Grice e Gioia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo italiano. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s difficult to make that universalisable into the conversational categoric imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham, dell'empirismo di Locke e del sensismo di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di Giansenio. Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'ITALIA", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie, forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere. Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi Ligure e G. viene ARRESTATO NUOVAMENTE dagli austriaci, per essere scarcerato in seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla" L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale. Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica: "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi..". E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di difesa Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi". Si tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni ’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori. Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di G. fu scritto per contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di "pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo". Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere. Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica, Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati". Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un "ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense, 2, Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, G., Produzione delle ricchezze, Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, G., Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture nazionali, Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili. L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario Biografico degli Italiani. Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia, Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana, riferimenti in. Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Saltini, Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il Sole, Barucci, Il pensiero economico di G., Milano, Giuffre, Manlio Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di G., Milano, Ares,Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Nicola Pionetti, Melchiorre G.: il progetto politico per un'Italia unita e repubblicana, Piacenza, Edizioni Lir, Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese nell'Italia, Firenze, Le Lettere, G. (metropolitana di Milano). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. fare alcun cangiamento senza indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e svolge nel loro avimo un timor macchinale contro ogni innovazione delle leggi. In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,le somiglianze superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo. Agl’occhi del filosofo i paragoni non sono ragioni. Essi possono schiarire una proposizione, provarla mai. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie al chimico, i telescopi all'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie all'esercizio del pensiero. Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo spirito, dice Condillac. Se passo al quarto, sono obbligato, per maggior facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra. Se voglio fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli. Al contrario, se dopo d'averne considerato uno gl’unisco un altro, e a questa unione appongo il nome “due.” Se a questi aggiungo un terzo, ed allanuova unione appongo il nome “tre,” e cosi di seguito, caratterizzando con parole distinte ogni aumento progressivo d'unità, arrivo ad annoverare moltissimi oggetti facilmente. Alla stessa maniera, se ogoi volta che voglio pensare ad una persona, sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità, onde non confonderla con un'altra. Le note tracciate sulle carte di musica rappresentano i suoni che si eseguiscono dagl’istrumenti. Le parole pronunciate o scritte rappresentano le idee che si piagono nel l'animo. 1 mi troverò nel massimo imbarazzo. Siano,a cagione d'esem pio, come segue, le qualità d'una persona: Fisiche: Sesso maschile, anni: 20, capelli biondi, fronte alta, cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente, marca nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia, piede destro zoppo, linguaggio balbettante, accento francese. Morali = Melanconia, dissolutezza, mancanza alle promesse, viltà, abitudine alla menzogoa, jocostanza. Civili = Patria, Rodez in Francia, condizione, awmo gliato, professione, possidente. Se la mia attenzione deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso ad altra persona, sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima “Pietro”, la seconda “Paolo”, potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle tra di loro, paragonar!e insieme. Queste parole sono poi ancora più necessarie, allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagione d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod in tutti gli animali, il che costituisce le idee astratte, come si disse di sopra, ovvero allorchè si vogliono esprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di gloria, d'infamia, di virtù, di vizio. Sebbene quando pronuncio le parole “uomo” , animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito a queste parole , cionnonostante ne veggo il TEORIA DELLA SENSAZIONE porto, ne seolo le differenze, ne scorgo le somiglianze, alla stessa maniera che sebbene pronunciando i numeri 100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono, so però che l'uoo sta all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui questi dumeri sono stati formali, posso, ogni volta che voglio, separarne le maggiori masse , scendere alle minori, per arrivare alle minime e fipalmente agli elementi. Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo di100, dica che 100 ė decuplo di 1000. Ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di esse, agisce sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per rap 141 noi come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Una parola che nella sua origine e un nome proprio, divenne insensibimente un nome appellativo. Può in conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e sentimen tali che uo nome generaleri chiami uno degli individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad illuderci.Si può paragonare uno spirito che ragiona ad un giudice che deve decidere tra contendenti. Se il giudice non conosce se non le loro relazioni al processo, s' egli ignora i loro pomi, s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’nomi fittizi di Tizio, Cajo, Sempronio, egli è quasi necessaria mente imparziale. Cosi in una serie di ragionanenti noi corriamo medo rischio diviolare le regole della logica, allorchè la nostra attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'immaginazione, presentandoci oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non viene a sedurci con accidentali associazioni. Le parole facilitano vie maggiormente l'esercizio del pen iero quando il loro suono imita il suono della cosa espressa, come sono le parole belato, cigolio, scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso. Colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti, e colla moltiplicità delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga all'indole dell'oggelto che esprimono. Anche quando accennano l'uso o la proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel linguaggio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo vegetabile, é preferibile alla parola Quinquina. Per la stessa ragione le parole cui il nuovo stile indica i mesi nell’anno, hanno più pregi che quelle dell'antico: fiorile ossia il mese de ' fiori, vendemmi atoreossia il mese della vendemmia, sono nomi ben più espressivi che maggio e ottobre. ATTENZIONE ERAZIOCINIO. Al contrario, allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'albero prezioso che tutte le nazioni maritti meriguardano come migliore per le alberature , si fa supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali, mentre trovansi nella Lituania, in altre provincie più meridionali, in quelle stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero. La parola Gallo d'India rammentando che questo ani male è natio d'America, e ignoto ai Romani , venne uel l'Europa del 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insignificante parola “pollo”. Coquetterie in francese (civetteria) rappresenta al vivo il carattere d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti, a guisa d’no gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo. Al contrario allorchè gl’antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d’antimonio dei fiori di zinco. Spingevano il pensiero sopra immagini non applicabili agli oggetti che volevano iudicare. Anche quando le parole serbano tra di esse un cerlo rapporto costante, come leparole quaranta, cinquanta, sessan ta, sellanta, Ollanta, novanta, ciascuna delle quali avendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del fat. comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei. Dello stesso ordine progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di L'influenza del linguaggio sulle operazioni del pensiero si scorge sulla nazione Chinese. La quale, a fronte delle altre incivilite, TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura v'è una progressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo data una di esse, si possoo ritrovare le prece deotie lesus seguenti. Al contrario leantichemisuredipo sla, lega, lesa, pertica, passo geometrico, passo ordinario, braccio, auna, piede, pollice, linea, punto....non es sendo crescenti o decrescenti nella stessa proporzione, D00 aveodo tra di esse rapportocomune, confondono la memoria, e colla notizia d'una di esse non si può giungere alla cognizione d'alcun'altra. Dicasi lo stesso delle altre misure e de'pesi puovi ed antichi, calcolati I primi in ragione decupla e costante, i secondi senza nessuna ra gione graduata e regolare. Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri unità di diritla,ne avrò ildoppio in questa. Dimando qual è il u nunero de'gettoni che avevo da principio in ciascuoa 6 mano? Qui si banno due condizioni note, o , per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un gellone dalla diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u dimando , ciò non può farsi, se non osservando le relazioni che haono i dati fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili, secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do le si toglie un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando a lei se ne aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostra destra, scemalod'una unità, è uguale a quello della sinistra più un'unilà; ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta zionaria da più secoli, altesa l'imperfezione della sua lingua. Mentre le nostre liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige quindi un tempo infinito. L'incertezza e l'indeterminazione del senso delle parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena schermirsi colla più grande fatica. Egli è evidente che siffattalingua non è buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. Se voi diceste : il numero che avete nella destra 4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile l'oggetto indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò l'esempio da Condillac: is Avendo de' gelloni nelle mie mani, se nefo passar uno dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una quanti nell'altra; e se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto qumero , facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando « dal cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11 quello della sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è uguale a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono compostediduemembriuguali.Ladirilla u meno uno è il primo membro della prima equazione. La sinistra più uno, il secondo. « Le quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri. Le cogoite sono meno uno più uno , meno due : le incognite sono la diritla e la sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du « riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità d'un membro all'altro, senza alterare l'eguaglianza che passa tra loro, possiano, bon lasciando in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “ l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno, duoque TEORIA DELLA SENSAZIONE Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo alla più semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine, più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a traltare il secondo dato come il primo , e bisogna tradurlo u nella più semplice espressione. Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno due. ATTENZIONE E RAZIOCINIO. La diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta; e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è uguale al secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa u zioni , la diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta. Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi 66 65 56 dell'una « la diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la “dirittapiùunoèugualea due sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà uguale a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a ne conoscerele il valore , quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così il vantaggio dell'analisi nelle male 6 mati che nasce unicamente dal parlare s s e il linguaggio più semplice. Una leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6 ipleadere. In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si sprime col seguoto, il meno cou--; iuguaglianza con « siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý , per es., sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della sinistra. e Non sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio, come pretende Condillac, sono debitrici dellaloro perfezione l ematematiche, ma anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale consiste nel ritenersi nei limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva riabilità de’rapporti tra gli oggetti da essi chiamati ad esa m e ; 3.o alla possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi; ecco la sensazione: gli oggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco l'osservazione che produce la geometria. L'es.senza dell'estensione, gli elementi che la compongono, sono indagini che i matematici abbandonano agli oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso delle altre quantità esaminate dai matematici. a Cosi X – 1 = Y to 1, significa che il numero de'gettoni che ho nella destra, scemato d'un'unità è uguale a quelloche ho nella asinistra, accresciuto d'un'unità ,e X41 =2Y -2, significa che il numero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità. Ï due dati del nostro problema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y. Finalmente da X = Y+ 2, caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10 TEORIA DELLA SENSAZIONE 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoita del primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3. De'due ultimi menibri di queste equazioni facciamo 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y la matematica non visono circoli più o meno ro tondi, linee più o meno perpendicolari, superficie più o meno quadrate, la misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la metà dell'altezza. E quando un rapporto come quello del diametro alla circonferenza, cagion d'esempio, non può essere espresso con esattezza i matematici continuano ad essere esatii, additando la quantità relativa all'uso che se ne debbe fare, e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7; cda 3 ATTENZIONE E RAZIOCINIO. fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I m a tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà, l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, Alla sorpresa deve succedere in ciascuno la persuasione divedere un essere interamente simile a lui, essendo simili le forme e i moti esteriori. Infatti meolre it selvaggio A, a cagione d'esempio, stacca un fratto dal vicino albero, il selvaggio B, che si ricorda d'avere fatto più vollelo stesso, spinto dalla fame, conchiude che A èmosso (1) I tre antecedenti riflessi dimostrano falsa l'asserzione di Condillac, cioè che le matematiche non bando sulle altre scienze altro vantaggio che di possedere una migliore lingua, e che si procure rebbe a queste uguale simplicità e certezza , se si sapesse dar loro de’ segni simili». Languedu Calcul, Anche, le idee matematiche possono essere rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono susceltibili d'essere giudicate dai sensie dagl’istrumenti. Coll'ajuto delle cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappresentate da corpi solidi, I concetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli occhi, tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata; nissuno ha finora osat o r i gettare il giudizio d'una bilancia, o sospettare l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro. Colla scorta de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo sentimento che si svolgerà oel loro animo, sarà lasorpresa sempre figlia della novilà. Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti uguali. B intende dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi; si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le azioni di A, conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di A,vedeodogli eseguire certe azioni; egli cercherà di far comprendere isuoi, ripetendo le azionistesse: ecco il linguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di esso, il dito che lo accenna, la bacchetta che lo locca, il corpo che si slancia verso di esso o se ne allontana, formano tutto il dizionario della lingua. Questi segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani , per esempio, d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si fu morsi, il selvaggio ne ripete l'accento, l'urlo, il grido, e ne esprime cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme più rimar che voli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che fischia, TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca il frutto e lo mastica; B rammentando il piacere che provò mangiandolo, con chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagl’atti di A, sente sorpresa e timore, e conchiude che A è sorpreso e intimorito. Cessato il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare. La calma che succede nell'animo di B gli dice che A si è calmato. Dopo questa scoperta, il bisogno reciproco di comunicarsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale, perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi intendendosi reciprocamente, possono sperare un ajuto ne'loro bisogni, un sollievo de loro dolori, una difesa contro gl’assalti delle beslie feroci. ATTENZIONE E RAZIOCINIO. I segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice canale di comunicazione pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi d'associazione. Classificando gli elementi di questo linguaggio secondo la natura de materiali che servono a formarlo, se ne distingueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura simbolica.La storia antica ricorda spesso l'uso de' simboli anche presso nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto pressole nazioni orientali. Dario essendosi inoltrato nel territorio della Scizia colla sua armata, ricevette dal re degliSciti un messo che, senza parlare, gli dal tuono che scoppia. Il canto degli uccelli, gli accenti delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farne iolendere l'oggetto ad ogni momento di bisogno, accompagnandoli per lopiù coi gesti. Se1 Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i propri timori, in somma le affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle attitudini del corpo che le accompagnano. Per esempio, B vede o d o il luogo ove rimase spaventato, ripeterà i gridi e i moti dello spavento, accid A non siespoogaaldaono cui fu esposto egli stesso. Un sordo e muto volendo indicarci, che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con ambe le mani ,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna ilproprio corpo che cade sul suolo; posc i a ripete il moto del cavallo, escorre colle mani le varie parti del corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli affetti, il selvaggio, aguisade'sordie muti, cogliela somiglianzache scorge tra i sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno, l'animo dubbioso a due mani che pesano due corpi. Ecco i gesti simbolici e figurati. La prima specie comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e i moti degli oggetti esteriori. La seconda, gli accenti della voce con cui si ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli esseri inanimate. La terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia, sulla corteccia degli alberi, od altro, sia degli oggetti che si vuole indicare, sia delle azioni che vi si riferiscono. I suoni della voce altrondee le articolazioni che gli accompagnano, possono, sia per sè stessi, sia per la loro combinazione, presentare colleidee molteanalogie che non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse applicata ad un albero sia mile , quindi ad un terzo, ad un quarto. Cosicch è si per mancanza d'altra parola che io forza della legge d'aoa. logia (pag. 24 e 25)il nome proprio dovette divenire no me appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e glispedi alle dodici tribù di Israele, intendendo cosi di rendere comune ad esse il suo dolore, e chiamarle alla vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù di Beniamino fu sterminata. TEORIA DELLA SENSAZIONR De'gesti non si può fare grande uso nelle tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di essere più difficile: al contrario gli accenti della voce, pronti, facili, variabili in tutte le maniere, pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e diagire. Queste ragioni fanno prevalere i suoni articolati. De dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua primitiva alterata dal tempo, dalla mischianza del popolo e da diverse altre cause si trasforma nella nostra lingua italiana moderna ; presenta un uccello, un sorcio, una rana e cinque freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano come gli uccelli, non si nascondevano in terra come i sorci, non si sommergevano nell'acqua come le rane, cadrebbero vittime delle freccie degli Scili Il Levila d'Efraim volendo vendicare la morte della sua sposa, ne fa 151 e come questa alterazione seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte, non è necessario molto schiarimento. Si osserva che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti, se non perchè gl;uomini ac consentivano a prestar loro lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, nulla si trova di più semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno di designare questa idea, divenne in seguito comune agl’altri. Ciascuna arte, ciascuna scienza presenta le sue parole alla società, e lingue particolari. I segni arbitrari dovettero la loro forza solamente alla doppia abitudine di quelli che gl’impiegano e di quelli a cui si dirigono. Queste azioni, questi segni esteriori, che il ragazzo imita, sono uniti nella mente di quelli che gli servono di modello a dei sentimenti. Questi sentimenti lo sono ad alcune idee. I sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti, ripete poscia i suoni articolati o le parole, a cagione d'esempio, “padre”, “madre”, “vizio”, “virtù”, “religione”, “demonio”. Il ragazzo non ha bisogno d'inventare i segni artificiali delle idee. Egli gli impara soltanto. Ciò che per gl’antichi e un lungo sforzo di genio, non è per lui che un esercizio meccanico della memoria. Bentosto il ragazzo deve provare un principio di sentimento, ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui fremilo benchè ne ignori la causa. Ma l'idea, s'ella esiste, essendo sempre la più difficile, la più lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo è imitatore come la scimia. Gli altrui moti, i gesti, l'accento, l’aria, il tono, tutti gl’attesteriori lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d occupano la sua attenzione. Egli è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed i suoi organi mobili cootraggono l'abitudine di molte azioni, priache il pensiero sia capace di penetrarne lo scopo e d'osservarne il motivo: insginocchiarsi, fare il segno della croce, piegare la fronte, giungere le mani, levarsi il cappello, fuggire nelle tenebre, baciar l'altrui mano, fare inchini. La ripetizione frequente di questi suoni, gesti, sentimenti gli unisce con stretti nodi e tali che quando i suoni vengono a colpire l'orecchio o si presentano alla memoria, spingono gl’organi motori ai gesti relativi, e il sistema sensibile agl’associati sentimenti. Questa è la cagione per cui esempi ripetuti, antiche abitudini forzano la maggior parte degl’uomini ad ammirare, fremere, tremare, sdegnarsi, passionarsi in tutti imodi al suono delle parole le più insignificanti, le più vaghe, le più vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si sottraggono alla analisi. Conviene anche osservare che più le parole sono confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti. Queste ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse, secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osserva, dice Rayoal, che i giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco d'ingannare i tribunali di giustizia. Un magstrato sospetta che tale disordine potesse provenire da ciò che il suo Testamento, su'di cuido vevano giurare,era tradotta in idioma inglese. E quindi decretato che per l'avenire I Giudei giurer ebbero sul testo ebraico. Dopo questa precauzione gli spergiuri divendero infinitamente più rari. Per simile motivo Augusto lascia sussislere eadem magistratuum vocabula, acciò il popolo romano conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica, sussistendo i nomi delle sue magistrature, e il rispetto ma c chioale eccitato negl’animi popolari dalle parole si, fissasse sulle nuove cariche che ritenevano le antiche denominazioni. Trovandosi Leibnizio a Nuremberg seppe che riera in quella città una compagnia di chimici, che col più profondo segreto travagliavano alla ricerca della pietra filosofica. Il desiderio d'entrarvi, gli suggerio l’idea che produce l'effetto bramato. Egli estragge dagli antichi alchimisti una serie di frasi oscure, la cui unione forma una lettera più oscura ancora e non intesada lui stesso. Questa lettera divenne un titolo peressere accolto. Leibnizio, tanto più ammirato quanto meno inteso, fu riconosciuto addetto e segretario della società. Bailly, Éloge de Leibnitz. TEORIA DELLA SENSAZIONE. Il ragazzo o non la verifica che tardi, come l'idea di “padre”, o non la verifica che in parte, come quella di “vizio”, o, non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di “demonio”, “magia”, “angelo”, “fortuna” e simili. Per eguale ragione, allorchè le idee più belle e più sublimi vengono tradotte in lingua usuale, bassa, plebea, per dono parte di quel pregio che conservano in una lingua antica o straniera. Quella specie di spregio che si attacca agl’usi volgari e quella specie di rispetto che va unito alle lingue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi slazione ha luogo, cbe nelle arti e nella storia naturale: gli oggetti di queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli strumenti, quindi le stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli oggetti morali non essendo verificabili con eguale precisione, restano nella nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza, e per lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse teste in ragione delle circostanze in cui furono apprese. Pretendere che le stesse parole (principalmente se trattasi di cose morali) risveglino in tuttele stesseidee, egli è pretendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto. Nei giardini d'Epicuro la parola “virtù” risvegliava idee ridenti e piacevoli. Sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. “Legge” significa la volontà di tutti per un greco, la volontà d'un solo per un persiano. le indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente quest'idea è più limitata , ed ha diversi significati a Londra, Amsterdam, Copenhague. “Libertà” nella mente del filosofo indica la somma delle azioni non vincolate dalla legge. Nella mente del volgo, la facoltà d'invadere i beni de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole si fa sentire ne'trattati tra, le nazioni, in cui la loro ambiguità diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità d'una frase estende l’arbitrio del giudice a danno dell'innocente ne’ contratti, nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'espressiooe è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni a. Havvi alla China una legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto al sovrano. Comparve un giorno nella gazzetta della corte un aneddoto non raccontato con perfetta esaltezza. Il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero che mentire nelle gazzette della corte e non mostrare sufficiente rispetto al sovrano. Quindi il redattore fu messo a morte. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.“ commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni, comuni, l'uniformità de' pesi, in isure, monete, gli stessi libri nelle università, la stessa educazione ne’ licei lendono a dare alle parole la stessa significazione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggetto che esprime, bisogna dire che in ogni lingua non v'ba quasi una parola che rappresenti sola una idea chiaro-distinta da se stessa. Tutte prendono sensidiversi dal posto che occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento, dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro, se si college con altre. Più avanti, più indietro le ne farà vedere dei diversi. Detta con un tuono asseverante, ha un senso. Con un tuono di meraviglia, un altro. Con irrisione, un terzo. Con interrogazione, un quarto. Cosicchè si potrebbe assomigliare le parole ai colori delle peone d'un colombo, che variano secondo il moto del sole, del colombo, dell'osservatore. Sono quindi quovi, fonti d'errori i diversi sensi che le stesse parole esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell’antichità, si dirige così a'suoi uditori: ingrati che noi siamo! noi cilngniamo della brevita della vita, mentrei è innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa argomentazione confonde due maniere di vivere che sono distiolissime e diverse. Lo stesso difetto si fa vedere nella seguente massima di Rousseau. Se la natura ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato. Perchè questa sentenza fosse vera, converrebbe provare che il primo ed unico destino dell'uomo è di essere sano; che la virtù consiste nella sanità, e che la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un essere depravato come il soldato che espone la sua sanità e la sua vita in difesa della patria. Si potrà dire che ogni ammalato è uno scellerato, un mostro; che un monco è un Sano è qui'addiettivo del corpo, e significa uno stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo, e significa uno stato morale. animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani come ci ha destinati ad avere due braccia. Aliro esempio. Bernardin de Saint Pierre vuole che assolutamente si bandisca l'emulazione dalle scuole pubbliche; e per provare ch'ella è inutile, argomenta così. Analizziamo questo argomento. L’emulazione per imparare la lezione, per fare dei temi, per studiare le scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'emulazione è dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di questa doppia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egualmente aggradevoli che quelle del corpo? Egualmente naturali? lo rispondo di no, se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente aggradevoli? Questo è possibile, ma la causa si rifonde nel piacere d'essere applaudito, ammirato, ricompensato. Quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti dell'emulazione lepla di provarne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala fede, le passioni lulle abusano delle parole, perciò, al dire di Parini, il mercante è pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi 6' A merci che non mnaivarcaro imonti. уоро campagna, come sono necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolo popolazione ha forse immaginato delle astuzie, e inventati degl’artifizi per allungare gli studi, e per ottenere un tema più difficile? Ho io avuto bisogno nell'infanzia di sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi piacere? E perchè è egli slato necessario che imparassi asor passarli ne’miei studi, per trovarci dilello? Non ho iopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza emulazioni? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egual mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e nel mangiare, per che queste operazioni sono comandate dal più pressante, dal più imperioso de’ bisogoi, l'amore della vita; ma quantivi e conciliano la santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza? Gli scolari temono forse tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le minacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per la Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione, aveva dato alla maggior parte de'suoi reggimenti i nomi dei santi del Testamento Vecchio. Cromwel, dice uno scrittore anonimo di quel tempo, ha ballulo illam buro in tutto il Vecchio Testamento. Si può imparare la genealogia del nostro Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra lista che il primo ca pitolo di S. Matteo. In tutti i tempi, in tutte le religioni, in tutti i partili, il fanatismo, il quale non sipiccò mai di equità, diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano, ma inoai che potevano loro nuocere. Socrate, che depurando le idee superstiziose, le conduceva all'unità di Dio, riceve il titolo d' aleo dai sacerdoti di Cerere: empio chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto, un bue o un coccodrillo. Si da dai Cartaginesi lo stesso titolo a chi abborriva il sacrifizio delle umane vittime. I romani danno a tutti i cristiani il nome di galilei o giudei, sforzandosi dire uderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla China i nostri missionari che diffondeodo la religione dei galilei diminuiscono il concorso ai tempii de' falsi idoli, e quindi i proventi de' sacerdoti, vengono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro lo Stato. Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevole alla calunnia perchè ella non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri avversari. Con una di queste parole si prova tutto, si risponde a tutto, si difende la propria opinione, si distrugge l'altrui. A Pascal, che con tanta sagacità svela nelle sue lettere provinciali la corruzione della morale, e risposto ch'egli era quattordici volte eretico. Gli uomini saggi si guarderaono sempre dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie infinitamente variabili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico, e lo prov r'anno svolgendo la somma de’ beni di cui è seconda, ma non diranno, per es., questa legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee d'approvazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto. Quindi se i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza de’ combattenti, e per cominciare TEORIA DELLA SENSAZIONE ATTENZIONE E RAZIOCINIO. Combinare od inventare. La ninfa della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando èsoverchiamente pesante, viaggiunge un bocconcello dipa 'gliao dil egno, equando troppoleggiere, un pezzellodi grossa rena. il vero esame, converrà rinunciare a queste parole appassionate ed esclusive, per calcolare gli effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso della guerra del Peloponneso successe taletrambusto nelle idee e ne' principii, che le parole più usuali cambiarono di senso. Si da il nome di dabbenaggine alla buonafede, di destrezza alla duplicità, di debolezza alla prudenza, di pusillanimità alla moderazione, mentre i tratti d'audacia e di violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pubblica. Una tale confusione del linguaggio è forse uno de’ sintomi più caratteristici della depravazione d'un popolo. In altri tempi si può offendere la virtù. Ciò non ostante se ne riconosce ancora la sua autorità, quando le si assegnano de’ limiti. Ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i suoi diritti al trono, e il vizio se ne impadronisce e vi si asside tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basta osservare ciò che succede nelle società de’ viziosi e scellerati. I ladri, gl’aggressori , i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si compiacciono ad affrontarla. Quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto, associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo stesso scrittore, ha colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi le ginocchia a terraper meglio osservare, evidiche ellase paròla coda e la tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le ale. Prese ella quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alza con essa dal terreno circa due piedi, ma un venticello leggiere scuotendo le ale della mosca, fa capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a terra. Osservai allora distintamenle che colla bocca le taglia primieramente un'ala, e poi l'altra, e quindi fuggi via non più molestata dal vento. Questi due animale lti,che sanno disporre le cose in modo, ossia ritrovare mezzi tali da oltenere il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare. Duhamel osserva che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi al soffitto. Egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicare questa parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizioni di quelle della tigauola e della vespa. Ma il fine ottenuto essendo molto vantaggioso all'umanità, la combinazione è più pregevole. Il pregio di questa combinazione cresce, se si riflette ch'ella è applicabile ad altri oggetti, a cagione d'esempio, ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime profondissime, e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione. Ma siccome non arrecano alcun vantaggio, non hanno alcun pregio agl’occhi del saggio. Boverick, meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbrica una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa catena e destinata ad iocatenare una pulce. Egli fa una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratta da sei cavalli, porta quattro persone e due lacchè, e condolia da un cocchiere, ai piedi del quale sta assiso un cane, e il lutto venne strascioato da una pulce esercitata a questo travaglio. L'invenzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fa desiderare che Boverick impiega meglio i suoi talenti. Grice: “”Si suppongano due selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia. Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giorello: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del libertino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano. – Grice: “I like Giorello: he philosophises on
evil and good – the devil wrestles with the angel – but also on Mickey Mouse
that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del topolino” – and perhaps ore
exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!”
–Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna
a Milano. Membro de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di
Filosofia della Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di
critica e crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline
fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle
sue prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si
erano poi ampliati verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle
relazioni tra scienza, etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal
democratico e si ispira, tra gli altri, a Mill. Si occupa anche di storia
della scienza in particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e
di storia delle matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà”
di Mill. Ateo, filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere:
Opere Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo
spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori, Le ragioni della scienza, Roma, Laterza,Filosofia
della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa
universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia
della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la
sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della
scienza, Roma Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione:
Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM, I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo,
Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina, Di nessuna chiesa. La libertà del laico,
Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Forte, Balsamo, San
Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina, Il decalogo. I dieci comandamenti commentati
dai filosofi,, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio
Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace",
Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano,
Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane, 4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice
San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,
Il peso politico della Chiesa, Cinisello
Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni
& Lab, Harsanyi visto da G., Milano, Luiss University press, Lo scimmione
intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due
voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele, Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos
H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda, Lussuria. La passione della conoscenza,
Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,.
Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio
Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,. Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto
incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. CULTURA
Addio a G., filosofo della scienza e difensore della libertà By Vincenzo
VillarosaPosted on È morto il filosofo G., per le conseguenze dell’influenza da
COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato
dimesso alla metà di maggio. Successore di Geymonat alla cattedra di Milano, il
filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Conte lo ha
ricordato, in un messaggio sui social, come un filosofo che ha saputo
riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione. Nato a Milano G.
si laurea in Filosofia seguendo la tradizione antifascista e marxista del
maestro Geymonat e il difficile tentativo di contrastare le divisioni tra
pensiero scientifico e umanistico. In seguito, e docente di Meccanica razionale
a Pavia e poi a Catania, a quella di Scienze naturali all’Università
dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. Presidente della Società
Italiana di Logica e Filosofia della scienza. I suoi studi spaziavano dalla
mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e
alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace
di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni
sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca
scientifica. Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche
e all’accrescimento della conoscenza scientifica, G. analizza le modalità
complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del
pensiero di Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla
libertà, scrive, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la
possibile difesa della libertà umana. La sua instancabile attività di
saggista e basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e
del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza
di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione
editoriale della collana Scienza e idee per Cortina e nella capacità di
divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali
del giornale Corriere della Sera. Tra le opere di saggistica, ricordiamo
Filosofia della scienza (Jaca Book) e due contributi di divulgazione
scientifica come La filosofia della scienza con Gillies, Laterza, e La
matematica della natura con Barone, Mulino. Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del
laico (Cortina) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi), G. parla
del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione
del mondo dei credenti. La curiosità intellettuale e la personalità
liberale del filosofo milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto
tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo
dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino con Cozzaglio, Guanda, ne è una divertente ma non banale
rappresentazione. La perdita di G. toglie alla scena italiana uno dei più
attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere
scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e
collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento
del patrimonio culturale dell’umanità. RELATED TOPICS: FILOSOFIA,
LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀ Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo. Il settenario. Il vizio della lussuria. Origine e delineazione del
vizio nel Medioevo. Vizio del corpo. Vizio dell anima. I coniugati e la
lussuria. Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere
(I Cor. 7,9). La lussuria come potenza nell Inferno. La lussuria come potere
nel Inferno... p.31 4. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell
Inferno... p.44 5. La lussuria come filosofia nel Canto V dell Inferno... p.52
6. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell Inferno... p.61
7. La lussuria nel Canto V dell Inferno: conclusione... p.66 Bibliografia...
p.70 0. Introduzione Non v è dubbio che fra gli insegnamenti che Dante
può riservare agli uomini del terzo millennio ci sia anche quello di puntare su
un solo profondo amore al centro di tutta un esistenza, persistente anche oltre
la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di
orientarla al meglio. Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le
figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia
dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un opera di
qualche secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni
contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche differenti per quanto
riguarda la Commedia, ogni generazione [ ] legge il suo Dante 2, e quindi, come
lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo 3. Pasquini segnala
che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e
Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione
che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle
idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce
legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza
di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede,
della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra
coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell
opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la
persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto
decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo [ ]. Oggi, asserisce Pasquini,
una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano
totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza,
le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e
irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra 6. 2 Emilio
Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia,
Bruno Mondadori; Renzi, Le conseguenze
di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Pasquini,
Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 5 Ibidem,
pp.269. 6 Ibidem, pp.275. 7 Introduzione Si può aggiungere che, in
generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce
perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente
fissata sull acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale
completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento
di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di
condurre non alla magnanimità ma alla folia. 7 D altronde, Inglese segnala che
il carattere realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene
illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo,
l altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8.
Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire
abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del
mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del
filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria non concorda
con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della
presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si
presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana
da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista
molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della
conoscenza 9. Propone un analisi molto originale del vizio, mirata a provocare,
nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della
letteratura d ispirazione cristiana sul soggetto. Giorello considera la
lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una
libertà: E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta
e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10.
Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto
quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano
del termine. L autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il
desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come
potere, come filosofia, come inganno Andando al fondo della nozione di
lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e
concetti. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma,
Carocci; G., Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010.
10 Ibidem, risvolto della sopraccoperta. 8 Introduzione A mio giudizio la
lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell ottica proposta da Giorello può
offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una
lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei
dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del
testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del
ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della
lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi
ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di
presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la
religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno
soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di Giorello l aspetto religioso
della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo
velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie
manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione
cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto
ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con
commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la
presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti.
Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel
celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta
di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio.
L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Lorenzo Renzi arricchirà
ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della
colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole
reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse
privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca 11. L
autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia
della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in
exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo
dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l
ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio
di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare
il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un
bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 9
Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12. Accanto al
riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni
sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Giorgio Inglese, poi, è
il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all Inferno mi
ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una
struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza, nel Canto V,
di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del
terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei studi] è ormai
misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però stagnazione, e
lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del
genere commento 13. In ogni capitolo della presente tesi, una nozione
filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base
delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano
varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri
commentatori. 12 Ibidem, pp.7-8. 13 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia.
Inferno di Dante A lighieri, cit., pp.12. 10 1. Il paradigma dei
sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un
resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso
un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa
visione d insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel
Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni
Einaudi nel 2000. 1.1. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema
dei vizi capitali non è un invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di
una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e
persone diversi; di un enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un
efficace schema classificatorio per parlare [...] del mondo 14. Un topos, per
così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva,
ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto
presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l Occidente, la
storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre
ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e Gregorio Magno. Cassiano (V
secolo), avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo maestro
Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più significative
per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Il settenario dei
vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli scritti del suo
allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in
un epoca che accordava molto importanza all idea dei sette vizi capitali. Si
deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi
capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia,
vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di Casagrande e Vecchio).
Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI secolo), ne distingue sette; non
menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un
opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto più di un 14 C.
Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo,
Torino, Einaudi, 2000, pp.xvi. 11 Il paradigma dei sette vizi capitali
nel Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un
disegno di larghissimo respiro 15. Il paradigma dei vizi capitali porta,
naturalmente, l impronta dell ambito nel quale è stato lavorato, cioè l
impronta della società monastica non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano
aveva apportato all Occidente conoscenze orientali egiziane, siriane-, adottate
dalla cultura monastica orientale, raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro,
Pontico, aveva imparato molto sui vizi capitali in quel crogiolo culturale che
fu Alessandria d Egitto alla fine del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni,
idee della filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza
proveniente dall Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali
risalgono, infatti, alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: Per i
monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di
perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi
e contro quel mondo che si sono lasciati alle spalle 17. Detto questo, si può
inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda
il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale
di uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale
della mia tesi: la lussuria. 1.2. Il vizio della lussuria 1.2.1. Origine e
delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il cristianesimo ha trattato il
desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura pagana, gli individui si
sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali voglie. La
religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni,
riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti
vari e irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella
vita particolare di ogni persona che si riallaccia alla tradizione cristiana.
Diventa molto attraente in questo modo. Lo sviluppo di paradigmi simili
contribuisce alla popolarità di una concezione di vita, tanto di visioni di
tipo religioso come di concezioni pagani. 15 Ibidem, pp.xi. 16 Ibidem, pp.xii.
17 Ibidem, pp.xv. 12 Il paradigma dei VII vizi capitali nel Medioevo
Cassiano descrive la lussuria, situandola nell ambito della natura propria agli
uomini, come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie
umana. Magno monaco e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto
naturale del corpo, che, per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di
vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una
concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel contesto
cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che
spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale
quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per
intimargli l alt. Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo
più ampio durante i secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui,
l elemento chiave che trasforma la sessualità dell uomo in un attività
peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva
e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti
dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie
umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio,
queste parti dei loro corpi diventano insubordinati, non li possono più
controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell
essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo
ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto
che si sta parlando dell attività responsabile per la generazione: l uomo
trasmette quel peccato di padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli
nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione agostiniana della
lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia già a rivederla nel
XII secolo. Si osserva infatti un processo di desessualizzazione del peccato
originale 18. Implica l accettazione della concupiscenza come una delle
conseguenze del peccato originale, non come l effetto principale di questo.
Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall ambito peccaminoso nel quale era
stata introdotta: La natura era ormai inevitabilmente corrotta 19. 1.2.2. Vizio
del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento,
la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, un vizio
cioè che implica 18 Ibidem, pp.151. 19 Ivi. 13 Il paradigma dei sette
vizi capitali nel Medioevo necessariamente la partecipazione del corpo 20.
Rivendica non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di
tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il
naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio
capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione
tanto versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo
corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le
conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-,
non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non
sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l
immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma
lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra 21. Per di più, il debole
corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza
la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica
la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un
peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a
qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto
della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un
peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri
abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del
settenario dei vizi 22 : Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non
entravano nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi
lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come
iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un
essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance
peccatori esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di
gioielli, profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio)
che mette l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva
essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di
conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi.
Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare
tramite una metafora memorabile: [sono 20 Ibidem, pp.152. 21 Ibidem, pp.153. 22
Ibidem, pp.155. 14 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo
come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per
strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il fatto che le
donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli
degli effetti che hanno i loro fisici sui loro complementi, si avvalgono di
queste loro qualità, e così, inconsapevolmente, incitano negli uomini gli
impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. 1.2.3. Vizio dell anima Fin qui,
la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il
vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell interiorità più
profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell ambito nel quale è
cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l altro) riconosciuto
che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo
secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio:
Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei
nel suo cuore (Mt. 5, 28) 24. Ma questa idea non implica che il corpo non
potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell insieme
di fasi propri all azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee
lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva che, da questi pensieri,
sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la tappa alla
quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l atto adultero si svolge
per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito della nozione
di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al peccato della
lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l anima cessa di pensare,
immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo,
il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo
e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per tornare a
essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita dell individuo
25. 23 Ibidem, pp.157. 24 Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini,
revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2000, pp.47. 25
C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel
Medioevo, cit., pp.160. 15 Il paradigma dei sette vizi capitali nel
Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci
entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l
hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell ottica agostiniana
della lussuria è inclusa l idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da
soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È precisamente la
condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali che trasforma queste ultime in
impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto
di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio
capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra anima
e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l atto sessuale e
i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell uomo
a partire dal peccato originale. Affermava che l elemento vizioso stava
solamente nella transigenza dell anima umana al corpo (carne, infatti)
corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire il vero, una
concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue
asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole
importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle conseguenze che ha
il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma anche, e
specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo
umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima:
una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano,
debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un
vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello
spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell
anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell
indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito
umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza
di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla
ragione. In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza della
ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana,
un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a simili
preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima in
ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza concetto
concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo nella
16 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di
controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi
avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte,
e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava
grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in
contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua
importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la
funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio
nella vita di ciascun individuo 26. Trasposto in ambito letterario, il dualismo
fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella
quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s
impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il
culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie misure
dalla lussuria. 1.2.4. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in
continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9) 27 Tra tutte
le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati
formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria,
ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli
coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari
per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo
modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce
28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della
lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che
la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per
il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la
lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva
anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il
matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge
che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della
castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli
26 Ibidem, pp.167. 27 Il nuovo testamento, cit., pp.603. 28 C. Casagrande, S.
Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172.
17 Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la
società naturale che l unione tra i due sessi comporta 29. Di più, pone che Dio
avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili
prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di
organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo
disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell uso che
gli uomini [...] ne fanno. 30 Queste idee agostiniane sono state molto diffuse
durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame
stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si
estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere
tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all anima
di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da
questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica
nel settenario dei vizi capitali. 29 Ibidem, pp.173. 30 Ivi. 18 2. La lussuria
come potenza nel Canto V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come
potenza (o impotenza) Giorello asserisce che la lussuria [ ] è mescolanza di
tutte le cose del mondo, rotture d ordine, spezzatura 31. Nel caso di Paolo e
Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura dell
ordine quotidiano, anzi, dell ordine del mondo come i due innamorati lo
conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla
potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come
volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che
sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa,
Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio.
Nel v. 107 Caìn attende chi a vita ci spense 32 il nome di Gianciotto è taciuto
per disprezzo, non certo per femminile riserbo 33. Neanche Paolo può più
tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è irrimediabilmente
danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella loro
storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il
momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di
perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia la felicità
assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è
illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte 34 : la prima e l ultima
parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una MORte.
Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga
tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che
tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone ). Per di più, la parola morte,
nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui
soggetto è Amore 35. In questo senso, la lussuria si presenta come una
mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di
rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che,
contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un
dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni 31 Giulio
Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23. 32 Dante
Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio
Inglese, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 33 Giorgio Inglese, commento al
testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007,
pp.90. 34 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90. 35 Giorgio Inglese,
commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90.
19 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e
Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l
aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la
dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica
fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di
lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa.
Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti,
considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si
tratta del desiderio dell altro. Dante presta molta attenzione all espressione
di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello
spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede,
appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla
volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in
questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per
definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e
Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè all inizio del
viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di
ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe
desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla
via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la
luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione
predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su
Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la laicizzazione è la lussuria
dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità emancipazione
che costituisce la premessa di una società politica matura 36. Secondo me, l
autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso
sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la
considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme
in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un azione
peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase,
però, è che il desiderio umano di venir liberati dall assoggettamento a un
potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante
personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce
divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi
contemporanei. L opposizione 36 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della
conoscenza, cit., pp.26. 20 La lussuria come potenza nel Canto V dell
Inferno tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio
illustra il punto di vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un
fenomeno sia o non sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno
degli aspetti essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana
che fa sì che la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la
lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della
lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza,
costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare
risposte alle proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che
lega l ignoranza e la conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo
sotterraneo, e desidera sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità,
quindi dalla sua volontà, sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole
capire. Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della
lussuria. Una volta che la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi
l oblio di altri fatti conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è
illustrato dall epopea mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce
Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era
conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che
Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i
sentimenti amorosi reciproci: E quella a me: Nessun maggior dolore/che
ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente,
i due lussuriosi si ricordano benissimo quello che sapevano prima del momento
in cui la loro volontà di conoscere li ha messi sulla via della perdizione,
cioè, prima del momento in cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza
dell altro. Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo
conoscere: Ma, s a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto
affetto/dirò come colui che piange e dice 38. Ciò illustra l importanza ardente
del significato del termine. Per di più, Giorello pone che la potenza della dea
[Venere] è quotidiana [ ], non solo eccezionale 39. Si potrebbe sostenere,
quindi, che la caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà
incredibilmente potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti
eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell essere 37 Ibidem,
pp.28. 38 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92. 39 Giulio
Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.35. 21 La
lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno umano, gli appartiene. Non
sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però, gli è
connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale.
Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un impulso
troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia dentro
di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in
mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio
necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi
in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il
momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa
eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e
Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel
punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle
braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito
in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la
dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno 40. Certo,
nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo
marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà
dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine
sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della conoscenza, e che
potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea che deduce da un
testo di Agostino, Città di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest opera
che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla
forza di quella divina) sia ben peggio [ ] di qualsiasi fisica impotentia
coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo. Agostino
descrive la lotta della passione [il corpo] e della volontà [l anima] parlando
della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della passione nei
confronti della pienezza della volontà 42. Ciò pone l accento sul valore più
grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del suo corpo
fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è
valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe
sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza,
unificatore. L unione d idee 40 Ibidem, pp.36. 41 Ibidem, pp.39-40. 42
Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi
Alici, Milano, Bompiani, 2001, pp.684-685. 22 La lussuria come potenza
nel Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli
antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa
fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in
modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V
proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra,
Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica
menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne
antiche e cavalieri (v. 71): insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso,
che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta
et Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) 43. La loro
apparizione conferisce un atmosfera unica all Inferno cristiano. Evocano la
grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi
quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della
disperazione, dell amore e della perdizione caratteristico di queste storie si
mescola, nel Canto V, ai sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante. Per
quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e
Francesca, si può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal
fatto che, per Francesca, la visita del pellegrino forma un opportunità unica
per confessarsi (dal punto di vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare
e quindi rendere immortale la sua tragica storia d amore (secondo la visione
dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che gli incontri
fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un momento affatto
eccezionale nello svolgersi (che non ha però vero svolgimento) della pena di
questi ultimi [ ]: per un motivo superiore ossia, per l edificazione del P. e
poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio la Provvidenza suscita
in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere,
dal voler portate 44 ]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte
drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un altra occasione
di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento 45. 43 Giorgio
Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit.,
pp.87. 44 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88. 45 Giorgio Inglese,
commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89.
23 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che
precede, risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà
potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere
umano. Si potrebbe dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un
colpevolista, poiché dare forma verbale al proprio tormento può significare
dare forma verbale al suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione
infernale la tortura. La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe
anche essere interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il
ricordo del tempo d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua
storia d amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si
presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un
giustificazionista. Ritornando alle donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce
quanto segue: Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione
i testi, qualcuno noterà, per esempio, che la pietà di Dante per Francesca,
primo segno della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita
poi dallo svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne
antiche e cavalieri, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono
definiti peccator carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47
Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo
cuore, cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più
commosso, triste e silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui
ha amato e perso la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il
dramma cruento dei due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore
di Dante che si sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo
dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola
si spiega, secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio (cf.
infra). Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento,
sotto la spinta del rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che
spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo
pietà di fronte alla tragedia romagnola. 49 46 Dante Alighieri, Commedia.
Inferno, cit., pp.91. 47 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio
di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.11-12. 48 Emilio Pasquini, Dante
e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 49 Ibidem,
pp.262. 24 La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Secondo
Pierre-Louis Ginguené (1748-1815), autore di Histoire littéraire d Italie, non
è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia
che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato
di Beatrice. 50 In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e
Isotta, Paolo e Francesca, e pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche
di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l
inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico
di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più,
non evidenzia la pietà di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è
la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo
non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza
conoscersi l uno con l altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo della
Commedia 52 ] a Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making
Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context 53 ]. E ci
aggiunge: Bruno Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento
e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha
notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più
gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine di San Tommaso 55. Forma un
argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore
dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e
certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca
da Rimini 56 ) e per Benedetto Croce (La poesia di Dante 57 ), segnala Renzi,
Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi.
Inglese definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50
Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in
Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante,
cit., pp.134. 51 Ibidem, pp.135. 52 Ugo Foscolo, Discorso sul testo della
Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le
Monnier, 1979, pp.175-573. 53 Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in
Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in Dante studies, 116, 1998,
pp.31-63. 54 Bruno Nardi, Filosofia dell amore nei
rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura
medievale, Bari, Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i
riferimenti a san Tommaso è alle pp.81-82. 55 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di
un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.135. 56
Francesco De Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a
cura di Sergio Romagnoli, Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652. 57 Benedetto
Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75. 25 La lussuria
come potenza nel Canto V dell Inferno smarrito 58 ) un profondo turbamento in
cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l umanità peccatrice
giustamente punita 59. Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista
emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il
potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e
Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri
poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore. Così,
afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano
equilibrio nella storia della critica [della Commedia], e in particolare dello
scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice
integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si
fanno paladino della donna] 60. D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza
o l innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor,
ch al cor gentil ratto s apprende 61, da un punto di vista psicologico si
rivela sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, [è] obiettivamente
falsa poiché Amore [è] sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui
della bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo
amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor
non m abandona./amor condusse noi ad una morte ] 62. Da quest angolatura,
infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello
dell innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare
Amore come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso
in cui lei si rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo
leggieri che si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe
parte di un idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole
dimostrare, al lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo
formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive
come anima tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata
per adulterio incestuoso 64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce
attribuiscono a Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit.,
pp.87. 59 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante
Alighieri, cit., pp.87. 60 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L
episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.144. 61 Dante
Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.89. 62 Giorgio Inglese, commento al
testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 63 Dante Alighieri,
Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in
Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 26La storia di Giulio
Giorello In Articoli04-08-2020di Marco Ciardi Dopo la scomparsa di Giulio
Giorello, ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro
quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query .
Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo. image
Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico)
sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo
storico della scienza e delle idee. Tale merito gli è stato
riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi
Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato
il primo numero di “Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo
uno dei tanti bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure
del Mito (2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di
Ludovico Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della
scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e
filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una
grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente)
la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è
del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto.
Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte
trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni
insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto
lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel
mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in
“una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra
impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei
rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i
risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel
più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi
pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e
innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]
L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul
tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso
polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello,
non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione
all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of
knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel
1979.[4] Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che
compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei
maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e
idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio
avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava
nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione
culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio
Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è
imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel
passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da
quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze
personali».[6] Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era
laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva
presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di
essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una
autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su
questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno
mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul
Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina
specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere
scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il
gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente
differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di
conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono
invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso
della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle
collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni,
che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla
ricerca della vita intelligente nell’Universo(2016), dove Giulio, nella parte
storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza
approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in
nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il
“romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee
molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]
Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non
dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu
introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole
del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso
rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la scommessa circa
“l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche. Chi guarda
attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa
innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi
abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine
di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della
cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e
dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose
contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a
ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole
dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come
entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio
(sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile
ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le
sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11]
Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito
umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come
è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è
immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi
“straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è
miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12]
Grazie di tutto, Giulio Rossi. A mio non modesto parere. Le
recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di Bondì e Monti. Bologna: Mulino,
Feyerabend, La scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, Rossi. Feyerabend:
un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della
filosofia.Bologna: Mulino, Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria
anarchica della conoscenza; Prefazione di G., Milano: Feltrinelli; Cfr. ad
esempio, Rossi; A mio non modesto parere, Rossi; Ci sono molti Galilei?in Un
altro presente; Tannery. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de
Synthèse”) G. Flammarion, lo
“scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla
ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina, G. Per una Repubblica delle Scienze e delle
Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, Rossi.
Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di
storia della scienza. Firenze: Barbera. G. Per una Repubblica delle Scienze e
delle Lettere. Grice: “The
etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated,
being of a low class condition, would be criticized for his excesses of
freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il
libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il
fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” –
“il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno,
Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool
Library, Villa Speranza.
Grice e Giorgi: la ragione conversazionale al limite
-- l’implicatura conversazionale di Bacco – filosofia leccese – filosofia
italiana -- Luigi Speranza (Cavallino).
Filosofo. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli
e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i
brani in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del
Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le
strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo
e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della
tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio
musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica,
la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione:
struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia);
“L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina);
“Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica
musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De
Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito
del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina,
Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il
vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica,
Galatina, Congedo); Husserl e la Krisis,
3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e
storicità, in “Segni e comprensione”,
Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di
Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone,
Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove
prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti
del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra
etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa
MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in,
Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La
Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito
di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e tarantismo,
in, Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello, Pensa
MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Severino, greco,
Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini,
Conte, Congedo G.i, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e
fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di
G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi,
I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte
dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In
marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf,
Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia
con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera,
in, Salentopoesia, festival nazionale di
poesia con musica e danza, Lecce, Conte, Lecce, Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival
nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, G. S'è
cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura,
Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di
Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia
Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MC Discoexpress)
Pizzica e Trance (MC Discoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo
della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet
Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CD C&M) Taranta Taranta (CDIrma
records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – G. G.B.
Il libro è stato pubblicato la prima volta
e dopo anni riteniamo
particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. G., peraltro, è
socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra
rivista. La ricerca innovativa e serrata compiuta da G., in tanti anni di
impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda
finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il
pensiero armonico. Accade allora che scoperte e sorprese, esposte
con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza
soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del
tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del
decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono
esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il
nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati,
archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del
dialogo. Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel
vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde
dell’essere, che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i
simboli della taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici
che restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa
anche oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che
collaborano con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un
soggetto collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla
stessa stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste
concezioni, De Giorgi rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente
“pensiero meridiano” di Nietzsche, di Camus e di Cassano. In
Puglia, come in gran parte del mediterraneo, “il pensiero armonico” è il
pensiero della rinascita e della misura, valori indispensabili anche oggi per
un corretto cammino della coscienza verso la comprensione di se stessa e
dell’uomo verso la propria natura divina.” IL PENSIERO ARMONICO E LA
RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il pensiero armonico Il mare, l’armonia degli
opposti e la luce mediterranea Il pensiero armonico come incontro di mythos e
di logos Le radici elleniche della tradizione pugliese Archeologia e storia.
Etnomusicologia ed estetica della tarantella La ricerca comparativa sui
brindisi e le analogie con la pizzica pizzica Il mito e il pensiero armonico
del Mediterraneo nella contemporaneità L’ambivalenza del mito e la misura
armonica La misura armonica e il cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i
miti del tarantismo e del labirinto. Verso un nuovo umanesimo I BRINDISI
E LA PIZZICA PIZZICA COME SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica
come simboli di rinascita in Puglia La festa e il pensiero mitico della
rinascita La forza estetica di un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica
Pizzica pizzica, tarantella e bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza
mitica della pizzica pizzica e della tarantella Le civiltà del vino e
l’ambiente poetico tradizionale della Puglia I brindisi, la tradizione popolare
e il soggetto collettivo La ricerca etnomusicologica ed estetica e i brindisi
tradizionali Il ritmo armonico della pizzica pizzica e la gestione delle
contraddizioni – La cumbersazione e i brindisi IL TEMPO CICLICO, LA
RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO TRA ARTE E MITO Il tarantismo come
rito di rinascita e il tempo ciclico come attività psichica collettiva di
rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il recupero del pensiero arcaico del
Mediterraneo. Le analogie dello Zarathustra con il tarantismo La vita come
conoscenza: grandezza e miseria di Nietzsche. L’eterno ritorno
dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo Gli errori di De Martino e le
intuizioni di Camus. La rivolta come lotta contro il negativo e come
affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la pizzica pizzica e il rito
del tarantismo come affermazioni della vita. La ierogamia e la rinascita I
simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione
della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di
Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi etnomusicologica: la biritmìa
simbolica. La pizzica pizzica come analogon della dynamis armonica universale
PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo del Sud e i
fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico L’aióresis
dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto. Il mare come simbolo
armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro tragico del
tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater: l’evoluzione
della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi. Pizzica pizzica
e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come arte tradizionale
collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito. L’umanesimo della
misura IL SIMPOSIO, I BRINDISI E
L’UMANESIMO DELLA MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco
Il brindisi e il simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La
sperimentazione del divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape
e il rischio della dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la
degenerazione del simposio
L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La
danza, le uova e le corna come simboli simposiali di rinascita. Il gesto
dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle danze della rinascita I saperi
tradizionali dell’equilibrio mensurale del pensiero armonico: il ritmo e la
benedizione La città di Brindisi, l’origine del nome brindisi e il Bacco in
Toscana La cena della spillazione Il porto di Brindisi e le corna rituali come
simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e di Semole come benedizione
Indice dei nomi Iconografìa comparativa Lecce Tarantula.
Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità
Incontri culturali INCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia simbolo e
iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De Martino ad oggi
la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno ad essa ruota
in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e tradizioni che
affondano le loro radici in un passato lontano. In una prospettiva più ampia si
può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche tempo a questa parte ha
espresso una incredibile sequenza di suoni, stili, artisti, esperimenti e
contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La Terra del Rimorso -
come la definì Ernesto de Martino - si è trasformata nella Terra dello
spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura popolare,
l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e del consumo
pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare. A cinquanta
anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si
sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il
Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud Sound System,
e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore,
dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music festival del mondo,
la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli
iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e
Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza precedenti Mail
Presidente Ass. Thorah – piscopo. grazia @libero.it Biografie
relatori G., laureato in Filosofia, è etnomusicologo, filosofo, musicista
e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di Torrepaduli”, con i quali ha
suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando la nascita-rinascita del
genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che hanno venduto più di
centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche. Sue liriche sono
state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore Luigi Marzo, ha
pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio passando dal Salento
(Del Grifo). Ha tradotto in italiano La danza delle spade e la tarantella di
Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi volumi di ricerca, tra i
quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica della tarantella (Congedo
2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I poeti del vino (Congedo
2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La pizzica, la taranta e il
vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La rinascita della pizzica: testi,
poesia e storia dei Tamburellisti di Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo
2012) che riformulano radicalmente le indagini sul tarantismo e sulla
tarantella iatromusicale. Maurizio Nocera - “Maurizio Nocera (classe
1947) … è un eccellente rappresentante di quella genia … di intellettuali
militanti, che sono sempre di meno, oggi, in giro. “Impegnato” dalla punta
delle (consumate) scarpe fino alla radice dei (pochi) capelli, infaticabile
viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi diversi, inguaribile sognatore,
gran parlatore, insegnante, politologo, promoter culturale, contastorie,
indefesso ricercatore e divulgatore di patrie memorie, bibliofilo,
collezionista, scrittore, salentino al cento per cento eppure cittadino del
mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico letterario, editore. Vincenti,
Io e Maurizio Nocera, in spigolaturesalentine. wordpress. co /spigolautori-maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è
segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian
philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher,
and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did –
misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but
Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all
this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords:
l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giorgi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della fiducia nella fiducia – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Vernole). Filosofo. Grice: “Giorgi discovered a phenomenon I often
overlooked: meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia
di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi, for various reasons; unlike Sir
Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type morality on trust, Giorgi
recognises a very apt distinction between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia
nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna
a Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro
Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia
del diritto” Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale” “Azione e
imputazione” “La società”; “Diritto e legittimazione” “Mondi della società” o,
con Stefano Magnolo” “Filosofia del diritto” “Futuri passati” Fiducia è
un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un
valore positivo dell'agire o dell'esperienza; non rappresenta una preferenza
rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e
sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare
fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o
migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la
conferma della validità dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo
nella dimensione temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato
solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione
fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma
dell'incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il
rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo,
al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di
assorbimento dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema,
allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione
temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè
quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in
questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare,
mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle
aspettative dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che
orienta l'agire e l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il
futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo
delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su
una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza,
renderebbe inutile dare fiducia [...]. La fiducia costituisce una mediazione
tra la complessità del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione
drammatica, rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da
sé le risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e
all'altro rappresentandosi le sue aspettative [...]. Fiducia non è affidamento
all'altro. Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non
ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a
che fare immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria
rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative
dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo
c'è il rischio, il dramma, la tensione. (R. De Giorgi, Presentazione
dell'edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino,
Riferimenti Bibliografici, Berger, Luckmann, La realtà come costruzione
sociale, Bologna, 1969;* - N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Schütz,
La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, 1974.*La semantica del rischio
Decisione razionale e azione sociale G., Filosofia, Lecce, Centro
Culturale. Sulla situazione delle scienze sociali Se si osserva il
panorama delle scienze sociali oggi, si può affermare che esse sono alla
ricerca di temi attuali riferiti alla società, ma che per questo non dispongono
ancora di una struttura teorica adeguata, in particolare non sono pervenute
ancora a una adeguata descrizione della società moderna. Le discussioni
teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in particolare in relazione
a classici. Questo comporta, nel modo di porre i problemi, la presenza di un
sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito orientamento ad una società
che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva raggiunto i suoi limiti, ma
poteva tener presente solo in misura limitata le conseguenze della società
moderna e le poteva trattare solo come problemi della distribuzione del
benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono date da un
atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità (Weber) o da una
critica della struttura di classe della società moderna. Di queste acquisizioni
vive ancora oggi la discussione teorica. La società moderna ha reso
urgenti problemi completamente diversi: il problema dell’ecologia, il problema
delle conseguenze che derivano dalle nuove tecnologie, dalla ricerca biologica
e genetica: ma anche il problema delle conseguenze legate a determinate
politiche di investimento o quello relativo al rapporto tra uso del denaro per
fini speculativi o per fini produttivi. Si tratta solo di alcuni indici degli
ambiti problematici con i quali continuamente si confronta la società contemporanea
e rispetto ai quali la soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra
essere più alta. Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale
riuscisse ad andare oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un
orientamento problematico che può essere descritto mediante concetti quali
complessità, problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri
ancora. Così la società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e
quindi dalla prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi
di realtà altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze
perverse” e producono problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire.
Tuttavia anche questa discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi
limiti, non dispone di potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone
ormai solo l’originaria formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso
si è sostituita la paura del futuro, all’ansia della pianificazione e del
controllo, la rassegnazione verso le conseguenze perverse dell’agire che, non
potendo essere previste, vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo
ulteriore per considerare il presente con disappunto e per tentare di risolvere
mediante il ricorso alla morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante
la razionalità. Non si può affatto prevedere che nel prossimo
futuro la scienza sociale riuscirà a colmare il deficit teorico che la
caratterizza e a pervenire ad una convincente descrizione della società
moderna. E’ possibile però isolare temi speciali, che in questa direzione sono
fruttuosi e possono essere utilizzati perché le ricerche si concentrino su di
essi. Il tema rischio può costituire un tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo
rispetto alla discussione sui classici e mantiene considerevole distanza
rispetto alle teorie sulla decisione razionale o sulla pianificazione
razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una dimensione centrale per
la società moderna da tutte le prospettive. Esso altresì ha particolare
riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica hanno acquistato un
significato considerevole e che, gradualmente, diventano dominanti. Esso ha
quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante alla comprensione
delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente viviamo e delle quali
in un qualunque modo dobbiamo tener conto. 2. Stato della ricerca.
Negli ultimi vent’anni il tema rischio ha stimolato una mole immensa di
ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più possibile
controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato
prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su
alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara concettualità
teoretica. Da una parte è dato di trovare ricerche sulla
valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche
presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli
effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione
delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed
insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle
teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua volta
altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti
rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio
e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie,
qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti
a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza
stessa. Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche
che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo
oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto,
deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi. Accanto
a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura crescente
in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si comportano in
situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una distinzione di
variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio l’influsso della
fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di colui che agisce
verso il rischio. Un altro orientamento di ricerca si occupa dei
deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è possibile individuare
nel comportamento decisionale quotidiano. La disponibilità al rischio dipende,
secondo queste ricerche, non da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il
problema col quale deve misurarsi. Questi orientamenti ai quali si
sostiene la ricerca sul rischio permettono di comprendere perché gli esperti
che si occupano della percezione e valutazione del rischio e delle strategie
del suo trattamento, siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di
statistica, di economia (in particolare per i settori relativi alle teorie
della scelta razionale, del calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia.
Persino il tema comunicazione sul rischio viene trattato da specialisti che
hanno questa formazione. La sociologia si è occupata fino ad ora
prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si formano nella
società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La scienza politica
ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano dal fatto che le
questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla
medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei modi in cui la morale
dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al calcolo
razionale. Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul rischio non
riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione dell’agire decisionale
che alla determinazione di possibilità ulteriori degli stessi ambiti
decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso in cui il
problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti dai
modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie
psicologico-individualistiche. Integrazione teorica. Tanto dal panorama
delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci scaturisce un
considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni innovative che è
possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della ricerca dipendono dal
fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile una concettualità
teorica capace di rendere possibili questi riferimenti. Il concetto di
rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti della
relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei
problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di
delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si
utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni
quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul
piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali distinzioni
il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio. La
distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in quanto
opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere riempito
empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo un
concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le
decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio.
Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio;
d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della
sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme. Per questo
sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio
utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale
contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si
potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una
decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di
una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe
allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili
vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di utilizzare
la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e saldamente
sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme plausibilità al fatto
che nella società moderna la maggiore coscienza del rischio sia correlata
all’accrescimento delle possibilità di decisione. Beck, Risikogesellschaft. Auf
dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., Beck, Politik in der
Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M.,Covello, J. Mumpower,
Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk Analysis, NATO
ASI Series, Berlin-Heidelberg, Douglas, Come percepiamo il pericolo.
Antropologia del rischio, Milano, Douglas, Wildavsky, Risk and Culture. An
Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers, California, Evers,
Helga Nowotny, Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung der
Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., Giddens, The Consequences of
Modernity, Stanford, Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir
ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences sociales, Hijikata,
Armin Nassehi, Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos,
Opladen, Johnson, Covello, The Social and Cultural Construction of Risk,
Dordrecht, Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches
Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter
Gesellschaften, Stuttgart, Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz
Jarmai, Risiko-Dialog, Köln, Krücken, Risikotransformation. Die politische Regulierung technisch-ökologischer
Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen, Luhmann, Sociologia del rischio,
Milano, Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York,
Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London, I titoli contrassegnati con l'asterisco sono
disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito
presso la Biblioteca del Collegio San Carlo. Presso la sede della Biblioteca,
dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la
registrazione. Grice: “Giorgi
understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to
provide a moral background for it, which is okay with me, since being
trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does!
It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of
legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral.
It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR
conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go
both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best
way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the
other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law
has to be considered historically, since if there was something the Italians
are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il
giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Giovanni: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della civetta di Minerva – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Grice: “The Italians love ‘divenire’ as in
‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a princess, ain’t Mary
being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write an essay on Marx on
cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian philosopher HAS to
philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni calls what I would
call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno. Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno
1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di
via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste
parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello
Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la
tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.
Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza
come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe
sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx
dopo Marx” (cf. Luigi Speranza, “Grice
dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo
di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua
potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” –
istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito
democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni
a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della
sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli -- Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia.
Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis, La parabola di Giovanni. Il dibattito
Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte
le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà
tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire
è eterna di SEVERINO Gentile e assassinato perché e la voce più autorevole e
convincente del fascismo. Eppure la sua filosofia è la negazione più radicale
di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più
potenti — non è esagerato dire la più potente — della filosofia del nostro
tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si e accorto — forse gli assassini di
Gentile non lo sanno neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica dominante,
che mai riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo.
Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della
scienza, l’attualismo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della
tecnica: rende possibile il dominio planetario della tecno-scienza, ancora
frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di
queste affermazioni. Il saggio di G. Disputa sul divenire. Gentile e Severino
(Scientifica) è un grande e suggestivo contributo al loro approfondimento —
come d’altronde c’e da attendersi dalla statura culturale e sociale
dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa
mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni
verità siffatta resti travolta da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè
si trasformi, muoia: divenga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose
che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno
distrutte: era innegabile solo provvisoriamente. Esser convinti
dell’inesistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti
dell’inesistenza di ogni Essere immutabile ed eterno. Dio è morto, si dice. La
negazione di ogni verità assoluta e innegabile non investe dunque l’esistenza
del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il
divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno),
proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni
altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più
rigoroso (mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva
essere la configurazione inamovibile dello Stato). Ma è appunto per
quell’estremo rigore che G. rileva, a ragione, l’incolmabile contrasto tra la
filosofia di Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè
che la verità assolutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel
presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca
dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più
sconcertante delle affermazio- ni. Che però de Giovanni considera fondata con
altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto
Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della
propria prospettiva di fondo, per la quale l’esi- stenza umana è, da ultimo, un
contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato
dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo
avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e
la mia, ci dev’essere in entrambe un vizio o più vizi di fondo che non possono
venir estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de G. lo
fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a
me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra
sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a G.. La sua prospettiva — qui sopra
richiamata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente
innegabile o una proposta dove non si esclude che la verità innegabile esista
da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che
anche per G. l’unica verità
indiscutibile sia la storicità del reale, cioè il divenire che travolge ogni
altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi
nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E
infatti de Giovanni mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella
condizione mortale dell’uomo», se la morte non sia «la prova inconfutabile»,
l’irrefutabile cogenza che l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla — e anzi,
lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il
fatto che l’uomo muore. Il contesto in
cui G. avanza queste domande-affermazioni è incommensurabilmente lontano
dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa
sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti,
ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo
ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un
venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché
mostrano che questo andirivieni non è un «fatto». Provo a chiarire. Che il
dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia
un «fatto» si- gnifica che se ne fa esperienza. Certo. Si fa esperienza
dell’orrore della morte, che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la
morte sia un andare nel nulla non crede (è impossibile che creda) che l’uomo
vada nel nulla ma, insieme, continui ad essere un fatto che appartiene al
contenuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli
apparteneva prima di annientar- si. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro
che sono andati nel nulla, e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane il fatto in
cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser
stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur
avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato
niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che
non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia
avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato
nien- te. Di questa sorte l’esperienza non può che tace- re. Cioè
l’annientamento non può essere un «fat- to». (E se il cadavere viene bruciato
e, come si di- ce, «diventa cenere»; allora anch’esso, come tutta la vita
passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo.
Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può essere
l’esperienza ad attestarlo). Ci si convince dunque che la morte è annienta-
mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno
consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle
configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano col- piti dalla
loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a
risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles-
sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato
niente e si crede di sperimen-tarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di
tale fede e, con la propria «teoria generale dello spirito», dimostra nel modo
più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che
l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta
di una dimostra- zione, di una «teoria», non della constatazione di un fatto.
Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto
ciò che esiste è eter- no, non è un «paradosso» che «si scontra» con
l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muo- re». All’opposto, a scontrasi
con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare
l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non
c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando
qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non
viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto de Giovanni
deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta
la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei
scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande atten- dono la mia
risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività
Biagio de Giovanni ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una
notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per
certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una
tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia,
storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di
carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con
cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che
è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una
postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario GentiliBiagio di
Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire
della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia
– stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione
conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
Grice e Giovenale:
la ragione conversazionale e la satira del filosofo – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Renowned for his satires in which it is
possible to identify a variety of philosophical interests, if not influences. Decimo Giunio Giovenale. Giovenale.
Grice e Giovio:
la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Nola). Filosofo italiano. The son of Paulino di Nola. From a
letter written to him by his father, it appears that he was a keen student of
philosophy. Giovio.
Grice e Giraldi: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- filosofia ligure – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ventimiglia). Filosofo italiano. Grice: “Only a Ligurian philosopher
would philosophise on Hegel’s real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One
good thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the
most charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic
essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like
Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but
Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio
di Pinocchio’”! Il padre, originario di Dolceacqua e di
estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo
al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e
religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove G. stesso
nacque e trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli
soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla
sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre
la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in
questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa. Con una bugia astuta riuscì a scappare di
casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro
collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì
a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non
frequenta le lezioni delle materie filosofiche curricolari, ma studia per conto
proprio. Tuttavia sigue abbastanza regolarmente le lezioni di PONZO, anche se
non e materia d'esame. Si laurea e presta servizio militare durante la seconda
guerra mondiale. Si laurea in filosofia discutendo molto animatamente la tesi
con Spirito, il quale ironizzò sulle sue
pretese di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo
dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di CONSENTINO,
che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche
l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna
mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto
prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi
hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo
antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di
mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza
di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla.
Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di
sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi. In “Etica del sentimento”, ancorando il
principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento
di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del
sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In “Gnoseologia del
Sentimento”, parte proprio dalla posizione del CONSENTINO per ripercorrere gli
itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli
aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In “Filosofia giuridica” espone la
concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico,
condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto
naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la
precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti
religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della
riflessione su temi politici.“Storiografia come rettorica” tende ad inquadrare
l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente
con la tesi di CICERONE della “historia opus oratorum maxime” e con quella
aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si
differenzia da quello della necessità. In “Epistemologia” invoca una
demitizzazione anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate
(l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero
pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli
apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli
scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il
concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una
sottintesa sostanza soggiacente. In numerosi saggi dedicati alla religione,
analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il
proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di
una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della
morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che
viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza. L'analisi della religiosità tenta perciò di
emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato
assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia
Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in “Immortalità
dell'anima” mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del
Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il “Dizionario d’estetica
e linguistica generale”, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune
successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per
l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di
ieri e di oggi". La proposta
avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione
sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le
distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di
aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo
porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto
la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita
ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non
esistenza. Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse
incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un
patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto
di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione
del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità
di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti
sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al
massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce
continuamente ad essa, particolarmente nella negazione. Non potendosi dare una irruzione nel
trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale,
in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Si
considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero,
spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza “ideante” (significans). Tuttavia,
differentemente dalle posizioni di Gentili, non crede che affatto il pensiero
sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il
Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non
mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la
scelta e la decisione. Distinguendo le
scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al
termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione
autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di
afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità
di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente
secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad
ogni forma di scelta. Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale
riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta
avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà
vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a
partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o
quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di
Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una
rivitalizzazione delle esperienze antiche.
La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria,
di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui
considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare
ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a
chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso
un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e
Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe
rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe
connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la
scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle
dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente
umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione
della sua esistenza. Chi ammette
l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione
"guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non
daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e
rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà,
definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere
generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo
dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di
pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti
attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto
solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli
umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di
una autocoscienza morale. Bàrel Dal
punto di vista poetico, l'opera principale di G. è il “Bàrel”, sorto
dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo
finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura
di Lord of the World di Benson e dell'Apocalisse. Il Bàrel, presentato a Giovannetti de Il
Giornale d'Italia, che propose come titolo “Il Dio Eroico”. Gli anni seguenti,
segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in
prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, e proposta a vari editori
ma che per una serie di sfortunate coincidenze Mondadori non dispone della
carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla
pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallì l'idea
di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi
sono pubblicati frammentariamente. Ri-ordina le due versioni in una unica opera
che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo
sperimentale. La pubblicazione avverrà sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in
raccolte unitarie successive. Il tema è
insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo,
non è di semplice accessibilità. Se può essere collocato in un momento
simbolico dell'arte, è anche classico e romantico, nei canoni dell'estetica
hegeliana. Nel Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni
alle idee. In La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e in La morte
degli dèi, scende negli abissi vertiginosi della filosofia, che la poesia tenta
di inseguire.Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione,
Gheroni, Torino, “Etica del sentimento” Filosofia
dell'Unicità; “Gnoseologia del sentimento” (Pergamena); La filosofia giuridica,
Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia
dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana (Pergamena)
La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera
sistematica (Pergamena) Dizionario di Estetica (Pergamena); Studi nel periodico
Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria
dell'Ineguaglianza (Pergamena); Nel Pleròma. Da Dio alla Materia (Pergamena); Storiografia
come rettorica; “Autobiografia come filosofia” (Pergamena); Memoriale
Ambrosiano; “Memoriale Italico” (Pergamena); Dio, Pergamena Estetica della Musica, Pergamena scon
Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena
Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche
filosofiche La filosofia del sentimento di Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais
e l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico
bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino,
L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx,
Pergamena); “L’ESTETICA ITALIANA: figure e problemi” (Nistri-Lischi, Pisa); Storia
della pedagogia, Armando Roma "le
edizioni successive sono state scempiate da interventi dell'Editore riporta G.
in Sistematica); “La filosofia politica” (Pergamena); Adolfo Ferrière.
Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra
poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore
politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando
Roma, Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi
su Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali,
Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli,
Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena; Storia della
filosofia, Trevisini Milano; L'Italia nella dittatura e nella non democrazia,
Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile;
“STORIA DEL LIBERALISMO” Pergamena. Moltissimi saggi e studi di politica,
religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti
riviste fondate da G. stesso: L'Idea
Liberale, Sistematica, attiva sino al. Filologia; Giovanni Michele Alberto
Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A. Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento,
Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; PETRARCA viaggiatore; VINCI filosofo;
Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di ALIGHIERI in un poema umanistico
inedito; Il RINALDO di Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite
di Cecco d'Ascoli; Carrara, Pergamena, Carrara,
Armiranda. Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino; Carrara, III, De choreis Musarum, Pergamena Testo
latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. Carrara, Sermones
objurgatorii, Pergamena Sui tragici; Da mio diario filologico, Pergamena Filologia.
Teoria e saggi, Pergamena Su ALIGHIERI con verità, Pergamena MANZONI, in
Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei
"Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I.
Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi
aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena; Il figlio di
Pinocchio, Pergamena; Fratelli Frilli, Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri
Intemelii, Pergamena; Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus,
Pergamena; Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in
Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è
a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli
scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene MVSA
LATINA, Pergamen; IL RAMO D’ORO, Pergamena Scritti in Italiano, Latino,
Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena
Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus,
Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono
i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamen; TEVERE AMICO,
Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano
di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, “Faust mediterraneo”, Pergamena, Atlantidos
persis, Pergamena, Villon, Il Testamento, saggio critico G., Pergamena, Amitiés
françaises, Pergamena, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture
belle, Pergamena; Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La
Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale
della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per
il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di
estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle. Vive a
Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in
Termometro Politico; G. Pierre-Philippe Druet, Tissi, filosofo dell'ironia,
Revue Philosophique de Louvain, Dudley,
Sui tragici. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da
"Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in
Sistematica, Milano, Pergamena, Grimaldi, Illuministi inglesi, in Disegno
storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Ottaviani, La scuola del
Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, Semerano, La favola dell'indo-europeo,
Milano, Paravia; Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero
– essentia, meaning essentially nothing!” Grice: “Giraldi, who defended Gentile,
rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his
essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing
the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers
to Croce, Gentile, and the roots of
idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi.
Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia
romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia
ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da
dio alla materia, gentile, filosofo
politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Girgenti: la ragione conversazionale a limite
– l’implicatura conversazionale della metrica del filosofo – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. Grice:
Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so
it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy
seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is,
Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti;
obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in
verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about the metre – he
talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites all things! And
then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of the Girgentians to
call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’:
“From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your
decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” --
filosofo italiano. Siceliota. Nacque
da una famiglia antica, nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che
ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli
partecipò alla vita politica della città, schierandosi dalla parte dei
democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi
all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei
"Mille". La tradizione gli
attribuisce uno spirito severo verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi
esiliato nel Peloponneso. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia. Successivamente
Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre
anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano
sentimenti democratici. Anche Timeo
nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui -
dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento
politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti:
'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo
in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che
di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di
Empedocle. In un tempo posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese
civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si
rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone,
divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e
rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica
alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva
sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo
distribuì secondo la tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di
Brontino e di Epicarpo. La sua oratoria brillante, la sua conoscenza
approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra
cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno
prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome. coppiata una
pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino
fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, pensò
allora di portare in quel luogo a proprie spese le acque di altri due fiumi di
quelli vicini. Con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessa la
pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve
Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle
poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse
un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa
poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri,
compresa la distruzione del male, e il controllo di vento e pioggia. I
sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi
miracoli. Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono
alquanto discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla
sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi
amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli
dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e
Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna. Il
vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di
bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel
Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una biografia di Empedocle
scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la
tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla
medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono
giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”. Di
“Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa
400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo
poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe
di “Sulla natura”. “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti,
e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o
vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri
ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un
discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera
alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un
tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche,
pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda,
mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama
tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali e afferma che sono in tutto solo quattro,
associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni
orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la
Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:
fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione
delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa.
Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che
l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è
nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.” In questo modo, i primi principi si empiono
così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore
(Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e
il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina,
raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto
alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose
della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia,
Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere",
"avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di
"separare", "dividere" mediante la
"contesa". Così Amore
nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e
infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue
"membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo
l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente
alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto
e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate
e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi
e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla
fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate,
nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati
che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello
Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di
una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una
serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da
un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti
costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo. “È
vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da
vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un
delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila
stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura
mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto
dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre,
la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici
dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io
sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente
Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto?
Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento.
L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se
andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno
allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a
errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la
Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono
nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si
trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici,
poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo
ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata
secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal
che, come Pitagora, anche a G. ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione
carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo
ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro
esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che
commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo
sangue dei beati», ed G. dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione
che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità
della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo
immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano
l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara
l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il
padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro
carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è
stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione
naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della
reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta
mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali
incongruenze con la versatilità di G., scienziato e profeta al tempo stesso,
medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle
due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano,
identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo
stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. DICANTVR EI QVOS PHYSIKOUS GRÆCI
NOMINANT EIDEM POETÆ QVONIAM EMPEDOCLE G. PHYSICVS EGREGIVM POEMA FECERIT. Siano
pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il
fisico G. scrive un poema egregio (CICERONE, De Oratore) padre della
retorica (Aristotele) LUCREZIO (De rerum natura) lo prende addirittura
come modello. Renan lo definisce uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton
e mezzo Cagliostro. Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti,
dove studiarono, fra gli altri, PIRANDELLO (si veda) e Camilleri. Secondo
le discordanti fonti sulla vita di G. la cronologia andrebbe fissata. Cfr. GIANNANTONI
(si veda), “I pre-socratici” (Roma); Bignone (“Empedocle”, Torino); Robin; Schiefsky;
Platone, Parmenide, Diogene Laerzio; Timeo, ap. Diogene Laerzio; Aristotele ap.
Diogene Laerzio; Mannucci, “La cena di Pitagora” (Carocci); Satiro, ap. Diogene
Laerzio; Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN, e altri. Così nella letteratura antica, come riferisce
Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo. Grande
G. che, l'anima ardente, salta in Etna, ed è stato arrostito intero; Orazio, ad
Pison. , ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e,
giunto ai crateri di fuoco, vi si lancia e scomparve, volendo confermare la
fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente e
riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari e rilanciato in alto. Infatti,
egli e solito usare calzari di bronzo (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi). Cfr.
anche Eraclide Pontico, fWehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? -
Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un
eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere
un dio. Ma il fuoco rigetta una scarpa e il trucco e scoperto (Luciano di
Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale.
Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi
caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare
naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e
filosofia d'Empedocle gergentino, GERGENTI – non GIRGENTI -- ed. Bianco,
Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio; Haase,
Principat; Philosophie, Wissenschaften, Technik; Philosophie (Doxographica, Forts.;
ed. Gruyter; Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori. Jori, G. in
Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti
Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione
della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori
troppo sicuri di sé. Cardin, G., in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale,
Storia della filosofia romana. D-K. Kingsley, Misteri e magia nella filosofia
antica. G. e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le
quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto
(terra), e dell'umido (acqua). Le IV radici di G. risultano essere poi i IV
elementi di Aristotele e Tolomeo. Edoneo
è un appellativo proprio del dio degli
inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia; o anche inno omerico A Demetra.
Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome,
certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in G., Poema
fisico e lustrale, Milano, Mondadori; Valla. Secondo G., i due sessi (maschi,
non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature di natura integra,
che si sono a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro contenente
aforismi di G., consente tuttavia di integrare le due versioni, portando a
ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno
stesso saggio filosofico. E stata anche avanzata l'ipotesi che si tratti di
Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene
Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica
collocazione del bronzo all'interno della villa dove fa pendant con il bronzo
raffigurante Pitagora che e suo maestro (Museo archeologico Nazionale di
Napoli. “Sulle origini”. Ne conservavamo
CCCL versi.”Martin ha consegnato complessivi LXXIV esametri dei quali XXV coincidono
con quelli già posseduti. Ma da ogni
parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che
gioisce di avvolgente solitudine. (G., D-K); Poema fisico e Lustrale,
Milano, Mondadori; Tonelli, G., Frammenti
e testimonianze; Origini; Purificazioni, con i frammenti del papiro di
Strasburgo (Milano: Bompiani). Bignone, G.. Studio critico, commento delle
Testimonianze e dei Frammenti, rRoma, L'Erma, Bretschneider, Torino: Bocca. COLLI
(si veda), G., Pisa, La Goliardica, Traglia, Studi sulla lingua di G.”, Bari,
Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia di G.” Roma; Bretschneider,
La lingua di G., Bari, Levante, Volpi, G.: i suoi misteri rivelati in una
biblioteca; G., Milano,1. Filosofi: G.,
scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta,
Strasburgo, Adnkronos, Pigliando il nostro G. a trattar le cose naturali,
cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir setta e maestro.
E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la
moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo divulgato
gli acquista tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici
più famosi di sua età Democrito e Anassagora. I greci di fatto accolsero con
ammirazione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore G. e la
FILOSOFIA i lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina
sino a noi. Mancate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino
(GERGENTI, non GIRGENTI), chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato
costretto di rintracciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali
non hanno affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli
legando la sua filosofia. Anzi costoro così disparati li rapportano che si
possan tenere non altrimenti che rottami, da' quali non si puo il disegno
ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e
tortamente fatto conoscere la fisica di G.; ma nè pur bene e dirittamente
apprezzare la forza e la virtu della sua mente. Giacchè l'eccellenza de'
sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da
questo legame si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. G. inoltre scrive
in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando
alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero opinioni
assurde e grossolane. Illusi altri dall’immagini poetiche, che per lo più sono
equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i
pensamenti del nostro filosofo. Varie di fatto sono le forme, sotto cui ci
presentano G. i scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora
platonizza , e or favoleggia: e non ha gnari e, non so come, anche gridato qual
precursore di Newton. Sicchè G., tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato
sempre mal conosciuto, e SEMPRE CALUNNIATO. Volendo adunque richiamare in luce
la filosofia di lui, cerco e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per
avventura ci restano, e sparsi qua e là si leggono presso diversi filosofi.
