenire
un giudizio sperimentale,non influisce nella deduzione: l’illazione è
vera per me per la sua connessione colle premesse;
non già perchè è un giudizio, il quale
può confermarsi coll’esperienza. Similmente l’illazione
di analogia, con
cui giudico che gli altri corpi umani, fuori
del mio, sono animati da uno spirito simile al mio,
è
vera in forza della sua connessione colle premesse,
e
l’impossibilità che ha questo giudizio di divenire immediatamente sperimentale;
non toglie mica il valore della deduzione. Ma qui conviene aggiugnere
qualche cosa molto importante. Che I
moti chiamati volontari, e che scorgo ne’corpi umani,
non dipendano da una causa meccanica,
ma da una causa intelligente,
mi sembra una verità necessaria della stessa natura delle verità necessarie,
che esprimono le leggi del moto,
di cui abbiamo di sopra parlato. Se
io sono ricco o potate, e
deadcro d'innalzare un edifìzio,
mille braccia agiscono, e
la mia volontà ha il suo effetto. La mia voce non ha fatto impressione sul corpo
de’travagliatori, se non die per mezzo dell’aria, e
no nha prodotto nell’atmosfera on’ agitazione suflìciente a
muovere de’corpi molto piìi piccoli di quelli,
che eseguono gli ordini miei;
la mia voce dunque non produce
l’effetto come causa meccanica;
bisogna perciò che un principio diverso dall’agitazione dell'aria,
o dalla mia parola abbia prodotto questo moto ne’corpi,
e che la mia parola abbia determinato
questo princijiio a produrre i moti,
che chiamiamo voloiitai. Non si può riguardar la mia parola,
se non che o
come un molo eccitato nell’aria,
o come l’espressione della mia volontà;
la mia parola non ha potuto come causa meccanica produrre imoti,
de’ quali parliamo,
perchè ciò come abbiamo veduto,è
contrario alla legge del moto,
che un piccolo moto ne produca uno maggiore;
al che si aggiunga ,
che la mia parola non avrebbe prodotto moto alcuno
nell’Ottentotto, o
in un altro individuo che parla un linguaggio
diverso dal mio: per la sola espressione
della mia volontà ha dunque potuto la
mia parola determinare ad agire
il principio del moto de’corpi die mi
hanno ubbidito. Questo principio è
perciò un’intelligenza, poiché ha conosciuta la mia volontà nelle mie parole.
La proposizione dunque:
vi tono alcuni moti ne’ corpi umani dieerti dcU mio corpo, iquali hanno per causa una causa intelligente,
mi sembra di verità necessaria. La proposizione
poi: vi sono alcuni moti ne’corpi umani dècer si dal mio corpo i
quali hanno per causa la volontà di uno spirito simile al mio,
e per conseguenza tali corpi tono animati come
il mio, è di verità contingente, e
poggiata sull’analogia. Concludiamo nell’argomento di analogia si deducono spesso
cause, (M non
possono divenir giammai un oggetto di esperienza,
sebbene sieno simili ad altre cause,
che si sperimentano. 2.° Vi tono nondimeno alcune deduzioni di esistenze, che non possono divenire sperimentali, le quali deduzioni danno verità necessarie in risultamento. Questa seconda parte,della conclusione enunciata,si conferma
da quello che abbiamo detto nell’
Ideologia circa resistenza
dell’assoluto. Questo non può certamente divenire un oggetto
di esperienza, intanto la sua esistenza è
il risultamento di un raziocinio legittimo, in cui una delle premesse è
una verità sperimentale. Noi diciamo; se vi è
il condizionale, et dee essere l’assoluto. Questa proposizione esprime un giudizio
analitico, e necessario: vi e il condizionale. Questa seconda
proposizione esprime un giudizio sperimentale; vi è
dunque r assoluto. L’illazione è
una verità necessaria. L’empirisnto ci riserra nel solo circolo dell’esistenze, immediatamente sporimetitali;nè ci permette di passare da ciò,che cade immediatamente sotto 1’esperienza,
a ciò che
sotto la stessa immediatamente non cade.
Io vi ho fatto vedere il contrario; vi
ho dunque dimostrato la falsità dell’empirismo. L’argomento
di analogia è fondato sul rapporto d’ identità ;
ma l’identità può fra
due cose essere maggiore o minore. L’identità
fra il mio corpo ed il corpo di
un altro individuo, che io chiamo uomo, è
maggiore di quella che passa tra il mio corpo ed il corpo di un cavallo.
Ora si domanda: tino a qual
grado d’identità l’analogìa è un argomento valevole,
cioè un argomento certo ì È questo un problema
di difllcile soluzione.
L’analogia ci rivela dunque 1'esistenza degli altri
q)ìriti simili al nostro. L’esperienza c’insa,
che alcuni motivolontari in noi nascono, o
sono accompagnati da alcune
affezioni interne del nostro spirito;
vedendo in conseguenza
moti siniili in altri corpi umani, attribuiamo agli spiriti
animatori di tali corpi affezioni simili a
quelle che abbiamo sperimentato in noi.
Allora che sono affetto dal sentimento della
sete, corro a bevere ad una fontana,
che a me si presenta. Se dunque vedo un altro uomo camminare verso una fontana,
e bevere, giudico, appoggiato sull’analogia, che egli sia modificato dal sentimento della sete,
e che voglia bevere. In queste deduzioni analogiche dovete osservare ciò che vi ho detto circa 1'aspettazione del futuro simile al
passato, ili bisogna distinguere
il sentimento della deduzione meditativa.
La dottrina generale che ivi vi ho spigato,
può applicarsi all’oggetto che ci occupava.
Noi supponiamo ne’nostri simili delle anime alla nostra simile:
noi
facciamo tali sup^izioni in forza della I^gc
della nostra immaginazione, non già in forza de’raziocini,
che abbiamo sviluppato. Io suppongo l’incontro di due uomini,
privi sino a
questo momento di ogni commercio,ancora cògli animali;
ridotti per conseguenza al circolo stretto de’ propri s/entimenti,
e delle proprie operazioni:
ciascuno di essi vede nell’altro un essere che gli rassomiglia in tutte le cose,che presenta le stesse forme,
possiede gli stessi organi,ne fa un simile uso;
egli crede dunque il corpo che lo colpisce, animato da uno spirito. Or ecco, secondo la mia dottrina, come si opera questo fatto intellettuale. Io suppongo, che un di questi uomini vegga I'altro camminare,questa percezione risveglia i
fantasmi simili del proprio corpo camminante in varie volte,
e perciò anche i fantasmi del proprio me affetto in tali circostanze da tali e tali modificazioni: queste riproduzioni si fanno con somma rapidità
in modo che non posson essere fissate dall'attenzione, esse sono perciò obbliate l'istante appresso, in cui si
s«n avute,intanto la percezione del corpo simile al proprio detemùna
l’attenzione non solamente ad essa sola, m’ancora
alla percezione simultanea del proprio me, e
lascia fuire le percezioni successive
simili del proprio corpo camminante
in varie volte; la piercezione del
me riprodotta si lega perciò a
quella del corpo presente del mio simile, invece di legarsi
a quella riprodotta del proprio corpo camminante , che si è
obbliata, e questo legame costituisce il
sentimento interno di questa specie di
credenza. L' obblio delle percezioni
riprodotte del proprio corpo camminante in
varie volte, neH’atto che rimane quella
riprodotta del proprio me, fa si, che
questa ultima si associi a quella presente del corpo
simile. La percezione riprodotta del proprio me rimane, perchè la percezione
del corpocamminante e quella del proprio me son
legati naturalmente in una comune
attenzione; essendo associate dalla natura stessa;
qnella riprodotta del corpo camminante si
ccclissa, perchè quella del corpo simile
camminante richiama l’ attenzione. Lo spirito trasporta
dunque fuor di lui col pcnsiere l’idea del proprio me,che egli immagina,e che
stabilisce nel seno di quelle forme, che colpiscono I suoi sguardi, ed a
traverso delle quali il suo sentimento immediato non può penetrare. Egli presta
dunque il suo me al suo simile,
1’anima della vita che respira
in se stesso, e concepisce 1’esistenza di un altro uomo. Tale mi
sembra la spiegazione del sentimento della credenza. Che esaminiamo.
Risulta dalla stessa, che noi concependo ciò che pensano gli altri uomini,non
usciamo mica da noi stessi. Nel' le
nostre proprie idee noi vediamo le
loro maniere di essere, la loro
stessa esistenza. Da ciò avviene, che
1’uomo misura dal proprio spirito quello degli altri, dal che
nascono molti orrori. Noi non possiamo accuratamente determinare lo stato
dei fanciulli; e conoscere perciò l’epoca in cui hanno luògo
leloro abitudini intellettuali. Ma egli mi sembra incontrastabile,
che queste abitudini si formano in loro mediante la rapiditll di talune associazioni.
I fanciulli percepiscono negli altri nomini de’ corpi
simili al proprio: &si sperimentano alcuni moti spontanei
del loro corpo ed altri simili ne
percepiscono nei corpi degli altri nomini;
queste similitudini , ed altre, che si
manifestano piìi tardi, determinano le associazioni di cui ho
parlato. Ma non solamente i moti volontari
che osserviamo negli altri , ci menano a
supporre nel loro spirito alcune medin-
cazioni; ma ancora certi moti e cambiamenti necessari,
che son gli stessi el Tetti meccanici i quali
accompagnano i sentimenti interni dell' anima, come
il tremore e la pallidezza nello spavento,
le grida, e le lagrime nel dolore, il riso,
e il tripudio nella allegrezza. Questi si
manifestano incontanen- te da se medesimi , anche
ne’ fanciulli appena nati, principalmente i gridi ed il
lamento, che accompagnano il dolore. Concludiamo. Noi poniamo
per mezzo di alcuni cambiamenti,
che osserviamo ne' corpi altrui pervenire a
conoscere ciò che accade nel loro spirito.
Questa conoscenza può essere meccanica o sia il
risultamenlo del sentimento prodotto da
alcune rapide associazioni, e può essere
ancora V illazione di un raziocinio legittimo di
analogìa. Possiamo dir la stessa cosa in modo breve; questa conoscenza può
essere o istintiva o ragionata. Da ciò si vede, che non è necessaria una
prima convenzione fra gli uomini acciò s’incomincino a intendere fra loro. La
natura ha reso gli uomini tali,che conversando insieme
essi s’iiit elidono naturalmente anche
senza l’istituzione del linguaggio. Seguiamo la
supposizione de’
due'solitari. Sebbene 1'uno abbia compreso ciò che accade nello spirito dell’altro,non
tì è
ancora un linguaggio propriamente detto;perchè non si parla,
se non quando si cerca di farsi intendere
,ese 1’ uno de’ due individui ha
penetrato il pensiero dell’ altro ciò è
accaduto senza che questi cercasse a farglielo
conoscere.!due individui di cui parliamo, osservano, eh’eglino sono stati
compresi,ed allora cercano di farsi comprendere , e nascerà cosi il primo
linguaggio. Sviluppiamo questa dottrina. Abbiamo
veduto, che il corpo degli altri uomini
ci presenta alcuni avvenimenti, la percezione de’quali ci fa
conoscere ciò che accade nel loro spirito. Ciò la cui idea eccita l’ idea di
un’altra cosa chiamasi segno. Nel corpo di un altro nomo vi sono dunque
de’segni delle interne modificazioni dello spirito animatore di questo corpo.
Siccome tali segni son tali per la costituzione della nostranatura, cosi
si chiamano segni nor turali. Vi sono,
in conseguenza, de’segni naturali de’pensieri o
modi di essere dello spirito degli altri
uomini. Ma non solamente vi sono
di questi segni naturali de’pensieri altrui;
ma 1’uomo può conoscere , che vi sono, cioè può
conoscere,che con alcuni dati mezzi si può manifestare altrui ciò che si
sperimenta internamente nello spirito proprio. Supponiamo, che uno de’ due
nomini supposti pianga, gridi, si lamenti, senza avere l’ intenzione dì
manifestare all’altro il dolore, che egli sente; intanto 1’altro sapendo, che
questi gridi, e questi lamenti sono soliti ad accompagnare il dolore,
conoscerà da questi segni il dolor dell’altro,
ed accorrerà al soccorso di lui, questi perciò comprenderà
da tutto questo, che egli è stato compreso; e
se avviene altra volta,
che si trovi affetto dal dolore,
ed in bisogno del soccorso dell’ altro,
piangerà e griderà coll’intenzione di manifestare
all’altro il proprio dolore. Così gli
uomini incominciano dal comprendersi scambievolmente ;
in seguito conoscono , che sono stati
compresi, e finalmente si determinano a farsi
compren- dere. Cosi si osserva in tutt’i fanciulli comunemente. A
principio essi gridano, e si lamentano costretti unicamente dalla forza del
dolore, senz’aver l’intenzione di manifestarlo con questi segni agli altri,anzi
senza sapere neppure,che cosa alcuna si possa esprimere col pianto, e
colle grida; ma appresso avendo imparato,che con tali segni si ottiene 1’altrui soccorso, cominciano a
valersene avvertitamente per manifestare
il loro dolore, e ricevere il soccorso
che bramano. Ciò di cui gli uomini
si servono, per manifestare agli altri i
pro- pri pensieri , chiamasi ugno artificiale. 1
segni naturali divengono dunque naturalmente segni
artificiali. Qui ha termine T educazione della
natura per le nostre scambievoli comunicazicmi.
La natura ha insegnato all’ uomo, che
egli può farsi intendere ; e l’ uomo può
non solamente servirsi de’mezzi,
che la natura gli ha mostrato per la comunicazione
de’propri pensieri; ma può ancora ritrovarne degli
altri simili. Il primo e più semplice
mezzo di comunicazione che
si offre allo spirito, si è quello di ripetere con
riflessione ciò eh’egli fece dapprincipio, senza prevederne le conseguenze,
cioè di riprodurre quelle azioni, per mezzo delle quali^li si è fatto
comprendere. Così si formerà un primo linguaggio, che può
chiamarsi linguaggio della natura, poiché
esso non si compone se non che
de’si naturali, vale a dire di quei
segni di cui la natura aveva già
senza di noi rivestito i nostri pensieri
spreti, per renderli sensibili agli altri. Il
linguagio della natura è insufficiente per manifestare agli altri
tutt’i nostri pensieri. Noi abbiamo al presente
il linguaggio de’suoni articolari. I filosofi disputano
sull’origine di esso. La quistione si versa sull’esistenza, e
su la possibilità, cioè si cerca; gli uomini hanno esH da se stessi
istituito il linguaggio. Questa ricerca suppone quest’altra: gli uomini
abbandonati austusi potevano istituire il linguaggio. l nostri sacri
libri c’insegnano, che Adamo, ed Èva furono
creati da Dio in uno stato adulto con delle conoscenze in istato di riflettere, e
di comunicarsi I loro pensieri. Iddio ù maqiiestò
all’ uomo innocente ne’ primi istanti
della creazione. Iddio è dunque l’
autore primitivo del linguaggio. Ma io suppongo', dice Condillac, che qualche tempo dopo il diluvio due bambini dell’uno, e
dell’altro sesso siensi trariati ne’ deserti, avanti che conoscessero 1’ aso
de’ vocaboli. A fare questa supposizione,
egli dice, io sono spinto dal fatto del
giovane di Chartres
rapportato nelle memorie dell’accademia delle
scienze, anno 1703. Era questi del’età di 23 a 24
anni sordo c muto di nascita: cominciò con gran sorpresa di tutta la
città tutto ad un colpo a parlare. Si seppe da
lui; che tre o quattro mesi prima
egli aveva udito il suono delle
campane, ed era stato estremamente sorpreso
da questa sen- sazione novella ed incognita. In seguito gli
era sortita una specie di acqua dell’orecchia sinistra, ed aveva acquistato
l’udito in tutte e due le orecchie. Egli impiegò tre o quattro mesi ad
ascoltare senza nulla dire, assuefacendosi a ripetere sotto
voce le parole, ch’ali udiva, ed
esercitandosi nella pronunciazione, e nelle idee
legate a’ vocaboli. Io non so come questo fatto possa
autorizzare il filosofo francese, a fare la supposizione di
cui parla, se non perché ciò mena a
poter supporre,
che due giovani di sesso diverso sordi e
muti di nascita, possono traviarsi ne’deserti o
ne’boschi, indi incontrarsi, e dopo l’
incontro ricever tutti e due rudito.
Questa supposizione non ha niente di assurdo; ed è perciò
lecito al filosofo di cercare, se in una tale supposizioneq uesti due giovani
possano istituire una società, ed un linguaggio. A ciò si può aggiungere, che
si rapporta, essersi in vari tempi vari fanciulli trovati ne’boschi; uno ne fu
sorpreso nell’Asia l’anno 1334 in compagnia de’ lupi, un altro dell’età di
circa 12 anni in Weteravia, un altro di 16 fu scontrato fra una torma di pecore selvatiche nell’Irlanda, verso alla metà del passato secolo, un altro di nove fra gli orsi nelle selve della Lituania nel 1662:in questo secolo medesimo
uno ne fu scoperto presso ad Hamelen nella Sassonia,
una fanciulla presso a
Lwlla nella provincia di Utrecht,
ed un’altra fu arrotata presso Chalons. Io per altro
non comprendo,
come questi fanciulli abbiano potuto vivere, se sono stati
abbandonati, o perduti prima di potersi alimentar da se stessi, ed in
conseguenza prima di avere una lingua. Si potrebbe supporre, che avevano principiato
a parlare, quando si smarrirono;
ma che poi nella solitudine avevano interamente obliato quanto avevano imparato. Or si domanda:se due di questi di sesso diverso, si fossero
per avventura incontrati nella stessa foresta,
che sarebbe egli avvenuto? E per limitarci all’oggetto delle nostre ricerche,
domandasi: avrebbero essi istituito una lingua.
Tralitsciando dunque, sull’origine del linguaggio,
la quistione di fatto, è egli lecito di
esaminare quella della possibili- tà , o di
cercare se gli nomini abbandonati a loro
stessi avrebbero potuto istituire una lingua?
L’esame di una tal quistione è
molto utile, per ben conoscere, e
misurare le forze dello spirito umano, e
queste ricerche ipotetiche ci menano ancora a
risultamenti, che hanno luogo nel fatto reale.
Io aggiungo dippiìi,
che alcuni autori anche su l’autorità de’nostri libri divini,
hanno creduto,
che le lingue attuali sieno state istituite dagli uomini coll’uso delle loro forze naturali:
ecco come può essere accaduta la cosa. Nel famoso
avvenimento della costruzione della torre di Babele,
per forza miracolosa,
fu cancellata dalla mente degli uomini la memoria
intera del primitivo linguaggio:
in seguito di un tale miracolo, gli uomini si divisero a
torme secondo i rapporti di parentela e di amicizia,
e si stabilirono hi diverse parti della
terra : furono dunque abbandonati a se stessi, per
istituirsi un linguaggio; e così perduto interamente
il linguaggio primitivo , dì cui era stato autore
Iddio stesso,le nuove lingue,che nacquero sulla terra, furono un prodotto
dello spirito umano. In questo modo si spiega come gli uomini perduto,
per forza del miracolo, il primitivo
linguaggio, non si sieno più scambievolmente
intesi ne’ linguaggi rispettivi. Questa opinione
ammette un solo miracolo, quale è quello
della memoria perduta del linguaggio primitivo ,
lad- dove nell’opinione contraria bisogna
supporre una gran moltitudine di miracoli,
l’uno in forza del quale gli uomini abbianop
erduto la memoria del linguaggio primitivo, e gli altri
con cui Iddio abbia istituito i diversi
linguaggi, che ebbero luogo dopo dell’avvenimento;
ora si potrebbe dire, non e verisimile, che
Iddio moltiplicasse inutilmente i miracoli.
Checché ne sia di tale opinione,
noi esamineremo qui la quistione della possibilifb. il
rispetto che il filosofo
debbe alla religione divina, che c’illumina,
mi ha condotto a questa digressione.
Per esaminar la quistione proposta continuiamo la supposizione di sopra,e
partiamo dal punto ove siam rimasti.
Abbiamo veduto l.° che gli uomini per natura si comprendono
scambievolmente. 2.° che
conoscono di essere stati compresi.
3.° che con ciò si fanno
naturalmente un linguaggio artificiale, che è il linguaggio della
natura. Vale ad ire che fanno uso de’segni naturali, per manifestare agli altri
I
propri pensieri. Ma il bisogno non potrebbe spingere gli uomini,
a migliorare , cioè ad acrescere questo linguaggio della natura,
ritrovando de’segni analoghi? N pianto ed i gemiti
manifestano agli altri il dolore da
cui un individuo è affetto; ma non manifestano lyica la causa del dolore.
Ora gli uomini hanno spesso bisogno,
per essere soccorsi, dì manifestare agli altri la
causa del loro dolore: per tale oggetto alcune volte bastano le circostanze:
uno de’due suppposti solitari cade in
una fos.«a egli
non può senza l’al trui soccorso cavarsene fuora:
egli grida -- 1’altro accorre, e si avvede della causa del dolore del suo
simile. Parimente se uno de’ due è inseguito da una bestia feroce,
e grida: l’altro conosce dalla circostanza la causa del dolore del
compagno. Spesso nondimeno la causa del dolore non apparisce dalle circostanze.
Tutti generalmente acquistiamo l’abito, allorché
ci sentiamo in alcuna parte addolorati, di recare colà la mano. Se dunque uno de’due supposti solitari sentirà dolore
in qualche parte ; egli griderà, c
la mano correrà naturalmente alla
parte addolorata :
l'altro accorrendo alle grida, e spingendo per
avventura lo sguardo là,dove è
corsa la mano dell’altro conoscerà il luogo del dolore e
se la causa del dolore fosse una ferita, o
una contusione, o qualche altra cosa visible;
allora conoscerà chiaramente questa causa. Qualora l’uno vorrà porgere all’altro alcuna cosa, amendue stenderanno la mano Tuno per darla,el’
altro per prenderla. Questi moti della
mano potranno da s^i naturali divenire
segni artificiali, così si potrà indicare
la causa del dolore recando la mano su la parte
addolorata;e si potrà da uno de’due individui volendo dire all’altro che non è
vicino qualche cosa;e non volendo o non potendo muoversi,stendere la mano con
entro la cosa che gli vuol porgere. L’altro similmente se cosa alcuna bramerà
aver dal compagno, porgerà la mano vòta per prendere ciò che desidera. Fin qui
non si esce ancora dal linguaggio della natura;ma già siamo al termine di un
altro linguaggio, a cui il primo ci mena.
Vi sono due specie di cose,
di cui gli nomini hanno bisogno di eccitare le idee negli
altri: alcune possono nel momento stesso colpire i
sensi tanto di colui che vuol parlare,
quanto di colui a cui si vuol parlare; altre sono lontane
o almeno invisibili, e
non esistono nel momento, se non che nello spirito di colui che vuol farsi comprendere: riguardo
alle prime basta,che colui che vuol parlare, cioè che vuol farsi comprendere ecciti
l’attenzione del suo compagno, e la diriga su
1’ oggetto che gli vuol mostrare. Abbiamo
veduto , che il gesto può esser
naturale e divenire un segno
artificiale ;ma alcune volte non è
cosi:supponiamo,che uno de’due solitari voglia mostrare all’altro un oggetto
lontano ma che può esser veduto ; egli
avvertirà il suo compagno per un grido, ed
allora che questi volgerà a lui gli sguardi
, il primo dirigerà Io sguardo su l'
oggetto, che vuole mostrare all’altro, e farà uso del dito,per meglio
mostrargli la direzione,che prende lo sguardo suo:l’altro r imiterà, el a
sua curiosità lo porterà ad osservare ciò che occupa il suo compagno. Questi
gridi, questi gesti, formano una prima spezie di segni
istituiti, che si possono chiamare segni
indicatori. Osservate , che i segni , di cui
parlo , non sono segni naturali, perchè il
grido è naturale nel
dolore e nel piacere: esso diviene da naturale artificiale per denotare il dolore,
o il piacere. Ma l’uno de’ due solitari avendo
osservato, che 1’altro,
quando egli manda fuori il grido,diriga al
ui il proprio sguardo, fa uso del grido
per obbligare il compagno a fissare su
di lui lo sgiiardo: cos) il grido
si estende a denotare ciò che denota questa
proposizione:volgiti a me: inoltre lo stendere il dito verso l’oggetto
che si vuol mostrare non è un segno naturale, ma un segno analogico, poiché vi
ha una similitudine fra il moto che fa il dito,
ed il moto che far dovrebbe il
proprio corpo per ginngerc all’ oggetto,
che si vuol mostrare; questi due moti
avendo la stessa direzione, o pure, la direzione
del dito è identica colla direzione,
che prende lo sguardo.
Per tal ragione io credo, che il gesto, di
cui parlo, dovrebbe riguardarsi piuttosto come un
segno imitativo, poiché il moto del
dito imita nella direzione il moto
che far dovrebbe
il proprio corpo per giungere pel cammino più corto all’oggetto,
che si vuol mostrare, o
pure imita la direzione dello sguardo;
ma servendo tal gesto ad indicare un
(^etto, che può nello stesso momento colpire I
sensi de' due solitari,
gli si pùò dare il nome di segno indicatore. Questi due segni indicatori ,
di cui parliamo, equivalgono; a
queste diK proposizioni :volgiti a me e
guarda là. Vi ha inoltre de'segni imitativi, i
quali servono a denotare alcune cose future,
od altre cose che nel momento non possono colpire i
sensi di tutti e due i
solitari. Supponiamo, che uno di questi sia in A,
1'altro sia icmtano ma a
vista del primo in B, che
l’oggetto lontano ma a vista di tutti e due sia in C;
inoltre cl» il primo non potendo muoversi per andare io C
voglia manifestare all’altro che vada in C, e
che prendendo l’oggetto bramato ivi posto, lo rechi a
lui in A; ecco come io immagino,
che la cosa potrà farsi: il primo con un
grido ecciterà 1'attenzione del compagno:
indi stenderà il dito nella direzione della linea fra A
e B: poi la muoverà nella direzione di una linea parallela a
quella fra B e C: con questo moto egli
dirà al compagno che vada da B in C, e
questo moto sarà un segno imitativo del moto che
il compagno dee fare ,
per secondare il desiderio dell’altro'io A:
questo moto, che il compagno dee fare, è una cosa futura, che non
può nel momento colpire i sensi de’ due solitari:
ecco dunque come con de’segni imitativi si possono denotare gli oggetti assenti. Supponiamo inoltre, che l'individuo
posto in B si conduca in C: l’altro che si trova in A stenderà il suo braccio da A
verso C in posizione orizzontale, indi
farà un moto col braccio,
imitativo di quello che dee fare il compagno per prendere l’oggetto posto in
C: dopo di ciò ritornando a mettere il braccio
nella stessa posizione orizzontale, lo ritrarrà a
se con un moto contrario a
quello, con cui rha steso, e
che sarà imitativo di quello, che dee fare il
compagno per venire da C in A. Con I
segni imitative dunque si pò^no denotare le cose invisibili nel
momento. Questi segni imitativi si possono eseguire in vari modi. Così per
denotare una serpe si può su l’arena designare la sua forma, o il suo moto
tortuoso.Abbiamo veduto, che vi sono de’segni naturali delle nostre
interne modificazioni, e che questi segni possono
divenire artificiali , e così costituire un primo
linguaggio, che abbiamo chimato linguaggio della natura.
Abbiamo detto inoltre nell’antecedente, che
1’uomo può con altri segni accrescere
questo linguaggio della natura; ed abbiamo chiamato I
segni, che accrescono il linguaggio della natura, segni indicatori,
e segni imitativi. Ora qual principio può guidare
l’uomo a ritrovare le ultiqie specie di segni?
Nella logica pura lo spirito è
naenato nel passare analiticamente da una
proposizione ad un’altra, ad una certa similitudine che passa
fra l’una e l’altra; il princìpio della similitudine è
dunque un principio d’invenzione, e questo
principio ha condotto gli uomini, partendo dal linguaggio
della natura, a ritrovare i segni indicatori, ed i
segni imitativi, queste due
specie di segni possono perciò chiamarsi
segni analogici. Difatto fra il moto del miodito,
con cui mostro l’oggetto lontano, ed il moto che dovrei fare col mio corpo,
per arrivare, pel cammino più breve,
all’oggetto, vi si osserva una similitudine:
una certa similitudine si osserva eziandio tra
i segni imitativi e ciò di cui sono l'imitazione. Le
interne modìficazioni dello spirito possono manifestarsi
per mezzo de’ moti del corpo. Il desiderio,
il rifiuto, l’avversione, il disostosi esprimono per mezzo
de’moti del braccio, della testa, e per mezzo di quelli
del corpo intero, moti piò o meno vivi, secondo la vivacità, con cui ci
portiamo verso di un oggetto, o ce ne allontaniamo. Tutti i
sentimenti dell’anima
possono esser espressi dalle posizioni del
corpo. Esse dipingono di una maniera sensibile
l’indifferenza, l’incertezza, l’attenzione, e
le altre affezioni interne. Ora se ripetendo queste azioni, e
posizioni del corpo, si denota insieme, che esse non si riferiscono ad affezioni presenti,
allora denoteranno le modificazioni, da cui siamo
stati affetti. L’analògia acquista spesso una
grande estensione. Cosi, per esempio,
quando voglio attendere ad un oggetto,
die colpisce i miei occhi, dirigo
lo sguardo verso di esso: questa
direzione è segno dell’attenzione dello spirito; ma io posso
ancora rivolgere la mia attenzione ad oggetti invisibili :se dunque per
denotare questa ultima attenzione, mi servo
della direzione dello sguardo; questo segno
si estende al di là di ciò, che naturalmente denota.
Allora che io peso un corpo,
lo paragono ad un altro; pesare è dunque
paragonare; ma paragonare non è sempre pesare;
perciò quando per
esprimere l’azione intellettuale che paragona, io prendo nelle due mani de’corpi,come fo quando viglio pesarli,
questa azione è trasportata a denotare più
di quello che denotava in origine.
Questa terza specie di segni, che
l’analogìa somministra agli nomini, si possono
chiamare segni figurali. L’ unione de’
segni indicatori, imitativi, o figurati costituisce il
linguaggio analogico. Cosi i segni naturali,
divenendo artificiali,costitoiscono il linguaggio della natura:
gli uomini guidati dal principio della similitudine, partendo dal principio della natura,
inventano il linguaggio analogico.
Ma fa d’uopo considerare l’ultimo linguaggio,
di cui abbìam parlato, in
colui che per parlarlo lo trova: ed in colui che l’intende. Nel primo, il principio della similitudine
guida la meditazione a produrre nuove idee;
nel secondo il principio
della similitudine riproduce alcune idee simili a quelle,
che modificano attualmente lo spirito. Quando colui che vuol parlare fa usoil primo di alcuni gesti,
per denotare alcuni dati pensieri, li,
guidato dall’analogia, inventa questi segni, e
questi segni, e questa invenzione è
un prodotto della meditazione; ma colui che ascolta intende questi
segni
in forza del principio meccanico dell’associazione dellé idee. Fra i
principi particolari compresi sotto questo principio generale, si contiene il principio della similitudine:
in forza di questo principio il moto del dito riproduce l'idea del moto simile del corpo intero,e
questa riproduce quella delle modificazioni interne dello spirito legate col moto del corpo intero. Colui che istituisce il linguaggio per farsi intendere èattivo:quegli che intende il linguaggio btituito èpassivo. I
gesti, I moti del corpo, ed i
suoni inarticolati costitubeono il linguaggio chiamato
da Condillac linguaggio di aziona. Su di esso debba fare ancora due osservazioni. 1..° un tal linguaggio esiste ancora
e esso accompagna quello de’suoni articolati ;
un oratore parla eziandio coi gesti,
colla posizione del corpo, co’ moti del corpo, e
principalmente co’moti degli occhi.
Ciò che si chbma mimica consiste appunto nell’arte di far concordare il linguaggio
di azione con quello de’suoni articolati.
2.° col solo linguaggio di azione,
anche dopo l’istituzione di quello de’ suoni articolati,alcune nazioni incivilite esprimevano de’ lunghi discorsi. Presso
I Romani I pantomimi rappresentavano de’pezzi interi,
senza proferire una parola, li bisognava dunque,
che i pantomimi,
partendo dal linguaggio della natura prendessero l’analogb
per guida, e così poterono pervenire a
farsi intendere.
La scrittura santa ci somministra ne’profeti molti esempi di questo linguaggio analogico di azione.
Così, per darne un esempio, ad ogetto di denotare
che la Giudea ch’era imita con Dio,
sarebbe poi stata da Dio rigettata e
dispersa per la sua superbia ed idolatria,
il profeta Geremia, per l’ordine di Dio,
si cinge con una cintura di lino I lombi,
indi si toglie questa cintura,e
presso l’Eufrate in un forame di una pietra la nasconde:
dopo molti giorni ritorna aprendere la nascosta cintura,
e la trova infracidita in modo,
cf)’ era inutile per qualunque uso. Nella profezia di Geremia si possotm trovare molti esempi di questo linguaggio analogico di azione.Se i
moti del nostro corpo da segni naturali divengono segni artificiali,e
se questo linguaggio può essere accresciuto
dall’analogia, quello de’suoni che da naturali sono ancora divenuti
segni
artificiali, non potrà similmente essere accrescinto dall’analogia stessa.
Se il selvaggio, per denotare il moto che dee fare,
secondo il suo desiderio, il suo compagno,
può servirsi del moto simile del suo dito,
perchè per denotare il muggito del bove , il belare delle pecore,
il rumore del tuono,
non potrà egli adoperare un suono simile.
L'analogia che
1’ha menato all’invenzione dei primi segni,
dee menarlo ancora all’invenzione de’secondi. Il bisogno di denotare questi suoni degli oggetti sonori,
mena il sdvaggio a produrre fuori de’ suoni
imitativi, e così nascono le prime voci
radicali del linguaggio de’ suoni articolati.
Questi suoni non poterono essere dapprincipio se non che monosillabi,come lo prova l’esempio de’ fanciulli.
Ma l’analogia non fu il solo principio del linguaggio de’suoni
alticolati, poiché non
sempre si debbono denotare suoni, o cose sonore. Per denotare dunque le cose che non mandano suono,l'analogia fece però conoscere agli uomini,che potevano
servirà de’suoni articolati, per farà comprendere.
Ciò posto se il selvaggio si trovò
nel bisogno di farsi comprendere , se non
trovò altro mezzo per ottenere il suo
fine, se non quello dei suoni, perchè non
potè egli produrre un suono arbitrario , il quale poi compreso dall’altro divenne
un segno comune.Per rendere sensibile ciò che dico,supponiamo ,
che ì due solitari immaginati siensi perduti di fbta,e
che l’uno voglia ritrovar 1’altro, egli conoscerà certamente,
che non potrà far comprendere all’altro questa sua volontà,
se non
che per mezzo di un suono. Egli manderà dunque fuori un grido;
questo grido da principio non sarà,
come ognun vede,
se non che un puro effetto naturale. Se
il dolore è
natiiralinente sonito da un suono inarticolato, dal
pianto e dal gemito; perchè il bisogno di
spiegarsi, e di mandar fuori un suono , non
potrà esser seguito da un suono quale
che siasi?
Noi non poliamo determinar la ragione,
per cui il, selvaggio manda fuori un tal suono piuttosto che un altro,come volendo camminare non possiamo conoscere la ragione,
perchè abbiamo mosso il piede diritto anzi che il sinistro,
o
questo anzi che quello. Questa ragione può consistere,
almeno in parte,
nella varia posizióne meccanica del nostro cervello,
e generalmente di tutto il nostro corpo. Ma
saniamo lo sviluppa della nostih ipotesi.
L’altro selvaggio sentendo il grido, di cui si
parla,accorrea ritrovare il suo compagno, e come amendue avranno osservato,
che un
tal grido ha la forza di far che l’uno ritorni all’altro,
I
due solitari se ne serviranno appostatamente. lu tal caso la voce di cui parliamo ha lo stesso significato
del verbo “vieni.”
Può dunque l’uomo ritrovare dei suoni articolati non imitativi,
per denotare agli altri le sue interne modificazioni. Egli può trovarsi nel bisogno di farsi comprendere dal suo simile con un suono:da un tal bisogno
nasce la volontà di mandar fuori un suono.
Questa volontà avrà il suo effetto,
ed un suono sarà da lui mandato fuori; questo suono sarà tale e
non altro, perchè tale e non altro è
lo stato fisico del corpo,
che produce il suono , e lo stato morale ancora dello spirito animatore di questo corpo.Ecco
spigata la nascita
de’suoni arbitrari. Ciò che ho detto è
provato coll’esempio de’ fanciulli: eglino innanzi che abbiano appreso a
parlare, quando bramano alcuna cosa ardentemente,
nell’atto che si sforzano di acceimarla co’gesti, e
co’ movimenti del corpo, per lo più
proferiscono insieme una qualche voce;
poiché lo spirito quando, si trova in qualchegr
ave bisogno mette ad un tempo tutte le sue facoltà in azione. Questo è comune
alle bestie ancora. Anzi i sordi muti medesimi, benché nemmeno sappiano
di aver voce, ciò non
ostante per non so qual movimento meccanico,
mentre s'impegnano di spiegarsi co’lorogesti,
principalmente quando si trattadi cose ,che molto l’interessano, e
che non possono facilmente farsi comprendere ,
mandano anch’essi quando una, e
quando un’ altra voce. Gli uomini possono dunque istituire de’ suoni
articolati analogici, e possono istituire ancora de’
suoni articolati arbitrari. Io li chiamo
arbitrari, non già perchè son pro- dotti
senza una ragion sufficiente; ma perchè
non sono imi- tativi, o
analogici. Qual similitudine, per esempio, può mai trovarsi fra questo suono “cielo,”
ed il complesso delle sensazioni visuali,
che ci desta in una notte tranquilla il firmamento
7£ perchè la costituzione fisica emorale, in cui si son trovati gl’inventori delle lingue,allora che furono ndl
bisogno, di denotare con un suono uno stesso oggetto, è
stata varia non solamente per la natura ,
eper gli abiti contratti,ma eziandio per I
climi, ed I siti; perciò in diversi luoghi
di questo globo terraqueo nacquero diversi
suoni primitivi, come è provato per le
radici di tutte le lingue cognite. n fatto
de’ fanciulli prova senza replica , che gli
uomini possono arrivare a comprendere il
linguaggio arbitrario. E meditando attentamente su
di questo fatto st può intendere come
ciò possa avvenire. Supponiamo che un
fanciul- lo' abbia appreso il significato del vocabolo gallina, il
che può accadere unendosi da alcuno alla prouunciazionc del vocabolo gallina
l’indicazione del volatile dal vocabolo denotato: supponiamo inoltre, che il
fanciullo abbia veduto una gallina morta e che il giorno seguente ascolti
da uno della famiglia questa proposizione: la gallina jeri morì, si accorgerà
che si vuole denotare l’avvenimento, del la morte della gallina,
accaduto, il giorno innanzi.
Supponiamo ancora che la proposizione: “La gallina
jeri mori”
siasi udita più volte dal fanciullo in modo che egli 1'abbia impressa nella sua memoria
; « che avendo veduto ima cagna
partorita il giorno avanti, e sapendo il signifìcato del
vocabolo tagm, ascolti la seguente proposizione :“La cagna jeri
partorì.” ecco la serie de’ fatti
intellettuali che in tal caso avranno luogo nello
spirito del fanciullo: l.° egli intenderà
che colla proposizone, la cagna jeri
partorì, si denota il parto della
cagna da lui il giorno antecedente
osservato: 2.o. la pronunciazione del vocabolo jeri, per
la le dell’associazione delle idee, riprodurrà nelsuo spirito l’altra
proposizione, “la gallina jeri mori.” 3.° volendo
intendere il significato di ciascun
vocabolo delle due proposizioni, il
fanciullo dirigerà la meditazione su le
stes-se.
4.paragonando le due proposizioni fra di esse, e
coi fatti dalle stesse denotate, non
meno che i fatti stessi fra di loro ,
il fanciullo vede che le due
proposizioni sono identi- che nel vocabolo
jeri] e che i due fatti significati sono
identici
nella circostanza del tempo in cui sono accaduti;
essendo tutti e
due accaduti nel giorno precedente a quello in cui si parla.
5.° con questi paragoni il fanciullo intenderà il significato
del vocabolo “jeri” isolatamente considerato.
6.° dopo di ciò comprenderà eziandio il significato isolato de’ vocaboli mori «partorì;
poiché avendo compreso il significato in
confuso delle due proposizioni, ed indi
il significato distinto del vocabolo “jeri,” e
sapendo dall’ altra parte il significato
distinto de’ vocaboli gallina, e cagna, conoscerà ,
che i vocaboli mo- ri e partorì sono
destinati a denotare i due avvenimenti, e ne
apprenderà perciò il loro distinto
significato. Questo esempio fa vedere
che i
fanciulli meditano prima di apprendere il linguaggio più di quello che comunemente si crede;ech
e le nozioni soggettive d’identità,e
dì diversità sono antecedenti alla conoscenza della propria lìngua, eservono
ai fanciulli per farla loro apprendere. I
vocaboli o denotano gli oggetti de’ nostri pensieri, o
l’ azione dello spirito su di questi oggetti: Pietro è con Paolo, i
vocaboli Pietro e Paolo denotano gli oggetti
de' nostri pensieri ; i vocaboli, con denotano l'azione
dello spirito su dì questi oggetti. Ma ciò
richiede ancora una maggiore
spiegazione. Il vocabolo significa l’azione dello spirito ,
che attribuisce a Paolo il rap- porto di
compagnia con Pietro. Ma acciocché lo
spirito avesse la nozione soggettiva di
tal rapporto, è necessaria la com- parazione di
Pietro con Paolo' riguardo alla loro
esistenza in un certo tempo , ed in
un certo spazio ; questa comparazione aggiunge all'idea
assoluta
diPaolo il rapporto di compagnia con Pietro:
la voce con esprime un tal rapporto , e per
questa ragione un tal vocabolo può
riguardarsi eziandio come segno dell’
azione dello spirito che compara. Pur
tuttavia essendo il rapporto un prodotto della
comparazione preliminare all’atto del giudizio,
pare che sia maggior esattezza il distinguere i vocaboli,
che denotano l’azione dello irito,in vocaboli di giudizio ed in vocaboli di rapporto.
£questa distinzione si trova in un opuscolo di Mariano Gigli, intitulato
Metafisica del linguaggio. Secondo questa
osservazione i vocaboli si distinguono in
vocabbli di cosa, in vocaboli di
giudizio ed in vocaboli di rapporto.
Così nella proposizione, “Pietro è con Paolo,” i
vocaboli “Pietro” e “Paolo” son vocaboli di cosa, il vocabolo
i, esprimendo l’atto del giudizio, è
vocabolo di giudizio, ed il vocabolo “con” è
vocabolo di rapporto.
Esso denota insime l’azione comparativa, ed
il rapporto di questa azione. Secondo
la grammatica generale e ragionata di
Portoreale, i vocaboli si distii^cno in due
classi, alcuni significano gli oggetti de’
nostri pensieri , altri significano la forma , e
la maniera de’ nostri pensieri di cui
la principale è il giudizio. Questa
distinzione mi sembra giusta , cd in
seguito di ciò che abbiamo detto è chiara.
I vocaboli materialmente considerati sono o radicali, o
derivati, 0 toHituiti. Radicali,o primitivi son quelli,
che non nasc<mo da altra voce conosciuta ed usata nella medesima lingua,
come tote, dolce, fuggire ec.
Derivati son quelli, che provengono da voci conosciute
, ed usate, nella medesima lingua , come talare,
dolcezza, fuggitivo ee. Sostituiti son quelli,
che per maggiore chiarezza , e per brevità
si pongono in luo- go di altre voci
conosciute , ed usate nella medesima lingua, come
mio pensante ec. per di me, che
pensa ec. È facile a eomprendei si , che
ritrovati i vocaboli radicali r analogia ha
menato gli uomini a ritrovare i vocal>oti
deri- vati, e sostituiti, e cosi ad accrescere notabilmente il linguaggio.
Difatti quanti nomi sostantivi non si
possono trarre dagli aggettivi, quanti
aggettivi da' sostantivi, quanti nomi
da'verbi, quanti verbi da' nomi ? I
sostantivi nerezza, bianchezza, lunghezza ec.
tutti vengono da nero, bianco, lungo;
gli ag- gettivi
celeste, terrestre, marmo ec. derivano da cielo, terra, mare; I
nomi speranza,amore,dolore, volontà
ec. derivano dai verbi sperare, amare, dolere,
volere. 1wirbi velare, vestire ec. nascono da
velo, veste. Inoltre quante parole formar
non si possono dall’unione di due o
più altre? I latini unendo il verbo “esse” a varie
proposizioni, ne facevano adesse, ab- esse,
obesse , inesse , processe, prodesse, subesse; superesse,
interesse. Dall’unione poi di un nome e di un verbo, quanti altri
composti facessero i greci e gli ebrei, e
quanti ne facciano i cinesi, e tutti gli
orientali, è abbastanza noto agli eru- diti.
Tutte le lingue originali, che diconsi lingue madri,
hanno pochissime radici primitive,per mezzo delle varie combinazioni
di queste compongono un gran numero di vocaboli.
Gli uomini dunque,
per manifestare agli altri i propri pensieri, hanno potuto istituire il linguaggio dei suoniarticolati.
Questa invenzione è la causa principale, che
ha condotto il geqere umano a quel
grado di coltura e di per- fezione,
in cui oggi lo vediamo. Il linguaggio fa
l’analisi del pensiere,
e come sia un valevole soccorso per la meditazione.
Ma indipendentemente
dalla influenza che ha pel progresso delle nòstre
conoscenze, considerato riguardo all’ individuo
che se ne serve,
ne ha una notabilissima considerato riguardo alla
società, e relativamente all’individuo, che ascolta e
riceve le altrui conoscenze.
Il linguaggio può essere considerato come un mezzo,
che fa progredire lo spirito nella propria meditazione;
ed ancora come un mezzo di comunicazione
scambievole de’ pensieri degli uomini: nel primo caso serve d’istrumento
all’azione meditativa, per ritrovare la verità; nel
secondo presenta allo spirito de’ nuovi
materiali per le sue conoscenze.
Gli uomini non potendo esistere in tutti i
luoghi nè in tutti i tempi; segue che non
tutti possono osservare tutti i fatti;
un uomo può perciò aver osservato de’
fatti, che un altro non ha osservato. Se dunque il primo comunica al secondo le
sue osservazioni, questi conoscerà de’ fatti che non ha osservato; equest a
conoscenza avrà per motivo 1’altrui testimonianza, e costituisce ciò che
si chiama certezza morale^ Domandate, per esempio, ad un napolitano, il quale
non sia mai uscito di questa città,perche egli creda l’ esistenza di tante
altre città , di Roma, di Milano, di Parigi, di Madrid, di Londra ec.; vi
addurrà per motivo la testimonianza di altri uomini, che hanno veduto le città
nominate, ed egli sarà tanto certo dell’esistenza di queste, quanto lo sarebbe,
se le vedes» co’propri occhi. Non basta,
che un uomo conosca un fatto, che un altro ignora,
è necessario
che abbia la volontà di narrare il vero, afllnchè l’altro non fosse dalla testimonianza del primo ingannato.
Per disgrazia dell’ umanità la volontà d’
ingannare i propri simili si trova non
poche volte negli uomini; e
non poche volte ancora accade,
che gli uomini ingannino non già perchè
vogliono ingannare; ma perchè o non hanno conosciuta esattamente il vero, o
sono
stati da altri ingannati. Da.ciò lo scetticismo ha preso il motivo di combattere la certezza morale.Ma dicano quello che vogliono gli scettici, l’esperienza
ci manifesta queste due verità, l,°un
uomo può aver conosciuto de’ fatti, che
un altro, o non ha potuto conoscere, o
non ha conosciuto. 2.° vi sono alcuni fatti di tal natura, su de’ quali non si trova giammai concordemente fallace la testimonianza
di coloro, che gli hanno osservati. Non si è
trovatagiammai fallace la testimonianza di coloro che sono stati in Napoli
, nello assicurarmi dell’ esistenza di
questa città ; r esperienza stessa me ne ha assicurato,
poiché essendo io stato in Napoli, ho
ammirato io stesso co’ miei occhi questa
magnifica città, ed ho così trovata
verace l’altrui testimonianza:
la stessa esperienza ho ripetuto circa molti altrifatti.
È
dunque una verità di esperienza quella che stabilisce,
essere la concorde testimonianza di altri uomini, circa alcuni
fatti, un motivo leggittimo dei nostri giudizi
Vi sono, è vero,
degli uomini che narrano de' fatti,
de’ quali non sono stati testimoni
oculari, e su de’quali sono stati da altri ingannati ;
e vi sono ancora di quelli,che volontariamente
mentiscono. Ma vi sono eziandìo de’ testimoni non solamente
oculari di alcuni fatti;
ma testimoni tali che non somministrano alcun motivo di dubitare
della loro veracità. È
questa una verità che la propria giornaliera
esperienza ci manifesta. Chiunque non ha
veduto Napoleone Bonaparte,è sicuro nulla
dì meno, per la testimonianza di altri ,
che vi sia stato un uomo così
chiamato , il quale ha esercitato il sommo
potere nella Francia, ha perduto poi il
trono, ed è
morto prigioniero nell’Isola di S. Siena. A
suo luogo parleremo de’limiti della
certezza morale: qui mi son ristretto a stabilire
la sua esistenza:
per istabilirla ho stimato di salire a’suoi primi
princìpi. Ho fatto vedere, che un uomo, può
intendere un altro, che l’uomo può voler essere inteso;
e
che da ciò nasce il primo linguaggio chiamato linguaggio della natura; che l’analogia può accrescere un tale linguaggio,
e far nascere ancora alcuni vocaboli radicali analogici;
che il bisogno può menare poi gli uomini a
stabilire altri vocaboli radicali arbitrari; e
che così ha potuto nascere il linguaggio, de’suoni articolati. L’esperioiza m’insegna,
che vi sono delle
cose circa le quali altri non s’ingannano,
nè si propongono d’ ingannarmi. Da ciò
concludo, che l’altrui testimonianza ,
cioè il linguaggio volontario degli altri nomini, può
in molti casi, circa ì fatti ,
essere un motivo legittimo de’ nostri giudizi.
Io non posso coesistere a tutte le generazioni,
ed a tutti i luoghi. La mia durata è
breve: il mio luogo è
quasi un punto nello spazio. Intanto vi sono moltissime cose,die m’importa di conoscere,e
che sono accadute prima della mìa nascita,o
che accadono in luoghi più o meno
lontani da quello ove io mi trovo.
La testimonianza altrui mi è
dunque necessaria per l’ acquisto di tali
conoscenze. Il linguaggio de’suoni è
un linguaggio passeggierò e limitato
ad alcuni luoghi. Un uomo, che per
mezzo delle parole comunica agli altri i
suoi pensieri, non può farlo,
se non che nel tempo in cui egli parla,
e
ne’luoghi ne’quali può estendersi il suono delle sue parole.
Un gran problema presentai al genere umano:
il problema consiste a trovare il mezzo
di estendere a tutti i tempi , ed a tutti i
luoghi , il linguaggo limitato della parola.
Voi già comprendete l'importanza
del problema enunciato, e
che la soluzione di esso dee formare la seconda epoca,
del progresso delle umane conoscenze ponendo la prima
nella nascita del linguaggio parlato. I fatti
ovvi e ripetuti incessantemente sogliono destar
poco l’attenzione del volgo degli uomini, e perciò non gli
recano sorpresa. Vi ho fatto sopra osservare
quale studio fanno i fanciulli per
apprendere, sin da’ loro primi anni, ill inguaggio della
parola; intanto si crede forse , che essi non meditino
affatto; appunto perchè comunemente iiiuno cerca di conoscere come i
fanciulli apprendano tal linguaggio.
E un errore il credere,
che le cose sieno state in tutti itempi, come
sono in un certo tempo; e qui è il
luogo di fare uso di questa importante
osservazione. La
nostra educazione letteraria incomincia, dal
fare apprendere a’ fanciulli le lettere dell’alfabeto; ma v’ingannereste
credendo,che la scrittura,vale a dire,l’arte di dipingere
la parola e di parlare agli occhi, sia stata conosciuta nella prima
fanciullezza del genere umano : noscorsi de’ secoli prima che siensi trovate le
lettere dell'alfabeto: la scrittura non è
stata conosciuta che molto tardi. Siccome questa ci somministra un motivo molto fecondo di conoscenze ,cosi è necessario,dopo di aver cercato l’origine del linguaggio parlato, di cercar quella del linguaggio scritto.Qual mezzo si può
presentare agli uomini,per perpotuafc la memoria de’ fatti accaduti
?In primo luogo si può osservare un tal mezznello
stesso linguaggio parlato. La propagazione
del genere umano si fa in modo,
che gl’indi' vidui di una età vivono
insieme per qualche tempo coi loro antenati , e
coi loro discendenti. Un uomo può dunque narrare
alla sua fìgliuolanza tanto quello che
egli stesso ha veduto,
quanto quello che c^Ii ha udito da suo padre, da suo avo, ed
a tutti coloro, che sono stati testimoni oculari de’fatti accaduti prima della
sua nascita, e
del tempo in cui egli avesse potuto osservarli, questo uomo essendo il primo testimone di udito, costituisce il secondo anello della testimonianza; gli
altri che ascoltano il fatto da lui narrato ne costituiscono il terzo, il quarto
ec. Così si forma una serie non interrotta
di testimoni oculari, e
costituisce ciò che chiamasi tradizione orale.
La maniera più generalmente adoprata ne’primi tempi,
per osservare la tradizione orale, era quella
di comporre una specie di ode o di
cantico.Cotesta sorte di poesia racchiudeva le principali circostanze degli
avvenimenti , che volevano alla posterità
tramandarsi. Vedasi questo uso stabilito ne’secoli più remoti appo tutte
le nazioni, tanto dell’antico,
che del nuovo continente.
Dopo la sommersione dell’esercito di Faraone nel mare rosso,
Moisè, e
gli Istraditi composero un cantico di lode, e
di ringraziamento al Signore, nel quale cantico era espresso
questo memorabile avvenimento, come si legge
nel capo XV. dell’esodo. Al mezzo della tradizione orale,per conservare la memoria
degli avvenimenti passati,si è aggiunto quello di alcuni grossolani monumenti. L’uso dei primi secoli era di piantare un bosco,
d’innalzare un altare, o
un monte di pietre,di stabilue delle feste,e
di comporre de’ cantici in occasione di avvenimenti
riguardevoli. Quasi sempre davasi a’luoghi ove erano accaduti de’fatti memorabili,
un nome relativo ai fatti ed alle circostanze.
L’istoria di tutte le nazioni somministra molte prove,
ed esempi di queste antiche costumanze. Si vedono i
patriarchi innalzare un altare nei luoghi,
ove era loro apparso il Signore,
piantare de’boschi,
fare dei monti di pietra in memoria de’principali ancnimenti della loro vita c
dare a’ luoghi, ove erano accaduti de’nomi che ne richiamassero
la memoria. Se si consultano gli scrittori profani,questi attestano lo stesso. Ne’contorni di Cadice vedevansi in altri tempi delle pietre ammassate, le quali si dicevano essere i
monumenti della spedizione di Ercole
nella Spagna.Tutte queste differenti pratiche
hanno servito a
rinfrescare la memoria de’fatti memorabili, e a
perpetuare le scoperte importanti. La tradizione suppliva allora alla mancanza della scrittura;
I padri
spiegavano a’loro figliuoli l’origine di questi
monumenti,e gl’istruivano de’ fatti, i quali ne erano stati la cagione. Io chiamo tradizione tanto la tradizione orale,
quanto l’unione della tradizione orale coi monumenti. Fra lo spezie dei
monumenti composti dagli uomini, ad oggetto
di perpetuare la memoria de’fatti passati,
untt. delle principali,
che siasi presentata al loro spirito, è
stata la rappresentazione degli oggetti corporali.
I primi uomini pensarono naturalmente,
d’impiegar questo mezzo, per rendere i
loro pensieri sensibili alla vista, e
cominciarono dal presentare
agli occhi il ritratto degli oggetti,dei quali volevano parlare. Per fare conoscere,per cagione di
esempio, che un uomo aveva ucciso un altro,
eglino disegnavano una figura umana stesa per terra, ed.
una altra in faccia di quella dritta con un’arma alla mano. Per fare intendere, che alcuno era abbordato per mare in un paese, rappresentavano un uomo assiso sopra una barca,
e
così del resto. Da quello,che degli antichi monumenti è
rimasto, puà assicurarsi, che in prima origine
l’arte dello scrivere consisteva ili una rappresentazione informe e
grossolana degli oggetti
corporali. L’uomo di sua natura imita facilmente, ed in ogni nazione vedesi la gente portata a
ricopiare gli oggetti che le si presentano.Le nazioni più selvagge, o
quello le quali hanno minor relazione e
commercio con I
popoli colti, possiedono con tutto ciò una certa idea dell’arte
del disegnare, vale a dire di rappresentare,
beiichò rozzamente, gli oggetti della natura. L’onir brache produce ogni corpo sopra una superficie che gli sia opposta, quando il corpo si oppone al passaggio della Ince, ha somministrate le prime idee del disegno. Tirando su
i limiti dell’ ombra alcune linee, allora che l'ombra
sparisce, la figura descritta con queste linee sarà simile alla
figura del corpo che getta l’ombra. Dopo
le prime esperienze i primi popoli avranno tentato
di rappresentare, e di copiare gli oggetti senza
l’ajuto della loro ombra. Avranno a poco a
poco avvezzata la mano a
lasciarsi guidare dall’occhi o, ed a
seguire le proporzioni suggeritele dalla vista. Il disegno nella sua origine
consisteva solamente nella circoscrizione del contorno esteriorede
gli oggetti. Si tentò dopo di esprimere le parti interiori,che
l’ombra non disegnava , come per cagione di esempio una testa,gli occhi,
il naso ec. Il
carbone, la creta ec. avranno potuto somministrare a’ primi
uomini la maniera di disegnare sopra il legno, sopra la pietra
ec. come ancora si saranno eglino esercitati in ciò su la sabbia, su la terra molle ec. Avranno in seguito con l’
ajuto dei sassi, e di altri strumenti taglienti procurato d’imprimere desegni
sopra le materie solide. La forma che prendono i
corpi molli insinuati ne’ corpi duri, e
l’impronta che lasciano i corpi duri applicati a’corpi molli,
avranno su^rito a’ primi uomini l’arte del modellare.
Questa avrà a poco a
poco prodotta quella dell’intagliare nel legno,
nella pietra, e
nel marmo. In questa maniera il disegno, la scoltura, l’intaglio avranno avuto la loro origine; queste
arti, a mio credere, hanno preceduto la pittura. Hanno queste rappresentazioni degli oggetti corporali servito per molto tempo
invece della scrittura propriamente detta. Io
chiamo la rappresentazione degli oggetti
corporali, della quale ho parlato, scrittura figurativa.
Questa maniera di scrivere richiedeva molto tempo; si pensò perciò di renderla più semplice,ed invece di disegnare per intero a
cagion d’esempio, un uomo, un albero, un cavallo, si disegnavano le parti principali che li facevano conoscere; come per esempio la testa, la mano ec. Ma questa scrittura fìgurativa non poteva essere suffìcieute per esprimere tutti I
pensieri degli uomini. Vi sono molte cose,
che non si possono dipingere,
come sono lo spirito, le sue facoltà,
le sue modificazioni. È
impossibile di parlare delle cose materiali,
senza unirvi delle idee die non sono capaci d’immagini
; come per esempio,
descrivere l’immagine dell’affermazione, e
della negazione? Fa d’ uopo dunque inventare I
segni di queste idee intellettuali e
1’analogia guidò gli uomini a trovarli. Si concepì una certa similitudine fra alcune qualità,
che si osservano negli uomini, e
quelle che si osservano negli animali, e
per esprimere, che un uomo è
in queste qualità
simile ad un certo animale,
si disse più brevemente, che il tale uomo è
un tale animale; cosi per dire di un uomo, che li
è prudente, che li è astuto, che è fiero e crudele, si dice, che è
un serpente, una volpe, una tigre; disegnando dunque l’immagine di questi tali
animali si disegnano mediatamente le immagini delle qualità
spirituali, di cui si tratta. Una tale rappresentazione costituisce ciò che
chiamasi geroglifico. I Cinesi per cagion di esempio,
per denotare che FoAt, primo fondatore del loro impero, era dotato di prudenza, e di sagace ingegno, lo disegnano col capo umano unito ad un corpo di serpente.
Il successore di FoA» di nome Xino,
ad oggetto di denotare, che egli si applicò all’agricoltura,
ed incominciò a porre i
bovi sotto il giogo,lo disegnano col capo di bove unito al corpo umano. Gli antichi denotarono la giustizia, dipingendo
uvergine cogli occhi bendati,
tenendo in una delle mani una bilancia, ed in un'altra una spada.
La vergine figura la giustizia;
la bilancia denota che la giustizia consiste a
dare a ciascuno il suo dritto,
la spada significa,
che la giustizia dee infligger la paia dovuta
a’delinguenti, gli occhi bendati finalmente denotano,
che la giustizia non dee
avere alcun riguardo alle persone,
ma deve agire conformemente alla legge,
senza esser mossa da motivi estrinseci.
Si vede qui che la similitudine concepita fra
alcuni modi de’corpi, e
le qualità dello spirito, dettò questo geroglifico. La giustizia è
una nozione astratta, e
le nozioni astratte sussistono sole nello spirito;
passa perciò una certa similitudine fra
l’astrazione e
la personificazione, una vergine non è
macchiata da alcuna impurità corporale, e ia
giustizia dee
esser monda da qualunque difetto. Quando per dare ad un altro una quantità
di merce, questa si pesa, ciò si fa per dargli
ciò che gli appartiene.
Le similitudini fra alcune modificazioni del corpo,
e quelle dell’animo si deducono da ciò,
che le prime sono i
segni naturali delle seconde. Denotando le prime si denotano mediatamente le
seconde ; e siccome le prime son capaci d’immagini corporali; così lo sono
mediatamente anche le seconde ;e questa rappresentazione mediate costituisce il
geroglifico. Da ciò si vede, che la scrittura geroglifica si è unita alle volte
alla scrittura figurativa, come si vede ne’due esempi di Fohi,e di Xino.
Alle volte è stata impiegata solq come nell’
esempio recato della giustizia. Si
vede inoltre, come questo modo di
scrivere fa le veci delle proposizioni
verbali. Cosi, per cagion di esempio, i
geroglifici rapportati valgono pel significato
quanto queste proposizioni verbali: F(M fu
dotalo di sagacità. Xino pronwtse ¥ agricoltura , e
pose « bovi sotto il giogo,
fa giustizia dà a ciascuno U tuo dritto,
infligge la pena dovuta a'delinguenti,
né si lascia muovere da molivi estrinseci.
Osservate, che ne’ geroglifici enunciati si trovano I
segni relativi al sogetto, al predicato,
ed al verbo delle proposizioni
rapportate. Così il capo di forma umana nel primo geroglifico donata il soggetto della
proposizione cioè Fohi, il
corpo serpentino denota il predicato, cioè la segacità, e
l’unione del capo umano al corpo serpentino denota l’unione del predicato al soggetto significato dal verbo fà. Nel secondo geroglifico,
il corpo di figura umana denota il
soggetto della proposizione cioè Xino ,
il capo bovino denota il
predicato cioè l’aver promosso l’agricoltura, e
l’aver posto i bovi sotto il giogo;
l’unione poi del capo bovino alla forma umana denota l’unione
del predicato al soggetto,
espressa dal verbo
promosse. Nel terzo geroglifico,
il soggetto della proposizione è
significato dalla vergine; la bilancia, la spada,
la benda denotano I predicati della proposizione, e
l’unione di queste cose al corpo della vergine denota
l’unione de’ predicati al soggetto. Da ciò segue, che un geroglifico può esprimere diverse proposizioni, osia una proposizione composta. Ciò si
vede chiaramente
nel geroglifico recato della giustizia. Wolfio riferisce che un certo Comenio,volendo formare il geroglifico
dell’anima, dispose de'punti in modo da
formare una figura simile a quella , che
presenta 1’ombra , prodotta dal corpo umano
su di un piano perpendicolare all'orizzonte,ed opposto
direttamente al corpo umano, ed al lume. I punti, secondo i geometri,
essendo privi di estensione, denotano la semplicità dell’anima. La figura del
corpo umano costruendosi, per mezzo de'soli punti, senza l'intervento di alcuna
linea, denota la sostanzialità dell’anima umana, la quale sussiste
indipendentemente dalcorpo. I punti, essendo disposti in modo, che necessariamente formano la figura del corpo umano, denotano l’unione dell'anima
col corpo,
la quale unione si forma dall’autore della natura,
indipendentemente dalla volontà dell’anima.
Finalmente questi punti, essendo dispersi in tutta la
figura del corpo umano, denotano la dottrina degli
scolastici, cioè che r anima è tutta in
tutto il corpo e tutta in ciascuna
parte. ir geroglifico comcniano equivale
perciò alle scienti proposizioni. l.° l’anima è
semplice: 2.° l’anima è una sostanza. L’
anima, indipendentemente dalla sua volontà, è unita al corpo.
4.” 1' anima esiste tutta in tutto il corpo, e tutta in ciascuna parte.Dopol’invenzione della scrittura geroglifica portata
al più alto grado di perfezione,
di cui era capace, restava ancora agli uomini di farp
l’ultimo sforzo per ritrovare i caratteri alfabetici,
che sono i segni del suono non già
d(^li oggetti. Vi sono stati in ogni
tempo degli spiriti sublimi,
i quali colle loro invenzioni hanno ampliato notabilmente la sfera
delle umane cognizioni, ed hanno spinto
velocemente il genere umano verso quel
grado di coltura, in cui (^gi
te vediamo. Un vocabolo è un suono o
composto, o semplice: per rendere
durevole questo segno basta dunque stabilire de’
segni permanenti de’ suoni semplici,
che compongono i vocaboli; e per tale oggetto
basta stabilire per segni de’suoni semplici alcune
Ggnre, e la scrittura alfabetica è trovata. Ma
(pianto tempo è egli trascorso, priachè una verità cotanto semplice si
presentasse allo spirito de’padri nostrii. Si voleva
render permanente il linguaggio passaggiero della parola; e
non si pensò di decomporre i suoni
articolari, e di stabilire de’ segni permanenti de’ suoni semplici che
compongono I vocaboli.
Lo spirito intraprese de’cammini lunghi e
tortuosi, per tramandare alla posterità la somma delle sue conoscenze.
La scrittura fu prima figurativa perfetta indi
figurativa imperfetta.
poiché si designarono prima gli oggetti interi,
indi le loro parti principali:in seguito divenne geroglifica,
indi sillabica,e finalmente
alfabetica, lo dico prima sillabica,
e poi alfabetica,
poiché penso coll’illustre Goguel autore dell’opera su 1’origine delle leggi, delle arti, e
delle scienze, che dopo la scrittura geroglifica
furono trovati i segni de’ suoni
delle sillabe de’vocaboli
,prima che si trovassero i
segni de’ suoni semplici che compongono i
suoni delle sillabe. In questa maniera di scrivere,
la quale chiamasi scrittura sillabica non s’impiega se non che un solo carattere per iscrivere
ciascuna sillaba, di cui vien composta una
parola. Non si
esprimono allora né vocaboli, né consonanti. Noi, per esempio,
per iscrivere la voce pane impieghiamo
quattro lettere; nella scrittura sillabica non
vi bisognano se non che due
caratteri. Ora supponiamo che la
pronuuciazione del vocabolo pane risvegli r
idea del suono “cane,” e
questo quella del suono sa- ne, e
che lo spirito mediti,e
paragoni fra di essi questi suoni:
egli li decompone in sillabe, e trova,
che la sillaba ne è la stessa in tutti e
tre questi suoni, il che gli viene
ancora insegnato dalla stessa scrittura sillabica,
poiché Io
stesso carattere indica il suono della sillaba ne in tutti e tre i
vocaboli enunciati.
Questa identità conosciuta mena lo spirito a
notare la diversità de’ suoni pa, ea, sa, che
sono le prime sillabe di questi vocaboli ; ma
in questa diversità lo spirito trova
ancora una identità nella desinenza:
tutte e tre queste sillabe cadono nel suono “a”:ciò
conduce lo spirito a separare nelle sillabe pa,
ca, sa, il suono “a” dagli altri
suoni che vi si uniscono; e
siccome egli ha trovato I caratteri
de’suoni pa, ea, sa, così troverà il carattere del suono
a, e quelli de’ suoni p, c, s, e la
scrittura alfabetica è già trovata.
