Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” -- Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi fino alla laurea. Si interessa inoltre al fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di Così parlò Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute. Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini. Giani stesso fu librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrisse Esther per Pannain.Verso il termine della sua vita, divenne molto noto in tutta Italia per i suoi scritti di radicale confutazione di Croce. Non era particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considerava la teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce veniva sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attaccò tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila "figuratrice dell'invisibile", cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosceva: un "critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome. Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere -- Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Anticlo: Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano: La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Stefano Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Paolo Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di Casagrande, Baldi, Betta, Cavallo, Balbo, Fenoglio. GIANI, Romualdo. - Nacque a Torino il 28 febbr. 1868 da Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi. Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercitò l'avvocatura patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale; allo stesso tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee. Nel 1894 fu tra i fondatori, con l'amico editore G. Bocca, della Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi. Esordì sul primo numero della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di R. Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana, I [1894], pp. 86-95); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte. Nel 1896, in Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono M. Pilo, D. Garoglio, A. Foulliée e altri; il G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione. Nel 1901 pubblicò il saggio critico Il"Nerone"di A. Boito (Torino 1901; 2a ed. ampliata ibid. 1924; cfr. Riv. mus. ital.), che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei "Pensieri" di G. Leopardi (Torino 1904; 2a ed. ibid. 1928; cfr. Riv. musicale italiana) il G. oltre a ricostruire il pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte musicale. Nel 1899, per la "Biblioteca di scienze moderne" del Bocca, era stato pubblicato Così parlò Zaratustra di F. Nietzsche, tradotto da E. Weisel; il G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne approntò una nuova versione d'accordo con il Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca, nel 1906. Con lo pseudonimo di Anticlo, diede alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia greca (Milano 1924; Riv. musicale italiana, XX, pp. 821-887). Nel 1917, durante il primo conflitto mondiale uscì L'amore nel Canzoniere di F. Petrarca (Torino 1917; in appendice Nota sul suono e sul ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita. Il G. inoltre traduceva per diletto dal latino, soprattutto Tibullo e Orazio, e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther (Riv. musicale italiana, XXVII, pp. 611-648), tragedia lirica in tre atti ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a I. Pizzetti, e L'Intrusa (ibid., pp. 340-358), un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di M. Maeterlinck, musicato dapprima da G.F. Ghedini (1921; non rappresentato), e poi da G. Pannain (1926), che la rappresentò a Genova nel 1940. La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (in Riv. musicale italiana), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. Il G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che il G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.) rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo (ibid., pp. 61-76), in cui il Pannain assumeva la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente il G. pubblicava il Sillabario di estetica (in Riv. musicale italiana, XXXV [1928], pp. 442-453), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria del Croce. La polemica si riaprì nel 1929 con lo scritto La favola dell'aridità(ibid., XXXVI, pp. 311 s.) con il quale il G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il secolo compreso tra il 1550 e il 1650; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece il G., che replicò con Il parto settimello (ibid., XXXVII [1930], pp. 249-254). Il G. scrisse inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui collaborò dal 1928, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella. Il G. morì a Torino il 16 genn. 1931. Oltre agli scritti citati si ricordano: "Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana, II (1895), pp. 95-112; Note marginali agli "Intermezzi critici" di I. Pizzetti, ibid., XXVIII (1921), pp. 677-690;Note Leopardiane, in Campo (Torino), n. 5, 18 dic. 1904; Estetica nuova, ibid., n. 9, 15 genn. 1905; Per una biografia di Berlioz, ibid., n. 26, 14 maggio 1905; Melodramma e dramma musicale, ibid., n. 37, 30 luglio 1905. Fonti e Bibl.: G. Adler, R. G., Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in Riv. mus. ital., L. Ronga, In morte di R. G., ibid.,Botto Micca, R. G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, Pastore, In memoria di R. G., in Riv. musicale italiana, Vajro, R. G., ibid., LIII (1951), pp. 337-368; A. De Angelis, Diz. dei musicisti, Roma 1928, pp. 244 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, III, p. 189.Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I love Giannantoni; for one, he
believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic,
Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly
‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the
‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my
philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di
Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto
laica della del divino e della religione («Religiosità, che Socrate, il quale
era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso
da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina
storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica
si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti. Questo spiega l'enorme dispiego di tempo
dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, “Reliche di Socrate” (“Socratis
et Socraticorum reliquiae”). G. ha sempre seguito il criterio di Croce e
Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite
l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo
di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da
questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata
sulle fonti. Convinto dell'onestà
intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della
storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla
ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni
personali. Traccia un profilo “ideale” dello «storico autentico» della
filosofia, che ha il «dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più
possibile al mondo del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò «non
basta ancora se non è accompagnato da una sensibilità filosofica e da una
consapevolezza teoretica e storica insieme. Di qui conclude il fascino di una
ricerca che, rendendoci consapevoli di una grande quantità di problemi
altrimenti inavvertiti, termina in un autentico arricchimento spirituale. Il
suo insegnamento è stato caratterizzato dalla volontà di essere semplice e
chiaro nell'espressione del pensiero considerando questo un dovere morale
dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi. Anche allo scopo di realizzare una scrittura
filosofica quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi
sulla logica di Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria
del segno). Nella sua vita e nella
dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico,
così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio
sulla regola d’oro: il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici
di Diels e Kranz. Altre saggi: “La metafisica dei lizii” (Roma, Rai); “Che cosa
ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni);
“Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano:
Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti
della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche / Torino:
Loescher, “Volpe / Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da
Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere;
introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti,
testimonianze sulla sua vita; Bignone;.Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze
e frammenti / Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino:
Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiae.
Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni, 2Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di
filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni;
Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati
della V, VI, VII legislatura. Op.cit. Centrone,
ed.Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Bruno Centrone, Bibliopolis, Edizioni di
filosofia, ILIESI CNR La traduzione dei
Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla
sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due
articoli-intervista comparsi sul "Corriere della Sera" nei quali Giannantoni, di formazione gramsciana veniva
accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi
perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio
all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero
di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero
greco arcaico. Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o
abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia
filosofica negli anni ’80 e ’90, il nome di G. (Perugia, 1932 – Roma, 1998) è
legato anche al Centro di Studio del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale
delle Ricerche Roma,1 su richiesta, appunto, di Gabriele Giannantoni – in
sostituzione del precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia
Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale
e internazionale della ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì
allo sviluppo di una disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente
al duplice contesto della storiografia filosofica e delle scienze
dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a
seguito di una riforma che ridisegnò la rete scientifica del Consiglio
Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il Centro di Studio per il
Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’ Istituto per il Lessico
Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la direzione di Gregory.2
L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata
al percorso intellettuale e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non
esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i
motivi culturali che furono alla base della costituzione di questa realtà,
nonché alcuni modelli scientifici di riferimento che ne hanno determinato in
certa misura la configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi
originali che il Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di
propria competenza, in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto
la guida di Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto
del Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione
tra il CNR e “La Sapienza”, stipulata il 21 aprile 1983 e confermata dal
Presidente del CNR fino al 2001. Per il testo della convenzione si veda
“Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto per il
Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti
normativi, si veda Liburdi 2018, p. 49 e ss. Istituito nel 1979 presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Francesca
Alesse G. G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico MOTIVI CULTURALI E
MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio
del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e
metodologiche di colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a
questo sintetico profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che
ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul
pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di
considerare la storia della filosofia antica come una disciplina dotata di un
proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo quanto a materia di
indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita,
dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità greca e romana
tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le cosiddette scuole
socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche discendono
direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del
patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione indiretta che ha
conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi
antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola opera completa –.
Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi continentale che
fece della dossografia antica una vera e propria categoria storiografica con
risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre
a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e
quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun
testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui Giannantoni era
particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come direttore del Centro
che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta la dossografia
relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco di questi tre
indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di G. abbiano
maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle iniziative specifiche del
Centro, nonché sulla formazione professionale che esso ha reso possibile.
Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico della storia
della filosofia antica presuppose, da parte di Giannantoni, una approfondita
analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana era venuta
maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui esiti si
leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della 6 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. i e il Centro di Studio del Pensiero
Antico rivista “Elenchos” intitolato La storiografia idealistica e gli studi
sul pensiero antico (“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che
del pensiero antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua
valutazione critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due
caratteri, l’uno teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non
favorirono lo sviluppo di una moderna storiografia del pensiero antico. Per un
verso, tanto Croce che Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i
limiti di un pensiero oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe
arrivato a concepire la positività dell’idea di infinito, né quella della
soggettività. I punti più alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca,
Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano rispettivamente con la delineazione
del concetto, o universale astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile
(la teoria delle idee trascendenti e la scienza come dialettica delle sole
idee) e con una logica puramente strumentale (la sillogistica), alla quale
sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico,3
nonché la capacità di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del
pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando
di intuizioni profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e
la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica,
morale e diritto, come categorie dello spirito.5 3 Giannantoni 1980, n. 13,
rimanda a Croce, di cui diamo qui i riferimenti da Croce. 4 Ciò G. ricavava,
pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici che possiamo
leggere in Gentile e in Gentile 1917, vol. I, pp. 21-32, sia da Gentile 1964. 5
Giannantoni 1980, nn. 14 e 15, rimanda a Croce 19455; si veda Croce e a Croce
19273, si veda Croce 2007, pp. 164-165. ILIESI digitale Temi e strumenti
7 Figura 1: copertina di “Elenchos”, 1, 1980.
Francesca Alesse G.e il Centro di Studio del Pensiero Antico Per l’altro verso,
però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare,
alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in
Germania nel corso del XIX secolo, distintasi, tra le altre cose, per una
predilezione della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole
sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La filologia
classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi
della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle
nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e molto
raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo autore,
dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione,
che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno
complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono
anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati
in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto
meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si dovette
sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della filosofia
antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il
profilo testuale, quanto quella di storicizzare i documenti, cioè di
comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali congrue con le
epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque imputata da G. di
evidenti limiti interpretativi della filosofia antica, come fu ben presto
mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Mondolfo sull’infinito
nella filosofia antica e sul soggetto umano nell’antichità,7 che smentivano
l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia antica.
Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha indicato
con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica crociana a
cui Giannantoni fa riferimento prese le
mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la
Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del testo
letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad
esempio la recensione alla monografia del 1950 di Ettore Romagnoli su
Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al riguardo (p. 19): “...il
problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra
filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”.
G. probabilmente pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al
“filologismo” che affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia
della filosofia, in Gentile 1Mondolfo 1933; Mondolfo. 8 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero
Antico Tracciando nel primo dei due volumi in onore di Croce per il suo 80°
compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di
filosofia antica nel cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover
prendere in considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero)
quali interpreti del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo
approfondito (mentre studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di
altri periodi della storia del pensiero) ... la ragione ... è da ricercare in
una persistente separazione, non solo concettuale, ma anche di organizzazione
degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra
considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine filologica. Gli
studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo particolare di una
vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i compiti esclusivi
del filologo e quelle che erano considerate le competenze dello storico e del
filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo
filologici ... ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare
di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la “scienza
dell’antichità”.8 Quando Giannantoni scriveva queste parole, era persuaso che
la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre che di una durevole
influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti della filologia,
malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta prestigiosa filologia
classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di progresso “zoppicante”,
per così dire, degli studi storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì
l’aspirazione di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la
preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il
secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la
stretta relazione tra il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di
interessi messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare
dai suoi allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle
tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione
dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia
filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate,
Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle
tradizioni “minori”.10 Ed è appena necessario 8 G. 1980, pp. 7-8. Il
riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero 1950, pp. 43-59. 9 Si veda al
riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di Pasquali, che pervenne ad
un’unità di filologia e storia come unità di metodo, non di contenuti, e che si
caratterizzò tramite uno storicismo della filologia classica, profondamente
diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso come riconoscimento nella
storia e nella cultura di figure e “categorie” del pensiero e dello spirito,
quello, inteso come intima connessione tra le rigorose tecniche filologiche e
la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col considerare principalmente il
contrasto delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte
dei cinici e cirenaici, ILIESI digitale Temi e strumenti 9
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico
ricordare che la figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di
ricerca costituito dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente
alle tradizioni ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche
e storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni
di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori
dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto
paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite
tradizione indiretta, si manifesta già alla fine degli anni ’40 con studi
seminali sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in particolare Antistene
di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione scettica.12 Proprio ad
Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica la sua prima
importante opera scientifica (Giannantoni). In essa si profilano le
problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che concettuali,
relative alla intricata questione della eredità socratica: l’edizione critica
di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la possibilità di
dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica aneddotica; la
contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu composito in cui si
intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica classica e il
magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le dottrine di tutte
coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come precetti di vita più o
meno convenienti a individui, classi e tempi determinati, non ne presentano
alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti filosofici; e cinici e
cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi sembrano monaci, seguaci
di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche minori” cfr. anche il
giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo
centrale nella personale riflessione teorica diCalogero, che elaborò la sua
“filosofia del dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi
platonici, nel quale il filosofo italiano vide la prima formulazione di
un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo”
conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della pretesa di fondare
l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla
base della moderna concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu
anche al centro di importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei
quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del magistero socratico
nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da
quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da
Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a
G. 1987 e a Brancacci 2017. 12 Per limitarsi alle opere principali:
Untersteiner 1949, con moltissime riedizioni; Dal Pra 1950; Humbert 1967;
Mannebach 1961; Decleva Caizzi; Patzer 1970. 10 ILIESI digitale Temi e
strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella
filologia europea degli anni ’70, sempre più determinanti per la comprensione
delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di
Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung
tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove
possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda
metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il
Giardino, la Stoa, il Peripato post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed
accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che
precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre
sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato nel 1976 dal Centro di
Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata
allo stesso Giannantoni), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa
editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976,
mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie
riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali
tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono
aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione
delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso
esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano,
nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le
13 Cambiano 1977; Celluprica 1977; Sillitti; Decleva Caizzi; Ioppolo 1977;
Brancacci 1977; Donini 1977; Isnardi Parente 1977; Repici 1977. ILIESI digitale
Temi e strumenti 11 Figura 2: copertina di G. Giannantoni, I
Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo,
Firenze, Francesca Alesse G. e il Centro
di Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità,
soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e
di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma
un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente
necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una
sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della
Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di
testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione
del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso
lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e
problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone.
Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non
provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinseca14
della singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza
cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici,
etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo
abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e,
al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la
specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli
di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il
fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più
filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di
considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi
la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere
considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata
all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo
e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un
Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come
ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e
Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno
sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è
quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto
alle problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di 14
Sulla cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni filosofiche
e sui suoi limiti, si veda G., p. 15, a proposito dell’opera di Vitelli, la cui
importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente alle
edizioni critiche dei commenti aristotelici di Giovanni Filopono. 15 G. 1977,
p. 22. 12 ILIESI digitale Temi e strumenti Francesca Alesse G.e il
Centro di Studio del Pensiero Antico dottrine riportate da testimoni spesso
assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di
cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata
un capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che
costituisce il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si
potrebbe ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità
senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite
dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le
raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche
dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi
Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a
meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia
filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti
editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati
alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di
quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio
di filosofi di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai
quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE
e Plutarco -- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con
testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come
Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo
dossografico e quindi un segno della tempestività e della sensibilità di G. nei
rispetti di un terreno di ricerca che si venne imponendo e che di fatto
contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui attività progettuale e
congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica
ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea
di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener
1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997;
Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le
parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla
dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr.
Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf.
GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY:
H. P. GRICE” -- . ILIESI digitale Temi e strumenti 13 Francesca
Alesse G.e il Centro di Studio del Pensiero Antico dibattito e che è nota come
la questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia
tedesca, in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la
questione degl’ “agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione
che Platone teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale
non resta traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale
all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine
aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser,
ordinario di filologia a Tübingen e uno
dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la
Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne
pubblicato nel primo numero della rivista “Elenchos”. Tuttavia, il punto che
merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte
di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per
riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più
precisamente per le cosiddette filosofie italiche “pre-socratiche”. Com’è noto,
Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle
precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne
offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle
proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la
visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire
Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia
italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea
d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie
ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro.
A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del
Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in
Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante
collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e
scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin,
una unità di ricerca del 21 Gaiser 1980. 14 ILIESI digitale Temi e
strumenti Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la
Recherche Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida
Francesca Alesse G. e il Centro
di Studio del Pensiero Antico della Sorbonne (perciò definito anche Unité
Mixte de Recherche, o UMR), in modo non troppo dissimile dai Centri di
Studio del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei
italiani. La collaborazione con questo Centro si focalizza sulle
tematiche socratiche e da luogo al
ripetuto scambio di filosofi tra le due sedi nell’ambito del programma di
ricerca “Socrate e la storia della filosofia antica: rottura o continuità?”; i
contributi pubblicati sotto il titolo di Lezioni socratiche, a cura di
furono G. e Narcy, per Bibliopolis di Napoli. Un’altra
importante istituzione scientifica a cui G. guarda con particolare
attenzione e con cui intrecciò stretti rapporti scientifici nonché di
cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO PER LO STUDIO DEI PAPIRI
ERCOLANESI, fondato da , Gigante. I motivi di tale collaborazione sono
dettati ovviamente dall’interesse intrinseco per la grande opera
editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e votato. La pubblicazione
delle edizioni critiche dei papiri reperiti nel sito ercolanese offre
alla comunità filosofica un patrimonio inestimabile per la conoscenza
dell’ORTO, della tradizione socratica, del PORTICO. Ma sono anche ragioni
metodologiche a sancire un sodalizio importante, che si concretizza in
varie iniziative e pubblicazioni cui parteciparono entrambi i Centri: i
testi ercolanesi, com’è molto noto, costituiscono un materiale che permette
di arricchire enormemente la conoscenza di molte importanti
tradizioni filosofiche, a condizione di possedere un complesso di
conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono trovarsi
nella medesima personalità e che però vanno applicate contestualmente. In
altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi due Centri, forti,
l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro, di alte competenze
filologiche, contribuì in modo significativo a costituire quella
storiografia della filosofia antica che aveva, almeno per la cultura
accademica italiana faticato ad assumere uno statuto proprio. ILIESI
digitale Temi e strumenti 15 Francesca Alesse G. e il Centro di Studio
del Pensiero Antico Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso,
diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue
pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia
antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico,
oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite
l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una
descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una
iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un
indirizzo dell’organo direttivo di “Elenchos”, e dedicata alla problematica
storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista “Elenchos” è
emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio,
sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si
pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi
esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di
intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare
ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della
filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali
innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle
impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia
della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato
il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle
scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo
stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente
conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia
le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo
di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le
premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla
specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza
perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della
filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la
filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una
rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può
non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella
della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale
isolamento e a promuovere una [22 Giannantoni 1983, p. 147. 16 ILIESI digitale
Temi e strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico] organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente
verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia
degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un
minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le
divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio
nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla lettura diretta
dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità della
costituzione del Centro e la visione di G. del modo di operare storiografico:
più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione ad abbandonare
l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta sottolineare, a mio
parere, il richiamo alla storia degli studi come parte integrante della storia
della filosofia, in particolare della filosofia antica, affidata in larghissima
misura alla tradizione indiretta. La serietà, cioè la plausibilità dei
risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio dall’illusione
di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se antico, senza gli
strumenti della conoscenza filologica, linguistica e culturale nel senso più
lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia possibile, anche una
storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non
solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico unitario, ma anche
la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte interpretative che di un
testo e del suo contesto siano state date entro un certo arco di tempo.
23 G. ILIESI digitale Temi e strumenti 17 Francesca Alesse G.
Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico. Sia nelle azioni
istituzionali, che investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del
Centro, incluse le relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle
attività di ricerca individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle
tradizioni ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro
organizza un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera
strettamente con Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo
l’organizzazione di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica”
(Pavia)25 e “ ).26 Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante
pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla
filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura
internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso.27
Figura 3: copertina del volume di La scessi antica, Atti del convegno, a
cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno” (Pavia) ILIESI
digitale Temi e strumenti G. 1981. G.-Vegetti 1985.
Manuli-Vegetti. Barnes-Mignucci 1988. Francesca Alesse G. e
il Centro di Studio del Pensiero Antico Carattere sistematico ebbe anche la
linea d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il
congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Diogene Laerzio (“Diogene
Laerzio storico della filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso
sull’opera del filosofo scettico di ETA IMPERIALE Sesto Empirico (“Sesto Empirico e la filosofia
antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi un’unica prospettiva,
grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per così dire,
duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA è oggetto di
trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca, il
suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza,
struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni
attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di
Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione della filologia,
conserva una concezione ampia del genere biografico, restituendo non solo
informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi nonché cataloghi
d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a prestito dalla
letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello delle
“successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano
storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro
forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri
Ercolanesi di Gigante, permise di
allestire negli anni subito successivi un grande congresso sul tema “L’orto romano”
(Napoli-Anacapri, ILIESI digitale Temi e
strumenti 19 Figura 4: copertina di Diogene Laerzio storico del
pensiero antico, Atti del congresso, “Elenchos”, 7, 1986. 28 Atti
pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992
della rivista “Elenchos”. Francesca Alesse G. e il Centro di
Studio del Pensiero Antico maggio 1993),30 un evento di ampio spettro tematico
e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e papirologi
ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, e ovviamente
storici della filosofia romana. Proprio di questo incontro e il suo carattere
transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso presso il
Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche individuali sulla
relazione tra L’ORTO e le rilevanti tradizioni (le scuole socratiche, il
PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e pirroniana) che impegnano sia G. in prima
persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza e il Centro.
Tra gli impegni di G. in qualità di direttore del Centro ci e l’organizzazione
di due altri convegni: “ “Empedocle di GIRGENTI e la cultura della Sicilia
antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera”, Agrigento. Il primo raccolse un gruppo consistente di
esperti della filosofia romana ed e un raro esperimento di indagine lessicale
da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica – “linguistic
botanising” -- dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse
manifestazioni della filosofia romana. Il secondo convegno e un altro esempio
del modo in cui G. intende inserire la vita del Centro all’interno di una rete
di relazioni istituzionali, oltre che accademiche, perché il convegno, motivato
dalla 30 Giannantoni-Gigante 1996. 31 Atti pubblicati nel volume 16/1
dell’annata 1995 della rivista “Elenchos”. 32 Atti pubblicati nel volume 19/2
dell’annata 1998 della rivista “Elenchos”. 20 ILIESI digitale Temi e
strumenti Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco
e romano, Atti del congresso, a cura di G. Giannantoni e M. Gigante, Napoli, 1992.
Il concetto di pathos nella cultura antica” (Taormina, 1-4 giugno
1994);31 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico] coperta del Papiro di Strasburgo contenente una
porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione con la
sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove essere una
prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e
filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore pensare che
le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le
istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli obiettivi di G. e
quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli
interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono, di fatto,
collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della
formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla realizzazione di
una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche abbia dedicato al
settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema Mediterraneo.
Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo grande
progetto e articolato in cinque linee di indagine, la prima delle
quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a scrivere
il saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e Sicilia,
apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle attività promosse
dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività, cui si è fatto
cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia [never “MAKRA
ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e della Sicilia, linea che
avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le metodologie sperimentate
nella più generale attività del Centro 33 Il Progetto Strategico,
svoltosi negli anni 1995-2000 e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato
nel 1994 dal 34 “ 35 Biagini 2002. ILIESI digitale Temi e strumenti 21
Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per la filosofia, allo scopo di
convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete
scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al
Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al
fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo
costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà
molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori
disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di
metodo ad una naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni culturali.
Origine e incontri di culture nell’antichità”. Francesca Alesse G.
Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico (studio della
dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in questo progetto l’antico
interesse di G. per la trasmissione delle cosiddette tradizioni pre-socratiche,
molte delle quali per l’appunto fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE,
GIRGENTI, LEONZIO), e per il ruolo svolto in tale trasmissione da Platone
(si veda CUOCO) e Aristotele. A questo più antico arco cronologico, si
sarebbe poi unito il costante interesse per L’ORTO, nella forma storica
dell’ORTO CAMPANO. Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa
che il Centro riuscì a svolgere, facilitata, come è facile comprendere,
dalla posizione accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia
antica si formò infatti raccogliendo i
suoi allievi, che si unirono ai ricercatori già in forza presso il
precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica.
L’attività progettuale, inoltre, non si limita alla sola attività di
pianificazione scientifica e ancor meno alla sola organizzazione dei convegni,
ma prevede lavori continuativi di studio collettivo e di confronto sulle
tematiche di principale interesse e di rilevanza strategica. I maggiori
convegni venneno quindi preceduti da seminari propedeutici sulle
dossografie antiche, sull’opera di Diogene Laerzio e su quella di Sesto
Empirico, e su quest’ultimo autore, anzi, si svolge un seminario aperto
anche ai dottorandi di ricerca della Sapienza. Nell’ambito del progetto
“Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul Mediterraneo antico,
il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia borse di studio. 22 ILIESI digitale Temi e strumenti
Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico. Un discorso a
parte merita l’attività editoriale a cui il Centro riuscì a dar vita. Due
furono le iniziative editoriali, strettamente coerenti con l’idea
programmatica che ispirò la costituzione del Centro: la serie “Elenchos.
Collana di testi e studi sulla filosofia antica, e il periodico
“Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica”. La scelta del
medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in riferimento
all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello stesso G.,
che riteneva la discussione, il confronto -- “elenchos”, appunto -- in
primo luogo, uno dei lasciti più significativi della cultura filosofica
antica, quello che maggiormente ha contribuito alla formazione della
coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e secondo un’angolatura più
tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per
eccellenza dello studio del testo filosofico antico e della dottrina in
esso contenuta, come mostrano i primi autori di una nascente “storia
della filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto,
com’è assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE
– H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei
limiti del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o
promosse dal Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe
affidate alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di
Filosofia, di Franco. La collana e destinata in larga misura, benché
non esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali
dovevano concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti
per la ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a
mettere in primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,
disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una ricerca individuale, preparato
da molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle
testimonianze relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata dell’APPARATO
CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione), rappresenta la più
importante espressione degli interessi tematici e dei principi
metodologici che caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti
considerare i volumi usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle
tradizioni socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle
edizioni di ILIESI digitale Temi e strumenti 23 Francesca Alesse G.
Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] testi e frammenti di FILOSOFI
ITALIANI ancora poco studiati, per apprezzare l’impatto delle
ricerche di G. su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi
accademica. ricerca del Centro. Naturalmente la collana non e
preclusa ad critici su tematiche di grande rilevanza
nell’ambito del platonismo e dell’aristotelismo e delle filosofie
della tarda antichità, promuovendo in tal modo uno scambio costante
con la più ampia comunità Quanto alla rivista, è forse
opportuno rimandare direttamente alla Presentazione che G. Figura
6: copertina del primo volume di G. G., Socratis et Socraticorum Reliquiae,
Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa fa molto ben intendere tanto
la relazione essenziale tra il programma del Centro e il periodico
che di quel programma doveva essere lo strumento di diffusione; quanto
l’apertura al dibattito che la rivista (e quindi il Centro stesso) si
prefigge; quanto, infine, la tempestività di un’operazione culturale che
il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha la sagacia di sostenere: ELENCO intende
dare attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione
stipulata tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e Roma, e che sta alla base
del Centro di Studio della Filosofia antica. Essa non è, tuttavia, in senso
stretto espressione soltanto di questo Centro: al contrario, chi ha la
responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di studio e di ricerca
aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro e di confronto e
un’occasione a disposizione di studiosi. Questa rivista è l’unica dedicata
interamente alla filosofia romana che si pubblichi in Italia e perciò essa non
può non proporsi anche un compito di promozione di questi [ I titoli
della collana “ELENCO”, corredati da schede riassuntive, sono consultabili all’Istituto
per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee. Mi limito a citare il
grande progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso
e diretto da Vegetti. Vegetti Questa
situazione è rimasta invariata, e cioè fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM
PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa, e diretta da Cambiano. ILIESI digitale Temi e strumenti
Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] studi
... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è
vero, che la storia della FILOSOFIA ROMANA è un campo in cui debbono
potersi incontrare gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica
e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che tanto la storiografia
filosofica quanto il metodo filologico attraversano una fase di ri-pensamento
critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie certezze, allora
ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito di proporsi come
sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di affrontare lo
studio della filosofia romana e di aprire le sue pagine ... anche a contributi
che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono venirci da storici
dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle
letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di
fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si
caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità
dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella
Presentazione della rivista “ELENCO” e nel protocollo che lo istituiva, il
Centro di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che
affianca G. nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse,
il quale contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali
Adorno, Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti
filologi classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté
disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli 39
“Elenchos”, 1, 1980, pp. 3-4. 40 Fecero parte del Centro in qualità di
ricercatori inquadrati nei ruoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes
(direttrice del Centro nel 1999), Caporali, Garroni, Celluprica (direttrice del
Centro per il biennio 2000-2001 e poi responsabile della linea relativa al
pensiero antico nell’ILIESI fino al 2005), Ferraria, Brancacci (poi docente
presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Centrone (poi docente
presso l’Università degli Studi di Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna
(poi docente presso l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in
modo istituzionale e continuativo con il Centro Ioppolo (Università degli Studi
di Roma “La Sapienza”), Repici (Università degli Studi di Torino); Santese
(Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Sillitti (Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”); Baffioni (Università degli Studi di Napoli
l’Orientale); Spinelli (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”) ed Aronadio
(Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”). Molti sono stati i allievi che,
nel corso della loro formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e
con il Centro, lavorando fattivamente alla redazione di “ELENCO” o adoperandosi
in attività editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito
ricordare Piccione (Università degli Studi di Torino), Alessandrelli
(ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Fronterotta (Sapienza
Università di Roma), ILIESI digitale
Temi e strumenti 25 Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di
Studio del Pensiero Antico] consentirono di diventare un organismo collettore
di attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione
dei testi della filosofia antica. Chi scrive non crede che l’esperienza
acquisita nel Centro sia andata perduta né dimenticata. Quando nacque
l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo
interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla
storia della filosofia antica, per esplicito volere di Gregory che del nuovo
Istituto fu il primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea
progettuale denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e
della terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e
successivamente “ Il pensiero filosofico nel mondo antico: testi e
studi”. L’impegno principale della linea fu rappresentato da una serie di
progetti che in parte proseguivano le tematiche di studio e le strategie
cooperative del Centro di Studio del Pensiero Antico, e in parte
introducevano nuove tipologie di analisi, connesse alle tecnologie
digitali. La continuità culturale fu inoltre garantita dal mantenimento
delle due pubblicazioni, la collana “Elenchos” e la rivista “Elenchos”.
Da questa permanenza delle ricerche sul pensiero antico nella nuova
realtà istituzionale si deve ricavare non solo e non tanto l’attualità di
una disciplina (che si è comunque stabilizzata nel mondo accademico con
la benefica diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e
fuori), quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo
metodo di lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un
nuovo diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in
modo competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia
abbastanza bene la disposizione intellettuale e comportamentale di G.i,
uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei, quanto fermo
nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci, Santoro, Gambetti e Cunsolo (a quest’ultima si deve
l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche
e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di
aggiornamento ad opera di Francesca Gambetti). 41 A questa linea, diretta da
Celluprica fino al 2005, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel
Centro, a cui si aggiunge, dal 2010, Silvia M. Chiodi, specialista in storia
delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. 26 ILIESI digitale Temi
e strumenti Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio
del Pensiero Antico. Arnim, Stoicorum
Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and
Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini 2002 = Antonello F. Biagini (a cura di), Il
Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali,
Roma, CNR Edizioni. Brancacci 1977 = Aldo Brancacci, Le orazioni diogeniane di
Dione Crisostomo, in Gabriele Giannantoni (a cura di), Scuole socratiche minori
e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 141-171. Brancacci 2017 = Aldo
Brancacci, Il Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia
Italiana”, s. 7, vol. 13, pp. 205-226. Calogero 1950 = Guido Calogero, Gli
studi italiani sulla filosofia antica, in Carlo Antoni, Raffaele Mattioli (a
cura di), Cinquant’anni di vita intellettuale italiana. 1896-1946. Scritti in
onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, Napoli, Edizioni
scientifiche italiane, vol. I, pp. 43-59. Cambiano 1977 = Giuseppe Cambiano, Il
problema dell'esistenza di una scuola Megarica, in Gabriele Giannantoni (a cura
di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp.
25-53. Celluprica 1977 = Vincenza Celluprica, L'argomento dominatore di Diodoro
Crono e il concetto di possibile di Crisippo, in Gabriele Giannantoni (a cura
di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp.
55-73. Croce 19092 = Benedetto Croce, Logica come scienza del concetto puro,
Bari, Laterza. Croce 19273 = Benedetto Croce, Teoria e storia della
storiografia, Bari, Laterza. Croce 19455 = Benedetto Croce, Filosofia della
pratica: economica ed etica, Bari, Laterza. Croce 1996 = Benedetto Croce,
Filosofia della pratica: economica ed etica, a cura di M. Tarantino. Edizione
Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce 1996a =
Benedetto Croce, Logica come scienza del concetto puro, a cura di C. Farnetti.
Edizione Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce
2003 = Benedetto Croce, Problemi di estetica e contributi alla storia
dell’estetica italiana, a cura di M. Mancini. Edizione Nazionale delle Opere di
Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Croce 2007 = Benedetto Croce, Teoria e
storia della storiografia, a cura di E. Massimilla, T. Tagliaferri. Edizione
Nazionale delle Opere di Benedetto Croce, Napoli, Bibliopolis. Dal Pra 1950 =
Mario Dal Pra, Lo Scetticismo greco, Milano, F.lli Bocca, rist. Laterza 1975.
Decleva Caizzi 1966 = Fernanda Decleva Caizzi, Antisthenis Fragmenta, Milano,
Cisalpina. Decleva Caizzi 1977 = Fernanda Decleva Caizzi, La tradizione
antistenico-cinica in Epitteto, in Gabriele Giannantoni (a cura di), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 93-113. Diels 1879 = Hermann
Alexander Diels, Doxographi Graeci, Berlin, Reimer. Diels 1903 = Hermann
Alexander Diels, Die Fragmente der Vorsokratiker, Berlin, Weidmann. Donini 1977 = Pierluigi Donini, Stoici e Megarici nel
De fato di Alessandro di Afrodisia, in Gabriele Giannantoni (a cura di), Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 174-194.
Gaiser 1980 = Konrad Gaiser, La teoria dei principi in Platone, “Elenchos”. Gentile,
Sistema di logica come teoria del conoscere, Pisa, Spoerri. Gentile 19543 =
Giovanni Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Firenze, Sansoni.
ILIESI digitale Temi e strumenti 27 Francesca Alesse G. Giannantoni
e il Centro di Studio del Pensiero Antico Gentile 1964 = Giovanni Gentile,
Storia della Filosofia (dalle origini a Platone), in V. A. Bellezza (a cura
di), Giovanni Gentile. Opere complete, a cura della Fondazione Giovanni Gentile
per gli studi filosofici, vol. X, Firenze, Sansoni. Giannantoni, I CIRENAICI. Raccolta
delle fonti antiche. Traduzione e studio introduttivo, Firenze, Sansoni. Scuole
socratiche MINORI e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino. La storiografia
idealistica, “ELENCO. Lo scetticismo antico, Atti del convegno organizzato dal
Centro di Studio del Pensiero Antico del CNR (“Elenchos”, VI), Napoli,
Bibliopolis. Tavola rotonda. La storiografia filosofica sul pensiero antico,
“Elenchos”. In ricordo di Guido Calogero, “Elenchos”. G. e Gigante, L’ORTO romano,
Atti del Congresso Internazionale tenutosi a Napoli, 19-26 maggio 1993
(“Elenchos”, XXV), Napoli, Bibliopolis. G. e Narcy (a cura di), Lezioni
socratiche (“Elenchos”), Napoli, Bibliopolis. G. e Vegetti, La scienza
ellenistica. Atti del Convegno di studio tenuto a Pavia (14-16 aprile 1982)
(“Elenchos”, IX), Napoli, Bibliopolis. Humbert 1967 = Jean Humbert, Socrate et les petits
Socratiques, Paris, PUF. Ioppolo
1977 = Anna Maria Ioppolo, Aristone di Chio, in Gabriele Giannantoni (a cura
di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp.
115-140. Isnardi Parente 1977 = Margherita Isnardi Parente, La valutazione
dell’epistemologia dei peripatetici, e in particolare di Statone di Lampsaco,
nell’ambito della valutazione della filosofia ellenistica, in Gabriele
Giannantoni (a cura di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica,
Bologna, il Mulino, pp. 195-213. Liburdi 2018 = Annarita Liburdi, Materiali per
una storia dell’ILIESI, “ILIESI digitale. Relazioni Tecniche”, n. 2,
ILIESI-CNR. Mannebach 1961 = Erich Mannebach, Aristippi et Cyrenaicorum
Fragmenta, Leiden- Köln, Brill. Mansfeld 1998 = Jaap Mansfeld, Doxographical
Studies. Quellenforschung, Tabular Presentation and Other Varieties of
Comparativism, in W. Burkert, L. Gemelli Marciano, E. Matelli, L. Orelli
(eds.), Fragmentsammlungen philosophischer Texte der Antike – Le raccolte dei
frammenti di filosofi antichi, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, pp.
16-40, rist. in Mansfeld-Runia, 2010, pp. 3-32. Mansfeld 2002 = Jaap Mansfeld, Deconstructing
Doxography, “Philologus”, 146, 277- 286, rist. in Mansfeld-Runia 2010, pp.
161-172. Mansfeld-Runia 1997 = Jaap Mansfeld, David T. Runia, Aëtiana. The
Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, Volume I: The
Sources. Mansfeld-Runia 2009 = Jaap Mansfeld, David T. Runia, Aëtiana. The
Method and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, Volume II: The
Compendium. Mansfeld-Runia 2010 = Jaap Mansfeld, David T. Runia, Aëtiana. The Method
and Intellectual Context of a Doxographer, Leiden, Brill, Volume III: Studies
in the Doxographical Traditions of Ancient Philosophy. Manuli-Vegetti 1988 = Paola Manuli, Mario Vegetti (a
cura di), Le opere psicologiche Socratis et Socraticorum Reliquiae,
collegit, disposuit apparatibus notisque instruxit Gabriele Giannantoni,
4 voll. (“Elenchos”, XVIII), Napoli, Bibliopolis. 28 di Galeno.
Atti del terzo Colloquio galenico internazionale di Pavia (10-12 settembre
1986), Napoli, Bibliopolis. ILIESI digitale Temi e strumenti Francesca
Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Mondolfo 1933 =
Rodolfo Mondolfo, L’infinito nel pensiero dei Greci, Firenze, Le Monnier.
Mondolfo 1958 = Rodolfo Mondolfo, La comprensione del soggetto umano
nell’antichità classica, Firenze, La Nuova Italia. Patzer 1970 = Andreas Patzer,
Antisthenes der Sokratiker. Das literarische Werk und die Philosophie,
dargestellt am Katalogen der Schriften, PhD dissertation, Heidelberg
University. Repici 1977 = Luciana Repici, Lo sviluppo
delle dottrine etiche nel Peripato, in Gabriele Giannantoni (a cura di) Scuole
socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 215-243.
Sillitti 1977 = Maria Giovanna Sillitti, Alcune considerazioni sull’aporia del
sorite, in Gabriele Giannantoni (a cura di) Scuole socratiche minori e
filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 75-92. Untersteiner 1949 = Mario
Untersteiner, I Sofisti, Torino, Einaudi. Usener 1887 = Hermann Usener,
Epicurea, Lipsiae, Teubner. Vegetti 1998 = Platone. La Repubblica, traduzione
Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Voll. I-III (Libri I-IV). Vegetti 2000 = Platone.
La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. IV (Libro V).
Vegetti 2003 = Platone. La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis,
Vol. V (Libri VI-VII). Vegetti 2005 = Platone. La Repubblica, traduzione
Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VI (Libri VIII-IX). Vegetti 2007 = Platone.
La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VII (Libro X). e
commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario
e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario Vegetti, Napoli,
Bibliopolis. (Libro X). a BS’l RATTO <Ia 1
Bollettino (ti Filologia Classica Anno XXIV. - Fase. 2-3-1 -
Agosto-Setteiiibre-Ottobre 1917 X II 6xi|iòvtov di Soorate.
Como già nei tempi antichi, cosi anello più tardi il 3 r.|iàviov di
Socrate lui sempre suscitato il più vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni
nostri oggetto di studio. Ma, per quanto sia stato scritto attorno ad
essa e per quanto no sia stata ago- volata la compronsione por merito di
Seliloiormacher e dei suoi successori, non si può dire clic si sia linoni
riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una
dèlio cause dèlia tragica fine del grande pensatore. Le
fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono, come si
sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo subito di
fronte ad una questione molto discussa c cioè; quale dei due autori sia
rispetto alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i rapporti di
Platono o di Senofonte si contraddicono riguardo allo ma¬ nifestazioni
del Satpdviov di Socrato in un modo assai pronunciato, è chiaro che dalla
decisione alla quale arriviamo rispetto a questo divario, deliba infine
dipendere la soluzione del problema. 1 > m ,to che nel
diciottesimo secolo si fece strada il parere del leib- niziuno Brucfecr,
secondo il quale gli scritti di Senofonte sarebbero per lo studio del
socratismo i più veritieri, parere che ha avuto fino ad oggi i suoi
fautori. Di quest’opinione è in linea generalo anche Hegel (IJ. 1|S.
principio del secolo passato però, Schleiermacher (2) ed altri
insistettero che por la valutazione della dottrina socratica do vesso
tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a queste due
correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo chiamare
intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che, sebbene gli
atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi, diventa sempre più salda
la convinzione, che senza uno studio profondo di Platone una comprensione
del socratismo non è possibile (-1). Ma con ciò il nostro quesito non è ancora
risolto. Secondo Platone il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente
inibitorio, esso non è mai incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona
nei due modi. Si è, è vero, creduto che la contraddizione tra lo due
versioni fosse soltanto apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva
Socrate nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel
senso «C. (1) G. W. F. Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d.
l'Ii tfp s. Il, 2* ed., p. 69, 1812. (2) F. Schleiermacher, Abkdl.
kad. su Berlin, 1818, p. 50 seg. (3) E. Zm.i.ER, Die Philosophie
hen li, 1, t* '.al., p. 91 seg., p. 131 Mg. 1869.
(4) Cfr. G. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine positivo. In
verità, però, mi sembra, che la diversità venga con una talo
interpretazione soltanto celata, ma non eliminata, perchè in realtà le
differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè
diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad es. : non andare via ! quosto equivale
praticamente al comando positivo: rosta ! Ma con ciò la cosa non è
fluita. So io non distolgo qualcheduno, che devo guidaro, da una azione,
che egli è in procinto di compiere, do, è vero, con ciò il mio
consentimento al suo proposito, ma la sua azione scaturì da motivi sorti
nella sua coscienza e prosegue secondo leggi psichiche. E so, in un altro
caso, lo freno con un semplice: no! senza però dargli altri ordini
positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con
ciò non gli indico ancora quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo
agiro dipende di nuovo unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi
che sorgono in lui stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo
in senso positivo ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione,
i cui motivi sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo
strumento del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal
lato etico, la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado
in questo caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono
altri esempi : in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a
poco al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini
positivi dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui
deciso, secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in
seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sem¬
pre la sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato,
per l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa. Como si vede,
la differenza non si lascia eliminare. Per quanto si corchi di celarla,
essa riappare sempre. Mi sembra quindi più savio di riconoscerla. Ma ciò
facondo ammettiamo anche che una dello due versioni non può essere esatta
e cho si deve decidere, quale delle due si abbia da riconoscere come
vera. Delle opero cho portano il nome di Senofonte, V Apologia
viene oggi quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo
conto. Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed
il Con¬ vito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva
letteratura o specialmente in base agli studi dello Schonkl(l), sono
arri¬ vato alla conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi
Meni. 1, 1, 2 segg., Meni. I, 4, 15 segg. o Conv. 8, 5 sono con tutta
sicurezza da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da
parte in questa breve nota i passi : Mem. IV, 3, 12, IV, 8, 1 o IV, 8,
5. Dalle opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano
del Saipóviov escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto
apo¬ lli K. Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i zu
Wien, 1875, 1876. orilo.
L’autenticità dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo
accettiamo con riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane,
malgrado lo obiezioni di Ueborwog (I). Dogli altri scritti platonici
limino per noi valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la
Repubblica. Senza entrare rpii noi particolari della questiono,
(pialo sia I ordino cronologico delle opere di Platone, dobbiamo
intenderci sull'epoca in cui fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro
ci dà la più esatta in- i rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La
maggior parto dogli stu- .dcigi — c ciò è per noi importante — fa salirò
l’origine di quest o- pcra ad un’epoca non molto distante dalla condanna
o dalla morte del illusolo, l’orsino autori elio sono del parere clic
Platone 1 abbia scritta a Megara, ammettono con ciò (dio questo
importante documento ap¬ partiene al suo primo periodo di attivila,
scientifica. Allo stesso risul¬ tato giunse Lutoslawski per mezzo del suo
metodo stilometrico. Quan¬ tunque si debba riconoscere l’unilateralità di
questo metodo e per •quanto sarebbe arrischiato di fondarci unicamente su
di esso, ci co- -stringono nondimeno ragioni psicologiche di non negargli
ogni valore. Alla questione esposta si connetto quost’altra, cioè,
so nell’Apologià .di Platone si tratti di una fedele riproduzione di
quanto Socrate real¬ mente disse davanti al tribunale di Atene, o se si
tratti soltanto di una riproduzione piu o meno fedele del contenuto dei
suoi discorsi. La prima opinione è quella di Schleiermacher (2), della
seconda è Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui
lo spirito -socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi
insieme. Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni
psico¬ logiche mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con'
inzioni che risultano da quanto seguo. Come si vuol spiegare
l'influenza che quest'opera ha sempre eser¬ citata sui più grandi spiriti
della razza umana, o come si potrebbo comprendere la elevazione morale
clic ognuno devo provare in sè, quando vi si abbandona senza pregiudizio,
so non si ammette che essa suscita nel lettore la convinzione di sentire
la parola viva di Socrate stesso ? Quale valore potrebbo avere questo
scritto, se si volesse con¬ siderarlo unicamente come una creazione
d'arto, come una descrizione dell’ideale platonico? In questo caso
dovremmo bensì inchinarci da¬ vanti all’autore quale artista, ma in fondo
avremmo cosi un Socrate come Platono avrebbo desiderato che egli fosso,
ma non come real¬ mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità
incorporata da¬ vanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che
egli aveva conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest
uomo un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di
idealiz¬ zarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio
? P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli.