Coll ' ajuto di questi, che sono gl’onorati avanzi della sua vera fisica, son
ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Perchè tra le
opinioni, che gli storici appongono a G., ho quelle scelto, che ben s'adattano,
e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? frammenti di lui,
e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto
in somma ciò, che suol praticara ma si da chi 'voglioso di restaurare un'antica
statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s'
incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non
è privo di senno, deve specialmente poter convenire a G.. Poichè Aristotele ci
attesta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch'
eran tra loro ben legate e concordi. Ho quin di fatto ogni sforzo per
richiamare alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando
da lui stesso, quando dall' autorità degli antichi filosofi, sempre mettendo in
accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da
maravigliare, se con sì fatto accorgimento,
libera il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto
d'abbozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi
delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè
oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i greci, cominciando da
Talete, s' occuparon tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono.
Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le
cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a PARMENIDE DI VELIA,
e a LA SETTA DI CROTONE. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno
delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed
intellettuale. PARMENIDE spiritualizza l'unico elemento degli Jonici; e pone
unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dice PARMENIDE, e tutto è uno;
sicchè le mutazioni della materia non altro sno per lui', che modi e semplici
apparenze. LA SETTA DI CROTONE dal mondo materiale rifuggi alla Geometria. E se
bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; púre l’ehbe quegli,
non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella geometria
legge i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le cose, che sono materiali;
e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se ingegni presi
da prima di maraviglia così pel filosofo di VELIA, come per quello di CROTONE;
e corsero tutti a loro insegnamenti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo
o metafisico, o geometrico, ritornarono naturalmente alla materia; e nasce la
filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno sono G.; Anassagora;
Leucippo e Democrito. Costoro calando dal mondo della SETTA DI CROTONE alla
materia materializzarono le unità di costui. Atomi chiamarono Leucippo e
Democrito i principj delle cose; particelle simili Anassagora; e G. col nome li
distinse di elementi degl’elementi. Ma in verità i loro principi altro non sono,
che le unità della SETTA DI CROTONE fatte materiali, espresse e indicate con
vocaboli diversi. Democrito lascia a suoi atomi l'indivisibilità, di cui le
unità della SETTA DI CROTONE sono fornite nello stato suo intellettuale. Questa
stessa indivisibilità secondo alcuni, nega ale parti simili Anassagora.
Differente dall'uno e dall'altro e per Aristotile l'opinione di G. Costui cerca
nella materia le sue unità, e dividendo e suddividendo i corpi giunge a quelle
molecole, che più non si possono dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli
colla ragione, e proseguendo la divisione delle molecole col suo pensiero,
s'accorse potersi queste sempre piu di nuovo dividere. Venne però affermando
che i suoi elementi degl’elementi eran divisibili, ma solo colla mente, non gia
col fatto. Distingue, così dicendo, le unità della setta di CROTONE dalle sue,
che sono materiali; e provvida in bel mo doalla durata della natura. Perchè
essendo i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione,
quelle debbono sempre durare come al presente sono. Tennero tutti tre que fisici
non che per cosa assurda, ma impossibile, la creazione dal nulla. Ne venne loro
in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni
qualità. Chiamano essi la materia senza forma, e senza qualità ciò che non è. Ciò
ch'è, dice G., è impossibile venire da quello, che non è. Ma diverse sono le
qualità ch’attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguarda
ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non
altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran
destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà;
così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle.
Per lo che trasporta egli le qualità delle masse a' frammenti di esse, e,e
ristandosi alle apparenze ricava, come suol dirsi, da grande in piccolo. Gl’atomi
per Democrito sono al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan
tra loro per sito, ordine, e figura. Idea, che ben si conviene alla semplicità
della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono
pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. G., ciò non o
stante, rigettò il pensier di Democrito; e volendo spiegare la varietà
materiale, de’ corpi, piglio, com’egli dovea, e genno consiglio
dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or
l'aria insieme e'l fuoco, diedero forma e qualità a ' corpi dell'universo. Da
questi e dal loro metodo si dilungo il nostro fisico. Studia egli i corpi, e
separandone le particelle cerca prima, e raccoglieva poi i loro componenti.
Però in luogo di fingere, ritrova ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a
capriccio componea alla maniera degli Jonici, na li analizza come fanno i
chiniici. Le sue esperienze, sono egli è vero, incerte e imperfette, come si
leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata
nelle fisiche ricerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica
era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' primi e rozzi saggi
del nostro G. sono da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era
tutto pratico e sperimentale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze
agginnse, a giudizio d' Aristotile, la terra all' aria, all' acqua, al fuoco,
e'l primo stabilì la dottrina de’ IV elementi. IV, dice egli, son le radici di
ogni cosa – I GIOVE (fuoco) II GIUNONE (terra) III PLUTONE (aria) IV NESTI
(acqua)-- figurando, sotto questi simboli il fuoco, la terra, l'aria, e l'acqua.
Per lo che nella sua fisica le unità materiali sono le parti, che diconsi
integranti de IV elementi; e questi le costituenti di tutti i corpi, che si
trovano in natura, Sebbene il fisico di Gergenti (non Girgenti – c’e un
Girgenti in RIETI) avesse distinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse
lor qualità. Pure in riguardo al fuoco l'ha e' tutte tre, come se state fossero
d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono,
secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario crede G. essere
propietà del fuoco d'assottigliare, separare, e levare ogni solidezza alle
particelle dell' aria e dell' acqua. Di fatto e sua opinione che LA LUNA si
condensa a cagione del fuoco, che da essa si parte, non altrimenti che avviene
nell'acqua, quando si riduce in gelo. E se il fuoco indura i corpi umidi, e
vetrifica talvolta i solidi, ciò accade per G., perchè scioglie e separa l'aria
e l' acqua in quel li dimoranti. Gli elementi dunque aria e acqua sono stati
solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l'ha alla liquidità, che
lor si conviene Non conosce, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per
via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato solido, o liquido,
o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro
fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto generarne tant'
altre, e allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l'
oscurità lascia più grande. Tal verita o affatto non e avvertita, o punto non e
ben compresa da’ filosofi d'allora. Aristotile si lagna di G., come di chi e ha
usato de IV elementi, non al trimenti che fossero stati II; contando quegli per
uno i tre, che questi avea realmente diviso aria, terra, e acqua. Anzi chi
furon dopo (quasi G. non già quattro, nia un solo elemento ha stabilito nella
sua filosofia) si diedero falsamente a credere il fuoco essere stato tenuto dal
nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa venne, e in cui ogni cosa
doveasi risolvere. Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che G. manifesta IV
poter essere gl’elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di
leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte
nella composizione de’ corpi, e ne' cangiamenti più notabali, che avvengono nel
nostro globo e nel la nostra atmosfera. Di fatto non più a capriccio come prima
si solea, s'accrebbe o diminui il numero degl’elementi, e tolta ogn'instabilità
tra le scuole, comune e, e ferma rimase la sentenza de' IV ele Conta area la
dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo
a posare lfisica. Questa G. ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e
fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende,
che si distinguono da' metodi, dalle opinioni, dalle verità, ed eziandio dagl’errori
che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gl’elementi l' aria,
l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica.
Altri ne sostituiranno i nostri posteri ch' al presente non si conoscon da noi.
Ma niuno negherà la debita lode al nostro filosofo che fondo il primo periodo
della fisica colla dottrina de’ IV elementi, e regola i primi debolissimi passi
dello spirito umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali.
Più alto senno, e più forza d'ingegno mostra G quando si mise a cercar le forze
che mettono in movimento la materia e gl’elementi. Si fatta 2, Dileta plaža
matukio ered ܐܐ
F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era stata sin allora
impresa d'alcuno. Anassagora, attese le sue particelle prive di moto e di vita,
non sapendo altro che specolare, ricorre al DIVINO; e colla forza onnipoten te
di lui agita e sospinse le sue parti simili, o loro impresse quel moto, che
queste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in
luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotele contro
lui si sdegna, e giustamente il rampogna. Basta a Democrito di fornire il moto a' suoi
atomi, nè cura di saper come e d'onde quello venne. Al più facilitò il
movimento immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente
dimenarsi; e particolarmente attribuendo agl’atomi del fuoco la figura sferica,
come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma
G. e il primo al dir d'Aristotele, che con molto senno in natura conosce due
come cagioni del moto degli elementi St & © S forze C 19 menti . Una di
quelle chiama AMORE, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio,
inimicizia, lite. L'amore di G. non è quel del la favola, di Parmenide di VELIA,
d' Esiodo, o d'altri fabbri di cosmogonia. E forse per costoro un principio
attivo che vivifica l’universo. Ma questa e un'idea, vaga, generale, e NULLA
UTILE ALLA FISICA. NON E COSI L’AMICIZIA DI G. La quale è una forza, fornita di
particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la
sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi
tra loro, e congiungendosi formano a mano a mano le masse. Masse che vie più
van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una
all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, dice G., si aggiunge ud aria, etere
a etere, fuoco a fuoco in modo che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte
del pari dall’amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra loro,
e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la
materia si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza
diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera. Perchè è propietà peculiare
dell’amicizia di ridurre le cose che son più a una sola. La forza quindi per G.
simboleggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa che
oggi da’ chimici si chiama AFFINITA. L'odio, non altrimenti che l'amore, è
parimente intriseco agl’elementi de' corpi, ma le qualità d'uno son del tutto
opposte a quelle dell'altro. Tende l'inimiscizia a disunir le particelle
congiunte; sciogliendo le masse, e scomponendo gl’aggregati. E' singolar
propietà di quella ridurre l'uno in più: tal che se l'universo fosse una sola
massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quanto
sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per G. son
e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiama egli
anche il FUOCO inimicizia; perchè questa come quello distrugge e separa ogni
cosa. Dą ambidue queste forze tra loro opposte, d'ailinità una, e dissolvente
l' altra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro G. ne rica il moto ne'
corpi. L'amicizia sollecita gli elementi all'unione tra lor l'avvicina, e nell'
avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le
molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le
muove. Forze adunque sono l'amore, e l'odio del nostro fisico; come quelle che
avvicinando o respingendo gl’elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente
son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono
i corpi in natura. Ma come sono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e
odio, di lite e concoradia; sono state mal comprese e capricciosamente
interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze IL DIVINO (“GOD IS LOVE”) e
la materia; altri: l'ordine e'l disordine; il bene e' l male. Chi la luce e le
tenebre; chi l'Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili. Tanto
egli è vero che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiuria alla sua
filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il nostro fisico, han que signorie;
ma alternanti e separate tra loro. Comincia l'impero dell'odio, quando finisce
quiel dell'amore, e declinando la signoria dell'inimicizia, l' amicizia ritorna
a' suoi primieri onori. E come una sifatta vicenda non ha mai fine; così
costante si mantiene il movimento in natura, e gl’elementi in eterno s'uniscono
e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole impero dell'odio e dell'
amore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il
cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le
voci d'impero e signoria, che son propie della poetica, si potrebbe la
filosofia di G. raſfigurare nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i
ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi
or preva le la forza centripeta e viene a farsi maggior la centrifuga; or
prevale la centrifuga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè
alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e
discostano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche.
Tale dell’amicizia, e inimicizia di G.. Come gl’elementi s' uniscono; comincia
a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gl’elementi
dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo
che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gl’estremi dell'odio
occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge G. fa
e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la
necessità, o l'antico giuramento degli dei. Ma il fato del nostro filosofo non
è quello de. gli Stoici, o dei VELINI DI VELIA. Egli null’altro indica colla
parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.
la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputala
materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio
volea dover sempre e necessariamente operare. Gl’elementi secondo lui o son
separati, e ſrettolosa corre l’amicizia a unirli; o sono uniti, e impaziente va
l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l’'altra di congiun
gere le cose separate, o segregar le congiunte, l'amore e l'odio, mutata natura,
non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così
necessaria l'eterna vicenda delle due forze, come invincibile si stima il
decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionario del nostro
filosofo altro non significa che l' intima indole, e l'immutabile natura delle
due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse
introdotto nela la fisica il fato é la necessità. Posti questi principj va G.
squadernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di
la conta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agl’uomini le sublimi
lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'universo;
perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore,
tutto in altra forma trasformato risorge, L'accozzamento di parti, che son
disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è
la morte, La natura quindi null’altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è
eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà
il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo,
e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz'alcuna fer posa uno in un
altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti
continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria.
La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual
sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parla G.
nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio
cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il
caos immaginato sol da' poeti. Lo stato di confusione e di caos pel nostro
fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura
quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazione: amicizia e
inimicizia: nascita e morte. Passando G. d'una in un ' al tra idea strettamente
lega i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne’ IV elementi; così
i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla
ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi anda ricercando in che, e.come
si differisser tra loro. Tal diffrenza ei rinvenne con gran perspicacia nella maniera
diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè
la terra, nè’l fuoco che distingue le cose; ma la misurata lor mescolanza; in
breve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti.
Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche,
dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van
figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi dei. Non
altrimenti fa la natura. Ha ella, come IV colori, che sono i IV elementi, e va
coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini,
piante, animali, donne leggiadre, e chiarissimi dei. Tutto lo studio di G. e
quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cerca la ragione, in cui stavan tra
loro le parti componenti. Per chè e persuaso, che la loro varietà venne, ed era
tutta riposta nella varia proporzion degl’elementi. Aristotele che ammira un sì
bel pensamento da a G. il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità. Non
si può quindi negare il metodo di G., come quel lo, che volea l'analisi de'
corpi, esser chimico; chimiche esser le forze amore e odio, che inprimean moto
alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز
کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla
proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura.
Può ora essere a chiunque manifesto G. il primo aver delineato il sistema
dinamico, che oggidi leva tanto rumore in Alemagna. Pone questo sistema alcune
sostanze semplici e primitive, che colle loro diverse combinazioni producono la
varietà de'corpi. Questo stesso fece G. ammettendo i primi elementi, e
combinandoli in varia e differente lor proporzione, Forze attrattive e
repulsive vogliono i Dinamici; e G. immagina affini tà e forza dissolvente, o
sia odio e amore. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si
fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attrattiva colla
repulsiva; anche G. dice che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi
pronta a vincer l'amicizia nel tempo opportuno. Ma io non mi maraviglio punto
di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gl’uomini gireranno sem
at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sempre a riunirsi
nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che
illustrar non si possono con osservazioni e co’ fatti. Perchè limitate essendo
le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue
combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sempre in iscena più
o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gl’antichi vollero
rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagina il sistema atomistico;
G. il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è
risalito in alto il sistema di Democrito, e quel di G. in Alemagna. Dobbiamo
persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre
opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll'esservare ed
espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consuetudini della natura. Questo
metodo per avventura non e ignoto in quella stagione in Gergenti. [NON
GIRGENTI, come oggi] Anacrone l'amico di G., poste giù le ipotesi, fonda la
medicina sull'esperienza, ed e capo della setta empirica. Il nostro fisico
cerca e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de'
lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor
carattere, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell'aria la qual
si respira. Non è quindi da maravigliare se G. s'occupò, come allor si fa, su i
principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della
nascita del mondo e in que' tempi un'introduzione, che si stima necessaria alla
fisica. Niuno affatto potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse
ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi
dalla creazione del mondo. Molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran
tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie sono un lavoro più di fantasia
che di ragione. Si fatti lavori meglio che cosmogonie potevan chiamarsi romanzi,
in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che
dimostrare; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. G.
dunque al par degl’altri intese alla formazion dell'universo; svolgendo e
dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Da prima nascita all'etere,
indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'aria, l'atmosfera;
indi le piante, gl’uomini, e gli animali. Pose più diligenza e più tempo a
formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gl’uomini
colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica materia, in cui tutti
si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser
presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a poco
a poco idea egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini,
prive di moto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza
generazione di poi furon distinti i maschi dalle femmine. Nella quarta s'
ebbero degl’uomini, che nascono gli uni dagl’altri; perché, distinto il sesso,
si mosse il carnale appetito. Le piante secondo lui fitte restarono in terra
per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un
abituro conveniente alla loro natura. Queste cose sconce, incredibili, e
simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sotto silenzio, se
non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito umano. Il
quale ardito, com’egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non
che della religione, ma della moderna deparata filosofia, a dì nostri va sempre
fisicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adotta gl’errori del nostro
Empedocle, e certamente da lui ha a trarre l'idea della successiva perfezione,
e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fa nascere i vegetabili
prima degl’animali nel tempo e nello stato, che le cose sono imperfette.
Entrambi del pari segnarono gl’animali essersi a poco a poco svieluppati, e
aver tratto tratto acquistato quella perfezione, di cui oggidi son forniti.
Vogliono tutti due, che dal principio i sessi fossero stati confusi si negl’animali
che negl’uomini. Ambidue affermano che l’universo giunse al grado di sua
perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gl’animali gl’uni dagl’altri.
Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei filamenti, che da origine
a tutti i corpi, che sono organizzati. E parimente e opinione di G., che unica e
la pasta da cui vennero vegetabili, animali, uomini, e Dei. Tanto egli è vero,
che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s'arrogano le
speculazioni degl’antichi. Nella cosmogonia di G. siccome a chiunque è
maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa il divino. Ma così pensando,
intendea egli di recarle onore più presto che ingiuria. Avendo egli la materia,
come allor si pensa, per cosa vilissima, teme che la sapienza si fosse bruttata,
se avessé preso a ordinare cose, che son del tutto materiali. Per lo che a
intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invoca il caso,
e commise gli elementi in poter della fortuna. In sì fatti grossolani
sciocchissimi errori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia
e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del
mondo. Il caso, fantasticano essi, siccome racchiude in se tutte le
combinazioni possibili ad avvenire. Così tra le molte, e assai e infinite, che
son mostruose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dice
G., sono state le forme, che ha preso teria, e senza numero le combinazioni
degl’elementi. Ma queste si son succedute senz'alcuna posa sin dall'eternità, e
forse non han potuto durare perchè prive sono state di regola e simmetria. Dopo
tante é tante strane vicende, gl’elementi in fine, conchiude egli, essersi
disposti in la ma quell'ordine, che il
mondo ritiene, e da tutti con ragione, s’ammira. Dal caso a dunque G. forma
l'universo. Al caso attribui egli quel che privativamente è sol propio della
sapienza e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un accidente sogna egli
essersi condotto il presente ordine, ma dopo lungo, vario, e successivo
disordine. Queste idee và G. adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica.
Figirra egli mani, piedi, gambe, busti, occhi, braccia, spalle, teste di
animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si portan qua e là únendosi-
senza regola, e senza misura. Ora egli vede petti senza spalıe; teste senza
cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli,
occhi a spalle, teste å gambe, dita a fronti, e altre irregolari unioni. Quando
immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota
nell'uomo l'impronta della pecora, e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36
1 1 a i G. in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di
mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma
dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra
nelle proporzioni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque,
ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e
ben disposte macchine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforza il
nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo. Facendo come chi gli occhi
s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti quanti gli
tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo il quale
spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto accidente.
Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano tutte le sue
parti; un sistema tutti gl’esseri, che tra loro legati corrispondono tutti al
gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti varj e multiplici de
corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi; le quali nascono e
derivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni sistema indica
combinazione, e questa suppone DISEGNO – H. P. GRICE, GENITOR, ENGINEER -- e
architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch'è un grande e
maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non ammirar la
mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così perfetto, qual
dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se l'universo non
mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o piccolo o
lontano di casualità; chi senza empietà o stoltezza, potrà riconoscerlo per
opera del caso e non della mente d'un Dio? Ma senza più travagliarci a
dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un sommo fattore, oltre
all'essere scritta nell' animo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per viene da
ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente divina con
singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la materia, niu.
no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alza allora un tempio a Dio,
qual supremo fabbro degli esseri, e onora quel filosofo del soprannome di mente.
Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà sempre i lunghi ragionamen
ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta con orrore le cavillazioni
degl’atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un eterno fattore, ma poco o
nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti, che vogliono dimostrarla.
E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa la somma evidenza, di
quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar più tosto che ras sodare
co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia illuminata. G. e Democrito
sebbene fossero stati superati d’Anassagora, perchè non già una mente divina,
ma il caso avesser posto, come autor dell'universo; pure son degnissimi d'onore
per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li pensamenti nelle fisiche discipline.
Poté Democrito per sua particolar virtù concepi re egli il primo un sistema
meccanico del mondo, fondato sulle propietà de' corpi, o sulle leggi del
niovimento. Valse G. per forza di sua mente a immaginare anch'egli il primo un
sistema chimico dell' universo, che posando su i quattro elemen ti, è regolato
da forze, e sottoposto alle leg. gi dell'affinità. Ambidue tennero in onor
l'esperienza, che certo e naturalmente con duce alla scoperta della verità. Se
chi do po lor filosofarono, fossero stati poco più sensati; avrebber dovuto
mettersi dietro la loro scorta, e collegare insienre i modi chi mici di G. e i
meccanici di Democrito. Si sarebbe allora abbreviato il corso degli errori, e
anticipato il principio di quella filosofia naturale, che fa tant' onore a '
nioderni. Ma le sette smarrirono i filoso fanti d' allora, e costrinser costoro
tanto più a errare, quanto più essi s' attennero alla metafisica, e si
scostarono dall'esperi. mentare e asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17
bile su 40 secoli, perchè venisse in grande stato lo studio della natura.
S'apparteneva veramen te a'nostri tempi, che congiunte chimica e meccanica
avesser portato la fisica a quel grado d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è
sempre da confessarsi G. e De. mocrito aver gettato i primi semi di que'
vantaggi, che cal favore del tenipe la fi. sica ha oggi ottenuto. Le opinioni di
G. sų gli ele menti, e sull'origine delle cose, se non son vere, almeno non
sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla sua filosofia. Splen dono tra gli
abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un metodo sopra ogn' altro riluce,
che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli errori de' tempi non gliel' avessero
contrastato. Ma non è così, quando il nostro filosofo alle cose si rivol ge,
che trattan d'Astronomia. I suoi sen timenti su gli astri sono altrettanti
assurdi. G. il fisico pare altr' uomo, e tut. to diverso da G. astronomo. Tal
differenza, che veramente è notabile, se 1 le scoperte, 41 non m'inganno, nasce
da ciò, che la sua fisica si trae in gran parte da' frammenti de' poemi di lui;
là dove le sue opinioni astronomiche ci vengon quasi tutte dagli Storici degli
antichi filosofi. ' Non senza ra gione quindi si può sospettare, che i suoi
pensieri non sono strani e deformi, quan do egli stesso l'annunzia; e al
contrario pajono sconci ee mostruosi, allorchè altri parlano in vece di lui. E
maggiore tal congettura, qualor si considera que compilatori essere stati
grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro affastellano in confuse opinioni
de’ filosofi, e o abbreviando le mozzano, o interpolando le allungano, o pure
in qualunque altra manieria, senz’alcuno intendimento, ogni cosa deformando's
le alterano. Non è quindi duro a com prendersi, gli storici del nostro filosofo,
tra per l'imperizia delle cose del cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran
tutte fi gurate e poetiche, averne contraffatto la sua astronomia. Non si negan
con ciò gli errori, in cui egli per avventura avesse potuto cadere. So
benissimo l' astronomia dei Greci, sfornita.com'era in que' tempi d '
osservazioni, ridursi, tolto il nascere o trae montar d' alcune stelle, a una
raccolta d' antiche tradizioni, o di opinioni bizzarre. Si conviene pure
Empedocle aver potuto di: re il movimento del Sole essere stato da prima più
lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si concede altresi aver lui potuto opi nare
l'asse della terra aver pigliato una po sizione all' Eclittica inclinata, che
prima non avea: (usanza de' cosmogoni acconciare a lor talento le parti
dell'universo, e condur le allo stato, in cui ne' suoi tempi si trora no ). Ma
non si può affatto credere, Empe docle aver tenuto i tropici quasi due mura
glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto a torcere il suo cammino; e aver
segnato și fatti circoli non altrimenti che due confi. ni, che impediscono il
Sole camminando verso i poli d'oltrepassare il suo termine. Chiamò egli que
circoli con linguaggio fi. gurato i confini del Sole; perchè a quel li il Sole
giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga. In breve intese egli indica re
l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio in cui il Sole fornisce l'anquo
ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com putava allora da’ solstizj, i quali
dall'om bre osservar comodamente si possono coll? ajuto dell'ago. Con tali e
simili sconcezze si è guastata l ' astronomia di G.; Però se tra per difetto di
memorie di lui, e per ignoranza degli storici, ė, ben diff cile d' indagar ciò
che G. penso sul. le cose del cielo; è assai più difficile sa per, ciò ch'egli
non disse, e a torto a lui appongon gli storici, Temendo gli Ateniesi, che la
terra fosse stata un'abitazione mal soda, furon solleciti della sua stabilità.
Provvidero e glino alla propią sicurezza, e a quella del genere umano: ma colla
sola fantasia a modo del volgo. S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte,
le cui barbe vanno a profondare e perdersi negli ultimi lontani confini dello
spazio. Assegnarono ina sieme alla terra già divenuta nionte il suo vertice di
forma rotonda; e quivi loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A
mente dunque di quel popolo il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra,
che nol poteano; ma spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel
verti. ce. Questa opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea
contra star da filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno
di chi osava sen tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro
chi avesse tentato di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere
umano. I filosofi d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli
altri soglion fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo
crede van lo stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte,
le radici, il vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro
filosofo, che molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid
contro sì fatta sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45
tice.e aspramente ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della
ter ra. Chi, dice G., tali co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no
dell'universo.; Altri e lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d'
Empedocle intorno al la terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel
centro di questa. I sassi i dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che
la virtù di quel fuoco avea in alto levato. L'acque, che sorgon terma li,
quelle sono, a suo credere, che sotter ra scorrendo piglian calore dal quel
mede simo fuoco. G. in somma im maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen.
brale, che Buffon, non è guari, più bel la e vistosa ha richiamato alla luce.
Pensavano gli Jonici, che la terra sospinta dal vortice che occupava tutta la
sfera, era stata condotta nel centro di ques sta. Ma non sapeano essi
comprendere, come quella, sfornita d' appoggio, ben li brata si stesse nel
punto di mezzo. Timidi quindi i filosofi al par del volgo, ne dilatavan la base,
e tormentando i loro ingegni si sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete
avvisò la terra restar sospesa nell'aria, non altrimenti che un galleggian te
sull'acqua, Democrito e Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va;
aifinchè l' aria quivi sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza.
Parmenide di VELIA credette sostenerla col principio della ra gion sufficiente.
La terra a suo pensare stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la
portasse per questo più tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si
dilung) da co storo, e con altri principj prese a spiegar sie la stabilita.
L'acqua nella cosmogonia di lui s' era separata dalla terra per l'im peto del
giro, che questa facea. Pe. rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del
pari secondo lui il cielo; è altra differenza non pose nella rotazion dell' una
e dell' altro, che nella velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel
centro; 47 1 rola, ando il cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo,
che in giri smisurati si volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella
stesse in aria sen za cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia;
l'acqua non cadrà, ancorchè nel girarsi si tenga capovolta. Tal è nella sfera i
La conversion celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al
moto dunque del cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il
suo rotare, e lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par
degli altri; perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al
suo cen. tro. Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare
ne' fatti la ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della
secchia, che pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per
l'antichità, aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a
pensar giusto, ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver
potea l'idea vera e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48
d he Te la forza. Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da G. essersi ben
dimo strato la velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era
fatto, non forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani G. e gli
antichi di cono scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante
opinione, i corpi a cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi,
fuggir dal centro se leggieri. Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion
della forza centrifuga, gli si deve certamente quella concedere della rotazion
della terra. Opinione era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in
ve rità della nostra Sicilia Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa;
ma sin da tempi antichissimi G. l'insegno nella nostra Gergenti – e NON
GIRGENTI. Avea il nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della
stessa natura. Opinava egli quello e queste esser di fuoco. . Ma non perciò è
da credere, ch ' ei tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1
fuoco terrestré. Non sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per
altro è ignota anche a noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava
nella sua sfera le sottili sue particelle. Queste ei credea, che dal Sole si
moveano, e pro gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea,
va prima nel mez zo, e poi perviene sino a noi. An ticipava così la scoperta
bellissima della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Giove doveano in
tempi avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e
senza ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo
de' sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che
coll' andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità.
L'emission della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne G., e cui oggi s' acco
stano chi non vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d '
alcu ni è rigettata, e in que' tempi era ancor contrastata. L'ipotesi che il
Sole quanti raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi
credere a parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente
impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi.
Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce
solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi
d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare
con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono
vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la
perdita diurna delle particel. le solari. Ma G. in un modo, che se non sarà
forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero
alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi
dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi,
ritornano al Sole. Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission
perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. G. quindi
potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una
volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i
sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli di G., uno
invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si
guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi
invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla
terra. Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del
nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà,
che s'oppose a G. ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce.
Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio
astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu,
e poi non g è più. Empedocle a
rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche
sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di
cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare
s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel
punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma
rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva
propagazion della luce. G. ha la Luna
come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse.
Plutarco a lui solo, mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver
divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli
raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma
insieme straniera. Una lu ce straniera, dice G. qual poeta, circola intorno
alla 'terra. Ma G. ebbe la disgrazia d' aver avuto guastato ogni suo sentimento.
Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da G., ricavo,
non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma
buon per noi che ci sia re stato il verso di G., che smentisca
l'interpetrazione di Tazio: Anassagora per dare una misura del So le riferì la
grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo,
cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole
fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte. Ciò non
ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene
ambidue fossero appariti dello stesso diametro. In somma l'ineguale distanza fu
per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò
essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che
allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima di G., ed egli fu e
il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani doverci comparire piccoli più
de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non
solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri
apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i
periodi lunisolari, da cui nacque, e s’avanzò l'astronomia de' medesimi. Si
potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi
losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si
mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a G. una gloria o dubbia o
sospetta. Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui
li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual
autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il
nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello
come opera d'ignoto autore e non di lui. Io non discordo da loro; anzi confesso
non essere stato G. intento a osservare, 1 1 come si conviene nell' astronomia.
In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella
la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre
precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà.
Però non è poca la gloria di G. nell' aver conosciuto la ' successiva pro
pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è
scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse
tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e
Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi;
pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua
età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati
e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una
fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia.
Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il nostro filosofo, che
immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura.
La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il
peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di
strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare
il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di
minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi
nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e
l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa
appunto fu la macchina di G., che nelle sue ma ini diventò indice e misura di
fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla
clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e
postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora
l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C quanto la donzella prema, e travagli, la
clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza
le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ecco l'acqua che sale, e giunge
alla cima. Proposta l' esperienza, G. ne' suoi versi ne soggiunge lo
spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra,
colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena
la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall'
aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don
zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli
ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin
della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè
l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua,
lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano
con fretta; ed ecco l'acqua goccio h re
il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo,
ſu agevole a G. spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si
sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla
sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la
mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria
soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle
propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante
furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti
fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti di G., non si sareb be
certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta
sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra
dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari,
allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que?
tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d '
esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di
scienza · Ne' versi di G. quindi il principio si trova, e la nascita dirò così
della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par di G.
piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati
presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini
cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi
di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio
ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che
impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene G.
avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza
stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippocrate
avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de
tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I
medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che
giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli
spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai
sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che
fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa
abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi
ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio
del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando
pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento
i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le
verita, che son degne non che di ricordanza, ma di stupore. Il seme, il sesso,
la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii
sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. G.
comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili.
Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili
a se. Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo
segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re
nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come
l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme. Attesi questi fatti
comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza
formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno
il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine,
e col medesimo impeto tendere al medesimo fine. Da sì fatto fine ad ambi comune
egli argomenta, come da un indice, comune dover essere la natura del seme e
dell' uovo. Ma G. forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo
a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la
natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia,
trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il
germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non
abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le
foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all'
embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due
esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i
cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel
seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali
da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col
soprannome d ' ovipare. Ecco avere G. svelato agli uomini assai prima d’Ar véo
tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti,
e Aristotile a G. solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e
gliela dan come propria. La fatica d’Arvéo, fu egli è vero, utilissima
all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando
di nuovo lo stesso ritrova mento di G., null' altro fece che as sodar vie più
colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior
l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del
tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro?
Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i
suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte
fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come
l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; così argomentò egli
del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco '
quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma
schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi
conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a
palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il
sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne
cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con
grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli
vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati
d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce
talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore,
che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli
altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo definì
tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e
poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron
la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. GERGENTI non
GIRGENTI. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il
pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si
van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno
spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i
suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle
ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni
cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante.
Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità
solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli
mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali
delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline
portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà.
Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che
come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi?
Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul
punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e
aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se
nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te,
che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione
a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma
certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione
si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta,
come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover
essere ermafrodite. Fil questo, egli è vero, un errore; perchè in al cune
piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero,
la più parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a
quelle, che sono androgine, e poligame. G. appresso, il mistero passo a
indagare della generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli
animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. '
Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle
analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion
formare del corpo or ganizzato. Il carnale appetito egli ri pose in quelle
particelle, che, separato trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono
naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del
parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita
d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia
in proporzione generazione i 2. del più o men prevalere del liquor semi nale
quando della femina, quando del ma schio. La ragione inoltre crede lui dare
della sterilità delle mule, che all' angustia attribuisce e obbliquita de
canali della loro figura. Varie spiegazioni va in com ma egli fantasticando,
che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se chi han tratta to della
generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui. Le molecole orga niche
di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il
filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o meno, false o tutte
immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane, s' avvide Empedocle,
poter avere anch'essa una parte nella ge nerazione. Ricordava ei delle donne,
che aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o pitture, cui quelle,
essendo gravi. de, aveano a caso fisamente guardato. Opinò egli quindi la
fantasia della femin na, non altrimenti del tornitore sul legro, na cose 2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar
forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare
l' immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene,
ato quasi secondo il linguaggio di G., che la fantasia o della femmina o del maschio,
giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia della prole
nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po da G. la
famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona chiuse del
tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men
dissimigliante tra loro, dice G., dover essere la nutrizione de gli uni e degli
altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli alimenti
scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato alla loro
na turá. Ciò egli credea farsi in ambi due per via dell'affinità insieme e de'
pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le cose amare all'amare si
uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink ei de 1 dis Tec cer ci alle
dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli esseri organizzati quel
pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può nutrire ciascuna delle propie
parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po ri. La nutrizione, egli è certo,
separarsi e dividersi negli animali, e ne' vegetabili per mezzo de' pori, che
son differenti in dia metro. Le particelle, dette nutribi li, è certo altresì
non potere indistinta mente entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna
insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza.
Un vino, egli dice, è diverso da un altro, attesa la differenza non che del
terreno ma della stirpe. Ecco come par, che il nostro filosofo avesse voluto
vie più assodar la sua opinione della forza dell' affinità, e de' pori, massime
su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo orga nizzato) i quali giusta
la propia organiz zazione han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon
capaci di saporé diverso. A senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti
co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia
ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari
re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de'
vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare,
con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi
veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che
maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo pensare non sono
mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità e diligentissima
è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i fenomeni del la
nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi generali, che son
propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di
trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli alimenti son
trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio ne've
getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን
muito con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la
maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi
darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e
tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento
mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero,
cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e
fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi,
Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel
se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che
applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e
gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti
tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o
il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie,
che dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e
al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e
spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e
robusti ritengon le foglie in inverno. Fonda egli la copia o scarsez za del lor
traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori.
Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de'
rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de'
rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I
secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie. Se una si fatta
posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle
osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco
fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell'
età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto
dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi
abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori.
Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o
larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur
tuttavia a G. in parte siam noi debitori della ragione, che mostra il come
dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui
allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza
nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto,
quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli
più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno
rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le
foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che
l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son
giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle
lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove. Da ciò
essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar
del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro
quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon
vedersi nudi nella stege sa stagione. Che perciò? i nostri fisiologi forse san.
no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe
al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni
le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si
voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si
travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no,
e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le
fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal
differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi
meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante?
E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de'
suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore,
il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono
altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a
quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli
animali si muv vano, resistano, si raddrizzino. Gran de com' egli era di mente,
e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo
con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra
loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo
specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi
qual che cosa del loro, G. aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più
è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero ed egli no procedendo più oltre' non
ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le
radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato
punto di assai profittar de pensamenti di G., cui mercè tira ta avanti la
traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo
nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli
anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par
delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre
) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian
te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando
di G. si sono fissati. Ciò non ostante no tante, e di tal momento le
differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato
possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa di G. alle medesime leggi.
Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a
dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore
mola il gran fenomeno della nuova produzione de' corpi organizzati. Questa
appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso
nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente
le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle
su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a
indicare la forza, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la
mancanza de' fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras.
sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che
vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell'
umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare,
scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda alcuno, ch ' ei qual
poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli
animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre;
finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega
mi sono immaginari e non reali. Molti sono i cosmogoni tra gli antichi, Ma G. solamente
s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli
animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse
ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze
delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro
Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI -- aju tava la sua mente, ch' altro non era,
nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa
suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder
somiglianze. Se dunque G. e col favor dell' analogia pro pose congetture, che
poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dirsi ch' egli fu
nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose
naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove
specolazioni, G., posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli
esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a
considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa
recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo,
cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. G., Anagsagora,
De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e
tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si
regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra
ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino
allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o
politico. Ma ' le fisiche ricerche di G. sull’ Uomo trapassarono di gran lunga
quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in
investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti
di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può dirsi
essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli il
primo applicò la chimica, e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li nee
d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a gettare
i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema di G. sulla natura fu
chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche sull'uomo.
Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor si potèa,
ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di parti eguali
di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di terra sono
formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati dall'aria. VIII
furon le parti, ch'ei distinse nelle cosa: due di terra, altrettante di acqua,
e quattro di fuoco. Se non si corresse un qualche pericolo di travedere, chi
non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di fuoco, perchè abbondan di
fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui dato principio con sì
fatte analisi a un novello rano di chimica Ramo, che dopo G. fu del tutto posto
in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con ardor si coltiva, e
che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di chimica de corpi
organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra ' Greci, che s '
applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co storo, vinti gli
errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a coltivarla De mocrito
in Abdera, e G. e in Gergenti, NON GIRGENTI. Descrive quest'ultimo la spina del
dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti che la carena del corpo
umano. Distingue egli di più inspirazione da espi razione mostra i canali per
cui si respira dalle narici. Ricerca egli inti ne l'organo del sentire, e
trapassando il neato uditorio, discopre quella parte dell' udito, che attesa la
sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e chiamasi anco ra la
chiocciola. Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni anatomiche, che per
sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco mostra il suo gran
sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse', il rottape d
' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la magnificenza di un
edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta della chiocciola
dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi scrittori', essersi il
nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che. Questa situata in luogo
riposto dell' udito non si potea discoprir certamente se non da chi fosse stato
molto prima versa - to e perito nelle materie anatomiche. Meno scarse son le
notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi dell’ Uomo: e che per fortuna
ci restano della fisiologia di G. Il sangue umano, come ciascun sa, sempre alto,
e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il calore. Ippocrate pien di
maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e divina. G. all'opposto eb be
il calore, come cosa ingenita e conna turale al sangue medesimo. In cid a lui
s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristotile, Galeno, e tanti altri, Ma egli
fu il primo, che a formare un sistema, trasse dal calore del sangue, come da
prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma certo artificiosa, delle
funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle arterie a véano gia indicato
al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma igno ta era a lui ', come
ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue. Però in ve ce di questa
suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione. Il sangue, ei dicea,
occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in queste va quello giul $ u
continuatamente oscillando. La for: che lo stesso agita, era secondo lui il
sangue si za calore:. e questo essendo ingenito al san. gue costante ne
mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò il nostro filoso fo
la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il sangue, ei dicea, va
giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne' sottili prominenti
meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell' andare si lascia in
queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị restarsi: perchè il
sangue, secondo G., spin to dal calore, e su tornando, preme dolce mente quella,
e fuori la caccia col suo ri tornare. Accade, seguiva egli a dire, ciò che
nella clessidra si osserva. Ivi l' aria respinge l'acqua, o da questa quella è
re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce o entra secondo che
il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare o venire del sangue
risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta forma, entrando, l
' inspirazione; ilscendo 'l' espirazione e nell’unal e nell' altra è riposto
giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella respirazione
esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio di G. una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi
medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e
matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il
nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità,
che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null'
altro essere, che dimi nuzion di calore. In quella parte quindi di fisiologia di
G. che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall'
oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor
son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in
somma e' pose la cagione di vita e di moto. La morte, egli dicea, è privazion
di calore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa,
a suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di
medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel
piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Gergentina –
GERGENTI, NON GIRGENTI -- caduta in asfissia conosce G., ch'ella era ancor
capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era
alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito
era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra
l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era
questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle
fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non
di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in
mente, che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al sanana?
gue e ne porga gran copia? Come potea G. anticipar specolando in que di tante
yerità, che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di
fatti, che allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po
che e imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma
tali schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli
degnissimi di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia
delle scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di
mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi,
e che del tutto s'igno rano. G. fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del
corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo
la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le
principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe
certamente lasciato ad altri la gloria d' accrescere queste utili scienze. Ma
nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo
opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni,
che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la
fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e
get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i
sensi dell' uomo, Andavano i Corpuscolisti indagando pra d'ogn'altro nella lor
fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son
fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in
alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran
queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri
organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse
spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che
impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli
oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. G. intanto non dissenti
mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne
mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a
uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece
egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non
s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser
lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan
ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i
corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo
argomento. Trattando G. dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera,
ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s '
acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei
soggiunge, cosi e non altrimenti indagan futando l'orme della fiera, Che se il
catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto
s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente. Tratta egli appresso
dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo
nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la
parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando
essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor
grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe G. un
de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che
coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli
dubbio e incerto. G. nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran
parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei
travagliato, nol potè af fatto conoscere. Suppone il nostro filosofo entro
dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e
l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali.
Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar di
fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s
ricchissimi d’aequa. Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto
di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco. Ma sía o
poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro
una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de,
e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e
ci di mostran gli oggetti. G. talora aga giunge a raggi della luce i
corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s'
imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si
congiungono giusta il medesimo: e insiene congiunti si portano all'occhio, e
muovono il senso visivo. Aristotile disapprova tali pensamenti di G. La visione degli ocohi, egli dice, è da
riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco. Nella storia dello spirito
umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al
falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro
filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i
raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli. Ma in ciò sem bra
Aristotile a torto riprendere G. . Non sapea persuadersi il nostro Gergenttino
– GERGENTI, non GIRGENTI --, che totalmente passiva fosse la se de del senso
visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel
gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e
delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca !
Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil
passo, che si può fare verso del vero. La fisiologia, che va a di nostri spa
ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla
morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze,
fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino – GERGENTI, NON GIRGENTI. E di
fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che
l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide di VELIA ab bandonarono i priini la
testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la
ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6
sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si
mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro
sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al
rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi,
quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili
dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio
rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne'
tempi di G. la scuola di VELIA orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i
sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no,
immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile;
co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola
conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose.
Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo
sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza
annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle
simili da ' loro composti; Democrito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia
pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi,
dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli
aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi si conoscon da’sēnsi,
quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e
ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e
distinte. I corpi, come composti, operano a senno di G., e di Democrito su i
nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni;
ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia
avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con
quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli
altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le
sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come
soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il
ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne'
nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro
quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione,
e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non
perciò crede G., co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere
immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo
stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e
reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua
dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o
rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o
gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò
il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag
gi di luce: Così a creder di G. le sensazioni sono reali. Ma le medesime non
rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che
altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO,
n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la
conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro,
come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico
assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito e G., tolta
a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo
l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo G. degli elementi, ma uniti alle due forze di
amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r
acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e
l'amore altresì l' odio, e l'amore. G. portava, dove potea, l'oc chio alla
fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta
anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di
siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come G. in tutto, e sempre e
concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger
e bagna il cuore dell' uomo. Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e
di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa
dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano
le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una
acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la
notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla
macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com
binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi. Nacque da ciò, che
Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non
esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e
scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo,
pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi
nel sangue. Ma G. non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A
parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro
noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali
e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un
unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra
umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa
mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi
veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare.
Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose
materiali: per tornare alla SETTA DI CROTONE, e alle cose, intellettuali. ins.
L'anima dunque, destinata da G. a conoscer cose spirituali, e divine, dovea
essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa procede,
secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del
la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie
immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre
no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o
di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse
agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran
partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro
filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo
dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli
sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed
eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion
di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e
di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di
dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna
della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi
fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima
col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria,
annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che
giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è
un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività
del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il
nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto
l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te
le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra:
no i movimenti involontarj, e organici. Voglion costoro, como suol dirsi,
occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di
mozzo, vollero.combinare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz
volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri,
voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una
fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano
in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto
più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata
ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani:
tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento
dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni
corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Protagora, tutto
macchina; nè tanto immaginario quanto Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico
qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa
dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi
104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della
vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne G.
alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni
esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e
poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è
quindi G. colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di
tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema
intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe
di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono
recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il
tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a
mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo
presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno dana,
prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e
l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono
essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o,
diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. G. di fatto secon do la
testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola
ragione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di
retta ragione. Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer
nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime di G., non rape
presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue
faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare G. cole locato tra la classe de'
filosofi scettici. Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la
testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che
han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'ognuno. I sensi, egli disse
del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e,
astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so
vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi
fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a
sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi
Cicerone parlando di G., costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do
egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno
sot toposte agli stessi? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando,
quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui
scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico
Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili,
gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi
del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue sta cid,
che., CICERONE ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna
cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere (85 ): Ma altri, che questi
'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è
intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi
da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a
nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non
prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di
que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza
studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover
valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava
allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che
sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di
farze, come quelli, che sono eterni e im 0 2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i
sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o
conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere,
o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno
all' altro estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta
precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci
stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico G.;
altri all! opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con
lui tacciano di materialismo il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI. Nel
siste ma di G. il pensare, dico Aristotile, lo stesso val che il sentire; ogni
nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce. Ma
questo stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno di G., i nostri
sepsi; pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale
entro noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accrescersi colle nostre
sensazioni. Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e
intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già
abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve
ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la
ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal
nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ragione
quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se
pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra
il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge
Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare,
assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere,
che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co
stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i
suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice di G. in
metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce?
Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì
impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure G.,
al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. G.
qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le
idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli
ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da'
medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui
rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di
sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi
contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente
congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e
diritti separati e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen
sazioni, gran forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti
i corpusco listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi
al nostro filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di
conciliatori tra i due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u
mano. Fatica egli senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è
sospin to dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei
di meditare, o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le
opinioni contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in
somma ciò, che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto.
di due opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto.
Anzi quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon
gli ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro,
tutti con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo
ora mai di volgerci dalla metafisica alla morale di G.. Ma portatesi assai più
avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure
per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la
dottrina di G.), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si
distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui.
Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente
egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da
prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a. nimali a '
vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo giunse sino
alla metafisica. Dall' uomo poi tornò G. ad ambidue quegli oggetti quasi al le
sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli indagando, se i
vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se gli animali e
vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima. Si fatta
investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi piglia va
l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla hañ di
comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi all'incontro
nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver
di comune cogli a nimali. Ambidue han tra loro comu. ni le primarie funzioni
vitali: son dotati di sesso, si nutriscono, crescono, traspira ban gioventù,
han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però
se gli animali son for niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono
essere a quelli compagni. Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante
capaci di tristezza, di gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno;
e di ogn'altro animalesco appetito. Anzi spingendo egli più oltre la forza di
sua analogia, posti eguali i fisici rapporti > P 114 1 tra l'uomo, e gli
animali, e tra questi e i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima
materiale non fosse un privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne
eziandio a tutti quanti i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli
die de, non che agli animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a
ogni sorte d'erbe, e di piante. ANIMA e sentimento da G. a’ vegetabili ! fiori
che si rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o
piangono ! Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma
ne rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più
istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni
abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono
re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò
sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro:
perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani,
e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista
apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li
ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni.
Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si
trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli
animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe
docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come
do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso
potrà dirittaa mente riprendere G.? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi
siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo,
di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono
i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo
scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te, chi il
senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella
valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè
questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son
finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già
trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se G.,
che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito insieme tutti
i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che credea essere a
quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato il
vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e
rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una
idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta
non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora
non è. Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, G. aver riguardato i
corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora, o i filosofi
prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di considerar le piante,
di bruti, come dotati di sentimento, e di anima, G. fu il primo, almen tra
pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e uomini, e bruti, e
piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità, come quasi comune
strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima materiala egualmente.
Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle piante, o co ' brus ti ad
alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella ideata parentela, con cui e gli
legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si vede su qual base vada a
poggiar la morale di G.. Sulla fisica fondo ei la sua, metafisia ca, e su
quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza. Con si fatte vedute
costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo, e gulle purgazioni
il secondo. In questo G. stabilì la sua
etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come
argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in verità
nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi scrittori,
come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo filosofo, e i
tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino. Ma ciò
avvenne, perchè G., aggiustata la morale di Pittagora a suo modo, e conforme al
suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui. La colpa
degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di qualche
sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel corpo
della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da reputarsi
l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da questa, qual
prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la metempsicosi e le
purificazioni, che sono i due çardini della morale pittagorica. Fu opinione di
G., che varj spiriti, mentre menavano yita beata, avesser pec: cato. Però a
cagion di delitto, si credet te da lui, quelli, scacciati dal cielo, e pri vi
degli onori divini, essere stati così astret ti ad espiare i lor falli. Esuli,
erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal cie lo per trenta mila anni, e
pagan vagando il fio meritato del propio loro delitto. L' etere quindi, e'
soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il mare sulla terra gli sbalza, la
terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino all' etere gl' inalza. A quelli sų
giù sospinti perciò, e quà e la circolando risospinti, oyunque era d'uopo in
mare, in aria, in terra vivere in miseria e in lutto. Tali spiriti, secondo che
piacque a costui, andavan successivamente informan do varj corpi, e questi
appunto erano le infelici anime degli uomini. Queste quindi stavano in pena
delle lor colpe racchius e ne' corpi; i corpi eran le prigioni delle ani me, e
la matempsicosi, di cui Empedocle formo il primo cardine di sua morale, giu ata
il parer del medesimo, era una pena delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di
si fatta reità delle anime che ragion fa della metempsicosi, non si trova
vestigio alcuno presso que' filosofi, che furono in nanti di G.. Questa per la
prima volta si legge ne' versi di lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima
divenne comune, o volgare: e Platono dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn'
altro. Pero da G. comincia una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui
comincia l'opinione della fallenza delle anime, qual base e ra gione della
trasmigrazion delle stesse. Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici,
essere stata antichissima presso gli Egizi. Non si dubita ne anche aver costoro
diviso in più periodi il tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a
ciascuno la durata di tre mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi
ogni anima, informato prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto
tratto passando non più ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,.
che abita o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere
stata dall' Egitto portata da Pittagora presso de' Gre ci. Non si dubita nè
pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri
restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°.
estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri
tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni
periodo da tre mila a soli mille anni. G. fra tanto afferind il nume ro di que'
periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l ' anime
secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel corpo
d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di ciascun degli stessi,
andavano mion che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Sono fanciullo, dice G.,
sono donzella, augello, albero, pesce. Chi è or, che non vegga esser questa un
altra delle alterazioni recate da costui alla metempsi cosi di Pittagora, e
degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli uomini, o ne' bruti.
Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la trasmigrazione ancor nelle pian
te. Ma non si creda mica, che tale ag giunta d'Empedocle alla dottrina della me
tempsicosi di Pittagora, e degli Egiziani, fosse stata in lui l'opera del
capriccio, o del caso. Sarebbe cid indegno di un nuovo, e original filosofo.
Chi si risovviene del fisico sistema del primo, conosce che si dovea far
certamente quest' alterazione notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa
aver avuto G. le piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima
materiale. Ma non così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero
quegli fece passar le anime e dagli uomini, e da bruti alle piante, e questi
cre dean, che le anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti.
Le a mirne in somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare
informando tutti que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati
organizzati. Ecco le due novità recate dal nostro filosofo alla morale di
Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa
delle anime aggiunse G. la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena.
Ma quel ch'è più, a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la
demonologia: articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli
quasi ingeniti all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava
lo spirito ' tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al
le materiali e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell'
uomo dall' anima, e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma
l'anima, a suo predere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia,
e. però era sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli,
come è misero, come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti
non è ei sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare
raffigurò G., giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due
opposti genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni
degli uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d '
ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta
lui alla virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma
ambidue questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure
tutto il volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire
fosse' stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio.
Tanto egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi filosofi
le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di errori.
L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d' ope. rar
l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in pratica !
Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la figura di
genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli distinse i
demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli uomini, De
nomi di Chtonia, d' He liope, d ' Asafia, di Nemerte, o di parec shi altri ne
sjamo debitori a Plutarco. Singolari eziandio, non che speciosi, esser
dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj, che
rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il tempo,
che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è sfuggita da
sifatta ingiuria la nominazione, con cui G. appelle virtù, felice prodotto,
delle regolate passioni. I pittagorici furono usi chiamare il mondo spelonca, e
G., qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni virtuose ' potestà
conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un an tro. Il popolo,
che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse quasi revelazione
venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli antichi scrittori,
pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento di lui. Que sti però
dipinsero G., come chi avesse popilato l'intero universo di demo nj, e
attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa stessa
dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa di G.. Questa,
in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei benefici,
che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non eran che
virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere era
riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare
agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè
credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle
sante virtù. La teurgia in somma di G. e un retto, e diritto nietodo di
purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che
uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di
qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un
piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta
i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e
virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè
menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no,
essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da G.. Ciascun anima
avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a
Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. Le purificazioni
altro cardine della morale di G. eran propiamente, secon do tutti i
Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in
quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime
potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i
periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar
si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri
riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di
purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista
o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli
augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da
Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli
uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù?
L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio
materiali. Le cerimonie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini
níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I
riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la
fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro
spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle
scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai
vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee
immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose
dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni
del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo
studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria
delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che
tanto più la nostra mente si allontana dalla materia e dagli appetiti carnali,
quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o de' principj delle
cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in verità e uso di riti, e
studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che avessero potuto specolare
gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè
meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero costoro accoppiato del
pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui
dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di
pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto
costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il
loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e super bia ) furono del
tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente
ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del propio loro cuore. In
estimabile era la diligenza, ch' essi adoperzano a nettar d'ogni ruggine
l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į medesimi spendevano in
contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e que pre cetti, che si
leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì finito il lavoro della loro
morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in due parti, così alla
purifica zione aggiunsero altresì la perfezione. Non bastò a Pittagora l'
essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e mondata da vizi, e
separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la ren deva prigione.
Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già prima purificata,
si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti, e forma, si fos se
confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che secondo Pittagora e
G., erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla colpa e mate ria ',
dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che fossero state degne di
tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' immacolato, e innocente viver di
G. obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a promettere ai puri, e perfetti il
divino come premio. Sin quì G., e Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno
con questo. L' essere stata comune l ' opinione tra loro nel principio, da cui
la purificazione, e perfezione avesse avuto sua origine, non fece punto
discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue le anime tutte degli uomi ni, e
tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove
i sistemi loro non furon punto d'accordo si fatti filosofi furon del tutto
discordi.G., altrimenti che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come
unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in
iscena una terza novità di G., come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol
prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i
Pittagorici della prima età uccidevano, eccettine i bovi destinati ai lavori,
ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni:
s ' astenevan solamente da' pesci. G. all'incontro fu il primo che proibì
affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si
fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in
vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é
questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz
zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non
sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli
quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli
Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra
di bruti. Cessate, gridava G., o crudeli, di fare strage, e lordarvi di san gue:
Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo, e vane
preghiere disperge all'aria e al vento. Stolti non veggono, che divorando le
fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano de' lor
padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del: la
severità di G., e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà verso i
bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro filosofo.
L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello, che dee le
garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di un uomo di
società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere giammai, se non
campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano lui. Se l'uomo
deve avere pietà ver gli uomini, uop' è non che estenderla, mia cominciarla da'
bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i medesimi, agevol mente il
reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli uomini. Anche tra noi, se non
può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di scannar gli animali, sempre
egli vero, che debbasi tener come parte di e ducazione gentile, quella
d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la pietà verso i bruti. Non
son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi filosofi per quegli
insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano stolti. La proibizio. ne
che G. diede a' suoi scolari d ' uccidere gli animali, e cibarsene, ebbe in
mira non sol di non essere crudeli, e feroci cogli altri; ma di dispor loro ad
amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam. bievolmente aiutarsi.
Egli non senza sotti le avvedimento si sforzò così in persona de? suoi
compatriotti svegliare allora in tutta la generazione degli uomini
quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell' altrui traversie:
attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso sopita, e quasi sempre
soffogata, ed estinta. Però G. a ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i
costumi degli uomini, volle che questi non si avessero bruttato le mani del
sangue, né avessero mangiato le carni de’ bruti. Chi è beniguo co ' bruti non
può certo negare agli uoinini amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora
nulla conse guente a' suoi stabiliti principj della metem psicosi, trascurando
quasi tutti gli anima li, ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse
recata alcuna ingiuria alle piante, che non fossero state nocevoli. Ma G. fa
molto più, e' meglio assai di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen
timento, proibi poi che si fosse fatto loro del male: ailinchè non si fossero
avvezza ti gli uomini ad offendere esseri forniti di sensi e di organi. Fu in
somma intendi mento di lui in tutte le maniere, quasi tirando tutte le linee a
un centro, stabili re tra gli uomini fratellanza e amicizia Però fu, sollecito
ei d ' ordinare, che oltre agli animali, si avesse avuto compassione sin anche
alle stesse piante.. Sarebbe stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la
morale di G., s' egli non avesse presentato o un premio, una pena agli
osservanti, o violatori de' ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del
premio, e il timor della pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano,
inco raggiano i buoni a operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il
vizio. E' ben ragionevole quindi, che G. avesse pigliato una via come stabili
re e premio', e pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando
al par de pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila
anni di ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far
cir colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di
tre mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano
esse in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto,
passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le
medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè
finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna.
STo appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto
tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini.
Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci
periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di
essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne'
vizi, giusta G., bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in
un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir
di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano
all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti
Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da '
versi di G.. Così pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si
canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone. Ecco tutto, il
quadro compito della intera mora le di G. Egli è senz' alcun dubbio, essere
stata questa assai raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da
recar mara. viglia l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse
stata tanto bene architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri.
pulire il costume, a liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e
a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i
suoi gran difetti. L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai
soli iniziati ne fu il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per
tutti gli uomini, non può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli
uomini sono astretti agli stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare,
& gli è certo, la scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali
religiosi dell' antica Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea
yane le loro fatiche, avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi
degno di lode il nostro filosofo, che osservantissimo de' precetti pittagorici
non ebbe difficoltà di manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica
zioni per solo e semplice amore di onestà, e di virtù, G., tranne la super bia,
radice infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come
quel lo, che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse
aspirato sempre a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a'
tra passati; le lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè
recar loro diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è
privo di senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la
vanità de' viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli
omaggi, che si tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare
la stessa gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire.
Del nome di G. fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La
filosofia di lui fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra
Greci e Latini. Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle
scienze, che G. si può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La
Sicilia fra tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice
quel suolo, beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e
la fama loro è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e
ne riproduce il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome di G., caro
alla yirtù, caro alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi
organizzati possono lui chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia
a quattro elementi; l' essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di
affinità; 1" essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la
terra n'è a lui debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva
propagazion della luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del
traspira e dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte
propie di lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese
celebre il suo nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne
tra Anassagora e Democrito, La gloria di G., che in gran parte è ancor nostra,
ci dee infiammare a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi,
ch'era allora ai tempi di G.. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua
superficie presenta a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche
ricerche. Piante d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e
i più distinti volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chimico, il
Botanico lo storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame.
E ' no stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a
insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cambiati il cielo, il clima, la
terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filosofi? O pur saran
venuti meno gli ingegni tra noi? Non sono eglino I SICILIANI dotati ancora o d’acume
nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di prestezza nell' eseguire,
che loro hanno in o gni tempo distinto? LA SICILIA una volta emula della Grecia
in ogni genere di colo tura non potrà anche a di nostri concorrere e gareggiar
nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell'
aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà
di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che
conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in
ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la
grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni
nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni
d'ammi razione noi ricordiamo G. G. non che e eccellente filosofo: ma e del
pari profondo politico. SICILIANI, non andate quà là ad apprender ta pini da
questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi
avanzi delle nostre antiche città; specchia. tevi su li nostri passati famosi
legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra
Greca SICILIA, ma del la vita di G.. Così tratto tratto di verrete atti a
maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala,
libertà non licenza. G., convinti un dì i nobili di Gergenti GERGENTI – non
GIRGENTI -- di peculato, atterrò ivi la lor signoria: Non è disdicevole quindi
l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di
nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de'
pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di
ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie
più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion
delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con peso sulle città
immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare
schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il
tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate,
minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il
popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. Gia la voce
del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa
insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico
impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire
de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà
or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri
nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to,
che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi
fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si
possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra,
unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace
qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato
agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi
nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a
voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica
feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza,
Ma G. dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del
fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre
cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in
Gergenti GERGENTI non GIRGENTI stabilire un governo collo cato tutto nella
potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in
quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con
cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma solida base, su cui dee riposare,
volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non
altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il
popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere
costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a
soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza,
di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario,
esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi,
e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto
corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in
Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un G.. Egli ad assodar
vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in
fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico
civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è questa
da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più che si
può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può
fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente
corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza
nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non
potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima
quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le
false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri
antichi felicissimi tempi. Ma se I SICILIANI tutti debbon trarre qualche utile
insegnamento dal nostro fil sofo; i Gergentini – GERGENTI, non GIRGENTI -- massime
ne dovrebbero emular la virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui
sfolgora, riflette e va a concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero
ricordare i Gergentini – GERGENTI non GIRGENT, ch ' essi principalmente a G.
son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola
storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis
sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini -- GERGENTI, non GIRGENTI medesimi, dettò
allora G. a GORGIA l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica. Gli
stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero
richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra
amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini – GERGENTI non
GIRGENTI -- gloriare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a G.. Così
eglino saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno
lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle,
e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi
Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che
credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. Il n'est pas ) Freret
raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio di G.. E però
dice besoin d'un long discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien,
dé pouillé de l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d '
Empedocle, Hi stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres, Memoires
-- Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης
και TYTO TAUTO TETOVIE – G., di cui alcuno potrebbe portare opinione aver,
detto sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel
medesimo inconveniente (Arist. Metaph.) πος και 8το! O (Arist. de Coelo) -- Λευκίπι
και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα
δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων
και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν 00 Leucippo e Democrito
dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in
certo modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano
chiu ro; pure questo vogliono dire. Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των
τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη
και – G. prima de’ IV elementi suppone de minimi bricioli, che sono non
altrimen ti che gl’elementi degl’elementi, e parti simili Stob. Εcl. Phys. Ε
più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και
elementi degl’elementi. Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα
εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν
Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual
che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile;
ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare che C. abbia voluto
dire, Arist. de Coelo l. 3. cap. 6. Sicchè G. ammettea la divisibilità col
pensiero non già col fatto. (6) Era un assioma presso gli antichi εκ τε μη
οντος μηδεν γινεσθαι nulla farse da ciò che non è, Presso i Greci dev
significava ciò ch ' esiste e il under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia
il des per corpo e il under per yoto. Ma diverso era il significato dell' del
ov. Empedocle ed Anassago ra chiamavano Oy la materia dotata di qualità
sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia fornita di figura. Al contrario i
primi due indicavano col un oy la mate ria priva di qualità, e i secondi la
mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e 156 gener. et corrupt. 1.
1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης και πυρος ωσαύτως. L
Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per nihil o vacuum. E come
non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi l'indicarono colle
stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco nell' intendere i Greci.
Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal volta alcuni di loro pensarono
niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla materia priva di qualità. (8)
Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα •
γον εστι γενεσθαι και Concedendo Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia
impossi bile venire un essere fornito di qualità de ciò, che ne è privo je
Arist. de Xenophane Zenone et Gorgia. (8) Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς τους
ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli elementi,
aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 3.
157 (9 ) Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα
πυρος • τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle,
essersi condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco;
perciocchè questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang.
I. 1. cap. 5. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10) I
sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza
del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro
filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione
del fuoco. Plut. de Plac. Philos. (11 ) Ως εν υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα
πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι
μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως Em. μια φυσα γη τε και αερι
και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro ese ser gli elementi nella
materia. Nondime no di questi non fu egli uso come se fos 158 } νω sero '
quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come al fuoco opposte l'acqua,
' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca natura.,, Aristot. Metaph. 1.
1 cap. 4. (12 ) Origen. Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom. (13 ) Αναξαγορας
μηχανη χρηται τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua
cosmogonia non altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. 1. 1 Cap. 4. (14 )
Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα •
μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς
συγκρίνεται και των αλλων στοιχων εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας
συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης
μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν
ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και εναντιας. Non di rado presso
d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia unisce. Imperocchè quan. do per
l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY 159 gli elementi; allora il
fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli altri elemen ii. Quando poi
per via dell ' amicizia tutti gli elementi si uniscono; allora è di ne cessità
che le parti di ciascun elemento si separino. Però Empedocle fu il primo, che
superiore agli altri più antichi di lui, divi dendo questa causa, intro lusse
non un solo, ma piii e contrarj principj di movimento: l'anticizia cioè e l'
inimicizia Arist. Me taph, I. i cap. 4. L ' vero che qui Aristo tile cerca di
cogliere in assurdo il nostro Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l'
amicizia talvolta separa, e l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno
confes sa che giusta Empedocle l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di
moto. E in ciò loda il n'ostro filosofo, e l ' inalza so pra tutti que'
ch'erano stati prima di lui. (15 ) Molti sono i versi d' Empedocle che lo
pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui. Ma Aristotile lo dice
chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως
φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia inerente alle cose, tutte
queste non farebbero che uno come dice lo stesso Empedocle,, Aristot. Metaph.
1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l. 1 Com. 29,, rapporta che giusta
Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre tutto in una sfera lovely o zipov (16
) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον προσαγορευων και Empedocle chiamo
il fuoco lité perniciosa Plut. de primo fri gido. E lo stesso Plutarco ne
soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la facoltà di dividere e separare. (17
) Clem. Alexand. ad gentes cap. 5. (18 ) Aristot. Metaphys. 1. 1 cap. 4. (19)
Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich. ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art.
Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3 taph. l'opinione d'Empedocle sul
circolo pe renne delle cose in virtù delle due forze amicizia e inimicizia si
lagna del nostro filosofo, che introduce la necessità senza recare alcima
cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι
αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. (21 ) Brukero T. 1 p. 2 1. 2 cap. 10
Sect. 2. de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle note a Cudwort. (22) Αρχη η
φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος
υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την φυσιν αναγκαζεται φαναι τον
λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν τι των στοιχεων λεγει
αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων etc. Il principio
delle cose è più presto la nä tura che la materia delle cose.. Empedocle tirato
dalla forza stessa della verità spesso è costretto di confessare che la
sostanza e la natura altro non sia che la ragione o proporzione: ' come fa allorchè
ei dice coså šia.l osso. Poichè dice che l'osso non cen ga da questo o du quel
elemento', nè da due elementi, nè da tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui
questi nell' osso si stan. no ec. is Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo
stesso Aristotile soggiunge che 1 362 2 i filosofi prima d Empedocle non fecerd
lo stesso perchè non soleano definire ciò che fosse la cosa astion de to. pen
en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι
την ασιαν εκ OTI My •:- (23) Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. (24)
Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Gal. ibid. (25) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19
Arist. de Resp. cap. 14 etc. Credea Em pedocle che gli animali, subito che
nacque ro dalla terra, si divisero e portarono in luoghi convenienti al loro
temperamento. Que' che abbondavan di fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli
altri ch'erano più gravi, abitarono la terra ec. (26) Darwin Zoonomia. Vol. 3
Sez, 39 cap. 4 ediz. di Milano, (27) La massa tutta del seme, che noz mostrava
alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re
tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. 68 pag.
134 ediz. di Aldo: (28 ) Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell
opinione di Xenofane che credea la terra infinita estendere sino alſ infinito
le sue radici, soggiunge do xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche
co si lo sferzò, e soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne'
frammenti di lui. (29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και
Εμπεδοκλης μεν υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι.
Empedocle è d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che
sono agli occhi di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle
profondità dela la terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae
caleant", quae dam etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui
nisi aut in aperto evanuere, aut mixtura frigidae intepuere, plures causae
redduntur. Empedocles existimat ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit,
aquam ! X 2 164 calescere, si subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est.
Facere solemus dracones et miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui
fistulas struimus per declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua
per tantum fluat spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in
trat, effluit calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca
Quest. Nat. i. 3. (3ο) Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς
αναβλυσαι το υδωρ la terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della
girazione spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 2 cap. 6. (31 ). Οτι δε μενα
(γη ) ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον, οτι το πλα τος και
το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω
περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις
κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά
γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την αυτην 165 Citidy, 99
Alcuni cercano il perchè la ter ra stia ferma nel mezzo, e dicono esserne
cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome Empedocle, son di
pare re, che il cielo girando più velocemente del. la terra sia la cagione, per
cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene allac qua nel calice.
Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il labro all' in giù; pure
l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache per la ragione medesima
della girazione,, Arist. de Coelo l. 2 cap. 13. (32 ) Plut. de fac. in orbe
Lunae, (33 ) Plut. de Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. (34 ) Arist. de
anima 1, 2 cap. 2. (35) Καθαπερ Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο
τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως
συμβαινειν Empedocle dice che la luce, la quale viene dal Sole prinra giunge
nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla terra. Il che pare che accada con buona
ragio ne » s. Arist. de sensų et sensili cap. 6. 166 tor. (36 ) Empedocle in
prima avea il Sole per una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un
altro sole šíecome attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle
che il simile si va sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui na turale
il dire che la luce lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra,
nasse di nuovo ad unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro,
tornasse a risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth.
orac.. che la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν
• (37 ) Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri,
appongono ad Empedocle l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali
l'uno mandava rag gi invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans
recourir á l’in stanatneité de cette émission ou á sa pro digieuse velocité
disoit que cette objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en
mouvement; mais que la terre tournant au 167 tour de son axe, venoit au devant,
du ra yon, et voyoit l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux
aujourd hui a cette objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation
successive de la lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques
Tom. 1 P. i lib. 3 pag. 142. (39) Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος
ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ'
αυτης οθεν 80's. Jequor de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza
d'Empedocle. Però la luce lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in
orb. Lunae. (40 ) Est - il rien de plus juste que ce vers, dont voici la
traduction litterale de Greg en latin circulare circa terram yolvitur a lienum
lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille Tatius en tire une preuve qu'
Empedocle a regardé cette planéte comme un morceau détaché du soleil. Il n'a
pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire lumière empruntée, ce qui est
très-confor me a la verité. Montucla Hist. des Math. dida,, 168 Tom. 1 p. 1 1.
3 pag. 111. (41 ) Isag. in Arat. (42 ). Empedocles plus duplo lunam dia stare
censet a terra quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. (4.3 ) Και τον
μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il
Sole essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. (44)
Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna al dir d'Empedocle giraya
a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si esprimea la rùvoluzione d'un
corpo intorno al propio asse sotto la figura ra d'una rủota, Cosi di fatto
indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto, Eco fanto di Siracusa, il
movimento della tere ra intorno al propio asse. Per altro i Pit tagorici
sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi presenta sempre lo stes so
emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo, se la Luna girando intor
no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché è da credersi
cl’Empedocle non 169 ou esse ignorato questo movimento della Lu na. Ma come
Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io non ho
creduto di doverlo affermare come sicura opinione d'Empedocle. (45) Fabricio
Bibl. Graeca T. (46) Arist. de plant. 1. cap. (47 ) Arist. nel med. luogo. (48)
Arist. nel med, luogo. (49 ) Τα δε σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και
συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε
φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè contiene in sè qualche cosa d' alimen to
uñitaniente al principio che genera, sic come è nell' uovo. Per lo che
Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap.
' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί
μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται
το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον,
το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω και τη y 170 pión en xpern » Questo ben
disse Emperor cle affermando, che i piccoli alberi ezian dio sono ovipari.
Poichè da una parte dell' uovo nasce l'animale, e dal resto si fa la nutrizione
di questo. Nello stesso modo ac cade nel seme. Da una parte si formá la
pianticella, ed il resto serve per nutrirla Arist. de Gen. anim. l. i cap. 23.
(50) Arist, de Gen. anim. I. 1 cap. 18 & lib. cap. 6. Theofrasto 1. i cap.
z de Caus. Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse
semina vetus est Empedoclis dogma. Anat. Plant. pag. 92 * 93. In questi ultimi
tempi Young è stato il primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier
journ. de Phys. Auril. 1789 p. 241 e Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha dimostrato
l'analogia del seme coll' uovo. (51) ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν
εν ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν
τοις φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων
των δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e
propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi
il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed
uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar
opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero
state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. I. i cap. 1. Haaly 005
- λομεν ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις
ως απεν Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien
mischiati, come vuole Empedocle. » (52) Empedocles quidem divulsa esse so bolis
membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine continerentur, atquo
inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam, dum partes illae inter
se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen. de semine 1., 2. cap.
3. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. l, i cap. 18, 172 (53) Plutarco
de plac. Ph. 1. 5 cap. & 10 12 Arist. de Gener. anim. 1. 2 cap. 8. (54)
Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος μορφουσθαι τα βρεφη και πολ:
λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες και ομοία τετοις απετέκον. »
Empe docle dice che dalla fantasia della donna piglia forma îl feto. Poichè
spesso le don ne hanno la lor prole partorito simile a statue o. a immagini,
che hanno amato Plut. de Pl. Ph. I. 5 ' cap. 12, (55 ) Plut. de Pl. Ph. 1. 5.
cap. 27. (56 ) Tutta la dottrina d Empedocle, siccome in appresso diremo, era
fondata su i pori, e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o
per quelli s'intro ducono, (57 ) Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes
amittere quibus aestatis ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae
majorem succi copiain habent, ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo
stesso dice Plut. de Pl. Ph. l. 5 cap. 26. 173 Plutarco Symp. 1. 2. Si propone
la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie, e gli altri alberi le
perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione de* pori. Perche τοις
δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα των κάτω πι:,, ρων,
οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον αθρουν λαβόντες εκχέωσιν
ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις » » A quel le piante, le cui foglie
cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori superiori, e della
strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’ introduce poco ali mento,
e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel poco che hanno ritratto tosto
lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli attignitoi, che sono inegual
mente forați. (59) Flore française troisieme edition par MM. de La Marck et
Decandolle T. pag. 67. (60 ) Floré française ibid. pag. 86. (61 ) Flore
francaise ibid. pag. 108 (62) Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26 Gal. Hist. Ph. 3
174 (63) Galeno Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26. (64) Ρlut. de Pl. Ph.
1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. (65) Plut. ' nel med. luogo. (66) Gal. Hist. Ph.
Plat. de Pl. Ph. (67 ) Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. 1. 4 cap. 22. (68 ) Ρlut. de ΡΙ. Ρh.
1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. (69 ) Arist. de Respirat. cap. z (70 ) Arist. 'de
Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. cap. 7 Plut. de PI. Ph.
1. 4 cap. 22. (72 ) Pluit. de ΡΙ. Ρh. 1. 5 cap. 24. (73 ) Plut. nel med. luogo.
Gal. Hist. Ph. (74) Si vegga la niemoria seconda sulla Vita d ' Eimpedocle T. 1
pag. 132. (75) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 4 Cap. 17 • (76) Τα μεν γλαυκα πυρωδη
καθαπερ Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che
gli occhi az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano
più d ' acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An 1. 5 cap. i. (77 ) Τα μεν
ημερας εκ οξυ βλεπεις τα γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν
πυρός και che gli occhi azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac
qua, ed i neri di notte per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. 1. 5 cap. 1.
(78) Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. 1. 4 Cap, 13. (79 ) Ειπερ μη πυρος την οψιν
θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d ' attribuirsi al fuoco,
ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. 1..5. cap. (80 ) Arist. de sensu et
sénsili l. 1.cap. 2. (81 ) Empedocles animum esse censet cor di suffusum
sanguinem. ' Cic. Tusc. quaest. 1. 1 cap. 9 e Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 5. Εν
τη τα αιματος συστασε. (82 ) Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ " πεδοκλεα
πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και τα δε
ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν θαον
ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti alcuni,
che han dettò con Empedocle esé sere il criterio della verità non già i sensi,
ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la
prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. 1. 7 p.
396. (83 ) Hụezio Debolezza dello spiritous mano.. (84) Furere tibi Empedocles
videtur: at mihi dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere.
Num. ergo is ex. caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in
iis esse ad ea, quae sub eos subjecta sunt, judicanda? Cic. Lu cullus c. 23.
(85) Empedocles quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia,
ni hil nos sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. Cic.
Lucullus c. 5, (86 ) Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν
ωσπερ και Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che
sia lo stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, l. 3. cap. 3. (87
) Arist. de Plant...1. 11. cap. 1 (88 ) Αναξαγορας μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια
ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo
cle dicono che le piante sien mosse da de. siderio, da tristezza, e da voluttà,
Arist, de P1. 1. 1 Cap 1. (89 ) Αναξαγοράς δε και ο Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής
και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora, Democrito, ed Em pedocle
dissero le piante esser fornite di men te e di cognizione », Arist. de Pl. l. 1
cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90) Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de
P. Ph. 1. 5 cap. 26. (91) Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές,
ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια
γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα
πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή
γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i pri Z 178 ηι. mi che dicono
l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va questa sempre informando un
altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per tutti gli animali o
terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare il corpo d'un uomo.
Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp. 1. 2 cap. 123. (92 )
Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω
εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni
dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di
quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. 1. 2 cap. 123.
(93 ) Sext. Emp. adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι
δαιμων ανδρι συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα
μαλλον ως Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και
καταρχoνται μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a
ciascun di noi, come ea gniti, 170 gli nasce, assista un genio buono condut tor
di tutta la vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale
di che ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj
e da due. fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che
co' nomi de gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. (95 )
Plut. de animi tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα
τατος Πλατων αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα
αι ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste
cose, siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero
occasione di chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le
potestà conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto
quest' aniro coperto; Porph. de Ant. Nymph. p. 9 ed. Van - Goens. (97 ) Clem,
Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. cap. 3. Jambl. Portrep. cap. g Hierocl.
in Com. Scheffer de Secta Italica. (98) Pindaro nella prima ode olimpica
dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo, che chiama
atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente laboriosa
» 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne sofferto altri
tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a prima vista, come
questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è intera mente dichiarato
nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino. Quivi e gli dice:
que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e nell'inferno ocou do
ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener ľanimo loro nella
pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la regia di Saturno,
dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole fortunate, e
splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o. di, che la
metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº che l'anima
del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un intervallo
tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità, e i malvagi
eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per tutto il corso
delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di Saturno; e
quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an davano in
fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco
liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo
dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015
Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e
nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro
pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il
poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio
gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio
si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε
το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che
įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente
gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per
non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la
furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pit tagorico. (99) Tutti gli
antichi fanno onorata men zione della filosofia d'Empedocle. Lascian do stare
Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co
l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Iatini poί
α parte di Lucrezio e di Cicerone, che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da
Cicerone me. desinio che si era stato un Sallustio, il quale area trattato la
filosofia d'Empedocle nel la stessa guisa, che avea fatto Lucrezio per quella
di Epicuro. Tria per quanto si rac 183 coglie dalle parole di Cicerone quell'
auto re non era riuscito cosi bene, come Lucre. zio. Lucretii poemata, ut
scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum
veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo,
cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma
privo di senso. Cic. Ep. ad Q.fr. 1. 2. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80,
ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi
pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator
Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui
stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι
μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε
οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και
φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l'
interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per
l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato
un altro Empedocle di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come,
crede, che sotto il nome d' Empeclocle abbia quegli voluto significare G. C.
Petit è di per Empedocle s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di
quei, che credono essere stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo marti re.
Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio
di Fabricio Bibl. Graec. T. 8 p. 56, corui che meglio l'hi interpetrato.
AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285, quod tamen ferri
potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον
θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι Ꭸporgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di
ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si
contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè
spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore
di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede,
ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad
esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare.
Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474
loda G.e, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini.
Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna.
no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede
chiarissimo quanto male Orazio conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep.
12 !. 1 v. 20. Empedocles; an Stertinii deliret acumen. a a Su i
Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa
ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi
delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in
que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e
pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema
de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi
opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè
anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do
Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere d'
Empedocle, che da noi si conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e
non sia. a, a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo
fu intitolato a Gergen tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui.
La raccolta quindi de' fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla,
appartiene soltanto a questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome
assai prima, e in varj tempi praticaron lo stesso. Errico Stefano no pubblicò
il pri mo non pochi nel suo Ibro della poesia fi. losofica. Fabricio prese
appresso il pensiero d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio
quegli mol to l'accrebbe. Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò
vana; perchè morto Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non
potè coglierne il frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del
libro della Groita delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di
trecento versi d'Empedocle, e promiso al più presto di recarli in luce. Avea,
se condo ch' attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si
conservano nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in
si fatio travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la
raccolta de' versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui nel 1765
sotto titolo di raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non
potere profittar delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een
prive non che di manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto
fatto di ritroe' vare in esse nè pure lo stesso Errico Ste fano della poesia
filosofica. Però, mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi
scrittori per cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di
Emperlocle, che sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai
penosa, e ' tanto più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che
farebbe chi il pri mo si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter
acquistare la gloria debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico 190 >
conforto ne fu un Simplicio dell'edizione d' Aldo, trovato nella libreria de'
PP. Tea tini di Palermo (giacchè questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile
rapporta molti versi d ' Empedocle ). Da questo libro furon tratti non pochi
de' versi d ' Empedocle, che si tro van messi insieme. in quest'ultima parte.
Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba. to in quella libreria. Però non fu
conco duto di potersi più riscontrare i versi rac colti col testo; e si è
dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando supplir qualche parola a caso
tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che per la prima volta erano
stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto tutto ciò non perchè s'
am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma perchè se ne abbia
anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race colta de' versi d'
Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o se non è stata ancor
fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più corretta, e più dotta,
che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come un ope. ra
perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto, che si tenga
la medesima, come un annotazione, con cui si provano i pensamenti d' Empedocle
espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo, che i versi
d'Empedocle smentiscono coloro, che portano opinione lui essere stato o di niú
no o di poco valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco (1 ), il quale
dice Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per evitare l'umiltà
della prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o sinistramente
interpetrato Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia stata di
dascalica la maniera poetica del nostro fie losofo. Questa, come quella, ehe
tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione, in
cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli
disse, ch'Empedocle avea preso (1 ) De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più,
e la pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato
Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche.
Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e
l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché Omero era un
Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual
didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta, non si pao
negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici, Aristotile
di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra la vera
poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il più
eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi
d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma
d'Empedocle sulla natura (1 ). Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par
menide, di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici,
dice aper tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo (2
). Che se poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui,
sarebbe certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne'
pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e
severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel
resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da
ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far
che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de'
Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure Empedocle
avvegnache fosse stato (1 ) Lib. 1 de Orat. (2 ) Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o SICILIANO
e Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era
tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa d? Empedocle
dolcissima. E. gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel
farli scelse le parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito,
d'Empedocle, dice che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più
molli (1 ) ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli
Jonj Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da
Empedocle non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro
ornamento, ma esprimeano la natura delle cose (2 ). Ne cita egli di fatto
l'aggiunto dato da Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg:
giante dato all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri
simiglianti. Anzi il medesimo Plutarco da a Empedocle (1 ) Plut. in Sophista. (2
) Plut. Sympos. l. 6 Erotic. 195 il vanto d' aver meglio e più: destramento
usato d'aleuni epiteti d'Omero (1): Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto
d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e
l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle
all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I
franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua
poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere
poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi
nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con
ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere
stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e
una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed
espressivi e leggiadri non si trovano in al (1 ) Plut. Symp, l. 6. bb 2 196 cun
altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati da
lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti; gli
Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica come
una metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle esprime
la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge nelle sue
opere la descrizione della natura; " che qual pittore con quattro colori,
fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della visione, che comparata
a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della clessidra, o cose simiglianti
', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si conviene a vaga e bella
fantasia. Per lo che da' framinenti d' Empedocle si prende quel diletto, che
pigliar si suole guardando i rottami d'una qualche nostra Greca Sicola
anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen, ti si sono in prima distinti
i versi, che appartengono al poema della natura, da. quelli, che fan parte
dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal elle gazioni. Ciò non è
riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di cose fisiche, e 'l secondo
di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè diretto al colo Pausania i verbi
si trovano in singolare. In questo all'oppesto perchè indirizzato ' a Gergenti
ni, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla sintassi e dalla materia è
stato age vole il se parare i frammenti d'un poema da quelli dell'altro. Si sa
oltr'a ciò il poema d'Empedo cle sulla natura esser. diviso in tre libri. Molti
stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati trà versi, che ci restano,
quel li che appartengono o al primo, o al se condo, o al terzo, In çiò fare è
stato di mestieri ricercare se per avventura gli scrit tori, che ne riferiscono
i frammenti, aba biano citato il libro. Talora d' alcuni ver si, che certamente
si sa dalla testimonian za degli scrittori doversi collocare in uno de' tre
libri, si è rilevata la materia, che in ciascuno di essi trattavasi dal no stro
Gergentino, Stabilita poi la materia la ni che ung en. he da ur. 198 stato ben
facile il riferire allo stesso li bro tutti que' frammenti, che si versano
sullo stesso soggetto. Ma non di rado con frontando i frammenti tra loro si è
trova to, che alcuni finiscono con versi, che son principio di altri. Con tale
studio quindi e simigliante artifizio si è cercato di collo care o prima, o
dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso libro. Nel resto sarà meglio il
tutto giustificato nelle note, e l' ordine con cui sono rapportati i frammen ti,
e l'autore, da cui sono stati ricavati e l'intelligenza, con cui sono stati
interpe trati '. Fra tanto se questo qualunque siesi lavoro non sarà stimato
degno di lode, po trà almeno, meritare, nell' emenda de dete ti il perdono del
pubblico. RACCOLTA D E FRAMM ENTI. 200 ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε
κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε (1 ). Εστί αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον
Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις (2 ) Τεσσαρα των παντων ριζωματα
πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα
κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος (3 ) Διπλ' ερεω:
τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι
Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’
ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες
εποτε λήγα 201 DELLA NATURA Lib. I. Pausania figliuol del saggio Anchito Tu
ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta E' volere del Fato, è degli Dei Decreto
antico, che ab eterno fue Segnato con solenni giuramenti. Il bianco Giove, la
vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che piangendo irriga I canali dell'uom, son
d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro radici. Ma come quelli tra di lor
s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite. Dųe son le cose, ch' a narrarti
io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora Nasce dall' uno il più: cosa
mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte. Genera, e strugge l ' union
del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί
συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν
συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η
δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν γίγνονται τε και και σφισιν
εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα
κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν
ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ
πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ και υδωρ και γαια και κερος
απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν
ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και
θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι
Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ " αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν
ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ
ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ' αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος
εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο. Και προς τους ατ' αρ'
επιγιγεται δ ' απολήγα 203 Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi. Tutto alterna
cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la virtù dell'
amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in aria, finchè
non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un già nato il più
rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l' uno e
l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un cerchio eternamente
gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso sentire, e risentire
La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma del discorso Due son
le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si forma, ed ora Nasce
dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria d'un'immensa altezza, Oltre
di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa, ed amicizia, Ch'ha per
lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la contempla. Invano Ed acqua,
CC 2 304 Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το
παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ '
αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4).
205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal nelle giunture Si
vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa, opre leggiadre.
Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor niuno Seppe indicare
dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale, Ascolta i detti, che
non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno la stessa età, l'
origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera, e piglia, com'è
lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a ciascuna dal
voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di quel, che è,
desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun tempo
l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al
presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e che?
come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? 206 ! 3. • Επι νεικος
μεν ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη
δη ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν
αλλοθεν αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε
κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν
εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’
εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης
αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα
δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία
θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι (5) 207 Sempre dunque le cose
son le stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon
sempre Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine
Ultimo del girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro
arriva. Tutte le cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il
fanno, Base a base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si
mischiano Razza infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar,
vi furo Altri, che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite
ancora In alto li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull'
estremo confin del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed
altri nò. Ma quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L '
amicizia a venir saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza > 208 Σ Η
δε χθων τατοισιν ιση συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι
παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα
πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’ εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος (6). Η δε χθων
επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης
Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα
θεσπεσιηθεν (7 ). 209 E nascer ecco, e divenir nascendo Della morte alla falee
sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E mutando sentier trovarsi
misti Que', che puri eran pria senza miscuglio. Formasi in somma dalle cose
miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni specie son, d'ogni figura, Si,
ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti estremi della bella Dea Giunse la
Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo, ed or mancando Il più meno si fa,
e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual s'avvenne All' aria trasparente, al
fuoco, all'acqua, E da tale union indi formossi Qualunque specie di carne, e di
sangue. Quando la terra era d'amor sospinta In pevere ben salde a sorte trasse
Dell'otto parti, d' acqua chiara due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col
glutin d'armonia tutte s'uniro: dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον
απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι
νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω
διαμορφα και αν διχα παντα πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται.
Εκ τετων γαρ παντ' ην οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε
γυναικες Θηρεστ’ οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες
τιμησι Φεριστοι και Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα (8 ),
1 911 E l'ossa bianche furon tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che
desta Calore, e lancia della luce i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono,
Quasi da fame o pur da sete spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi
ovunque veder l'acqua; che in neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la
terra, da cui vengon fuori Le salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme,
ed ogni cosa è scissa, Ma regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e
l'una all' altra cosa Per interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da
quelli, e per l'amore, Ciò, che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi
alberi, e piante Nacquero maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor,
che son d'acqua nutriti; O pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl'
inni, e per gli onor prestanti. Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre
tra loro han moto, e cangian forma. d d 2 212 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα
ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι
πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα
πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’
οιωνες τε και υδατο θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες
Ουτω μη σ ' απατα φρενα ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν
εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί θεα παρα μυθον ακουσας (9 Αλλα τορώς Εν δε μερα
κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα, φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης
Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα
θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν ασ ενα κοσμου 213 Qual dipintor
nell'arte sua perito Sa' i quadri variar, che la pietate Del tempio alle
colonne, appende in dono A santi numi. Egli con man piglian do Ora più, ora men
di questo, è quello Colore, insiem con ' armonia li vmischia, E poi con essi va
pingendo immagini Che son del tutto simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere,
uccelli, e piante;. Ed i pesci, che son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi
Chiari per glinni, e per gli onor prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna
Dº ogni nato mortal qualora dice Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che
ho detto, tieni pur per fermo. Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul
quale il mio parlar non è diretto. acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite
impera Del cerchio intorno rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il
fatoo Manca a vicenda, ed a vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando
214 Αλλοτε δ ' αυ διχ' εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν
υπεγερθα γενηται. Ουτως η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν
διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι. Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η
δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος
(1ο). Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η
αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ
επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο
Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα (12 ) 15 Si muovono. Deil' uom la
razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita. Talor per amicizia in ordin
bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite il tutto si separa, è stassi
Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno dal più nascer costuma. Così
dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita, ma la lor durata Non è mai
stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra
d'un cerchio eternamente gira. Quattro, figliuol d'Anchito, in prima ascolta
Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua, La terra, e l ' aer d'un immensa
altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò,
che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa Era stata ne' membri, il tempo
scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero Alternar si dovea, com'era scritto Con
solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν
Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα
πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον εασσιν Αλληλοις εστερνται
ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων διεχεσι μαλιστα Γεννητε
κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα και μαλα λυγρα Νακεσ
γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα (13 ),. Αλλο δε τοι ερεω • φυσις αδενος εστιν
απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον μιξις τε διαλλαξις
τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι (14) Οι δ ' οτε δε
κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και κατα θαμνων Ηε
κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto, perchè tutto ha
pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il Sole, il Cielo,
il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti giusta sua
natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce al suo
simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le divide
L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la tempra,
E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce allora
Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io prendo:
Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol miscuglio,
E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini chiamaro. Quando a
caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la razza, O quella
degli uccelli, o delle piante, 218 Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ δυσδαιμονα
ποτμαν Ειναι καλεσιν (15 ). Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε
γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος
αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων
υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε
τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι,
ηουν (16 ) Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη
ανδροπρωρα τα δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων
Τη γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις (17). 219 O de' bruti selvaggi, allor si
dice Che nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han
trista morte. Come nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e
delle donne, Che piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va
del segno. Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il
fuoco Su n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e
l'immago per lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non
mostravan ľamabili fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia
degli uomini favella. L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi
son questi con umano volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son
forniti, e tutti e e 2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι
δε επλασθησαν γαρ πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων
(19). Τατον μεν βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον • Αλλοτε μεν φιλοτητα
συνερχομεν' ας εν απαντα Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ '
αυτε κακησι διατμηθοντ ’ εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο.
Ως αυτως θαμνοισι και ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε
πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο ! Σαρμων
συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις τετρηντα αλοξι
Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di maschio, e di
donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di fronte furon
fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I membri umani giaccion
tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S' uniscono tra loro, e
corpo a caso Nel fior si forma della verde etate. All'opposto talor spiccansi i
membri Per trista lite, e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita erran
divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che montanine son, a pesci
ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l ' aria coll ' alate
cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira, é fuor si manda,
Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e metton capo Delle
nari ne' solchi, in cui le punte 2 2 2 Σ Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο οισι
τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ παφλαζων καταϊσσεται
οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ οταν πας Κλεψυδρας
παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα χερι θισα Εις
υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος εσέρχεται αλλα
μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ οστεγασι πυκνον
ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ. Ως γ' αυτως οθ'
υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι ηδε πορο! ο Αιθήρ
δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο δυσηχεος ακρα κρατύνων
Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι
αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν
παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ'
αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα (21). 223 Hanno sturate, Ma di sangue in
parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però calando giù s'occulta il
sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit Dell'entrata lu vir per le
bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle In gil si lancii
nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle Entra con furia. E
quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo Uscendo l'aria.
Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di facil bronzo,
ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura Colla sua bella
man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di spessi forellin tutta
bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa intanto dentro non
penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando a' forami con la
molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena riapre la donzella
Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον νοεων ωπλίσσάτο
λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο 225 L'aria sen fugge; e come
questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar pria non potea,
entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In altra guisa guarda
là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base forata vuol che cada
L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d ' entrar laer di fuori
Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini gorgogliante. Se
quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di sopra Cadendo all '
acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base gronda. Tal è del
sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira Affollandosi in
dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi quel ratto s'
avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come d'inwerno per
l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara - ff 226 Αγας παντοίων
ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω
διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε
τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης
Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον
τανάωτερον Μεν (22) U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ
έστιν πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη
Πειθες ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια
κεκασθα Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν (227 Lampade,.e lume di un
ardente fiamma, E poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la
fiammella; Perchè di questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si
lancia La luce, intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la
struda Corai di notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la
pupilla circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al
par di vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il
difendon. Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Lib. III: 1 Nè
questo, o quello, nè quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso
Di poterlo veder, nè colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole
la via grande, e comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. 228 Οι ποσες και
θοα γουνα παι μηδεα λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον,
Φροντισι κοσμον άπαντα καταϊσσεσα θοησιν (23 ) ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω
πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος
πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα (24) 229
Iddio non è di mortal capo ornato, Che su membri s'estolle. A lui sul dorso Non
spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia, che al cammin ci fan veloci.
Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e lanugine ricopre. E mente
sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da nostra lingua: In un
istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e scorre. DELLA NATURA. V B
R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono. Dirotti in prima co' mięi
versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde ogn'altro Che noi veggiam; l '
ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen chiude, e raccoglie Ogni umido
vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e tutto intorno avvolge. 23ο Πως και
δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25 ) Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και
δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον
τε παντος ιδόντων (26) Ουδε τι τα παντος κεγεον πελα ουδε περισσον (27 ) Ως
γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ εβη θερμον δ
εποχευετο θερμος (28): Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ ' εγένοντο (29)
Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων (3ο) Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε
πολλακι δ ' αλ λος (31). 23 In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti,
ed į marini pesci. Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter
non dver con fine Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color
si sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una
spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all'
amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il
caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti,
Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in
altra guisa per lo più s' avviene 233 οπη συγεκυρσεν απαντα (35). Η δ ' αυ φλοξ
ιλααρα μινυνθαδικαις τυχε γαιης (33 ) Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε
τυχοντα (34 ) Τη δε μεν ιοτητι τυχης πεφρονήκεν απαντα (35 ) (Και καθ' οσον μεν
αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα(36) Αλλα οπως αν τυχη (37 ) ΓIαντα γαρ εξακης
πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν έστιν ακουσαι (39) Ενθ' ουτ'
ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια (40) Αρμογιης πυκίγως κρυφα εστηρικτα (41 ) Σφαιρος
κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων (42 ) 237 Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma
lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di
fortuna al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi
Ma come sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò,
che è bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde
in occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó 234 Αυξα
δε χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ (43 ). Κατα το μαζων εμιγνυτο
δαιμονι δαμων (44). Αιθηρ μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας (45 ). Οινος απο
φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46) Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν
ανδρος Η γ ' εν γυναικος (47 ). Μηνος εν ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον (48)
Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και εδη - σεν (49). Ουτω δε ωοτοκει μικρα
δενδρα πρωτον ελαιας (5ο ) Νυκτα δε γαια τιθησιν υφισταμενη φαεισσι (51 ) 235
Lieto dell'unità solingo gode: > Aria ad aria s ' aggiunge, e terra a terra;
Il minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer penetra;
L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le membra stan
dis ise Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci dell' ottaro
mese Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia il bianco
latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della verde uliva
Luce impedendo fa la terra notte. an 2 236 Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη (52
). απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’
ευρος γλαυκωσιδος επλετο μηνης (53. Гщи ру тар уцау апожариву детi * Uдор Ηερι
δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω
(54). Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν και σωματος αισαν(53 Λιματος εν πελαγεσι
τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ
ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα (56). Προς παρεον γαρ μητες αεξεται
ανθρωποισι (57 ). οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα (58 ). 1. 237
Dolce è la Luna, e durdeggiante il Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra
Tant è la luce, che le fura, quanto Il disco è largo della glauca Luna. Terra
veggiam con terra, acqua con acqua, Aer divin con aere, e lucente Fuoco con
fuoco, e con amore ' amore, E veggian lite con dannosa lite. Uomini, bruti e
piante ben lo sai Han tutii mente, e parte di ragione, Stassi la mente dove più
ridonda II sangue, che su giù sempre si muove, Perchè dal sangue, che circonda
il core Il pensiero nell' uom sua forza prende; Il pensare dell' uom cresce e
al presente Però il pensare sempre a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ '
εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα (59 ). Νηπιοι και
γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι
καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη (6ο ), Αλλα κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8
σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι
σπλαγχνοισι λογοιο (61 ) Ταυτα τριχες και φυλλα και οιωνων πτερα πυκνα Και
λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν (62 ) αυταρ ελικος οξυβελας νωτοισι δ
' ακανθι επιπεφρικασι (63 ). Της δαφνης των φυλλων απο παμπαν εχεσθαι (64) 239
Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero poi s'affredda a caso La
famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo Prendon lusinga di poter
esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste Potersi in tutto struggere,
e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla forza del ver, trionfo meni,
Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra musa. Tu dentro l'interno I
detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa natura sono i peli, Degli
arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o pur le squame sparse De'
pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui le spine Acute gli si
arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man ritieni 240 Τετο μεν εν
κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε
χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν (65) Βυσσω δε γλαυκης κροκο καταμισγεται (66).
Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων(67 κορυφας ετεράς ετεραισι
προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν (68). Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος (69).
Αλφιτον υδατι κολλησας (7ο). θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον (71
). Ουδε τις ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε
Κρονος, ουδε Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. 241 Del mar le conche di pesante
dorso, Il murice riguarda, e le testuggini Che son coperte di petrose scaglie:
Bene in questi aninai veder tu puoi Come del corpo sta la terrợ in cima. Si
mischia al bisso il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci
Guidando Somma a sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender
cammino Della solinga tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo.
Germoglian ricchi di lor frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all'
aria. Marte non han qual Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A
Nettuno, a Saturno, Giove il rege hh ) 242 Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν
ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι, μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου
θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας (72
Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι
μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες
απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το
δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’ επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε
νοω περιληπτα (73). ή και συ 80 επα ωο " ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε
βροτάη μητις ορωρε (74). 243 Negano omaggio; e prestan solo il culto A Venere
Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti Animali, e con mille
odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di pura mirra, e d'incenso
spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra il biondo miel
spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra mente. Abbonda pur
la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la porzioni di vital
forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei fura. E quindi
ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s' avvien, resta
sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che non puossi
ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom. Giacchè
vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo hh 2 244
Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην
οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις
εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ
ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον
Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον
εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ
τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε
γορα θ ' η δηλον εκαστον (75). 245 Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla
lor lingua, santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima
vena in lor sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian
disiosi amanti, Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir,
che lice all ' uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor
presso i mortali, Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier
docili al freno Porta da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai
ratta a sedere Di sapienza allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il
tutto, e vedi Ciascuna cosa chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la
fede Presta al senso di vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i
suoni Credi più della lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch'
all'altra Credi di quelle vie, per cui ci viene 246 Πεση Φαρμακα και οσσα
γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ '
ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν
Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια
κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα
δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος
(76). 247 La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi in somma poni giù la
fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa chiaramente il vero.
Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si conforti, udrai. Che
tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili frenare L'ira saprai; che
con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i campi Guastano tutti; o pur
se n'hai piacere Concitar li potrai, se son tranquilli. Saprai d'inverno tra
procelle scure Produr di state il lucido sereno, O pur nel fitto della secca
state Produr le piogge, che nutriscon gli alberi, E del caldo l'ardor tempran
movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin dall'inferno a richiamar gli estinti.
248 ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην
πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος
ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε
θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι
σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν
μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν
(77). Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση σών Ει θνητων περιειμι
πολυφθορεων ανθρωπων; (78 ). 249. DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei diletti,
abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo Acragante
bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori Dio, nè
qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti.
Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè
sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e
mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali
s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi
a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di
guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè
d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor
m’inalzo? ii 25ο Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις
αμπλακιησι φονω φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις
μιν μυριας ωρας απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και
αλήτις Νακεί μαινομεγω πισυνoς (79). Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε
διωκεα Ποντος δ ' ες χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ '
αιθερος εμβαλε δινας Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα
λοιμωγατε και σκοτος ηλεσκέσις (81). 251 be E ' volere del fato, è degli Dei
Decreto antico, che s'alcun peccando Di quegli spirti, che sortiron vita
Lunghissima, lordò le proprie mini Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi
dall' alte sedi, in cui beata Vivon, vita gli Dei, e vada errante In репа del
fallir tapino in terra, Finché ritorni primavera ai campi Tre volte dieci mila;
ed un di questi Io son, ch' ora dal Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul
ramigo, Solo in poter di furibonda lite. } L'aria gli spirti, che falliro,
caccia In mar con forza, il mar li getta in terra, La terra li rigetta su
lanciando Del sole infaticabile ne' raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli
scaglia. L'un dopo l'altro van cosi girando, E tutti traggan pien di duolo i
giorni. Van per gli prati, e per lo scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε
και αλλων εθνεα κηρων (82 ) Κλαυσα τε και κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον (83 ) Ω
πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε
(84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα (85). Εκ μεν γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε'
αμκβων (86) Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και μεταμπεχασα τας ψυχας (87).
Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον (88). Ηδη γαρ ποτ' εγω γενομενην κεροστε
κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν θηρσι δε λεοντες
οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν (go ). 253 Ivi
la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo
piansi. Ah ! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali
affanni, e liti Siete nati a soffrir ! Da quale onor son misero caduto, Da qual
grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo,
e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto
al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza
voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra,
abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ '
αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης
τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια (91 ) Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι (92).
2 φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε
τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα
σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν
εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ' εισιν(94
Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος 255 Tal su gli arbor fronduti il
lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la cruenta Deri
Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e Deinèa E la turpe
Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto oscura O
Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io, mici cari,
so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala della fe la
forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio non v'è,
che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che chiaman vita,
esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia prima il
nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti 156 '. Αιθερος
ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ
εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον
υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες
οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως
πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι
(96) 4. Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι
χειλεσι μητισασθα ! (97 ) 257 Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e
l'alta region dell Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si
sparge per le vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete
colla mente piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che
mutata forma Il padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi
cose prega Tutti color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma
quest'altro Nell'atto di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di
minaccia Malvagio in casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte
Il figlio al padre, ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi
d'anima Le care in cibo ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi
spense Prima, ch'avessi fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie
labbra ! kk 558 Ταυρων δ ' ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ '
εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια (98 ). Τοι
γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον (99).
Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα
μεμπλε (ιοο) Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι και 1ητροι Και προμοι
ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι τιμηση φεριστοι (101
). Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων αποκληροι εοντες
απειροι (102). 259 Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di. Ma
sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e
divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato,
non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che
possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di
pensando Ne porta tenebrosa opinione. 7 I vati infine, ed i cantor degl' inni I
medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü
d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii,
d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν
κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε
μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των
οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι (103)
ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα
κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται
Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra
d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel
seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte
Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte
schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col
pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone,
Nato dun alto padre in Agrigento Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua
patria posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba
ritien sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου
υιον Φωτ’ Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους
κεματοισι Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων (1ο5).. Δειλοί πανδειλοι κυαμας
απο χειρος, εχεσθαι, Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων (106 ) Ναν μα τον
αμετερας σοφίας ευρoντα τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν (107).
263 Di Pausania. Il medico che nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è
discendente Degli Asclepiadi, ed ha per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti
languenti I'er penosi malor dalle segrete Di Persefone stanze a forza trasse.
Versi d' incerto Autore attribuiti da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri,
del tutto in felici Dalle fave la mun: mangiar di queste Egli è privare i
genitor del capo. Giuro per quel, che nella nostra scuola Scoperse il qucttro,
che racchiude il forte, E la radice eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA R A O
COITA D E FRAMMENTI. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA D E FRA MM EN TI. (1 ) Questo
verso si trova presso Laerz. 1. 8 in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas
αυτε, ω δη και τα περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania era amato da Empedocle, e
que sti gli intitolò il suo poema sulla ' natura E siccome questo verso forma
la dedica; cosi si è collocato il primo. La frase per quanto pare è Omerica
come si può vedere Iliad. 11 V. 450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de
Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz. d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono
dagli altri, che li seguono, si son collocati prima. Per altro Plut. de exil.
afferma che cosi cominciava la filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son
rapportati da Laerz. 11 2 263 che se 1. 8 in Emp. I primi tre da Sext. Emp.
adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1 cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl.
Phys. 1. i p. 26. Questi si sono premessi per la ragio ne ch'esprimono i
quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia d'Empedocle. Si conviene
da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti l'acqua, condo
Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto Empirico deriva da
yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per gli due simboli.
Giunone e Plutone. Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1.
cap. 3. de Pl. Ph. Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è espressa l'aria; ed
al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp.
Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p. 443., -sotto il simbolo di
Giunone è indicata la terra. E però per questi Plutone era la• ria, e per
quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om. 11. 20 V. 61. Esiod. Theog.
v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium '. Nella traduzione si è
formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. (4 ) Di questi versi il 7 e l'8 sono
riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys. 1. 1 p: 26. Dal 10 sino al
15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem.
Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l
10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè
si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio come si vedrà alla (10
). Questi versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura.
Poichè lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel
primo libro delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi,
täzione d'Omero. II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato
in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è
posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati
amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c
in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di
essere una sem 270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle
mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’
versi 6, 13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo
che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys.
4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che
l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14
aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome
0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da
dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i
corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa
interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac
ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il
più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24
cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271
lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso
Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo.
L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod.
Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni
altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel
30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'.
Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne
del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso
Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da
Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo
libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri,
che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel
verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in
Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502,
Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed
Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in
tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v.
77. non è dif ficile che avesse imitato Empedocle, dicendo egli εθνεα μυρια
φωτων α εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, (6
).Simplic. de. Phys. aud. I. 1 p. 7. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi
a' quali di ce Simplicio ch' erun collocati quelli della na: ta (5 )..... L'
epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all'
etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes (7 ) I primi tre' versi sono presso
Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo.
Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em. pedocle λεγει εν
πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si sono si tuati
vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273 è d'Omero. II.
1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL
deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il. 24 v. 793. (8
) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9
presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e
nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ.
αγε των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον
επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov
legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti
colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di
sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel
testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a
negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m
m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene
all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero
so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua
natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi
vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa
Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα.
It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al
v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10
l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono
tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il
Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494 1 11. 9 • (9 ) Simplic. de Phys.
aud. 1. 1 p. 34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che
Empedocle li soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere
collocati nel primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi
ripetuti alla maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11,
e nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell'
11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v:
560, (19 ) Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i
versi delle note (8) • (9 ) 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però
si son collocati dopo, e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver
si è quello stesso, ch ' è stato inserito da 9 nes versi della notą (4). (11)
Il 2 verso si trova presso Plut. net lib. de adulat. et amici discrimine: il
terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom.
I. 6. Il secondo verso, si rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle
nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico.
Questi versi, come quel li, che indicano i quattro clementi ', non si possono
collocare che nel primo libro. m m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4.
Simplic. de Phys. ' aud. 1. 6 p. 272. Plutaroo nel lib. de Reip. geć. praecept.
vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono
appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara Empedocle le due
forze amicizia e lite. (13 ) Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La parola aprice
del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed adatto. Si è
tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui Empedocle enumera le
parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non sono che di numero pari.
Cosi l'ossa di oi to parti nota (7 ), la carne di parti eguali de quattro
elementi nota (6 ) et.. (14 ) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 1, e De
Xenoph. Gorg., at Zenon. Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati
nel primo libro perchè Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως
και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto ď Omero II. 1 v.
797. Odys. 11 V. 453. Odys. 10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod.
in Scuto Herc., ' e nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca
che spesso si tra, va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris
nel principio come opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me
in fine significa natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di
natura. (15 ) Plut. adv. Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono
una continuazio ne di que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi
fossero sta ti alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in
genere neutro, che suol esa sere presso i Greci di genere maschile. (16 )
Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8
Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ της ανδριων και γυναικιων σωμάτων
διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel secondo libro delle cose fisiche canta
questi versi prima di parlare della formazione e articolazione de' corpi de
maschi e delle femine Non vi ha 278 quindi alcun dubbio, che questi versi fan
par te del secondo libro, e che il soggetto di que. sto libro si versa sulla
nascita degli uomini, e de' corpi de' maschi e delle femine. Però è, che tutti
i versi che riguardano la formazio ne degli uomini, e de' loro membri, e delle
parti del corpo umano e loro funzioni sono stati da noi posti nel secondo libro.
IL 3 verso è un'imitazione d'Omero nel v. 157 dell' Iliad. 4, 810Quais secondo
Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che an cora' non indicava la forma
de' membri. (17 ) Aeliano de Nat. anim. I. 16 cap. 29. Le forme descritte in
questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come singo lari.
Cosi Arist. Nat. ausc. l. 2. cap. 8. Es se non poterono durare, perchè non eran
tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi
sono i mostri.: (18) Simpl. de coelo 1. 2. Arist. de coel. 1. 3 cap. 2. De Gen.
I. i cap. i8. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 • (19 ) Simpl. de
coelo l. 2. (20 ) Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si
è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. 1. v. 437. Nel 6 e nel 7 - sono
da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma
niere originali d' Empedocle. (21 ) Aristot. de respir. cap. 7. Questo è il più
bel frammento d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica,
in cui non solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro
respirare, ma si di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è
stato tradotto per quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen.
do talora la forma della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto
chiaramente com prendere Il coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini.
Il. 16 y. 162. Chi si conosce – Omero può accorgersi come va adattando Em.
pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso
WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica
ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta alla duttilità del bronzo 200
Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. 406.
L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371
ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al giorno in Oniero, e qui che
non può esser fatale se non per che nella clessidra è destinata a notare le ore
che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano
corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è applica to alla guerra. Il. v.
395 ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua (22 ) Arist. de
sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d ' Omero. Il.
9 v. 559. Il. 10 v.. 246. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e
simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85
ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li
succhiassero; giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys.
5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v.
526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto
ardito UTCpert chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel
i verso per preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione
delle lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. (23 )
Il i e gli ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. 5 p. 382. Il 2 presso
Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4 pres SO Clem. Aless. Strom. 1.
5. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov. Tzetze Chil. 13 p. 476. Gli
ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim. Pl. Essi sono sta
ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che sembra non esser
disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè Tzetze nella Chil.
7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των φυσικων δεικ: VUOY
TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9, Empedocle nel terzo libro
delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la sostanza di Dio dice cosi Il
pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è comune ad Omero nell' Odissea
n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. (24) Clem. Alex. Strom. 1. 5. Il. 1 ver so
manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi
si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre degli epiteti al
mare, all'aria, aile tere. (25) Athen. Dipnosoph. 1. 8 p. 334. Il devd pece
pecupce è d'Omero. Il. 9 v. 537. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta
che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. (26 ) Aristot. 1. 2
de coelo cap. 8 e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due versi presso Clem.
Aless. Strom. 1. 6. (27 ) Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater.
et mundo Serm. 4 p. 1080. (28) Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. Macro bio Saturn. l.
7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati correlti con
Macrobio. (29 ) Plut. quaest. Nat. p. 916. (30 ) Plut. quaest. Nat. p. 917, et
de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito
xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore (31 ) Arist. Nat. Auscult.
1.? cap. 4, e De Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. (32 ) Simpl. de Phys.
and. I. 2 p. 73. (33 ) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L' epiteto de incepa come
dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero II. 1 v.
352, (34) Simpl. l. 2 de Phys. aud. p. 74 Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog.
(36) Simpl. 1., nel med. luog. (37) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 ) Simpl.
l. 8 de Ph. aud. p. 272. (39 ) Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta
epicuri decreta. (40 ) Simpl. de Ph. aud. l. 8 p. 272. (41 ) Simpl. nel med.
luog. (42 ) Simpl. nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 6. (44)
Simpl. de coelo Com. 21. p. 88. (45 ) Arist. de Gener. et Corrupt. 1. i cap. 6.
La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. 6 y. 411. nn 2 284 (46) Plut. quaest.
Nat. p. 916. (47 ) Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener.
anim. I. 4 cap. 1. (49) Plut. nel lib. de Amic. multitud. (50) Arist. de Gener.
anim. 1. i cap. 23. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. (51 ) Plut. quaest. Platon.
p. 1006.4. (52 ) Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da
leggersi očußeans e in vece di naiyo Iraupe come si è rapportato nel. la nota
(35). (53) Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati corretti da
Xilandro. (54) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4 de anim, 1. i cap. 2. Sesto Emp. adv.
Gram. l. i cap. 13 e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. cap. 21 p. 131. Pare che in
questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il
tip apo ndoy Omerico. Il. 2 v. 455. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si
adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso
come in Omero II. 5 v. 153, e Il. 10. v. 79. Il. 16 v. 393 ec. 285 3. (55 )
Sext. Emp. adv. logic. l. - 8 p. 512. (56) Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L'
última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. p. 29,, ed è un
imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε
εστι νοημα • (57 ) Aristot. de anima 1. 3 сар. (58) Aristot. de anima" nel
med. luog. (59 ) Aristot. de Gener. 1. i cap. 13. (60) Plut. adv. Colot. (61 )
Clem. Alex. Strom. l. 5 Theodor. de curat. aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod,
interpres I. i contra Graecos. (62 ) Arist. Meteorol. l. 4 cap. 9, atspao TURVO
è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera v. 148. (63
) Plut. Symp. 1. i cap. 3. Deve lege gersi andyl. (64 ) Plut. Symp. 1. 3.
quaest. 1. (65) Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. (66)
Put. de Orac defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos.
(67 ) Plut. Simp. I.? quaest. 10, 286. (68) Plut. de Orac. defect: (69) Plut.
Simp. 1. 8 quaest. 3. (70) Arist. Poet. cap. 25 c Meteor. l. 4. 71) Theophr. de
Caus. Plant. 1. i cap. 14. (72 ) Athen. Dipnosoph. l. 8 p. 365. Que sti versi
si son collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve
nere, che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da
Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo,
e non Kπρις. (73 ) Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche
rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel 2 yerso Scalig. legge suve ETEITA,
ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi
conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al
senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note (24) e (75 )
sono riferiti da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc
vedono. E come Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan
parte del 287 Chil. 1, pra poema sulla natura, (74) Sesto Emp. adv. Log. l. 2 (75
) Sesto Emp. nel med. luog. (70) Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi 3, 4,
5 sono anche pres. so Clen). Alex. Strom. 1. 6. Nel 5 si legge d' alcuni
παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole raditova, e fondasi so
Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl' infermi si esprime,
presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat. Horaz. l. 2 Sat. 1 V.
82. (77 ) Laerz. l. 8 in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv.
Gramm. 1. i cap. 13, e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi
Empedocle avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός
των καθαρμων φησίν. (78) Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8.
Sesto Empirico mette questi due versi dopo quelli della nota (77 ) e soge.
giunge nas nary. Sicchè icon c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. (79)
Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur.
carm., il quale lo ' rapporta unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο
Πυθαγοραος • (80) I primi tre versi presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno,
e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. (81
) Hierocl. in aur. carm. (82) Hierocl. in aur. carm. (83 ) Clem. Alex. Strom.
1. 3. (84) Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. 1 v. 254. (85)
Clem. ' Alex, Strom. I. 3. (86) Clem. Alex. nel med. luog. (87 ) Stob. Ecl.
Phys. 1. i. (88 ) Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens p. 9. (89 ) Clem.
" Alex. Strom. 1. 5 Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen.
Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al
pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto
ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli
ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi 289 soggiornarono, si può
comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto Europos. (90)
Eliano de Nat. anim. I. 12 cap. 7. Questi versi appartengono al poema delle pur
gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την
αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα
λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da
stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte
lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L'
epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. (91 ) Plut. de animi tranquill. L'epiteto
έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di
μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad
Asafia o sia al genio dell' oscurità. Giovanni Tzetze Chil. 12 dice Ecco
πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον
υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα 25 * Ο Ο 290 SO • Empedocle
filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera
pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui
indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e
tutto fa con riserva. (92 ) Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. 204. (93) Clem.
Alex. Strom. 1. 5. (94) Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da
Giov. Clerc. Bibl. Choisie Tom. 1. (95) Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son
collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che riguardano
la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα περι τε μη
κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. » Co me dice
Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale. Poichè que
sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto supurtedortos é
d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. (98 ) Sesto Empir. adv. Phys. I. 9 p.
580. Plut. de Superst. Nel 5 verso l'entBTT05 si 291 è tradotto per indegno
d'essere udito come půs letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da
non essere compreso, o pure come colui, che è pieno di Qyaxer 116 che vuol dire
contumacia, o inobbedienza; perchè senza di ciò non si ritrae un senso che
sembra ragio nevole. Nel 6 a legurato d'apra è d' Omero nell' Odys. 13 v. 23. (97
) Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus l. 2 pag. 137 ediz. di Lio
ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. 14 v. 83. (98 ) Porphyr. de
non necandis ad epul. anim. I. 2 pag. 131. Il primo verso somiglia a quello ď
Omero Il. 24 v. 69. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. (99 )
Clem. Alex. exhortat. ad gentes. Awe Q10ste Odys. 11 v. 460. (100 ) Clem. Alex.
Strom. I. 5. (101 ) Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re ardpes sain horlon.
Il. 1 v. 266, e 273. (102 ) Clem. Alex, Strom. 1. 5. Questi due versi sono
stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge fyte TPUDEGcus in luogo d'
AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa seconda maniera cor risponde
meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις.
dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di sostituire l' and pouleur ch'è più
adatto e pie Omerico; all' електро! ľ Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed
in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si sa donde possa derivare. Si potrebbe dire
più presto artelpon. Vi sono poi di quei che in luogo di amewn leggong amoywy;
dimodochè spiegano coi forti achivi. (103 ) I primi due versi sono presso
Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso Janibl. de Vit. Pyth. p. 54.
Questi versi si sono col locati nel poenia delle purgazioni; perchè in questo
poema Empedocle dichiara la morale pittagorica. (104) Presso Suida voce Axpwr e
Laerz. I. 8. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida e Laerzio, è diretto
a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere un gran monumento a
suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti. Empedocle va scherzando.col
nome di Acrone e la parola 293 acron che in Greco significa alto e altezza. Ma
questo scherzo non si può rendere nel no stro linguaggio. (105) Laerz. in Emp.
I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa. Perchè liquo gavin in
greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori. Perciò Empedocle
scherza col nome del suo amico. (106) Questi due versi s' attribuiscono dit
Aulo Gellio Noct. Att. 1. 4 cap. 11 ad Em pedocle, e da altri ad Orfeo. Ma in
verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. 1. 2. Geoponicon cap.
35. Varii sono i sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la
scuola Pittagorica, di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa
lutari, e secondo altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di
fatto Gellio dice che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea
indicare da Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree. (107 ) Questi versi
esprimono il giuramen to che si facea nella scuola Pittagorica. Si leggono
presso Jambl, de vit. Pyth. p. 125, 294 Ma non semhrano d'esser d'Empedocle
cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora perchè
vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi poemi. ROMA
BIBLIOTECA 295 Note mancanti nel Tomo I. pag. 67. MEMORIA SECONDA. (121 )
Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν
τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα
ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν και Pittagora si porto in Cro tona
d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni fu egli in onore unitamente a' suoi
disce poli. Trecento de' quali amministravano otti mamente le cose politiche,
si che quella re pubblica era di posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag.
(122 ) La persecuzione della scuola pitta gorica nacque da ciò, giusta Jamblico
nella Vita di Pittagora cap. 35, che i pittagorici allontanavano il popolo
dalle magistrature, e da' pubblici consigli, e voleano essi soli, come sapienti,
regolar le cose pubbliche.Grice: “If people call William of Ockham, Surrey,
Occam, I shall call Empedocles of Agrigentum Agrigentum, or Agrigento
simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians”While in the New World,
‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in Greece,’ Grice was amused
that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti – Keywords: Girgenti –
“You say Gergenti, and I say Girgenti” -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano,
The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice e Girgenti: la ragione conversazionale al
limite -- l’implicatura conversazionale -- la parola che non s’incatena –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “I love Girgenti for many
reasons! For one, he has edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on
Socratic irony, a concept that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero,
which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina,
Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini,
Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo
in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia
riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero
forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra
filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il
platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema,
applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la
"fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina
deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico,
che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione
dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere
analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio
evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana
sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la
"Ellenizzazione del cristianesimo" di Harnack, secondo cui nell'incontro
con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e
dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana
potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le
chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio:
catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo
cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero,
Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano,
Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti,
Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato,
Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista
con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda
biografica, curriculum e nel sito
dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di
pubblicazioni Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia
sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il
pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di Reale, Vita e
Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino
Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino
Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di
San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano,
Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda
Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”,
introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte,
Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari
analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole
chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano,
Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e
apparati di G. con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi,
Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia
platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero,
Milano, Porfirio, Storia della Filosofia
(frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione
a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di
Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e
altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione
e note di G., Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e
scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia
introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio
preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e
indici di G., in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e
arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia
antica, introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M.
Cajtham l, testo ceco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Wojtyla,
Persona e Atto, a cura di Reale e T. Styczen, revisione della traduzione
italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a
fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima
dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari,
Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der
Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in K. Götz – J.
Seifert (Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp
Verlag, München; J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia
realista come riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice
un testo inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G.
Girgenti, Vita e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg
Gadamer, edizione italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio
nel vegetarianesimo antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia Calabria”,
Due fonti neoplatoniche indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in Nicolaus
Cusanus zwischen Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen
Symposions in der Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts),
hrsg von Martin Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione
di R. Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale.
Porfirio, Vita di Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello
Spirito”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano
K. Wojtyla, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi
integrativi, a cura di Reale e Styczen,
apparati e indici di G. , Bompiani, Milano; Diogene Laerzio, Vite e dottrine
dei filosofi. Commentaria in Porphyrium. Schepps Samuel
Brandt Leipzig European Social Fund Saxony Crane Jouve OCR-ed,
Franzini Leipzig Stoyanova Robertson Mount Allison
Fonticola (Ludwig Maximilians Munich). Leipzig Germany Schepps Brandt Boezio
Vienna Leipzig Tempsky Freytag. Secundus hic arreptae
expositionis labor nostrae seriem translationis expediet, in qua quidem uereor
ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo expressum comparatum- que
reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his scriptis in quibus rerum
cognitio quaeritur, non luculentae orationis lepos, sed incorrupta
ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse uideor, si philosophiae
libris Latina oratione compositis per integerrimae translationis sinceritatem
nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et quoniam humanis animis
excellentissimum bonum philosophiae comparatum est, BOEZIO IN YSAGOGAS
PORPHIRII. BOEZIO IN YSAGOGE; BOEZIO COMMENTA IN ISAGOGAS G,; INCIP
COMENTV BOEZIO in isagogis porphirii; Expos Scda L; COMENTV BOEZIO
IN ISAGOGAS R; inscriptione carent CFHNS (nisi quod in FH
recens quaedam est), item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam
continentibus ΛΣ ; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE DE GRECO IN
LATINVM A VICTORINO ORATORE (sic) ΓΦ ; INCIP LIBER YSAGOGARVM
(HΥS-) POR- PHYRII (I pro Y Π ) AII ,- Icipidt isagoge
porphyrii (m. poster.) Ψ; de titulo operis cf.
Prolegomena 6 fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. 133. 11—13] cf.
Cic. Acad. post. I 3,12. 6
fędi C foedi Hm1N infidi FGm1 7uerbo]e uerbo
N 8 incoepti CEGHPRS 10 corrupta Em1Sm1
incorruptae Em2 (e in mg. add. sed del .) Lm1 11
uidebor brm 13 graecis Lm2 ut uia et filo quodam
procedat ORATIO, ex animae ipsius efficientiis ordiendum est. triplex omnino
animae vis in uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam
corpori subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero
sentiendi iudicium praebet, tertia ui mentis et ratione subnixa est.
quarum quidem primae id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque
corporibus praesto sit, nullum uero rati- onis praestet sensusue iudicium.
haec autem est herbarum atque arborum et quicquid terrae radicitus adfixum
tenetur, secunda uero composita atque coniuncta est ac primam sibi sumens
et in partem constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium.
omne enim animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur,
sensus uero diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque
quicquid tantum alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire potest,
ei prima quoque animae uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse
subiecta. quibus uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus
sensibili corpore feriuntur praesente, sed abscedente quoque sensu sensibili-
busque sepositis cognitarum sensu formarum imagines tenent memoriamque
conficiunt, et prout quodque animal ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed
eas imaginationes confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum
coniunctione ac compo- 1 uia et filo quodam] CEm2H (uia
fort. ras. ex uiae), uiae et filo quodam N uiae (s. l.
R) ex filo quodam EmIGPR edd . uiae ( ex uia S ) ex
quodam filo LS uiae ( s. l . filo m1 ) quodam F
ratio CEmIGLRS ex] ab Hm1NP efficienti Em1
efficientis Fa. c . 3 post uitam add . solum CFHP
solam N corporis GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis FGRS 6
procreandis CHNP 7 nutriendisque ( om . alendis) EL
sit s. l. Gm2Nm2 9 terra CN 10 ac] ad FSm1
at LSm2 et G 11 rebus] quibus GRS de rebus
de quibus L 12 poterit E post iudicium add .
capit E (sed del.) L, s. l. m2 in HRS 13 et nutritur om. CHP,
s. l . nutritur (om. et) Lm2 14 ita CHR 16
poterit E quoque prima FGm2H 19 praesente ante
feriuntur FHN praesentes CHm1N abscedente]
Em2FGHmINESa.r . absente CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis GR 22
imagines FHN 23 ante sumunt add. sic brm
sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec
aeque omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non
possunt, futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum
priores alendi ac sen- tiendi trahit hisque uelut famulis atque
oboedientibus utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum
prae- sentium firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in ignotarum
inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae non solum
sensus iraaginationesque perfectas et non inconditas capit, sed etiam
pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque
confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione
sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus
imaginatione concepta et absen- tibus rebus nomina indere potest et quod
intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit,
illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota
uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec
non cur sit, optet agnoscere, quam triplicis animae uim sola, ut dictum
est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non
caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an
sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam
utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2 admissa] CR amissa EFGm1NP amissam
Gm2LS, ras. et s. l. ex admissam H memoriam om. FGR, s.
l. Sm2, memoria H 3 hiis F , sic saepe
cogitatio CNm2 4 animae uis CEL 5 ante trahit add
. uires brm 6 ea CHm1N est ante constituta
CEGS , om. R 7 con- tentione EGm1Sm1
contemplatione R, m2 in GLS 8 in s. l. Gm1PmS , del.
Lm2 ignotorum Hm1N 9 imaginationes EN 11
conformat Gm2Pm2 13 cognitione] in cognitione FHNP 14et] ex
Em1HN sensibilibus CEm1Hp. c. Nm2 sensibus Ha. c.
Nm1 ante imaginatione add . sibi E (del. m2)
NPSm2 imaginatione] in agnitione Gm1Sm1 agnitione
Gm2R post concepta add. nomina Hm1, idem post rebus s.
l. m2 17 sint E 19 optat LR 22 quia] qua
Gm1 atque EHm1Pm1 24 scientiam post ratione
E sententiam Hm1 pos- sedit FRS unum
quodque uestigat atque in eo cetera accidentium momenta perquirit, quibus
cognitis cur ita sit quaeritur et ratione nihilo minus uestigatur.
Cum igitur hic actus sit humani animi, ut semper aut in rerum praesentium
comprehensione aut in absentium intellegentia aut in ignotarum inquisitione |
atque inuentione uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratio-
cinantis inpendit, unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione
cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas
moralis exerceat, quibus inquirendis permulta esse necesse est, quae
uestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in
multis euenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate
metitur, hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam
per imperitiam disputandi quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in
res quoque ipsas euenire arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim
sese ut in numeris, ita etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim
quicquid in digitis recte computantis euenerit, id sine dubio in res quoque
ipsas necesse est euenire, ut si ex calculo centum esse contigerit,
centum quoque res illi numero sub- iectas esse necesse est. hoc uero non aeque
in disputatione seruatur; neque enim quicquid sermonum decursus
inuenerit, 4 aut om. CNR, s. l. Gm2Sm2 5 rerum add.
edd. post praesentium, ante Brandt; cf. p. 137, 6 6
ignotorum Gm2Hm1Lm2N ante in- uentione s. l. in Hm2 8
inpendat FPSa.c . naturam FHm1N certa inquisitionis]
Gm2H certae inquisitionis FNP inquisitionis certa CELm2 , om.
certa Gm1Lm1RS (fort. recte) 10 quod] eius quod r exer- cet
Hm1 12 minimum ante non E minime FSm1
diducant FGm2 13 atbomis plerique codd . consistere in
mg. Hm2
constare CFP, post er . ł consistere C honestam
Em1P honestatem F 14 uoluptate om. F uoluptatera
CEHm2 (te* m1) LNR, add . corporis L (del. m2) R, s. l. Gm2,
ante uol. edd . mentitur CEGHPRSm1 hoc] haec
H 16 racione CN comprehenderent m1 in
EHN 17 nero] ergo H maximus E error est
CFHNP post sese add. res FR , s. l. Pm2 19
digitos CEFN id natura quoque fixura tenetur, quare necesse
erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent,
nisi enim prius ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi
semitam, quae ueri similem, et agnoscere quae fida, quae possit esse
suspecta, rerum incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum
igitur ueteres saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria
in disputatione colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem
re contraria conclusione facta utraque essent uera quae sibi dissentiens
ratiocinatio conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset
ambiguum, uisum est prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare
naturam, qua cognita tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an
uere comprehensum esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est
logicae peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes
internoscendi uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem
uera sit, quae uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius
autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in
iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est,
euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat
partes, unam inue- niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi quidem
uidetur, Aristoteles fuit. Stoici 20 Tullius] Top. 2, 6 s.
1 ante natura add . in HLSpr, s. l. Pm2 3
post nisi add . quis r prius enim E 4
disputandi om. GRS ad ueri similem s. l . ał que ueri se
similem agnouerit Hm2 et agnoscere] FSm1 ( om . et) et
agnouerit EGLPRSm2 ( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus
agnoscere Hm1, s. l . ał et agnouerint quae fida et reliqua
m2 ut ex diligentia rationum queamus ( ex quaeramus C )
agnoscere CN 7 et sibimet] sibimet C sibi et
EGRS 9 post re s. l . si Cm1? 10 cuique)
CHm1N cuiue cett . 13 tunc FHNPm1R post an add .
id R, s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C 15 ipsis ratiotinationibus
Hm2 16 ante internoscendi add. et brm uiam CFHN
19 inneniendi et iudicandi ( om . in) Hm2 24 quidem uidetur]
FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem om. CEL autem in altera
elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter persecuti sunt ea scientia
quam διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem, quae τοπική dicitur quaeque ad usum potior erat et ordine
naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem quoniam in utraque
summa utilitas est et utramque, si erit otium, persequi cogitamus, ab ea quae
prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera- tionis fructus sit,
danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis intentio, ut primis
firmati in disputandi ueritate uestigiis facile ad rerum ipsarum certam
comprehen- sionem uenire possimus. Et quoniam qui sit ortus logicae
disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino pars quaedam sit
philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru- mentum, per
quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius quidem rei has
e contrario uideo esse sententias. hi enim qui partem philosophiae putant
logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur, dicentes philosophiam
indubitanter habere partes speculatiuam atque actiuam. de hac tertia
rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed eam quoque partem esse philosophiae
non potest dubitari, nam sicut de naturalibus ceterisque sub speculatiua
positis solius philosophiae uestigatio est itemque de moralibus ac 2
uias] ENPCic.p, om. cett. codd ., uiam brm ea scientia]
Pm1Cic . eam scientiam EPm2 edd. eam scilicet scientiam
CN artem et scientiam FSm2 scientiam GHLRSm1 3 διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen CFGHL- NPm2RS
dialecticam E dialectica Pm1 τοπική ] Cic . topice Gm2LNS topica
CEFGm1HPR 4 quaeque] quae et Cic . 5 prior] prior est
GLa.c.RS 6 in—est et] CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius
etiam in comment. in Cic. Top. lib. I p. 1047 D haec uerba respicit 8
prima] prior Cic . ordiemur] EHm1NCic . ordiamur
CGHm2LPRS ordinamus F 13 quid FHm1NPp.c . quod
a.c . 14 ante reliquum add . esse GHP pars sit quaedam
GN quaedam pars sit L 18 hii EHL 20
ante habere add . duas L m 1860 21 post
rationali add . uel orationali EFGH (del. m2) RS (del. mS) id
est logica L ( s. l. m2) edd. ad an s. l . si
Cm2 24 inuestigatio L reliquis quae sub actiuam partem
cadunt, sola philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est
de his quae logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua
atque actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia de his philosophia
sola pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam
philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt :
cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam
consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis, haec de
moribus quaerit, non dubium est quin logica disciplina a naturali atque morali
suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim logicae tractatus de
propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi, quod neque ea quae non
de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars, quae de moribus
inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua,
actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio triplicique a se
fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia partes esse
dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars esse conuincatur.
qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum putant, haec fere afferant
argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem speculatiuae atque actiuae
partis extremo, utraque enim illarum ad suum proprium terminum spectat, ut speculatiua
2 tractat Ep.r.FR, m2 in GLP 3 diiudicat CHm2 5 sola
philo- sophia CFN pertractet Em1 tractat
Hm1 7 iam] tam R ita FL 9 sublectas
discernat Em2 10 dubium non est CEL non est
dubium F 11 a om. LS, s. l. Gm2Pm2, postea add. R
disiuncta (iunc in ras. m1? ) R 12 est enim] etenim
GLRS post tractatus add. est LR, s. l. Pm2 14 orationibus
E ratione Lm1, add . est L 17 sint Rm1, ex
sit Sm2 cumque H (q. er .) Lm2N 18
et] atque EFNP philosophiae pbr dicantur Lm2N non
est dubium EFHNP 21 haec—argumenta del. G asserunt (ss
in ras. m1?) C similem om. GR, post finem s. l.
Sm2, ad similem s. l. ł proprium Pm2 22
ante speculatiuae add . sed R, s. l. Gm2Lm2 extremum E
(u ex a uel o m2 ) GL (um ex am m2 )
Pm2RSm1 23 proprium suum C ut] ita ut brm
quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat,
neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse non potest absolutus,
sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est.
quid enim est in logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi
quod propter inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim
quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera sit, quae ueri similis, ad
hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur haec scientia
rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium moralitatis adducta
beatitu- dinem pariunt. atque ideo quoniam speculatiuae atque actiuae
suus certusque finis est, logicae autem ad duas reliquas partes refertur
extremum, manifestum est non eam esse philosophiae partem, sed potius
instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte dicantur, quorum nos ea
quae dicta sunt strictim notasse sufficiat. Hanc litem uero tali ratione
discernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem logica partis uice simul
instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa suum retinet finem isque
finis a sola philosophia, consideratur, pars philosophiae esse ponenda est,
quoniam uero finis ille logicae quem sola speculatur philosophia, ad
alias eius partes suam operam pollicetur, instrumentum esse philosophiae non
negamus; est autem finis logicae inuentio iudiciumque rati- onum. quod scilicet
non esse mirum uidebitur, quod eadem pars, eadem quoddam ponitur instrumentum,
si ad partes corporis animum reducamus, quibus et fit aliquid, ut his
quasi quibusdam instrumentis utamur, et in toto tamen corpore par- tium
obtinent locum, manus enim ad tractandum, oculi ad 1 rerum] Em2H(in
mg. m1?) Lm2 edd., post cognitionem add . rerum s. l. Pm2Sm2,
add . naturalium rerum F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera Em2 3 non potest
esse FGN 4 est om. C 5 aptari FGm1Hm1Pm2R 6
affectio EFHLm2Pm1Bm1 8 intendit F 9 rationum
scientia CLP 10 mortalitatis bm 11 parant Ea.c .
pariant Hm1 15 alterutra] utraque EP, add. post
alterutra H, del. m2 ante dicta add . supra EP, s. l.
Lm2 18 enim] nero CFHN 21 ei F 24 uidetur
Em1FGm2LNPm2 28 optineant Fp.c.S uidendum, ceteraeque
corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad
totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse
deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica
disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola
magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas
uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta largita est,
ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui, nunc de eo nobis libro
pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo enim proponit
Porphyrius introductionem se in Aristotelis PREDICAMENTO conscribere, quid vero
valeat haec introductio vel ad quid lectoris animum praeparet, breuiter
explicabo. Aristoteles enim librum qui De X PREDICAMENTI inscribitur hac
intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub scientiam cadere
non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod per
incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per
generum, ut dictum est, paucitatem animo fieret scientiaeque subiectum.
decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et
accidentia nouem, quae sunt II QUALITAS III QVANTITAS IV RELATIO V VBI VI
QVANDO VIII FACERE et pati, IX SITVS X HABERE, quae quoniam genera essent
suprema et quibus nullum aliud superponi genus posset, omnem necesse est
multitudinem rerum horum decem generum spe- 1 quoddam] quod
Em1 (aliquod m2 ) G 2 utilitatem post corporis
EG, ante totius L 4 quas FSm2 5 quidem post
philosophiae H quaedam L 6 uero] uero est L
8 quoque om. L quidem edd . ueritas Cm1N
succincta] CNPSm2 sua mora EFGHR sua mota
Sm1 succincta suam moram L 9 ortum om . L et de ortu CNF quod
CF est G explicaui CELm2PRS 11 titulum
CHm1N 13 lectoris s. l. Gm2, post animum CN, post
praeparet H. om. E 14 paret EFGNRS 15 scribitur
EGRSm1 17 ita quod s. l. Gm2 (itaque m1) Rm2 quod
( om . ita) s. l. Sm2 20 decem] in decem C 23 et
om. FLNP situm habere CRa.c . situm esse habere Gm1S 24
genus superponi H possit Ea.c.FGm1NPRS 25 ante horum
add. per s, l. Pm2, ante species CFLR. s. l. Gm2Sm2
cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa
sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia
esse praedicantur. quippe I SBSTANTIA est, II QVALITAS est, III QVANTITAS est,
et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non est
eorum communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque X genera
ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt sed quae
aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam
quod ea in singularem solitariamque vindicet formam. non est autem idem
proprium quod accidens accidentia enim et venire et abesse possunt, propria ita
sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quae cum ita
sint cumque Aristoteles X rerum genera repperisset, quae vel intellegendo mens
caperet vel loquendo disputator efferret - quicquid enim intellectu
capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum X PREDICAMENTI
intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis,
speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet
ante praediscere quid sit genus, ut X illa quae Aristoteles ceteris
anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio
plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim
quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim
potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species in relatione
ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri cui- 4 omnibus
aliis FHLN 9 quoddam S 10 uendicet HLP
uindicent ( ent in ras.) S
constituat CN 11 euenire FGm2R (om. et) abire NP 12
propria ita] propria enim ita H proprietates EGm1S propria
uero ita edd . insitae EGm1S 14 uel om. FP 16
cupimus E alterutrum FPm2S 19 ante
accidentis add. atque FHNP et L 21 inter-
posuit m1 in EGS superposuit Em2NP praeposuit
FGm2 possemus FN 22 cognitio post ualet
LP 24 impedito (uel in- ) Ca.c.EGm1HNS impedit
R turbari CS 25 inscitiam F 26 cuilibet]
cuiuslibet Gm1N,a.r. in EFS libet generi subdamus atque ita fiat
permixta rerum atque indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura
speciei ante noscendum est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda
natura, ne priorum generum species inuicem per- mutemus, uerum etiam ut
in eodem quolibet genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne
substantiae mox animal dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis
homi- nem potius quam animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his
maximum retinet locum, qui enim omnino qualitatem a substantia uel cetera
a se genera distare cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo
autem discernere eorum differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia
nesciamus? nec hunc solum nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum
etiam specierum quoque tollit omne iudicium. nam omnes species
differentiae informant, ignorata differentia species quoque necesse est
ignorari, quomodo uero fieri potest, ut quamlibet differentiam possimus
agnoscere, si omnino quae sit nominis huius significatio nesciamus? iam nero
proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque singulorum PREDICAMENTI propria
perquisiuerit. quae propria esse quis deprehenderit, antequam quid omnino sit
proprium discat? nec in his tantum propriis haec cognitio ualet quae singulis
nomi- nibus efferuntur, ut hominis risibile, uerum etiam in his quae in locum
definitionis adhibentur, omnia enim propria rem subrectam quodam termino
descriptionis includunt, quod suo quoque loco 25 suo loco] lib. IV c. 15 s. 1
generis Gm1REa.r.Sa.r . fiet CH fit N
permixtio FHm2LNP 4 primorum FNP 5 in om. CERS,
s. l. Gm2 6 ante generi add . cuilibet brm
7 aut—corpus om. E, s. l. Gm2Sm2 8 corpus om. FP , del.
Hm2 9 qui] quomodo
Ep.c.HPp.c.R 11 nouerimus R quo- modo—ignorari (16) in
inf. mg. Em2 autem] nero E(m2) 14 offundit] E (m2)
Pm1 obfundit Hm2 diffundit Gm1 effundit
cett.; cf. p. 159,16 15 informant differentiae brm 16
quomodo] qui FNP uero om. G 18 huius nominis
FNP 20 perquisierit R quis esse FR 21 deprehen-
derit in ras. E deprehenderet Np.c . deprehendet ( ex
-it) P 22 proprii Gm2N post singulis add .
tantum FHLNP 24 subiecto EGm1RS oportunius
commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum afferat, quis dubitare queat,
cum videat inter X PREDICATMENTI IX accidentis
naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens
ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota sit,
nisi accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri enim
potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens apponatur,
quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex
differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens
tamen non uidentur admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera
collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species
nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cumque omnia in
substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset
cumque aliquorum PREDICAMENTI fere sit propria persecutus, de his ipsis quidem
praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid differentia,
quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium, uelut nota
praeteriit, ne igitur ad PREDICAMENTI Aristotelis uenientes, quid significaret
unum quodque eorum quae superius dicta sunt ignora|rent, hunc librum
Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per- scripsit, quo perspecto et
considerato quid unum quodque eorum quae supra praeposuit designaret, facilior
intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur addisceret. Haec
quidem intentio est huius libri, quem Porphyrius ad introductionem PREDICAMENTI
se conscripsisse ipsa, ut 1 opportunius NR post
accidentis add . teneri L , post naturas (3)
tenere HN 3 quonam modo FHLNP 5 tota EN, m1 in
GPS 6 tenemus C 7 insciciarn FN 11
ante rerum add . decem cod. Monac. 4621 brm, recte? 15 nouem om. S
edd., s. l. Em2Gm2 16 fere om. EFGS, er. H 18 nunc om. GRS est
dicendum CL 21. 24 eorum delendum esse coni. Engelhrecht 23 quo]
ut CHLNP inspecto FNP perfecto EGm1 24 eorum]
cod. Monac. 4621 ( om . quae), om. codd. nostri proposuit FP
proposui H posuit NR 25 ab om. ENR praeponerentur
CHm2NR 27 ipse L ita F dictum est, tituli
inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius libri referatur intentio,
non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex et in maxima quaeque
diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri commemorat
dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud
Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid
differentia quidque species et quid proprium et quid apcidens, et ad
definitionum adsignationem et omnino ad ea quae in diuisione uel
demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi
traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab
antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus abstinens,
simpliciores uero mediocriter coniectans. Utilitas huius libri quadrifariam spargitur, namque
ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio, magno legentibus usui
5—16] Porph. p. 1, 3—9 (Boeth. p. 25, 2—9 Busse). 2 eius utilitas est]
FGm2 (in mg. add.) HP utilitas eius est in mg. add. Em2 est
eius utilitas s. l. add. Lm2 eius est utilitas N, om,
RS; est tamen simplex eius utilitas C 3 uerum in mg. Em2
sed GLS sed et R multiplex et in mg. Em2, s. l. Sm2 est er. uid. E
5 ante Cura add . PROLOGVS RS, de inscript. codicum
Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri Chrysaori] G
chrisaori EHNPa.c . Γ ( s. l . menanti) Ώμ2ΣΦ
chrysaoni S chrisarori ( uel cris- uel chriss-,1
CFLPp.c . R lATl m1 *! (-oui) ante et add. te C (er.)
FLNA (del.) Σ , s. l . scil, te E 6
ante praedicamentorum add . X Δ 7 sit genus L A
et om . Φ quidue N 8 pr . et s. l. E,
om . A 9 diffinitionem Em1 \ m2 , in -nes,
hoc in -num mut. F 10 in] ad FHP , ante
in er . ad uid. C diuisionem Ca.r.FHNP T a.r . A a.r . Q uel] et
N et ad FHP uel in ΔΣΦ demonstrationem Ca.r . (-ne ras. ex -ne ut uid .)
FHNP F a.r. A a.r .(b utili] edd . utilia codd . 11
hac] HP , s. l. Sm2 hanc CLNΤ ΛΙIΣΦ , del .
Δ , om . EFGRS
speculationem CEa.r.Hm2L A a.r . ΑΦ , in -num corr. Σ compendiosa ras. ex -sa C A
12 traditione ( uel -cione) CLΝ Φ , ras. ex -nem
HT A 14 altioribus] ab altioribus A 17 quadrifaria S
ante ad add . et EGP , s. l. L 18 etiam om
. G est et ad cetera, quae cum extra intentionem sint, non tamen
minor ex his legentibus utilitas comparatur, est enim per hoc corpusculum et PREDICAMENTI
facilis cognitio et defini- tionum integra adsignatio et diuisionum recta
perspectio et demonstrationum ueracissima conclusio, quae res quanto difficiles
atque arduae sunt, tanto perspicaciorem studiosioremque animum lectoris
expectant. dicendum uero est quod in omnibus libris euenit. nam primum si quae
sit intentio cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire possit
expenditur et licet extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur,
tamen illam proxime utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur
intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad PREDICAMENTI
intellectum facilem comparandi, non dubium quin haec eius principalis probetur
utilitas, licet non minores sint comites definitio, diuisio ac
demonstratio, quorum nobis quaedam hic principia suggeruntur, sensus uero
totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit, utilis generis, speciei, differentiae,
proprii accidentisque cognitio ad PREDICAMENTI Aristotelis eiusque doctrinam,
ad definitionum etiam adsignationem, ad diuisionem et demonstrationem, quae sit
harum rerum utilis überrimaque cognitio, compendiosam, inquit, tra-
2 utilitas legentibus FHP 3 opusculum CEp.r.FGm2HLN, recte ?
cf. p. 149, 3 4 integra om. ER, s. l. Gm2Sm2 recta] perfecta CFGm2-
Hm1N 8 post libris add . his HNP hoc
R, s. l, sed exters. G sit] est H 9 id est
(add. Lm2) perpenditur Em2Lm2 10 ante huius- modi
add . in CE (del.) G (del. m2) N librum] LPm2RSm2, om. Hm1 ,
libros FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro CE (del.) Gm2NPm1 sequntur
( uel sec-) R, m1 in EGS 11 uidentur FH ad quod]
aliquod Cm1 ad quam FGm2Pm2 eius] eorum
FGm2HPm1 12 ante ipso add . ut (s. l. est Lm2) in
hoc CFHLNP, s. l . ut in Em2 hoc Gm2 ex-
ponendum CE (dum in er . te?) FHLNP ( ex
-dus m1 exponere m2 ) Sm1 post cum s. l .
enim Hm2 13 praeparandi H 14 ante dubium
add . est FHNP , s. l. Gm2, post s. l. L 15 minoris
CGm1N 16 nobis om. C hic quaedam C
principalia NSm1 17 huiusmodi totus EG 19 eamque
Hm1Sm1 20 ad om. C, s. l. Gm2 , et FHN et ad
P et] ac H, om. CFNP , et ad edd . demonstrationemque CN
demonstrationum- que FP quae] quia Lm2R, om. CFNP 21
traditione ras. ex -nē H ditionem faciens ea quae
ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim
esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam
introductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refngiam,
simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum
obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota
quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et
facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur quidnam
celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in
Graeco άναγκαΐον , plura significat, diuersa enim significatione
Marcus Tullius CICERONE dicit necessarium suum esse aliquem atque nos, cum
nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce quaedam
utilitas significatur. alia quoque significatio est qua dicimus solem
necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima significatio
praetermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic Porphyrius ponit
aliena est. hae uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare uideantur quae
huius loci obtineat significationem, in quo dicit Porphyrius; Cum sit
necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces- 12 Marcus Tullius]
cf. infra apparatum. 2 enim om. E 3 corpus
HNPm1 4 refugio EGR 5 simplicium Gm2LPm2 6
eas EFGm1HNSm1 7 ad quidem s. l. autem
Gm2 8 prohemii EPS uberrima <sit> Brandt 9
animum EGLm2Pm2R uidetur om. ERS, s. l. Gm2 11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ uel ANAKAION uel sim. codd . ANA IT CION ł
ANAKAION C 12 etenim F ad Marcus Tullius in mg .
Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id
est adiutorem danium ( leg . fundanium) add. Hm2, ex Mario Victorino De defin., Boeth. p. 906 B,
haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller 13 aliquod C
aliquid Hm1NPm2 nos] Hm1Pp.e.Sm1 nostrum cett.;
an nostrum est scribendum ? ante cum add . ut EG (del. m2)
HLm2P uel F nos Hm2 14 dicamus L 16
post , esse] esset F est Hm1LNP 18 uero om.
N ergo F 21 Chrysaori] CEm1 chrisaori uel
eris- uel crys-uel crisar- uel sim. cett . necessarium]
harum E ( s. l . duarum necessitatum m2 ) Gm1S
necessarium harum F sarium et utilitatem significat et
necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et summe utile
est ad ea quae superius dicta sunt, de genere et specie et ceteris
disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante praecognita, illa
ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam neque praeter
generis uel speciei cognitionem PREDICAMENTA discuntur nec definitio genus
relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de
diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit
haec quinque de quibus hic disputandum est, prius ad cognitionem uenire
quam ea quibus illa praeparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio
positum est qua necessitatem significari uellet ac non potius utilitatem, ipsa
enim oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiae ratione
significat, neque enim quisquam ita utitur ratione, ut aliquam
necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero
semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit
necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam,
si igitur hoc necessarium utile intellegamus et id nomine ipso uertamus
dicentes: cum sit utile. Chrysaori, et ad
eam quae est apud Aristotelem praedicamen- 1 et om. R, del. CGm2 significans R ante
necessitatem add . altera R, s. l. Gm2 4 necessitas est
E quia om. NS sint post haec F, post
praecognita H 5 agnosci CN post cognosci add .
quae (om. E) praedicamenta dicuntur CEGL (in sup. mg.
m2) PR cognitiones (del. et s. l . quae add. m2)
praedicamentarum (rum del. m2 ) dicuntur S
nam—discuntur om. GRS, in sup. mg. Lm2 nam—cognitionem in mg.
Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec C sed nec
S neque N 10 sit] erit Em2GLm1RS 13
significare FN 15 utatur Sm1 oratione CHm1N
16 aliud] aliquid CHm1N 17 post se add .
quiddam CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem edd . quod] ad quod NP
defertur Gm1Lm1RS 18 enim om . C Chrysaori] eaedem fere quae p.
147, set 149, 21 in codd. scripturae 19 et] te et L 20
post doctrinam add . nosse quid genus sit C nosse quid
sit genus et cetera in mg. Lm2 22 Chrysaori] ut 18
et om . EFGS te et L doctrinam
praedicamentorum C torum doctrinam, nosse quid genus sit et
cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’ permutetur
atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem
PREDICAMENTI doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, rectae
intellegentiae sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius immorandum non
est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse ad ea ad quae
hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessi- tate hic dictum est
necessarium, sed potius de utilitate. Nunc
uero, licet idem superius dictum sit, tamen breuiter quid ad PREDICAMENTI
generis, speciei, differentiae, proprii atque accidentis prosit agnitio,
disputemus. Aristoteles enim in X PREDICAMENTI genera constituit rerum quae de
cunctis aliis PREDICARE ut quicquid ad significationem uenire posset, id
si integram significationem teneret, cuilibet eorum subiceretur generi de
quibus Aristoteles tractat in eo libro qui De decem praedicamentis inscribitur,
hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad genus tale est, quale si quis spe-
ciem supponat generi, hoc uero neque praeter cognitionem speciei ullo
modo fieri potest nec uero ipsae species quid sint uel cuius magis sint possunt
perspici nisi earum differentiae cognoscantur, sed differentiarum natura
incognita, quae unius 1 recte—sermonum] recte intellegentiae sermonum
ordo conuenit CLP (ex 5) 2 uero] autem C 3
atque] itaque FN ut CLH (in ras.) Chry- saori] ut p
. 150, 18 4 est] sit GLRS nosse—sit om. EH
5 ordo ante sermonum E 7 post his s.
l. quinque Lm2 pr. (sic) ad om. G , in
mg. Em1? 8 tractatus hic H intendit L
peruenire Lm1S 9 ante hic add . solummodo
F 10 nunc] nam F 11 quod EN 12 possit
Lm2 cognitio R 15 possit Fa.c.LS 16 Aristoteles
delend. esse coni. Brandt eo om. E 17 De om. NS ,
de s. l. Lm2 uero s. l. Gm2 18 post , ad om. GRS,
s. l. Em2Lm2P qui S 19 neque er . L
nec N post cognitionem add. generis neque praeter
cognitio- nem CFHP (in mg. m2) generis nec E
(s. l. m1?)N, s. l. generis et Lm2 20 nullo Lm2
neque F 21 magis] modi CEm2 (in aliis
m1) Hm1Pp.c.(corr. m1?) modo
N possint S possumus Gm1Lm2 possemus
m1 possimus E perspici] scire EGm1 (sciri m2
) L agnosci RS cuiusque speciei sint differentiae, modis
omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles
tractat in PREDICAMENTI, et generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem
speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non
potest ignorari, quamquam in eodem libro plura sint ad quae nisi maximam
peritiam et generis et speciei et differentiae lector attulerit, nullus omnino
intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non
subalternatim positorum diuersae secundum species et differentiae sunt, quod
his ignoratis intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium
unius cuiusque PREDICAMENTI diligentissima inquisitione uestigat, ut cum
substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum
susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale atque
inaequale dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis- simile
aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit proprietas
contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis et habitus,
quae affirmationis et 8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16 s. 13 s.] ibid. c. 5, p. 4 a
, 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26 s. 16 s.] ibid. c. 8, p. 11 a
, 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid. c. 10. 1 sit
differentia S 5 non potest s. l. Gm2 quamquam] cum
F 6 et generis—differentiae post attulerit E 8 pateat
EGLRS dicit] Brandt dicat codd. edd.; cf. 13. p. 154, 14. 21.
153, 2. 6 10 post secundum add . se EGL (del.)
ES, er. uid. H et om. CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat.
c. 3 τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπ’ αλληλα τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί et Boethii
interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se) quid GRS 11
possibile EG ( post est signum interrogat.) RS
propria FHNP 14 ante numero s. l. cum E 15 aequum Em1FGLm1RS; cf. p.
153, 17 atque] aut N 16 dicitur FHLm2P et dissimile] F
uel dissimile s. l. Em2 aut dissimile s. l . Gm2Pm1?
, om. cett.; cf. Aristot. Cat. c . 9 Τ ών μέν ouv είρημένων —
τό ομοιον χα) άνο'μοιον — αοτήν et Boethii
interpretat, p. 259 A (simile et dissimile,) 17 aliis DGPm1RS (
s in ras); cf. Aristot, ibid . έτέρω , Boeth. ibid . alteri
18 post relationem add . contrarii Em1, del. et s. l .
ut sapientia stulticiae m2 negationis, in quibus ita tractat
tamquam iam peritis scienti- busque quae sit proprietatis natura; quam si quis
ignorat, frustra ea quae de his disputantur adgreditur. iam uero illud
manifestum est, quod accidens maximum PREDICAMENTI obtineat locum, quod proprio
nomine nouem PREDICAMENTI circumdat. Et ad PREDICAMENTI quidem quanta sit
huius libri utilitas ex his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum
adsignationem, facile cognosci potest, si prius substantiae rationum
diuisio fiat, substantiae ratio alia quidem in descriptione ponitur, alia uero
in definitione, sed ea quae in descriptione est, pro|prietatem quandam colligit
eius rei cuius substantiae rationem prodit, ac non modo proprietate id quod
monstrat informat, uerum etiam ipsa fit proprium, quod in definitionem
quoque uenire necesse est; si quis enim quantitatis rationem reddere uelit,
dicat licebit; quantitas est secundum quam aequale atque inaequale dicitur,
sicut igitur proprietatem quidem quantitatis in ratione posuit quantitatis et
ipsa tota ratio ipsius quantitatis propria est, ita descriptio et
proprietatem colligit et propria fit ipsa descriptio, definitio uero ipsa
quidem propria non colligit, sed ipsa quoque fit propria, definitio namque
substantiam monstrat, genus differentiis iungit et ea quae per se sunt communia
atque multorum in unum redigens uni speciei quam definit reddit aequalia.
ita igitur ad descriptionem utilis est proprii cognitio, quoniam sola
proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut definitio
quoque, ad definitionem uero genus, quod primum 1 ita om. RS, s. l.
m2 in EGL tamquam iam] quasi C 5 optinet FHm1LmSN
obtineat ante praedicamentorum E 7 libri huius
CGLRS ; cf. p. 155, 14. 17. 156, 8 utilitas] brm
intentio codd . 10 post substantiae add . uero F,
s. l . enim Lm2 16 ante dicat s. l . sc. ut
Lm2 20 proprietates CFHNP ipsa] ita G 22 nam
qui Gm2Lm1 (namque qui m2 ) S 26 proprietas
sola CLP sola proprietas sola FGm1S 27 ad sicut
s. l . ł sic Em2 uero s. l . Hm2 quod om
. F quidem R ponitur, et species, ad quam genus
illud aptatur, et differentiae, quibus iunctis cum genere species definitur,
sed si cui haec pressiora quam expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc
scire conuenit, nos, ut in prima editione dictum est, hanc expositionem nostro
reseruasse iudicio, ut ad intellegentiam simplicem huius libri editio
prima sufficiat, ad interiorem uero speculationem confirmatis paene iam
scientia nec in singulis uocabulis rerum haerentibus haec posterior
colloquatur. Ad diuisionem uero faciendam tam hic liber est utilis, ut
praeter earum scientiam rerum de quibus in hac libri serie disputatur,
casu fiat potius quam ratione partitio, hoc autem manifestum erit, si
diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum diuisionis in ea quae
significat partiamur, est namque diuisio generis in species, ut cum dicimus
‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero medium’, rursus diuisio
est, quotiens uox plura significans aperitur et quam multa sint quae ab
ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen canis plura significat, et
hunc, latrabilem quadrupedem que et caeleste sidus et marinam bestiam’, quae
omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem dicitur et quotiens totum
in partes proprias separatur, ut cum dicimus ‘domus aliud sunt
fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et haec quidem triplex diuisio
secundum se partitio nuncupatur, est autem 4] in prima editione nihil
eiusmodi. 1
post ponitur add . utile est CN, post species s.
l . utilis est Lm2 et species—aptatur in mg. Em2Gm2
illud genus C 3 eum om. E , s. l. Gm2 , ei
R 4 uti FGLRSm1 5 reseruasse] CPm2 edd . reser-
uare E ( -re in ras .) FGm2HNPm1 (ante
reseruare add. se m1, del.
m2) reseruantes Gm1S seruantes Lm1 seruare
m2 reseruantes sumus R 8 colloquatur] m1 in GLS
eloquatur CEm2 (in ras.) HN collocatur Em1R , m2 in GLS
edd . loquatur FP 9 utilis est LP 10 rerum om.
E 12 post . si om. EG, s. l. Sm2 13 ante
partiamur s. l . si E partia- tur Gm1 14 aliud
est] CEp.c.R edd . aliud esse Ea.c.GHLPS esse aliud
FN 15 rursum CEGNPm1R est s. l. Sm2 , ante
diuisio FHNP , et ante rursus et post
diuisio R 16 quam] quod EG a.c . (quae p.c .) LRS sunt
CFLNPa.c. 18 quadripedemque Sm1 20 distincta FHm1NP 23
partitio] separatio EGLm1Pm1RS alia quae secundum accidens
dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum accidens in subiecta diuidimus, ut
cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia in corpore’, uel rursus cum
subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt alba, alia nigra, alia
medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia separamus, ut cum dicimus
‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii coloris’, et rursus ‘alborum
alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’, cum igitur ita omnis sit
diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero partitio tripliciter
fiat cumque in superiore secundum se triplici partitione sit una diui- sionis
forma genus in species separare, id neque praeter generum scientiam fieri ullo
modo potest neque uero praeter differentiarum, quas necesse est in specierum
diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas huius libri ad
hanc diuisionem sit quae primo aditu genus ac species et differentias
tractat, secunda uero ea diuisio quae est secundum se in uocis significantias,
nec haec quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim modo cognosci
poterit, utrum uox cuius diuisionem facere quaerimus, aequiuoca esse uideatur
an genus, si ea quae significat definiantur, et si ea quae sub communi
nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et illud commune
eorum genus, quodsi illa quae proposita 3 sunt alia H uel]
aut brm rursum FS 4 corporalium Ca.c.Hm1N 5
rursum F 6 liquentia Ea.c.Gm1 8 fit G
sit ante omnis F , post diuisio N 9 accidentia
S 10 superiori Sm2 11 sepa- rare om. EN 12
possit Em2 uero om. C post praeter s. l .
scientiam Sm2 16 ea del. L, er. uid. P ante quae
add . est N (om. post quae] P (er. uid.)
secundum—significantias] FHN uocis post
significantias C se et in om cett . 18 uno]
nullo F quo m2 in HLP enim] quidem N 20 si]
nisi FLm2Pm2 significant CNPm2 et (om. si,
) in ros. Hm2 si et RS (et s. l. m2 ) si om. EL,
s. l. Gm2Pm2 , etenim L (ex et m2) Pm1 communi nomine] CEm2
(in ras.) FHNP (nomine s. l. m2 ) communione cett. 21 sunt del. L,
s. l. Pm2 ante definitione add . una FHL (del. m2) R,
s. l. Em2Pm2 diffinitione s. l. Gm2 claudantur
EGLRS 22 earum ES post genus s. l . necesse est
Gm2 praeposita EGPS uox designat, non possunt una
definitione concludi, nemo dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit
communis his de quibus PREDICARE ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita
significat, secundum commune nomen non possunt una definitione comprehendi, si
igitur ex definitione manifestum fit quid genus sit, quid uero nomen
aequiuocum, definitio uero per genera differentiasque discurrit, quisquamne
dubitare potest aeque in hac diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem
ualere? illa uero secundum se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum
discernitur ac non potius generis in species diuisio esse putabitur, nisi
sint genus |et species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione
tractata? cur enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes
fundamenta, parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque
specie totum posse congruere, totius uero in una quaque parte sua nomen
conuenire non posse, manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species,
aliam totius in partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus
ostenditur per id, quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque
tectum uero neque parietes aut fundamenta singillatim domus nomine
appellari solent, sed 1 concludi om ., nemo—comprehendi
(5) in inf. mg. Gm1? nemo—ita sit in ras. Em2 2
uox—communis] uox non (non er. L, om. S ) sit communis Gm1 uel 2 Lm1Sm1,
post uox add . sit aequiuoca neque (non, sed del. G ) ita (
om. G etiam S ) s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg. Lm2
3 ante his add . de E (er.) G (del. m2) ES his s. l. Lm2 4 post
posita s. l. sunt Hm2 non possunt] definiri ( uel diff-j
(-ri ex -re Cm2 ) non possunt (add . neq. Cm1, er.
et una add. m2) nec CFN 6 fit] H est
C sit cett . 8 aeque] etiam CFHm1NPSm1 9 auctorem
GR utilitatem Lm2 10 discernetur Hm2 (fort. recte)
discernatur N ac] et FHNP 11 esse om. R,
ante diuisio FN sit FSm1 sunt G et]
ac R 12 earum quauis ELR, m2 in GHPS , earum quis
Fm1 quamuis ( om . earum,) m2 ; cf. p. 157, 3 13
quisque CFHR esse potius FNR 14 dum F 15
quaque om. FN 17 sit ELRm1 (est m2 )
S 19 id om . RS, s. l. Em2Gm2 singula CEa.r. (ut
uid.) GLPm1 singularis Sa.c . singu- laque R 20 aut]
ac FHLNP neque S 21 singulatim CNR appel-
lari] nuncupari FHLNP cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius
nomen excipiunt, de ea uero diuisione quae secundum accidens fit, nullus
ignorat quin incognito accidenti incognitaque ui generis ac differentiarum
facile euenire possit, ut accidens ita in subiecta soluatur quasi genus in
species, et postremo omnem hunc ordinem partitionis foedissime permiscebit
inscientia. Et quoniam quid hic liber ad diuisionem
prosit ostendimus, nunc.de demonstratione dicemus, ne per ardua atque
difficilia haereat qui in tanta hac disciplina uigilantissimo ingenio et
sollertissimo labore sudauerit. fit enim demonstratio, id est alicuius quaesitae
rei certa rationis collectio, ex ante cognitis naturaliter, ex conuenientibus,
ex primis, ex causa, ex necessariis, ex per se inhaerentibus, sed genera
speciebus propriis priora naturaliter sunt; ex generibus enim species fluunt,
item species sub se positis uel speciebus uel indiuiduis priores
naturaliter esse manifestum est. quae uero priora sunt, ea et praenoscuntur et
notiora sunt sequentibus naturaliter, duobus enim modis primum aliquid et notum
dicitur, secundum nos scilicet et secundum naturam, nobis enim illa magis
cognita sunt quae sunt proxima, ut indiuidua, dehinc species, postremo
genera, at uero natura conuerso modo ea sunt magis cognita quae nobis minime
proxima, atque ideo quamlibet se longius 1 tunc er. C
accipiunt F 3 incognita m1 in GRS accidente
CN accidentia, del . a EGm2Rm2
accidenti—differentiarum in mg ., ante facile add . ea
accidentia, sed del. E incognitaque—differentia- rum om.
GR cognitaque (sic) ut generis ac differentiarum Sm1, del.
m2 4 soluamus FHNP 5 postremum HP hunc ante
omnem L, post ordinem R 6 inscitia FHN 7
quid hic liber) FGm1NP quid liber hic Em2HL hic quid
liber Gm2 liber quid hic Em1R liber hic quid S; quid ad
diuisionem hic liber C 8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem
illi etiam FN ; ne et - in in difficil ** ia
et hereat in ras. C 9 hereat s. l. Sm2 etiam m1 tota
CFN 11 alicuius om. CL 13 priora propriis C
15 pr . uel om. L, del. Pm2 19 enim] uero N 21
natura] Ea.c.GR naturae Ep.c.FHLPS secundum
naturam CN; cf. Boeth . Post. Analyt. Aristot. interpret. lib. I c.