Ecco dunque i passi, che ha dovuto
fare lo spirito per ritrovare la
scrittura alfabetica,
l.° egli ha conosciuto che la maggior parte de' vocaboli erano de’suoni composti,
e che potevano perciò decomporsi in altri snoni.
2.° egli ha conosciuto,
che poteva stabilire segni di segni, e
segni permanenti di segni passaggieri; 3.°
egli ha stabilito de' caratteri, che
fossero segni permanenti del suono delle
diverse sillabe, e così nacque la scrittura sillabica. 4.° ^li ha
conosciuto che la maggior parte delle sillabe
erano de’ suoni composti ancora,e
siccome ha trovato de’ caratteri, che fossero segni delle sillabe, ha trovato
ugualmente de' caratteri, che fossero segni
de’ suoni semplici; c così è nata la
scrittura alfabetica. Alcuni eruditi, frai
quali il citato Goguet, pretendono che i
caratteri alfabetici sieno derivati da' segni geroglìGci, eche questi ultimi
abbiano a poco a poco introdotto il metodo brève
delle lettere alfabetiche. Questa opinione è falsa
sotto un certo riguardo, sebbene possa
esser vera sotto di un altro. Per presentacela
quistione sotto un aspetto filosofico, può
cercarsi: l.°: Lo spirito umano poteva, senza passare per la
scrittura figurativa, e geroglifica, passare immediatamente dal linguaggio
della parola al linguaggio permanente della
scrittura alfabetica? È certo, che poteva, poiché fra i
passi, che egli doveva fare,
partendo dalla considerazione della parola,
per giungere alla scrittura alfabetica, e che
abbiamo di sopra sviluppato,
non vi sono certamente quelli della scrittura figurativa e
geroglifica. Si può cercare S.'': La scrittura figurativa e
geroglifica doveva condurre naturalmente lo spirito
alla serittura alfabetica. La scrittura figurativa e
geroglifica non hanno relazione alcuna con le lettere dell’alfabeto,
e per
tal ragione non hanno potuto condurre lo spirito a
ritrovare la scrittura alfabetica. Ma hanno sotto
un altro riguardo potuto influire a questa
invenzione; queste due scritture, come or
ora vedremo , sono imperfette assai, e complicate;lo spirito
accorgendosi della loro imperfezione e difficoltà, ha potato da ciò rivolgere
la meditazione a rendere più semplice, c
facile il sistema de’segni permanenti. Si può cercare 3.° La
figura de’segni geroglifici Jta potuto server allo spirito, per concepir la figura de' primi caratteri alfabetici.
Le ragioni addotte da Goguet provano, che lo ha potuto.
Paragonando,egli dice, con attenzione quello, che
a noi rimane dei caratteri egiziani, con
le
figure geroglifiche intagliate sopra gli obelischi,
e gli altri monumenti, si ricava
che le lettere egiziane tirano da’geroglifici
la loro origine. Nell’alfabeto degli etiopi, e
nelle lettere majuscole degli armeni si trovano
I vestigi assai chiari della scrittura antica
geroglifica. A
queste ragioni se ne può aggiungere un’altra. Col progresso
del tempo il rapporto di similitudine tra il geroglifico e
la idea da esso significata,non si è piu
ravvisato. Ciò è accaduto perdue ragioni
l.° alcuni rapporti di similitudine erano
troppo lontani; si esprimeva,per esempio,l’impudenza
per una mosca,la scienza per una formica.
2.° allorché furono moltiplicati I
volumi, si cercò il modo di abbreviare,e
perciò invece del geroglifico primitivo si fece uso di un altro carattere, che noi possiamo chiamare la scritturacorrente de’geroglifici:
esso rassomigliava a’caratteri cinesi; dopo d’essere stato da principio formato dal solo contorno
della figura, divenne in stanilo una sorta
di nota, hi questo stato il
geroglifico poteva riguardarsi come il segno del vocabolo. Tosto che si ebbero da’segni permanenti de’vocaboli,poteva
pensarsi di dare de’ segni permanenti alle
sillabe , ed indi a’ suoni semplici di
cui è
composto il suono delle sillabe. L’essenza de’caratteri
alfabetici si è l’essere isolatamente considerati,
segni solamente di suoni, non già di idee:
i caratteri, per esempio ,a,e,i,o, u,b,c, ec.,
isolatamente considerati nuli’ altro significano
, se non che alcuni suoni. I
caratteri poi della scrittura fìgurativa, e geroglifica,
non denotano suoni ma idee, l’immagine di un
serpente denota l’idea del serpente, quella della prudenza ec. Le nostre cifre
arabe,1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 0, sono ugualmente segni d’idee, non di suoni.
Essi si leggono
diversamente presso le diverse nazioni, sebbene sieno ì segni delle stesse
idee. Questa differenza è della massima importanza. Colla divcisa combinazione di un piccol numero di caratteri, si possono scrivere tutti i
vocaboli di una lingua parlata. Ma quando i segni della scrittura sono segni d’idee non già di suoni,
il numero di questi segni dee corrispondere al numero de’vocaboli;
il che rende il numero de’caratteri molto
grande, e perciò esige uno studio lungo, e
difficile, per apprendere a leggere,e scrivere, come è
provato per l’esempio de’Cinesi. È
questo un grande ostacolo al progresso della conoscenza:
La gente di studio è obbligata a
sottrarre il tempo necessario,
per apprendere le scienze, ed impiegarlo a
saper leggere e scrivere. L’arte di leggere e
scrivere essendo di molto poche persone,
il resto della nazione dee restare nella ignoranza. Dello stesso inconveniente partecipa anche in parte la scrittura sillabica,
poiché il numero de’caratteri,
per significare ciascuna sillaba è
di gran lunga maggiore di quello, che è
necessario per denotare I suoni semplici,
di cui il suono di ciascuna sillaba è
composto. Così, per cagion di esempio con questi tre caratteri alfabetici, a, b
,c, si possono scrivere le seguenti sìllabe, ab, ba,
ac, ca, bac, cab. In questo
esempio il numero dei caratteri sillabaci è
doppio del numero de’ caratteri alfabetici. Se supponete quattro caratteri ahabetici,
a, b, c, e, il numero ddle combinazioni di questi caratteri, presi due a
due, è maggiore del doppio, cosi avremo, ab, ba, ac,
ca, ae, eb, be, ec. Uno de’ vantaggi dunque della scrittura alfabetica su le altre
scritture si è il piccol numero de’segni,
di cui ha bisogno la prima scrittura. È
vero,
che le nostre cifre arabe sono per tale oggetto perfettissime,
mentre con dieci caratteri possono scriversi tutti i
numeri possibili,
ma un tal vantaggio lo debbono alla formazione delle idee da queste cifre designate;
poiché queste idee si formano tutte colla ripetizione della stessa idea che è
quella dell’unità. Un altro inconveniente della scrittura geroglifica si è
l’incertezza del significato. Uno stesso geroglifico può denotare cose
molto diverse fra di esse.
Cosi la immagine del serpente dinota questo animale, la prudenza,
e ’universo: l’immagine
del lepre dinota questo animale, il candore, e
la timidità. L’invenzione del linguaggio della parola,
el’invenzione della scrittura alfabetica,
che rende permanente il primo linguaggio di sua natura
passeggierò, fanno che l’uomo possa gettare il suo sguardo
in tutti i luoghi, ed in tutti I tempi.
L’esperienza c’ins^a,
che gli uomini possono, per mezzo della scrittura trasmetterci dei fatti che son veri e
che la concorde testimonianza degli
scrittori circa alcuni fatti non si è
giammai trovata fallace. Tutte le gazzette dell’Europa all’ epoca,
in cui Napoleone Bonaparte
scese al trono della Francia annunciarono questo avvenimento. Tutte le gazzette ugualmente hanno annunciato la morte del sommo
Pontefice Pio VII. L’esperienza dei propri occhi
avrebbo potuto assicurare colui, che avesse
dubitato, della veritàdi tali fatti. I
fatti consegnati negli scritti possono colla conservazione degli scritti,
che li contengono,
trasmettersi alle future generazioni. È
questa eziandio una verità di esperienza.
Vi sono dunque de’fatti accaduti in tempi lontani,
de’ quali fatti noi possiamo conoscere
la verità.
Il linguaggio passaggiero della parola; quello
permanente della scrittura alfabetica, e quello dei monumenti,
possono dunque circa alcuni fatti, essere motivi legittimi dei nostri giudizi.
Tutti questi motivi concorrono a stabilire la certezza morale. Credo utile
di addurvi un altro esempio, in conferma di ciò che vi ho detto.
Un terribile tremuoto,poi seguito da altri, cagionò dei danni notabili alle
Calabrie, ed ancora alla città di Messina. Gliabitanti dei
paesi danneggiati furon obbligati di uscire
fuori dalle loro abitazioni, e dì costruirsi
delle baracche per abitarvi; alcuni le
hanno costruite in lontananza dei paesi
diruti quali rimasero perciò deserti. Cosi
accadde, per esempio, a Briatico, che fu costruito di nuovo vicino
al mare, e Briatico antico presenta allo spettatore I segni delle sue
mine: altri hanno costruite le nuove abitazioni in un suolo contiguo all'antico
abitato. Cosi accadde a
Tropea, le cui nuore abitazioni furono costruite lungo ed all'intorno della strada detta
dell’Annunciata. Molti , che sono stati testimoni
oculari dell’avvenimento, vivono ancora molti
altri appartengono alle seguenti generazioni: i primi
narrano ai secondi l’orìgine delle mine che
colpiscono i loro occhi , non meno che
l’orìgine delle nuove abitazioni, ciascuno
testimone oculare è istruito dalla esperienza,
che tanto egli, che gli altri testimoni oculari
narrano il vero, e che coloro i qualinarrano il fatto
ad altri, per averlo eglino inteso narrare da’testimoni oculari, narrano il
vero. L'esperienza dunque c’insegna, die vi sono dei testimoni di udito, la di
cui testimonianza è verace,e che la tradizione orale unita ai monumenti può trasmettere alle generazioni future i
&tti accaduti ne’tempi da queste generazioni
lontani.
La memoria di questa tremuoto si trova depositata in una moltitudine di scritti,
i quali ancora rimangono, ed icui autori più non sono. La propria
esperienza istruisce dunque cisscun testimone oculare di questa importante
verità: che per mezzo de’monumenti, della tradizione orale e
della scrittura alfabetica, si può conservare
la conoscenza di alcuni fatti passati. Intorno
alle idee politiche del Galluppi ’, e più sulla condotta da lui tenuta
nell’alterna vicenda degli avvenimenti politici di cui è piena la storia di
Napoli nel periodo della sua virilità, non si può dire davvero che
abbondino i documenti, né che abbiano fatto tutta la luce desiderabile
gli studi consacrati a questo lato della biografia galluppiana dal
Tulelli, dal Guardione e ultimamente dal prof. Nicola Arnone. Il quale ha
scritto in proposito una memoria molto accurata, ma per giun¬ gere
a una definizione del Galluppi considerato sottol’aspetto politico, la quale è
in aperto contrasto coi docu¬ menti più sicuri da noi posseduti. Anche il
Galluppi, secondo l’Arnone, sarebbe stato un giacobino! Della
sua dottrina liberale e del suo atteggiamento risoluto in favore delle
pubbliche libertà e contro 1 in¬ tervento austriaco non è possibile
che dubiti chi conosca i frammenti che diè il Tulelli de’ suoi
Pensieri filosofici sulla libertà compatibile con qualunque 1 P.
E. Tulelli, Intorno alla dotte. ed alla vita politica del bar. P. G.,
notizie ricavale da alcuni suoi scritti inediti e rari, negli Atti della li.
Accad. delle scienze mar. e poi. di Napoli. Guardione, Due opuscoli di P.
Galluppi, prec. dallo studio critico Dei concetti civili e politici
apportati da P. G. nella rivoluzione del 1820, Messina, D'Amico, 1906; a
proposito di questo opuscolo, G. Gentile nella Critica, V (1907), pp. 229
sgg.; N. Arnone, P. G. Giacobino, negli Studi dedicati a Francesco
Torraca nel XXXVI anniv. della sua laurea, Napoli, Perrella, 1912, pp.
129-52. forma di governo, e
i due opuscoli Della libertà di coscienza e Lo sguardo d' Europa sul
Regno di Napoli, ristampati dal Guardione. Ma da quel liberalismo al
giacobinismo c’è un bel tratto. Né i documenti dell’Amone
riscoperti 1 nell'Archivio provinciale di Catanzaro bastano a superarlo. Da
questi documenti apprendiamo che nell’ottobre 1799 il Galluppi
chiedeva un passaporto per recarsi a Palermo « per atten¬ dere ad alcuni
di lui affari litigiosi ». Il Re faceva rispon¬ dere dal Segretario di
grazia e giustizia al Preside di Catanzaro, che al Galluppi si sarebbe
accordato il passa¬ porto, « quando non vi sia niente contro il medesimo
». Il Preside si rivolse per informazioni al Vescovo e al
Governatore di Tropea. Il Vescovo, il 16 ottobre, rispose: « Quantunque
apparentemente il suddetto sembri un giovane morigeratissimo, e studioso
anche di materie teologiche, pure non gode buona fama, perché si
pre¬ tende aversi ingoiato con lo studio vari errori della vana
filosofia, per cui fu, anni sono, denunziato sino a Roma, e ne’ pochi
giorni della falsa assunta Repubblica fu im¬ piegato a far traduzioni,
per cui stiede lungo tempo trattenuto nel Pizzo: timoroso poi all’eccesso, si
andiede in Cosenza dopo liberato dal Pizzo; ed ora vorrebbe andarsi
in Palermo, dove ha degli interessi; ma per questi me¬ glio sarebbe
andarvi il padre don Vincenzo [il padre del Galluppi], mentre non debbo
io, né V. S. 111 . mettersi deve in compromesso nelle circostanze nelle
quali siamo ». Tropea tra il gennaio e il febbraio aveva avuto
an- ch’essa il suo albero della libertà e un governo repub¬
blicano. Ma per pochi giorni. AH’avvicinarsi delle schiere 1 Gli è
sfuggita la comunicazione che ne aveva fatta Gaetano Capasso, nel 1896,
alla Riv. Stor. del Risorg. ital., I, pp. 794-95. [Vedi ora, per un'altra
denunzia di pretesi discorsi giacobini del Galluppi, F. Scandone, Il
Giacobinismo in Sicilia (1792-1802), nell'A refi. Stor, sic., G. GIACOBINO ? 113 del Ruffo la
plebaglia aveva abbattuto albero e governo, e uh comitato di cittadini
era andato incontro, il 24 feb¬ braio 1799, al Ruffo a Mileto, a
prestargli ubbidienza. Per la quale il Ruffo volle alcuni ostaggi, che
fece tra¬ sportare a Pizzo. Tra essi venne incluso il Galluppi, che
per altro dopo alcuni giorni fu rilasciato senza nessuna condanna. Aveva,
secondo il vescovo sanfedista ', tradotto qualche documento francese,
forse qualche proclama o decreto dello Championnet; ma la stessa voce
raccolta dal vescovo della gran timidezza del filosofo, ci spiega
molto facilmente perché il Galluppi, invitato dai giacobini della piccola
città, dove forse era solo a conoscere il fran¬ cese (e non lo conosceva
né pur lui molto) * e quando costoro tenevano il campo, non potesse
esimersene, pur non avendo un grande entusiasmo per la causa repub¬
blicana. Certo, non si compromise, se nella ristaurazione non patì
nessuna noia; e se il tenente colonnello don Giovanni de Mendoza,
governatore di Tropea, pur dopo diligenti investigazioni, non riusciva a
trovare nulla a carico di lui. « Mi sono informato », scriveva costui
il 19 novembre al Preside di Catanzaro, « dalle persone più probe e
timorate di Dio di questa ... città; però ho chiamato il decano don
Saverio Polito, il teologo don Michele Grillo, il penitenziere don Vinc.
M. Mazzitelli, il P. M. Carmelitano fra Carmelo Maria Collia ed il
par¬ roco di San Demetrio di questa .... città, e dalle di costoro
estragiudiziali deposizioni, che presso di me si conser¬ vano, rilevai
che il don Pasquale Galluppi è un giovane onesto, probo, e di morigerati
costumi; che frequenta spesso li Santi Sacramenti e la chiesa, ove si fa
vedere attento, e pieno di divozione; e che ad altro non bada, se
non allo studio, essendo anche un giovane virtuoso, 1 Su lui vedi
la stessa memoria dell'ARNONE, p. 134. 5 Vedi la mia pref. al voi.
del Toraldo, Saggio sulla filos. del Gal¬ luppi, Napoli, 1902, p. ix, n.
1. ”4 e da
bene, e che mai diede veruno scandalo; ma, per quanto cercai sì dalli
stessi testimoni, che da altri sapere l’og¬ getto per cui si volesse
portare in detta città di Palermo, non fu possibile sapersi la cagione,
perché da ognuno s’ignorava. Soltanto ho risaputo, che il di lui padre
don Vincenzo è siciliano, ed ivi tiene degli effetti, per cui suole
spesso andarvi anche col suddetto don Pasquale suo figlio : ma non posso
fame a meno farle presente esser stato, per quanto pubblicamente si dice,
il detto don Gal- luppi uno degli ostaggi di questa città chiamati dal
sig. Vicario generale nel Pizzo, ove [si] trattenne molti giorni e
poi fu liberato senza veruna pena ». Il Preside di Catanzaro si
attenne al Consiglio del prudente vescovo, e propose al Segretario di
Stato che il passaporto non fosse accordato. E non fu accordato. Ma
lo chiese poi, invece del figlio, il padre, Vincenzo, che l’ebbe. Segno
che a Palermo avevano realmente bisogno di recarsi, l’uno o l’altro, per
loro interessi di famiglia. Pei quali forse egualmente il Galluppi,
reduce da Pizzo, invece di fermarsi in Tropea, recossi a Cosenza,
di dov’era la moglie, Barbara d’Aquino. Non credo pertanto che
questi documenti catanzaresi bastino a farci annoverare il filosofo
calabrese nella nu¬ merosa schiera dei giacobini contemporanei. Certo
nei Pensieri filosofici sulla libertà, propugnando il principio
della libertà di coscienza e di tolleranza religiosa, egli ha parole
forti contro coloro che dimenticano lo spirito del Vangelo e «non hanno
ritegno di tramutare la reli¬ gione nell’ istrumento del disordine, della
persecuzione e della strage»; e non dubita, ricordando i recenti
fatti del Regno, di scrivere che « se l’universalità del clero e
del popolo di questo bel regno avesse conosciuto il vero spirito del
cristianesimo e la purità delle massime del Vangelo, non si sarebbe visto
un cardinale comandare delle masse di ribaldi e di fanatici, ed innalzare
il venerando vessillo della Croce per segno dell’assassinio e d’ogni
sorta di iniquità; né si vedrebbero oggi con orrore tanti preti e frati
alla testa delle masnade degli uomini i più infami e più scellerati » Ma
quando il Galluppi scriveva di queste parole — che pur dimostrano
bensì il liberale, ma non il giacobino — a Napoli erano tornati i
francesi con Giuseppe Bonaparte, il cui governo, nel 1806 J , gli aveva
conferito 1’ ufficio di controllore delle contribuzioni; e a Giuseppe era
anche successo il Murat. Tutt’altro che giacobino era apparso a me
qualche anno fa da un suo brutto sonetto pubblicato in un gior¬
nale di Tropea 3 dal prof. Carlo Toraldo 4. Il sonetto in¬ fatti
diceva: Della Patria il dolore, il lutto, il pianto. La
rea sorte fatai veder non voglio. Di Marte, di Bellona il fier
orgoglio. L’augusto trono di Minerva infranto, — Spesso
sedendo al bel Sebeto accanto Col cor trafitto dal più fier
cordoglio, Pria che de' Franchi vacillasse il soglio.
Dico nel mio pensiere, e piango intanto. Un ferro io prendo.
— Occhi miei, non piangete, — Grido nel mio furore; — io corro or
ora Sollecito a varcar l'onda di Lete. — Ma già l’Angiol
divin, che accanto giace. Di man mi toglie il ferro, e
grid’allora: — Verrà Fernando : tornerà la pace ! Il
primo editore faceva precedere al sonetto le seguenti notizie : « Dal
manoscritto rilevasi che il sonetto mede- 1 Tulelli, op. cit., pp.
109, in. * Arnone, p. 141. 3 L’ Eco di Tropea, a. II,
n. 35, 30 agosto 1902. 4 E da me ristampato con qualche correzione
di punteggiatura, per renderlo un po' meno oscuro, nell’opera Dal
Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903, pp. 218-19, n. 1 (2 a ed. in 2 voli.,
col titolo di Storia d. filos. ital. dal Genovesi al Galluppi, Milano,
1930; ora in Opere complete di G. Gentile, a cura della Fond. G. Gentile,
XVIII-XIX, Firenze, Sansoni, voi. II, p. 31). simo fu letto
alla nostra Accademia degli Affatigati (assorta allora ad altissima
fama), alla quale il Galluppi apparteneva col distintivo il Furioso, e
apparisce dedi¬ cato a Ferdinando, come chiusura di un discorso,
letto all’Accademia anzidetta, sul medesimo argomento. Dalla parte
opposta ove è scritto il sonetto, si legge: ‘ Ferdinando Augusto,
principe magnanimo, nell’ impetuoso turbine che minaccia l'indipendenza
nazionale, corri a salvarci. I destini della nostra nazione son legati
alla tua esistenza. — Ferdi¬ nando viene. Napoli è salvo. Il mio discorso
accademico è ter¬ minato’. Firmato: Pasquale Galluppi fra gli Affatigati
il Furioso. Siegue dietro il sonetto dello stesso Accademico.
Riproducendo il curioso documento, mi parve che di¬ scorso e
sonetto si potessero riferire alla reazione del 1799; e, dietro a me,
anche il De Cesare ritenne che il sonetto alludesse alla restaurazione di
quell’anno *. Ma non tutto a quella prima impressione mi restava chiaro
degli accenni contenuti nel sonetto; e le difficoltà ora oppo¬
stemi dall’Arnone mi persuadono che sonetto e discorso vanno spostati di
sedici anni. « Prescindendo », dice l’Arnone che non ha potuto vedere il
giornale di Tropea, al quale io mi riferivo, e le cui notizie ora qui
integral¬ mente riportate mi pare che tolgano ogni dubbio intorno
alla paternità del discorso e del sonetto, « prescindendo dalla loro
autenticità maggiore o minore (?), il sonetto e il brano del discorso
accademico non possono mai rife¬ rirsi alla reazione del 1799. Infatti,
nel sonetto stesso si J R. De Cesare, Taranto nel 1799 e mons.
Capecelatro, Martina Franca, 1910 testr. dalla Riv. Apatia ), p. n: «Il
Capecelatro non fu solo a non aver fede nella durata della Repubblica. Se
egli non andò a Napoli, non vi andò neppure Melchiorre Delfico, chiamato
a far parte della Giunta del Governo, mentre Pasquale Galluppi, che pure
aveva da giovane principii liberali, recitava, all'Accademia degli
Affaticati di Tropea, un brutto sonetto, che si chiudeva: Verrà Fernando
: tor¬ nerà la pace ». trova la designazione del tempo a cui si
riferisce ; giacché, col verso Pria che de’ Franchi vacillasse il soglio,
l’autore, stanco del fier orgoglio di Marte e di Bellona, deve
asso¬ lutamente alludere alla prossima caduta del trono di
Gioacchino Murat » 1 . Io guardavo bensì al settimo verso del sonetto, su
cui giustamente ha fermato la sua atten¬ zione l’Amone; ma guardavo anche
al quinto: Spesso sedendo al bel Sebeto accanto, che contiene anch’esso
una determinazione cronologica non trascurabile. E poiché era noto
che il Galluppi fu a studiare a Napoli dal 1788 al 1794, pensai che per
soglio dei Franchi si dovesse in¬ tendere per l«appunto il trono di
Francia di Luigi XVI, che cadde quando il Galluppi dimorava al bel
Sebeto accanto. E vedevo nel sonetto un’enfatica e grottesca
rievocazione delle ansie, da cui l’animo dell'autore sarebbe stato
assalito fin dall’ 89 quasi presago dei lutti che la Rivoluzione francese
preparava alla sua patria. Non tutto, di certo, restava chiaro, come non
tutto precisa- mente diventa chiaro se s’intende, come propone ora
l’Arnone, che col soglio dei Franchi l’autore designi il trono del Murat.
Ma vien colmato il grande intervallo che rimaneva, secondo la mia
ipotesi, tra il 1789 e il luglio del ’99, quando avvenne il ritorno di
Ferdinando IV a Napoli, che il Furioso avrebbe celebrato. Ma,
se accetto che il v. Pria che de’ Franchi vacillasse il soglio alluda
alla prossima caduta del trono di re Gioac¬ chino, — e ne argomento in
conseguenza che tra la fine di marzo 1815, quando il Murat dichiarò la
guerra al¬ l’Austria, e il 3 maggio (battaglia di Tolentino) il
Galluppi dovette essere a Napoli — non capisco perché l'Arnone
soggiunga : « A me parrebbe che il discorso accademico potesse riferirsi
al tempo del viaggio di Ferdinando I Borbone pel congresso di Lubiana,
quando appunto 1 Op. cit., p. 139. il8
l’indipendenza del Regno di
Napoli era minacciata dal- l’intervento austriaco ». Quando il Galluppi
recitava il suo discorso accademico è chiaro che Ferdinando non era
più lontano, ma già tornato a Napoli (« Ferdinando viene, Napoli è salvo
») ; e l’accademia celebra la ristau- razione. È vero che il Galluppi nel
'21 trepidò per l’in¬ dipendenza nazionale, a causa dell’ intervento
austriaco a Napoli; ma nel ’2i gli austriaci eran chiamati da
Ferdi¬ nando, che non avrebbe potuto perciò essere cantato come il
salvatore dell’indipendenza; laddove nel '15 il Murat alla legittimità, a
cui s’appellavano gli ambasciatori del Congresso di Vienna e tutti i
principi delle vecchie dina¬ stie, opponeva in Napoli il principio dell’
indipendenza >; e al Galluppi, già murattiano, i disastri
dell’esercito napoletano e l’entrata degli austriaci nel Regno
dovettero realmente parere la più pericolosa minaccia alla indi-
pendenza di questo, finché non si ripresentò Ferdinando, a riavere, dopo
il trattato di Casalanza, dalle mani dell’ imperatore d’Austria le redini
del suo Stato due volte abbandonate. E le preoccupazioni che il
Galluppi, come quanti altri avevano servito il governo francese, dovette,
prima di quel trattato, nutrire gra¬ vissime e angosciose per la propria
sorte, o almeno per l’uificio che da nove anni teneva, possono anche
spie¬ garci la disperazione da cui nel sonetto dice d’essere stato
preso per l’imminente crollo di quel governo. E l’osanna al
Borbone, dopo il trattato di Casalanza, in cui l’imperatore d’Austria
garantiva la sorte di tutti 1 «Volse i suoi maggiori pensieri alle
cose interne; reputando che più dei maneggi e dei discorsi valere gli
dovesse il voto dei soggetti e la forza dell'esercito, in tempi nei quali
menavasi vanto dell’amore dei popoli e della pace. Raccolse in quattro
adunanze i migliori in¬ gegni napoletani, e lor disse che per gli ultimi
avvenimenti, acqui¬ stata da noi piena indipendenza politica, era suo
debito riordinare il regno senza o soggezione, o somiglianza,, o
gratitudine ad altro stato, così adombrando le tollerate catene per nove
anni»: P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, lib. VII, c. IV, §
68. i funzionari del
passato regime, era pel controllore delle contribuzioni dirette nella
Provincia di Calabria ulteriore l’espressione d'un sentimento sincero l 2
. Né giacobino, dunque, né antigiacobino. Ma liberale e
patriota, se non nel senso del 1799, in quello più antico della
tradizione paesana di Napoli e della posteriore storia italiana.
Del suo patriottismo e liberalismo son documento bastevole gli
opuscoli politici che il Galluppi scrisse nel 1820-1821 in cui ripigliava
le idee dei Pensieri filosofici, rimasti inediti, e scendeva in campo a
difesa della libertà e dell’ indipendenza minacciata dall’Austria. Ma la
lettura di questi opuscoli, o almeno dei due a noi pervenuti e
qualche anno fa ristampati dal Guardione, induce piuttosto a ricollegare
il Galluppi alla tradizione del Giannone, del Tanucci, del Vico e del
Filangieri, anzi che a ricondurlo sotto l’influsso esotico del
giacobinismo rivoluzionario. Nei Pensieri filosofici (di cui
si conoscono soltanto alcuni frammenti pubblicati dal Tulelli) egli aveva
già 1 II sonetto pare tuttavia debba riferirsi non al 1815, ma
all’anno seguente. Perché l'Accademia degli Affaticati in cui esso fu
letto, dopo il 1783, come ci è fatto sapere da un suo storico, «
riunivasi raramente; anzi dal 1801 il silenzio sostenne sino a quando nel
1816, nella Chiesa dei Liguorini, cantò del Santo fondatore dell’Ordine »
(forse il 2 agosto quando ricorre la festa del Liguori) : N. Scrugli,
Discorso storico intorno all’Accad. degli Affaticati, annesso alle
Notizie archeologiche e storiche di Portercole e Tropea, Napoli, Morano,
1891, p. 132. Ma le notizie raccolte dallo Scrugli non sono esattissime.
Infatti, secondo lui, l’Accademia degli Affaticati sarebbe stata vietata
nella reazione del '31, e non sarebbe più risorta fino al '48; laddove
nel gennaio 1831 vi fu certamente recitato il discorso del Galluppi che
qui appresso si pubblica. 2 Opuscoli filosofici della libertà
individuale: Della libertà di coscienza e delle conseguenze che ne
derivano riguardo al matrimonio, dell’Autore del Saggio filosofico sulla
critica della conoscenza, Messina, 1820, presso Antonino D’Amico Arena;
Lo sguardo d'Europa sul Regno di Napoli, di Pasquale Galluppi di Tropea,
in Messina, presso G. Papparlardo, 1820. Entrambi gli opuscoli sono stati
ristampati dal Guardione, op. cit., e della sua ristampa io mi son qui
servito. aderito a quelle dottrine liberali, che il Filangieri
aveva propugnate nella Scienza della legislazione. « Per fissare »,
aveva detto, « i dritti del pubblico potere, bisogna partire dal
considerare lo stato di natura come anteriore allo stato politico, se non
in ordine di tempo, almeno in ordine di ragione.... Tutti gli uomini sono
per natura in uno stato di libertà, in cui ciascuno può fare ciò
che gli piace, senza dipendere da un altro, posto ch’egli non offenda gli
altrui diritti. Ogni uomo non ha dunque altro dritto per rapporto ad un
altro che di non farsi molestare nell’esercizio dei propri dritti. Or
questo dritto che ciascuno ha per rapporto agli altri, nella civil
società è confidato al pubblico potere, il quale è custode e vin¬
dice dei dritti di ciascun cittadino contro gli attentati degli altri ».
Movendo da questo principio, a differenza del Rousseau, il Galluppi
separa nettamente il dominio giuridico-politico da quello della
religione. Riconosce che « la potestà politica dee curare che i cittadini
sieno vir¬ tuosi. Ella dee riguardare come un male la depravazione
del loro spirito; dee mettere in opera quei mezzi che promuovono la virtù
ed arrestare i progressi del vizio »; e però può parere che abbia bisogno
del soccorso della religione. Ma è d’uopo distinguere tra virtù e virtù.
« Le leggi, dice Portalis, non dirigono che alcune azioni deter¬
minate; la religione regola il cuore. Le leggi sono relative al
cittadino; la religione s’impadronisce di tutto l’uomo. Ma se le leggi
arrestano il braccio e la religione regola il cuore, dico io, dunque, che
la depravazione del cuore non dee punirsi che dalla sola religione, vai
quanto dire, dal solo Dio che n’è l’autore; ella è dunque estranea
alla sanzione della legge. Se le leggi non son relative che al cittadino,
e la religione s’impadronisce dell’uomo, le leggi devono dunque contentarsi
della sola virtù civile e lasciare alla religione le virtù dell’uomo....
Egli bisogna distinguere l’uomo giusto agli occhi dell’eterno, che
tutto vede, dall’uomo giusto civilmente. Chi è giusto innanzi a Dio,
lo è anche civilmente, perché la sua legge vuole che si obbedisca alle
potestà costituite; ma si può esser giusto civilmente, senza esserlo,
naturalmente, secondo la religione ». Le opinioni religiose
pertanto non cadono sotto la san¬ zione delle leggi, e l’irreligiosità
non può esser punita Ogni maniera di persecuzione del resto è contraria
allo spirito del Cristianesimo. Intorno al quale il Galluppi scrive
una delle poche pagine eloquenti, che siano uscite dalla sua penna. «
Questa religione divina », egli dice, « annuncia agli uomini una morale
che perfeziona la natura. Lo spirito del Vangelo non è che imo spirito
di fratellanza e di amore. Esso è contrario allo spirito di
persecuzione e di ferocia. Se non siete ricevuti ed ascol¬ tati, dice G.
C. ai suoi discepoli, scuotete la polvere delle vostre scarpe e partite.
I primi banditori del Vangelo non impiegarono altre armi per la sua
propagazione, che la forza della parola. La religione deve avere la sua
sede nello spirito, e lo spirito non rigetta l’errore e non ab¬
braccia la verità, se non a proporzione dei lumi che egli riceve, e
trattandosi di religione, a proporzione della grazia celeste che il Padre
de’ lumi gli dispensa. Le pri¬ gioni, le forche, le mannaie, i roghi non
cambiano certa¬ mente lo spirito dell’uomo, e l’incredulo non lascia
d'esser tale, ancorché vada ad esalare il suo spirito fra i tor¬
menti più crudeli.... L’uomo abusa di tutto. La ministra della pace e
della pubblica tranquillità divenne col pro¬ gresso del tempo in mano del
superstizioso e del fanatico, l’istrumento del disordine, della
persecuzione e della strage. Questo mutamento di condotta, non della
reli¬ gione, che in se stessa è santa ed immutabile, ma ne’ suoi
ministri, fu sorgente d’incredulità ». Nell’opuscolo del 1820 sulla
Libertà di coscienza la stessa questione è ripresa e approfondita sì dal
rispetto 9 - Gentile, Albori. I. speculativo e sì da quello
politico. Vi ritroviamo quella morale kantiana, che è professata negli
Elementi, nelle Lezioni di filosofia e nella Filosofia della volontà :
«La regola della moralità delle azioni è la coscienza uniforme alla
legge»: legge puramente formale anche pel Galluppi. Il quale infatti
soggiunge : « Si può agir male seguendo una coscienza erronea, ma si
agirà male ancora facendo il bene in contraddizione dei dettami di una
coscienza erronea ». E su questi principii, rannodandosi alle dot¬
trine liberali del Filangieri, fonda la sua dimostrazione del diritto del
matrimonio civile abolito nel Regno dal codice del 1819: il quale aveva
stabilito non potersi celebrare matrimonio legittimo « che in faccia alla
Chiesa, secondo le forme prescritte dal Concilio di Trento ». Già
nell'opuscolo precedente aveva provato che « la libertà del pensiero è il
primo diritto inalienabile dell’uomo»; e che tale libertà è illimitata.
Ora, se questa libertà è illimitata, se la moralità consiste nella
conformità della coscienza alla legge, o meglio, della volontà alla
legge della coscienza, ne viene per conseguenza che quelle azioni,
le quali debbono essere necessariamente in armonia col pensiero, non
possono giammai essere forzate; ma debbono rimanere nel campo libero del
privato cittadino. Potrà intervenire il diritto positivo nel culto
religioso esterno; ma non nel culto interno. E in quello esterno
non potrà di certo intervenire per obbligare il cittadino ad un culto
contrario alla propria credenza, bensì per permettere un dato culto e
impedire quindi che venga offeso e turbato da chi non vi si conformi ».
Ma deve 10 Stato permettere tutti i culti ? Tra il
Montesquieu contrario e il Marmontel favorevole alla libertà dei
culti, 11 Galluppi dichiara di non voler esaminare di
proposito 1’ « importante questione », poiché egli si occupa
piuttosto della libertà individuale, e però della sola libertà di
co¬ scienza, laddove la libertà del culto supporrebbe un gruppo
sociale che abbia abbracciato un culto diverso da quello di altri gruppi,
ed esce quindi dalla sfera del diritto indi¬ viduale. Tuttavia ritiene
conveniente che si possa « per ragioni politiche non permettere
l’esercizio pubblico di un culto diverso da quello stabilito ».
Quanto al matrimonio, dato il suo interesse pubblico, esso rientra
nella sfera di attività del potere politico: che « ha il diritto di far
leggi positive sul matrimonio, le quali, lasciando illeso il diritto
naturale, determinino ciò che la natura non determina, e che ha influenza
su la felicità nazionale»; ma deve limitarsi a «prescrivere le
condizioni per la validità del matrimonio come con¬ tratto civile, e
lasciare alla libertà del cittadino, se vuole al contratto unire la forma
religiosa, che T innalza a sacramento ». Altrimenti verrebbe ad esser
lesa la libertà di coscienza, ossia quell’ essenza della morale, che
il Galluppi chiama legge di natura o diritto naturale. Tale
principio a Napoli fu riconosciuto dal codice francese durante il
decennio; e certo quella legislazione, « tranne il mormorio di qualche
fanatico, che osava chia¬ marsi teologo, non produsse fra noi il menomo
disordine ». Ma, tornato Ferdinando, « i superstiziosi spaventarono
la sua coscienza ». Quindi il matrimonio rientrò nel puro dominio
ecclesiastico. E « si fece dippiù », dice il Galluppi: «il Concordato
diede alla Chiesa il potere giudiziario sul matrimonio; potere, che dee
esercitarsi in conformità del codice del Vaticano, e così la sovranità
temporale rimase spogliata de’ suoi sacri ed inalienabili diritti
sul matrimonio ». Il Galluppi, nelle cui parole è agevole sentire
l'eco della tradizione giannoniana, ora che Napoli sembra risorta a più
libera tuta per l’ottenuta costitu¬ zione, parla in nome della filosofia
(«la filosofia non dee oggi temere di alzar la voce contro di questi
abusi ») ; e chiede che il matrimonio torni ad essere per lo Stato
contratto civile; e protesta contro la censura preventiva.
stabilita nella Costituzione spagnuola, per i libri che trattino di
religione. Il secondo opuscolo, assai più importante per la
cono¬ scenza delle sue idee politiche, quantunque rechi anch’esso
sul frontespizio la data del 1820, non par che possa essere anteriore ai
primi del febbraio 1821. Infatti v’ è detto che « un’armata austriaca si
fa vedere in volto minac¬ cioso nella bella Italia » 1 2 ; con accenno
evidente, se non erro, all’ordine del giorno del barone di Frimont (4
feb¬ braio 1821), di cui si ebbe notizia a Napoli tra il 15 0 il 20
di quel mese In quei giorni un altro filosofo napoletano,
Pasquale Borrelli, componeva un inno di guerra, che, messo in
musica dal Rossini, fu cantato al San Carlo la sera del 21 febbraio. La
seconda strofa diceva: O straniero, che guerra ci porti,
Chi ti offese ? quell’ ira perché ? Va, rispetta la terra de'
forti.... Ma sprezzante 1 ’ iniquo c’ invade, Ha di
sangue nell’occhio il desir. Cittadini, tocchiamo le spade:
Qui si giuri svenarlo o morir ! Il Galluppi dal fondo delle
Calabrie rivolge all’ Europa (ma fin dove sarà giunto ?) il suo
opuscoletto, enfatico nella forma, ma savio ed acuto nella sostanza, per
scon¬ giurare anche lui l’invasione straniera e la soppressione
delle libere istituzioni. Rifa brevemente, con giudizi che ricordano
l’alta intelligenza storica di Vincenzo Cuoco, la storia di Napoli dal
1789 in poi, a conferma del principio, che oppone alle prepotenti pretese
del- 1 Rist. cit., p. 47. 2 Vedi De Nicola, Diario
napoletano dal 1798 al 1823, III, pp. 252 253 (in calce all'Arch. slor.
napol., 1905, fase. 3). l’Austria: che la storia se la fanno i popoli da
sé, e inter¬ romperla ad arbitrio è violenza, e lo stato violento
non è durevole. Tutto, egli dice, « cangia incessantemente
nel mondo ; ma tutto cangia gradatamente... Questo principio igno¬
rato o negletto ha spesso fatto abortire i migliori pro¬ getti di riforme
». I grandi avvenimenti, che pare mutino d’un tratto miracolosamente lo
stato di un popolo, in realtà sono l’effetto d’un « concorso di cause, al
quale l’unione di una picciola causa dà quella forza stupenda, onde
hanno origine gli avvenimenti che formano l’epoche delle nazioni ». Come
dai patiboli del '99 si potè giungere alla libertà del '20 ? Il Galluppi
studia brevemente questo problema. La rivoluzione del '99, per lui, fu la
conse¬ guenza degli errori commessi dal governo borbonico (il
Galluppi parla sempre di Ministero) dopo il 1794; quando, dopo aver
favorito in tutti i modi le tendenze liberali promosse e alimentate dalla
filosofìa, a un tratto, spaventato dalla Rivoluzione francese, che
intanto aveva accelerato il movimento degli animi verso la rigene¬
razione politica, esso volle violentemente arre¬ starsi, e tornare
indietro, e dichiarò guerra al liberalismo, e si propose di ripiombare la
nazione nella barbarie. La venuta dei francesi fu la piccola causa che
fece rovi¬ nare il trono, le cui fondamenta erano state da lunga
pezza lentamente scavate da’ suoi ministri. Così i Giaco¬ bini del 1799,
che s’appigliarono alla massima della perfetta imitazione dei francesi,
senza chiedersi se Napoli fosse preparata alla democrazia, e alla
democrazia fran¬ cese, come 1 ’ Issione della favola, invece di
Giunone, abbracciarono la nuvola. — Giudizio che non è certo quello
di un giacobino. Successe la reazione; e il governo, anzi che
mostrarsi ammaestrato dagli avvenimenti passati, tornò cieco, feroce,
dispotico; e accrebbe quindi sempre più il desiderio d’un cangiamento.
Aggiungi l’azione continua della Francia sulle cose d' Italia, e gli
errori della diplomazia: ed ecco Giuseppe Bonaparte e Gioacchino, che non
sono più i francesi del '99, ma i correttori e moderatori dispotici
della libertà, i quali compiono l’abolizione del feudalismo nel Regno, e
vengono via via elevando la coscienza civile della nazione. Questa al
ritorno di Ferdinando è già matura per la Costituzione: la cui richiesta
per altro è affrettata dagli errori che toma sempre a commettere il
Ministero pur dopo il '15. Fra i quali il Galluppi non manca di ricordare
il « concordato ignominioso, che annienta tutte le riforme dall’epoca
dell’augusto genitore di Ferdinando fino al suo ritorno fra noi ».
Mostrata la necessità storica della rivoluzione del 1820 e della
costituzione che Napoli s’era con essa conqui¬ stata, il filosofo
protesta contro l’intervento straniero, e minacciosamente esclama : « Un’
invasione è ella facile nelle attuali circostanze della nostra nazione?
Il '99, il 1815 sono gli stessi tempi per noi del 1820 ? Si è mai
veduto in altri tempi, allorché il nemico ci minacciava, l’agricoltore,
l’artista, il prete, il monaco stesso doman¬ dare l’iniziazione nelle
società patriottiche per emettere il giuramento di vincere, o di morire
per la difesa della costituzione e del trono ? ». Siamo così
abituati a rappresentarci il Galluppi, attra¬ verso i suoi libri
meramente speculativi, dove non spunta mai favilla di passione umana, o
un accenno storico, o un’allusione personale, e attraverso le memorie di
quel suo insegnamento universitario, tutto chiuso, tra il '31 e il
'46 (periodo di puro raccoglimento spirituale per Napoli), nella
speculazione sopramondana.: che questa specie di Galluppi inedito,
agitato dalle preoccupazioni politiche e storiche del mondo in cui visse,
ci riesce di uno strano sapore nuovo e d'un vivo interesse. E ne
viene aggiunta una linea caratteristica e simpatica alla figura del nostro
vecchio e caro scrittore; che viene ad occupare anche lui il suo posto
non pur nella storia del liberalismo italiano, ma in quella schiera di
acuti pen¬ satori improntati della più schietta italianità, i
quali, rifacendosi direttamente o indirettamente dal Vico, si
opposero all’ astrattismo antistorico e rivoluzionario di Francia.
Lungi, dunque, dall'apparirci un giacobino, il Galluppi, pel suo
modo d’intendere e giudicare gli avvenimenti contemporanei, ci si
presenta come un liberale del se¬ colo XIX, penetrato del senso della realtà
e razionalità della storia. Né questa figura viene
menomamente turbata dal nuovo documento che qui appresso si aggiunge a
queste note: un altro suo discorso accademico, letto a Tropea
(nella solita Accademia degli Affaticati) in lode questa volta di
Ferdinando II, pel suo avvenimento al trono Discorso che io ho avuto
sott’occhio nell’autografo, e trascritto fedelmente. Esso, ad ogni modo,
non può suscitare né meraviglia, né rammarico in nessuno che
ricordi con quali lieti auspicii salisse al trono il nipote di quel
Ferdinando, a cui il Galluppi aveva inneggiato nel 18x5. « La giovanezza
del re », scrisse lo stesso Set¬ tembrini nella sua Protesta, « la
recente rivoluzione di luglio in Francia, e i movimenti di Romagna,
alzarono la nazione a novelle speranze ». E molto meglio nelle Ri¬
cordanze: «Quando re Ferdinando II, nel novembre del 1830, saliva sul
trono delle Sicilie, cominciò bene, e a molti parve un buon principe.
Ogni giovane a venti armi è buono, come ogni fanciulla a quindici anni è
bella. In un suo Manifesto dichiarò di voler rammarginare le piaghe
che da più anni affliggevano il Regno, ristorare la giustizia, riordinare
le finanze, promuovere le industrie ed il commercio, assicurare in ogni
modo i beni dei suoi amatissimi popoli. Quando poi diede un’amnistia, per
la quale tornarono a le loro famiglie molti esuli, molti pri¬
gionieri, le speranze crebbero e l’allegrezza fu grande. Gli uomini savi
dicevano che egli aveva fatto una brutta orazione funebre a suo padre; ma
gli davano lode perché scacciò parecchi ministri e servitori, che durante
il regno di Francesco avevano fatto mercato d’ogni cosa, perché
restrinse le spese della casa sua, tolse via le cacce, e volle vivere con
certa semplicità e parsimonia, che il popolo chiamò avarizia. Pareva a
tutti cortese perché dava udienza a tutti, domandava, rispondeva,
provvedeva subito, e ricordava i nomi di quanti aveva una volta
veduti ». Anche Nerone, uscì a dire, uno di quei giorni, esso Settembrini
tra giovani suoi amici e maggiori d’età: anche « Nerone cominciò col quam
mallem nescire scribere. L’ è scopa nuova, ma di quella mala erba: fate
che s’usi, e vi riuscirà Borbone come il padre, e come l’avolo ». E
gli diedero del matto '. « Io che sono stato vittima del suo insaziabile
dispotismo » — scriveva Nicola Nisco nell’accingersi alla storia del suo
regno, — « e che ne porto ancora i ricordi ai piedi ed ai polsi, rifarò
con civile orgoglio la storia dei suoi primi anni di regno, i quali
sono andati confusi con quelli che seguirono, massime dopo il
quarantotto, quando la natura borbonica, ride¬ standosi ampiamente in
lui, lo menò a divenire l’avver¬ sione non pure d’Italia, ma d’ Europa ».
E ricordando la soddisfazione generale di quei primi mesi del nuovo
re, raccontava : « Alle acclamazioni dei popoli facevan eco i
prosatori ed i poeti di quel tempo, e nell’entusiasmo della sperata
redenzione, sventuratamente poi tradita, vennero fuori giovani ed uomini egregi,
fra i quali Gia¬ como Filioli, i fratelli Baldacchini, i fratelli
Dalbono, il Ruffo e quella sublime donna, che mai non si conta¬
minò di servo encomio, Giuseppina Guacci. E quando 1 Ricord., c.
V. il 18 dicembre 1830, rimosso ogni ostacolo
derivante da colpe politiche al conseguimento dei pubblici uffizi,
abi¬ litò all’esercizio delle pubbliche cariche gl’ impiegati ed i
militari destituiti per le politiche vicende, concedè ai detenuti in
carcere, espatriati, esiliati e condannati napo¬ letani e siciliani alle
galere e all’ergastolo di ritornare nelle loro famiglie, Saverio
Baldacchini il chiamò in un suo inno, Padre a tutti, che il
gaudio Del perdonar provò; e dall’animo purissimo della
giovane Guacci si elevò quella nobilissima esclamazione Oh !
lieto il sire, Che nell’amor dei popoli riposa » Al
coro delle lodi si unì adunque nel gennaio 1831 anche il filosofo di
Tropea, tuttavia controllore delle con¬ tribuzioni, col seguente
discorso; in cui l’adulazione del suddito par s’indirizzi all’ idea
dell’ottimo sovrano piut¬ tosto che alla persona del giovine monarca ;
onde si direbbe che a tratti assuma il tono dell’ammonimento anzi
che del panegirico. — Alcuni accenni di dottrine filosofiche, che
vi si mescolano, come i riferimenti ai concetti del bello e del sublime,
dimostrano il già sessantenne filosofo incapace di distrarre la mente
dalle sue astratte medi¬ tazioni. E questo è forse l’ultimo scritto, in
cui gh ac¬ cadde di volgere attorno uno sguardo, per esprimere il
suo pensiero su fatti e personaggi contemporanei. 1914.
1 N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli, Napoli,
Morano, 1889, II, pp. i, 8. Pel felice avvenimento al
Trono delle Due Sicilie di FERDINANDO II Discorso
Accademico di P. Galluppi Di letizia ripiena, Accademia
illustre, io ti rimiro. Con la rapidità del fulmine l’arrugginita cetra
riprender ti vedo. Il tuo vivo ardore, di scioglier la lingua al canto,
espresso nel tuo volto io leggo. Sì, dell’estro che ti ac¬ cende,
l’oggetto io ben ravviso. Un giovine eroe ascende sul trono di Ruggiero:
il dolore, che ingombrava i nostri cuori, sparisce: in tutti i volti
degli abitatori delle Due Sicilie, con vivi ed espressivi colori, la
gioia dipinta si vede. Un grido di letizia dappertutto rimbomba.
Ma non è la gioia il solo effetto, che la comparsa del giovine Re
sul trono ha universalmente prodotto ne’ nostri cuori. Un vivo sentimento
di ammirazione e di devozione verso la sacra persona di lui, si è
immanti¬ nente acceso ne’ popoli di qua e di là del Faro. Ferdi¬
nando II, l’augusto discendente di tanti Re, non sola¬ mente quel
sentimento fa nascere, che, in una ridente primavera, l’aspetto d’una
deliziosa campagna, negli animi sensibili alle bellezze della natura e
dell’arte, suole produrre; ma quel sentimento eziandio produsse,
che in una vasta pianura, la veduta dell’azzurra volta del cielo,
in una notte serena, l'anima colpisce dell’osser¬ vatore attento a
contemplar l’universo. Ferdinando II è dunque un oggetto non
solamente bello, ma sublime. Come bello, la sua PASQUALE
GALLUPPI GIACOBINO ? I3I comparsa sul Trono ha inondato di letizia
il cuore de’ suoi popoli ; come sublime, di ammirazione e di
devozione gli ha colpiti. Il bello ed il sublime producono diverse
affezioni morali: l’uno rallegra, ed in certe cir¬ costanze fa pianger di
tenerezza. L’altro l’ammirazione e la devozione produce. Nondimeno,
quando il sublime si riguarda come una causa, che su la nostra felicità
influisce, all’ammirazione ed alla devozione fa esso succedere la
confidenza e la letizia. Tale è il sentimento, che provano i soldati di
un’armata, quando sanno che il loro generale è uno Scipione, un
Alessandro, un Camillo ; e tale appunto è quello che in noi produce la
vista di Ferdinando II sul trono delle Due Sicilie. Se il
bello ed il sublime l’oggetto sono dell’eloquenza e della poesia, se
senza un oggetto, che sia defl’una e dell’altra qualità fornito, il genio
dell’oratore e l’estro del poeta languiscono; se l'alto personaggio, che
è l’og¬ getto di questa letteraria adunanza, è dell’una e del¬
l’altra qualità eminentemente adorno, con ragione, Con¬ sesso illustre
della città di Alcide *, di estro animato ti veggo, per fare oggetto de’
tuoi canti l’augusto prin¬ cipe, che al Trono ascende di Carlo III. Con
ragione, cogli occhi a me affissi, che dell’onore di esser tuo
oratore son fregiato, attento ti miro. Tu vuoi udir dal mio labbro
la dipintura dell’alto personaggio, che verso di lui attira i nostri
sguardi. Tu brami, che i motivi io ti esponga, che dalla velocità
incalcolabile del pensiero aggruppati insieme, i sentimenti di gioia, di
ammirazione e di devo¬ zione ne’ nostri cuori producono.
Ferdinando II è bello: nel suo volto dipinto si vede la candidezza
deH’anima sua, ed una certa misteriosa espressione del buon senso, del
buon umore, del brio, 1 Tropea, città, secondo la leggenda, di
Ercole. Vedi Nicola Scrugli, Notizie archeologiche di Portercole e
Tropea, pp. 15-17. della benevolenza, della sensibilità e
delle altre amabili disposizioni. Con questa sua bella fisonomia e colle
sue belle maniere, la letizia egli sparge ne’ nostri cuori. Ma non
è questo il punto di veduta, sotto di cui io mi pro¬ pongo di dipingerlo.
Ferdinando II ci ha colpiti di ammi¬ razione e di devozione, ed a questi
sentimenti è successa la speranza e la letizia. Egli è dunque un oggetto
sublime. Un oggetto sublime è grande. Egli è, per conseguenza,
grande. Ma qual grandezza siam noi costretti ad am¬ mirare in lui ? Sarà
forse quella degli Alessandri, e de’ Cesari ? Quella vera grandezza, che
in questi gravi capi¬ tani dell’antichità noi ammiriamo, si trova bensì
nel nostro Eroe. Ma questa non è quella, che più immediata¬ mente
ci colpisce, e che più in lui risplende. Una gran¬ dezza guerriera può
trovarsi negli uomini i più nefandi. Siila non era insieme un gran
capitano, ed mi mostro di crudeltà ? Ferdinando II è grande, perché
conosce i doveri di un Re. Egli è grande, perché adempie i doveri
di un Re. È questo l’oggetto del mio discorso. Parte Prima
Un pensiere è grande, allora che esso è esteso. Un pensiere che,
nella sua espressione la più semplice, com¬ prende tutti i pensieri
particolari, che vi si rapportano, è un pensiere grande; e l’anima, che
lo sente in sé, spe¬ rimenta un sentimento di grandezza. Il sentimento
della grandezza è il sentimento della forza o del potere. Colui che
possiede una verità generale, sente che ha in suo potere tutte le verità
particolari che vi son comprese. Egli è simile a colui che, posto su la
cima di un alto monte, comprende, con un semplice sguardo, un vasto e
variato orizzonte. Floro ci desta un pensiere grande quando ci
rappresenta, in poche parole, tutti gli errori di Annibaie dicendo : «
Allora che poteva servirsi della vittoria, amò meglio goderne ». Una
consimil grandezza si ravvisa nell’ idea, che egli ci dà di tutta la
guerra di Macedonia, quando dice: «Il vincere fu l’entrarvi». Uno
spirito sublime racchiude le verità particolari in una che sia la
più generale, e per conseguenza la più semplice. Ferdinando II,
asceso sul trono de’ suoi antenati, vede, con un colpo d’occhio, tutti i
doveri di un Re: egli li racchiude in un principio generale. Il suo
pensiere è grande: egli che lo concepisce, è grande in conseguenza.
La prima parte del mio discorso accademico è terminata. È terminata
? Accademia illustre, ti credi tu forse, con questo mio breve
parlare, delusa nella tua aspettazione ? Hai tu forse sperimentato un
sentimento dispiacevole, simile a quello che sperimentar suole uno
spettatore di un’azione tea¬ trale, allora che una causa improvvisa lo
chiama in altro luogo, ed interrompe il suo piacere ? Ma cesserà in
te questo momentaneo doloroso sentimento. La rapidità incalcolabile
del sentimento mi ha fatto attraversare, in un baleno, un vasto spazio.
Io non ho potuto arrestare la sua impressione. Lo scotimento prodotto
nell'anima da qualche grande oggetto, l’alza notabilmente sopra il
suo stato ordinario. Si desta in lei una specie di entu¬ siasmo
piacevolissimo finché dura, che le fa compren¬ dere, con uno sguardo, una
moltitudine di oggetti, ma da cui l’anima tosto ricade nella sua
ordinaria situazione. Percorrerò dunque di nuovo, ed a passi osservabili,
lo spazio trascorso. Iddio, eh’ è il legislatore dell’intero
universo, diede all’uomo una legge, e la impresse nel cuore di lui.
L’uomo è dalla sua natura determinato allo stato della civil so¬
cietà. In questo stato solamente può egli perfezionar se stesso, ed
adempiere la sua destinazione. L’uomo ha in se stesso le tendenze, i
mezzi e la legge di vivere nella civil società. La società civile non può
sussistere senza un essere morale, dotato del potere legislativo ed
esecutivo. Un tal essere è il Sovrano. Nelle monarchie semplici, il
sovrano è il Re. Ma Iddio ha voluto l’esistenza della civil società
su la terra, per la felicità degli uomini; 1’esistenza dunque della
sovranità, come ordinata a quella della civil società, è voluta da Dio
per la felicità degli uomini. Queste sem¬ plici riflessioni ci menano
infallibilmente alla conoscenza del principio generale della morale de’
Re. La destinazione dei Re su la terra è di rendere, per quanto è loro
possibile, felici i loro sudditi. Ecco il principio luminoso e
sublime, che tutti racchiude i regi doveri. Ma non udiamo noi
forse questa sublime e consolante filosofìa annunciarsi a’ popoli delle
Due Sicilie, nel primo momento del suo avvenimento al trono,
dall’augusto Ferdinando II ? Ascoltiamo la sua voce sovrana in
quel- l’ammirabile proclama, che destò ne’ nostri cuori l’ammirazione e
la devozione per la sua sacra persona, e che di vera gioia gl' inondò. Il
giorno otto di novembre dello scorso anno 1830 Ferdinando II ascese sul
trono, ed in quell’ istesso giorno egli così parlò a’ suoi sudditi
: « Avendoci chiamato Iddio ad occupare il Trono de’ nostri
augusti Antenati, sentiamo l’enorme peso, che il supremo Di¬ spensatore
de’ regni ha voluto imporre sulle nostre spalle, nel- l'affidarci il
governo di questo Regno. Siamo persuasi che Iddio, nell’ investirci della
sua autorità, non intende che resti inutile nelle nostre mani, siccome
neppur vuole che ne abusiamo. Vuole che il nostro Regno sia un Regno di
giustizia, di vigilanza, e di saviezza, e che adempiamo verso i nostri
sudditi alle cure paterne della sua Provvidenza « *. 1 II
proclama si può leggere nella Collezione delle leggi e de' decreti reali
del Regno delle Due Sicilie, a. 1830, sem. II, Napoli, Stamp. Reale,
1830, pp. 143-.45. A voi, gran Dio, che avete nella vostra mano il
cuore de’ Re, per inclinarlo secondo la vostra volontà sempre
santa, grazie siano rese del prezioso dono, che nella vostra misericordia
ci avete concesso. Non mica nel furore del vostro giusto sdegno, ma nelle
vedute imperscrutabili della vostra misericordia, voi ci avete inviato a
reggere i nostri destini il giovane eroe, che ci sorprende colla
sua sublime sapienza. Egli riconosce che non dee punto abusare
dell’autorità di cui voi l’avete rivestito; che è suo sacro dovere, di
far che regni fra di noi la giustizia, e che egli sia il felice
istrumento delle cure paterne della vostra provvidenza su di noi. Ciò è
lo stesso che riconoscere esser egli destinato da voi a render
felici i suoi sudditi. Ciò è lo stesso che proclamare il principio
generale della mo¬ rale de’ monarchi. Il principe, che così parla a’
suoi popoli, non ha mica il crine canuto: egli è un giovanetto, che
ha appena compiuto il quarto lustro della sua età. Egli è dunque dotato
di un’anima grande ; ed è con ragione, che qual Grande è salutato da’
popoli delle Due Sicilie. Un’anima grande ha solamente potuto concepire
il pen¬ siero sublime, che tutta racchiude la morale de’ Re; ed
un’anima grande ha potuto, invece di essere distratta dallo splendore del
Trono, specialmente in un’età giovanile, concentrar tutta se stessa
nell’espressione de’ propri doveri, ed esserne profondamente
penetrata. Nell’ammirabile proclama il nostro gran Re non
sola¬ mente conosce la sua augusta destinazione nel governo de’
suoi popoli, ma vede ancora i mezzi principali, che debbono fargli
conseguire il gran fine. Egli scovre nel principio le illazioni. Egli
vede, in primo luogo, che gli uomini non possono esser febei, senza esser
virtuosi: egli conosce T intima relazione, che passa fra la virtù e
la Religione; che i sentimenti rebgiosi conducono alla virtù, come la
virtù conduce alla Rebgione. Egli comprende che la vera religione viene in
soccorso della pubblica autorità, e per estendere la sanzione delle leggi,
e per ottenere ciò che esse non possono prescrivere, e per evitare ciò
che esse non potrebbero sempre giugnere ad impedire; ed egli conclude,
che dee proteggere la divina Religione, che c’ illumina. « I grandi »,
dice il celebre Massillon, « non son grandi se non perché eglino
sono le immagini della gloria del Signore, ed i deposi¬ tari della sua
potenza. Eglino dunque debbono sostenere gl’ interessi di Dio, di cui
rappresentano la maestà, e rispettare la Religione, che sola rende
rispettabili loro stessi ». Dalla Religione volge il nostro
gran Re lo sguardo alla giustizia. Egli vede che la felicità de’
cittadini richiede una gelosa custodia de’ loro diritti. Egli conosce
che questa custodia è il sacro dovere del potere giudiziario. Egli
è convinto che il Re nell' istituzione di questo potere, e nell’elezione
de’ membri, che debbono comporlo, deve porre la maggiore attenzione che
gli sia possibile. Il cit¬ tadino dee, sotto la protezione della legge, e
del pubblico potere, vivere tranquillo: egli non dee temere che i
suoi diritti sieno violati. Magistrati, a cui la regia maestà
consegnò la spada di Temi, ascoltate la voce del sapiente legislatore.
Tutti i miei sudditi, egli dice, debbono essere uguali agli occhi della
legge '. I tribunali debbono essere un santuario, che la corruzione, la
prepotenza, T intrigo, non debbono giammai profanare. Se i giudici
debbono essere indipendenti nelle loro sentenze, eglino non deb¬
bono essere legislatori. L'accordar grazie ed eccezioni è una funzione
estranea al loro potere. L’impero della legge dee essere
universale. 1 « Noi vogliamo — dice il Proclama — che i nostri
tribunali siano tanti santuari, i quali non debbono mai essere profanati
dagl' in¬ trighi, dalle protezioni ingiuste, né da qualunque umano
riguardo o interesse. Agli occhi della legge tutti i nostri sudditi sono
uguali, e procureremo che a tutti sia resa imparzialmente la giustizia
». I cittadini non possono
essere felici, se lo Stato non è ricco. Uno Stato, dice un celebre
politico, non si può dire ricco e felic.e, che in un solo caso, allorché
ogni cit¬ tadino con un lavoro discreto di alcune ore può como¬
damente supplire a’ suoi bisogni ed a quelli della sua famiglia. Un
lavoro assiduo, una vita conservata a stento non è mai una vita felice. I
dazj eccessivi sono contrarj alla felicità di cui parliamo; ed i dazj
debbono essere eccessivi, allora che il Tesoro generale dello Stato
pre¬ senta un voto. E qui l’anima grande di Ferdinando II ci si
mostra allo scoverto. Egli non dirige il suo sguardo su le pompe de’ Re,
su i palagi de’ Grandi, ma lo dirige su i cenci, e su i tugurj de’ poveri
e degl’ infelici. Al suo penetrante sguardo tosto si svela lo spettacolo
doloroso della soma pesante de’ dazj, che gravita sul suo popolo.
La sua grande anima ne è profondamente penetrata, ma non abbattuta. Le
grandi passioni innalzano l’anima, e scovrire le fanno degli oggetti
incogniti agli uomini ordinari. Ferdinando II vede quasi nel momento
stesso il voto spaventevole del Tesoro generale, ed i mezzi di
ripararlo. La grande opera della instaurazione delle reali finanze, è
tosto nella gran mente del Principe magnammo già delineata. La felicità
de’ cittadini richiede ancora, che lo Stato sia temuto e rispettato al di
fuori. Ad un si grande oggetto conferisce un’armata disciplinata,
valorosa ed animata dal nobile ardore di gloria. E Fer¬ dinando II si
fece già ammirar da capitano, prima di farsi ammirare da Re. Augusta
filosofia! Se io a te consagrai sin da primi anni la mia vita, se non ho
avuto altro scopo ne miei scritti, che di annunciare la verità al genere
umano, se tu vedi che io ardisco di parlare ad un Re, da te non si
concepisca contro di me alcun sospetto, che mi avvi¬ lisca a’ tuoi
sguardi. No, l’adulazione non ha profanato il mio linguaggio. Io non ho
prestato al mio Eroe i miei 10 - Gentile, Albori. I.
pensieri, per formarmi un prototipo di mia immagi¬ nazione. Io gli
ho osservati in lui, che nel suo proclama gli esprime. Io ho dunque,
senza rimorso di arrossire al suo cospetto, il diritto di concludere :
Ferdinando II è grande perché egli conosce i doveri di un Re.
Parte Seconda Ferdinando II adempie egli i doveri di un Re ?
Il tempo, in cui 1 ’ Eroe di questo discorso regna su di noi, non è
ancora di tre mesi; ed egli ha tali e tante cose operato, che con ragione
i sudditi suoi, nella sincerità del loro cuore, 1' hanno unanimemente
acclamato per Grande. Ferdinando II è un personaggio straordinario. Pe’
per¬ sonaggi di tal fatta i giorni sono anni, e gli anni sono de’
secoli. I loro passi sono di una rapidità incalcolabile, ed agli occhi
degli uomini ordinar] sembrano de’ pro¬ digi- Eglino, quando anche la
loro vita fosse molto corta, formano l’epoche della storia; perché
producono quei memorabili avvenimenti, che cambiano lo stato de’
popoli, e fanno a questi percorrere un cammino diverso. I loro nomi
resistono al furore del tempo, che tutto di¬ strugge. Ferdinando II ascende
al trono de’ suoi antenati, nell’aurora della sua vita. Un uomo ordinario
sarebbe stato sedotto dallo splendore del Trono: egli avrebbe
sdegnato le penose cure del governo di un Regno; egli sarebbe stato
colpito dal fasto de’ grandi. Il giovin Eroe chiude gli occhi alle pompe
incantatrici del Trono, ed attento gli rivolge su i mah del suo popolo.
Egli non vuol assidersi in mezzo de’ grandi pria di piangere cogl’
in¬ felici. Una serie d’infausti avvenimenti produce torrenti di
mali, ed immerge nel dolore e nel pianto gli abitatori di queste belle
contrade. Un muro di separazione s’in¬ nalza fra di noi. Esso divide i
sudditi da’ sudditi. Quelli della parte sinistra son privi
della vita civile, nell’atto che la necessità ne chiama degli altri, che
sono insuffi¬ cienti, alle pubbliche cariche >. Il potere
giudiziario perde tanti ragguardevoli magi¬ strati. L’amministrazione
tanti prudenti e savj ammini¬ stratori. La indizia tanti valorosi
campioni. Gran Dio, chi riparerà i nostri mali ? Voi avete udito i gemiti
de buoni e virtuosi cittadini di questo bel Regno: la vostra voce
finalmente dal Cielo si è udita. Popoli delle Due Sicilie, rasciugate le
vostre lagrime : i vostri cuori si aprano alla gioja. Un Re di un’anima
eroica ascende sul Trono: egli sanerà le vostre piaghe : egli vi farà
risorgere a nuova vita. Sì, il core magnanimo di Ferdinando il Grande
è commosso all’aspetto de’ mah di una gran parte de sudditi suoi.