Schriflen , F. Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart,
Plalons sàmmtl. Werke, Per quali ragioni
poi l 'Apologia non fu scritta in forma di dialogo? Nessuna introduzione,
nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso tra i singoli discorsi,
nessun accenno a circostanze secondarie inter¬ rompono l'azione in questo
meraviglioso documento. Non dovremo con¬ venire che soltanto forti motivi
psicologici indussero l’autore ad esporre cosi lo sviluppo del processo?
Non si dimentichi neppure quanto di¬ versamente Socrate parla della morte
ne\\'Apologia e nel Fedone, la qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta
molto più tardi. Nell’yfpo/ofna è in verità Socrate stesso che parla,
mentre nel Fedone è Platone che motto, entro la cornice della realtà
storica, la propria convinzione in bocca al suo amato maestro.
Vi sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che
Platone ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del
suo en¬ tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un
lascino che faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la
figura di Sileno clic nascondeva il vero essere del grande innovatore.
Ricordiamo clic Platone era penetrato nello spirito della dottrina
socratica come nessun altro e clic egli solo è stato capace di salvarla
interamente per la filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari
tutti i partico¬ lari esteriori che sono caratteristici por ogni
personalità umana o senza i quali non possiamo neppure rappresentarcela.
Conosceva esattamente il timbro e la cadenza della sua voce, il suo
vocabolario, il suo perio¬ dare, i suoi movimenti mimici e pantomimici,
in breve tutti i numerosi fattori clic, secondo la leggo della fusione
psichica, cooperano a lar sorgere in noi l’immagine di una persona a noi
nota c che, tutti quanti, esercitano la loro influenza dormito la
riproduzione di un suo discorso. È inoltro cosa saputa che ogni
riproduzione di un discorso riesce tanto più fedele, quanto piu
l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬ giore era l’interesse che
l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può immaginano un’attènzione
piu concentrata elio nel caso presente? Figuriamoci lo stato
d’animo del giovano Platone, che pende dalle labbra del suo maestro e che
appercepisce attivamente ogni parola da lui pronunciata; ridestiamo nella
nostra immaginazione l’uragano di emozioni che lo travolge, le
fluttuazioni della sua anima tra la spe¬ ranza ed il timore, tra
l'ammirazione della grandezza sovrumana che si palesa e lo schianto per
la certezza della perdita irrimediabile, e si dovrà convenire elio
l’organismo umano forse non sopporterebbe tali stati d’animo una seconda
volta. Sappiamo che emozioni come queste non passano facilmente, ma (die
tornano sempre in nuovo on¬ dato. Sappiamo inoltro che nessun moto
d'animo rimane senza espres¬ sione o elio lo singolo persone a questo
riguardo si comportano diver¬ samente. Anche l’anima dell’artista lui le
sue reazioni ed ogni artista le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò
la sua vita. Ora, anche Pla¬ tone era artista o come tale non potevano
rimaner mute lesile emo¬ zioni. Ma egli era anello scienziato, uno
scolaro, anzi Io scolaro per eccellenza, ili quoH'uomo che durante una
lunga vita non aveva ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di
rinchiudere in se ciò clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può,
prende lo stile por dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il
suo stato non diede luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri,
nondimeno tutto ciò che aveva visto e sentito, torna a vivere in lui,
conio per il poeta vivono ed agiscalo lo persone croato dalla sua
fantasia. Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un
rapporto stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione
doveva su¬ bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della
trattazione speri¬ mentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi.
Perciò non ogni parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà
avuto un'espres¬ sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più
lunga, eco., ma quanto al resto il documento è. come per il contenuto,
cosi puro pol¬ la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un
Platone, era uma¬ namente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di
vista rispetto allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo
fondarci nella nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera
intorno al &ti- póviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti
negli altri scritti di Platone non contraddicono in alcun modo i dati
precisi dell’Apologià. Per quanto concerno lo opero di Senofonte
che ci interessano, bi¬ sogna ricordare che esse furono scritte parecchi
anni dopo la morto di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati
intorno al feno¬ meno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare
l'innocenza del grande filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c
della condanna, Senofouto metto, convinto, beninteso, di scrivere la
verità, il Saipòvcov di Socrate in relazione colla fedo popolare nello divinazioni.
Ciò non può sorpren¬ dere, quando si pensa all'abuso che il popolo di
qucH'epoea, già invaso dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando
si tiene presente elio Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per
questa ragione non dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso
ciò che era nuovo ed essenziale nella concezione socratica del
fenomeno. In Meni. I, I, 2 è detto clic la divinità (vi Saipòviov)
dava segni a Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi
a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dove¬
vano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio se¬
guivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non li
seguivano, dovevano poi pentirsene. Meni. 1, 4 contiene il noto
colloquio con Aristodemo. In 4, 11 Socrate domanda ad Aristodemo, clic
cosa gli dei dovessero l'aro per convin¬ cerlo elio si curavano anche di
lui. A ciò Aristodemo, alludendo al S-x.aó e.'j'i. risponde, un po'
ironicamente, che dovevano mandargli dei consiglieri per fargli sapere
quello elio doveva faro e non fare, corno Socrate pretendeva che fosse il
caso spo. In Cono. 8, 5 Socrate non aveva affatto parlato del suo
Sxtgtìvwv o non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il
rimprovero, come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio. È
evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il
ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inespli¬
cabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande
valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬
cava questo fonomono, ivi assai conosciuto. Dall' Apologia ili
Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo discorso (Apoi. 31
c-d), che egli non si era occupato di altari politici, perchè succedeva
qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od Sxqidvtov) in lui,
che dai tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era stata in lui
una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli so¬ pravveniva,
l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva mai spinto a
qualsiasi azione. Nel terzo discorso (40 a-c) Socrate spiega, come la
solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato sovento
fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi- xpotg),
ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬ venuto
durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare, mentre
durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché la morte non
poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario il solito segno
(vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel parlare. Alla
fine di questo discoi-so (41 <1) ripeto che il morire doveva ora
essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij-
pstov) l'avrebbe avvertito. Gli altri scritti di, Platone, dei
quali dobbiamo tener conto, non pos¬ sono naturalmente iù avere il valore
storico, elio abbiamo attribuito all’Apologià, ma siccome i rispettivi
passi, corno fu già detto, non sono menomamente in contraddizione con
quolli dell' Apologia, essi hanno certamente un fondamento storico. In
ogni modo illustrano, come Pla¬ tone vuole che il Sxwdvwv di Socrate
venga inteso. Nell'Atò/drtde I (103 a) l’autore si servo del
fenomeno per iniziare il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non
meravigliarsi, se da tanti anni non gli avesse più parlato, perchè un
ostacolo di natura non umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi
Sxipdviov ivawttopx) gliene aveva impedito. ììo\VEulifrone (3
b) questo domanda a Socrate, su che cosa Meleto abbisi l'ondato la sua
accusa. Socrate dico che Meleto gli rimprovera di introdurre nuovi dei c
di non credere negli antichi. E Eutifrono gli risponde di aver capito
ora, che è perchè Socrate parla sempre del suo Sxtpóviov. Noi
Teetelo (150 c-151 a) Socrate parla della sua maieutica e dico che molti
discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la sua arto, lo
tenevano in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovi¬ netti tornavano
da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impe¬ diva di
accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che questi
facevano di nuovo progressi. Nell 'Entidemo (272 o), un dialogo, in
cui Platone fa vedere tutto il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica,
Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico
clic il giorno innanzi ora stato seduto noi liceo od in procinto di
andarsene, quando gli ora sopravvenuto il solito sogno demonico (tò siwà-ò:
ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}. Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei duo, cioè
Kutidemo e Dioniso- doro orano entrati. Noi Fedro (241 a-d)
Platone ha già oltrepassato di molto il socialismo puro e semplice, come
risulta dalla spiegazione elio dà dell’anima o dello ideo. Dopo una
meravigliosa descrizione del paesaggio vediamo corno Socrato o Fodro si
coricano sulla sponda dell’Ilisso nell'omhra di un albero. Socrato ticno
il discorso sul bel ragazzo che aveva avuto molti amanti. Fedro vorrebbe
clic continuasse su questo tema, ma So¬ crate gli risponde che, in
procinto di attravorsare il fiume, gli era so¬ pravvenuto il solito segno
demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl, gli era parso di
sentire una corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v àzoùoai), elio
lo impediva di andare via prima di essersi purificato da un peccato
commesso contro la divinità. Dice ancora che egli deve essere veramente
un divinatore, ma soltanto per ciò elio riguarda lui stesso, e
continuando rileva dm la sua divinazione rassomiglia all'arte di quelli
che leggono c scrivono male, perché anche questi possono ser¬ virsene
soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli passa man mano agli splendidi
discorsi elio tutti conoscono. — Platone si serve in que¬ st'opera con
arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in cui so n'è servito
ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il fenomeno per rendere
possibili i discorsi che seguono. Nella Repubblica (VI, 496 c)
Socrato dice elio il segno demonico (tò ìaqiòviov ovjiietovJ non era
stato concesso a nessuno prima di lui o quasi a nessuno. So
analizziamo più da vicino il problema, vediamo che esso rac¬ chiudo in sé
tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno dopo l'altro. S’impone prima
di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia potuto -chiamare il fenomeno
in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette l’altro, cioè di sapere
che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso per questo termine. In
terzo luogo dobbiamo corcare, come la psicologia empirica moderna possa
spiogare questo fatto. II primo quesito e, fino ad un certo punto, anemie
il secondo fanno parte della psicologia dei popoli, mentre il terzo
appartiene esclusivamente alla psicologia indi¬ viduale. I.
Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista della psi¬
cologia dei popoli. — 11 concetto del demone è sorto da primitive ve¬
dute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto il
quale, sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte
trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,
questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-
talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere imper¬
sonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il
panteismo. Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione
ilei demono non si perdo dopo la formazione degli dei pa¬ gani o elio
corto qualità ili questi ultimi vengono attribuite anche ai demoni. Per ciò
accado olio lu coscienza popolare non distinguo sempre nettamente tra dei
e demoni. Nella Grecia il concetto del demone, sotto l'influenza della
poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modifica¬ zione, in quanto
i demoni vengono considerati come esseri elio stanno tra gli dei o gli
uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione deH'origino
dell'Eros nel Convito di Platone (802 dj, come pure il primo discorso di
Socrate nel .['Apologià platonica (27 c). Dal punto di vista della
psicologia dei popoli si può diro elio col «aipóviov di Socrate il
concetto del demono torni nell'anima umana, nella quale, per motivi
psicologici e per processi di oggettivazione, è nato, vi ritorna
filosoficamente trasformato ed eticamente purificato (1). E
caratteristico per tutto questo sviluppo elio Socrate nel Convito di
Senofonte chiama l'anima umana un santuario dell’Eros (Vili, 1). ,
2. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? — Prendo le mosse da un
punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente dal
punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli nella
sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello Stato,
o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto an¬
nuisco a questNiltima interpretazione, l’accusato corea di far vedere
l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qual¬
che cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili
demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni sono figli
di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può ere- dorè
all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò
anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano
colpevole, erano in piccola maggioranza. Se prendiamo questo passo
insieme con quanto Socrate dice ancora ilei suo 2xi|ióvtov o del suo
concetto della divinità, abbiamo in mano la chiave per la sua concezione
del fenomeno. Faccio qui ancora notare che intendo il termini vó
ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'os- sorvaziono dello
Schlcierinacher (2), nel senso di un aggettivo. Dico questo per
respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno spe¬ ciale spirito
custode. Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla
fedo popo¬ lare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e
ven- .,gono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il
demonico in lui è generato dalla divinità. Per questo lo chiama anche tó
3-iCov, il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo
qual¬ cosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli
credeva puro impostogli dalla divinità (Teeteto 150, o). Come a baso di
tutte (1) Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, 2, p, 3iìS. 19 ni;
Clemente der VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd., p. 309. — Cfr. puro B. E.
Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo, XXVIII, ri, p. 185. 1911.
lo azioni di Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli
è assolutamente certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia
in asso, una volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola
o grande, dolla vita, quando è in pericolo di non agire giustamente,
cioè di non compiere la sua missione. In questa cortezza, che forma
una parte della sua fedo religiosa, sta la giustificazione otica dolla
ironia, colla quale egli lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma
oltre ad essere qualche cosa di divino, il demonico in Socrate è poi
anche qualche cosa di umano, perché si produce nell’anima umana o diventa
sua pro¬ prietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il demonico stava
veramente, come il demone della mitologia, in mezzo tra il divino e
l'umano. Si aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che prima di lui
questo dono non era stato posseduto da nessun altro mortale. Ecco ciò
che vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione, di
fronte a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone,
questo fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si
esprime sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi. 31 a-38c). Tali
parole può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire,
ma quando escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una
pro¬ fonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a
tini etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di
scol¬ parsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in
quanto al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche (Apoi.
35d). Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della
sua etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico
(2), è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il
poli¬ teismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo
giudaico. Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo.
Educato in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente
legato allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la
mas¬ sima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di
ubbidire alle leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la
raccomandazione di non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio
(Fedone. 118), e poco prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il
calice fatale, se ora permesso di farne una libazione. In questo modo
Socrate non rag¬ giunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si
avvicina ad essa, perchè sulla*larga base della religione popolare si
eleva, quale sintesi della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al
quale si deve ubbi¬ dire più che non agli uomini (Apoi. 29 d) c di cui
egli si credeva un apostolo (Apoi. 31 a). Socrate è tolcrautc verso la
fede della moltitu¬ dine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa
l’universo e per il quale non trova neppure un nome, un Dio onnisciente
ed onnipresente, che (1) A. Labriola, Socrate. Nuova edizione a
cura di B. Croce, p. 5, 35, 76, 80 seg., 86 seg., 88 sei;., 150 si>g.,
176, 274 seg. 1909. (2) Cfr. A. Labriola, op. cit., p. 151, 155,
179 segg., 250 segg., 271 segg. si cura ilei Leno di
tutti gli nomini (Sonof., Meni. I, 4). Tutte le sue pratiche religioso
sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo, clic si rivela agli
uomini in molti modi. Con una espressione di ledo in questo Dio
onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi presente
questo concetto della divinità, si comprendo la sua incrolla¬ bile fede
nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima. Il l'atto che
il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte accanto al sì
neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato accanto
all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme divino.
Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come, per es.,
nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare della di¬ vinità.
Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo sol¬ tanto
elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora aveva già
riconosciuto un unico principio immateriale che tutto or¬ dina secondo
lini. Cho Socrate abbia conosciuta l'opera di Anassagora, apprendiamo
direttamente da Platone (Fedone. U7). Non ho bisogno di rilevare
che, con quanto fu esposto, sono sen¬ z’altro respinte le opinioni di Lèi
ut o di altri, cho considerano Socrate come un ammalato di mente, come
pure il parere di Dii l’rel, che mette il Sxqidvtov di Socrate in
relazione collo proprio teorie mistiche (2). 3. // 8r.pó/tov di
Sacrale dal punto di vista detta psicologia empirica moderna. — So
teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci presenta, è evidente che
nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un processo che ap¬ partiene al
campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non può trattarsi qui di
una inibizione nel senso della dottrina intcllcttuuli- tstica di Horbart.
Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non appartiene all'atto al
contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma si trova piuttosto
dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da quella dei sentimenti.
Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere il problema.
L’inibizione procede da un sentimento totale, che si forma in base ad un
numero più o meno grande di intensivi sentimenti par¬ ziali, legati ad
clementi rappresentativi che rimangono al limito della coscienza e che
non giungono all’appercezione. Con questo è inteso, che non può trattarsi
nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento affermato, di processi
allucinatoci (3). Nel fatto che l’inibizione parte da un sentimento, al
quale non corrisponde un contenuto oggettivo, sta la ragione, perchè
Socrato non può fare alcuna indicazione precisa (l) Cfr. pure (I.
/Cuccanti:, op. cit., pirte IV, c«p. XIII. tX) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion
de Si,croie ni. 1 4556. — C. Du Prel, Ine Ma¬ stiti d. alt. (ìrieclien,
p. 121 seg. 1.333. E caratteristico che Du Prel l'accia uso ilei Teapele
, benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone. d) Cile
Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx:
„ non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza
anche lo Cuccante (op. cit., p. 372). Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di
Socrate avesse tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi
racconti platonici, ciò che non è assolutamente il caso. -
intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬
mente il demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla,
ad es., di una voce, come oggi si usa il termine “ voce della
coscienza,,. Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene
poi atti¬ vamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il
carattere di un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza
morale, lo co¬ stringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho
l’inibizione viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio
in lui non possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro
persone. Non vi è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai
alcun conflitto tra doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è
assoluta¬ mente sicuro di aver avuto trasmesso un divino “No,.. Cosi la
rifles¬ sione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi
fondamentali, che lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed
etica. In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si
verifica in ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché
molte per¬ sone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di
James Stuart Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se
stesso molto intensamente (1). A me molte persone hanno dotto di aver
notato in sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che
egli aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua
fanciul¬ lezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di
esso una certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli
per tempo si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il
fenomeno era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento
cho egli era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione
divina, questa convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo
continuo autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione
teolo¬ gica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio
che governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio.
L’ininterrotto esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere
l'inibizione di ogni grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione.
Si aggiunga (die la coscienziosità colla quale cercò continuamente di
compiere la sua mis¬ sione, e colla quale mirava sempre ai medesimi lini,
doveva renderlo straordinariamente sensibile o facilitare la formazione
di tali senti¬ menti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno
in tutto lo sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano
trovati i punti principali «he debbono guidarci nella spiegazione
psicologica del Sacgóviov di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro
più esteso, ed in questo sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori
più di quanto mi è stato possibile di fare in questa breve
comunicazione. (1) G. Zuccante, op. cit., p. 378. JL ~jt
e 3 Federico Kiesow. SOCRATE ET VoAmour Grec. SOCRATE
ET IPAmour Grec ( Socrates sanctus nai Sepaatrjs
) D1SSERTATlON DE Jean-Matthias GESNER
Traduite en Francais pour la premiere fois Texte Latin en
regard Par Alcide BONNEAU PARIS Isidore LISEUX ,
Editeur Rue Bonaparte, jegg^arean-Matthias Gesner, 1’auteurde «JgE
cette curieuse dissertation, est I S&fe l un erudit Allemand du xvm e
sie- cle, dont les travaux ne sont pas tres- connus en France. On
lui doit d’excel- lentes etudes sur les Scriptores rei rus- ticce ,
une Chrestomathie de Ciceron, une Chrestomathie Grecque , des Lexi-
ques, une traduction Latine des ceu- vres de Lucien, des editions de
Pline le jeune, de Claudien, de Quintilien, de Rutilius Lupus
et autres anciens a rheteurs, toutcs enrichies de
notes sa- vantes et de longs prolegomenes; plus, un nombre
formidable de dissertations sur toutes sortes de sujets, Opuscula
di- versi argumenti (Breslau, 1743-45, 8 vol, in-8°), parmi
lesquelles son Socrates sanctus pce der asta tire forcement l’oeil
par la bizarrerie de son titre. Cette bizarrerie a valu au livre sa no-
toriete, et en meme temps lui a fait grand tort. Beaucoup de gens, entre
autres Voltaire, malheureusement pour 1 ’erudit Tudesque, n’ont pas
ete au dela, et iis ont construit sur cette minee donnee un ouvrage
tout entier de leur fantaisie, a 1 ’extreme desavantage du pauvre
Gesner. D’autres ont cru Voltaire sur parole et sont arrives au
meme resultat. C’est Larcher, THelleniste, qui le pre- mier
chez nous mit en lumiere cet opus- cule, dans son Supplemenl &
THistoire universelle de labbe Bapn (1767, in-8°), en le citant
parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il se contenta
d’en faire mention, sans meme traduire ni expliquer le titre, ne
s’ima- ginant pas qu’on put s’y meprendre, et qu’un homme tel que
Gesner fut suppose capable d’une indecente apologie. Vol- taire,
dont le vif et alerte esprit se plai- sait a effleurer les surfaces, sans
presque jamais approfondir, ne connaissait sans doute pas Gesner et
certainement n’avait pas lu son Socrates. Le Supplement a VHistoire
nniverselle n’etait d 7 ailleurs qu une refutation tres-savante,
quoique un peu lourde, de son Introduction a 1'Essai sur les maeurs
, publiee d^abord a part et sous le pseudonyme de 1’abbe Bazin;
quelques critiques justes qu’on y rencontre le mirent de mauvaise humeur
, et, battu sur divers points d’erudition, il chercha une occasion
de dauber Larcher, a cote du sujet, selon son habitude. Il crut la
trouver dans le livre etrange qu’il supposa, d’aprcs le titre cite qu’il
interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait donner comme faisantautoritedesimons-
trueuses elucubrations (le monstrueux n’etait que dans ce qu’il
imaginait), et tantot sous le pseudonyme d’Orbilius, tantot sous
celui de M Ilc Bazin ( Defense de mon oncle, un de ses pamphlets), il
ne cessa de poursuivre la-dessus de ses bro- cards son inoflensif
adversaire. Tres- content d’avoir leve ce lievre, il a meme
reproduit son assertion plus que hasardee dans le plus populaire de ses
ouvrages ; on la trouve en note de 1’article Amour socratique , du
Dictionnaire philosophi- que. « Un ecrivain moderne, nomme Larcher,
repetiteur de college, dans un libelle rempli d’erreurs en tout genre
et de la critique la plus grossiere, ose citer je ne sais quel
bouquin dans lequel on appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-
crate saint b ! Il n’a pas ete suivi dans ces horrcurs par 1’abbe
Foucher. » Larcher avait trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le
fit dans sa Repons e . la Defense de mon oncle (1767, in-8°),
opuscule rare, reimprime a la suite du Supplement a 1’Histoire
universelle : « Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire, votre infame
et infidele traduction du titre d’une dissertation de feu M.