II p. 714 B non enim idem est natura prius et ad nos prius neque notius
natura et nobis notius. 22
quantumlibet Em2 quantolibet Pm2 a nobis genera
protulerint, tanto magis erunt lucida et naturaliter nota, differentiae uero
substantiales illae sunt quas per se inesse his rebus quae demonstrantur
agnoscimus, praecedere autem debet generum ac differentiarum cognitio, ut in
una quaque disciplina quae sint eius rei quae demonstratur convenientia
principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et
differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia
intellegit essq non posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco
enim species sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in
syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum conclusionis etiam
causae sunt, quod postremi Resolutorii locupletius dicent. Cum igitur
perutile sit et definitione quodlibet illud circumscribere et diuisione dissoluere
et demonstrationibus comprobare, haec autem praeter earum rerum scientiam
de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant,
quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum
sit, praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum
praebent? Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere neque
ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se
altiorum quaestionum nodis abstinere, 1 protulerunt FLR
praetulerint N 2 substantiales] substantiae uel E 3
inesse post rebus C esse, del . in E
4 in om. C, s. l. Sm2 6 possint Hm1P 7 ante
genera add. et LP 8 intellegit in mg . Cm2, post
esse in ras. N 9 causae sunt FHL sunt om. R
causa G 11 demonstrantibus EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI
p. 718 D de- monstratiuus syllogismus 12 postremis L in (s.
l.) postremis Pm2 postremo EFGPm1RS resolutoriis L
resolutarii F resoluturi RS resoluituri G
resolutius ac E 13 dicemus EGLPm1RS 15 demon- stratione
N 16 in om. FGPR, s. l.
Hm2S 17 ualeant] m2 in EHLS ualent CEm1F (n
del .) GHm1NP (n in ras .) RSm1 22 nec
N 23 egre- ditur] CF (aegr-) HNPm1 aggreditur
L egredi EGRS aggredi Pm2 altioribus
FN nodis om . Cm1Sm1 modis FNRa.c., s. l. Cm2, in mg.
Sm2 simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero
sint altiores quaestiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox,
inquit, de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis
nudisque intellectibus posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an
incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et
circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et
maioris egens inquisitionis. Altiores,.inquit, quaestiones praetereo, ne
eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem,
sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil praeterquam quod ipse dixisset,
lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quaestionem se differre
promisit, addidit, ut de his minime obscure penitusque tractando nec
le|ctori quicquam p. 54 obscuritatis offunderet et tamen scientia
roboratus quid quaeri iure posset agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese
reti- 3—9] Porph. p. 1, 9—14 (Boeth, p. 25, 10—14). 8 altissimum—
negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p. 5 ed. Cousin. 1
simpliciores L praestringere G perscribere
CFN 2 sunt N 3 inquit om . Ω ac] et ΗΝ Ω post quidem add . quod EG (del.)
Sm2 quae m1 4 subsistant L nudisque] nudis
purisqne Ω ; Porph. p. 1, 10 έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς 5 substantia Em1 sunt ante
corporalia Σ , post incorporalia Δ sint LR A m2 , ras . ex sunt II 6 separat R a
sensibilibus om. Gm1 (s. l. m2) Sm1 (cf. proxima), ras. ex ab
insensi- bilibus \ m2; om . Porph. p. 1,12 ab CEa.r. A
m1 A m1 an in sensibilibus posita et] FG (posita s. l.
m2 ) LR Ψ an in sensibilibus (a sensibilibus m2 ) et
S an ipsis sensibilibus (posita om .) iuncta (in mg.) et ( om . II) Γ , s. l . Π m2 et ( cetera om .)
CEHPm1 h m1 (s. l. an et in sensi- bilibus posita m2 ) A
m1 ( in mg . an sensibilibus iuncta m2 ) Φ an (cet. om.) NPm2 Σ 7 consistentia CHF A m1 8 enim—negotium] FHLP
Q ( sed est enim A ) Abaelard . negotium
ante est CEGRS enim est negotium huius modo (sic)
N; Porph. p. 1, 13 βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης πραγματείας 10 ante
eis add . in, sed del. E 11 primitiaque R per-
turbent FN 12 neglegentiam Gm1P praeter (s.
l.) quam C praeter id quam L 13 putasset
C 14 exequi quaestionem] exeeutionem (uel eis-)
EGHm1LRS 15 penitus Em1FG ne L 16
effunderet Ca.c.EGLNR infunderet Cp.c.FS ; cf. p. 145,
14 17 possit C a.c. Fa.c . se N cere promittit,
et perutiles et secretae et temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus
dissolutae, quarum prima est huiusmodi. omne quod intellegit animus aut id quod
est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione
describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit ergo
intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita
intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus
intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis
cassa cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his
quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior
quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intel- legendi generis
ipsius naturam summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut
corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum
esse oportebit quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an
uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum
poni debeat agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne
excludetur ambi- guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse
genus ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui
postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora
subsistentiae incorporales esse uideantur. duae quippe incorporeorum formae
sunt, ut alia praeter corpora esse 1 promisit C 2
doctissimis P 4 statutum L discribit E 5
id s. l. C 8 capiamus C ipsi nos]
ipsos FR ipsos ** (-os ex i m2 )
S ipsi Hm1 nos s. l. m2 9 eludimus
Hm2 cogitatione] imaginatione F 11 intellectu ras.
ex -tu E ac] et R 12 parat FHm1PRS
discer- nendae atque intellegendae.. naturae EFGHNRS 13
natura L osten- datur N 16 utrum FHm1NP 17
an] aut ex ut F uero om. N 19
excluditur Cm2GHp.c.LPRS 20 aliquid quod] alia quae (que
N) FN aliud (ex aliquid]
quod E esse post species FHL, om. N 21 ac]
et H intellegentiam atque] animum intelligentiamqne F
intellegen- tiamque N 22 ipsa corpora EFGHN et
om. CFHLN (fort. recte) , del. Pm2 23 subsistentia
Ca.c.Gm2L substantiae Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes)
incorporalia Gm2L possint et separata a corporibus in sua
incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea,
tamen praeter corpora esse non possint, ut linea nel superficies uel numerus
uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse pronuntiamus, quod
tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his
diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo
permaneant, quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente
dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris animum relinquam nec
ipse in his quae praeter muneris suscepti seriem sunt, tempus operamque
consumam, primum quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero
eundem dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species
aut sunt atque subsistunt aut intellectu et sola cogitatione formantur,
sed genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne
enim quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum
enim est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno
tempore tota sit. quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum
est, non quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae
uno tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno
tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in
pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum 1 a om. CS,
s. l. Em2 corporalitate ELS 3 possunt ELNPR 4
tamenetsi Ca.c . (tam ras.
ex tam) L tam si Em1 tamensi GRS 5
quod] eo quod L tamen om. G tam N 6 uti
EGLPa.r.RS ante diuelli add. aut Hm1, del. m2 7 a om.
ERS, s. l. Gm2 separatae ex -ta H 8
quaestiones licet FHLPN 9 rennuente Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita
ut R 13 dubietatis L exsoluere CF 14 atque]
et EGLPRS 15 solo ( s. l. Pm2 ) et FHNP 17 uno tempore
pluribus] multorum uno tempore N 18 est (s. l. m2 ) enim
G 19 tota sit] transit F 20 est unum Fm2H 21 non,
s. l . quod S , ut non CHm1N 22 carpunt RS
capiant F participant Nm1 habeant Hm2Lm2P
24 possunt F possint S enim om. FN. del. L
25 unoque Gm2 sit uno FHN tempore in mg.
Gm2 numero, quod si ita est, unum quiddam genus esse non poterit,
quo fit ut omnino nihil sit; omne enim quod est, idcirco est, quia unum est. et
de specie idem conuenit dici, quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex
neque unum numero, non erit ultimum genus, sed habebit aliud super-positum
genus, quod illam multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim
plura animalia, quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco
eorum genera perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque
ideo multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est, non est uero
unum, quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quaerendum est,
cumque fuerit inuentum, eadem ratione quae superius dicta est, rursus genus
tertium uestigatur itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus
disciplinae terminus occurrat, quodsi unum quiddam numero genus est,
commune multorum esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus
communis est et non iam tota communis, sed partes eius propriae singulorum, aut
in usus habentium etiam per tempora transit, ut sit commune ut seruus
communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus commune fit, non tamen ut
eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat, ut est theatrum uel
spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est. genus uero secundum
nullum horum modum commune esse speciebus potest; nara 1 numero] in
numero NR quoddam FS quodque N quidem
R 5 ad ultimum s. l . maximum E super se
(se s. l. G ) positum GR 6 sui] LP edd . ui cett.
(post nominis F ) hominis R 7 uocabulo] HLP edd.,
om. cett . concludat H concludit Lm1 includat
m2 includit R 12 requirendum F perquirendum
N 13 ratio Hm1N tertium genus CL 14
nestigabitur FH nestigabit N 15 quodsi] quod NR
quiddam] quoddem (sic) R 17 si communis] sic omnis F quae
com- munis CN si om. R post post , communis est add . ut
puteus et (uel H ) fons CHNP (del. m2) , in mg. E, s. l.
Lm2 18 proprie CFLNR post singulorum add .
sunt HP , s. l. Lm2 , post sunt s. l . ut puteus
et fons Pm2 19 habent G etiam om. FNP
iam LS 21 sit NP ( ras. ex fit) est R
ita commune esse debet, ut et totum sit in singulis et uno tempore et
eorum quorum commune est, constituere ualeat et formare substantiam, quocirca
si neque unum est, quoniam commune est, neque multa, quoniam eius quoque
multitudinis genus aliud inquirendum est, uidebitur genus omnino non
esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi tantum intel- lectibus
genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis intellectus aut ex re fiat
subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non habet nam ex nullo subiecto
fieri intellectus non potest —, si generis et speciei ceterorumque
intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quae intel-
legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate
consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum natura, quod superior
quaestio vestigabat. quodsi ex re quidem generis ceterorumque sumitur
intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui subiecta est, uanum
necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese
res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic
igitur, quoniam genus ac species nec sunt nec cum intelleguntur, uerus
eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec sit deponenda de his
quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quae
sit 1 sit] s. l. Lm1? brm, om. cett . 2 post tempore
add. sit Np, s. l . Em2 3 conformare N
substantias FHNP ante si add. et Hm1 , del.
m2 ad quoniam s. l . quod Hm2 4 multiplex m2 in
CEGP,Lm1 8 habeat N aut—habet in mg. Gm2 ut
s. l. Lm2Sm2 9 habeat N , post add . nanus est intellectus
(Intellectus otn. brm )
qui de nullo subiecto capitur in mg. Lm2, s. l. Rm1? brm intellectus
post potest C 11 ipsa res HLN 12 pr .
in om. ENR , s. l. F 13 etiam om. CL 14
uestigabit Lm2 inuestigabat F 17 esse post
intellectum F , post uanniu N , om .
R 18 enim falsum est CKNP est om . H , er
. L enim om. R 19 si CNPS, m1 in GHL
, nec R igitur—intelleguntur om . R quoniam om.
CN ac] et S neque FHN quae Sm1 20
neque FH cum om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec
uerus GLR earum HN est eorum CL non]
neque N 22 fit Lm2 neque de ea de qua uerum
aliquid intellegi proferriue possit, inquiritur. Haec quidem est ad
praesens de propositis quaestio; quam nos Alexandro consentientes hac
ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse dicimus omnem intellectum qui
ex subiecto quidem fit, non tamen ut sese ipsum subiectum habet, falsum
et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio ac non potius intellegentia
est quae per compositionem fiunt. si enim quis componat atque coniungat
intellectu id quod natura iungi non patitur, illud falsum esse nullus ignorat,
ut si quis equum atque hominem iungat imaginatione atque effigiet
Centaurum. quodsi hoc per diuisionem et per abstractionem fiat, non quidem ita
res sese habet, ut intellectus est, intellectus tamen ille minime falsus est;
sunt enim plura quae in aliis esse suum habent, ex quibus aut omnino separari
non possunt aut, si separata fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut
hoc nobis in peruagato exemplo manifestum sit, linea in corpore quidem est
aliquid et id quod est, corpori debet, hoc est esse suum per corpus retinet,
quod docetur ita : si enim separata sit a corpore, non subsistit; quis enim
umquam sensu ullo separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum
confusas res permixtasque in se a sensibus cepit, eas propria ui et 4
Alexandro] testimonia Simplicii in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss., Dexippi p.
50 b 15—31 (= p. 45, 12—28 Busse), Dauidis p. 51 b , 10 ss. (Brandis)
adfert Prantl, Gesch. d. Logik im Abendlande I 623 n. 24.
6 sit CEFH (ex fit ) NPR ante ut add . ita
FN , s. l. Gm2Pm2 habeat FHm1NP 7 post
uideri add . ut si quis dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine
non est omnino falsum F 8 compositionem] conjunctionem
EGLPRS, recte? 9 quisquam HP quisque N ponat
H intellectu] in intellectu F id om. N 10
patiatur NR 11 pr . atque] aut N efficiet L (
c ex g m2) efficiat CF effigiat Sa.c
. 12 haec E ad abstractionera s. l . ł
(??)positionem Lm2 ł abscisionem Pm2 fit R
13 ita post res C, om. R 14 ille] ipse R 16
ut s. l. Cm2, del. Lm2 , post hoc F 17
ad peruagato s. l . ł uulgato Pm2 18 hoc om.
F est om. ELS, s. l. Gm2 , et F 19 ante
docetur add . et CHNP, in mg. Lm2 20 a om. ERS, s. l.
Gm2 21 anima Em1Gm1Pm2Sm1 22 post
permixtasque add . corporibus brm capit C
eas in mg. Hm2 cogitatione distinguit, omnes enim huiusmodi
res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis nobis
corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta componere et
composita resoluere, quae a sensibus confusa et corporibus coniuncta
traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine corporibus in
quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersae enim proprietates sunt
incorpo- reorum corporibus permixtorum, etsi separentur a corpore, genera ergo
et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel in his quae sunt
corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incorporeis inuenit animus, habet
ilico incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium rerum genera
speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum naturam et
solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita haec cum accipit
animus permixta corporibus, incorporalia diuidens speculatur atque considerat,
nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente capimus quasi
praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non possit, non enim omnis qui ex
subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae res habent,
falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum 20 superius] p. 164, 8.
2 corpore EGLRS 3 at
nero om. C animi ( om . cui) R et om. GRS, s. l.
Lm2 post disiuncta add . ut equum et hominem quae iungi non patitur
natura, post composita add . ut corpus et lineam et
(sic) disiungi natura non patitur R 4 a s.l. m2 in EGLS
5 ante incorpoream add . in FLNS 7 et] ut
S sunt proprietates CLR , add. ut equum et cetera R 8
ante corporibus add. et C etiamsi R et, s. l. si Cm2F
separarentur F (ra s. l.) R separantur Lm1N 9
ergo om. FN, del. Lm2 , uero H, s. l. Lm2 corporeis
Cm1GHLPa.c.R 10 incorporeis] corporeis Cm1 11 animus
inuenit FHNP post ilico add . ibi F, s. l. Gm2, add .
quo E, sed del. 12 incorporalium Em1 speciesque] et species
esse F prospexerit HR 14 ante haec add .
et H (del. m2) N, s. l. Cm2 animus cum accipit F 15
accepit Pm1S animus accipit C post incorporalia
add . ea CHm2LPN diuisa Gm2 16 desiderat Em1Ga.c
. falso ante dicat F falsam CGm1Lm1 (
post nosl NRS 17 capiamus Cm2N 19 sese om.
F ipsae om . H , s. l. Em2 , ipsa F est,
ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum p. 56
hominem atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus
et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non
modo falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est
inuenire potest. sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in
sensibilibus, intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura perspici
et proprietas ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species cogitantur,
tunc ex singulis in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex singulis
hominibus inter se dissimilibus humanitatis similitudo, quae similitudo
cogitata animo ueraciterque perspecta fit species; quarum specierum rursus
diuersarum similitudo considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum
indiuiduis esse non potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in
singularibus, cogitantur uero uniuersalia nihilque aliud species esse
putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero
substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum
similitudine, sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum
in universalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum sensibilis est,
in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo
circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora, neque enim interclusum
est ut duae res eodem in subiecto sint ratione diuersae, ut linea curua atque
caua, quae 1 cõpositionem GHR facit post
hoc H 2 quia Gm1R quod Sm2 3 id om.
N, s. l. Em2H , post diuisionibus F assumptionibus
Em1Gm1P atque assumptionibus CL 5 post
solus add . intellectus F , scil, intellectas s. l. Lm2
6 corporibus FHN post sensibilibus add .
rebus CHLNP 8 ante genera add . et CFS ; et
species et genera R 11 post pr . simili- tudo add .
colligitur N , scil, colligitur s. l. Hm2Sm2 cognita
Cm1F cognita uel cogitata N 12 ueraciter Lm2N
perfecta Em1NP sit FN 13 in om. C 14
earum] Pp.c. (corr. m1?) eorum cett . 17 substantiarum
R 18 collecta cogitatio Cm1LP 22 autem] tamen R
23 eadem Em1Gm1Ha.c . eidem Gm2Lm1 fin eodem m2 )
PR e * dem (sic) S in ante subiecto s. l.,
post eodem er. uid. C, om. EGLPRS 24 sint om. L concaua
Cm2N cauata Lm1 res cum diuersis definitionibus terminentur
diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiuntur;
eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et speciebus, id
est singularitati et uniuersalitati, unum quidem subiectum est, sed alio
modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his
in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio
dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo,
intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed sensibilibus iuncta
subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia
ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et species ceteraque non
modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere
putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia atque universalia,
sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare sententias aptum esse
non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero studiosius Aristotelis
sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus, sed quod hic liber ad
Praedicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles est auctor.
Illud uero quemadmodum de his ac de propo- sitis probabiliter antiqui
tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici, tibi nunc temptabo
monstrare. Praetermissis his
quaestionibus quas altiores esse praedixit, 21—23] Porph. p. 1, 14—16
(Boeth. p. 25, 14—16). 1 earum] HPp.c.(corr. m1?)
eorum cett . 3 enim om. LP quippe P, s. l. Lm2
concaua Cm2N eadcmque FLRS 6 post
singulare add . est R, s. l. Sm2 9 post , alio] alio
modo LR 10 post uero s. l . praeter corpora
Pm2 11 subsistentia in ras. E
substantia GSm1 13 ante esse s. l . ea
E praeter s. l. Cm2 15 ante sensibilibus
add . ipsis G 16 dixi Lp.c.Sa.c . 17 uero s. l.
Cm2 20 auctor est CLP est om. G 21 ante
lemma ISTORIA add. S, sic ( uel HIST-) ante omnia
paene lemmata uero] autem Σ post, de om. E 22 pro-
babiliter] λογιχώτίρον Porph. p. 1, 15
tractauerint Cp c . GH X m1 23 monstrare (demonstrare N )
temptabo FLN 24 ante Praetermissis add .
EXPOSITIO S, sic paene ubique ante explicat, lemmatum Missis
Sm1 exoptat mediocrem introductorii operis tractatum, sed ne haec
ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio daretur, apposuit quemadmodum de
propositis tractaturus est, ex quorumque hoc opus auctoritate subnixus
adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem tractatus promittit
detracta obscuri- tatis difficultate, animum lectoris inuitat, ut uero
adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, peripateticorum auctoritate
confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe- ciebus, de quibus
superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est de differentiis,
propriis atque accidentibus, sese probabiliter disputaturum, probabiliter
autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci λογικώς uel
Ινδόξως dicunt, saepe enim et apud Aristotelem λογικώς ‘ueri
similiter’ ac ‘probabiliter’ dictum inuenimus et apud BOEZIO et apud
Alexandrum. Porphyrius quoque ipse in multis hac significatione hoc usus
est uerbo, quod nos scilicet in translatione, quod ait λογικώς , ita
interpretari ut ‘rationabiliter’ diceremus omisimus, longe enim melior ac
uerior significatio ea uisa est, ut pro- babiliter sese dicere promitteret, id
est non praeter opini- onem ingredientium atque lectorum, quod introductionis
est proprium, nam cum ab imperitorum hominum mentibus doctrinae secretum
altioris abhorreat, talis esse introductio debet, p. 57 ut praeter
opinionem ingredijentium non sit. atque ideo melius 1 haec om.
S 2 harum que LS horumque Gm1 quaestionum] insti-
tutionum Gm1Lm1RS omissi Em1 omisso Lm1Sm1
amissio F 3 est s. l. Em2 , esset Gm1 ex]
et FHN , s. l. (om . ex) Em2 quo- rum FHN 4
subnisus EGm1Sm1 aggreditur EGLPRS 8 et] ac
R 10 de] R, om. cett . 11 post ait add . id
est C 12 λογιχώς uel ένδόξως ] edd.,
ante λογιχώς add . uel CGLPR ; ΛΟΓ
ΙΚΟΟ uel ΛΩΓΙ- ΚΩΟ uel alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ
ΧΟΝ C, sim. Η endo ΧΩ Ο E ΕΝ ΑΟΓΩ Ο S, alia uarie cett
. 13 et om. GR
est S λογιχώς ] S , in cett.
eadem fere quae 12 14 Boethum] b boetum
p boethon Em2GNS (recte?) boeton
CEm1PR boethion F bethon H boetoton Lm1
boeten m2 Boethum (-tium m)rm 16 uerbo usus est
CEGLRS 17 λογιχώς ] item ut
13, λογικώτερον edd . 19 se L
*mitteret, s. l . pro Cm2 23 ingredientium opinionem
C non ante praeter CEG (corr. m2) L
atque ideo] ergo Gm1 (atque ita m2 ) LPm1RS
melius probabiliter quam om. R, s.
l. Gm2Sm2 probabiliter quam rationabiliter, ut nobis uidetur,
interpretati sumus, antiquos autem ait de eisdem disputasse rebus, sed se eorum
illum maxime tractatum insequi quem Peri- patetici Aristotele duce reliquerint,
ut tota disputatio ad Praedicamenta conneniat. 2
eisdem] E (eis in ras .) hisdem cett . disputasse
post rebus C , ante de eisdem L , disputare
N 3 se post illum add . brm , post
sed Brandt sequi CEm2HN 4 reliquerint] Gm1HPp.r .
relinquerint FSm1P a.r . relinquerent. R a. r.Sm2
reliquerunt CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV add . C , COMENTORVM add. F , COMTV
PLOLOGI, sic, add . S) LIB. I. INCIPIT (LIB. add. F )
II.(INCIPIT. om. R ) CEFGPRS ( uariis cum scripturis
compendiisque), subscriptio deest in HLN Quaeri in expositionum
principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis ordine praeponatur,
uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei, differentiae, proprio
accidentique praetulerit; de eo enim primitus tractat, respondebimus
itaque iure factum uideri; omne enim quod uniuersale est, intra semet ipsum
cetera concludit, ipsum uero non clauditur, maioris itaque meriti est ac
principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut ipsum naturae magnitudine
nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species intra se positas
habet et earum differentias propriaque, nihilo minus etiam accidentia, atque
ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae magnitudine cohercet et
continet, praeterea illa semper priora putanda sunt quae si auferat quis,
cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae ceterorum
substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris, nam si animal
auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est, et rationale,
quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum, quod accidens,
non manebit et 2 ante Quaeri codd. et p exhibent idem lemma (sine
inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione CGm1L
expositionis S prin- cipii CGm1L 3 dispositionis
N 5 praetulerat C tractat in ras ., s. l . scil,
conamur Em2 tractare Em1Sm1 6 respondemus F
8 clu- ditur (i ex e m2 ) S naturae] naturae
suae F 10 igitur] itaque C et om . CN 11 etiam minus HS 12 etiam
om. R etiam et C ita] idcirco CE (in ras.) HLm2NP
ideo F inchoandum fuit] erat incho- andum FHNP 13
ante cetera add . et L natura suae magnitudinis FHN
coerceat et contineat Lm2 14 priora] propria LS
aufert Ca.c . 19 ante proprium add . est P, s. l.
Lm2 post grammaticum add . esse FHP, s. l. Em2
post accidens add. est FP , ante N interemptum
genus cuncta consumit, si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel
rationale uel risibile, animal quoque esse necesse est. siue enim homo est,
animal est, siue rationale, siue risibile, siue grammaticum, ab animalis
substantia non recedit, sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis
ceteris sequitur genus; prior est igitur natura generis, posterior ceterorum,
iure est igitur in dispu- tatione praepositura. Sed quoniam generis nomen multa
significat hoc - est enim quod ait : Videtur autem neque genus neque
species simpliciter dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex
significatio est —, prius huius nominis significationes discernit ac separat,
ut de qua significatione generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum
neque genus neque species neque differentia nec proprium nec accidens
significatione simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac
specie, dixit non simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens
ipsa quoque sint significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem
uitans tantum speciem nomi- nauit eamque idcirco, ne solum genus
significationis esse multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem
generis signi- ficationem hoc modo; Genus enim dicitur et
aliquorum quodammodo se habentium ad unum aliquid et ad seinuicem
collectio, 10 s.] Porph. p. 1, 18
(Boeth. p. 26, 1). 23—p. 172. 5] Porph. p. 1, 18—23 (Boeth. p. 26, 1—8).
1 esse om. P 2 post grammaticum add .
esse FHP , s. l. Em2 3 esse post est Gm2L , om.
EGmIRS, post esse add . constituas EP , s. l. Lm2 alt .
est] sit FHNP 5 et om. FHNR consummantur S
9 enim est L 10 ante Videtur add . INCIPIT Δ DE GENERE ΓΔΛΠ2Φ Incipit diffinicio generis Ψ m. post., om. cett . autem om. HN 12 est
significatio C 13 tractatus R 14 est] sit P
oculos HN neque genus om. C 15 pr . nec
FHP neque proprium neque N 16 simplicia G (a add.
m1 uel 2) LSm2 ac] et C 17 non] nec G 18 atque om. C 19
est om. G 20 solem Gm1 21 quidem om. C 24
ad] et ad S aliquod EN P IIS aliquem in ras
. Cm2 , fort . aliquid m1 secundum quam
significationem ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO,
et multitudinis habentium aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est
cognationem secundum diuisionem ab aliis generibus dictae. Una, inquit, generis
significatio est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens,
ad quem scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem
unius principium copulata sit, ut cum ROMANI dicitur genus; multitudo enim ROMANI
ab uno ROMOLO uocabulum trahens et ipsi ROMOLO et ad se inuicem quasi
quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a ROMOLO societas descendit,
ROMANI inter se omnes uno generis nomine deuincit et colligat, uidetur autem
secuisse hanc generis significationem in duas partes, cum copulatiuam
coniunctionem admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum quodam- modo
se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam et illud genus
dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus dicatur, quod ad se
inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc uero minime;
eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui princeps est
generis, totam multitudinem refert et ipsam 1 significationem]
diffinitionem Φ romanura
Cm1G 2 scilicet om. Porph. p. 1, 20 3 ante
inuicem add . se L (s. l. m2) brm Busse; cf. p. 173,
12 4 eam quae] eamque CR 5 dictae] Hm1Lm2R \ m2 W
dictam cett.; cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1, 23 ( τού πλήθοος_ ) κεκλιμένοι» 7 uno om. FGRS, s. l. Em2 , unum
H; cf. 21 ad quem s. l . ał quod Lm2 8 est
coniuncta F 9 dicitur—Romanorum in mg. E, s. l. Gm2, uerba multitudo enim
Romanorum del. Lm2 11 post trahens add .
sit E (del.) G (del. m2), s. l. Lm2 12 ea E (ras. ex eadem )
FHN ab CEH 14 colligit CFPm2RS alligat
L 16 genus om . H, s. l. N dicitur] edd., om. H
dici cett. (s. l. N) 17 ad] et ad S aliquod
N 18 collectionem FH aliquo modo om. EGRS 19
rursus post genus C rursum S
dicatur—generis om. GRSm1 dicatur unius generis s. l. m2 20
coniunctiua EGR coniuncta Sm2 sint] NS
sunt CFHLP , om. EGR post minime add . est
LPm2 22 refert—multitudinem om. EGSm1, s. l. m2 (sed praefert
) inter se multitudinem uno generis nomine conectit et continet.
quocirca non est putandus diuisionem fecisse, sed omne quic- quid in hac
generis significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo autem uerborum ita
sese habet — qui est hyperbaton intellegendus — genus enim dicitur et
aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo
modo habentium — rursus collectio subaudienda; est enim zeugma —, cuius
significationis adiecit exemplum: secundum quam significationem Romanorum
dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et
multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad inuicem cognationem,
eam scilicet quae ab illo est, id est ROMOLO, secundum divisionem ab aliis
generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim multitudo aliquo modo
ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut ab aliis discerneretur, ut
ROMANI genus ab Atheniensium ceterorumque separatur, ut sit integer uerborum
ordo genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum se quodammodo habentium
et ad se inuicem, secundum quam significationem ROMANI dicitur genus ab
unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis secundum
diuisionem ab aliis generibus dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad
inuicem eam quae ab illo est, id est Romulo, cognatio- 1 nomine]
EGLRS uinculo CFHN nomine uel uinculo P 4 se FHNP
qui om. ER, s. l. Gm2Sm2 6 pr . sese L 7
ante collectio s. l . et ( ut uid .) C subaudiendo N
, post sub. add . est LR, ante s. l. Pm2 8 zeuma
EFGHPS 14 dictam EGm1Lm1PSm2 haec enim multitudo om
. ERS, s. l. Gm2 aliquo modo om . FP, ante add .
et C, post add . se P (del. m1?), s. l. Gm2H 15
post unum s. l . aliquid Gm2 post habens add .
cognationem Pm2 edd . 17 separetur Fa.c.N separaretur
CFp.c.HLm1 sit] sic H (sit post uerborum,)
P (sit post ordo,) sic sit F ; integer sit C ;
ordo uerborum, post repet . sit N 18 collectio om.
E 20 ab] ad F habitudinem F , post repetit uerba
post . aliquo— exemplum (6—8) G 22 dictam CEGm1Lm1Sm2
post habentium add . se Lm2P 23 id est om. S, in
quo post cognationem locus p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit
(sic) repetitus (5 dicta est, 12 ea script.)
nem.’ Atque haec hactenus; nunc de
secunda generis signi- ficatione dicendum est. Dicitur autem et
aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium uel ab eo
qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim Orestem quidem
dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus Pindarum
quidem Thebanum esse genere, Platonem uero Atheniensem; etenim patria
principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec autem
uide- tur promptissima esse significatio; ROMANI enim sunt qui ex genere
descendunt ROMOLO, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum
proximi. Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter
efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur, uelut pater filii,
est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis
rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae
per accidens unius 3—13] Porph. p. 1, 23—2, 7 (Boeth. p. 26, 8—16).
4 generationis om . A , in ras. C quae Gm1
ll m1 5 a loco] ab eo loco CEGLRS; Porph. p. 2, 1
άπ6 τού τόποα sic ex si Cm2 enim in
ras. Cm2 6
oresthē C oresten LN ΣΝΑΣΦ horestem FH
T dicemus S genus habere F 7 Hyllum] Gm1
yllum m2 illum ( ad quod s. l . tan- talum A m2 )
cett . autem om. G 8 ante Thebanum add . dicimus
2 9 principium] Porph. p. 2,4 αρχή τις ; cf. infra p. 178,
17 10 et] Ν Ψ (er. uid.) brm, s. l . Δ , om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5 καί om. codd. quidam (habet M) ; cf. p. 176, 1 11
esse om. H sunt om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ , s. l. Lm2 , in mg . U m2
dicuntur edd.; Porph. p. 2, 6 λέγονται ; cf. p. 176, 7 12 cecropides Σ 13 a Cecrope] cecropis Ea.c . (a cecropis p.c .) G (cae-
m1 ci- m2 ) R ex genere descendunt cecropis LS
ΑΑΣ , s. l. Em2 ( om . cecropis), fort. ex p. 176, 8 ;
Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος eorum HL A , in ras
. 2 14 efficiunt principaliter H 16 filii] et
filius Em1FGLPRS post materialis add . dicitur
FPR 17 ante forma add . a R, s. l. Sm2, ras.
in E uelut * (i er .) C quam] NS, om.
R , quae cett., fort. recte ob rem s. l. Rm2 18 pugnae
uictoria] N pugna uictoriae cett . duo CNP
accidentes Ea.c.GHm1 ( in mg . ał accidentialiter m2 )
Lm1RSm2 accidentis m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus
scilicet ac tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore
est, quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus
accidenter dicitur habere principium. horum omnium in hac secunda generis
significatione duo quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem
generis uidebuntur accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum,
ex his uero quae accidentia, locum. ait enim genus dicitur et a quo quis
genitus est, quod est effectiua principalium causa, et in quo quis loco est
procreatus, quae est accidens causa principii. itaque haec secunda significatio
duo continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut
exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere;
Tantalus quippe Pelopem, Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon
genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum
dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen
accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in
quo quis editus, uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et
loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur
duplex, per similitudinem coniunxit dicens: etenim patria principium est unius
cuiusque generationis, 2 uel in ras. E et C 3
quicquid ex quo quid Cm2, ante add . et F, post add .
enim L 4 accidentaliter CLN accidentialiter
EGPSm2; cf. indicem Meiseri 5 ex alterutris duo quaedam FP 6
consumit S sunt Cm1H sumit Cm2, s. l.N generis significationem H 7
uidebantur LPRS uideantur EG accommodata R
post quidem add . causis codd., om. unus F, del. Hm2 8 ante
effectiuum add . sumit H accidentalia N 9 dici
CFNP et om. C, s. l. Lm2 quisque CGRS 10 loco
procreatus est L procreatus est loco N quod
GKS 13 editus] editus est FHNP post quoque add .
ipsa FHP, s. l. Lm2 oresten LN , item 16 14
pelopen E 15 agamemnonen EG (-men) 17 quoniam]
quia FHN ante Thebis s. l. a Hm2? 18 editus] editus
est CL accipit C est om. G 19
pr. quisque R editus] editus est NP (est s.
l. m2 ) 22 post uideretur add . tamen EP, s. l.
Lm2 adiunxit FN 23 patria s. l. Cm2, in mg. F generati Em1 generis
RSm1 quemadmodum et pater. sed quoniam in significationibus euenit
fere, ut sit aliquid quod intellectui significatae rei propinquius esse
uideatur, quoniam duas generis apposuit significationes, multitudinis scilicet
et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur, iudicat atque
discernit dicens hanc esse promptissimam generis significationem quae a
procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope
descendunt, hi ROMANI, qui a ROMOLO quae cum ita sint, confundi rursus generis
significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo originem
trahunt, et haec significatio illa est quae a procreante deducitur, ubi
est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quae est multitudinis ad unum et ad
se inuicem quodammodo se habentium collectio? sed acutius intuentibus plurimae
admodum diffe- rentiae sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante
genus ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam
sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos
familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quae
a procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit.
illud quoque est, quod prima procreationis principium non requirit, sed,
ut ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis
principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante
sortitur. item in illa primae significationis multitudine huius secundae
particularitas continetur, ut in 2 fere] saepe C (ante euenit
) LNPm2S intellectu G signi- ficandae FRSm2
propinquis F propinquus Gm1PR propinquum N
3 quoniamque Em2HLm2P, post quoniam add . qui Sm1, del.
m2 4 generi EGH (s er .) 6 esse om. G 7 ducta R
cecropides R 8 Cecrope] cecropede FR (-ide) post
Romulo add . descendunt N 9 significationes generis
C 11 ducitur Lm1 15 est s. l. F, post enim
CL enim om. N
aliquolibet ( om . a) G 16 deducere CLm1 et om.
N 18 si s. l. Lm2, del. Sm2 per—descendat] puer unicus familiam
distendat Cm1FHN aptatur N 21 est] est intellegendum
C primae Hm2 24 <a> procreante Engelbrecht
prima EGHLm1RS Romanorum genere Scipiadarum genus; nam cum
sint ROMANI, Scipiadae sunt. quoniam enim ad ROMOLO et ad ceteros ROMANI
secundum ROMOLO habitudinem iuncti sunt, ROMANI sunt, SCIPIADAE uero dicuntur
ad secundam generis significa- tionem, quia eorum familiae SCIPIONE et sanguinis
principium fuit. Et prius quidem appellatum est genus unius cuius-
que generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt ab uno
principio, ut a ROMOLO; namque diuidentes et ab aliis separantes
dicebamus omnem illam collectionem esse ROMANI genus. Sensus facilis et
expeditus, si tamen ambiguitas una solvatur. cum enim prius multitudinis
significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad procreationis
initium, nunc contrario modo illam prius a se enumeratam significationem
dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem quae est
multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem superius
digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de humani
consuetudine sermonis, in quo prius eam significationem generis fuisse
dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu nomen
generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse
translatum, hoc uero idcirco, quoniam 7—11] Porph. p. 2, 7—10 (Boeth. p.
26, 16—19). 1 nam]
natura CFL 2 scipiades HNP ante pr. ad add .
et FHNP , s. l. Em2Lm2 post, ad om. L 4 scipiades
N 5 quia] quod E et om. NP, s. l. Cm2 8
generationis in ras. Cm2 generis PR 9 nam- que ( sic
etiam B Bussii )] om . ΛΦ , add. Hm2 \ m2
nam 2 quam edd. Busse; Porph. p. 2, 8 το πλήθ-ος—δ 10 post aliis add .
generibus F , s. l. Lm2 11 collationem Λ collectionem post esse HP ; romanorum esse
collectionem F 12 post facilis s. l . est
Lm2Pm2 facile ( om . et) FN expeditur FNPa.c . 13
retulerat F retulit R 14 post , ad om.
FHNR, s. l. Sm2 post nunc s. l . autem Lm2 15 prius]
posterius CLm2NP numeratam N 16 post
uidetur add . priorem CGLNP 18 perspexerit C 21
loquendique CN et (s. l. m1?) loquendi H
23 ante hoc s. l . dicit Lm1?, post idcirco
in mg . dixit Pm2 superius dixerat : haec enim uidetur promptissima
esse significatio, ut ab hac, id est secunda, quam promptissimam
significationem esse dixit, illa quoque nuncupata uideretur, quae est
multitudinis. prius enim genus inter homines appellatum est quod quis a
generante deduceret, post autem factum est, ut per loquendi usum etiam
multitudinis ad aliquem quodammo|do se habentis genus diceretur propter
diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis societatisque
discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus quod inter FILOSOFI
tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus usus est. horum
quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium uero genus
apud philosophos consideratur. de quo hoc modo loquitur. Aliter autem rursus
genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse similitudinem dictum.
et- enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt
specierum, uidetur etiam multitudinem continere omnem quae sub eo est. Duplicem
significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc
autem ad superiorum similitudinem 1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph.
p. 2, 10—13 (Boeth. p. 26, 19—23). 1 enim] autem p. 174 , 10
2 secundum GR a (s. l.) secunda E 5
quis Cm2 prius m1 7 duceretur Cm1
diuisiones EFHLm2NP 8 esset] est (s. l.) et
E has FH 9 expeditis N ad om. F 10
cuius CF multus post usus Lm1R , multum
G 11 poesi Cm1 13 hoc] 2 litt. er. C 14
genus ante rursus Λ , post
dicitur Φ cui—genus (16) om. N, quod indicatur uoce usque addita
(dicitur usque earum); sic ( saepe etiam usque ad)
paene constanter in N aliisque codd. ubi mediae lemmatum partes omissae
sunt 15 ab.. similitudine GL \ m2 \Z 16 eorum A m2
A earum—specierum] Porph. p. 2, 12 τών δφ’ lauto
17 ipso om . h m1 se m2Lp.c. \HA> sunt
add. Gm2 \ m2 uideturque brm Busse; Porph . xai SoxeT
xai etiam] enim F autem Δ 18 omnem] 2 ( h
m1 ß m1 ) omnium CEGLPRS h m2 U m2 earum FHN, s. l. post
omnium Lm2 sub eo est] PA m1 AU m1 ST est Φ
sub eo (ipso F \ m2 se Lm2 ) sunt (est E, s. l. G )
specierum EFGHLNPp.c . (sunt eo sub a.c .) RS \ m2 U m2
sunt sub eo specierum C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit edd
. 20 superiorem FLm1Pm1 dictam esse arbitratur. superius
autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam
principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum
genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum quae procreantur
principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae
significationes, tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud
scilicet cui supponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis
credit ambiguo, quoniam habet aliquam similitudinem superiorum. nam sicut illud
genus quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita
etiam genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod
secundum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso procreantur,
ita genus speciebus suis est principium. ergo quoniam utrisque est simile,
idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus
mutuatum esse ueri simile est. Tripliciter igitur cum genus dicatur, de tertio apud
philosophos sermo est; quod etiam describentes adsi- 18—p. 180, 3] Porph.
p. 2, 14—17 (Boeth. p. 26, 24—27, 2). 1 dictam esse arbitratur] ut
dictum est GRS autem om. C, s. l. Lm2, del. Pm2 dictae]
duae Lm1, ante sunt s. l . dictae m2 , duae
ex dictae H (ras.) Sm2, ante dictae s. l. Pm2,
ante sunt edd., post R 2 quidem om. C cum
in mg. Cm2 quae m1N quadam om. EFG quandam
H qua RSm1 antiquitatem H 3 ad se iunctam]
CLm2 ad se et adiunctam HN ad se iniunctam Sm1 ab
uno quoque iniunctam R adiunctam cett.; cf. p. 177, 2
continet Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2 aliam G 4
deduceretur E 5 qui P 6 tertiam et
qua F 7 post scilicet add . genus F, s. l.
Sm2 8 ante opinionis add . suae N, post CHLP, s.
l. Em1?, in mg. Sm2 se m1 9
creditur Ca.r.FR 10 a multitudine Ep.c.FHN 11 suo]
sub C (nomine sub uno) FHNPm2 , ex suo EL
ita in mg. Cm2, s. l.
Nm2 13 est] esse EGLm2RS 14 post suis add .
constat FHN, post genus s. l. Em2 est] CLm1P
esse cett . 15 idcirco] id C nomen post
generis FHNP, post quoque L 16 in hac etiam
FHN hanc significationem CP 18 cum genus—sit (p. 180,
2) om. N dicitur S A m1 /AS 19 etiam] etiam et R
gnauerunt genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in
eo quod quid sit praedicatur, ut animal. Iure tertium genus philosophi ad
disputationem sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera
uero aut unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam
quasi populi formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet
genus, illius multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum
uno nomine collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segregetur.
item illud quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae
substantiam monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at
uero genus id cui supponitur species, ad speciem accommodatum speciei
substantiam informat. et quia inter philosophos haec maxima est quaestio,
quid unum quodque sit — tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit
agnoscimus —, id circo reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud
philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione
quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes, non definientes;
definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque
obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res
quae 1 esse ante genus Pm1, post dicentes Σ et om. F 2 differentiis R quid]
iterum quod P praedicetur Γ 3 ut animal om . ΑΣ 5 est solum enim CN enim est solum FP 6
existit E (it in ras .) GLPS existet
Sm1 extitit HN <multitudo> a Brandt 7
una... forma EGRS diuidantur G ostendit
EGLPm1S 8 multitudinis] multi- tudinem G 12 procreantis
Nm1 13 atque G 14 ad speciem om. N ad
differentiam Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est FHN 16 unum
om. EGRS enim] etenim FN quodque unum G 17
uidemur] debemus E (in ras.) GPm1RS, post uidemur add . uel
debemus Hm1 del. m2 post reiectis add . quia non
demonstrant substantiam L temptatis temporum Sm1, del.
m2 19 post quod add . genus EPm1, del. m2
20 ait ex aut Em1 addit m2NP addidit
F 21 ex] de H 23 dictum om. FH dictu GLS
autem] enim FNP alii genus sit, alii generi supponatur, non
quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non in eo quod genus
est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita
sint, ostenditur genus ipsum in eo quod genus est, genus habere non
posse. si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset;
genus enim aliud quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco
descriptionem ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in
priore uolumine dictum est, ex proprietatibus infor- matio quaedam rei et
tamquam coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita
ut omnia simul rei cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel
differentiis haec collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio
generis haec : genus est quod de pluribus et differen- tibus specie in eo
quod quid sit praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus
praedicetur, ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re
quoniam ipse posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam
significemus exemplo. sit enim nobis in forma generis animal. id de
aliquibus sine dubio praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed
haec plura sunt. animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque
bos talia sunt, ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie,
id est tota forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo enim
et equus et bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus
specie differentibus. sed quonam modo fit 9 in priore uolumine] cf. p.
42, 8—43, 6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7. 1
genere G post supponatur add . sed cum (alii add. P )
subponi- tur ( uel sup-) CFHN, s. l. Pm2 non—potest (3)
del. E 2 col- locatur CFHNPm2 non] enim EF 7 ei
(eius HN ) aliud quod HNPm1RS possit EGS 9
priori LN ex om. GHS, s. l. Em2Lm2 11 plurima
L plura post unum C 16 post . ut om.
FG 18 late E (in ras.) FHP, ecte ? 19 exemplo] hoc modo
CLP 20 prae- dicetur CEGPm1RS ante equo add . et
FHLN, er. P 21 boue] et boue L
et er. uid. C 22 a] ad Lm1S 23 mediocri re] medio-
critate H 24 forma tota E (del. tota) G 26 fit om.
G haec praedicatio? non enim quicquid interrogaueris, mox animal
respondetur: non enim si quantus sit homo interrogaueris, animal respondebitur,
ut opinor; hoc enim ad quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si qualis
interroges, ne huic quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus
interrogationibus hanc animalis responsionem ineptam atque inutilem semper esse
reperies, nisi ei tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus
enim nobis quid sit homo, quid sit equus, quid sit bos, animalia respondebitur.
ita nomen animalis ad interrogationem quid sit de homine, equo atque boue
ac de ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit. et quoniam generis haec definitio est,
animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est
quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-
dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alterum relatio genus
facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse
animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est,
non tamquam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus esse,
non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest
animal ad ceterorum quae sibi subiecta 2 non] num FHN
rogaueris Cm1GS 3 ante animal add . mox F
respondetur F ut] non FHN 4 post
qualis add . sit FHNP, s. l. Em2, s. l . homo sit Lm2
interroges] Em1Lm1P roges cett . nec CG
haec CSm2 id m1 hic FN 5
interrogantibus EG 6 ineptam] CFHNPp.c.Lm2
idiotam E (s. l. i . inertem m2) GLm1 (s. l. inpro-
priam m1?) Pa.c.S Hilgard idiotam uel ineptam R
idiotae Engelbrecht 7 nisi] ni C 8 interrogat
Em2HN enim] autem F post . quid] quidque R 9 sit
om. E
animal C item EGLm1PRS 11 ac] et R 13
ante bouis add . atque FHNP 14 genus autem C
15 ante alterius add . ad CEm2HN
praedicationem Em1PSm1 edd., post add . refertur Pm2 edd . 18
dicas Lm2 21 esse om. EGRS, s. l. Lm2 re om. EGR,
s. l. Sm2 post hoc add . nomen C, s. l . Em2Pm2, ante
FHNS de del. L, s. l. Pm2 22 relatione in ras .
E ratione GLPm1R sunt praedicationem referri. itaque
character est quidam ac forma generis in eo quod referri praedicatione ad eas
res potest, quae cum sint plures et specie differentes, in earum tamen
substantia praedicatur. Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit
dicens: Eorum enim quae praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo,
sicut indiuidua ut Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum
genera et species et differentiae et propria et accidentia com- muniter,
sed non proprie alicui. est autem genus qui- dem ut animal, species uero ut
homo, differentia autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album,
nigrum, sedere. Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius
diuisionem idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac
separet, hoc modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate,
alia de pluralitate dicuntur. 7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27,
2—7). 1 post itaque add . ut P, s. l. Lm2
est om. R, post generis F quiddam Ea.r.G
quidem CNPm1 2 praedicatione post res C 3
eo- rum CGNS, m1 in ELP 4 tantum E substantiam NR
, -a ex -a CS; cf. p. 187, 11. 18 5 autem om. C,
in mg. Lm2 8 indiuiduum C indibus ( s. l . indiuidua
Em2 ) diabus (a, ex e E ) EG ut Socrates—
hoc om. CLNP ,—risibile (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic
et hoc) GH ut] sicut Em2 (in mg.) RS ΑΣ et hic et hec et hoc F 9 uero om. CFLNPR
autem Σ quemadmodum—risibile (13) om. CL (
sed uerba est autem 11 —sedere 14 exhibet p. 184 , 14)
NP ut genera, om. reliqua usque accidens (13) F 10
differentia Sm1 m1 pro- prium Γ 11 sed] et ΛΣ proprie] L (p.
184, 14) R Ψ propria ΓΑΑΠ ( ras. ex -ae) 2 (a in ras .) Φ ( post alicui); Porph. p. 2, 20 ιδίως est— risibile om. R est—sedere (14) om. S 12
uero s. l . Δ m2 Φ m2 13 ante accidens add . ut CL ut]
id est CLm2P uel E et R; Porph. 2,22
otov 14 ante nigrum add. et R
16 a LPS 17 post separet add . et (F) id
facit FHN, s. l. Em2 18 pr . alia] alia quidem
FHN alia de singularitate om. G, s. l. Em2, post
pluralitate CLm1 post . alia] alia uero FHNS dicuntur]
praedicantur post singularitate FHN de singularitate
uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet habent subiectum de quo
dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato,
ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc
sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale est —, sed hoc quod nunc
suppositum est, nec album quod in niue est — uniuersale est enim album et nix
—, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de
quolibet alio albo PREDICARE quod in hac niue est, quia ad singularitatem
deductum est atque ad indiuiduam formam constrictum est indiuidui
participatione. alia uero sunt quae de pluribus PREDICARE, ut genera, species,
differentiae et propria et accidentia communiter, sed non proprie alicui. genera
quidem de pluribus praedi- cantur speciebus suis, species uero de pluribus
praedicantur indiuiduis; homo enim, quod est animalis species, plures sub
se homines habet de quibus appellari possit. item equus, qui sub animali est
loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos de quibus praedicetur.
differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus dici potest, ut rationale
de homine ac de deo corporibusque caelestibus, quae, sicut Platoni
placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi de una specie PREDICARE,
de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub conuenienti specie collocantur, ut
risibile de Platone, Socrate et ceteris indiuiduis quae homini supponuntur.
accidens etiam 1 uero om. FHN 2 possunt CLm1
3 ante Plato add . ut FH, s. l. Lm2 et N edd . 4
quod] ut F ut] et N 6 sed] sed et F 7
niui Gm2Sm1 enim est FL 8 niui Sm1, item 9 9 hac]
alia EFGR (a.c.ut uid. ac p.c.) Sm1 10 post ,
ad om. GHLR, s. l. Em2Nm2 , in FSm2 14 propriae
FGa.c.Sm1 propria CHLN post alicui uerba lemmatis p.
183, 11—14 est autem—sedere add. L 15 plurimis FN
16 post indiuiduis add . suis CFHP 17 qui]
quod FHN 19 praedicatur FHN 20 potest dici
E 21 quae om. R, s. l. Sm2 q. er. N 22 item] autem
Lm2P specie om. C 23 tamen ante de H
25 post indiuiduis add . dicitur CLP, s. l. Hm2
hominibus EG homini * ( b. ? er.) L
supponantur Em1GS supponuntur ante homini C
de multis dicitur; album enim et nigrum de multis omnino dici potest quae
a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de multis dicitur; homo enim
sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe diuersae sunt. accidens
autem quoniam communiter accidens esse potest et proprie alicui, idcirco
determinauit dicens et accidentia communiter, sed non proprie alicui. quae enim
proprie alicui accidunt, indiuidua fiunt et de uno tantum valentia PREDICARE,
ea quae communiter accipiuntur, de pluribus dici queunt. ut enim de niue
dictum est, illud album quod in hac subiecta niue est, non est communiter
accidens, sed proprie huic niui quae oculis ostensionique subiecta est. itaque
ex eo quod commu- niter praedicari poterat — de multis enim album dici potest,
ut albus homo, albus equus, alba nix —, factum est, ut de una tantum niue
PREDICARE illud album possit cuius partici- patione ipsum quoque factum est
singulare. omnino autem omnia genera uel species uel differentiae uel propria
uel acci- dentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species
uel differentiae uel propria uel accidentia sunt, manifestum est quoniam de
pluribus PREDICARE. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut secundum
subiecta eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex pluralitate
praedicationis ad singularitatem uideantur adduci. animal enim, 3
enim om. C et (s. l. m2) enim L sedit
CN simia] post sedet FH et simia R
aues] auis N set et aues F sedet auis H 4
quo- que om. FN , uero L quarum Lm1 post
sunt s. l . sedent Pm2 scil, sedent Sm2 5
ante communiter add . et FHN, s. l. Em2Pm2 7
propria HN pr . alicui om. GLR quae s. l. Sm2
cum E (s. l. m2)FH enim proprie s. l. Em2Sm2
propria N accidunt ali- cui E 8 ea quae] et quae
E ea quidem quae N eademque cum P et cum
F cum H 9 queunt om. Em1G, s. l. Sm2
possunt E m2 Pm1 (potest m2 ) R 10 niui
Sm1 niue est subiecta HL niui Sm1 nunc
G 12 ostensione GRS ita * (q. er .) C ita quoque Sm2, ad
itaque s. l . quoque Hm2 15 niui GSm1 17
differentias CE (s in er . e?) GL 20 quoniam]
quod G 21 ut] et FN subiectam CEGH a.r.Lm1PSm2 22
substantiamque ( om . et) FHNP metiantur E
mentiamur Ca.r.Sa.c . eueniet HN pluritate Gm1P
quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in Socrate
consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum, quoniam
Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus
praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est
indiuiduo consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus
est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed
in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur,
in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de
pluribus dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est.
Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem
ad singularitatem praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de
pluribus PREDICARE, alia secundum substantiam PREDICARE, alia secundum
accidens. eorum quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid
sit dicuntur, alia in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac
species, in eo quod quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit
PREDICARE, alia de speciebus PREDICARE pluribus, alia minime; de
speciebus pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem
quae secundum accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus
praedicantur, ut accidentia, 1 plurimis R 5 si s. l.
Lm2Sm2 quae et est om. F est— indiuidua in
mg. Cm2 7 est post singularis E 9 hominibus
om. FN praedicatur CEGL (ante
hominibus) Pm1RS dici possit N in Socrate om. ER
unica Em1GS unicam Lm1 unita R 10 cum s. l.
Em2Sm2 11 possit dici E singulari] singulari corpore
CFHN perspectum] CE (in ras.) FH, m2 in LPS perspecta Lm1 a.c .
(perfecta m1p.c .) R perfectam Pm1Sm1 profecto ( alt .
o in ras .) N profecto perfecta G in-
diuidua EGLm1RS 12 ante eorum add . ut GRS,
del. EL 13 dicun- tur]
praedicantur Pm2 praedicantur] dicuntur L ( ex
dicantur m2 ) P 14 plurimis R praedicantur]
dicuntur N 17 pr . quod—differentia (19) in ras. Em2 post , in
eo—differentia (19) om. GR 19 iterum FN 20 pluribus
(plurimis H ) praedicantur FHN 21 post
speciebus add . quidem FHNP pluribus om. GRS, s. l.
Lm2, post praedicantur Em1Fm1 23 post pluribus
add . speciebus CFHN, s. l. Em2 alia quae de uno tantum, ut
propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi
diuisio. eorum quae PREDICARE, alia de singulis PREDICARE, alia de pluribus.
eorum quae de pluribus, alia in eo quod quid sit, alia in eo quod quale
sit praedicantur. eorum quae in eo quod quid sit, alia de diffe- rentibus
specie dicuntur, ut genera, alia minime, ut species, eorum autem quae in eo
quod quale sit de pluribus prae- dicantur, alia quidem de differentibus specie PREDICARE,
ut differentiae et accidentia, alia de una tantum specie, ut propria.
eorum uero quae de differentibus specie in eo quod quale sit praedicantur, alia
quidem in substantia PREDICARE, ut differentiae, alia in communiter
euenientibus, ut accidentia. et per hanc divisionem quinque harum rerum
definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod | de pluribus specie
differen- p. 63 tibus in eo quod quid sit praedicatur.
species est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur.
differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in
substantia PREDICARE. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale
sit non in sub- stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur. 1
quae om. FN una C (s. l. add . specie ) FHN
possit FRS potest N 2 etiam om. LP 4
post pr . sit add . praedicantur CFHNP, s.l. Lm2 6 specie]
speciebus Ea.r.FLNPS 7 autem in mg. E, s. l. Lm2 9
accidentia et differentiae C post accidentia add .
communiter Pm2 edd . 10 uero om. GRS, in mg.
Em2Lm2 quae in mg. Em2 de differentibus specie om. GLRS, in mg . de specie
differentibus Em2 de om . C 11 substantiam RSa.r . 12
conuenientibus Pm2 13 de- finitiones] diuisiones FHm1
14 specie differentibus hic F, post quid sit (15) cett.; cf.
proxima et p. 193, 1 15 est] autem E 18 substan- tiam
R proprium—praedicatur (20)] om. GR, in mg. Em2 proprium
(uero s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus minime specie differentibus
in eo quod quale ait (sit s. l. Lm2 ) non in substantia praedicatur
LPm2 non in substantiam praedicatur Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante non inse- renda ) haec
proprium est quod de pluribus specie minime differentibus, deinde pauca
uerba, quorum extremum <praedi>cat<ur>, cum mg.
abscisa, sequuntur uerba accidens est (20) —praedicatur (21)
, m2 20 ante specie add . et CE (del.)
GLP Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet ipsis
separaremus, Porphyrio vero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a semet
ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et
proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae PREDICARE aut in ea
quae de singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae
de pluribus PREDICARE, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque
exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quae de uno solo PREDICARE,
differunt genera eo quod de pluribus adsignata praedi- centur, ab his
autem quae de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus
praedican- tur, sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit
species, de Socrate et Platone praedicatur, qui non specie differunt a se
inuicem, sed numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo
praedicatur, qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non numero solo. a
proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius
est proprium, praedicatur et de his quae sub una specie sunt indiuiduis,
quemadmodum 9—p. 189, 16] Porph. p. 2, 22—3, 14 (Boeth. p. 27, 8—28,
7). 2 separemus GNRm1Sm1 porphirii Lm1 fuit
alia CN 4 forma generis H separet NPa.c.Sm1
ante idcirco add . hic FRS 5 diuisit s. l.
Em2 separauit m1 quidem s. l. R, ante
diuisit L 6 praedicarentur FHLm2Pm2 plurimis
Em1Lm2 uero] autem C 7 plurimis FGm2N
praedicarentur FHLm2 8 horum F 9 Ab om. GHP, s.
l. ER ergo] uero H praedicarentur N 10 prae-
dicantur Em1GLm2PRSm2 Busse 11 ab his—accidens (p. 189, 14)
] Ω , om. cett., sed in S particulae lemmatis plerumque
HISTORIA (cf. ad p. 167, 21) inscriptae uariis locis expositionis p. 189,
17—193, 16 insertae sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum
lectiones hic pro- ponentur post . ab] Ω (etiam B
Bussii) a edd. Busse 12 post quidem add . differunt
genera Γ praedicatur ΛΣ 13 sed non] sed om . Σ non tamen H m2 ‘i’ 14 Platone] de platone
A 16 sit genus Σ 17 boue] de boue
Γ 18 et om. ΓΦ non] Porph. p. 3, 1 aX\’ οΰχί solum edd. cum Porph . τώ άριθ·μώ μόνον 20 hiis Φ 21 una om. Porph. p. 3, 3 risibile de homine
solo et de particularibus homini- bus, genus autem non de una specie
praedicatur, sed de pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab
his quae communiter sunt accidentibus differt genus, quoniam etsi de
pluribus et differentibus specie PREDICARE differentiae et communiter acciden-
tia, sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit.
interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod
quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit. interroganti
enim qualis est homo, dicimus rationalis, et in eo quod qualis est coruus,
dicimus quoniam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero
accidens. quando autem quid est homo interrogamur, animal respondemus;
erat autem hominis genus animal. Nunc genus a ceteris omnibus quae quolibet modo
praedi- 3 specie s. l. Γ, om. optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid.
Bussio 5 locum quoniam—animal (16) post
genus p. 193, 18 add. LS etiamsi LS sΠ*ΙΓ specie differentibus ΛΣ ; Porph. p. 3, 6 διαφερόντων τψ ειόει 6 differentia Lm2S 7 sed non] Δ ( ad sed s. l . id est tamen m1? ) Π ( ad sed s. l . uel tamen
m1? ) A Busse tamen non LS ΤΣΦ non tamen Ψ
edd.; Porph. p. 3, 8 άλλ’ οόκ , cf. supra p. 188, 13,
infra 190, 12 7 sit om. L sed in eo quod quale quid
sit] codd. cum Porph. p. 3, 8 codicib. Lm2Mm2 άλλ’ έν τψ
όποιον τ£ έστιν , delend. uid. Bussio 8 quid om. S Φ
interrogantibus—sit (11) om . Φ ad interrogantibus s. l
. uel interrogati Δ nobis] LS A m2 Ii (del. m2)
Busse nos A m1 (enim post nos,) Ψ , om
. ΓΔ2 ( decst Φ ); Porph. p. 3, 8 έρωτησάντων
γάρ ήμών uel τινών codd . 9 post
illud s. l . quomodo (m1?) uel de quo (m2)
Δ haec s. l. Lm2 10 post quale add .
quid Π (del. m2) Ψ m Busse, om . LS VM pbr, om. etiam p. 194,
7 (cf. p. 195, 4. 196, 8. 15) , aliquid s. l . Λ ( deest Φ ); Porph. p. 3,
10 έν τψ ποιόν τί έατιν 11 interroganti] ΑΣ a.r . Ψ interrogantibus S interrogati cett.; Porph. p, 3,
10 έν γάρ τψ έρωταν 12. dicimus] Π m2 ΣΨ , om . Φ , dicitur cett.; Porph. p. 3, 11 οομέν 14 autem om. N quid est] quidem FN
qui Gm1, s. l . est m2 quod est L 15 interrogamus
P A , m1 in EGR Z interrogemus S
erat] RS, m1 in Ρ ΔΛ , est 1 erit cett.; Porph. p. 3, 13
vjv genus ho- minis Σ cantur separare
contendit hoc modo. quoniam enim genus de pluribus PREDICARE, statim differt ab
his quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent
indiui- duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae
de uno PREDICARE, communis ei est cum ceteris, id est specie,
differentia, proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus
praedicantur. horum igitur singulorum differentias a genere colligit, ut solum
intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his autem
quae de pluribus praedicantur, differt genus, ab speciebus quidem primum,
quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de differentibus
specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere non poterit,
alioquin genus, non species appellaretur si enim genus est quod de pluribus
specie differentibus in eo quod quid sit PREDICARE, cum species de
pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic si adiciatur ut de specie
differentibus PREDICARE, speciei forma transit in generis; id quoque exemplo
intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate, Platone et ceteris quae a
se non specie disiuncta sunt, sicut homo atque equus, sed numero quod
quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur numero differre. numero
enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus a 2 quidem om.
CHN qui G, ex quae Lm2 3 post
praedicantur add . ut socrates et hic et hoc H quae
CN 5 uno] uno solo LS est ei L est om.
CEHN 6 post specie add . et FHP, s. l. Lm2
accidente Lm2Pm1N 9 aspectum deducat E ab] CL (s.
l.) NSm2, om. cett . 10 autem] enim P post pluribus add . id
est ( add . specie, sed del. E ) ab his quae ( haec s. l. E )
de pluribus Em2GPRS 11 a R primum om. S, s. l.
Lm2; deest p. 188, 12 12 praedicatur S non tamen] sed
non S de om. FHNP 15 plurimis Em2GPRS 16
plurimis EGR dicatur] praedicetur C praedicatur edd .
19 fas est] placet HNPm1 post enim s. l . cum sit
species Em2Pm2 (ex p. 188,14) quod est species Lm2 20
et ceteris del. E qui
Ep. c . disiuncta ( ad quod s. l . differunt)—equus del. E 21
post equus add . uel bos LP 23 differre (in mg.
H) post aliquid FHLN aliquis GS quoties (-cies)
EPRS numero differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta
boues, differt numero ab alio boum grege, si centum in se contineat boues; in
eo enim quod grex est, non differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero
igitur differunt, quod illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo
igitur Socrates et Plato specie non differunt, sed numero, cum et Socrates unus
sit et Plato unus, unitas uero numero ab unitate non differat? sed ita
intellegendum quod dictum est numero differentibus, id est in numerando
differentibus, hoc est dum numerantur differentibus. cum enim dicimus
‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus unitates, ac si digito tangamus
dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de Platone ‘hic unus est’, non eadem
unitas in Socrate numerata est quae in Platone. alioquin posset fieri ut
secundo tacto Socrate Plato etiam monstraretur. quod non fit. nisi enim
tetigeris Socratem uel mente uel digito itemque tetigeris Platonem, non facies
duos, dum numerantur. ergo differunt quae sunt numero differentia. cum igitur
species de numero differentibus, non de specie praedicetur, genus de pluribus
et differentibus specie dicitur, ut de boue, de equo et de ceteris quae a
se specie inuicem differunt, non numero solo. tribus enim modis unum quodque
uel differre ab aliquo dicitur uel alicui idem esse, 3 continet
EGLRS differt C, add . neque CP, s. l. Hm2, s. l . nec
Lm2 4 ne—differunt] H ( post quidem del .
haec m2 ) N igitur om. EG nec in eo
(recte?) quidem differunt. Igitur numero differunt L non nisi
quidem numero. Igitur differunt numero F non nisi (eo add. S,
sed del .) quidem numero differunt RS Numero igitur (Igitur
numero C ) differunt, cet . om. CP 5 quomodo] quo
R igitur] uero C 6 specie—Plato om. F 7 pr .
unum PS 8 differt CEm2NPR post intellegendum add
. est CL 10 dum] cum F 12 ante rursus
s. l . et S 14 possit FLRS posset fieri in mg.
Cm2 ut] in Cm2Em2G tactu socrates Em1G 15
ante etiam add . et ( sed et in etiam del.
uid. E ) EG demonstraretur LP 19 speciebus CFHN
post genus s. l . quoque Lm2 et om. Em1 (
s. l . et de m2 ) R specie differentibus EF
20 pr . de om. CL et om. FH de s. l.
Em2Lm2 ceterisque quae F inuicem specie FN
genere, specie, numero. quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse
est eadem esse specie, ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem
sint specie, genere quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem
sint genere — uterque enim animal nuncupatur —, differunt specie, quoniam
alia est hominis species, alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint
specie, idem quoque sunt genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis PREDICAZIONE
ponuntur. si quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem
esse numero, quod si idem sit numero, idem et specie et genere esse
necesse est; ut Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis
idem sint, numero tamen reperiuntur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem
sunt numero, nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie
diuersi sunt, utrumque enim gladius est, nec genere, utrumque enim
instrumentum est, quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus,
de quibus animal PREDICARE, specie differunt, numero ergo etiam eos differre
necesse est. idcirco hoc plus habet genus ab specie, quod de specie
differentibus PREDICARE nam si integram generis definitionem demus, dabimus hoc
modo : genus est quod de plu- 1 ante genere add . id
est P, s. l. Hm2Lm2 genere—esse specie om. EGRS numero] et numero C 2 esse
post specie C, ante eadem FH ut si—differant
specie om. FHNPm1 , in
mg. add., sed del. m2 genere—eadem sint om. C 3 sunt
F 4 est] esse ( idem ante necesse ) GSm1 sunt
EFGKHm1NRSm1 5 animalia FHN nuncupantur FHNS
differentia Hm1N 6 species om. FG, ante est
C 7 uterqne EGLPRS, recte? 8 et om. CP sub
hominis et om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub om. C
ponitur Lm2Sm2 9 sit] sint S sunt Fm1 (in mg .
est m2) Nm1 10 quod si—necesse est post disiuncti (13)
transpos. et 13 enim pro uero scr. brm 12 tamen]
tantum CLm1 15 diuersi * (s er.) , om ,
sunt C est gladius FN 16 ad
instrumentum s. l . bellicum Em2 17 bos ante
homo EG atque bos post equus FN 18
ergo om. FHNP, del. Cm1? Lm1? Sm2
etiam s. l. Lm1? 19 ante id- circo add . et
F, s. l. Sm2 ab specie om. EGLS a R de] a R
ab CEGLS 20 post specie s. l . quidem
L definitionem ( uel diff-) generis FHNP 21
dabimus om. EG ( add . dicimus post modo) RS, s.
l. Lm2, post modo C ribus specie et numero
differentibus in eo quod quid sit prae- dicatur, at uero speciei sic : species
est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. A
proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie,
cuius est proprium, PREDICARE et de his quae sub una specie sunt indiuiduis.
proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit nec transit ad
aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de
ea specie cuius est proprium praedicatur et de his indiuiduis quae sub
illa sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et
ceteris quae sub hominis nomine continentur. genus uero non de una tantum
specie, ut dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod
de pluribus speciebus praedi- catur, cum proprium de una tantum de qua
dicitur appelletur et de his quae sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero
et ab his quae communiter sunt accidentibus differt genus. differentiae atque
accidentis discrepantiam a genere una separatione concludit. omnino enim quia
haec in eo quod quid sit minime PREDICARE, eo ipso segregantur a genere;
nam in ceteris quidem propinqua sunt generi, nam et 1
specie—differentibus] specie non (non Lm2 s. l. et R et cum
cett. P ) numero solo (solo s. l. Lm2, om. P ) differentibus
LPR 2 plurimis S 3 in—sit om. HN 4 proprium]
prius S proprium—praedicatur] pro- prium praedicatur et de una sola
specie C quidem—est proprium om . G, s. l. Em2
quidem om. etiam S 6 post proprium add .
uero N enim brm 7 uni om. GS, post speciei
E (s. l. m2) HR 9 post hominis add . est edd . 11
et] ut RS de om. FN, s. l. Pm2 Platone] de
platone G et ceteris] ceterisque FHNP 12 qui
Em2 13 ut s. l. Hm2Pm2 de om. N plurimis
CEm1GNR, add . et differentibus specie S, in mg. Pm2 ( om . specie)
14 praedicetur Lm2P 15 post tantum s. l .
specie Lm2 appellatur FHm1NR 17 sunt accidentibus]
accidunt HN 18 genus] cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189,
5—16 uerba Quare—praedicantur p. 194, 20 s. add.
L discrepantia FL 19 separatione del. et s. l .
diffinitione Em2, post separatione add . uel
definitione Hm1, del. m2 20 sint Em2HN 21 in] CL
(s. l. m2) N, om. cett. de pluribus praedicantur et de specie
differentibus, sed non p. 65 in eo quod quid sit. si quis enim |
interroget : qualis est homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si
quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem
interroges: quid est homo? animal respondebitur, quod est genus. quod
uero ait: haec non in eo quod quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod
quale sit, hoc magis quaestioni occurrit huiusmodi. Aristoteles enim
differentias in substantia putat oportere PREDICARE. quod autem in substantia PREDICARE,
hoc rem de qua PREDICARE, non quale sit, sed quid sit ostendit. unde non
uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed potius in eo quod quid
sit. sed solvitur hoc modo. differentia enim ita substantiam demonstrat, ut
circa substantiam qualitatem determinet, id est substantialem proferat
qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale est tamquam si diceret:
uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo quod quid sit
PREDICARE, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam monstret, tamen
in eo quod quale sit praedicatur. Quare de pluribus praedicari diuidit genus ab
his quae de uno solo eorum quae sunt indiuidua praedi- cantur,
differentibus uero specie separat ab his quae 20—p. 195, 5| Porph. p. 3, 14—19
(Boeth. p. 28, 7—13). 1 plurimis FH 3
respondebitur R rationabilis N quis om. R, post s. l .
scil. (om. brm) interroget Hm2brm post , est om.
HN 4 dicetur FHN interrogetis N 9 autem]
uero FHN 10 qualis Cm2FHP 16 tamquam] ac F
20 uerba Quare—praedicantur (21) et p. 193, 18 et hic (
hic om . praedicatur) habet L, eadem iam ante lemma add. S
predicari ex preditur Pm2 genus diuidit hic
L hiis F 21 sola F eorum—accidentibus ( p.195, 3
)] Ω , in sup. mg . non sunt indiuidua (21) —
accidentibus add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae de una solummodo
substantia dicuntur R, om. cett. codd . eorum quae sunt indiuidua
om. p. 193, 18 L eorum om. L (hic) A 22
ante differentibus add . de ΓΛΦ ; differentibus—quibus praedicantur (195, 5) post
colligamus p. 196,1 inseruit S, itaque uerba quae (195, 3) —quibus
praedicantur (195, 5) et illic et hic habet separatur Φ , in mg . genus add . Γ sicut species praedicantur uel sicut propria; in eo autem
quod quid sit PREDICARE diuidit a differentiis et communiter accidentibus, quae
non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit uel quodammodo se
habens praedicantur de quibus praedicantur. Tria esse diximus quae
significationem hanc tertiam generis informarent, id est de pluribus PREDICARE,
de specie differentibus et in eo quod quid sit. quae singulae partes genus a
ceteris quae quomodolibet praedicantur distribuunt ac secernunt, quod ipse breuiter
colligens dicit; id enim quod de pluribus PREDICARE, genus ab his diuidit quae
de uno tan- tum praedicantur indiuiduo. indiuiduum autem pluribus dicitur
modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest, ut unitas uel mens;
dicitur indiuiduum quod ob soliditatem diuidi nequit, ut adamans; dicitur
indiuiduum cuius praedicatio in reliqua similia non conuenit, ut Socrates : nam
cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit proprietas et PREDICAZIONE
Socratis in ceteris. ergo ab his quae de uno tantum praedicantur, genus differt
eo quod de pluribus PREDICARE. restant igitur quattuor, species et
proprium, differentia et acci- 6 diximus] p. 181, 15. 2
diuiditur Φ , s. l . genus add. Lm2
differentibus S 3 ante quae add . et
CEGP quae om. R non om. S (hic) quod] quia
R 4 post . sit] Σ est cett; cf. p.
196, 8 quodammodo in ras. Em2
quod ad modum CG quemadmodum LP quod a modo
R quomodo Ψ edd. Busse ; Porph. p. 3, 19 πώς ; cf. supra p. 128, 10 5 praedicantur om . ΓΦ ante de quibus add . de his S ( ad
p. 194, 22 ) ab his Σ his A
hiis Φ de quibus praedicantur] S (ad p. 194,
22) ΓΛ (de s. l .) 2Φ , om. cett . 7 informant FHm1N post, de]
Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed FHm1Pm1; cf. p. 181, 16 8 et om. R 9 quolibet modo CL (modo s.
l. m2 ) N quo *** libet (libe er. uid .) F praedicatur
GPm1 10 col- ligens breuiter EGS 12 dicitur pluribus
C 13 non potest secari CFN 14 indiuiduum—dicitur (15)
om. G 15 adamas HLm1P (-as ras. ex -ans),
amans R 18 ceteros NP 20 igitur] ergo FP dif-
ferentiae EHa.c.NP, ante add . et H, s. l. Lm2 dens,
quorum a genere differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his
rebus segregabitur genus. ea quidem differentia qua de specie differentibus
genus dicitur, separat ab his quae sicut species praedicantur uel sicut
propria. species enim omnino de nulla specie dicitur, proprium uero de
una tantum specie PREDICARE atque ideo non de specie differentibus. item
genus a differentia et accidenti differt, quod in eo quod quid sit PREDICARE;
illa enim in eo quod quale sit appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem
ab his quae de uno praedicantur differt in quantitate PREDICAZIONE, ab
speciebus uero et proprio in subiectorum natura, quoniam genus de specie
differentibus dicitur, proprium uero et species minime. item genus in qualitate
praedicationis a differentia accidentique diuiditur. qualitas enim
praedicationis quaedam est uel in eo quod quid sit uel in eo quod quale sit PREDICARE. Nihil
igitur neque superfluum neque minus con- tinet generis dicta
descriptio. Omnis descriptio uel definitio debet ei quod definitur
aequari. si enim definitio definito non sit aequalis et si quidem maior sit,
etiam quaedam alia continebit et non necesse est ut semper definiti
substantiam monstret; si minor, ad omnem definitionem 16 s.] Porph. p. 3,
19 s. (Boeth. p. 28, 13 s.) 1 quarum Cm1Lm1 colligamus
ante differentias C colligemus (e ex i) H;
cf. ad p. 194, 22 2 ea quidem—dicitur om. S 3 post
differentibus add . praedicari edd . separat ab his]
FLm1R dum separat ab his S differt ab his CN
differt (s. l. Em2) ab (a L) specie et proprio HP
, s. l. Lm2 (seperat—propria [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab
his add . Hm2, om. EG separatur ab his edd.; cf. p.
194, 20 4 praedicantur post propria H 5 nulla]
nulla alia LS 8 enim] uero FHN 10 a LNR 13
ab FHP (b er .) 15 praedicare GR 16 Nihil
ex Nil Pm1? pr . neque om . ΛΛΠΣΨ Porph. p. 3, 19 Busse, del . Γ m2 17 genus F dicta om. E, s. l . Σ , post descriptio G locus Porph. p. 3, 19 s. plenior
est (cf . τής έννοιας , quod deest ap.
Boeth.) 18 Omnis descriptio in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR,
s. l. Sm2 post Omnis add . enim L, s. l. Sm2, post
debet C (er.) EGR 19 definito om. FPS et om. CFN
21 definitio ( uel diff) Ca.r.N post si s. l .
sit L definitio C definiti ( uel diff)
Em2HN substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de
minoribus praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime;
nemo enim uere dicere potest omne animal homo est. atque idcirco si sibi praedicatio
conuertenda est, aequalis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque
super- fluum quicquam habet neque diminutum, ut in ea ipsa
generis descriptione dictum est enim esse genus quod de pluribus specie
differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere
conuerti potest, ut dicamus quicquid de pluribus specie differentibus in
eo quod quid sit PREDICARE, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec
plus neque minus continet generis facta descriptio. 1
substantiam CEm2 4 pr . est om. C 5
oporteat EGHL ( a del .) PRS ante sit add .
ut E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2 6 habeat R
diminutiuum Em1 7 enim est G esse s. l. Em2L,
post genus Pm2 8 praedicatur Em2FNa.c . 9
post ut s. l . si Lm2 quicquid] quod EGLm1RS
10 praedicatur Em2 11 conuerti potest] * (ñ er .) con-
uertitur C conuertitur. est F conuerti (non del
.) potest S neque— neque FLm2P nec—nec HLm1
neque—nec N 12 continet s. l. Nm2 Sm2, om. F,
post generis CEGL facta] dicta p. 196, 17 BOEZIO
V. C. ET I LL EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS (YSAGOG. E )
PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM (introductiones C ) A SE TRANSLATAS
EDITI- ONIS SECVNDAE COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib.
explic. C, post PORPHYRII add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II.
EXPLICIT E ) INCIPIT C (
pleraque litt. minusc. scr .) GE ( uariis cum scripturis
compendiisque ); sede trans- lationis comtarius expł incip lib IΙI. L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC
COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER
TERTIVS (TERCIVS LIBER P ) FP ; INCIPIT LIBER TERTIVS R
; subscriptio deest in H Superior de genere disputatio
uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam cum genus ad
aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non potest, si
speciei quae sit intellegentia nesciatur. sed quoniam diuersa est in suis
naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut
singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post
generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim
haec fuit ratio praeponendi generis reliquis omnibus, quod naturae suae
magnitudine cetera contineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine
tractatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim
differentiae ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id
quod eius informatione perficitur. posterior
igitur est species a differentia, prius igitur de differentia tractandum fuit.
etenim prooemio etiam consentiret, in quo eum ordinem collocauit quem naturalis
ordo suggessit, dicens utile esse nosse quid genus sit et quid differentia.
huic respondendum est quaestioni, quoniam omnia quaecumque 19 dicens] p.
147, 5. 7. 148, 17. 2 uidetur CGHL, ras. ex
uideatur PS 3 sumpsisse CHN 5 ne- scitur
FHm1 7 mixtis Fa.c.Lm1 8 posuit H diuidere
ante ita G, post cuncta CLP , diuise HNa.c . prosequitur
Gm1PR 10 pro- ponendi CFNR genus R 12 nonne
Em2FHPSm2 ante aequum add . et HP, s. l. Em2 speciei
differentiam EFHLm2P; cf. p. 239, 9 13 obtineret CLm1 14
ipsae CNP est s. l. Gm2Lm2 15 informet E 16
post Em1GLm1RS igitur] ergo C a om. CRS, er. L 17 ut
enim N ut CH etiam om. CF 18
post quo add . prius CN eam ordine CFN quam
CFN 19 post dicens add . ubi ait E 20
ante huic add . sed E ad aliquid PREDICARE,
substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi
sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex
altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi
generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec
uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species,
ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae
proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora
uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum
continens factus est iure tractatus. De specie igitur inchoans ait hoc
modo. Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma, secundum
quam dictum est primum quidem species digna imperio dicitur autem species
et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus dicere hominem
quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem coloris speciem,
trian- gulum uero figurae speciem. Sicut generis supra
significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non esse
speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem plures
esse 7 superius] cf. p. 158, 3 ss. 180, 23 ss. 13—19] Porph. p. 3, 21—
4,4 (Boeth. p. 28, 15—21). 20 supra] p. 171, 9 ss. 1
positis Gm1Sm1 3 nomen] non Ea.c.Ga.c . 4 uideri EP
8 in om. R 9 consistit CLNPSm2 constat Em1
tum R ac] et H 10 referuntur FLm1
referantur NS refertur Pm2R 11 continuus CN
12 ante De add . sed CH , m1 in LRS , si
E de ex sed Sm2 sed del. Lm2Rm2
13 ante Species inscriptio DE SPECIE (EXPLICIT DE
GENERE. INCIPIT DE SPECIE Ψ ) additur in
11 et om. L 14 primum] G edd . primi
L primis Sm1 priami cett. Busse; Porph. p. 4, 1
πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος (Eurip. Aeol.
frg. 15, 2 N.) ; cf . quemlibet illum infra p. 200, 22
15 post digna add . est HNPR AAΦ , s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s. l .
etiam Γ 17 qui- dem om. N, post add . esse
FR, s. l. L , esse post speciem s. l. Pm2
cum—animal om. S 18 autem om. Ε ΑΣ 20 ita om.
HN manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum
prolixitate confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius
cuiusque formam, quae ex accidentium congregatione perficitur. cautissime autem
dictum est unius|cuiusque, hoc enim secundum accidens dicitur. quae enim
uni cuique indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma
species, sed ex accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae
species quae humanitas nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed
tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est
quae unius cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus
deducit in partes. postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen
modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in
eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem
determinat qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit
animalis in sese participationem separaturque a ceteris animalibus ac fit
generis species. quodsi unius cuiusque proprietatem consideres, id est quam
uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et
quodam- modo depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus
quemlibet illum imperio esse aptum propter formae 1 praeterit
CEGLPR 2 primo FHNP 3 formam] CN figuram
cett 5 haec GL ( s. l. add . species m2 )
RSm1 uni om. EGRS 6 ea om. HN 7 ante
species (specie H ) add . ac CHN ex om. CH
8 forma, s. l . species (m. 2) E pr . quae] sed quae E
eaque] ea quae EFGH Lm1Sm2 9 post sed
add . est brm, post qualitas S 11 unius cuiusque
corpori] CNPm2R in (s. l. Lm2) unius cuiusque (in
add. Lm1, del. m2 ) corpore
(ex -ri Lm2) FHLPm1 unius cuiusque (in s. l. Sm2)
corpore EGS accidentaliter CLm2P sita FHLm1
si ita Na.c . ea] hac F 12 postremoque CNPm2
(recte?) postremo
quoque Rm1 postremum quae Rm2S postremum H 13
sunt FH post atque add . ad CHR 14 in-
telligantur LRm1 15 si post humanitatem FHN
respexeris N eaque] Cm1N ea quae cett .
determinet R 16 eam om. GPRS (recte?) , s. l. Em2
17 se Lm1N 18 species generis C 20 informantur
LPm2 21 accidentalis Lm2Pm2 22 quamlibet FLm1
quodlibet Sm2 illum om. CHLNP illud RS
eximiam dignitatem. huic aliam adiungit speciei significationem, id est
eam quam supponimus generi. nos vero triplicem speciei significationem esse
subicimus, unam quidem substantiae quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui
propriam formam, tertiam de qua nunc loquitur, quae sub genere
collocatur. credendum uero est propter obscuritatem eius quam nos adiecimus,
quia nimirum altiorem atque eruditiorem quaereret intellectum, ea tacita
praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem speciei haec exempla subiecit,
ut hominem quidem animalis speciem, album autem coloris, triangulum uero
figurae; haec enim omnia species nuncupantur eorum quae sunt genera, animal
quidem hominis, albi autem color, trianguli figura. Quodsi etiam genus
adsignantes speciei meminimus dicentes quod de pluribus et differentibus specie
in eo quod quid sit praedicatur, et speciem dicimus id quod sub genere
est. Dudum cum generis descriptionem
adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens id esse genus
quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait prae-
dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum speciem
definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quae sub
genere ponatur. 13—16] Porph. p. 4, 4—7 (Boeth. p. 28, 21—23). 18
(dicens)—20] p. 180, 1 s. 3 subiecimus CLN
substantialem FLm2Bm2 4 indiuiduam G 5 collocatur
(-catur in ras. m2) E colligatur GLm2 (colligitur
m1 ) Rm1s 6 est] est quod EPRS 7 quia] quae
CN quaerit C quaeret Hm1N 8 praetermissa quae
Em1Sa.c . praetermissa Rm1 dedisse Gm1 edidisset
R, ante edid. add . ipsum r 9 ut] et
EGLm1Ra.c.S 11 eorum quae] CFHN earum quae EGR
earumque LPS 12 trianguli figura] Lm1 figura trianguli
Pm2 forma trianguli HNPm1 trianguli forma cett.; fort ,
trianguli >uero>; cf. 10. 199, 19 13 Quodsi] Quid sit FPm1
(Quod sit m2 ) Quod CL Sic Λ2 signantes F 14 et om. F, s. l. R 15
sit om. ERS praedicatur—quid sit (19) om. N id s.
l. Hm2 16 quod sub assignato genere ponitur (est p ) edd.,
Porph. p. 4, 6 το όπό τό άποοοθ-έν γένος 19 et differentibus p. 180, 1 20 genus
definiret C 21 nunc] nam Cm1 cui quidem dicto
illa quaestio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet
quam definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine
monstrabatur. ex notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit
quae definitur. cum igitur per speciei nomen describeret uel definiret
genus, abusus est uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex
notioribus descripsit genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis
includere, generis utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis
quidem sit notius speciei uocabulum, in speciei autem descrip- tione sit
notius generis, quod fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam
speciei, in definitione generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei
nomen facilius intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis
non fuit apponendum. cui quaestioni occurrit dicens : Nosse autem
oportet quod, quoniam et genus ali- cuius est genus et species alicuius est
species, idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque uti.