Egli sente, nella sua clemenza, che, essendo l’immagine di Dio e del
Redentore divino su la Terra, dee qual padre correre ad abbracciare il
figliuol prodigo. Egli vede, che la discordia in un Regno è la sorgente
di mali deplorabili, e che un principio saggio dee farla ces¬ sare.
Egli conosce, che i Re debbano regnare su i cuori de’ loro sudditi. Il
memorando decreto del 18 dicembre del 1830 è pubblicato. Il muro di
separazione è rove¬ sciato. La gloria di Ferdinando II sarà immortale
». Tacete, animucce infelici, in cui la calunnia ha posto la
sua sede, tacete. Che cosa mai dir vorrete ? Che il Reai Decreto or ora
citato è una finzione ? Che esso non avrà alcuna esecuzione ? No, l’anima
eroica di Ferdi¬ nando II non cape siffatta bassezza. I reali Decreti
del dì 11 del corrente gennaio 3 vi ammutoliscano. Ferdi- 1 A
questo punto d'altra mano, in margine: «La tempesta politica fa traviare
dal retto cammino anche i migliori talenti ». 1 L’atto sovrano del
18 dicembre 1830 portava un indulto in favore dei condannati come rei di
Stato, e di coloro che per ragioni politiche si trovavano esclusi dagli
impieghi civili e militari. 3 Allude ai due decreti nn. 104 e 106,
emanati con quella data da Ferdinando II, col primo dei quali si cercava
di curare le piaghe ALBORI DELLA NUOVA ITALIA nando II
regna senza distinzione, su i cuori di tutti i sudditi suoi. Tutti si
riguardano quasi fratelli, perché vivono sotto T impero di un Re, che è
loro Padre. DalTuna all’altra estremità delle Due Sicilie una sola
voce si ascolta : Viva l’Eroe! Viva Ferdi¬ nando II il Grande! Tutti sì,
tutti son pronti a versare per un tanto clemente Monarca il loro
sangue. La virtù non dee amarsi che per se stessa, e sarebbe,
in buona filosofìa, un distruggerla il riguardarla qual mezzo per la
felicità. Ma è essa una verità incontrasta¬ bile, che l’uomo virtuoso
sarà felice, ed il vizioso infelice. Quale spettacolo più commovente per
l’anima di Fer¬ dinando II di quello che gli presentò la capitale
ne' giorni ix, 12 e 13 di gennajo, e la relazione, che certa¬ mente
gli pervenne, della letizia universale innalzata sino al più vivo
entusiasmo di tutto il Regno ? Il piacere di rendere milioni di uomini
felici, e di vedersi da essi adorato ne ha esso forse un eguale su la
terra ? Il Principe magnanimo intese nel suo cuore, che egli ha tanti
sol¬ dati, quanti sudditi conta il suo regno. Egli vide il suo
Trono immobile, la sua gloria immortale. La grand’opera della
rassicurazione delle reali finanze la dicemmo già delineata nella gran
mente del nostro Eroe. La mano incomincia tosto ad eseguire il
disegno profonde che erano nelle finanze del Regno, sopra tutto
dei do¬ mimi continentali, per « le conseguenze fatali della straniera
usurpa¬ zione: gli avvenimenti disgraziati del 1820#; si esponeva con
leale franchezza il deficit della tesoreria generale di Napoli, che
am¬ montava a 4 345 251 ducati; per colmare gradualmente il quale
si annunziava una serie di lodevoli economie nella milizia e nei
ministeri, oltre straordinari rilasci della cassa privata del Re e dell'assegnamento
della R. Casa; l’abolizione del cumulo degli stipendi; l’imposizione di
una ritenuta ai soldi e pensioni superiori a 25 ducati mensili; e in
compenso pel « sollievo della parte più bisognosa del popolo » si dimi¬
nuiva della metà il dazio sul macino. Con l’altro decreto veniva pre¬
scritta « una generale economia nelle spese a carico dei comuni di qua
del Faro per invertirla nella diminuzione de’ più gravosi dazi comunali».
Vedi Collezione cit., a. 1831, sem. I, pp. n-17, e 18-20.
PASQUALE GALLUPPI GIACOBINO ? I4I del pensiere. I Re
imprimono alle loro azioni un carat¬ tere di gloria, che spinge i sudditi
ad imitarle. L’idea di grandezza si associa a quella delle azioni de’
grandi, e l’impero delle idee associate sul cuore umano è molto
esteso. Quindi la virtù, quando si scorge nelle azioni de' grandi, di
qualunque grandezza essi sieno adorni, rende la virtù rispettabile su la
terra. Guidato da questo sublime pensiere, Ferdinando II
incomincia da sé la nobile impresa. Que’ insti spazj di terra riserbati
alla caccia de’ Re son tosto restituiti al¬ l’agricoltura ». Questa
misura diminuisce le spese relative alla persona del Re, ed aumenta la
pubblica ricchezza. Un rilascio è conceduto dalla borsa privata del
Principe: altro ne è fatto dall’assegnamento della Casa reale. La
classe degl’ impiegati è chiamata ad imitar l’esempio del Reggitor
supremo dello Stato: ed il reai Decreto del di 11 gennaio contenente una
diminuzione di dazj, vien tosto a colpirci di ammirazione e di
gioja. Se tali sono le imprese di Ferdinando II in men di tre
mesi, che cosa non dobbiamo noi sperare in un lungo regno, che gli
auguriamo felice ? Egli ha promesso la restaurazione della giustizia. La
sua promessa è sacra ed immutabile. Il passato ci autorizza a sperare il
futuro. Sì, il cittadino vivrà tranquillo sotto 1 * impero della
legge. Il regno di Astrea rinascerà su le nostre contrade. Ed io
non posso trattenermi di finire col poeta latino: lam redit et
virgo, redeunt Saturnia regna, lavi nova progenies caelo demìititur
alto. 1 « Con la pubblicazione del suo proclama il Giornale
ufficiale annunziava le sue disposizioni per l’abolizione delle cacce »:
N. Nisco, Gli ultimi trentasei anni del Reame di Napoli, voi. II, p.
67. . 1. Il Galluppi è stato detto a ragione gran riformatore della
filosofia italiana ; e aspetta ancora un degno illustratore della sua vita e
del suo pensiero . Noi ne diremo soltanto quanto è neces sario al disegno di
questo lavoro . Nacque a Tropca, in Calabria , il 2 aprile 1770 ( lo stesso anno
di Hegel) dal barone Vincenzo e da Lucrezia Galluppi, una delle più antiche
famiglie patrizie di quella cittaduzza. Fattii primi studi di latino,
tredicenne fu mandato a scuola di filosofia e ma tematica da « un abile maestro
» ( 1 ) , tal Giuseppe Antonio Ruffa, che gli pose in mano la Logica del
Genovesi e la Geometria di Euclide; e l'innamorò talmente di questi autori e di
queste disci pline, che il Galluppi , anche innanzi negli anni , non rivedeva
quei libri senza una certa commozione. Ma non si fermò al Ge novesi ; perchè
alcuni suoi compagni l'indussero a leggere la Teodicea del grande avversario di
Bayle. E il Galluppi ne fu in vogliato a studiare tutto il sistema nelle opere
del Wolff, come anche ad applicarsi alla teologia , poichè nella scuola « si
era in trodotto, scrive egli stesso , un certo misticismo » . 2. Studi
teologici e metafisici continuò a coltivare a Na poli , dove si recò nel 1788 ,
da Palermo, ove il padre qualche anno prima aveva condotto la famiglia .
Frequentò le lezioni di teologia di Francesco Conforti, il Sarpi napoletano, e
quelle di greco di Pasquale Baffi ; entrambi vittime gloríose del 1799. Studiò
la Bibbia, la storia antica , l'ecclesiastica, la patristica, ( 1 ) Vedi il
brano autobiografico pubblicato dal prof. F. PIETROPAOLO nella Rivista di
filosofia scientifica di E. Morselli, &. 1887, e ripubblicato da CARLO
TORALDO nel suo Saggio sulla filos. del Galluppi e le sue relazioni col
kantismo, Napoli , Morano , 1902, p. 29 ( dove per una gvista è stampato amabile
per abile ) . specialmente s . Agostino.
Ma, per la morte del suo minor fratello Ansaldo, dovette nel 1794 rimpatriare
per attendere all'azienda do mestica ; e sposò Barbara d'Aquino di Cosenza ,
dalla quale ebbe quattordici figli ! Negli Elementi di psicologia ( 1 ) egli
stesso ricorda la sua numerosa figliuolanza, che nella sua casa non grande gli
avrebbe impedito co'suoi strepiti infantili di studiare la filosofia e le
matematiche, senza la sua grande passione per questi studi. Persistetti, egli
dice, e « l'esercizio mi pose in istato , che io me ditavo tranquillamente, non
ostante i giuochi strepitosi, i pianti e le grida de ' ragazzi > ( 2 ) . Per
rispondere alle censure che certi ecclesiastici avevano fatto di alcune sue
proposizioni , pubblicò una Memoria apologetica (3) Nè tralasciava frattanto di
coltivare la filosofia : « ma i libri filosofici che leggeva, com'egli
c’informa, erano tutti della scuola cartesiana » . Intorno al 1800 lesse
Condillac, e « qui cominciò la seconda epoca della sua vita filosofica . Le
opere di questo filosofo fecero cambiare la direzione dei suoi studi nella
filosofia » , « lo compresi , - ci dichiara il Galluppi, – che prima di
affermare qualche cosa su l'uomo, su Dio e su l'universo , bisognava esaminare
i motivi legittimi dei nostri giudizi e porre una base solida alla filosofia ;
che bisognava perciò risalire all'origine delle nostre co noscenze, e rifare in
una parola il proprio intendimento » ( 4) . 3. Così egli scriveva nel 1822 ,
quando era molto progredito nella critica della conoscenza , e aveva, si può
dire, approfondito il problema. Forse la prima lettura di Condillac non gli
diede quella netta coscienza, che parrebbe da queste parole , dell'im portanza
della questione gnoseologica . Certo, l'avviò per questa strada, che è la
strada maestra delle filosofia moderna, facendolo ritornare sul Saggio del
Locke. E primo frutto di questi nuovi studi fu nel 1807 un opuscolo
Sull'analisi e la sintesi ( 5 ) ; le due ( 1) § LVI ; 2.a ed. , Firenze,
Pagani, 1832, p. 103 . ( 2) Anche il Vico nella sua vita ricorda con quella sua
disinvolta vanità di esser * uso sempre a leggere o scrivere, o meditare » tra
lo strepito de' suoi non pochi figliuoli. ( 3 ) In Napoli , pei torchi di
Vincenzo Mozzola - Vocola . ( 4 ) Autobiografia citata. (5) Napoli, Giuseppe
Verriento , 1807. Tirato in pochi esemplari non messi in vendita,
quest'opuscolo è divonuto oggi rarissimo. Una copia è conservata dalla
Biblioteca Univer sitaria di Napoli, nella Miscellanea Imbriani. I facoltà che occuperanno un posto primario
nella filosofia dello spirito galluppiana. Tutto intento a' suoi studi , e
senza allontanarsi mai da Tro pea, se di là « con l'occhio e col pensiero » ,
come immaginava in un suo affettuoso elogio Luigi La Vista, non si sarà rivolto
« alla prossima Cotrone, ed ai suoi costumi ed alle sue idee trovato un modello
nella vita e nella sapienza del divino Pita gora » ( 1 ) ; certo avrà seguito
gli avvenimenti politici dei for tunosi tempi del decennio francese in Napoli ,
com'è certo che partecipò vivamente con l'animo alle riforme liberali allora at
tuate o vagheggiate. Scrisse anche un opuscolo Su la libertà com patibile con
ogni forma di governo, rimasto inedito . E nel 1809 da re Gioacchino fu
nominato controllore delle contribuzioni della provincia di Catanzaro ( 2) .
Della parte da lui presa alla vita pub blica contemporanea si ricorda pure un
opuscolo stampato nel 1820, Lo sguardo dell'Europa sul Regno di Napoli, in
difesa degli ordini costituzionali napoletani minacciati dal Congresso di Lai bach,
e contro l'intervento straniero . E altri due opuscoli avrebbe indirizzati al
Parlamento napoletano , l'uno Sulla libertà dell co scienza e l'altro Sulla
libertà della stampa ( 3) ; opuscoli ora irrepe ribili, ma che non dovevano
contenere niente di diverso dallo scritto Su la libertà compatibile con ogni
forma di governo, di cui larghi squarci e transunti furono pubblicati nel 1865
; nei quali il Nostro mostrasi largo fautore di ogni libertà (4) , 4. Quando
scrisse l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi il Gal luppi ancora non conosceva
nulla di Kant, secondo che egli stesso ci attesta. « La conoscenza di questa
filosofia, egli dice, non cam biò punto la direzione dei miei studi ; io
continuai le mie appli ( 1 ) Memorie e scritti di L. LA VISTA, Firenze, Le
Monnier, 1863, pag. 257. ( 2) Vedi quel che no dice P. E. TULELLI in
un'interessante memoria Intorno alla dottrina ed alla vita politica del bar .
P. G. - Notizie ricavate da alcuni suoi scritti ine diti e rari, negli Alti
della r. Acc. delle scienze mor . e pol. di Napoli, I ( 1865 ), 201 e sgg. Il
TULELLI pubblicò un'altra memoria : Sopra gli scrilli inediti del bar, P. G.
negli stessi Atti del 1867, III, 81 e sgg. ( 3) Vedi l'opuscolo più sotto
citato di F. S. BISOGNI, Omaggio , p. 9. (4) Vedi la prima delle due memorie
del Tulelli. Pare tuttavia che nella reazione del '99 il Galluppi , che allora
trovavasi a Tropea , non abbia mantenuta quella condotta che si conveniva a un
amico della libertà . Nell'Eco di Tropea del agosto 1902 II , n. 35 ) il prof.
C. TORALDO , al quale pure si deve il citato Saggio sulla filosofia del Gal
luppi con appendice di scritti inediti, ha pubblicato questo bruttissimo
sonetto recitato dal Nostro noll'Accademia degli Affaticati di quella città :
cazioni su l'intendimento umano, ma profittai molto delle fati che del filosofo
di Koenisberg ; io riconobbi il merito dei problemi elevati dalla filosofia
critica , sebbene trovai insufficiente la so luzione che questa ne avea dato .
Le meditazioni da me por tate su la filosofia critica , elevarono molto più
alto i miei pensieri e mi presentarono delle nuove vedute nella scienza
dell'intendi mento umano » ( 1 ) . E vedremo infatti quanta parte del
criticismo kantiano si rispecchi nel Saggio filosofico sulla critica della co
noscenza , di cui il Nostro pubblico i primi due volumi a Napoli nel 1819 ( 2 )
, Questa prima conoscenza di Kant provenne al Galluppi dalle esposizioni nè
complete nè esatte del Villers ( 3 ) e del Kinker ( 4 ) e Della Patria il
dolore , il lutto , il pianto , La rea sorte fatal veder non voglio , Di Marto,
di Bellona il fler orgoglio , L'augusto trono di Minerva infranto , Spesso
sedendo al bel Sebeto accanto Col cor trafitto dal più fler cordoglio , Pria
che de' Franchi vacillasse il soglio , Dico nel mio pensiere, e piango intanto.
Un ferro io prendo. Occhi mici, non piangete, Grido nel mio furore ; io corro
or ora Sollecito a varcar l'onda di Loto . Ma già l'Angiol divin , che accanto
giace, Di man mi toglie il ferro , e grid'allora Verrà Fernando : tornerà la paco
! Il sonetto è conservato su un foglio volante, che reca dalla parte opposta
queste parole che sono la conclusione di un discorso accademico : « Ferdinando
augusto , principe ma gnanimo, nell'impetuoso turbino che minaccia
l'indipendenza nazionale, corri a salvarci. I destini della nostra nazione son
legati alla tua esistenza . Ferdinando viene, Napoli è salvo. Il mio discorso
accademico è terminato » . E poi : « Pasquale Galluppi fra gli Af fatigati il
Furioso . Siegue dietro il Sonetto dello stesso accademico » A me pare che
discorso e sonetto possano riferirsi alla reazione del 1799 . ( 1 ) Le frasi in
corsivo di questo passo meritano particolar considerazione per quel cho si dirà
più innanzi del pensiero galluppiano. ( 2) Pei torchi di Domenico Sangiacomo.
Seguirono altri 2 vol. Messina , Pappalardo , 1822 ; poi un 5.° e un 6. ° , per
cui l'opera fu compiuta, nel 1832 , presso lo stesso Pappalardo. Nel 1833 in
Napoli fu incominciata la 2.a edizione migliorata ed accresciuta . ( 3) Philos.
de Kant, ou principes fondamentaux de la philos. trascendentale, Metz, 1807. (
4) Essai d'une exposition succincte de la Critique de la Raison pure ; trad. du
l'ol landais par. J. le F. , 1801; vedi su questi e gli altri primi scritti
francesi sul Kant l'im portante memoria del PICAVET, La philos. de Kant en
France de 1773 à 1814 , proposta alla sua trad. della Critica della Ragion
pratica (Paris, Alcan, 1888 ). dalla Storia comparata dei sistemi filosofici (
1803) del Degerando. Egli non seppe mai il tedesco ( 1 ) , nè mai conobbe la
traduzione latina di alcune opere kantiane, già ricordata, fatta dal Born (
1796-98 ) ; nè era uscita peranco la traduzione che il cav. Man tovani fece
della Critica della ragion pura ( 1820-26) , e che sarà poi la sua fonte
principale. 5. Nel 1820 pubblico i primi due volumetti di Elementi di filo
sofia contenenti la Logica pura e la Psicologia , e prometteva l'Ideologia , La
logica mista , la Filosofia morale, che infatti uscirono in altri tre volumetti
nel 1826 ( 2) , e una Storia filosofica ragionata, che un avvertimento
dell'editore al quinto volumetto annunziava non si sarebbe piu pubblicata
avendo l’autore « su l'oggetto intra presa un'opera estesa » ( 3) . E questi
libri , i migliori testi di filo sofia per le scuole che si siano avuti finora
in Italia , per i loro squisiti pregi didattici d'ordine e di chiarezza , si
divulgarono presto per tutta Italia , procacciando molta fama al benemerito
autore . Intorno al 1821 scrisse alcune lettere sulla storia della fi losofia
moderna, indirizzate al canonico don Goffredo Fazzari, che nel seminario
vescovile di Tropea insegnava gli Elementi di lui e desiderava da lui stesso di
essere orientato in mezzo al « caos delle opinioni , che al presente scrive il
Galluppi nella prima lettera — agitano il mondo filosofico » , e di essere
sovrattutto informato della filosofia critica. E queste lettere l'autore nel
1827 raccoglieva in un bel libro, piccolo di mole ma che è il primo degno
saggio di storia della filosofia in Italia ( + ) , il quale diede ( 1 ) Nè
soppe tanto di francose da tradurre da questa lingua sonza errori di senso .
Vodi per un esempio curiosissimo la mia prefazione al Saggio citato del prof.
C. TO RALDO , p. IX, n . 1 . ( 2) Aggiunse più tardi gli Elementi di teologia
naturale. Nel 1835 si fece a Firenzo una edizione di tutti questi Elementi di
filosofia con aggiunte dell'autore e note di P.(OMPILIO ) T.(ANZINI) S. (
COLOPIO ), pubblico lettore ; ristampata a Bologna nel 1837. ( 3) Di questa
Storia della filosofia non fu pubblicato poi che il primo volume conte nento il
primo dei duo libri di Archeologia filosofica , che l'autore intendeva
premettere al l'opera. Ne conosco solo l'odizione di Milano, Silvestri, 1847,
nella quale precode l'Elogio funebre scritto da ENRICO PESSINA . ( 4) Lellere
filosofiche sulle vicende della filosofia relatiramente ai principii delle cono
scenze umane da Cartesio sino a Kant inclusicamente , Messina, Pappalardo,
1827. Le let tere in questa edizione erano tredici. Una 14. ne aggiunse l’A.
alla 2.a edizione (Napoli, 1838) , con un Discorso di LUIGI BLANCH per venire
fino al Cousin e al Rosmini. E questa 2. edizione fu riprodotta in quella di
Firenze, Fraticelli, 1842 , che noi citeremo. occasione al Romagnosi ( 1 ) di
scrivere una Esposizione storico -cri tica del kantismo e delle consecutive
dottrine ( 2) . E altre cinque Lettere sull’ontologia indirizzd a un amico tra
il 1820 e il 1822 , dove si adoperò a mettere in chiaro, da un punto di vista
kan tiano, la futilità dell'ontologia wolfiana ( 3) . Ma queste lettere non
sono venute in luce che recentemente . 6. Per tutti gli scritti già divulgati
il Galluppi s'era reso noto per tutta Italia ; e il giovane Rosmini l'11
novembre 1827 , ap pena stampato il primo volume de' suoi Opuscoli filosofici,
glielo inviava da Milano, dichiarandoglisi obbligato se egli , che aveva «
arricchita la filosofia , quella scienza avvilita e profanata nei no stri
tempi, anzi distrutta » , avesse voluto aggradire l'opera e comunicargli «
qualche lume relativo alle materie che sono in esse contenute » . E si stabilì
fra i due filosofi un carteggio assai istruttivo per chi voglia conoscere le
relazioni storiche delle ri spettive loro dottrine ( 4 ) . Varie accademie fin
da prima del 1822 l'avevano aggregato a’loro soci ; fra esse la Sebezia e la
Pontaniana di Napoli. Quivi il Galluppi tornò il maggio del 1831 ; e subito vi
pubblicò una traduzione dei Frammenti del Cousin , con una prefazione e una «
Dissertazione del traduttore , in cui si confuta il domma del l'unità della
sostanza » , ove però son comprese le osservazioni del Galluppi intorno alle
altre dottrine del Cousin non accettate ( 5 ) . « Avendo meditato su di questo
sistema filosofico, ho creduto di trovare in esso delle vedute sublimi, ed
insieme un errore pe ( 1 ) Che ne aveva scritto prima una recensiono nella
Biblioteca Italiana , di Milano, vol. L, p. 163 e ss . ( 2 ) Nella stessa
Biblioteca , LIII, 180 e ss . Vedi Opp. filos . ed . e ined . , di G. D. R. con
annotazioni di A. DE GIORGI, Milano, 1842, pp. 575-605. Su questo scritto e in
generale sul Kantismo in G. D. Romagnosi vedi l'art. del CREDARO nella Riv. di
filos. italiana , an . 1887, vol . II . ( 3) Vedi ciò che ne ho detto nella
prefazione al citato Saggio del Toraldo. Dovo que ste lettere sono stato tutte
cinquo pubblicato per la prima volta . Solo le prime due erano state edito da
F. PIETROPAOLO , Scritti inediti di P. Gall. nella Riv, filos. scient., VII (
1888 ), 128-44. ( 4) Vedi il nostro Rosmini e Gioberti, pp. 75-82 ( Pisa ,
Nistri , 1898 ). ( 5) La filosofia di V. Cousin , trad . dal francese, ed
esaminata dal bar. P. Galluppi , a spese del N. Gabinetto lotterario, 1831 ,
vol. I. Il vol. II è del 1832. A pag. 197 del vol. I si incontra anche una
postilla del tradut tore relativa ad alcune massime morali del Cousin , ricoloso » . Quindi, accompagnando la
traduzione con la detta dis sertazione, ei credeva di porre « il lettore
filosofo in istato di conoscere non solo la filosofia del sig . Cousin , ma di
giudicarla » . Il libro frutto presto molto favore all'eclettismo francese a Na
poli , e specialmente al suo capo , che dal canto suo fece conoscere il
Galluppi in Francia ( 1 ) , e anche fuori per mezzo dell'amico Ha milton, che
in un giornale filosofico di Edimburgo scrisse un ar ticolo sul Nostro . 7. A Napoli
nello stesso anno 1831 fu persuaso da amici a chiedere la cattedra di logica e
metafisica vacante nell'Univer sità . Presentato al ministro degli interni
marchese di Pietraca tella, questi , udito il suo desiderio , l'invito a
cimentarsi a un esame. Ma egli con sdegnosa semplicità calabrese rispose : E
chi c'è a Napoli che possa esaminare Pasquale Galluppi? – L'amico che l'aveva
presentato , rimase sconcertato . Ma il 4 ottobre 1831 il nostro filosofo aveva
il suo decreto di nomina ( 2 ) . « Con che festa noi giovani , narrava il
Settembrini con quanta calca tutte le colte persone si andò a udire la sua
prolusione, e poi le lezioni che egli appollaiato su la cattedra dettava con
l'accento tagliente del suo dialetto ! Ci sono sempre i maldicenti, i quali dicevano
che egli era mezzo barbaro nel par lare, ma in quel parlare era una forza di
verità nuova , ma l'in gegno cra grande, e il cuore quanto l'ingegno » ( 3 ) .
Quell'anno stesso aveva dato una novella prova delle sue atti tudini didattiche
dando alle stampe un'opericciuola : Introduzione allo studio della filosofia
per uso dei fanciulli. Ma nel seguente anno, primo del suo insegnamento , coi
primi due volumi della Filosofia della volontà dedicati al marchese di
Pietracatella, poi e --- ( 1 ) Si conservano nella biblioteca del Cousin ,
appartenente alla Ropubblica, le lettere a lui del Galluppi. Vedi l'art. da me
pubblicato su V. Cousin e l'Italia nella Rassegna bibliograf. della letter.
ital. del 1898, VI , 213. Il Cousin fece tradurre in francese dal Peisse suo
discepolo le lettere del Galluppi ; o questi da F. Trinchera le Lezioni del
Cousin Sulla filosofia di Kant, aggiungendovi cgli delle note, come sarà notato
a suo luogo . Un'affettuosa commemorazione del Galluppi fece il Cousin nel 1847
all'Accademia di Francia , o pubblicò nel Journal des Économistes del febbraio
1847, riportato nell'Omnibus di Napoli del 29 maggio 1847, dove il Galluppi
aveva scritto sul Cousin, anno III ( 1835) , pag. 225 . ( 2 ) Vedi FIORENTINO,
Man . di storia della filos., Napoli, 1887, pag. 609 ; L. SETTEM BRINI,
Ricordanze , Napoli , 1898 , I , 75, e il Discorso cit . del BORRELLI, p . 6 .
( 3) Op. cit . , vol. I , pag. 76.
ammontati a quattro , già composti a Tropea, cominciò a puh blicare le
Lezioni di logica e metafisica, dettate all'Università , vero modello di quel
lucidus ordo tanto raccomandato dal Veno sino . Nel 1834 ne compì la stampa in
tre volumi ; di cui fece nel '40 una seconda edizione e una terza nel 1846 ;
ristampata nel 1853 dal Tramater ; e questa stampa noi citeremo. 8. A proposta
del Cousin il 30 dicembre 1838 , in concorrenza coll'Hamilton che ebbe un solo
voto , veniva nominato socio cor rispondente dell'Accademia delle scienze di
Francia. E il 28 aprile 1841 , a proposta del Guizot , Luigi Filippo lo insigniva
della croce della Legion d'onore (1) Ei se ne sdebitava con le sue
Considerazioni filosofiche sul l'idealismo trascendentale, ossia sul sistema di
Fichte , memoria presentata il 1839 all'Istituto di Francia , accademia delle
scienze morali e politiche ( 2) ; e mandando più tardi , poco prima di mo rire
, uno scritto su la teodicea dei filosofi antichi, che fu inserito come il
precedente negli Atti dell'Accademia. Nel 1842 pubblico il primo volume della
Storia della filosofia , annunziata fin dal '26 . Vi si tratta della filosofia
greca , non però secondo la successione delle scuole , sibbene « considerando e
cri ticando le diverse opinioni dell'Antichità » su l'origine dell'uni verso e
del genere umano fino ai neo-platonici . « Una siffatta opera, dice in un
elogio funebre dell'autore un affettuoso discepolo saria stata monumento
novello di gloria italiana , se a nostra disavventura la vecchiezza , le
malattie , le sciagure non avessero di tale infievolito l'animo di lui , ch'ei
non potè vederla compiuta, ed a perfezione condotta » (3) 9. Infatti gli ultimi
anni della vita del nostro filosofo furono amareggiati da sciagure che ne
affrettarono la morte . Già uno dei figli maschi era caduto , com'ei narra , «
vittima del furore d'un giovane sconsigliato » . Ed egli ne aveva scritto e
stampato (Mes sina, 1818) l'elogio . Nel 1834 poi gli era morta la moglie .
Ora, nel 1844 in una insurrezione scoppiata a Cosenza perdeva la vita un altro
suo figlio, Vincenzo, che era capitano . Il vegliardo ( 1) Vedi la lettera del
Guizot in LASTRUCCI, P. G. studio critico , Firenze, Barbèra , 1890 , p. 112. (
2) Stampate in italiano nel 1841 , da' torchi del Tramater ; un vol. di p. 159
in 4.° Negli Atti dell'Accademia francese furono pubblicato come la successiva
memoria in francese. (3) Elogio funebre di P. G. , per E. PESSINA, in Op. cit .
, p. XIII. ne fu profondamente addolorato e agli amici che tentavano con
fortarlo disse : « Avrei desiderato che morisse per una causa più nobile e
giusta » Morì il 13 dicembre 1846. P. Borrelli , come sopra s'è visto , ne
disse degnamente le lodi presso al letto funebre, il 14, fra una folla di
giovani discepoli , che recarono a spalla la salma compianta alla chiesa di S.
Nicola ; e il giorno 21 gli celebrarono funerali solenni nella chiesa di
Sant'Orsola a Chiaia , in cui recitò un'ora zione il gesuita Carlo Maria Curci
. Giuseppe Campagna piangeva la morte del filosofo in un sonetto filosofico,
lamentando che con lui si partisse dalla terra Una favilla dell'eterno lume ( 1
) . Il 14 marzo 1867 dall'Accademia delle scienze morali e politiche al
Galluppi veniva eretto un busto nella Università degli studi, da lui onorata
con molti altri spiriti magni . 10. Molti scritti aveva ancora in animo di
pubblicare , oltre i ricordati, e molti manoscritti di lui ci son rimasti , ora
in depo sito presso la Biblioteca nazionale di Napoli, i quali fan testimo
nianza della larga estensione degli studi fatti da lui in teologia , storia
dell'antica e moderna filosofia , filologia greca e latina, sto ria ,
matematica, astronomia ( 2 ) . Meno vita modesta e di grande raccoglimento :
assorto negli studi, visse veramente per la scienza , in cui riuscì ad
imprimere orme profonde, rinnovando la filosofia italiana . Egli infatti fu il
solo dei filosofi napoletani da noi studiati, dopo il Genovesi, che esercitasse
una influenza molto notevole al di fuori del regno , su tutti gli studi
filosofici nazionali ( 3 ) , ( 1 ) Pubblicato nel Museo di scienza e lett., X,
348 ; v. DE SANCTIS, La letter . ital. nel sec. XIX , Napoli, Morano , 1897, p.
96 , e nota del CROCE, p. 208 . ( 2) Oltre la memoria ricordata del Tulelli ,
vedi l'olenco dei mss. galluppiani nel l'opuscolo citato dell'avv. Pietropaolo
. ( 3 ) Per la biografia v. anche L. PALMIERI, Elogio stor . del bar. P. G. con
alcuni poe tici componimenti recitati in un'adunan za tenuta per cura di L.
Palmieri in Napoli il di 10 del 1847 , di pp. 32. V'è oltre l'elogio un sonetto
del Campagna, un carme latino di A, Mirabelli, alcune sestine di D. Anzelmi,
un'ode latina di Quintino Guanciali e un so netto « improvvisato dall’egregio
poeta sig . Giuseppe Regaldi che per una congiuntura si trovò presente alla
nostra adunanza » , - Vedi anche la necrologia Morti e morenti di C. CORRENTI,
pubbl. nella Rivista europea del decembro 1846 , ristamp. in Scritti scelti ,
ed. Massarani, Roma, tip . Sonato, 1891 , I , 481-83. L'articolo dell'ab.
ANTONIO RACIOPPI, Il Bar, P. G. , nel Poliorama pittoresco, an. XI ( 1847 , 13
marzo e 20 marzo) , n. 32 e 33 ; l'opu scolo di F. S. BISOGNI , Omaggio alla
memoria del b. P. G. nell'occasione che in Tropea il Munic. e la Prov.
innalzano una statua all'illustre filosofo , Napoli, Morano, 1877 ( in 11.
Nella quattordicesima delle Lettere filosofiche il Galluppi, vo lendo
determinare le relazioni della sua filosofia, ch'egli chiama sperimentale, col
criticismo kantiano, si fa a descrivere le varie fasi attraverso le quali era
passato il suo pensiero . Ma la de scrizione non è molto accurata ed esatta.
Abbiamo visto come fino circa ai trent'anni ( al 1800) suoi autori fossero
Leibniz, S. Agostino e i filosofi della scuola di Cartesio ; e si può dire che
egli fosse in un periodo di dommatismo metafi sico , che rimase poi sempre nel
fondo del suo pensiero ; non solo perchè molto più tardi, quando aveva studiato
anche Kant , con tro di questo egli affermava che « la filosofia è
essenzialmente dommatica, e non può essere che dommatica. Essa dee contenere
delle verità assolute » ( 1 ) ; ma anche per altre ragioni: La lettura di
Condillac gli fece intendere , che c'era una que stione preliminare dą
risolvere prima di ogni metafisica : ricer care, cioè , i motivi legittimi dei
nostri giudizi , quindi risalire all'origine delle nostre conoscenze , rifare,
egli dice , l'intendimento. Condillac e Locke cangiarono insomma la direzione
de' suoi studi . Segue perciò dal 1800 fino circa al 1810, quando venne a cono
scenza del Villers e del Degerando, un periodo prekantiano di revisione della
conoscenza ; al quale periodo appartiene l'opuscolo Sull'analisi e la sintesi,
12. In questo egli concedeva al Locke e ai suoi seguaci, che « tutte le nostre
idee hanno origine da' sensi » , che pertanto « tutte le nozioni universali
vengono a formarsi dal paragone degli oggetti particolari , e ... che le
cognizioni particolari ci menano alle no zioni universali , e non già viceversa
» ( 2) . Ma si proponeva la questione « se lo spirito , tosto che ha for mate
le nozioni universali, possa paragonarle, scovrirne i rapporti, e quindi
applicare questa cognizione universale alle idee parti colari , racchiuse
nell'idea universale , che si è paragonata colle questo opuscolo è pubblicato
uno scrittorello inedito del GALLUPPI Sulla semplice appren sione, pag . 17 e
segg. ) . Uno studio biografico ha pure dato in luce il sig. F. PIETROPAOLO,
nel Pensiero contemporaneo di Catanzaro , an. I , 1899, fasc . 6, 7 e 8. Non
c'è riuscito di vedere la biografla pubblicata nel Giornale dell'equilibrio,
1841, n. 1 (citata dal Palmieri) scritta da P. E. TULELLI « sopra note
comunicatemi questi diceva, accennando molto probabilmente a questa biografia
dall'autore medesimo > ; Atti della R. Accad . d. scienze morali e polit .,
1865, I , 203. ( 1 ) Letl . filos. , p. 342 . ( 2) Sull'analisi, p. 20 .
15 altre » ( 1 ) . Per es . , delle due
proposizioni generali ogni cerchio ha tutti i suoi raggi uguali e ogni corpo è
grave, nella seconda tra corpo e gravità non havvi una connessione necessaria e
il loro rapporto non può affermarsi se non mediante il soccorso dell'espe
rienza ; nella prima invece è nell'idea del cerchio la ragione di affermare
l'uguaglianza de' suoi raggi; e fra le due idee v'è un legame necessario, che
non dev'essere attestato dall'esperienza. V'ha dunque , conchiudeva il
Galluppi, verità generali cui lo spi rito non perviene dalle verità particolari
(sensazioni), « ma per mezzo del semplice paragone delle idee universali,
ch'egli si ha formato » ; e v'ha poi verità generali che derivano dalla
cognizione delle singole verità particolari , che ci fornisce l'esperienza. Le
une costituiscono le conoscenze a priori e necessarie ; le altre le conoscenze
a posteriori e contingenti. Le prime sono principii ana litici, in quanto si
devono all'analisi delle idee“ generali già ac quisite per l'esperienza ;
laddove le seconde sono un prodotto della sintesi delle verità particolari, non
altrimenti che le idee universali . 13. Sicchè già nell'opuscolo del 1807 il
Galluppi era arrivato a quella forza analitica e forza sintetica di cui farà
nel Saggio ( lib . I , § 18 , 34) il fondamento di ogni giudizio, distinguendolo
net tamente dalla sensibilità . In quell'opuscolo si poteva egli dire an cora
puro empirista ? Certo, egli faceva ancora, come il Locke , derivare dalla
sensazione ogni idea universale, e puramente speri mentale faceva ancora la
materia delle conoscenze a priori . Giac chè le idee generali , fra cui può
ammettersi un rapporto neces sario a priori, sono esse stesse sperimentali a
posteriori . Tutta quanta la materia della nostra cognizione deriva
dall'esperienza. Ma un a- priori si ammette nella sintesi , che, elaborando il
dato immediato dei sensi , ci conduce alle idee universali e alle cono scenze
contingenti, e più nell'analisi che ci fornisce conoscenze indipendenti
dall'esperienza . In quell'opuscolo adunque l'empiri smo crudo cui il lockismo
per mezzo dei sensisti francesi era stato ridotto , non era accettato. E
notevole sovrattutto era in esso questa netta distinzione tra conoscenze a
priori necessarie e co noscenze a posteriori contingenti , fatta dal Galluppi
quando igno rava affatto la distinzione kantiana di giudizi analitici e
sintetici alla quale corrisponde precisamente. Ne pare ch'egli allora cono
scesse i Saggi filosofici sull’intelletto umano dell'Hume , nel quarto ( 1 )
Ivi , ibid . dei quali ritrovasi quella
distinzione tra i legami di causalità, fon damento delle cose di fatto e
relazione d'idee, scoperte per mezzo di semplici operazioni della mente, che
giustamente si è voluto preluda alla teorica di Kant ( 1 ) . 14. Nel 1819 , nel
libro I del suo Saggio, la posizione del Gal luppi si determina assai più
chiaramente. Egli , bene o male, ha già studiato Kant, e combatte l'empirismo
di Condillac, di Elvezio , di Destutt - Tracy ; di quel Tracy , che ancora nel
1827 a Firenze , al dire d'un arguto scolaro del Cousin, rappresentava le chef
et maitre, celui qui l'a dit ( 2 ) ; e dichiarava che la geometria, « questa
scienza pura , razionale, è la pietra immobile su cui va a rompersi la macchina
debole dell'empirismo » (S 36 ) ; e che, infine, « non è vero esattamente » ciò
che egli aveva ammesso o , almeno, non aveva combattuto, nell'opuscolo del 1807
: derivare cioè tutte le idee universali dal paragone delle particolari (S 40)
. 15. Parve a lui che la critica di Kant fosse una vera rivolu zione . « La
rivoluzione kantiana , scrisse nella prefazione del Sag gio (3 ), merita , più
di quel che si crede , l'attenzione dei pensa tori » . Asseriva bensì , che il
criticismo non fosse altro che un neo logismo, sotto il quale non si faceva
passare che una questione vecchia, quella dell'origine delle nostre idee. Ma le
prime parole della sua prefazione erano tuttavia le seguenti : « L'oggetto di
quest'opera è la Critica della conoscenza , o l'esame della realtà della
scienza dell'uomo . Che cosa posso io sapere ?... Son io ca pace di conoscenze
reali ? Quali sono i motivi legittimi di queste conoscenze ? Quali sono i
limiti prescritti al mio spirito , limiti che non gli è permesso di
oltrepassare senza precipitare nell'abisso dell'errore ? Tali sono le ricerche
sublimi ed importanti che mi occuperanno » ( 4) . Ora queste sublimi ricerche,
come tutti sanno, sono appunto quelle del criticismo kantiano ; che se è una
rivoluzione, sarà cer tamente una novità. ( 1) Vedi D. JAJA , Saggi filosofici
, Napoli, Morano, 1886 , pag . 189 e sgg. E a quel saggio di Hame fu il
Galluppi ricondotto dal Kant, nella IX delle sue Lettere filosofiche, per
spiegare, esponendo la critica del concetto di causa fatta da D. Hume, perchè
la lettura di essa svegliasse Kant dal suo sonno dommatico . Ma ivi ( p. 171 )
, ricordando la distin zione di Hume tra cose di fatto e relazione d'idee, non
ne avverte punto la parentela con la divisione kantiana dei giudizi. ( 2 ) Vedi
il mio Rosmini e Gioberti, pag . 14. ( 3) Tom . I , p. 9. Cfr. lib . III , § 76
; tom . III , p. 268. ( 4) Cfr. lib. IV , $ 1 .
Se non che, a giudizio del Galluppi , la critica di Kant , « lungi dallo
stabilire la realtà della conoscenza , tende radicalmente a distruggerla » ;
che i suoi risultati sono essenzialmente scettici ; e quindi una buona dottrina
della conoscenza non può costruirsi se non in opposizione a quella critica .
Una critica, insomma, ci vuole ; ma non quella di Kant. E quale dunque ? 16.
Noi non esporremo ne' loro particolari le teorie del Gal luppi e le critiche
delle altrui dottrine ond'egli stabilisce le pri me. E poichè col Saggio
filosofico la sua dottrina è già fissata , senza seguire l'ordine cronologico
delle opere , possiamo dall'una e dall'altra di esse raccogliere i tratti
caratteristici della sua fi losofia e farne un corpo compiuto. 17. Il Galluppi,
come gli antichi psicologi metafisici ammette un sistema di facoltà dello
spirito ; e a capo di tutte pone la co scienza o sensibilità interna . Questa è
la facoltà per la quale lo spirito percepisce , sente se stesso , il me, la cui
esistenza è una di quelle verità primitive, che ci sono attestate
dall'esperienza, ma non si possono dimostrare ; come già pensarono Cartesio e
Leibniz . Nè vale l'obbiezione che noi non percepiamo se non le nostre
modificazioni, e che l'idea del me si dedurrebbe percið da quella delle
modificazioni, pel principio che non v'ha atto senza soggetto . Non v'ha
sentimento delle proprie modificazioni donde si possa separare quello del
proprio essere ; perchè non si può percepire l'astratto, ma il concreto, non il
dolore, ma il me dolente . Il me adunque è un dato dell'esperienza, che bisogna
ac cettare come una verità primitiva di fatto ; e l'atto con cui lo si apprende
, è la percezione immediata. 18. Qui il Galluppi, ritornando alla posizione
cartesiana, ne sente tutta l'importanza. Egli osserva nel Saggio filosofico,
che il defi nire , come si fa comunemente, l'idea per la rappresentazione
dell'oggetto nella mente, separando cosi l'oggetto dalla mente , e il far
consistere quindi la norma della verità nella conformità della nostra
rappresentazione con l'oggetto esteriore, apre irrepa rabilmente la porta allo
scetticismo. « Se gli oggetti , se la re gione dell'esistenza son separati
dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal pensiero all'esistenza , all'oggetto
? Questo ponte si fa consistere nelle immagini degli oggetti. Lo spirito,
dicesi , possiede le immagini degli oggetti ; ma in questo caso lo spirito non
potrà giammai conoscere la conformità di queste immagini cogli originali, e la
verità andrà sempre lungi da lui » ( 1 ) . Me ( 1) Saggio , lib . I , 8 15 ( I
, 37) . morabili parole , per cui il Galluppi non solo non è un prekan tiano ,
come credono i più , ma va innanzi al Kant dei neokan tiani ; del quale egli in
questo luogo discopre espressamente il vizio principale , notando che il
fenomenismo critico è una con seguenza della falsa posizione volgare
dell'oggetto rispetto al sog getto , presunta dalla definizione dell'idea testé
riferita . 19. L'idea del me, a proposito della quale l'autore fa queste
osservazioni, non ci deve esser data da una percezione che sup ponga il termine
percepito opposto al soggetto percipiente : « L'Io ed i suoi modi non sono
separati dall'atto della coscienza , ma gli sono presenti . La coscienza li
prende dunque immediatamente, e fra questa percezione e gli oggetti percepiti
non v'ha alcun intervallo . Questa coscienza , questa percezione è dunque
l'appren sione e l'intuizione della cosa percepita » (§ 16) . E le intuizioni,
secondo il Galluppi , « son vere , non perchè son di accordo cogli oggetti , ma
perchè elleno agiscono immediatamente sugli oggetti , e li prendono » ( 1 ) .
Nè bisogna cercare di definire la percezione, perchè non se n'ha se non una
nozione semplice, e ognuno pud solo rimettersene alla propria coscienza per
istruirsene . Il semplice, adunque , il principio da cui parte il Galluppi, è
questa immediata coscienza di sè , che egli dice percezione o in tuizione ; la
cui verità è fondata nella identità dell'essere e del pensiero, come in
Cartesio . « Tutta la scienza dell'uomo riposa su la base unica della coscienza
di se stesso » ( Saggio, lib . IV, § 3) . 20. Sicchè la filosofia del Galluppi
è un vero soggettivismo , come si può vedere anche dal suo concetto della
filosofia . « Che cosa è mai la filosofia ? Ella è , rispondono alcuni
filosofi, la scienza di ciò che è . In conseguenza ella è la scienza dell'uomo
, del mondo, di Dio. Una tal definizione suppone, che l'uomo possa giugnere a
conoscere se stesso, il mondo e Dio. Ma, dicono altri filosofi, bisogna prima
esaminare se l'uomo può saper qualche cosa ; e su qual fondamento può egli
saperla . La conoscenza dei nostri mezzi di conoscere è certamente una
conoscenza prelimi nare alla scienza delle cose . Da ciò segue che la filosofia
pud riguardarsi sotto due aspetti , o come la scienza delle cose , o come la
scienza della scienza umana . Considerata sotto il primo aspetto , ella può
chiamarsi scienza oggettiva ; considerata poi sotto il se condo, può chiamarsi
scienza soggettiva. Ma se la filosofia è la scienza prima, la quale dee
contenere la legislazione di tutte le ( 1 ) Li investono, dice più innanzi.
altre scienze , voi vedete bene esser necessario di considerarla nel secondo
aspetto . A cið tende la celebre massima dell'antichità conosci te stesso . Io dunque
la riguarderò come scienza sogget tiva » ( 1 ) . E « scienza della scienza » la
definisce già negli Ele menti di ideologia (S III). Negli Elementi di filosofia
morale (SI) la dice : la scienza del pensiere umano, distinguendola in
teoretica e in pratica , secondo che studia l'intelletto o la volontà . Egli ha
insomma un concetto moderno della filosofia, giustificato dal suo principio :
che è la coscienza di sè . 21. Ma come, partendo da tale principio, egli
costruisce la realtà conoscitiva ? E qual carattere dà al suo soggettivismo la
sua costruzione ? Prima di tutto , avverte giustamente il Galluppi , bisogna di
stinguere l'ordine cronologico delle nostre conoscenze dall'ordine scientifico
( 2) , Noi abbiamo con la prima sensazione e come fonda mento di essa la
coscienza del nostro Io ; ma essa non è certo una coscienza di riflessione ( 3
) . Vale a dire , c'è di fatto questa co scienza che è il Primo scientifico ;
ma non si rivela se non alla riflessione filosofica posteriore , molto
posteriore, cronologicamente. Perchè questa coscienza primitiva si rivelasse
effettivamente, lo spirito dovrebbe cominciare da un giudizio ( lo esisto ), ed
essere già in possesso dell'idea astratta di esistenza , laddove ei comincia
invece da una percezione o sensazione che voglia dirsi . Comincia da una
percezione complessa : dalla percezione del me che riceve delle modificazioni,
dalla percezione del me che percepisce il fuor di me. Ora lo spirito presta
successivamente la sua attenzione ai diversi elementi che compongono l'oggetto
di questa prima percezione, decompone , divide questo oggetto ; poi lo
ricompone di nuovo e forma il giudizio, che è perciò il pro ( 1 ) Lett. filos.,
lett . I ; ediz . cit. , p. 37-8 . Questo stesso concetto è svolto nella
Prolusione del 1831: Introduzione alle lezioni di logica e di metafisica del
bar . P. G. , Napoli, Ga binetto bibliografico e tipografico , 1831, di pp. 30
in-8. ° (ristampata in fronte alle Le zioni di logica e di melafisica , vol. I)
e nelle primo tre di questo lezioni. Vedi puro il suo articolo Filosofia nella
1." dispensa dello Ore solitarie del 1838 (rivista diretta al lora da
Lorenzo Riola , P. S. Mancini e Luigi Curion , più tardi dal solo Mancini), pp.
9-11. Nella Continuazione delle Ore solitarie ovvero Giorn . di scienze morali,
legislat. ed econom. , 1842, fasc . I e II , pp. 7-14, è un altro scritterello
del GALLUPPI: Sul panteismo del signor Lamennais. ( 2) Saggio filos., lib. I ,
§ 22 ; tom . I , p. 49. (3) Ivi, $ 20 ; I , 45 . dotto dell'analisi e della
sintesi della percezione complessa ( 1 ) . Sic chè bisogna ammettere nello
spirito , oltre la facoltà della sensibi lità ( interna o coscienza, ed
esterna) , quelle dell'analisi e della sintesi. 22. Il fuor di me ci viene
offerto adunque dal me, da quella coscienza che cogliendo il me lo coglie
modificato dal fuor di me. Questa coscienza, che il Galluppi dice pure
sensazione, corri sponde , come bene osservò lo Spaventa, alla coscienza
sensibile dell'Hegel ; è l'unità ancora confusa ed indistinta di soggetto ed
oggetto. Allorchè, dice il Galluppi, la modificazione esterna « è percepita col
me, che modifica , io non ho ancora che una per cezione ; ma quando ella è
riguardata come distinta dal me, e poi riunita a lui dall'atto dello spirito ,
io allora giudico » ( 2 ) ( Saggio, lib . I , § 18) . Ora, se conoscere è
questo distinguere e unire , è chiaro che conoscere pel Galluppi non è sentire
( percepire) , ma giudicare . Quindi egli combatte i sensisti, insistendo sulla
dif ferenza sostanziale che corre tra sentire e giudicare, notando come
giudicare importi necessariamente un rapporto , e come non sia possibile
indicare l'impressione esterna, l'organo sensorio che ci manifesta la
conoscenza del rapporto ( 3) . La forza analitica e la forza sintetica dello
spirito sono distinte dalla sensibilità (4) ; come già aveva sostenuto
nell'opuscolo del 1807 . 23. La coscienza sensibile è adunque l'unità
fondamentale del conoscere ; l'unità che è condizione dell'analisi e della
sintesi , ne cessaria a tutti i nostri giudizi . Ma come si giustifica questa
unita ? Il fuor di me è sentito , dice il Galluppi , come un molteplice del
quale ciascuna parte è distinta dall'altra e le modificazioni di una parte non
sono, nel mio sentimento, le modificazioni delle altre . Il tronco di un albero
è distinto dai rami : ciascun ramo è distinto da un altro : il moto di un ramo
può stare senza il moto di un altro e di tutto l'albero ( 5 ) . Questa
molteplicità si raduna nel me, il quale alla coscienza si rivela sempre lo
stesso , sia che ( 1 ) Saggio filos. , lib . I , § 18, ed Elem . di Psicologia
, & VIII . ( 2) Lo stesso è detto negli Elem , di Psicol., 8 VIII in fine.
( 3) Saggio, lib. I , § 32 ; I , 69. II Galluppi riferisce un notevolissimo
passo dell'Emilio di Rousseau ( lib . IV) sul valore del giudizio ; passo che
conferma la parentela che col fllosofo ginevrino ha quello di Koenigsberg . (
4) Ivi, 8 34 ; I , 73. (5) Elem . d'Ideologia , 8 XXIV , ediz . cit ., p. 56
. ragioni, che giudichi, o che
percepisca ; talchè « il soggetto di un giudizio può avere una composizione
fisica ed una unità logica ( 1 ) che gli vien conferita dal pensiero , che
appunto sintetizza nella sua unità il molteplice fisico . Questa unità del
pensiero s'addi manda unità sintetica , la quale se si ravvicina a quella forza
analitica e forza sintetica che s'è accennata , s'intenderà come un'attività
distintiva e unitiva insieme . E un'attività sintetica originaria dell'essere
conoscitore appunto è ammessa dal Gal luppi ( 2 ) . 24. Ora la coscienza di sè
coglie adunque l'Io che sintesizza , uno e semplice, indivisibile. E l'unità
sintetica del me, suppone percið l'unità metafisica del me stesso che « è la
semplicità o spi ritualità del principio pensante. Senza di essa non sarebbe
possi bile la scienza, poichè la scienza suppone la riunione di tutti i
pensieri da' quali si compone ; ed essendo un pensiere distinto dall'altro ,
come si farebbe l'unione di questi pensieri senza un centro di unione ? Ove si
incontrerebbero i diversi raggi del sapere ?... L'agente che costruisce, è
necessario che abbia tutti i materiali della costruzione » . « L’io di Newton ,
ripete qui il Galluppi, che ritrova il calcolo sublime è lo stesso io che ha ap
appreso la numerazione aritmetica. Senza l'unità metafisica del me non sarebbe
possibile l'unità sintetica del pensiere, e senza l'unità sin tetica del
pensiere non sarebbe possibile alcuna scienza per l'uomo ( 3) . Questa unità
sintetica della coscienza originaria ha una intrin seca parentela , come ognun
vede, coll'appercezione originaria di Kant. Col quale il Galluppi s'accorda nel
ritenere che « l'essenza particolare specifica dello spirito umano > ci è
ignota affatto ( 4 ) . 25. Ma data questa coscienza originaria, che forza
analitica e sintetica insieme , tutte le nostre conoscenze derivano , secondo
il Galluppi , dai sensi ? Nel libro I del suo Saggio filosofico egli , rife
rendosi allo scritto del 1807, scrive : « Io suppongo in tale opu scolo che
tutte le idee universali derivano dal paragone delle particolari ; ma cið non è
vero esattamente, poichè vi sono alcune idee soggettive > (8 40) . La tesi
degli empiristi che non ammettono nella nostra conoscenza se non elementi
oggettivi, è insostenibile . ( 1 ) Elem . d'Ideol., ivi. ( 2 ) Lettora ad A.
Rosmini, Tropea , 23 aprile 1830, nella Sapienza, rivista di filos. e lettere ,
fasc . del 15 marzo 1885, p. 165. Cfr. il mio Rosmini e Gioberti, p. 79. ( 3 )
Elem . d'Ideol., & XXV, pp. 61-2 ; cfr . Saggio, lib . III , SS 50-1 . ( 4)
Saggio, llb. IV , 8 98 , V, 418. ma In
quell'autobiografia intellettuale che è nella quattordicesima delle sue Lettere
filosofiche il Galluppi dice, che il problema della sua filosofia
dell'esperienza fu questo : « Ma lo spirito umano è un agente ; e colla sua
azione non potrebbe forse sviluppare dal suo interno qualche elemento che egli
non riceve , ma che produce ? E questo elemento soggettivo non potrebbe forse
esser tale , che lasciasse intero l'elemento oggettivo , che cooperando collo
stesso non recasse alcun nocumento alla realtà della conoscenza , l'estendesse
e la fecondasse ( 1 ) ? 26. Infatti, questa rimaneva la più grave difficoltà
del Gal luppi contro l'a priori: che l'a priori con la sua soggettività
scalzasse la realtà della conoscenza, come rimproverava a Kant per le forme
dell'intuizione e dell'intelletto e come rimproverava al Rosmini per la idea
dell'Ente indeterminato ( 2) . Perchè egli non ebbe il giusto concetto delle
categorie kantiane , ritenendole quasi preformazioni dell'intelletto . Del
resto , nella critica che fa delle idee innate , pure avendo combattuto nel
primo libro del Saggio l’in natismo di Leibniz , si può ben dire che ne accetti
il principio ne gli Elementi di ideologia (8 XXIII) . Egli distingue idee
accidentali all'intelletto e idee essenziali. Le une non tutti gli uomini
possono formarsele, perchè non a tutti è dato di avere le sensazioni che sono
il materiale donde l'analisi può ricavare coteste idee . Le altre non mancano a
nessun uomo, perchè derivanti da sensazioni co muni a tutti . Sicchè anche le
idee essenziali dell'intelletto pre suppongono l'esperienza ; e « se per idee
innate si vuole intendere idee , che non sono il prodotto della meditazione
(analisi) su i sentimenti (sensazioni) , tali idee non hanno esistenza » . Ma,
« se per idee innate s'intendono quelle idee , di cui ogni uomo porta
costantemente in se stesso i germi per isvilupparle , e che ogni uomo capace di
meditare pud in qualunque luogo ed in qua lunque tempo acquistare , idee che ho
chiamato idee universali all ' intelletto, l'esistenza di siffatte idee mi sembra
incontrastabile ... Noi conveniamo con Locke, che tutte le nostre idee hanno la
loro origine ne' sentimenti : conveniamo ancora, che tutte le idee sono
acquistate ; ma crediamo di dover fare distinzione fra idee generali , e di
ammettere alcune idee per l'acquisto delle quali ogni uomo porta costantemente
in se stesso i materiali necessari; da questi germi, che sono nello spirito si
sviluppano le idee essen ( 1 ) Op. cit . , p. 343. ( 2) Vedi il mio Rosmini e
Gioberti, p. 79 e sgg. ziali al pensiero umano, e che si ritrovano in tutte le
lingue » . Donde è chiaro che il Galluppi tiene per innate nel senso leibni
ziano , di attitudini, disposizioni, germi, coteste idee essenziali
all'intelletto , quali sarebbero le idee di corpo , spazio, causa, unità ,
numero, ecc .; comecchè tutta la sua Ideologia sia una deduzione di queste e
altre simili idee dalle sensazioni. 27. Ma, quali sono queste sensazioni o
sentimenti portati costan temente da ogni uomo in se stesso ? Se ogni uomo li
possiede co stantemente, essi sono necessari , essenziali costitutivi dello spi
rito . Lo spirito è questi stessi sentimenti. E come potrebbe es sere
altrimenti, se tali sentimenti devono servire alla formazione di idee
essenziali all'intelletto ( facoltà conoscitiva in generale) ? Il Galluppi
dice, che essi sono i sentimenti « che in qualunque luogo, ed in qualunque
tempo modificano lo spirito di ogni indi viduo del genere umano » ( 1 ) .
Dunque, essi sono immanenti real mente allo spirito , nè questo si può
concepire senza di essi . Ora tal carattere nella filosofia del Galluppi
compete solo ai senti menti del me e del non me inscindibilmente legati fra
loro , costi tuenti il gran fatto , il Primo, dal quale deve cominciare la
filosofia . « Questo fatto è universale per tutti gli uomini, per tutti i
luoghi, e per tutti i tempi. Il complesso de ' sentimenti racchiusi in questo
fatto dee dunque riguardarsi come essenziale all'umano intendi mento » ( 2 ) .
Il quale, fornito della forza di analisi e di sintesi , può con la sua azione
feconda sviluppare da questi sentimenti e così produrre tutte le idee che gli
sono essenziali ( 3) . Ma la stessa produzione è essenziale , se i prodotti
sono essenziali ; tal chè lo spirito , partendo dall'indistinta e oscura
coscienza del me e del fuor di me, non raggiunge il grado dell'intelletto , se
non per questa spontanea produzione che fa , mediante l'attività ond'è for nito
, delle idee di sostanza, causa , corpo, spazio , tempo , unità , numero , ecc.
, di cui ha in sé i germi indefettibili. 28. Intorno al valore di questo
virtuale a priori del Galluppi si può esser tratti in inganno da certe sue
espressioni, dalla sua polemica contro l'innatismo, dal bisogno da lui così
spesso e for temente affermato dell'esperienza, che è esperienza sensibile, come
unica sorgente delle conoscenze reali . Ma bisogna attender bene al valore
della sensibilità nella teoria del Galluppi . La sua sen sibilità è coscienza ,
è sentir di sentire , è l'unità ancora indistinta di soggetto ed oggetto, che
egli concepisce come Primo attivo e ( 1 ) Saggio , lib. III , § 49. Ivi. ( 3)
Ivi. produttivo ; di cui vedremo quanto si gioverà a fondare l'ogget
tività del conoscere . Ora , dato questo Primo come coscienza sen sibile , egli
non può ammettere più un intelletto opposto al senso e ricco a priori di
determinazioni dal senso indipendenti. Perchè l'intelletto è uno sviluppo del
senso e le sue determinazioni es senziali non possono non essere contenute
virtualmente nel senso insieme con l'attività che possa dallo stato virtuale
portarle al l'attuale , fecondandone i germi. E questo è , come tutti sanno ora
o dovrebbero sapere, il vero concetto dell'a -priori kantiano , preparato dalle
virtualità innate di Leibniz ; e in que sto concetto il Galluppi evidentemente
sorpassa e si lascia addietro il kantismo volgare, com'egli l'intese e come
tuttavia si vuol sostenere dai neocrịtici , che concepiscono senso e intelletto
in assoluta opposizione , in un dualismo inconciliabile . Questo punto della
filosofia del Galluppi non è stato studiato e apprezzato ancora abbastanza ( 1
) . La idea essenziale del Galluppi corrisponde preci samente all ' acquisitio
originaria , con cui Kant definiva il suo a priori nella famosa lettera
all'Eberhard, come l'idea accidentale all'acquisitio derivativa . Sono idee
acquisite le idee essenziali come tutte le altre idee ; ma esse sono le
acquisizioni originarie che la coscienza fa per la sua propria attività salendo
al grado del l'intelletto . 29. Fermata questa teoria , il Galluppi ha ragione
di scrivere : « Io non ho ammesso idee anteriori a ' sentimenti, in modo che
non gli suppongano neppure come condizione ; ma ho ammesso alcune idee
essenziali all'intendimento , ed ho stabilito questa dottrina sopra solidi
fondamenti... lo nego le idee innate nel senso di idee anteriori ed
indipendenti assolutamente da' senti menti ; io le ammetto nel senso di idee
naturali, o d'idee per l'acquisto delle quali si possiede una disposizione o
virtualità naturale » ( 2) . E poichè così viene a dire il medesimo del Kant
bene inteso , a me pare che abbia pur ragione di soggiungere : « Io dunque
credo di aver trovato il mezzo di conciliazione fra i due sistemi contrari su
la formazione delle nostre idee » ; come è merito reale di Kant, che
naturalmente il Galluppi non poteva riconoscere , di avere operato siffatta
conciliazione del puro em pirismo e del puro intellettualismo . ( 1 ) Il meglio
che se ne sia detto sono le tre pagine dello SPAVENTA, nella sua mo moria Kant
e l'empirismo ( 1880) , rist . in Scrilti filosofici, Napoli, Morano, 1900, pp
. 81-114. (2) Saggio , lib. III , 8 86 ; tom . III , pag. 303. Per fare
intendere meglio la propria dottrina il Galluppi la raffronta a quella del
Leibniz. Conviene con l'autore dei Nuovi saggi sull’intelletto che lo spirito
non è tabula rasa ; « che vi sono molte idee, che lo spirito ricava dal fondo
del proprio essere , meditando (1) sul sentimento di se stesso » ; non solo gli
accorda che sono in noi queste disposizioni e virtualità naturali, ma am mette
certe modificazioni passive o sia i sentimenti, che contengono i materiali o le
condizioni di tutte le idee naturali ( 2) . E, dichia rando meglio la dottrina
del Leibniz , ripete che riconosce con lui esservi « molte idee essenziali
all'intendimento , che l'anima non ha bisogno di ricavare dalle impressioni de
' sensi esterni, ma che può ricavare dal proprio fondo » ( 3) . Le idee sono
innate come attitudini o virtualità naturali. E questo ritiene anche il Gal
luppi. « Ma io non mi contento di rimanermi in idee vaghe : io determino le mie
espressioni. L'anima nostra ha un'attitudine , una preformazione naturale per
alcune idee ; poichè : 1. ° ella ha originariamente ed incessantemente i
sentimenti necessari a for marsi tali idee ; 2. ° questi sentimenti sono i
materiali delle idee , o le condizioni indispensabili per le idee ; 3.0 l'anima
ha origi nariamente nella sua natura le facoltà necessarie per formarsi tali
idee ; 4. ° l’anima ha in sé originariamente la disposizione, che pone in
esercizio le facoltà elementari della meditazione » ( 4 ) . 31. Data questa
dottrina, ch'egli ben dice non potrebbe esser contrastata dalla stessa scuola
di Locke , s'intende agevolmente perchè il Galluppi continui sempre , in tutte
le opere sue , a com battere l'a - priori kantiano , inteso come parte di conoscenza
già formata avanti all'esperienza ; esperienza , che era per lui , come
vedremo, la sorgente dell'oggettività, della realtà del sapere umano . La
filosofia è essenzialmente dommatica, egli ha detto ; e kan tismo per lui
significava scetticismo, in grazia appunto di quel l'a -priori soggettivo,
anteriore ad ogni esperienza, onde reste rebbe inquinata, secondo la teoria di
Kant, tutta la conoscenza. Pure riuscì anch'egli a certe idee soggettive , che
ammise come costitutive della conoscenza , e innocue , benchè soggettive, allá
realtà di essa . Quali sono cotali idee ? 32. Per rispondere a questa domanda
bisogna dare un cenno delle sue teorie dell'analisi e della sintesi . Queste
due facoltà non sono soltanto , come s'è visto , il fondamento di ogni giudizio
, ma ( 1 ) Meditazione dice il Galluppi l'analisi e la sintesi insieme. ( 2)
Ivi, pp. 305-6 . ( 3) Ivi, p. 309. (4) Ivi, pag . 812. il fondamento anche di
ogni idea universale. Giacchè ogni idea universale nasce dalla sintesi degli
elementi comuni che l'analisi discopre in più percezioni simili. L'analisi e la
sintesi sono quindi le forze produttive di tutto il conoscere. L'analisi
precede ; segue la sintesi . L'una si presenta sotto quattro forme : come atten
zione propriamente detta , quando lo spirito si ferma a considerare un solo
degli oggetti fornitigli dal senso , escludendo tutti gli al tri ; come
attenzione parziale, quando lo spirito contempla soltanto una parte dell'intero
oggetto , che gli si rappresenta ; come astra zione modale , quando lo spirito
separa il modo dal soggetto cui inerisce ; e come astrazione del soggetto, nel
caso inverso (1), 33. La sintesi è di tre specie : sintesi reale, quando lo
spirito unisce ciò che gli vien dato congiunto dalla esperienza, cioè la
relazione tra il soggetto e le sue modificazioni, o quella tra causa ed effetto
( epperò v'ha propriamente due specie di sintesi reale) ; sintesi ideale
oggettiva, quando scopre relazioni logiche tra oggetti reali ; sintesi ideale
soggettiva , quando scopre , come avviene nelle matematiche pure, relazioni
logiche tra idee nostre , non imme diatamente forniteci dall'esperienza ( 2) ;
cioè le relazioni tra le idee generali . 34. La siņtesi non può riunire se non
per rapporti , le cui no zioni devono essere possedute dallo spirito , a mo' di
categorie . E alle quattro maniere di sintesi corrispondono quattro nozioni di
rapporti , le quali, per ciò che s'è osservato, dovrebbero essere di lor natura
tutte soggettive : e sono le nozioni di sostanza , causa , identità e
differenza ; idee essenziali all'intelletto umano, « sem plici vedute dello
spirito , le quali derivano dalla sua facoltà di sintesi » (3) . 35. Rapporto,
come aveva notato il Laromiguière nelle sue Le zioni di filosofia, è l'atto
della comparazione o l'idea che risulta da questo atto . « Ora se la
comparazione , dice il Galluppi, è una sintesi , e se il risultamento di questa
sintesi è un'idea che non ( 1 ) Elementi di psicologia , $ 25 ; Saggio , lib.