Gesnera Je n’ai point traduit le titre de cette dis- sertation ; il
ne pouvait se prendre que dans un sens tres-honnete, mais il etait
reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui en donner un infame. Cela ne vous suf- fisait-il pas? Fallait-il
encore me 1 ’im- puter? » Pour qui avait suivi toutes les
phases de la discussion, Larcher et Gesner etaient innocentes;
Voltaire restait convaincu d’avoir note dfinfamie un livre sans le
connaitre. Mais ces temps
sont loin ; per- sonne aujourd’hui ne lit Larcher pour son plaisir,
et le Dictionnaire philoso- phique est dans toutes les mains. Voila
pourquoi on croit generalement que Ges~ ner a developpe le plus scabreux des
pa- radoxes et fait une apologie en regie d’un vice honteux. Nous
pourrions citer au moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire, ont
propage 1’erreur mise par lui en cir- culation, et affirme que cette
dissertation n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous ne voulons
faire de la peine a personne. Gesner, ecrivain des plus doctes et
plus estime encore pour son caractere que pour son savoir,
professeur de Belles- Lettres a TUniversite de Goettingue, puis
bibliothecaire de cette universite, ne pou- vait ecrire qu’une defense de
Socrate, une refutation des calomnies dont on a obscurci sa
memoire, et que la langue a attachees a son nora d’une maniere en
quelque sorte indelebile par les mots de socratisme et d 'amour
socratique. Inquiet et tourmente, comme il 1’assure, de voir peser
sur le pere de la Philosophie de si indignes soup9ons, il a voulu
remonter aux sources, compulser tout le dossier et reviser le
proces sur les pieces memes. II l'a fait d’une facon non moins
inge- nieuse que savante dans cette disserta- tion lue a 1
’Academie de Goettingue en fevrier 1752, recueillie dans les
Memoires de cette academie (t. II, p. 1), dans les Opuscula diversi
argumenti de 1 ’auteur et tiree a part en 1769 (Utrecht, in-8°).
C’est cette derniere edition que nous avons suivie pour la reimprimer et
la tra- duire, ce qui n’avait jamais ete fait en Francais, ni
probablement dans aucune autre langue. Gesner a-t-il reussi a dis-
culper entierement Socrate? Nous l’es- perons; mais nous etions de son
avis avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per- sonne ne
1’ignore, c’est surtout chez ceux qui pensent comme lui qu’un auteur,
si bon dialecticien qu’il soit, porte la con- viction. Les esprits
mal faits qui incli- nent a 1’opinion contraire, et ceux-la seront
toujours difficiles a persuader, persisteront peut-etre a trouver
singulier que Platon, interprete de Socrate, ait si souvent parle de
1’amour; qu’il ait con- sacre trois de ses plus beaux dialogues, le
Lysis , le Phedre et le Banquet , a cette brulante passion; qu’il l’ait
tant de fois soumise aux analyses les plus delicates, expliquee par
les conceptions les plus sublimes, les mythes les plus poetiques,
et que jamais, sauf un moment, dans l’admirable episode de Diotime du
Ban- quet , il ne soit question de la femme. Alcide
Bonneau. UTRECHT es hommes illustres, ceux qui sont regardes
comme tels non-seulement par la posterite, mais par leurs
contemporains, ceux surtout dont le plus grand eclat consiste precisement
dans leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus legers indices,
de quelques travers, sinon de defauts plus graves; et c’est la un
travers iros illustres, et non a posteris solis sed coaevis
tales habitos , eos maxime quorum praecipua laus virtutis est , vitii alicujus
nedum criminis gravioris suspicari levibus ar- gumentis, vitium id quidem
non leve : reos agere et condemnare crimen et piaculum ; in
Christiano homine, in homine , in barbaro. Quanta istorum ignominia, tanta est gloria
piorum virornm qui versantur in probrosis his l’editeur qui
Iui-meme ne manque pas de gravite. Se faire a la fois 1’accusateur et le
juge, c’est une chose criminelle, un sacrilege, qu’il s’agisse d’un
Chretien, ou seulement d’un homme, meme d’un paien.
L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant la gloire des hommes pieux
qui s’appli- quent a repousser ces odieuses attaques. On peut le dire
de Gesner, ce savant illus- tre, du petit nombre de ceux qui depas-
sant par la science tous leurs contempo- rains, font encore plus estimer
en eux les qualites du coeur que celles de 1’esprit ; c’est un
honneur pour lui d’avoir pris en main la cause de Socrate, et un plus
grand peut-etre pour Socrate d’avoir dte le Client de Gesner.
II nous a paru
bon de recueillir dans une edition nouvelle cet ouvrage de faible
conatibus coercendis. Gesnero,
illustri nomini , e numero paucorum illorum qui cum eruditione
coaevos possint excellere, animi dotibus quam ingenii celebrari malunt,
incertum an honori sit caussam Socratis egisse, magis quam Socrati
Gesnerum habuisse patronum. Visum fuit , memoriam brevis operae sed
auro contra noti carae nova editione colere. Docuit vir praeclarus
, scripto quidem, quam inani co- natu virtus summi hominis sollicitata
fuerit ab obscuris obtrectatoribus , qui non solent deesse virtuti.
Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas
trop cher paye au poids de For. Son excellent auteur nous y montre,
la plume a la main, 1’inanite des efforts diriges contre un sage
par ces obscurs detracteurs qui ne man- quent jamais a lavertu; il nous
fait voir aussi, par son exemple, qu’il appartient a tout honnete
homme de defendre la cause des gens de bien. II nous enseigne
surtout avec quel soin et avec quelle erudition il est besoin
d’ecrire dans de telles matieres, ou l’on ne doit rien avancer qu’apres
un examen scrupuleux. Profite donc, lecteur, de ce travail,
plus utile qu’il ne le semblerait au premier abord; et si, par
ignorance ou par trop forte credulite, tu as rejetd loin de toi les
ecrits Socratiques, reprends-les maintenant et garde-les avec amour. Il
nous sera per- bonos omnes bonorum virorum caussam : tum et
illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu- rate et docte
scribendum esse, nec arripi quid- piam absque subtili examine, et
benevolo illo , debere. Fruere, Lector , labore utiliori quam
decet : et si imprudentius forte abjeceris Socraticas char- tas
nimium credulus, abi continuo et in sinu eas reconde. Integrum erit
culpare qui Socratem citant, tibi convenisset laudari Davidem et
Sa- lomonem : sed patiamur , bonum et pauperem Socratem . , placide
subridentem , sereno vultu , xvi l’editeur au lecteur
mis a notre tour de mettre en accusation ceux qui font un crime a
Socrate de ce qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait de
David et de Salomon ; mais laissons le bon et pauvre Philosophe
s’interposer dou- cement avec son placide sourire, son tran- quille
visage, et s’ecrier : Moi aussi, Vertu, je t’ai honoree, Deesse !
Quant a ceux qui blameront cette apolo- gie, non comme excessive,
grands dieux, car que pourrait-on dire de trop sur So- crate ? mais
comme inconvenante et depla- cee, qirils prennent garde de tomber
dans Todieux de cette populace Portugaise tou- jours prete, sinon a
lapider ou a bruler, du moins a exorciser a force de signes de
croix traces d’un doigt tremblant, le teme- raire qui oserait croire que
la Bienheu- reuse Vierge Marie etait une Juive. leniter interponere, Et ego te, Virtus ! colui
Deam, Quibus fastidium movent elogia, justa Di boni! quid
enim de Socrate dici nimium potest? sed quce magis opportune forsatn
collocari potuis- sent, videant ne in odium id evadat, quale est
plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la- pides, saltim tremente
digito averruncas cruces describentis, si quis auserit credere, B.
Virginem Judaeam fuisse. SOCRATE ET L’Amour
Grec IO. MATTHI. GESNERI V. C. Socrates
SANCTUS T/E D E T{A STA t nihil tam alte vel natura ,
vel virtus , vel fortuna constituit, in quo non vel deprehendatur
ali- quid labis et vitii , vel vires suas experia- tur maledica
invidia , cujus vocibus boni etiam viri abripi se ad suspicandum certe
non nunquam patiuntur : ita mirum non est , neque excelsam Socratis
gloriam Socrate ET L’qAMOU%
g%ec 1 n’est rien de place si haut par la nature, la vertu
ou la fortune, qui n’ait ses taches ou ses inv perfections, ou que
1’envie ne s’efforce d’atteindre, cette medisante envie dont les
clameurs poussent 1’homme de bien lui-meme a soupconner le mal :
c’est pourquoi nous nc devons point nous obtrectatoribus suis carnis
se. Ac de Anyti Melitique criminibus, quibus op- pressus est vir
innocens , et, si forte vani- tatis aut nugarum et cavillationum
pos- tulatus, et Scurrae nomine traductus est (i), in prcesenti non
erimus soliciti. Unum crimen est, quod, varie jactatum, et plus
semel non sine specie in scenam reduc- tum scepe me solicitum habuit,
Fuerit ne impuro ac detestabili puerorum amori deditus? Hoc enim si
verum sit, actum est profecto de virtute viri, indignus est cujus
cum honore nomen usurpetur. 2. Postulatum esse hujus
turpitudinis, negari non potest. Mittimus , quae de adolescentia
viri ad libidinem proclivi (i) Factum id esse a Zenone Epicureo,
prodidit Cic. de Nat. Deor. i, C. 34, ubi vid. Davis. etonner
que lagloire si haute de Socrate ait eu, elle aussi, ses detracteurs.
Tou- tefois nous ne voulons ni parier ici des accusations d’Anytus
et de Melitus sous lesquelles succomba son innocence, ni nous
inquieter de savoir si ce grand homine a ete incrimine de vanite,
de mensonge et de sophisme, affuble du surnom de Bouffon[i). Une
seule accu- sation m’a souvent tourmente ; c’est celle qui, sans
cesse discutee, a toujours ete remise en avant, non sans apparence
de justesse: Socrate etait-il adonne d l’impur et detestable amour des
jeanes gargons ? Si cela est vrai, c’en est fait des- ormais de la
vertu de cet homme ; c’est un indigne, lui dont on ne prononce le
nom qu’avec respect. 2. Qu’il ait ete accuse de cette turpi-
tude, le fait est certain. Negligeons ce que Porphyre, d’apres Theodoret
[De la (i) Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire de Ci-
c6ron {De Natura Deorum , i) ; consuit, la-dessus J. Davies.
i . Porphyrius apud Theodoretum [Graecar, affect. cur. ser.
4 pr.) memorat : nam ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj
xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas ve- luti notas libidinum studio
ac doctrina abolevisse (1). Neque valde huc faciunt , quce ex eodem
Porphyrio , qui Aristo- xeno auctore usus sit, idem Theodore- tus
(Serm. 12 p. iy5, 8) memorat, par- tim quod ad adolescendam primam
viri, de qua nobis sermo non est, pertinent , partim quod Archelaus
Anaxagorae dis- cipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius fuit.
Ejusdem generis est, quod Cyrillus (contra Julia. 6, p. 186, D) ex
eodem Porphyrio (in Historia Philosopha , libro olim deperdito)
refert , Socratem -po; xr ( v twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv
sivac, aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?
•/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas aliquantum
vehementem, sed injuriam abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel
(1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis dicentur. §
18. et l’amour grec 7 cure des prejuges des Grecs ,
Disc. iv), raconte de sa jeunesse, laquelle aurait ete encline au
libertinage ; 1’auteur ajoute, en effet, au meme endroit qu’il
parvint a effacer en lui, par Venergie de sa volonte \ jusqu’aux traces
meme des passions (i). Ne nous occupons pas non plus de ce que le
meme Theodoret (Discours xn) emprunte encore a Por- phyre, qui
lui-meme suivait Aristoxene, c’est-a-dire de ce qui se rapporte a
la premiere jeunesse de Socrate (elle n’est pas en cause), et a ce
disciple d’Anaxa- goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout bien
tout honneur, un ami fervent (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme
cate- gorie appartient ce que S. Cyrille [Contre Jidien, 6) a
extrait de YHistoire philosophi que de Porphyre, livre aujour-
d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait violemment pousse aux choscs de
ia- mour, mais qiiil s’abstint de faire tort a (i) Voyez ce
que l’on dit plus bas des marques du « mauvais cheval Socratique. »
(quam diu caelebs esset) communibus uteretur. Nondum
quidquam ex Por- phyrio vel Aristoxeno, quem ille aucto- rem
sequitur, allatum est de horribili scelere, Pcederastia : quod
praetermissu- rus non erat, qui satis hic in Philosophice parentem
iniquus est, Cyrillus. Decla- mat igitur praeter rem Socrates alter
(Hist. Eccles. 3, 23, p. i gj, D), cum ita de Porphyrio narrat,
IIopcpupio; xou xopu^aio- xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov
[3''ov oietu- psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta,
xai xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs MeTaxo;,
p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv ItTictv e-zyjiprjGxv, ita
traductum, ait, a Porphyrio Socratem, talia de viro scripta, quae
neque accusatores ipsius Anytus et Melitus dicere in ipsum ausi sint.
Acci- pimus, quod negat objectam in judicio turpitudinem talem
Socrati, quo nempe argumento constet, famam viri hac tum macula
caruisse. Sed nec a Porphyrio plura aut turpiora his memorata, quae
jam vidimus, satis illud argumento est , quod iniqui Socratis glorice
homines, personne, en riusant jamais que de ses
propres femmes ou , durant son celibat, des femmes qui apparticnnent a
tout le monde. Nulle part, soit chez Porphyre, soit chez Aristoxene
que Porphyre co- piait, il n'est rien allegue de cet horrible crime
: Pederastie ! II ne Paurait point passe sous silence, ce Cyrille si
injuste envers lepore de la Philosophie. IPautre Socrate ( Histoire
ecclesiastique, m, 23 ) avance donc une insigne faussete lors-
qu’il dit : « Porphyre a compose la vie de Socrate, le coryphee des
philosophes, d’apres les histoires ecrites sur lui ; et il nous a
transmis, d Vaide de ces docu- ments, des choses si monstrueuses que
les accusateurs de Socrate, Anytus et Meli - tus, n’ont pas meme
ose' les lui reprocher. » Retenons seulement de ceci Taveu qu’on
n’en fit pas un grief a Socrate, lors du jugement public, ce qui ressort
de la phrase elle-meme, et que cette tache fut alors epargneeT a sa
renommee. Mais Porphyre n’a pas rapporte autre chose ou des choses
plus monstrueuses que ce Cyrillus ac Theodoretus, non plura
pro- tulere, quibus fuerant haud dubie cau- sam suam , si res
facultatem dedisset, ornaturi. 3. Nempe nec Aristophanes , qui
cor- ruptce ad impietatem et calumniandi ar- tem juventutis accusat
in Nubibus Socra- tem . hujus criminis ullam mentionem facit , non
omissurus profecto , si illud adhaerescere posse putasset. Nec
forte quisquam est ex omni antiquitate remo- tiore illa, et
temporibus Philosophi pro- pinqua . , serius et severus accusator
hujus criminis. Lusit inter posteriores, pro petulanti illo ingenio
suo, Lucianus (de CEco, ita enim potius dicendus erat ille libellus
quam de Domo, c. 4 , T. 3, p. ig 2 , 83) cum accusat Socratem, qui
non erubuerit advocare Musas, virgines, cuvsaojjiva; ia -aiBepaama,
ut audirent illos de puerorum amore sermones. At- qui illi
sermones, uti mox videbimus. que nous venons de dire ; nous en
trou- vons la preuve en ce que S. Cyrille et Theodoret, deux
detracteurs de Socrate, n’en ont souffle mot, et qu’ils n’auraient
pas manque d’en orner leurs diatribes si la chose eut ete possible.
3 . En second lieu, Aristophane qui, dans ses Nuees , represente
Socrate comme un corrupteur de la jeunesse, comme faisant de
1’imposture un enseignement, n’a pas davantage mentionne cette
accu- sation; l’aurait-il omise, si elle eut pu s’appliquer a
Thomme qu’il bafouait? II n’y a enfin personne, si l’on prend des
temoins dans cette antiquite reculee ou dans les temps voisins du
Philosophe, qui se presente comme un accusateur serieux et digne de
foi. Plus tard seule- ment Lucien, entraine par sa verve moqueuse
(dans 1’opuscule que l’on tra- duit ordinairement De Domo et qu’il
vaudrait mieux traduire De CEco , chap. iv), reprocha a Socrate de
n’avoir pas rougi d ; invoquer les Muses, des reprehendant vehementer amorem : re-
spicit enim ad Phcedrum Platonis (p. 340 , G) de quo dedita opera
dicendum erit. Qua ? in Amoribus (c. 24. To. 2. p. 424 , go) in
Socraticum amorem Platonicum- que vel a Luciano, vel quicunque
auctor est, jocose et per calumniam dicuntur, ea ad ipsum illum
locum diluisse me arbitror . 4. Sed veterum criminationes
Maxi- mus Tyrius ( Dissertat . 2S. 26. et 27 al. g. 10. 11)
refutavit, ut non videatur opus esse aliquid addi : cum praesertim
tanto magis et agnoscant innocentiam Socratis, et illud crimen ab illo
depel- lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis homines, quo
magis virum ex aequalium ac paullo juniorum de illo scriptis ut
cognoscere possent, cuique contigit. Quin ne consultum quidem judicarem
veterem litem resuscitare , nisi viderem, nuper et l’amour grec
i3 vierges, pour leur faire dcouter ces fa- mcnx discours sur
Vamour des jeunes gargons. Mais ces discours, comme nous allons le
voir, blament fortement cette sorte d’amour; Lucien fait, en effet,
allusion au Phedre de Platon dont nous aurons a nous occuper. Ce que Fon
dit debamourSocratiqueet Platonique dans les Amonrs , que ces
dialogues soient de Lucien ou de tout autre, n’est qu’une
plaisanterie ou une mechancete, comme je\ l’ai demontre en temps et lieu
(i). 4. Maxime de Tyr ( Dissertations 25 , 26 et 27) a
d’ailleurs refute toutes les ac- cusations portees a ce sujet par les
an- ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter. Le meilleur
argument, c’est que ceux qui ont le mieux reconnu Tinnocence de
Socrate et repousse loin de lui avec le plus de force 1’accusation
infame, sont les hommes de la generation qui a imme- (1) Dans
ses notes sur Lucien, dont il a fait une edition et une traduction Latine
tres-estimees. fuisse, et esse hodie
homines eruditos, et bonos viros, qui pravam de patre illo
Philosophia ? opinionem conceperint, quo- rum non pono nomina, quia mihi
non cum ullo homine certamen esse volo, sed cum opinione ea, quam
praeterquam quod falsam puto, etiam virtuti noxiam , praeter
consilium quidem bonorum viro- rum, humanitati certe adversam esse,
arbitror. 5. Qui autem fieri potuit, ut homines neque
indocti neque maligni in sinistram falsamque de Socrate opinionem
incide- rint? ut apologia vir sanctus opus habeat? Praeter
naturalem illam -/.axor{0£tav nos- tram, quae imis velut medullis fixa ,
et superbiae illius nostrae nixa radicibus. et l’amour grec
i5 diatement suivi la sienne. Or, ce sont les contemporains
et leurs successeurs immediats qui peuvent le mieux juger un homme,
en pleine connaissance de tout ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais
donc pas songe a ressusciter cette vieille que- relle si je n’avais
vu naguere, et tout recemment encore, des hommes instruits,
vertueux, concevoir la plus mauvaise opinion de ce pere de la Philosophie
; je ne dirai pas leurs noms, ne voulant me prendre corps a corps
avec personne, mais seulement avec une opinion que je considere
comme sans fondement, nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a
1’avis de ces gens de bien, defavorable a 1’humanite tout entiere.
5. Comment donc a-t-il pu se faire que des personnages qui ne
p£chent ni par ignorance ni par mechancete, aient concu de Socrate
une opinion si facheuse et si fausse? Pourquoi cet homme veri-
tablement saint a-t-il besoin d’etre de- fendu? En dehors de cette
maligni te inter ultima vitia eradicatur, ceterasque
ex genere morum rationes, conveniunt hic alia qucedam , quce facilem
errandi occasionem praebent. Magna pars docto- rum etiam hominum
legendi laborem fugit, legendi uno tenore, continuata attentione ,
totos veterum scriptorum libros; sed satis habet decerpere quce-
dam, in quce primum incurrere oculi, aut, quod deterius frequentius que
idem, repetere ab aliis excerpta, et e media nonnunquam sermonum
velut compage evulsa, de quorum sic sententia non facile sit
judicare. Platonis libri , unde pleraque Socratica peti hodie necesse
est, multos arcent ob Atticum illud sermonis genus, breve et
acutum, floridum praeterea, ac semipoeticum, ipsamque disserendi
ratio- nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri attentione, non
acutissimi homines illam statim adsequantur. Nec licet , ut adhuc
res est, ad interpretes confugere ; qui quoties vel nihil dicant, vel
alia omnia dicant, vix sine invidia licet commemo- rare. Et tamen
nisi attente legas, et to- naturelle qui reste fixee jusqu’au fond
de nos moelles, qui se fortifie de notre or- gueil et qui ne
s’arrache qidavec les der- niers defauts, outre encore diverses
rai- sons tirees de nos mceurs, il a fallu pour cela un concours de
circonstances pro- pres a faciliter 1’erreur. La plupart des gens
instruits eux-memes evitent la fa- tigue de lire dans leur entier, avec
une attention soutenue, tous les livres ecrits par les Anciens ; on
a plus tot fait de choisir quelques passages, les premiers qui
tombent sous les yeux, ou, ce qui est bien pire, de s'en tenir aux
passages choisis par d’autres, a des fragments de- taches de
1’ensemble et dont il est par consequent difficile d’apprecier le
sens veritable. C’est ce qui arrive des livres de Platon, d’ou il
nous faut aujourd’hui tirer toutc la doctrine Socratique ; iis
embarrassent bon nornbre de lecteurs par leur style trop Attique, raffine
et aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique, par ces controverses si
subtiles souvent que, si 1’attention se relache, 1’esprit le
tos legas dialogos, et qua
scripti sunt lingua legas, non est ut de sententia illorum, h. e.
quam tribuat Plato sen- tentiam Socrati, recte judices. Quare mirum
non est, si multi refugiant lectio- nem ita laboriosam ; et illis veluti
spinis a familiari tractatione eorum librorum deterreantur .
6. Denique si quid etiam tribuatur a Platone Socrati, tamen, si
illud Xeno- phontis narrationi repugnet, non dubi- taverim equidem,
fidem potius adhibere Grylli filio, memor illius, quod narrat
Laertius 3, 35, Socratem , cum Lysin Platonis legisset, dixisse , to;
tzoXKx uoj plus
eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil. Et il serait inutile, dans le cas
present, de recourir aux annotateurs ; ou iis ne disent rien, ou
iis disent tout autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne peut
s’empecher de leur en faire un re- proche. Cependant, amoins de lire
avec un soin scrupuleux tous les dialogues de Platon et de les iire
dans la langue meme ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible de
juger saineinent de leur doctrine, c’est-a-dire de la doctrine que
Platon attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur- prenant que
nombre de gens reculent devant une si laborieuse lecture et soient
rebutes, comme par des epines, du commerce familier de ces livres.
6. Enfin il faut dire que si Platon at- tribue a Socrate une
maniere de voir contredite par la narration de Xenophon, il n’y a
pas a hesiter : c’est a Xenophon qu’il faut se fier, si l’on se souvient
du mot rapporte par Diogene de Laerte (ui, 35). Socrate, apres
avoir lu le Lysis
xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; ; Quam multa de me mentitur adolescens!