Omnia quaecumque ad aliquid praedicantur, ex his de quibus praedicantur,
substantiam sortiuntur; quodsi definitio unius cuiusque substantiae
proprietatem debet ostendere, iure ex alterutro fit descriptio in his quae
inuicem referuntur. ergo quoniam genus speciei genus est et substantiam suam
et 16—18] Porph. p. 4, 7—9 (Boeth. p. 28, 23—29, 1). 2
post , definitione ( uel diff-) CHNPm2 claudit C
nec concludit F 3 monstrabat E (-bat ex
-batur? m2 ) R 5 sit] est FHN 6 notiorem
FR 8 uelit FHNPm1 9 conuertit] uidetur conuertere
CHLm2P genere R 10 post quidem add .
descriptione CFHLN, in mg. Em2, fort. recte autem] quidem
C uero FHNP 11 sit om. G pr . genus FH 16
autem om. Porph . quod add. edd.; Porph. p. 4, 7 είϊέναι χρή ότι, έπεί χτλ . 17 pr . est om. FN,
s. l . Λ , ante alicuius Σ idcirco in utrisque
necesse est utrorumque rationibus uti Σ 18 et] hoc N om
. FPSA S neutrorumque Em1 utrasque Em1
utriusque Λ 20 post definitio add . uel
descriptio CFHNP, s. l. Em2Lm2 22 ante inuicem
add . ad CL, s. l. Pm2 , ad se F, s. l. Rm2 23
ante substantiam add . in FHm1, del. m2 post , et om.
F, s. l. Hm2Sm2 uocabulum genus ab specie sumit, in definitione
generis speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex
genere, nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam
uero diuersae sunt specierum qualitates — aliae enim sunt species, quae
et genera esse possunt, aliae, quae in sola speciei | permanent proprietate
neque in naturam generis transeunt —, idcirco multiplicem speciei
definitionem dedit dicens : Adsignant ergo et sic speciem : species est
quod ponitur sub genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur.
amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero
in eo quod quid sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est
et quae solum species est, aliae uero erunt etiam non
specialissimarum. Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem
duae omni speciei conueniunt omnesque quae quolibet modo species appellantur,
sua conclusione determinant, tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum
formae, una quidem, cum species alicuius aliquando etiam alterius genus
esse potest, altera, cum tantum species est neque in formam generis 9—15]
Porph. p. 4, 9—14 (Boeth. p. 29, 2—7). 1 genus om. H generis
FLS ab om. F a NR, s. l. Hm2 specie s. l .
Hm2 species F definitionem ( uel diff-)
FGHP 2 pr . est] fuit Lm2 ( post
aduocandum) Pm2 3 descriptione] definitione (uel diff-)
CFHLm2N diffinicione uel descripcione P 4 relinquendum]
omittendum FHN uero post sunt H 8
reddit FN 9 ergo] uero PLm2 autem Σ et
er. Λ speciem sic F quae CNR h m1
(quo m2 ) ΛΣ 10 quo] EGHLm2Pm1 >
qua cett . 11 amplius—praedicatur (13) om. L 12 et om
. S ac EGRS 13 post praedicatur add . ut
homo equs (sic) bos et asinus et cetera C 14
specialissimae] ΧΨρ (-me) specialissima cett. codd. brm ;
Porph. p. 4, 12 aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη
et om. FHR, s. l. Pm2, del. Sm2 sola C 17
omnis G 18 determinan- tur Hm2 19 post
ita s. l . est Hm2 sint om. Em1 sunt
CEm2GR ante specierum add . species Cm1, del.
m2 20 post cum s. l . sit Lm2 , post
aliquando EP (del. m1?), post species s. l .
scil. sit N transit, priores quidem duae, illa scilicet in
qua dictum est id esse speciem quod sub genere ponitur, et rursus in qua dictum
est id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, omni speciei conueniunt.
id enim tantum hae definitiones monstrant quod sub genere ponitur. nam et
ea quae dicit id esse speciem quod sub genere ponitur. eam uim significat
speciei qua refertur ad genus, et ea quae dicit id esse speciem de quo genus in
eo quod quid sit praedicatur, eam rursus significat speciei formam quam retinet
ex generis PREDICAZIONE idem est autem et poni sub genere et de eo
praedicari genus, sicut idem est supponi generi et ei genus praeponi. quodsi
omnis species sub genere collocatur, mani- festum est omnem speciem hoc ambitu
descriptionis includi. sed tertia definitio de ea tantum specie loquitur quae
numquam genus est et quae solum species restat. haec autem species ea est
quae de differentibus specie minime praedicatur. nam si id habet genus plus ab
specie, quod de differentibus specie praedicatur, si qua species praedicetur
quidem de subiectis, sed non de specie differentibus, ea solum erit superioris
generis species, subiectorum uero non erit genus. igitur PREDICAZIONE ea quam
species habet ad subiecta, si talis sit, ut de differen- tibus specie non
praedicetur, distinguit eam ab his speciebus 2 ponitur—genere (5)
om. N rursum CR 3 quo] Schepss qua codd. et edd.;
cf. p. 203, 10 4 praedicaretur EGLRS praedicetur edd .
5 ponuntur Cm2HN 6 speciem om. Sm1 species m2G
post eam add . tantum FHNP, s. l. Lm2 7 qua]
CNP quae cett . 8 quo] p Schepss qua codd. brm;
cf. 3 genus s. l. Em2, ante add . species G praedicetur
FHLm2NP praedicaretur S 9 speciei om. C 10
est post autem E (s. l. m2) R supponi EFGHLRS 11
generi] genere CGm1 12 omnes (sed collocatur )
ELN 13 post est add . autem CEGL (del. m2) S
(del. m2) 15 est om. EGS, ante genus ΗR , fit
L per- stat E ( pers in ras.) HNa.c . 17 habet
ante plus FH, post N, plus post habet
L a RS 18 si qua species om. N praedicetur om.
N praedicatur Em1HSm2 post subiectis add . Species uero
differentibus numero N 19 de om. N 21 de—non] non
differentibus specie N 22 ante distinguit add .
sed hanc terciam, sed del. E, post add . enim, sed del. RS
quae genera esse possunt et monstrat eam solum speciem esse nec generis PREDICAZIONE
tenere. illa igitur tertia descriptio speciei quae magis species ac
specialissima dicitur, definitur hoc modo : species est quod de pluribus
numero differentibus in eo quod quid sit PREDICARE -- ut homo PREDICARE
enim de CICERONE ac Demosthene et ceteris qui a se, ut dictum est, non specie,
sed numero discrepant. Ex tribus igitur definitionibus duae quidem et
specialis- simis et non specialissimis aptae sunt, haec uero tertia solam
ultimam speciem claudit. ut autem id apertius liqueat, rem paulo altius orditur
eamque congruis inlustrat exemplis. Planum autem erit quod dicitur hoc modo. in
uno quoque praedicamento sunt quaedam generalissima et rursus alia
specialissima et inter generalissima et specialissima sunt alia. est
autem generalissimum quidem super quod nullum ultra aliud sit superueniens
genus, specialissimum autem, post quod non erit alia inferior species, inter
generalissimum autem et spe- cialissimum et genera et species sunt eadem, ad
aliud 7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p. 206, 18] Porph. p. 4, 14— 5,1
(Boeth. p. 29, 7—30, 2). 1 et (s. l. m2)
monstrabat S monstratque FHNP solam Sm2 3
speciei] solum species est N speciei—species ac] quae (s. l.
m2) solum * species magisque (in ras.) species H
4 hoc modo in mg. Hm2 ante species add . Dicitur
enim FHP et differentibus numero p. 203, 12 6 Cicerone]
socrate N post ac add . de R 8
duae—claudit] C (om. pr . et) E (in ras. m2) FH (solum)
LNP duabus quidem et specialis- simas et non specialissimas species claudit
GR una quidem et specialis- simam et non specialis ultimam speciem
claudit Sm1, del. et in mg. corr. m2 (apte sunt
post duae quidem,) 10 id om. LR rem om. EGS, s. l. Pm2,
post orditur Lm2 12 in uno quoque—solum species (p.
206, 17) ] RS Q , om. cett . 14 rursum Γ et
inter—alia om. RS 15 sunt om . T m1, in mg. scil. sunt
ut corpus m2 , est ut uid . Δ 16 super— ultra] ultra
quod nullum RS ultra nullum ΓΦ 17 specialissima
R quod] quam RS 18 autem om . Γ 19
ante et genera add . alia p alia sunt quae brm;
Porph. p. 4, 19 άλλα, α ν,α'ι γένη quidem et ad
aliud sumpta. Sit autem in uno PREDICAMENTO manifestum quod dicitur. substantia
est quidem et ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum
corpus, sub quo animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub
homine uero Socrates et Plato et qui sunt particulares homines. sed horum
substantia quidem generalissi-mum est et quod genus sit solum, homo uero
specialissimum et quod species solum sit, corpus uero species quidem est
substantiae. genus uero corporis animati; et animatum corpus species
quidem est corporis, genus uero animalis. animal autem species quidem est
corporis animati, genus uero animalis rationalis, sed rationale animal species
quidem est animalis, genus autem hominis, homo uero species quidem est
rationalis animalis, non autem etiam genus particularium hominum, sed
solum species. et omne quod ante indiuidua proximum est, species erit solum,
non etiam genus. Praediximus ab Aristotele decem praedicamenta
esse dis- 19 Praediximus] p. 151, 12. 1 quidem
post eadem R 5 ad om . Λ , s. l. R T
uno] uno quoque R A (quoque er .) Φ , ad
uno s. l . isto A m2 2 est quidem] R ΓΦ est
quiddam ( repet , est S ) cett . 3 est post
corpus S, om . Φ 5 uero] RST iI (s. l.
m2) Φ , om . ΛΛΣΊ Busse; Porph. p. 4.
23 δέ 6 uero] codd. nostri, om. Busse; Porph. p. 4,
24 δέ post , et om. RS 7 eorum
RS generalissimum] codd. PQ (non L) Bussii edd . genera-
lissima codd. nostri; Porph. p. 4, 25 τό γινικώτατον 8
uero om. R 9 ante et add . est 2
pr . specie R 10 est om . 2 , s. l .
Δ 11 et] sed et brm, recte ut uid.; Porph. p. 4, 27
αλλά καί est om. R 12 animal autem] rursus animal
brm; Porph. p. 4, 28 κάλιν δέ to ζώον 13 uero] ΓΔ
(s. l. m2) Π*!' , om. cett . animalis] Δ
(s. l. m2) ΣΊ ’ ( post ratio- nalis). om. cett.;
Porph. p. 4, 29 γένος δέ τού λογικού ζώου 14 animal—
est om. R 15 autem] uero RS 16 autem del .
h m2 genus etiam R 17 et om. CEGP indiuiduum
F 18 est s. l. E erit CGR solum species
erit LS erit solum species E solum species est
CR solum speciem non etiam genus esse liquet G 19
Praedicimus R, add. etiam L posita, quae idcirco
praedicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero
de alio praedicatur, si non potuerit PREDICAZIONE conuerti, maior est res illa
quae PREDCIARE ab ea de qua PREDICARE. itaque haec PREDICAMENTI maxima rerum
omnium, quoniam de omnibus PREDICARE sunt. in uno quoque igitur horum PREDICAMENTI
quaedam generalissima sunt genera et est longa series specierum atque a maximo
decursus ad minima. et illa quidem quae de ceteris PREDICARE ut genera neque
ullis aliis supponuntur ut species, generalissima genera nuncupantur, idcirco
quia his nullum aliud superponitur genus, infima uero quae de nullis speciebus
dicuntur, specialissimae species appellantur, idcirco quoniam integrum
cuiuslibet rei uocabulum illa suscipiunt quae pura inmixtaque in ea de qua
quaeritur proprietate sunt constituta. at quoniam species id quod species est
ex eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex species, si ita
generi supponatur, ut nullis aliis differentiis praeponatur ut genus. species
enim quae sic supponitur alii, ut alii praeponatur, non est simplex species,
sed habet quandam generis admixtionem, illa uero species quae ita supponitur
generi, ut minime speciebus aliis praeponatur, illa solum spe- cies simplexque
est species atque idcirco et maxime species et specialissima nuncupatur. inter
genera igitur quae sunt generalissima et species quae specialissimae sunt, in
medio 1 uocauit Lp.c.P dicuntur N 3 poterit
CNSm1 res om. E, sed ras ., ratio R 4
post , praedicatur] dicitur HNP 5 maxime Em1G a.c . 7
quaedam] quae CFHN genera om. CN, ante sunt
F et om . CHN 8 maximis CFHNPm2 11 quia]
quoniam HN 14 inper- mixtaque Em2HPm2
intermixtaque NPm1 de qua s. l. Sm2 de quo R
quae E (ex alia uoce) N 15 at] ut CFN quod]
quoniam E 16 nomen om. FN quia] quoniam F
17 aliis om. C 18 ante alii add . generi CL
(del. m2), post s. l. P 19 simplex om. GRS, s. l .
Em2Lm2 22 atque idcirco maxime (-ma H ) species est (est om.
H ) in mg. Hm1?, s. l. Lm2 ante species add . est P,
post C, s. l. Lm2 24 specialissima EGSm1 sunt om. EG,
s. l. Pm2, post quae L sunt quaedam quae superioribus
quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec subalterna genera
nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod
igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita sunt
genera, ut esse species possint, uel ita species, ut sint genera
nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est
species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.
His igitur cognitis sumamus PREDICAMENTI unius exemplum, ut ab eo in
ceteris quoque PREDICAMENTI atque in ceteris speciebus in uno filo atque
ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est;
haec enim de cunctis aliis PREDICARE ac primum huius species duae, corporeum,
incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod
incorporeum est, substantia PREDICARE sub corporeo vero animatum atque
inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile
adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species,
continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque
inrationale, sub rationali homo atque deus; nam si rationali mortale
subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim
mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione 1 quidem om.
EG collata] FHm1NPm2 collatae Cm2EGHm2 ( add .
e, sed exters .) Lm2 collocata Pm1 collocatae
Cm1Lm1RS (in ras.) sunt species CLR 2 haec] et
C nominantur FHNP 3 alterutrum Ea.r.Pm1
alterutro Pm2 5 ita s. l. Em2Lm2, ante ut C
6 ut sint—est species (7) s. l. Em2 9 igitur] ergo E
11 ante in add . ut Lm2Pm2 uno quoque
Em2H (quoq. del. m1 ?) PRS quod Ea.c .
GLm2Pm1R 14 duae om. HN sunt add. C,s.l. Pm2,
ante duae L post pr . corporeum add . et C, s. l. Pm2 ,
atque FHN 15 ante post . substantia add . et ES
(del) , ex R 17 sub animato—ponitur om. R post . poni- tur]
collocatur FHNP 18 adicies RS 19 inanimatum
Cm1Lm2NPm2S (in s. l. minus cert .), post add . et s.
l. Pm2 20 post rationali add . autem L 22
feceris om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante hominem) s.
l. Sm2 constituis L post uero s. l . dico Lm2,
post corporeum Sm2 23 deum ueteres LN
dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse
cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero
indiuidui singularesque homines ut Plato, CATONE, CICERONE et ceteri, quorum
numerum pluralitas infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio
sub oculos ponat exemplum substantia corporea incorporea corpus animatum inanimatum
animatum corpus sensibile insensibile animal rationale inrationale rationale
animal mortale | inmortale homo Plato CICERONE CATONE Superius posita
descriptio omnem ordinem a generalissimo usque ad indiuidua praedicationis
ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam
praeposita est omnibus, nulli uero ipsa supponitur, et solum genus
propter eandem scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato,
1 dignati sunt] designauerunt Em2 deum quoque HLm2P 2
cum] tum Em2F platone Lm2PSm1 tunc CGLSm1 4
cato om. C, ante plato L , tito N 5 oculis
CFP 6 ponit Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de
duabus ipsa quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr .
animal add . sensibile et rationale post post .
animal pos., et E, in quo ordo nominum cato plato cicero est,
simillima est in G, sed extrema pars homo—Cicero deest, et in H,
nomina tamen socrates plato cicero sunt; in S uoces mediae
tantum substantia—homo extant, sub uoce homo unum nomen est
FVLCO GONCŁ, (explicare non potuimus); figura deest in CFLNR, in F post
ponat exemplum est SVBSTANTIA 8 ad om. H, s. l. Em2
indiuiduum FLN in qua] et E 10 uero] ergo H
Cato et Cicero, quibus est ipsa praeposita, non differunt specie, sed
numero tantum. corporeum uero, quod secundum a substantia collocatur, et
species esse probatur et genus, substantiae species, genus animati. at uero animatum
genus est animalis, corporei species. est enim animatum genus sensibilis,
animatum uero sensibile animal est; ipsum igitur animatum propter
propriam differentiam, quod est sensibile, recte genus esse dicitur animalis.
animal uero rationalis genus est et rationale mortalis. cumque rationale
mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis species, hominis
genus. homo uero ipse Platonis, CATONE, CICERONE non erit, ut dictum est,
genus, sed est solum species. nec solum differentiae rationalis species est
homo, uerum etiam Platonis et CATONE ceterorumque species appellatur, propter
diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco est species, quoniam rationale
per mortale atque inmortale diuiditur, cum sit homo mortale. idem nero
homo species est Platonis atque ceterorum; forma enim eorum omnium homo erit
substantialis atque ultima similitudo est autem communis omnium regula eas esse
species specialissimas quae supra sola indiuidua collocantur, ut homo,
equus, coruus — sed non auis; auium enim multae sunt species, sed hae
tantum species esse dicuntur —, quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut
substantialem differentiam habere non possint. in omni autem hac dispositione
priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut posteriores efficiant species;
nam 1 Cato] tito N et om. P, s. l. Lm2 5
corporis FN enim] autem CLSm2 6 ipsum post
igitur FL (s. l. m2), om. EGRS propter] praeter H 7
quae ER 8 post rationale add . est genus R,
s. l . scil. genus L 11 Catonis om. CLN titonis N
ante Ciceronis add . et CFHP 12 species est solum
C 13 catonis et platonis CL platonis titonis N
15 post rationalis add . homo G 16 homo om.
EGLS 17 atque] et C eorum enim E 18 erit]
est FHNP 19 ante om- nium add . et R post
regula add . est EG esse ante eas FNS
(s. l. m2), om. EGR 21 enim] uero CEGLRS 22 haec
Gm1NR hee P species om. E quarum
Em2FSm2 sibi om. R 24 dis- putatione F 25
iunguntur CLm1 coniungantur m2 efficiunt
Fa.c.Sm1 efficiat m2 ut sit corpus substantia, cum
corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit
animatum, corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum
substantia corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa
superiora iunguntur nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia
corporea animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia
rationi iuncta efficiunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo
minus terminant; est enim homo substantia corporea, animata, sensibilis,
rationalis, mortalis nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal
rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum
et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad
hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur. Quemadmodum
igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat
generalissimum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species
neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed solum indiuiduorum — indiuiduum
enim est p. 71 Socrates et Plato —, species erit sola et
ultima species 15—p. 212, 18] Porph. p. 5, 1—16 (Boeth. p. 30,
2—20). 4 eadem H idem ex eidem
Lm2 6 retinet CN habens L 7 ratio- nali
Pm2 coniuncta HL efficiuntur Ea.r.GS 8
postremoque CHNP (recte?) postremum (-mo L) uero
LS 11 inter mortale et in animali add . quia
animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque
sensibile R 12 atque] et H 14 describuntur] dis-
tribuuntur FN 15 cum] R (sed ante breuis ras.)
fi quae cum cett . (quae del. et in mg. scr .
parentesis 5 m2 ); an quae scribend .? suprema om. S
summa G 16 eo quod] et A a.c . nihil] nullum N SA
sit om. F, s. l . Λ , est post eam Λ2
erat] RSm1 erit m2F sit P est cett.
codd . edd. Busse; Porph. p. 5, 2 ήν 17 sic et—species
dicitur (p. 212, 15) ] RS Q , om. cett . et] etiam RS
ΤΦ , glossa ut uid. ad et in Π 18 alia]
aliqua RS; add . inferior ΔΛΠΣ*Ρ Busse, post
species Γ , om. RS Φ edd. Porph. p. 5, 3 aliud
R 19 post diuidi add . in species edd., recte ut
uid., etiam Bussio placet; Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις
είδη post indiuiduorum add . species R
20 post Plato add . et hoc album brm, fort. recte;
Porph. p. 5, 4 xat χοοχι χό λεοχόν solum R
solam S et, ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in
medio, eorum quidem quae supra ipsa sunt, erunt species, eorum vero quae post
ipsa sunt, genera. quare haec quidem habent duas habitudines, eam quae est ad
superiora, secundum quam species ipsorum esse dicuntur, et eam quae est
ad posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam
habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt,
habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam uero
quae est ad superiora, non habet, cum sit supremum et primum principium,
specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum
est species, eam uero quae est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam
indiuiduorum species dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea
continens, species autem superiorum, uelut quae ab eis contineatur.
2 ipsa om. R, post sunt Γ species erunt RS; Porph.
p. 5, 6 είη αν εϊδη 3 uero—sunt om. S, s. l . autem
quae sunt sub se erunt m2 uero] autem RSm2 V<]?}
fort. recte post ipsa] sub ipsis R 4 duas habent
ΔΛ2 Busse; Porph. p. 5, 7 έχει Sio σχέσεις
habentes S 7 dicuntur esse R extremae (-me) Sm1 h
m1 A2 m2 b 8 habent unam Δ et generalissimum] id quod
generalissimum est RS; Porph. p. 5, 9 το τε γάρ
γενιχώτατον 9 habet] habet unam Δ 10 genus post
omnium R, post sit S Σ id] hic R ea
R 11 post uero add . habitudi- nem Γ non
habet hic om., post principium add . non habet habitudi-
nem R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud superueniens
genus edd. cum Porph. p. 5,12 12 ante
specialissimum add . et brm Busse, fort. recte, om.
codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12 «ύ τί> είδιχώτατον
δέ specialissimam R T m1 specialissima S autem]
etiam brm 13 eam om. RS 14 posteriora] inferiora
RS 511 , recte ? 15 non diuersam] Sm1 edd . quorum diuersam A
m1 non ( del. uel om . diuersam,) Sm2 A m2 et cett.
Busse; Porph. p. 5, 14 oi% άλλοίαν species dicitur—indiuiduorum om.
FHN , sed—indiuiduorum om. CT 16 qui- dem om . Σ
, post add . dicitur edd.; codd. quidam Porph. p. 5,15 λέγεται eam
N 17 post continens add . est Σ autem] uero
L 18 his NR illis F contineantur CEm2H
continetur N Ω ( sed corr . K m2 , ex
-entur II m2 ) Ex proportione speciei nomen et generis
ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus
dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed
indiuidua, specialissima species dicitur, ut homo. quid est autem species
non habere? his praeesse quae neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera
diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quae uero inter genera
generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et
genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis supponuntur et his alia subiciuntur,
quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duae sint
habitudines et quasi comparationes oppositae, quae in omnibus generibus
speciebusque uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut specierum,
quae suis generibus supponuntur, alia uero quae ad inferiora, ut generum,
cum speciebus propriis praeponuntur, generalissima quidem genera unam tantum
retinent habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur, illam uero quae
ad praeposita comparatur, non habent. generalissimum enim genus nulli
supponitur. item species specialissima unam possidet habitudinem, per quam
scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quae ad inferiora committitur,
non habet; nullis enim speciebus ipsa praeponitur. at uero quae subalterna sunt
genera, utraque habitudine funguntur. 1 propositione FPm1
et om. N, del. Sm2 , etiam FL 2 super F se
om. CN, s, l. Lm2 4 species specialissima FHN 5 speciem
Lm2 post habere add . nisi ( ex 2 al. litt. m2 ) L hoc
est N id est R, inseruit Pm1? 6
possint ESm2 7 ante neque add . sed P, del.
m1?, s. l· Lm2 quae—constituta] specialissimae constitutae, cet.
om. EGRS 8 ea et] illae (illa L ) uero EGLRS 9 et
om. FP quoniam] quae EGLm1R subponantur S 10
subiciantur S pr . uel om. EGR, s. l. Lm2 uel in
similia om. EGRS 11 possint EGLm1S possunt
R paratio Cm1 partitiones EGLa.r.RS
cumque—comparationes om. EGRS, in mg. Lm2 duo
Cm1 sunt NPa.c. 12 subpositae CHm1Lm1N, om. F 13
uersantur EGL 16 una Cm1 retinent ante
tantum H retinet R habent N 18
illam—comparatur (21) om. S habet G, m1 in CEH 19 genus
enim H nullis F 23 quae] illa quae F
utramque habitudinem G nam et illam possident quae ad
superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent superpositum genus, et
illam quae de inferioribus PREICARE; habent enim subalterna genera suppositas
species, ut corporeum ad substantiam quidem eam retinet habitudinem qua potest
poni sub genere, ad ani- matum uero eam qua potest de specie praedicari.
specialis- simae uero species licet ipsae indiuiduis praeponantur, tamen
praepositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quae speciei ultimae
supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint non
habentia substantialem differentiam, sed accidentibus efficitur, ut
numero saltem distare uideantur, ut paene dici possit et pluribus praeesse
speciem et quodammodo nulli omnino esse praepositam. nam cum species
substantiam monstret unam, quae omnium indi- uiduorum sub specie positorum
substantia sit, quodammodo nulli praeposita est, si ad substantiam quis
uelit aspicere. at si accidentia quis consideret, plures de quibus PREDICARE
species fiunt, non substantiae diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque
fit ut genus quidem semper plurimas sub 1 ad illam
et quae s. l . ał illud et ał quod L
ad om. CGHLPS quoniam quae] quantum que S 2
post sunt add . genera P, s. l. Lm2 3
praedicantur Hm1Sm1 4 superpositas Hm1 5 qu * a
(i er .) C poni potest E 6 quae EHm1LPN
specie] speciebus R 7 prae- ponuntur Hm1Pm1 8
subpositi E habent EP habebit Gm2 9 ul-
tima EGLm1S ad substantiam] substantia F 10
quidem GLm2S non] nec FHLm2NP habentia] Em2
habentes CEm1GL (es ex al. litt. m2 ) PS
habentem R habent FHN 11 post sed s.
l . scii, ex Hm1? accidentibus del. et s. l . ał
accidentalem Hm2 uel al ., acci- dentalem, s. l . ał
accidentibus Lm1, s. l . Nam accidentibus m2 saltim
Lm2NPR 12 possint EFGLRS et] nec F, m1 in HLN 13
species EGL ( es in er . em? m2 ) Pm1RS
esse om. FHN praepositae EGLRSm2 (-tum m1 ) nam cum—praeposita
est (16) in sup. mg. Lm2 14 monstraret HPm1
monstrat RS unam, quae] S unaque CFHNP ( ras.
ex -que) unam quamque EGR unam * L 15 substantiae
GLR sit s. l. ante substantia Pm2, om. EGLR , est
S ante quodammodo add. fit HN, post nulli C, om . est
(16) CHN 16 ad om. EGPRS 17 ac GR
praedicatur EGLRS se habeat species; de differentibus enim
specie PREDICARE, differentia uero nisi pluralitati non conuenit. at uero
species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si enim unus, ut
perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum indiuiduo PREDICARE;
solis etiam species unum solem intellegitur habere subiectum. ita nullam
multitudinem species per se continet, cum etiam si unum sit tantum
indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus; quibusdam enim suis quasi
similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam diuidas, secundum id
quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur et totum. idcirco dictum est
speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam tamen habitudinem possidere,
unam scilicet qua species est. quoniam enim praepositis subditur, species
nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta inferiorum quoque
species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem uero substantiam
nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum, quemadmodum speciei
genus; illud enim pars substantiae est, ut animalis homo reliquae enim partes
rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis atque CICERONE tota
substantia est; nulla enim additur differentia substantialis ad hominem, ut
Socrates fiat aut Cicero, 1 de differentibus enim] quod de
differentibus CL 2 ni C 4 est post
unus FHP, post phoenix N 5 solem] EGPpr
solum cett. codd . bm; cf. p. 218. 3. 219, 17 . 7 cum om.
S ut CFN tantum om . ENRS; cf.p. 219,11 post
indiuiduum add . unius generis G 8 tamen om. C
perit Sm2, add . sensus et F 9 post
uirgulam add . in partes suas (suas partes P ) id est (id est
om. F ) aeneas particulas (particulas om. F , aeneas uirgulas, sed
del. L ) CFHLN, in mg. Pm2 10 in- telliguntur H 12
possidet FN unam] illam L eam unam F
13 ante qua s. l . in Sm2 14 nuncupatur]
nominatur FHN 16 demonstrat CEGLP est om. S, post
species in ras. N , esset F 17 substantia (ia ex
ie F ) ante species FNa.c.RS, post
indiuiduorum C 18 ani- malis homo] EGLm1 homo
animalis Sm2P animal hominis CLm2Sm1 hominis
animal FH (inis in ras. m2 et post animal 2 litt.
er .) NR 19 etenim R sunt om. EGR post mortale
add . adduntur ( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam hominis N
edd . uero om. CFGLRS sicut additur animali rationale atque
mortale, ut homo integra definitione claudatur. idcirco igitur species
specialissima tantum species est atque hanc solam possidet habitudinem ad
superiora quidem, quoniam ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum
substantiam format et continet. Determinant ergo generalissimum ita, quod cum
genus sit, non est species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens
genus, specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit
species, numquam diuiditur in species et quod de pluribus et
differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea uero quae in medio
sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum
speciem esse et genus ponunt, ad aliud quidem et ad aliud sumpta. ea uero quae
sunt ante specialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur
et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et
Tantalides et ultimum Iouis. Posteaquam naturam generum ac specierum
diuersitatemque monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque
com- memorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum 6-19]
Porph. p. 5, 17—6, 3 (Boeth. p. 30, 21—31, 7). 1 rationalis atque
mortalis N 3 possidet] optinet P 6 post
deter- minant add . philosophi C ergo om. CN
enim EGLm1 <t> p.c.; Porph. p. 5, 17
τοίνον ita om. CGHP, s. l. Em2 A m2 quod] quoniam
S 7 sit genus NR et rursus—genera ut (17) ] LRS
ii , om. cett . rursum S 8 erit] LRS T est cett.;
Porph. p. 5, 18 οΰχ αν ειη 9 pr . quod] quae S h
a.c . post. quod—et quod (10) om. L 10 diuidatur S 11
et] et de L 13 uocant] Λ2Φ uocantur cett. edd.
Busse; Porph. p. 5, 21 χολοΰσι 14 ipso eorum S
speciem] Brandt species codd. Busse ponunt] A m2
U m2 , e coni. scr. Busse , ponuntur T m1 possunt
m2 cum cett .; species esse potest et genus edd.;
Porph. p. 5, 22 xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος
τίθενται 17 post , et om. R ut om. FS 18
et om. CEG pelides F post . et om. C 19 ultimo
F 20 Post ** quam CL diuersitatem GLm1R , -que in
ras. E, er. P inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum
genus sit, non habet superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus,
supra quod non erit aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus,
minime ipsum generalissimum uocaretur. specialissima uero species hoc
modo : quod cum sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex
oppositis describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est
suppositioni, genus autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco
erit primum genus, quia ita superponitur, ut minime supponatur, idcirco
erit ultima species, quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum
igitur recte ex oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio :
quod cum sit species, numquam diuidatur in species, id est genus esse non
possit. si enim omne genus specierum genus est, si quid non diuiditur in
species, genus esse non poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus
et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione
saepe est superius demonstratum. nunc 18 saepe superius] p. 188, 12. 190,
11 ss. 203, 11. 205, 4. 1 inducit] RSm1 indicit
Em1 indicat GLa.c. dicit CEm2FHLp.c.
NPSm2 inducit dicens brm indicat dicens p
id om. EGRS, s. l. Lm2 3 non om. EGRS, s. l. Lm2
superueniens om. EGRS, s. l. Lm2 si—genus om. EGRS, in mg.
sup. Lm2 5 uocetur EGLm1Sm2; post inlatus est locus p.
219,14—220, 3 quoniam ridere—exemplam in EGL, quoniam
irridere (sic) —praedicatur p. 219, 15 (qui locus tamen infra
quoque extat) in S specialissima—idcirco erit (10) in ras. C
post modo add. describitur edd. 6 opposito]
opposita F opposito est H; post add. Quia
sicut genus (genus in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus
superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui alia species non
subponitur (superponitur F ) et utrumque ex opposito dicitur alterius
sicut pater ex opposito dicitur filii F, in inf, mg. cum nota
d(esunt) h(aec) Hm1? opposita om. EGR, s. l. Sm2 7
quoniam om. EN 9 si er. E sed La.c, Pm2
11 ante ut add. rursus RS ut praeponi non
possit] ut minime praeponatur CFHN (in mg. add. m2)
oppositorum om. EGLRS recte om. C 13 quod] Lm1 edd.
quae cett. ante numquam add. quae
CGHm1, del. m2 diuiditur CLRSm1 14 est om. C
possit] posse CFN potest edd . 16 potest EGLRS
Est] et FHNS et om. N illud attendendum est. si,
ut paulo superius dictum est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut
phoenici atomum suum, ut soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum
species singulis suis indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem
esse quae de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit
praedicatur? sunt enim quaedam quae de numero differentibus minime dicuntur, ut
phoenix, sol, luna, mundus. sed de his illa ratio est de qua etiam superius
pauca reddidimus, quae paululum inflexa commodissime nodum quaestionis
absoluit. | omnia enim quae sub speciebus specialissimis sunt, siue
infinita sint siue finito numero constituta siue ad singularitatem deducantur,
dum est aliquod indiuiduum, semper species permanebit neque indiuiduorum
deminutione, dum quodlibet unum maneat, species consumitur. ut enim dictum est,
tametsi plura sint indiuidua, substantiales differentias non habebunt. id
uero in genere dici non conuenit, quod his praeest quae substantiali a se
differentia disgregata sunt; praeest enim speciebus quae diuersis differentiis
informantur. 1 paulo superius. 8 superius] p. 215, 2 ss. 1
est om. G, s. l. Lm1 si, ut] sicut FGPSm1 sic
La.c. supra RS 3 suam S solis F mundi
FR, add. hoc inane spacium s. l. Lm2, post
lunae in mg. et hoc immane spacium quod uidemus P quo-
rum] quae Lm1 4 indiuiduis om. EGRS post superponuntur
add . quod si ita est ut species de uno quolibet indiuiduo praedicetur
(praedicatur P ) ut de phoenice (phe- P ) P edd. qui]
quomodo Hm2LP 6 praedicetur L 8 mundus om. EGRS,
s. l. Lm2 illa his EG ratio est om. EG 9
paulum N inplexa ( uel im-) EHm1LP nodum ras.
ex modum EN 10 sub] suis EGS in suis
R specialissima GPm1RS 11 sint] sunt CHa.c.Lm1R
finita CHm2N 12 deducuntur Lm2R adducuntur P, add.
ut fenix uel sol R aliquid FL semper—deminutione
om. EGRS, in mg. Lm2 semper s. l. Pm1?, post species N, om. L
(m2) 13 deminutione] C diminutione cett.
dum om. S si EGLm1R 14 ante consumitur
add. non EGL (del. m2) RS ut] quod
EGLRS 15 tamenetsi G tamen si RS sunt F
ante substantiales add. si G, s. l. Sm2, ras. in
E 16 id uero om. EG quod L idcirco id
R id circo Sm1 , circo del. m2 18 ante
speciebus s. l. genus E si igitur earum una perierit
et ad unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de
differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium
indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indiuidui
superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac permanet.
talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod permansit et
subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem praedicari,
duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo plures sunt
species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus unum tantum
indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa secundum
potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo dicitur,
etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species de
numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus
phoenicibus PREDICARE, si plures essent, quam nunc, quando unus esse
perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at
si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus
solibus indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco
igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint
aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna
uocantur ita definiri queunt : subalternum 1 eorum EFGLm1RS
redacta EGLPm2RS edd. 2 de om. E 3 si enim] nam
si EGLRS 5 suppositae LNR superposita S
uene- rit EGLRS 6 alia EGLa.c.RS ante sunt s.
l. non E 7 quale] quam EGLa.c.RS et] ac
CFHNP 8 de numero pluribus Ca.c. numero de pluribus
p.c. 9 excusatur EGLRS quidem uno EG multo
om. FN, s. l. H 11 hae om. ER hee C eae
H ea N ante qui- bus add. e CR, er. uid.
E tantum om. S suppositum esse RS 12 dehinc]
deinde EGLRS hoc om. FHNS 13 semper om. CFH
14 etiamsi—praedicatur om. F de loco quoniam ridere eqs. in
EGLS cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam E 15 nihil
EGLPRS 16 phoenicibus om. F 17 ita (a in ras. m2) E hoc
om. S, post uno F 18 ac EGR ante animo s.
l. in Pm2 19 cogitationes Ca.c.F ante de
add. enim EG 20 praedicatur EGLRS 22
appellantur FHN genus est quod et genus esse poterit et
species, ad eumque modum est ut in familiis, quae procreant et procreantur, ut
etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et Pelopides et
Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem species
quasi Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan- talides,
cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species itemque
Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur, cum
Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus. Sed in familiis
quidem plerumque ad unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in
generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum
genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus,
quem- admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad- 11-221,
7] Porph. p. 6, 3—11 (Boeth. p. 31, 7—17). 16 Ari- stoteles] Metaph. II, 3, p.
998 b , 22. 1 et om. RS et genus om. EG ad—ut]
CG ( ut om.) Hm2 ad eumque ( et ad eum N) modum
sunt ut Hm1N ad eumque ( eum que * L
eundem Pm2 ) modum qui (s. l. Lm2, part. in ras. Pm2)
est (s. l. Pm2) LP ad eum modum qui est EFR
ad eum ( eum del. m2, post que eu er.)
modum, in ras. quae est m2 S 4 et Tantalides—Iouis]
Lm2Pm2 (om. et Tantalides ) R edd., post species
(5) Lm1S, om. cett. 5 quasi] quae si Sm1, del. m2, ante add.
et F, s. l. Pm2 , est R 6 Agamem- nonis] tamen his (
is R) EGLm1R tamen non his Sm1, del. m2 genus est
del. Sm2 est om. P ante Pelopides add. non
E atrides non ( non del. m2) L 7 comparatus]
(s in ras. m2) H comparatur (cõ-) cett Tantalusque] ut
tantalus quae G 8 idemque CP idem N 9 Atreum]
creontum EG creontem Lm1 tareontum S tamquam]
quasi EGLR quae S uelut HP 11
reducuntur ante ad N, post reducuntur add.
omnes L, s. l. Pm2; reducunt coni. Busse; cf. p. 224,
19 reduci; Porph. p. 6, 3 άναγουοι 12
ad om. EGRS A 13 speciebus] in speciebus R sic se
ΝΣ habetur EG neque—dicerentur (p. 221, 5) ] RS Q
, om. cett. enim om. R 14 neque
Busse 15 sunt generis Γ 16 sunt \ m2 2 ; Porph.
p. 6, 6 χείοθ·ω quemadmodum om. S, add. dictum
est edd., idem post Praedicamentis h m2 W m2 (cf.
p. 224, 19); om. Porph. p. 6, 7 modum in PREDICAMENTI, prima X
genera quasi prima X principia; uel si omnia quis entia vocet, aequiuoce,
inquit, nuncupabit, non uniuoce si enim unum esset commune omnium genus ens,
uniuoce entia dicerentur; cum uero X sint prima, communio secundum nomen
est solum, non etiam secundum rationem, quae secundum nomen est. Cum de
subalternis generibus diceret, familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab
Agamemnone peruenit ad Iouem, quem quidem pro numinis reuerentia ultimum
posuit. quantum enim ad ueteres theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum,
Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad antiquissimum Ophionem ducitur, cuius
Ophionis nullum principium est. ne igitur quod in familiis est, id in rebus
quoque esse credatur, ut res omnes possint ad unum sui nominis redire
principium, idcirco deter- minat hoc in generibus ac speciebus esse non posse;
neque enim sicut familiae cuiuslibet, ita etiam omnium rerum unum esse
principium potest. fuere enim qui hac opinione tenerentur, ut rerum omnium quae
sunt unum putarent esse genus quod ens nuncupant, | tractum ab eo quod
dicimus ‘est’; omnia enim p. 74 3 inquit] sententia, non
uerba Aristotelis. 1 quasi in ras. Σ
sic A m1 sicut Ψ 2 prima om. Γ
, post decem Π 2 uocat A m1 II 3
nuncupauit S, in ras. ex -bit Γ 4 genus omnium
Busse entia uniuoce R post uniuoce add.
omnia edd. cum Porph. p. 6, 9 πάντα 5 uero]
autem Γ enim ΔΔΣΦ ; Porph. p. 6, 10 δέ
sunt FH prima] principia Lm1 prima genera
m2P (genera s. l. m2 ), prima principia N ΓΣ 7
ante rationem ( ante nomen E ) add. definitionis
( uel diff-) ELRS Q , om. Porph. p. 6, 11 quam E
post est add . solum CHN 8 Cum] Quoniam
CLm1NS Quoniam (del. m2) cum H di- cens
CLm1N dicit in ras. S cuius Pm1 cuiusque
F eiusdem R 9 ponit Sm2 ab om. F, s. l.
Gm2 10 nominis EGLS nomini R 11 ad ueteres]
aduertere Sm1 aduertisse CEFGLm2P aduertit se R
referantur Hm1N 12 caelium ( uel ce-) LPm2RS
zethum F zechum N Caelus] Hm2 caelius ( uel
ce-) LPm2Sm2 celium R caelum CEGHm1Pm1Sm1
zetus F zehus N othionem F ( sed ophionis)
14 esse ( Pm2 est m1 ) quoque FHNP 15 ante
sui exters. uid. proprii E 17 familia H 19 ut]
et Fa.c.S ut et N 20 est] esse S sunt
et de omnibus esse PREDICARE itaque et I SBVBSTANTIA est et II QVALITAS est
itemque III QVANTITAS ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur,
nisi haec quae PREDICAMENTI dicuntur, esse constaret. quae cum ita sint,
ultimum omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus PREDICARE ab
eo autem quod dicimus est participium inflectentes Graeco quidem sermone
Sv Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum
cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse
primordium, sed X esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diversa
sint, tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem X genera
statuit I SVBSTANTIA II QVALITAS III QVANTITAS IV AD ALIQVID V VBI VI QVANDO
VII SITVM VIII FACERE IX PATI X HABERE quod uero occurrebat quoniam de his
omnibus esse PREDICARE — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse
dicuntur —, ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen
communem etiam formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune
arbitrari, quod de aliquibus nomen commune PREDICARE quibus enim definitio
communis nominis convenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur
et communi illo vocabulo uniuoce PREDICARE quibus uero non convenit, vox
his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur
exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse PREDICARE; demus
igitur 1 post. et om. EGRS, s. l. Lm2 2
cetera C 3 de] in GLm1RS 5 esse om. EGRS, s. l.
Lm2 6 autem s. l. L enim C est] esse
FS principium EG, m1 in LPS inflectentes post
quidem N 7 quidem ante Graeco R ante
sermone add. de P, s. l. L post Latine add. autem
FHN, s. l. Pm2 8 prudentissimus FNP rerum] principiorum
EGLm1Pm1RS 9 omnes ante res C, om. EGRS, s. l.
Lm2 dici FGm1Pm2 10 ad FHNRm1 ipso Em1GPm1S
ipsa FHN ipsos Rm1 sunt CLm1R edd. 11
reducuntur EFGLm2RPm1S 15 nu- merata CEGL
innumerata S 16 repulit CEFHRP 17 eo debere] eodem uere
(e re add. S ) EGSm1 18 post arbitrari
add. debet E 19 praedicatur E praedicetur
FHNP nominis communis FN 22 his uox FHNP 23
manifestis FLp.c. 24 praedicatur S dicamus
CHN animalis definitionem, quae est substantia animata sensibilis;
hanc si ad hominem reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla
falsitate definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia
animata sensibilis; id quoque uerum est. conuenit igitur haec definitio
et animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini,
quae species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia
uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi
animalis nomine nuncu- pauerit, definiat si libet animal hoc modo,
substantiam animatam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei quidem homini
qui uiuus est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata
substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio,
id est animalis, non potest conuenire, non est animal commune genus, sed
tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque
picto non genus, sed uox plura significans; uox autem plura significans aequiuoca
nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque id
quod dicitur ens, etsi de omnibus dicitur PREDICAMENTI quoniam tamen
nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus PREDICAMENTI possit aptari,
idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut genus, sed
aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque
ratione id quod dicimus, ens PREDICAMENTI genus esse non posse. 2
hanc] uel hanc E 3 facultate Em1 4 equus] equi
CFPm2 5 definitio ( uel diff-) haec FHN 6 homini] et
homini CNP atque] et, FHNPR eidem] CEm2FH
a.r.NPR idem Em1GHp.r.Lm1S eadem Lm2brm ea
eidem p 8 animalis EGLa.c. una uoce E nun-
cupantur C nominentur FHN 9 uiuum] uerum EGLm1PRS
10 si libet] scilicet CHm1N animal om. E 12 uero]
FHP, om. S , quidem cett. 13 est post substantia LP
16 dicitur quae Em1Sm1 dicitur quod LSm2 dicitur
quia CFN 17 genus] genus est FN uox—significans
om. CEGP, s. l. Lm2Sm2 18 autem] enim RS ante
aequiuoca add. quae CEGP nuncupantur GS 19
ita ELm1 23 id est om. CFN ut genus om. F
24 quoque om. N unius enim rei duo genera esse non possunt,
nisi alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum
animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia,
ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse
non possunt. ens igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim
unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod
dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species
sibi minime conuertuntur. si igitur PREDICARE ens de omnibus PREDICAMENTI
PREDICARE etiam unum. nam I SBVSTANTIA unum est, II QVALITAS unum est, III
QVANTITAS unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus PREDICARE,
omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus PREDICARE, erit omnium genus.
sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum alteri
praeponitur; duo igitur aequalia singulorum PREDICAMENTI genera sunt, quod
fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens
non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium posse reduci nec
omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli placet; sed sint posita,
inquit, quemadmodum in PREDICAMENTI dictum est, prima X ge|nera quasi X prima
principia, scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati
Aristotelis concedentes haec decem genera nulli 3 ac R
sint post aequalia pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P 4
sibi- metque ( quae F) FLm2Pm1 ita s. l. Lm2
5 ante haec add . aequa C , sed del . eidem
Pm2 eius S 6 neutris Em1 8 pr . unum
post nec, om . post ens H dicitur om.
S dicimus Rbrm 13 esse] ens Lm2P post
omnibus add . his CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis (s. l.
m2) his L post erit add . ens CHN et
unum—omnium genus om. R 15 sed] si in ras. Em2 ut om.
FH 16 praeponi FH 17 hoc Ea.c. edd . 18 sit edd .
19 deduci LS duci Em1 20 genus ante esse
CFN, post posse S poterit F 21 sint]
FHm1 sunt cett . 23 prima om. N, post principia
R ut om. EGS 24 auctoritate Em1Hm1 ad
auctoritatem FN accedentes CFNS alii generi esse
credamus subiecta, quae si quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non
uniuoce; neque enim una eorum omnium secundum commune nomen definitio poterit
adhiberi. quae res facit, ut non uniuoce de his aliquid PREDICARE si enim
uniuoce PREDICARE genus esset eorum commune nomen quod de omnibus PREDICARE; at
si genus esset, definitio generis conueniret in species. quod quia non fit,
commune his id quod dicimus ens, uocabulum est uocis significatione, non
ratione substantiae X quidem generalissima sunt, specialissima uero in numero
quidem quodam sunt, non tamen infinito, indiuidua autem quae sunt post
specialissima, infinita sunt. quapropter usque ad specialissima a
generalissimis descendentem iubet Plato quiescere, descendere autem per
media diuidentem specificis differentiis; infinita, inquit, relinquenda sunt;
neque enim horum posse fieri disciplinam. 10—17] Porph. p. 6, 11—16
(Boeth. p. 31, 17—32, 1). 14 Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C.
Sophist. p. 266 A. B adfert Busse. 1 entia nuncupat]
ERS (-pet), etiam entia nuncupat N ab ens entia nuncupat
(-pet Lm2 ) CGL etiam nuncupat (nuncupat post
ens P ) ab ens entia HP entia nuncupat ens F 2
nuncupabit (-uit FHN ) post uniuoce FHNP ,
nuntiauit S unam—definitionem ( uel diff-) poterit
adhibere FHN 3 nomen ex non Em2G 5
esse Hm1, add . ens s. l . L, ante esset P
eorum om. CN, post commune L 6 nomen in
mg. Hm2, del. Lm2 ens CH(in mg.) Lm2 ( s. l. ante
eorum) N 7 con- uenerit Em1 8 his om. GS 10
sunt om. S 11 in numero om . Δ quodam]
quaedam Pm1 sunt om., post indiuidua add .
est S tam C infinito] Fp. c . (finito a.c
.) Hm2S TNtt p.c . Φ in infinito Hm1N W a.c .
indefinito C ( ras. ex -tio) EGL a.c . (in indefinito
et ał definito corr. m1 ) PR kIPV (in er .) 12
indiuidua—quiescere) LRS Q , om. cett . 13 sunt infinita LRS
Busse; cf. p. 226, 22 a om. R 15 ante
descendere post usque (cf. ad p. 178, 14) add. ad
id CHP diuidentem per me- dia Γ 16 ante
infinita add . indiuidua uero Δ , sed del., post add .
uero ΓΦ 17 enim s. l. L, del . Γ horum] N
ii ( ante add . et ΛΦ , er. uid . Γ , post add .
indiuiduorum Γ ) eorum cett.; Porph. p. 6, 16
τούτων disciplina Cm1 Quoniam specierum nosse
naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse non
potest — nullus enim intellectus infinita circumdat —, idcirco de multitudine
generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione persequitur dicens
supremorum generum numerum notum — enim X PREDICAMENTI ab Aristotele esse
reperta quae rebus omnibus generis loco praeferenda sint —, species uero multo
plures esse quam genera. nam cum decem suprema sint genera cumque uni generi
non una, sed multae species supponantur proximaeque species supremis generibus
subalterna sint genera usque dum ad ultimas species descendatur, nimirum
unius generis multas species esse necesse est utrobique dif- fusas,
specialissimas uero multo plures esse quam subalterna, quoniam per multitudinem
generum subalternorum ad specia- lissimas descenditur species. quas multo
plures esse quam genera subalterna hoc maxime ostenditur, quod inferiores
sunt; semper enim genera in plura subiecta diuiduntur. decem uero generum
species multo plures quam unius existere manifestum est, uerum tamen etsi
plures sunt, certo tamen numero con- tinentur; quem facile si quis discutiat
omniumque generum species persequatur, possit agnoscere. indiuidua uero
quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt uel quod tam multa 1
generis EGLRS, recte? 2 scienti GRS scienti alicui
Lm2 5 su- premorum] supra horum EG, m1 in LPS ante
numerum add . esse FHNP, post notum L 6
post reperta s. l . commemorat Em2 7 gene- ris
om. R, post loco L , generum S sunt CFH
(ras. corr.) NPRSm2 8 nam cum—genera om. EGRS 9
sunt FLP (ras. corr.) 11 sint post genera C
sunt F 13 subalternas FH (s in ras. m2) N, ante
sub. add . genera PS, s. l. Lm2 16 hoc] in hoc F
inferiora FHm1Lm2NP 17 semper enim genera] FHN semper
si genera Cm1 semper enim sub- alterna (genera subalterna P
) Cm2 (part. in mg.) P et semper subalterna genera RS
et (om. G) semper subalterna EGL plurima N
18 ge- neris G unius] generis unius R species unius
generis Lm1 19 sint L compraehenduntur L 21
prosequatur NR 22 species G specie ante
sunt FHLNR tam] FHN ea EGLPRS tam ea
C sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi
comprehendique non possint, uel quod in generatione et corruptione posita nunc
quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem genera
et subalterna et species eas quae specialissimae nuncupantur, quoniam
finitae sunt numero, potest scientiae terminus includere, indiuidua uero nullo
modo. idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species id est
specialissimas praecipiebat facere secti- onem; per ea enim quae finita essent
numero, iubebat descen- dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua
ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita
colligeret. ita uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis
differentiis soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo
ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus. hic enim hoc tantum
dixisse sufficiat, eas esse specificas differentias quibus species informantur,
ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal, rationali atque
inratio- nali, mortali inmortalique separamus. <hoc ergo> ceteraque
genera talibus differentiis quae subiectas species informent, Plato
censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima 13 de
specificis—disputatur] lib. IV c. 8. 1 sint EFGHp.r . (
ex sunt) LPRS numeroque] FHN in unum
EGLm1 (numero m2 ) RS numeroque in unum CP
concludi LS 3 uero) ex quidem uero P recepit
Brandt , quidem CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12 5 easque ( om .
quae,) LR specialissime GS 7 igitur om. C magis
a EGLPRS usque ad magis species] FHN magis om. C
quam a speciebus cett . 8 id est] e ut uid. er. C specialissimas]
CFHN a ( add. L ) specialissimis cett.; cf. p. 225, 13 9
essent] sunt FN 10 diuidentem] diuisionem EGHm1
(diuisorem m2 ) Lm1PRS 11 nec HN 12
comprobat ELm1 (probabat m2 ) R ut et
soluerentur om . EGPm1 (s. l. m2) RS post ut add .
in edd . 13 autem om. EGLPm1 (uero m2 ) RS
14 de om. FG differentiis CS a.c . 16 rationabile
E uel om. ERS et Lm1 17 ante
rationali et inrationali add . in Em2 rationale atque
inrationale ( uel irr-) EGN p.c.RS 18 mortali om
. N mortale EGLPS inmortaleque EGNp.c.PRS ;
mortale (sic) ac (s. l.) inmortali L 18 hoc
ergo add. Brandt , cetera <quo>que Engelbrecht separabimus
FHN separauimus R 19 informant Fa.c.Lm1NR
ueniretur, dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam indiuiduorum
numquam esset nec disciplina nec numerus. Descendentibus igitur ad
specialissima necesse est diuidentem per multitudinem ire, ascendentibus uero
ad generalissima necesse est colligere multitudinem. collectiuum enim multorum
in unam naturam species est et magis id quod genus est, particularia uero et
singularia e contrario in multitudinem semper diuidunt quod unum est;
participatione enim speciei plures homines unus, particularibus autem unus
et communis plures; diuisiuum est enim semper quod singulare est,
collectiuum autem et adunatiuum quod commune est. Diuidere est in
multitudinem quod unum fuerat ante dissoluere, omnisque diuisio e contrario
compositionem coniunctionemque meditatur. quod enim, cum sit unum, dispertiendo
diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus partibus adunando componitur ut igitur
superius dictum est, indiuiduorum quidem similitudinem species colligunt,
specierum uero genera : similitudo uero nihil est aliud nisi quaedam unitas
qualitatis. ergo substantialem similitudinem indiuiduorum species colli-
gere manifestum est, substantialem uero similitudinem specierum genera
contrahunt et ad se ipsa reducunt. rursus 3—13] Porph. p. 6, 16—23
(Boeth. p. 32, 1—8). 9 participatione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ.,
II p. 486 ed. Cousin. 18 superius] p. 166, 8 ss. 3 ante
igitur add . illis L necesse—singulare est (12) om.
N 4 ire ante per L T ascendentibus—plures
(11) ] Ω , om. cett . 6 post multitudinem
excidisse in unum coni. Busse ( cum Porph. p. 6, 18
e’:; εν ), add. edd . 8 e contrario—semper] Γ
edd. cum Porph. p. 6, 20 semper in multitudinem e contrario
cett. codd. Busse 9 est unum Φ 10 unus, unus autem et communis
particularibus plures Abaelard . 11 commune P a.c . communes
Φ enim post est FS Φ , om. CELR , ante est
cett . 12 est om. E 14 est] enim C est enim
L in om. G , s. l. Lm2 15 post
dissoluere add . est C 17 plurimis F 19 uero]
ergo CEGLm1RS 20 nisi] ni C generis adunationem
differentiae in species distribuunt, spe- cieique adunationem in singulares
indiuiduasque personas accidentia partiuntur. cum igitur haec ita sint, necesse
est semper cum a genere descendis ad speciem, diuidendo semper facere
multitudinem, cum uero ab speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et
plura quae in specierum differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare.
in speciebus etiam idem considerari potest. ut enim ipsae indiuidua, quae sunt
infinita, una similitudine substantiali colligunt. ita indiuidua speciem
propria infinitate distribuunt. omnia enim indi- uidua disgregatiua sunt et
diuisiua, species uero et genera collectiua, species quidem indiuiduorum
collectiua atque adu- natiua, specierum uero genera, ut ita dicendum sit :
genus quidem species distribuunt et species ab indiuiduis in multitudinem
deducuntur, rursus autem genus quidem multas species colligit, species autem
particularem singularemque multitudinem ad singularitatis deducit unitatem.
igitur plus genus adunatiuum est quam species. species namque sola indiuidua
colligit, genus uero tam species quam ipsarum quoque specierum indiuiduas
contrahit singularesque personas. sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens
quoniam partici- patione speciei, id est hominis, CATONE, Plato et CICERONE
pluresque reliqui homines unus, id est milia hominum 1 post
generis s. l . ergo E species] specie G
speciem Lm1 2 ante indiuiduasque s. l . in
Hm2 3 haec igitur LNP 4 species ELm2R 5 a
ELS ad ( tamen speciebus) G 6 et om .
EGLPRS plures EFGLPm1RS quae ante fuerant
EGLPRS 7 fuerint S simili- tudinum (-nem Pm2 )
qualitates ( ex -tis Pm2) EFGLPRS ante adunare add .
et EGLPR 8 poterit Lm2 ante ipsae add .
species N, post in mg. Cm1? ipsae] Cm2H ipsa cett
. 9 unam similitudinem substantialem EFGLRS 10 propriam infinite (
uel -tae, -tate H ) EGHLPRS 12 post
adunatiua add . est CGH (in mg. m1?) Lm2 NPm2 13
specierum uero genera s. l. Hm2 14 distribuit EGRS 15
ducuntur EGHN 17 ducit HN 19 cum species tum N 20
indiuidua EGHLPRS 21 participationi G 23
post unus add . est Hm2 in eo quod sunt homines,
unus homo est; at uero unus homo, qui specialis est, si ad hominum multitudinem
qui sub ipso sunt consideretur, plures fiunt. ita et plures homines in spe-
ciali homine unus est et specialis unus in pluribus infinitus. sic igitur quod
singulare quidem est, diuisiuum est, quod uero commune, quoniam multorum
unum est, ut genus ac species, collectiuum atque adunatiuum.
Adsignato autem genere et specie, quid est utrumque, et genere quidem
uno, speciebus uero pluribus — semper enim in plures species diuisio
generisest —, genus quidem semper de specie PREDICARE et omnia superiora de
inferioribus, species autem neque de proximo sibi genere neque de supe-
rioribus; neque enim conuertitur. oportet autem aut aequa de aequis praedicari,
ut hinnibile de equo, aut maiora de minoribus, ut animal de homine, minora
uero de maioribus minime; neque enim ani- mal dices esse hominem, quemadmodum
hominem dices esse animal. de quibus autem species prae- 8-231, 19]
Porph. p. 6, 24—7, 21 (Boeth. p. 32, 9—33, 4). 1 est. ut et
3 fiunt, ita r 2 pr . qui] quamuis FNm1 post .
quae EPR 3 et] ut Cm1 4 unus est] unum est ał
(haec del. m2) unus est C post . unus] unus est LS
infinitis CLm1 diffinitus R 5 quidem om. FN
diuisum Em1 diuisuum N quod] quia quod, s. l .
est G 6 uero commune] FS commune uero Cm1 (
post uero add . est m2 ) HN commune est
uero LPm2R commune est numero EGPm1 ac] et
R ad Em2GLPm1 8 Assignati Pm1 quid est]
FHPm2 \ m1 quide CNRS quid sit Π m2 xV edd
. quod est cett. Busse; cf . sunt p. 236, 14 9 utrum-
que—uno] CEGHPm1 (quidem ex quodem) RS h m2 W m2
xP utrumqae quodque sit genus unum (unum genus N ) FN &
m1 AZΦ utrumque et (et om . L Π ) cum (cumque Π ) sit
genus unum LPm2 il m1 utrumque unum Γ species uero
plurimae FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ; ad utrumque— pluribus cf. Porph.
p. 7, 1 11 genus—indiuiduis (p. 231, 16) ] RS Q , om.
cett . speciebus R 14 autem] Porph. p. 7, 4
γάρ 15 aut] RS edd., om . Ω
Busse; Porph. p. 7, 4 ή aequis] aequo R
ignibile R 17 uero] autem S post minime add .
praedicantur Γ 18. 19 utroque loco dices]
RS dicis Ω edd. Busse; Porph. p. 7, 7
ειποις άν dicatur, de his necessario et speciei genus PREDICARE
et generis genus usque ad generalissi- mum; si enim uerum est Socratem hominem
dicere, hominem autem animal, animal uero substantiam,| uerum est et
Socratem animal dicere atque substantiam. semper igitur superioribus de
inferioribus praedicatis species quidem de indiuiduo PREDICARE, genus autem et
de specie et de indi- uiduo, generalissimum autem et de genere et de
generibus, si plura sint media et subalterna, et de specie et de indiuiduo.
dicitur enim generalissimum quidem de omnibus sub se generibus speciebusque et
de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum est, de omnibus specialissimis
et de indiuiduis, solum autem species de omnibus indiuiduis, indiuiduum
autem de uno solo particulari. indiuiduum autem dicitur Socrates et hoc album
et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus ei sit Socrates filius. Breuiter
quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc modo. cum, inquit, adsignauerimus
quid sit genus et quid species, cumque suis ea definitionibus comprehenderimus
docuerimusque unum genus semper in plurimas species solui, 2
generalissima Sm2 (specialissimum m1 ) ΓΛΛ 3
enim] autem S 4 autem] uero Λ uero] autem Δ
5 et Socratem animal] A m2 A m2 ( om . et,) Ψ hominem
et (et om , AA ) animal Α m1 Α m1 Φ et hominem ani-
mal RS Σ et ( om . II ) socratem et (et om . Γ )
hominem ( del . Γ m2 ) et ( om . T ) animal ΓΠ ; cf.
Porph. p. 7, 11 6 igitur] RS enim Ω ; Porph. p.
7, 12 οΰν superioribus] superiora RS TA a.c . 7
praedicantur RS VA a.c . species] et species R
indiuiduo] cod. Q. Bussii brm indiuiduis RS Q ( ante
add. eius Σ ); Porph,. p. 7, 13 τοΰ άτο’μοο
10 sunt RS m2 p.c subalterna] de subalternis
A 11 enim] autem S 13 et de om. R de om.
S 14 de] Ω cum Porph. p. 7, 17 et de
RS 15 pr . de om. S post . de] et de R 17 autem]
enim N TAΛΣ ; Porph. p. 7, 19 ie 18 album]
aliud T m1 (et illud m2 ) A m1 ut] et Ν ΤΑ
m2 ΑΣ 19 socrates sit CEGLPRS; Porph. p. 7, 21 εΤη
Σινγ,ράτης 20 quae FHN 21 et om. R illud,
inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferio- ribus praedicantur,
inferiora uero de superioribus minime. et ea quae sunt utilia de PREDICAZIONE modo
rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui
adsignata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie
iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur, esse definiuit genus. nihil
autem sunt plurimae res specie differentes nisi plurimae species; de quibus
autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex
definitionis adsignatione unius generis esse species plures. quae cum ita
sint, genus quidem de specie PREDICARE, species uero de indiuiduis
omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id
quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt, substantialiter ea genera
esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt quam una quaeque species.
neque enim in plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius
existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim
coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit.
idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo
et cetera continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non
enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo
generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt, de minoribus PREDICARE,
quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus praedicentur. at uero si
qua sint aequalia, ea secundum naturae parilitatem conuerti necesse est, ut
hinnibile atque equus, quoniam ita sibimet 1 quoniam] quod S
2 uero om. ES 4 ante genus add . unum FHNPR, in
mg. Cm2, recte? 5 definitio ( uel diff-) Ea.c.GLPm1S 6
esse] et esse R definiuit] designauit Sm1 10
ante esse add . semper FHNP 13 id cur HN
idcirco F 14 ea add. Em2 quae L ( s.
l. illa) PS 15 quaque E quoque S 17
toti] totum non R 18 post enim repet . non
R 21 cetera] cicero F cetera animalia G 23
itemque Lm1S 24 post post . quae s. l . uero
Hm2 26 sunt FHLN pari- tatem EGLp.c.RS 27 ignibile
R ita] si ita H coaequantur, ut neque equus non sit
hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit ergo ut omne hinnibile
equus sit et omnis equus hinnibilis. quae cum ita sint, ea quae superiora sunt,
non modo de sibi proximis inferioribus PREDICARE, uerum etiam de inferiorum
inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quae superiora sunt, de
inferioribus PREDICARE, inferiorum inferiora superioribus multo magis infe-
riora sunt, uelut substantia praedicatur de animali, quod est inferius; sed
animali inferius est homo, PREDICARE igitur etiam substantia de homine.
rursus Socrates inferius est homine, praedicabitur igitur substantia de
Socrate. ita- que species quidem de indiuiduis PREDICARE, genera uero et de
speciebus et de indiuiduis. quod conuerti non po- test; nam neque indiuidua de
speciebus aut generibus prae- dicantur nec species de generibus. ita fit
ut genus quod est generalissimum, de omnibus subalternis generibus praedi- cari
et de speciebus et de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id
est quod ante specialissimas species collocatur et de solis speciebus
specialissimis dici potest, species uero de indiuiduis, ut dictum est,
indiuidua autem de singulis praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime
sunt 1 non om. brm post sit (si R ) add .
nisi CH (s. l. m2) LNPS ni R inhinnibilis EG
nec FN quid CF 2 pr . sit om. S post . sit]
est CEGLm1RS ; non sit om. brm; post add . nisi CLNPRS
, s. l. Hm2 ergo om. H enim F sit
equus FHNP 3 hinnibile N, post hinn. add . sit L,
ante P 4 sunt om. S, ante superiora EGP
sibi om. H 5 si om. S, s. l. Hm1? 8 uelut om.
LS ut C 9 pr . est s. l. Lm2 post .
est s. l. Gm2 praedicatur CELm2RS 10 etiam om.
FG 11 ante de add. et EGLR ita
R 13 de speciebus] hic desinit cod. F 14 aut] ac
R 15 itaque CHNP quod est] quidem CP quidem
est R 16 post praedicari add . potest L (s.
l.) m1 possit m2 N 17 possit om. N potest L
post ipso add . uero HNPR, s. l. Cm2Lm2 18 uero]
autem L id est] CHm2NS id est autem est Hm1
id autem est EGLa.c . (id est autem ut uid. p.c .) RP
ante om. EGR, s. l. Pm1? 19 collocat EGR et om.
HN 20 post uero add . quae post
indiuiduis add . dici potest R autem] enim Lm1 21
ea quae maximae G p. 78 indiuidua quae sub ostensionem
| indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex
aliqua proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem
significatione uelit ostendere, non dicat Socrates, ne sit alius qui forte hoc
nomine nuncupetur, sed dicat Sophronisci filius, si unicus Sophronisco
fuit. indiuidua enim maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi
oculorum digito tactuue monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel
nomine proprio, si solus illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum
est unicus filius, uel ex quolibet alio accidenti singularitas
demonstratur, eo quod ad esse unam praedicationem habeat eiusque dictio non
transeat ad alterum, sicut generis quidem ad species, specierum uero ad
indiuidua. Indiuidua ergo dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus
consistit unum quodque eorum, quarum collectio numquam in alio eadem
erit. Socratis enim proprietates numquam in alio quolibet erunt 14—p.
235, 4] Porph. p. 7, 21—27 (Boeth. p. 33, 4—10). 1 ostensione
EGPS ostentationem HN indicationeque EGPS indaga-
tionemque N 2 ante hic (is ex hic E
) add . ut CEGR et L atque quae]
Hm2LNP atque EGHm1 atque ea quae S eaque quae
CR propria CH proprietate R 4 qui
post forte HP 5 forte ante alius N 6
Sophronisci LNRS; cf . ei p. 231, 19 7 quaeant R
si uel ex siue Lm2 sensu GL ( ante add .
siue) P ( ras. ex -sui) R ipso
Cm1LPm1R tactuque H tactu uel R 8
monstrantur R accidenti significentur uel om. EGR
accidente N ante uel add . id est CH (del.
m2) Lm2NP 9 nomine om. EGR , post proprio S
illud om . S, del. Lm2 10 post uel add .
si HR, s. l. Lm2 11 demonstretur S eo quod in
ras. Cm2 eaque H (que add. m2, post er . quod)
N ea quae P; post quod add . accidentia in mg.
Cm2 de (s. l.) accidenti in con - textu , ał eo
quod accidentia in mg. L ad esse unam] unam ad sese C
ad sese unam HN ad se unam L (s. l. et in mg . de se
a.c.) P 12 habeat] EGHm2Lp.c.PRS habet
Cm1Hm1La.c.N habeant Cm2L in mg . dictio]
praedicatio CNSp.c . transit CHNR 13 species] m2 in CH
(in mg.) P, La.c . specierum cett . 16 quarum—pluribus (p. 235, 3)
] R il , om. cett . quarum] Π m2 Ψ quorum cett .
in alio post eadem s. l . \ m2 in alium R,
post alio add . quolibet 2 particularium, hae
uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt
eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particularibus hominibus in eo quod
homines sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem
conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus communia sunt; his
enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac
similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur, communi
natura participant proprietasque communis rei his quibus com- munis est
conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim
proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis
lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum;
hae enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam
figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates
in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes,
cuius autem proprietas nulli communis est, nihil est quod eius
proprietate participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil
parti- 1 post particularium add . eaedem edd
. cum Porph. p. 7, 24 haec Δ eae Φ
post hominis s. l . proprietates Δ dico—communis
om. R 2 proprietates er . Λ proprietatis Γ
3 eadem Δ m1 2 pr . in] et in Γ post . in]
et in ΓΛ m2 Φ omnibus om. S 4 in om .
Φ post sunt add . continentur (ex p. 236, 7)
R 6 ostendere conatur C 7 <in> his brm
quodque unum Cm1 quibus EGLPRS edd . 10 participan- tur
R post . communi ( om . est) Gm1 11 proprietas om. E proprietates
Gm1 12 caluus, simus] caluissimus EGHm1 (caluus uel
simus m2 ) Lm1PR 13 perpenso ESp.c . albo
Em1 (caluitio m2 ) G uentre N cor-
poris linea del., sed lin. er., s. l . corruptus Hm2
liniamentis CEG LNPm2S 14 post
institutione add . probatus EP, s. l. Lm2 uocis]
Cm1EGPRS uocisue sono Cm2HLm2 (uocis uel sonus m1
) N con- ueniebant EGm1Hm1P haec G 16 in
nullo alio EGHLm1PS 17 cuius—conueniunt om. EGLRS
cuius] eius P autem] uero N ita- que P in
nullum—eius om. P post eius add . itaque N
igitur L 18 poterant EGL potuerunt ex
poterunt P potuerant R autem om. LS 19
proprietatem EGLRS proprietate * (s er .) H 20
proprietatem EGH LPRS nihil] nulli Lm2P
participat ER cipet, diuidi in ea quae non participant, non
potest; recte igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua
nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est specialis, conuenit et in
Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus
uenientes in quemlibet alium singularem nulla ratione conueniunt. Continetur
igitur indiuiduum quidem sub specie, species autem sub genere. totum enim
quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero et totum et pars, sed
pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed aliis; partibus enim totum
est. De genere quidem et specie et quid generalissimum et quid
specialissimum et quae genera eadem et species sunt, quae etiam indiuidua, et
quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum est. Hic
retractat omnia breuiter quae supra latius absoluit dicens indiuiduum ab specie
contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam reddens ait : omne enim
genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in eo quod genus est,
continet, tametsi species esse potest; totum enim non ut genus species
est, sed ut ea quae supponitur generi. genus igitur in eo quod genus est, totum
est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum pars semper est,
num- 7—15] Porph. p. 7, 27—8, 6 (Boeth. p. 33, 10—17). 2
proprietates Em1NR conueniunt N 4 pr . et
om. C secund . in om. S tert . in om. HNP 5 uenientes ex
accidentibus C ex accidente (om . uenientes ) EGLm1RS 7
Continetur om. R (cf. ad p. 235, 4) con- tinentur A m2 K m1
Z quidem om . Φ est quidem Δ 8 totum—indi-
uidua (14) ] R Q , om. cett . 9 pars—uero] pars est species
autem Δ 10 pr . totum] totum est ΛΦ 11 sed in aliis, in
partibus edd. cum Porph. p. 8, 2 12 quod ΛΣ 13 et quid
specialissimum om . A quod A2 14 sint. R
ΓΛΙIΣ; cf. p. 237, 15 quod GS tot Pm1
modis om. S 15 dicatur N ΥΔΛΠΦΨ , s. l. add . Σ
; cf. p. 237, 19 16 Hic om. NR, s. l. Hm2 17
teneri C ipsas om. E ipsa Cm1 18
huiusce Lm2 19 pars om. E genus enim Cm1
(ante genus s. l . totum m2) HN 20 totum] tum
Hm1 tunc Ν enim] autem S 23 est ante
semper CN pars post est LS quam enim
ipsum aliquid sua proprietate concludit. species uero et totum est et pars,
pars quidem generis, totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem
refertur, cum totum, ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus
speciebus superest, una quaelibet species pars est generis, id est unius,
quoniam autem species pluribus indiuiduis praeest non est uni indiuiduo totum,
sed plurimis. idcirco enim totum dicitur, quia plura continet et cohercet. nam
ut pars sit ali- quid, una ipsa unius pars esse poterit, ut uero totum
sit, unum ipsum unius totum esse non poterit. idcirco alterius quidem
pars est species, aliis uero totum. Et de genere quidem et specie dictum
est et quid sit gene- ralissimum genus, quoniam id cui nullum aliud
superponitur genus, et quid specialissima species, quoniam ea cui species
nulla supponitur, et quae genera eadem sunt, eadem et species, scilicet
subalterna quibus aliquid superponitur, aliquid uero supponitur, quae etiam indiuidua,
ea scilicet quorum proprietates alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus
uel species dicitur, genus quidem aut in multitudine aut in pro-
creatione aut in participatione substantiae, species uero aut ex figura aut ex
generis suppositione, sufficienter dictum est. quibus absolutis modum uoluminis
terminabo, ut quarti area libri differentiae reseruetur. 2
ante post . pars add . et C , post er . que L
totum in mg. Cm2 uero om. HN autem C (in mg. add. m2)
L quidem S 3 indiuidui Cm1NS et] sed CHN
post post . cum add . uero R 4 quoniam] quod L 7
plu- ribus HLm2NS 9 unum ipsum brm 12 Et] sed in
er . et Lm2 specie] de specie EG 13 post
id add . est P, s. l. Em2 14 quod C specialissimum ( om
. species,] HN nulla species NR 15 superponitur
(ras. corr. E) nulla EG eadem s. l. Lm2 16
supponitur HR aliquid uero supponitur om. ENR, in mg.
Cm2 17 ea om. EGLPRS 18 non queunt G quod
Em1GN quod quot R 20 aut in partici- patione s. l. Gm2
post substantiae add . aut ex figura S consistit edd .
uero aut] autem N 21 figura] genere S ex om. E
est om. S 22 post area s. l . ubi discutiamus
ea Em2 23 ante subscriptionem initium libri IV usque ad p.
239, 6 iniecta scriptum, post subscrip - tionem E
ANICII MANLII (MALLII G ) SEVERINI BOETII (BOECII G ) V. C. ET I LL
. EXCONS (EXC. E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS E )
PORPHYRII (PORPHIRII E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID
eqs. om ., SCDAE E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII. EG
; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT L ) INCIPIT (LIBER
add. LS ) QVAR- TVS L (add. mS) NPRS (uariis cum.
compendiis) ; LIBER QVARTVS C; subscriptio deest in H De
differentia disputanti non aeque illud debet occurrere quod in generis
specieique tractatu de collocationis ordine quaerebatur. illic enim meminimus
inquisitum, cur esset omnibus praepositum genus, ut id primum ad disputationem
ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est dicere,
cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit inquisitum, cur
non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem differentiae in
disputationis loco fuisse praepositam, quod differentia continentior et
magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque mirari, si eandem
differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum proprium unius
semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero exteriorem
quandam ostendat naturam nec omnino in substantia PREDICARE, differentia
uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia PREDICARE?
sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.
Differentia nero communiter et proprie et magis 3 quod—inquisitum] p.
170, 2 ss. 198, 10 ss. 18—p. 240, 13] Porph. p. 8, 8—17 (Boeth. p. 33, 18—34,
7). 2 De differentia] Differentiae E Differentia
G Differentiam La.c . disputanti] in disputando CEGLm1N
non aeque illud] non illud quoque C 3 quod] ut HN
collationis Cm1HN 4 quaerebatur] hic desinit cod. S
11 ante specie add . ea EG ab HL est
quod om. GR ( post quid add .interrgatiue) s. l.
Lm2 , sit Em1 sit quod m2 an quisquam? ad
quisque add . iure possit Em2 12 post
eandem add . iure E, s. l. Lm2 13 sit unius speciei
semper C unius sit semper speciei R unius semper
speciei sit N 15 substantiam NR 16 substantiam
Em1 18 ante Differentia inscriptio DE ( om
. Ψ ) DIFFERENTIA additur in 2 et magis
proprie in mg. Cm2? proprie dicitur. communiter quidem
differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate quadam differt quocumque
modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates a Platone alteritate et
ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid uel quiescente et
semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie autem differre alterum ab
altero dicitur, quando inse- parabili accidenti ab altero differt. inseparabile
uero accidens est ut nasi curuitas, caecitas oculorum, cicatrix, cum ex uulnere
obcalluerit. magis proprie differre alterum ab altero dicitur, quando
specifica differentia distiterit, quemadmodum homo ab equo specifica
differentia differt rationali qualitate. Tribus modis aliud ab alio distare PREDICARE
genere. specie, numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales
quasdam differentias alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae
genere uel specie distant, substantialibus quibusdam differentiis disgregata
sunt, idcirco quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam
quod homo ab arbore genere distat, animalis sensibilis qua- litas in eo
differentiam facit. addita enim sensibilis qualitas 14 praediximus] p.
191, 21. 1 dicitur] λεγέσ&ω Porph. p. 8, 8;
cf . nuncupatur infra p. 241, 18 communiter—distiterit (12)
] R Q , om. cett . 2 ab om . A , s. l . Γ 3
ipso om. R 4 pr . a om. R X puero] a puero
ΣΦ 5 uiro] a uiro Φ et] R T uel cett.;
Porph. p. 8, 11 χοιί aliquod S 6 habendi] habendi se Φ
; Porph. p. 8, 12 τού πώς εχειν 7 ab om .
ΔΛΣ quandam R 8 accidente R ; post add .
alterum edd. cum Porph. p. 8, 13 ab om . Σ 10
coaluerit Σ m2 post proprie add . autem ΓΔ (fort.
recte) uero Φ ; Porph. p. 8, 15 hi 11
ab om . ΛΣ 12 destiterit TX m1 AZ quem-
admodum—differt del. Lm1? 13 differentia om. Ν Σ
ante rationali add . id est CEGL, s. l . Hm2 A
m1? rationabili CEGLPR 14 ab] LP, om. cett . 17
accidens CEm2 accidentales Lm2 18 disgregata— quibusdam
om. N, s. l. R 19 post quibusdam add .
substantialibus Hm2 edd.,recte? ad informantur s. l.
disregantur N 21 ea Hm1Lm2NP animato animal
facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta sunt.
igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis genere
poni non possunt —, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae unius
ex propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est. illa
uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis
substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus
discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua
sunt et solo numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem
sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire;
distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item
inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae.
Quae cum ita sint, in ternarium numerum has differentiarum diuersitates
Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens :
omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur,
communiter quidem eam differentiam sumens quae quodlibet accidens monstret,
quae in quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod
ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic 5 ut dictnm est]
p. 208, 17 ss. 1 eiusdem E et idem G
eadem L inanimatum L , in- er. EP; cf. p. 208, 14 ss .
2 post arbor add . quae H (linea del., sed
lin. er.) L (del. m1) N 3 animali ( om . genere) N 4
ante differentia add . sed ex E nam brm, post s.
l . igitur Pm2 5 praepositis CLm1N positis Em1, s. l .
homine et arbore Lm2Em2 6 distant specie C quod
om. CHN 7 dis- crepare CHN ut—discrepant om. EGL, s. l.
R 8 discrepant om. C 9 post
inrationabilitate add . distant L 10 sunt add. Lm2, in
mg. Pm2 13 distant Hm1Pm2 distet L distat
enim E 14 sit om. R, ante staturae HN staturae
sit post longioris L minimae] Ppr
minime cett. codd. bm 16 isque EG ipsis C post
utatur] postulatur EGR 17 propria Ca.c.L 18
propria L differentiam eam HNP a differentia (om.
eam) E 19 ad sumens s. l . exordium Em2
monstraret EGLm1 (demonstraret m2 ) R 20 ut si]
uti EGLm1 (uti si m2 ) R a om. CGR, s. l.
Lm1?Pm2 differt ex -rat E 21 sit om.