II , capo , $ 139 . ( 2) Saggio , lib. II , cap . XI, $ 147. Il Galluppi
distingue ancora la sintesi immagi nativa come « la facoltà di riuscire in una
percezione complessa , alla quale non corrisponda alcun oggetto naturalo,
diverse percezioni di cui ciascuna ha un oggette naturale fuori dell'attuale
combinazione ( Saggio , ivi, $ 148, e Psicologia , $ 35) . Ma s'intende cho
questa sintesi non ha valore teorico o conoscitivo, ma solo pratico od estetico
. ( 3 ) Saggio, lib. III , § 46. Alcune dello idee semplici, dice ivi più sotto
, « sorgono dall'attività sintetica e queste sono i rapporti risulta da
un'impressione, e che non ha percið un oggetto reale al di fuori, segue che vi
sono idee semplici, le quali sono sola mente soggettive ed un prodotto della
sintesi » ( 1 ) . Suppongono le sensazioni, ma sono prodotti semplici
dell'attività sintetica dell'in telligenza. Infatti seguono, come ogni idea di
rapporto , al para gone , che è un'azione dello spirito . « Pel paragone non
basta che si abbiano nello spirito insieme due percezioni : è necessaria l'a
zione che riferisce l'una all'altra » ( 2 ) . Parrebbe adunque, che le idee dei
rapporti, queste vedute dello spirito , o modi della sua attività sintetica,
non differissero punto dalle categorie kantiane . Ma l'autore afferma
recisamente il contrario . Non vuole aver nulla di comune con Kant; vuol
fondare una vera filosofia dell'esperienza , e afferma come una delle esigenze
ineluttabili della filosofia , che la connessione fra le esistenze , per cui è
possibile la scienza , non deve essere una creazione dello spirito , bensì un
dato dell'esperien za ( 3 ) ; cioè del senso , che per lui , come vedremo, è
norma dell'og gettività del conoscere . Insomma, nota un suo critico , gli
elementi soggettivi ammessi dal Galluppi son sempre determinati da qualche cosa
di reale che si trova negli oggetti ; e Kant percið è scettico , Galluppi no (
4 ) . 36. Ed in verità esso, il Galluppi, scrive che la stessa connes sione
deve essere un dato dell'esperienza , quando si tratta di og getti esistenti
che dan luogo alla sintesi reale : e che questa sin tesi « riunisce gli
elementi reali di un oggetto reale ; e li riunisce perchè li trova realmente
riuniti. Così, dicendo : Io son sensitivo, riunisco al me le sensazioni : ora
tanto l'io che le sensazioni son cose reali , e realmente le sensazioni son
cose reali, c realmente le sensazioni sono unite al me. Quest'unione non è
dunque l'opera del mio spirito : io non posso fare altro che conoscerla
distinta mente . Questa sintesi copia dunque, dirò così , la realtà delle cose,
ed è per cid che io la chiamo sintesi reale » ( 5) . 37. Or dunque, queste idee
di rapporti sono o non sono un pro dotto dell'attività sintetica del soggetto ?
Qui , s'è detto , havvi una flagrante contraddizione. Sentire un rapporto,
secondo il Galluppi è un espressione assurda ; e la connessione delle esistenze
, che è un rapporto necessario , non si potrebbe sentire ; eppure si deve . «
Se fosse creata da noi cotestà connessione , scrive il Fioren ( 1 ) Saggio,
lib. III , § 47. ( 2) Saggio , lib. II , 8 147. ( 3) Saggio, lib. II , &
74. ( 4) LASTRUCCI, Op. cit . , p. 213. ( 5) Saggio , lib . II , § 146 ; cfr .
Psicologia , & XXXI. tino (1), la
realtà della scienza sfumerebbe ; e Galluppi , impaurito delle conseguenze,
contraddice ai suoi principii . Il nesso tra il me, sostanza , e le sue
sensazioni , tra la sensazione e la causa esterna, cotesto doppio rapporto è
sentito . Ei non osa dire sen tito , e dice : è dato » . La questione è
importante e merita ogni più seria considerazione . 38. Prima di tutto bisogna
distinguere , come fa il Galluppi , le due nozioni di causa e di sostanza , da
quelle di identità e diver sità. Le une sono un prodotto della sintesi reale ,
le altre della ideale ; le une sono dei veri rapporti reali , le altre semplici
rap porti logici . Ora questi rapporti logici sono veramente creati dallo
spirito , nascono per l'attività di questo , sono idee dello spirito e nulla
fuori di queste idee ( 2) . Di esse l’autore dice che « lo spi rito non riceve
dal di fuori questi elementi semplici ed essenziali delle sue conoscenze , ma
li ricava dal proprio essere » ( 3) , cioè li produce . Esse corrispondono
appuntino alle categorie kantiane . Nè vale opporre , come altri ha fatto ( 4)
, che anche questi rapporti presuppongono l'esperienza, e ricevono da questa i
termini , fra cui intercedono . I termini fuori del rapporto , ho detto
altrove, cioè prima del rapporto , sono termini del rapporto ? E si badi che
dell'esperienza il Galluppi ha un concetto tutto kantiano, perchè essa consiste
, secondo lui , « nel giudizio , il quale vede un rap porto fra i nostri
sentimenti » ( 5) . 39. Il solo errore del criticismo , che ha de ' semi
preziosi di verità, consiste nell’aver troppo generalizzato riguardando « tutti
i modi di connessione fra le nostre percezioni come soggettivi » , negando la
sintesi reale, confondendo l'esperienza primitiva, cui la sintesi reale dà
luogo, con l'esperienza secondaria , scientifica e comparata , che è produzione
soggettiva della sintesi ideale . Dunque, a confessione del Galluppi stesso (
6) , egli è schietta mente kantiano nella teoria della sintesi ideale , come
attività sin tetica generatrice delle due idee di rapporto , identità e
diversità , all'occasione delle sensazioni , che ne sono condizione indispen
sabile . ( 1 ) La filos. contemp. in Italia, Napoli , Morano , 1876, p . 195. (
2) Psicologia, 8 32. ( 3) Saggio, libro III , § 77. ( 4) LASTRUCCI, p. 213. Il
GALLUPPI ( lib. III , $ 77 del Saggio) non parla di esperienza , ma di
sensazioni, supposte cronologicamente como a condizione indispensabile » delle
idee d'identità e diversità . (5) Saggio , III, 76. ( 6) Vedi anche Lettere
filosof ., XIV , p. 347. Soggettive pur
sono le idee di causa e di sostanza . Ma il Galluppi distingue fra soggettivo e
soggettivo . V'ha, egli dice , il soggettivo rispetto all'origine, e v’ha il
soggettivo rispetto al valore ; e altrettanto dicasi dell'oggettivo. Altra è la
questione dell'origine delle conoscenze , altra è la questione della realtà
loro . « Io dichiaro , scrive l'autore , che per oggettivo in tendo ciò che
nelle nostre cognizioni deriva dagli oggetti che si conoscono, e per soggettivo
ciò che nelle stesse deriva dal soggetto conoscitore . Questi due vocaboli si
prendono ancora in un altro senso, quando si parla della realtà delle nostre
conoscenze : l'og gettivo dinota allora quell'elemento della nostra conoscenza
, a cui corisponde una realtà in sè , ed il soggettivo dinota ciò a cui non
corrisponde nessuna realtà » ( 1 ) . Dunque le idee di causa di sostanza sono
soggettive per l'origine, ed oggettive rispetto alla realtà, epperò si dicono
relazioni reali , laddove, quelle di identità e di diversità sono soggettive ,
e per l'origine e pel valore , e son dette perciò semplici relazioni logiche .
E però resta fermo, che anche le idee di sostanza e di causa siano un prodotto
dell'attività sin . tetica dell'intelligenza, perchè da essa derivano ; il
senso è inca pace di darcele . Se non che esse, invece di avere un semplice
valore logico , hanno una corrispondenza nella realtà , pel nesso, che è tra la
sostanza e i modi, tra la causa e l'effetto . 41. Ma il Galluppi dice che il
rapporto della sintesi reale ( sia di causa , sia di sostanza ) è dato
dall'esperienza . Si , ma devesi inten dere, dato rispetto alla realtà
oggettiva di cotesto rapporto. Dato in quel luogo del Galluppi , che pur
bisogna metter di accordo con tutta la sua dottrina, vale solo oggettivo
(rispetto al valore). 42. La difficoltà vera è la seguente : come ciò che è
soggettivo rispetto all'origine , può essere oggettivo rispetto al valore ? Que
sto è lo scoglio della filosofia della esperienza propugnata dal Gal luppi ; ma
è pur uopo notare i grandi sforzi fatti da lui per evi tarlo. S'egli si fosse
sempre ricordato dell'osservazione, dianzi ac cennata , relativa alla comune
definizione delle idee : che cioè non bisogna separare ed opporre oggetto a
soggetto, ove non si vo glia incorrere nello scetticismo , non avrebbe
avvertita nessuna dif ficoltà in questa questione della sintesi , circa la
soggettività della sua origine e l'oggettività del valore. Egli non avrebbe
concepito un'oggettività distinta dalla soggettività. ( 1 ) Saggio, lib . III ,
$ 46 ; tom . III , p. 159-60 . 43. Di quell'osservazione fondamentale si
ricorda certamente nella sua teoria dell'oggettività di tutte le sensazioni, quando
af ferma che la sensazione è la intuizione dell'oggetto , e sog giunge : « Per
non far nascere equivoco in una materia molto importante, io chiamo intuizione
la percezione immediata dell'og getto , in modo che l'esistenza della
percezione supponga neces sariamente quella dell'oggetto . Se ogni sensazione è
di sua na tura la percezione di un oggetto esterno al principio sensitivo ( 1 )
, se quest'oggetto non è rappresentato dalla sensazione, esso è dunque reale,
come è reale la sensazione. La realtà dunque del l'oggetto sentito mi è data
dall'atto della coscienza ; il quale mi . dà la realtà della sensazione : ecco
dunque la realtà esterna fra le verità primitive di fatto ; ecco risoluto uno
dei problemi fon damentali nella critica della conoscenza » ( Saggio, lib . II
, § 71 ) . In tutta la teoria dell'oggettività del conoscere si può dire adun
que, che il Galluppi confermi ciò che aveva detto fin dal primo capitolo del
suo Saggio circa la coscienza, o conoscenza prima , conoscenza del me e dei suoi
modi ; coscienza fatta consistere appunto in un'intuizione immediata, tale che
« fra questa perce zione e gli oggetti percepiti non v'ha alcun intervallo » .
Pare che per tutta la sfera della conoscenza immediata ei sia disposto a
chiedere, come aveva chiesto infatti a proposito della comune definizione delle
idee in generale: « Se gli oggetti, se la regione dell'esistenza son separati
dallo spirito , chi getta un ponte per passare dal pensiero all'esistenza ,
all'oggetto ? » - Argomento insolubile, com'egli dice , ai filosofi dommatici.
44. Senso ed oggetto , sia che si tratti di senso intimo o di senso esterno ,
non si possono scompagnare. Il senso è la misura adeguata e sicura della
realtà, comecchè il dato del senso debba poi venire elaborato dalla forza
analitica e sintetica dello spirito onde si perviene alle idee e a'giudizi. Il
senso costituisce , per le idee e i giudizi cui dà luogo, l'esperienza
primitiva o imme ( 1 ) Il Galluppi non ammette l'incosciente : « La scuola di
Leibniz ammotte delle percezioni di cui non si ha coscienza : alcuni Allosofi
adottano questa opinione ; ma molti altri, co' quali io son d'accordo, non
ammettono alcuna percezione, di cui non si abbia coscienza ... Non si può
percepiro alcun oggetto come un fuor di me, senza perco pire il me, poichè la
percezione di un di fuori è ossenzialmente la porcezione di più oggetti ; se
non vi ha due oggetti , non vi è un di fuori. Se la percezione di un ſuor di me
non è possibile senza quella del me, segue che non possono esservi nello spirito
delle percezioni senza osser sentite ) . Elem . di psicologia , 8 XVII. 16 diata ( 1 ) ; immediata rispetto all'oggetto
, in cui s'appunta imme diatamente nella intuizione. Dall'esperienza primitiva
va distinta poi la comparata, o derivata o secondaria , la quale consta dei giu
dizi d'identità o diversità che noi portiamo sulle idee offerteci dalla
primitiva esperienza : giudizi d'un valore puramente logico e soggettivo . I
giudizi della esperienza immediata hanno per og getto gl'individui . Questa
acqua ha la qualità di estinguer la sete . Questo calorico liquefà la neve
vicina . Sono giudizi particolari, che non si possono generalizzare, nè possono
costituire l'esperienza secondaria , fondamento delle scienze , se con le
impressioni sensibili , coi dati oggettivi non si combinano quegli elementi
soggettivi , che sono le due vedute dell'identità e diversità . Per dire la
propo sizione generale : l'acqua estingue le sete , - io devo, in seguito alle
successive esperienze delle varie acque che m'hanno estinto la sete ,
comprendere sotto una nozione generale tutte queste acque , e le azioni loro di
estinguer la sete ; il che significa che lo spirito dee vedere un rapporto
d'identità fra questi soggetti particolari e fra le loro particolari qualità (
2) ; rapporto d'identità che il senso non mi può fornire ; perchè esso non mi
dà che successivamente le singole acque. 45. Della scienza si potrà dire
giustamente che è una costru zione soggettiva per mezzo dei materiali offerti
dalla esperienza primitiva. Il Galluppi, in verità , non può attribuire altro
valore che questo , che è il kantiano , alla scienza. Se la conoscenza vera
della natura ci vien fornita dalla scienza , anch'egli deve dire.col Kant, che
lo spirito , legando gli sparsi caratteri datigli dal senso , costruisce il
gran libro dalla natura . Eppure.egli ritiuta ( Saggio , III , S 83) una tal
soluzione. « La distinzione delle due esperienze, egli dice , è della più alta
importanza, per determi nare il valore delle nostre conoscenze » ( $ 78) . È della
più alta importanza, perchè se i rapporti di sintesi ideale nell'esperienza
derivata sono soggettivi , quelli di sintesi reale nell'altra espe rienza sono
essenzialmente oggettivi; in questa esperienza (pri mitiva ) l'esistenze son
date allo spirito : egli ne è spettatore , e non il conoscitore : una
connessione fra l'esistenze gli è anche data : egli dee conoscerla , non
ispiegarla o comprenderla » (S 83) . Ma questa distinzione non tocca punto la
soggettività della scienza , in quanto prodotto della sintesi ideale ; anzi la
conferma. Il Gal ( 1 ) Saggio , lib. III , $ 78, tom . III , p. 275 . ( 2)
Soggio, loc . cit. luppi nella epistemologia è un kantiano puro. Checchè egli
ne dica , tale è la sua dottrina. 46. Ed ecco la stridente contraddizione cui
lo condusse il suo voluto sperimentalismo. La scienza , la parte più certa
della cono scenza, è soggettiva ; e la conoscenza sensibile è di sua natura
oggettiva ; che , per lui , è come dire che la scienza è rosa dal tarlo dello
scetticismo , laddove l'esperienza sensibile è certa e reale . Le conoscenze
necessarie ed universali , che sono il pernio di ogni specie di conoscenze,
hanno un valore puramente logico, e le conoscenze contingenti e particolari
sono reali . Il che avrebbe dovuto condurre il Galluppi al più schietto
nominalismo ; perchè se le nostre conoscenze veramente oggettive , sono quelle
dateci dai giudizi particolari dell'esperienza immediata, sfuma la realtà
dell'universale . E un realista il Galluppi certamente non Egli combatte
tuttavia l'empirismo nominalistico di taluni seguaci del Locke, come
l'Helvetius , i quali negano le idee universali , asse rendo che quelle, che
tali appariscono , non sono se non termini generali , vocaboli vôti di senso .
« Perchè , dice il Galluppi , al ve dere un uomo che non abbiamo giammai veduto
, noi diciamo è un uomo ? Se non avessimo un'idea universale di questa specie,
come vi rapporteremmo quest'individuo ? L'esistenza delle idee universali nello
spirito è talmente attestato dalla intima coscienza , che si dura fatica a
supporre che vi sia stato chi l'abbia contra stata » ( Saggio, $ 27 , lib . I )
. Nè anche il Locke , secondo il Gal luppi ( 1 ) , nega le idee universali ; e
come Locke egli è concettua lista . Siamo sempre lì : la cognizione universale
, scientifica ha sì un valore , ma un valore logico . 47. E al Rosmini , che
gli dichiarava in una sua lettera di non vedere « come dal soggetto possa
venire l'universalità e la neces sità delle cognizioni . Il soggetto è essere
particolare e contingente, e non può produrre un effetto maggiore di sè » ;
egli rispondeva, che la necessità che ha luogo nelle cognizioni, è una semplice
« legge logica del pensiero umano » , da non confondersi con la ne cessità
metafisica; legge logica espressa dal principio di contrad dizione , e , come
ogni altra modificazione dell'anima nostra , me ramente soggettiva . E aveva un
bel ribattere il Rosmini , che la necessità logica e la necessità metafisica
non sono in fondo che una sola necessità ( in questo punto è tutta la novità,
non pic ( 1 ) Cita il lib. III , cap. 3. ° del Saggio , dove il Locke spiega la
gonesi delle idee universali . cola , –
del Rosmini verso il Galluppi) : « Io non suppongo mica, replicava il Galluppi,
che vi sia una necessità metafisica distinta dalla necessità logica ; ma
solamente combatto quei filosofi che riguardano quella necessità, che è
meramente logica , come una necessità metafisica , che trasformano la prima
nella seconda..... L'origine di tal necessità ( logica ) mi sembra già
determinata ; essa è nella natura del soggetto ..... noi non dobbiamo cercarne
la causa efficiente, ma arrestarci alla causa formale di tal neces sità » ( 1 )
. La sua scienza , perciò abbiamo detto altra volta , come quella di Kant, s'è
chiusa nella cerchia invalicabile del fe nomeno ; sicchè egli riesce , per la
scienza, a quel criticismo che voleva correggere . 48. Gli sarebbe bastato
estendere la - sua teoria della sensibi lità o meglio dell'esperienza primitiva
alla esperienza secondaria . Non l'ha fatto , perchè gli premeva salvare la
realtà del mondo esterno ; e così s'è messo in disaccordo con se stesso ,
accoppiando al criticismo puro dell'epistemologia il più crudo dommatismo nella
gnoseologia. I due elementi in lui non si fondono, e un'in tima contraddizione
travaglia tutta la sua filosofia. 49. Infatti ammessa giustamente come
soggettiva l'origine della nozione che abbiamo della connessione reale delle
cose ( come sostanza o come causa , sussistenza, egli dice per lo più, ed effi
cienza ), il valore oggettivo delle medesime non può essere e non è infatti nel
Galluppi, che una semplice affermazione dommatica. La percezione del me è la
percezione di un soggetto con le sue modificazioni. Sicchè, egli dice , nella
coscienza del me , – che è il principio della nostra filosofia , è data « 1. °
la connessione fra la percezione e l'oggetto ; 2.º fra il soggetto e la
modificazione ; 3." fra la causa e l'effetto , il che vale quanto dire ,
che in questo fatto primitivo ci è data la base della filosofia , e la realtà
delle nostre conoscenze » ( 2 ) . Su per giù , è sempre questa la dimostra
zione data dal Galluppi della realtà delle connessioni tra sostanza e modi, tra
causa ed effetto. Le connessioni sono reali, perchè il me, termine reale della
coscienza è soggetto (sostanza ) di modifi cazioni, e queste modificazioni a
lor volta sono effetto dell'azione del mondo esterno . Ma i termini noi
possiamo percepire, non i rapporti: e i termini in quanto connessi nel loro
rapporto non pos siamo percepirli , se non applicando ad essi quelle nozioni di
rap ( 1 ) Rosmini e Gioberti, pp. 77-80 . ( 2 ) Saggio , lib . II , 8 74 ; tom
. II , p . 161-2. porto , onde già dobbiamo essere forniti. Chi ci garantisce
che i rapporti, che con queste nostre vedute, di origine soggettiva , noi
scorgiamo tra i termini percepiti , abbiano un fondamento ogget tivo ? Chi ci
costruisce questa volta il famoso ponte di passaggio dal soggetto all'oggetto ?
Chi ci sottrae a quell'argomento inso lubile ? Il dommatismo è evidente . 50.
C'è un passo, nel terzo libro ( 1 ) del Saggio, contro la sin tesi a priori di
Kant , che merita qui speciale considerazione. « Il filosofo di cui parliamo, –
scrive il Galluppi, ha confuso l'operazione sintetica co'suoi prodotti, che
sono le percezioni del rapporto fra le idee paragonate. Allora che lo spirito
rapporta un termine della relazione all'altro, egli esegue una sintesi, la
quale è il principio efficiente che pone un termine rapportato. Lo spi rito nel
termine rapportato vede un rapporto, ed esegue con ciò un'analisi , indi unisce
questo rapporto , che aveva separato dal termine rapportato allo stesso
termine, e compie il giudizio. Lo spirito , prima della comparazione, non aveva
che il termine della relazione : dopo la comparazione ha un termine rapportato
: l’atti vità sintetica ha dunque posto dal suo fondo, nel termine della
relazione , il rapporto , e questo rapporto è un elemento sogget tivo aggiunto
all'oggettivo » . - Quale che sia il valore di questa osservazione contro il
giudizio sintetico a priori ( io non credo che ne abbia alcuno ; chè il
giudizio è già avvenuto con quella prima operazione dell'attività sintetica ,
che consiste nel rapportare i termini), certo è notevole e giusto il concetto
del soggettivismo dei rapporti accennato qui dall'autore ; ma vi apparisce pure
evidente falso concetto che ei s'è formato dell'oggetto . Ter mine e termine
rapportato son cose differentissime; il primo è un dato , il secondo è il
prodotto di quel principio efficiente, che è la sintesi . Ma il termine è
termine in quanto è termine rapportato ; sicchè il termine si può dire che
venga posto , rità , dall'attività sintetica dello spirito . E questa è la
dottrina di Kant. Ma se il Galluppi ne avesse piena consapevolezza , non do
vrebbe dire , che lo spirito PRIMA della comparazione non aveva che il termine
della relazione. No , non aveva niente : non c'è prima il termine , l'elemento
oggettivo, a cui dopo venga ad ag giungersi l'elemento soggettivo, il rapporto
: termine e rapporto nascono ad un parto, nè lo spirito può percepire il termine
della relazione , senza il rapporto , nè questo rapporto è nulla di con ( 1 ) $
81 ; tom. III , pag. 283. creto fuori
dei termini ai quali viene applicato . Questo prima e questo dopo, di cui parla
il Galluppi, accusano quella separazione di oggetto e soggetto, quella
opposizione da lui già criticata come punto di partenza donde non sia dato
arrivare a una conoscenza certa . 51. Sicché , anche per le nozioni di identità
e diversità ( alle quali , s'intende , egli si riferisce nel passo ora citato)
il Galluppi si di batte nelle strette della soggettività , come qualcosa di
differente e assolutamente opposta a quella oggettività , che s'era proposto di
fondare contro il criticismo kantiano. Ma le sue velleità empi ristiche rompono
sempre in quel principio fondamentale della co scienza di sè , preso dalla
filosofia di Cartesio, onde si nutrì , come abbiamo notato , la mente di lui
nel suo primo periodo speculativo . E la conclusione del Saggio filosofico è
che tutti i motivi dei no stri giudizii (senso intimo, sensi esterni, evidenza,
memoria, razio cinio e testimonianza degli altri uomini) « hanno per motivo me
diato ed ultimo il senso intimo » : e quindi « tutta la scienza dell'uomo
riposa su la base unica della coscienza di se stesso, e chiunque tenta di
toglier questa base è indegno, che si ragioni con lui ; poichè non si ragiona
col nulla » ( 1 ) . E così nella chiusa delle Lettere filosofiche: « Io ho
poggiato – dichiara l'autore su la veracità della coscienza la veracità di
tutti gli altri nostri mezzi di conoscere ... ; non si può supporre la veracità
di alcun mezzo di conoscere senza supporre la veracità della coscienza, e
supponendo la veracità della coscienza , la veracità di tutti gli altri nostri
mezzi di conoscere segue necessariamente . Così , secondo me, l'aliquid
inconcussum è nella coscienza, ed essa è la base di tutto il sapere umano » (
2) . 52. Ma se si ricordasse sempre, che principio e aliquid incon cussum è la
coscienza, il Galluppi non dovrebbe parlare mai di quella oggettività indipendente
dal soggetto , alla quale vuol ripor tare le relazioni di sostanza e di
causalità ; e in verità non riesce a scoprirne che una origine soggettiva e a
darne una giustifi cazione, come s'è visto , fondata unicamente sul sentimento
del me. Si potrebbe dire , che egli parla di un oggetto soggettivo for nitoci
dalla sensazione, che da lui è detta di sua natura oggettiva . Egli , infatti,
rigetta la distinzione di qualità primarie e secondarie, come arbitraria e
falsa , e sostiene che tutte le nostre sensazioni ( 1 ) Saygio, lib . IV, § 3 ;
tom . V , p. 58 . ( 2) Ediz . cit. , p. 348 .
soggettive , nè più nè meno di quel senso del tatto , in cui Con dillac
indicava il filo d'Arianna col quale si potesse uscire dal labirinto della
soggettività, « convengono in ciò , che tutte sono le percezioni di un soggetto
esterno ; son differenti, poichè sono i modi diversi di percepir questo
soggetto : questi modi diversi di percepirlo costituiscono per noi le diverse
qualità degli oggetti esterni , le quali sono perciò i diversi rapporti di
questi oggetti con noi » ( 1 ) ; e che, « qualunque ipotesi si adotti su la
natura de ' corpi , è incontrastabile che il mondo dei corpi non esiste nel
modo in cui ci apparisce ; e che noi non conosciamo dei corpi se non le qualità
relative » , talchè il pensiero bensì è una realtà in sè ( 2) , « ma
l'estensione non è almeno certo se sia una realtà o un fenomeno » ( 3 ) e
addirittura « la conoscenza che noi abbiamo de ' corpi è meramente fenomenica
> ( 4 ) . E però il Galluppi non può parlare se non di un oggetto soggettivo
, di un oggetto termine essenziale del soggetto . 53. Ma allora perchè
contrapporre oggetto a soggetto , e sin tesi reale a sintesi ideale ? Siamo
sempre nella sfera del soggetto, e l'attività sintetica dello spirito darà
luogo sempre a una sin tesi ideale . Dov'è il punto di separazione tra la res e
l'idea ? Non rampollano entrambe dalla coscienza di se ? 54. Per metter
d'accordo Galluppi con se stesso dovremmo dire , che quello che ei dice sintesi
reale e sintesi ideale non siano se non due gradi della sintesi soggettiva,
qualche cosa di simile della sintesi di primo e di secondo grado, che lo Spa
venta e il Tocco han rilevate in Kant. Vale a dire , bisognerebbe anche la
sintesi reale ritenere pura operazione soggettiva; ma non tanto soggettiva
quanto la ideale, perchè l'una si esercita su una relazione che la coscienza ,
questo ultimo motivo , questa. norma suprema della verità , attribuisce al
mondo esterno, lad dove l'altra non ragguaglia che termini aventi un valore
logico . La sintesi reale coglie, diciamo così , i rapporti degli individui ,
in cui , secondo il Galluppi, consiste la realtà ; la sintesi ideale co glie ,
invece , i rapporti che intercedono tra le idee generali, già formate per la
forza analitica e sintetica dello spirito . Di modo che la materia della
sintesi reale è oggettiva, nel senso che di ( 1 ) Elem , di Psicologia , S XVII
, pp. 27-28 . ( 2) Non vi ha fenomeni nel santuario del mio essero , dice il
GALLUPPI, Saggio, lib . IV , § 4 ; tom . V, p. 63. ( 3) Iri. ( 4) Saggio , lib.
IV , S 100 ; tom . V, p. 420. cemmo poter avere pel Galluppi l'oggetto ; e la
materia della ideale è una pura formazione soggettiva. E se la coscienza ha da
es sere sempre la fonte della verità , se noi non possiamo parlare di altra
verità , se non di quella che tale apparisce alla coscienza , i rapporti che si
scoprono dall'attività sintetica nella materia og gettiva saranno rapporti
reali, e si potrà pur dire che siano og gettivi pel valore ( poichè il valore è
attestato dalla coscienza) ; e i rapporti che dalla stessa attività sintetica
si scoprono nella materia soggettiva, non possono avere più che un valore
logico , perchè sono rapporti di concetti, ci concetti nel concettualismo del
Galluppi non sono reali . Alla coscienza i rapporti appariscono tali quali
appariscono i termini che essi connettono ; fra termini oggettivi , rapporti
reali; fra termini astratti e soggettivi , rap porti ideali . I termini infatti
non possono essere percepiti per quel che sono, se non coi loro rapporti, coi
quali e pei quali vengono ad essere quei dati termini. 55. Ma allora non
bisogna separare la facoltà dell'analisi e della sintesi da quella della
sensibilità ( o coscienza ), come fa il Galluppi ; perchè la sensibilità come
tale non potrà mai percepire un rapporto , come bene ha avvertito il Galluppi
stesso . Allora bisogna andare molto più addentro , che questi non sia andato ,
nel concetto dell'unità del me. 56. Certo è che il Galluppi, mosso a scrivere
il suo Saggio, che è la sua opera capitale , dal bisogno di assodare la realtà
del cono scere contro la Critica di Kant , non riesce a distrigarsi dal sog
gettivismo nella epistemologia ; e nella gnoseologia vi riesce solo
contrapponendo al criticismo kantiano un oggetto , che non è tale se non per un
dommatismo preso dalla coscienza volgare , e che non può non metter capo nella
tesi scettica del criticismo, appena venga innanzi alla riflessione scientifica
( 1 ) . La sua stessa critica perpetua al Kant, e quell'oscillare continuo tra le
lodi più sincere e il biasimo più acerbo del criticismo, dimostrano l'acutezza
del suo spirito, che intende la gravità del problema sol ( 1 ) Il Rosmini il 3
giugno 1840 scriveva al p. Giacomo Maso & Roma : « Pare a lei che la
filosofia del prof. Galluppi sia veramente sana ? Noti bene, non metto in
dubbio le intenzioni dell'ottimo calabrese, a cui professo sincera stima ;
parlo solo della sua filo sofia ; di questa dubito , o piuttosto non dubito ;
perocchè agli occhi miei ella si volge in circolo perpetuo dentro al soggetto
-uomo, e nel soggetto -uomo non vi ha nulla d’immu tabilo : manca il punto
fermo a cui appoggiare la leva » . Vedi La Sapienza del 1883, vol. VIII , p.
402. levato dal Kant , e insieme la sua
impotenza ad uscire da quel cer chio sconfortante segnato dal filosofo di
Koenigsberg attorno allo spirito umano ; l'impotenza in cui rimase per non
essere salito al concetto adeguato di quella coscienza, che è il Primo della
sua costruzione filosofica . E dopo quattro libri di discussioni, di polemiche
contro quei filosofi, trascendentali, che non si sa « se siano filosofi che
ragionano , oppure frenetici che delirano » ( 1 ) , il Saggio filosofico
finisce anch'esso nella tristezza del mistero : « La scienza umana è limitata .
Essa può successivamente perfezionarsi. Ma essa non può oltrepassare certi
limiti » . Non fu più reciso l'ignorabimus del Du Bois Reymond ( 2) . 57. E il
primo limite dello spirito umano , secondo il Galluppi, è questo : « noi
abbiamo una nozione generale della sostanza , ma noi non conosciamo affatto la
natura , o come suol dirsi , l'es senza di ciascuna sostanza in particolare ( 3
) . E fin qui ha ragione Kant. Secondo limite : « ignorando le prime sostanze,
ignorar dobbiamo il come le cause efficienti producono i loro effetti ; e
l'efficienza è per noi un mistero » . Dunque nè anche nel ritener soggettivo il
rapporto di causalità aveva poi un gran torto Kant! ( - ) . Ma « tutto quello ,
che è incomprensibile, non è mica assurdo » , avverte il Galluppi ; e questo
basta a salvare la crea zione. Terzo limite : « noi ignoriamo affatto le
qualità assolute de ' primi componenti de'corpi ; noi conosciamo alcune qualità
rela tive di alcuni aggregati delle prime sostanze della materia ... I corpi
non sono tali quali a noi si manifestano » ( $ 100 ). E que sto , in verità, è
un po ' più di quel che sostiene Kant : pel quale, se il noumeno va distinto
dal fenomeno, appunto perchè ignoto , non si può dire che differisca dal
fenomeno stesso . Differirà ? Non differirà ? Se a queste domande si desse una
risposta, non si avrebbe più un noumeno . Qui , dunque, Galluppi è più kantiano
di Kant. Quarto limite : la conoscenza importa successione, processo , passare
da un principio a ciò che ne procede : ma Dio è ne ( 1 ) Passo del Saggio che
il prof. CREDARO raccomanda « a coloro che fanno del Gal luppi un kantiano » ;
ni kantismo in G. D. Romagnosi, in Riv. ital. di filos . del 1887, vol . II ,
p. 59, n. 2. ( 2) Vedi il celebre opuscolo Ueber d. Grenzen d .
Naturerkenntniss, Lipsia , 1872 ; e LANGE, Gesch . d . Materialismus, 3."
ediz ., Iserlohn , 1876 , pp . 148 sogg. ( 3 ) Saggio , lib . IV , cap. X ed
ultimo, & 98 ; tom . V, p . 418. ( 4) Saggio , ivi, $ 99. 250 lui > gazione assoluta di ogni successione
: « in questo essere infinito non vi è alcuna cosa che precede l'altra ; perciò
la sua natura ci è perfettamente inesplicabile ed incomprensibile. I metafisici
intanto non si credono tutti incapaci di comprendere la natura Divina > ; ma
uno di essi , e de' più moderati, il Genovesi , avendo tentato, per esempio ,
di concepire in che modo questo mondo fosse architettato da Dio , non è
riuscito che a una spiegazione contraddit toria . « Il volere spiegare l'atto
creatore intelligente è una con traddizione ; poichè è un supporre qualche cosa
antecedente a (come il Genovesi era costretto a porre in Dio prima l'essere e
poi il conoscere , prima il conoscere e poi il volere o l'ope rare) . Questo è
incomprensibile, e lo scrutatore della divina maestà resta oppresso dalla sua
gloria Proposizioni che non hanno forse il rigore scientifico della Dialettica
trascendentale, ma che riescono , mi pare , al medesimo risultato . Che più ?
Kant riconosce come tutti i filosofi moderni il grande valore delle
matematiche; ma anche in esse il Galluppi trova dei limiti. Noi conosciamo
esattamente, egli dice , le relazioni logiche tra le nostre idee astratte ; e
ne son prova l'aritmetica e la geo metria . « Ma noi non conosciamo tutte
queste relazioni, perchè il loro numero è inesauribile; e la conoscenza di
queste relazioni non si estende quanto le nostre idee » « La nostra scienza è
percið molto limitata sotto tutti i riguardi » ( 1 ) egli conclude : ed è la
conclusione del Saggio intero , vale a dire della sua filosofia sperimentale .
58. Questo mi pare criticismo schietto , sufficiente di certo a fare ascrivere
il Galluppi alla direzione kantiana , pur con tutte le sue più o meno
ragionevoli invettive contro il soggettivismo del Kant ; se anche Alfonso Testa
, che altri disse « l'unico kantiano, che abbia avuto l'Italia » ( 2) , era pur
persuaso che il Kant , distrug gendo il sensismo, non fosse riuscito a
sostituirvi altro che « un sistema soggettivo che distrugge la scienza verace »
( 3) . 59. Molto ha contribuito a mascherare il kantismo galluppiano , e ben
più che le sue dichiarazioni e le sue proteste , che non ( 1 ) Vedi il capo X
ed ultimo del lib. IV del Saygio . ( 2) L. CREDARO, A. Testa e i primordii del
kantismo in Italia , in Rendic. Acc. Lin cei, 1886, S IV, III , p. 241. Vedi
dello stesso CREDARO Il kantismo in G. D. Romagnosi ( in Riv . it. d. filos.,
1887, vol. II, p. 59 n. ) , dove si oppone a chi fa del Galluppi un kan tiano,
uno dei soliti passi del Saggio contro il trascendentalismo. ( 3) Come scrisse
nel suo ultimo libro La mente dell'ab. G. Taverna , Genova , 1851 , p. 82.
hanno o non dovrebbero avere molto valore per la valutazione del critico -,
alcune speciali dottrine , che basta accennare bre vemente. 60. E in primo
luogo : rifiuta nientemeno che la stessa sintesi a priori , che è come dire il nocciolo
sostanziale del kantismo . « La distinzione , che la scuola trascendentale pone
fra i giudizii analitici ed i giudizii sintetici (a priori) è assurda » .
Queste son parole del Galluppi . E qui non si tratta di una semplice afferma
zione. C'è anche la prova. « Se le due idee A e B non hanno alcuna identità fra
di esse , lo spirito non può riguardarle che come distinte, e senz'alcun legame
fra di loro : è impossibile , dun que, ch'egli vi percepisca un rapporto
necessario di convenienza fra di esse : dire in conseguenza che lo spirito dee
percepire neces sariamente un rapporto di convenienza fra due idee diverse , è
affermare, che lo spirito pud pronunciare una contraddizione evi dente...
Tutt'i giudizi necessarii debbono, in ultima analisi , risol versi nel
principio di contraddizione : essi son dunque tutti ana litici , ed i giudizii
a priori non possono essere che necessarii. Ammettere dei giudizi necessarii
non poggiati sul principio di contraddizione , è un assurdo manifesto . Se lo
spirito non vede alcuna contraddizione nell'opposto di un suo giudizio, egli
non può certamente riguardarlo come necessario . I giudizi sintetici a priori
non possono dunque esistere » ( 1 ) . Somiglia non po ' , a dir vero, al
ragionamento di quel tale aristotelico restio agl'inviti di Galileo di guardare
attraverso il cannocchiale ; ma è il ragio namento del Galluppi ; e questo
basta allo storico, il quale dirà che il filosofo di Tropea, chiuso nel cerchio
della logica formale e nel ferreo apriorismo delle sue regole , non poteva
ammettere e non ammise il risultato principale della Critica kantiana, che è la
sintesi a priori. « In effetto , – egli dice negli Elementi di logica pura (S
XV) , – un principio sintetico, puro , a priori come Kant lo suppone , è una
cosa contraria alle nozioni fondamen tali di una sana logica » . Infatti, egli
soggiunge , prescindendo dall'esperienza , nella sfera delle mie idee , io non
posso unire B con A, se non riconoscendo che B è uguale ad A, o ne fa almeno
parte . Che se B eccedesse realmente A in estensione , in valore , come potrei
attribuire ad A, come sua proprietà, tale eccedente di B, non ritrovato in A ?
( 1 ) Saggio , lib. I , cap . IV , s 116 ; tom . I , p. 241-2. Così la critica
del Saggio è confermata negli Elementi con esplicito appello alle leggi della
logica formale, per la quale cer tamente non è possibile la sintesi a priori
kantiana, perchè l'iden tità non è conciliabile con la differenza, e se la
necessità richiede l'identità , rifugge dalla differenza ( 1 ) . 62. È inutile mostrare
il valore della critica galluppiana , fon data come quella del Degerando con
cui va raffrontata , e quella stessa del Rosmini, sopra l'intelligenza della
sintesi a priori de sunta dalla sola Introduzione alla Critica della ragion
pura (nella 2.a edizione) coi famosi esempii: 7 + 5 12 ecc. Giova piuttosto
ricordare che la vera sintesi a priori non con siste propriamente nell'unione
di predicati a soggetti, onde siano già belli e formati i concetti ; bensi
nella formazione medesima dei concetti: problema, di cui non s'accorse affatto
il Galluppi, a proposito di Kant , ma riprodusse, del resto , e risolvette
egual mente nella sua teoria dell'analisi e della sintesi , che , munite dei
rapporti soggettivi dell'identità e diversità , servono anzi tutto alla
formazione delle idee , e nella sua teoria del giudizio, essen zialmente
distinto dal sentire, e necessario alla percezione di qualsiasi rapporto . 63.
Questa della sintesi a priori è uno dei motivi prediletti della critica
italiana intorno alle dottrine del Kant, e ricorre spesso nei libri del
Galluppi ( 2 ) . Ma non è la sola teoria kantiana che egli ( 1 ) Ma, so sintesi
a priori e logica formale sono assolutamente inconciliabili , non biso gna
conchiudore : dunque, aut aut : o si rifiuta la sintesi a priori, o si rifiuta
la logica formale . Su questo punto si fa , secondo me, molta confusione. Vi
tornerò su in un mio prossimo lavoro ; qui voglio solamente aggiungere, che la
dottrina della sintesi a priori fa parte della teoria della formazione delle conoscenze
; laddove la logica formale studia i rapporti delle conoscenze già formate o
delle conoscenze in sè ; e notare, che se il pon siero non ha da essere un
quissimile del vano lavoro delle Danaidi, non s'ha da far consistere solo in un
accroscimento delle conoscenze , ma anche in un'intuiziono delle già acquisite.
( 2) Un anonimo già nel 1832 notava in un opuscolo molto arguto e tagliente
contro il nuovo professore dell'Università, che le belle ed acute riflessioni,
con cui il Galluppi combatte nel § XVII degli Elementi della logica pura il
giudizio sintetico a priori, sono tolte da LAROMIGUIÈRE, Leçons de philos. , p.
I , 1. 3 e 5. Vedi : Degli Elementi e della Introd . allo studio della filos.
del celebre Bar. Galluppi, giudizio dato all'editore da un suo amico, Napoli ,
De Bonis, 1832, 8 37 , p. 42. · L'opuscolo reca la data di Napoli, 14 di cembre
1831. Scritto con molta vivacità e castigatezza di lingua, rimprovera al
Galluppi l'inesattezze di certi suoi esempii presi dalla geometria e dall'algebra
, l'ignoranza in ge nerale delle scienze fisiche e naturali, la scarna o niuna
cognizione dei classici antichi combatta. Anzi, non v'è quasi teoria esposta
nella Critica della ragion pura che venga risparmiata nel lib . III del Saggio
gal luppiano e nelle parti delle altre opere che ne dipendono . Lo spa zio, il
tempo, le categorie, lo schematismo, la dialettica trascen dentale gli offrono
materia di lunghe e energiche discussioni, il cui scopo è sempre la
confutazione del Kant. Aggiungi le fre quenti proteste contro il
trascendentalismo e l'idealismo, che pel Galluppi equivalgono allo scetticismo,
proteste nelle quali il Gal luppi unisce al Kant il Fichte e lo Schelling ( 1 )
, per quel poco che ne poteva conoscere da traduzioni o esposizioni francesi ;
cd è evidente , che il lettore sbadato e il critico ottuso non potes sero e non
possano vedere il filosofo di Tropea che agli antipodi di quello di
Koenigsberg. 64. Il vero è che per un'esatta intelligenza delle dottrine di
questo , il primo incontrava insormontabili difficoltà nei limiti della sua
cultura ; la quale non si estendeva oltre la letteratura filosofica italiana e
francese e alle traduzioni (allora pochissime e affatto insufficienti) che
c'erano in queste lingue delle opere tedesche. Quello che poteva intravvederne
indirettamente, era na turale che gli dovesse riuscire oscurissimo, e restargli
innanzi con tali lacune, che s'egli ne avesse avuto coscienza, non sareb besi
certo provato alla critica della filosofia tedesca. Egli, scrit tore chiarissimo
e pensatore analitico per eccellenza , manifesta mente soffriva nello studio
che poteva fare di quegli scrittori. Nella critica del Fichte, sforzandosi
d'intendere il vero signifi della filosofia , la leggerezza nell'appigliarsi
alla moda francese, e quindi la pedanteria e confusione del metodo analitico
imitato dagli ideologi, e perfino i barbarismi e le im proprietà di
espressione. L'opuscolo pare facesse una certa impressione. Il Galluppi ri
spose col silenzio ; ma i suoi scolari con due opuscoli : Di un giudizio dato
da ignoto giudice sur alcune parole del chiarissimo B. P. G. appella VINCENZIO
MORENO , Napoli, Trani, 1832 ; Al giudizio dato da un anonimo su talune opere
del chiarissimo P. G. risposta di GIUSEPPE PISANELLI, Napoli, Ruberto o Lotti,
1833. Curioso l'opuscolo del Pisanelli nella parte in cui difende il Galluppi
scrittore, per l'enfatica digressione che vi è contro il purismo ( pp. 28-36 ).
Per questa parte invece il Moreno riconosceva che il G. non fosse puro elegante
e gentil dicitore ( p. 17) ; il che non toglieva ch'ei fosse, alla sua volta ,
pessimo scrittore . ( 1 ) Vodi le Considerazioni filosofiche su l'idealismo
trascendentale e sul razionalismo assoluto ( Napoli , 1841 ). Di Schelling non
pare che conoscosse nulla di originale , all'infuori della trad . francese del
Bruno. Del Fichte cita la trad . francese della Bestimmung des Menschen . cato
della costui dottrina dell'Io puro, dichiarava ai colleghi del l'Accademia
francese : Qui l'oscurità alemanna comincia ad affliggermi; io che non amo ne'
discorsi filosofici, se non che la chiarezza e la precisione , son qui
circondato dalle più dense te nebre » ( 1) . E terminava la sua memoria
invocando le regole wol fiane De stylo philosophico, e domandando agli amici
della verità e del progresso della filosofia , se « lo scrivere i trattati
filosofici in un modo più oscuro di quello , in cui è scritta la Teogonia di
Esiodo, è esso un segno di progresso verso la verità o pure verso l'errore »
(2) 65. Altri più recentemente si son lagnati dell'oscurità di alcuni scrittori
filosofici, e si son levati in difesa del bello stile . Ma, come nel caso del
Galluppi , molto spesso l'oscurità che si vede negli autori , non dipende da un
loro difetto, sibbene dalla insufficienza nostra a intenderli ; chè nessuno è
chiaro a chi non sia preparato e non procuri in ogni modo e con ogni mezzo
d'intendere . Comunque, la dottrina del Galluppi è cosa ben distinta e diversa
dalla sua intelligenza e dalla sua critica del Kant ; e della prima è
indubitabile che s'ispira al Kant e non riesce a risul tati essenzialmente
differenti ( 3 ) . 66. In sostanza egli è più kantiano di Kant. Questi ,
criticata la ragion pura , nega il valore scientifico , oggettivo, della meta
fisica , ma le riconosce un ufficio regolativo , e scrive una meta fisica della
natura come una metafisica dei costumi. Ma il Gal luppi si rinchiude in un
assoluto psicologismo, per usare parola giobertiana ; e , pienamente
conseguente alla sua filosofia dell'esperienza, tiene fermo alla dottrina dei
limiti della scienza umana ; e alla metafisica sostituisce l'ideologia. La sua
cattedra ufficiale era di logica e metafisica ; ma egli nella Prolusione an
nunzia che tratterà della filosofia teoretica, ossia della scienza dell'umana
scienza , e darà pertanto la legislazione suprema di tutte le scienze ( 4 ) . «
La metafisica tratta , egli dice , delle idee essenziali all'umana ragione » ).
Nella prima lezione rifiuta la definizione della filosofia data dal Wolf,
sostenendo che egli volle una ( 1 ) Op. cit . , pag. 23. ( 2) lvi , pag. 133. (
3 ) Ricordo per semplice curiosità che sostenne il kantismo del Galluppi CARLO
Ro DRIQUEZ , Lett. su la filos . sogg . ed oggettiva del bar . Galluppi,
Messina , 1833, p. 22 ; cui rispose ONOFRIO SIMONETTI, Analisi critica della
Lettera ecc . ( Napoli ), Fernandes (1834 ), p. 31 e sgg. ( 4) Lezioni di log .
e metafsira , p. XI. ( 5) Iri, p . XIV . definire piuttosto l'infinita sapienza
conforme a quel suo enun ciato che Deus est philosophus absolute summus, e
attribuendo alla filosofia wolfiana il difetto ascrittole appunto dal Kant, di
confondere la cosa con l'idea della cosa. Nella seconda lezione commenta il suo
concetto della filosofia come scienza del « pen siere umano ne' suoi elementi ,
nelle sue funzioni e nelle sue leggi » ; nozione , fa notare , della più alta
importanza . 67. Prevede la possibile osservazione : ma è il pensiero il solo
oggetto della filosofia ? E la ontologia, la cosmologia, la teologia naturale ,
la fisica ? — Queste scienze, risponde il Galluppi , in parte si riducono alla
ideologia, scienza del pensiero , e in parte escono fuori dal campo della
filosofia . L'ontologia studia « alcune nozioni universali , essenziali
all'umano intendimento » ; e la dottrina delle nozioni , delle idee non
appartiene forse alla scienza del pensiero ? Lo stesso dicasi della cosmologia
e della teologia naturale. Sic chè il Galluppi conchiude : « Tutte le parti
dunque della meta fisica appartengono alla scienza del pensiere umano » .
Quanto alla fisica , in parte è filosofia ( psicologia, per le relazioni che
que sta scienza studia tra i fatti fisici quali sono in sè e i fatti fisici
quali appariscono a noi , e teologia) ; e in parte , quale si tratta
comunemente nelle scuole, se non può ridursi a rigore alla scienza del pensiero
, « è nondimeno una scienza che le è contigua , e che serve a rischiarare, ed a
perfezionare la filosofia intellet tuale » . Sicché la metafisica, nel sistema
del Galluppi, è bella e ita assolutamente. E se la filosofia per lui si divide
com'è detto nella 3.4 lezione – in filosofia speculativa o teoretica , che
studia l'anima ( soggetto del pensiero) in quanto conosce , e in filosofia
pratica , che studia l'anima in quanto vuole , è chiaro che nè an che questa
potrà essere fondata su alcun principio metafisico. Il Kant non era arrivato a
questo punto. Ma prima di accennare i principii del Galluppi nella filosofia
pratica , bisogna fare un'altra osservazione generale, che ci pare di non poca
importanza . 68. Nella Prolusione il Galluppi , vantando le ragioni del me todo
sperimentale , avvertiva che non bisogna però mutilarlo ; anzi prenderlo tutto
intero nelle sue specie e ne ' suoi risultamenti ; ne confonderlo con
l'empirismo ; giacchè la filosofia intellettuale, co me egli chiama quella che
dovrà insegnare , < non ammette so lamente quelle esistenze , che cadono
immediatamente sotto l'espe rienza ; ma quelle ancora , che le esperienze
sperimentali suppon gono necessarie . Quindi ella deduce tanto dall'esistenza
del mondo materiale , che da quella del mondo intellettuale, che a noi si
manifesta, l'esistenza eterna di un ' Intelligenza creatrice . E ciò in modo
simile a quello in cui l'astronomia , partendo dal cielo em pirico , pone un
cielo razionale » ( 1 ) . Il cielo razionale sarebbe il cielo costruito
dall'astronomo mercè la forza portentosa del cal colo, della geometria e del
raziocinio , onde si « sbalza dal cen tro del planetario sistema la terra , e
vi si pone il sole ; si tra sforma in masse di meravigliosa grandezza quei
piccolissimi corpi , che sembrano tanti chiodi affissi nel firmamento, si
determina le distanze , le orbite ed i tempi delle rivoluzioni de' pianeti » (
2 ) . 69. Sicché, pel Galluppi, anche la filosofia intellettuale, la ideologia
, la filosofia dell'esperienza, con tutti i suoi limiti , ha il suo cielo
razionale ; come l'ha del resto il criticismo con la sua cosa in sé . Ma la
cosa in sè per Kant è un puro concetto limite, di cui s'afferma l'essere non il
come ; che si afferma, non si conosce; laddove il Galluppi dedica tutta la seconda
parte della sua Ideologia, che intitola Teologia naturale , allo studio
dell'Asso luto e de ' suoi attributi , come se Kant non fosse mai esistito . Il
nome di questo qui non ricorre se non nelle ultime pagine, dove è detto
insensato il suo « impegno di contrastarci la possibilità di una Teologia
naturale e filosofica » ( 3 ) , 70. Ma tutta questa parte evidentemente è non
solo in con traddizione con la Critica kantiana, ma anche con lo stesso Sag gio
dell'autore, la cui conclusione riesce a quella dottrina dei limiti della
scienza che sopra vedemmo. Che dire adunque del vero pensiero del Galluppi ? È
vero , come è detto nel Saggio, che lo scrutatore della divina maestà resta
oppresso dalla sua gloria ? O è vera la teologia delle Lezioni ? Le due dottrine
sono certa mente inconciliabili. E io non dubito d’asserire , che se il
Galluppi non avesse scritto le Lezioni per i giovani dell'Università in uno de
' periodi di più cupa servitù intellettuale che abbia attraversato il pensiero
italiano, la seconda parte della Ideologia non sarebbe stata scritta . 7i . «
Questa opera , diceva l'autore nella prefazione delle Le zioni, non è mica la
ripetizione dei miei Elementi di filosofia pub blicati in cinque volumi, nè di
altra mia opera antecedente » . E notava altresì che « serbando le leggi
essenziali di un metodo, può questo ricevere delle variazioni accidentali » .
Intendeva egli alludere alla teologia naturale, di cui trattava per la prima
volta ( 1 ) Op. cit . , p. XIX . ( 2) Ivi , p, XVII . ( 3) Op . cit . , III ,
306 . . in queste Lezioni ? ( 1 ) . Si noti che non parlava di nuovi svolgi
menti del suo pensiero , ma di variazioni di metodo; onde non poteva accennare
a parti ora per la prima volta trattate della sua filosofia che non
importassero alcuna modificazione di principii . Si noti anche, che la seconda
parte dell'Ideologia è come appiccicata alla prima. Solo alla fine della 108.
lezione (1. della Ideologia ) l'autore dice : « L'essere è o finito o infinito
; io divido perciò l'ideologia in due parti , nell'ideologia del finito ed in
quella del l'infinito » E in questa distinzione così accennata è tutta la ra
gione della teologia naturale o ideologia dell'infinito , cui son de dicate le
ultime dieci lezioni del corso universitario . Le dottrine non essoteriche
hanno ben più stretti legami coi principii sostan ziali dello spirito d’un
pensatore ; e questi le fa sempre sgorgare specialmente quando siano dottrine
così importanti , rispetto a quella filosofia dell'esperienza, onde il Galluppi
si proclamo sempre assertore le fa sempre sgorgare, bene o male , dalle
dottrine per l'innanzi professate, le pone, bene o male , in ac cordo con esse
, per rimanere esso stesso d'accordo con sè mede simo. Nell'opera del Galluppi
nulla di tutto questo . 72. Io propendo pertanto a non attribuire alcun valore
a quella parte delle Lezioni nel sistema delle idee galluppiane. Non penso già
che egli le dettasse e le pubblicasse contro la sua coscienza, ma certo contro
la sua coscienza filosofica . Egli pensava certamente quanto scrisse e insegno
degli attributi divini ; ma quella parte del suo pensiero non era stata da lui
elaborata filosoficamente ne coordinata quindi alla sua speculazione . Chi ha
insegnato e non s'è trovato nel caso del nostro filosofo , di esser costretto da
un programma a insegnare anche ciò che il suo spirito non ha ma turato e fatto
suo , e insegnarlo quindi nella forma in cui ordi nariamente si dà , e in cui è
pur bene che sia offerto all'intel letto dei discepoli ? Chi non si trova a
dover insegnare qualcosa di più di quello che in buona fede e a rigore potrebbe
dir di sapere , o di quello ond'egli può dirsi veramente persuaso ? Chi oltre a
ciò che, per sè e per altrui , deduce chiaramente da ' propri principii non ha
insegnato qualcos'altro, che da quei principii sinceramente non sa derivare nè
per altrui nè per sè ? Il Galluppi non aveva per sè una teologia più filosofica
di quella che è esposta nelle ( 1 ) Della religione tratta anche negli Elementi
di filos. morale. Ma se la sbriga in un breve capitolo , che non ha nessuna
pretensione filosofica , e si limita a una semplice notizia molto compendiosa
del concetto della religione cristiana.
sue Lezioni; in questa fermavasi il suo pensiero ; ma stimo che non vi
s'acquetasse ; perchè una consapevole o inconscia insoddi sfazione doveva
fargli sentire che nella sua filosofia dell'esperienza non c'era posto per
quella teologia . 73. S'è accennato che sulla fine della teologia naturale l’au
tore si ricorda dell'impegno insensato del Kant di contrastare la possibilità
di una teologia. E che fa egli per combattere l'assunto kantiano ? Scrive così
: « Kant insegna che i giudizii su cui ella ( teologia naturale e filosofica )
poggia, sono sintetici a priori e fenomenici, privi di una assoluta realtà.
Egli dice che le verità necessarie della teologia naturale non sono mica
identiche, ma sintetiche ; e che le verità di fatto non sono che mere
apparenze, che fenomeni privi della realtà noumenica ed assoluta, indipen dente
dal nostro modo di vedere. Io , nella mia Critica della co noscenza ( 1 ) ho
seguito passo passo la dialettica kantiana ; e vo lendo parlar con giustizia ,
non può negarmisi, che l'ho invinci bilmente distrutta. Io ho mostrato, che i
giudizii sintetici a priori sono assurdi ; ho mostrato eziandio , che le verità
sperimentali ci danno pure delle conoscenze delle cose in se stesse considerate
» ( 2) . Questo è tutto. Ora, poniamo che sia esatta l'esposizione del pen
siero del Kant . Ma la critica della sintesi a priori non giustifica , tutto al
più , che la posizione dell'assoluto, come avviene per l'ap punto nel Saggio
dello stesso Galluppi ( lib . III , cap. XII) ; dove partendo dalla pretesa
impossibilità dei giudizii sintetici a priori , si dice , contro Kant, che non
è tale neppure il principio : dato il condizionale, si deve dare l'assoluto ; e
si conchiude quindi che il condizionale dell'esperienza è reale in sé , non
fenomenico, e che nella sua realtà è pur data quella dell'assoluto ( 3 ) . E
nel Sag gio tutto finisce li . E la conclusione dell'opera è quella che ab ( 1
) Acoopna al Saggio filosofico . ( 2) Lez ., III , 306. Quindi accenna alle
critiche che alla sua confutazione della sin tesi a priori aveva mosse il
MAMJANI nol Rinnovamento e lo ribatte. ( 3 ) Un'ottima osservazione contro
questa deduzione fa col suo solito acume il Tesia , il quale crede come il
Rosmini che il Galluppi non mova un passo fuori del soggetti vismo. È falsa ,
egli dice, la premessa che il condizionale sotto il rispetto del condizionale
sia un termine dato dall'esperienza. Quosta non ci dà che sensazioni e
sentimenti. Ma le sensazioni non sono il condizionale ? - Si , sono, ma non ci
sono date come tali dall'esperienza . La qualità d'essere condizionale è una
veduta dello spirito , non è nella sensazione, opperò non è trovata nella
sensazione. Vedi Le ricerche apolog. del crist, del popolo dall'ab. G. Bignami
esaminate, Lugano, 1841, p. 33 e seg . biamo vista. Gli attributi divini son
dichiarati incomprensibili. Nè quell'assoluto del Saggio differisce molto dalla
cosa in sè kan tiana . Ma nelle Lezioni non c'è solo l'assoluto, bensì la
scienza del l'assoluto ; e non viene giustificata. La conclusione dell'opera si
limita ad affermare che « mostrando l'oggettività delle nozioni di sostanza, di
causa e dell'assoluto , il criticismo è rovesciato , e la realtà della
conoscenza è stabilita » . Sono le ultime parole delle Lezioni; ma potrebbero
essere a miglior ragione le ultime del Saggio, perchè in quelle s'era cercato
di provare qualcosa più dell'oggettività della nozione che la mente possiede
dell'as soluto. 74. Se la teologia naturale avesse avuto nella mente del Gal
luppi la stessa saldezza dei principii più genuini della filosofia
dell'esperienza, la sua etica non avrebbe mancato di esservi su bordinata.
Invece ne è assolutamente indipendente . Anzi, pure inspirandosi , come si
vedrà , all'idealismo kantiano , non tiene af fatto conto delle esigenze
sentite dal Kant nella Critica della ra gion pratica e nella Fondazione della
metafisica dei costumi. Forse egli non conobbe nulla direttamente di queste
opere , e della mo rale kantiana non dovette avere che l'indiretta notizia
fornitagli dalle solite esposizioni francesi. Non per questo si può dire con
certi critici , che i suoi quattro volumi della Filosofia della volontà « non
contengono nulla di nuovo, anzi , di fronte a Locke ed Hume, ed a tutta la
specula zione contemporanea, segnano un sensibile regresso verso il vec chio
rancidume metafisico e teologico » . Chi giudica così , non deve avere grande
familiarità con questo rancidume, e certo è asso lutamente falsa la sua
sentenza, che la morale galluppiana sia ispi rata all'idealità patristica e
scolastica ( 1 ) . Non si potrebbe dire nulla di più inesatto intorno a quella
morale. 75. Basta una sommaria esposizione per convincersene. Bisogna prima di
tutto osservare , che il Galluppi insegnava nell'Università, come s'è visto ,
filosofia teoretica o , com'egli dice , intellettuale ; e non v'ebbe quindi
occasione di trattar mai la morale. Ma egli aveva pubblicato nel '26 , nel quinto
volumetto del suo ma nuale scolastico , gli Elementi della filosofia morale ; e
prima d'as sumere l'insegnamento aveva scritto La filosofia della volontà , ( 1
) Vedi l'art. La speculazione di P. G. , nella Rivista di filos, e sc. affini
di Bolo gna , an. III , vol . V (ottobre 1901), p. 276 . in quattro volumi, che cominciò a pubblicare
nel 1832 ( 1 ) . In essa , secondo che egli dichiara nella Prefazione , si
proponeva di trat tare in un'opera estesa lo stesso argomento di quegli
Elementi, ma col metodo stesso del Saggio filosofico, ossia con la discussione
e l'esame delle varie dottrine relative ad ogni materia . Ma non do veva aver
compiuto il lavoro prima di salire la cattedra di logica e metafisica ; e non
pare che vi sia potuto più tornare ; sicchè non tutte le parti del volumetto
degli Elementi vi sono riprese e no vellamente trattate con quella maggiore
larghezza, che l'autore s'era proposta. E il disegno di essa , delineato sulla
traccia degli Elementi, gli rimase colorito meno che a metà . 76. Nella
Filosofia della volontà comincia dal distinguere nel l'uomo l'agente fisico
della natura , « disposto o mosso ad operare pel fine della propria felicità ,
>> e l'agente morale, disposto o mosso ad operare dal principio del
proprio dovere » . Distingue anche i movimenti « che nel corpo umano si
osservano » , in mec canici, che non dipendono dalla volontà , e volontari, per
cui sol tanto l'uomo può dirsi agente. Chiama quindi filosofia della vo lontà «
quella scienza che fa conoscer l'uomo considerato come un agente » ; e divide
questa scienza in quattro parti : « nella prima, dice , esamino l'uomo
considerato generalmente come un agente ; nella seconda l’esamino sotto
l'aspetto di agente morale ; nella terza sotto l'aspetto di agente fisico ; e
nella quarta finalmente l'esamino riguardo alla sua esistenza in uno stato
futuro, dopo il fenomeno della morte ; e ciò in conseguenza della sua virtù e
de' suoi vizi » ( 2) . Questo il disegno. Ma delle quattro parti ideate i primi
tre volumi dell'opera e il primo capitolo del quarto trattano solo la prima ;
gli ultimi due capitoli di questo quarto volume e del l'opera iniziano appena
la trattazione della seconda, com'è svolta negli Elementi; e della terza e
della quarta non c'è nulla ; laddove negli Elementi l'una ( intitolata De'
mezzi per esser felice, cap . VI) è trattata con relativa larghezza , e
dell'altra c'è pure un cenno col titolo : Della religione. Sicché, quantunque
l'autore appaiasse questa sua Filosofia della volontà col Saggio filosofico,
come l'opera con tenente la sua filosofia pratica accanto a quella contenente
la ( 1 ) I primi due volumi , pp. 338 0 452, nel 1832 presso C. L. Giachetti in
Napoli ; il 3. ° vol , di pp. 388 nel 1839 presso la stamperia Tramater in
Napoli; e il 4.° di pp. 361 nel 1840 ivi . La dedica del 1. ° vol. , a S. E D.
Giuseppe Cova Grimaldi, marchese di Pie tracatella , reca la data di Napoli 30
aprile 1832. ( 2) Ed. cit. , I , 6-7 . a sua filosofia teoretica ; è evidente,
che se la Filosofia della volontà presenta discusse con grande ampiezza
questioni brevemente accennate negli Elementi, di questi non può fare meno chi
voglia acquistare un concetto compiuto delle teorie pratiche gal luppiane ; e
in essi deve principalmente attingere quella parte di coteste teorie , che spetta
più propriamente alla morale. 77. Dal disegno stesso dell'opera maggiore si
scorge un pre gio non comune in questo ramo della filosofia del Nostro : voglio
dire la pienezza del suo concetto dello spirito pratico . Egli, com'è chiaro
già da quelle semplici indicazioni, non vede tra la felicità e il dovere quella
dualità inconciliabile, in cui si dibatte l'etica prima di Kant e nello stesso
Kant; quella dualità che finisce ine vitabilmente, secondo l'uno o l'altro
pensatore , o con la nega zione dell'uno o con la negazione dell'altro
principio , o nel con cetto puramente utilitario o in quello del puro
disinteresse . Il Gal luppi vede che sono due i fini dell'umano volere : due
fini però conciliabili tra loro , sì che uno non importi la negazione dell'altro
. L’uomo infatti è agente fisico e agente morale insieme ; e per es sere agente
fisico non cessa di essere agente morale ; e viceversa : segno manifesto , che
tra i due fini non c'è opposizione assoluta. La confutazione perentoria
dell'utilitarismo dal punto di vista etico sta in questo concetto , che il
Galluppi vide nettamente, come apparrà meglio dalla notizia che ora ne daremo.
78. Tutta la prima parte della sua filosofia pratica s'aggira adunque intorno
all'attività in generale dell'uomo : è, come noi diremmo, una semplice
psicologia pratica. Parla quindi del desi derio, della volontà, dell'influenza
della volontà sull ' intelletto, e viceversa, e in generale dei principii
motori della volontà , e della libertà umana . Questa è la trattazione più ampia,
e occupa quasi per intero il secondo e il terzo volume della Filosofia della
volontà ; non avendo voluto il Galluppi lasciare senza risposta nessuno degli
argomenti che sono stati addotti contro l'esistenza del libero volere . 79.
Della volontà il Nostro dice che non può definirsi. Ne fa una facoltà,
avvertendo bensì , che « le diverse facoltà , che concepiamo nel nostro spirito
, non sono certamente tanti agenti diversi : esse non sono che lo spirito
stesso considerato relativa mente ad una determinata specie di modificazioni,
che avvengono in lui » ( 1 ) (I , 15-16) . Si potrebbe intendere per volontà la
facoltà ( 1 ) Quindi, secondo l'autore, è volontà « il nostro spirito stesso
considerato relativa 262 CAPITOLO VII di volere ; ma questo come ogni atto semplice
non può definirsi, e non se ne può altrimenti avere la nozione che « dirigendo
la nostra attenzione sul sentimento che abbiamo di questo atto » , ossia
ricorrendo alla nostra personale coscienza. La volontà senza gli atti di volere
è indeterminata come volontà ; è lo spirito stesso in generale . La
determinazione della volontà è la produzione de ' voleri particolari ; e
siccome, dice Galluppi stesso, lo spirito è il principio efficiente de ' voleri
, così può dirsi tanto che lo spi rito determina se stesso , quanto che la
volontà determina se stessa ( I , 51 ) . 80. La volontà, come notò gia Locke,
va ben distinta dal de siderio. Un idropico , malgrado il desiderio di bere ,
si astiene dall'acqua . Egli dunque desidera di bere , ma non vuol bere . In
tali casi vi sono desiderii opposti , fra i quali la volontà si deter mina. Pel
Galluppi tra desiderio e volere c'è una recisa differenza . Quello non è , come
ordinariamente si crede , un fatto d'attività dello spirito , ma, come oggi si
direbbe , un fatto puramente emo tivo ; quel misto di piacevole e di spiacevole
onde lo spirito è af fetto per la percezione d'una sensazione in se stessa
piacevole , ma assente , e però causa d'un dispiacere tanto maggiore, quanto
più lontano è il futuro, in cui si pensa che essa sarà provata ( 1 ) , Quando,
come fa il Wolff ( 2) , si vede nel desiderio uno sforzo, un'avversione,
un'inclinazione, o ci si contenta di metafore fallaci, o si confonde col
desiderio il volere, onde i movimenti corporei sono l'effetto. Sforzo,
tendenza, inclinazione , allontanamento son tutti vocaboli, che applicati
all'anima non presentano alcun senso ( 8) . ( I , 65) . 81. Come dal desiderio,
la volontà va distinta dall'intelletto ; sicchè può parlarsi di un'influenza
esercitata dalla volontà sul l'intelletto , come di un'influenza esercitata
dall'intelletto sulla volontà. Quanto alla prima , il Galluppi vede un potere
della vo lontà perfino nelle sensazioni, in quanto lo spirito « può esporre o
pure sottrarre i propri sensi all'azione de ' corpi esterni ; e quindi
procurarsi o privarsi di alcune date sensazioni » ( 4) . Quindi mente a quella
specie di modificazioni, che abbiam chiamato voleri » ( I, 24 ). Insomma, gli
atti singoli presuppongono un quid nella natura dello spirito ; o questo quid è
la volontà . ( 1) Filos. d. vol., I , 63 e ss . (2) Psych , emp., SS 279 e 281.