Tanto magis hoc memorabile est , quod ille Dialogus ita scriptus
est, ut non modo tanquam per- sona colloquens inducatur Socrates,
sed tanquam, qui ipsum illum dialogum scripserit. Ceterum quia hic
sumus, hoc breviter indicamus, amatorium quidem esse hunc libellum
, sed nihil habere pu- dendum ne Platoni quidem. Argumen- tum hoc
est : Queritur Lysidis amator Hippothales, ab illo se non amari ;
So- crates ostendit, si velit amari, non adu- landum esse puero,
sic enim futurum superbiorem ; sed illi potius ostenden- dum,
quibus rebus indigeat, et quam parum in ipso sit boni (i). Deinde
dela- bitur in disputationem, Quis proprie amicus sit vocandus? et,
In quo insit natura amicitia’ ? plenam illam quidem cavillationum ,
sed praeclararum etiam de amicitia sententiarum. Ceterum tri-
(i) Sic nempe ipse solebat Socrates in potestatem quasi suam
redigere adolescentulos, de quo que- rentem audiemus Alcibiadem. de
Platon, se serait ecrie : « Comme ce jenne homme invente souvent ce qu’il
me fait dire! » Le mot est d’autant plus remarquable que, dans ce
dialogue, So- crate estpresente non comme un simple interlocuteur,
mais comme s’il avait ecrit lui-meme tout le morceau. Pen- dant
quenous y sommes, disons brieve- ment que cetouvrage roule sur
1’amour, mais qu’il n’y a rien dont put rougir Platon lui-meme.
Voici le sujet : Hip- pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne pas
en etre aime; Socrate lui demontre que s’il veut 1’etre, il ne faut pas
qu’il fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait plus orgueilleux
encore ; il vaut mieux qu’il lui represente tout ce qui lui man-
que et le peu de bonnes qualites quhl possede (i). On discute ensuite ces
ques- tions : Qui est digne d’etre appele un ve- ritable ami? et,
Quelle est la nature de Tamitie? Controverse pleine, il est vrai,
(i) C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc d’assujettir les
jeunes gens & son autorite, et nous voyons Alcibiade s’en
plaindre. bui a Platone colloquentibus,
de quibus ipsi non cogitarint, vetus observatio est , de qua vid.
Athenaeus Deipnos. i, i / ad fin. p. 5 o 5 . Qiio dialogorum more
se excusat, etiam Varroni in Academico- rum dedicatione Tullius.
Neque ausim Platonis ipsius, junioris praesertim, pa- trocinium
suscipere de mollioribus versi- culis, quos Apulejus servavit
(Apol. p. 279 sq.) et Laertius Diogenes ( 3 , 2g) : de quibus modo
in neutram partem dis- puto, causamque Platonis a Socratis causa
hac in re sejungo. 7. Quaecunque vero cum aliqua specie
testimonia Platonis contra Socratem pro- feruntur, ea cum ex Phaedro,
nescio quam bona semper fide, corrupte quidem et perverse non
nunquam, depromi vi- deam, propter ea pretium opera* putavi, de
futilites, mais aussi de remarquables definitions dePamitie. C ; est
uneobserva- tion qui a ete faite depuis longtemps, que Platon
attribue a ses interlocuteurs des idees qu’ils n’ont jamais eues :
on peut consulter la-dessus Athenee ( Dei - pnosophistes i, ii).
Ciceron, qui avait le meme defaut, s’en excuse sur le genre meme du
dialogue , dans son envoi des Academiques a Varron. Je n’ose pas
non plus defendre Platon du reproche d’avoir commis, surtout dans
sa jeunesse, des vers badins tels que ceux que nous ont conserves
Apulee (dans son Apologie) et Diogene de Laerte (m, 29); vieux ou
jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe completement sa cause de
celle de So- crate. 7. Entrelesdiverstemoignages fournis
par lui, ceux que Ton peut alleguer con- tre Socrate avec quelque
apparence de justesse sont tires du Phedre ; pas tou- jours bien
scrupuleusement et quelque- fois a 1’aide d’alterations ou de
contre- non semel totum illum dialogum attento animo
perlegere , et uno quidem tenore , et lingua sua, ne quid eorum me
falleret, qua • saepe fraudi esse viris doctis, modo dicebam. Ac
spero non ingratum fore aliis, quorum rationes non ferunt tam
longam solicitamque operam, si hic pos- sint brevi studio cognoscere
velut oecono- miam illius libri et argumentum, inde- que de toto
consilio vel Platonis vel Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne
abuti videamur illa, quam modo propo- suimus observatione, Socratis hic
veram sententiam bona fide a Platone proponi. 8 . Ac primo
illud meminerimus, So- cratem hic (p. 340, E) introduci senem,
tantum non decrepitum, quem facile ju- venis Phaedrus viribus superet.
Jam fingitur Phaedrus audisse Lysiam dispu- tantem, magis
obsequendum gratifican- dumque esse non amanti, quam amanti :
camque orationem Socrati prcelegere sens. Cest ce qui m’a engage a
lire attentivement ce dialogue, et plutot deux fois qu’une, dans
son entier, et dans le Grec, afin d’echapper a ces chances d’er-
reur dont j’ai parle plus haut et qui font trebucher les plus doctes. II
sera peut-etre interessant, je 1’espere, pour ceux dont 1’esprit
repugnerai-t a une besogne si longue et si difficile, de connaitre sans
grande etude le sujet et pour ainsi dire 1’economie de ce livre, et de
pouvoir apprecier toute la theorie de Platon ou de Socrate. Nous
admettrons, pour ne pas abuser de la reserve faite par nous plus
haut, que la doctrine de Socrate a ete ici exposee de bonne foi par
Platon. 8. Rappelons d’abord que Socrate y est presente comme
un vieillard, non pas tout a fait tombe en decrepitude, mais qu’un
jeune homme, comme Phe- dre, peut maitriser aisement. Phedre ra-
conte qu’il a entendu Lysias discourir sur cette question : Un jeune
homme doit-il avoir plus de facilite et de com-
2b (a p. 338 , C. ad 33 g, G). Reprehendit hanc Lysiae
orationem , cante quidem et multa cum ironia Socrates , et meliora
se audisse ait , quae dicere illum amabilis- sime cogit Phcedrus.
Incipit hic a Musa- rum invocatione (p. 340 , G) quam calum-
niatur, ut modo dicebamus 3 ), Lu- cianus : cum sit nihil in ea oratione
non virginum auribus dignissimum. Orditur a definitione Amoris (p.
341, D) quem vocat cupiditatem , quae incitate feratur ad
voluptatem pulchritudinis, et
inde, quam mala res, quam noxia sit, ostendit (ad p. 342, F) et
claudit hexametro : A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv
1 r’ 1 ! |Sf/aTra’.. Ut cordi agna lupo est, puerum sic
ardet amator. 9. Bene ista , et Musis faventibus. Sed
subito, At Amor tamen Deus est, inquit , et palinodiam parat , quae
incipit (p. 3 43 . plaisance pour celui qui ne 1’aime pasque
pour celui qui Faime ardemment ? II lit ensuite ce discours
a Socrate. Celui-ci, avec beaucoup de finesse et ddronie,
trouve a blamer dans la composition oratoire de Lysias et pretend qu'il a
en- tendu dire la-dessus autrefois de bien plus belles choses;
Phedre le conjure de les lui rapporter. Socrate debute alors par
cette invocation aux Muses que Lu- cien a calomniee, comme nous le
disions plus haut, car il n’y a rien dans tout le discours qui ne
soit parfaitement digne des oreilles chastes. II commence par la
definition de 1’amour, qu’il appelle un desir violemment entraine vers le
plaisir que promet la beaute ; il enumere en- suite les ecarts
auxquels il peut pousser et conclut parcet hexametre : Comme
le loup aivic Vagneau , ainsi Vamoureux [cherit le jeune
garcon. 9. Voila qui est bien, grace aux Muses. Mais aussitot
: L’ Amonr est cependant un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il entrcprend
une F) ab eo, uti
dicat, non ideo amorem damnandum fuisse, quod sit furor ; esse enim
furorem etiam bonum aliquem : ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam
facultatem esse a verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan- dam
[j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris plura genera enarrat , in his etiam
ponit amorem, cumque (p. 344, C ) magnae felicitatis causa tum
amantis cum amati datum his esse divinitus, conatur osten- dere. Ad
eam demonstrationem sumit primo hanc propositionem. Omnem ani- mam
esse immortalem, quam inde pro- bat (quam bene vel male , nunc non
dis- putamus) quod principium motus sui in se habeat.
1 0 . Deinde similem ait animam no- stram, etiam antequam ea in corpus
ve- niat, bigae alatae cum suo auriga. Alte- rum hujus biga 3 equum
bonum ponit et tractabilem (ibid. E), malum alterum ac
refractarium. Sic coelestia spatia ingre- diuntur ista • cum suo auriga
bigce, et ET l’aMOUR GREC 2(J palinodic en declarant
tout d’abord que 1’amour n'est pas condamnable en soi, qu’il estun
delire, et que dans tout delire il y a quelque chose de bon ; que
fxavnxr], la divination, derive du mot (jiodveaGai, comme qui
dirait [xavtxr), c’est-a-dire folle. II compte diverses especes de
delires parmi lesquelles il place 1’amour, et il s’efforce de montrer que
c’est un present divin fait a bhomme pour le plus grand bonheur de
celu*i qui aime et de celui qui est aime. Sa demonstration s’appuie
sur cette proposition premiere: Tonte dme est immortelle, dont il tire
la preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre affaire) de ce qu’elle a
en soi le principe de son mouvement. io. Il compare ensuite
notre ame, avant qu’elle ne vienne habiter un corps, a un attelage
aile, compose de deux chevaux et d’un cocher. L’un des chevaux est
excellent et docile ; 1’autre, d’un mauvais naturel et retif.
L’attelage parcourt ainsi les espaces celestes, avec Deorum
aliquem secutce (Socratis anima Jovem , p. 846 , D) ea spatia permeant.
In hoc volatu et illa equorum dissimilium dissensione, alia; quidem
anima; retinent alas, et ad sublimia feruntur, contem- plantur que
ea etiam, qua; extra supre- mum coeli orbem sunt (p. 345 , B).
Alia;, qua; partim in altum elata; viderunt plu- ra, partim ab equo
illo refractario impe- dita; ac retractae, pauciora ; ruptisque per
illam equorum in diversa tendentium luctam pennis atque amissis, cadunt,
et in corpora humana veniunt. 1 1 . Harum, pro gradu
cognitionis illius et inspectionis rerum coelestium diverso, novem
classes constituit (ibid. F). Qua plurimum veritatis et rerum
coeles- tium vidit anima, ea inseritur semini, e quo nascatur
aliquis sapientias, pulchri, doctrinas, et amoris studiosus, st?
yovfjV et l’amour grec 3 I son cochcr, et s’elance a
la suite de l’un des douze dieux ( 1 ’ame de Socrate sui- vait
Jupiter). Dans cette course a travers les espaces et malgre la lutte des
deux chevaux, si dissemblables, quelques ames parviennent a garder
leurs ailes, voya- gent dans les regions etherees et con- templent
meme ce qui est au dela de la voute du ciel. Les autres, parfois
em- portees jusqu'aux plus hautes regions, parfois retenues et
embarrassees par le cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre une
partie des mysteres ; dans cette lutte des chevaux qui tirent en sens
inverse, elles brisent et perdent leurs ailes ; ces ames tombent
alors sur terre et sont emprisonneesdans les corps des hommes.
1 1 . Suivant le degre de connaissance qu'elles ont atteint dans la
contempla- tion des essences, Socrate divise en neuf classes ces
ames dechues. Celle qui a per9u le plus de verite et de choses
sublimes, vient animer le germe d’ou naitra un homme tont entier consacre
au avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou,
tj fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi fastigii anima animabit
regem, legibus, bello, imperio, potentem : tertiae classis anima
civitatis familiaeque regendae et rei fa- ciendae peritum : quartae,
laboris aman- tem eundemque in exercendis sanan- disve versantem
corporibus : quinti ordinis animae vitam habebunt in vati- cinando,
aut in castimoniis initiisque mysteriorum occupatam : sexti, poetas
: septimi, geometras aut fabros : octavi sophistas aut cum factione
populares : noni denique animabunt tyrannidis cu- pidos. Multa hic
nec injucunda de hoc ordine , de his vitee generibus, disputandi
occasio : sed maneamus in argumento nostro. 12 . Ha’ omnes
anima?, cum morte dis- cesserunt a corporibus, in locum vel pce-
33 ET L’AMOUR GREC culte de la sagesse, de la
beaute , de la Science et de Vamour ; Vdme du second degre vivra
dans le corps d’un roi juste , belliqueux et capable de commandere
celle du troisieme fonnera un homme habile a administrer sa famille, sa
cite ou la chose publique ; celle du quatrieme un athldte laborieux
ou un medecin, tous deux occupes soit d exercer le corps humain ,
soit d le guerir ; les ames de la cinquibme classe passeront leur vie ,
soit d predire 1’avenir, soit d initier aux abstinences et aux
mysteres ; celles de la sixieme former ont des poetes ; celles de
la septieme , des laboureurs ou des ou- vriers,- celles de la huitieme,
des sophistes ou des chefs de factions populaires ; celles de la
neuvidme, enfin, des tyrans. Ce serait peut-etre 1 ’occasion de
dispu- ter, et non sans agrement, des rangs assignes a ces ames et
de leur genre de vie : mais restons dans notre sujet. 1
2.Toutes ces ames,quandle trepas les a separees du corps, parviennent au
sejour narum vel pr cerni orum perveniunt, et mille
exactis annis, accipiunt potesta- tem eligendi sibi nova corpora ,
vitas novas, sive hominum sive bestiarum . Quce anima ter sibi,
exactis millenis illis annis, primam istam sedulo philoso- phantis,
sive pueros cum philosophia amantis, vitam delegerit (p. 3g5, G)
tou <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO;
[j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille annorum periodo ,
pennas denuo accipit, quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,
contemplari coelestia , queat : cum reli- quarum octo classium animae,
non nisi decies mille annorum periodo absoluta, in primam illam
conditionem restituan- tur. Hoc ipsum quod primam et felicis- simam
classem Paederastarum philoso- phantium constituit, quod tantum
prae- mium illis, compendium septies mille annorum, tribuit Mythi
hujus s. Allego- ria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Pla- to ;
hoc ipsum igitur jam satis monere nos poterat, non posse hic sermonem
esse de re ita turpi , quam fuisse illud, cujus ET LaMOUR
GREC 35 des peines et des recompenses, et au
bout de mille annees, recoivent la permission de choisir de
nouveaux corps, soitd’hom- mes soit de betes, et de vivre de nou-
velles vies. L’ame qui, durant trois revo- lutions de mille annees, trois
fois de suite a choisi Texistence d’un homme quicultive sincerement
la philosophie, ou qui aime les jeunes gens d'un amour
philosophique , a 1’expiration de cette triple periode, recouvre les
ailes qidelle possedait autrefois et peut, comme au- paravant,
suivre l’un des dieux et con- templer les essences celestes. Les
huit autres classes ne retournent a cette con- dition premiere
qu’apres une revolution de dix mille annees. Ainsi la premiere
classe et la plus heureuse est celle des philosophes amis des jeunes
gens, et l’in- venteur de ce mythe ou allegorie, que ce soit
Socrate ou Platon, la favorise d’une exemption de sept mille annees
: cela seul nous avertit assez qu’il ne peut etre question ici de
ce vice infame dont on accuse Socrate et que d’ailleurs les
3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus Atticis, paullo post ostendemus
: sed ma- gis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequun- tur, apud
Platonem paullo attentius considerare mecum voluerit. i 3 .
Intelligentia hominum , ex pluribus rebus sensu perceptis collecta, nihil
est aliud, quam recordatio illorum, quae anima in illo volatu suo
coelesti viderat, quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co; ov, p.
346, A). Haec intelligentia maxima est in illa prima philo sophantium
paede- rastarum classe : haec ipsa est, ob quam alas soli
recipiunt, quibus volatum illum coelestem, deorumque comitatum tentant
: prae qua terrena hcec, et sensus externos ferientia, ita negligunt,
ut male sani aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?, quos
commotos s. commotce mentis vocat Horatius (Serm. 2, 3 , 2og et
278), cum re vera divino quodam spiritu agi- tentur,
svOouaux^oviss, qui illos semper ad coelestem illam pulchritudinem
revocet, quam in priore volatu viderant. lois Athenicnnes
reprimaient, comme je le demontrerai tout a 1’heure ; cela de-
viendra plus evident encore pour qui voudra bien examiner
attentivement avec moi ce qui suit dans Platon. i3.
L’intelligence humaine est formce de la reunion des idees percues a l’aide
des sensations, et les idees ne sont rien autre chose que les
reminiscences de ce que 1’ame a vu anterieurement dans son vol
celeste, c’est-a-dire des essences veritables. Or 1’intelligence la plus
com- plete appartient a la premiere classe, a celle des philosophes
amis zeles des jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis recouvrent
les ailes a 1’aide desquelles iis pourront essayer de nouveau de
par- courir le ciel et suivre le cortege des dieux. Detaches des
soins terrestres et de tout ce qui frappe les organes, iis pas-
sent pour des insenses et des hommes en delire, -apa/ivoSvis?, de ceux
qu’Horace appelle des fren^tiqucs, des esprits trou- bles, tandis
que vraiment ce sont des en- Haec pulchritudo , qucc inest
in sensu, <ppov 7 ]<m (p. 846, E), in mentis qua vult et
intelligit prostantia, si ita in oculos, ut alia quce videri his
possunt, incideret , ad mirabiles sui amores exci- tatura esset.
Jam pulchritudo sola corpo- rum, hanc (Aotpav habet, hoc velut
fatum, et conditionem , uti subeat oculos, ut amo- rem moveat. Hinc
ponamus ipsa verba , ut existimare melius ac certius de tota re
possint etiam, quibus ad manus non est Plato ipse, vel magnum volumen de
pluteo promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];, ■Jj
otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat 7ip6; auxo xo xaXXo;,
Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv,
aXX’ 7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct- y stpsT
xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv, ou os'ootxsv ou 8’
ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN ( 1 ) (1) Notabile est, Platoni etiam de
Ijcgib. r . thousiastes, agites comme d’un transport divin,
qui les attire sans cesse vers cette beaute celeste precedemment entrevue
par eux dans leur vol. 14. Cette beaute, dont Pessence reside
dans un sens particulier, la sagesse, source de la volonte et de
1’intelligence, s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir, comme
toutes les autres choses visi - bles, elle nous exciterait a
d’admirables amours. Mais c’est seulement la beaute corporelle,
telle est sa necessite fatale et sa nature, qui frappe les yeux et nous
porte a 1’amour. Ici nous placerons le texte meme afin que ceux qui
n’ont point Pla- ton sous la main ou qui ne se soucient pas de
tirer du rayon un gros volume, puissent se faire une opinion en
toute p. 56g, E. hanc turpitudinem appsvwv np 6? appevag, Ij
OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non
igitur Plato- nem , vel Socratem adeo, feriunt divina illa ful-
mina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in idolatriam
vibrantur. f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv
xdxe TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX- Xo; eu
[j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av — oj? Geov a£'6sxai. Hcec
ita verto, Hic ergo, qui non est nuper illis mysteriis coeles-
tibus in illo volatu animarum initiatus, aut, initiatus cum esset,
corruptus est, non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac corporea,
non vera, pulchritudine, illuc fertur ad ipsam veram, coelestem
pul- chritudinem, cujus hic videt nomen, umbram , similitudinem :
itaque neque inter adspiciendum eam, divinum quid- dam colit : sed
libidini se tradens, qua- drupedis ritu inscendere formosum co- natur,
et genitale semen profundere, et cum contumelia (vid. ad §. 18)
congres- sus formoso corpori , non veretur, nec erubescit PRXETER
NATURAM libidi- nem persequi. At ille nuper initiatus, qui multa
eorum quae tum videbat , contemplatus est, ubi vultum divino
similem conspexit, qui pulchritudinem illam veram bene imitetur, aut
incor- poream quandam illius speciem, verbo , certitudc. «
L’homme qui n’a pas un « souvenir recent de son initiation aux «
mysteres, ou qui, recemment initie, « s’est laisse depraver, ne s’eleve
pas fa- « cilement, comme il faudrait, de cette « beaute
corporelle, qui n’est pas la « vraie, a cette beaute celeste,
absolue, « dont il ne rencontre ici-bas que le nom, « 1’ombre, la
ressemblance ; en 1’aper- « cevant il n’y respecte rien de divin. «
Entraine par la volupte, il se precipite, « comme une brute, sur 1’objet
de ses « desirs, ne cherche qu’a genitale semen « profundere et,
outrageant ce beau « corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il «
ne rougit pas de poursuivre un plaisir « contre nature ( 1 ). Au
contraire, l’hom- « me, encore plein des saints mysteres « qu’il a
longtemps contemples autrefois, (1) 11 est remarquable que Platon,
meme dans ses Lois, appelle crime contre nature le commerce hon-
teux marium cum maribus, et feminarum cum fe- minis. Les foudres de Saint
Paul ( Ep . aux Rom. 1. 26) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas
plus que celles qu’il lance contre 1’idolatrie. virtutem
speciosam : — Dei instar colit. i5. Deinde enarrat
pheenomena quae- dam hujus sancti et philosophici amoris , similia,
ex parte Venerei, et quomodo illa ' alce, quas amiserat anima , hinc
de novo crescant, sub Allegoria perpetua describit, qua nihil aliud
tandem indicat , quam enthusiasmum quendam , et injec- tam divinitus
philosopho cupiditatem versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel
forma potentibus, adolescentulis : quos nempe captabat Socrates, qui
sciret , cum facilius sit formare ad sapientiam et virtutem hanc
aetatem, tum hos esse, a quibus futura civitatis fortuna pendeat.
Hinc est quod se venari pulchros non dis- simulabat (vid. Protagora >
principium , frustra reprehensum Cyrillo contra Julia, i, 6, p.
i8j, A), quod Xenophon- tem baculo etiam transverso objecto
et l’amour grec q'3 « en presence d’un visage presque divin «
ou d’un corps dont les formes lui rap- it pellent 1’essence de la beaute,
c’est-a- « dire 1’essence de la vertu, adore comme « en presence de
la divinite. » i5. Platon retrace ensuite quelques- uns des
phenornenes de ce saint et phi- losophique amour, parfois peu
different de l’autre; il montre aussi comment re- poussent les
ailes autrefois perdues par rame. C’est une allegorie perpetuelle
dont la conclusion est que le philosophe con^oit, par une sorte de grace
divine, le plus fervent desir de vivre au milicu des beaux
adolescents distingues par la perfection de leurs formes ou par
leurs dispositions naturelles. C’est ceux-la, en effet, que Socrate
ambitionnait de gagner , sachant qu’il est facile, a cet age, de
les tourner au bien et a la vertu, et que c’est d’eux que dependent
les futurs des- tins de la Republique. II appelait cela prendre les
beaux garcons dans ses filets (voyez la-dcssus le commencement du.
velut exceptum, sibi adjunxit (Diog. Laert. 2, 48). Ipsum illud
hinc est , quod gymnasia , conviviaque et deambulatio- nes,
quoscunque denique juvenum coetus, sequebatur, quod ludos et jocos non
refu- giebat, quod se plane communem illis faciebat , nec irrideri
aut peti maledic- tis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua, quod
doceri se velle simularet , certe dis- cendi causa disputare , ut
accessum ad Sophistas illi dabat , ita adolescentulo- rum super
bulae de se opinioni et praeci- pitantiae blandiri videbatur. Sed
perga- mus Platonis Mython enarrare. 16. Philosophi illi
amatores pulchro- rum non indiscretim omnes amant , sed (p. Sdy, C)
quem quisque in illo coelesti volatu Deum secutus est , ejus Dei
si- milem sibi quaerit amasium; qui Jovem , ut Socrates, Jovialem
(Auvov x wa), Martia- lem vero qui Martem, et sic Junonios.