C est EGL (s. l.) R iuuenis. a se ipso etiam saepe
aliquis differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit,
uel si nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia.
communes autem differentiae nuncupatae sunt, quoniam nullius propriae esse
possunt differentiae, sed separabilia accidentia sola significant. nam et
stare et sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et
separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus
differentiis distare dicuntur. praeterea puerum esse atque adule- scentem uel
senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam ex pueritia ad
adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque
aetatem naturae ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile
de unius cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque
est separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma perdurat. idcirco nec
peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit
agnoscere; forma enim semper quae ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas
qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc communem
differentiam separabilibus maxime accidentibus applicari, propria uero
est quae inseparabilia significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis
caecis nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi,
ille caecus, ille erit semper incuruus. atque haec per naturam. sunt uero alia
quae per accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus 1 post
differre add . quidem L 2 cum ante in mg. Cm2
nunc si C 3 iam er. L, post nunc N 5
proprie CL sed] CLm2NP , om. EG , et R
quae HLm1 separabiles E, post add . enim Lm1, del.
m2 6 pr . et om. P ac] et HNP 7 ideo
EGL post omnium add- sunt edd . et om. H
esse om. G, post accidentia EL ; separabilium esse
accidentium N 8 si om . N quid EG qua
R 9 discuntur E 10 ante separabilia add .
ueraciter R 14 eo Lm1 15 est separabilis] est
separabilis forma PR separabilis forma est EGL nullius—per-
durat om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2 ac stabilis] et stabilis
C ( ut uid .) N ac stabili P estimabilis
E 18 alteritas ipsa EG 19 altera EGLm2R 22
nascetur Em1 24 ante erit add. etiam
R semper om. C inflictum cicatrice fuerit obductum,
haec si obcalluerit, pro- priam differentiam facit; distabit enim alter ab
altero, quod hic cicatricem habeat, ille uero minime. postremoque in his
omnibus uel separabilibus accidentibus uel inseparabilibus alia sunt
naturaliter accidentia, alia extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel
iuuentus et totius conformatio corporis, sic caeci oculi et curuitas nasi. et
superiora quidem exempla separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora
uero inse- parabilis. item extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim
non natura, sed sola affert uoluntas, natura uero posse tan- tum dedit, non
etiam facere. atque haec sunt separabilis accidentis extrinsecus uenientis
exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua cicatrix obducta uulneri
obcalluerit. Magis propriae autem differentiae praedicantur, quae non accidens,
sed substantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt enim homo a ceteris,
quod rationalis est uel quod mortalis hae sunt igitur magis propriae, quae
monstrant unius cuiusque sub- stantiam. nam si illae quidem idcirco communes
dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliae autem propriae,
quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium numero, illae iuro
magis propriae praedicantur, quae non modo a subiecto separari non possunt,
uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt. ex his igitur tribus
differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis ac magis
propriis, fiunt secundum genus uel speciem uel numerum discrepantiae nam
ex communibus et propriis secundum numerum distantiae nascuntur, ex magis
propriis uero secundum genus ac speciem. 1 ante cicatrice add
. si H 6 uel om. C formatio HNPm2
sic] HPm1 (et si m2 ) Rm1 (sieque m2 )
si EGLm1 (sique m2 ) tum CN 9 post
currere add . sunt E 10 uoluptas L 11 at
Em1 atqui m2 separabilis sunt C 13 uulneris
Lm2P autem propriae La.c.R 14 substantia Cm1 15
informant Pm2, recte? 16 a om. HN rationa- bilis
EGLPR post mortalis add . est C hae] Hp.r.L
haec cett . sunt igitur] enim sunt H 20 quoniam] quod
R 22 ab G post ipsius add . suis Em1, del.
m2 23 tribus igitur CG 24 ac s. l. Em2 , et
CR Uniuersaliter ergo omnis differentia alteratum facit cuilibet
adueniens, sed ea quae est communiter et proprie, alteratum facit, illa autem
quae est magis proprie, aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum
faciunt, aliae uero aliud. illae quidem quae faciunt aliud, specificae
uocantur, illae uero quae alteratum, simpliciter differentiae. animali enim
differentia adueniens rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa
uero quae est mouendi, alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem
aliud, illa uero alteratum solum fecit. Omnis differentia alterius
ab altero distantiam facit. sed haec uel est communis et continens uel cum
quodam proprio et magis proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet
ratione ab alio diuersum est, alteratum esse dicitur. si uero accesserit
illi diuersitati ut etiam specifica quadam differentia sit diuersum, non
alteratum solum, uerum etiam aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens
est, aliud uero intra alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est,
alteratum est, sed non omne quod alteratum est, aliud dici potest. itaque
si accidentibus aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum 1—11] Porph.
p. 8, 17—9, 2 (Boeth. p. 34, 7—15). 1 ergo] uero CEGR; Porph.
p. 8, 17 osv alterum E h m2 A 2 sed ea—quiescente
fecit (10) ] Ω , om. cett . ea quae est eqs. ]
cum cod. A Porph. p. 8, 18, cett. α: μέν—κοιοϋσιν, a: 81 άλλο
3 alterum Δ , item 4 autem] uero ΔΣΦ 7
altera Φ* enim] autem A a.c . 8 ratio- nale 2 facit
ΓΣΦ item 9; Porph. p. 9, 1 ίποίησεν et speciem
animalis fecit om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse 10
faci(??) ΓΔ m2 ΣΦ qua * ( (??) ? er.) re *
C qua in re (si add. GLm1, s. l . siqui- dem m2 )
EGL 11 ille Gm1 illae Δ solum om. EG, s. l.
Cm2 , solum modo P fecit] ΔΛ , om. P, facit
cett.; Porph. p. 9, 2 έποίηοιν 13 uel est] L uel
ex EG est uel N, om . est CR, om . uel HP
(ante est add . quidem ) communi EG
continenti E ( -ti * ) G cum om. N, s. l. Em2 eo
m1 14 proprio] proximo GR, post proprio add . uel ma-
ximo P 18 inter Gm1 19 nam et] Hm1NR igitur
et EG igitur omne ( et add. C) CHm2L 21 erit
HN quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel ex
quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit intellegi,
aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero fuerit
dissociatum. itaque communes et propriae differentiae, quoniam
accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime,
magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma
praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel
accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola retinet
differentia quae substantiam continet formamque subiecti. atque hae quidem
differentiae quae faciunt aliud, specificae nuncupantur idcirco, quod ipsae
efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt
ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam tota
alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae
alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum,
simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud,
specificae differentiae PREDICARE atque ut planius liqueat quid sit alteratum,
quid aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo : aliud est
quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam rationalis
differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum esse
constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo
diuersus ab homine, sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit
ab eo qui 5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss. 1 post
, quidem om. HNP, del. Lm2 uel ex quibuslibet om. H
2 ad differentiis s. l . uel diuersitatibus Rm1 ? 7
formam N 9 accidentali Hm2NPm2 facit EGLP 10
quae er. C 11 hee P 12 ipsae om. EGLR 14
alteratum E (in ras. m2) P alterum GLR 15 aliud
R sit E 16 ut om. EH faciunt HNR
facient Em2 facie m1 20 describantur Em1 21
ratione specie (sic) E ab om. EGL, s. l. HP 22
facit HLNPm1 23 esse] est Em1 ita R
itaque N 24 effi- citur N efficiatur (ur add. m2
) P sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis,
ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita
secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat,
homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem
alteratum, semel uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie
diuersum est — et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum
est —, uel quod accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero
est aliud, quod rationabili atque inrationabili differentiis dis|gregatur,
quae specificae sunt et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod
ab alio qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur aliud facientes
diuisiones fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quae sunt
ex genere et huiusmodi differentiis, secundum autem eas quae solum
alteratum faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi
permutationes. Quoniam in principio operis huius generis, speciei, differen-
13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34, 15—19). 18 in prin- cipio o. h.] p. 147,
5. 1 facit Em1G item om. EGR, in mg. Hm2, s. l.
Lm2 si om. EGL, post ille R, in mg. Hm2 post . ille]
iste N caesius La.c . (ce-) Pm1 caecis
N cecus C 3 item in ras. L post has add .
quo- que HNP, s. l. Lm2 sola s. l. Em2 ut
GN 4 uero om. E 5 ab] de P pr . alterum
GLm1 6 post uero add . est C enim om
. H (quidem add. post est ) N, ante est
CGPR 7 enim om. G 8 distet R 9 iacet
HLm1N ambulat H rationali atque inrationali HLm2R
10 differentia N segregatur CR specificae sunt]
differentiae specificae C 13 post facientes add .
differentias edd., om. codd. cum cod. C Porph. p. 9,3 et Dauide
commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et edd. cum Porph .
τέ 14 quae—faciunt (16) ] L Q , om. cett . 15
ante sunt add . definitiones Γ definitiones
scilicet Δ et] ex Δ m2 16 ante alteratio
add . at CG alteratio sola consistit] ai έτερότητες μο'νον συνί-
ατανται Porph. p. 9, 5 17 et] in CEGLR ad Δ
; Porph. v.at aliquo modo] aliquando Γ
se add. Em2 habentis R habentibus EGLm1
permutatione R permutationibus CEGLm2 18 huius
om. EGR, ante operis s. l. Lm2 specieique EGLNPR; cf. p. 148,
17 tiae, proprii accidentisque notitiam ad diuisionem atque ad
definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc differentiarum ipsarum facta
diuisione easdem partitur et segregat, quaenam differentiae diuisionibus ac
definitionibus accommodentur, quae uero minime. quoniam igitur diuisio
generis ita in species facienda est, ut illae a se species omni substantiae
ratione diuersae sint, idcirco non probat assumendas esse eas ad diuisionem
differentias quae uel separabilis uel inseparabilis accidentis significationem
tenent, idcirco quoniam, ut dictum est, solum faciunt alteratum, aliud
uero perficere et informare non possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hae
differentiae quae faciunt alteratum. segregandae igitur sunt communes et
propriae a generis diuisione, illae assumendae tantum quae sunt magis propriae.
illae enim faciunt aliud, quod generis diuisio uidetur exposcere. ad
definitionem quoque eaedem magis propriae plurimum ualent, communes et propriae
uelut inutiles segregantur; communes enim et propriae, quoniam accidens diuersi
generis ferunt, nihil substantiae ratione conformant, definitio uero omnis
substantiam conatur ostendere. specificae uero differentiae illae sunt
quae, ut superius dictum est, speciem informant substantiamque perficiunt; hae
sunt magis propriae. eaedem igitur sicut in diuisionem, ita etiam in
definitionem assumuntur. ut enim dictum est, eaedem diffe- 9 ut dictum
est] cf. p. 244, 2. 245, 4 (et p. 242, 19—21). 20 supe- rius] p. 245, 11. 23 ut
enim dictum est] infra p. 253, 12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss. 2
definitionem] defensionem G utile E 4 ac
definitionibus om . EG 5 diuisio igitur E 7
eas ante assumendas P, ante esse HN
diuisiones NRm1 8 uel inseparabilis om. EGR 9
idcirco—faciunt] uel eas differentias quae faciunt (faciant R ) EGL
(del. m2) R 10 aliud— alteratum (12) om. EGR 14 aliud
faciunt C 15 definitionem] diui- sionem Cm1EGLm1
eadem Em1G 16 plurimum om. EG post ualent add .
nam EGL (del. m2) P 17 uelut—propriae om. EGR
enim om. CH 18 proferunt Lm2Pm2 procedent m1
praecedunt N a.c. 19 informant N 21 hee CP
haec E 22 eaedemque C eadem Em1GL
diuisione GN, add . generis GL etiam om. HN et
P 23 diffinitione N ut enim—sumuntur om. edd .
rentiae nunc quidem constitutiuae ad definitionem specierum sumuntur,
nunc diuisiuae ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuae
sunt generis, aliud constituunt, in substantiae uero definitione speciei
informationem faciunt, cumque magis propriae et aliud faciant et specificae
sint, eo quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo
speciem informant, definitionibus accommodatae sunt. communes autem et propriae
quoniam neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant,
aeque a diuisione ut a definitione disiunctae sunt. A superioribus ergo
rursus inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles,
alias uero inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et
quaecumque his proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel
simum uel rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae
quidem sunt per se, aliae 11—249, 4] Porph. p. 9, 7—14 (Boeth. p. 34,
20—35, 6). 2 assumuntur Ea.c . partitionem] coparationem
N 3 ita—faciunt (4) in mg. sup. Hm2 Ita igitur cum diuisio
generis aliud quaerat. substantia uero speciei informationem Hm1, eadem
uerba loco ita—faciunt adiungit N Ita igitur cum ad
diuisionem generis aliud querant. aliud uero ad speciei informacionem
faciunt Hm3 3 diuisiuae] CHm2LN (priore loco)
Pm1 diuisione EG ad diuisionem Hm3R diuisio
Hm1N (post. l) Pm1 sunt] CHm2LN (pr. l.), om. EGHm1 et 3 N (post.
l.) R, s. l. Pm2 constituunt] CHm2N (pr. l.) Pm2
quaerat Hm1N (post. l.) Pm1 quaerant ( uel que-,)
Hm3R quam erat EG constituunt quam erat L in
substantiae uero definitione] CHm2LN (pr. l.) Pm2 in substantia
uero Pm1R substantia uero EGHm1N (post. l.) aliud
uero Hm3 4 post uero add . ad Hm3
faciunt om. EHm1N (post. l.) 5 pr. et om. HN, s.
l. Pm2 faciunt Lm1Pm1 et] ac C eo] in eo
N 6 quidem om. L quod HLm1NP (d er .) uero]
modo N 7 quod HRm1 9 sed] sub G
monstrat CGm1 11 ergo om . H uero N 2
; Porph. p. 9, 7 ouv rursus om. H 12
aliae... aliae h m1 separabiles esse Φ 13 alias
uero—perceptibile (p. 249, 2) om. C moueri—perceptibile] R Ω
, om. cett . 14 ante quaecumque s. l . omnia
Λ 15 at—inseparabilia in sup. mg . h m2 acylum
ΓΦ acilum ΛΣ , sim. p. 249, 3.250, 20. al . 16
post inseparabilia add . sunt PAS<P edd. Busse, om.R
h cum Porph. p. 9,10 uero per accidens; nam rationale
per se inest homini et mortale et disciplinae esse perceptibile, at nero
aquilum esse uel simum secundum accidens et non per se. Superius
differentias triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut
proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes
dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem
facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias inseparabiles, posse
autem de uno quoque cuius multae sunt differentiae, plurimas fieri diuisiones
ex ipsa differentiarum natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis
distribuitur, quorum multae sunt differentiae, multas etiam diuisiones esse
necesse est. fit autem ut animal diuidatur quidem hoc modo: animalis alia
quidem sunt rationabilia, alia in rationabilia, item alia mortalia, alia
inmortalia; item alia pedes habentia, alia minime; rursus alia herbis
uescentia, alia carnibus, alia seminibus. ita nihil mirum uideri debet, si
multiplex differentiae est facta partitio.ac primum quidem cum in ternarium
numerum differentiae membra secuisset, communes et proprias et magis proprias
nuncupauit. secunda uero diuisio communes et proprias intra nomen alteratum |
facientis inclusit, magis proprias uero intra aliud facientis. haec nero
tertia diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias
inseparabil es, 5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has
eqs.| p. 244, 2. 2 perceptibile] ΦΨ perceptibilem
cett . ( in mg . capacem T ) 3 uel] et Γ simium P
post accidens add . est Γ , s. l. Lm2, ras. in E
et om. Ν ΑΣ 4 post se add. est
P 5 differentia R 7 dicens in mg. Hm2 8 earum
quid R earundem CN quidem post pr . alias
C 9 post post , alias add . uero C 14 animal] in
animali quod H diuiditur H quidem ante
diuidatur Lp, om. brm 15 animalium N edd . quidem
post sunt NP, om. H rationalia alia inrationalia
H 18 item P 20 post secuisset add .
ait HP aut CN et magis—et proprias om. EG
21 nun- cupari H nuncupauerit LPR 22 facientes
CNPm1 propria R proprium Em1GLp.c . 23 facientes
CN qua CLNRm1 unam quidem ex alteratum facientibus
separabilibus differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis
differentiae uocabulum claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est
propria differentia, et reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis
propria, inseparabiles differentiae esse dicuntur. quarum subdiuisio fit.
inseparabilium differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per
se quidem magis pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem
aliquid inesse dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco
quaelibet species est, quoniam substantiali differentia constituitur,
illa differentia per se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet
aliud medium, sed sui praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem
rationabilitas. homini enim huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim
homo est, quia ei rationabilitas adest; quae si discesserit, species
hominis non manebit. et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles
esse nullus ignorat; separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit
natura subiecti. secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae
quae propriae nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae idcirco per
accidens nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt
nihil subiecti substantiae commodantes. Illae igitur quae per se
sunt, in substantiae 24—p. 251, 14] Porph. p. 9, 14—23 (Boeth. p. 35,
6—17). 1 ex om. EG, in inf. mg. L alteratum
post facientibus R, om. G post facientibus add . id est
communem L (in inf. mg.) P 2 adiungit] ponit La.c .
cetera R ceterasque Lm2 alteram C 3
una ras. ex una C quidem] quidem fit G
quippe HN 4 et om. G, s. l. E 5 inseparabilis
E esse om. G 6 post quarum add .
quidem Lp ita brm post aliae add . enim
EGL 8 inesse aliud ( ex aliquid m2 ) L 11 neque]
non Lm2R, ante neque add . quae Hm2 12
post medium add . quae sunt propria Hm1, del. m2 13
rationalitas H, item 15 15 ei s. l. Hm2 16 quidem
eas (sic) C 17 nullus esse C 18 nisi] ni EG 20
proprie CN aquilum] cf. p. 248, 15 22 accedunt
Hm1N subiecto Hm1 subiectae Lm1N (-te)
24 Igitur illae C in om . N ratione
accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum accidens, nec in
substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum. et illae quidem
quae per se sunt, non suscipiunt magis et minus, illae uero quae per
accidens, uel si inseparabiles sint, intentionem recipiunt et remissionem; nam
neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit genus, neque generis
differentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim sunt quae unius
cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque
intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel
coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis rite partitis
earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam superius
dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias, magis
proprias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud minime,
sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc igitur idem repetit dicens
quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est quae per
se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae
uero 16. 252, 3 superius] p. 244, 1 ss. 1 rationem GR
h suscipiuntur Lm2 percipiuntur Φ aliud]
illud E illae—suscipiens est (12) ] Ω , om. cett
. 3 dicuntur] accipiuntur Φ (ex 1); Porph. p. 9, 16
λαμβάνονχαι uel παραλαμβάνοντα codd .,
λέγονται Dauid comment. p. 184, 16 alteratum] alterum
W- m1 et om . Γ 4 quidem om . Λ uero
Γ 5 uero quae] quidem Γ si om . Φ 6
sunt ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18 v.dv—Jaw 7
aut] Λ Busse et cett. codd. edd. (cf. 4); Porph.
p. 9, 19 ή cod. M m; cett . 9
ipsae] otuxat Porph. p. 9, 20 10 post
rationem add . id est diffinitionem Φ 11
neque—remissionem cum Porph. p. 9, 21 cod. Μ , ooxe ανεσιν οντε
έπίχασιν cett . 12 aquilum] cf. ad p. 248, 15
autem om. P 13 pr . uel] et Γ colorari
Em1 et om. CLR 14 et] uel R 17 esse post
dixisset HNP, ante tres P 18 alteratum—proprias]
proprias alte- ratum facere dixit HNP 19 post
aliud add . uero HNPR, s. l. Lm2 quae sunt propriae, id
est secundum accidens inseparabiles differentiae, neque in substantia insunt
nec aliud faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia
distantia est earum differentiarum quae secundum substantiam sunt, ab his quae
secundum accidens, quoniam quae substantiam mon- strant, intendi aut
remitti non possunt, quae uero sunt secundum accidens, et intentione crescunt
et remissione decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum
neque crescere neque deminui potest; nam qui HOMO (cavallo) est, UMANITA
(cavallita) suae nec crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque
ipse a se plus aut minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec
homo rursus ab alio homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim
aequaliter animalia, aequaliter homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse
suum nec cremento ampliari potest nec inminutione decrescere, quod per id
facile monstrari potest, quoniam quae genera sunt uel species, nulla intentione
uel remissione uariantur, non est dubium quin differentiae quoque, quae unius
cuiusque speciei substantiam formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec
intentionis augmenta. itaque substantiales differentiae neque intentionem
neque remissionem suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique
unum et idem est, et p. 84 intentionem re|missionemue non suscipit
huius exemplum. genus 2 nec N substantiam N
sunt EN neque edd . 4 est] L (s. l. m2) P
edd., om. cett . sunt om. E 5 secundum accidens quo- niam
quae om. EGP 6 ante intendi add . quae EGP
post pos- sunt add . secundum (s. l. E) accidens
EGP sunt om. CHL 7 in- tentione] intensione Pm2 edd.,
item 17—p. 253, 6 9 deminui] Pm1 minui L (ex
diminui m2) N diminui cett . quia C 10 decrementa
Em1G edd . 11 uel] aut L 12 neque N 13 uterque
P aequa- liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati.
aequaliter ho- mines esse dicuntur H, eadem uerba loco
aequaliter—dicuntur adiungit sic utrique enim aequaliter eqs.
N 15 ampliorari EGLPm1 17 ante non s. l .
et ob hoc Em2 19 informant Pm2 21 suscipient
N cuius HNP 22 post unum add . est
L 23 remissionemque N post exemplum add.
sit Lm1 edd. (ante huius distinctio) , est Lm2, s. l.
Hm2 enim dici non potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim
genus aequaliter superponitur differentiae quoque quae diuidunt genus et
informant speciem, quoniam speciei essentiam complent nec intentionem recipiunt
nec remissionem. quae uero secundum accidens differentiae sunt
inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et
intentionem suscipiunt et remissionem. fieri enim potest ut hic paulo sit
nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at uero quod non omnes
homines aequaliter rationales mor- talesque sint, nec specierum nec
differentiarum natura uidetur admittere. Cum igitur tres species
differentiae consi- derentur et cum hae quidem sint separabiles, illae uero
inseparabiles, et rursus inseparabilium cum hae quidem sint per se, illae
uero per accidens, rursus earum quae sunt per se differentiarum aliae quidem
sunt secundum quas diuidimus genera in species, aliae uero secundum quas ea
quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen- tiae omnes
huiusmodi sint, animati et inanimati, 12—p. 254, 8] Porph. p. 9, 24-10, 8
(Boeth. p. 35, 18—36, 6). 16 differentiarum—19 specificantur] Abaelardus,
Introduct. ad theolog., II p. 94. 1 post cuilibet
add . esse L edd . 2 quae om. GPR, del. Hm1? 3 formant
CEGLm1R species Lm2NP 3 ante quoniam add .
quae EGHLPR essentiam] substantiam N 4 ante
quae add. ill<a>e G 6 aquilum] cf. ad p.
248, 15 colorari EG 8 nigrior sit HNP hic—
aquilus] hic uero minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus
illo uero minus E amplius simus] amplissimus G, add . sit
L aquilus] ut 6 9 non quod R ut non
HNPm1 quoniam non m2 ratio- nabiles ELm2P 12
considerantur Λ m2 ( in er . -entur) 2 13 haec
EG illae—sensibilis (p. 254, 5) om. CEG 14
et—sensibilis (ibid.) om. HLNP 16 rursus—sensibilis (ibid.)
om. R per se sunt Λ2Φ 17 quidem om . Λ2 18
ea] ΓΔΨΨ edd . haec ΛII2 20 animatum et
inanimatum sensibile et insensibile rationale et inrationale mortale et
inmortale h m1 animati—insensibilis] Porph. p. 10, 4
εμψύχου και αίαβητικου ante sint add .
animalis edd. cum Porph . τοϋ ζώου quattuor
et (20—p. 254, 2) om . 2 sensibilis et insensibilis,
rationalis et inrationalis, mortalis et inmortalis, ea quidem quae est animati
et sensibilis differentia. constitutiua est substan- tiae animalis — est enim
animal substantia animata sensibilis —, ea uero quae est mortalis et
inmortalis differentia et rationalis et inrationalis, diuisiuae sunt animalis
differentiae; per eas enim genera in species diuidimus. Fit nunc
differentiarum plena et suprema diuisio, quae est huiusmodi. differentiarum
aliae sunt separabiles, aliae inse- parabiles, inseparabilium aliae sunt
secundum accidens, aliae substantiales. substantialium aliae sunt diuisibiles
generis, aliae coustitutiuae specierum. quod uero ait : cum igitur tres species
differentiae considerentur, ad hoc retulit, quod in prima differentiarum
diuisione partim eas communes esse, partim proprias, partim magis
proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles esse monstrauit,
alias inseparabiles, separabiles quidem communes, inseparabiles uero proprias
ac magis proprias. inseparabilium uero fecit diuisionem dicens alias esse
secundum accidens, quae propriae nuncupantur, magis proprias uero
secundum substantiam considerari. earum uero quae secundum substantiam sunt,
subdiuisionem facit, quod 3 constituta T m1 4
post animata add . et ΓΛ Busse, om . ΔΠΣΦΨ
Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he ex e Rm2 est]
sunt R 6 diffe- rentia om . CEGPR et om
. CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac- et irrac-
P ) Lm2P 7 diuisi Em1 diuisae GPm1
has HP; Porph. p. 10, 8 St’ αΰτών 8 genera in] L
(s. l. m2) ΓΔΠ . (in mg. m2) Ψ
Porph., om. cett . 11 post inseparabilium add.
uero C 12 generis om. EGR, in mg. Lm2 15
post esse add . dixit HNP dicit R 16
dixit om. HPR, s. l. Em2 rursum H 17 alias insepa-
rabiles esse (esse om. N ) monstrauit HNP 18 ac] et
HN 20 acci- dens] se EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam
Em1 alias (alia E ) se- cundum substantiam considerari G
edd., in mg. Em2, s. l . alias secun- dum Pm2, post
considerari add . et illas esse secundum accidens edd.
quae—considerari om. E post quae s. l . uero secundum
accidens Pm2 propria C proprias Pm2
nuncupari Pm2 21 eorum (sic) uero quae secundum
substantiam s. l. add. Em2 22 post quae
add. et C aliae earum genus diuidant, aliae speciem
informent. ad cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum
generumque dispositio transcribatur. sitque primum substantia, sub hac
corporeum atque incorporeum, sub corporeo animatum atque inanimatum, sub
animato sensibile atque insensibile, sub quo animal, sub animali rationale
atque inrationale, sub rationali mortale atque inmortale et sub mortali species
hominis, quae solis deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur diuisione
omnes hae differentiae specificae nuncupantur, generum enim specierum-
que differentiae sunt, sed generum quidem diuisiuae, specierum autem
constitutiuae. id autem probatur hoc modo. substantiam quippe corporei atque
incorporei differentiae partiuntur, corporeum uero animati atque inanimati,
animatum sensibilis atque insensibilis. ita igitur genera substantiales
differentiae partiuntur et dicuntur generum diuisiuae. at uero si eaedem
differentiae quae a genere descendentes genus diuidunt, colligantur et in unum
quae possunt iungi copulentur, species informatur. nam cum animal species sit
substantiae — omnia enim superiora de inferioribus praedicantur et quicquid
inferius fuerit, species erit etiam superioris —, animatum tamen
atque 2 illa tertii libri.. dispositio] p. 208, 12 ss. 1
diuidunt N diuident R informant CNR, add . atque
construant H atque constituunt (-ant ex -ent P
) NP, s. l. Lm2 (ex p. 256, 3) at E 2 facilitatem
G cognitionem om. EG illa s. l. Hm2 3 trans-
feratur Hm1N; post transcribatur spatium ad inscribendam figuram ut
uid. relictum in EG sub] ubi E hoc Em1GLm1R 4
atque incorporeum in mg. Em2 sub corporeo om. GR, in mg Em2,
s. l. Lm2 6 animal sub om. E sub animali om. GR 6
rationabile E 7 et om. HN, del. Em2 12 patiuntur
Em1G corporeum—partiun- tur (15) om. Em1, in mg . corporeum (
ex corpore m3 )—inanimati (ani- matum autem s. l. add. m3 )
sensibilis—partiuntur add. m2 13 ani- matum om. G, post add .
autem Em3 enim Lm1, del. m2 , et er. N 14
post insensibilis add . partiuntur CL substantialis
Gm1Pm2 15 si del. Lm2, post si del . et R
heaedem P (dem er .) R (h del .) hae
HN 16 quae post descendentes L 17 in ex al. litt. Em2
18 informantur EHN informant part. ras. ex informatur
Lm2 fit E sensibile quae sunt differentiae, si
referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis
eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut
sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum
uero atque sensibile eiusdem differentiae constitutiuae. | item animal
rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque inmortali
diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis diuisiuae
fuerant, fiunt homi- nis constitutiuae eiusque perficiunt speciem atque omnem
eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si
inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal,
quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del
substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera,
diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant
species earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc
quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe- 1 post
sunt add . eiusdem P (s. l. m2) edd . diuisiua Em1G
2 post sunt s. l . si ad speciem Lm2Pm2
uero om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2 fiunt s. l. Rm2 3
definitionemque] diuisionemque EG formant Hm1 4 quidem]
uero N 5 ante genus add. eiusdem CN , post add .
est s. l. LPm2 ante differentiae add . generis GP, post
add . diuisiuae R post constitutiuae add . animalis R,
s. l . speciei animalis Lm2 6 rationabilitas—diuiditur]
P rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex
inmortali m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex inmor- tali m2 )
diuidit ** · H rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque
inmortale diuidit C rationale atque inrationale (diuidunt
add. N ) mortale atque (et N ) inmortale diuidit (diuidit om. N
) NR inrationabile (inratio- nale L ) atque inmortale
diuiditur EGLm1, in mg. ante atque add . irracionale. mortale
etiam atque m2 rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas
atque immortalitas diuidit brm 7 rationalitas E 8
diuisiua Em1GLm1R 9 constitutiua GLm1R eiusque]
hominisque HNP nominis (del. Lm2) eiusque
EGL 10 atque perficiunt s. l. Rm2 11 irrationalitas
EP mortali Lm2Pm1 fiat G aut] atque L
12 rationalitas HP 13 inmortalitas] inrationabilitas R
dei om. G , post substantiam E (s. l. m2) L
formant HN item HL 14 di- uisae E 17
esse om. C eae EGR heae P rentiae
specierum constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam
speciem uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli
caelestia corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non
posse; quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem corpora
propter simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat. est igitur
aliquid quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili scilicet
atque inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia corpora
animata esse credendum, nullum quidem his differentiis potest esse
subiectum — quicquid enim inrationabile est corruptioni subiacens et
generationi, inmortale esse non poterit —, sed tamen hae differentiae, quoniam
substantialium differentiarum in numero sunt, si iungi ullo modo potuissent,
earum naturam et speciem quoque possent efficere. atque ut intellegatur,
quae sit haec potentia efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus
ad proprias atque communes, quae tametsi iungantur, speciem substantiam que
nulla ratione constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae
communes dif- ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius
substantia constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae
alicuius possint constituere et conformare sub- 3—7 Aristoteli] cf. De
caelo II 12, p. 292 a , 18 ss.; ed. Didot IV part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic.
de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio adlatis). 9 Platoni] Tim. p. 38 E.
39 E ss.; cf. supra p. 209, 2. 1 species G
inrationalis CEGP differentiae E 5 concedit
Lm1N 7 est] esse CN, ad est s. l . ał esset
L aliud G 8 con- ficeretur H, s. l. ( add .
ał) ad conficiatur L irrationali Lm2P 9 ac-
cedendum CN (ac er .) H (ac in ras. m2 ),
concedendum edd . est platoni CN et om. C 10
credendum om. CN 11 inrationale (irr- P ) HP 13
ante substantialium add . in CHN, post diff. om.
CHNR 16 efficientiae G 17 tametsi] etsi C etiam
(si er. H ) etsi H ( in mg . ł tametsi m2 )
NP 19 loquitur HN 20 sit H num ex
non Rm2 isdem] NP eisdem (ei in ras. m2 ) L
hisdem cett., post s. l . differentiis add. Em2 21
ante cur add . id HNP, s. l. Lm2 eius EG
sunt ante eiusdem N, post generis L 22
possunt NP con- firmare Em1GRm1 stantiam. ita
igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi subiectum aliquod
habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si ullo modo iungi
copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum mortali substantiam
pecudis facit : est igitur constitutiua inrationalis differentia, item
inmor- tale ac rationale coniuncta efficiunt deum: est igitur inmortale
quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod in natura
earum est, abrogatur. Sed hae quidem quae diuisiuae sunt
differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae specierum; diuiditur
enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et inmortali
differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con-
stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmortalis del, illae uero quae
sunt inrationalis et mortalis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremae
substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et sensibilis
et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam animal
perfecerunt. 9—19] Porph. p. 10, 9—17 (Boeth. p. 36, 7—15).
2 aliquod om. C aliquid LP possunt—substantiam]
possent tamen substantiam possent C 4 mortale EGPm1 5
irrationabilis NP ita R 6 coniunctae HN 8 eorum
edd . 9 haec CL heae P 10 generum om. EG
fiant Cm1Em1G sunt Σ 11 diuiditur—insensibilis
(18) ] 2 , om. cett . 12 pr . et—differentia om.
2 , add. X m2 13 ea... differentia] Porph.
p. 10, 12 ai... διαοοραί rationalis.. mortalis cum cod . M
Porph., cett . τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού 14 fiunt]
definiunt Δ m1 ΙΛΣ hominem Δ m1 ΑΣ 15 dni in ras.
2 , add . sunt et angeli Δ , sed del., ante dei
add. angeli et Π m2 , sed del.; codd. Porph. p. 10,13
aut θεού aut άγγέλοο quae sunt
add . X m2 post mortalis add . constitutiuae
sunt Γ 16 inratio- nalium X m2 \ m1 , add . sunt
Φ etiam] enim Φ supremae substan- tiae] T m2 (suae
substantiae m1 ) X m 2 (superna substantia m1 ) suprema
substantia cett. codd. edd. Busse; cf. Porph. p. 36, 12 et infra p. 259,
23 18 animatum EGR sensibile E (le in ras
.) R 19 congregata ER perficerent G
perficiunt in ras . 2 post perfecerunt add . animata
uero et insensibilis perfecerunt plantam edd. cum Porph. p. 10, 17, om
. BOEZIO etiam in commentario Geminum differentiarum usum esse
demonstrat, unum qui- dem quo genera diuiduntur, alium uero quo species infor-
mantur; neque enim hoc solum differentiae faciunt, ut genera partiantur, uerum
etiam dum genera diuidunt, species in quas genera deducuntur efficiunt,
itaque quae diuisiuae sunt gene- rum, fiunt constitutiuae specierum, huiusque
rei illud exemplum est quod ipse subiecit; animalis quippe differentiae sunt
diuisiuae rationale atque inrationale, mortale atque inmortale; his enim PREDICAZIONE
diuiditur animalis, omne enim quod
animal est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est.
sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam
formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique
differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal,
inrationali mortalique differentiis constitui|tur, quae dudum animal
diuidebant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, rationali
inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo
ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut
solem et caelum ceteraque huiusmodi, quae cum animata et rationabilia
Plato esse confirmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione
probantur assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur
uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae 18 ut diximus] p. 208,
22 ss. 20 Plato] cf. p. 257, 9. 2 aliud EHm1Rm2
alio m1 uero om. R 4 partiuntur GPm1
diuidendo N 5 deducantur HN dicuntur R diuiduntur
C (uid in er . duc? m2 ) diuisae Em1Gm2HR 6 huius C
rei om. EGR s. l. Lm2 7 ipse] ille R diuisae
Em1Gm2 8 mortale atque inmortale om. EGR, in mg. Lm2 9 quod
animal est] animal HNR 10 pr . aut om. R post
rationale add . est HN 11 est om. HR quod]
hoc C 13 post efficitur add. ab his EPm1, del.
m2, s. l. Lm2 post differentiis add . constituitur Cm1, del.
m2 14 partiebantur] diuidebant Lm1R 15 diuidebant]
parciebantur R 16 ut] si CH, in ros. N, recte?; cf.p. 208,
22 20 confirmet C (et in ras. m2 ) HLm2N 22
substantiam Em1 23 demonstrantur] idem monstratur HN
idem (super ras. Cm2, s. l. Pm2) demonstrantur Cm1Pm1, alt .
n del. Cm2Pm2 euenire HNPm2, add. s. l . differentiae
Lm2 diuisae Em1Pm1 sunt EHm1 animatum atque
inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctae differentiae sensibilis atque
animati efficiunt substantiam ani- matam atque sensibilem, quod est animal,
iure igitur dictum est, quae diuisiuae sunt differentiae generum, easdem esse
constitutiuas specierum. Quoniam ergo eaedem aliquo modo quidem acceptae fiunt
constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae, specificae omnes uocantur. et his
maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quae
secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis his quae sunt
separabiles. Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo
procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt genus, si ad
posteriores species applicentur, informant substantias easque perficiunt,
eaedem igitur sunt constitutiuae specierum, eaedem diuisibiles generum,
alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus relatae quidem in
contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero
iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae sunt, quae cum ita
sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectissime diuisiuae nominantur -
quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed constituunt speciem hae
differentiae quae 6—11] Porph. p. 10, 18—21 (Boeth. p. 36, 15—19).
4 post constitutiuas add . et completiuas C
completinasque HNP (ex p. 258,10) 6 ergo] igitur
P needem uel heedem hic et 15. 16. p. 261, 1 codd.
quidam alio P ( ras. ex aliquo,) Γ (o
in ras .) quidem] ΓΔΛΙIΨ , om. cett.; Porph. p. 10, 18
μεν 7 aliquo—inseparabiles sunt (10) ] Ω , om.
cett . alio ras. ex aliquo ut uid . Γ autem
modo Φ autem add . 5 m2 10 sunt
inseparabiles Γ his om . Γ 12 post
Omnes add . enim R 13 quo] quibus EGR
procedent Em1 15 post sub- stantias s. l .
earum L eas substantiasque (quae N ) HNR sunt
igitur HL 16 post eaedem add . sunt
LR 19 sint CHPRm1 21 diui- siuae] specificae Lm2
nominantur] nuncupantur HΡΝ enim om. C post
speciem add. eaedem speciem faciunt, quae uero speciem faciunt
CHN sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum constitu-
tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae specierum constitutiuae,
specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in definitione
specierum accipi oportere manifestum est. quoniam enim diuisiuae sunt,
per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per eas species
definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam definitur,
constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae sunt
specificae, iure igitur specificae solae et in generis diuisione et in
specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de his
autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in
generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam
quae diuisibiles sunt, substantiam generis diuidunt, et quae
constitutiuae sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt
inseparabilia accidentia, nullius substantiam informant, unde fit ut multo
minus separabilia accidentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones
accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus differentiis,
nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc
est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut
nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem;
sepa- 1 diuisae Gm1 eaedemque] H (hee-)
NP eaedem C igitur eaedem (eaedem s. l. Lm2 ) quae
(que E ) sunt EGLR constitutiuae specie- rum C 2
quare—constitutiuae om. EGLR quare iure] iure igitur P
4 diuisionem HLm2P et] uel R definitionem (uel
diff-) HL ( s. l . ał constitutione] P diuisione
Em1 6 eius Em1 7 post definiri add .
oportet CN, s. l . (scil. add. E ) EL quibus—definitur
om. EGLR, in mg. Pm2 hisdem CHN 9 solae s. l. Em2
10 post , in om. HN 12 continent] concedunt EG, s. l .
uel faciunt Gm1? 13 post uel add . in
L 16 sub- stantiam] HN, om. Em1 , speciem CGLm1R (post
informant) s. l. Em2 , speciei substantiam Lm2P edd . 17
formant H multo om. C 18 ad diuisiones—accidentia
(20) in inf. mg. Gm2 definitiones] diuisiones Em1G 19
ante substantialibus add . a HN, recte? 22 ante
quod add. id H (linea del., sed linea er. uid.) N ad
quod aeque s. l. ał quod hae similiter L sic G
(ut er .) L (ut del. m2) 23 ne] nec LN rari
enim possunt, nec tantum potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam
praesentia, et omnino ueniendi uel discedendi uarietatibus
permutantur. Quas etiam determinantes dicunt: differentia est qua abundat
species a genere, homo enim ab animali plus habet rationale et mortale :
animal enim neque ipsum nihil horum est nam unde habebunt species differentias?
neque enim omnes oppositas habet nam in eodem simul habebunt opposita —. sed,
quemadmodum probant, potestate quidem omnes habet sub se differentias,
actu uero nullam, ac sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita
circa idem sunt. Specificas differentias definitione concludit
dicens substantiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri
: differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus
animal, species homo : habet igitur homo differentias in se, quae eum
constituunt, rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formae
suae differentias in se retinet nec praeter illas esse potest, quarum
congregatione perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo
uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale
est atque mortale, quo igitur abundat species 4—13] Porph. p. 10, 22—11,
6 (Boeth. p. 36, 20—37, 5). 1 nec] non brm 4 Quae
h m1 dicuntur A m1 est add . \ m2 5
que Em1 quae Ga.c . abundant (ha- G ) Em1G
a om. N ho- mo—-nullam (11) ] R Q , om. cett . ab
om . ΓΦ 6 enim] enim tamen R autem A 7
horum nihil Γ 8 enim om . Φ , add . &
m2 , autem er . T : Porph. p. 11, 3 ούτε ίί
; enim pro autem; cf. ad p. 16, 15; an autem (
cf. T ) Boethius scripsit ? opposita R
habet] habent cett . codd. et edd . 9 nam] nec
R habebit Φ ( post opposita), non habe- bunt
Δ 11 habet] P p.c . Φ*Γ habent cett . ac
sic om. N sic ex si Em2G 12 hiis
Φ sint Sa.c . opposita] ex oppositis quae R h m1 13
circa idem sunt] Porph. p. 11, 6 &pa περί τό αΰτο εσται
15 diffiniri Pm2R 19 constitutiuae Em1GLp.c.Rm1 in
se om. C 22 est uero E 23 id] id est EGP
a genere, id est quo superat genus et quo plus habet a genere, hoc est
specifica differentia, sed huic definitioni quae- dam quaestio uidetur
occurrere habens principium ex duabus per se propositionibus notis, una quidem,
quoniam duo con- traria in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex
nihilo nihil fit. nam neque contraria pati sese possunt, ut in eodem simul
sint, nec aliquid ex nihilo fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid
unde effici possit atque formari, quae pro- positiones talem faciunt
quaestionem, dictum est differentiam esse id qua plus haberet species a
genere, quid igitur? dicendum est genus eas differentias quas habent species,
non habere? et unde habebit species differentias quas genus non habet? nisi
enim sit unde ueniant, differentiae in speciem uenire non possunt, quodsi genus
quidem has differentias non habet, species autem habet, uidentur ex
nihilo differentiae in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo,
quod fieri non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias
omnes genus continet, differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut
rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor- talitatem atque
inmortalitatem simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina
contraria, quod fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia
pars alba, alia nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se conside-
ratum partes non habet, nisi ad species referatur, quicquid igitur habet,
non partibus, sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in
partibus suis genus habeat 1 post , quo] quod Em1
(quid m2 ) GHm1R a om. H 2 hoc—dif-
ferentia om. C huic] hunc Em1N 4 per se
ante notis brm unam GHa.r. 5 aliam C (sic)
Ha.r. post quoniam add . quidem C 6 sit C
nec N 10 id om. R qua] quod GHLm1P; cf. p. 270,
12 dicen- dumne Lm2 11 genus ante non
habere HNP habent] habet Lm2 12 habet] habebit
CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1) 13 ueniunt R 15 uidetur
GLm1P differentia EGL ( ex -tiasj P 16 esse] est
CLP aliquando Em1 18 contrarium HLm2NPm1
contrario R 19 mortali- tatem atque inmortalitatem] CNP, s.
l. Lm2, om. cett . 22 esse post alba N, post alia
P 25 detinebit N 26 in] HNP, s. l. Lm2, om. cett
. contrarietates, ut animal in homine rationabilitatem, in boue
contrarium. sed nunc non de speciebus quaerimus, de quibus constat, sed an
ipsum per se genus eas differentias quas habent species, habere possit atque
intra suae substantiae ambitum continere, hanc igitur quaestionem tali ratione
dis- soluimus. potest quaelibet illa res id quod est non esse, sed alio
modo esse, alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non sedet,
sedet quidem potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum est eum
non agere sessi- onem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum
stat, sedet, non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem
non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est
quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit
uiuificationem, sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal,
cum formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et
habet has differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet
potestate. si enim ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit,
si autem ad species reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius
speciebus separarim nihil possit euenire contrarium. ita ipsum genus si
per se consi- 1 post homine s. l . habet E, post
rationabilitatem Lm2 2 nunc om. EGR, s. l. Lm2 4 suae
intra C 6 quaelibet illa res] HLm2NPm1 quaelibet
res ( res s. l. E) CEPm2 quidlibet Lm1R
quodlibet G 7 alio uero non esse om. Hm1, s. l . alio non
esse m2 8 secund . sedet om. CEGR 9 enim
om. CEGLPm1 (s. l . autem m2) R sessione G 10 mobilita-
tem CEGLm1P mobilitate N cum stat in
constat mut . ERm2 13 actu om. EG 14 neque
CL ad om. E animal G animalis quidem
L 16 spiritum] speciem CHR genus et] ELm2NP et
genus et H genus CGLm1R 17 non habet quidem—potestate]
habet quidem potestate sed non habet ( habet om. C)
actu CEm2P habet quidem actu sed non habet potestate
Em1G 18 consideretur] quis (s. l.) consideret E
19 autem] enim R reducat E 20 distributim]
HLm2PRm2 distri- butum CN distribute EGLm1
distributam Rm1 atque—contrarium] atque in species separatum
( separatim H) ut nihil possit esse ( euenire H)
contrarium CHN, add. locum atque ut eius—contrarium C
nihil] et nihil G 21 si ipsum genus HN deretur,
differentiis caret; quod si ad species referatur, per distributas species uel
in partibus suis contraria retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt
differentiae quas genus retinet potestate nec utraque contraria in eodem sunt,
cum contrarias differentias in eo quod dicitur genus, actu non habet,
inpos- sibilitas enim eius propositionis quae dicit contraria in eodem esse non
posse, in eo consistit quod contraria actu in eodem esse non possunt, nam
potestate et non actu duo contraria in eodem esse nihil impedit, quae uero nos
contraria diximus, Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus
contrarii oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis considerantur,
opposita sunt. Definiunt autem eam et hoc modo : differentia est quod de
pluribus et differentibus specie in eo quod quale sit PREDICARE;
rationale enim et mortale de homine PREDICATO in eo quod quale quiddam est homo dicitur, sed non in eo quod quid est.
quid est enim homo interrogatis nobis conueniens est dicere animal, quale autem
animal inquisiti, quoniam ratio- nale et mortale est, conuenienter
adsignabimus. Tres sunt interrogationes ad quas genus, species,
differentia, proprium atque accidens respondetur, haec autem sunt : quid
13—20] Porph. p. 11, 7—12 (Boeth. p. 37, 6-12). 1 species]
differentias H 2 uel om. Lm1 uelut HLm2 sin
eo] id HN quot E 7 actu ante contraria
H, post eodem CLN in eodem esse—in eodem om. EG
8 post non possunt add . quantum ad genus potestate solum,
quantum ad species actu et potestate Rm2 9 nil L
contraria nos C 11 si om. HN, s. l. Cm2 si in
semet Lm2P considerentur CLm2 12 sunt om.
HN 13 autem om. H enim C et om. CEGHNP 2
, ante eam 4 ; Porph. p. 11, 7 xo;
όντως 14 quae EP de om. C et om. CEGLIR;
Porph. xat ; cf. infra p. 267, 1 15 ra-
tionale—animal (19) ] R Q , om. cett . 16 praedicatur T
a.c. m1 quid- dam om. ΓΦ 18 homo
om. R ΔΦ , s. l . scil, homo \ m2 ; Porph. p. 11,
10 6 άνθρωπος 19 post post , animal add .
sit C, ante EG inquisiti] Porph. p. 11, 11
πυνθανομενων 20 et om. CEGLR; Porph. p. 11, 12
xac est om. HNR, s. l . 2 m2 assignauimus E
assignamus G 22 hae Hp.r.LR edd . heede m P
sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget: quid est
Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis
quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut
sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,
aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis
uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud
proprium dici potest quod de una specie PREDICARE, accidens uero tale est quod
qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero
talis est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una
quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam
praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut
mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter
se differentibus PREDICARE ad eam interrogationem, quae quale sit id de quo
quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem :
differentia est quod de pluribus 1 se om. G, s. l. E
habet CEGLR 2 per om. H ac N 3 pr .
aut] ut CHm1N post , aut] ut Hm1N habet R, post
habeat del . se habet G 4 iure—legit] differentia aut
legit G aut differentiam * ut (a er.) legit E
differentia respondetur (respondetur etiam R) id est aut sedet aut
legit Lm1 5 aut] et HLm1NP quale H 6 proprio aut
accidenti EGR respondebitur] CLm2P respondebit
EGR respondetur HLm1N 7 pr . uel om. LN uel
risibilis uel caluus] Lm1 edd . uel mortalis uel caluus
CHLmSN uel mortalis uel alicuius EGR uel mor- talis uel
saluus uel caluus Pm1 uel mortalis uel risibilis uel caluus
m2 10 quae non—demonstret] Differentia uero talis est (haec om. L)
quae (que ELm1 atque m2 ) non substantiam significet
(-cat Lm1, add. m1 Differentia uero talis est quae substantiam
significat, del. m2 ). Differentia uero talis est quae (non add.,
sed del. E ) substantiam demonstret (at Lm1 ) EGL post
significet in mg. Proprium uero est quod non sub- standam
significat H 11 quae] quia R demonstrat
CLm1 inter- roganti R ( ex -tis] quale R 12
constantiae G 13 numquam] non C tantum de una
C 14 sed om. EG, s. l. Lm2 15 quod] quod- si R
16 ad praedicatur in mg . respondetur E 18
pluribus—differen- tibus] cf. p. 265, 14 specie differentibus
in eo quod quale sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque
pertractans ait; Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad
similitudinem rtfateriae et formae constituti- onem habentibus,
quemadmodum statua ex materia est aeris, forma autem figura, sic et homo
communis et specialis ex materia quidem similiter consistit genere, ex forma
autem differentia, totum autem hoc animal rationale mortale homo est,
quemadmodum illic statua. Dixit superius differentias esse quae in
qualitate speciei PREDICARE, nunc autem causas exequitur, cur speciei qua-
litas differentia sit. omnes, inquit, res uel ex materia formaque consistunt
uel ad similitudinem materiae atque formae substantiam sortiuntur, ex materia
quidem formaque subsistunt 3—10] Porph. p. 11, 12—17 (Boeth. p. 37,
12-17). 1 post quale add . quid Lm2(in ras.)
E (sed er.) Rm1, del. m2, add . quid post sit s. l. Hm2
4 post similitudinem add . proportionemque LNRQ ( in mg
. nempe communionem Γ ); om. Porph. p. 11, 13 et) ac
ΓΔΙΙΨ- , om . L Α2Φ formae] A m2 HI!1-
speciei CEGHNPR h m1 specieique L Λ2Φ formae speciei
er. uid . Γ ; cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem-
admodum—differentia (8) ] LR Q , om. cett. post
materia add . quidem edd., recte ut uid.; Porph. p. 11, 14
μέν 6 aeris] et (s. l. m2) aere (in ras.
m2) Ψ forma] ex ( in al. litt. xV m2 )
forma L xV brm Busse; Porph . εΐϊοος post
figura haec Proportionale autem (enim Φ ) dicitur (est Σ ) quod
proportionem omnium specierum teneat (tenet Σ ) id est communionem omnium
partium uel (et T ) specierum quae diuidi (diui- dendo Rhm1
diuidendae Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo ΣΣ ) contingunt (con-
tingant R ) per (del. Σ ) differentiam figuras ΓΠ m2
diffe- rentiam figuras \ ) add . LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ , om
. Ψ , del . T m2 \ m2 7 simi- liter] Busse
similiter proportionaliter LR ll m1 similiter
proportionaliterquc ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ proportionaliter 2 brm; cf.
Porph. p. 11, 15 8 ante genere add . in Γ m2 (ex
m1 ) L Σ toto Ga.c . 9 ratione E ante
mortale add . et CEGHLPR, om . N Q cum Porph. p.
11, 16 homo est om. N , ex homine Δ m2 11
differentiam HN 12 praedicaretur HN causis Em1 post
cur add . autem Hm1, del. m2 qualitas speciei H
13 omnis ELm2N uel om. EGR 14 consistit
Ea.c.HLm2 subsistit N 15 sortitur HLm2N ex
om. CEGR formaque] et forma P omnia quaecumque sunt
corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod suscipiat formam, nihil omnino
esse potest, si enim lapides non fuissent, muri parietesque non essent, si
lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex ligni materia est, esse
potuisset, igitur supposita materia ac praeiacente cum in ipsam figura
superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex materia formaque subsistens,
ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius Achillis figura perficitur, atque
ea quidem quae corporea sunt, manifestum est ex materia formaque subsistere, ea
uero quae sunt incorporalia, ad similitudinem materiae atque formae habent
suppositas priores antiquioresque naturas, super quas differentiae uenientes
effi- ciunt aliquid quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura
consistere uideatur, ut in genere ac specie additis generi differentiis species
effecta est. ut igitur est in Achillis statua aes quidem materia, forma
uero Achillis qualitas et quaedam figura, ex quibus efficitur Achillis statua,
quae subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia
quidem eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis
animal rationale, id est speciem fecit, igitur speciei materia quaedam
est genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua
aes, hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie
differentia, quod in statua ipsa statua, quae ex aere 2 potest]
putem G putemus R 4 nec om. Gm1 ne
EGm2L 5 ma- teria est] fit materia HNP ante igitur add
. si E , sed del . 6 in om. R ipsa ER
figuram Hm1La.r . peruenerit HN 9 corpo- ralia
HNP ex om. C 11 prioris Em1G 12
antiquiorisque G 13 tamquam om. CLP, del. Hm2 ex]
ea GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura] brm materia
(in ras. Lm2) forma ac figura (ac figura del. Lm2 ) LP forma
ac figura CEGHRp figura ac forma N 15 generi]
generis EG 16 aes—statua (17) om. N materiae G 17
et quae- dam—statua] CH, om. Lm1 ( in mg . et quaedam figura
m2 ) P statua (cet. om.) EGR 18 quod] quae edd . 22
et om. EGR, s. l. Lm2 quali- tatis R igitur est
(est s. l. Pm2 ) HNP 23 figura] forma N 24
post quod add . est igitur Pm2 figuraque
conformatur, id in specie ipsa species, quae ex genere differentiaque
coniungitur. quodsi materia quidem speciei genus est, forma autem differentia,
omnis uero forma qualitas est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae
cum ita sint, iure in eo quod quale sit interrogantibus
respondetur. Describunt autem huiusmodi differentias et hoc modo:
differentia est quod) aptum natum est diuidere quae sub eodem sunt genere;
rationale enim et in- rationale hominem et equum, quae sub eodem sunt
genere, quod est animal, diuidunt. Haec quidem definitio cum sit
usitata atque ante oculos exposita, eam tamen plenius dilucideque declarauit.
omnes enim differentiae idcirco differentiae nuncupantur, quia species a se
differre faciunt, quas unum genus includit, ut homo atque equus propriis
discrepant differentiis; nam sicut homo animal est, ita etiam equus, ergo
secundum genus nullo modo distant. 6—10] Porph. p. 11, 18—20 (Boeth. p.
37, 18—38, 1). 1 formatur CHNP 2 quidem] quaedam
CHLm2PR 3 autem] nero N uero] ergo Lm1 autem
N qualitas] HNPm1 qualia CEGLR uel qualis
s. l. Pm2 5 ante respondetur excidisse
differentia coni. Brandt 6 post autem add .
et L (del.) R; Porph. p. 11, 18 post 8e add .
*αί cod. B differentias] Em2GHPm1 xV
differentiam CLPm2 ΓΛΑΙIΣΦ differentia Em1NR; Porph
,. τάς τοιούτας διαφοράς et] LPR i , om. cett.; Porph.
*a\ οοτως 7 qua CG actum R natura] HL
(del. m2) ΓΑΛΠΦ om. cett.; Porph. p. 11, 19
πεφοχος; cf. infra p. 272, 5—9. 275, 12 8 ante quae
add. ea Γ2 , s. l. A m2 , del. m. al. ,
illa s. l. Δ m2 genere sunt ΣΑΨ
rationale—sunt genere om. EG 9 et equum] equnmque C 10
diuidit L 11 cum—oculos in mg. E sit usitata] sita sit
situr (sic) Em1 ita sit m2 situ sit sita G
ante om. HNR, s. l. Lm2 oculis HN 12 post exposita add.
superius R ea GNR plenius dilucideque declarauit]
(claruit Em1Gm1 ) CEm2Gm2 plenius dilucideque
declarauit L plenius lucidinsque declarauit Hm2 plenius
dilucidiusque claruit R exempli insuper luce declarauit ( ex
decla- ruit N ) NP plenius dilucideque exempli insuper luce
declarauit Hm1 exempli insuper luce reserauit edd . 13
species ase differre] specie ( ex specierum, sequ. rasura )
differentiam E species in aere differentiam G species
ase differentiae Lm1 14 a] ad R concludit N
15 nam in ras. Lm2 sed EG quae igitur secundum
genus minime discrepant, ea differentiis distribuuntur, additum enim rationale
quidem homini, inratio- nale uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant
genere, distribuuntur et discrepant, additis scilicet
differentiis. Adsignant autem etiam hoc modo: differentia est qua
differunt a se singula; nam secundum genus non differunt, sumus enim mortalia
animalia et nos et inrationabilia, sed additum rationabile separauit nos ab
illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed mortale adpositum disiunxit nos
ab illis. Vitiosa ratione et non sana quod uult explicat definitio
quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quaeque res ab alia distet,
in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita concluserit :
differentia est id quod est differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem
differentiae usus est 5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38,
1—5). 2 describuntur EG 3 post equo
distinguunt edd., post equus expec- tatur igitur’
Schepps , additum eqs. nominatiuum absolut . (cf. indicem Meiseri)
interpretatur Brandt qui Lm2P 5 autem om .
\, del. Lm2 A. m2 etiam om. H etiam et
Λ eam et Ν Σ ; Porph. p. 11, 21 St καί 6
qua] Porph. διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα; ‘an
quo?’ Busse, sed cf. infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab
illis (9) ] LR Q , om. cett. post nam add . homo
et equus cum Porph. edd. (cf. etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra
p. 269, 9) , etiam Bussio homo atque equus addendum uid . 7
enim] autem Γ 8 inrationalia ( uel irr-) R ?ΓΠ
(in ras.) ros. ex -bilia Δ sed—illis
(9) om. R ratio- nabile] p.r
rationale \ a.r. et cett . separauit] disiunxit ΓΦ 9
et] CHP, s. l. er. uid. Δ , om. cett .
rationabiles] L \ m1 2 rationale CP rationales
cett., add . enim ΕGΗ ΑίΙΦΨ ; codd. Porph. aut
λογικοί aut λογικά sumus om. CEGHP; Porph .
έσμέν et nos om. E et om. N di C dei
ut uid . 2 sed—ab illis om. EG 11 ante
Vitiosa in ras. Haec E ratione] L edd., om. cett.
(recte?), in ras . est E et om. G sane E (in
ras.) NP explicans HNP non (s. l. m2) explicat
L 12 id] cf. p. 263, 10 13 aliis R distat
HN differt P 14 dixerit Lm2P an] utrum
R concluderit L concludat EGR id quod est
om. E ante differentia add . ipsa ER differentia
om. G 15 etenim om. EGR differentiae nomine] qua differt una res ab
alia, id est id quod est differentia est differentia. Differentiae nomine fid
est—nomine in ras. m2) E in—definitione] usus in eius
diffinitione N definitione dicens : differentia est qua
differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione
clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius
attulit ad agnitionem qui differentiae nomine in eiusdem usus est
definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales
differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a
se differunt singula; quae enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut
cum homo atque equus idem sint in animalis genere, quoniam utraque sunt
animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub
rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad
equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo
substantiales differentiae colliguntur, quodsi Socrates sedeat, Plato
uero ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quae substantialis non est.
namque istam quoque dif- ferentiam definitio uidetur includere, cum dicit :
differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone
distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus potest —, id erit
differentia secundum superioris terminum definitionis, quam rem scilicet
uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum communemque finem reprehendentes
certae conclusionis terminum subiecerunt. 2 nesciatur Lm2
(non noscitur m1) P definitione] in definitione N 3
qui] LN quomodo CEGPR qui * (d er.) H
possemus EG possi- mus R 4 ita om. EGR
cognitionem NPm2, post agnitionem add. a
cogitatione Hm1, del. m2, s. l. uel cognitione m2, del. m.
al. set om. EG 7 accidentales Lm2Pm2 9 sunt
EGHLm1R in om. GNR 11 et om. EGR
rationabilitate CGLm1 rationale N sunt CEGLm1R 12
positi] post EG post differunt add. tamen L
rationabile L 13 est om. C 15 ambulatio uel om.
EG, s. l. Lm2 16 nam HLm1 ista E 18 quo
EGHm1 post differunt add. a se R cumque
EG quoque Rm1 quocumque modo P post enim s.
l. modo Lm2 19 de- stiterit CEm1HPRm2
distauerit m1 post alio s. l. modo Em2 ac-
cidentibus] ex accidentibus P Interius autem perscrutantes
de differentia dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere
diuidentium esse differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est
esse rei pars est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit hominis
differentia, etsi proprium sit hominis, dicimus enim animalium haec quidem apta
nata sunt ad nauigandum, illa uero minime, diuidentes ab aliis, sed aptum natum
esse ad nauigandum non erat comple- tiuum substantiae nec eius pars, sed
aptitudo quaedam eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae
specificae dicuntur differentiae, erunt igitur specificae differentiae
quaecumque alteram faciunt speciem et quaecumque in eo quod quale est
accipiuntur. Et de differentiis quidem ista sufficiunt. Sensus
propositionis huiusmodi est. quoniam superius dixit determinasse quosdam differentiam
esse qua a se singula dis- p. 90 creparent, ait alios diligentius
de differentia | perscrutantes non 1—15] Porph. p. 12, 1-11 (Boeth. p.
38, 6—17). 1 perscrutantes] EGHP perscrutantes et speculantes
cett.; Porph. p. 12, 1 προσεξεργοζόμενοι de
differentia] CH (linea del., sed lin. er.) Σ
differentiam cett. edd. Busse; Porph. p. 12, 1 τά περί τής
διαφοράς 2 non] non solum R , quodlibet] quod habet ELm1 h m1
X , post quod- libet er. habet 23
diuidentium esse om. X , s. l. Lm2 sed quod—
dicuntur differentiae (12) ] LR Q , om. cett. 5 aptum]
actu R natum om. LR; Porph. p. 12, 4 τδ πεφοχέναι
πλεΐν 6 dicimus] Porph. p. 12, 5 εΐποιμεν γάρ dv
, unde dicemus coni. Brandt, cf. supra p. 230, 18. 19;
infra 12 erunt ειεν άν ; p. 234, 16. (erit). 17.
235, 2 (erunt) 7 ani- malia A acta Rm1 nata
om. LR 8 aliis] illis A 9 actum Rm1 natum
om. R est R erit h m2 10 neque Busse
11 est om. R quoniam om. LR 12 quae om.
Φ igitur] ergo L 13 alteram— quaecumque om.
H 14 et] ea EG quale in er. quid ut
uid. Hm2 quid EG post est add. esse EG
accipiunt EG 15 Et—sufficiunt om. N Et om. CEGP;
Porph. 12,11 Καί de om. EG A diffe-
rentiis] Porph. περί μίν διαφοράς quidem om.
H sufficiant CL X m2; Porph. άρχει 18
alios] ilico EGLa.c. ilico alios P de differentia]
differentiam CLm1P fuisse arbitratos recte esse superius
propositam definitionem, neque enim omnia quaecumque sub eodem posita genere
dif- ferre faciunt, differentiae hae de quibus nunc tractatur, id est
specificae, numerari queunt, plura enim sunt quae ita diuidunt species
sub uno genere positas, ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non
uidentur esse differentiae speci- ficae nisi illae tantum quae ad id quod est
esse proficiunt et quae in definitionis alicuius parte ponuntur, hae autem sunt
ut rationale hominis, nam et substantiam hominis conformat et ad esse
hominis proficit et definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse
conducit et eius quod est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo
poterit nuncupari, quid est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni
cuique enim rei interrogatae quid est? si quis quod est esse monstrare
uoluierit, definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit
pars quae unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quae
quid una quaeque res 1 positam EG 2 posita] posita sunt
EGL post genere add. quae Lm1, del. m2 3 differentiae—id
est om. CN hae om. H id est om. R, er. uid. H, s.
l. Lm2 4 nominari HLm2NR 5 earum H 6 quia] quae
CH specificae ante esse H, post N 7 proficiant
R et quae] eaeque G eae quae Em1, del. m2, etiam
proxima in—ponuntur del. m2 8 in del. Lm2, om. P
diffinitiones N definitionibus EGLm1 aliqua
N partes EGLP post ponuntur add. ut mortalis
rationalis Em1, del. m2 hae] ea EGLm2P 9 et s. l.
Lm2 et ad G con- format—hominis om. EG 11
conducat EHm2Lm2N et eius—pars sit] N et eius quod (
add. quid Rm1, del. m2 , quidem ex quid Hm2 ,
del. m3 ) est esse rei pars sit (est Hm1) HR et eius rei quod est
(est del. Lm2 ) esse pars est (est om. Lm1, s. l. sit
m2) CL et eius quod quidem esse rei pars est P eius rei quod
quidem (aliquid add. E) EG 13 esse om. G, ante
autem H nihil del. Em2 est s. l. Lm2Rm2
esse E (del. m2) G unius cuiusque R 14 interrogatae] ad
inter- rogationem CHN quis] quid Lm2 quod] id
quod CHNP 15 qua] quid CHN 16 post
eius s. l. rei Lm2 quae] quod HLm1N quid]
quod N sit esse L esse fit G est esse
Hm1N 17 designat Lm2P significet Hm1N est quidem] enim
est HN quae quid] quia N sit, ostendit ac
profert, demonstraturque quid uni cuique rei sit esse per definitionis
adsignationem. illae uero differentiae quae non ad substantiam conducunt, sed
quoddam quasi extrin- secus accidens afferunt, specificae non dicuntur, licet
sub eodem genere positas species faciant discrepare, ut si quis hominis
atque equi hanc differentiam dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus
est ad nauigandum, equus uero minime, et cum sit equus atque homo sub eodem
genere animalis, addita differentia aptum esse ad nauigandum equum distinxit ab
homine, sed aptum esse ad nauigandum non est huiusmodi, quale quod possit
hominis formare substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat
et ad faciendum aliquid uel non faciendum oportunitatem. idcirco ergo speci-
fica differentia esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub
eodem genere positas species distribuit, spe- cifica esse possit, sed ea
tantum quae ad substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis
accipitur, concludit igitur esse specificas differentias quae alteras a se
species faciunt per differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse
quodcumque substantialiter fuerit, quaecumque differentiae
substantialiter diuersae sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia
faciunt alteras ac discrepantes, atque hae in definitionis parte sumuntur, nam
si definitio substantiam monstrat 1 ostendit om. E
ostenditur N ac er. E, om. N profert om. N
demonstratque CLm1 quid] quod Lm1Pm1R quidem quid
N 2 per om. EGR, in mg. Lm2 assignatione EG 3 ad
om. EΡ quasi om. EGPR 5 faciant om. EG
facient CLm1Rm1 7 homo enim (autem LR )—equus]
HLNR hominem equum (cet, om.) CEGP 10 esse ad—sed
tantum (11) om. EG 11 quale om. EGR, del. Lm2 ante quod
(quid P ) add. per L (del. m2), s. l. Pm2
post substantiam add. sicut rationale quae est substantialis
qualitas C 12 habitudinem Hm1 13 opportunitatem
CR differentia specifica C 18 ante esse
add. eas HΝΡ, s. l. Lm2 quae—differentias om. EGR
ad faciunt s. l. 1 informant Lm2 19
differentias ex distantias Lm2 idem est ( in
ras. m2 ) esse H idem esse est R 21 sint
Hm1 omnes EGP 22 substantias P substantiae
Hm1 substantiae ratione N et substantiales differentiae
species efficiunt, substantiales dif- ferentiae erunt partes
definitionum. Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et
id quod soli alicui speciei accidit, etsi non omni, ut homini medicum
esse uel geometrem, et quod omni accidit, etsi non soli, quemadmodum homini
esse bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut homini in senectute
canescere, quartum uero, in quo concurrit et soli et omni et semper,
quemadmodum homini esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen risi- bile
dicitur, non quod iam rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est
naturale et equo hinnibile, haec autem proprie propria perhibent esse,
3—p. 276, 2] Porph. p. 12, 12—22 (Boeth. p. 38, 18—39, 9). 1
et om. EG, s. l. Pm2 2 erunt post partes
Lm2 sunt m1 sunt post definitionum CGR, s. l.
Em2 3 DE PROPRIO om. H, add. Lm2 EXPLICIT DE DIFFEREN.
(DIFFERENTIIS Ψ ) INCIPIT DE PRO- PRIO 2<F 4 et s.
l. C 5 hominem R h m1 A 6 uelut H geo- metram CEm1G
edd. Busse et quod—perhibent esse (14) ] LR (
locum hic om., p. 277, 7 post adest inserit ) Ω
, om. cett. omni] Porph. p. 12, 14
παντί—τφ εϊδει 7 etsij et R T m1 ante
homini add. et R 8 homini] Porph. p. 12, 16
όνΟ-ρώπψ παντί , unde homini omni coni.
Busse 9 post uero add. est Φ in quo concurrit
et del., in mg. conuenit T m2 10 hominem R
Σ 11 risibilem R ΓΣΦ ; Porph. p. 12, 17 ώς τψ
άνθρώπψ τό γελαστιχόν non semper rideat] L Σ non rideat
ΓΑ non ridet ( hic ut uid. s. l. semper add., sed er.
\ ) R AIIΨΨ semper non rideat Busse non rideat
semper edd.; Porph. p. 12, 18 χαν γάρ μή γελά αεί
risibile tamen L Λ edd. Busse; Porph. άλλα
γελαστιχο'ν 12 iam] semper Σ edd.; Porph. p. 12,
19 άεί , cod. Mm2 ί)Bη rideat—natus
sit om. Φ 13 sit natus R, add. ad
ridendum R ΓΑ ridere Σ , ante sed
add. ridendum Φ ; om. Porph. semper ei est
naturale L semper est ei naturale Γ ei semper naturale
est Σ ante et add. ut (om. etiam B Bussii)
edd. Busse ; Porph. p. 12, 20 ώς , om. cod. A 14
autem] Porph. 81 xai , om. xai
cod. A proprie—esse] L Λ (esse s. l. m2 )
Σ (esse om. ), proprie domi- nanterque (nominantur T m2 )
propria perhibentur (perhibentur del. Γ m2 ) ΓΦ
proprie nominantur (nominant Π ) propria R ΔΙΙ uere dicuntur
propria Ψ ; Porph. χυρίως ΐßιά φασιν
quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid
hinnibile, equus. Superius dictum est omnia propria ex accidentium genere
descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur, aut substan- tiam informat aut
secundum accidens inest. nihil uero est quod cuiuslibet rei substantiam
monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et differentia
speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in accidentium
numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam
differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore atque antiquiore
nomine accidentia nun|cupantur. et de accidentibus paulo post, nunc de
propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus aliquod proprium in
quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita
intellegendum est, tamquam si diceret nuncupant, id est propria
quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes enumerat,
ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo
proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coaequetur
ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur proprium medicum esse,
idcirco quoniam nulli alii inesse ani- 3 superius eqs.] fort. p. 186,
12—187, 1. 1 enim equus om. N equus—equus] CEGHNP
U ( sed add. et si homo, risibile, si risibile, homo est] cum
Porph. p. 12, 21, post pr. equus add. et R A est
et L est etiam est et (sic) Φ equus est et
hinnibile est (est s. l. F\ m2 ) et quicquid hinnibile equus
est ΓΔ est equus est hinni- bile et quicquid est hinnibile est
equus ( quattuor est s. l. m2 ) Ψ equus est hinnibile
et quicquid hinnibile est equus est et si homo est risibile est et risibile
homo est 2 4 alio N 6 ante species
add. et Lm1, del. m2 7 et om. R
genus—diiferentia om. EGR, s. l. Hm2 11 ante antiquiore
add. in ER 12 nunc ex nam Hm2
quadrifarie N in quadrifariam (-um GP ) EGP
diuidunt H (ur er. ) P (ur del. m2 ) 13
aliquid CPm1 14 ait om. E ( in mg. dicitur
m2 ) G est R diuiduntur EG 15 nuncu-
pantur EGR 16 proprie CEm1G propriam ut uid.
Pm1 propriam m2 dicuntur EGHm1La.c.NR
quadrifariam C 18 proprietas Ea.c. (proprii p.c.
) G dicitur CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P ergo om.
C proprium s. l. Cm2 primum m1 20 ei
ante nullo HN ac] et HNP dicimus HN
malium potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari
possit, sed illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum
esse, et haec quidem significatio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni;
soli enim speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem
inest homini, sed non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium
est quod huic e contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut
omnem quidem speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem
nihil est sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni,
quoniam uero transcendit in alias, dicimus non soli: hoc huiusmodi est quale
homini esse bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo
bipes est etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur
significationes proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima
quidem quia non omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus
omni et soli, sed demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando,
ut sit haec tertia proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando, ut
est in senectute canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest
in iuuentute pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius
hominis est, sed ali- 1 hoc om. EG homini EN 2
quod] quia HN nisi de homine post esse N 3
medicus Hm1N 4 inesse] CP, s. l. Hm2Lm2, om.
EGR inest N etiamsi Em2 (et m1
) Hm1LR 5 etiamsi EHm1L ( repet, post
inest) PR coaequetur Em2Hm1 ante medicina add.
homini H (del. m2) LNR 6 homini om.
NR, s. l. Hm2 adest] adesse potest CLN potest esse H;
de R cf. ad p. 275, 6 7 est ante aliud HN, post
CG, om. E 8 etiamsi HLNR quid HN 10 quod
illo—non soli in inf. mg. Em2 post dicimus add.
enim C 11 aliis Em2G 12 hoc] id N
post quale add. est s. l. Hm2, post
homini CG 13 hominis R, post homini add.
proprium Em2 enim in mg. Em2 14 etiamsi—geminae
om. EGR 17 sed Hm2 si m1 demimus]
HN deminus Cm1 i demimus ί deest minus
m2 dempsimus R dedimus Em1 (addimus m2
) G deest minus LP 18 eis HLP ei
post adiciatur N 19 omni et soli] et soli et omni
C sed] si G 21 post. in] et in HN 22 est
hominis HN quando, neque enim omni tempore, sed in sola
tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem modo quod
omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel contrahit, cum
dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra simplexque
significatio hoc modo : proprium est quod omni et soli et semper adest,
omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini risibile, equo
hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper. neque illud nos
ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non enim ridere est
proprium hominis, sed esse risibile, quod non in actu, sed in potestate
consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse soli et omni homini
semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur, nam si actus separatur
ab specie, potestas nulla ratione disiungitur. Quattuor igitur
significationes proprii dixit, nam prima quidem, quando accidens ita
subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non omni, ut homini
medicina; secunda uero, 1 in om. EGR, s. l. L, post
tantnm P tamen L post iunentnte add.
pubescit N 2 post proprii add. integra
simplexque significatio GHP (del. m1? ex 5) in eo—fit proprii
(4) om. R modo om. N, del. Lm2 3 inest om.
EG est Lm1 minus La.c. minui N
minuens P aliquid uel] atque significationem in ras.
Em2 uel] CNP et GL, om. ΕH 4 quod] quam
N 5 simplexque] et simplex HLNR proprii R 6 soli
et omni N secund. et om. GLR, s. l. Pm2
omni autem—intellegendum est om. Rbrm 7 et semper om. EGR,
del. Lm2, s. l. Hm2Pm2 intellegendum est del. et s. l.
adest scr. Hm2, in mg. quod soli et omni adest m. al. 8
post. et om. EGPR post semper add.
similiter et equus hinnibile brm 9 illud Hm2 enim
Hm1N 10 proprium est NPR sed] si est R esse
del. Lm2 est R 11 sed] si R 12 si non rideat
etiam C quia om. N, s. l. Hm2 tamen om. R
autem HN possit La.c.N potest Em2 post
omni add. adsit H (del. m2) adest N
13 ante semper s. l. et Hm2 semper om. R
ante conuenienter add. et H (er.) L (del. m2) NP
14 si] etsi Hm1Lm1N separetur Em2 a C 15
proprii om. EG nam prima] unam CHm1 (primam m2) N
nam (s. l.) primam P 17 homini medicina] hominem esse
medicum C secundam CHN; in mg . ał. se- cunda autem cum omni
accidit etsi non soli ut homini esse bipedem add. L uero]
autem CL (in mg.) cum soli quidem non adest, omni uero semper
adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia uero, cum omni et soli, sed ali-
quando, ut omni homini in iuuentute pubescere; quarta, cum omni et soli et
semper adest, ut esse risibile, atque ideo cetera quidem conuerti non
possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non omni speciei adest, species
quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie minime, qui enim medicus est,
potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse non dicitur, rursus quod ita
est alii proprium, ut omni adsit etiamsi non soli, ipsum quidem de specie
PREDICARE potest, species uero de eo minime, nam bipes praedicari de homine
potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod ita adest, ut omni et soli,
sed aliquando adsit, quoniam de tempore habet aliquid deminutum nec simpliciter
semper adest, reciprocari non poterit, possumus enim dicere omnis qui
pubescit homo est, non omnis homo pubescit: potest enim minime ad iuuentutem
uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte non sit pubescere hominis proprium,
sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum nondum est in iuuentute aut etiam
praeteriit, tamen sit ei proprium non tale quale tunc fieri possit, cum
praeter iuuen- tutem est, sed quale cum in iuuentute consistit, atque ideo
hoc 1 cum] quae N soli—adiungitur del. Hm2 omni accidit
etsi non soli CHm2L semper s. l. Hm2 2 hominem
C tertiam CHN soli et omni N 3 omnio m.
LNR homini om. N quartam CG (sic) HN 4
post. et om. EG, add. Pm2 inest CHm1N ideo
om. E adeo HLR 5 coaequantur HN 6 quodj quia
cum Hm1N non omni sed soli N sed] si R 7
qui enim—dici homo om. EGR 8 homo dici C 9
ad alii s. l. a t illud L, post add. una pars
R 11de homine praedicari C 13 adest ex est
Em2 distat Hm1 assit ex sit Hm2 14
diminutum EN nec] et Hm1 16 non] non tamen
dicimus L homo] qui est homo L qui homo est (qui
et est s. l. m2) H 18 ante sed add.
solummodo Hm2, ante in CN, post post. pubescere
L aut] Hm2La.c.Pm2 ut EGHm1Lp.c.Pm1R autem
CN 19 cum] Hm1NR quod CEGHm2LP etiam s. l.
Hm2 iam Em1 20 sit] adsit CHN ei om.
G fieri om. C, in ras. Lm2 fieri possit del., est
s. l. scr. Hm2 potest L (in ras. m2)
P est C 21 post quale add. tunc fieri
potest (posset CHLm1N) CH (s. l. m2) LNP quod non in omne
tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni p. 92 speciei adsit,
quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum atque absolutum proprium
esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest, ut et solam teneat speciem
et omni adsit et absolutum sit a temporis condicione, ut risibile quod a
superiore plurimum distat; nam qui risibilis est, semper ridere potest, rursus
qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa iuuentus non sit semper, non ei
adest semper ut in iuuentute pubescat, haec autem quarta proprii significatio
quoniam nulla temporis definitione constringitur, absoluta est atque ideo
etiam conuertitur et de se inuicem proprium atque species praedicantur; homo
enim risibilis est et risibile homo. Accidens uero est quod adest et abest
praeter sub- iecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa- bile
et in inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse
inseparabiliter coruo et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus
albus et Aethiops amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur
autem sic quoque; accidens est 13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8
(Boeth. p. 39, 10—21). 1 quod] quia HN 2 speciei]
tempori EGR aliquid C 4 alicui om. EG, del.
Hm2 ali R alii Lm1 pr. et om. EGLR
post. et] ut La.c.R 5 post. a s. l.
Hm2 6 qui ex quod Lm2 7 ante
cum add. sed CH (del. m2) NP, s. l. Lm2 8 adest]
est EGR in iuuentute deleri uult Hilgard 9 quoniam]
quam EGLm2P 10 definitio ( uel difd–) EGLm2R
constringit EG 11 et de se] et ideo de se P de se
om. R De specie EG 12 risibile C et om.
EGHR 13 inscript. om. HL K ACCIDENTE ΝR ΔΣ
14 uero om. A 15 diuiditur—sub- sistens (p. 281,
3) ] LR Q , om. cett. duobus L 16 in om. Φ
nam A Busse 19 amittens colorem] A m1
T" nitens colore c ett. edd. Busse; Porph. p. 13,
2 άποβαλών τήν χροιάν; cf. supra p. 101, 13
corruptionem subiecti LR ϋίΓΦ ; codd. Porph.
φθοράς aut ante τοΰ υποκειμένου aut
post; cf. infra p. 281, 17. 282, 3. 8 20 definitur]
Porph. p. 13, 3 ορίζονται quod contingit eidem esse et
non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species neque proprium,
semper autem est in subiecto subsistens. Omnibus igitur determinatis quae
proposita sunt, dico autem genere, specie, differentia, proprio,
accidenti, dicendum est quae eis communia adsint et quae propria. Quouiam, ut
superius dictum est, quae de aliquo PREDICARE, uel substantialiter uel
accidentaliter dicuntur cumque ea quae substantialiter PREDICARE, eius de
quo dicuntur substantiam definitionemque contineant et sint eo antiquiora atque
maiora, quod ex substantialibus PREDICATO efficiuntur, cum ea quae
substantialiter dicuntur pereunt, necesse est ut simul etiam ea interimantur quorum
naturam substantiamque formabant, quae cum ita sint, necesse est ut quae
accidenter dicuntur, quoniam substantiam minime informant, et adesse et abesse
possint praeter subiecti corruptionem, ea enim tantum cum absunt subiectum
corrumpere poterunt, quae efficiunt atque conformant quae sunt substantialia,
quae uero 8 superius] p. 276, 4. 1 contigit - R A
ante pr. esse add. et R, s. l. \ m2; om. Porph.
p. 13, 4 post. et] uel L ( post uel littera
er. ) edd.; Porph. η , codd. CM nat
2 post genus s. l. est A m2 neque species neque
differentia ΔΔΣ edd. Busse; Porph. οοτε διαφορά
οϋτε είδος post proprium add. sit LR 3
consistens Λ 4 praeposita Δ m1 5 dico—accidenti
om. Γ propria Φ proprio et L ΔΑΣ
accidente H et accidenti L A m2 (et accidente m1
) ΛΣ de accidenti EG 6 eis] his CHP
hiis Φ uel his R , om. EG; Porph. p. 13,
7 αΰτοϊς adsint] sint R sunt L Λ m1 ηιΙΧΣ
; Porph. πρδσεοτιν et om. G 7
post propria add. EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA
PROPRIO ACCIDENTE Σ 8 ut om. EG alio CEGR 9
accidentialiter CP accidenter HR dicuntur] praedicantur
R cum EG 11 definitione EG maiora atque antiquiora
C 12 quod] quia R substantialiter CN efficitur
CHm2LN 13 cumque N , post cum s. l.
accidenter E intireunt P 15 an informabant?
acci- dentaliter Lm2 16 et om. EGR, s. l. Lm2 abesse et
adesse H 17 possunt N tantum enim C 18
perrumpere E potuerunt LR 19 informant HN
non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec
informant substantiam nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest
praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis
enim aliud est separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire,
sedere, inseparabile uero ut Aethiopi atque coruo color niger. in qua re
talis oritur dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et
abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando
inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra
igitur positum est accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint
quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant separari, sed fit saepe ut quae
actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione sepa- rentur. sed si animi
ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua
substantia permanent atque perdurant, accidentes esse intelleguntur, age
igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest, animo eum atque
cogitatione separemus, erit igitur color albus Aethiopi, num idcirco species
consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione
separemus, permanet tamen auis nec interit species, ergo quod dictum est
et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est. alioquin et sub-
stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et cogi- tatione
disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus 1 cum—absunt] uel
cum adsunt uel cum absunt H uel cum absunt uel cum adsunt
N cum uel (uel s. l. m2 ) absunt uel adsunt L; ante
assunt (sic) add. uel P 3 ante adest
add. et P 4 dinidunt EGLR accidens
edd. aliud est enim H 5 ante dormire
add. ut brm 6 ut om. HR edd. 7 dubietas CEG
(recte?) post. est add. Hm2 8 et] uel N
potest CL 9 dicit EG 11 abesse-et adesse E
12 ab CRm1 14 animi] hac C 15 eas EGN
permaneant G ac R 16 acciden- ter CG
intellegantur Em1 igitur] enim HN 17 eum om. G,
ante separemus C , uero E atque] et HLNPR
18 num ex non Rm2 19 consumptae (consumpta R )
sunt EGLR edd. ita CEP 20 imagine EGR 21
interiit Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2 22 et om. CEG
23 si] saepe Hm1LNP 2t rationalitatem P — quam
licet actu separare non possumus, tamen animi imaginatione disiungimus —,
statim perit hominis species, quod idem in accidentibus non fit: sublato enim
accidenti cogitatione species manet. Est alia quoque accidentis definitio
ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur esse accidens quod neque genus sit
neque species nec differentia nec proprium; quae definitio plurimum uaga est
ualdeque communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species
neque differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo species ac
differentia et proprium, cum autem eadem similitudine definitionis plura
definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, praesertim cum
longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam
aliarum rerum negatione demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id est
genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum
terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac-
tanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias haec quinque, de
quibus superius disputatum est, quas uero com- muniones, mediocri
consideratione demonstret, ut non solum 1 separari EG
possimus EL post tamen add. si L, s. l.
Hm2Pm2 2 imaginatione] cogitatione N statimque C
(q. er. ) H (q. del. m2) N periit PR
3 item CHm1 sit EN (ut uid.) sublata EGR
enim s. l. Cm2 accidenti om. EGR, post cogitatione
N 4 ante cogitatione er. et C
quoque om. EGP (sic) accidentis om. C, post definitio
R 5 ad priuatione s. l. quae fit per
priuantiam Em2 id om. EG dicat EGR 6 fit
C neque differentia neque proprium LNR 8 enim om. NR
nec ( ante differentia) CH 9 neque NR sit om.
L, post accidens R neque N 10
proprio HPm1 11 plurima L queunt EGLm1R
termino Ep.c.R et om. EGR 12 ab LR ac G 13
negatione rerum E 14 demonstret N 15 post
genere add. quidem CP 16 ante proprio
add. et H ante quantum add. et PR, s. l.