( 3) Filos. d . vol. , I , 65 . ( 4) I , 112. L'autore s'accorge che questo
potere della volontà si esercita indiretta ci parla di sensazioni volontarie e
sensazioni involontarie ; e come i desiderii sono un effetto delle sensazioni ,
trova che vi sono e desiderii volontari e desiderii involontari; e come anche i
fan tasmi seguono le sensazioni , anche tra i fantasmi pone la stessa
distinzione nel campo dell'immaginazione. 82. Quando si passa dalla sensibilità
alle facoltà dell'analisi e della sintesi , non si tratta più di un potere
indiretto , ma im mediato della volontà sull'intelletto ; e dicesi attenzione ;
nel cui studio l'autore si trattiene con diligenza e acutezza , che fan degne
quelle pagine di esser lette ancora , pur dopo tanto progresso nella conoscenza
dei fenomeni psicologici . E come l'analisi e la sintesi sono le due attività
spirituali onde vengono prodotte tutte le conoscenze, l'impero su di esse vale
l'impero su tutto il co noscere . 83. Che più ? L'associazione è anch'essa
volontaria e involon taria. L'abito , questa seconda natura morale , può dirsi
anch'esso volontario , quando consta della ripetizione volontaria di atti vo
lontari ; e conferisce a quell'educazione onde ognuno è responsa bile , poichè
egli ne è l'artefice. I giudizii temerarii sono colpevoli, perchè volontari ;
in essi l'attenzione si volge a fantasmi , cui non dovrebbe rivolgersi , e
l'uomo vuol manifestare i giudizii che da quei fantasmi deriva , confondendo
l'immaginare col giudicare. Infine , da questo impero della volontà
sull’intelletto la distin zione dei moralisti di ignoranza vincibile e
invincibile ( 1 ) . 84. In quanto all'influenza dell'intelletto sulla volontà ,
è chiaro : che la vita dello spirito , come nota il Galluppi , comincia dalle
sensazioni . Ora queste , secondo che sono piacevoli o no , deter minano lo
sviluppo dell'attività dell'anima ( 1 ) ; suscitano i desiderii che influiscono
sulla volontà. Quindi nasce il problema : in quanti modi l'intelletto influisce
sulla volontà ? E se ciò che nel no stro spirito dispone o eccita la volontà
all'atto di volere, dicesi principio attivo della volontà, si domanda : quanti
sono i prin cipii attivi della volontà ? E non sono riducibili tutti ad un solo
principio , come sue varie modificazioni ? 85. Elvezio concentrò tutti i
principii dello spirito nella fi sica sensibilità . Ma, « annientata così tutta
l'attività dell'anima, e mente ; ma non vede che pertanto in questi casi trattasi
d'un impero del volere sul corpo , e non propriamente sull'intelletto . ( 1)
Tutta questa dottrina dell'influenza della volontà sull'intelletto è anche
negli Elem . , capp. II-VII. l’uomo riguardato come solamente sensitivo ed
animale , la virtù negli scritti di Elvezio scomparve dall'universo, e vi fu
rimpiaz zata da un grossolano egoismo » ( 1 ) . L'uomo per Elvezio è tutto ciò
che le cause esterne lo fanno essere . Egli ricava le conse guenze logiche più
rigorose dal sensismo del Condillac, che uso tutti i riguardi per la morale e
per la religione, ma non ragionò coerentemente al suo principio della
sensazione trasformata . Elvezio parte dallo stesso principio , e ne deduce
illazioni che fanno or rore (2 ) 86. Ma, come è falso nella filosofia intellettuale
che tutto sia sensibilità fisica o da essa derivi , com'è falso ridurre il
giudizio che è attività sintetica e analitica, al mero fatto passivo della sen
sazione, così è falso nella filosofia pratica non distinguere dalla passività
del senso l'attività e la libertà della volontà , e non ri conoscere l'origine
soggettiva del dovere ( 3) . 87. Non è vero che tutto lo spirito sia
sensibilità ; e perciò il presupposto elveziano è privo di fondamento . Non è
vero che i piaceri e i dolori che agiscono sul volere , sieno in ultima ana
lisi sempre piaceri o dolori fisici provenienti da sensazioni ; è
incontrastabile, che vi sono anche piaceri o dolori intellettuali provenienti
da pensieri ( 4) . Quindi una prima divisione dei prin cipii motori della
volontà o motivi : desiderii inriflessi, quelli in cui lo spirito è passivo , e
principii riflessi, in cui lo spirito è at tivo. I primi si possono dire anche
semplicemente desiderii, gli altri , ragioni ( 5) . I principii irriflessi si
possono ridurre a sette ; appetito fisico ( fame, sete , amor fisico ),
desiderio della propria ec cellenza, curiosità , sociabilità, desiderio della
gloria , emulazione e potere, affezioni. 88. La ragione è principio di atti
volitivi come principio eco nomico e come principio morale ; o , come il
Galluppi dice , in quanto esamina ciò che conviene alla nostra felicità , fa il
cal colo dei beni e dei mali , e dirige le nostre azioni a produrre un certo
stato dell'anima ; e allora si chiama prudenza ; e in quanto ci mostra il bene
e il male morale , e ci comanda di far l'uno e non far l'altro ; e allora può
dirsi ragione legislatrice della nostra volontà (6) 89. I principii della
prudenza sono quattro : un piacere che ci priva di maggiori piaceri è un male ;
un piacere che ci pro ( 1 ) Op. cit . , I , 175. ( 2) I , 193. ( 3) I , 194. (
4) I , 238 . ( 5) I , 286-7. ( 6) I , 318.
duce maggiori dolori , è un male ; un dolore che ci libera da mag giori
dolori , è un bene ; un dolore che ci produce maggiori pia ceri , è un bene ( 1
) . 90. A questo punto l'autore si propone la questione della li bertà , alla
quale , come s'è detto , dedica la maggior parte del l'opera sua , ma della
quale noi ci sbrigheremo in poche parole . Questa è la parte più vecchia della
sua filosofia, e una delle meno logicamente dedotte dai principii della sua
speculazione . In essa egli sentì la forza del pregiudizio come impedimento
insormonta bile alla visione della verità più evidente ; e ci si vede la soprav
vivenza di una vecchia dottrina, che mal si connette all'orga nismo del nuovo
pensiero ; anzi vi rimane aggiunta e giustap posta come membro morto che
l'artificio collochi al posto di quello che manca in un corpo vivo . 91. Dal
suo concetto dell'unità metafisica dell'Io, dal suo con cetto delle facoltà
come semplici principii costitutivi della natura dello spirito , il Galluppi
avrebbe dovuto esser condotto a più elevato e concreto concetto della libertà,
che non sia quello da lui ancora difeso a forza di sottigliezze ingannevoli e
d'illusorii ragionamenti. Egli vede la distinzione tra sensibilità , intelletto
e volontà, di cui fa tre facoltà distinte , ma pur facendole scatu rire
dall'unico Io , non giunge a scorgerne la recondita unità . E veramente ,
separato l'intelletto dalla volontà, da cid che v'ha di umano, di spirituale
nella volontà , non è possibile altro con cetto di questa , all'infuori di quel
vuoto volere , che è il fonda mento della libertà bilaterale. 92. Questa è la
libertà a cui giunge il Galluppi : la libertà per cui nell'atto stesso che
vogliamo , potremmo non volere ; quel po tere, che non si esercita , e la cui
essenza stessa è di non esercitarsi nel momento stesso che lo sentiamo ( 2) .
Questa libertà del volere è determinata nettamente dal suo confronto con la
necessità del sillogismo . La coscienza ci attesta, che noi non siamo liberi di
tirare o non da due premesse quella data conclusione , laddove ci attesta il
contrario rispetto ai singoli atti del volere . E siccome ( 1 ) I , 318. Nella
Filosofia della volontà tutto finisce con la enumerazione di queste leggi.
Negli Elementi invece, come si disse, tutto il capitolo VI è dedicato ai Mezzi
per esser felice ( pp. 210-292). Quivi fra i piaceri intellettuali si annovera
il piacere estetico ; e quindi i 88 71-85 contengono una breve trattazione di
estetica. ( 2) Elem . , V, 123. « La libertà , io dico, è il potere di volere,
o di non volere un og getto percepito ; Filos. d. vol. , II , 811. la coscienza è quel fatto fondamentale, a cui
il filosofo deve sem pre far capo, la sua testimonianza basta a provare la
realtà della libertà ( 1 ) . Tutti gli argomenti contrari non reggono alla
critica 93. Ma negli Elementi il Galluppi , prima di appellarsi al te stimonio
della coscienza, ricorre a un argomento , che rivela su bito la paternità
kantiana. Nella coscienza del dovere e del pre mio o delle pene che spettano
alle azioni si comprende , egli dice, la coscienza della nostra libertà . « Non
si comandano le azioni necessarie , come non si comanda ad un sasso il cadere
se non è sostenuto . Le azioni necessarie non sono riguardate come meri tevoli
nè di premio, nè di pena.... La coscienza della legge in teriore contiene la
coscienza della propria libertà . Il comando suppone in colui , a cui è diretto
, il potere di eseguirlo e di non eseguirlo » . Devi ; dunque , puoi, aveva
detto Kant . 94. Non bisogna , del resto , porre il Galluppi fra le anticaglie
pel suo concetto della libertà . L'indeterminismo anzi è una delle con cezioni
oggi alla moda ; e non manca in Italia di rappresentanti ; i quali si sforzano
di combattere il concetto della direzione unica ed unilineare degli atti del
volere , ponendo nello spirito un irri conciliabile dualismo, che lacera
internamente l'unità dell'indi viduo umano, e sta quasi condizione necessaria,
se non sufficiente , della libertà morale ( 2) . E ancora uno dei più acuti
psicologi che abbia l'Italia , afferma che il concetto del volere libero , «
cioè non coatto estrinsecamente (libertas a coactione), nè intrinsecamente (li
bertas a necessitate) è una verità , la quale, sebbene accanitamente combattuta
da molti e sotto molti rispetti , resterà sempre incon cussa per chi , scevro
da pregiudizii e forte nelle convinzioni morali , non si lascia smuovere da'
sofismi ne turbare dalle difficoltà » ( 3) . Il vero è , che una questione mal
posta non può aver mai la sua vera soluzione ; e potrà sempre far accettare or
l’una or l'altra di due opposte soluzioni. Quella del libero arbitrio è stata
ap punto una questione mal posta, per l'indeterminatezza del con cetto del
volere , su cui si fondava. Giacchè, se si determina rigoro samente il volere,
è impossibile escluderne la ragione , e non vedere quindi , che se han torto
gl’indeterministi a difendere la libertas ( 1) Filos., II , 21 , 329 e passim ;
cfr. gli Elem ., V, 123. ( 2) Vedi la lodata opera del prof. IGINO PETRONE, I
limiti del determinismo scienti rico , Modena, 1900, pp. 105-6 ; 2.a ed .,
Roma, 1903, pp. 110-111; cfr . BOUTROUX, De la con lingence des lois de la
nature, Paris, 1895 , pp . 123 e sgg. ( 8) BONATELLI, Elem . di Psicologia e
logica , Padova, 1895 , p. 210. a
necessitate, non hanno minor torto i deterministi a combattere la libertas a
coactione : gli uni perdendosi in una vuota creazione dell'intelletto astratto
, gli altri rompendo nello scoglio fallace del meccanismo. E dire che non è
mantato chi ponesse bene la questione , e le desse quindi una soluzione da
soddisfare le oppo ste esigenze e dissipare tutte le difficoltà ! 95. Stabilita
, comunque , l'esistenza della libertà morale, si tratta pel Galluppi di risolvere
questo problema: esiste un bene e un male morale ? E ne chiede la soluzione ,
anche questa volta, alla coscienza . L'esistenza del bene e del male morale, e
per conseguenza di una legge morale naturale, è una verità primitiva
attestataci dalla nostra coscienza ( 1 ) . Darne una dimostrazione è
impossibile, senza avvolgersi in circoli viziosi , al pari di chi vo lesse
provare allo scettico l'esistenza e la realtà del nostro cono scere . La
coscienza ci dice che esiste una legge morale naturale, ossia necessaria ed
originaria che si dice dovere : indipendente dalla legge positiva , come
dall'opinione altrui , valida nel segreto dell'anima nostra . Donde viene a noi
la nozione di essa ? Chi indipendentemente dalla legge positiva mi comanda di
non ucci dere un uomo, di rendergli il deposito , che mi ha confidato ? È la
mia ragione , la quale comanda alla mia volontà . « Son io che comando
interiormente a me stesso . Questo comando non mi viene dunque dal di fuori ;
ma dall'interno del mio essere » . Il predi cato dei giudizii morali è l'idea
del dovere ; e questa idea viene da noi , dice il nostro filosofo , non dagli
oggetti. « La nozione del dovere , egli dice anche esplicitamente , è una
nozione soggettiva essenziale alla nostra ragione » ( 2) . Meglio non si
potrebbe dire. Altro che rancidume, e idealità patristica e scolastica !
Nessuna più esplicita e più coraggiosa proposizione avrebbe potuto pro
nunziarsi in omaggio al moderno, al vero soggettivismo . Sog gettivo il dovere
, ma anche essenziale : questa è la giusta defini zione non solo del vero
soggettivo, ma anche del vero oggettivo , dopo Kant, quando bene s'intenda . E
nella morale il Galluppi riproduce Kant bene inteso , senza esitazioni e senza
limitazioni. Annunziata la soggettività del dovere egli dice con accento di
sincerità commovente : « È questa una verità per me evidente , e credo che tale
sembrerà a chiunque vi rifletta di buona fede » ( 3) . ( 1 ) Filos. d. vol .,
IV , 38. ( 2) IV, 41 . Il corsivo è dello stesso Galluppi. ( 3) Ivi . Tutto ciò
trovasi anche negli Elementi, V, 91 .
96. La nozione del dovere rende la ragione ragion pratica o legislativa
(tutta terminologia kantiana, come si vede). Essa è essenziale alla ragione, e
perciò potrebbe dirsi innata. Ma non sono già innati i principii della morale ,
ossia i singoli doveri . Non uccidere : se questo precetto fosse innato ,
dovrebbe esser tale anche l'idea di omicidio, la quale ci viene invece
dall'esperienza. « L'uomo è però costituito di tal natura , che la nozione del
do vere sorte, nelle occasioni , dal suo proprio fondo » ( 1 ) . Insomma, quel
che vi ha di a priori in Galluppi, come in Kant , è la forma del giudizio
pratico ; e la materia è data dall'esperienza . In che consista il dovere, non
è determinato in quella nozione sogget tiva ed essenziale , che costituisce la
Ragion pratica. Di a priori nello spirito e quindi di essenziale nei fatti
etici non havvi che il predicato onde si giudicano le azioni morali : cioè
appunto la forma. Soggettivista come Kant, Galluppi è del pari formalista nella
morale . 97. « La nozione del dovere, egli dice , sorte dall'interno di noi
medesimi, ed applicandosi alle azioni che si presentano allo spirito
costituisce quei giudizii, che sono precetti o comandi » ( 2) . « Questi
precetti, in conseguenza, son proposizioni sintetiche; poi chè essi sono un
prodotto necessario della sintesi della ragione, che aggiunge ad alcuni dati
atti liberi l'elemento del dovere... Questi giudizii , sebbene suppongano
alcuni dati sperimentali, non sono però sperimentali; essi possono, in
conseguenza, riguardarsi come giudizii a priori » ( 3) , - Questa dottrina non
ha bisogno di commento. In essa l'implacabile avversario del Saggio filosofico
riconosce la verità del sistema di quel grande uomo, com'egli lo chiama nella
Morale , che fu Kant ( 4) , « In varie parti delle mie opere filosofiche, dice
nella Filosofia della volontà ( 5) , io ho mo strato l'assurdità de' giudizii
sintetici a priori , ammessi dalla scuola di Kant ; ma i giudizii sintetici di
cui ho io parlato nelle mie opere di filosofia teoretica, sono giudizii
teoretici , non già giudizii pratici » . E negli Elementi di morale, al $ 37 :
« I giu dizii sintetici a priori teoretici mi sembrano assurdi . Ma dal l'esame
profondo della nostra facoltà di volere son forzato di am mettere i giudizii
sintetici a priori pratici, i quali son precetti. Mi sembra impossibile lo
stabilire altrimenti la moralità delle azioni » . ( 1 ) Elem ., V, 92. (2) Ivi,
ibid. (3) Filos. della vol. , IV , 46 ; Elem . , V, 120. ( 4) Elem ., V, 75. (
5) IV, 46 . 98. Fuori di questo soggettivismo morale il Galluppi , come il
Kant, non vede altro che eudemonismo, o morale dell'interesse, come egli dice ;
e questa gli pare soltanto una morale apparente (1). Quando s'intende la
giustizia come un interesse bene inteso, si fi nisce necessariamente col
sommettere la giustizia a qualche cosa che non è la giustizia . Distinguendo
l'interesse bene inteso dal male inteso , « non si pongono in opposizione due
interessi diffe renti ; al contrario, si pone in fatto, che non vi ha che un in
teresse unico , che l'uomo giusto e l'uomo ingiusto hanno egual mente in veduta
; e che fra essi non vi ha che questa differenza , che l'uomo giusto è un uomo
accorto , e l'ingiusto un imbecille » ( 2) . 99. Ora contro questa concezione
morale militano tre argo menti. 1. ° « La volontà dell'uomo virtuoso differisce
intrinseca mente da quella dell'uomo vizioso » . Laddove nella morale del
l'interesse la volontà di entrambi è unica ; perchè entrambi vo gliono la cosa
stessa : il proprio utile . 2. ° La virtù vera è una dote del volere ; e nella
morale dell'interesse, invece , sta tutta nell'accortezza dell'operare ; poichè
col cuore più perfido si può saper fare il proprio utile ( 3 ) . 3. ° La legge
morale dee essere asso luta ed universale . Invece la morale utilitaria « è
fondata su la situazione ipotica dell'uomo , la quale, cambiandosi, cambia pari
menti nell'uomo il principio di direzione, e la virtù diviene vizio , il vizio
virtù » . Sicché la morale utilitaria è falsa , distruggi trice di ogni vera
virtù si privata che pubblica ( 4 ) . La virtù è causa della felicità ; poichè
, se diviene mezzo, cessa di essere virtù ( 5) . 100. La morale è
essenzialmente disinteressata : la virtù è amabile per se stessa, indipendentemente
dal premio, che la segue. Ma « la coscienza di averla praticata dev'essere un
piacere puro distinto dal piacere preveduto dal premio , ed indipendente da
questo » ( 6) . Nella Filosofia della volontà ( 7 ) l'autore sostiene che se il
principio dell'utile non può produrre la virtù , nondimeno può concorrere col
principio del dovere a produrla. Non manca tuttavia di notare che tale
concorrenza « non impedisce, che l'azione sia prodotta dal principio
disinteressato del dovere; poichè il princi ( 1 ) Filos. d. vol., IV , 104. (
2) Op. cit . , IV , 105 . ( 3) Il Galluppi non ammetto che dall'utile proprio
possa nascere l'utile altrui , che l'egoismo, come ora si direbbe, possa
generare l'altruismo . « L'uomo nulla può amare fuori di se stosso se non per se
stesso » . Fil. d . vol ., IV, 105 . ( 4) Op. cit . , IV, 107-9 ; Elementi, V,
8 32, pp. 98-103. ( 5) IV , 113. ( 6) IV , 147. ( 7 ) IV, 164. 270 CAPITOLO VII
pio dell’utile in tal caso toglie solamente o diminuisce gli ostacoli
all'esercizio della virtù » ( 1 ) . Sicché , insomma, non è una vera e propria
concorrenza : l'azione morale è effetto unicamente del principio del dovere
assoluto e universale, categorico. Pare che il Galluppi si opponga alla
rigidezza razionalistica della morale del Kant ; ma in realtà sono d'accordo
nella medesima dottrina. 101. Negli Elementi l'autore pare accenni veramente al
Kant, dove dice ( § 33) : « Alcuni filosofi alemanni hanno preteso che
l'ubbidienza al dovere dee esser l'effetto del puro rispetto della ragione per
la legge , senza alcuna specie di piacere , nè di amore. Una tal dottrina è
falsa , e contraria alla testimonianza irrefraga bile della coscienza » . Ma
egli spiega così il suo pensiero : « Non si dee esser giusto e benefico , per
esser felice ; poichè anche quando la moralità non fosse una sorgente di
felicità , non si do vrebbe abbandonare . Ma più la virtù sarà pura e
disinteressata, più vivo sarà il piacere , che risulta dalla coscienza di
averla praticata ..... Il piacere unito all'esercizio del proprio dovere di
spone all'azione doverosa la volontà dell'essere ragionevole..... Ma non
bisogna confondere le conseguenze di un fine col fine stesso .... L'uomo
virtuoso vuole il dovere per se stesso : e questo è il fine ultimo della sua
volontà ; egli , in conseguenza, non fa il dovere per lo piacere ; ma il
piacere non lascia di accompa gnare la pratica del dovere » . Ora questa
dottrina è in opposi zione a un kantismo mal inteso : al kantismo cui s'allude
dallo Schiller nel famoso epigramma sullo Scrupolo di coscienza . Ma il Kant,
in verità, non ammetteva meno del Galluppi quel piacere che consiste nella
soddisfazione che ci dà la coscienza d'aver adem piuto il proprio dovere; ma
come il Galluppi teneva a distinguere questo piacere morale consecutivo
all'azione virtuosa dal piacere patologico a cui uò essere ispirata un'azione
non virtuosa (2) ; ad affermare che il sentimento morale è conseguenza non
principio ( 1 ) IV , 165. ( 2) P. es. nella prefazione alla Tugendlehre scrive
: « Ich habe an einem Orte ( der Berlinischer Monatsschrift) den Unterschied
der Lust, welche pathologisch ist, von der moralischen, wie ich glaubo, auf die
einfachsten Ausdrücke zurückgeführt. Die Last nähmlich , welche vor der
Befolgung des Gesetzes hergeben muss, damit diesem gemässgehandelt werde, ist
pathologisch , und das Verhalten folgt der Naturordnung ; diejenige abor , vor
welcher das Gesetz hergeben muss, damit sie empfunden werde, ist in der
sittlichen Ordnung » . Werke ( ed . Rosenkr. ), IX , 221; cfr . Krit. pr. Vern
. , in Werke, VIII , 152-3. della
moralità . Il Kant bensì osservava che il piacere per l'atto virtuoso compiuto
e il rimorso per il delitto presuppone che si sappia apprezzare il valore del
dovere e l'autorità della legge mo rale'; ond’è che la legge morale è il fondamento
di questi senti menti, non viceversa. Si deve essere , dice il Kant , almeno
per metà di già galantuomini per potersi fare un’idea di tali sentimenti .
Osservazione che mi pare perentoria contro ogni specie di eudemonismo. Sicché,
anche per questo rispetto, la morale del Galluppi riproduce quella del Kant.
102. Nella morale Galluppi si attiene al criticismo del saggio filosofico. La
sua morale, come quella di KANT, è indipendente dall'esistenza di Dio.
All'ateo, con la sola considerazione dell'umana natura può provare l'esistenza
del bene e del male morale, in dipendentemente dalla considerazione dell'utile.
Perchè l’ateo, qualora non voglia esser sordo alla voce della coscienza, non
può non riconoscere una legge morale, che gli comanda di esser giu sto e
benefico . Giacchè il dovere si conosce per se stesso , è un elemento semplice
di tutte le verità morali, che sgorga dall’intimo di noi stessi. Le difficoltà
da altri incontrate a dedurre dalla natura umana per sè considerata la
legislazione morale, derivano dalla inesatta e incompleta comprensione di
questa natura ; cui si attribuisce solo il principio dell'utile e si nega il
principio morale. Si parte dal principio che nella natura umana non vi può
essere altro principio razionale di azione che quello della pro pria felicità ;
ora qual meraviglia che partendo da un principio insufficiente a generare il
dovere non si giunga ragionando con conseguenza ad una verità pratica? Anzi,
secondo Galluppi, l'idea del divino non è sufficiente a spiegarci l'origine del
do vere : perchè una conoscenza teoretica non è sufficiente a generare un
principio pratico. 103. Ma, diceva il Genovesi, la ragione umana è fallibile :
è spesso traviata dal personale interesse. Eppero i suoi dettami non possono
essere norma delle nostre azioni . E il Galluppi replica , che questo scoglio
non si evita certo con la tesi dell'origine di Cfr. del resto questo passo del
GALLUPPI: « I difonsori della moralo dell'interesso bene riguardano il rimorso
come motivi, che debbano determinar l'uomo a fare il proprio dovero ; ma noi
sostenghiamo, che l'uomo virtuoso dee fare e fa il proprio dovore per se stesso
, indipendentemente dagli effetti che seguono dalla pratica della virtù e da
quelli del vizio. Filos. vina della morale. Perchè la legge morale bisogna
sempre che sia conosciuta dagli uomini ; e conosciuta , naturalmente, per mezzo
della loro ragione . Nè maggior valore ha l'argomento a cui ar restavasi il
Tamburini : che non si può concepire legge senza legislatore. Il legislatore,
dice Galluppi, è essa la ragione, in quanto ragione pratica. Un ultimo punto
d'incontro del Galluppi col Kant è il seguente . Secondo il filosofo italiano è
un principio essenziale della ragion pratica che la virtù è degna di premio ,
il vizio è degno di pena: giudizio sintetico a priori. Ora, se noi crediamo a
questo principio , dobbiamo pure credere all'immortalità del nostro spirito ;
perchè l'uomo virtuoso in questa terra non è sempre felice, nè sempre
sfortunato il malvagio. Che il vizio dev'esser punito intanto è indimostrabile,
come che la virtù debb’esser premiata. E indimostrabile, perchè è un giudizio
sintetico . Ma è legge inalte rabilmente impressa nella realtà del mio essere ;
è la voce di quella ragion pratica, che è la legislatrice delle nostre azioni ,
e che non ci pud ingannare, se la virtù non è nome vano . Uno stato è
necessario in cui quel principio abbia il suo valore reale , la sua piena
esecuzione . Inoltre , io trovo nel santuario del mio essere la necessità d'una
ricompensa della virtù e d’una punizione del vi zio ; vi trovo pertanto la
necessità di un giudice supremo. Vi è dunque un'intelligenza suprema, infinita
, assoluta , che si manifesta a tutti gli esseri intelligenti . Questo supremo
legislatore e giu dice è Dio. È, comesi vede , su per giù , la teoria kantiana
dei postulati della ragion pratica. 105. Ma Galluppi sente la difficoltà che
s'oppone a una deduzione teoretica da un'esigenza morale, e si domanda :
possiamo noi su la semplice esistenza delle nostre affezioni in noi, stabilire
la realtà degli oggetti di esse ? Anche al Kant si affacciava un problema
simile ; e fa escogitare quella teoria del primato della ragion pratica sulla
ragion teoretica, che è una vera rinun zia a ogni diritto di vero e proprio
filosofare , e perciò a ogni fondamento filosofico della stessa morale. Il
Galluppi non fa motto di questa teorica , forse convinto della sua
manchevolezza, e tenta ogni via per distrigarsi dalla difficoltà ravvisata. Ma
non pare che le ragioni trovate lo persuadano bene. Giacchè , infine, Elem . Vedi
le ottime osservazioni di MATURI , Principii di filosofia, Napoli, si prova a
dimostrare l'immortalità dell'anima, indirettamente, dimostrando che non si può
provarne la mortalità . Se pure que sta può dirsi dimostrazione. 106. Egli dice
in sostanza, dopo qualche esitazione : l'esperienza ci mostra che gli oggetti
delle nostre affezioni sono reali. Ma fra le nostre affezioni c'è la tendenza
alla immortalità ; dunque l'anima è realmente immortale. Bisogna riconoscere
che in gene rale le nostre tendenze naturali non sono defraudate del loro
oggetto . Una di queste tendenze è la curiosità . E non possiamo noi forse,
dice Galluppi, spesso soddisfare la nostra curiosità. Questo spesso , veramente
, guasta, e non poco , l'argomentazione dell’autore ; il quale si contenta di
constatare con l'esperienza : « non vi ha alcuna tendenza nel cuore umano la
quale non possa qualche volta raggiungere l'oggetto cui ella tende. Qualche
volta! Dunque l'asserzione dell'immortalità dell'anima non è nulla d'apodittico
: è meramente problematica . Per dirla schietta, il nostro filosofo è convinto
che « il domma dell'immortalità » im porti alla filosofia morale come il più
fermo sostegno della virtù infelice ed un freno potente alla licenza del vizio
» ; ma chiuso nel suo sperimentalismo, ignaro degli espedienti mal fidi del
Kant, non sa fondare teoricamente il suo principio , non sa darne una
giustificazione filosofica ; più filosofo nella sua impo tenza degli odierni
prammatisti, che con la maggiore disinvoltura creano una metafisica per uso e
consumo della morale, quasi che lo spirito avesse fine più degno del vero. Quasi
che il bene potesse fare a meno di essere il vero bene. Stabiliti comunque i
suoi principii generali della morale, che , come s'è notato , sono principii
essenzialmente formali, come tutti i principii soggettivi, si può rimproverare
al Galluppi ch'egli ne deduca i singoli doveri. Ma anche in questo egli
s'accorda col KANT, la cui Dottrina della virtù, nella seconda parte della metafisica
dei costumi, per quanti sforzi facesse l'autore di salvare il suo formalismo ,
è in assoluta contraddizione col principio for male da cui si vuol derivare. Il
formalista così nella logica come nella morale deve lasciare alla storia il
compito di dare un con. tenuto alle leggi soggettive, epperò necessarie ed
universali, dello spirito. Certo , con tutti i suoi difetti , che non sono
solamente suoi, anche nella morale il Galluppi rappresenta un progresso immenso
Elem . della filos. morale, cap. sui filosofi precedenti. In conchiusione, egli
con le sue ispirazioni kantiane, co'suoi studi accuratissimi su tutta la
moderna gno seologia post-cartesiana si libera dalle angustie del sensismo e
dello spiritualismo dommatico ; e inizia in ITALIA un nuovo periodo speculativo
; nel quale il nostro pensiero, rinsanguato delle idee più vitali della
filosofia tedesca. si solleva col SERBATTI e col Gio berti a un'altezza non più
toccata da noi dopo i grandi pensatori del Rinascimento.Galluppi. Pasquale Galluppi. “Galluppi errs in calling natural
semiotics, ‘il linguaggio dell natura,’ since no tongue is involved!” But we
can forgive him for that since he genially realizes, unlike King Alfred, that
one can use ‘dire’, ‘con questo moto del ditto, egli dice al compagno che vada
da B in C” Segno figurato, motto dei bracci quando imito il moto de pesare para
figurar paragonare. – Grice: “Gallupi’s scheme is a complex, and much better
than Locke. He notes that ‘natural’ can apply to ‘sign’, and it is a natural
fact that men will start using ‘natural’ signs in an artificial way – this he
calls ‘natural sign’ – in that it is already an utterer making the gesture, as
when he sneezes, intentionally. Galluppi has always in mind the dyad, what he
calls il ‘compagno’ – so he plays with fifty variants on a theme. A makes a
gesture – with the finger, with the arm --. Galluppi speaks of the ‘proposizione’
being communicated even in these cases – a ‘grido’ is equivalent to the
proposizione that the compagno is to ‘turn his attention towards the utterer’ –
In the ‘natural’ sign, as used in communication, we are already in the realm of
the artificial – only a black cloud naturally means rain – Galluppi hardly
dwells on a ‘grido’ signifying pain in a natural way. He notes that we
progress. And he keeps looking for the reasons in the utterer and the addressee
for all this. So like me, he looks for a motivational rationale – a ‘semantic’
freedom – or ‘prammatica’ as he would say. Since he is an illuminista, he is
only concerned about this in terms of a minimal taxonomy of signs. So between
the signs used in communication he distinguishes three types: the imitative,
the indicative (different criteria) and the figured sign – not figurative –
‘segno figurato’ – when a lot of pantomime takes place. It is only THEN that he
explores the arbitrariness: one loses one’s compagno, and utters, “Where are
you?” – so since this worked, they agree that ‘Where are you’ will mean, “I
lost you – where are you?” --. And then we have a full lingo – or semiosis. He
rightly thinks that his is an improvement over Lucrezio!” Pasquale Galluppi. Galluppi. Keywords: gesto,
grido, gemito, moto del ditto, dolore, causa del dolore, circustanza, segno
naturale, segno istituito, segno commune (istituito per la comprensione mutua),
segno arbitrario, segno artificiale, segno imitative, segno indicatore, segno figurato,
segno analogico, segno figurativo -- gesto della mano, lo sguardo, communicare,
sentire, volere, Gentile, il canone nella storiografia filosofica italiana –
Gentile su Galluppi. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Galluppi," per
Il Club Anglo-Italiano,The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria,
Italia.
Grice e Galvano: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’arte naturale – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I like Galvano; he has philosophised
on aesthetics, on ‘spirit and blood,’ and on polytheism, citing Sallust!” Frequenta la scuola a via Galliari,
animata da Casorati. Fonda L'Unione
Culturale di Torino. Promuove il
“Movimento Arte Concreta” – cf. Arte Astratta – Insegna all’Accademia Albertina.
Dizionario Biografico degli Italiani. FONDAZIONE
GIORGIO AMENDOLA E ASSOCIAZIONE LUCANA CARLO LEVI Pino
Mantovani Luca Motto Albino Galvano Fare,
pensare, vivere la pittura"i Pmm gr s m dz de
2zpA—A_t} PA "o Scritti di PINO
MANTOVANI LUCA MOTTO ALESSANDRO BOTTA ADRIANO OLIVIERI
G. Fare, pensare, vivere la pittura Aver
puntato il senso della propria vita sui segni e sui colori sarà
stata magari una puntata inutile ma non elusiva e non insincera | [ALBINO
GALVANO, 1980] FONDAZIONE GIORGIO AMENDOLA AssociaziIoNE
LUCANA IN PieMONTE Carto LEVI MOSTRA D'ARTE TRENTENNALE DI G.
Torino, marzo-giugno 2021 presso la Sala Mostre dell’Associazione
Lucana Carlo Levi e della Fondazione Giorgio Amendola Con il
Patrocinio di Con la collaborazione di REGIONE CONSIGLIO wc I
GALLERIA | NE } CITTA DI TORINO olii MIN FEONIE DEL PIEMONTE att
Sen DEL PIEMONTE Il 2020-21 è stato un biennio segnato
dalle notevoli difficoltà imposte dalla pandemia da Covid-19. Alla luce
delle molte restrizioni, la Fondazione Amendola ha cercato, nel limite
del possibile, di proseguire con le proprie attività di divulgazione e
promozione culturale adattando spazi e metodologie alle esigenze del
periodo, rispondendo all'emergenza coronavirus con iniziative dinamiche e
creative, passando per la fruizione digitale per permettere agli utenti di
restare a casa, come le disposizioni prescrivono, senza perdersi dei
contenuti culturali. Sotto questa prospettiva e, nonostante le
molteplici difficoltà, il lavoro svolto per ricordare, a trent'anni dalla
sua scomparsa, l'artista torinese Galvano è stato importante. La
Fondazione Amendola ha ritenuto opportuno offrire alla città di Torino e non
solo, la possibilità di accedere gratuitamente all'incontro con l’opera
artistica e intellettuale di una delle figure di spicco del panorama
artistico italiano della seconda metà del novecento. L'iniziativa, di
rilievo nazionale, ha permesso di raccogliere artisti e intellettuali di
tutta Italia che hanno collaborato con G. e che tuttora ricoprono un
ruolo fondamentale nella produzione culturale del nostro Paese.Prospero
Cerabona Presidente della Fondazione Giorgio Amendola Studi,
Convegni, Ricerche della Fondazione Giorgio Amendola e
dell’Associazione Lucana Carlo Levi 54 Presidente Fotografie
delle opere PROSPERO CERABONA MARCO CORONGI Curatore mostra e
catalogo Direttore Responsabile PINO MANTOVANI PROSPERO CERABONA
Scritti di Redazione PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, BOTTA, ADRIANO OLIVIERI
DOMENICO CERABONA, MARIA SOFIA FERRARI Progetto ed
allestimento PINO MANTOVANI, LUCA MOTTO, EDITRICE IL RINNOVAMENTO
—” Fotocomposizione © EDITRICE IL RINNOVAMENTO
Ente promotore Fondazione Amendola VIDEOIMPAGINAZIONE GRAFICA DI TESTI E
IMMAGINI Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi VIA TOLLEGNO TORINO Si
ringraziano per il prestito delle opere e la collaborazione: Galleria del Ponte
(Torino), Civica Galleria d'Arte Contemporanea Filippo Scroppo (Torre
Pellice), Stefania e Testa, Liliana Dematteis, la famiglia Maggiorotto e tutti
gli altri prestatori che hanno preferito restare ano- nimi. Si ringrazia
Francesca Barzan per la realizzazione delle docu-interviste.
Sommario Albino Galvano e la pittura Pino Mantovani Albino
Galvano: la fedeltà alla pittura Luca Motto Da discepolo a interprete.
Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro Botta Gli occhi
fervidi e il sapore di cenere. Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo,
Art Nouveau Adriano Olivieri Opere esposte
ARTE DI VENEZIA GATMAZH TEAOZ GANATOZ XXVI:
ESPOSIZIONE INTERNAZIONALE D G. BIENNALE Foto
Giacomelli - Venezia FOTOTECA ASA. G. e la
pittura Pino Mantovani Da pittore, Albino Galvano pone tre
livelli d’inda- gine; come qualsiasi artista intelligente, se non
fosse che, nel caso suo e di non molti altri, i tre livelli si
presentano specialmente complessi e coltivati con con- sapevole
separatezza e problematica interconnessione: Il primo livello
comporta chiedersi che pittore Galvano sia stato e, ovviamente, interrogarsi
sulla specie e sulla qualità della pittura (delle pitture) che ha
messo in opera nel lungo percorso, sicuro e tortuo- so, che lo ha
impegnato pressoché ininterrottamente. Il secondo livello comporta
mettere a fuoco la concezione (le concezioni) ch'egli ha elaborato
della pittura, in quanto da critico (e autocritico: nella sua
scrittura, l’autoritrattoè un vero e proprio genere!) si è occupato
dell’arte, in particolare della pittura, conuna intensità, una
pervicacia, una curiosità sempre sveglia, direi aggressiva, in un'epoca
provocatoria e insieme minacciata dalla condiscendente
banalizzazione. Ma, forse, il nodo più difficile da sciogliere
è quale rapporto ci sia tra il praticante pittura (‘[...] è questa
l’arte — scrive di sé nel ‘46 — della quale ab- biamo, bene o male, una
qualche esperienza vissuta e [...] non crediamo se non ai discorsi che
nascono da questa esperienza”, dove si radica anche la mi- litanza
del critico) e il teorico che usa gli strumenti del filosofo, dell’antropologo,
dello psicanalista, dello storico (da competente, eppure mai
imprigionato dallo specialismo? e anche meno dall’appartenenza'*)
1 Sipuòdaffermare che ogni suo scritto è occasione per una
au- toanalisi. Come, d'altra parte, che l'autobiografia non è mai
cro- naca contingente, invece occasione per andare oltre la
cosiddetta evidenza dei fatti, per indagarne radici e proiezioni.
2 A. Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”
n.1, Torino, ripubblicato in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il
sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante, Torino; in A.
Galvano, Diagnosi del moderno, a cura di A. Ruffino, Aragno editore
Torino. 3. G. Gallino, in Attraverso il Novecento: Albino Galvano,
Atti del Convegno, Torino 1997 a cura di M. Pinottini. Bulzoni
editore, Roma: "Se ... l’eclettismo diventa una condizio- ne
dell'esercizio dell’arte, è anche la qualificazione dello status
dell’intellettuale, che, in ogni specifico ambito d'indagine, è sol-
lecitato a non perdere di vista la visione d'insieme dei problemi. La
polemica di Galvano contro la specializzazione, quale esclusiva procedura
del sapere, risponde a tale regola metodologica. In- dubbiamente, in ogni
attività culturale, è necessaria una partico- lare competenza, ma, al di
là del suo confine, s'impone l'esigenza del controllo unitario dei suoi
esiti e delle sue interpretazioni”. A. Ruffino, (Com)plessi galvanici,
introduzione a Diagnosi del mo- derno, cit.,: “Contro lo specialismo, ...
Galvano ha sferrato una controffensiva senza tregua e a tutto campo: sul
pia- no pratico, opponendo al tecnicismo la tèchne (nel suo caso
quella pittorica); sul piano morale, opponendo alla provvisorietà
della posa il rigore della presa di posizione (ma mai irrigidita in
partito preso); sul piano estetico, opponendo ai miraggi di progresso
illi- mitato espressi dal Funzionale le ragioni dell’Organico, capace
di suscitare creazioni vive”. 4 Interessato “da una parte
all'eredità del tardo romantici- A. G. con Mariacarla e Pino Mantovani,
Racconigi, 1980. per affrontare la pittura, alla quale riconosce
una singolare centralità. Tutti questi temi mi hanno per
decenni accom- pagnato e sollecitato. I miei primi interventi su
Galvano pittore risalgono, infatti, all’inizio degli Ottanta: data 30
novembre 1980, la presentazione ad una personale presso la Galleria
Maggiorotto di Cavallermaggiore, seconda di una serie dedi- cata ai
protagonisti del MAC torinese; ma già nel marzo dello stesso anno avevo
tracciato, con la collaborazione dei miei allievi in Accademia, un
quadro della pittura degli anni Cinquanta a Torino nel Museo Civico di
Casa Cavassa a Saluzzo’, sulla falsariga delle indicazioni che Galvano
aveva for- nito a T. Sauvage? per una storia ancora regionale
dell’arte italiana nel Dopoguerra; e nel 1983 sul catalogo della mostra
Arte a Torino, nel smo e del decadentismo: Mallarmé e Bergson, ‘esoteristi
e filosofi della vita’, psicanalisi ed esistenzialismo, dall'altra alla
severità dello storicismo crociano e all'esempio del rigoroso metodo
cri- tico negli studi di storia dell’arte [...] Lettore di Klages, di
Jung o di Guénon, ma anche studioso di Kant e di Hegel” (A.
Galvano, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Numero”, n. 3, 1953.
At- tento a Freud come a Jung. Curioso delle storie, nel tempo e
nello spazio, pronto a coglierne, nella comune umanità, le differenze
e le istruttive potenzialità. 5 PitturaaTorinoneglianni
cinquanta, a cura di G. Mantovani, cata- logo della mostra, Museo Civico
di Casa Cavassa, Saluzzo. 6 T. Sauvage (pseudonimo di A. Schwarz)
Pittura italiana del Dopoguerra; Ed. Schwarz, Milano 1957, il testo fu
ripubblicato con integrazioni e il titolo La pittura a Torino dal ‘45 ad
oggi, in “Let- teratura”, n. 1, Torino 1960, successivamente in A.
Galvano, La pittura..., cit. pag. 135 segg; e A. Galvano, Diagnosi...,
cit., pagg. 393 segg. 7 Arte a Torino, 1945-1953, a cura di
M. Bandini, G. Mantovani, F. Poli, catalogo della mostra, Torino salone d’onore dell’Accademia Albertina,
dedicavo a Galvano il mio intervento, anche oltre gli anni definiti
nel titolo. Mi troverò, pertanto, a incro- ciare in queste pagine scritti
pubblicati in un arco di tempo di circa quarant'anni, con il proposito,
spero non solo narcisistico, di organizzare in di- scorso unitario
contributi sparpagliati e spesso di non facile reperimento.
Proprio dalla presentazione Maggiorotto — poi variamente elaborata
per occasioni ulteriori dedicate appunto al MAC, come il catalogo per la
esposizione del MAC torinese sempre curata dalla galleria Mag-
giorotto alla Expo Arte — Fiera Internazionale di Arte Contemporanea di
Bari (1982), la presentazione del catalogo Albino Galvano, Proferio
Grossi, Luiso Sturla, Artecentro, Milano 1994, fino al saggio sul
movimen- to torinese nel volume per la mostra MAC/ESPACE
TORINO È VIa S. GIULIA 12 TORINO Pre. A.
PARISOT |F. SCROPPO Bollettino «Arte Concreta» e n. 12,
1953. all’Acquario di Roma—mi parlogico cominciare, non
tanto perché uno dei primi approcci al tema — allora potevo anche contare
sul rapporto diretto con Galvano, ma devo dire che la sua disponibilità
non era invasiva e tanto meno arcigna rispetto alle inter-
pretazioni che venissero proposte del suo impegno — quanto perché vi si
pongono i fondamenti del mio interesse per l'artista /critico / filosofo.
L'incipit che sceglievo allora mi pare sia ancora il migliore
possibile; non mio, intendiamoci, invece proprio di Albino che
8. Loscrittosarà rielaborato come prefazione a A. Galvano, La
pittura, lo spirito e il sangue, cit. 9 P. Mantovani, Pittori
concreti a Torino, in MAC-ESPACE - Arte concreta in Italia e in Francia,
1948-1958, a cura di L. Berni Canani e G. Di Genova, catalogo della
mostra, l'Acquario Romano, Roma, ed Bora, Bologna.
così aveva concluso un asterisco sul Bollettino “Arte Concreta”,
n.12, 195310 ; “E scopriremo che è un programma [quello del
MAC le cui premesse erano già nei romanzi dei tempi della nonna? Tanto meglio,
almeno avremo evitato l'equivoco più antipatico che grava sull'arte
astratta: che si tratti di cosa moderna 0, peggio, d'avanguardia”.
Una fulminante risposta al nemico Leonardo Borgese che sul Corriere della
Sera, aveva definito A’ rebours di Huysmans, “un vecchio romanzo
dell’800”, fonte peraltro “di tuttele velleità estetiste
dell'avanguardia”: fornendo unovvio spunto polemico — non saprei
quan- to consapevole, nel caso addirittura masochistico — a chi da
anni si occupava del rapporto tra le cosiddette “avanguardie” ela linea
dal Romanticismo al Simboli- smo; ma anche agli amici di Milano che si
riconoscevano nel programma di Sintesi delle Arti pubblicato nello
H | FIL sintesi allo studio b 24
dal 21-2 al i: se ? i fi 5
5! È s7 A. G. riproduzione di
Verso Occidente, Biennale di Venezia 1952. stesso Bollettino, che
prevedeva “il diretto concorso di tecnici e artisti, sul piano della
stretta collabora- zione, per il raggiungimento finale d’un concreto
il quale aderisca alla funzione in armonia di colleganza fra il
mondo della forma, lo spazio e l'applicazione pratica dell’opera
collettiva”! viva il design, la grafica e l'estetico diffuso, dunque.
Come non bastasse, Gal- vano conclude l'asterisco citato rigettando
qualsiasi attualismo:” Che bel giorno quello in cui potremo
lavorare in pace al compito che la storia ci ha affidato, certi che nonè
sulla misura della contingente attualità 10
L'asterisco, cioè l'osservazione, la messa a punto marginale è il contributo
che Galvano sceglie per intervenire criticamente liberamente sui
Bollettini del MAC (e altrove). 11 E Passoni, Le arti e la tecnica,
“Arte Concreta”, ried. anastatica, a cura della galleria Spriano, Omegna.
che il nostro lavoro verrà giudicato!”. Il fatto è che Galvano non
intende escludere tutta la complessità di rimandi e proiezioni,
soggettivi ed oggettivi, che i linguaggi dell'immagine — specialmente
quando non siano troppo condizionati da tecniche o ideologiche
motivazioni — si portano dietro e dentro, e che, del resto, la cultura
moderna indaga con particolare impegno e analizza con rinnovata
strumentazione, mentre altri linguaggi dell’immaginario—la poesia,
la narrativa, lamusica — stanno sperimentando a tentoni forme
“nuove” (o vecchie !? o antiche, al punto d’essere “originarie”!).
Neppure, d'altra parte, egli intende abbandonare la pittura come
linguaggio specifico, proprio quella tradizionale (tela, carta o
qualunque supporto piano, disegnoe colore, gesti e tracce a formar figure
!4); per quanto metta in conto uno spostamento dall’iconico
all’aniconico, dal descrittivo all’evocativo, dall’allusivo
all’emblematico, dal geometrico al rit- mico al gestuale; ciò che non
precluderebbe peraltro “la possibilità di uno scambio e di una
penetrazione sempre possibili nell'esercizio di una lettura
figurativa per elementi — segno, colore, movimento, materia ecc.
“Confessiamo di essere segretamente d'accordo con Bor- gese [quando
invita a rileggere A’ rebours]. Perché... l'essere agli antipodi [delle
scelte di Huysmans e delle preferenze in pittura del suo eroe Des
Esseintes] è troppo vitalmente legato a ciò che rifiuta per non
riprenderlo su di un piano meno esterno: e le cita- zioni dalla Blavatzky
e da Steiner del Kandinsky della ‘Geistige’, l'appartenenza a circoli
teosofici di Mondrian giovane, il fatto che uno dei primi scritti
italiani sull'arte astratta sia di J. Evola sono ben significativi di un
rapporto ambivalente — di rifiuto per la ca- rica letteraria, moralistica
o immoralistica, del simbolismo speso alla spicciola nell’allusività
delle immagini e della messa in scena, e insieme di accettazione di quel
gusto di allusioni e suggestioni, di segrete corrispondenze tra immagini
e speculazioni — che — nel- le sue due facce: sensualmente umbratile
l'una, simbolicamente intellettuale l’altra — tra il 1890 e questa metà
del nuovo secolo hanno ostinatamente tentato di aprirsi una strada — sia
pure af- fidandosi alla romantica barca ‘ebbra’- dalle varie forme di resa
alla prosasticità del realismo”. Ancora dall'asterisco citato di Gal-
vano in “Arte concreta”. Azzardo un'ipotesi (certo suggestionato dal recente
catalogo della mostra La regione delle Madri. I paesaggi di Osvaldo
Licini, Elec- ta, Milano, 2020, in particolare dal saggio di S.
Bracalente, Licini oltre la geometria: una primordiale genesi del mondo):
che Galvano non abbia ignorato “Valori primordiali”, e in particolare
l’opera di F. Celiberti, anche lui proveniente da studi di storia delle
religioni, tanto importante per Licini proiettato dalla fine degli anni
Trenta oltre la geometria, specialmente nell’incrocio tra teosofia,
esisten- zialismo e fenomenologia (Paci e Banfi), e per comuni interessi
per Spengler, Klages, Guénon ... e per l'alta poesia romantica.
14 “Dipingere con colori e pennelli ... è stata una costante del
mio lavoro nei suoi vari cicli, anche quando come spettatore ho pregiato
e difeso esperienze varie e opposte. Ma è certo che, se tra il '75 e il
’78 ero venuto via via recuperando alla mia pittura quell’attaccamento
alle gidiane nourritures terrestres che confessa- vo in un altro mio
scritto, nei quadri qui presentati esse hanno perso ogni ghiottoneria che
non sia quella dell'occhio contemplan- te: in bocca è solo sapore di
cenere. Ciottoli, fossili: l'eco della vita in ciò che non ha vita o non
l’ha più”. A. Galvano, Autopresenta- zione della Personale, Piemonte
Artistico Culturale, Torino). Libretto di iscrizione
a magistero. — non diversi da quelli che consentono la
valutazione di ogni buona pittura”! Perfino le ‘’ giuste ragioni”
concesse ai concretisti milanesi sembrano far parte di un gioco alquanto
provocatorio, portando il discorso dal livello tecnico a quello culturale
ed etico, di una eticità sempre esposta, in un certo senso negativa
(“demoniaca”, nella cultura occidentale, di radice inevitabilmente
cristiana anche nella più spinta laicità). Già l’anno precedente,
nelnovembre del ’52, firmando con Biglione, Parisot e Scroppo quello che
a ragione o a torto è considerato il manifesto del movimento
torinese, Galvano aggira gli ottimistici programmi dei milanesi, espressi
nei manifesti dell’ Arte Organica, del Macchinismo, del Disintegrismo,
dell'Arte Totale!’ che sanno ancora tanto di Futurismo, e dichiara
che carattere essenziale nella scelta dei nuovi adepti è la
“responsabilità liberamente assunta sul limite più impegnativo ... di
lotta contro ogni conformismo e pigrizia intellettuale” nel campo della
pittura come in diversa applicazione estetica e pratica, senza com-
promessi e “senza pudore”. Il fatto è che Galvano (e A.
Galvano, presentazione della collettiva, Bordoni, Galva- no, Jarema,
Parisot, Scroppo, Galleria del Fiore, Milano 1954. 16 Cfr. “Arte
Concreta n. 10. “L'unico atteggiamento ragionevole è quello di
lavorare at- tendendo colla sincerità di chi sa che lo spirito ama le
posizioni estreme ed attive , non i compromessi”. (A. Galvano,
L'evasione, in “Il Selvaggio”, 15 gennaio 1940, ripubblicato in A.
Galvano, Dia- gnosi del moderno (a cura di A. Ruffino), cit., pag.
28. con lui i pressoché coetanei Adriano Parisot, Filippo
Scroppo, Paola Levi Montalcinie i più giovani Anniba- le Biglione e Carol
Rama, per nominare tutti i torinesi che aderiscono più o meno convinti al
MAC)ha dietro le spalle una ventina abbondante d’anni di lavoro non
ovviamente mirato allo sbocco astratto. Basta pensare alla frequenza
orgogliosamente esibita fino all'ultimo della scuola di Felice Casorati
(sul quale elabora una piccolamaimportantemonografia che punta non
poco sulla stagione simbolista — sull'argomento si rimanda
all'intervento in questo catalogo di Botta), al rapporto con il
neoimpressionismo dei Sei, in va- riante espressionista; al fatto che
egli medita, continua a meditare sul significato e sul valore della
scelta “moderna”, essenziale, inevitabile, ma problematica nelle
ragioni, nei modi, negli obiettivi; infine, che ha una formazione teorica
e storica — aggiungerei una struttura psicologica ed una educazione — che
non gli consentono di utilizzare a cuor leggero la strategia del
manifesto, di ascendenza futurista, e in genere le dichiarazioni
programmatiche!8: una questione di carattere e di stile oltre che di
metodo e di cultura. Del resto, Albino Galvano aveva già affrontato
il tema in testi antecedenti di alcuni anni, ne utilizzo uno in
particolare:” La pittura, lo spirito e il sangue”, che uscì nel 1946 sul
primo ed unico numero della rivista “Tendenza”, nell’ambiziosa
prospettiva dei direttori responsabili — lo stesso Galvano e Pippo Oriani
— Rivista mensile di Arti figurative!. Certo esistono di Galvano saggi
più importanti come quelli che elenco innota?°, dove il tema è affrontato
con argomentazioni analitiche e storicamente complesse, ma continuo
a trovare snodo esemplare nella vicenda dell'artista il brevesaggio
citato. Anche la data è importante, a guer- Il dubbio, lo
scetticismo, l'ambiguità come tensione fra op- posti sono fondamenti del
suo metodo, che non è irrazionale, in- vece di un razionalismo critico
che mai cede allo schema ideolo- gico o alla rigida
consequenzialità. Nonacaso ho scelto il titolo del saggio come
titolo per la citata Antologia di A. Galvano, edita dal Quadrante, Torino.
Diversi saggi di grande respiro, Galvano pubblica negli anni
immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Elenco in ordine
cronologico quelli ripubblicati sull’Antologia citata, consenziente
l’autore: Aspetti del problema estetico dell’esistenziali- smo, Atti del
Congresso internazionale di Filosofia, Castellani e C ed., vol II, Roma,
1946; L'esistenzialismo, a cura di E Castelli, Mi- lano 1948; Storicità e
significato dell’arte “astratta”, in “Archivio di filosofia”, vol. I,
Milano 1953, “Galleria di Lettere ed Arti”, n. 4-5, 1953; Medioevo e
Romanticismo, “Questioni” n. 2, 1955; Vita e forma in alcune ricerche di
estetica contemporanea, Atti del IIl Congresso In- ternazionale di
Estetica, Venezia 1956, edito dalla “Rivista di Esteti- ca”, Torino 1957;
Le poetiche del simbolismo e l'origine dell’Astrattismo figurativo, Studi
in onore di L. Venturi, Roma. All'elenco si aggiungono i saggi pubblicati
in successive occasioni: in partico- lare sul catalogo della Antologica
postuma: Omaggio a Albino Galva- no, a cura di P. Fossati, F. Garimoldi,
M. C. Mundici, catalogo della mostra, Circolo degli Artisti, Torino 1992
e, con scelta assai più am- pia ma ancora lontana dalla completezza,
sulla recente antologia: A. Galvano, Diagnosi del moderno, cit.
ra appena finita; come significative le collaborazioni, che elenco
per segnalare la ricchezza e la varietà dei contributi, intesi a coprire
in tutta la loro estensione le cosiddette Arti figurative: C. Mollino e
U. Mastro- ianni, Monumento ai Caduti per la liberazione d'Italia;
R. Chicco, ... et le tableau quittè nous tourmente et nous suit; I.
Cremona, Dal cannone alla Secessione; A. Dra- gone, Disegni, acqueforti e
acquerelli di Cino Bozzetti; P. Oriani, Franco Costa; C. Mollino, Gusto
dell’Architettura organica; O. Navarro Il messaggio della cultura;
ancora A. Galvano, Woyzeck di Georg Biùchner, P. Oriani, Breve
discorso su due films di Cocteau. Aggiungo — e non è un dato
secondario—dopo una pagina redazionale, quindi di Pippo Oriani “che
proviene dall'esperienza futuri- sta” e dello stesso Albino “che proviene
dal purismo casoratiano e dal neoimpressionismo venturiano”, dove
si rivendica, dalle due parti inconciliabili (ma l’inconciliabilità è
segno di forza, di utile tensione) la gratuità dell'atto creativo
rispetto alla riflessione critica, e l'autonomia del giudizio critico
rispetto alle generalizzazioni dell'estetica, in un tempo storico
che minaccia di deludere chi aveva sperato che la fine del regime
politico e culturale comportasse il recupero pieno della libertà e la sua
pratica esplosiva. L'avvio del saggio è forte, al solito
compromesso, e ancora una volta lo propongo: “L'appello della pit-
‘LA PITTURA, LO SPIRITO E IL SANGUE L'appello della pittura
risuona dal profondu del nostro sangue — ancora con quell’urgenza —
come nei quindici anni quando sostituiva in camuff:imenti impegnati
sino alle estreme ragioni della possibile azione, gli slanci religiosi o
i presentimenti sessuuli. Ma le vie dell'Eden sono perdute, e sarà vano
lo sforzo di ricostruire un itinerarioche approdi al- l’innocenza
d'allora, che vi riscatti la sin troppv chiara coscienza del carattere
composito e compro. messo di ogni atto umano che non sia di rinunzia:
il peccato fondamentale dell’arte. Invano da anni l'estetica crociana,
non per nulla irritata con il « fanciullino » pascoliano troppo
chiaramente preanunciante le scoperte freudiane {e contro Freud i
erociani si armeranno della più ipocrita in- comprensione) cerca di
riprendere e di legittimare, con la sterilizzata convinzione del
carattere « teore. tico» dell’arte, il troppo scoperto « alibi »
kan- tiano del « bello come simbolo del bene morale ». Credo siu
venuto il momento di confessare schiet- tamente che il bello, proprio
questo bello artistico che ci brucia sin dalla giovinezza ogni
possibilità di rassegnazione e di conformismo, è piuttosto il «
sim. bolo del male morale ». Tanto, anche eticamente. dla questa
franchezza non perderemo nulla. Soltanto Nietsche ha insistito con
sufficiente chia- rezza su questo carattere, profondamente « vitale
» e perciò profondamente « immorale » dell'attività artistica:
contro il quale assai poco mi paiono va- lere le due obiezioni che implicitamente
o esplici- tamente vengono mosse dagli idealisti e dagli spiri.
tualisti. Se per i crociani — ma credo che in Gen- tile l'implicita
ammissione, inevitabile data l’iden- tificazione di arte e sentimento e
l’inseparabilità dell'agire dal conoscere, di quanto sì è detto, fosse
più che sospettata dall'autore anche se la reto. rica di cui sempre fu
ammalato gli impedì di am- metterlo in termini chiari; che tuttavia non
man- cano nei più diversi fra i suoi seguaci o avversari- seguaci:
dal primissimo Abbagnano disciogliente tatto il reale in irrazionalità,
appunto con una re- ducetio ad absurdum dell’attualismo, all'Evola,
al più recente Spîrito — se per i crociani, si diceva, la
scappatoia di ridurre l’arte a pura conoscenza, giocando sul doppio ruolo
confuso insieme del- l’« intuizione » permette di evitare lo spinoso
prò- blema, i recenti spiritualisti — ma anche fra di.
loro lo Stefanini, ad esempio, ammettendo una.« in- sufficienza
dell’arte alla vita» — pur nella auto- ì enza in ordine al proprio valore
peculiare, finisce collo svalutare moralmente l’arte — candi-
damente invece sermoneggiano sulle comuni radici del bello e del buono
(nel secolo scorso queste niaiseries di solito avvenivano su di uno
sfondo ontologistico vagamente giobertiano, oggi lo gnoseo- logismo
idealistico generalmente è rispettato anche dagli spiritualisti che
dell’idealismo dovrebbero es- ser avversari) e ci avvertono che il
tormento del- l'urtistu che insegue con il diuturno lavoro il fan-
tasma che sempre gli sfugge è profondamente mo- rale! ; Dio
volesse che fosse veramente così. E che si potesse sul serio sperare che
all'artista, dopo la conquista su cui ha tutto giocato, della
propria immagine, fosse anche riservato per soprappiù il paradiso
delle religioni e delle etiche! Sarà meglio invece guardarci
chiaramente in fac- cia e chiederci se veramente per il puradiso
provvi. sorio della bellezza non giochiamo la salvezza della nostra
anima — ammesso che «questa espressione abbia un senso: quello cristiano,
+ quello di una etica « laica » (ma generalmente è cripto-eristiana
anch'essa) — riconoscere per che cosa abbiamo scommesso; chè le
conseguenze del nostro « pari » atiche se lo avremo perduto non
diventerunno duv- vero peggiori per quest’atto di franchezza.
Rimane inteso che su questa rivista, che non è dedicata a studi
filosofici, non potremo farlo che sotto l'angolo della pittura; ma poichè
è questa arte della quale abbiamo, bene 0 male. una qual che
esperienza vissuta e poichè d'altra parte non crediamo se non ai discorsi
che nascono da questa specie d'esperienza, la cosa non sarà fuori
posto. La coscienza rimane inquieta. E poichè sente che tutto
nel problema implica la discussione delle CAROL RAMA
Disegno - 1944 Da «Tendenza», 1946, disegno di Carol Rama.
tura risuona dal profondo del nostro sangue — ancora con
quell’urgenza — come nei quindici anni quando sostituiva in camuffamenti
impegnati sino alle estre- me ragioni della possibile azione, gli slanci
religiosi o i presentimenti sessuali”. Geniale, perché collega
direttamente, intimamente la pittura (ma in genere i linguaggi creativi)
alla natura, al sangue appunto, affermando “il carattere profondamente
immorale dell'attività artistica” già sostenuto da Nietzsche,
negato o perlomeno arginato invece da Idealisti e Spiritualisti; e
insistendo sulla “presenza di una volontà — non risolta nella pura
contemplazione, né risolvibile, dato ilsuo orientamento verso
l’immagine [...] La cosaè particolarmente evidente nelle arti figu-
rative e la multiforme e aperta a direzioni divergenti attività [...] ne
è il paradigma [...] Ed è appunto ciò che è sfuggito all’idealismo, a
causa della artificiosa distinzione [...] di teoretico e di pratico, come
al confu- sionismo attualistico che confinando l’arte nella sfera
dell’immediato sentimento cade di fatto in un troppo semplicistico
naturalismo. La distinzione fra teoretica e pratica è certo valida, ma
all’interno di ogni singolo atto spirituale nella sua integrità, ché la
vita spirituale presenta questi due aspetti come facce sempre
distinte, sì, ma sempre inseparabili”. Conclude Galvano (e in
questa direzione trova sostegno nella fenomenologia di Alain?!, ne
“L'Imma- culée Conception” dei surrealisti e in Breton, più che
nella poetica di Valery, almeno quando troppo insiste sul pieno controllo
cosciente dell'artista nell’elabora- zione dell’opera): ‘Qui [...]
bisogna pensare [...] ad una volontà tutta inconscia, individuante e non
ancora individuata (come[...] Schopenhauer presentiva) e ad
unopposto momento rappresentativo che solo giustifi- ca il valore
estetico dell'immagine raggiunta negando nel sogno l’ebbrezza del
movimento fisiologico”. Con un salto di parecchi anni, dal 1946 de
La pittura, lo spirito e il sangue ad una
autopresentazione Utilissimal’ampia citazione in proposito da uno scritto
ine- dito di A. Galvano, riportata da F. Garimoldi Albino Galvano:
pro- getto di una nuova cultura, in Omaggio a Albino Galvano, cit., nota
12: “[in Alain ovvero Emile Chartier] l'accento cadrà ... molto più
che nell’estetica idealistica, sul momento del fare che su quello del
conoscere , e sulla resistenza del mezzo sentita come condizio- ne
positiva ed essenziale al sorgere del fantasma artistico, fanta- sma che
non sarà più un'immagine al tutto congiunta a priori ad una materiale
estensione che la traduce, ma che sorgerà insieme all'atto di esecuzione
e che soltanto a posteriori rispetto a que- sto avrà la sua concretezza “
... “L'opera non nasce nella testa o nel cuore, nell’intelletto o nel
sentimento, per poi essere realizzata nella pietra o sulla tela, ma,
direi, nel vivo pulsare del sangue al polso quando questo gioca le
resistenze e le tensioni, gli scatti e le flessioni del pollice e della
mano nell’urto con il resistente ma- teriale. La scultura e la pittura
sono meno la realizzazione visiva di un'immagine mentale che la materiale
traccia lasciata da un gioco di ritmi fisiologici”. Sarà in particolare
Merleau-Ponty a sviluppare il tema, per esempio negli studi dedicati a
Cézanne. lino Vieeate colla (o crlize pus (olenda,
cuni (aza sr net&uk' a fr suina und la gut rin % NAM (dA Pene
più 0 me0 Ara la rr tn he Ut forata ME TISHOI: RE Peas LA LALA
Les al caso TU fi e fa dii Lo val poco comi pila
est; ua dn AA Prima pagina della lettera di A. G. a Adriano
Villata, 1980. del 1980 — scritta a mano “quasi si trattasse di
una lettera destinata solo all'amico [il “Caro Villata”,
gallerista], nella quale ci si può confidare e divagare come l'umore o la
nostalgia suggeriscono” —, Galvano ritorna sul rapporto fra il concepire
e il fare, tra il fare e il decodificare il senso in più o meno
risolutive lettere; ancora una volta mettendosi in gioco, ma senza
alcuna intenzione di assumere valore esemplare o chiedere scusa 0
simpatia, esponendosi in tutto lo spessore di sensibilità e intelligenza,
di impossibilità (a meno che non si scelga o si accetti la rinuncia) di
sottrarsi all'impulso profondo. E anche senza compiacimento
narcisistico: ci si esprime non per coltivare l'emozione ma per darne
testimonianza e, per quanto possibile, esporla a sé e ad una analisi non
priva di crudeltà, comunque oggettiva. È interessante seguire il
filo del discorso, che nella scelta del tono dimesso non è meno
teso del solito. Prima motivazione del movimento pendolare
tra pittura e scrittura, così esposto al giudizio e all’ironia dei
colleghi dell'una e dell'altra banda: l'appartenenza “ad una generazione
[quella di Cremona, di Maccari, di Mollino, per restare tra amici] e ad
un ambiente Ripubblicata in A. Galvano, La pittura, lo spirito e il
sangue, cit., pag. 29 e segg.; e in A. Galvano, Diagnosi del moderno,
cit. , All'inaugurazione di una sua personale, inizio anni ‘70.
in cui questo male, se male, era quasi una ragione di orgoglio”.