ET Protagoras , blame a tort par Saint Cy- rille), et il se fit de la
sorte un disciple de Xenophon qu’il arreta en lui barrant le passage
avec son baton. Voila pour- quoi aussi il frequentait les gymnases,
les banquets, les promenades, tous les lieux de reunion des jeunes gens,
ne fuyait ni les jeux ni les badinages, s’en- tretenait avec tous
et s’inquietait peu de preter a rire aux medisants. Cette ironie
perpetuelle grace a laquelle il feignait toujours de vouloir apprendre,
pour mieux enseigner, lui donnait acces au- pres des Sophistes et
flattait aussi la suf- fisance et la presomption de la jeunesse.
Mais achevons d’exposer le Mythe de Platon. 16. Ces
philosophes amoureux des beaux garcons ne s’attachent pas indis-
tinctement a tous ; selon le dieu quhls accompagnaient dans les espaces
etheres, chacun d’eux choisit parmi les anciens suivants du meme
dieu celui qu’il doit aimcr. L’ame qui etait, comme celle de
SOCRATE 46 Bacchicos , Apollineos : et talem ubi
in- ventum amare coeperint , faciunt omnia , uti Deo illi, quem
ipsi secuti sunt, et cu- jus jam similitudinem quandam in ipso
deprehenderunt, sibique adeo , reddant quam similimum. Ita Socrates,
Jovis in illo volatu satelles, quaerit Joviales, ama- tores natura
sapientiae, et natos ad im- perandum. Hactenus ergo bene res ha-
bet, sancti tales Paederaslce, J elices qui sic amantur. / 7
. Sed nec dissimulanda sunt quae sequuntur apud Platonem. Redit
Socrates (p. 3 -lj, F) ad superiorem illum de Ani- ma Mythum (’§.
10), quam triplicis na- turae ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,
est auriga. Equorum alter bonus, sanus, verecundus, gloria • amator , qui
sine pla- gis, sola ratione auriga regitur : pravus alter, qui
multum ac temere una aufera- Socrate, dans le cortegc de Jupiter,
re- cherche un suivant de Jupiter, et ainsi des autres qui avaient
choisi Mars, ou Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des qu’ils Pont
trouve, iis s’efforcent de rendre celui qu’ils aiment semblable a
ce dieu dont iis retrouvent en eux-memes le caractere. Ainsi
Socrate, satellite de Jupiter, recherchait pour les cherir ceux qui
avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a- dire ceux qui, par nature, etaient
portes a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici tout va bien ; de
tels Pederastes sont de vrais saints, et bien heureux ceux qui sont
aimes de la sorte ! 17. Mais il ne faut pas dissimuler ce qui
vient apres dans Platon. Socrate re- tourne au precedent Mythe de
hame qu’il a coniparee aux triples forces reu- nies de deux chevaux
et d’un cocher. L’un des chevaux est bon, sam, plein de retenue et
d’emulation ; le cocher le di- rige, sans avoir besoin du fouet et
par la seule persuasion : 1’autre est mechant SOCRATE
48 tur , (impetu alieno potius feratur , smo judicio)
dura ac brevi cervice, simus, nigri coloris, glaucis oculis, suffusus
san- guine, petulantia contumeliaque gau- dens, hirsutus circa
aures, surdus, fla- gello ac stimulis vix tandem concedens. Operet
? pretium videtur mali equi notas etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu;
eixrj a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,
aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat- [xo;, u6p ew; xal
aXa^oveiac staTpo?, zept coxa Xaaco; , xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv
[xdy.; UTEclXOJV . r<S\ Apposui Graeca , ut facilius
judi- cari possit , probabilisne sit conjectura, in quam incidi ,
dum in hac equi mali de- scriptione versor. Nempe, aut vehemen- ter
fallor, aut memorat hic Socrates non tam equi mali proprie dicti signa,
quam sui corporis formam, quatenus vitiosum inde ingenium
colligebat physiognomon ille Zopyrus. Hic enim , ut est apud Ci-
ceronem (de Fato c. 5), Stupidum esse Socratem dixit et bardum, —
addidit et s’emporte facilement, sans raison au- cune (c 7
est-a-dire qu’il semble dirige plu- tot par une force exterieure que par
son propre jugement); il a 1’encolure courte et dure, les naseaux
apiatis a la maniere du singe, le poil noir, les yeux glauques le
sang le tourmente et il est toujours en rut et en querelles ; il a, de
plus, les oreilles velues, il est insensible a tout et n 7 obeit
qu’a peine au fouet et a 1’aiguil- lon. Il est necessaire de transcrire,
dans le texte Grec, ces marques particulieres du mauvais
cheval. 18. J’ai cite le texte afin qu’on puisse decider si
la conjecture que me suggere cette description du cheval retif a
quel- que vraisemblance. Ou je me trompe fort, ou Socrate ici retrace
moins les ca- racteres d 7 un cheval defectueux que son propre
portrait, dans lequel le physio- nomiste Zopyre trouvait les indices
d’un naturel vicieux. Zopyre, au dire de Ciceron (Du Destin , chap.
v) pretendait en effet que Socrate etait lourd et stu~ etiam
mulierosum. Illud de stupore con- venire cum Homzne xpaTepau/7)v et
(3payuxpa- mox declarabitur : quod muliero- sum dicebat, illud cum
G6psa Ixatpop con- gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum dixerit
Graecia ( i ). Porro illud aipio-pd- aw-ov plane pertinet ad notationem
Socra- tis, in quo cum deridetur a Critobulo (2), tum ipse suaviter
sibi illudit, et in eo patulisque non modo deorsum sed in hori-
qontem naribus, non minus quam in ocu- lis ultra frontem eminentibus, et
labio- (1) Unum ponamus exemplum e libello, quipree manu est,
Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1, E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs;
papuxovov, OSpiaxa^. Ava- tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e
simili- tudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi- dinem asininam.
Conf. § 14, it. 32 . (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p, Socrates
ad Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w? yap /a! Ip.o 0
' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid istuc? quasi me quoque pulchrior
esses, ita gloriaris. Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov SsiX7jvwv
xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te for- mosior essem, ait,
essem Sileuorum, qui in Satyri- cis fabulis in scenam veniunt,
turpissimus. pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai- sirs
veneriens. Pource qui est dela lour- deur, cela concorde avec
1’encolure courte et dure ; adonne anx plaisirs ve- neriens, repond
a &'6peto; ItaTpo;. Nous savons, en effet, quels etaient ceux
que les Grecs appelaient uSpiatat' (i). Quant a la face simiesque,
cette designation s’ap- plique parfaitement au portrait de So-
crate ; il y a fait lui-meme agreablement allusion en repondant aux
moqueries de Critobule ( 2 ). Il avoue que toute sa beaute consiste
en un nez epate et me- nafant le ciel, en des yeux saillants et
(1) Contentons-nous d’un seul exemple tird du livre que nous avons
sous la main , le De Physiognomia , d’Aristote : Ceux qui ont la voix
forte et grave sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce
que la voix £tait bruyante comme celle de l’ane, les phy-
sionomistes conci uaient qu’on devait avoir le tempe- rament lascif de
cet animal. (2) Xenophon (Banquet, ch. IV, 19). Socrate dit
il Critobule, qui vante sa propre beautd : « Quoi donc ? Tu crois
etre plus beau que moi ? » Critobule lui repond : « Si je n’etais plus
beau que toi,je serais le plus affreux de ces Silenes que Von voit
paraitre dans les drames salyriques. » rum tumore molli ,
pulchritudinem suam prcedicat (Xenoph. Sympos? c. 5) sicut in
Platonis Convivio (vid. §. 35) Sileni s. Satyri formam Alcibiades illi
tribuit : et in Tlieceteti Platonici principio Theo- dorus negat
pulchrum esse Thecetetum, cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta
xat to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen- tibus oculis,
licet minus quam Socrates utraque re sit notabilis. Nempe hcec si-
gna cum haberentur, et naturales quae- dam notce, hominis libidinosi,
iracundi et stupidi, non negabat illud Socrates, verum eo majoris
faciendam esse Philo- sophiam ostendebat, quee tantum contra
vitiosam naturam valeret. iy. Quoniam hic sumus, non
injucun- dum forte fuerit lectoribus nostris in rem quasi
preesentem ire, et ex artis, qualis tum erat, praeceptis, Zopyri
judi- cium defendere. Vix autem opus est admoneri lectores, non hoc
agi, Num veri aliquid sit in ea arte? Num ipso des levres
gonflees comme un abces ; de meme dans le Banquet de Platon, Alci-
biade compare son masque a celui de Silene ou d’un satyre, et au
commence- ment du Theatdte , l’un des interlocu- teurs, Theodore,
refuse toute grace a Theatete en disant qu’il ressemble a So-
crate, qu’il est camard et que les yeux lui sortent de la tete ; que pour
etre chez lui moins apparents que chez le maitre, ces defauts
n’ensontpas moins sensibles. Socrate ne niait pas d’ailleurs que
ces particularites physiques n’indiquassent un homme lascif,
violent et d’un esprit paresseux ; il en concluait seulement en
faveur de la Philosophie qui parvient a dompter un si vicieux
naturel. 19. Pendant que nous y sommes, il ne deplaira
peut-etre pas au lecteur d’aller plus au fond sur ce chapitre et de
de- fendre les idees de Zopyre, idees basees sur des regles alors
acceptees. Il nes’agit pas de savoir si cette Science est sure ;
est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate etiam Socratis exemplo ea
refellatur, et vanitatis convincatur? sed hoc modo , quod dixi,
Utrum Zopyrus ex arte, et ut oportebat, judicium de illo tulerit?
Exstat in operibus Aristotelis libellus, <J>uaioyvoj[juxa
inscriptus, quo superiorum hujus artis consultorum collegisse prae-
cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam Socratis, qua ? ad equi hujus
mythici na- turam pertinent , huc transferamus. 2 0 . Igitur
(c. 3, p. 1 1 j3, B) inter ’Avai- c07j- ou hoc est stupidi , et sensu
communi pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a aap'/.oj07)
7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va, Ea quas adjacent collo
carnosa, com- plexa et colligata, itemque cervix crassa, XGxytjkoq
-ayjj;. Et (c. 6. p. I Ij8, C) Oi? Ta "£p\ ta; xXeTBoc;
aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv, avodaQiyroL. Nonne totidem fere
verbis Ciceronianus Zopyrus? Stupidum esse Socratem, et bardum quod
jugula con- cava non haberet, obstructas eas partes et obturatas.
Alia adhuc mala signifeat ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc
xai ne temoigne pas du contraire ? Mais Zopyre en a-t-il
tire, en ce qui concerne notre Philosophe, un pronostic judi- cieux
? II y a dans les oeuvres d’Aristote un opuscule intitule Physionomiques
ou ce philosophe parait avoir recueilli les regles admises avant
lui par les habiles. Nous transcrirons celles qui se rappor- tent
au portrait de Socrate et au carac- tere de son cheval mythique.
20. D ? apres Aristote (chap. m), les in- dices d’un esprit lourd
et presque prive du sens commun sont le gonflement des chairs qui
avoisinent le cou, leur engor- gement et leur replelion- ce qu’il
con- firme en disant au chapitre vi : « C’cst un signe de betise
que d’ avoir 1 ’cncolure epaisse. » Zopyre, dans Ciceron, n’ex-
prime-t-il pas la meme idee? Socrate, dit-il, etait lourd et stupide,
parce quii navait pas le cou bien degage, que ces parties etaient
cheq lui comme engorgees et obstruees. Cette conformation indi- que
cncore bien d’autrcs dcfauts : la 56 SOCRATE
TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix iracundos
signat, exemplo taurorum : Ol? 8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis
nimium quibus est, ii sunt homines insidiosi, lu- porum instar.
Talem modo vidimus illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa-
yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat Socrates, aut potius talem
significat Plato Socratem, a natura fuisse. 21. Videamus
reliqua. Equus malus Socratis est — sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus
circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud Aristotelem ( c . 3 extr. p. 1174,
C) o t xpdxoupot oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta tempora. Deinde
(c. 6. p. 1174, C) oi xa yecXrj “aysa eyovxe; puopoi — avacpdpexai
£7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa labia stultitiae
characterem faciunt, ob simili- tudinem asinorum. Quid de se
Socrates (Xenoph. 1. c.) in ludicra cum pulchro Critobulo
contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv
oou 'iyv.v xo csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat osculum
mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov et l’amour grec 5 7
nuque epaisse et charnue denote un homme violent, par similitudo
avec le taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont ruses, par
similitude avec le loup. Or, cette indication, 1’encolure epaisse
et courte, figure parmi les marques du mauvais cheval. Si je ne me
trompe Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte, ou plutot c’est
ainsi que le depeint Platon. 21 . Voyons le reste. Le mauvais
che- val Socratique a les oreilles velues : Aris- tote designe
comme libertins ceux qui ont du poil jusques sur les tempes. De
plus, les physionomistes notent les grosses levres comme un indice de
betise, par similitude avec 1’ane. Or que lisons- nons dans la
plaisante discussion (Xeno- phon, 1 ) de Socrate avec Critobule? —
« A cause de ses l&vres charnues il pense que son baiser est plus
sensuel », et plus loin : « Je te par ais avoir, 6 Critobule, une
bouche plus difforme que celle de Vane, avec ces bourrelets qui me
tienncnt lieu de levres. » aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov
to GTOu.a lysiv, turpius os quam habent asini illum mollem labiorum
tumorem habere tibi, o Critobule , videor. 22 . Simus fuit,
ut vidimus, Socrates : at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy-
siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.)
01 G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou; iXa^ou;, Simi
sunt libidinosi, exemplo cervorum. Patulas quoque versus nares
suas, qu£e possint odores undecunque oblatos excipere, laudat sipojv
Socrates Xenophonteus , pra ? Critobuli naribus humo obversis. Ot
;xev yao ao\ (xuxT7jpE; ei; yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat,
wgte tx; T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physio- gnomones ( I .
C.), 0:; o! p.uxT7jp£$ ava"E^"a- pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi
sunt, quorum patula? nares, quod in ira diffundi so- lent.
Iracundum valde a natura fuisse Socratem, non soli credamus Cy r
rillo, quamvis Porphyrium auctorem laudat , qui ab Aristoxeno se
illud dicat acce - Socrate, nous le savons, etait ca- mard ;
son mauvais cheval a les naseaux ecrases du singe. Quel indice en
tirent les physionomistes et Zopyre ? Aristote dit : « Les camards
sont lascifs, par simi - litude avec le cerf ». Socrate declare
quii a les narines lar gement ouvertes , comme pour subodorer de toutes
parts les parfums. Jaime mieux cela, dit-il, que d’avoir, comme
Critobule , un ne^ penche vers le sol. Mais d’apres les phy-
sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera- ment porte a la colere. Que
Socrate ait etedun naturel violent, nous ne nous en rapporterons
pas la-dessus seulement a Saint Cyrille, quoique son temoignage
soit corrobore de ceux de Porphyre etd’A- ristoxene et qu’il dise en
propres termes : « Socrate etait devenu si irritable qu’il ne
pouvait moderer ni ses paroles ni ses pisse, ’'Ote
<pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de ira sermo est) ostvrjv etvat
xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v • ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat
oSxe -payjj.ato;, Eo importunitatis progressum , ut nullo neque
verbo neque opere absti- neret : sed ipsi de se credamus Socrati,
qui tam gravi ac molesto sibi, quam fuit Xanthippe, patientia ? et
mansuetudinis gymnasio opus fuisse, fassus sit apud Xenophontem
[Sympos. 2, 10 ) BouXo'|ievo;, dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv,
Tauxrjv x&ttj- ptat, sii eloco;, oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS
TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic auveaouat, Quam ferre si posset,
facilis esset cum aliis omnibus conversatio. 23 . Unum
superest : e^^OaXpto; erat Socrates. Itaque ita jocabundus disputat
cum pulchro Critobulo, ut cum primo convenisset, Pulchras esse res ,
quatenus respondeant consilio, propter quod ha- bentur ; roget eum
, Cujus rei gratia ha- beamus oculos? eoque, ut necesse erat ,
respondente, Ad videndum, inferat , Suos ergo pulchriores esse, qui Sta
zo actions ». Croyons-en Socrate lui-meme; dans le Banquet de
Xenophon , il avoue que le caractere acariatre de Xanthippe fut
pour lui la meilleure ecole de pa- tience et de douceur; que par la suite
il lui fut plus facile de supporter la con- tradici ion.
23 . Il ne reste plus qu’une chose : So- crate avait les yeux
saillants. Il dispute la-dessus agreablement avee le beau Cri-
tobule, et le fait convenir d’abord que toute chose est belle pourvu
qu’elle re- ponde au but en vue duquel elle existe. Il lui demande
alors : Pourquoi faire avons-nous des yeux ? — Pour voir, re- pond
naturellement Critobule. — E/i bien alors , dit Socrate, mes yeux sont
les plus beaux de tous, car iis me sortent de la £7it-oXatot
sivat, quod emineant, non ea modo, quas exadversum sint videant,
sed etiam quae a latere. Et cum diceretur , secundum hmc
pulcherrime oculatum (euo^OaXjj-GTa-ov : ) animal esse cancrum, id
ipsum affirmat. Jam Physiognomon Aristoteles (c. 6. p. i ijg, D)
"Oaoi i£6z>- OaXjjiot, inquit , aS&vepoi, Fatui sunt, quibus
oculi eminent : rationem petit ab judicio quodam decoris et convenientia
■ naturali , et ab similitudine asinorum. Male de horum gente
meritus est Stagirita : quce videtur ex hoc prcesertim libello
contraxisse infamiam illam , qua ab eo inde tempore, et Platonis
quibusdam dictis, onerata est : honestum superiori cetate animal,
cujus majestatem, ut Var- roniano verbo utamur, (de R. R. 2, 5, 4)
adhuc agnoscebat Homerus. De hac re adjicietur potius huic
disputationi quoddam corollarium, quam ut longius digrediamur a
Socrate. tete, si bien que je puis voir non-seule- ment
devant moi, mais & droite et d gaiiche. Son interlocuteur lui
repond qu’a ce compte les crabes ont de tres- beaux yeux, et Socrate
affirme que c’est parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote, les yeux
saillants sont 1’indice de la sot- tise; il tire ce pronostic de certains
rap- ports naturels de convenance, de syme- trie, et de la
ressemblance que ces yeux offrent avec ceux des anes. Le philosophe
de Stagyre a par la bien mal merite de cette race inoffensive, et ce doit
etre a partir de ce petit traite qu’il acquit le mauvais renoni
confirme depuis par Platon lui-meme. L’ane, cet honnete animal,
etait mieux apprecie des genera- tions precedentes, et Homere se
plaisait, suivant le mot de Varron, a lui recon- naitre de la
majeste. Nous ferons de cela un corollaire a cette dissertation pour
ne pas trop nous eloigner presentement de Socrate (i).
(i) Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua Nempe tempus est, ut
videamus, quorsum evadat ille de bono et malo equo Myihus. Ad
conspectum pulchri (p. 34 j, F) bonus ille quidem aurigee
obsequitur, contineri se patitur, malo alteri , quantum potest
reluctatur. Simile certamen est in pulchro, qui amatur : repugnat
malo isti equo bonus illius jugalis, hic enim est (p. 348 , G) 6
[xo'£u£, et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous xat Xdyou, cum
pudore et recta ratione. Si ergo ita vincant meliora, et ad vitam
ordinatam, quae eadem philosophia est, ducant illum currum, beatam et
concor- dem hic vitam agunt continentes se, et decus suum tuentes,
syxpatcTs auroiv xat xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo
equo, cui vitiositas animae inerat; in li- bertatem asserto eo, cui
virtus. Tandem vero alati ac leves denuo facti, sic de tri- bus
illis certaminibus (de quibus §. 12) asinorum honestate, imprime i
la suite du Socrates sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£
otfrir assez d’interet pour Ctre traduit. (Note Ju Traduc-
teur.) II est temps de voir ou il veut en venir avec son Mythe du
bon et du mau- vais cheval. A Taspect de la beaute, ie coursier
docile obeit au cocher et se laisse contenir; il resiste de toutes ses
forces a son mauvais compagnon. L/objet aime est lui-meme en proie
aunesemblablelutte ; son bon cheval se defend contre les ten-
tatives de son mauvais compagnon d’at- telage, que de plus le cocher
s’efforce de contenir par la pudeur et la raison. Si les meilleurs
instincts remportent la victoire et conduisent le char dans les chemins
de la vie rangee, cest-d-dire de la philoso- phie, les deux amant s
vivent dans le bon- heur et bunion, maitres d’ eux-memes et regles
dans leurs mceurs : iis ont dompte le mauvais cheval, qui repre-
sente le vice, et affranchi 1’autre qui re- presente la vertu. Recouvrant
enfin leurs t ailes et leur legbrete primitives , iis sor- tent
vainqueurs de ces trois luttes vrai- ment Olympiques dont nous avons
parle plus haut. Socrate peut donc dire*sans hesitation que ccux
qui se prescrvcnt. vere Olympicis, unum vicerunt. Absque
hcesitatione igitur beatissimos esse dicit, qui se puros et castos ab
amore Venereo servaverint. 25. At nunc sequitur apud
Platonem, in quo defendere illum , Platonem, in- quam, nam Socratis
causam hic segre- gandum putamus (vid. 6) paullo diffi- cilius est;
tacuisset enim forte sapientius : sed non iniquum (i) excusare.