Lm2 17 post breuitas repet. expeditis
PR, s. l. Em2 pertractanda om. C
retractanda HNP 18 ante quas s. l.
quia Em2 19 de quibus om. E disputandum G
quas nero] quasue CL quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum
inter se compa- rentur, appareat. 1 quid] H, m2 in CLP
quod NPm1 quae Cm1EGLm1R compa- rantur E 2 BOEZIO
( BOETI E) V. C.ET I LL . (EXINI sic E ) EXCONS. ORDINAR.
PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII ( Y ex I Gm2) ID
EST INTRODVCTIONEM IN CATE- GORIAS A SE TRANSLA. (sic EG) EDITIONIS
SECVNDAE LIBER IIII. EXPL. ( EXPLICIT’ E) . INCIPIT LIBER V.
EG ; EXPLICIT LIBER ( LIBER om. C) QVARTVS. INCIPIT
LIBER ( LIBER om. HN) QVINTVS CHLNP, add. DE
COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET PROPI N ; EXPLICI R
Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius cuiusque
consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc iam non de
singulorum natura, id est uel generis uel differentiae uel speciei uel
proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione pertractat, nam qui
communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per se res illae
considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo, uel
similitudine, dum communitates sectatur, uel dissimilitudine, dum
differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter
planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his
communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et
accidenti. Commune quidem omnibus est de pluribus praedi-
15—p. 286, 18] Porph. p. 13, 9-21 (Boeth. p. 40, 1—16). 3 cuiuscumqne
C considerationem Ea.r.G 4 id est om. N, add.
Rm2 5 pr . uel om. P secund. uel] et
P 6 nam quia R namque Hm1N 7 sunt. om. C 8
ille GLNP, post illae s. l. sint Cm2 ut om.
R ad s. l. LRm2 post alias add. qualiter
CHPR, s. l. Lm2 comparantur EGHm2, recte? cf.p. 284, 1 post
autem s. l. fit Cm2L, in mg. Em2, post
duplici s. l. Pm2 9 dum—dum om. EG sectatur]
retractat R retractantur L (n del., s. l. a i
sectatur] P 10 differentiae La.c.P uel
differentia EG 11 ad adhuc s. l. id est
(uel G ) hac tenus EGm2 12 his] his omnibus R
communibus EGR 13 utrumque et om.
EGLR uel om. R et NP 14 et] uel EGL
atque R 15 ante Commune add. inscriptionem
DE COMMVNIBVS GENERIS (ET add. ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE PROPRII
ET ACCIDENTIS ΛΠ Busse, N in subscript. libri IV
cum alio ordine uerborum, DE HIS (HIIS Φ ) COMMVNIBVS QVAE ASSVNT
(sunt A ) GENERI ET SPECIEI (ET SPECIEI om. T ) ET
DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET ACCIDENTI (accidenti proprio et differentiae A
) ΓΑ (litt. minusc.) Φ , INCIP. DE EORV
COMVNIBVS 2 DE COMMVNITATIB; OMNIVM. *i' ,
inscript. om. CEGHLPR cari, sed genus quidem de
speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species autem de his quae
sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius est proprium et
de his quae sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de speciebus et de
indi- uiduis. namque animal de equis et bobus [et canibus] praedicatur,
quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quae sunt indiuidua,
inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de his qui sunt par-
ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui sunt particulares
praedicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt
particu- lares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt
particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo,
quod est accidens separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis,
secundum posteriorem uero rationem de his quae continent
indiuidua. Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam
prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide- 1
sed—separabile (16) om. HNP post. de om. R 2 autem]
quidem Δ hiis Φ , item 4 3 post
indiuiduis s. l. praedicatur Em2 at uero
—separabile (16) om. CEG at uero—indiuiduis (5) om.
Σ · 4 de his om.R 5 post. de om. R 6
bubus Lm1 A bobis R, ante add. de L T de
bobus Busse et canibus cum Porph. p. 13, 14 om. edd., delend. uid.
Bussio 7 praedicatur post species R pr. (sic) de
om. R 8 inrationabile L et om. Porph. p. 13, 15;
ante et add. similiter R 9 de om. R
bubus RLm1 A praedicatur s. l. \ m2
(dicitur m1 ), post particulares Λ2 quae L
TA 10 quae R ΓΑ 11 particularia R, add.
homines L 4ΛΦ ; om. Porph. p. 13, 16
proprium—particulares (12) om. R quod est] otov
Porph. p. 13, 17 12 pr. et om.
L ΆΣ Busse (casu ut uid., cf. eius adnot. ad
Porph. p. 13, 17 v-ai ), add. \ m2
13 pr. et om. Busse; Porph. p. 13, 18 τοΰ τε
εΐδοος 14 qui] quae R 15 de homine—equo post
separabile R 16 sed om. Π Σ post
principaliter add. accidens praedicatur Φ , s. l.
accidens Lm2 17 secundum—rationem] secundo uero (cet. om.)
N ΛΣΦ ; secundo etiam T m1 ; uero post
secundum C posteriore E ratione E orationem
Λ ante de add. et edd. cum Porph. p. 13,
21 18 post indiuidua add. speciebus N Σ 20
uidentur RG antur. haec est autem una communio quae
propositarum quinque rerum numerum pluralitate praedicationis includit;
omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi cuncta communicant, nam
et genus de pluribus praedicatur, itemque species ac differentia et
proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque indiscreta
communio de pluribus PREDICARE, disgregat autem ipsam de pluribus PREDICAZIONE,
quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque proposi- torum de quibus
pluribus praedicetur ostendit, ait enim genus quidem de pluribus
praedicari, id est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal praedicatur de
homine atque equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt atque sub equo,
item genus PREDICARE de differentiis specierum atque id iure. quoniam enim
species differentiae informant, cum genus de speciebus praedicetur,
consequens est ut etiam de his dicatur quae specierum substantiam formamque
efficiunt, quo fit ut genus etiam de differentiis praedicetur ac non de una,
sed de pluribus; dicitur enim quod rationabile est, esse animal et rursus quod
inrationabile est, esse animal, ita genus de speciebus ac differentiis
praedicatur ac de his quae sub ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de
speciebus dicitur pluribus ac de earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo
praedicatur ac boue, quae sunt plures species, et de his quae sub ipsis sunt
indiuiduis eodem modo dicitur; nam quod de uniuersali praedicatur,
praedicatur et de indiuiduo. quodsi differentia de speciebus dicitur,
praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1 praepositarum HN
5 post. et] atque R 7 autem] ut est E 8
quod] ut Em2P et quod La.c. et ut p.c.,
ante quod s. l. in eo Hm2 praepositorum
HN 9 ostendat ELm2P 10 id est om. HNR, er. G 11 atque]
et CL equo ac de om. EG ac] atque CL
et R 12 de om. L, s. l. Cm2 qui EGP post.
sub om. LNP 14 enim del. E 15 praedicatur
HN 16 perliciunt HNP 18 rationale EGHNP 19
quod om. R, in ras. E, quoniam GLm1 inrationale
HNP est om. R 21 differentiae... dicuntur R 22
inrationale ( uel irr-) Em2 (rationabile m1)
HLm2NP 23 bouej de boue N et de] deque EG 25 et
ante praedicatur C 26 praedicatur C etiam
om. EN iectis. species uero de suis tantum indiuiduis praedicatur;
neque enim fieri potest, ut quae species est ultima quaeque uere species ac
magis species nuncupatur, haec alias deducatur in species, quod si ita est,
sola post speciem indiuidua restant, iure igitur species de suis tantum
indiuiduis praedicantur, ut homo de Socrate, Platone, CICERONE et
ceteris, proprium item de specie PREDICARE cuius est proprium, neque enim esset
proprium alicuius, si de alio diceretur; de quo enim una quaeque res ‘et soli
et omni et semper’ dicitur, eiusdem pro- prium esse monstratur. quae cum ita
sint, proprium de specie dicitur, ut risibile de homine; omnis enim homo risibilis
est. dicitur etiam de indiuiduis speciei de qua praedicatur; est enim Socrates,
Plato et CICERONE risibilis, accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et
de diuersarum specierum indiuiduis. dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri
et hic cor- uus et hic Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum
nigre- dinis qualitatem uocantur. atque hoc quidem est accidens inseparabile,
sed multo magis separabilia accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini
et boui — uterque enim moue- tur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque
boue indiuidua, moueri saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore
Porphyrio quod ea quae accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in
quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum
referuntur, atque ita praedicatio 1 praedicabitur CLP 3
uero C 5 praedicatur Cm1EGLRm2 7 esse E 8
nisi HPR, ex si CLm2 aliquo CHP ante
diceretur add. non R, s. l. Lm2 9 pr.
et om. EGHN secund. et om. G tert. et om. EG,
del. Lm2, s. l. Pm2; ad et—semper cf. p. 275,10 12 etiam]
autem HPm1 13 Plato] et piato N et om. CEG
risibiles CH et om. EGLP 14 pluribus om. CN
dicitur om. H, post indiuiduis s. l. scil,
praedicatur m2 specierum om. HN 15 dicuntur in
ras. Hm2 dicitur GNR niger NR
et om. EGHN 16 et om. EG post nigri
add. autem R, s. l. Lm2 19 et om. EG 20 et
om. CEGP 21 mouere Ea.c.Gm2 actore
Ea.c.R 23 post dicuntur add. nam non subsistunt praeter
haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt quam indiuiduis R
24 post uniuersalia add. ad speciem G
superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis coruis adest, dicitur
adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista accidentis nigredinis
inficit, idcirco eam de specie quoque PREDICARE dicentes coruum, ipsam speciem,
nigrum esse. In quibus omnibus mirum uideri potest, cur genus de
proprio PREDICARE non dixerit nec uero speciem de eodem proprio nec
differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac differentiis,
differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de indiuiduis,
proprium de specie atque indiuiduis, accidens de speciebus atque
indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris PREDICAZIONE sint, ea de cunctis
minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur, eoque
fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de acci- dentibus
praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est, animal est’, genus de
differentia, quod homo est, animal est, genus de specie, quod risibile est,
animal est,’ genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Aethiopem
demonstremus, ‘animal est,’ genus de accidenti praedicamus, rursus ‘quod homo
est, rationale est’, differentia de specie, 1 superiorum] E (
s. l. id est specierum) GP superioribus cett.
sub- teriorura superioribus brm ut—dicitur om. EG
2 post coruo s. l. speciali Lm2 3
nigredinis accidentis C infecit HLm1 eam] eamdem
Lm2Pm2 (it eadem m1 ) eadem EG eo Rm1
ea m2 de om. P 4 ipsum specie EGPRm2 post
ipsam add. scilicet C nigram C 5
omnibus s. l. Cm2 6 utroque loco neque R 7
differentias R 8 atque Rbrm et de p differentiis]
indiuiduis pr cum p. 286, 1, differentiis <atque indiuiduis>
coni. Brandt; cf. p. 287,12—21 differentias HLPR 9 proprium
de specie atque indiuiduis om. H 11 maiores praedicationes
EGR sunt Ca.c. (ras. i ex u) Pm2R
ea s. l. L eadem C eaedem ( om. de G )
eae Pm1 hae ER cunctis] dictis EGR 12
et om. EG conuertuntur ] Em1GLm1Rm2
(conuertentur m1 ) conuertantur CEm2HL m2NP ad
eoque s. l. i ideo G fit] quale sit
EG 13 pr. de] et de HNP secund.
de om. R et de HLNP tert. de om. E et
HNPR et de L quart. de] et NP et
de HL atque R 14 praedicatur EG rationabile
CEGLm1NR 15 animal est] sit animal E ( ad sit s.
l. pro est) GLR de s. l. EGm2L post differentia
add. praedicatur GP (del. m1?), s. l. Lm2, s. l.
praedicari Em2 16 eat genus om. G 18 accidente R
19 rationabile Em1G post specie add. praedicatur
G ‘quod risibile est, rationale est,’ differentia de proprio, ‘quod
nigrum est, rationale est’, si Aethiopem demonstremus, dif- ferentia de
accidenti; item ‘quod risibile est, homo est’, spe- p. 95 cies de
proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si Aethiopem designemus, species de
accidenti, qua in re etiam quod nigrum est, risibile est in Aethiopis
demonstratione ut proprium de accidenti praedicatur. conuerti autem ad totum
accidens potest, ut quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco
de superioribus etiam PREDICARE, ut quoniam Socrates animal est, rationalis
est, risibilis est et homo est, cumque in Socrate sit caluitium, quod est
accidens, praedicetur idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de
homine, ut accidens de quattuor reliquis PREDICARE sed horum profundior
quaestio est nec ad soluendum satis est temporis, hoc tantum ingredientium
intellegentia expectet, quod alia quidem recto ordine PREDICARE, alia uero
obliquo, quoniam moueri hominem rectum est, id quod mouetur hominem esse
conuersa locutione proponitur, quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositi-
onem sumpsit, quodsi quis uim praedicationis et solutionis adtenderit in
singulis praedicationibus comparans, eas quidem 1 differentiam
HR 3 accidentia G post item add. quod rationale est
homo est species de differentia Hm1, del. m2 speciem
ELm2PR, item 5 6 ut om. R, del. ELm2 post
proprium s. l. etiam Pm2, post
accidenti N, s. l. Cm2 7 praedicetur CHLm1NPm2 ad
om. N, s. l. Cm2 8 ut ex et Hm2
in] N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur Ca.c.EGHLNR 9
praedicatur CHLNR ante animal add. et HN
10 ante rationalis add. et HNP, s. l. Cm1?
rationabile Lm1 ante risibilis add. et HNPR, s.
l. Cm1? Lm2 risibile Cm1EGLm1 et (s. l. m1?) homo
est post rationalis est C et om.
EG 11 praedicatur CHLm2NP 12 secund. de om.
CEGR tert. de om. R quart. de om. C ut] et
CHN 13 praedicatur CHN 14 dis- soluendum N 15
expectet idem quod spectet 16 quoniam] nam
HLm2NP moueri posthomin em Cm2Pm2 17 moneatur
N 18 ante proponitur s.l. non Hm2
proportionem EL 19 uim quis EGLR uim om. Hm1,
ante adtenderit s. l. m2 praedicatae H
praedictae Lm2Pm2 et solutionis] CN solutionisque
L solutionis Gm1Hm2 (locutionis m1 ), s. l. add.
Pm2 so- lutione Gm2R solue (sic) E 20
attenderit in ras. Em2 ostenderit R prolationes
quae rectae sunt, inueniet a Porphyrio esse enumeratas, eas uero quae conuerso
ordine praedicantur, fuisse sepositas. Commune est autem
generi et differentiae con- tinentia specierum. continet enim et
differentia species, etsi non omnes quot genera, rationale enim etiamsi non
continet ea quae sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed continet
homi- nem et deum, quae sunt species, et quaecumque praedicantur de
genere ut genera, et de his quae sub ipso sunt speciebus praedicantur, et quae-
cumque de differentia PREDICARE ut differen- tiae, et de ea quae ex ipsa est
specie praedicabun- tur. nam cum sit genus animal, non solum de eo
praedicantur ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt sub
animali speciebus 4—p. 292, 10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40,
17—41, 12). 1 esse om. GN, add. Hm2 enumeratas] N
numeratas cett. 2 prae- dicantur] proferuntur HN 3
positas Gm1Hm1 suppositas Pm2 4 de
Porph. cf. ad p. 103, 7 5 Communis Σ , m1 in EH \
est om. E Porph. (p. 13, 33) Busse, post autem
N 6 continet—sunt (p. 292, 8)] LR Q , om. cett. 7
etiamsi ΔΣ quod i m1 quas A m2R 8
enim om. R, 8. l. Δ inrationalia 2Φ ,
add. ut genus codd. praeter R Σ , om. etiam
Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed] tamen brm 10 deum]
angelum R angelum et deum L; Porph. cod. A θεόν
, cett. άγγελον 11 genera] Σ genus cett.
Busse (sed genera probare uid.); cf. ut genera 16. p.
293, 20 , ut differentiae 13; Porph. p. 14,3 όσα τε
ν,ατηγορεΐται του γένους ώς γένους et] eadem in ras. A
m2 12 et] Z p, s. l. A m2, om. cett.
(aliter er. T ) Busse item brm; cf. ad
13 quaecumque] Lm2R Z quaeque cett. 13 de
differentia] differentiae Lm1 A differentia R ΓΦ ;
cf. ut differentiae p. 294, 1; Porph. p. 14,4 όσα τε
τής διαφοράς ώς διαφοράς 14 ex] sub L \ et
R; Porph. έξ praedicantur Γ 15 genus sit
ΔΛΣ 16 praedicatur R ut om. edd. genera] L
Z Busse genus cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5;
Porph. p. 14,5 γένους... ώς γένους αατηγορεΐται ή
ουσία 17 sunt om. L animalis Δ omnibus PREDICARE
haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis, praedicatur de ea
ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo quod est
rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus PREDICARE ratione
uti. commune autem est et perempto ge- nere uel differentia simul perimi quae
sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal, non est equus neque homo,
ita si non sit rationale, nullum erit animal quod utatur ratione.
Post eam quae cunctis adesse uisa est communitatem, singulorum ad se
similitudines ac dissimilitudines quaerit, et quoniam inter quinque proposita
genus ac differentia uniuer- salioris praedicationis sunt, siquidem genus
species continet ac differentias, differentiae uero species continent neque ab
his ullo modo continentur, primum generis ac differentiarum similitudines
colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim commune esse generi ac
differentiae, ut species claudant; 1 praedicatur LR ante
haec add. et s. l. Lm2, in mg. Γ ,
post haec Λ haec del. \ m2 2
rationalis] codd. (etiam Bussii LQ rational, in P uox paene
tota euanuit ) rationale edd. Busse; Porph. p. 14,7 διαφοράς
τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ; cf. infra p. 293, 14 rationalis diffe-
rentia; 295, 11 sub rationali differentia, unde
rationalis nominatiuum potius intellegas quam cum Porph.
genetiuum praedicantur Φ 3 eo coni. Busse non] et
non L *l> 4 autem] ΓΦ , s. l. Km2, om. cett.;
Porph. p. 14, 8 δε 5 ante sunt s.
l. sub ipsa \ m2 sub rationabili- bus h m1, del. m2
post rationali add. animali ΠΦ , s. l. Lm2
praedi- catur ΓΔΛΣΦ a.c.; Porph. p. 14, 9
χατηγορηθήσετοι 6 ante ratione add. id quod
est s. l. & m2 W m2 Busse id quod potest LR
post com- mune s. l. illis Γ est autem Φ
ante perempto add. hoc Λ genere]
Porph. p. 14, 10 ή τοΰ γένους , om. η
cod. Μ 8 enim] Σ , s. l. Ψ m2 , om.
cett.; Porph. p. 14,11 γάρ sit] est CEGHP 9 ita]
sic L ac b m1 \ 12 ad se] ad esse EGP et
om. CEG, s. l. Pm2, del. Lm2 13 generis ac differentiae CN
uniuersaliores praedicationes CEGNP 14 ante
species add. et LR 15 nec N 16 ac] et
N 17 primum LNP hanc] hanc communionem H 18 commune]
hoc commune H communionem LR ac] et CGLP
concludant HN nam sicut genus sub se habet species, ita etiam
differentia, tametsi non tantas quot habet genus, etenim genus quoniam
differentiam etiam claudit et non unam tantum sub se differentiam cohercet ac
retinet, plures necesse est habeat sub se species, quam quaelibet una
earum differentiarum quas claudit, ut animal PREDICARE de rationabili et
inrationabili. quodsi ita est, PREDICARE et de his quae sub rationali sunt
positae speciebus et de his quae sub inrationali. est ergo commune animali et
rationali, id est generi et differentiae, quod sicut genus de homine et
de deo PREDICARE, ita etiam rationale, quod est differentia, de deo ac de
homine dicitur, sed non in tantum haec praedicatio funditur quantum animalis,
id est generis, animal enim non de deo solum atque homine, sed de equo et boue
praedicatur, ad quae rationalis differentia non peruenit. sed
quandocumque deum supponimus animali, secun- dum eam opinionem facimus quae
solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat, quos etiam
deorum nomine, ut saepe dictum est, appellauerunt. Secunda item communio est
generis ac differentiae, quoniam quaecumque PREDICARE de | genere ut
genera, eadem de his quae sub p. 96 ipso sunt speciebus
praedicantur; ad hanc similitudinem 15 quandocumque — 18 appellauerunt] Abaelardus,
Introduct. ad theolog., II 34. 376. 18 saepe] p. 208, 22. 259, 19.
1 habeat Lm2 differentiae EGR 2 post.
genus om. EGR, post quoniam Cm1, corr. m2 3
differentias CHm1L etiam del. Lm2, om. N et om.
EG, s. l. Lm2 tantum om. H, s. l. Lm2 4 ante
plures add. sed EGL adhibeat R ut
habeat L 5 quas om. L quam EGHPm1R 6 rationali
CHLN inrationali ( uel irt-) HLN 7 ra- tionabili
Cm1EGm2P 8 inrationabili ( uel irr-,) CEGNP commune
est, post s. l. ergo C ; ergo om. EG, add. Pm2 10
et de deo om. EG rationabile CEGR 11 in om.
LN 12 haec om. EG 14 rationabilis R 16
opinionem] CHNPm2 Abaelard. propositionem EGLPm1R
qua EGLm1P solem] coelum Abaelard. 17 confirmant
EGLm1 confirmet N 20 de genere praedicantur C
post eadem add. et L 21 ipso] genere
H ad hanc similitudinem om. EGR; ante ad s. l.
et Pm2 quaecumque de differentia praedicantur ut
differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut differentiae praedicantur,
cuius sententiae talis est expositio, sunt plura quae de generibus praedicantur
ut genera, ut de animali dicitur animatum, dicitur substantia, atque haec ut
genera, haec igitur praedicantur et de his quae sub animali sunt, ut
genera rursus; nam hominis et animatum et substantia genus est, sicut ante
fuerat ani- malis. item in ipsis differentiis quaedam differentiae inueniuntur
quae de ipsis differentiis PREDICARE, ut de rationali duae differentiae
dicuntur, quod enim rationale est, utitur ratione uel habet rationem,
aliud est autem uti ratione, aliud habere rationem, ut aliud est habere sensum,
aliud uti sensu, habet quippe sensum et dormiens, sed minime utitur, ita quoque
dormiens habet rationem, sed minime utitur, ergo ipsius ratio- nabilitatis
quaedam differentia est ratione uti, sed sub rationabilitate homo positus est;
praedicatur igitur de homine ratione uti ut quaedam differentia, differt enim a
ceteris animalibus homo, quia ratione utitur, demonstratum igitur est quia
sicut ea quae de genere praedicantur, dicuntur de generi subiectis, ita etiam
ea quae de differentia praedicantur, dicuntur de his quae differentiae
supponuntur. Tertium commune est quod 1 ante quaecumque
add. et EGL(del. m2), er. uid. C quaeque GPR
praedicantur om. EGR, post ut differentiae H ut
differentiae om. EG post differentiae add. eadem
quoque L, post de his P (om. et), eadem s. l.
Nm2 2 post sub add. ipsa NR
sunt ante sub H ut differentiae om. H, s. l.
Nm2 ut differentia EG 4 post. dicitur om. L
5 ante substantia add. et LPm2 6 rursus
ante ut GR, post L 7 antea fuerat H ante fuerant
(n s. l. m2) L fuerant ante R 8 quae- dam s. l.
Cm2 9 praedicentur Cm2 ut om. HN 11 autem habere
rationem aliud uti ratione NR. 12 ut om. H sicut
N est om. H 13 sed minime utitur om. N
sed—dormiens om. EGPE, del. Lm2 ita—rationem in sup. mg.
Nm2 15 sed om. EG, s. l. Pm2 16 positus est homo
R esse ( om. est EGP est ex esse Lm2
esse del. Pm2 ) praedicatur. Igitur EGLP 17 ut om. EG,
s. l. Cm2 post diffe- rentia add. est EGP
a] L, om. cett. 18 homo ante ceteris H est
igitur HLN quia] quod CL 19 post.
generum EGLm2P 20 post his add. quoque
HN 21 post Tertium add. uero P, s. l. Lm2
quod] quia C sicut absumptis generibus species interimuntur,
ita absumptis differentiis species de quibus differentiae praedicantur,
intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium in substantia pereuntium perire
subiecta. sed prima communio demonstrauit genera de speciebus praedicari,
sicut etiam differentias, propter hanc igitur similitudinem si auferantur
genera, species pereunt, sicut etiam species perire necesse est quae sub
differentiis sunt, si uniuersales earum differentiae consumantur, cuius
exemplum est : si enim auferas animal, hominem atque equum sustuleris,
quae sunt species positae sub animali, si auferas rationale, hominem deumque
sustuleris, qui sunt sub rationali diffe- rentia collecti. Et de communitatibus
quidem hactenus, nunc de generis et differentiae dissimilitudine
perpendit. Proprium autem generis est de pluribus prae-
dicari quam differentia et species et proprium et accidens; animal enim de
homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor pedes
habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin- nibile de equo et de
his qui sunt particulares, et 14—297, 2] Porph. p. 14, 13—15, 8 (Boeth.
p. 41, 13—42, 14). 1 sicut—ita om. EG consumptis (
post ita) Pm2 6 igitur] qui- dem E sicut]
sic GHm2LN 7 species etiam HNP 10 quae] quia
H qui ex quia Nm2 12 collocati HNP, recte?
cf. 10. p. 300, 18 Et om. CEGP, del. Lm2 13 perpendet
G 14 PROPRIO C PRO- PRIIS post DIFFERENTIAE
L GENERI R DE PROPRIIS EORVM (EORVNDEM Ψ ) Ρ Ψ
; de Porph. cf. ad p. 105, 16 15 autem om ·. ΓΦ
generi LNR A ; cf. infra p. 297, 15. 16 s. 299, 17. 300, 23.
301,10. (13) 302,11 est ante generis s. l.
A , om . Σ , om. Porph. p. 14,14 16
ante quam add . magis L (er.) A (del.
m2) differentiae EGHLPm1R ; Porph. p. 14, 15 ή
διαφορά et species—differentia (p. 296, 21) ] LR ii ,
om. cett . et proprium] propriumque A 17 de equo et (de
add. \ ) homine ΔΑ 18 post uero add .
uidetur ΓΦ , m1 in L ΔΑ , del. m2; om. Porph. p. 14, 17
solis om. R 20 ante equo add . solo edd.
cum Porph. p. 14, 18 μόνον , fort. recte post , de om.
R, s. l. Lm2 accidens similiter de paucioribus, oportet autem
differentias accipere quibus diuiditur genus, non eas quae complent substantiam
generis, amplius genus continet differentiam potestate; animalis enim hoc
quidem rationale est, illud uero inratio- nale. amplius genera quidem
priora sunt his quae sunt sub se positae differentiis, propter quod simul
quidem eas auferunt, non autem simul aufe- runtur; sublato enim animali aufertur
rationale et inrationale. differentiae uero non auferunt genus; nam si
omnes interimantur, tamen substan- tia animata sensibilis subintellegitur, quae
est animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in eo
quod quale quiddam est, quemadmodum dictum est, praedicatur, amplius
genus quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est
animal, differen- tiae uero plurimae, ut rationale, mortale, mentis et
disciplinae perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile
est materiae, formae uero differentia, cum autem sint et alia
communia 1 autem om . Σ enim Lm1 4 continet
genus LR; Porph. p. 14, 20 τό γένος περιέχει 5 enim
om. 2 uero A m1 est in mq. Lm2 6
quidem genera Lm1R priora om. L 7 sub se ante
sunt L, post positae R positis ΓΛΦ , m1 in
L Λ2 8 quidem om. L, ante simul R auferunt]
h m1 V aufert cett.; Porph. p. 14, 22 ( τα γέν-r ) σοναναιρεΐ
οΰτός aufe- runtur] A m1 W aufertur cett.; Porph. p.
14, 23 σοναναιρεϊται 9 aufertur rationale—aufernnt
genus om. R 11 si] etiamsi brm cum Porph. p. 15, 1
καν ; fort. etsi scribendum tamen om . Σ ,
s. l. A m2 A m2 12 sensi- bili R subintellegitur]
Φ subintellegitur potest R subintellegi potest
cett.; Porph. p. 15, 2 επινοείται quod Δ
Busse; Porph . οϋσια...ήτις ήν τό ζψον 14 uero om.
L quiddam om. R quid edd . est om. LR
TΛΦ 15 quemadmodum] sicut LR est dictum Λ
Busse 16 quidem genus hA m1 Z est unum LR
17 ante hominis add. est edd. Busse; om. Porph.
p. 15, 4 18 plures brm cum Porph. p. 15, 5 πλείοος
; cf. infra p. 301, 21; post plurimae add . sunt
ΑΣ Busse; om. Porph. p. 15, 5 mentis 5 m2 risus
m1 20 cum simile R 21 autem Cp.c . haec a.c .
et om. G et propria generis et differentiae, nunc ista suf-
ficiant. | Proprium quidem quid sit, conuenienti atque integro
uoca- p. 97 bulo definitum est. sed per abusionem illa etiam
propria quorumlibet dicuntur quae in una quaque re ab aliis continent
differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per se quippe proprium est
homini quod ei omni et soli et semper adest, ut risibilitas, per usurpatam uero
locutionem etiam proprium hominis rationabilitas dicitur non per se
proprium, quippe quod ei cum deorum est natura commune, sed homini
rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis, quod rationale non
est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius cuiusque dicitur
quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium eius non absurda
usurpatione praedicatur, sed nunc quod dicit proprium generis esse de
pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale proprium est,
quale per se proprium dici solet, id est quod semper <et> omni et soli
adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie, proprio,
accidenti überius atque affluentius praedicetur, sed de his differentiis,
speciebus, pro- priis atque accidentibus id dici potest quae sub quolibet
1 proprii P et] ac EGP nunc om. Porph. p. 15,
8 suf- ficiunt Λ m1 2 ; Porph . άρκείτω ταϋτα ,
cod. B apxet τοααδτα 3 quidem] autem C quod
R 5 in una quaque re] CLP re om. N una quaque
E una quaeque G unam quamque HR 6
differenda EGLm1 7 omni et soli] et soli et omni C
pr. et s. l. Lm2 post , et om. EG 10
post ei add . quoque HNP 12 rationabile HR
post uero add. fit L , s. l. Pm2 14 aliquo
Lm2 differat Cm2Hm1N 15 nunc om. EG , post
quod C 17 tale ante quale P est proprium LP
post , est om. CN 18 et add. brm adest C
generi enim in mg. Hm2 enim] uero C autem L
19 post ut add . et H (del. m2) N et
specie HLN et proprio HLR et (atque R )
accidente HLm1 (-ti m2 ) NR 20 affluentius]
CHNPm2 fluentius Lm1 , s. l . ł lucidius m2
cluentius E ( s. l . habundantius] Pm1 licentius
G luculentius R de] e R speciebus post
differentiis pos. Brandt, ante codd. pr, om. bm et propriis
CHLN 21 atque om. P genere sunt, id est differentiae
quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero quae diuisibilibus generis
differentiis infor- matur, proprium autem illius speciei quae sub illo genere
est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quae his hae- reant indiuiduis
quae sub ea specie sunt quam designatum genus includit, hoc facilius exempla
declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes differentiae sub animalis
positae continentia, homo atque equus species sub eodem genere constitutae,
risibile atque hinnibile propria earundem spe- cierum, uelox uero uel bellator
accidentia quae his indiuiduis accidunt quae sub speciebus equi atque
hominis continentur : animal igitur, quod est genus, praedicatur et de
quadrupede et bipede, quae sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non
dicitur, sed tantum de his animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur
praedicatur genus quam differentia, rursus homo de Platone ac Socrate
praedicatur, animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de
ceteris inratio- nabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species
praedicatur, sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum- 1
differentiae] CNp differentias EG, m1 in HLP de (om.
HPR) dif- ferentiis m2 in HLP, Rbrm quidem om. B, ante
add . sunt C, post N genus diuidunt HN 2
speciebus Hm2Lm2 specie Pm2brm diuisi- bilis
Hm1Pm1R ( add . est), dissimilis E ( add . est) G,
ad diuisibilibus in mg. ał quae diuisiuis Lm2, sed cf.
p. 254, 12 ante generis add est ERm2, add . sunt,
post et (del. m2) P informantur CLm2 3 pro-
prio m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post autem add . quod
est EGP (del. m2) illi Lm1 4 diuisiuum Lm1
diuiditur ( om . est; N accidentiaque] CEGHm1Lm1
accidentia quoque Pm1 (de accidentibus quoque m2 )
accidentia Rp accidensque N accidentibusque
Hm2Lm2brm quae] quod N hereat N haerent Pm2
edd . 5 sint G 10 uelox— bellator] HNP (uel om. ,
et s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator C uelox uero uel
bellator dux L uelox uero bellator dux EG ferax
uerox (sic) ( s. l . equus m2 ) bellator dux R 11
accidant H accidencia Pm1 12 et om. EGP 13
et bipede] HNP, om. R bipede C de bipede
EGLm1 et de bipede m2 quadrupedes G 14 his
om. GR, s. l. Cm2Lm2 16 ac] et P post praedicatur add .
et ceteris HNP 17 hominis C (s in er. b.? m2
) GHm1N 19 sed—praedicetur om. EG hinnibile
ante proprium N, om. LR simile H equi om.
H que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que
generis proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus
inesse potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non
proprie nisi homo dicitur, ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur.
quo fit, ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius
praedice- tur. Atque haec est una proprietas generis quae genus ab aliis
omnibus disiungat ac separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias
intellegere quibus diuiditur genus, non quibus informatur, illae enim
quibus informatur genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut animatum
et corpo- reum ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis, sed non
diuisiuae, sed potius constitutiuae; omnia enim superiora de inferioribus
praedicantur, quae uero de inferioribus praedi- cantur neque conuerti
possunt, haec ab eis quae inferiora sunt amplius praedicantur. Post
hoc aliud proprium generis ostendit quo ab his differentiis quae sub eodem sunt
positae, segregatur, omne enim genus continet differentias potestate,
differentia uero genus non potest continere, animal enim rationale atque
inra- tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas neque
rationabilitas animal poterit continere, potestate autem ait continere animal
differentias quia, ut superius dictum est, 23 superius] p. 264, 16.
1 praedicatur Cm1R 3 inesse] inest C ante
saepe add . semper uel Hm1, del. m2 contractius genere
H inneniri C 5 pr. ut er. uid. C, om.
HPm1 et LN, s. l. Pm2 6 ante differentia
add . et Hm2LN ante specie add . et HL et
de N ante proprio add. et HL et de N
et om. E accidente R 8 inquit om. N, del.
Hm2 10 post informatur add . genus C
illae—informatur om. EGLR, post praedicantur (11) add . Ipsae enim
diffe- rentiae a quibus informatur genus Lm1, ante plus quam
transpos. m2 illae enim] nam illae P ante plus add .
nam GR 11 sine dubio om. HN et om. EG 12
tendit EG ? tenduntur R sunt H 15 ab om.
H 18 eodem] eo HN eodem genere C segregetur
HN 20 rationabile ELm2P atque om. EGR, s. l. Pm2
inrationale om. EGPm1R inrationabile Lm2, s. l. Pm2 21
inrationalitas neque rationalitas HN 22 poterunt CHLP
23 post differentias add . proprias CL (del. m2), ante
HNP genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu
uero minime, ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit
differentia, ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est
differentia, at si rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici
potest : quid? si utrasque differentias simul abstulero, num poterit
remanere genus? dicimus : potest, unum quodque enim non ex his de quibus
praedicatur, sed ex his ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut
genus sublatis diuisiuis differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae
quae ipsius generis formam substantiamque constituunt, quoniam enim
animal animata p. 98 atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si
maneant atque iungantur, perire animal non potest, licet ea pereant de quibus
animal praedicatur, rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut
dictum est, ex his substantiae proprietatem sumit ex quibus efficitur,
non ab his de quibus praedicatur, amplius si utrasque differentias genus
potestate continet, ipsum per se neutram earum intra se positam collocatamque
con- cludit. quodsi actu quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab
his poterit separari; hoc ipsum enim, potestate eas continere, id erat
actu non continere, genus uero, quod quaslibet differentias actu non continet,
actu ab eisdem etiam separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex
pro- 1 omne GR 2 alia ut EGP 4 rationalitas
HN at om. EGR rationabile CLm1R 5
inrationale om. EG inrationabile Lm1R quod CEGLP
qui R 6 post abstulero add. rationales et
inrationales E num] non EGLm1P 7 dicimus] sed dici
EP de quibus—his in mg. Hm2 8 post , ex]
de P 9 itaque] atque GR atque ita C atque
ideo EP 10 post tamen add . earum P
illa C ( a. in er . ae m2 ) N quod E
11 quoniam—constituunt in mg. inf. Em2 animati Cm2LR 12
differentia HN differendis Pm1 haec C (c er.)
EGHN manent E 15 dictam est] diximus C
17 ante ipsum s. l. tunc Hm2 18 neutra
G neutrum R positum collocatumque LPm1R 20 etiam]
quidem E post poterit add . genus EG post
enim add . quod est R, s. l. Pm2 21 erit Lm2R
quod] quae E 23 eat om. ENR prietate praedicationis
agnoscitur, omne enim genus ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’
responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de homine praedicatur,
differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis enim differentia
in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale supe- rius diximus, non
per se, sed secundum alicuius differentiam dictum, alioquin commune est hoc
generi cum specie, ut in eo quod quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a
differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod quale est,
genus uero in eo quod quid est praedicatur, generis proprium dicitur non per
se, sed ad differentiae comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem
conueniet speculari; quod- cumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli
sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus et semper, id
secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est,
id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus
generis et diffe- rentiae separatio est, quod genus quidem speciei unum semper
adest, scilicet proximum plura - enim possunt esse superiora, uelut
hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —,
differentiae uero plures uni speciei 5 superius] p. 297, 9.
1 post agnoscitur add . Omne enim genus ei proprietate
cognoscitur praedicationis P, in inf. mg. Lm2 generis E
2 quid est] quidem E quidem quid est HN unum om.
E respondere CLR 4 sit] est HN 7 hoc
ex huic Em2 8 ac G 9 est] sit N 11 et om.
EG 12 conuenit CHNP 13 generis Pm2 alii sit
C 14 tamen E habeat—semper] Cm2Hm1N habeat genus
et omne genus et (et om . Lm2R ) semper Cm1Hm2Lm2R
habeat omne genus semper EG habeat genus omne semper
Lm1 genus hoc (del. m2) haheat omne genus (genus omne
m2 ) et (s. l. m2) semper P 15 se om. CN ,
illud Cm2 (s. l.) id H post proprium add .
dicitur quod per se proprium CHN 16 ad om. C, in mg.
Hm2 17 pr . differentia C 18 est om. HNR ,
s. l. E uni R 19 proximum Cp. c . proprium a. c .
ad plura in mg. genera Lm2 , enim genera
P 20 ante animal s. l . sed genus Cm2 21
post speciei add. semper adsunt E adesse
poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem
genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus
alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia
uero formae, ita ut illud sit materia quaedam quae figuram suscipiat,
haec uero sit forma quae superueniens speciei sub- stantiam rationemque
perficiat. Idcirco uero pluribus diffe- rentiis a genere differentiam
segregauit, quia haec maxime generis quandam similitudinem contineat, quia est
uniuersalis et praeter genus inter ceteras maxima, sed cum alia plura
communia pluraque propria generis inter se ac differentiae ualeant inueniri,
nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem quaslibet
differentias assumere, etiamsi non quae dici possunt omnia colligantur.
Genus autem et species commune quidem ha- bent de pluribus,
quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut species et non
etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus. 15—303, 3] Porph. p.
15, 9—13 (Boeth. p. 42, 15—20). 1 adesse—mortale om.
EGR ut om. HN ut homini C Hominis itaque
C hominis, itaque P 2 ante pluribus add .
de Lm2 3 post rationale add. atque
edd . est om. HNR 4 quidem om. C 5 ita ut om. EGLm1
ut m2 quaedam om. EG, s. l. Lm2, ante materia
P quae om. R, s. 1. Cm1? quod Em1 6
suscipiens Lm1R 7 uero om. EGLR 8 differentias
CEGHm1Pm1 9 continet EGLPR 10 et om. N praeter]
post HPm1 maxima inter ceteras H in N
cetera Lm1Pm2 edd . maximi G maximae Pm1 12
nunc—sufficiant] HLNR (recte? an ex p. 297, 1?) ista inquit
sufficiunt GP sufficiunt inquit ista C ista quidem
sufficiunt E 14 non post omnia E (s. l.) p, ante
brm colliguntur Hm1R 15 ET SPECIEI] SPECIEIQVE C; de
Porph. cf. ad p. 102, 7 17 de pluribus om. G 18 sumatur—prae-
dicantur (p. 303, 2)] LR Q , om. cett . autem] autem et L ΛΛΦ
; Porph. p. 15, 11 11 et om . ΓΔ sed
RΣ 19 ut add . \ m2 pr . et] L cum Porph. p. 15,12, om.
codd. cett. edd. Busse genus et species Ε Σ commune
autem his est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam
esse utrum que. Generis et speciei enumerat tria communia, unum
quidem, de pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus
praedicantur, sed genus de speciebus, ut dictum est, species uero de
indiuiduis. sed nunc de illa specie loquitur quae tantum species est. id est
quae non etiam genus est, sed ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae
etiam genus esse potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum
genere de pluribus praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id
secum habere commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est
solum species, ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod
utra- que priora sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de
aliquibus praedicatur, si recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius
est his de quibus praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod
genus ac species totum sunt eorum quae intra suum ambitum continent et
cohercent; omnium enim specierum totum est genus et omnium indi-
ui|duorum totum species, aeque enim genus et species aduna- p. 99
tiua sunt plurimorum, quod uero multorum adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis
formam reducit, recte dicitur totum. 16 superius] p. 290, 15
ss. 1 est om. L priora] propria La.c. Tk a.c A
m1 2 esse] est C 5 ante genus add. et H
(er.) N 6 post genus add . quidem L 8 est,
sed] est ut est H ut est N 12 secum] H
(cum in ras. m2 ) LR secundo CEGNPm2 (-da
m1 ) de pluribus—commune (14) post praedicantur
(15) E 13 quod E 14 his commune HN 15
omne—-praedicatur (16) in mg. Hm2 17 dicatur] praedicatur
CN his] de his G 18 etiam hoc N eorum sunt
C 20 genus est NR et] ut Hm1 21 ante
species add. est CNP, post E (in ras.) H 23 quod E re-
ducuntur Ca.c.N Differt autem eo quod genus quidem
continet spe- cies sub se, species uero continentur et non continent genera; in
pluribus enim genus quam species est. genera enim praeiacere oportet et formata
specificis differentiis perficere species; unde et priora sunt
naturaliter genera et simul interimentia, sed quae non simul interimantur. et
species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et
species. et genera quidem uniuoce de speciebus praedi- cantur, species
uero de generibus minime, amplius genera quidem abundant earum quae sub ipsis
sunt specierum continentia, species uero a generibus abun- dant propriis
differentiis. amplius neque species fiet umquam generalissimum neque genus
specialissimum. Expeditis communibus generis ac speciei nunc de
eorum discretione pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam
genus continet species, ut animal hominem, species 1—15] Porph. p. 15,
14—24 (Boeth. p. 42, 21—43, 10). 1 PROPRIO H DIFFERENTIIS C;
de Porph. cf. ad p. 105, 16 2 Differunt ENR edd.; Porph. p. 15,
15 διαφέρει post autem add . genus
a specie Φ continet quidem N 3 sub se er.
uid . 5 , s. l. 2 m2, ante species (2) ΓΦ
; Porph. p. 15, 15 περιέχει τά είδη species s. l.
Gm2 continetur C A continetur a genere Γ ; Porph
. τα δέ είδη περιέχεται et om. EG continet C
ΑΦ 4 in pluribus—differentiis (14) ] LR Q , om. cett .
enim] quidem S ; Porph. p. 15, 16 ετι τά γένη
5 ante oportet s. l . et 5 m2 et s. l
. 5 m2 , hic om., sed ante perficere pos. LR h m1
(del. m2) A ; Porph. p. 15, 17 ν.α'ι
διαμορφωθ-έντα 7 sed] si R 9 est] Porph. p. 15,
19 πάντως εστι; exciditne omnino ? pr
. et om . LR I , s. l . A m2 ; Porph. p. 15,
19 εστι και γένος post . et] A (del.
m2) Φ cum Porph. p. 15, 20, om. cett. edd. Busse
10 uniuoce quidem AAS ; Porph. τά μέν γένη de
speciebus] Porph. p. 15, 21 των δφ’ έοοτά ειδών 12
quidem genera L s m2 i\Y . Busse; Porph. τά μέν
γένη sunt (s. l. L) sub ipsis LR; Porph. p. 15,
22 των όπ’ αΰτά ειδών 13 a om . ΓΦ ab
A m1 , del. m2 14 fiet post umquam C
fit HN 15 neque genus specialissimum om. H
post genus add . fiet CEGR fiet umquam
ΑΑΣ fiet species L; Porph. 15, 24 ούτε τδ γένος
ειδικάιτατον 16 ac] et CE 17 differt GR a
HLNR 18 pr . speciem HN uero non continet genera;
neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem
contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod
amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi
genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem contineatur
a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis includatur, huius
autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens differentiam speciem facit,
hoc est, genus quod habebat latissimam praedicationem, coartatum
differentia et contractum speciem facit; omnino enim generi iuncta differentia
speciem reddit et ex uniuersalitate atque latissima praedicatione in angustum
speciei terminum con- trahit. animal enim, cuius praedicatio per se longe
lateque diffusa est, si arripiat rationalis differentiam, si etiam
mortalis, deminuit atque contrahit in unum hominis speciem, unde fit ut
minor sit semper species quam genus atque ideo conti- neatur, sed non
contineat, sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim totum auferas,
pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum animal
sustuleris, interi- mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat,
haec etiam causa est, ut genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut species
suscipiat definitionem generis et nomen, sed 1 continent HN
enim om. C 6 contineantur NR speciei om. R
specie Cm1 in specie Lp.c . species N post
nullo add . modo EGHPR, s. l. Lm2 7 includitur
EGLm1P includat N post autem s. l.
rei Cm2 8 semper om. HN species N
hoc—facit (10) om. EG 9 est s. l. C, om. HN, del. Pm2
habet Lm2Pm2 coartatum ex coapta- tum Lm2, in mg
. ał coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem facit m1
coaptata Hm2P apta Cm1 (aptata m2 )
Hm1N 10 et] LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG cf. ad S) contracta Lm2
omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12 post praedicatione add.
generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differen- tia C ( ras.
ex -ã) R etsi etiam E et s. l., del. si etiam Lm2, et
R 15 diminuit EHLPR ; diminuitur atque contrahitur N
unam C (am in ras. m2 ) Hm2NR 16 continentur sed
non continent N 17 et om. EGR 19 remanet C
cum] si P 21 est causa C 22 generis et nomen] et
generis nomen E et nomen generis N generis nomen
R non e conuerso. definitionem quippe speciei genus suscipere non
uidetur; substantiam enim priorum inferiora suscipiunt, si enim definias animal
et dicas substantiam esse animatam atque sensibilem aut si praedices de homine
‘animal’, uerum dixeris, si etiam animalis definitionem de homine
praedicaueris dicasque hominem esse substantiam animatam atque sensi-
bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis defini- tionem reddas
‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt; neque enim quod animal
est, id dici poterit animal rationale mortale, fit igitur, ut sicut species
generis nomen suscipit, ita etiam capiat definitionem, et sicut genus
nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem definitione monstretur, sed cuius
nomen et definitio de aliquo praedicatur, id uniuoce dicitur, cum igitur
generis et nomen et definitio de specie praedicetur, genus de specie uniuoce
dicitur, quoniam uero speciei de genere. neque nomen neque definitio
praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio. Differunt genera <ab>
speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species suas aliarum
continentia specierum, species uero genera dif- ferentiarum pluralitate, animal
enim, quod est genus, superuadit hominem, quod est species, quia non
hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum aliasque species, quas suae
spatio praedicationis includit, species uero, ut homo, superuadit genus, ut
animal, multitudine differentiarum, nam quod actu genus 1 e conuerso]
est (om. R) conuersio EGLPR 2 non er. H sub-
stantiae EGLm2 (-tia m1 ) PR enim priorum] enim
proprium EGP diffinitionem ( om . en. pr .) R 3
et om. CHNP 4 aut] brm at CHLNP, om. EGR 5
definitione E 7 nil C fuerat Cm1 fueris
HN falsi] mentitus HN sed] quod CHN hominis
definitionem om. EGR hominis rationem L 8 addas
EGR, post si ( om . reddas,) add. P , reddas addas L pr .
animali Ea.c.LR animal est G conuenit CNPa.c. 9
ante quod add. id HNPR, s. l. Lm2 id dici] EGLa.r.P
dici Lp.r.R idcirco dici HN id circo id dici
C 11 et om. EG 12 defini- tionem ( uel diff-) monstret
EGR 14 pr . et om. CEG, s. l. Lm2 15 praedicatur
E uniuoce de specie C 17 a add. brm , ab
Brandt 18 modo om. NR 19 continentia aliarum C 21
quod] quae N non s. l Cm2 22 equum bouem HN 24
namque quod Lp.c . non habet rationale uel mortale — nullas
quippe actu genus retinet | differentias —, easdem species suae substantiae
inhae- p .100 rentes atque insitas tenet, homo enim rationalis est
atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque mortale est per
se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam continet speciem, at uero
species multis differentiis infor mantur, superat quidem genus speciem
continentia specierum species uero uincit genus differentiarum pluralitate.
Illa quoque est differentia, quod genus quoniam omnium primum est,
numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum, species uero, quae
cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut suprema omnium fiat;
numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus specialissimum. Sed ex
his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus ab specie
propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum genus ab specie,
uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his tantum differentiae
quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur oportet, si proprie
normam quaerimus discretionis agnoscere. 1 uel om. R 4
mortale] rationale CHN 5 rationale] R inratio-
nale CHN per se rationale EGLP unam continet
speciem] EG (unam s. l. m2 ) Lm1 quam unam
continet speciem Lm2R una continet (continet una C )
specie CHNP 6 species uero ( om . at) C informa-
tur Lm1Pm1 7 species G 9 quoniam] quod Hm2
11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere LNR 12 nec...
nec] et... et Hm1N et... nec C, pr . nec om. P 14
ex his om. EG, s. l. Lm2 sunt om. E differentiarum
CN differentiis R genus s. l. Cm2 a R
15 proprie coniuncteque ( ras. ex -teque Η ) HΝR
(recte?) propriaeque G coniunctaeque om. EG 16
ab] a R diducunt] Em2R deducunt cett. distinguunt ac
deducunt ( om . disterminant] HN 17 neque (et quae non CHN,
s. l . ał quae L ) in his tantum differentiis quae sunt dictae ( L
quae sunt dicta G quae dictae sunt CHNP quid sint in
ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque HLm1N, del. Lm2 )
considerentur oportet CEGHLNP neque in his tantum oportet
considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet R
; differentiae scr. Brandt ; neque enim in (de bm ) his tantum
oportet (oportet om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in
ceteris considerare (considerari oportet p ) edd. 18
propriae CEGLP 19 discretionis quaerimus HR
Generis autem et proprii commune quidem est sequi species - nam si homo est,
animal est, et si homo est, risibile est et - aequaliter praedicari genus de
specie- bus et proprium de his quae illo participant; aequaliter enim et
homo et bos animal et Cato et Cicero risibile, commune autem et uniuoce
praedicari genus de pro- priis speciebus et proprium quorum est proprium.
Tria interim generis ac proprii dicit esse communia, quorum primum illud
est, - quoniam ita genus sequitur species ut proprium, posita enim specie
necesse est intellegi genus ac proprium; neutrum enim species proprias
derelinquit, nam si homo est, animal est, si homo est, risibile est; ita
quemad- modum genus, sic proprium ab ea specie cuius est proprium, non recedit.
Illud quoque, quod aequalis est generis partici- patio, sicut etiam
proprii, omne enim genus aequaliter specie- bus participatur, proprium uero
indiuiduis omnibus aequaliter adhaerescit, manifestum uero est participationem
e?se generis aequalem; neque enim plus homo animal est quam equos 1—8]
Porph. p. 16, 1-7 (Boeth. p. 43, 11—17). 1 COMMVNITATIBVS Ψ
; de Porph. cf. ad p. 102, 7 2 Genus Em1Gm1 consequi
Pm1 3 nam—risibile (6) ] LR Q , om. cett. pr .
est s. l. h m2 5 illo] sub illo R participant]
continentur R , add. indiuiduis edd. cum plerisque
codd. Porph. p. 16, 4 6 post animal add. est ΓΦ , om.
Porph. p. 16, 5 et Cato et Cicero] Porph . xat Άνοτος και
Μέληχος post risibile add. est Φ 7 autem et] autem
CEGP autem est (est s. l . h m2 ) et (om. R)
R h autem his Ψ autem hiis et Φ his
(s. l. m2) autem et Γ ; Porph. p. 16, 6 δέ
καί speciebus propriis R 8 post pr . proprium add
. de his Ν Σ , s. l. de propriis Gm2 10 illud est
primum R 11 post proprium add. quoque CH
(del. m2) N ac] et C 13 si] et si
HN risibilis EGHNP 15 post quoque add. est
commune R, s. l. Lm2 , s. l . scil, commune est Hm2 a
genere (generis Hm2 ) participatio est HN 16 proprii] a
proprio Hm1N ante speciebus add . a H
ab L (del. m2) NB, post add . suis R 17 parti- cipat **
(ur er .) E 18 adheret N participatione
EGR generi E ( ex genere m2 ) R 19
aequale EG aequale proprium R, post aequa- lem
add. s. l . et proprii Lm2, in mg . et proprium Pm2
atque bos, sed in eo quod sunt animalia, aequaliter animalis, id est
generis ad se uocabulum trahunt. Cato etiam et Cicero aequaliter risibiles
sunt, etiamsi aequaliter non rideant; in eo enim quod apti ad ridendum sunt,
dici risibiles possunt, non quod iam rideant, aequaliter ergo ea quae sub
genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea quae sub propriis, propria. Tertium
illud, quod sicut genus de speciebus propriis uniuoce praedi- catur, ita etiam
proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei
continet, non modo eius nomen de specie, uerum etiam definitio
praedicatur, pro- prium uero quia speciem non relinquit eamque semper sequitur
nec in aliam speciem transgreditur nec infra subsistit, defi- nitionem quoque
propriam speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum conuenit speciei cui
coaequatur, dubitari non potest quin eius quoque definitio speciei
conueniat. quo fit ut sicut genus de speciebus, ita proprium de sua specie
uniuoce praedicetur. Differt autem, quoniam genus quidem prius
est, posterius uero proprium; oportet enim esse animal, dehinc diuidi
differentiis et propriis, et genus qui- 18—p. 310, 13] Porph. p. 16, 8—18
(Boeth. p. 43, 18—44, 11). 1 eo] eodem HLm2NR 2 ad
se om. EGR, s. l. Lm2 etiam om. H et om. R
3 pr . aequaliter om. C 6 suscipiant Em1Lm1
genera EGLPm2 gen. ante suscipiunt HNP 7
illud] illud commune est G quid Cm1 9 enim om. E
nomen eius C 11 quia om. EGLP derelinquit
Lm2P eamque] eique HN ei quae R ea quae
Pm1 ae- quatur Pm2 12 definitio (diff-) ELm2
(diffinitione m1 ) Pm1 definitio enim R 13
proprium Ea.r.R proprii Ep.r.L ( ras. ex
propriis,) P traditur EGLm2Pm1 14 cui] uel ei C
eique HNPm2 (cuique m1 ), et (del. m2) cui
L aequatur L 18 De proprietatibus Δ ; de Porph.
cf. ad p. 105, 16 GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII] SPECIEI
L 19 Differunt C edd . autem om. N autem genus et proprium LR
Δ2 ; Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος quidem om.
HNR est om. H 20 oportet—interimunt genera (p. 310, 10)
] LR Q , om. cett . 21 pr . et om. L dem de
pluribus speciebus praedicatur, proprium uero de una sola specie cuius est
proprium, et proprium qui- dem conuersim praedicatur de eo cuius est proprium,
genus uero de nullo conuersim praedicatur, nam neque si animal est, homo est,
neque si animal est, risi- bile est; sin uero homo est, risibile est, et
e conuerso amplius proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et
semper, genus uero omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem
soli, amplius species quidem interemptae non simul inter- p.101
imunt|genera, propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt
propria, et bis quorum sunt propria interemptis et ipsa simul
interimuntur. Rursus tale proprium sumit, quod ad alterius comparationem
proprium nuncupetur, dicit enim proprium esse generis prius esse quam
propria, oportet enim prius esse genus, quod ueluti materia differentiis
supponatur, uenientibusque differentiis fieri speciem, cum quibus propria
nascuntur, si igitur prius est 1 praedicatur] R A m2 n
edd . praedicari cett. codd. Busse (propriis, et genus
distinguit, sed cf. 16 oportet et p. 311, 9 Rursus
differt); Porph- p. 16, 11 κατηγορεΐται 2 una sola]
Porph. ενός , cod. C add . μόνοο est
om. Φ 6 si R homo est] homo et ΔΑΠΨ
(et er .), homo, et Busse homo est (est s. l. m2 )
et L; Porph. p. 16, 13 et δέ άνθρωπος et e conuerso] et
conuerso L h m1 et conuersim si risibile est homo est R
si risibile est homo est 2 ; Porph. p. 16, 14 καί
εμπαλιν , add. ei γελαστικόν, άνθρωπος cod. C 8 et
soli] TA m2 et uni Δ m1 ΑΣ et uni et soli LR ΠΦΨ
; Porph. p. 16, 15 καί μόνψ speciei quidem
2 9 post speciei add . inest LR TA ( s. l
.) ΠΦΦ- (in mg. m2) edd. Busse, om . Δ2 cum
Porph . soli] Porph. p. 16,16 και μόνω 10 species
s. l. L propria brm cum Porph . interempta Φ
interimuntur HL 11 post genera add. quorum
sunt species A propria] genera brm Busse (in adn.) cum Porph.
p. 16, 17 interimuntur HΡ 12 ea om . Η ΤΦ
species brm cum Porph . quarum brm et his— interemptis
om. EG et] quare edd., Porph. p. 16, 18 ώστε καί
13 in- teremptis ante et his CP et ipsa] et ipsa etiam
propria Φ ipsa propria 2 interimuntur simul CGLR
ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus om. EG, s. l. Pm2 , sed
R ad om. H, s. l. Pm2 comparatione HPm1 15
nuncupatur Cm2Em2Ga.c.N 16 pr . esse om. N, s. l.
Pm2 uelut N 18 species Lm2 nascantur
N genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et
speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus
posteriora sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse
quam propria, commune est hoc generi cum differentia, differentiae enim
species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem
speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum
est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius
per se proprium constitutum est. Rursus differt genus a proprio, quod
genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque
genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet
speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species
habeat, ut animal hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut
risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim
praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur,
proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio
aut a maioribus ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur,
quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores
sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de
animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale
est, aeque 1 etiam] enim Lm2 2et om. EG et
si H 4 est hoc] HL (hoc del. m2 ) N
est et hoc C esse Pm1 et hoc est m2
est EGR 5 diffe- rentia] differentiis CHN
differentiae om. EG enim s. l. Cm2, post species
EG informantes prius N 6 considerentur Hm1R esse
s. l . Cm2 7 quam G 8 hoc om. EGR 10
a om. NR quod] quo- niam L de] a C 12
proferet Lm2 14 species sub se C 16 quoque del. Em2,
post add . proprietas (s. l. Lm2) ex GL, s. l. Pm2
nascan- tur Ep.c . 17 de speeiebus quidem C ipsis
CN in om. CN 19 mutuantur La.c.Pm2
praedicatio om. EGR, s. l. Lm2 20 quod] quoniam E (in ros.)
Gm2 21 est s. l. Em2 praedicabitur N 22
minora CEGLm2P praedicatur atque supponitur, ut risibile de
homine dicitur - omnis enim homo risibilis est —, eodemque conuertitur modo;
omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere, quod proprium uni
et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem retinet, in uno
uero diuersum est. nam speciebus suis et semper adest et omnibus, non
uero solis; hoc enim haeret propriis, quod singulas tantum species continent,
hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent species, genera
uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et semper et omni,
genus uero omni quidem et semper, sed non soli, ut risibile homini soli,
ani- mal uero eidem homini, - sed non soli; praeest enim ceteris, quae
inrationabilia nuncupamus. Praeterea si auferatur genus, species interimuntur
nam si non sit animal, non erit homo —, si auferas species, non interimitur
genus; nam si non sit homo, animal non peribit, species uero et propria
quoniam sunt aequalia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile,
homo non erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera
sub se positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et
proprium inuicem perimuntur et perimunt. 1 supponitur] (sub-
HP ) CHm2Lp.c.P praeponitur cett., recte? 2 enim om. C
locus risibilis est—quidem speciebus (p. 315, 7) bis in E scriptus,
pag. 229—231 (E I ), ubi deletus est, et p. 232—234 (E II ) 3 etiam
om. R, del. Lm1 , enim m2 autem etiam H a genere pro-
prium C a om. R 4 speciei s. l. Hm2 5 uero]
quidem E I qui- dem duo CNB , om . quidem E I 7
haeret propriis] E III GL haeret (ł inerit m2 )
tantum propriis P erat (erit R ) tantum propriis
(proprii N ) esse CNR heret propriis uel aliter hoc enim erat
tantum H; ad haeret cf. p. 298, 4 tantum species—quidem
singulas om. E I tan- tum del. Lm2, s. l. Pm2 ,
post species NR 8 continerent CHm2 con-
tineret N contineant Pm2 10 soli///// E I
solius E II G 11 sed] et HN soli homini NP
13 inrationalia H auferamus EGLPR 14 interi-
mantur L erit] est N 19 sub se positas] sibi (om.
H) suppositas HN 21 perimuntur] consumuntur Lm2
perimunt] perimuntur Lm2 pereunt HNPm2
Generis uero et accidentis commune est de pluri- bus, quemadmodum dictum
est, praedicari, siue separa- bilium sit siue inseparabilium; etenim moueri
de pluribus et nigrum de coruis et de hominibus Aethio- pibus et
aliquibus inanimatis. Nihil est quod inter cetera ita sit a generis
ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum genus cuiuslibet sub-
stantiam monstret, accidens uero a substantia longe disiunctum sit et
extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest habere cum genere quam de
pluribus praedicari, genus enim de pluribus praedicatur speciebus, accidens
uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus animatis atque
inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra- tionabili
coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj p. 102 et
marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quae sunt
separabilis accidentis exempla. 1—6] Porph. p. 16, 19—17, 2
(Boeth. p. 44, 12—16). 1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS E I
E II m1 ACCIDENTI R de Porph. cf. ad p. 102,
7 2 Commune uero est generis et accidentis 2 Generi
N Generibus E I accidentibus E I m1 3
praedicari ante quemadmodum L siue—pluribus et] LR Q , om.
cett . separabile 2 m1 4 sit] sit accidens 2 inseparabile
2 m1 5 post et om. R de om . E II HNR
ΑΦ , recte? homine E III omnibus L A ( ras.
ex hominibus) hominibus om. brm, delend. uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123,
22. 131, 2 homine Aethiope; Porph. p. 17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων
aethiopus EIII et (et de G, del. m2 ) aethiopibus GPm2 T2 6
ante aliquibus add. de Gm2 in animis E I , ante
inanimatis add . naturis H (del. m2), post CN , praedicari
Γ ( in mg . praedicatur) Φ ; Porph. καί tivmv
άψΰχων 7 in ceteris E III GLm1P 9 a om.
R 10 uere GR uero ha- bere potest C 11 enim]
uero C 14 rationabile E III a. c. Gm1
rationali HNP post homine add . et N irrationali
HNP 15 ebeno E III 16 marmore] de marmore P
post homine add . et N 17 sagitta]
CHLm1NPm1 (sagittis m2 ) agitatis E III GR edd .
ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus Lm2
Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante species est,
accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam inseparabile sumatur
accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam accidens, et genere
quidem quae participant, aequaliter partici- pant, accidenti uero non
aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit accidentium participatio,
generum uero minime, et accidentia quidem in indi- uiduis principaliter
subsistunt, genera uero et species naturaliter priora sunt indiuiduis
substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur de bis quae sub
ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel quomodo se habeat
unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus dices ‘niger’, et
quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel ambulat.
1—17] Porph. p. 17, 3-13 (Boeth. p. 44, 17—45, 9). 1 PROPRIIS]
DIFFERENTIA C; de Porph. cf. ad p. 105, 16 QVID INTER GENVS ET
ACCIDENS SIT Φ (ex p. 116, 10) 2 genus s. l.
Hm2 ab om . HRE III Δ accidenti]
Δ accidente cett . 3 speciem ΧΦ posteriora ante
speciebus C inferiora XA m1 AS 4 nam—unum quodque
(14) ] LR Q , om. cett . si etiam] etsi etiam ΓΦ
sed om . Γ si Σ 5 prius] plus S 6
genere] A m2 Busse genera cett. codd. edd . quae]
quibus A m1 aeque Δ 7 accidenti] p Busse accidentia
codd. brm; ad 5 et— 7 cf. Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14
enim om. L in mg: figuram quandam habet Δ , aliam (cf.
ad p. 320,17) Γ 9 uero om. R in om . Γ
Busse, s. l . Rm2 A m2 K ; cf. p. 315, 21; Porph. p. 17,
9 έπΐ τών άτομων 10 nero om . Δ 11
post naturaliter add. non principaliter LR AΑΦ ;
om. Porph. p. 17, 9 12 sit] est LR A ante
de add. et, sed del. ΓΔ 13 hiis
Φ 14 ante quale add. et R sit]
cod. Q Bussii edd . est cett. codd . quomodo om. R
quodammodo A m2 se s. l. A m2 habet A
m1 15 eat ante aethiops ΔΑ , post HΝ ΤΣΦ
enim om. L interrogatur Φ dices] LRT
dicis cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15 respondebimus;
Porph. p. 17, 12 έρεΐς 16 quo- modo Δ
habeat ante socrates A habet ΗR Φ dices] K
m2 dicis cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 16 dicemus;
Porph . έρείς 17 ambulet La.c.N Differentiam
generis et accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit,
quippe quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at
uero accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui aliquid
accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod
suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum
est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci-
dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur. manifestum
est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species. Rursus alia
differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem suscipere
potest, quo fit ut quae participant genere, aequaliter eius nomen defini-
tionemque suscipiant; omnes enim homines aequaliter animalia sunt
eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia
comparata aeque animalia praedicantur, accidentis uero participatio et
intenditur et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem,
paulo amplius nigrum et in ipsis Aethiopibus considerabis omnes non aeque
nigro colore obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in
indiuiduis principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora
sunt; nisi enim singuli corui 1 et accidentis] ab accidentibus
HN ponit C 2 pr. quod] quid C
quoniam (del. m2) quod E II 4 post
esse add . aliquid P, s. l. Lm2 5 si—sit] nisi sit subiectum
HN nisi subiectum sit R 6 quid Cm1 potest
H 7 speciei HN est] sit N nec] non CEGLP 8
uelut CEGLP uel R supponitur C 9 supponatur
( uel subp-) EGH 10 ante manifestum add .
nam EGLP 11 post Rursus add . uero C
post alia add . est CGP 13 generi CEGP 15
eodem EHLR 18 paulo amplius nigrum paulo diutius ambulantem
HN post ambulantem add . et LR 19 et] et si (si s. l,
Lm2 ) LR si EGP omnis GLm2R aequa nigredine
coloris (coloris del. Lm2 ) HLNP 20 obductus EGLm1R ,
post obd. add . esse C est EGLR est
om. HN 21 in om. CG genera—priora sunt] C species
uero et genera indiuiduis priora sunt HLm1N genera uero speciebus et
indiuiduis priora sunt GP genera nero et speciebus et indiuiduis
posteriora sunt Lm2 genera indiuiduis priora sunt E et
indiuiduis posteriora sunt R 22 singulariter EGPR
nigredine infecti essent, comi species nigra esse minime dicere- tur. ita
fit ut accidentia post indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui
aliquid accidit quam illud quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua,
posterius uero accidens, genera uero et species supra indiuidua considerantur;
hoc idcirco, quoniam de his omnibus praedicantur eorumque sub- stantiam
propria praedicatione constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et
species posteriora indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines
singulique equi, hominis atque equi species esse non possunt, et nisi singulae
species sint, eorum genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus
superius dictum esse genus non ex his sumere substantiam de quibus praedicatur,
sed de eo potius, quod differentiis con- stitutiuis eorum substantia formaque
perficitur, itaque si genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non
perimitur, sed manet in his quae eius constitutiuae sunt eiusque formam
definitionemque perficiunt, cumque differentiae diuisiuae generis speciebus
sint priores — ipsae enim species conformant atque constituunt —, non est
dubium quin genus etiam pereuntibus speciebus possit in propria manere
substantia, idem de spe- ciebus dictum sit; species enim superioribus
differentiis, non posterioribus indiuiduis informantur, quae cum ita sint,
species quoque ante indiuidua subsistunt, accidentia uero nisi sint 12
superius] p. 300, 7—16. 1 essent in ras. Lm2 , sunt
N sint R 2 esse om. EGR 4 indiui- duum CHN
5 super CN 8 genera] de genere R quoque om.
R quaeque EGP ipsa om. EGPR et species] atque
species (specie R ) LR specieaque N 9 nam nisi]
nisi enim EGR nara nisi enim (enim del. m2 ) C
homines—nisi singulae (10) in mg. Em2 homi- nes EN 10
et om. EG singulis E singuli G
singulares Lm2R 11 eorumque Lm2 earum brm 12
ex del ., his om. E 13 de eo] eo Hm1N ex
eis Hm2 de eis Lm2 quod del. Hm2, er. L ,
quo GPR 14 eorum om. Lm1 eius R edd . quae
eius Hm2 de quibus eius Lm2 substantiam formamque
perficiunt Hm2 normaque N 15 diuisiuae ( post
differentiae N ) differentiae interemptae non perimunt HLN 16
eius- que] quae eius C quaeque eius EGP 17 speciebus
generis LNR 20 permanere Lm2R 23 quaeque EG
quibus accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam
indiuiduis; haec enim generationi et corru|ptioni sup- p, 103· posita
uariis semper accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam
quae est superius dicta, quod genus quidem, quia rem demonstrat et de
substantia praedicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod
quale est aut in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges,
accidens respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese
habeat, aliud rursus accidens, aut ‘sedet’ aut ‘uolat’ aut ‘crocitat’.
nam cum accidens in nouem praedicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad
aliquid, ubi, quando, situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in
‘quomodo se habeat’ interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis
sciscitatione responderi solet. nam si interrogemur qualis est Aethiops,
respondebimus accidens, id est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc
dicemus aut ‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium.
Genus uero quo ab aliis quattuor differat, dictum 4 superius] p. 189, 4
ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14] Porph. p. 17, 14—18, 9 (Boeth. p. 45, 10—46,
9). 1 pr. accidunt Lm1 accident N
prius post accidunt C 2 post indi- uiduis
add. quia indiuidna prima sunt quantum ad praedicationem P, in mg.
Lm2 4 adnumera ( ann- G) EG annumerant Hm1
dicta est superius R est sepius (corr. m2) dicta
C sepius (corr. Hm2) dicta est HN 5 quidem
om. EGR 6 dicitur om. N, s. l. Hm2 post uero add.
aut P 7se H post habet add. res CLm1, del.
m2 9se EGHN habet Clm1 aliud rursus accidens]
aliud uero accidens rursus C aut uolat aut sedet HLN 10
croccit Hm1 groccitat N, post add . egrotat P
nam] at EGLm1 ac (ut uid.) R 12 quanto Em1
quan- tum G situm habitum quando C post omnia
add. id est VIIII Hm1, del. m2 13 habeant Ep.c. Lm2P
interrogationem EGR 14 inter- rogemur] C edd. (cf.p. 314,
15) interrogemus cett., recte? cf.p. 58, ss. 99, 23 15
respondemus HNR 16 dicimus EHLRbrm 17 aliquod
ELa.c.N 18 uero] uerus Pa.c. ergo CHL (in ras.
m2) R Φ enim A ; Porph. p. 17, 14 uiv
ουν quod EGPm1Rm1 T<l> ab] ΔΣΨ , s.
l. Il m2, om. cett. quattuor om. G, s. l. Δ
m2 est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre ab
aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis
quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiae, sed semper
posterioribus enumeratis et secundis quidem una differentia superatis,
prop(??)terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus,
quintis uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim
differt a differentia et specie et pro- prio et accidenti; quattuor igitur sunt
omnes diffe- rentiae. differentia uero quo differat a genere dictum est,
quando quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab
specie et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo
1 contingit—ad accidens (p. 319,12) ] LR Q , om. cett.
contigit R A m1 Y m1 2 aliis om. Porph. p. 17, 15
quidem om. L K Busse; Porph. μεν 3
post sint add. res L unum quodque autem] il
m2 xP p Busse unum autem Β ΤΜΙ m1 Σ una autem L
ΑΦ et unumquodque brm; Porph. p. 17, 16 ίνος ϊέ
εκάοτοο aliis om. Porph. differt Δ 4
uiginti del. A , pos t XX add. uel
quinquies quattuor Rm1 quater V. XX uel del. et post
fiant add. uiginti m2 fient ΑΑ m1 Φ fuerint
Γ post differentiae add. sed non sic se res
( res om. p) habet edd. cum Porph. p. 17, 17 άλλ’
οοχ οδτως εχει set om. Γ 6 superatis]
subtractis ΓΦ (ex substr- ) quia] quoniam L
A Busse sumpta] subtracta Γ 7 uero] autem LR
T<l' duobus R 8 omnes om. L post fiunt add.
differentiae Γ (s. l.) Π m2 edd. Busse (sed om.
etiam eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20 9 enim] autem Γ
a om. Σ , s. l. A m2 et specie et proprio] a specie a
pro- prio R specie proprio Σ 10 et om.
Σ accidente R Σ igitur quatuor R
differentiae omnes La.c. generis differentiae R; Porph. p.
17, 22 at διοφοραί 11 quo om. R differat]
La.c. ( a del.) Σ differret R differt
cett. a om. R 12 quo] quid L A Busse
quod m1, om. A ; ubi quo est (hic et 11.
13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius π-j
scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18, 1. 2. 3. 4)
differret] LR Ψ (alt. r s. l.) differre Λ
differt ΓΙIΣΦ 13 igitur] ergo 2 quod R A
differt A a.c. ab Brandt a LR il , s. l. A
m2, om. cett. et om. Β ΤΑΣ a L 14 accidente
R ΓΔ2Φ post tres add. differentiae Λ ( ei
fiunt tres differentiae. rursus in mg. m2) 11 m2 (
species m1) Γ ( rursus differentiae pos.)
Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. p. 17, 25 quidem
quo ΓΔ2Φ ; Porph. π-jj έν quidem differat a
differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur;
quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab
specie dicebatur; reliquum est igitur, ut quo differat a proprio et
accidenti dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem
quo differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et
genere differat, praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor
igitur sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero dif- ferentiae,
duabus autem speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum
quattuor, quae erant generis ad reliqua, superius demonstraui- mus.
Quoniam differentias atque communitates generis ad diffe- rentiam, ad
speciem, ad proprium atque accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras
facere contendens praedicit, quot omnes differentiae possint esse quae inter se
comparatis com- 1 differt R A quo] quid A
Russe quod Lm1 \ 2 differret] Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl
p.c. differet Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c. differt Δ2
differtur Γ differentia ab specie] ΓΦΨ ( sed
a, scr. ab Brandt), a (s. l. A m2)
specie (s. l. et add. Δ m2) differentia ΔΔΣ
edd. Busse species a ( et Ώ ) differen- tia
L H differentia ab ea R; Porph. p. 17, 26 ή διαφορά τού
είδους quod A m1 3 differat] L differt
cett. (ex differet V ) a om. R ϋϊ quo] quid
Δ Busse quod A 4 differret] L yAIW
differet R Φ differt ΓΑ2 4 ab specie] Γ a
specie L ΔIΙΔΦΦ specie 2 ab ea R 5
differt R, add. species ΓΑΠΨΨ , s. l. Lm2; om. Porph.
p. 18, 2 a om. 2 accidenti] L acci-
dente cett. dicitur R 6 igitur om.
2 7 autem om. R, s. l. h m2 ab om.
Σ accidenti] edd. accidente codd. fort.
relinquetur; cf. Porph. p. 18, 3 χαταλειφθήσεται 8
ab Brandt a ΓΦ , om. cett. pr. et om.
R differet Λ m1 differret m2 differt A m1 2
, s. l. proprium add. Lm2 dic- tum Σ 9
differentia ante ad ipsum Σ differentiis Β ΓΑΦ ;
Porph. p. 18, 5 ... διαφορά 11 pr. autem] uero A
ad accidens] et accidentis ΓΔ«ι7ΠΦ ; Porph. p. 18, 7
πρός τδ σορβεβηχος 13 erant] erunt N reliqua] N
Λm1ίΣΦΨ reliquas cett. (in mg. ad aliquas T m2); Porph.
p. 18, 8 πρός τά άλλα 16 utrumque ad om. NR 17
idem quoque] idemque Lm1NR ad cetera C de ceteris
HLN praedicit om. R nunc dicit H 18 possunt
CHLm1N commissisque N mixtisque rebus his quae supra
propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una
quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti
differentiae fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint
quinque res ueluti quinque litterae A B C D E. differat igitur A quidem
ab aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B
differat ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae
superioribus iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt
quattuor, scilicet A B D E; quae quattuor differentiae supe- rioribus
octo copulatae duodecim reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur
differatque ab eisdem, id est A B C E, fient igitur rursus quattuor; quae
superioribus duodecim ap- positae sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis
quattuor differat, scilicet A B C D, fient aliae quattuor differentiae;
quae compositae prioribus uiginti perficiunt. et sit quidem p.104]
huiusmodi descriptio : | 1 positae EHLNP
efficiuntur HN 2 ante una add. et
HLNPR res om. HN 3 si om. HN a om. R
uiginti om. E 4 fiant Rm2 5 uel E 6 aliis]
reliquis HN 7 fiant R differt Ha.c.LN
aliis] reliquis L 8 id est om. HN 9 ab] codd.
reliquis] aliis L 11 ante reliquis add.
si L, s. l. Pm2 12 differatque] differat aeque EGP (
differt m2) R eis GHNPm1R 13 fiunt N
fiant R igitur om. HN post quattuor add. differentiae
HN 15 fiant R faciat L faciet HN
aliae om. H alias LN differentias HLN 16
superi- oribus C et sit quidem] CGP et quidem sit
R et sic (ex si ) quidem est E quarum
( quorum LN) quidem sit HLN 17 discriptio C figu-
ram om. G (duae lineae uacuae) Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie
exornatam habent R (post uerba quattuor differentiae supra 7)
Γ (in mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras tantum omissis
lineis Quae cum ita sint, in generibus quoque et speciebus et
ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiae, quibus genus a
differentia, specie, proprio accidentique dis- iungitur; aliae rursus quattuor,
quibus differentia a genere, specie, proprio atque accidenti discrepat;
rursus quattuor spe- ciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens;
quat- tuor etiam proprii ad genus, differentiam, speciem atque acci- dens;
quattuor insuper accidentis ad genus, differentiam, spe- ciem atque proprium.
quae coniunctae omnes uiginti explicant diflferentias. sed hoc, si ad
numeri referatur naturam compara- tionisque alternationem; nam si ad ipsas
differentiarum naturas uigilans lector aspiciat, easdem saepe differentias
inueniet sumptas. quo enim genus differt a differentia, eodem differentia
distat a genere, et quo differentia distat ab specie, eodem species a
differentia disgregatur, et in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione
differentiarum, quam supra disposui, easdem saepius adnumeraui. atque si
differentiarum similitudines detrahamus, decem fiunt omnino differentiae, quas
ad prae- sentem tractatum uelut diuersas atque dissimiles oportet assu-
mere. age enim differat genus a differentia, specie, proprio in mg. sup.
add. Hm2, quaternas litteras ( B C D E cett.) infra singulis
litteris A cett. positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg.
(litt. minusc.) hae duae figurae sunt, quarum posterior spectat ad p. 321, 20
ss. 323, 9 ss: in P figura est per quinque ob- longa deorsum
continuata, quorum primum hic proponitur : 3 ab CEGHP
accidentique] atque accidenti ( -te N) HN 4 dif-
ferentiae G ab CEGHNP 6 ac om. N ad
LP 10 post hoc add. fiet E (s. l. m2)
fit H (s. l. m2) niget L (in mg.) R 13 adsumptas
R differat C 14 ab] a R 17 saepius om.
EGPR, s. l. Cm2, post ad- numeraui L adnumerauit
Cm2GP atque) EGP at CR itaque HLN
si om. N multitudines, s. l. ał similitudines
L 18 fient edd. atque accidenti, quattuor differentiis,
quas supra iam diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere
primum, dehinc ab specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere,
iam superius explicatum est, cum diceremus quo genus a differentia
discreparet. detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est,
relinquuntur tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique
disiungitur; quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias
reddunt. post hanc species si sumatur, quattuor quidem eius essent
differentiae secundum numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium
atque accidens comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam
quo species differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab
specie dicebamus, quid uero species a differentia distet commemo- ratum
est, cum differentiae ab specie dissimilitudines redde- remus. quibus detractis
duae supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens
discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii
uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet
ad genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem
tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a
genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus
quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae
propriique superius 1 accidente N 3 ab] HN
a cett. accidente HN quod L dis- crepet]
distet HN 5 hac igitur C 6 distantiae]
differentiae L 7 a LN accidenti C
accidenteque H disiungitur ante ab specie C
8 reddunt differentiae C 9 sumatur] mutatur E 11
ante differentiam add. et HLNP ante proprium
add. et P cõpararetur C cõparantur N
12 differat post genere EN 13 a om. EGHNP
differret] GLm2Pm2R differet ΕLm1 differat
HNPm1 differt C ad speciem R ad specie
C 15 ab specie] CG a specie EHLm2NP ad
speciem Lm1R 17 post speciei add. id
est EGP 18 differentias copulant] complent differen- tias
C 20 comparatae Ep.c. (ex-ti) GHm2PR quorum EGLm1R 21
quod C 22 proprium—cum quid om. EGR distaret a pro-
prio H demonstratum est, quid uero proprium distet ab specie,
tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur. restat
igitur una differentia proprii ad accidens, quae superio- ribus iuncta decem
differentias claudit. accidentis nero ad cetera possent quidem esse
quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse consumptae. nam quid differat uel
genus uel dif- ferentia uel species uel proprium ab accidenti, supra mon-
stratum est, nec sunt diuersae differentiae accidentis ad cetera quam ceterorum
ad accidens. itaque fit, ut cum sit quinque rerum numerus, si prima assumatur,
quattuor fiant differentiae, si secunda, tres, uincanturque secundae rei ad
ceteras difte– rentiae a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum prima
habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas habebit
differentias, quae uincantur a primis quattuor differentiis duabus;
quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quae uincitur a primis quattuor
differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit differentiam
nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc nume- rorum
gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur : quattuor, tres, duae,
una, ut generis quidem quattuor, diffe- rentiae uero tres, speciei duae,
proprii una, | accidentis nullap p. 105 sit. et primae quidem generis
comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundae uero differentiae
comparationes 1 uero om. EGR a EGLR 2 cum]
quando R 5 cetera] extera Cm1 6 differret H
differet N 7 accidente CHN monstrauimus H
8 ante diuersae add. plus R, s. l. Lm2
10 ad prima s. l. ł una res Hm2
sumatur HN fient C 11 uincanturque] C (pr.
n om.) Lm1 (iungantur m2) N, m2 in HPR ( iungenturque
Rm1) , uincantur EGHm1Pm1 12 primis L 13 habuerat
C habeat Lm2NP retineat Lm2 14 diffe- rentias
habebit C uincuntur Lm1R 15 duabus (s. l.
E) differentiis EHN post duabus add. distantiis
GR post quarta add. nero R, s. l. autem Pm2
16 post tribus add. subdistantiis E
distantiis G 17 habet HL 18 primis brm hoc]
ex hoc HLN numeri HN 19 gradus HLm1N
quidam HN 20 post post. quattuor add. sint
CHm2L (del. m2) P sunt Hm1N 22 sit] Rbrm
est CEGLP, om. HN et om. EGR quidem s. l. Em2L,
post generis C 23 teneant HLm1NR tres nouas
tenent; una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor
nouis differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet
differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur
a quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam
retineat nouam, quoniam tres habet superius ad- numeratas, uincaturque a prima
nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam
retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis
transcendantur. atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum
numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum
dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris
notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum
dissimilitudinem in qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum
enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in
totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est
dimidium coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae
continebunt. sint igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt
tres; has igitur quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium 1
teneant HLm1NR ten. post nouas CR
adnumera (tamen eat ) C uincitur autem] et uincatur
HLm1 ( et del., uincitur m2) N 2 nouis quattuor
primis HN 4 adnumeratas om., in mg. enumeratas
G uin- catur Lm1 uincantur HN uincuntur C
6 ante unam add. tantum L, post EGPR
retinet Lm2Pm2 edd. 7 uincanturque N uincatur qua re
EG uincitur haec R uinciturque edd. quinta
N 8 comparatio Lm2N retinet HLN, post nouam
HN 9 primis] CLPH a.r. primi EGHp.r.NR
transcendentur Lm2 transcendatur N transgrediantur
C transcenduntur edd. 11 tamen er. uid. E
non G (etiam post diffe- rentias est non ) 13 uerum]
uerum etiam C ceteris quoque brm notas]
Lm1N notis CEGHm2 ( totas m1) Lm2PR 15 reperiat] pariat
Cm2Hm1N 17 post numeri add. si CHP
simul EG 18 ei om. EGN 19 sunt Lm1R 20
igitur] ergo CEN fiant LR 21 hos EGLPR post
igitur add. si N tres H per totam
summam R multiplica C multipli- cato E
fiunt HN fiant R post horum add. si
L teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus
quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus
B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent.
atque hanc quidem regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse
suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit
explicabitur. Commune ergo differentiae et speciei est
aequaliter participari; homine enim aequaliter participant par- ticulares
homines et rationali differentia. commune uero est et semper adesse his quae
participant; sem- per enim Socrates rationalis et semper Socrates homo.