Era la generazione dei nati all’inizio del secolo, che raccoglieva dai
protagonisti del rinno- vamento dell’arte (secessionista o
avanguardistico, rappresentato per Albino, in primo luogo e per
sempre, dal maestro Felice Casorati), una eredità che era non meno
di esperienza materiale che di elaborazione intellettuale, un
atteggiamento aperto, anzi tentato da molteplici contraddittorie
curiosità e linguaggi espressivi (ma il quasi suggerisce l’affacciarsi di
qual- che incrinatura nella certezza adamantina esibita dai
predecessori, forse anche per il confronto inevitabile con una
generazione successiva che tornerà a proporre arroccamenti
specialistici). Seconda motivazione: ‘[...] Tutto quantohai
odiato o amato nei giochi e nella noia dell'infanzia alimenterà
peruna vita quanto produrrai, buono o meno chesial....] I
nutrimenti terreni avranno un bel essere filtrati in parole, in segni e
colori, in note, in spettacolo, il loro repertorio non muta, non lo hai
scelto, ma ne sei stato scelto, e tu sei quello che essi ti hanno
fatto, la tua libertà non può consistere che nell'essere loro
fedele sino alla fine, libertà di adesione non di ripudio, e libertà nella
misura in cui con il tuo ripensamento e il tuo scavo li trasformi da
passivo esser fatto in attivo assecondamento della sorte che essi ti
hanno assegnato, in obbiettivazione in cui il loro oscuro sgorgo, la
loro inconscia matrice, si chiarisce nell'opera, nel segno formato e
consegnato all'oggetto che ti rivela agli altri e in cui assumi
responsabilità di confessione e di 10 proposta”.
Insomma, è proprio il rilancio dal fare al pensare e dal pensare al fare
che definisce una identità intuita come destino e accettata come
scelta. Ma se rimane “ovvio” il rapporto fra i nutri- menti
terreni e ciò che uno diviene e fa nel tempo, è anche vero che “una
immagine retrospettiva di sé è sempre un’interpretazione che porta il
peso della mutata identità dell’interrogante, del penoso carico di
nostalgie, ricordi, rimpianti e rimorsi [...] e ogni interpretazione,
specialmente nell'impegno auto- biografico, è anche una falsificazione”,
per quanto cerchi di evitare tanto l’apologia ideologica quanto la
“disgustosa e mimetica” confessione personale. Giusto nel mezzo,
fra le due citazioni del 1946 e del 1980, nel 1960 (è il caso di
ricordare che è il tempo della svolta neodada e pop che mette in
crisi e addirittura annichilisce alcuni dei pittori più con- vinti),
Galvano mostra d’avere di questo destino ironica e malinconica ma anche
dura consapevolezza. Del fallimento egli tesse un sistema, secondo i
miti di Prometeo e Sisifo, riscoperti come”moderni” dal
Romanticismo all’Esistenzialismo. “Finis picturae? [...] Il punto si
identifica [...] con questo estremo di coscienza contraddetta e irritata:
la certezza che la via senza uscita dell’arte oggi non ha [...]
nemmeno l'alibi della professione, del successo, del guadagno, ma
soltanto il fascino senza illusioni di una fedeltà a un impegno
individuale, quasi di una scommessa con la propria intelligenza e con la
possibilità e i limiti del nostro stesso temperamento!”.
Diventano così esemplari l’ultima e penultima produzione di Galvano
pittore, alla quale viene dedi- cata in questa mostra una intera sezione,
iniziata verso la fine degli anni ’70 con i ciottoli le foglie i frutti,
i relitti, proseguita con “i paesaggi (rocce, alberi, isole), i nudi,
le macchie[|...]”:esemplare neltentare una trascrizione di archetipi,
congelati inluoghi comuni della pittura, tipi, generi e maniere (il
fascino baudeleriano dei luoghi comuni!). Ma già muovevano nella stessa
direzione ireos e cespugli d'inizio ‘70 — tracce che regrediscono
attraverso lamemoria nella gesticolazione elementare — e prima i segni
asemantici, prima ancora (siamo nella seconda metà dei ‘60) le bandiere,
i nastri, i nodi e così via: tutte figure emblematiche, primarie e
coltissime, che niente hanno a che fare con la semplificazione, la
banalizzazione pop. La pittura ivi coincide con la costruzione
delle im- magininominabili (nona caso varianti dell'icona della
cosa, anzi del frantume, astratta da qualsiasi contesto, su un fondo
bianco che è il segno di una definitiva separazione dallo scorrere
fenomenico), e insieme la pittura è automatismo oggettivo, registrazione
fredda della emozione costruttiva (se non creativa): infatti
presentata tipicamente come nodo, descrizione dell’a- 23 A.
Galvano, La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, cit. »m®) da
cor. 4 È "ut me rematori) E ua Br su : Pa
ù LE a Con Gorza a Palazzo Te, Mantova
zione dell’annodare, avvolgere, intricare-intrigare, 0 dello sciogliere e
liberare (vedi la bellissima immagine scattata, credo, alla galleria
Martano). Ma è tutta la vicenda di Galvano pittore e critico
che val la pena di ripercorrere in mostra, sia pure per cenni e con
discutibili tagli. Danotarel’uso ch'egli fa dell’insegnamento
casora- tiano: del maestro, Galvano non assume passivamente il
“platonismo”, consapevole che il rapporto di Felice con la pittura è dal
principio e resta nel tempo un rapporto “decadente”, che diventa
eticamente “sano” e formalmente “classico” solo per un atto di
volontà tanto mirabile quanto falsificante; sarebbe meglio dire
critico, con vettore opposto, sia pure, a quella che sarà la scelta di
Galvano. Che il travestimentosia storicamente giustificato su un modello
rispettabilissimo come quello gobettiano, non vuol dire che la sua
sostanza più vera non debba essere riconosciuta nonostante,
attraverso la corazza ideologica e formale ritrovando il nucleo
profondo, ’malato”ma straordinariamente vitale. 11
Del Galvano degli anni’30-inizio ‘40, sarebbe da approfondire l’espressionismo
— che del resto condivi- de con altri della sua generazione: Nella
Marchesini, Paola Levi Montalcini, Piero Martina, Italo Cremona,
Carol Rama. In tal senso ci si potrebbe chiedere che peso abbia avuto,
localmente, Spazzapan che esaltava l'ispirazione e deprecava l'istinto
(viene in mente la teoria di Klages, che insiste sulla attrazione
magnetica traimmagine e “anima”, ben distinta, l’anima ispirata e
creativa, dall’istinto che è del corpo, come dalla volontà decidente e
dotata di facoltà riflessiva che è dello spirito”); e anche Carlo Levi,
l’unico dei Sei che partecipi intimamente all’espressionismo europeo,
e, fuori sede, i romani, Scipione in particolare al quale Albino
dedicò una bellissima recensione nel ‘40, che è lo stesso anno della
prima edizione del Casorati. In un saggio intitolato Perché non
possiamo non dirci crociani, in “Numero”, 3, 1953, Albino Galvano
sottolinea che la sua generazione “decadente” deve a Croce specialmente
questo: d'essere stata messa nella condizione di “accettare senza
malafede e senza rimorsi i dati di quella cultura di tardo
romanticismo che, così feconda quanto a ricchezza e sottile
sensibi- lità di ricerche particolari, tanto si è dimostrata inca-
pace di una sistemazione totale... [insomma di poter essere] decadente
malgrado Croce, grazie proprio al riscatto che il metodo crociano
offriva”. Che è un modo ottimo anche per comprendere come coerenza
di sistema e incoerenza pragmatica siano in Galvano strettamente
congiunte in dialettica tensione: la co- erenza consistendo nella allarmata
coscienza critica, nella responsabilità che non può consentirsi
“nessuna comoda complicità”, l’incoerenza nell'essere ogni scelta
un esito che, per quanto imperfetto, è sempre compromesso e
rappresentativo. Come a dire che la vitalità della ricerca costituisce un
valore, non meno che l'aspirazione ad una sistemazione che
finalmente rappresenti una “identità”, forse meglio “la libertà di
essere identici al proprio destino”. Perciò Galvano non intende, tanto
meno come pittore, tagliare i ponti col passato (il suo passato, oltre
che la storia); invece semina il cammino di tracce, di residui, vorrei
quasi dire fisiologici, di lapsus, così che in ogni momento il
cammino sia ripercorribile o almeno riconoscibile, ma anche sostituibile.
Egli, in effetti, sa che nulla va distrutto e non consuma sacrifici
liberatori. Per lui in particolare (adatto il titolo di un
importante saggio del ’63), La sublimazione astrattista non liquida
l'erotismo del Liberty, semmai ne prende le distanze, per poterlo rimettere
in circolo, come in un processo alchemico in perenne rinnovamento.
Così Galvano passa necessariamente da un con- cretismo
geometrizzante, che di fatto ironizza — ma non banalizza - la geometria
come privilegiata ma- 24 A. Galvano, Per un'armatura,
Lattes, Torino 1960, pag. 87. nifestazione della razionalità e
della chiarezza, ad un concretismo informale che libera la
possibilità di una pittura scritta usando il campo come tabula rasa
0 pagina intonsa, dove il gesto può scorrere ed intricarsi, e/o come
dimensione praticabile in tutto il suo spessore magmatico, a sua volta
ironizzato dalla scoperta di una ritmica, di una metrica
essenziale. Come adire che è nella pittura (nell'arte) chesi
realizza, assumendo evidenza di mito visivo — feticcio laico —
l'unico progetto possibile senza illusioni razionaliste e moralismi
ideologici. Un momento certamente fondamentale, sarei tentato
di dire il perno sul quale ruota il resto è quello attorno al’60: quando
la “natura” del gesto s'incontra felicemente conlo schema, generando una
concrezione araldica, l'intenzione simbolica con il simbolo ricono-
sciuto nella memoria collettiva; ennesima variante della tradizione
dell’ornato, raccolta e riavviata dal Liberty: insieme puro gesto e
automatismo assolu- tamente impuro. In questa mostra, il momento
avrà adeguata evidenza. Ma è anche vero che Galvano si guarda bene
dal protrarre artificiosamente quel momento (diciamolo pure, straordinario,
quasi senza confronto in Italia), tanto che si prenderà negli anni
immediatamente successivi, dal ‘62 al ‘65 circa, una pausa di riflessione
che produrrà anziché pittura saggi teorici che culminano in Artemis
Efesia, per riprendere il filo (la matassa) della pittura con proposte
(in appa- renza) assai differenti: le bandiere, i nastri, 1
padiglioni, gli anelli di Moebius. Che cos'è la pittura per
Galvano, allora? Scrive di lui nel 1974 l’amico / avversario
Giulio Carlo Argan, che ha scommesso sul progetto ideolo- gico,
vincente almeno per un certo periodo storico: “Egli non risponde una
volta per sempre, con una definizione filosofica: infatti ciò che vuol
sapere è che cosa sia la pittura in questa precisa condizione della
cultura, della coscienza, dell’esistenza, e quale sia il suo grado di
vitalità, quali le sue possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni
giorno più ristretto”. Non gli si potrebbe dar torto, se non fosse
che proprio l’opera e ciò che la sottende, l’opera come atto
critico, questo è appunto il suo contributo filosofico, e anche la sua
testimonianza sapienziale, che trascrivo da una autopresentazione del
19822: “Dunque [la pittura], una meditazione sulla morte
imminente [...] o il recupero della gioia ottica nello spazio ripercorso
in termini di colore e di luce, sia pure della luce irreale della memoria
e del sogno? O la scenografia di ambigue emersioni dall’inconscio?
Davvero non saprei dirlo, e, forse, è inutile porsi le domande. Forse
anche soltanto la monotona iterazione 25. G.C. Argan,
in catalogo della personale, Galleria Unimedia, Genova Galvano,
Autopresentazione, in catalogo della mostra, Piemonte Artistico
Culturale, Torino 1982. 12 di una passione per il
dipingere, che ripercorre con insistenza sigle che non è più capace di
vivificare colla curiosità e il gusto avventuroso della
giovinezza”. Tante pitture, allora, e però tutte mirate ad essere
presenza di pittura e non illustrazione di concetti. Pittore concettoso,
a volte, mai concettuale nel senso di illustratore di concetti :
aggiungo,nel segno di una ine- ludibile, per quanto mascherata vocazione
poetica.” Devo citare, almeno una volta, Edoardo Sangui-
neti, allievo e amico, grande estimatore di Galvano: “Mi trovo [...]
forzato a pensare che, alle radici del lavoro di Galvano, come artista e
come studioso, stia un'immagine — è la parola giusta — che accenna
all'uomo come animale che è capace di immagine. E dunque un’antropologia
fondata sopra la facoltà della visione”, In formula perfetta,
a conclusione di Storicità e significato dell’arte astratta (1953),
Galvano aveva già precisato:“L'opposizione affermata da Mallarmé
tra la concretezza della vue e l’allusività delle visions,
l'affermazione di Alain che il poeta è l'opposto del visionario perché sa
di non vedere sino a che la mano non abbia realmente costruito nello
spazio l'oggetto che la passione progettava, sono divenute nella
co- scienza del pittore concreto l'imperativo di una scelta tra il
peso della memoria e la libertà pericolosa di una iniziativa tutta
affidata al risultato”. F. Garimoldi, nel saggio più volte citato”,
sottolinea che Galvano pone come centro dell’arte “l’insoluto rapporto
fra espressione ed enigma” (che cosa di più chiaramente collocato
sulla linea romanticismo-simbolismo come la vede Albino?), citando una
autopresentazione del La seconda parte di questo scritto
elabora liberamente tre miei testi: in ordine cronologico, Témoignage de
notre dignité, in Fi- gure d'Arte, artisti a Torino dagli anni ‘50, a
cura di A. Balzola, R. Cavallo, E. Ghinassi, P. Mantovani, Alberti ed.,
Pescara 1991; A proposito del pittore Albino Galvano, in Attraverso il
Novecento. Albi- no Galvano, 1907-1990, a cura di M. Pinottini, Bulzoni
ed., Roma 2004; Albino Galvano pittore, catalogo della mostra, Galleria
del Ponte, Torino, 2010. 28 E. Sanguineti, Contro la ragione,
“La Stampa”, 10 marzo 1990. Un libro singolare, dove Sanguineti è figura
nodale nella messa in circolo della “linea liberty” ancora nella seconda
metà del ‘900; li- nea che Casorati, Cremona, Mollino e Galvano avevano
mantenu- ta viva con originali apporti nella prima metà del secolo, è
L'altra faccia della luna — Origini del neoliberty a Torino di Elvio
Manganaro, Libria ed., Melfi 2018. Al libro citato devo la conoscenza di
un te- sto di Galvano: Processo alla pittura in “Il Selvaggio”, 15
novembre 1938, che dà originale contributo alla interpretazione della
vicenda artistica della sua generazione, che “si gioca tutto nello spazio
che separa le Uova del 1914 da quelle del 1920, o tra l’”Icaro senza ali
e le ali senza volo del Sogno...”, di Casorati naturalmente, perché
proprio Casorati era “appartenuto paradigmaticamente ai due mondi [...]
quello della figlia di Iorio e quello della Jeune Parque”... (E.
Manganaro, L'altra faccia della luna, cit., pagg. 168-170). 29 A.
Galvano, Storicità... cit., 1953. 30 EF Garimoldi, A. G. Progetto
di una nuova cultura, in Omag- gio..., cit., pag. 15. ‘77%:"Si
dà arte solo quando il non differente operare a fini strumentali o di
puro edonismo è impedito e stravolto dai sedimenti di una vicenda
individuale che s'insinuano e dominano dove pretendeva condurre il
gioco la razionalità del progetto decisionale. A que- sta condizione in
ogni tempo si è cercato di opporre la dignità dell’autocontrollo [...],
certo vanamente, ma anche proficuamente perché [...] la possibilità
di coinvolgere gli altri [...] non consiste se non nel pun-
tualizzato istante di tensione in cui lascia materiale traccia di segno o
di tocco quel gioco d’insidie; l'istante in cui l’inspiegata vicenda
interiore si fa immagine ed emblema”. Con
Bartoli a Palazzo Te, Mantova, 1988. Nota bibliografica
La discutibile scelta di privilegiare la pittura come via di
accesso alle molteplici attività di Albino Galvano, obbliga a segnalare
gli autori che hanno af- frontato il caso con particolare intelligenza e
puntuale cultura filosofica. E. Sanguineti, in catalogo
Antologica, 1979; R. Tessari, nello stesso catalogo, e Galvano e il mito,
in Figure d'Arte, cit. 1991; G. Carchia, Prefazione a Arte- mis
Efesia, nella riedizione del 1989, cit.; P. Fossati, F. 31
Autopresentazione, mostra personale, Galleria Weber, Tori- no 1977.
13 Garimoldi, M.C. Mundici (a cura di),
catalogo della mostra al Circolo degli Artisti, cit. 1992; A.
Balzola, Galvano e D'Adda: l'immagine matrice, in Figure d'Arte,
cit. 1991; G. Gallino, pagg. 27-46 e F. Salza, Albino Galvano e Jung, in“
Attraverso il Novecento”, cit. 2004; A. Ruffino, Introduzione in Albino
Galvano — Diagnosi del moderno, cit. 2018. A parte, segnalo
il “ritratto” che ne fa Paolo Fos- sati, con riferimento prevalente agli
anni Sessanta e Settanta, presentando Omaggio a Albino Galvano nel 1992;
e le memorie che in circa trent'anni di colloqui — non di rado centrati
su Casorati, Cremona e Galvano — ho potuto raccogliere da Gino Gorza,
l'unico artista di generazione successiva che per cultura e gusto
potesse essere accostato a Galvano. Fu proprio Gino a volere una
mostra comune — con il significativo titolo di Sincronie — a Mantova in
Palazzo Te, nel 1988; riannodando il filo della presentazione che Albino
gli aveva dedicato dieci anni prima, per l’Antologica nello stesso
luogo. Ricordo all’inaugurazione del 1988 la presenza di Francesco
Bartoli, documentata anchein una fotografia dove il geniale interprete di
Licini sembra inchinarsi al geniale interprete di Artaud. Più
recentemente, sempre al Te, una giornata di studio dedicata a Bartoli è
stata anche l'occasione per rievocare la figura di Galvano con
Roberto Tessari. Anche Tessari è mancato. Prova di ritratto
Uomoriservatissimo, comea volte chi non si neghi alla mondanità,
anzi se la imponga come esercizio. La leggendaria disponibilità
(senza ombra di debolezza) realizza una delle forme più
aristocratiche dell'etica (per discrezione in maschera di rigore
pro- fessionale). Essenziale un fondo di malinconia, come misura di
una perdita irreparabile, e di nostalgia per una totalità
irreversibilmente frantumata. Tra distacco soggettivo e oggettiva
commozione scorre l’impurità di un continuare a vivere, si scrive
in tracce stenografiche il diario di un sedotto ... e di un
seduttore per forza (di un gentiluomo piemontese). Sensualissimo
lettore; scrittore capace di costruire macchine logiche come trebbie di
tortura, e di avvolgere in sontuose inestricabili ragnatele (costante una
specie di dolcezza, cui tanto meno resistono rigidi baluardi):
trascurabile vi è l'inganno, perché la circonvenzione è ignobile,
specialmente d'incapace. Come un dovere coltiva il diletto: su
questo piano potrebbe essere magistrale se non fosse troppo fine e
pericoloso un tal modello. Nel suo sistema, la pittura rappresenta il
“concreto”. Distratto semmai da irridu- cibile curiosità, non è mai
astratto. Ireos, sassi e conchiglie sigillano una storia so-
stanzialmente coerente, perché osano confronto con il principio e la
fine: così su una pietra tombale si posano cose e il tempo vissuto,
relitti nudi, epifanie senza velo. Omaggio a Albino Galvano
Catalogo mostra antologica, Palazzo Chiablese, Torino,
1979. Catalogo mostra antologica, Circolo degli Artisti, Torino.
Atti del convegno, a cura di M. Pinottini, Torino, 1997. Antologia
di scritti di A. G., a cura di A. Ruffino, Aragno editore, 2018.
Electa Piemonte ATTRAVERSO IL NOVECENTO: G. a
cura di Marzio Pinottini BIBLIOTECA DI CULTURA /
BULZONI G.: la fedeltà alla pittura Luca Motto Il
magistero casoratiano e la prima figurazione Galvano nacque a Torino
l’anno d'esecuzione delle Demoiselles d'Avignon di Picasso che segnò
l’imporsi e il susseguirsi delle avanguardie: « che nel bene e nel male
problematico [...]dovevanocaratterizzare, inconcomitanza concrisi
umane, politiche e sociali ben più gravi, ilnostro secolo sino a porre
oggi il problema della “morte dell’arte” qualunque cosa si intenda
sottolineare con questo termine apocalittico»!. Galvano pur muovendosi
nel solco della modernità, affondava le sue radici in una meditata
e personalissima assimilazione di riferimenti pittorici dell'Ottocento e
del primo Novecento, ben lontano dalla reazione e dall’inattualità.
Apparteneva all'ambiente casoratiano e alla sua scuola «divenuta il
centro di un'opposizione cortese, tacita che non esclu- de — la cosa è
molto torinese — rapporti amichevoli o per lo meno corretti con gli
avversari»?. Nel decennio 1918-1928 venne segnata la tempe-
rie di una Torino moderna (tuttavia non futurista) di seguito enunciata
in pochi assunti utili a comprendere l’ambiente artistico nel quale il
giovane Galvano s'in- trodusse: la comparsa di Felice Casorati alla
Promotrice del 1919 come artista rivoluzionario e di rottura; la
«breve esistenza » di Piero Gobetti e il suo cenacolo antifascista; le
polemiche e la reazione dell'ambiente cittadino alle scelte di «gusto»
antinovecentiste di Lionello Venturi rivolte all'arte di nuovi
«primitivi», gli impressionisti; il fugace percorso del gruppo dei
Sei di Torino (coagulato e promosso dal duo Persico e Venturi)che
rinunciarono a «Roma madre» per «Parigi amica»; e la vitalistica apertura
culturale europea del finanziere, collezionista e mecenate Riccardo
Gualino. Dopo un precoce apprendistato con il pittore
Giovanni Pisano e il maestro di disegno Vannini, l'educazione di Galvano
all'arte contemporanea si svi- luppò suriviste di settore (in
particolare”“Emporium” e “L'art vivant”) e attraverso la frequentazione
delle Biennali veneziane. Alla rassegna del 1928 Galvano poté
osservare dal vivo la pittura di Felice Casorati che rappresentò «la
scoperta del mondo nuovo e spre- giudicato che si apriva alla nostra
cultura: l'ingresso del mondo “moderno”»*. Al termine del
1928 si iscrisse alla Scuola Libera di Pittura di Casorati (sorta a
Torino nel 1921 e struttu- ratasi maggiormente dal 1927 nella nuova sede
di via Galliari, antistante l'abitazione di Riccardo Gualino) e la
frequentò fino al 1930. Il suo magistero, lontano da
1. A. Galvano, Autobiografia, in N. Pizzetti e G. Givone (a cura
di), Albino Galvano, catalogo della mostra, Palazzo Chiablese, Re- gione
Piemonte, Torino Galvano, Torino e i «Secondi futuristi», in A. Galvano,
Dia- gnosi del moderno. Scritti scelti 1934 - 1985, a cura di A. Ruffino,
Nino Aragno editore, Torino 2018, p. 344. Albino Galvano (al
centro, seduto) e (da sinistra, in piedi, tra gli altri) Filippo Scroppo,
Daphne Maugham, Rina Galvano, Danila Cremo- na, Felice Casorati, Carol
Rama, Leopoldo Bertolè, Valpellice 1949. «Ogni sistematicità d'accademia»°,
non fu solamente estetico ma anche pregno dell'eredità etica e
politica gobettiana: un debito verso quel «fanciullo puro» che
esigeva «fedeltà e non lacrime»®. Per Galvano il punto fondamentale della
sua formazione fu il trovarsi par- tecipe di un ambiente che lo salvò
«tanto dal rischio di un'adesione acritica al regime imperante [...] e
da quello ben più grave [...] di un'immersione o som- mersione
nella Torino di quel tipo di borghesia che amava in pittura Giacomo
Grosso». L'insegnamento del «platonico» Casorati, pervaso «d’una
signorile severità», verteva su l’«insieme» e il «tono». Dalla
monografia Felice Casorati di Galvano (1940, editore Hoepli, Milano) si
legge che il Maestro consigliava agli allievi di «imparare a vedere il
più semplicemente possibile [...] la forma di quella determinata
massa tonale, di quella determinata massa chiaroscurale, non la
forma dell'oggetto» [...]. La forma serve qui a distruggere la linea ed a
passare al colore [...]»*. Il clima della scuola di via Galliari fu
efficacemente narrato da Lalla Romano ne Una giovinezza inventata:
«Verso sera venivano sovente visite: Alberto Rossi, Mario Soldati, Carlo
Levi. Levi ridacchiava — con noi — sull'indirizzo classicistico della
scuola, dove gli allievi più ambiziosi preparavano un bozzetto per
il quadro. Rideva ma affettuosamente. C'era una base culturale
comune: il disprezzo per il fascismo».I nomi citati sono solo una parte
delle personalità con cui Galvano, all’inizio degli anni Trenta, instaurò
un duraturo rapporto amicale sulla via del confronto artistico, tra
gli altri: Paola Levi Montalcini, Sergio Bonfantini, Riccardo Chicco,
Italo Cremona, i Sei e 5 P. Gobetti, Iniziative
d'arte a Torino, in “L'Ordine Nuovo”, 27 dicembre 1921. 6 F.
Casorati, in “Il Mondo”, Galvano, Autobiografia Galvano, Felice Casorati, cit.
pp. 369, 371. O) L. Romano, Una giovinezza inventata (1979),
Einaudi, Torino Argan, ma anche Carlo Mollino, Massimo Mila, Leone
Ginzburg e Franco Antonicelli. La pittura postimpressionista di
Galvano del decennio Trenta e fino al 1945 si orientava in un «con-
traddittorio intento di tenere insieme i valor plastici di Casorati e
quelli dei Sei» il cui risultato «pesante e impastato» fu autocriticamente
espresso dall'artista stesso!°. Anche una certa l’arte d'oltralpe
praticata da stranieri fascinò Galvano (Maurice de Vlaminck, Ko-
stia Terechkovitch, Christian Krog), mentre i rimandi nostrani furono
indirizzati alchiarismo lombardo eai tonalisti romani. «Quei loro mezzi
[...] misi sfasciava- no ed intorbidivano tra le mani, rimanendo
parentele d’accatto o esperimenti di lettura, ed enorme riusciva la
dispersione e la perdita di tempo»"!. Un repertorio
antinovecentista di temi iconogra- fici ricorrenti segnò quel periodo:
«pesci, molluschi, conchiglie, vecchi libri accartocciati, crocefissi
e acquasantiere barocchi, nudi tortili come molluschi e paesaggi
incerti tra quegli andamenti sinuosi e un modesto cezannismo che era
nell’aria»!“. Galvano s’inserì nel circuito espositivo nel
1929, anno in cui le arti si avviavano verso la loro fasci-
stizzazione di forma con l'istituzione del Sindacato Fascista a cui venne
affidato il compito di gestire le manifestazioni espositive periodiche
sul territorio nazionale. Il rapporto con la società artistica di
un Novecento sarfattiano (a un passo dallo smantella- mento
definitivo) e della retorica celebrativa di Stato era destinato tuttavia
a un sostanziale fallimento. A Torino Galvano esordì nell'alveo casoratiano
in due mostre della scuola nel 1929 e nel 1930. Dal 1930 al 1942 furono
regolari le sue presenze alle espo- sizioni annuali della Promotrice di
Belle Arti con più sporadiche puntate alla Società degli Amici dell’arte
(1931, 1932, 1934). Il critico Emilio Zanzi, in una recensione
riguar- dante un'esposizione di vendita torinese del 1934, sagomava
i tratti pittorici del giovane Galvano: «[...] sfuggito anzitempo alla
disciplina rigorosa della scuola di Casorati. Il Galvano in certe composizioni
di nature in silenzio ricorda la chiara e sapiente pittura del
Maestro, in altri quadroni ricerca l’effetto della pennellatona agile ed
abile, cara passione di qualche post-impressionista»".
Alle rassegne di carattere nazionale Galvano prese parte alla I e
alla Il Quadriennale romana (1931 e 1935) dove vi fu una discreta
rappresentanza torine- se e piemontese: Felice Casorati e il suo
discepolato (Paola Levi Montalcini, Nella Marchesini, Sergio
Bonfantini, Emilio Sobrero), Daphne Maugham, A. Galvano, Autobiografia
cit., p.18. 11 A. Galvano, in catalogo della mostra, Galleria La
Giostra, Asti 1952. 12. Ibid. 13 E. Zanzi, in “La
Gazzetta del popolo”, 1934 16 Albino
Galvano e Filippo Scroppo alla I Mostra Internazionale dell'Art Club,
Palazzo Carignano, Torino 1949. parte dei Sei (Carlo Levi,
Francesco Menzio, Enrico Paulucci), Giulio Da Milano, Umberto
Mastroianni, Italo Cremona. Alla Biennale di Venezia del 1930
Galvano presenziò con un’opera nella stessa sala di Casorati e allievi,
mentre nell'edizione 1936 espose isolato (a Gigi Chessa scomparso nel
1935 venne dedicata un'ampia retrospettiva, Menzio e Paulucci
comparivano attigui). In questo periodo sono da indagare infine le
par- tecipazioni alle quattro edizioni del Premio Bergamo
(1939-1942). Fuuna manifestazione, insieme al Premio Cremona, che svelò
la dialettica artistica italiana: due componenti antitetiche dello stesso
volto del regime. Il primo (promosso da Giuseppe Bottai), più
elitario, «si riallacciava a un versante dell’arte italiana colto,
internazionale e post-impressionista»!* suscitando polemiche nell’ala più
intransigente del fascismo; il secondo (voluto da Roberto Farinacci) era
sintonizzato sull'onda delle mostre hitleriane. AII Premio
Bergamo del 1939 (in giuria Casorati, Funi, Longhi e Argan) il terzo
riconoscimento venne suddiviso tra cinque concorrenti: si evidenziava
la presenza romana di Giuseppe Capogrossi e quella piemontese con
Menzio, Paulucci, Galvano e Piero Martina (era presente anche Nicola
Galante, non premiato). Al secondo Premio Bergamo del 1940 Galvano
ricevette una particolare menzione e il suo dipinto fu acquistato dal
Ministero dell'Educazione Nazionale. Galvano espose anche alla terza
(1941) e alla quarta edizione (1942, vincitore l’intimista Menzio),
la rassegna scandalo della Crocifissione di Guttuso, reinterprete
drammatico e rabbioso di un’iconografia mutuata dal sacro: anticipazione
in chiave cubista della militanza postbellica. Il ventennio Trenta-Quaranta
contrassegnò inol- AA.VV, Gli anni del Premio Bergamo: arte in I talia
intorno agli anni Trenta, catalogo della mostra, Bergamo, Electa, Milano
1993, p. 58. tre il compimento della formazione
intellettuale di Galvano che si laureò nel 1938 (con Angiolo
Gambaro e Nicola Abbagnano) con una tesi sulla pedagogia della
religione: primo atto dell’approfondito con- fronto con le tematiche
spiritualiste, antropologiche e filosofiche (in primis l'influenza di
Benedetto Croce e Henri Bergson). Tra le sue prime prove di
critica d’arte si possono menzionare il breve scritto del 1932 su Armando
Spa- dini in “L'Arte” diretta da Venturi; il saggio del 1934 su
Luigi Spazzapan in “Orsa”; le collaborazioni con il periodico milanese
“Le arti plastiche (1933) e la reda- zione delle cronache d’arte torinese
per “Emporium” (1938-1942). Si ricordano inoltre i volumi del 1938
(per l'editore fiorentino Nemi) L'arte egiziana antica, L'arte
dell'Asia occidentale e centrale, L'arte dell'Asia orientale; la
monografia Felice Casorati edita da Hoepli (nel 1947 uscirà una seconda
edizione) e Tre nature morte: Casorati, Menzio, Paulucci pubblicato a
Torino nel 1942. Fu assistente alla Cattedra di pittura di
Paulucci all'Accademia Albertina di Belle Arti di Torino nel 1942 e
da quell’anno, fino al 1978, insegnò storia e filosofia negli istituti
liceali. Tra inumerosissimi allievi con i quali mantenne profondi legami
si ricorda in particolare Edoardo Sanguineti. Dalla fase
espressionista verso l'astrattismo 1945-1951 AI termine del
conflitto bellico per Galvano e gli artisti della sua generazione
s'impose il confronto con l'avanguardia, l'Europa e il moderno. «Moderna
non è soltanto l’arte prodotta nel periodo in cui viviamo, ma
quella che di voler essere moderna ha program- matica intenzione! [...]
Che assume come categoria predicativa l'affermazione di “novità” rispetto
ad una situazione di cultura storicamente conclusa. [...] Il concetto
di moderno si chiarisce, così come un concetto “etico” [...] per cui
l'avversario non è un modesto o nullo artista, ma il traditore di una
causa totale, il reazionario che non merita pietà e al quale non
giova la buona fede». Queste lucide affermazioni di Galvano aiutano a delineare
un settore della sua linea di pensiero che contribuì ad animare il
vivace dibattito degli intellettuali torinesi, fautori di quel
compatto blocco culturale che, tra il 1945 e il 1947 tentò una
ricostruzione «morale e civile» della società. La posizione politica di Galvano
dopo la Liberazione fu abbastanza distante dall’ideologia estetica del
fronte comunista. L'urto «non era tanto fra tradizione e
innovazione, anche meno tra astratto (o concreto) e figurativo [...] ma
tra militanza “costruttiva” ed autonomia “critica” [...]»!9.
15 A. Galvano, Moderno, in Enciclopedia Universale
dell'Arte, vol. IX, Fondazione Cini, Roma-Venezia 1963. 16 G.
Mantovani, Il malessere dell'arte, in A. Galvano, La pittura, lo spirito
e il sangue, a cura di G. Mantovani, Il Quadrante edizioni,
E; Negli anni postbellici il complesso confronto- scontro
con Croce era ineludibile e la posizione di Galvano (sviluppata in anni
più tardi nel fondamen- tale scritto Perché non possiamo non dirci
crociani, 1953) merita qui qualche breve accenno. L'intuizione
pura, come atto teoretico astorico, non poteva prescindere dalla
soggettività dell’«opera manuale». La polarità non sussisteva tra il
bello crociano, simbolo del bene morale e il suo opposto, quanto tra lo
«spirito» (il momento razionale - contemplativo) e il «sangue» (il
principio vitale inconscio che in ultimo concretizza l’opera con il
linguaggio scelto). Scriveva Galvano nel numero unico del periodico
“Tendenza” (1946, coideato con Pippo Oriani): «Questo bisogno del
sangue che ignora l’astratto spirito e gli anatemi e le accuse di
“naturalismo” degli idealisti o quelle di “immoralità” degli
spiritualisti è essenziale all'opera di pittura. Essa cade o sussiste con
il sangue non con lospirito»!. L'attività di critico d’arte seguitò in
quegli anni anche su quotidiani come “La Nuova Stampa” (nel 1946) e
“Mondo Nuovo” (nel 1947 e 1948). Tra il 1945 e il 1949 la pittura
di Galvano si aprì ad una fase espressionista slargandosi e semplifi-
candosi in campiture bidimensionali dai contorni lineari marcati e
attraverso l’uso di un cromatismo timbrico. In un testo di
autopresentazione del 1952 l'artista esplicò: «Così quando, intorno al
1941, Guttuso guardando a Picasso, Birolli e quelli di “Corrente”
sbirciando l’espressionismo, diedero altro indirizzo alla pittura
italiana, mi trovai in ritardo rispetto a quei coetanei e ai loro
discepoli molto più giovani di me, e con un bilancio piuttosto negativo.
[...] Tentavo così una soluzione in un breve periodo di
esasperazione “espressionistica” del segno, dove l’“illusivo” si
tra- sformava in “allusivo” a quelle immagini che potevo
considerare mie». Galvano puntualizzava inoltre di essere
stato tentato verso «esperienze varie di carattere cultu- ralistico,
fra cui un primo richiamo al liberty che allora fu aspramente
rimproverato da certi critici (A. Podestà) come incomprensibilmente
anacronistico ma che almeno come recupero critico, rappresentava
un'anticipazione di interessi e recuperi diventati di moda un ventennio
più tardi». Nella Torino della Ricostruzione gli spazi
esposi- tivi erano esigui; molto spesso sorgevano in simbiosi con
una libreria come per esempio la Galleria Faber, dove Galvano nel 1945
partecipò ad una Antologica di Maestri contemporanei. Alla personale di
Galvano del 1946 presso la Libreria del Bosco «ci troviamo di
fronte ad un artista dalle varie esperienze», denotava
Torino Galvano, La pittura, lo spirito e il sangue, in “Tendenza”,
n.1, 1946. 18. A. Galvano, Galleria la Giostra cit. 19
A. Galvano, Autobiografia Gatto su “L'Unità”, e proseguiva: «riesce
spesso a lievitare le acquisizioni culturali ed a tradurle in efficienti
risultati creativi». Il molteplice approccio stilistico, confessato dallo
stesso Galvano nell’auto- presentazione del 1979, è qui confermato:
«leggero impressionismo, decorativismo un po’ orientale, [...]
motivi che tendono a risolversi in figurazioni quasi astratte». La fase
pittorica più recente, concludeva Gatto, «pare indirizzarsi verso una
pittura dominata da una volontà ed un’ansia di sintetismo
formale»?. Alla Biennale di Venezia del 1948 (la prima edi-
zione al termine del ventennio fascista nella quale emersero le linee
essenziali degli sviluppi dell’arte moderna europea) Galvano partecipò su
invito con cinque opere (nudi e nature morte del 1947-48) in sala
con Martina e Paulucci. In quell’edizione fu parecchio vasta la
partecipazione di artisti torinesi sulla via dell’astratto: Sandro Cherchi,
Mario Davico, Franco Garelli, Gino Gorza, Paola Levi Montalcini,
Umberto Mastroianni, Mattia Moreni, Adriano Parisot, Carol Rama,
Filippo Scroppo. All’edizione del 1950, nuova- mente su invito, Galvano
fu presente con tre opere (in sala con Birolli, Corpora, Moreni, Morlotti,
Turcato, Vedova, Zigaina). Nel quadriennio 1948-1951 si
registrarono nume- rose partecipazioni dell'artista a rassegne nazionali
di verifica diretta degli sviluppi artistici contemporanei, tra cui
la Quadriennale romana del 1948 e la mostra collettiva Arteastratta e
concreta presso la Galleria Nazio- nale d’arte moderna di Roma nel
1951(il comitato ese- cutivo era composto da Joseph Jarema, Palma
Bucarelli e Giulio Carlo Argan). Il testo di Galvano in catalogo
analizzava la ricerca concretista propria e dei torinesi verso una
direzione lontana dal «formalismo astratto» insenso stretto e intesa
attraverso la «‘“proiezione” nelle strutture dell'oggetto stesso di una
carica emotiva, che asua volta presuppone la totalità spirituale
dell'artista impegnato, ed impegnato “responsabilmente”, in una
prospettiva, in una scelta, in una “Weltanshaung”, cioè in ultima analisi
in un punto di vista etico e metafisico [...]. Non può perciò stupire che
anche a Torino siano proprio gli artisti più responsabili di fronte a un
loro mondo interiore a volgersi a questa pittura. Superfluo cercar
nel dato estrinseco del gusto un’unità “munici- pale” o di gruppo: se mai
l’unità “torinese” di questi pittori è nella condizione di cultura cui lo
stesso schivo etalvolta un poco scontroso raccoglimento della città
in cui essi lavorano, è, per taluna delle ragioni accennate,
propizia»”!. Rilevanti furono inoltre le sortite
extranazionali del 1951. In occasione della mostra nizzarda,
Peintres de Turin, Galvano definì forme e colori delle sue com-
20 S.Gatto, Mostra d’arte. Galvano al Bosco, in “L'Unità”,
31 mag- gio 1946. 21 A. Galvano, in Arte astratta e concreta,
catalogo della mostra, Galleria Nazionale d’arte moderna, Roma
1951. Con Enrico Paulucci, Albino Galvano e Filippo Scroppo. Confe-
renza al Circolo degli Artisti, Torino 1967. posizioni come
«feticci laici», «costanti di sentimenti e impulsi» che non necessitavano
di riportarlo «a una rappresentazione esteriore e imitativa». «La topografia
spirituale di questo mondo che non è né meccanica né architettonica, ma
piuttosto organica e determinata soprattutto dalla tensione tra le forze
elementarie vitali pressanti, da una parte, e l'aspirazione religiosa o
me- tafisica dall'altra, che vuole dominarle e oggettivarle nello
spirito delle tradizioni filosofiche e religiose alle quali nei miei
quadri faccio a volte allusione anche attraverso i titoli stessi».
Al Premio Parigi (itinerante anche a Cortina d'Ampezzo) il critico
Luigi Carluccio seguitava di rimando: «[...] L'artista si è portato
sempre su posi- zioni di ricerca mantenendo tuttavia vivo il
dialogo fra i suoi istinti pittorici e le sue meditazioni. [...] Il
temine “feticcio laico” [...] annota con felice incidenza che all'origine
degli impulsi e dei sentimenti è sempre vivo lo stesso dibattito tra la
pressione vitale di forze elementari, naturali, e l'aspirazione ad
ordinarle in una ragione metafisica»?3. Il rivolgersi
all'arte d'oltralpe (già a partire dalla mostra Arte francese d'oggi,
Roma e Torino 1947) ebbe degli echi a Torino con le sei edizioni della
rassegna Pittori d'Oggi Francia- Italia (1951-1961) promosse da
Carluccio e alle quali Galvano partecipò alla prima (1951) e alla terza
(1953), così come figurava ai due Premi Saint Vincent (1948-1949) messi
in piedi dalla fronda democristiana capeggiata da Carluccio in
re-Carluccio, in Mostra Nazionale del Premio Parigi 1951, cata- logo
della mostra, Cortina d'Ampezzo 1951 e Parigi Con Chessa e
Matteis. azione al Premio Torino del 1947, troppo
polarizzato a sinistra secondo il critico. È di vitale
importanza ricordare infine il ruolo di Galvano come animatore culturale
nel clima di fermento postbellico, dapprima impegnato attivamente
come promotore dell’Unione Culturale (sorta nel 1945, raccolse
intellettuali antifascisti tra cui Giulio Einaudi, Massimo Mila, Franco
Antonicelli, Lionello Venturi e tra gli artisti Casorati, Menzio,
Levi) e nel 1949 come propugnatore di due rassegne artistiche: la I
Mostra Internazionale dell'Art Club a Torino e la Mostra d’arte
contemporanea di Torre Pel- lice. La prima — con presidente Casorati e
segretario Scroppo, organizzata dalla sede torinese dell'Art Club,
un'associazione apartitica internazionale — mirava a presentare le nuove
voci artistiche italiane e di diversi stati esteri. La seconda, aveva
sede a Torre Pellice, che «pur nella modestia delle proprie
possibilità, possiede, come centro delle Valli Valde- si, una secolare
tradizione di cultura che ha i suoi particolari caratteri di pensiero e
di ispirazione»”4. Era stata ideata insieme a Filippo Scroppo,
artista e critico valdese, (nativo della Sicilia ma inseritosi
dalla metà degli anni Trenta nell'ambiente cittadino) e da Leopoldo
Bertolè notaio e illuminato collezio- nista di moderno. La Mostra d’arte
contemporanea — appuntamento estivo annuale protrattosi per un
24 Mostra d'arte italiana contemporanea, catalogo della mostra,
Collegio Valdese, Torre Pellice 1949. 19 quarantennio
al quale Galvano espose assiduamente—trasformòla cittadina della
provincia torinese in un polo culturale aggiornatissimo sulle
ricerche artistiche nazionali e con qualche non rara puntata
internazionale. Il Movimento Arte Concreta 1952-1955
Il «confuso ribollire di tendenze astratteggianti»?, che imperava tra il
1947 e il 1951, andò delineandosi verso l’elusione dell’astrazione su
base mimetica in favore del concretismo. Una lucida definizione
della corrente venne offerta da Gillo Dorfles in uno scritto del
1951, il così detto manifesto del Movimento Arte Concreta, (MAC) fondato
a Milano nel 1948 insieme a Bruno Munari, Gianni Monnet e Atanasio
Soldati. Dorfles precisava il concetto di concreto «che non cer-
cava di creare delle opere d’arte togliendo lo spunto o il pretesto dal
mondo esterno e astraendone una successiva immagine pittorica, ma che
anzi andava alla ricerca di forme pure, primordiali, da porre alla
base del dipinto senza che la loro possibile analogia con alcunché
di naturale avesse la minima importanza»”. L'adesione formale al
MAC di Galvano eun gruppo di giovani torinesi — Annibale Biglione,
Adriano Parisot, Filippo Scroppo e in seguito Carol Rama e Paola
Levi Montalcini — avvenne nel 1952. A Torino il coagulo del
Movimento rappresentò una sfaccettata unione di poe- tiche, abbastanza
distante dal rigore costruttivista delle soluzioni compositive lombarde
che fondava le sue basi nell’Astrattismo storico internazionale e locale
degli anni Trenta. In questa sede non è possibile analizzare la
presa di coscienza sulle radici dell'avanguardia delle personalità
torinesi e ci si limita al solo caso di Galvano. Nel 19471]
distacco di Galvano dal comitato promo- tore del Premio Torino (la prima
manifestazione locale di arte attuale italiana dopola fine della
guerra)non avven- ne solo per posizioni politiche. Come chiariva
Giuliano Martano, nel catalogo della mostra Arte concreta a Torino
1947-1956, per una parte di artisti si trattava di una scelta di «lettura
in quelle matrici dell'avanguardia europea [...]quasiin contrapposizione
alle matrici trovate allora in un neonaturalismo e del “Fronte nuovo
delle arti”»”. Per Galvano e il discepolato della scuola di
Caso- rati, alla quale riconoscevano la creazione di «una terra
concimata pronta a recepire, stratificazione di cultura
altezzosasevogliamo, maattenta[...]. Aveva purelasciato ineredità una
figurazione latente, una scansione dell’og- getto che verrà dai torinesi
lentamente e sofferentemente decantata»°. Unosmarcamento, dunque,
intotalebuona 25 T.Sauvage, Pittura italiana del
dopoguerra 1945 — 1957, edizio- ni Schwarz, Milano 1957, p. 129.
26 G. Dorfles, Manifesto del MAC, ora in Arte concreta a Torino
1947 — 1956, catalogo della mostra, Sala Bolaffi, Torino 1970. 27,
G. Martano, in Arte concreta a Torino 1947 — 1956 cit. 28.
Ibid. pace del Maestro, che anche Galvano intraprese: la via
verso l’astrattismo ben circoscritta e lineare. La sua poetica, tra
i torinesi, era la più distante dal concretismo «proprio perché non è mai
d'origine speri- mentale ma la sua “avanguardia” si pone sempre
come una verifica dello sperimentalismo. Si pone insomma come
contrasto immediato fra una realtà esterna [...] ed una realtà interna
quasi avida di controllare im- mediatamente sul terreno stesso
dell’accadimento, la validità dell’accadere, e di controllarlo appunto in
via sperimentale»? Gli aspetti strettamente contenutistici
della pittura di Galvano della prima metà degli anni Cinquanta
erano in diretto contatto con i suoi interessi in quanto studioso di
filosofia e storia delle religioni. Andreina Griseri notava che gli
entusiasmi per il Kandinskij volto all’astratto e per il primo
Kupka giungevano «a una presa di posizione nell’ambito dell’arte
non figurativa, chiarita in numerosi scrit- ti, in cui il Galvano
lumeggia la derivazione dalla secessione di Klimt di molta arte
contemporanea in una interpretazione nuova dei rapporti art
nouveau- Liberty e astrattismo»?°. Degli scritti galvaniani degli
anni Cinquanta ai quali Griseri si riferisce citiamo almeno: Storicità e
significato dell’arte “astratta” (1953), Dal simbolismo all’astrattismo
(1953), Le poetiche del Simbolismo e l'origine dell’Astrattismo
figurativo (1956). Gli intendimenti del manifesto del MAC
torinese del 1952 furono piuttosto netti. Più in generale erano
incontrapposizione con il dibattito dilagante in quegli anni che scindeva
gli artisti tra formalisti e realisti, con- tro il neopicassismo ed estranei
al «pudore» del com- promesso dell’astratto-concreto di Venturi. A
livello localelalororicerca era indirizzata all'emancipazione
dall’orbita casoratiana, dal neoimpressionismo dei Sei e dal secondo
futurismo con il quale condividevano lo spirito avanguardistico, ma
certamente non gli in- tenti. Biglione, Galvano, Parisot e Scroppo
firmarono il testo programmatico, con la responsabilità di «lotta
contro ogni conformismo pigrizia intellettuale». «Se il nome stesso di
“arte concreta” [...] sta a significare il desiderio di rigore di chi ha
rotto ogni ponte con tradizioni storicamente esaurite [...] per
sostituire la loro ricerca d'una diretta “presentazione” di oggetti
in cui si vengano obiettivando i bisogni spirituali dell’uomo, come negli
strumenti del suo lavoro quo- tidiano si proiettano i suoi bisogni
materiali [...]»®. Galvano, pur immerso in una personalissima
ricerca non figurativa, nel periodo che all'incirca si estende tra
il 1952 e il 1954, sviluppò una maggior 29. Ibid. 30
A. Griseri, Albino Galvano, in Dizionario Enciclopedico, Utet, Torino
1957. 31. A. Biglione, A. Galvano, A. Parisot, F. Scroppo, in “Arte
con- creta” n. 9, 15 novembre 1952, ora in L. Caramel, Mac Movimento
Arte Concreta 1948 - 1958, Electa, Milano 1984, p. 58. 20
adesione al MAC. Lo spazio dei suoi dipinti, asciugato
dall'andamento curvilineo delle partiture, si popolò di forme squadrate
dalla linearità spigolosa. Tutta- via, la freddezza costruttivista e il
rigore logico del concretismo erano solo apparenti; l'artista
puntava al contrario «ad un'arte che preservi il dialogo tra gli
schemi astratto-geometrici e quelli compositivamente più liberi, moduli
grafici e forme archetipiche non direttamente razionalizzate»”.
Un precoce avvicinamento ai concretisti lom- bardi lo si data già
al 1950. Galvano fu presente a Milano in due collettive: con Filippo
Scroppo (1950, presentati da Gianni Monnet) presso la Libreria Il
Salto, cenacolo della pittura concreta milanese e alla Terza mostra di
pittura astratta italiana. Astrattisti milanesi e torinesi allestita alla
Galleria Bompiani (1951, dove esponevano i piemontesi Costa,
Davico, Mastroianni, Parisot, Scroppo, Spazzapan). I mag- giori
rappresentanti della corrente di entrambe le regioni figuravano, Galvano
compreso, anche alla II e III Mostra d’arte contemporanea di Torre
Pellice del 1950-51. L'allineamento al MAC di Galvano fu
palesato anche dalla sua presenza ad esposizioni promosse dal
gruppo. La sortita d'esordio dei torinesi (Biglio- ne, Galvano, Parisot,
Scroppo ai quali si aggiunsero anche Mario Davico, Mario Merz e Ugo
Giannattasio) avvenne alla Saletta Gissi di Torino con la mostra
Pittori astratto-concreti di Milano e Torino. Non fu però la prima
presenza organica del concretismo in città poiché già nel 1950 presso la
Galleria il Grifo si affacciarono alcuni esponenti milanesi così
come alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Torino dove comparve una
nutrita schiera di astrattisti tra cui anche Galvano. Commentando la
mostra presso Gissi, sul bollettino “Arte concreta” n. 9, Galvano
esibiva la profonda sicurezza di una non superficiale accoglienza
nell'ambiente cittadino e rilevava la sfaccettatura di posizioni della
compagine torinese che collimavano in una base comune di principi.
«Principi che possono riassumersi in una profonda fiducia nella capacità
dell’uomo ad esprimersi e a comunicare con gli altri uomini, attraverso
il puro linguaggio delle forme, attraverso l’organicità e la
coerenza ch’esso sa imprimere ad un discorso i cui vocaboli non hanno
bisogno di essere immagini e finzioni per legarsi a una sintassi
espressiva e, nei casi più felici, poetica»®. La politica
espositiva del gruppo torinese non 32. L Mulatero, in
P. Mantovani, I. Mulatero (a cura di), Lucide inquietudini. Storie
singolari dell’astratto-concreto tra il '50 e il ‘70, Civico Museo d’arte
Contemporanea di Calasetta, Calasetta 2016, p. 26. 33 A.
Galvano, Mostra di pittori concreti di Milano e Torino alla Saletta
Gissi, in “Arte concreta” n. 9 cit., ora in L. Caramel, Mac Movimento
Arte Concreta 1948 — 1958 cit., pp. 58-59. Con
un'opera dalla serie i Nastri. ebbe seguito se non l’anno
successivo alla Galleria 5. Matteo di Genova. L'eccezione è rappresentata
da Galvano che figurò in svariate mostre organizzate dal MAC, si
ricordano qui le principali: Pitture di Albino Galvano in un esperimento
di sintesi, presso lo Studio b24 di Milano nel 1953 (valla pena
rimandare agli «asterischi» galvaniani di quel periodo, quasi
«privati manifesti» sui bollettini “Arte concreta” n. 12 e 14 che
chiariscono la sua posizione all’interno del movimento) e lo stesso anno
a Torino da Gissi esposero pittori concretisti italiani e francesi (Gal-
vano presentò collages polimaterici di ascendenza prampoliniana); sempre
al Torino l’anno successivo Galvano fu presente ad una mostra allestita
dallo Studio b 24 in occasione del Salone dell'Automobile. Si
menziona a parte la collettiva presso la Galleria il Fiore di Milano del
1954 dove Galvano espose insieme a Bordoni, Jarema, Parisot e Scroppo.
Nello scritto introduttivo al catalogo elaborò stringenti analisi
nei riguardi di un’«arte figurativa che non ripeta ma continui la
natura», invitando il visitatore a riflettere «che l'apparente chiusura
ad una più ovvia comunicazione di queste opere nulla intende
precludere alla possibilità di uno scambio e di una penetrazione sempre
possibili nell'esercizio di una 21 lettura figurativa
per elementi, segno colore, mo- vimento, materia, ecc., non differenti da
quelli che consentono la valutazione di ogni buona pittura»*.
Non sono da dimenticare infine le presenze alle Biennali veneziane
del 1952 e del 1954 con la sua produzione concretista e la ripresa
espositiva alle rassegne della Società Promotrice di Belle Arti di
Torino (1951, 1953, 1954). Dall'Informale al neoliberty floreale
1955- 1965 Il «logico passaggio all’astrattismo»” di Gal-
vano culminò tra il 1952 e il 1954 in una fase di «tensione tra
impaginatura attenta alle squadra- ture neoplastiche e colore tonale
impastato». La vibrazione cromatica delle campiture, ottenuta
attraverso una libera stesura di pennellate, lo portò a un lento e
graduale sfaldamento delle sue strut- ture geometrico-architettoniche a
favore dell’indi- pendenza dell'immagine e al protagonismo di una
componente espressiva. Sul piano formale il gesto pittorico si faceva
emancipato e l’organicità della materia riprendeva vigore. Si
segnò qui il definitivo passaggio di Galvano all’Informale, lontano
dall’interpretazione del neona- turalismo propugnata dal duo
Carluccio-Arcangeli (è proprio nel 1955 che furono presentati a Torino
i giovani artisti informali presso la Galleria La Bussola
nell'esposizione Niente di nuovo sotto il sole, titolo che rivelava la
volontà di mantenere una continuità con il passato e la natura).
L'evoluzione del concretismo impose a Galvano (e alla compagine
torinese del MAC) un binario doppio di direzioni che nonsiindirizzò all’antipittura
quanto piuttosto alla scelta di rimanere «dentro la pittura»
nell’opzione di un astrattismo lirico che lo condurrà verso l’Informale.
Un Informale, sosteneva Galvano, affine alla «declinazione di un
linguaggio asemantico in cui tuttavia potessero trovare esito quelle
allusioni simbolistiche che già avevano un posto ben rivelato dai
titoli dei miei quadri del periodo astratto-concreto Rica pe
Una delle prime esposizioni che offrirono un Galvano smarcato
dall’astrattismo di matrice con- creta fu la personale (undici opere del
1954-56) alla Biennale di Venezia del 1956 mirabilmente introdotta
da Giulio Carlo Argan. «La radice comune della sua pittura [...]è la
distinzione netta tra i concetti di forma e immagine. L'idea di forma è
inseparabile dall'idea di arte come rappresentazione, implica sempre
un contenuto di nozioni, un riferimento alla natura, un
34 A. Galvano, in Bordoni, Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo,
catalogo della mostra, Galleria Il Fiore, Milano 1954. 35 A.
Galvano, Autobiografia cit., p. 20. 36 A. Galvano, in Bordoni,
Galvano, Jarema, Parisot e Scroppo cit. 37 A. Galvano,
Autobiografia cit., p. 20. processo dioggettivazione. L'idea
diimmagine supera ildualismo dioggetto e soggetto, la relatività
costante di quod significat e quod significatur; mira a designare
un assoluto valore d’esistenza, a sostituire alla rap- presentazione
un'immediata semantica». Seguitava Argan: «La sua è la ricerca di
un'immagine che non abbia determinazioni dirette o indirette nel
mondo esterno, che non si manifesti per via di similitudini o
allegorie, che dichiari esplicitamente le sue origini e le sue ragioni
esclusivamente umane, che si ponga ad un tempo come noumeno e come
fenomeno. [...] Così la materia, non la forma, diventa mito ed
immagine; e la materia è il colore, ma anche il segno, la linea, il
punto». Nel 1957 Galvano venne invitato da Carlo Lu- dovico
Ragghianti per una personale alla Galleria La Strozzina di Firenze.
Nell’autopresentazione l'artista tenne a ribadire ancora una volta le
convinzioni e la coerenza del suo percorso pittorico che lo avevano
condotto all’Informale. La «formazione spirituale» si era compiuta,
esplicava Galvano, «attraverso la mia adesione alle correnti non
figurative, a quel- l'inversione” del simbolismo nell’astrattismo che
ho cercato di spiegare storicamente in sede critica. Perciò a
Kandinskij e al Kupka del 1913 [...] agli americani Pollock e Tobey, ai
polimaterici di Prampolini. [...] L'unico germe di “manifesto” è quello
sul “feticcio laico”. “Feticcio” cioè metafisica, ma “laico” cioè
an- timetafisica”. Credo si possa essere antimetafisici solo nella
misura in cui si è contro le false metafisiche. Nel caso dell’arte contro
la falsa “ispirazione”, l'evasione sentimentale...»°. Tra il
1956 al 1962 il mezzo informale di Galvano virò verso accezioni
neoliberty. La copertura totale della tela della prima fase si distillò
per mezzo di uno sfondo neutro solcato da grafismi pittorici
orientati sempre meno verso un'immagine quanto in direzione di
archetipi floreali e calligrammidi scrittura gestuale. Galvano
recuperava, seppur allusivamente, attraverso una nuova definizione di
immagini, la figuratività «trasformando o meglio puntualizzando i
‘feticci laici” in “emblemi”»‘° esplicitati in forme larvali di
iris, i fiori paradigmatici del Simbolismo. Sul finire del decennio
Cinquanta e fino al 1965, oltre alle regolari presenze alle Promotrici
torinesi e alle mostre annuali di Torre Pellice, si segnalano la
puntata alla collettiva berlinese presso la Maison de France del 1957, le
partecipazioni al V Premio Bergamo dell’anno successivo, ai Premi
Arezzo (1960) e Fiorino. (Firenze 1960) e alla Quadriennale romana
del 1963. Di particolare rilevanza in quel periodo furono
38. G. C. Argan, in catalogo dell’ XXVIII Biennale di
Venezia, Venezia 1956. 39 A. Galvano, in catalogo della
mostra, Galleria La Strozzina, Firenze 1957. 40 A. Galvano,
Autobiografia cit., p. 20. 22 Nel 1972.
due mostre. La personale del 1960 presso Galleria Il Canale di
Venezia presentata da Edoardo Sanguineti che così ultimava il suo
scritto: «I fiori Mallarmé ci costringono anche a riguardare di nuovo in
faccia la posizione dell'artista las que la vie étiole, portando
cosìla pittura ad assolvere a un compito, molto forte e molto
importante, di smascheramento dell'avanguardia, nella forma, secondo le
possibilità “moderne” di uno “estraniamento”»*!. Nella
collettiva (Galvano, Scroppo e Levi Mon- talcini) alla Galleria il
Quadrante di Firenze, Gillo Dorfles, accogliendo gli enunciati di
Sanguineti, alluse altresì ad un significato orientaleggiante delle
pitture di Galvano che avevano: «accolto nella loro matrice
compositiva quasi il “vuoto” il sunyata di certa arte zenista,
purrimanendo lige a una composta scansione di ritmi
dell’Abendland»”. Pittore dunque in «senso tradizionale» si
definiva Galvano che ricusava le forme antipittoriche, schiuse alla
strada dell’arte-oggetto (della quale si interessò in sede teorica), per
abbracciare una «simulazione d'avanguardia». Un profondo disagio lo
condusse, tra il 1962 e il 1965, a compiere una pausa dalla pittura
causata probabilmente dal cortocircuito innescato a causa di intendimenti
antitetici perseguiti dal parallelo mestiere di critico e di artista.
Come rimarcava Argan: 41 E. Sanguineti, in catalogo
della mostra, Galleria Il Canale, Venezia 1960. 42 G.
Dorfles, Tre pittori torinesi, in Albino Galvano, Paola Levi Montalcini,
Filippo Scroppo, catalogo della mostra, Galleria Il Qua- drante, Firenze
1962. 43 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. Con
Filippo Scroppo. «la confluenza dei due percorsi di pensiero (e la
sua pittura è tutta pensiero) sono difficili e interiormente
sofferte[...]»*. Assumono infine un ruolo fondamentale nella
produzione saggistica di Galvano i due volumi pubblicati in quel periodo:
Per un’Armatura (Lattes, 1960) e Artemis Efesia. Il significato del
politeismo greco (Adelphi, 1966). Sono opere difficilmente
classificabili che attingono alla filosofia, alla storia delle
religioni, alla psicoanalisi e all’antropologia. I due studi
affron- tano il problema dell’interpretazione sia culturale che
psicologica di un passato che ci coinvolge direttamente e sono al tempo
stesso «processo di autoanalisi in me- rito al rapporto tra una
figura-feticcio — un’armatura tardomedievale e un idolo greco — e l’area
psichica della coscienza». Il decennio 1955 -1965 fu
certamente per Galvano la fase più feconda di collaborazione con
periodici e riviste tra cui le torinesi “Sigma”, “Cratilo” e come
redattore di “Questioni” (già “Galleria di Arti e Lette- re”)con Vincenzo
Ciaffi, Mario Lattese Oscar Navarro per l'editore Lattes. Una menzione a
parte merita il 44 G. C. Argan, in catalogo della mostra, Galleria
Unimedia, Genova 1974. 45M. T. Roberto, Albino Galvano,
Dizionario biografico degli italiani, Treccani, Milano 1988.
contributo Le tigriimpagliate (1959) peril primo numero della rivista “Azimuth”
fondata da Piero Manzoni ed Enrico Castellani. Per “Letteratura” nel 1960
Galvano pubblicò La pittura a Torino dal ‘45 ad oggi, un lucidissi-
mosaggio che inquadrava, da testimone diretto, l’arte torinese del
dopoguerra. Successivi furono i notevoli contributi sulla situazione
artistica cittadina tra cui: Per lo studio dell'Art Nouveau a Torino
(1960), Torino e i “secondi futuristi” (1962) e il più tardo La pittura
a Torino all’inizio del secolo ?°. Bandiere, Nastri,
«Griffonages» e Segni asemantici 1966- 1974 Nel 1966 con
l'esposizione Erbe e Bandiere, presso la Galleria Botero di Torino,
Galvano sentì «il bisogno di affiancare e poi sostituire gli emblemi
ispirati alla natura con quelli di carattere artificiale più spogli
e tendenti in qualche modo a una nuova astrazione». In mostra le
forme organiche dai tratti guizzanti dell'ultimo Informale di Galvano
furono accostate, in un felice trait d'union, con la nuova produzione
attraverso la serie delle Bandiere. In uno scritto critico perla suddetta
mostra Gilda Chepes sottolineava: «Le sue erbe alghe, le sue flammulae,
più che bandiere, sembrano, ad analizzarle, vive, agitate da
sentimenti, da spasimi da aneliti, da desideri»**. L'artista
perseverò nella coerenza linguistica della sua ricerca che ancora una
volta, nei più nuovi risvolti, non si collocò in un'immediata e netta
inserzione in correnti o gruppi operativi. Gli estesi
panneggiamenti svolazzanti dai colori accesi che si stagliavano su
fon- di neutri riecheggiavano quasi un'antica tradizione araldica.
I riferimenti pittorici non erano di certo estranei al linearismo
sensuale del Liberty, anche nella sua declinazione decorativa,
rammentando inoltre suggestioni neobarocche. Un commento di Carlo
Mollino, riguardante un'architettura baroccheggiante di Galvano dipinta
degli anni Quaranta, potrebbe restituire puntualmente le atmosfere delle
recenti Bandiere espresse in uno: «scenario di questo tempo
immobile nella chiara decisione di un arabesco che non si placa che in un
ordine senza indulgenza, ma vivo di un amore disincantato»?
Furono ancora le Bandiere ad essere esposte nel 1968 per una
personale a Cremona alla Galleria d’arte I Portici. Gli stendardi
svolazzanti davano la prova di una profonda conoscenza degli allora
attuali linguaggi pop e forniscono anche un «grave riverbero di
anti- chità» rendendo l’immagine «imminente e insieme assente che
par scelta e fabbricata per un pubblico Tutti gli scritti qui citati sono
reperibili in A. Galvano, Dia- gnosi del moderno, cit. 47 A.
Galvano, Autobiografia cit., p. 21. 48. G. Chepes, in “Borsa Arte”,
1966. 49 C. Mollino, in S. Cairola, Arte italiana del nostro tempo,
1946. senza tempo e d’ogni tempo [...]. Proprio per questo
[...]è significante perché carica di intenzioni contrad- dittorie e
fortemente drammatiche, nella dialettica che stabiliscono tra
l’esperienza passata e l'avvento, e la necessità del presente»”. Dal1968Galvanosirivolse
alla nuova serie pittorica dei Nastri mantenendo una viva tangenza allo
sviluppo formale del periodo MAC. L'oggettivazione del dato
geometrico si sostituì con una figurazione elementare di armonica
tridimensionalità sull’estensione della tela. Le masse sventolanti e
libere, nelle quali si evidenzia una ben nota propensione per l’ellissi e
il semicerchio, proseguivano l'indagine sullo spazio volumetrico.
Giuliano Martano asseriva appunto di un'«astrazione intellettuale, in cui
i segni, i ghirigori, sono veri e pro- pri simboli codicillari, incognite
d’equazione, libertà della memoria. [...] Nastri che si dipanano nel
quadro senza né capo né coda e sono le bandiere di prima rese a
brandelli, sono una forma chiusa che si apre, che da circonlocuzione
diventa interlocuzione»?”!. Presso la Saletta d'Arte contemporanea
di Cu- neo, nel 1972, Galvano presentò questa figurazione
elementare di volute concave e convesse di recente produzione, che si
palesavano, secondo Giorgio Brizio, «dall’uso parco e strettamente
pensato delle timbrici- tà cromatiche. Basandosi su toni primari,
operando esclusivamente sulla opacità della parte in ombra, Galvano
può, in una suddivisione doraziana dell’in- fluenza tonale, usare la
direttrice cinetica del timbro per equilibrare il dinamismo globale della
partitura spazio-occupato, spazio-vuoto»”. Nel 1974 la
personale alla Galleria Martano di Torino assunse il significato di una
ricapitolazione, dal MAC al presente, in cui gli elementi nastriformi
si erano evoluti, tra il 1973 e il 1974, in forme dall’aspet- to
cellulare e in moduli verticali e curvilinei. Tracce realizzate a
carboncino, impreziosite da lievi velature scariche di colore,
campeggiavano solitarie sulla tela; la dimensione gestuale fu affiancata
dall'espressione intellettiva dell'atto primario del dipingere.