Nempe his, quee modo prolata sunt, subjungit, quee non scripta
equidem malim : sed pono, ne quid dissimulasse videar, ne parum
bona fide egisse. Quam vero caute, quam suspensa velut manu illud
ulcus tractet, videre opera? pretium est. Eav’ os 8tatT7)
<popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO— cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'., -i/'
av ~oj ev uiOat; sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv
Gno- JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya- yovTE et;
toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot- fi) Multum certe
facilior causa Platonis, quam alicujus Beneventani Episcopi : aut
aliorum, quos vrxterco sciens. purs et chastes, de 1’amour
Venerien, jouissent de la plus grande beatitude. 25. Ce qui
suit, chez Platon, est un peu plus difficile a expliquer; chez Pla-
ton, disons-nous, car ici nous croyons devoir separer sa cause de celle
de So- crate; evidemment il aurait mieux fait de se taire , mais il
n’cst pas impossible de l’excuser (i). A ces choses sublimes que
nous venons de transcrire, il en ajoute d’autres que j’aimerais mieux
lui voir passer sous silence; je les exposerai cependant, de peur
de paraitre rien dissi- muler et manquer un peu de bonne foi. Il
faut ici donner le texte pour qu’on ( 1 ) Son cas est en effet
moins grave que celui de certain eveque de Bdnevent et de quelques autres
que je ne veux pas nommer. — (L’auteur fait ici allusion a
1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux Capitolo dei forno ;
mais il ne 1’avait probablement pas lu, et il se meprend, comme bien
d’autres, surle sens de ce celebre petit poeme. — Note du Traduc-
te ur.) 68 SOCRATE cTr;v atpeotv £tXcTr
( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X. Si vero vitam vivant LICENTIOREM et A
PHILOSOPHIA ALIENAM, ean- demque ambitiosam, forte aliqua in
ebrietate aut qua alia negligentia depre- hensas INCAUTAS animas equi
illi uiriusque amatoris indomiti, eodem con- ducant, et sic illam
quce beata vulgo vi- detur electionem faciant, et (turpe illud
facimts) peragant : eoque peracto per re- liquum tempus utantur quidem
(illa voluptate ) sed raro, quippe qui non omnino deliberata mente
(sed deprehensi velut incauti ) hoc agant — etiam hi praemium non
parvum amatorii illius furoris (non Venerei, de quo modo dic- tum,
sed philosophi , de quo §. i3) aufe- runt : in tenebras enim illas et
illud sub terram iter non veniunt, etc. voie avec quelle prudence
et sans ap- puyer la main, il decouvre cet ulcere de la
civilisation Grecque. — « S’ils embr as- sent , dit-il, nn genre de vie
moins austdre, etrangbre a la Philosophie et livree aux passions
desordonnees , il arrivera quau milieu de Vivresse ou de quelque
autre etourderie les coursiers indomptes sur- prendront leurs ames
et les meneront l’un et l’ autre au meme but,' iis prendront alors
le parti de faire ce en quoi , selon le vul- gaire , consiste le supreme
bonheur et (c’est la le crime infame) satisferont leurs desirs.
Dans la suite , iis renouvelleront leurs jouissances , mais rarement,
parce qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme entiSre et qu’ils
agissent comme par sur- prise et sans defense. C’est pourquoi ce
qu’il y a encore d’excellent dans leur amour (le pur amour pliilosophique
et non le desir Venerien) recevra plus tard sa recompcnse ; iis
niront pas, aprds leur mort, dans ces tenebres et par ces routcs
souterraines,.., etc. » yo Apertum est his, qui et
sermonem Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt crimina, non
illum prcemium constituere pceder astice turpi, non Philosophice
genus facere flagitiosum puerorum amorem : sed summam c.ulpce esse
hanc , quod di- cat, si qui coelestis illius pulchritudinis, quam
in volatu illo suo viderint, deside- rio icti, etiam pulchros amant, et
dum arctius eos complectantur, liberius cum iis versentur, etiam ad
turpe facinus ab ebrietate, certe ex improviso, incauti, proster
deliberatam voluntatem, abri- piantur, id quod ipsis contingat ob
genus vivendi licentius atque a Philosophia alie- num, iis tamen
prodesse primum illud7'io- biliusque philosophandi propositum, ut
non cum reliquis ad inferos mittantur, et ad poenarum locum (vid. §. 12)
non cogantur post ternas millenorum anno- rum periodos , septem
alias subire ete sed facilius alas ut recipiant, quibus evo- lare
ad coelestia, deum aliquem sequi du- cem possint. Hactenus reprehendat
Pla- tonem, si quis volet, non ut laudatorem et l’amour grec
7 1 26. II est bien clair, pour qui veut comprendre Platon et
ne cherche pas de griefs de son plein gre, qu J il n’assigne pas
cette recompense aux fauteurs du vice honteux, qu’il ne fait pas de
1’igno- minieux amour masculin un attribut special des Philosophes.
On voit, au con- traire, combicn il blame ceux qui, les yeux encore
eblouis de cette beaute ce- leste entrevue par eux dans leur vol
an- terieur, con^oivent des desirs pour la beaute terrestre,
recherchent les jeunes garcons, et a force de les embrasser etroi-
tement, devivre familierement avec eux, se trouvent entraines a 1
’improviste, au milieu de livresse, par surprise et sans que leur
volonte y ait part, a conimettre l’acte immonde; cela leur arrive,
parce qu’ils ont adopte un genre de vie trop libre et qu’ils
negligent la Philosophie. Iis tirent cependant ce profit, de s’etre
d’abord propose pour but cette noble Science, qu’ils ne sont pas relegues
aux enfers avec tous les autres hommes ; apres une revolution de
trois mille annees, iis Pcederastice, sed ut clementem nimis ,
lentumque adeo castigatorem : qui prae- sertim in aliis peccatis severum
satis ac durum se praebuerit (1 ). 27 . Sed , si cequi esse
volumus, si de nostris religionum doctoribus ecquos ex- periri
judices, videamus etiam , quid dici pro ratione illa Platonis possit ,
quid pro Socrate, quatenus et ipse non horribili flagello sectari
vitia id genus solebat. Distinguamus legislatoris personam et
Philosophi. Legibus Atheniensium primo antiquissimis illis a Cecrope ,
sanctitas (1) Bona pars libri De re publica decimi in eo
consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?, implacabiles
sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras. a p. 6 72 extr. et conf. qua:
collegit Davis. ad Gic. de Legib. 2. c. j 6 . p. i 3 j
n’ont pas a en su.bir sept mille autres; iis recouvrent plus
vite leurs ailes et peu- vent s’elancer vers les spheres celestes,
a la suite d’un des douze dieux. Que l’on reproche donc a Platon,
si l’on veut, non pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-
rastie, mais d’avoir ete trop clement, de ne pas chatier assez ferme, lui
surtout qui pour de moindres fautes se montre si dur et si severe
(i), 27. Mais soyons equitables; prenons d’honnetes gens pour
juges de nos Phi- losophes, voyons ce que l’on peut dire en faveur
de Platon ou de Socrate, et jusqu’a quel point ce dernier a
vraiment neglige de flageller le vice en question. II faut
distinguer le legislateur du Phi- losophe. Les plus anciennes lois
Athe- niennes, celles de Cecrops, proclamaient la saintete du
mariage. La loi de Dracon ( 1 ) II emploie la majeure partie du X®
livre de sa Republique a montrer que les dieux sont insatiables de
sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies sur le Tr ciite des
lois , de Cicerrr.i. matrimoniorum constituta : Draconis lex
capite plectebat adulteros : Solon li- beram faciebat marito potestatem
sta- tuendi in adulterum in facto deprehen- sum , quidquid liberet.
Itaque mirum fuerit si masculam libidinem non punis- sent.
28. Sed bene habet : supersunt monu- menta Solonis hac etiam de re
legum, diligenter collecta a Sam. Petito (de Le- gibus Att. 6, 5 et
in Commentario p. 468 sqq.) prcesertim ex vEschinis in Timarchum (a
p. 186 edit. Aurei. Al- lobr. 1607. /•) et Demosthenis contra Androtionem
(a p. 421) orationibus : unde hoc constat, qui vi vel persuasione
ingenuum corrupisset, produxissetve, gravissima poena (quce ad ultimum
sup- plicium corruptoris et productoris, in- terdum etiam corrupti,
poterat progre- di) affectum esse. Qui illam patiendi pro mercede
turpitudinem admisisset, si effugisset poenam aliam, illi neque
lice- bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les
adulteres; Solon laissait la faculte au mari, dans le cas de
flagrant delit, de se faire justice comme il 1’entendrait. II serait bien
surprenant que ces deux legislateurs fussent muets a l’egard de
Tamour masculin. 28. Mais nous avons mieux ; il reste des
lois portees par Solon sur la matiere divers fragments precieusement
recueillis par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques et le
Commentaire dont il a accompagne cet ouvrage); ii les a surtout tires
du Discours contre Timarque, d’Eschine, et du Discours contre
Androtion, de Demos- thene. Il y est dit : Quiconque, memesans
violence, aura debauche ou prostitue un homme de condition libre sera
passible de la peine la plus rigoureuse. — (Le cha- timent pouvait
etre la mort, dans l’un comme dans Tautre cas, et pour le liber-
tin, comme pour savictime.) — C elui qui se sera prostitue pour de
l’argent, s’il echappe a toute autre peine, ne pourra ni fungi
sacerdotio, neque syndicum creari, neque ullum magistratum vel intra
vel extra urbem, neque sortito neque suf- fragiis, capere, neque
pro Praecone s. oratore mitti usquam, neque sententiam dicere
unquam, neque in templa publica intrare, neque in pompa coronata et
ip- sum coronari, neque intra sacros fori cancellos (evto; twv t
rj; ayopa? TteptppavTT]- P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im- pudicitiae
quidquam horum fecisset, ca- pital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt
verba legis ab As schine recitata. Plura huc transferri opus non
est , cum rarum esse Petiti opus desierit. Summa capita habet etiam
in Themide Attica ( 1 , 6) Meur- sius. 2 q. Utrum seynpcr
valuerint istce le- ges? annon eas perruperit interdum au- etre
l’un des neu f archontes , ni remplir aucune fonction sacerdotale , ni
etre nomme delegue d’une ville ; il lui est interdii d’exercer
aucune magistrature, soit en dedans , soit en dehors de la cite ,
quii ait et e designe par le sort ou par les suffrages de ses
concitoyens ; d’etre en- voyd nulle part comme Herault, ou comme
orateur ; de prononcer aucune sentence ; de penetrer dans les temples
publics; de faire partie des processions et d’y porter une couronne
sur la tetc; de franchir ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,
deja condamne pour fait de prostitutiori , fera ou acceptera de faire une
de ces choses sera puni de mort. Puni de mort, tel est le texte
meme de la loi lue par Eschine. II est inutile d’en transcrire ici
davantage, car Touvrage de Samuel Petit est loin d’etre rare ; Meursius
en a meme donne, dans sa Themis Attique, les cha- pitres
importants. 29. Ces prescriptions eurent-elles tou- jours
force de loi? Ne purent-elles etre dacia , astus subterfugerit ,
eluserint rhetores? annon ipsa poenarum gravitas impunitati
occasionem non nunquam de- derit? an non professce impudicitiae ho-
minis utriusque sexus, libidinum publica- rum victimce, toleratce sint?
An denique poetce non multa saepe impudenter scrip- serint,
fecerint? jam non quceritur. Uti- nam non avxtxatrjyopia quadam
repellere possent veteres Attici cujuscunque vel sec- tae vel
cetatis homines, si qui acerbius ex- probrare iis velint, quce de Comicorum
pe- tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum (i3, 8 p. 601 )
Deipnosophistce, et quae colligere ex illa parentum cura apud
Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda- gogos constituentium suis filiis,
qui ne quidem colloqui suis cum amatoribus (turpibus nimirum et
flagitiosis) eos pa- tiantur : e. i. g. a. 3o. Ceterum
severitate legum eo ma- gis opus erat, quod obtentum fiagitiis
et l’amour grec 79 enfreintes par les audacicux,
adroitemcnt tournees par les gens ruses, eludees par les avocats ?
La rigueur du chatiment ne favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite
? Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues de profession, victimes
de 1’incontinence publique et remplissant le role de l’un et
1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef- frontement deerit ces
turpitudes, ne les ont-ils pas mises en action sur la scene ? Cela
ne fait aucun doute. Plut au ciel que les Atheniens de nfimporte
quelle secte et de quelle epoque ne pussent re- tourner Taccusation
a ceux qui leur re- procheraient trop vertement ces horreurs
etalees par les poetes comiques et recueil- lies par les Deipnosophistes
d’Athenee, ou ce qu’on peut induire de 1’inquietude des peres de
famille confiant leurs fils, d’apres Platon, a des precepteurs severes,
pour les empecher de s’entretenir avec leurs amis, — des amis
infames et detestables. 3o. Les lois devaient etre d’autant
plus severes, que les coutumes de la Grece 8o
SOCRATE non nunquam praeberet (ut nempe res sancta ? prope
omnes , ut ipsce populorum sceculorumque pene omnium religiones ,
atque ceremonice) ille puerorum amor , castus , legitimus, sanctus, quo
tanquam potentissimo virtutis cum bellicce tum civilis incitamento
utebantur qucedam Grcecorum respublicce : quarum legisla- tores,
cum viderent, ignava fere esse virtutis prcecepta, firmis licet nixa
de- monstrationibus, nisi ea affectu quodam et tanquam spiritu
animentur, nisi ev0ou- aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti homines
et commoda sua , et jacturas, et salutem, et pericula et tormenta
contem- nerent. Hinc excogitata et in usum civitatis recepta sunt
splendida ista et efficacissima remedia, Religio, Pudor, Amor
patrice, Gloria, res quondam po- tentissimce, quod ex illarum
effectibus judicare pronum est: nunc prceclara quo- rundam, qui
sibi Philosophi videntur, opera fere ad inanium vocabulorum stre-
pitus relata, et, dum relata sunt, etiam redacta. comme toutes les
choses saintes, comme les cultes et les ceremonies religieuses de
presque tous les peuples et de tous les temps) donnaient plus de facilite
a la depravation. La fervente amitie entre jeunes gens, Tamitie
chaste, legitime, sa- cree, etait favorisee, dans les republiques
de la Grece, comme le plus energique stimulant du courage militaire et
des ver- tus civiles. Leurs legislateurs savaient bien que ni la
vertu ni le courage ne s'in- culquent a 1’aide de demonstrations,
si bonnes qu’elles soient ; que 1’homme est naturellement faible a
moins qu’il ne soit pousse par la passion et par 1’orgueil ou
entraine par cette espece d’enthousiasme qui lui fait mepriser les aises
de la vie, la fortune, la vie elle-meme, et affronter les perils et
les supplices. C’est pourquoi l’on mettait en jeu, dans Torganisme de la
cite, ces heroiques et sublimes mobiles, la Re- ligion, 1’Honneur,
1’Amour de la patrie, la Gloire, mobiles autrefois bien puis-
sants, comme nous pouvonsen juger par ce qu’ils firent accomplir;
aujourd’hui,In illis igitur rei publicce bene ge- renda? incitamentis, an
instrumentis? erat Amor ille adolescentulorum tum in- ter se, tum
inter ipsos et natu majores : inde illa sacra Amantium cohors The-
bis, et Cretensium. Quanta illius vis esset, et quam metuendus esset
miles amator, svOouatwv, et ab Amore simul atque a Marte bacchans,
occurenti in prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H. V. 3 , g) ut
IvOo-jatav et furere ipse prope videatur. Idem (c. io et 12)
Laconica qucedam circa eam disciplina? publica? partem instituta
commemorat : V. G. ab illis multatum esse virum alioquin bonum, ea
de causa , quod nullum ha- bere juniorem, quem amando sui si-
milem, et per hunc forte etiam alios, redderet : itemque peccantis
adoles- centuli virum amatorem punitum , cui grace a de certains
Philosophes, ou soi- disant tels, ces grandes choses ne sont plus
que de vains mots, creux et vides, dont le sens s’affaiblit a mesure
qu’on en abuse. 3 1 . Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit
entre eux-raemes, soit entre eux et leurs ames , etait favorise partout
en Grece , pour le bien de la chose publique ; voila ce qui donna
naissance a la cohorte sa- cree des Amants , chez les Thebains et
chez les Cretois. Quel etait le courage de ces sortes de soldats, quelle
etait la ter- reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencon- traient
Tennemi, ivres a la fois d’amour et de sang : c’est ce que Elien nous a
fait connaitre, en partageant, pour nous les mieux depeindre, leur
impetuosite et leur fureur. II nous indique aussi qu’il y avait
quelque chose de semblable dans les institutions de Sparte ; un
Lacede- monien fut mis a 1’amende , quoique excellent citoyen, pour
avoir neglige d’ai- mer quelque compagnon plus jeune que lui, a qui
il aurait inculque ses vertus et nempe illius imputari vitia posse
cen serent. 32 . Etiam illud Laconicum narrat , so-
litos ibi adolescentulos petere ab ama- toribus , viris nempe bonis ac
fortibus , stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta- tur
illud verbum , Laconibus proprium, sElianus per epav, amare : idem
factum ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver. Multa
similia ad utrumque Hesychii locum viri docti , post Meursium (Mis-
cell. Lac. 3 , 6 ) sed nihil, unde ratio ap- pellationis queat intelligi.
Nec satisfacit, quod refert, non probat Eustathius (ad Odyss. A, 36
1 p. 1743 et ad E, 478 p. 240, 38 ) EtarevElxai yap tpaat, t 7j?
pLOp^? ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et
pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se- veritati parum conveniunt, si
fides anti- quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo, de quo agimus
, loco. Srap-ctaTT)? epio; ata- qui eut ete capable, a son tour, de
les transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune homme commettait une
faute, les Spar- tiates punissaientson intime ami, comme
responsable des vices qu’il lui tolerait. / 32.
Elien rapporte encore cette autre coutume de Sparte, que les jeunes
gens exigeaient de ceux dont iis etaient aimes, toujours choisis
parmi les meilleurs et les plus braves, ut se adflarent. II
explique le verbe ekjttvs Tv ( adflare ), propre aux La- coniens, par
cet autre : spav (aimer), et He- sychius de meme aux mots EpjcvEtgou,
ipS et eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette interpretation,
a 1’exemple de Meursius; mais je n’ai rien compris aux raisons
qu’ils en donnent. Je ne suis pas davan- tage satisfait de Tassertion
emise, sans preuve, par Eustathe, dans son commen- taire des chants
IV e et V e de YOdyssee : a Les inspires (i) sont guides dans leur
(i) On appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a- 7UvrjXa'
(inspires) ou spacjiat (amants) ces couples ypov oux otosv x. t. X.
Spartanus amor turpe nihil quidquam novit. Sive enim ausus fuerit
adolescentulus pati turpia (upo-v uzoaeivat) sive amator facere
(£»|Bp6 oat) neutri quidem Spartee manere pro- fuerit : aut enim
patria privarentur, aut vita ipsa. Quare illud ela-vetv s.
s[j.7ivsTv, illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat Eustathius
(Hesych. afcav, s-aTpov) ab in- spirando s. adspirando divino
quodam spiritu, dictos arbitror , unde afflati, ut
7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi- no quodam furore perciti
, ruerent. Hic est ille furor, quem supra i3) tetigi- mus, et de
quo plura sunt in Platonis Phcedro (p. 344, A. 346, A. 352, E).
Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant an- tiqui, non rem illi tantum
cogitantem in- dicabant, sed rem subtilem, magna ean- dem movendi
et agendi vi praeditam, etc. de friires d’armes , si terribles dans
les batailles. 'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement
par meter les souffles ou metaphoriquement par avoir des aspirations
communes. ( Note du Tra- ducteur.) ET l’aMOUR GREC 87
choix par la beaute et 1’elegance corpo- relle. » Cela me parait
peu convenir a cette severite Laconienne dont temoi- gnent tous les
anciens et Elien lui-meme, a Tendroit en question : « On ignorait a
Sparte ce que detait que les impures amours. Si quelque jeune homme eut
ose se prostituer , ou prendre 1’autre role, il lui eut mal reussi
de rester d Sparte; il y allait pour lui de Vexilou de la mort. »
C’est ce qui me fait croire que ces inspires , designes aussi sous les
noms de compa- gnons, freres d’armes, par Eustathe et par
Hesychius, etaient ainsi appeles du souffle ou de Tesprit en quelque
sorte divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient sur l’ennemi
comme transportes d’une fureur plus qu’humaine. Nous avons deja
parle de cette espece de delire, dont il est si souvent question dans le
Phedre de Platon. Il convient en effet de remarquer que les anciens
n’entendaient pas comme nous par esprit une faculte intellectuelle,
mais une essence subtile, douee d’une grande forcc de mouvement et
d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora- tio. Cum enim fuerit ,
quod, adhuc proba- tum est, in Grcecia r.aiozptxizv.a. quaedam
honestissima, et sancta adeo , qua ad virtu- tem, bellicam praesertim ,
et quidquid pul- chrum est, incitari homines crederentur, cum
nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou, itemque spwuivoy, -atot/.wv, et
similia tur- pitudinem nondum haberent : cum illud raiSspaaxsTv res
esset adeo honesta, ut quem ad modum capital Romae erat servo, si
militarat, ita Solonis lege multaretur quinquaginta plagis publice, qui
servus eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare liberum pue- rum, auderet :
haec ita se cum haberent omnia, nemo jam debet mirari, adoles-
centulorum esse amorem professum So- cratem, fecisse illum, quae ante (§.
i5) dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So- cratis dicta Platonem,
quae ex Phaedro commemoravimus . Quod mitior est vel Plato, vel
ipse adeo Socrates, (si quis ei tribuat, non satis ille quidem aequa
ratio- ne, quidquid apud Platonem ex ipsius persona dictum ponitur)
in hos etiam quos Cette digression ne nous a pas eloigne de notre
sujet. Puisqu’il existait en Grece , comme nous venons de le prouver,
une jcatBspao-rfta tres-honnete , sainte, on peut dire, et reputee propre
a pousser les hommes au bien et a la vertu, surtout a la vertu
guerriere; puisque les mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu
et de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux ; puisqu’il etait meme
si honorable de se livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de
Solon punissait de cinquante coups de fouet, subis en pleine place
publique, tout esclave qui aurait ose aimer un jeune homme de
condition libre; puisque tout cela est irrefutable, personne ne doit
s’e- tonner que Socrate ait professe 1’amour des j eunes gens,
qu’il ait lui-meme eprouve cet amour et agi en consequence; que
Platon nous ait transmis, comme l’ex- pression des doctrines de Socrate,
ce que nous avons cite du Phedre. Sans doute Platon ou, si l’on
veut, Socrate, quoiqu’il ne soit pas equitable de lui attribuer
tout ce que son disciple lui fait dire, se montre mala libido ad
turpitudinem transversos abripuit 25 . 26) illud primo hanc
rationem , ut innuimus , habuit , quod nec legislatorem hic, neque
publicum accusa- torem ageret ; sed Philosophum , sed amatorem,
amicum certe quidem, qui non metu pcence deterrere a turpitudine
homines, sed virtutis amore revocare a peccato vellet. Deinde erant
forte, quibus parcendum erat, juvenes a vitiis ejus- modi non plane
puri, Alcibiades , Critias , alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem
«popti- /Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi (vid. §. 25 )
quos abscisse nimis ab omni fructu Philosophice, ab omni ad virtutem
reditu excludere velle, et sic plane a se et a virtute segregare,
non erat consilii. Non instituam hic comparationes, quce invi- diam
habere possunt : sed illud addam unum, si forte aliquid veri sit ineo,
quod de liberiori Socratis adolescentia dictum est /'§. 2) : si non
mendax historia , e qua refert Origenes contra Celsum , qui su-
periorem vitee conditionem primis Chris- ti discipulis objecerat (l. 1.