Dictum est saepius ea quae substantiam formant, nec remissione
contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem
est. quodsi differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero
indiuiduorum, aequa- liter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt;
quo 6 in Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B—l3] Porph. p. 18,
10—14 (Boeth. p. 46, 10—14). 14 saepius] cf. infra. 1 teneo]
sumo N sumo tenens ( tenens del. m2) H si
(ex sumo m2) teneo L pr. erunt ante
sex N, s. l. Hm2 post. erunt ante igitur ( ergo
H) HL 2 detinet HN 4 complent numerum H 5 dedisse
nunc HN 8 DIFFERENTIAE ET SPECIEI] plerique codd. fort. ex 9
sumptum, om. Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE Γ2Φ , r ecte ut
aid.; Porph. p. 18, 10 Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ
είδοος , cod. Μ Περί κοινών είδους καί διαφοράς 9
est add. Hm2 10 homine—parti- cipant (12) ] LR Q , om.
cett. homini R T a.c. hominem L \ 11 ratio- nalem
differentiam L \ , post differentia add. nam omnes homines
aequa- liter homines sunt et aequaliter rationales Σ 12 et
del. uid. Δ , om. Ψ his adesse LR <t>
post quae add. eorum ΓΔΠΦ 13 enim om.
R rationabilis CEGPR U Busse, add. est ΓΔΦ
, s. l. A m2 14 saepius i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss.
; saepe de duobus locis etiam p. 293, 18 dictum; superius P,
fort. recte, cf. ad p. 317, 4. 337, 8 17 monstrat HLNP 18
utraeque CP seiunctae CGPR fit ut aequaliter
participentur. omnes enim indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut
homines. nam si idem est ‘esse’ homini quod est ‘esse rationale’, cum omnes
homines aeque sint homines, necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud
quoque commune habent quoniam ita differentiae sui partici- pantia non
relinquunt ut species. semper enim Socrates rationalis est—Socrates enim
rationabilitate participat —, semper homo est, quia scilicet humanitate
participat. ut igitur differentiae sui participantia non relinquunt, ita
species his quae ea parti- cipant, semper adiuncta est.
Proprium autem differentiae quidem est in eo quod quale sit praedicari,
speciei uero in eo quod quid est : nam et si homo uelut qualitas accipiatur,
non sim- 11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19, 3 (Boeth. p. 46, 15-47,
11). 1 mortales—sicut homines] ( sunt ex
sint Lm2, add. homines Lm1, del. m2, sunt del.
Pm2; atque Lm1Pm2 et HLm2Pm1; sicut del. et
sunt scr. Pm2) HLP aeque mortales atque rationabiles sunt ut
homines C aeque (s. l. m2) mortales (ex
-lis m2) sunt atque rationabilis (sic) sunt
(part. ras. ex sicut m2) homines E mortales sunt
atque ( atque sint N) rationales sicut homines NR
mortalis atque rationabilis sicut homines G 2 nam—homines (4)
om. N idem est] E ( est in mg.) HR idẽ CL
id est ( ẽ G) GP est del. Lm2 3 esse
post ration. EL, repetit. post ration. P, om. CH
rationali R rationalis Lm1 rationabile G
rationa- bili E rationabilis Lm2P 5 ante
commune add. est H habent om. HR, s. l. EL (
n del. m2) differentia R 6 relinquit R
relinquent Pm1 derelinquunt Lm1 rationabilis
EG 7 rationabilitati CGP rationalitate HN post
semper add. enim G 8 quia ex qua
Em2 humanitati EGLP differentia HLNR 9
relinquit HLNR par- ticipent E 11 SPECIEI ET
DIFFERENTIAE ( DIFFERENTIIS E) ΕG ΤΖΦ , recte ut uid. , DE PROPRIIS
EORVM ( EORYNDEM Ψ ) Ρ Ψ ; Porph. p. 18, 15 Περί
τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς , cod. Μ Περί τών
ιδίων ειδοος και διαφοράς 12 autem om. Η uero C Q
quod ex quid C 13 species EGHNP uero
om. H autem Busse eo quod] quo Γ est] sit
R 14 nam—generationem (p. 327, 15) ] LR Q , om.
cett. accipitur A m1 non] R ΓΔΈ cum Porph. p. 18,
17 hic non L non hic A m2 H Busse non
sic Λ m1 Σ non homo Φ pliciter erit qualitas, sed
secundum id quod generi aduenientes differentiae eam constituerunt. amplius
differentia quidem in pluribus saepe speciebus con- sideratur, quemadmodum quadrupes
in pluribus ani- malibus specie differentibus, species uero in solis his
quae sub specie sunt indiuiduis est. amplius diffe- rentia prima eat ab ea
specie quae est secundum ipsam; simul enim ablatura rationale interimit homi-
nem, homo uero interemptus non aufert rationale, cum sit deus. amplius
differentia quidem componitur cum alia differentia — rationale enim et mortale
compositum est in substantia hominis —, species uero speciei non componitur, ut
gignat aliam aliquam speciem; qui- dam enim | equus cuidam asino permiscetur ad
muli p. 106 generationem, equus autem simpliciter asino num-
quam conueniens perficiet mulum. Expositis communitatibus quantum ad
institutionem per- tinebat differentiae et speciei, eorundem nunc dissimilitudines
colligit dicens quoniam differunt, quod species in eo quod quid sit
praedicatur, differentia uero in eo quod quale sit. huic differentiae poterat
occurri. nam si humanitas ipsa, quae species est, qualitas quaedam est, cur
dicatur species in eo quod quid sit praedicari, cum propter quandam suae
naturae 1 sed] id (del.) R 3 considerantur Δ 4
pluribus] Porph. p. 18, 20 πλείστων , cod. B
πλειόνων 6 specie] una specie R Γ ( sunt ante
specie ) ΛΨ ; Porph. p. 18, 21 άκο το είδος
7 prima ante differentia Δ prior edd.fort· recte
cum Porph. κροτέρα; cf. p. 328, 32 superioris ab
ea] et Γ ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se specie
2 8 post ipsam add. differentiam Δ
(del. m2) Λ 10 deus] angelus LR
ponitur Δ 12 sub- stantiam edd. cum Porph. p. 19, 1
εις οπδστοσιν speciei] specie R 13 aliquam
ante aliam T\A , post speciem 2 14 equus]
asinus Σ asinae Φ equae Σ 15 equus]
asinus 2 autem om. N enim C ΔΛ2 asinae
Pm2 conueniens numquam 2 16 mulum perficiet CEG
perfici ad mulum R 17 Positis N instructionem H
18 eorum L earundem edd.; cf. indicem Meiseri s.
neutrum 20 differentiae C uero om. CGP autem R
post sit add. qua inter se differunt differentia et
species Hm1, del. m2 21 huic] nunc G differentia
G 22 dicitur CLm2 praedicatur GR
proprietatem quaedam qualitas esse uideatur? huic respondemus, quia
differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed
tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem
fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut procederet in
speciem, species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam
illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et
conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex
qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac
simpliciter qualitas est, in eo quod quale est sciscitantibus
respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam
qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque
differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero
tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem claudit et
deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos.
atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque
secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in
eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus numero
differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae
sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat
differentiam, speciem 1 respondebimus G 3 tantum om.
EG solum, s. l. ał tantum L 4 facit
CLN 5 formatum est s. l. Gm2 6 ad qualis s.
l. ł quali- tas Hm2 post quidem add. non
EGP (del. m2), in mg. Hm2 9 post sed s. l.
hec L iure itaque C 11 species—quid sit in mg.
Gm2 12 sit] est HN, add. iure respondetur CG (in mg.
m2) LP 13 rursum E, add. differentiae et speciei
C illa om. E ipsa CGP post quoque
add. his HN differentia est] differunt in ras. E est
om. P in hoc a specie distat G 15 uero om. CEGP
rationalitas HΝ 16 post quadrupes add.
enim P, s. l. Lm2 canem om. C camelum R 17
sola indiuidua Lm2R 19 pr. in] de Pm2 20
praedicetur HLN species—praedicatur om. E 21 praedicatur]
dicatur GHLPm1 22 post differentiae add.
quam species CLP speciebus N post quoniam
add. enim HLN 23 sunt ( erunt L) post
specierum EGL, ante conti- nentes R nam om. LR,
post quis s. l. enim Lm2 quoque sustulerit,
ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero
hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est
igitur differentiae specieique distantia quod una differentia plures species
con- tinere potest, species uero nullo modo. Alia rursus est differentia,
quoniam ex pluribus differentiis una saepe species iungitur, ex pluribus
speciobus nulla speciei substantia copu- latur. iunctis enim differentiis
mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus nulla umquam
species infor- matur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus
asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis
iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter,
id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque
aliquid, si cogitatione misceantur, efficiunt, constat igitur
differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species
uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere.
Differentia uero et proprium commune quidem habent aequaliter
participari ab his quae eorum par- ticipant; aequaliter enim rationalia
rationalia sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com-
18—p. 330, 4] Porph. p. 19, 4—9 (Boeth. p. 47, 12—19). 1
rationalitatem HN 2 aero] quis R rationalitas
HLa.c.N 3 est om. CEGP 4 specieqne R et
species C distant C distantia est EGP
species] significationes Em1 5 differentia est C 6
saepe om. EGR post pluribus add. uero R 8
enim] etiam Lm1 igitur Lm2Pm1 10 asinae
HLm2 11 perficit GP 12 perficiant Lm1R 14 nec..
nec C neque permisceri possunt om. EGR neque aliquid]
non aliquid EGR cogi- tatione si HN 18 COMMVNIBVS] d e
Porph. cf. ad p. 102, 7 20 par- ticipari] praedicari L ab
his—dicitur (p. 330, 2) ] LR Q , om. cett. ab om.
Σ , del. A m2 21 post enim s. l. quae T m2
rationalia rationalia] Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia
rationabilia Π rationalia A2<V m1 rationabilia
LR & m1 rationabilia rationabilia Busse sunt om. R,
s. l. h m2 22 et er. uid. Δ post.
risibilia om. LR \2 , post add. sunt codd., om. L cum Porph.
p. 19, 6 mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad
id quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id
quod est semper, sed non in eo quod semper rideat. Nunc
differentiae propriique communia continua ratione per- -sequitur. commune
enim dicit esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur — aeque
enim omnes homines rationa- biles sunt, aeque risibiles —, illud, quia
substantiam monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam
speciem non relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : aequa- liter
enim semper differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines
rationabiles sunt, ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse
bipedem hominem, cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione
curtetur. quam tali modo soluimus quaestionem. propria et differentiae
non in eo quod semper habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi
possunt, semper dicuntur adesse subiectis. 1 utrisque ΓΛΣΦ
si] sine R ΓΦ qui est] quies R quidem L A
post bipes add. non substantiam ( substantia ΑΦ )
perimit ( perimitur Ψ ) L ΑΨ Busse (in adn. deleri mauult) ,
non substantia perit ( peribit Σ ) ΓΠΣΦ p , om.
Rbrm, Porph. p. 19, 8, Boeth. in comment. 2 sed] ta- men R ad
id quod] ad quod L AΠ (post est repet. ad id )
Σ Busse ad id ad quod Ψ , ad id post
est h m1 post est add. habet et id quod est L
A (del. m2) 2 , ‘fortasse id quod est recipiendum’
Russe : Porph. p. 19, 8 αλλά πρός το πεοοχένοι το (
το om. Μ) άει λέγεται nam -om. R 3 in eo]
eo EGLR A m1 ad C 72 id Ρ Π ad id
*F aliquod N habet id quod est semper] C ( id s.
l. m1?) L hA ( "habet—est del. m2), pro id
exhib. hoc H et id Σ , est om. N habet
semper Ρ Π habet EG semper dicitur ΓΦΨ , om.
R 4 sed—rideat] in om. C, in mg. Hm2, in quod semper
rideat EG non quod semper rideat R Ψ ; Porph. έπε'ι ναι
τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει 6 enim]
autem Lm2P dicitur CEGR proprii C 7
rationales Cm2ELm2P 8 atque NR 9 istud] illud
EGHN (add. risibilis ) P aequum om. H aeque EG,
recte? propriae EGLPR et om. EG ac N
subiectam om. C subiectum EGPm1 10 reliquit
ELa.c. etiam his] hic etiam HN 11 subiectis s. l.
Gm2 12 rationales Cm2HN 15 ante propria
add. et HNP (del. m2), s. l. Lm2 propriae CEGPm2
proprii R et om. CE, del. Pm2 16 post in]
ex HN si enim quis curtetur pede, nihil attinet ad naturam,
sicut nihil ad detrahendum proprium ualet, si homo non rideat. haec enim non in
eo quod adsint, sed in eo quod per naturam adesse possint, semper adesse |
dicuntur. ipsum enim semper; p. 107 non actu esse dicimus,
sed natura. numquam enim fieri potest, ut per naturae ipsius proprietatem non
semper homo bipes sit, etiamsi potest fieri, ut pede curtetur, etiam si
deminuto pede sit natus; in his enim non speciei atque substantiae, sed
nascenti indiuiduo derogatur. Proprium autem differentiae
est quoniam haec qui- dem de pluribus speciebus dicitur saepe, ut rationale de
homine et de deo, proprium uero de una sola spe- cie, cuius est proprium. et
differentia quidem illis est consequens quorum est differentia, sed non
con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum sunt propria, idcirco
quoniam conuertuntur. Distat a proprio differentia, quia
differentia plurimas species 10—17] Porph. p. 19, 10—15 (Boeth. p. 48,
1—7). 1 curtetur quis N nil C attinet
s. l. Lm2, post naturam R 2 ad om. EG ualet
om. EGR 3 pr. in om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab Gm1,
del. m2 post. in om. EGNP, s. l. Lm2 4 possunt HN
dicuntur semper adesse R 5 actum... naturam E
umquam Ea.c.G 7 potest om. EG, post fieri L ,
postea (om. fieri ut ) HN pede] HLm1N ambo
pede Em1GR utroque pede Em2Lm2P; ambobus curtetur pedi-
bus C ante etiam (om. C) add. uel CL (s. l. m2)
R diminuto CEGLPR 8 pede om. C sit natus]
nascatur C 10 de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105,
16 11 autem] uero Δ quoniam] quod ΓΦ 12 saepe—
conuertitur (15) ] LR Q , om. cett. saepe om. Lm1R,
ante dicitur Lm22 ; Porph. p. 19, 11 λέγεται
πολλά*ις rationabile R 13 post , de] A ,
om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et infra p. 332, 3 deo] ii
angelo R deo et angelo L; cf. Porph. p. 19, 12 adn.
ante proprium add. et Δ uero om. R de
una] L 4 m2 4' in una R ΓΔ m1 ΠΣ una Φ ;
Porph. έφ’ ένός post specie add.
dicitur Δ 16 post praedicantur add. de
his Δ (s. l. m2) edd. ex his Σ hiis Φ
, om. Porph. p. 19, 14 18 post. diffe- rentia om.
C plurimis R plures L pluribus EG
speciebus Em2GR claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium
uero uni tantum speciei cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque
de deo, quadrupes de equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum
tenet speciem, id est hominem. unde fit ut differentia semper speciem
consequatur, species uero differentiam minime. proprium uero ac species
alternis sese uicibus aequa praedicatione comitantur. sequi uero dicitur,
quotiens quolibet prius nominato posterius reliquum conuenit nuncupari, ut si
dicam ‘omnis homo rationabilis est’, prius hominem, posterius apposui
differentiam; sequitur ergo dif- ferentia speciem. at si conuertam nomina
dicamque ‘omne rationabile homo est’, propositio non tenet ueritatem; igitur
species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero et species quia
conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est et omne risibile
homo est. Differentiae autem et accidenti commune quidem est
de pluribus dici, commune uero ad ea quae sunt 16—p. 333, 3] Porph. p.
19, 16—19 (Boeth. p. 48, 8—12). 1 clauditur EGRm2
claude his (sic) ml 2 cui iungitur] coniungitur Lm1N,
add. et L rationabile CGLPR 3 pr.
de om. CH, er. L post deo add. praedicatur R, s.
l. Lm2 post quadrupes add. uero R et ceteris]
ceteris E ceterisqne GP 6 ac] et E 7 aeque
G R ( -(??)e ) comitentur HN comitatur ex
commitetur Rm2 sequi] si quid EGPm1 8 quotiens om. EG,
s. 1. Pm2 qualibet re ( re s. l. Pm2) prius
nominata HLNPm2R reliquam HLm2NPm2 reliqua Lm1Rm2
uero qua m1 9 rationalis Cm2HN est om. N 10
posterius ex prius Em2 opposui EG
posui Lm1R ergo] enim E 11 at] et Hm1
nomina] ut (in ras. Lm2) prius differentiam nominem HNP, in
mg. Lm2 12 rationale HN propositi CG proposita
oratio in ras. E 13 nulla ratione differentiam C
proprium—secantur in mg. sup. Hm2 14 sequuntur PRm2
sequntur E ante omnis add. ut L, post add.
enim HNP 15 et om. EG, s. l. Lm2 est om. R
16 ACCI- DENTIS ET DIFFERENTIAE E ΕΤ] uel P
ACCIDENTI C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7 17
accidentis Cm2 il commune— adesse om. N 18 post
uero add. est Ρ ΑΠ Busse, om. Porph. p. 19, 18
inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper
adest omnibus coruis et nigrum esse similiter. Duo quidem
differentiae et accidentis communia proponit, quorum unum separabilibus
et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero
separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi
concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus acci- dentibus de
pluribus praedicari; nam et separabilia et inse- parabilia accidentia
sicut differentia de pluribus speciebus et indiuiduis praedicantur, ut bipes de
coruo atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt,
nuncupatur. item de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt
inseparabilia accidentia, praedicantur. ambulare enim uel stare, dormire
ac uigilare de eisdem dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero
communitas ea tantum acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia.
nam sicut differentia somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam
inseparabilia accidentia numquam uidentur deserere subiectum. ut enim
bipes, quod est differentia, numquam coruorum spe- ciem derelinquit, ita nec
nigrum, quod accidens inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit
subiectum, quoniam eius substantiam complet ac perficit, accidens uero
huiusmodi, 1 post semper add. in eodem
genere P omni R; Porph. p. 19, 18 παντί
post omnibus add. hominibus et L hominibus
Λ (del. m2) 2 nigrum esse] ΓΛ»ηίΨ nigris (
nigros Hm2) esse EGHm1 nigredo esse L
nigrum adest \A m2 nigrum CNΡR ΙΙΣΦ Russe; Porph. p.
19, 19 τότε μέλαν είναι (sic Μ, μέλασιν
είναι Βm2 μέλαν eett.) 4 quaedam HΝ et]
atque ΗΝ 5 sepa- rabilibus om. G, s. l. Em2 6 uero]
autem E 7 uero] enim R, recte? post inseparabile
add. accidens L accidens cum inseparabilibus differentiis in
mg. Hm2 secunda communione HLP 10 differentiae CEGLm2P
11 et de his—cygno om. H, —cygno sunt om. EGR 12
nuncupantur G praedicatur uel nuncupatur C 14
praedicantur—separabilia (16) om. N enim s. l. C
etiam H 15 isdem CPm2 hisdem ER dicitur
LP 17 post inseparabilia add. accidentia
C 19 accidentia inseparabilia HN de- serere uidentur
C 20 corui N 21 est inseparabile C 22 subiectum
non relinquit C derelinquit Lm1 23 post
huiusmodi add. est edd. quia non potest separari;
neque enim possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando
relinquit. Differunt autem quoniam differentia quidem con-
tinet et non continetur — continet enim rationabi- litas hominem —,
accidentia uero quodam quidem modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam
uero modo continentur eo quod non unius accidentis sus- ceptibilia sunt
subiecta, sed plurimorum, et differen- tia quidem inintentibilis est et
inremissibilis, acci- dentia uero magis et minus recipiunt. et
inpermixtae quidem sunt contrariae differentiae, mixta uero con- traria
accidentia. Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif-
ferentiae et ceterorum sunt, species uero quo quidem p. 108 differat a
genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a
ceteris et quo dif- ferentia differret a ceteris. Post
differentiae et accidentis redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat.
ac primum quidem talem proponit. 3—18] Porph. p. 19, 20—20, 10 (Boeth. p.
48, 13—49, 4). 1 post. posset Lm1
potest HLm2NPR post accidens repet. esse G , 3
uel 4 litt. er. L 2 reliquerit H
relinqueret N 3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIAE Γ EARVNDEM
C EORYNDEM E de inscript. ap. Poiphyr. ef. ad p. 105, 16 4
Different Cm1 Differt L ΣΐΑηιΐ m1 Φ post autem
add. differentia ab accidenti Γ 5 et om. GHP
continet— sunt (15) ] LR il , om. cett. enim] autem
L rationalitas ΓΑ a.c. Π2ΦΨ 6 quidem om.
Δ2 7 sint L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero post modo Ψ
, del. ΓΦ (ut uid.) 9 sint A 10
intentibilis ΓΣ Busse inintensibilis edd.; Porph. p.
20, 4 άνεπίτατος; ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12
post uero add. sunt ΛΦ 14 Huiuscemodi
Δ 15 quod EGR quidem om. 2 quidam
Em2G 16 a om. EGH 2 differentiae E est om.
C 17 quo] quod R A m1 differet R differt
CEGP 2 a om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod EGR is m1 18
differet R differat L A differt G 2 a
om. EGHR TWZ 19 reddit has E communicantes Rm1
communiones m2 20 primam HN quidem om. HN
tale C differentia, inquit, omnis speciem continet.
rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species,
id est homo, praedicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque
diffunditur. accidentia uero aliquando quidem continent, aliquando
continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse
pluribus con- sueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, Aethiopi atque
hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut
uideatur illa species plurima accidentia continere. cum enim Aethiopi
accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quae cuncta sunt
accidentia Aethiopis, species, quod est homo, omnia quae habet intra se plurima
accidentia uidetur includere. huic occurri potest : quoniam differentiae quoque
aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut rationabilitas
continet hominem—plus enim quam de homine praedicatur —, continetur quoque ab
homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem.
re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de pluribus praedicantur, ab
his de quibus dicuntur non poterunt conti- neri; quo fit ut differentiae
quidem non contineantur ab specie, etsi sint differentiae plures quae speciem
forment. accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam
nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur 1
omnis speciem] species R rationalitas HNP 2
rationalitas HNP 3 substantia N 4 aliquando—aliquando]
aliquo modo quid N 7 ante lapidi s. l.
pario Em2 post nigrum add. ut CEGLP, ante edd.
ante Aethiopi add. et E 8 continentur uero]
HLm2NP continentur- que cett. 9 plura HN 10 enim]
etenim N ad simus s. l. naribus pressis E
12 ex quod part. ras. quae Cm2 quod est]
quidẽ G ante intra add. et E plurima om.
EGH 13 occurri] opponi HN 14 pr. aliquo modo]
aliquando EGLm2P post. aliquo modo om. N aliquando
Em2Lm2P 15 rationalitas H 17 homo] nomen hominis HN
mortale edd. respondemus HN respondebimus contra
haec GLPR 18 praedicantur de pluribus C 20 a R
21 sunt H differentiae om. HN speciem forment]
CEGP speciem formant Lm(??) ( informent m2 hrm) N
formant speciem H informant speciem R 22 con-
tineantur HN 23 ad constituunt in mg. ał
subsistunt Hm2 accidentia, cum de speciebus pluribus
dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea
neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit
ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant —
una enim quaeque substantia neque contrahi neque remitti potest —, at
uero accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur,
intentione cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif-
ferentia, quod differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non
queunt, accidentia uero contraria miscentur et quaedam medietas ex
alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil
in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius
color. Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat
de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle- gimus,
cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias
ad differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines
monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni
coniungere, tum differentia segregare. Speciei autem et
proprii commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et
si risi- 21—p. 337, 4] Porph. p. 20, 11—15 (Boeth. p. 49, 5—10).
1 pluribus speciebus HN 2 maximae EH, add.
dicuntur uniuersalia et ( et om. R) proprie Lm2 (in
mg.) R 4 ut om. CG, s. l. Lm2 5 una quaeque enim HNR 6
quoniam] quia E 7 profitentur] monstrant R ante
intentione add. et HN 9 his] se C 10
misceantur N permiscen- tur R et] ut C 11
coniunguntur LN fiat C 12 rationali C ( bi
s. l. er.) HN inrationali HN in unum] L in
om. cett.; cf. indicem Meiseri s. unus 13 post color s. l. ut
uenetns Pm2 15 ad genus— differentias om. EG 16
dicebamus] diximus EGP 17 diximus] dice- bamus C 19
proprio HLm1NP accidenti Lm1 accidenti tum
HPm2 accidentique (om. et ) N communione
HLm1NP tunc R 20 disgre- gare N 21 de
inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7 23 nam—dictum est (p. 337, 4)
] LR Q , om. cett. post homo add. est ΔΣ ,
s. l. A m2 et si] ΔΕΈ et L ΓΛΠΦ ita
et R post risibile add. est ΔΣΨ bile,
homo est – risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe
iam dictum est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et
propria quorum sunt propria. Commune, inquit, habent propria atque
species ad se ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de
proprio, ita proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risi- bilis,
ita risibile homo est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius
communitatis rationem subdidit, eam scilicet, quia aequaliter species
indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae
ratio non uidetur ad conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam
aliam similitudinem, quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur,
ita etiam propria; aeque enim Socrates et Plato homines sunt, sicut etiam
risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum :
aequaliter enim sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum
sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret
‘aequalia enim sunt species et propria’? nam quia species eorum sunt
species quae spe- ciebus ipsis participant, et propria eorum propria
quae|pro- p.109 priis participant, proprium atque species
aequaliter utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quae specie
parti- 8 saepius] cf. infra. 1 est om. R ante
secundum add. et A (s. l.) Busse, om. Porph. p.
20, 13 id om. J! 2 natum] Porph. p. 20,
14 κατά τό πεοοχέναι γελάν sumi oportet] LR
dicitur Q ; Porph. ληπτεον 3 sunt om.
Φ , post spe- cies P earum R, ex
eorum ut uid. 5 m2 7 ita—est homo in mg. Hm2
praedicamus EGHm2P p.c.R namque om. N nam R
8 ita homo risibile est E ita est risibile homo R iam]
etiam C saepius] HN superius cett. (recte?);
cf. saepe 2, et ad p. 317, 4. 325, 14 10 qua CGLP
eadem] eodem modo E 11 ratio] puto Em2 12 accommo-
data edd. 13 qua CGEm1P ante indiuiduis
add. ab HNR, s. l. Lm2 14 participatur H 18
ac Lp,c.Pm2 est om. C 19 aequa- liter N 20
post propria add. quorum sunt propria C 21 et
propria— atque species] atque proprium species N 23
post. speciei EGLP cipant, neque propria superuadunt ea
quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint. propria, species
ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem praedicari.
Differt autem species a proprio, quoniam species quidem potest et aliis
genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile est. et species
quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit in specie;
oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem semper actu
adest subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim semper actu
est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper risibilis.
amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est autem speciei
quidem sub genere esse et de plu- 4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21, 3
(Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad
theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58
Stoelzle. 1 nec CELN 2 haec om. LN, del. uid.
E sunt EHa.c.N, add. et CE (del.) GH (del.) P (del.
m2) propriis (post sint ) E (del.) G proprii
Ha.c. 4 DE PROPRIETATIBVS Δ DE DIFFERENTIA C; de Porph.
cf. ad p. 105, 16 5 a om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2 6 et
om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM χαί
proprium—praedicari (p. 339, 2) ] LR Q , om. cett. et
om. Porph. 9 post R Σ post enim add.
ante L ut] Porph. p. 20, 20 Ινα xai ( Voti
om. cod. M) ut sit s. l. \ m2 11 potestate]
Porph. p. 20, 21 xol δονάμε: 12 enim] uero L est
om. R non uero semper] ΔΛΠΨ edd. Busse non semper
autem Γ2Φ semper autem non LR; Porph. p. 20, 22
γελά δέ oix αεί ; cf. infra p. 340, 4 13 quamquam
(uel quan- ) L ΓΦ natura in ras. A m2
14 termini] definitiones (uel diff- ) LR ΓΦ , ad
termini s. l. ł diffinitiones \ m2 differentes]
ΓΑ differentes sunt Δ»ιίΠ2Φ differunt LR s m2 ii} ;
Porph. p. 20, 23 ων οί οροί διάφοροι ; quo- rum termini, id est
diffinitiones ( id est diff. om. p. 94) sunt
differentes ( sunt differentiae p. 488) , ipsa quoque sunt
differentia Abaelard. 15 spe- cies R, post
speciei s. l. diffinicio A m2 quidem] R T\ m2 (in ras.)
Ψ brm Busse in adn., semper \ m1 (ut uid.) All/ p Busse in
contextu , esse semper L quidam terminus Σ ; quidem sub
genere semper esse Φ ante sub add. et L
A Busse; Porph. εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος
είνα: ribus et differentibus numero in eo quod quid est praedicari
et cetera huiusmodi, proprii uero quod est soli et semper et omni adesse.
Primam proprii et speciei differentiam dicit quoniam species
potest aliquando in alias species deriuari, id est potest esse genus, ut
animal, cum sit species animati, potest esse hominis genus. sed nunc non de his
speciebus loquitur quae sunt specialissimae, atque hunc confundere uidetur
errorem, quod cum de his speciebus dicere proposuerit quae essent
ultimae, nunc de his quae sunt subalternae et saepe locum generis
optineant disserit. propria uero nullo modo esse genera possunt, quoniam
specialissimis adaequantur; quae quoniam genera esse non queunt, nec propria
quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur. Rursus species semper ante
subsistit quam proprium—nisi enim sit homo, risibile esse non poterit —,
et cum ista simul sint, tamen substantiae cogitatio praecedit proprii rationem.
omne enim proprium in accidentis genere collocatur, eo uero differt ab
accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam speciem uim propriae
praedicationis continet. quodsi pviores sunt substantiae quam accidentia,
species uero substantia est, proprium uero accidens, non est dubium quin prior
sit species, proprium uero posterius. Dis- 1 est] sit 2 edd.;
cf. p. 340, 13. 341, 22 2 praedicari] Porph. p. 21, 2
■κατηγορούμενον είναι post huiusmodi add.
praedicari I m1, del. m2 pro- prium R quod est
om. ΓΦΨ , del. \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;. 3
soli et omni et semper Λ semper et soli et omni 2
scilicet semper et omni Gm1, ante scilicet in mg. sali
et semper m2 4 ad dicit s. l. dicunt
Έ 5 diriuari EGNPR 7 specialissimae sunt H 8
hunc s. l. L nunc N hinc C hic
Em2 uidetur confundere C 9 essent] sunt L 11
genera s. l. Lm2, ante esse HRS 13 non queunt]
nequeunt L non pos- sunt NR 14 permiitunt C (
ur er.) N species—subsistit] species est semper ante C
15 homo sit LPR 16 ista] ita CLa.c. 18 uero]
Brandt enim codd. edd. accidente CNR quia]
quod L 19 speciem om. H propriae del. Lm2
20 post continet add. accidens autem quando continet,
ad multas species potest diffundi EL. (in mg. inf. m2) Pbrm 21
accidens—proprium uero om. R 22 uero om. EG, s. l. Pm2
Decernuntur GHLP Disterminantur E cernuntur etiam
species a propriis actus potestatisque natura; species enim actu semper
indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu, potestate autem semper.
Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero semper actu rident, sed
risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant, ridere tamen poterunt.
natura itaque species et proprium semper subiectis adest, sed actu species,
proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At rursus quoniam definitio
substantiam monstrat, quorum diuersae sunt definitiones, diuersas necesse est
esse substantias; speciei uero et proprii diuersae sunt definitio- nes,
diuersae sunt igitur substantiae. est autem speciei definitio esse sub genere
et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicari; quam
superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non ita
: definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei adest.
quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium spe- ciem ac proprium
secundum naturae suae terminos discrepare. Speciei uero et
accidentis commune quidem est de pluribus praedicari; rarae uero aliae sunt
communi-20 18—p. 341, 2] Porph. p. 21, 4-7 (Boeth. p. 50, 3—6).
1 species om. EHP, s. l. Lm2, ante etiam G a
propriis in ras. Lm2, a (om. R) proprio
Pm2R actu CHLm1N 2 post uero add. non
semper ( actu s. l. add. Lm2) sed EGLPR 3
actu om. EG, del. R, s. l. Lm2 autem semper om. EGR
4 ante sunt add. semper N 5 quia om.
HN, s. l. Lm2 tametsi] etiamsi C potuerunt N pos-
sunt R non (del. E) poterunt EG 6
ante species add. e(??) R, ras. L ad- est]
adsunt H 7 uelut] ut NR 9 diuersas—definitiones
(10) om. N 11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem
H substantiae— de pluribus in mg. inf. Gm2 speciei definitio]
diffinitio speciei spe- cies C 12 sub genere esse HΝ 14
opus non H ita definitur, om. non Hbrm, er.
E; ita, <sed> definitur Brandt, cf. p. 347, 4 15 spe-
ciei om. H 18 de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7
19 uero] autem H est quidem C 20 sunt aliae
HRT tates propterea, quoniam quam plurimum a se distant accidens et
id cui accidit. Speciei atque accidentis similitudinem communem
dicit de pluribus praedicari; de pluribus enim dicitur species, sicut et
accidens. raras uero dicit esse alias eorum communiones idcirco, quoniam longe
diuersum est id quod accidit et cui accidit. cui enim accidit, subiectum est
atque suppositum, quod uero accidit, superpositum est atque aduenientis
naturae. item quod supponitur substantia est, quod uero uelut accidens
praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia multam eius quod est subiectum et eius
quod est accidens differentiam faciunt. tamen inueniri etiam aliae possunt
speciei et accidentis inse- parabilis communitates, ut semper adesse subiectis
— aeque enim homo singulis hominibus | semper adest et inseparabilia p.
110 accidentia singulis indiuiduis praesto sunt —, et quod sicut
spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque de pluribus accidentia
indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque
album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit nuncupatur.
Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in eo quod quid est
praedicari de his quorum est species, 20—p. 342, 15] Porph. p. 21, 8—19
(Boeth. p. 50, 7—20). 1 quam om. ΗL ΣΑΛ'Ψ (recte?), s.
l. Π m2 , quem R qui (ut uid.) N; Porph. p. 21,
6 itXststov distant ante a se Δ
(s. l. m2) A , a se om. N 2 ante
accidens add. et Γ id om. 12 , s. l.
Pm2 , hoc Σ ; Porph. p. 21, 7 *a\ το m οομβέβηχβν
accidunt Em1P 3 atque] et HL accidens Έ
dicit om. E, s. l. Lm2Pm2 de s. l. Lm2 5 dicit
alias, post er. esse uid. C 7 atque] et H 8
est om. EGHP adueniens EPm1 accidentis N 11
et eius] eius est E 12 possunt) sunt E insepa- rabiles
Cm1GP 13 subiectis semper adesse HN post adesse
add. possunt E 15 sicut] L (s. l. m2) Rbrm, om. cett.
codd. p 16 conti- nent H ante accidentia add.
ut CH 17 praedicatur G et om. EGHPR 20
ET om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 105, 16 21 in] et
C 22 est] sunt Hm1 sit Σ praedicare EGm1P ,
praedi- catur 2 de his om. Σ hiis
Φ quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum est species Φ
accidentis autem in eo quod quale quiddam est uel aliquo modo se habens;
et unam quamque substantiam una quidem specie participare, pluribus autem acci-
dentibus et separabilibus et inseparabilibus; et spe- cies quidem ante
subintellegi quam accidentia, uel si sint inseparabilia — oportet enim
esse subiectum, ut illi aliquid accidat —, accidentia uero posterioris generis sunt
et aduenticiae naturae. et speciei quidem participatio aequaliter est,
accidentis uero, uel si inseparabile sit, non aequaliter; Aethiops enim
alio Aethiope habebit colorem uel intentum amplius uel remissum secundum
nigredinem. Restat igitur de proprio et accidenti dicere; quo enim
proprium ab specie et differentia et genere differt, dictum est.
Quod nunc proprium speciei et accidentis se exequi polli- cetur, tale
proprium intellegendum est quod, ut superius dictum est, ad comparationem
dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid est praedicatur,
accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab accidentibus solis
species 2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns II, Introduci. ad
theolog. p. 89; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] p. 297, 9. 301, 5.
1 quale] quale est N quidem CEm1 quidam
m2 uel—habens om. CEGHN 2 aliquo modo] quomodo ΓΦ
; Porph. p. 21, 10 πώς ; cf. supra p.128, 10 adn.
et—nigredinem (12) ] LR Q , om. cett. 3 unam R
qui- dem om. Abaelard. participari L ΓΔΣ a.c. Φ
praedicari \ m1 autem] uero L Abaelard. 4 tert.
et om. Γ 5 post quidem add.
sane L ΓΛ (s. l. m2) ΙIΣΦ Busse, om. R ΛΨ cum
Porph. p. 21, 12 post subintel- legi add. potest
Lpr possunt bm; Porph. w\ τά piv είδη
προεπινοεΐται uel om. Φ ad uel
si s. l. etiamsi K m2 6 inseparabilibus R 8
generis om. R aduentiuae R 9 aequalis Λ
accidens L T m1 A m1 10 alio Aethiope] Porph. p. 21, 16
ΑίίΚοπος 13 accidente HNR ΔΣ , ante er. de
P 14 enim] etiam H a] cod. Q Bussii (om. cett.) edd.
(cf.p. 344, 9), ab scr. Brandt speciei Ca.r.EGR
et om. CEGHPR differen- tiae GR 15 differt om. L
differat ΦΣ distat R est dictum H, add. in
illorum differentiis ad ipsum 2 18 dicatur R 20
est om. GP, post add. praedicatur H discernitur,
uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum
etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens
uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;
genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat
praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species
continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est
species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima,
itemque in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at
uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim
substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus,
quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis
de numero accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia
species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse
non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi,
accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte
igitur prius species, accidentia uero posterius intelleguntur;
posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae
substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et
posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante dif- ferentiis
informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam 1 decernitur
Rm2 ac s. l. Lm2 a EGH et a P 3
praedicatur post species H quod om. E, s. l.
Gm2 4 se EP habet LR id—habeat (6) om.
R est commune H post est add. speciei
L (s. l. m2) brm 5 accidenti] edd.
accidente codd. quod om. E 8 propinquitate
EPm1 propinqua L species est LR 9 est equi
H item H 10 una—substantiae in mg. Hm2 13 quod
simus om. C 15 accidentium ex accommodantium Hm2
post conuenit add. dicere R ante om. C 16
accidit CHLNPR, recte? 18 autem del. Lm2 enim
P 20 uero om. R, in mg. Lm2 posterius] postremo R
enim] uero CE 21 generis ut ait CR nam quae] nam
Rm1 namque EG nam quia CN 22 ante
recte add. ideo EGL (s. l. m2) P (del. m2) esse
om. H monstrat, substantia uero, ut dictum est, intentione ac
remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque non
suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis
remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens
quod Aethiopibus inest, nigredo. potest enim quibusdam talis adesse, ut
sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima. Restat
nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a
genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus
uel species uel differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua
ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus
aut iungat aut segreget. Commune autem proprii et
inseparabilis accidentis est quod praeter ea numquam constant illa in
quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita
nec praeter nigredinem sub- 14—p. 345, 2] Porph. p. 21, 20-22, 3 (Boeth.
p, 51. 1—6). 1 demonstrat H ac] et H 2
remissionemque] ac remissionem H 3 si s. l. CLm2 4
in (del. m2) incremento H decremento R edd.
uti R ita E 5 ante nigredo add.
ut Hm1N id est s. l. Hm2 6 fu- scis] La.c.
edd. fuscus Lp.c. et cett. aliis uero] edd. uero
aliis codd. ( uero s. l. Lm2) 8 post
proprii add. et accidentis N ac] ad EGLm1 9
quo] Cm2 (part. ras. corr.) quod Cm1EGLm1NPR quid
HLm2; cf. p. 342, 13 10 quid] quod N quicquid E
uel differentia uel species H 11 a s. l. Lm2 12 uel]
et N quod E quae Hm2LR 13 iungit
EGHm1LPm1R segregat LPR separet N 14 ACCIDEN- TIS]
Porph. p. 21, 20 cod. Μ σομβεβηχοτος , cett. τοδ
άχωρίστοο σομβεβη- αότος ; de Porph. cf. etiam ad p. 102, 7 16
est post commune L, ante accidentis AA m1
accidentis inseparabilis est m2 praeter ea] prop- terea
Φ constant] CH Busse (coll. p. 159, 7) consistant EGNPR
h m1 A p.c. W edd. consistunt L A a. c.
112Φ consistent r\ m2 illa post
quibus N 17 quemadmodum—Aethiops (p. 345, 1) ] LR Q
, om. cett. 18 ita om. 2 , s. l.
A m2 subsistit] non subsistit A m2; Porph. p. 22, 1
ΰποσταίη dv sistit Aethiops, et quemadmodum semper et omni
adest proprium, sic et inseparabile accidens. Quoniam proprium
semper adest speciebus nec eas ullo p. 111 modo relinquit
quoniamque inseparabile accidens a subiecto non potest segregari, hoc
illis inter se uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria
uel inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia
com- parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque
accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii atque accidentis
communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet,
in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in
contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione
participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a
separabili accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et
separa- bilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis
quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates
inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam
superius exposuimus, secunda uero quoniam sicut proprium semper et omni
speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini
et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est.
8 ut in specie dictum est] p, 340. 20. 1 et omni om.
H et om. R; Porph. p. 22, 2 παντι και άεί 2
sic om. P sicut C et om. R 3 semper
om. H 4 quodque Hm1 5 inter se post commune
H 6 ea in] eam (m del. m2) H insunt] sunt R, add.
ipsa propria et inseparabilia accidentia sunt E (del. et s. l.
glosa est scr. m2) L (in mg. m2, om. sunt) P (om. sunt)
uel] et LNR 7 possunt EHLm2NP uero s. l. Cm2
ante comparat s. l. proprio Cm2, post s. l. scil.
proprio L 8 sunt post accidentis H 10
ante accidens add. scilicet E 11 enim] uero
R 12 sub genere om HΝΡ, del. Lm2 14 quiddam CL
quoddam post est H 16 simili-
tudines—accidentibus in mg. Em2 17 causis om. EG
rationibus Lm2PR 18 differentiae] dissentiae uel differentiae
H 19 est ea H 21 post accidens add.
est H 22 et semper om. H et semper adest s. l.
Gm2 post. et] N edd., om. cett. Differt autem
quoniam proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini,
inseparabile uero accidens, ut nigrum, non solum Aethiopi, sed etiam coruo
adest et carboni et hebeno et quibusdam aliis. quare proprium conuersim
praedicatur de eo cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem
accidens conuersim non praedicatur. et pro- priorum quidem aequaliter est
participatio, acciden- tium uero haec quidem magis, illa uero minus.
Sunt quidem etiam aliae communitates uel proprie- tates eorum quae dicta
sunt, sed sufficiunt etiam haec ad discretionem eorum communitatisque
traditionem. Proprii atque accidentis prima quidem differentia est
quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens uero minime,
sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis sub- stantias speciesque
diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine praedicatur, nigrum
uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam Aethiopi, quae
diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt generi- bus,
non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis quidem 1—13] Porph.
p. 22, 4—13 (Boeth. p. 51, 7—17). 1 PROPRII ET ACCIDENTIS] CP
W , item Porph. p. 22, 4 cod. M ( των αυτών plerique
cett. ), ACCIDENTIS ET PROPRII cett., nisi quod EORV II
EORVNDEM Ψ ; de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16 2 Dif-
ferunt CG ΔΣΦ ; Porph. p. 22, 5 διενήνοχεν
proprium om. Σ 3 risi- bili N
inseparabile—minus (10) ] LR Q , om. cett. 4 soli
L A‘l> 5 etiam] aeque R hebeno plerique codd., item
20. p. 347, 7 6 proprium est ΓΦ 7 post.
est] ΓΔ (del. uid.) ΙΙΣΦΨ cum Porph.
p. 22, 8, om. LR A Busse 8 autem] uero ΔΛ Busse
conuersim non] nec conuersim A proprii R A m2 2
proprium uero Φ 9 aequaliter] R 2 , coni. Busse ,
aequalis cett.; Porph. p. 22, 9 και τών μέν ιδίων έπίτης ή
μετοχή 10 hae Δ 11 uel] Porph. p. 22, 11 τέ
καί 12 earum C dictae CEGHP hae N
et R 13 traditionem ex distractionem E
contradictionem Gm1 14 est om. H 16 praedicatio
eius H 17 species Cm1 19 diuersae HLNPm2
diuisae m1 20 speciei H (ante sunt) N
tunc R nec non Lm1 sed tum m2 21 tantum
specie] uni tantum speciei P conuersio aequa seruetur, in
accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt atque
omnes continent, species conuerso ordine praedicantur; nam quod risibile est.
homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed ipsum quidem
de his praedicari potest quibus inest, illa uero ad huius praedicationem
conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque
coruo prae- dicatur, haec uero de nigro minime, nam quae plurima con- tinent,
de his quae continent praedicari possunt, ea uero quae continentur, de
sese continentibus nullo modo nuncupantur. Rur- sus proprium quidem aequaliter
participatur, accidens remis- sionibus atque intentionibus permutatur. omnis
enim homo aeque risibilis est, Aethiops uero non aequaliter niger est, sed, ut
dictum est. alius quidem paulo minus alius uero taeterrimus
inuenitur. Et de proprii quidem atque accidentis differentiis
satis dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones proprie-
tatesque explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis,
differentiae, speciei et proprii ad accidens similitudines ac
differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior
factus alias praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias
quinque rerum quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque
eorum similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos
etiam, quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem
primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis 1 conseruetur
(con s. l. m2 ) aequa conuersio H 2esse presunt (pre- sunt
del. m2) H esse Lm1 esse habent Lm2R 4 post
post. homo add. est CLR post risibile
add. est LPR 5 quibus] in quibus R 7
ante hebeno add. de H, er. uid. L 9 continentur
HN 11 proprium post quidem H (s. l. m2)
quidem om. G 12 permittatur E 15 deter- rimus
CLN 16 proprii * (s er.) HL differentiis om.
G proprietate E 17 accidens G 18 replicare
EGLPR iam] etiam EG enumeratae La.c. 19 speciei]
et speciei NR ad accidens] et accidentis Em1La.c.R 20
his om. NR 23 ante eorum add. ad
EGLPR 24 sufficiant HR 26 ab in a mut. ut uid. C
Latina oratione conuersam gemina expositione patefecimus, hic terminum
longo statuimus operi continenti quinque rerum dis- putationem et ad
Praedicamenta seruanti. 1 conuersa ELm1 2
continenti om. C quinque] V L (in ras. m1?) edd., om.
cett. 3 et om. C seruienti brm ANICII MALLII
SEVERINI BOEZIO LIBER V EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI P FINIT EXPLICIT
EDITIONIS SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER V FELICITER. AMEN (er. uid.)
DEO GRATIAS C ANICII MANLII
SEVERINI BOEZIO ILLVSTRIS CONSVLIS EXPLICIT LIBER ANICII. MANLII SEVERINI
BOEZIO A. M. S. B. N V. C. ET ILL.
I LL S. N EXCONS EXCS N ORD. PATRICII. (ΈΧC.—PATR. om.
G) IN ISAGOGAS (YS- EG) PORPHYRII (I pro Y
N) IDE. INTRODVCTIONES (-NE E) IN CATEGORIAS (KATH-
N) A SE (om. N) TRANSLATAS. (-TĘ E , IDE— TRANSL.
om. G) EDITIONIS (EDΙCΤ- E , AED- N) SCDĘ LIBER V
(QVINTVS N) EXPLICIT EGN, add. TIBI PAX. AMEN. E ;
QVINQVAE (sic) FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV R;
subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a BOEZIO translatam
continentibus ΓΛΣΦΊ’ (nisi quod in Φ recens
quaedam est); post traditionem habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV
PORPHIRII Δ, EXPLICIT Π. gradatimfoliacontrahit.Videturhæcnonminusdilatatio
ne,contra iones foliorum honorare solem, quam homines genarum gestu, moru
labiorum. No folumuero 'in plantis, quæ ueftigium habent uitæ, fed etiam in lapidibus
aspicere licet, imitations, & participationem quandam luminum supernorum, quem
ad modum helicis lapis radijsaureisso laresradio simitatur. lapis autem, qui uocatur
cælioculus, uel solis oculus, figuram habet fimilēpu pillæ oculi, atqsex media pupillae
micatradius. Lapis quoque selenitus, id est lunaris, figura lung corniculari similis,
quadam sui mutatione lunarem fequitur motum. Lapis deinde helio selenus, id est
solaris, lunarisóz imitatur quod ã modo congreffum folis, & lunæ, figuratcs
colore. Sic diuinornm omnia plena funt, terrena quidem cælestium, cæleftia uero
super cælestium proceditæ quilibetor d o rerum uso ad ultimum . Quæ enim super
ordinem rerü colligū curin uno, hæc deinceps dilatan turindescendendo, ubi aliæ
animæ subnuminibusalñs ordinantur. Deinde & animalia funt sol ana multa, uel
ut leones, & galli, numinis cuiusdam solaris pro fua natura participes, unde
mirum est, quantum inferiora in eodem ordine cedant superioribus, quamuis magnitudine,
potentias non cedant hin eserunt gallum timeri am leone quam plurimum, &
quafi col0i . cuius rei causam a matería, sensu ue assignare non possumus, sed solum
ab ordinis supernicontemplatione. quoni amuide licet præsentia folaris uirtutis
conuenitgalto magis quam leoni: quod& inde appare Marfil. Ficin. in
Interprete FICINO. Vem ad modum
amatoresabipsa pulchritudine, quæcircasensumapparet, addiuinam paulatim pulchritudinem
rationeprogrediuntur:fic& sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebus naturalibuscognacionemquandamcompassionemç;
aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibusinuenirent,
facrameorumscien quicquidest, pulchrumeft, & bonum
eft.etiamsiindecorporissequaturin commodum. Corpus enim nonpars hominis, fedinftrumentum:
instrumentiuero'malumnonpertinetadutentem. Quomodo differantduohæc,fcilicetfecundumfeipfum,&
quaipsum. Ietioneseius modi, fcilicet secundum feipsum,& quaipsum
,etiamapudAristotelemdistin, D g u u n t u r . Quod enim secundum seipsum
alicui competit , poteste i non competere primo.
Quodautemquaipsumconuenispræterid, quodconuenit,secundumseipfumeciam primo
competitei,atqueadæquatur. Pulchrumigitur, ficommensurationisanimæcausaest,atq;obhoc
ipsumdiciturpulchrum, efficito,utmeliusinanimadomineturdeceriori,perficitąnos,&
animæ deformitatempurgat:hacipfarationebonum est, nonquidemperaccidens, fedquarationepul.
chrum .fienim qua pulchrum estcommensuratum ,eft & bonum.Bonãenim
estmensura cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum.Similiter turpe,qua
turpe,malum est.N a m qua curpe eft, informe est qui 1 quiagallus, quafiquibufdáhymnisapplauditfurgentisoli,
& quafiaduocat,quãdoexantipodum mediocæloadnosdeflectitur,& quando
nonnullisolaresangeliapparueruntformiseiusmodi prædici, a r c f, cum ipfi i n s
e fine form a essent, nobis tamen, qui formati sumus, occurrere formati. No
nunquam tione. Quæfecundumfefuntincorporea,nonlocalicerpræsentiacorporibus,adsunt
eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià, quatenusuidelicetnaturaliteradea
uergunt,arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfint localia conditione corporibus,
habitudine quadam eisadfunt. Quæ fecundum sesuntincorporea, certenonpersubstantiam,
&peressentiam corporibusadsunt.Non enim corporibuscómifcentur.ueruntamenexipsainclinatione,quasimo
mentouisquædamsubfiftitindecomunicataiam propinquacorporibus. Ipsanamqinclinatiose.
cundamquandamuimsubstituítcorporibusiampropinquam. mæ,fecundữcorporafuntdiuisibiles.Nonomne,quodagitinaliudappropinquatione,&ta
&ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido, &
tangendofaciuntaliquidfecundumaccidens, nonutuntur propinquirate. Animacorporialligaturconuersionequadam
adpassionesprouenien resacorpore.Rursum
foluiturquatenusacorporenihilpatitur.Quodnaturaligauit,hoc&ipsa
naturasoluit. Rursusquod conciliauitanima, hoc& animadirimit.Naturaquidem
corpusinanimadeuincit, animaueroseipsamincorpore.Quamobrem natura corpusab
anima separaczanimaueroseipsam àcorporesegregat, saclia usmodi .Qui 1
Proc.De Sacrif.& Magia. ICOR bada
mler : in: no.N enlos ur,but aliano compiz quider Locum
siuecausisadintelligibilianos ducentibus. FICINO INTERPRETE. De natura, e
alligatione,o solutioneanime. Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam
indiuiduam, arqueessentiamuera corpora A diuisibilem. Intellectusautem
essentiaest,indiuiduafolum. Sed qualitates, materialesqfor lael,ea 703 ncense
garia 1,fiu ucent oxd zateni XOM etiam dæmones nisisuntsolares
leoninafronte.quibuscum gallusoböceretur,repente disparuerunt. Quodquidemindeprocedit,semperquæineodem
ordineconstitutainferiorafunt, reuerentursuperiora:quemadmodum
plerişintuentesuirorumimagines diuinorum,hocipsoas.
pe&uuererisolentturpealiquidperpretare. Vtautemsummatimdicam,aliaadreuolucionessolis
correuoluuntur,ficutplantæ,quasdiximus:aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan
tur, utpalma, dactylus:aliaigneamsolisnaturam,utlaurus:aliaaliudquiddam
uideresanelicetpro
prietates,quxcolligunturinsole,passimdistribucasinsequentib.insolariordineconstitutis,scilicet
angelis, dæmonibus,animis,animalibus,plantisatque
lapidibus.Quocircasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibussuperiorum
uiriumcultumadinuenerunt,dum aliamiscerent,alia purificarent. M i s c e b a n t
autem plura i n uicem, quia uidebant fimplicia non nullam haberenum i n i s pro
prieratem, nontamenfingulatim,sufficientemadnuminisiliusaduocationem.Quamobrem
ipfa multorum comixtioneattrahebantsupernosinfluxus: acßquodipficomponendounumexmul
tisconficiebant, assimilabantipfiuni,quodestsupermulta,constituebantæftatuas exmaterñismul
tispermixtas:odoresquoqcompositoscolligentes:arceinunum
diuinafymbola,reddentesísun um tale,qualediuinumexiftitsecundum
effentiam,comprehendens,uidelicetuiresquamplurimas. Quorum
quidemdiuisiounamquamg debilitauit, mixtiouerorestituitinexemplarisideam.Non nunquam
ueroherbauna,uellapisunus,addiuinumsufficitopus. SufficicenimCnebison,ideftcar
duus,ad fubitam numinis alicuius aparacionem , ad custodiam uerò laurus. Raccinum
,ideftgenus uirgultispinosum, cepa,squilla,corallus,adamas,laspis,fedadpræsagiumcortalpæ,adpurificatio.
nem uerosulfur, &atosmarina. Ergosacerdotespermutuam
rerumcognationem,compassionem'. conducebant inunum,perrepugnantiam
expellebantpurificantes,cum oportebat,sulfure,atque
asphalto,idestbitumine,aquaaspergentesmarina,purificatenimsulfurquidempropterodorisa
cumen,aquaueromarinapropterigneamportionem,& animaliadrjsindeorum
cultucongruaad hibebant,cxtera'tsimiliter. Quamobrem
abës,atoßsimilibusrecipientesprimumpotentiasdemo num ,cognouerunt,uideliceceasesseproximasrebus.actionibus
naturalibus:atq;perhæcnatura lia,quibus
propinquantinpræsentiamconuocarunt.Deindeàdæmonibusadipfasdeorumuires actiones &processerunt,partimquidemdocentibusdæmonibusaddiscentes,partim
ueroindustria propriainterpretantesconuenienciafymbola,inpropriam
deorumintelligentiamascendentes, ac deni q post habitis naturalibus rebus,
actionibusque, ac magn a e x parte dæmonibus in deorum feconfortium receperunt.
PORPHYRIVS DE OCCASIONIBVS, De natura corporeorum, atque in corporeorum.
Mnecorpuseftinloco, nullumuerocorum ,quæfecundūsesuntincorporea,uelaliquid
tale, estinloco. Quæ secundumsesuntincorporea, eoipso, quodpræstantiusestomni
corpore,atqueloco,ubiquesunt,nondistantiquidem,sedindiuiduaquadam condi USCE
inuss sdina labor Pt,imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia
MMM $ Omniaquodammodo suntinomnibusproconditionecorum,quibusinfunt.
On fimiliteromniainomnibusintelligimus, sedpropriesehabetadomniauniuscuíused
sentia:intellectuquidem intelle&ualiter,inanimauero' rationaliter:inplantisseminarie,in
corporibusimaginariè:ineodem (quodhisomnibussuperiuseft,modoquodamfuper
intellectuali,atquesuperessentiali. essentiæ,aliatandem naturx supe
rioris,aliaanimæ, aliaintele&ualis:uiuuntenim&
ila:etfinullumeorum,quæabiplisexi ftunt,uirameisfimilemsorciatur.
aliaueropartim quidemfle&tunturadila,partimetiamnonflestuntur.aliacandem
folumde flectunturadgenituras,neqzinterimadsereflectuntur. per , educere. Anima
quidé habet omnium rationes. Agit autē secundã eas, uel ab alio ad ex
peditionemeiusmodi prouocata, uelipfafeipfamintusconuertensadrationes,& cum
abaliopro uocatur,tanquamadexternacommititintroducerefensus:cum
uero'ingredicurinseipsam,adintel
ligentiasperuenit:necigitursensusextraimaginationemfunt,necß,utdixeritaliquis,intelligence
quatenus competuntanimali Animaeftimmortalis. Anima ef tessencia inextensa, immaterialis,
immortalis, in'yitahabenteaseipsauiuere,arosese fimiliterpossidente.
Passioanimæ,atquecorporisestlongediuersa. Liudestpaticorpora, aliudincorporea.passioenim
corporụm cum transmutationecötingit
passiouero'animęestaccommodatioquædam,'&affe&ioadremipfam,&a&ioquædã,nullo
modofimiliscalefationi,frigefactioniącorporum,quamobrem sipassiocorporū,cũtrans
mutatione fit,dicendum eftomnia incorporea essepassionisexpertia. Quæ enim
a'materia,corporf busipfeparatasuntadu,eadempermanent:quæueromateriæcorporibus
propinquant,ipsaqui d e m n o n sunt passiua, sed illa , in quibus hæc
apparent, patiuntur , quád o enim animal s e n d t , anima quidam fimilis
esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas
Corpusaữrsimileharmonię,quæ
inseparabilisinestchordis,fedcausamouendieffeuideturanimal
proptereaquodfitanimatū, quodquidemsimileeftmufico,exeoquodfitcõcinnum
,corporaueros
quæperpassionesensualempulfantur,fimiliacontemperatischordisapparent.Etenim
ibinon harmonica quid é separata patitur, fed chorda . & mouet f a n e musicus
p ipsam , quæ sibi i n eft ,harmoniā: newtamen chordarationemusicamouereturetiam,
fiuelletmusicus,nifiharmoniaipsaiddixit. nataestquemadmodum corpora, sed
fecundum nudam ad corporapriuationem. Quãobrenihil
prohibetinterila,aliaquidemesseessentia,aliauerònonessentia:&
aliarursusantecorpora,alia
ueròunacumcorporibus:itemaliaacorporibusseparata,aliauerònonseparata.Prætereaaliasecun
dum sesubfiftentia,aliaueroalijs,utsintindigentia:aliadeniqa&tionibus,uitisfexfemobilibuse
adem ,sedaliauitis,&qualibusa&tionibusquodammodo
permutata,nempefecundumnegatione corum ,quæ ipfanon sunt,non secundum assistentiameorum
,quæ sunt, appellatur. PussionesmaterieprimeassignatesimiliteràPlotino. Ateriae
propriaapudantiquos hæcfuntincorporeaquidem,diuerfaenimeftàcorporibus,
prætereauitæexpers, negintelle&tus,neckanima,nequealiquidfecundum
seuiuens.Itêin, formis,permutabilis, infinita,impotens.Quapropternec
ens,feduerum nõens,imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum
impotens,itéappetitio fubfiftentia.& ftansno
instacuprætereafempinseapparens,tum paruum,rum magnữ,tūminus, tūmagis,tūdeficiens,cī
excedens,quoduefiatfemp,maneatuerònunquã,nec tamen aufugere
potens,quippecútotius entisfitdefectus.Quamobrēquicqd
pmittat,mentitur:aciimagnūappareant,interimeuadirparo uũ,quafienimludus quidãeftinnõensaufugiés,Fugaenimeiusnófitloco,seddūabencedeficis,
Quamobren .in infummiseftunitascumuirtute:ininfimismultitudocumdebilitate. N corporeæ
fubftantiædescendentesquidemdijudicentur,atqßinsingulapotentiædefe&umul
tiplicantur, adscendentes autemutuntur,atæfimulrecurruntinunumcopiapoteftatis.
Quegenerant,partimconuertunturadgenita,partimminimè. Mne, quodsuaessentiagenerat,aliquidsedeteriusgenerat,atqomnegenitüadgenitorina
O curaconuertitur,eorumuero,quægenerant,aliaquidēnullomodoconuertunturadgenitas
Sensus,imaginatio,memoria intelligentia. Emorianonestimaginationüconferuatio
quædã,ámdtāmpastwintorspobaristalevias'spoluéwata, sedeftipfas propofitiones,fiueproductionesina&um
corū,quæmedicatuseftanimusnu :nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium
passionesuntfenfus, lic& intelligentiænon abfqimaginatione, nisianalogaconditiofit:quemadmodumfiguraconse
quensquiddam estadanimalsensuale, ficphantasmaaliquidconsequensadintelligentiamanima
intelligentisinanimali. 1N Despeciebusuite. On solumincorporib æquiuocaconditioest,sedipsaetiãuitamultipliciterprædicatur
eftenimuitaplantæ, animalisalia: aliarursusintellectualis Alia IN N>M
Dedifferentijsincorporeorum.
Pfaincorporeorīappellationõfecundumcommunicatēunius,eiusdemişgeneris,siccognomi.
quamobremquæineasuntimagines, insuntindeteriorirursus imagine,quemadmodüinspeculo
idquodalibilitumeft,apparetalibi, &ipsumspeculumplenumeseuidetur, nihilqzhabet,dumom
nia uidetur habere. funt,autnonfunt, quappternullacorūpaticur:quodempatienseft,nonoportetitafehabere,
fedefetale,ütalterariqueat,atointeriminqualitatibus
eorī,quaeingrediuntur,ficásinferuntpas fionem.Eiñamos
quodinestalterationonaqualibecaccidit,nexigicurimaceriapacítur.Nāsecun dum
feipfam qualitatisestexpers,nesprorsusformx,quaefuntinca,ingrediences;uicissim'sexe,
untes,fedpassioficcircacompofitum,&uniuselseincomposicioneconfiftit,hocenim
incontrarijs uiribus& qualitatib.ingredientiữzinferentiumąpassioneperfeuerareinfubfiftendouidetur.Quá
obre mea quoru um i u e r e e f t a b externis , ne cas c i p l i s , n i mirum
& uiuere , & non uiuere pat i possu n t. Sed e a , quorum esse in u i t
a consistit, passionis experte, necessarium est permanere secunduum itam ,
quemadmodūuitäuacuitaticonuenit& non pac, quarenus&
uitæuacuicas.Icaqficutpermutari, acpaticöpofitoexmateria,forma côtingit,ideftcorpori,neqstamenidmateriæ
accidic,ficujuere, areinterire,patiofecundumhocipfum incompofitum
exanima,corporeæperspicitur,neqstamé animæidcontingit,quoniam
animanoneftaliquidexuita,& nonuitaconflatum,seduicafolum
constatquippe,cumfimplexessenciafit,ipfaqsanimæ ratiofitnaturaipfasemouens.
Omnisintellectuseftomniformis.
Ntelle&ualisesentiaficinpartibuseftconfimilis,ut&
inparticulariquolibetintelle&u,uniuer
soosintelle&ufintentia:fedintele&u quidem uniuerfaliendaeciam particulariauniuersalifint
ratione:inparticulariautčincellectueciāmiuniuersaliafimulacosparticulariasintconditionequa
dam particulari: Omnisuitaincorporeaquocunq;mütetur,permanetimmortalis.
Nuicisincorporeispcessusmanentibusprioribusinsefirmisefficiuntur,dūnihilfuiõdunt,neos
pmutantadsubstantiâinferioribexhibendam,quappternedquæindesubfiftūccũaliquagdi
tioneueltráfmutationesubsistûr,nechoc
qdēefficitur,ficutgeneratiointeritus,gmutationisą
particeps,ingéciaigitur,&incorruptibiliafuntaroingčitæ,incorrupcx'ssecīdūhocipfumeffecta.
Quomodointelligaturquodeftfuperiusintelectus
uigilantiãmultadicatur,fedperfomnūipsum
cognitioeius,peritia'oshabetur,fimilinãque fimile cognosci folet, quoniã omnis
cognitio, assimilatio quæ dá ef t ad hoc ipfum, q d cognofcitur. ens
uelutfalsamconcipimuspassionecă, ingentemuidelicetili, quidigrediturextraseipsum,
ipfeenimquisquequemadmodumexistenter deftuere,atokperseipfumpoteftreduciad ipfumnonensentesuperius,ficabence,sepsipfodigres
diensiam traducituradnonens,quodentisipfiuseftcasusatqzruinia.
Substantiaincorporeaestubicunqueuult.
Aturacorporisnihilimpedit,quinquodfecundum feincorporeum
eft,ficubicung,&quò
modocunque.Sicucenimcorporiincomprehensibileest,quodmoliseftexpers, nihilą
adip Porphyr de Occasionib.
Quidpatiatur,quidnon.
Afsionescircaidfuntomnes,circaqdaccidit&interitus.Víaenim
adinteritãeftadmissiopas
fionis,acohuiusestinterirecuiuseftpaci.Incerireaūcincorporeūnullű,sedquædãinterilaaur
Animaquiapereffentiameftuita,nonmoritur.
yIrcaessentiam,cuiusefeconfifticinuita,&
cuiuspassionesuitaquædãfunt,nimirum& morg
inqualialiquauitauersatur,noninpriuationeuitæfimultota.Quoniamneqspassio,seuuita
est omnino, illicadnon uiuendum ,iplaqzillicacciditorbitas. .
Silloquodeftmentesuperius,perintelligentiamquidem multa dicuntur:considerantur
D temuacuitatequadăintelligentiæ intelligentiameliore;quemadmodum
dedormienteper NonensauteftfuperiusenteutDeus,aütinferiuscummateria.
Vodnonensdicitur,auciplínosmachinamurab ipsoentealiquandoseparaci,autsuperin
telligimus,dum enspossidemus.quapropterfiseparamurabente,ensipsumnon superine
telligimusnon enssuperensipsum,fediamnon N
sumpertiner:sicincorporeoipsum,quodmollediftenditur,nonficobftaculum &
quafinon acec,nequeenim quod incorporeum eftlocalicondicionequo uulc
discurritlocusenim cum mole simulexiftit,neqsrurfuscorporumlimitibuscoercecur,quodenimquomodocūqiiacetinmole,in
angustumcohiberipoteft,& conditionelocalitransmutacionemagere, quodaucemestamole,mag
nitudine
prorsusexemptū,hocabójs,quæfuntinmole.continerinonpoteft,a'motuşilocaliper
manetliberum.Igiturqualiquadam,certaquedisposicionereperituribi,ubicunquedisponitur,lo.
cointereatumubique,tumnusquam
simulexiftens,quapropterqualiquadamcertaqueaffe&ione uelsupercælum
,uelinpartemundiquadam apprehenditur:quandoueroinaliquamundipàřecte n e t u r
,non oculis quidem aspicitur, sed ex operibus eius præsentia sua fit hominibus
manifestas Substantia in corporeinullo corporecohibetur, fedproducitescamincorporeperquamse
corporiapplicát.
Vodeftincorpóreū,liquandoincorporecomprehendatur,nonopuseftutitaconcludatur, Q
quemadmoduminparcoferæclauduntur,nullumnamquecorpuspoteftipsumficinfeco
-hibere, nequeficutüterliquoremaliquemtrahit,&
cohibet,autfacum,fedoportetipsum ia nd C TO MmM 4 13. fubftituere cavite
Vniaersalescausenonconuertunturadefe&tus,fedeosadfeconuertunt. V l l
a substantiarum , quæ uniuerfæ sunt, a t æ perfectæ ad f u a m conuertitur geni
cură . O m n e s autéperfe&tæ subftantiæadgenerantiarediguntur, &
idquidemadcorpusufo mundanum. 1. Quomodo differenterestubiq; DeusintelleĀus,animas
Euseftubiq ,quianusquamintelle&usest:ubiq etiã,quianufquam
anima.deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB ftinentiaanimalium. .
quinetiamcognoscitipsum,quod in feest,naturaliterperpetuo uigilans, atquefom/
num,quohicopprimitur,deprehendit. Cuinonsaneeducationem,nutritionemque trademus
consentancã,tūhuius locinaturæ ,tum suiipsiuscognitioni conuenientem,
Beatitudononeftdiuinorumcognitio,feduitadiuina.
Eatanobiscontemplationonestuerborum accumulatio,disciplinarūquemultitudo,quemad
Bmodum aliquisforteputauerit:nequeenim
iracomponitur,nequeproquantitaterationūac quare
perfectioquidêaprioribusfecundafubftituitcõferuanseadeadprioraconuersa, defectusautempri
oraetiam adpofterioradefledit,eficitqzuthæcipfadiligantasuperioreinterim
differentia 1932 Marsil. Ficin -in
substitucreuiresabipsainseipsumunioneextramanantes,quibusdescendenscorporiaplícatur,co
pulaitaßeiusad corpusperineffabilēquandāsuiipsiusimpleturextenfioné,quamobrénõaliud
adem ultūipfuamlligat,fedipfumcerteseipfum,nec igiturefoluitipsum
corpusquãdofrangitur autinterit,fèdipsum pociusfemetipsumcnodat,quádoafamiliariergasubiectâaffectionediuercio
Quodquidemcūsitperfe&umadanimāestreda&um,animam
inquãintellectualem,ideoas círculouoluitur, animaueromundiadintellectumattollitur,intelle&usauteerigituradprincipio
Omniaitaqperueniuntadhocipsumab extremisexordientia,quatenus
facultassuppecitunicuic perueniūtinquam eleuationeadprimū, illucusą perducta: quæ
quidēautexpropinquo,autex.lon ginquoeficifolet. Hæcitasnonsolumappetere Deūdicipossunt,sedetiam
prouiribusafequizin lubstancijsueroparticularibus, &admultalabipotentibusineft
procliuitasdeflectēsadgenicuras: ideoiginhisdeli&um
dicituraccidissezinhisinfidelitaseftdamnata. Hasigiturcontaminatiplama
teria,proptereaquodadhácdefledipossint, cũtamenintereaaddiuinūseualeantcôuertisse:
quoniãeft&nufquā:fedDeus quidem ubique& nusquãeftcorum omnium ,quæ
funtpoft ipsum. Suiueròipfiuseftfolum, ficutest,atqueuult. Intelle&usautem
inDeoquidemubica eft,fedineis, quæfuntpoftipsum,existirnusquapariter, &ubiqueanimatandeminincele&tu,acor
Deo ,fimilitereftubiq ,incorporeuero'ubiqeftfimul & nusquá. Corpusaūt&
inanima,& inintels lectu , & in Deo , omnia profe & o cūentia,t u m
non entia ex Deo sunt, & ideonec tamēipfeDeus eft,cum entia,tum
nonentia,necexistitineis. Sienimessetduntaxatubiq ipfequidéomnia,& in
omnibus esset. A quoniam est, et nusquam,
omnia sane per ipsum fi unc f i u n t á ž r ursus in ipso, quiam
ipfeexistitubios: diuersarursusabipfo, quoniãipsenusqua. Similiterintele&u subicexistens,atqs
nus quã, causa est animaram, animasæ sequentium: neq s ipse anima est, neg quæ
post animam, neque in cis existic: quoniamuidelicetnon folum ubiqueest, eorumque,quæfuntpoftipsum,sed&nusquã.
Rursus animanequecorpuseft, nequeestincorpore, fedcausacorporis,quoniam dum
ubiq eftper corpussimuleft, &incorporenusquam,processusdeniquniuersiinilluddefinit,
quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet, sedalternisquibusdamuicibusutriusquefitparticeps.
Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano Lingua Segui Nota
disambigua.svg Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se
stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino. San Giustino
Justin filozof.jpg Icona russa di san Giustino Padre della Chiesa e
martire NascitaFlavia Neapolis, 100 MorteRoma, 163/167 Venerato
daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleCollegiata
di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma (VT) Ricorrenza1º giugno, 14 aprile
(1882–1968) Attributipalma, libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come
Giustino martire o Giustino filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato
un martire cristiano, filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del
Dialogo con Trifone, della Prima apologia dei cristiani e della Seconda
apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito
eucaristico. Iustini Philosophi et martyris Opera, 1636 Fu uno dei
primi filosofi cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai
cattolici e dagli ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno. La
Chiesa Cattolica lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a
Caterina d'Alessandria, pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori
della Chiesa. BiografiaModifica Giustino, che spesso si dichiarava in
verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto
di origini latine o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da
poco in Palestina, al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima
avevano sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme.
Come riferisce Giustino stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel
paganesimo ed ebbe un'ottima educazione che lo portò ad approfondire i problemi
che gli stavano più a cuore, quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la
sua smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Presso
gli stoicinon trovò giovamento, in quanto il problema di Dio, per questa
filosofia, non era essenziale. Poi frequentò la scuola peripatetica, ma anche
presso questi filosofi non trovò quanto cercava. Si recò presso un filosofo
pitagorico che lo sollecitò dunque ad approfondire le arti della musica,
dell'astronomia e della geometria. Ma Giustino, troppo concentrato nel voler
raggiungere la "verità" e la "conoscenza di Dio", reputava
tempo sprecato il soffermarsi su tali materie. Approdo al platonismoModifica
Da ultimo frequentò una scuola platonica; un maestro di questa filosofia era da
poco giunto nel suo paese e presso questa corrente filosofica trovò quanto
credeva di cercare. «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione
delle Idee eccitava la mia mente...», dice Giustino. Si convinse che questo lo
avrebbe portato presto alla "visione di Dio", che considerava essere
lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in solitudine lontano dalla
città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del
Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui inizia un serrato dialogo,
incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita. Dopo aver dichiarato
all'anziano la sua idea di Dio «Ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è
causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio», l'anziano lo porta
a ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era sfuggito: come possono i
filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non l'hanno né visto
né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone considerate "gradite
a Dio" e dallo stesso "illuminate", i Profeti, che nel tempo
avevano parlato di Dio e "profetizzato in Suo nome", in particolare
la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità "attraverso di
Lui" di avere una "vera conoscenza del divino".[1]
Conversione al cristianesimoModifica Dopo questa esperienza, Giustino si
converte al Cristianesimo e per tutto il resto della sua vita educherà i
discepoli, utilizzando gli stessi schemi usati dalle altre scuole filosofiche.
Oltre a questo incontro, che fu decisivo per la sua conversione, Giustino
indica anche un altro fatto che lo rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso,
che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani
erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti
ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel
vizio e nella concupiscenza». Giustino viaggiò molto, andò a Roma
una prima volta e quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta
cristiana, i suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della
fede cristiana. Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò
numerose controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi,
specialmente con Crescenzio il cinico. La sua fede lo porterà a
subire una morte violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era
prefetto di Roma e amico dell'imperatore Marco Aurelio, fra il 163 e il 167,
con queste parole: «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare
agli dèi e di sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e
condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.» Di
questo processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS.Justini et sociorum VI.
Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua
sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia (schiavo della corte
imperiale), Peone e Liberiano. Le sue reliquie furono traslate da
Roma il 22 settembre 1791, e si trovano attualmente sotto l'altare maggiore
della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di
Viterbo.[2] Giustino fu il primo di una serie di autori cristiani che
intravide in Eraclito, Socrate, Platone e negli stoicidegli autori
precristiani, precursori del Cristo e da esso ispirati.[3] Anche lo Spirito
Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso, la nozione trinitaria fu
introdotta già dal platonismo.[4] A Giustino si deve la più antica descrizione
della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad utilizzare la terminologia
filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di conciliare fede e ragione. Si
schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi miti mentre privilegiò
l'incontro con il pensiero filosofico. La figura di Giustino
attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale nel 1874 dedicò al santo cristiano
una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire[5].
OpereModifica Dialogo con Trifone, Edizioni Paoline, Milano 1988. Le due
apologie, Edizioni Paoline, Milano 2004. ( LA ) [Opere], Parisiis, apud Carolum
Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis, 1636. Il Dialogo
con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei
cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto del 1364, conservato a
Parigi.[6] La Prima apologia dei cristianiModifica «Io, Giustino, di
Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di
Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli
uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di
loro.» (Apologia Prima, I, 2) La Prima apologia dei cristiani è
indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa compare un
tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica
della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di
appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di condanna.
Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni
interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre i cristiani
sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e latini
sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze. Interessante, poi,
è il fatto che Giustino citi abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici
per esporre le dottrine cristiane; ancor più notevoli sono i tentativi
dell'apologeta per convincere i pagani della verità del Cristianesimo
attraverso le citazioni di autori classici sia di filosofia (come Socrate e
Platone) che di mitologia (come Omero e la Sibilla) che vengono accostati a
brani dei vangeli o dell'Antico Testamento. «Sia la Sibilla sia
Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile.
I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel
fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà.
[...] Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai
filosofi da voi onorati [...] perché siamo ingiustamente odiati più di
tutti? Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio,
sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione
nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono
punitemantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni,
liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di
poeti e di filosofi [...] Quando noi diciamo che il Logos, che è il
primogenito di Dio,[7] Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza
connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo,
non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati
figli di Zeus. Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino
gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos [...]; Asclepio, che [...]
ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco
[...] e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.
Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato
generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla
normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che
Ermete è il Logos messaggero di Zeus. Se poi qualcuno ci
rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di
Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze.
[...] Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche
questo sia per voi un elemento comune con Perseo. Quando affermiamo
che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha
resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con
le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.» (Apologia Prima,
XX-XXII) L'opera si conclude con una petizione che contiene una lettera
dell'imperatore Adriano,[8] la quale serve a Giustino per mostrare come anche
un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro
azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco
Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante le guerre
marcomanniche.[9] Il Dialogo con TrifoneModifica «La filosofia in effetti
è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui
ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che han volto
l'animo alla filosofia [...]» (Dialogo con Trifone[10]) Oltre alle già
citate Prima apologia dei cristiani (grecoἈπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον
τὸν Εὐσεβῆ; latino Apologia prima pro Christianis ad Antoninum Pium) e Seconda
apologia dei cristiani(greco Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν
Ρωμαίων σύγκλητον, latino Apologia secunda pro Christianis ad Senatum Romanum),
Giustino scrisse il Dialogo con Trifone (greco Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος,
latino Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata a un certo Marco Pompeo.
Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale i cristiani avevano in
comune l'Antico Testamento, un terreno utile per un dialogo. Si tratta di un
dibattito che si svolge ad Efeso nell'arco di due giorni e vede protagonisti
Giustino e Trifone, nel quale è stata individuata da alcuni storici la
personalità di un rabbino realmente esistito. Lo scopo di questo dialogo è
mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo alle principali obiezioni
mosse dagli ambienti giudaici. In particolare, Giustino vuole dimostrare che il
culto di Gesù non mette in discussione il monoteismo e che le profezie
descritte nell'Antico Testamento si siano avverate con l'avvento di Cristo. Il
dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e non si conclude, com'era
consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte del giudeo
del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se
effettivamente le motivazioni portate avanti da Giustino in questo dialogo
fossero valide a convertire un giudeo. Sembra piuttosto verosimile, invece, che
quest'opera sia una risposta di Giustino ai dubbi che i cristiani stessi del tempo
nutrivano verso la loro fede. L'opera presenta anche un prologo, in
cui Giustino racconta di un suo incontro con un vecchio saggio che lo
introdusse al cristianesimo.[11] Giustino lo interroga tra l'altro sulla
dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime anche dentro
corpi animali, esposta nel Timeo platonico. L'interlocutore gli risponde che
una tale possibilità non avrebbe senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza
delle colpe passate e quindi neppure la capacità di pentirsi.[12] In secondo
luogo, il vegliardo passa a confutare la dottrina dell'immortalità
dell'anima.[13] NoteModifica ^ Philippe Bobichon, "Filiation divine
du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin
Martyr" in P. de Navascués Benlloch, M. Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez
(dir.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del
cristianismo, vol. III, Madrid, 2011, pp. 337-378 online ^ La reliquia di San
Giustino Martire ( PDF ), su parrocchiafabrica.it. ^ Étienne Gilson, La filosofia
nel Medioevo, BUR saggi, p.17, OCLC 1088865057 ^ Giuseppe Girgenti, Giustino
Martire: il primo cristiano platonico : con in appendice "Atti del
martirio di San Giustino", Pubblicazioni del Centro di Ricerche di
Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7, Milano, Vita e pensiero,
1995, p. 108, OCLC 1014519733. URL consultato il 19 novembre 2020. ^ Lev
Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire». In: Lev Tolstòj, Tutti
i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Vol. I, pp. 808-810,
Collana I Meridiani, III ed., aprile 1998, ISBN 88-04-34454-7 ^ Philippe
Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit de Londres (Musei
Britannici Loan 36/13) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus
450)", Scriptorium 57/2 (2004), pp. 157-172 art. online ^ Francesco
Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in favor de'
Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano pubblicata in
occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione l'anno 1814.,
Treviso, Tipografia Trento, 1812, p. 29. URL consultato il 19 novembre 2020.
Citazione. Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben
sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre... ^ ( EN ) Lettera di
Adriano. Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel
Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della
Chiesa, Queriniana, Brescia 1998, p. 47. ISBN 88-399-0101-9. ^ Giuseppe Visonà,
introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline, 1988. ^ Étienne
Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, n. 5, 6ª edizione,
Milano, BUR Rizzoli, marzo 2019, pp. 14,12, OCLC 1088Giuseppe Girgenti,
Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero, Mario Niccoli,
GIUSTINO, santo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana, 1933. Modifica su Wikidata Arthur J. Bellinzoni, The Sayings of
Jesus in the Writings of Justin Martyr, Leiden, Brill, 1967. Philippe Bobichon,
Dialogue avec Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg,
2003, Vol. I: Introduction, Texte grec, Traduction ; Vol. II: Commentaires,
Appendices, Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines
patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris 1952 (trad. it. La filosofia
nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, La Nuova
Italia, Scandicci 1997). Johannes Quasten. Patrologia, Marietti, Giustino,
santo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Giustino, in Dizionario di filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata
Opere di Giustino / Giustino (altra versione) / Giustino (altra versione), su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di
Giustino, su Open Library, Internet Archive.Audiolibri di Giustino / Giustino
(altra versione) / Giustino (altra versione), su LibriVox. Giustino, su
Goodreads. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, in Catholic Encyclopedia,
Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Giustino, su Santi, beati e
testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata Apologia Prima, su
monasterovirtuale.it. URL consultato il 14 agosto 2017 (archiviato dall' url
originale il 14 agosto 2017). Apologia Seconda, su monasterovirtuale.it.
URL Santi Caritone e compagni, discepoli di san Giustino, in Santi, beati e
testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it. Catechesi, su
w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Giustino tenuta durante l'Udienza
generale di mercoledì 21 marzo 2007 Opera Omnia dal Migne Patrologia Graeca con
indici analitici e traduzioni (EN, IT, PT), su documentacatholicaomnia.eu.
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Filosofia Patristica studio dei Padri della Chiesa Taziano il Siro
teologo e filosofo siro Filosofia cristiana Wikipedia. Giuseppe Girgenti.
Girgenti. Keywords: la parola che non s’incatena, Giustino martire, la
traduzione di Boezio delle Categorie di Porfirio, traduzione di Marsilio Ficino
delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio, henologia platonica, categoria,
prediccamento, Agostino, Boezio, predicare, predicato. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Girotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto San
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