Questi moduli nella linea filogenetica della sua pittura non-
figurativa «appaiono anche maggiormente legati ai dettami grafici di una
cultura passata attraverso “quell’inversione del simbolismo
nell’astrattismo” [...] che riaffiora con l’organicità delle sue forme
così tese ed essenziali, rispondenti ancora una volta a quella
logica interiore che resta come la matrice vera di ogni opera di
Galvano»”. Lostesso anno una sala personale della 25° Mostra
d'arte contemporanea di Torre Pellice venne dedicata a 50
E. Fezzi, in catalogo della mostra, Galleria d’arte I Portici, Cremona
1968. 51. G. Martano, Albino Galvano, in “Pianeta”, 1968.
52. G. Brizio, in catalogo della mostra, Saletta d'arte contempo-
ranea, Cuneo 1972. 53. A.Dragone in “Stampa sera”, Galvano che vi
espose una ventina di opere. L'artista presentò efficacemente al pubblico
la sua recente svolta pittorica: «ho sentito il bisogno di logorare la
forma, di intercettarne la presunzione di organicità, sgranan- done
il supporto disegnativo in pochi cenni grafici su cui il colore nonagisse
più come elemento qualificante ma soltanto come sottolineatura allusiva.
[...] Come nel ritmo stesso delle vicende vitali, a una stagione di
estroversa aggressione della percezione dello spet- tatore si avvicendava
una fase di ripiegamento sulla discrezione, sulla riserva, sultono
contenuto». Coevi furono i Griffonages e i Segni dell'alfabeto
asemantico lavori con scritte quasi illeggibili rese «come puro
segno e gioco lineare [...] non senza un, fra ironico e intenerito,
strizzar l'occhio al “concettualismo”»59. Sempre nel 1974 si ebbe
la personale genovese alla Galleria Unimedia per la quale Saguineti
imple- mentò la troppo riduttiva definizione del Galvano “doppio”,
critico e pittore, trascendendo anche nella saggistica e nella filosofia
e invitando a vedere «con totale persuasione [...] la forza della sua
lezione [...] rispecchiata, con eguale fedeltà, nelle sue pagine e
sopra le sue tele». Il discorso si reiterava anche nello scritto critico
di Argan che chiudeva con un interro- gativo dal quale Galvano non si
discostò mai: «Che cos'è la pittura?». «Ciò che vuol sapere è che cosa
sia la pittura in questa precisa condizione della cultura, della
coscienza, dell’esistenza, e quale il suo grado di vitalità, quali le sue
possibilità di sopravvivere in uno spazio ogni giorno più
ristretto»”. Tra la ripresa dopo l'interruzione pittorica e
il 1974 si ricordano infine le puntuali presenze a collettive con cadenza
annuale come la Promotrice delle Belle Arti e le mostre del Piemonte
Artistico e culturale di Torino; le rassegne estive di Torre
Pellice e due edizioni dell’Incontro di artisti piemontesi e liguri
a Bordighera Dal 1975 si reimpose per Galvano un nuovo approccio rivolto
alle forme naturali: la ripresa di una figurazione espressionista pervasa
d’un realismo quasi visionario e il fascino recuperato, come
confessò lo stesso artista, per le gidiane «nourritures terrestes».
Galvano sembrò sentirsi quasi responsabile d'un tradimento verso la
pittura allorché, per coerenza, operò una «sintesi tra l’ele- mento
naturale e il non figurativo che gli consentì 54 A.
Galvano, Personale di Albino Galvano, in 25° mostra d’arte contemporanea,
catalogo della mostra, Scuole comunali, Torre Pel- lice 1974.
55 A. Galvano, Autobiografia cit., p. 21. 56 E. Sanguineti,
in catalogo della mostra, Galleria Unimedia, Genova 1974. 57
G.C. Argan, in catalogo della mostra Galleria Unimedia, cit.
SZ Nella bottega dell'antiquario.
un'impaginazione astratta servendosi di forme non inventate, non di
natura cerebrale ma veramente esistenti», Riemerse, con la
serie dei Cespugli (fino al 1977 circa), la fascinazione per i cespi di
iris, tema dominante di inizio anni Sessanta, ma questa volta non
più giocato con la «gestualità irruente» del colore spremuto direttamente
sulla tela, eredità del linguaggio informale, ma attraverso un
sedimen- tato approccio di sottili velature di pittura a olio
utilizzata come gouache che si rifaceva alle delicate tinte dei moduli di
qualche anno precedenti. Gli sfondi bianchi svuotati erano percorsi
esplicita- mente da segni grafici e scritte che sembrarono
dischiudere uno spiraglio perfino alla poesia visiva. Fu Galvano stesso,
riferendosi a questi la- vori — esposti in una personale del 1977 presso
la Galleria Weber di Torino — a parlare di «archetipo floreale»
dove «il fiore dell’iris scandisce l’intrico dei segni, grafismi di
parole o di immagini, altre volte rigidamente modulari o, almeno non
anco- ra piegati all’allusione significativa. ‘“Cespugli” Spinardi,
in catalogo della mostra, Piemonte Artistico e Culturale, Torino perciò
in contrapposizione ai glifi dell’”alfabetico asemantico” e dei griffonages
che li avevano, verso la fine del 1974, preceduti»®?. Dal
1978 e fino al concludersi del decennio seguì la serie dei Motivi
vegetali (Ciottoli, Foglie, Frutti, Relitti). La riappropriazione di una
rappresentazione ottica- mente realistica fu solo apparente; il candore
neutro dei fondiesaltava una suggestione di tridimensionalità
attraverso la scansione prospettica degli oggetti. Tali elementi solitari
erano estraniati dal loro contesto naturale e inseriti negli spazi
illusori di questa pittura d’assenza. Sul cadere diogni
riferimento a contenuti simboli- ci «o anche solo sentimentali» della
pittura di Galvano, ne scrisse Renzo Guasco in un testo che
introduceva lagrande mostra retrospettiva dell'artista organizzata
a Torino nel 1979 dalla Regione Piemonte. Tali opere, per Guasco, «non
sono più emblemi né simboli che rimandano a un ulteriore significato. Per
essi si può forse parlare di “sospensione di senso” (per usare un
termine di Barthes), di un muto stupore di fronte alla vita e alla
natura. Le foglie morte e i relitti di Galvano rifiutano il significato,
e quindi ogni commento, o spiegazione. Il cespuglio spezzato è solo un
cespuglio spezzato; le foglie, anche se rosse, autunnali, non sono
les feuilles mortes»®. Con avvio del decennio Ottanta ne i
Paesaggi (Rocce, Alberi, Isole) vi fu il riutilizzo di una stesura
cromatica che spesso occupava l’intera tela con un conseguente recupero
dell'effetto tonale. Gli spazi desolati, le «muse inquietanti», che
Galvano propose in questa fase suggerirono a Paolo Fossati richiami
alla pittura metafisica. «Luoghi, intanto, vuoti, svuotati di
allotrie presenze, come è giusto siano le radure vuote e silenti, per il
camminante che vi si ferma a pensare e meditare. Luoghi di pensiero e di
inconsci sofismi: con i relativi feticci oppure archetipi, teste in
gesso di eroi, manichini nel pictor optimus; rami sassi acque per
Galvano»®!. L'artista in età avanzata, provato dalla
difficoltà dell’offuscamento della vista, con le serie di guazzi su
carta di Nudi e Macchie sperimentò infine, una pittura liquida fatta di
segni colantiin un'inversione di «sgor- bi cromatici di netta matrice
informale»? Nel 1988 confessava ai lettori del catalogo della Galleria
Micrò (una delle sue ultime mostre): «Ancora una volta ho voltato
gabbana e me ne scuso a chi può dare fastidio, Galvano, in catalogo della
mostra, Galleria Weber, To- rino 1977. 60 R. Guasco, in N.
Pizzetti e G. Givone (a cura di), Albino Gal- vano cit., p. 16.
61 P. Fossati, Per un omaggio a Galvano, in P. Fossati, F. Garimol-
di e M. C. Mundici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo della
mostra, Circolo degli Artisti, Torino, Electa, Milano 1992, p. iz.
62 A.Galvano, in catalogo della mostra, Galleria Micrò, Torino
1988. ma vorrei ricordare che vi è stata una mia stagione di
“eriffonages” [...] che a questi fogli ultimi molto si apparenta, anche
se là il segno prevaleva, monocromo [...]. Perciò dico a mia difesa — il
diritto di difendersi è sempre riconosciuto ai colpevoli — “versatilità,
ca- pricciosità sì, incoerenza no”»®. Molti furono gli spazi
espositivi torinesi che ac- colsero le personali di Galvano inquadrando
la sua ultima fase pittorica, tra cui: la Galleria Weber (1977), il
Piemonte Artistico e Culturale (1982), la Galleria Cittadella (1981 e
1984) e la Galleria Micrò (1988). Occasioni extracittadine rilevanti
furono presso la Galleria Morone di Milano (1979), la Galleria Villata
a Cerrina Monferrato (1980) e la bipersonale insieme a Gino Gorza presso
Palazzo Te a Mantova (1988). Si rammentano poi l’antologica presso la
Galleria La Cittadella di Torino con opere dal 1930 al 1950 (1976);
la vasta esposizione del 1979 organizzata dalla Regio- ne Piemonte presso
Palazzo Chiablese di Torino che esplorava l’intera carriera dell'artista
(corredata da un notevole apparato critico in catalogo) e le mostre
retrospettive del 1989 e 1990 alla Galleria Accademia di Torino. Costanti
furono inoltre le partecipazioni a collet- tive come alla Promotrice
torinese (dal 1975 al 1979), alla Galleria Martano (1976) e
all'esposizione Torino tra le due guerre presso la Galleria d’arte
moderna di Torino. Infine, nell’ambito della rinnovata attenzione
perlostoricizzato Movimento Arte Concreta, Galvano figurò in svariate
mostre a: Cavallermaggiore (1980), Torre Pellice (1983), Gallarate
(1984), Aosta (1987). Albino Galvano morì il 18 dicembre 1990 a
Torino all’età di ottantatré anni. La dichiarazione
conclusiva sugli intendimenti di una pratica pittorica perseguita per
l'arco di una vita intera è affidata a Galvano stesso e permette di
afferrare almeno un aspetto di questa multiforme e primaria figura di
artista, critico e intellettuale italiano del Novecento. «Di una sola
coerenza credo di poter- mi vantare, ma è coerenza che in qualche modo
mi sequestra al di fuori di tanta arte contemporanea: la fedeltà
alla tela, al colore ai pennelli. In parole povere ho sperimentato molto,
forse troppo e troppo disper- sivamente, ma non mi sono mai sentito
vicino alle ricerche di chi avevarifiutato o cercato un'alternativa
ai mezzi tecnici — che poi vuol dire anche espressivi — di una
tradizione che va dal Cinquecento agli impressio- nisti, ai fauves, agli
espressionisti. Fedeltà o incapacità di uscire dalla routine? Non sta a
me deciderlo. Ne rivendico la responsabilità o il merito».
63 bid. 64 A.Galvano, in catalogo della mostra, Palazzo Te, Mantova
1988. 26 Seconda metà anni
Settanta. Alla presentazione del volume "La
pittura, lo spirito e il sangue", 1988. Da discepolo a
interprete. Albino Galvano e Felice Casorati Alessandro
Botta “Quando, a vent'anni, mi presentai alla Scuola di via
Galliari, cioè allo studio di Felice Casorati, avevo dietro le incerte
aspirazioni dettate da una pretesa mia attitudine al disegno [...]. Poco,
ma abbastanza, insie- me alla passione per la storia dell’arte, perché
seguis- si con attenzione sulle riviste (specialmente “Empo- rium”)
le Biennali veneziane del 1926 e del 1928 che mi educarono al gusto per
l’arte contemporanea”. Con queste parole Albino Galvano apre la sua
auto- biografia scritta per una mostra retrospettiva torinese del
1979, definendo sin da subito le proprie origini di formazione e
circostanze di aggiornamento. Nato nel 1907, “anno in cui, con le
Demoiselles’ di Picasso, l’arte occidentale vedeva chiudersi il ciclo
iniziatosi alla fine del duecento”? si iscrive al liceo classico Cavour
insie- me a Giulio Carlo Argan (“eravamo vicini di banco”), e
presto interrompe gli studi per dedicarsi interamente alla pittura,
seguendo inizialmente le indicazioni di ar- tisti intercettati attraverso
le conoscenze familiari.‘ Un temperamento vivo e curioso, il suo,
che più che seguire le letture e gli studi che il percorso scola-
Stico gli impongono, preferisce accrescere le proprie conoscenze con una
formazione isolata, fatta di letture personalissime: “Mi seppellivo
cinque-sei ore al giorno in biblioteca — sostiene in un'intervista —. Lì
incomin- ciai a leggere ‘La Critica’. Nel’25 avevo letto Bergson” 5
Nell’atteggiamento che caratterizza il giovane artista, concentrato ad
inseguire le proprie passioni piuttosto che le strade già battute, si può
forse leggere una conti- nuità nella scelta di rivolgersi a Casorati come
maestro, una decisione non così scontata in una Torino dove gli
orientamenti estetici erano ancora influenzati dall’in- gombrante figura
di Giacomo Grosso e dall’insegna- mento della paludata Accademia
Albertina. Galvano ha una fascinazione improvvisa verso
l'artista torinese, arrivata attraverso l'osservazione di-
1 A. GALVANO, Autobiografia, in N. PizzETTI, G. Givone (a
cura di), Albino Galvano, catalogo della mostra (Torino, Palazzo
Chia- blese, 21 dicembre 1979 - 13 gennaio 1980), Regione Piemonte,
Torino 1979, p. 17. 2 Ibidem. 3 G. C. ARGAN, Albino
Galvano [presentazione], in XXVIII Bien- nale di Venezia, catalogo della
mostra (Venezia, giugno - ottobre 1956), Alfieri Editore, Venezia 1956,
p. 213; “Non eravamo tra i pri- mi della classe: troppe cose
c'interessavano, che non avevano nulla a che fare col programma, e ne
discutevamo per interi pomeriggi, dimenticando le versioni di latino e i
problemi di matematica. For- se quell’amicizia di ragazzi ci costò
qualche esame a ottobre ma, almeno per me, non fu un'esperienza inutile”
(Ibidem). 4 Galvano parla di “un apprendistato presso il Vannini,
ma- estro di disegno a cui ero stato indirizzato dal pittore
Giovanni Pisano amico di famiglia, che avevo avuto spesso occasione
di veder al cavalletto” (A. GaLvano, Autobiografia [1979], cit., p.
17). ©) [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], in P. Fossati,
F. GarmoLpi, M. C. Munpici (a cura di), Omaggio a Albino Galvano, catalogo
della mostra (Torino, Circolo degli Artisti, 23 gennaio - 1° marzo 1992),
Electa Piemonte, 1992, p. 140. Ud Albino
Galvano alla mostra personale di Palazzo Chiablese, Torino, 1979.
Archivio Storico della Città di Torino, fondo "Gazzetta del
Popolo". retta di alcuni suoi dipinti presenti nelle
collezioni del museo cittadino: “Alla Galleria di Torino — sostiene
egli stesso nell’autobiografia del 1952 — mi erano cioè pia- ciuti
piuttosto i bianchi di tempera con il rosso dei co- ralli o il cielo
spugnoso del bozzetto per il ‘Ritratto del- la signora Wolf” che il
neoquattrocentismo del ‘Ritratto della sorella’”.. Prime indicazioni
attestabili dopo il 1926, sintomatiche di un interessamento che si
rafforza man mano e che è destinato a diventare decisivo per il suo
ingresso nella scuola dopo la visita alla Biennale veneziana del 1928,
nella quale Casorati espone,” oltre ad otto dipinti, anche due statue
destinate al proscenio per il teatro Gualino. Galvano è colpito, in
questa occa- sione, ‘“[dal]l’azzurro o il paglierino di stoffe e legni
in ‘Daphne’ che le pose ricercate dei nudi”. 6
A.GALVANO, [autobiografia], in Albino Galvano, catalogo del- la mostra
(Asti, Galleria La Giostra, 1952), Asti 1952, p.n.n.; rela- tivamente ai
dipinti di Casorati citati si veda il catalogo generale dell'artista G.
BERTOLINO, F. PoLi, Felice Casorati. Catalogo generale. I dipinti
(1904-1963), 2 voll., Allemandi & C., Torino 1995, nn. 188 (1922),
250 (1925). Da qui in poi citato come (Bertolino, Poli). 7 A.
GALVANO, [autobiografia] [1952], cit., p. n.n. Relativamen- te alla
Biennale del ‘28 scrive: “Quella del 1928 volli visitarla di persona e vi
fui impressionato specialmente da Felice Casorati, sicché decisi,
scoperto che abitava a Torino, di iscrivermi alla sua scuola.” (Ip.,
Autobiografia [1979], cit., p. 17). 8 Ibidem;inquell’occasione,
oltre al Ritratto di Daphne (1928) (Ber- tolino, Poli 328), Casorati
espone l’opera Ragazze dormenti (o Mozart) (1927) (309), ricordata da
Galvano nel suo racconto autobiografico. L'ingresso alla scuola,
avvenuto probabilmente verso la fine dell’anno o all’inizio di quello
successivo, lo vede inserirsi in un ambiente già consolidato, ac-
cresciuto notevolmente d’iscritti rispetto al nucleo fondante di stretto discepolato
del suo studio “che sta tra l'accademia e il monastero” del 1921.!° La
“Scuola libera di pittura”, inaugurata nel 1927 in via Galliari 33,
è ormai una realtà pubblica, che riunisce maestro e allievi e li vede
impegnati come fronte coeso nelle esposizioni cittadine e
nazionali.! La serietà e la dedizione alla pittura sono le
ca- ratteristiche fondamentali che danno l’accesso alla scuola: lo
si ricava dalle impressioni che risuonano con continuità tra i commenti e
i ricordi degli allievi che in tempi diversi affrontano l’alunnato
casoratia- no.! Galvano non fa eccezione: “L'accoglienza fu, come
era nel suo stile, di una signorile severità”.! Ma, al di là delle
incertezze iniziali, il maestro sem- bra essere più colpito dalla
spiccata vivacità intel- lettuale del giovane allievo piuttosto che dalle
sue capacità pittoriche: “credo che — sottolinea Galvano
raccontando di se stesso — abbia avuto subito per l’uomo la simpatia e la
stima che poi sempre mi di- mostrò, forse assai più scarsa la fiducia
nelle mie possibilità di pittore, il che mi fu ottimo stimolo a
intestardirmi e ad impegnarmi a fondo”! Tra la fine di ottobre e
l’inizio di novembre del 1929 lo scolaro “intelligente ma noioso,
predicatorio”, secondo il ricordo di Lalla Romano (anche lei
discepola di Casorati),'° presenta le sue opere per la prima volta
con il gruppo di allievi alla II Esposizione d’arte allesti- ta nello
studio di via Galliari. L'esposizione “intima”, alla sua seconda
edizione, è aperta al pubblico di inte- ressati (a visitarla, sono
perlopiù personalità del milieu intellettuale antifascista cittadino) e
vuol essere una “raccolta dei lavori più notevoli eseguiti dagli
allievi nello scorso anno”.!° La prova generale della scuola non
sembra però garantire a Galvano l’accesso all’im- 9 Galvano, a
molti anni di distanza, fissa la sua presenza nella scuola “dalla fine
del 1928 a quella del 1930” (A. GaLvano, Auto- biografia [1979], cit., p.
17). 10 P. GOBETTI, Felice Casorati pittore, Torino [1923], p.
91. 11 Perunostudiosulla scuola di Casorati e sulle vicende
espo- sitive della stessa si veda V. CavaLLaro, La scuola di Casorati,
tesi di laurea, Facoltà di lettere e filosofia, Università degli Studi
di Torino, 2012, relatore: F. Rovati; F. Poi, V. CavaLLaro (a cura
di), La scuola di Felice Casorati ed Andrea Cefaly, catalogo della
mostra (Catanzaro, Complesso monumentale di San Giovanni, 26
ottobre — 26 novembre 2017), Rubettino, Soveria Mannelli 2017.
12 testimonianze e memorie dei suoi discepoli, in C. Pianciola (a
cura di), Il critico e il pittore. Gobetti, Casorati e la sua scuola,
Aras Edizioni, Fano 2018. 13 A. GALVANO, Autobiografia
[1979], cit., p. 17. 14 Ibidem. 15. L. Romano, Una
giovinezza inventata, Einaudi, Torino, 1979, p. 192. 16 E.
PauLuccCI, Cronache torinesi. Scuola di Casorati, in “Le Arti
Plastiche”, 16 novembre 1929, p. 2. Su questo argomento si veda A.
BOTTA, Felice Casorati nelle. minente esposizione alla Galleria Valle di
Genova — or- ganizzata probabilmente da tempo e inaugurata nel
gennaio del nuovo anno -, che vuol essere l’occasio- ne per riunire una
selezione più stretta degli allievi.!” Dovrà attendere ancora qualche
mese, in primavera, prima di assistere alla presentazione di un suo
dipinto (accolto per accettazione dalla Giuria) alla Biennale del
1930.!* Riuniti attorno al maestro, gli allievi di Casorati — otto in
totale — occupano la sala 30, attigua alla fortu- nata e discussa retrospettiva
di Modigliani ordinata da Lionello Venturi, che non manca di far nascere
alcune corrispondenze e letture parallele con le opere dei ca-
soratiani. Da questo momento in poi Galvano incomince- rà ad
essere presente con continuità alle mostre della scuola. Una conferma che
arriva già a poche settima- ne di distanza con la partecipazione alla 88°
esposizione della Società Promotrice delle Belle Arti con ben
quattro dipinti. Ancora alla fine dell’anno il suo nome si regi-
stra tra gli allievi presenti alla III Esposizione d’arte di via
Galliari,' mentre nel gennaio del 1931 viene segna- lato come uno dei
“casoratiani” che espongono - que- sta volta senza il maestro — alla
mostra torinese degli “Amici dell’ Arte”. Se fino a questo
momento le opere di Galvano non sembrano sollecitare più di tanto
l'interesse della critica — forse perché il modello del maestro è
troppo riconoscibile nella sua pittura —, l'occasione della I Qua-
driennale d'Arte Nazionale di Roma del gennaio 1931 apre ad un
interessamento che coinvolgerà da lì in poi anche il giovane artista
torinese, presente con il dipinto Estate, riprodotto per l'occasione
sulla nota rivista mi- lanese “La casa bella”?! Galvano,
ancora coeso al gruppo almeno fino al marzo di quell’anno (la sua
presenza è confermata in una mostra di “scuola” allestita alla galleria
Milano), Esposizione dei pittori Casorati, Bay, Bionda, Bonfantini,
Mar- chesini, Maugham, Mori, prefazione di G. Pacchioni, catalogo
della mostra (Genova, Galleria Valle, 20 gennaio - 3 febbraio 1930),
Ge- nova 1930. 18. Sitratta del dipinto Paese con un ponte;
cfr. Catalogo XVII Espo- sizione Biennale Internazionale d'Arte 1930,
catalogo della mostra (Venezia, maggio - novembre 1930) Venezia 1930,
sala 30, n. 18. 19 Cfr. E. Pautucci, Cronache torinesi. Scuola di
Casorati, in “Le arti plastiche”, 16 gennaio 1931, p. 2. 20
Cfr.E. ZANZI, Cronache torinesi. La mostra degli “Amici dell’Ar- te”, in
“Emporium”, vol. LXXIII, n. 433, gennaio 1931. pp. 50-51. 21. P.
Torriano, Cronache d’arte. Note alla I Quadriennale, in “La casa bella”,
marzo 1931, p. 57. Relativamente alla partecipazione degli artisti
piemontesi alla rassegna romana si veda L. IAMURRI, Levi, Paulucci e gli
altri. Presenza torinesi alla Quadriennale, in M. Cossu, C. MicHELLI (a
cura di), Cultura artistica torinese e politiche nazionali 1920-1940,
catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazio- nale d'Arte Moderna, 16
dicembre 2004 - 13 febbraio 2005), Electa, Milano 2004, pp. 58-60.
22. Cfr. Bay, Bionda, Bonfantini, Casorati, Chicco, Cremona,
Donati, Galvano, Levi, Maugham, Marchesini, Mennyey, Mori, catalogo
del- la mostra (Milano, Galleria Milano, 1° - 15 marzo 1931),
Milano Copertina del catalogo della mostra alla Galleria Milano, Milano
1931. incomincia a dar segni di cedimento rispetto allo sta-
tuto casoratiano e nei confronti della scuola. Un di- Stacco progressivo
che si rende evidente nell'esercizio Stesso della pittura, che lo vede
ricercare una propria indipendenza e nuove vie di espressione. La
Promo- trice del 1931 diventa per lui un terreno di confronto nel
quale presentare le più recenti ricerche, filtrate at- traverso nuovi
modelli nel frattempo subentrati e ma- turati, chiariti con lucidità — a
distanza di anni — dallo Stesso artista: Mi affascinavano il
tentativo di ricostruzione formale del mio maestro e, contemporaneamente
e contradditto- riamente, gli esiti dell’impressionismo e
postimpressio- nismo, sia nelle loro accezioni originali sia nelle riprese
locali dei Sei e, in genere, la pittura di colore e di tocco, ovviamente
legata a una visione naturalistica. Nel du- plice e, in certo senso,
contraddittorio intento di tener Insieme i valori plastici di Casorati e
quelli cromatici dei Sei il risultato diveniva naturalmente pesante,
impasta- to, anche perché subivo fortemente l'influenza di una
certa pittura francese [...], o meglio di una pittura che si faceva in
Francia spesso da stranieri, [...] che allora agli inizi degli anni
trenta mi affascinava dalle pagine di “L'Art Vivant”.® Assente
il maestro, Galvano è presente con tre ope- re. La Composizione con
figura, in particolare, riprodotta 23. A. Galvano,
Autobiografia [1979], cit., p. 18. 29 sia in catalogo
che sulla rivista “Emporium”,’° mostra gli esiti dell'aggiornamento
condotto sugli esempi dei post-impressionisti francesi e sulle proposte
figurative dei “Sei” (sciolti ufficialmente, come gruppo, proprio
nel 731), che si riconoscevano nella linea di rinnovamento
dell’arte contemporanea tracciata da Lionello Venturi.® Il
passaggio, da questo momento in poi, è breve. Complice un disfacimento
generalizzato della scuola stessa, il pittore, alla mostra degli “Amici
dell'Arte” al- lestita nell'autunno del medesimo anno, è
considerato già da tutti un ex allievo.?? Ma la sua fedeltà al
maestro e l'amicizia che li lega lo vedranno partecipare ancora ad
una mostra di “scuola”, allestita nel teatro di Pavia all’inizio del
1932. Accanto agli ex compagni, Galva- no diventa una presenza
eccentrica. Le sue opere, che spaziano tra i generi (dalla natura morta
al paesaggio), mostrano la sua indecisione circa la strada da
intra- prendere, alla luce delle più recenti scoperte, passando “da
l’espressionismo a l'impressionismo senza un atti- mo di esitazione”.
La “rottura” con Casorati — 0 presunta tale —, coin- cide con il
suo esordio di critico e con il suo avvicina- mento a Lionello Venturi,
al quale viene introdotto dal suo compagno di studi Giulio Carlo Argan.*
Nel lu- glio del 1932 Galvano pubblica il suo primo contributo
sull’illustre rivista trimestrale “L'Arte”, che a partire dal 1930 vede
Lionello impegnato nella condirezione accanto al padre Adolfo. La
presenza del figlio, pro- fessore all’Università di Torino, apre il
periodico al di- battito sulle arti contemporanee, fino a quel
momento escluso dai contenuti tradizionali della rivista. Il saggio
Armando Spadini e il gusto degli impressionisti? mostra l'avvicinamento
di Galvano alla critica venturiana, già evidente nel titolo del
contributo (che riecheggia il più celebre volume del 1926)" e che si
conferma nei conte- nuti e nel soggetto stesso dell'articolo.
24 E. ZANzZI, Cronache torinesi. Dopo ottantanove anni...
L'Esposi- zione Interregionale della Promotrice di B. A., in “Emporium’”,
vol. LXXXIV, 443, novembre 1931, p. 307. 25 Alberto Rossi,
sulle pagine de “L'Italia letteraria”, sottolinea come Galvano sia ormai
“teso a tutt'uomo alla ricerca di costru- zioni personali” (A. Rossi, Una
mostra interregionale, in “L'Italia letteraria”, 12 luglio 1931, p. 4),
mentre Emilio Zanzi, su “La Gaz- zetta del Popolo”, rileva come la
distanza -tra allievo e maestro- sia ormai sensibile sia da un punto di
vista cromatico che formale: “Il giovane Galvano - fa notare - sta
liberandosi dai grigi e dalle tristezze casoratiane e ora si esperimenta,
con accortezza e con gusto, nelle esperienze di Matisse e di Friesz” (E.
z. [E. Zanzil], L'arte al Valentino. La terza Mostra regionale del
Sindacato delle Belle Arti, in “Gazzetta del Popolo”, 14 maggio 1931, p.
6). 26 Cfr.e.z. [E. Zanzi], Agli “Amici dell'Arte” pittori,
scultori, ar- chitetti, decoratori. La mensa degli avieri ideata da S. E.
Balbo, in “Gaz- zetta del Popolo”, 10 ottobre 1931, p. 7. 27,
P.A.Sornini, Alla mostra Casorati II, in “Il Popolo di Pavia”, 27 gennaio
1932, p. 3. 28 Cfr. A. GALVANO, Autobiografia [1979], cit., p.
17. 29 In., Armando Spadini e il gusto degli impressionisti,
in “L'Arte”, vol. III, nuova serie, IV, luglio 1932, pp. 318-331.
30 LL. VENTURI, Il gusto dei primitivi, Zanichelli, Bologna 1926.
Accanto all'impegno pittorico, piuttosto in crisi in questo
periodo (“per una dozzina d'anni, mi mossi un poco a casaccio”), Galvano
intraprende gli studi universitari presso la Facoltà di magistero. Una
scelta che è dettata non tanto dalla sua ben nota passione per le
materie letterarie e filosofiche o dalla sua curiosità innata, ma più
semplicemente da “problemi economi- ci” che lo obbligano “in fretta e
furia a prendere una laurea e ad iniziare l'insegnamento in istituti
privati” La fine del suo percorso di studi, che si conclude con una
Tesi sulla pedagogia della religione discussa con Angiolo Gambaro e
Nicola Abbagnano, coincide con la ripresa dell'attività di critico ma
anche di saggista,” che si fa particolarmente intensa a partire dal 1938
e che lo vede collaborare con le riviste “Il Selvaggio” ed
“Emporium”. AI di là dell'abbandono della scuola di Via Gal-
liari, Casorati resta per Galvano un solido punto di riferimento, non
tanto come esempio figurativo o di pratica pittorica da seguire, ma come
rappresentate di un modello culturale autorevole e indipendente
pre- sente in città. L'amicizia tra i due, avviata alla fine degli
anni Venti e riconfermata in più occasioni, sembra in questo giro di anni
intensificarsi ulteriormente, antici- pando il sodalizio che porterà alla
pubblicazione della monografia per la collana “Arte Moderna Italiana”
di Scheiwiller nel 1940, dedicata integralmente al mae-
stro.” A partire dal 1938 (fino al 1942) incomincia a col-
laborare con “Emporium” occupandosi di curare la sezione Cronache
torinesi del mensile. Questo nascente incarico gli permette di affrontare
e commentare l’atti- vità artistica piemontese, confrontandosi con un uni-
verso legato ad una rivista nota ed ampiamente diffusa e discussa.
Casorati è sempre presente nei suoi articoli: viene seguito passo passo
da Galvano sia nelle vesti di pittore che di organizzatore culturale,
offrendo in spe- cial modo la propria attenzione all'impresa della
galle- 31 A.GALVvano, [autobiografia] [1952], cit., p. nn.
32. [Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138.
33. Da ascriversi sempre al rapporto con Venturi sono i tre vo-
lumi di Galvano, apparsi a partire dal 1938 per l'editore Nemi di Firenze
(L'arte egiziana antica [1938]; L'arte dell'Asia occidentale e centrale
[1938]; L'arte dell'Asia orientale [1939]), pubblicati nella collana
“Novissima enciclopedia monografica illustrata”. 34 “Casorati
[...] sapeva rispettare la personalità dell'allievo anche quando non era
affatto d'accordo sulla visione dell’allie- vo. Infatti quei pochi
che sono venuti fuori tra i molti che c'erano - Bonfantini,
Chicco, Paola Levi Montalcini, ed io, ci siamo subito allontanati da
Casorati pur restando suoi amici, pur essendo sem- pre aiutati da lui sul
piano pratico per mostre ed esposizioni. [...] Ma la Montalcini ed io
siamo passati negli anni Cinquanta all’a- strattismo, poi all’informale,
tutte cose che Casorati... ma non ci ha mai tolto né la sua amicizia né
la sua protezione. In questo era veramente un grandissimo signore”
([Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 141). 35
A. GALvano, Felice Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A -
Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1940. 30 ria
“La Zecca”, avviata dal maestro a Torino insieme a Enrico Paulucci in via
Verdi 15.5 Se appare piuttosto chiaro come Galvano tenti —
con i mezzi a sua disposizione — di promuovere e so- stenere l’amico
Casorati nelle sue molteplici attività, il maestro, dal canto suo, cerca
di aiutare il suo ex-allievo nel suo percorso di pittore. È lo stesso
Galvano a di- chiarare apertamente, molti anni più tardi, come la
sua affermazione al Premio Bergamo sia in realtà frutto di un aiuto
arrivato dallo stesso maestro: “Casorati era molto potente [...] mi fece
accettare [al Premio Berga- mo], mi fece sempre dare qualche premio, per
cui mi trovai agganciato”. Presente con continuità dal 1939 al
1942, Galvano si aggiudica per ben tre anni i pre- mi in denaro del
concorso. Solo nella seconda edizio- ne non compare tra i vincitori, ma
la sua opera viene acquistata dal Ministero dell'Educazione Nazionale
a titolo di incoraggiamento. Il. Verso la fine
del 1940 è data alle stampe la mo- nografia “Felice Casorati” scritta da
Albino Galvano, apparsa per le edizioni Hoepli di Milano.* La pub-
blicazione si inserisce all’interno dell’ambiziosa col- lana “Arte Moderna
Italiana” inaugurata nel 1925 e coordinata da Giovanni Scheiwiller,
immaginata per raccogliere — uno dopo l’altro — gli artisti italiani
più noti del tempo, attraverso piccole monografie illustra- te,
introdotte da un testo critico che viene di volta in volta scelto
dall'editore o dall'artista protagonista del volume. In questo caso, è
infatti Casorati a suggerire il nome del giovane critico a Scheiwiller,
incaricandolo di aggiornare radicalmente la precedente edizione di
Raffaello Giolli, ormai vecchia di quindici anni.” La piccola
monografia di Galvano non si colloca, all’epoca, come una novità di
genere nella letteratura artistica del pittore, ma rientra in un panorama
già piuttosto sedimentato di studi sul maestro, che si oc- cupano
di fornire uno sguardo complessivo sull'intera produzione raggiunta sino
a quel momento. Il volume 36 Ip., La collezione
Della Ragione, in “Emporium”, vol LXXXVII, 520, aprile 1938, p. 220; Ip.,
Torino. Maccari alla “Zecca”, in “Em- porium”, vol. LXXXIX, 531, marzo
1939, pp. 161-162. In., Torino. Mostre alla “Zecca”, in “Emporium”, vol.
XC, 537, settembre 1939, pp. 161-163; Ip., Torino. Mostre alla “Zecca”,
in “Emporium”, vol. XC, 538, ottobre 1939, pp. 203-204. 37.
[Intervista di L. Lanzardo ad A. Galvano], cit., p. 138. 38. A.
GALVANO, Felice Casorati, cit. Per uno studio sulla mono- grafia si veda
A. Botta, Albino Galvano e Felice Casorati. La mono- grafia per la
collana “Arte Moderna Italiana” di Giovanni Scheiwiller, tesi di
specializzazione, Università degli Studi di Udine, 2014- 2015, relatore:
F. Fergonzi. 39 R. Giotty, Felice Casorati, Arte moderna italiana
n. 5, Serie A - Pittori - n. 4, Ulrico Hoepli, Milano 1925. lo studio di
Giolli, infatti, limitava necessariamente l'indagine sull'artista alla
prima metà degli anni Venti. di Gobetti del 1923,‘ che si
propone come una rico- struzione cronologica del percorso artistico
(nonostan- te la limitatezza della produzione casoratiana) apre la
strada a numerosi tentativi di interpretazione e ordi- namento dell’opera
del maestro, non limitati alle pub- blicazioni di carattere monografico
(il caso successivo — come si è detto — è quello di Giolli) ma
rintracciabili anche all’interno di contributi meno estesi che, a
par- tire dal saggio di Venturi uscito il medesimo anno su
“Dedalo”, diventano sempre più frequenti nei tempi a venire, anche sotto
forma di presentazioni nei catalo- ghi delle esposizioni.” La
critica contemporanea studia la produzione di Casorati secondo principi e
approcci molto differen- ti che, verso la metà degli anni Venti, tendono
a farla rientrare in quel processo di costituzione di un'arte
nazionale ufficiale: un’annessione ai “pittori del Nove- cento” (non
pienamente condivisa dall'artista) che sarà esplicitata nell'articolo di
Margherita Sarfatti apparso su “La Rivista Illustrata del Popolo
d’Italia” nel marzo del 1925* e che contribuirà a determinare una
lettura della pittura di Casorati divisa “tra estetica e lettera-
tura”, destinata a rimanere ancora per molto tempo identificativa del suo
lavoro. Intorno agli anni Trenta il lavoro di Casorati rien-
tra già nell'ottica di una ricostruzione storica più am- pia dell’arte
italiana ed internazionale: le pubblicazioni della Sarfatti, di Virgilio
Guzzi, di Vincenzo Costanti- ni, di Anna Maria Brizio e — poco più tardi
- di Ugo Nebbia, esaminano Casorati secondo una prospettiva
generale (con le inevitabili ed ulteriori opinioni con- traddittorie), ma
sono tutte piuttosto concordi a identi- 40 P. Gost, Felice
Casorati pittore, cit.. 41 L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati, in
“Dedalo”, IV, fasc. IV, Settembre 1923, pp. 238-261. 42 Ip.,
Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV Esposizione Internazionale
d'Arte della Città di Venezia, catalogo della mostra (Venezia, aprile -
ottobre 1924), Carlo Ferrari, Venezia 1924, pp. 88-89; G. PACCHIONI,
Felice Casorati, in Exposition d'’artistes italiens contemporains,
catalogo della mostra (Ginevra, Musée Rath, feb- braio 1927),
Stabilimento grafico Foa, Torino 1927, p. n.n.; A. Rossi, Felice Casorati,
in 21 Artistes du Novecento Italien. Deuxième exposi- tion du Novecento
italien, catalogo della mostra (Ginevra, Galerie Moos, giugno-luglio
1929), Richter, Ginevra 1929; M. BERNARDI, 25 opere di Felice Casorati
nel salone de La Stampa, catalogo della mostra (Torino, gennaio 1937),
Tipografia del giornale “La Stam- pa”, Torino, 1937, p. n.n. Per una
ricognizione sulla fortuna critica Casoratiana si veda P. THeA, La
critica e Casorati: profilo e antologia, in M. M. LAMBERTI, P. Fossati,
Felice Casorati 1883-1963, catalogo della mostra (Torino, Accademia
Albertina, 19 febbraio - 31 marzo 1985), Fabbri Editori, Milano 1985, pp.
141-167. 43. M. SARFATTI, Pittori d'oggi. Felice Casorati, in
“Rivista illustra- ta del Popolo d’Italia”, 15 marzo 1925. 44
In. Storia della pittura moderna, Paolo Cremonese Editore, Roma 1930; V.
Guzzi, Pittura italiana contemporanea. Origini e aspet- il, Bestetti
& Tumminelli, Treves, Roma-Milano 1931; V. COSTAN- TINI, Pittura
italiana contemporanea dalla fine dell’800 ad oggi, Ulri- co Hoepli,
Milano 1934; A. M. Brizio, Ottocento Novecento, Utet, Torino 1939; U.
NEBBIA, La pittura del Novecento, Società editrice libraria, Milano
1941. ARTE MODERNA ITALIANA N. 5 ALBINO GALVANO
FELICE CASORATI 1940 - XIX ULRICO HOEPLI
. MILANO EDITORE Felice Casorati, Ulrico
Hoepli, Milano 1940. ficare nell'opera del medesimo una tendenza
interna e personalissima alla corrente novecentista. Le
difficoltà nel rintracciare una linea condivisa per la sua arte era già
stata evidenziata da Giacomo Debenedetti (intellettuale torinese, come
Gobetti, “pre- stato” anche lui alla critica d’arte) con l'articolo
Casorati e la critica d'arte del 1933, nel quale sottolineava come
“L'arte di Casorati pare fatta apposta per isconcerta- re gli schemi che
la più ‘scientifica’ critica d'arte s'è data come sicuri oramai ed
incontrovertibili”,’° evi- denziando nelle conclusioni tutte le
contraddizioni di una generazione: “Linea, dunque, no: forma
plastica, no: colore, no: o quanto meno né la linea, né la forma,
né il colore intesi come schemi esclusivi ed esaurien- ti, nell'accezione
data dai critici, che di quegli schemi si sono fatti, non pure gli
interpreti, ma i banditori. E questa è l’involontaria polemica del
Casorati contro la critica d’arte”. Davanti a questo insieme
di opinioni e approc- ci differenti, Galvano si dimostra sin da subito
molto perplesso verso i suoi predecessori, affermando in maniera
categorica come “Ciò che è mancato più ad una critica concludente su
Casorati è appunto [...] una comprensiva ‘lettura’ delle sue pitture”,‘ e
sintetizzan- 45 G. DEBENEDETTI, Casorati e la
critica d'arte, in “L'Italia lettera- ria”, 15 gennaio 1933, p. 4.
46 Ibidem. 47 A.GALVANO, Felice Casorati, cit., p. 28.
do poi, nelle prime pagine della monografia, i termini di questa
fortuna critica — che è anche incomprensio- ne — sedimentata verso
l’artista, almeno fino alla metà degli anni Venti: Casorati
ha goduto di un momento di fortuna quando la sua pittura, forse proprio
perché meno urtante a prima vista di quella di altri pittori di
avanguardia, ebbe tutti i suffragi e specialmente a quelli della critica
che voleva essere alla pagina, ma salvando il rispetto per la
tradi- zione [...] Erano i tempi in cui la pittura del novecento
appariva come uno sforzo neoclassico in polemica con l’arte futurista da
una parte, con l’aneddotismo elegante dall'altra, [...] la pittura di
Casorati [...] ebbe una sua funzione in Italia per liberare il medio
pubblico dagli en- tusiasmi per Grosso, per Sartorio, per Dall’Oca
Bianca.* Rispetto ai precedenti studi la posizione di Gal-
vano è fin da subito ben chiara: risiede nell'approccio preferenziale con
cui affronta l’opera di Casorati, total- mente inedito sino a quel
momento, che viene ribadito in più punti della monografia. In
apertura del volume il critico-pittore sottolinea come la sua analisi non
si circoscriva a una rilettura analitica e distaccata della produzione
casoratiana, ma si sviluppi attraverso una consapevolezza fondata
sul ricordo della propria formazione: “Casorati pittore — scrive
richiamandosi ai suoi rapporti col maestro — è stato per molti della mia
generazione una esperienza di importanza capitale in ordine alla
formazione del gusto e all'orientamento di una cultura non soltanto
limitata a fatti di specie figurativa. La pratica di di- scepolato presso
di lui e la frequente consuetudine di Casorati uomo, hanno valso ad
alcuni di noi come un'esperienza fra le più profonde e decisive anche
per quanto riguarda la vita morale”! L'insegnamento di
Casorati, oltre a fornire una solida base di rudimenti pittorici insieme
agli stru- menti per uno sviluppo individuale delle personalità
artistiche, è la chiave — sempre secondo Galvano — per la comprensione
stessa dell’opera del maestro, chiarita metaforicamente in un passaggio
del testo: “Casorati è uno di quei pochissimi artisti che dopo il
rapimen- to delle muse non rimangono incoscienti di quanto in loro
è avvenuto; lo capiscono ed aiutano a capirlo agli altri”.°° Un concetto
che viene ribadito, in maniera ancora più chiara, verso la fine del suo
lungo contri- buto per Scheiwiller: “Non molti di noi [allievi]
hanno saputo da quelle parole imparare a dipingere decente- mente,
ma certo tutti a leggere i suoi quadri un poco meglio”. Con
queste premesse Galvano vuole dimostra- re come la vicinanza al maestro
gli permetta di avere 48 Ivi, p.7. 49 Ivi, p.d. 50
Ivi, p. 6. 51. Ivi, p.32. 32 una visione
privilegiata, lucida e fedele del suo lavoro, elevando la lettura delle
opere ad un’originalità vicina alle intenzioni del maestro, più di quanto
gli altri pos- sano avere. AI di là degli schieramenti e dei
tentativi di cate- gorizzazione che, a più riprese, hanno interessato il
la- voro di Casorati — tra assimilazione al gruppo novecen- tista,
ascendenza neoclassica 0, ancora, appartenenza alla poetica metafisica —,
Galvano sceglie il sostantivo “Platonismo” per riassumere gli esiti figurativi
ottenu- ti dall'artista a partire dagli anni Venti,"
un’indicazio- ne che gli permette di liberarsi da ingombranti
etichet- te sino a quel momento attribuite all'opera del pittore.
È un'affermazione di Casorati a suggerire a Gal- vano le basi per
un'interpretazione platonica delle sue opere: il critico recupera
esplicitamente una dichiara- zione del maestro che risale al 1921
espressa a margine di un catalogo della Galleria Pesaro, nella quale
chiari- sce le proprie intenzioni —quasi programmatiche — di
esercizio pittorico: “Dipingere la verità, dimenticando la realtà
superficiale” 5° Un concetto che viene succes- sivamente ribadito da
Casorati, spogliato delle sue im- plicazioni categoriche (rinnegate in un
secondo tempo dallo stesso pittore)? in una successiva
dichiarazione, fatta a dieci anni di distanza e riportata nel
catalogo della prima Quadriennale romana, con la quale l’ar- tista
sottolinea ancora una volta come il suo distacco dalla realtà dei
soggetti sia prerogativa fondante del suo lavoro: “la mia pittura è
staccata dalla vita”.> La posizione “platonica” di Galvano pone
il la- voro di Casorati in netto contrasto con la pittura degli
Impressionisti (che godono invece di una notevole for- tuna, verso gli
anni Trenta, a Torino), collocando il mo- vimento francese e il maestro
torinese su due fronti op- posti — sia da un punto di vista lirico che
tecnico —: un 52 sto di Casorati preferiremmo
ad ognuna quella di ‘Platonismo (Ivi, p. 6). 53 F. Casorati,
[Dichiarazione], in Arte italiana contemporanea, catalogo della mostra
(Milano, Galleria Pesaro, ottobre - novem- bre 1921), Alfieri &
Lacroix, Milano 1921; ora in In., Scritti intervi- ste lettere, cura di
E. Pontiggia, Abscondita, Milano 2004, p. 11. 54 “Scrissi allora
nel catalogo alcune parole per spiegazione del mio lavoro e quasi per
contrappormi all'arte di quel tempo: affermavo di voler dipingere la
verità, dimenticando la realtà apparente; di voler indulgere agli errori
che spesso sono la sola ragione dell’opera d’arte... Queste parole furono
definite un’ere- sia estetica; in fondo, però, esse volevano spiegare il
carattere di immobilità, di impassibilità dei contorni decisi di forma,
in con- trapposto al più o meno degenere impressionismo di
sfarfalleg- giamenti colorati, di indecisione ottica, di ricerca del
movimento nel vibrare continuo della luce” (F. CASORATI, in G. MascHERPa
[a cura di], Felice Casorati e il religioso, catalogo della mostra
[Milano, Galleria San Fedele, Milano, 1 marzo - 8 aprile 1983], Milano
1983, p. 12). 55 E. CASORATI, Presentazione, in Prima
quadriennale d'arte nazio- nale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo
delle esposizioni, gen- naio - giugno 1931), E. Pinci, Roma 1931; ora in
In., Scritti interviste lettere, cit., p. 23. “E infatti se
dovessimo trovare una parola per definire il gu- IN
rifiuto che è categorico e si muove sulla falsariga delle indicazioni già
enunciate dall'artista nella citata pre- sentazione del 1931: “non ho mai
capito il movimento ‘qui déplace les lignes’, e adoro invece le forme
statiche [...] la mia pittura nasce -per così dire- dall'interno e
mai trova origine dalla mutevole ‘impressione’ }° consi- derazioni che
vengono caricate di significati filosofici, anche in questo caso, da
Galvano: Al Protagorico impressionismo per cui misura di tutte
le cose è l'uomo individuale, si contrappone dunque il Pla- tonico
Casorati richiamandoci all'ordine di una pittura dove le cose appaiono
reali in quanto hanno la maneg- giabilità di ciò che dal flusso delle
sensazioni è ritagliato per opera dell'intelletto. Scodelle o uova, teste
o seni var- ranno come categoria.” Al “degenere
impressionismo” Casorati contrap- pone, secondo Galvano, “i suoi caratteri
di immobilità, di impassibilità, di contorni decisi, di ‘forma’”.*
Alle premesse teoriche fanno seguito le prime verifiche sulle opere
che, a differenza dei precedenti Studi, non seguono uno sviluppo
strettamente crono- logico ed organico della produzione casoratiana, ma
si Muovono più liberamente, procedendo secondo l’an- damento del
discorso. | Come nelle antecedenti occasioni di studio,
l’ini- z10 dell'attività pittorica viene fatta coincidere con le
Opere del 1909, che gli valgono le prime attenzioni da parte della
critica alla Biennale di Venezia ed alla mo- Stra degli Amatori e Cultori
di Roma. Le considerazio- ni che investono il dipinto Le vecchie (1909) e
La cugina (1909)? sottolineano nelle ricerche di Casorati “un sen-
so drammatico della vita teso in un’acuta analisi psico- logica in cui
non manca una punta di sensualità [...], Ma temperata in una specie di
serenità letteraria”’,9 Motivi che si pongono in continuità con le
formulazio- Ni espresse in precedenza sia da Gobetti che da Ventu-
Il, attenti entrambi a rilevare l’attenzione psicologica ed il senso
letterario di queste prime composizioni.‘ ._ Il salto a questo
punto si fa subito brusco: l’esclu- Silone di tutta la produzione degli
anni della guerra (che coincide con il suicidio del padre di Casorati e
con le nuove responsabilità di capofamiglia verso le due Sorelle e
la madre) è in linea con le volontà dell'artista, che sceglierà di non
conservare le opere di quel perio- do, contraddistinte da un simbolismo e
sintetismo de- Corativo piuttosto anomalo. 56
Ibidem. 957 A. Galvano, Felice Casorati, cit., p.7. 98 Ivi, p.
6. 59 (Bertolino, Poli 40, 50). 90 A. GALvaNnO, Felice
Casorati, cit., p. 9. 01 Cfr. P.Gosetti, Felice Casorati pittore,
cit., p. 93; L. VENTURI, Mostra individuale di Felice Casorati, in XIV
Esposizione Internazio- nale d'Arte della Città di Venezia, cit., p.
88. 33 Un passaggio su Le signorine (1912), che
“libe- ro questa volta da preoccupazioni di ordine realistico ed
orientato verso una completa subordinazione alla composizione”, permette
a Galvano di transitare di- rettamente su Tiro al bersaglio del 1919,
anticipando i problemi di annullamento della terza dimensione già
evidenti nel dipinto. Per Galvano Tiro al bersaglio rappresenta
un’opera cruciale, da cui parte tutta la produzione più celebrata
dell'artista, quella del periodo immediatamente suc- CESSIVO:
l’opera significativa ‘Tiro al bersaglio’ (1919) [...]. In essa il
colore e la linea collo scomparire di ogni ricerca della terza dimensione
assumono per la prima volta una organicità che è davvero il segno
dell’impostarsi nella pittura di Casorati dei problemi di cui anche oggi
essa si nutre. Ridotto il qua- dro, colla completa scomparsa delle
ricerche chiaroscurali e mancando ancora l'ulteriore ricerca spaziale, ad
un sem- plice tappeto di tinte piatte, si comprende facilmente come
linea e colore divengano funzione l'uno dell'altro, tendendo a uno stato
in cui la visione inquietante del pittore raggiun- ge uno dei più intensi
suoi momenti” Il dipinto, in realtà, aveva sino a quel
momento goduto di una fortuna alterna: tacciato di futurismo nella
prima presentazione pubblica del 1919, è per Gobetti un’opera dai
“rapporti formali [...] indecisi” ancora legata alla produzione dalla
prima metà degli anni Dieci, un lavoro insomma, che Casorati
realizza come “prova per testimoniare a se stesso la fine del suo
estetismo e la sua incapacità di fermarsi ormai all'episodio”. La
rivalutazione di Tiro al bersaglio, nei fatti trova, prima di Galvano, un
precedente mol- to prossimo all'uscita della monografia
Scheiwiller: nell'agosto del 1940 Italo Cremona (anch’egli vicino a
Casorati, pur non essendo mai stato allievo della sua scuola), in maniera
analoga a Galvano ragiona sull’im- portanza del colore e sul principio di
astrazione pre- sente nel dipinto, che anticipa le opere più compiute
e celebrate degli anni Venti: sottrarre le cose dai
variabili accidenti della luce per pe- netrare invece il colore secondo
un processo di intelli- gente astrazione. [...] In quella curiosa vetrina
di oggetti [...] vivono infatti quei bianchi spettrali, quei colori
—fin- ti-, che sovente ritroveremo nell'aria rarefatta dove re-
spirano le sue figure, anche quelle delle parate familiari che Casorati
ha sovente composto con sincera affettuosi- tà ma che appaiono pur sempre
affacciate a una ribalta, in uno scenario freddamente preordinato, sul
mondo dal quale l’artista le ha volontariamente allontanate.”
62 (Bertolino, Poli 71). (Bertolino, Poli
140). A. GALVANO, Felice Casorati, cit., pp. 10-11. 65 P.
GOBETTI, Felice Casorati pittore, cit., p. 96. Ibidem. I.
CREMONA, Felice Casorati, in “Primato. Lettere e arti d’Ita- La
rivalutazione del dipinto si pone verosimil- mente in linea con le
volontà dello stesso Casorati: l’o- pera, che dal 1919 trova collocazione
stabile nell’abita- zione dell'artista, è ripresentata nel 1929 ad una
mostra degli allievi e riprodotta per volere dello stesso mae- stro
come prima tavola nella monografia Scheiwiller.® Un interessamento che
viene letto da Galvano come un “Segno che una pittura senza volume ed una
pittura di colore sembra ancora a Casorati rivelatrice del senso
profondo della sua arte”. Le opere realizzate a partire dal 1921
aprono la di- scussione sulla funzione e l’importanza del colore
per Casorati, che viene ampiamente discussa nel testo e che
caratterizza da qui in poi tutta la monografia come lettura univoca del
decennio successivo. Accanto ad una premessa platonica, che si confronta
nuovamen- te con le opere Meriggio (1923), Lo studio (1923) e Con-
certo (1924), allontanandole da facili letture estetiche,” Galvano vede
in “quegli slarghi formali” di pittura un anticipo di “un’esperienza di
tono che sarà chiarissima intorno al 1931-32”.
Contrapponendosi alle interpretazioni — che vede- vano nella linea
e nella forma plastica le caratteristiche fondanti dell’opera di Casorati
— Galvano valuta la pit- tura del maestro come una pittura essenzialmente
di colore,” spingendosi a verificare le intenzioni dell’arti- sta e
giustificare la scelta di determinati soggetti e for- me piuttosto che
altre, proprio in funzione del colore: “Vi sono dei quadri di Casorati, e
talvolta proprio i più formali a prima vista, come ‘Daphne”? [...] che
non si afferrano in tutto il loro valore se non riferendoli al co-
lore. Casorati ama le forme semplici perché sono quelle che permettono al
colore di stendersi con la sua miglio- re ampiezza. È strano come questa
semplice verità sia stata tanto spesso fraintesa, non mancando del resto
di contribuirvi la stessa interpretazione che il pittore ha dato
della propria opera”. Una sensibilità tonale che porta il critico ad
accostare come esempio di ‘“straordi- lia”,
I, 11, 1 agosto 1940, p. 19. 68 ‘è quanto mai significativo a
questo proposito il fatto che il pittore abbia tenuto in tempi recenti
non lontani ad esporre, ad introduzione e quasi chiave di sue opere più
recenti, quel ‘Tiro a segno’ piatto e ritagliato fra tutti che volle
anche ad inizio di queste riproduzioni” (A. GALVANO, Felice Casorati,
cit., p. 24). 69 Ibidem. 70 “Il ‘nudo’ e gli analoghi
‘Concerto’, ‘Meriggio’, ‘Studio’, ci presentano un mondo che si presta ad
essere interpretato in modo equivoco, come estetistico, da chi non tenga
presente che per Ca- sorati quelle platoniche accolte di figure femminili
ignude, anche se esse presentano molta eleganza, non hanno veramente
valore per questa eleganza ma solo per lo snodarsi ritmico dei
volumi” (Ivi, p. 12). Cfr. (Bertolino, Poli 212, 215, 226).
71. A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 13. 72 “La forma
serve [...] a distruggere la linea ed a passare al colore: essa è, se si
vuole, il punto di partenza, ma è proprio il colore è il punto di arrivo”
(Ibidem). 73. (Bertolino, Poli 328). 74 A.GALVANO,
Felice Casorati, cit., pp. 13-14. 34
ARTE MODERNA ITALIANA | FELICE CASORATI II
ed. del volume Felice Casorati, Ulrico Hoepli, Milano 1947. nario
pre-casoratismo” l’opera di Jan Vermeer e di Ge- orges de La Tour
piuttosto che quella di Ingres, riferita dallo stesso pittore come
modello di riferimento alla propria pittura nel “Referendum sul quadro
storico” del 1929. A sostegno di questa sua tesi sul colore
Galvano recupera ancora una volta i ricordi dell’insegnamento del
maestro, affrontando questioni di metodo e di pra- tica pittorica vissuta
nello studio dell'artista, dove l’os- servazione dei modelli veniva
condotta non tanto sulla forma degli oggetti, ma sui valori tonali dei
medesimi: ci limiteremo a notare come quanto resti nel ricordo
di chi è stato alla scuola di Casorati verta essenzialmente su due
punti: l'insieme e il tono. E soprattutto l’insie- me come forma il più
sintetica possibile in funzione del tono. La forma intellettualistica di
un oggetto, proprio ciò che interessa di più al pittore formale o
classico, è ciò che Casorati consiglia all'allievo di disimparare, la
for- ma che l'allievo deve imparare a vedere il più semplice- mente
possibile è la forma di quella determinata massa tonale, di quella
determinata massa chiaroscurale, non la forma dell'oggetto.”
75 F. CASORATI, [Risposta al referendum sul quadro storico],
in “Le arti plastiche”, 16 dicembre 1929; ora in Ip., Scritti
interviste lettere, cit., p. 22. 76 A.GALVANO, Felice
Casorati, cit., p. 14. Analoghe impressioni sì ritrovano in L. RoMAnO, La
scuola di Casorati, in “L'Arte”, XXXIII, La discussione sul colore
offre a Galvano il punto di partenza per affrontare le influenze
cézanniane che, secondo una critica assodata ormai da tempo,
avrebbe- ro avuto un ruolo capitale nell'evoluzione del lessico
pittorico casoratiano, soprattutto per il genere della natura
morta.” È Venturi, nel 1923,” a offrire per primo quest'in-
terpretazione, individuando nell'esperienza diretta di Casorati alla
Biennale del 1920 (dove, su 28 dipinti di Cézanne presenti, erano ben
sette le nature morte) il passaggio di svolta tra Le uova sul tappeto
verde del 1914 e Le uova sul cassettone del 1920:”? “Le ‘uova’
[...] del 1913 sono un motivo di bianco su verde, le ‘uova’ del
1920 sono un motivo di forma geometrica solida e chiara sopra un volume
scuro”.8° Per Galvano, l'avvicinamento al maestro di Aix è da
intendersi come “esperienza più morale che pittorica”, nella quale
l'evoluzione delle sue natu- re morte rappresenta un processo interno
alla pittu- ra stessa piuttosto che il risultato di quest’incontro:
“[Uova sul cassettone] non si spiega con un riferimento al costruire
tonale del Provenzale nella sua essenza sti- listica” — puntualizza
Galvano - “ma solo col metterlo In relazione a quello che la pittura di
Casorati fu prima d'allora” 8 Secondo il critico, più che un precedente
sti- listico, la lezione di Cézanne offre la verifica di nuove
possibilità espressive; un punto di vista che trova con- ferma — più
tardi — nelle stesse dichiarazioni del pittore, che ripercorrono
l’incontro con i dipinti alla Biennale del 1920: Tutta la
grandezza del Maestro di Aix mi si manifestò im- provvisa. L'emozione che
ne provai fu enorme e non fu un'emozione di sbalordimento o di stupore,
che anzi mi sentii preso da quel senso di calma, di fermezza, di equi-
librio, che solo le opere dei grandi può dare. Equilibrio! Compresi che
nella sua pittura trovava il giusto equilibrio il problema posto e
sviluppato in un senso dell'Impressioni- smo e il grande opposto risolto
da tutta la tradizione; com- presi l'aberrazione di una certa critica che
non si staccava di insistere sui problemi di Cézanne: capii che proprio,
che Specialmente in quei difetti era il germe della sua grandez-
fasc. IV, luglio 1930, p. 380. 77.
Relativamente a questo genere si vedano P. Fossati, Nature morte di
Casorati, in M. M. LamBERTI (a cura di), Casorati. Mostra antologica,
catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 27 mar- ZO - 20 maggio
1990), Electa, Milano 1989, pp. 29-38; G. BERTOLINO, Dal repertorio di
oggetti alle prime nature morte (1910-1920), in ID., F. PoLI (a cura di),
La natura morta nella pittura di Felice Casorati, cata- logo della mostra
(Iseo [Brescia], Sale dell’ Arsenale, 24 maggio-20 luglio 1997), Electa,
Milano 1997, pp. 11-22. 78. L. VENTURI, Il pittore Felice Casorati,
in “Dedalo”, cit. 79 (Bertolino, Poli 114, 162); relativamente alle
opere si veda In particolare M. M. LAMBERTI, Scherzo: uova (o Le uova sul
tappeto verde) e Le uova sul cassettone, in In., P. Fossati, Felice
Casorati 1883- 1963, cit., pp. 62-64; 79-80. 80. L. VENTURI,
Il pittore Felice Casorati, in “Dedalo”, cit., p. 254 ù A. GALVANO,
Felice Casorati, cit., p. 33. Ivi, p. 16. 35
za. Compresi che Cézanne era il pittore della rinuncia e che
la rinuncia era la forza della pittura moderna. Non cambiai modo di
dipingere, ero troppo inconsciamente orgoglioso per tentare un
cambiamento di rotta che non avrei potu- to fare in alcun modo. Credetti
allora di approfittare della grande lezione di Cézanne proprio
irrigidendomi sulle mie posizioni e cercando solo in profondità.*
La monografia Scheiwiller, pensata per aggiorna- re la precedente
di Giolli, in realtà affronta solo margi- nalmente la più recente
produzione del maestro, soste- nendo per le opere più prossime la piena
attuazione del proposito coloristico în nuce già nei primi anni
Venti. Ai ricordi della Biennale del 1924, e soprattutto a
quella del 1928,* Galvano contrappone le opere espo- ste nei primi anni
Trenta: per La lezione (1929), Susanna (1929) e Lo straniero (1930) pone
l'accento su come pre- valgano in questi dipinti “certe note di rossi
improvvisi, il taglio in controluce, il gusto, almeno nei due primi,
di accostare il nudo ad una figura maschile vestita, un de- siderio
di atmosfera serena che suggerisce lontananze chiare e assolate” .8#
Motivi pittorici che, spogliati degli elementi accessori (come la
copertina del “Selvaggio” nella Lezione o, ancora, le pantofole rosse di
Susanna), trovano un'ulteriore compiutezza in Daphne (1934) e
Ragazza in collina” delle collezioni dei Musei Civici di Torino,
“soluzioni più aneddoticamente umane [...] dove il motivo del controluce
sulla finestra aperta so- stituisce figure familiari o umilmente umane ai
mani- chini, mentre il paesaggio si fa sereno [...] ricavato da
quei campi di Pavarolo ormai cari all’artista”.* Come già
sottolineato da Maria Mimita Lamberti, l'apporto di Galvano si dimostra
poi piuttosto illuminan- te nell'individuare nel tema del nudo una
possibile linea di lettura della sua produzione, sino a quel momento
tra- scurata rispetto al genere più discusso della natura morta.
83 Il passo è riportato in L. Caruccio, F. Casorati,
quaderni d'arte del Centro Culturale Olivetti, Ivrea, All'insegna del
pesce d'oro, Milano 1958, p. 22. 84 ‘Noi veniamo dall'esperienza
della generazione per cui i quadri del ‘24 rappresentarono lo scandalo
dell'adolescenza che ancora confondeva la classicità coll’accademismo e
che scorgeva in quei quadtri, visti alle esposizioni colla famiglia
deplorante o pronta al riso di fronte alle stranezze dell'arte moderna,
pur qual- che cosa di inquietante e di tentatore che non si poteva
dimenti- care [...] i quadri della biennale del ‘28 rappresentarono
invece la scoperta del mondo nuovo e spregiudicato che si apriva
alla nostra cultura” (A. GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 15).
85 (Bertolino, Poli, 366, 368, 396). Erroneamente Galvano attri-
buisce il titolo Lo studio al dipinto La lezione esposto alla Biennale
del 1930. L’opera verrà distrutta nell'incendio del Glaspalast di Monaco
del 1931. 86 A.GAlvano, Felice Casorati, cit., p. 22.
87 (Bertolino, Poli 531, 592). Galvano, in realtà, indica il secon-
do dipinto con il titolo Estate. Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, cit.
p.iz. 88 Ibidem. 89 M.M.LAMBERTI, I nudi nello studio,
in Ip. (a cura di), Casorati. Mostra antologica, cit., pp. 13-28
(13). Galvano vi riconosce una traccia di continuità
che, a partire dalle Signorine del 1912 (opera che, secondo il
critico, non è da intendersi come “gruppo” ma come insieme di figure
isolate), arriva sino alla Venere bionda del 1934, “punto di arrivo e di
dissoluzione di quello che si potrebbe chiamare il ‘tonalismo’ di
Casorati”:” secondo Galvano il motivo del nudo in Casorati si
presenta “come figura essenziale, come una forma ele- mentare,
categorica, simile a quelle delle scodelle, delle uova, dei libri”,
caratteristiche che, alla pari dei sem- plici oggetti che popolano i suoi
dipinti, permettono quegli “slarghi formali” di pittura, oltre alla
“possibi lità di un tono uniforme”? capaci di confermare la sua
sensibilità di colorista. III. A distanza di sette
anni dalla pubblicazione la monografia di Galvano su Casorati viene
ristampata,” aggiornata in alcune sue parti e rivista totalmente
per quanto concerne l'apparato iconografico. È il 1947. Tra
la prima uscita e la riedizione, l’interessamen- to che il discepolo
dimostra nei confronti del maestro è continuo e si attesta già
dall'inizio del 1941 con mo- dalità simili a quelle che avevano
contraddistinto il suo precedente impegno sulle riviste nazionali.
Vi si affiancano però nuove prospettive lavorative. Proprio
nel 1941, accanto alla sua attività di pittore e di critico (che in
questi anni, oltre alla corrispondenza per “Em- porium” e alla
collaborazione per “Il Selvaggio”, si amplia con due contributi sulla
rivista “Le Arti”) Gal- vano è impegnato nella nuova veste di assistente
alla cattedra di “Pittura” di Enrico Paulucci presso l’Acca- demia
Albertina di Torino, assegnata contestualmente anche a Felice Casorati
per l'insegnamento di “Com- posizione pittorica”. Incarichi che vengono
entrambi costituiti ad personam dal Ministero dell'Istruzione nel
contesto dei provvedimenti avviati da Bottai a favore delle Accademie
artistiche. Sono questi, inoltre, gli anni nei quali Galvano va
consolidando una sicurezza economica stabile — tanto auspicata negli anni
Trenta — grazie all'insegnamento nelle scuole superiori: prima come
professore di figura disegnata nei licei artistici piemontesi e poi, dal
1942, come docente di filosofia e storia nei licei classici e
scientifici. La mostra Casorati Menzio Paulucci, inaugurata
nel novembre del 1940 alla Galleria Cigala di Torino, è l’oc-
casione per tornare a parlare di Casorati sulle pagine di 90 A.
GaLvano, Felice Casorati, cit., p. 18; cfr. (Bertolino, Poli 501).
sa: «Ivi, p. 20. 92 Ibidem. 93 Ip, Felice
Casorati, Arte moderna italiana n. 5, Serie A - Pitto- ri - n. 4, Ulrico
Hoepli, Milano 1947. 94 Cfr. F. Darmasso, Casorati e l'Accademia
Albertina, in M. M. LAMBERTI, P. Fossati, Felice Casorati 1883-1963,
cit., pp. 199-205. 36 Copertina e pagine
del volume Tre nature morte. Casorati Menzio Pau- lucci, Carlo Accame,
Torino 1942. “Emporium”, presente in questa circostanza con
due pittori torinesi protagonisti della scena artistica citta- dina
(reduci entrambi dall'esperienza del gruppo dei “Sei” ), sicuramente
vicini a Casorati ma mai allievi di- retti del maestro: il quarantaduenne
Francesco Menzio e il più giovane (di poco) Enrico Paulucci, con il
quale Casorati ha intrapreso da tempo un rapporto di stretta
collaborazione.” Il sodalizio dei tre artisti, che non vuol essere
un principio di ricerca comune ma piuttosto un impegno di politica
culturale condivisa, si ripropone più tardi, in modo analogo, con una
mostra allestita alla Galleria Genova del capoluogo ligure nel febbraio
del 1942. La circostanza è anticipata da una pubblicazione autono-
ma di Galvano, intitolata Tre nature morte e stampata dalla tipografia
Accame di Torino (che pubblica, nello 95 A. Galvano,
Casorati, Menzio, Paulucci, in “Emporium”, XCI- II, 554, febbraio 1941,
pp. 93-95. Stesso anno, la monografia su Casorati di Italo
Cremo- na), in un elegante edizione in folio che riporta come
Sottotitolo i nomi dei tre pittori torinesi.’ In questa oc- casione — che
si propone di presentare sinteticamente tre opere dei rispettivi pittori,
con tanto di riprodu- zioni a colori — Galvano sceglie la natura morta
come genere esemplificativo della produzione degli stessi.
Un'operazione che nell’introduzione viene definita come “didattica”” e
che si pone in aperta polemica nei confronti della tendenza a considerare
questo genere come motivo poco adatto alla pittura moderna: “ad
Ogni esposizione abbiamo sentito deplorare l'eccessiva presenza di nature
morte o esaltare per il loro scom- parire di fronte ai quadri di figura”.
Una difesa per l'autonomia e dignità del genere pittorico, che non
si risparmia nel chiamare in campo i precedenti noti di Cézanne,
Manet ed ancora Renoir. La questione, in realtà, non è nuova, ma
prende le mosse da un pensiero espresso dal maestro quasi quindici
anni prima, che rappresenta verosimilmente il pretesto per il contributo
di Galvano, che mostra que- sto taglio così inaspettato. Sulle pagine del
quotidiano torinese “La Stampa”, Casorati lamentava nell’artico- lo
La crisi delle arti figurative i medesimi problemi di accettazione della
natura morta da parte di pubblico € critica, con presupposti che
sembravano essere gli stessi avanzati ora da Galvano nella sua
introduzione: Ho sentito dire ed ho letto purtroppo parecchie
volte questa frase: troppe nature morte, troppe mele, troppi
aranci, troppi pomodori ecc. [...] poveri oggetti, [...] vo1 siete i
modelli più docili e più esigenti degli artisti [...] Nei momenti più
disperati della mia vita di arti- Sta, io ho potuto riconciliarmi con la
pittura dipingen- do umilmente una scodella, un uovo, una pera”.?
. La scelta della natura morta casoratiana — vero- sImilmente
selezionata da Galvano — ricade su Le pere verdi del 1941,!% presentata
probabilmente per la prima volta in questa sede: un’opera che gli
permette di riba- dire il principio coloristico sostenuto nella monografia
del ‘40, che viene qui chiarito con un'attenta analisi
96 Ip., Tre nature morte. Casorati Menzio Paulucci, Carlo
Accame, Torino, 1942. 97 “La presentazione di ‘Nature morte’,
dovute a tre fra i più autentici pittori operanti oggi a Torino, potrà
anche apparire, ed essere criticata, come una iniziativa a carattere
tendenzioso e po- lemico. Non sarà forse il caso di affermare che essa ha
piuttosto un intento didattico? E proprio di educazione del pubblico:
degli intelligenti (almeno in potenza, chè degli ostinati per
limitazione Naturale di possibilità, per passione di parte o per
difficoltà di Sclogliersi da presupposti culturali privi di validità non
occorre Hr a comprendere le ragioni per cui, su di una falsa impo-
azione di presupposti, può passare per atteggiamento polemico 9, peggio,
di conventicola, il semplice intento di chiarificazione Intellettuale e
critica” (Ivi, p.n.n.). 8 Ivi, p.nn. "i F CASORATI, La crisi
delle arti figurative, in “La Stampa”, 29 ra raio 1928; ora in Ip.,
Scritti interviste lettere, cit., pp. 19-20. (Bertolino, Poli 682).
CY della sua pittura (non priva di tecnicismi del
mestie- re), che si concentra sui valori tonali e sugli accordi
cromatici presenti nel dipinto, che sottendono sempre — secondo Galvano —
a problemi ed equilibri di natura compositiva: Sul fondo
rosa e paglia un accordo di due verdi: crudo e spento, e le chiazze
rugginose e calde della putredine che intacca i frutti; solo dal colore
prende realtà il fascino di questa natura morta, eppure il colore qui non
evocherà a nessuno la categoria della ‘forma aperta’ o la scioltezza
di un pittoricismo abbandonato: chè Casorati è anche ora il pittore
delle forme assolute e degli elementari geometrici, ma il colore ne
rivela, per distinguersi dei campi continui e dilatati, la purezza, anzi
il purismo, di impaginazione e ce ne propone la più castigata
presenza. [...] i colori si subordinano ad una ragione
compositiva a priori [...] in essa si giustifica quel disporsi graduale
di intensità pittorica che può far apparire persino sordo (e tale
veramente sarebbe se non servisse a concentrare ogni attenzione
sull’interno ordinarsi del gruppo centrale, ma pretendesse di disporsi
sul medesimo piano di ‘bel colo- re’ dei toni vicini) il colore locale;
necessario a staccare nel castigato e serrato gioco compositivo della
frutta ritagliati sul fondo chiaro, dove più i toni non si distinguono
nella vibrante luminosità, la bruciata profilatura delle foglie.!®!
Di respiro ben diverso, invece, è il contributo Fe- lice Casorati
(e i torinesi) apparso un anno più tardi, nel 1943, sulla rivista
“Pattuglia” di Forlì.!® Nel numero di maggio-giugno, dedicato interamente
alle arti figura- tive e curato da Giovanni Testori, Galvano traccia
un bilancio della situazione artistica torinese: accanto a
considerazioni su Casorati in linea con la monografia Hoepli del 1940,
abbandona i ricordi della scuola di via Galliari proponendo una lettura
totalmente rinnovata, alla luce dei più recenti sviluppi espositivi.
Menzio e Paulucci rappresentano qui (insieme agli altri “Sei”, che
però non vengono nominati) i “giovani pittori che si erano stretti
intorno a Casorati” e che, seppur non direttamente allievi dell'artista,
non “rinnegavano il debito contratto col primo ideale maestro, né erano
da lui sconfessati: anzi la stima, l'amicizia e la valutazione dei
diversi ed ugualmente validi risultati, da parte del più anziano
rimanevano intatti od accresciuti”."° Una A.GALVANO, Tre nature morte.
Casorati Menzio Paulucci, cit., p. n.n. 102 In.,
Felice Casorati (e i torinesi), in “Pattuglia”, 7-8, maggio- giugno 1943,
pp. 15-16. La rivista, mensile del Guf di Forlì, viene inaugurata nel
1941 e riporta nel sottotitolo la dicitura “Mensile di politica, arti e
lettere”. L'articolo di Galvano viene pubblicato nell'ultimo numero della
rivista, curato Giovanni Testori e in- titolato “Omaggio alla pittura”,
che si proponeva di fornire un bilancio dell’arte italiana del ‘900. La
rivista viene interrotta e se- questrata da Mussolini per i suoi
contenuti non in linea con le direttive -in campo figurativo- imposte dal
regime. 103 Ivi, p. 16. 07 ee (E I
TORINESI) E condizioni che determinarono a To- ‘20: sei anni dopo
l'altra polemica fra rino l'orientarsi della pittura degna L. Venturi, a
proposito del di quest'ultimo, di eu- proposito
del valore positivo tentici pittori. Condizioni in cui la eri. tivo delle
influenze parigine sull'arte tica ai pose di per se stessa come po-
—ita'iana non ebbe significato diverso. Ora lemica: © in cui da polemica
fu l'one- —P. Gobetti e L. Venturi furono appunto stà stessa della
critica. La guerra del tra | primi ad esaltare l'opera di Ca 14-18 era
terminata. Lo stile «libe- sorati. A dispetto danque delle av ty » in
architettura, il neo-pre-ralfuel- versioni del borghese e delle ammira
lismo tipo «In arte libertas» da cui zioni dell'aggiornato, che esalta
insie pure avevano mosso î primi passi pit- e Carrà 0 © Casorati,
l'e tori validi come Modigliani e Spadini figurativa di quest uveva
esaurita ogni pretesa alla forma- —srebbe un significato diverso, e in
certo zione di una coscienza figurativa nella senso opposto, n quello in
cui si è banalità di un'acquiescenza in cui i svolta la comune esperienza
della più fermenti di possibilità che più tard' vi viva pittura italiana?
In parte si deve scoprirà l'accorto senso del « perver- rispondere
affermativamente pEr eg sai 16 gin lettuale per quello
Hgurativo sano ogni evasione dal fatto pittorico, E che sioo al 1928 la
pittura di Casorati quanto per queste esperienze avveniva —anche nelle
punte di estrema avanguar- ordine a le possibilità della linea cur- —.ija
come in certi distrutti. di- me di questo è quel complesso frea- —pinti,
n quanto si dice. sotto l'influenza F. Casorati: “Ragazza,. (1937) diano
avveniva, in modo anche più vol- —gel gusto di Kandiski, cerca i proprii
gare è fatuo, mancati Sant'Elia e Boocio riferimenti non in un mondo mediterra-
: ma in uno nordico {quasi a fedeltà i H È
È; i figurativo di Martino Span- Torino poi: Thover
seguitava a eredere viti e di Defendente Ferrari che guard Memet o
di Bestlovea, a confeadero assai più che quello, volto verso il
l'eleganza lineare di Modigliani con di Gaudenzio), non in
un'umanità l'imperizia del bambino (e se mai si assertrice di
proporzionata statura mul sarebbe dovuto rimproverargli un'ele- rondo det
orizzonte, ma nel panza sin troppo vicina » preoccupazio- tormento di
sentirai oppressa da È ni ostetistiche e contenutistiche simili amine
mirror quelle che limitavano fl eritico) inau- ciò di dramma per la
propria persona, guraodo quella tradizione di contenu- in quanto finita,
Il sottile Tinguaggio tismo ad oltranza e di cauto e garbato, formale, la
ricerca d'equilibrio compo- ma fondamentalmente deciso, « fin de sitivo,
l'astratto rigore della sintesi po- non recevoie » mel riguardi di una
vi- Loveno sì! suggerire, insieme @ certo conda pittoricamente valide a
cui si at- codenze illustrative (i libri aperti, i tiene con
un'ostinazione che ha per io csrtigli) o agli accorgimenti ‘tecnici, meno
2 merito della consequenzialità come l'uso della tempera verniciata, ri-
quel poco di csi valga la pena di (91 —rorimenti al quattrocento, mostro.
sn menzione della critica d'arte del quo- non poteva sfuggire ad
‘una tidiani oggi ancora a Torino. più accorta l'assoluta continuità
spi- Un panorama, come si vede, sostan- rituale che legava il mondo
d'allusioni rialmente simile a quello del resto crepuscolari è le
eleganze cstotizzanti d'Italia, in cui tuttavia, in quegli delle «
Vecchie» o delle « Signorine» anni dell'immediato dopoguerra, Tori.
attraverso 1 paradossi pseudoformali ba ipo ipa delle « Scodelle » è
delle « Uova » nella maniera particolare e gerto senso, doppia redazione,
a tappeto ed s vo- fispetto al resto d'Italia, polemica, su tume. a
questo muovo mondo di non di un doppio piano, intellettuale e figu:
—1meno quintessenziate definizioni umane Rene a pi o spaziali, anche se nel
silenzio di IO) essere esemplificata PO quelle quinte prospettiche ora
quei pro- sizioni reciproche de «La Ronda fili proponessero le loro
cadenze non di « Rivoluzione Liberale ». Cinscuno più per la via
analitica dei compisci vede quanto diversi gli orientamenti menti
particoleristici, ma per quella umani e culturali. Ma è tipico che pro?
—delle sintesi ellittiche. prio fra Cardareti un'occe. Eppure una così
diversa afferma- sione polemica, sul Leopardi, portò a zione in ordine a
scoperte pittoriche, una discussione do andava ben una tanto dialettica
decisione nel de- oltre i termini della cortesia. Siamo nel finire il
proprio mondo indipendente. F. Casorati: “ Bambina. (1932) Felice
Casorati (e i torinesi), "Pattuglia", 7-8 maggio-giugno 1943.
lettura della scena artistica cittadina che esclude total- mente i
primi discepoli dell'artista — che continuano nel frattempo a dipingere
ed esporre, non solo a Torino — preferendo invece soffermarsi poi sulle
“anomalie” figurative (intese rispetto al tracciato casoratiano)
pro- poste da Luigi Spazzapan e Italo Cremona. Il rapporto
tra allievo e maestro, che è innanzi- tutto di amicizia, rimane solido
negli anni a seguire, nonostante le scelte di Galvano si avviino, nel
frattem- po, verso un fronte non figurativo della pittura, che lo
vedono abbracciare l’astrazione ed aderire nel 1950 al Mac (Movimento
Arte Concreta), fondando insieme ad Annibale Biglione, Paola Levi
Montalcini, Adriano Parisot, Carol Rama e Filippo Scroppo la sezione tori-
nese del gruppo. Accanto alla sua attività di critico militante,
più orientata verso le verifiche nel frattempo ottenute con-
testualmente in pittura, tornerà solo raramente ad inte- ressarsi di
Casorati, soprattutto in occasione di letture complessive e bilanci di
un'epoca, che sembra ormai essere lontana nel tempo.!%
104 Cfr. A. Galvano, Felice Casorati, in S. CAIROLA (a cura
di), Arte italiana del nostro tempo, Istituto Italiano d’Arti
Grafiche, Bergamo 1946, pp. 18-20; In., La pittura a Torino dal '45 a
oggi, in “Letteratura. Rivista di lettere e di arte contemporanea”,
43-45, gennaio-giugno 1960, pp. 55-76; ora in Ip., La pittura, lo spirito
e 38 mente da ricerche solo per certi riguar- questi
sforzi di giovani della cultura mona, Anch'egli amico di Casorati: ma pre
riuscito a cogliere il momento di di parallele, grazie
all'autenticità della universitaria e in tutt'altra la lezione che ne ha
appreso. spontanen concretezza pittorica. Senza realizzazione figurativa
è della schiet ritorno! Un rigore, un'incisività, un'analitica nì- che del
resto questo gli abbia impedito tezza di linguaggio fantastico da essa
Nacque così il gruppo dei «Sei»: —tidenza di segno, una predilizione per
quell'accorta coscienza teorica della po- presupposia, s'inseriva nel
dialogo della —Menzio, Chessa, Levi, Paolucci, Galanta —quei profili nettissimi
che gli permettono sizione di gusto in cui il suo mondo fi- italiana di
quegli anni con una © Jessie Boswell.,Fntro e fuari le vi- di dare evidenza
allucinante di inganno gurativo sì determina e del rapporti di validità
di proporzioni che tuttavia man. —cende del gruppo, Francesco Menzio isivo alla
riproduzione dei i og- esso col movimento «surrealista», (di tiene
integro il valore dell'esperienza risultò allora e tale si mantiene, come i:
distribuiti poi questi in un ardine cui, per una curiosa ‘e significativa
» a della la personalità più dotata che fosse ap- di fantasia di rara coerenza
suggest vicenda gli interessi destati a Torino memoria 0 più rigorosa-
parsa, da Casorati in qua, fra i pit- rispondere a furono proprio nella cerchia
dei col monte impegnata in un bilanelo della tori torinesi. Un mondo di
compiaci- più profondamente che gene- laboratori dell'originariamente
pittura. Tutti da « Fanciullo ad- —menti delicati, di edonismo controllato
—rano l'inquietante mondo delle ansocia» sano» Seleaggio, per brev'ora
torinese dormentato » del "21, allo « Studio » del —© schivo,
sceglie usa sun umanità d'ele- i oniriche e dei senza si ppunto, sino alle
recenti realizzazioni 122, al « Concerto » del ‘24. ne henno zione in
volti di giovani donne 0 di gnilicato, dei soprasensi di cui non si
itettoniche, nella sede della società nti i risultati più vivi. Poi el si
bambini. Da questo punto di partenza —dà lettura , ma « cl Ippica di Carlo
Mollino) che tatti 1 suoli hnocorse che i valori di tono e di ero appena
le due esperienze opposte, ma frata» per via di quegli emblemi pit- lettori
conoscono, ma erano pur utilizzabili în assai più —concordanti nella
dissoluzione di ogni e- —torici in cui però Cremona è quasi sem- ALBINO
GALVANO concreto discorso di quanto non si lamento estrinsecamente
contenutistico, facesse dagli epigoni del peggior otto- del rigoriamo
formale casoratiano in- cento. Si affermò che i Macchiaioli tu- torno al
‘23, e del fervore cromatico de rono fra gli artisti autentici della no-
gli impressionisti intorno al ‘29 per- === stra tradizione; si riconobbe
che un ar- —misero a Menzio di scontare in puro tista ostile o almeno appartato
di fron- sollecitazioni pittoriche quei dati del te a ricerche futuriste,
metafisiche © sentimento, si defini una visione tanto neoclassiche era un
grande pit- personale quanto coerente dove la mu i si riscopri l'im-
sicalità del colore e la freschezza del pressionismo. Îl necclassiciamo,
nel È È «po vecento »
milanese, che qualcuno git si che delicati non impedirono, anzi fa-
definiva nooromantico, sì innestava, con vorirono lo spiegarsi di una
confes- Tosi, in una tradizione di pittura a- —sione umana piena di
melanconica no- perta. Soffici non più cubista predicava —biltà nel
reiterato e come ansiosamento ed esemplificava un ritorno alla natura
interrogato indagare intorno alla con- in cui l'esperienza di Cézaane non
eselu- sistenza pittorica di quelle persone di deva quella di Fattori: a
Torino, do- drumma, così sottilmente lirico e di ve già ‘intorno a
Casorati una scuola cosi pausate parole, che si muovona tendeva a ridurre
a grammatica il sua nelle composizioni famigliari di Menzio.
figurativo, attraverso l’inse- Tanto Casorati che Menzio del resto
guamento universitario, Îl mecenatiamo —qutt'altro che paghi o chiusi
nell'au di un collezionista, i più rapidi con- tosoddisfazione: anzi
entrambi sempre tatti con Parigi, rapporti col gruppo sofferenti dei
limiti 0 della milanese di Persico anch'esso partito —contiagenti
stanchezze che potessero cc- in battaglia contro il neoclassicismo,
appannare il gelido speo- la lezione degli impressionisti fu at- chio di
formalismi eidetici del primo, tinta direttamente ai grandi modelli:
© Manet, Renoir, Cézanne, in un preciso pida dell'altro. inquietudine che
ci spie senso importante due notevoli carollari). ga il piegare verso più
riscntite ao Enrico Paolacei: * Piazza Navona .. l'affermazione che
Cèzanne non meno nitide pro- veva reagito all'impressioniamo, ma lo
filature lineari di Casorati dopo il ‘30, veva continuato e che perciò la
tradi- —come le | ritorni, e, meno zione più viva di movimento an- , da
monotonia le ripetizioni dava proprio cercata in quel discorso —1delle
cose meno valide di Menzio. ln rapido ed atmosferico si, ma tutt'al. modo
assai diverso, ina con accanita tro che occasionale e vedutistico che era
commovente dedizione ad un'ideale stato proprio dei pittori che abbiamo
di pura pittura che escludesse tanto citato piuttosto che dei Monet, dei
Pis- ogni intrusione intellettualistica quento surro, del Sisley.
Secondo: che quel- ‘ ogni dispersione decorativa Enrico Pao l'adesione
all'impressionisno non po. Iucci è venuto sempre più approfon teva che
importare, da una parte, con- dendo una visione grata © improvvisa,
Van Gogh al più libero «fsuvinmo », rivivere il gusto degli
impros- che-dn qualche modo e sia pure unilate; sionisti, proprio di
questa fase della ralmente, il linguaggio di Cizanne ave- pittura
torinese, possono essere riat- ivano continuato, Gli strilli dei varii
taccati, in senso diverto, Piero Mar- Ojetti per i «salti in lunghezza da
tina, temperamento delicato di colorista Giorgione n Braque »
naturalmente non eu cui è stata decisiva l'influenza di si contarono! Ma
intanto quello che te nf gie gi importava fu che la esemplificazione
cento personale una trepida, © vitale dei frutti di quest'esperienza cul-
come smorzata, elaborazione di ogni da- turale fosse data proprio da quei
gio- to tonale degli oggetti, e Luigi Spazza- vani pittori che sì erano
stretti intorno pan la cui origine è le cui esperienze è Casorati, pur
non più così ragazzi istriano diedero ad una veramente pro da diventar
suoi allievi nel senso sco- digiosa capacità di trasfigurare |pit-
lastico della parola, © che ora nell'inì- —1toricamente, attraverso la rapidità
della ziare un lavoro diversamente orientato, —acchia e del segno, ogni
dato ogget- e vano il debito contratto col tivo una truculenza
cspressionistica re- primo ideale macatro, nè erano da Jui =—mota dal
raccoglimento degli altri to- sconfessati: anzi la stima, l'amicizia
rincsi e dalla pacata visione dell'im- © la valutazione dei diveral ed
ugual. =—pressioniamo. È di questo suo pecu- mente validi risultati, da
parte del —liare atteggiamento ci restano molti mo- più anziano
rimanevano intatti od ec- menti d'espressione mirabile, speci
cootrapporre ai della mano facile è dell'illustra <
incomprensioni fra chi incegue un me- tone occasionale. desio sforzo
d'arte, ala pur attra- Opposta invece, per intento e per ri verso
divergenti esperionze di gusto. È all'impressionismo l'esperienza
i sultato, altrettanto si può dire dell'attenzione a —Dittorica
inieressantiesima di Italo Cre- Francesco Menzio: ‘ Ritratto ,,
Nel 1963, alla scomparsa del pittore, Galvano traccerà un ricordo del
maestro, a margine del catalo- go della 14° mostra d'arte contemporanea di
Torre Pelli- ce. Non più il colore o il tono, ma quei valori umani
e di rispetto per le diversità appresi durante gli anni di via Galliari
animeranno, in conclusione, questo suo “omaggio” di discepolo: “poiché fu
anche la coscienza di questa libertà, prima ancora morale che estetica,
che da Felice Casorati alcuni di noi ricevettero come l’inse-
gnamento più prezioso, ci è caro chiudere col richiamo ad esso questo
saluto al Maestro. Chè le sue opere par- lano, per il rimanente, senza
bisogno di commento”!°. il sangue, a cura di G. Mantovani, Il
Quadrante Edizioni, Torino 1988. 105 A. GaLvano, Omaggio a
Felice Casorati, in 14° mostra d'arte con- temporanea, catalogo della
mostra (Torre Pellice, Collegio Valdese, 3 - 28 agosto 1963), Tipografia
Subalpina, Torre Pellice 1963. Gli occhi fervidi e il sapore di
cenere Albino Galvano: Decadentismo, Simbolismo, Art Nouveau
Adriano Olivieri Approssimarsi all'opera letteraria di un
uomo di cospicua cultura quale fu Albino Galvano, significa
penetrare in una eletta densità speculativa sorpren- dente se commisurata
a un intellettuale defilato in vita e ricorrente oggi nella ferma e
attenta riflessione di pochi storici. Come ebbe a dichiarare Galvano
stesso In una autopresentazione del 1980, non gli si perdonò
l'ambiguità di essere scrittore e pittore aggravata dalle stigmate
dell’intellettuale, categoria in cui finì suo malgrado per giovanile
quanto vocazionale passione per la cultura. Proprio nell’ambiguità, nel
marcare un confine ideologico sottile, ordinandosi orgogliosamen-
te in disparte insieme alla generazione degli eclettici Cremona, Mollino
e Maccari, ci pare che Galvano trovi un eccentrico terreno di
appartenenza sul quale edificare una propria filosofia personale
sistematica- mente relata all’erudizione antropologica, filosofica,
religiosa e pedagogica. Formazione altresì integrata agli interessi
misteriosofici - Galvano stesso ebbe a definire le proprie opere
“evocazioni esoteriche” — vagamente connessi alla cultura torinese
d’inizio secolo e, in modo maggiormente probante, con lo Studio di
Casorati in via Galliari dove conobbe Daphne Maugham che, dopo avere
respirato l’aria mistica della parigina Académie Ranson, si era
trasferita a Torino dove la sorella Cynthia con Cesarina Gurgo
Salice, Bella e Raja Markman si dilettavano già, oltre che di
danza, di teosofia. Redattore e pubblicista prolifico, Galvano — che
inizia allora ad interessarsi a Rudolf Steiner e Madame Blavatsky — batté
gli argomenti indigesti alla cultura del suo tempo facendo di sé un
Intellettuale atipico che, come ricordava Sanguineti, ISpirò idee
ereticali nei propri allievi. Autore di pochi libri, che punteggiarono
una carriera meno prodiga di quella del compagno di studi liceali Argan,
nel 1932 conobbe Lionello Venturi che lo accolse come collaboratore
de “L'Arte” facendogli inoltre pubblicare alcuni studi sulle civiltà
extraeuropee?. L'equivocità tra critica militante e pratica
pittorica fu un banco di prova sul quale verificare, tra continui
rilanci e azzardi, la reciproca tenuta delle parti. In questo assiduo
riversarsi delle specificità discipli- nari consiste per Galvano il senso
estremo della sua Pittura, votata alla vanità dell'atto privato,
smagata da Ogni velleità economica e promozionale ma cro- S!uolo
rovente dal quale estrarre i concentrati succhi di un'urgenza
creativa. L'incessante ritorno all'arte . ni n GALVANO, La pittura a
Torino dal ‘45 a oggi, in “Letteratura”, I, “n 0, p. 99-76. Poi in: “La pittura,
lo spirito e il sangue”, P.MAN- ia la cura di), Il Quadrante Edizioni,
Torino, 1988, p. 155. Poi R i ALVANO, Diagnosi del moderno. Scritti
scelti 1934-1985”, A. UFFINO (a cura di), Nino Aragno Editore, Torino,
2018, p. 393. | L'arte egiziana antica, Firenze, 1938; L'arte
dell'Asia occidentale centrale, Firenze, 1939; L'arte dell'Asia
orientale, Firenze, 1939. 39 è,
Al Liceo Gioberti di Torino, 1961-62. dA EdO
a ad. come artificio, come fare in sé autosufficiente, fu
per Galvano un difettivo rimedio all’insanabile scissura della
natura umana divisa tra spirito e materia, tra razionalità e intuizione,
e un’imperfetta occasione di confronto tra individui sul piano
partecipabile ed empirico dell'immagine che, pur sempre aderente
alla condizione fabrile, trova la propria natura più autentica
nell'essere essa stessa divisa tra creazione e imitazione. L'attività
poietica, l'agire sulla materia intesa sui presupposti estetici gettati
da Alain (pen- satore scomunicato da Croce), sottrae il discorso di
Galvano dall’osservanza teoretica idealistica come dall'impegno etico
esistenzialista e, abrogando di fatto la condanna platonica dell’arte,
accetta il va- lore estetico come simbolo del “male”. L'arte trova
allora la propria eretica ragion d'essere nella forma materiata, così
come l’idolo o il feticcio sarebbero la divinità in presenza e non
l’ipostasi divina. Per questo la pittura per Galvano rappresenta
enigmaticamente il “dio visto di spalle”. Quando Mosè chiese al Signo-
re di mostrargli la sua Gloria il Signore gli rispose: «Farò passare
davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome” [...].
Soggiunse: “Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun
uomo può vedermi e restare vivo [...]. Tu starai sopra la rupe: quando
passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò
con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie
spalle, ma il mio volto non lo si può vedere”». L'espediente divino
narrato nell’Esodo biblico?, fatto laicamente 3 i La
Sacra Bibbia, cap. 33, vers. 19 e segg. Cesare
Saccaggi, Alma Natura, Ave!, pastello su carta applicata su tela, 68x125 cm.,
1898, GAM Torino. reagire con esperienze disposte alle
“proiezioni”, tra cui l’idea del dio pagano che non tace non parla
ma accenna, sarebbe da intendersi per Galvano — che si era laureato
presso la facoltà di magistero di Torino discutendo con Gambaro e
Abbagnano una tesi su “La pedagogia della religione” — come metafora
dell'immagine (il “dio visto di spalle” appunto), quale unica possibilità
mondana di riconquistare l’unità primigenia dell’uomo. L'azione
esercitata dall'artista nelle condizioni oggettive della materia è, più
di una tecnica operativa, un’alchimia - ai filosofi Galvano preferisce
Jean Baptiste van Helmont e Cesare Della Riviera — che permette il
verificarsi di un'unione tra l'esperienza concreta bloccata nell'immagine
e l’'epifania del dio inteso non in senso devozionale. Sì tratta in
sostanza dell’allontanamento dall'idea crociana di un'arte che
esisterebbe autenticamente solo nell’intuizione e non nella funzione
estrinsecante della materia. L'arte sfugge così al concetto di rap-
presentazione candidandosi come opportunità che contemporaneamente apre
allo sguardo rinserrandosi nell’enigma, nella manifestazione del
trascendente. Galvano percorrerà incessantemente questa terra di
frontiera: come filosofo, come storico, come pittore. Prodromo del
percorso pittorico fu l’alunnato presso Felice Casorati, scelto peril
linguaggio sufficien- temente decantato, sintetizzato e affrancato dal
dato naturalistico per mezzo di un'operazione intellettuale capace
di conferire un ordine platonico agli oggetti dispensati dalla polverizzazione
cromatica impressionistica. Una lezione estetica essenziale quanto
l’austero contesto della scuola. Esemplarità che si concretizza
inunalto profilo morale e umano che Galvano ritiene in dissolvimento
nell'arte moderna con la quale si conclude un ciclo plurisecolare aprendosene
un altro, tumultuoso nel bene ma anche nel male, dal quale si sentì
definitivamente estraneo dall'inizio degli anni Sessanta. Il mondo del
secondo dopoguerra sarebbe affetto da una crisi di moralità alla quale
potrebbe unicamente fare fronte una presa di responsabilità
politica, artistica, religiosa, speculativamente limpida ed esente da
posizioni compromissorie e accomodanti come quelle sostenute dagli
artisti che vogliono salvare i valori della tradizione pur dichiarandosi
moderni. L'intera modernità e l’idea stessa di progresso tecnico
aGalvanorisultano ree di edificare, intorno a un fulcro di ragioni
economiche (Marx) e sessuali (Freud), un presente depauperato
dall’opportunità della variazio- ne imprevista. A una totalità di
costruzione legata alla forma, tipica del Medioevo, si avvicenda
insomma una totalità d'impiego legata allo scopo, decisamente
avvilente come comproverebbe per inverso il moder- no carattere
apologetico della narrazione tecnica e scientifica. Giudizio estendibile
al fatto estetico per cui all'arte come atto fabrile, tipico del
Medioevo, si avvicenda l’arte come atto intellettuale, peculiare
del Rinascimento e dei secoli successivi fino al XVIII. Seguirà il
periodo reazionario e tradizionalista del Romanticismo, caratterizzato
dal recupero program- matico degli archetipi (Jung) medievali ma
rivissuti Per un'armatura, Edizioni Lattes, Torino, 1960.
Senza il contesto sociale entro il quale quegli ideali Sl erano
formati. La spontaneità medievale diviene nel Romanticismo programma
culturale e come tale sarà ereditata dal Decadentismo e dal
Simbolismo, il Soggettivismo dei quali impronterà di sé l'Espres-
Slonismo. Le avanguardie appaiono dominate dalla pulsione oppositiva alla
tradizione elevando a sistema l'efficienza produttiva di un “nuovo”
codificato come autoreferenziale, programmatico e inintelligibile
ma ‘ncapace di emanciparsi dal dato naturale nonostante esaurirsi
dell'esperienza storica dell’arte illusiva. Gli €pigoni dell’astrazione
storica, i concretisti, sarebbero Invece esonerati da questa soggezione
insieme alle Tetoriche idealistiche riuscendo, in piena
ricostruzione etica e umana, a calarsi completamente nel dato resi-
duale figurativo, ossia all'evidenza del fatto pittorico. Fu l’esperienza
che Galvano intraprese dal 1948 al 1953, con l'adesione alla branca
torinese del MAC, €sauritasi per lui nella spontanea affermazione
delle forme curvilinee tipiche del Liberty su quelle rette e
Spigolose dell’astrazione concretistica. In una sorta di personale
contropartita agli inte- lessi spiritualistici e antropologici, Galvano
pensa a Artemis Efesia, Edizioni Adelphi, Milano, 1966.
un'arte come luogo del verificarsi del mito capace di portare a
definitiva decantazione la sua inclinazione espressionistica (rubricata
dal Pallucchini) estraendo- ne la forza panica trasfigurata in una
rinnovata spinta metafisica. Sein ambito artistico risulta evidente
come egli abbia risolto insé l’apprendistato casoratiano non assorbendone
che un clima d'insieme, metabolizzando l'aspetto decadentistico della
pittura del maestro celata sotto la rigorosa adesione a una norma di
cristallina evidenza estetica ed etica, sul piano dell'esercizio
critico volle incrinare dialetticamente il sapere con- solidato al fine
di cogliere unitariamente il senso più autentico della modernità.
Accostandosi ai testi suoi maggiori, nei quali dispiega un cospicuo
sforzo storico ma editati in un periodo a loro sfavorevole — “Per
una armatura” (1960) e “Arthemis Efesia” (1967), si hala sensazione
di essere dinanzi a un affascinate quanto indefinibile prodotto
letterario —saggio, disquisizione filosofica, colta divagazione,
eccentrico soliloquio, introspezione analitica — che, pensando alla
continua permutazione tra scrittura e pittura, indurrebbe a pensare
a una creazione letteraria con statuto indipen- denteecreativo rifiutato
da Galvano incline, viceversa, a una critica intesa come
emanazione di un'attività immanente all'atto creativo. Permane tuttavia
l’eco dell'idea crociana della storiografia e della critica che,
pur non aggiungendo nulla all'opera ma limitandosi a sancirne la validità
poetica secondo l’idea del philo- sophusadditusartifici- contrapposta all'idea
dell’artifex additus artifici sostenuta da Annunzio e Conti sulla
scorta di Ruskin e Pater -—, attribuisce facoltà filosofiche e artistiche
alla soggettiva sensibilità intuitiva dello storico.
Coscienza “temuta e avversata”* Croce è, per Galvano, un'autorità
intellettuale che in cambio di una piattaforma teoretica esige la
partecipata condanna delle opere che, passate al vaglio di un
accurato approccio metodologico, risultino prive di valore poetico.
Nell’acido corrosivo dell'ironia e dialettizzando gli argomenti con lo
storicismo, Croce condanna il Decadentismo nelle accezioni
mistiche, estetizzanti, irrazionalistiche e in quella che crede
inconsistenza filosofica e spirituale, includendo in quel termine tutto
ciò che tende a sviluppi formali astratti e condannando di fatto la fitta
rete culturale e relazionale della modernità. Nonostante ciò Croce
avrebbe il merito di avere reso accessibile e ripercor- ribile questa
fitta topografia anche nella declinazione contraddittoria e fragilmente
raffinata del vituperato Decadentismo. Accettando la condanna
crociana, Galvano confessa la propria passione per decadenti,
esotici, erotici e apostoli misteriosofici, ponendosi scientemente in una
giurisdizione infernale come critico e come artista nato dalla linea evolutiva
del Simbolismo. Identifica anzi quello straordinario mo- mento
storico come un estremo malinconico balenio della civiltà al crepuscolo,
un'epoca di transizione divisa tra spirito e carne, abitata da alcuni tra
i più eletti spiriti dell'umanità capaci di creazioni difformi ma
compiute e che lo sperimentalismo modernista delle avanguardie
esaurirà. In una sorta di ribellione alla figura paterna,
Galvano trasgredisce la raccomandazione crociana di non leggere Rimbaud,
Mallarmé, Valéry e risco- pre, anteriormente a Cremona?, il modernismo e
la linfa vitale del Decadentismo attraverso il quadro metodologico
del filosofo abruzzese inclusivo di fatti estetici anche diametralmente
opposti alle sue idee. A Galvano, come alla sua generazione, fu quindi
im- possibile non dirsi crociano proprio per l'opportunità 4
A. GALVANO, Perché non possiamo non dirci crociani, in “Nu- mero — Arte e
letteratura”, V, n. I-II, gennaio-marzo 1953. Poi in: “Omaggio a Albino
Galvano”, catalogo della mostra, Circolo de- gli Artisti, Torino,
gennaio-marzo 1992, P. Fossati, F. GARIMOLDI, M. C. MunpiCI (a cura di),
Electa, 1992, pp. 116-120. Poi in: A. GALVA- NO, “Diagnosi del moderno”,
cit., p. 37. 5 I. CREMONA, Il tempo dell'Art Nouveau, Firenze,
1964. 42 che quella metodologia offriva nel
sistematizzare l’intera storia. Quello che invece depose fu lo
spirito conciliante dell'estetica di Croce buona, al più, a ba-
nalizzarsi nell’idea diunmuseoimmaginario.Quando negli anni Sessanta ebbe
il proposito di approfondire l’immagine cultuale e psicologica
dell’efesina Arte- mide, partì dalla fascinazione prodotta su di lui
da un pastello di Cesare Saccaggi, “Alma Natura, Ave!” (1898),
opera collocabile allora, quando uscì il libro, e tuttora, in un filone
di gusto piuttosto sospetto. Con una serie di pubblicazioni’, si renderà
così protago- nista, a partire dagli anni Cinquanta, del rinnovato
interesse per l’arte Liberty dalla quale trarrà ben più diuna semplice
ragione di studio quanto invece, nella pratica pittorica, una viva
permutazione in allusioni enigmatiche irriducibili a ogni
interpretazione, quali il fiore di iris, destituite dal ruolo di metafore
e sim- boli. Questa continuità formale si chiarisce anche come
continuità semantica quando si consideri come Galvano e Cremona abbiano
ricondotto l’arte astratta in un comune svolgimento con il Simbolismo e
con il Liberty che, di quest’ultimo, ful’espressione impiegata sul
piano della fabbricazione. Da cui il transitare di Galvano dalla fase
concretistica a quella informale e, più in là negli anni, a quella
araldica di nastri e bandiere per giungere appunto agli iris.
Trascorrere stilistico da non leggersi come eclettismo quanto piut-
tosto come legittimo susseguirsi tra la carica allusiva assegnata ai reticoli
cromatici astratti e la sensibilità decorativa trasformata in materia
fermentata fino alla disgregazione dalla quale estrarre infine
nuovamente il ritmo danzante delle forme arabescate. Il Simbolismo
gli consente di riversare il misticismo nella propria opera di pensatore
e, soprattutto, di pittore. L'arte assume quindi un valore emersivo di
forze morali (leggi spirito) — del “bene” nel momento crociano, del
“male” più tardi in modo nietzschiano — prima ancora che estetiche (leggi
sangue); diade debitrice al suo filosofo di riferimento Ludwig Klages,
altro intel- lettuale trascurato in Italia quanto sospettato di
avere incubato l'ideologia autoritaria tedesca quando invece più
coerentemente dovrebbe essere pensato come un epigono del romanticismo
intuizionista. L'arte tenta un'indiretta conciliazione tra spiritualità e
artificio consegnando alla storia un’estrinsecazione autentica-
mente creatrice e non solo la copia di una copia; non una
rappresentazione ma un esserci immanente. La volontà di accogliere quel
“male” come necessario gli viene dalla presa coscienza di
un'’artisticità, che arde 6 A. Galvano, Dal
simbolismo all'astrattismo, in “Galleria di lettere ed arti”, n. 4-5,
1953; Le poetiche del simbolismo e 1 ‘origine dell'Astrattismo
figurativo, in “Studi in onore di L. Venturi”, vol. II, 1956. Articoli
specifici ai quali aggiungere: L'erotismo del liberty e la sublimazione
astrattista, in “Cratilo”, n. 3, 1963. i Gabetti Isola, Casa di
Erasmo, Torino, 1953-1956. inlui fin dalla giovinezza, radicata
proprio nelle opere Create tra XIX e XX secolo e nelle elaborazioni
più irrazionalistiche. Come quella immoralità sia aperta a fertili
risultati lo si comprende appoggiandosi all’in- terpretazione che Galvano
offre delle Artemis: bianca come simbolo coadiuvante di perfezione
conchiusa ma Statica, nera come simbolo avverso di imperfezione e
INCompiutezza ma dinamica e che in potenza può Jenerativamente aprirsi a
una riserva di possibilità eventualmente immanifeste. Per traslato,
quindi, la hegatività del Simbolismo si apre a una plenitudine di
risultati. Permane tuttavia il concetto di fondo che la Pittura, come
prodotto di una volontà impossibilitata a realizzarsi nell’ideale, sia il
risultato di una caduta la Cul spoglia materiale sarebbe prova di vanità
e disvia- mento. Come s'accennava sopra, Galvano si smarca
dall'idea di un'arte quale esempio del bello estetico e del bene morale,
per lui non più coincidenti, ma accetta la disperata affermazione dell'immagine
come 43 “ ” a »
l Me. È È n IS 18 la . t
: LI è» ® î unico possibile
risultato dell'impulso proiettivo delle aspirazioni individuali o
sociali. Pittura che in ultima istanza è anche piacere sensoriale,
vocazionale istinto a testimoniare (Baudelaire), “vizio assurdo”,
vanitas; pittura come atto cultuale che mantiene in gioco la
proiezione degli archetipi, la ricchezza delle imma- gini aderenti al
mistero, almeno per quel poco che la contemporaneità consente, poiché
ilmondo nega ogni giorno più spazio alla pittura mentre il pensiero
bor- ghese, incapace di slanci estetici e metafisici, permette che
in questa duplice assenza si innesti la tecnica, la pianificazione, la
sterile sistematicità. Per Galvano la nostra epoca è irrimediabilmente
scissa dal significato iù autentifico della vita, dalla sua forza
feticistica poiché ha fatto di quel mondo, in cui la presenza del
dio era costante, una favola bella l'iconografia della quale non è che
una lontana immagine idealizzata priva, per i moderni, di ogni accenno
oracolare. Queste ragioni filosofiche, di estremo interesse,
dovettero apparire perlomeno eterodosse all'atto della loro formulazione,
divise tra esistenzialismo e fenome- nologia e affacciate all’abisso del
mondo preclassico, alle profondità eraclitee. Scostatosi
dall’irrazionalismo di Klages, Galvano non intese fare di sé un
anti-razio- nale quanto piuttosto un convinto a-razionale, come indica
la personale concezione di arte in equilibrio tra ragionevolezza e
vaticinio, secondo un fare né pienamente consapevole poiché eroticamente
privo di volontà intellettiva, né tantomeno completamente
incosciente poiché contemplativo. Pertanto l'ipotesi di Galvano fu più
aderente alla poetica di Mallarmé piuttosto che al pensiero di Valery,
perché dove il primo disidratando e affinando la parola poetica
pose le condizioni per un superamento del modello simbolistico aprendo di
fatto alle avanguardie, il secondo immaginò la creatività come un
processo logico ricondotto alla piena luce della razionalità, alla
consapevolezza dell'atto. Esaltando cartesianamente l’intellettoela
coscienza, il processo creativo per Valery è un'attività spiegabile
analiticamente senza ricorrere a misticismo, vitalismo e spiritualismo.
Carnalità, sessualità e sensualità - Croce aveva biasimato la sen-
sualità nell'opera di Mallarmé come priva di “anelito d’innalzamento”” —
furono invece le pulsioni vitali del Simbolismo che interessarono Galvano
e che la razionalità, in un prolifico ripiegamento autoanaliti- co,
dovrebbe avocare a sé integrandole senza ripulse pregiudiziali.
Speculazione intellettuale e artistica che rivela tutta l’enigmaticità di
Galvano che oscilla tra i termini affermati da Mallarmé, e ripresi da
Alain, di “vision”, intesacome vaghezza di ispirazione, e “vue”,
intesa come concretezza dell'oggetto in sé risolto. Se da una parte,
sull'esempio di Mallarmé — il quale pre- cipitò le parole nell’assoluta
perentorietà delle pure idee aspirando infine a una “poésie sans les
mots”® -, Galvano pare decidersi per la “vue” aderendo al
concretismo astratto come pars construens dalla quale pretendere risposte
formali di esito certo, dall'altra, per mezzo del multiforme divenire della
sua pittura, apre obliquamente alla possibilità allusiva dell’appa-
rire, accettando di fatto unesito provvisorio prossimo al concetto di
“vision”. L'oscillazione dalla vaghezza creativa all'evidenza
intellettuale di forme e colori è l’unica risposta contingente possibile
per Galvano che decide di non decidere tra i termini antitetici
asseriti, approfondendolo sguardo nell'oscurità della creazio- ne e
della vita. Medesimamente il Galvano scrittore affronta il passato
eludendo la descrizione analitica delle epoche storiche portandone bensì
all’emersione 7. B. CROCE, Poesiae non poesia, Laterza, Bari,
1950, 5° edizione riveduta, pp. 318, 319. g S.MALLARMÉ,
Divagations, Bibliothèque-Charpentier, Eugène Fasquelle Éditeur, Parigi,
1897, p. 297. i reconditi meccanismi, le contraddittorie spinte
pul- sionali; un’organica prassi opportuna a increspare la ricerca
storica attraverso una molteplicità di punti di vista culturali posti in
reciproco dialogo e liberamente sollecitati. Il rischio
nell’approcciare oggi la figura di Galvano è quello di appiattirne il
pensiero, come già avvertiva Sanguineti nel 1990°. L'illustre allievo
aveva compreso come il decadentismo pittorico di un Moreau o lette-
rario di un Huysmans fossero considerati dal maestro un indispensabile
momento storico. Galvano mostra insomma un’idiosincrasia per quelle
“mortificazioni crepuscolarmente schifiltose”!° che avevano
impedito ai Campana, agli Onofri, agli Ungaretti e ai Montale di
superare, senza rifiutarne la “carica panica e mitica”, il naturalismo
panteistico dell’Alcyone dannunziano. InItalia, l'assenza del dissolutivo
lavacro simbolista si era in sostanza ripercosso nella crociana
deplorazione categoriale per l’arte moderna insieme all’illusione
di potere produrre un'opera estetica autenticamente nuo- vaeludendo
il peccato originario del Decadentismo. Il tentativo di emanciparsi dal
prestigio delle autoritates latine che aveva tentato D'Annunzio
richiamandosi ai romantici tedeschi, apriva gli occhi di Galvano ai
presocratici e alla filosofia moderna (dall’irrazionali- smo alla scuola
ermeneutica) che del classicismo aveva assunto il senso vitalistico,
indefinibile e misterioso di una natura come rivelazione del divino. Da cui
l’idea di una suprema ragion d'essere trascendente alla quale l’arte, per
Galvano, dovrebbe aprirsi ma che invece nelle enunciazioni contemporanee
gli pare, con buona pace di Eco, rinserrarsi in un'opera chiusa.
Con un piglio da lettura sociale dell’arte, Galvano scrive
dell’esaurimento dei rapporti storici tra committenti e artisti e di come
ciò abbia mutato l'originaria destinazione d'uso delle opere,
ridotte così a gratuite provocazioni. Conseguentemente proponeva le
dimissioni delle categorie di giudizio elaborate perle arti visive del
passato da sostituirsi con un equivalente delle letture psicanalitiche
tentate da Sartre su Baudelaire e da Lacan su Poe. Restato sempre
un pittore tradizionalista, Galvano si dichiara disin- teressato a certi
sviluppi artistici lasciando intendere come il problema dell'effimerità
dell’arte contempo- ranea—compreso l'amato astrattismo
geometrico—sia anche un problema della storia dell’arte come disci-
plina. Su come debba essere poi questa storiografia Galvano non si
pronuncia se non dichiarando che il problema della storia dell’arte debba
essere anche e SANGUINETI, Contro la ragione, in “La Stampa”, 10
marzo 1990, p. 7. 10 A. GALVANO, catalogo della mostra,
Palazzo Chiablese, Tori- no, dicembre 1979-gennaio 1980, p. 108.
11 Ibidem. soprattutto il problema dell’uomo! Sovvengono
le parole destinate a grande fortuna critica che avrebbe scritto
Hans Belting nei pamphlet intitolati “La fine della storia dell’arte o la
libertà dell’arte” (1983) e nel successivo “Das Ende der Kunstgeschichte.
Eine Revision nach zehnJahren” (1995)nei quali auspicava la fine
della storiografia artistica tradizionale a favore di proposte olistiche
e antropologiche avvedute delle mutate circostanze sociopolitiche, del
rimescolamento di cultura alta e bassa, della suggestione
determinata dai linguaggi mediali, dell’emergere di realtà
culturali prima marginalizzate, dell’obsolescenza della funzio- ne
assegnata al lavoro manuale, dell’alterato ruolo di musei e gallerie
d’arte. La prospettiva delineata da Galvano si tinge di accenti acri
quando denuncia la pacifica cittadinanza ottenuta dagli ismi ridotti
alla non nocenza di prodotti da supermarket immersi in una rete di
opportunità economiche e di complicità professionali. Un terreno
culturale desolante che assume una disillusa trasposizione nella sua
pittura ultima, nei paesaggi desertificati, nella scelta estrema
del silenzio creativo come opzione possibile nonché parzialmente
intrapresa. Facendosi anticipatore di posizioni storiografiche di superamento
della cano- nica divisione tra antico e moderno e concentrando il
periodo rivoluzionario dell’arte d'avanguardia tra il 1907 e il 1925, in
una sorta di personale à rebours Galvano esprime l'opinione secondo cui i
movimenti artistici successivi si sarebbero attestati su posizioni
di assimilazione manieristica piuttosto che di irriverente
Sovversione peculiare degli ismi nei riguardi della tradizione
rappresentativa. Delinea unastoria dell’arte moderna parallela più
complessa e connettiva come avrebbero potuto scriverla gli artisti ai
quali infine delega idealmente il compito futuro di creare un'ar-
te che, restando nell’ambito non figurativo e senza Impossibili riflussi,
riesca coerentemente a ristorare i Valori artistici e umani del passato.
Galvano insomma invoca il diritto anon essere moderno, o peggio
ancora d avanguardia, evitando di lavorare sulla contingenza e
rifiutando l'egemonia della critica per privilegiare, In senso dichiaratamente
anticrociano, la poetica degli artisti che al lavoro intellettuale
uniscono la prassi. Insieme alla proposta per un rinnovamento della
Storiografia artistica Galvano ne affianca un’altra di Natura
conservativa consistente nell’idea di salvaguar- dare le opere minori del
modern style, perlomeno gli Oggetti e gli arredi non ancora distrutti (di
Cometti Per esempio). Immagina la documentazione degli edifici
Liberty finendo per invocare l'allestimento di Una retrospettiva sull’Art
Nouveau internazionale, ma ù A. Gauvano, «Cosa nostra», in
“Sigma”, Ln1, primavera 64, pp. 63-70. Poi in: “Omaggio a Albino
Galvano”, 1992, cit., Pp. 130-133. Poi in: “Diagnosi del moderno”, cit.,
p. 59. avveduta del caso italiano e piemontese nel dettaglio, da
allestirsi nella rinata Galleria di Arte Moderna di Torino (1960). Caduta
nel vuoto la proposta sarà pro- prio Galvano a scrivere un articolo
sull’Art Nouveau a Torino! e poi, insieme a Giorgio Balmas e
Lorenzo Guasco, a curare nel 1978 al foyer del Piccolo Regio una
mostra dedicata alla pittura torinese all’inizio del secolo. Sorta di
doveroso omaggio a uno stile di vita prima ancora che d’arte nel quale
confluirono la vita delle forme collettive e l’individualità
creativa. Dissentendo da Croce, l'interesse di Galvano per gli
oggetti si approssima alle idee espresse da Giovanni Gentile nella
prolusione al corso universitario di storia della ceramica pronunciato
nel Palazzo Comunale di Faenza nel 1928 nel quale il filosofo,
saldando arte e vita, rivendica la dignità estetica dei prodotti
artigianali e industriali di qualità. Si consuma qui l'ennesima
contraddizione di un crociano affine alle idee di Gentile che pur biasima
per densità retorica. Sensibile alle arti dei periodi di transizione e
avvedu- to della caducità dei giudizi, compresi i propri, per
Galvano ogni critica obiettiva deve essere sempre un’autocritica.
Augurandosi l'avvento di un esegeta capace di rileggere l’arte tra i due
secoli, così come Sanguineti seppe fare con la letteratura, Galvano
rammenta come la sua generazione abbia vergato parole sferzanti su
Bistolfi fino a pochi anni addietro valutato un artista di statura
europea. Ma fu anche la generazione di quei giovani i quali, raggiunti
i vent'anni nella terza decade del XX secolo, quando
dovetteroimmaginare una ribellione la fantasticarono conle parole di
Rimbaud, Gide, Lawrence e Huysmans il cui Des Esseintes sembrò essere
allora il prototipo di un esteta come Carlo Mollino. Dell’amico,
stimato oltre che come professionista di genio anche come dilettante
d'eccezione, Galvano ammirò la capacità di governare con la formazione
culturale crociana e il rigore razionale tipico della sua
professione, gli umori sensuali, avventurosi e ambigui del suo
animo capace di rievocare il ritmo aperto e biologico del Liberty
restituendolo nella voluttà degli interni arredati, nell'armonia
architettonica dei pieni e dei vuoti, nella eterogenea e immaginosa
commistione di elementi organici e funzionali. Un'omogeneità che il
termine “surreale” illustra solo parzialmente e che trova una segreta
corrispondenza nelle opere di Cremona come nei molluschi, nelle
conchiglie, negli antichi libri accartocciati e nelle acquasantiere
barocche che Galvano dipinge negli anni Trenta e Quaranta. L'identità
autopoietica generata da Torino si manifesta nella condivisione
spirituale prodotta da A. GALVANO, Per lo studio dell'Art Nouveau a
Torino, in “Bol- lettino della Società Piemontese di Archeologia e Belle
Arti”, nn. 14-15, 1961. questa generazione d’eccentrici
intelletti, nella speci- fica formazione di un genius loci come Galvano e
nel progetto della Bottega d’Erasmo che Gabetti e Isola disegnano
in forme intellettualistiche neo-liberty nel 1953. Proprio in quell’anno,
“A Rebours” di Huysmans diverrà per Galvano il pretesto per puntualizzare
le proprie posizioni all’interno del Mac e più in generale nel modo
di intendere il Decadentismo!. Quando Leonardo Borgese consigliò agli
astrattisti concreti, in chiusura della recensione alla mostra di
Galvano allestita presso lo Studio B 24 di Milano nel 19535, di
rileggersi il celebre romanzo di Huysmans nel quale, a suo parere, ci
sarebbe stato il necessario per decodi- ficare la loro poetica, gli
aderenti al gruppo accolsero l'esortazione come una blasfemia da
respingersi inte- gralmente. Galvano ritenne legittima la protesta
dei compagni astrattisti apparendogli chiaro come Borgese
incaricasse l’ipocondriaca, solitaria ed estetizzante vita del
protagonista narrato nelromanzo, diesprimere un'e- pidermica quota di
edonismo e di sensualismo ribelle ai disvalori della società
positivistica industrializzata e scientifica, votata al profitto, al
commercio, al nuovo capitale borghese. Dopo di che Galvano,
confessando di aderire parzialmente al pensiero del capitano della
brigata anti-astrattista Borgese, s'inalvea in una lettura
sorprendentemente sincretica aperta al riconosci- mento dell’ambivalenza
del rapporto tra astrazione e Simbolismo. Al rifiuto delle suggestioni
emotive del Simbolismo, l’astrattismo, secondo Galvano, ne
intellettualizzerebbe le allusioni ele “corrispondenze” (termine
apertamente rimontante a Baudelaire) come strumento oppositivo al
dilagare prosastico del reali- smo. L'astrattismo del dopoguerra
ridurrebbe quindi ai minimi termini la carica letteraria aumentando
quella metafisica, riscattando la tradizione dei padri nobili
dell’astrazione primonovecentesca e tesaurizzando nel contempo (sulla
scorta della ricostruzione filogenetica di Pevsner) la lezione di Toorop,
Gauguin, Munch e Klimt insieme a quella degli antesignani Runge,
Blake, Antonelli, Ciurlionis, Kupka; in sostanza dei precursori che
evocarono ancora le leggi del mondo fisico consentendo agli evoluti
linguaggi non figurativi di divincolarsi più recisamente dalla mimesi.
Negli anni tra le due guerre, sull'onda della fenomenologia e della
psicologia della forma, si assisté a un aurorale revisionismo
storiografico dell'Art Nouveau — anche Edoardo Persico ebbe in animo di
scriverne una storia!° 14. A. GALVANO (asterisco di) in, ‘Pitture
di A. Galvano in un esperimento di sintesi” (testo anonimo), Milano
Studio B 24, “Arte Concreta”, bollettino n. 12, seconda serie, febbraio
1953. Poi in: P. Fossati, “Il movimento arte concreta 1948-1958. Materiali
e documenti”, Martano Editore, Torino, 1980, pp. 62, 63. 15
L. BorcEse, “Corriere della Sera”, 1° gennaio 1953. 16 A. Pica,
Revisione del Liberty, in: “Emporium”, a. XLVII. n. 8, vol. XCIV, n. 560,
agosto 1941, p. 66. 46 — ma sarà con gli anni
Sessanta e Settanta che diverrà condivisa acquisizione la carica
anticipatoria ricoperta da Mackmurdo e dalla cultura figurativa a partire
da Blake. Anima nera del concretismo, Galvano assume un ruolo
sovversivo nel movimento proponendo ine- dite e intelligenti aperture di
senso che tuttavia non giungeranno a ispirare un prolifico dibattito
all’interno del gruppo infragilito dalle difformità tra la
posizione intellettuale rigorosamente metodica dei milanesi e gli
arrovellamenti sulla materia fortemente allusiva espressi dalla linea
torinese. Risalendo alle sorgenti dell’arte astratta, Galvano riannodò,
in antitesi alle let- ture formalistiche, le affinità con le fonti
spiritualiste di Decadentismo e Simbolismo e — pensando alla densità
mistica nell'opera di Huysmans sfogata in occultismo e cattolicesimo —
con le citazioni della Blavatsky e di Steiner scritte da Kandinsky, con
la prossimità di Mon- drian ai circoli teosofici, con il lirismo magico
di segni e colori dell’orfismo di Kupka e, non ultimo, con uno dei
primitesti dedicati all’astrazione scritto da Julius Evola. Dandy
autoironico votato alla marginalità, Galva- no disseminò il proprio
percorso di tracce sulle quali indugiare, trascorrendo liquidamente da
una disciplina all'altra in modo stupefacente per un intellettuale
ani- mato da pura vocazione pedagogica ma riottoso alla metodicità
dello studio scolastico. Attribuire un senso univocoal suo pensiero
equivarrebbe a fraintenderne la filosofia e l’idea stessa di un'arte come
autosufficiente e spontaneistico operare nella ferita aperta tra
vitali- smo e intelletto che l’atto artistico non riesce tuttavia a
cicatrizzare. La civiltà intera corrisponde per lui alla fenomenicità
delle immagini da essa prodotte che, in sostanza, aprirebbero al mistero
quale autentico even- to metafisico. Intendendo come piani
dell’emersione archetipica i segni dell’arte — della quale
l’idealismo si limiterebbe a coglierne l'aspetto teoretico, Alain quello
pratico e l’Esistenzialismo quello etico — sarebbe troppo semplicistico
archiviare la passione di Galvano per Decadentismo, Simbolismo e modern
style, come l'infatuazione culturale per un'epoca vesperale. Egli
si sente invece custode ed erede di quella lacerante contraddizione, di
quella genesi oppositiva, di quella disperata tensione verso uno
spirituale fatalmente arreso alle forme dell’estetismo, di quella
magnifica e perduta sfida, tanto da riversarne la forza vitale
nella personale proteiforme pittura così come nelle pro- gressive
illuminazioni della sua letteratura filosofica e artistica.
Opere esposte1 Lettrice sdraiata -— 1931 — olio su tela — 63,5x81 cm
2 Autoritratto - 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm
3 Astrazione - 1950 — olio su tela — 50x60 cm
et adi 4 Il giorno olio su tela 100x80 cm Pacato
— 1954 — olio su tela — 90x110 cm 6 Composizione in
nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm /
S.t.-1956-olio su carta — 34x48 cm $ Ercole ed
Anteros — — olio su tela — 85x115 cm 9 Omaggio a Van
De Velde - 1959 — olio su tela — 80x90 cm 10 Ir1s —
1960 — olio su tela — 105x95 cm 58
10Y1-1960- olio su tela — 95x110 cm 3 F
12 Calligramma — — olio su tela — 100x85 cm 13
Fiori di lago — 1962 — olio su tela — 100x120 cm 14
Le jardin de cet astre — 1962 — olio su tela — 132x116 cm
15 Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm
16 Proposta — — olio su tela — 135x122 cm 17
Pavese — 1967 — olio su tela — 120x110 cm 18
Farfarello e Malambruno — 1967 — olio su tela — 80x60 cm
19 Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80 cm
20 Nastro n. 25 — 1968 — olio su tela — 90x80 cm
21 Nastri — 1969 olio su tela — 60x50 cm 22
Nastri colorati — 1969 - olio su tela — 110x100 cm 23
Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm 24 Nastri —
1970 — olio su tela — 60x50 cm MALI 25
Nastri — 1970 — olio su tela — 60x50 cm ter» IG
MOFBEE sie Tre ir" Saitta Sl
26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela —
110x90 cm pari #1 =$ Re |a te n
; 26 Segni asemantici (dittico) - 1973 — olio su tela — 110x90 cm
27 Artemis — 1974 — olio su tela — 120x110 cm
28 Maioresque cadunt - 1974 — olio su tela — 90x80
cm TITO sal - — olio su tela — 70x50
cm 30 s.t.olio e carboncino su tela — 80x60 cm
31 Ireos - 1977 — olio su tela — 70x60 cm —_——
mr LIIII:5 ——_—_ T=—r-—-r®x
(i 32 Iris n. 2 - 1975 - acquarello su carta — 40x30 cm
Sa Cespu glio — 1974 — acquarello su carta — 40x30 cm
34 Glotre du lon
g desir idees —- 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
35 Fiori — 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
VRREET L6 LL AIA USD GOG VE o VERDE IL I BEILET DART DIG SPARI DIO RR pia
I I LITIO ODE LIL 36 Fiori acquarello su carta — 40x30 cm
37 Une Fleur — 1975 — olio su tela— 70x70 cm
38 Scrittura - 1976 — acquarello su carta — 60x50
cm 39 Sassi e foglie olio su tela — 80x80 cm
40 Foglie morte — 1978 — olio su tela — 80x80 cm
41 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 40x30 cm
Labrit, © di DASIO LT R EDLI u DILODIAT
42 Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm
43 Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm
” — hu ro iiriiRRRE
44 Rocce e ciottoli — olio su tela — 80x80 cm
45 Rocce e sassi — — olio su tela — 80x80 cm 46
Rocce e sassi — 1981 — olio su tela — 80x80 cm 47
Rocce e sassi — — olio su tela — 80x80 cm Opere in mostra
01 — Lettrice sdraiata —— olio su tela — 63,5x81 cm 02 —
Autoritratto — 1940 ca — olio su tela — 23,5x18 cm 03 — Astrazione
— 1950 — olio su tela — 50x60 cm 04 — Il giorno — olio su tela —
100x80 cm 05 — Pacato — — olio su tela — 90x110 cm 06 —
Composizione in nero — 1954 — olio su tela — 90x110 cm 07 — s.t.-— 1956 —
olio su carta — 34x48 cm 08 — Ercole ed Anteros — 1956 — olio su
tela — 85x115 cm 09 — Omaggio a Van De Velde — — olio su tela — 80x90 cm 10 — Iris-— —
olio su tela — 105x95 cm 11 — Fiori
olio su tela 95x110 cm Calligramma olio su tela — 100x85 cm
13 — Fiori di lago —- — olio su tela — 100x120 cm 14 — Le
jardin de cet astre — — olio su tela —
132x116 cm 15 — Ireos — 1962/65 — olio su tela — 130x115 cm
16 — Proposta — 1965 — olio su tela — 135x122 cm 17 — Pavese
— — olio su tela — 120x110 cm 18 — Farfarello e Malambruno — 1967 —
olio su tela — 80x60 cm 19 — Gonfaloni — 1968 — olio su tela — 95x80
cm 20 — Nastro n. 25 - 1968 — olio su tela — 90x80 cm
21 - Nastri — 1969 — olio su tela — 60x50 cm 22 — Nastri
colorati —- 1969 — olio su tela — 110x100 cm 23 — Nastri — 1970 —
olio su tela — 60x50 cm 24 — Nastri olio su tela — 60x50 cm
25 — Nastri -— olio su tela — 60x50 cm 26 — Segni asemantici
(dittico) — 1973 — olio su tela — 110x90 cm 27 — Artemis — 1974 — olio su
tela — 120x110 cm 28 — Matoresque cadunt — 1974 — olio su tela —
90x80 cm 29 — s.t.- 1974 -— olio su tela — 70x50 cm 30
— s.t.— 1974 — olio e carboncino su tela — 80x60 cm 31 — Ireos —
1977 — olio su tela — 70x60 cm 32 — Iris n. 21975 — acquarello su
carta — 40x30 cm 33 — Cespuglio — 1974 — acquarello su carta —
40x30 cm 34 — Gloire du long desir idees — 1975 — acquarello su
carta — 40x30 cm 35 — Fiori —- 1975 — acquarello su carta — 40x30
cm 36 — Fiori - 1975 — acquarello su carta — 40x30 cm
37 — Une Fleur — 1975 — olio su tela — 70x70 cm 38 —
Scrittura — 1976 — acquarello su carta — 60x50 cm 39 — Sassi e
foglie — 1978 — olio su tela — 80x80 cm 40 — Foglie morte olio su
tela — 80x80 cm 41 — Ciottoli acquarello su carta — 40x30 cm
42 — Ciottoli e rocce — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 43 —
Ciottoli — 1980 — acquarello su carta — 48x35 cm 44 — Rocce e
ciottoli - 1981 — olio su tela — 80x80 cm 45 — Rocce e sassi — 1981
— olio su tela — 80x80 cm 46 — Rocce e sassi — 1981 — olio su tela
— 80x80 cm 4/ — Rocce e sassi — 1982 — olio su tela — 80x80
cm Finito di stampare nel mese di marzo 2021 da GARABELLO
ARTEGRAFICA (SAN MAURO TORINESE). Grice: “I don’t see why Italians are obsessed
with art, but Speranza is Italian, so let it be. Speranza thinks conceptual
artists are the only ones – such as Keith Arnatt – worth analysing. In his more
snobbish ways, he thinks to mould the male body was Pliny’s idea of art –
bronze statuary of the ‘nudo maschile’ – Painting comes only second or third,
and only because of the desegno – i.e . the line of beauty, which is – as
shape, where ‘kallon’ resided for the Greeks!” -- Albino
Galvano. Galvano. Keywords: arte naturale, Gallupi, Peirce, Grice. By uttering
x (gestus), U means that p” gesto, gestus, Grice’s use of gesture. il concreto,
l’astratto, Sraffa’s gesture. Il gesto di Sraffa, l’implicatura di Sraffa. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Galvano: implicatura concreta”– The Swimming-Pool
Library. Luigi Speranza, “Grice e Galvano”.
No comments:
Post a Comment