p. 5 o. pr.) beaucoup trop clement envers ceux qu’un infame
desir pousse a Tacte honteux. Son excuse, nous Tavons deja dit, c’est que
ce n’est pas ici un accusateur public ou un legislateur qui parle,
c’est un Philosophe, un ami, un amant, et il essaye non de
detourner les hommes du vice en les ef- frayant par la menaee des
chatiments, rnais de les dissuader d’une faute en leur inculquant
Tamour de la vertu. II y avait d’ailleurs peut-etre autour de lui
des jeunes gens qui n’etaient pas irreprocha- bles et envers
lesquels il ne fallait pas se montrertrop dur, un Alcibiade, un
Cri- tias, d’autres encore, pleins de fougue, adonnes a une
vielicencieuse et etrangere a la sagesse; les priver de
quelques-uns des benefices de la philosophie, c’eut ete leur fermer
toute voie de retour au bien, les eloigner de la personne du maitre
et par consequent de la vertu. Je ne cherche pas a faire des
comparaisons qui pour- raient sembler malseantes; je veux ce-
pendant rapporter un fait, vrai ou faux, qui a traita la jeunesse un tant
soit peu Phcedonem e lupanari traductum ad Philosophiam a Socrate :
quid facere illum oportebat in hac disputatione? 34. Nihil
igitur est in Phcedro , quod urgeat Socratem : si quid incautius
dic- tum sit , illa Platonis culpa fuerit : quam- quam si universam
circumstantiam , ut a nobis ostensa est , quis consideret , etiam
hunc accusare , vel non excusare, ini- quum videtur. De Convivio Platonis
jam non opus est multis disputare. Distin- guat mihi aliquis
personas loquentes : ad universam libelli descriptionem, quam
vocamus CEconomian, ad Allegorian denique ab amore Venereo ductam ,
ac translatam ad animos, quorum lenonem se et obstetricem ferebat
Socrates : ad hcec, inquam , mihi attendat aliquis, et et
l’amour grec q3 dereglee de Socrate. C'est Origene qui le
raconte dans son traite contre Celse. Celse reprochait aux premiers
disciples du Christ d’avoir ete tires de conditions abjectes;
Origene repondit que Socrate avait bien tire Phedon d’un mauvais
lieu pour le convertir a la Philosophie. J e vous demande un peu ce
que ce Phedon venait faire dans la discussion. 34. On ne
rencontre donc rien dans le Phedre qui puisse incriminer Socrate;
s’il y a ca et la quelques paroles imprudentes, c’est la faute de
Platon. Encore, si l’on examine bien toutes les circonstances,
comme nous 1’avons fait, il serait injuste, tout en blamant Platon, de ne
pas lui trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons pas longuernent
sur son Banquet. Que l’on distingue bien les uns des autres les
interlocuteurs, que Fon fasse attention a 1’ensemble du dialogue, a ce
que nous appelons 1’economie de 1’ouvrage, que Fon analyse enfin
cette allegorie tirce de 1’amour physique, puis appliquee aux
mirabor, si quid ibi sit , unde Jiagitio ipsi praesidium, vel
crimini in Socratem jactato firmamentum peti possit. Sed est in
illo libro, quod maxime ad defenden- dum a Socrate fagitium pertinet,
quod ut magis pateat, tota ultimee partis, et velut actus postremi
fabulae illius convi- valis, CEconomia proponenda est, e qua ipsa
appareat, velle pro veris haberi Pla- tonem, qua ’ in Alcibiadis personam
con- jecta de Socrate dicuntur. 35. Ebrius nempe Alcibiades
ad eum finem, ut neque pedes officium faciant, comissator
supervenit potantibus apud Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex
lege compotationis , dextrum sibi accum- bentem Socratem laudare jussus,
obse- quitur cum professione ebrietatis, ut tamen (p. 332, G) vera
se dicturum con- firmet et redargui petat , si quid mentia- tur. Ac
primo sub imagine quadam lau- et i/amour grec 9 5
idees, dont Socrate se donnait comme l’entremetteur et Taccoucheur,
et je serai bien surpris si 1’on y decouvre quoi que ce soit en
faveur du vice infame ou a 1’appui de 1’accusation portee contre So-
crate. On pourra y puiser, au contraire, les meilleurs arguments pour
l’en defen- dre ; mais il est necessaire d’exposer ici toute
1’ordonnance de la derniere partie, ou plutot du dernier acte de ce
dialogue, ou il est clair que Platon veut nous faire tenir comme
vrai ce qu’il a place, tou- chant Socrate, dans la bouche d’Alci-
biade. 35. Alcibiade arrive a la fin du festin dans un tel
etat d’ivresse que ses pieds refusent de le porter; il veut prendre
sa part de plaisir avec Socrate et les autres, en train de boire
chez Agathon. La, par suite d’une convention adoptee entre les
convives, il est force de faire 1’eloge de Socrate, assis a sa droite, et
demande de 1’indulgence, en se fondant sur ce qu’il est ivre ; il
affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem , cum Sileno aliquo
(Conf. §. 18 J nominatim cum Satyro Marsya , tibicine , illum comparat,
cujus figura, ex ligno, edolata ruditer atque deformi, utebantur
artifices pro theca, quce intus haberet pulcherrimum aliquem
Mercuriolum (p. 333, F) : scilicet in corpore deformi habitare animam
pul- cherrimam demonstrat : et esse tibicini Marsyce similem
Socratem, ob illam vim demulcendi animos, cui resisti non
posset. 36. Deinde narrat, cum eundem pul- chrorum
sectatorem quendam ct capta- torem videret, se, qui fiduciam
fornice haberet, sperasse, si pellicere virum ad amorem sui
(venereum nempe) posset, eique se prceberet obsequiosum, impetra-
turum se ab illo admirabilem illam ar- tem, et ablaturum, quce Socrates
sciret, omnia. Hinc narrat verbis quidem ho- nestis modestisque ,
ct tamen venia ante dira que la verite et exige, s’il se trompe,
qu’on lui donne un dementi. II com- mence, pour louer Socrate, par le
com- parer a ces grossieres figures de bois representant Silene ou
le satyre Mar- t syas, le joueur de flute, sculptees sans travail
et sans art, dont les statuaires se servaient comme de gaines, et qui
rece- laient a 1’interieur quelque joli petit Mer- cure ; ainsi,
dit-il, dans un corps difforme peut habiter une belle ame; de plus,
So- crate ressemble au joueur de flute Mar- syas en ce qu’il a,
pour charmer, une force a laquelle nui n’est en etat de resister.
36. II raconte ensuite que le voyant s’attacher a la poursuite des
beaux ado- lescents et s’efforcer de les prendre dans ses filets,
plein de confiance en sa beaute parfaite, il avait essaye de lui inspirer
de 1’amour, comptant bien qu’avec un peu de complaisance pour ses
desirs il obtien- drait de lui qu’il lui communiquat son admirable
science, et qu'il gagnerait a cela tous les talents de Socrate. Alcibiade exorata
ebrietati , et pro? fatus (p. 334 , C) uti servi aliique profani aures
obtu- rent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s) quam
varie, et quibus veluti gradibus, frustra continentiam Socratis,
temperan- tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adji- cit) tentarit.
Summam facit hanc, (p. 334 , G) ut Deos Deasque testes faciat, se
cum totam noctem sub eadem veste cum Socrate jacuisset, non aliter
ab illo, quam ut filium a patre, aut a fratre majori frater
deberet, surrexisse. Itaque se frustratum spei esse in homine, quem
hac sola forte parte capi posse putasset. 3y. Enumeratis deinde
aliis Socratis virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi etiam
vitam servarit, addit, non se tan- tum contumelia tali ab eo affectum ,
sed Charmiden etiam , Euthydemum et et l’amour grec gg
place ici , mais en termes honnetes et mesures, quoiqu’il se soit
excuse sur son ivresse et qu'il ait recommande aux es- claves et
aux profanes de se boucher les oreilles, le recit des gradations savantes
et de tous les stratagemes vainement mis en oeuvre par lui pour induire
en tenta- tion la continence, la temperance ou plu- tot, comme il
le dit fort justement, l’he- roique fermete de Socrate. II conclut
en disant : Je prends les dieux et les deesses d temoin quapres
avoir repose toute une nuit d cote de Socrate, et sous le meme m
ante au , je me levai d'aupres de lui tel que je serais sorti du lit de
mon pere ou de mon frere aine. Ainsi, le seul point par lequel il
croyait que cet homme fut accessible avait tout a fait trompe ses
esperances. 37. Apres avoir ensuite enumere les autres vertus
de Socrate et appuye sur sa valeur guerriere, a laquelle il etait
lui- meme redevable de la vie, il ajoute qu’il n’est pas le seul,
du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris simulatione
deceptos in potestatem suam redegerit , ou? oiito; s^aTCatojv w;
IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe
adu- labantur vulgo amatores , certe qui turpe quid spectarent , pueris
aetatula sua et illa ipsa adulatione superbientibus. Alia ratio
Socratica , quae etiam supra (§. 6) in Lysidis argumento declarata est.
Sua- vissima sunt reliqua in Symposio Plato- nis : eo autem
referuntur omnia , ut in- telligamus Socratis hanc fuisse consue-
tudinem . , pulchrorum amorem uti prae se ferret , cum illis suaviter et
amice ut versaretur, ut virtutis illos amore im- pleret , reliqua
omnia non tanti esse os- tenderet , in quibus valde sibi elaboran-
dum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta Socrates , et
foedissimi , si quod usquam est , crimi- ait fait un tel affront; que
pareille chose est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a bien
d’autres qu’il avait feint d’aimer tendrement, pour mieux les asservir
et les diriger. Les amis vulgaires, ceux sur- tout qui esperaient
de honteuses com- plaisances, se faisaient les flatteurs des jeunes
garcons, et ceux-ci n’en etaient que plus fiers de leur beaute. Autre
etait la methode Socratique, comme nous l’a- vons montre plus haut
en exposant le sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Ban- quet de
Platon, est charmant ; tout aboutit a nous montrer que telle etait la
coutume de Socrate de rechercher les bonnes gra- ces des jeunes
gens que distinguait un exteneur gracieux, et de vivre avec eux
dans une douce et agreable intimite, afin de leur faire aimer la vertu;
ce point obtenu, il jugeait facile de leur donner les autres
qualites qu’un sage doit s'ap- pliquer a acquerir. 38. Ainsi,
Socrate n’avait pour la jeu- nesse qu’un amour chaste ; il etait pur
du nis expers : a quo etiam alios avocare studuit , quod Critice
exemplo docet Xenophon, ejus, qui post in triginta tyrannis fuit ,
quem Euthydemi pudori insidiari cum sentiret , utxov ti Tiaay eiv
dixit, suillo more prurire, eaque re ini- micitias hominis factiosi et
potentis sibi contraxit; quibus carere poterat , nisi potius
fuisset officium. 3g. Sed admonet me Xenophon de crimine alterius
illo quidem generis, et multo, ut in malis, tolerabiliore : quod
tamen ipsum etiam in illo adhaerescere, quantum in me est, non patiar.
Accusa- tur, ut naturalis quidem , sed malce ta- men libidinis
suasor et leno quidam, propter ea quce referuntur in Xenophon- tis
Convivio (c. 7 et g). Sed nec ibi quid- quam est, cujus bonum Socratem,
aut illius amicos pudere debeat. Spectacula exhibentur convivis
mirabilia , partim vice infame entre tous. Bien mieux, il
s’efiforcad’en detourner lesautres, comme Xenophon nous 1’apprend par
1’exemple de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu par la suite
l'un des Trente tyrans, avait voulu attenter a la pudeur d’Euthydeme
; lorsque son ancien maitre Bapprit : II a le prurit du porc{ i),
s’ecria-t-il ; paroles qui lui attir£rent 1’animosite d’un homme
puissant et redoutable, ce qu’il lui eut ete facile d’eviter, s’il
n’avait mieux aime faire son devoir. 3g. Mais Xenophon me
fait songer a une autre accusation qui a ete egalement portee
contre Socrate ; quoique moins grave, elle n’en est pas moins
facheuse, et je l’en disculperai de toutes mes forces. On lui
reproche, a 1’occasion d’un inci- dent rapporte par Xenophon, dans
son Banquet , d’avoir excite ses disciples a la debauche, ce qui
serait pernicieux encore, (i) Concupiscit ad Euthydemum se
affricare quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xeno- phon,
Memorabilia). etiam
periculosa , et horrorem quendam spectantibus moventia , inter districtos
gladios corpora saltu jactantium , aut in figuli rota circumacta
scribentium le- gentiumque. Non placent ea Socrati, qui aptius
convivio spectaculum putat ipyjln- Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv
oi; Xapixe; ts •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam edi
motus et saltationes, eo habitu, quo Gratiae, Horae, Nymphae a
pictoribus exhibentur. Forte suspectum alicui fuit hoc
quod Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus- picioni repugnat ,
quod dicitur Ariadne illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,,
sponsce autem profecto apud Grcecos nudce esse bien
qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs confor- mes au vceu de la nature, et de
s’etre fait, en quelque sorte, entremetteur. II n’y a rien, dans ce
passage, dont doivent rougir 1’honnete Socrate et ses amis. Des
mimes viennent d’executer devant les convives toutes sortes
d’exercices extraordinaires, quelques-uns tres-dangereux et propres
a donner le frisson aux spectateurs; on a vu les uns presenter leurs
poitrines, en sautant, a des pointes d’epees rangees en file ; d’autres
lire ou ecrire enfermes dans une roue de potier mise en mouvement.
Ces exercices deplaisent a Socrate ; il pense qu’il serait plus
convenable, au milieu d’un festin, de voir des danseuses executer
des poses, au son de la Jlute, sous le costume que les pcintres
pretent d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et aux Nymphes.
Cela a pu paraitre suspect parce qu’on a coutume de representer les
Graces toutes nues. Mais ce soupcon ne repose sur rien, car la
danseuse qui parut alors, habillee en nymphe, representait
I Ob non solebant : nymphae in insectis ab eo ipso
dicta?, quod involuta? sunt. Gra- tias decenter vestitas contemplari
licet in Grcecis monimentis apud Montfauc. Ant. Expl. To. i Tab.
iog ad p. ij6. Movit forte eum, qui primus crimen hinc excerpsit Socrati,
a/r^a-coiv appel- latio, qua? inter alia ad turpes figu- ras
refertur , quales olim Philcenidis et Elephantidis commendatas libellis
fuisse constat (i), ut hic ejusmodi impudens spectaculum
suspicaretur . Sed tum inter- jecta de amore disputatio ( 2 ) (c. 8)
tum ipsa perfectio exsecutioque consilii (c. g) suspicionem illam
eximunt. Aguntur Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in scenam
nihil veniat, pra?ter oscula et (1) De quibus Spanhem. de usu et
Praest. numism. Diss. i 3 . p. 522 . sq. Hic ay 7 jfi a est omnis
gestus saltantium blandus, minax, derisor. Vid. Lucia. de Saltat, c. 18.
T. 2 p. 278 in primis c, 36 . extr. (2) Apertior,
simpliciorque , et incautior adeo Xenophontis de his rebus oratio , quam
Plato- nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab impura
libidine ad sanctam animorum conjunc- tionem homines revocentur.
Ariadne, et les Grecs ne permettaient pas le nu dans
les roles de femmes mariees. D’ailleurs, certains insectes
imparfaits sont appeles nymphes pre- cisement parce qu’ils sont
enveloppes. On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex- pliquee de
Montfaucon, que les Grecs, meme sur leurs monuments, figuraient les
Graces decemment vetues. Celui qui le premier a lance contre Socrate
cette accusation s’est peut-etre effarouche du mot pose, qui, entre
autres, est applique a des images obscenes, du genre de celles
qu’on rencontrait dans les livres de Phi- laenis et d’Elephantis (i); il
a soupfonne Socrate d’avoir reclame un spectacle lu- brique. Or,
ladiscussion surTarnour qui intervient alors ( 2 ), 1’execution et
l’ache- (1) Spanheim (De prostantia et usu numisma- tum
antiquorum) parle de tout cela. On appelait poses toute esp6ce de geste
lascif, provocant ou railleur, des mimes. ('Comparez Lucien, De la
Danse, ch. XVIII.) (2) Le dialogue de Xenophon est bien plus
franc, bien plus simple et bien moins circonspCct que celui de
Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme amplexus ,
cetera reservantur postsce- niis (i). but, qui est de
detourner les hommes des plaisirs les plus impurs et de les rapprocher
dans une sainte communion des ames. (r) Tales saltationes s.
repraesentationes etiam pars sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom.
c. 38 . To. 2 p. 244 xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat Alexander , xai SaStyta?,
xat tepocpavxta; — In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo?
yapto; cum Apolline — item riooaXstpiOU xai pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; —
denique SsXrJvr^ xai AXs^avBpou spto? — Alexander ut Endymion alter
xaOsuSwv exsixo sv xw piato — cptXrjtxaxa xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st
8s ar t r. oXXat iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou
sjxpaxxsxo. Apposui locum , quia hic etiam 7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil
obscenum. ET l’aMOUR GREC IO9 vernent immediat du
divertissement qu’il avait demande, enlevent toute force a cette
conjecture. Les mimes representent les noces d’Ariadne et de Bacchus :
mais on ne voit rien de plus sur la scene que des baisers et des
etreintes amoureuses ; le reste se passe derriere le rideau (i).
( 1 ) Ces sortes de danses et de reprdsentations faisaient partie
des Myst6res. Dans lM lexander seu Pseudomantis, de Lucien, on voit
Alexandre, in- troduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves
du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes religieuses
auxquelles cette initiation donne lieu figurent : les noces d’Apollon et
de Coronis, celles de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin
les amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre, comme un autre
Endymion, etait couchd au milieu du theatre; on dchangeait des caresses
et des bai- sers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quan-
tite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a faire qucedam earum
quce sub veste Jieri solent. » Cest un peu ldger ; cependant il n’y a
rien la de bien obscene. — Gesner aurait du citer Lucien plus
complete- ment ; ce passage du Pseudomantis offre un tableau de
genre exquis : « Alexandre, comme un autre Endymion, etait couche au
milieu du thdatre, faisant semblant de dormir. II tombait de la voute,
comme du ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le role
de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant de 1'einpereur. Elie
aimait vraiment Alexandre et 10 I IO
SOCRATE 40 . Finem et effectum negotii ita indi- cat
Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci ’.oovte; T:ept6e6Xr]xdT:a; ts
aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv
£zw[xvuaav, 01 oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS,
a-rj- Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv xuy otsv .
Tandem post blanditias quasdam , verecundas, maritales, complexi se
invi- cem sponsus et sponsa , i. e. manibus implexis, vel brachiis
mutuo cervici im- positis, vel tergo circumjectis , velut cubitum
discedunt : ab hoc spectaculo incalescentes , et ut paullo ante
dicebat, av£7iTEpo)|jiivoi (vid. no. ad §. i5) convivae caelibes
dejerant, se ducturos esse uxo- res ; mariti autem equis conscensis
domos festinant, ut simili voluptate et ipsi fruantur. Utinam vero
e spectaculis et theatris hodie ita discederetur ! utinam Socratis
hac parte disciplinam sequeren- tur publicarum Voluptatum Tribuni.
Talia spectacula edere debebant Romani eu 6tait aimee. Sous les
yeux de son propre mari, iis echangeaient des caresses et des
baisers » 40. Xenophon
indique de la maniere suivante la fin et les resultats de l’his-
toire. Apres toutes sortes de caresses honnetes et maritales, les deux
epoux se tenant embrasses, c’est-a-dire, je pense, les mains
entrelacees ou les bras pas- ses mutuellement soit autour du cou,
soit autour de la taille, s’eloignerent comme pour aller se coucher.
Echauffes par ce spectacle et se sentant de furieu- ses
demangeaisons, comme s’il leur pous- sait des ailes , les convives encore
celiba- taires /irent le serment de ne pas tarder a prendre femme ;
les maris monthrent a cheval et se haterent de regagner le lo- gis,
pour gouter d leur tour de sem- blables voluptes. Plut au ciel
qu’aujour- d’hui on quittat les spectacles et les theatres dans de
si bonnes intentions ! plut au ciel que cette partie de la disci-
pline Socratique fut pratiquee par les ediles preposes aux plaisirs
publics ! Ce sont de tels divertissements qu’auraient du decreter
les empereurs Romains, sou- cieux d’exciter toutes les classes au
ma- principes , cum de maritandis ordinibus , et sobole
Romana augenda soliciti erant : talia conveniebant nuper Lutetia ? et
Gal- lice adeo universae, quum Ducis Burgtin- dice natalem nuptiis
mille puellarum celebrarent : talia magnam Britanniam , si quid
veri habent quorundam qucerelce, Swiftiance praesertim , quas eo loco
protu- lit , ubi de abrogando clero disputat : aut eorum , qui
hodie peregrinos invitandos , supplendi populi causa . et civitate
donan- dos , censent. 41. Nempe incidit aetas Socratis in
ea tempora, ubi civium paucitate laborabat exhausta bellis Persicis
et Peloponnesia- cis Attica , cui etiam lege matrimoniali obviam
ire, et afferre remedium , conati esse dicuntur. Debemus notitiam
hujus legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte illius mentio
extaret hodie, nisi de dua- bus Philosophi uxoribus jam olim dispu-
tatum esset. Res cum queestioni. de qua riage ct d’accroitre la
posterite de Re- mus : iis auraient convenu naguere a la ville de
Paris et a la France entiere lorsqu’on feta la naissance du duc de
Bourgogne en mariant un millier de jeunes falles; iis auraient bien fait
Faf- faire de la Grande-Bretagne, s'il y a quelque chose de vrai
dans ces plaintes dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui
reclamaient 1’abolition du celibat despre- tres; iis conviendraient
encore a ces pays ou l’on attire les etrangers en leur conferant
les droits civiques pour sup- pleer au petit nombre d'habitants.
41. Socrate vivait a une epoque ou 1 ’Attique, epuisee par les
guerres des Perses et du Peloponese, souffrait de ne plus avoir
qu'une population clair-se- mee ; on dit menae que les Atheniens
s’ef- forcerent de remedier a cet etat de choses par une nouvelle
loi touchant lesmaria- ges. Nousdevons 1’unique renseignement que
l’on ait sur cette loi a Socrate , car il n’en subsisterait aujourd’hui
aucune agimus conjuncta sit , illam , quam brevi- ter
jieri potest , expediemus. Duas So- crati uxores vulgo tribui videmus,
Xan- thippen e qua Lamproclem susceperit, et Myrto , Sophronisci
atque Menexeni matrem. In hoc conveniunt Cyrillus ( contra Julia.
I. 6. p. 186, D) et Theo- doretus (Grcecar. Affect. curat, ser. 6
p. ij4, 40) ac Diogenes Laertius (2, 26). Porro de Xanthippe
Cyrillus ex Por- phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in
ipsius amplexus venisse ; quod plane repugnat Platoni et Xenophonti,
qui nullius conjugis prceter Xanthippen , jus- tam uxorem , mentionem
faciunt : tum Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua debere ait
Porphyrio, sed non tantum pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet
7:po<j-XaxeTcjav Xa6sTv, induxisse priori uxori, ut pereat illa
secreti , et furti amatorii notio : sed etiam addit, solitas esse eas
mulieres in- ter se depugnare, deinde pace facta con- junctim
impetum facere in Socratem ideo , quod is bella illarum non dirime-
ret : hunc vero utrumque genus pugna:
mention sans la controverse autrefois agitee au sujet de ses
deux femmes. Comme cette question tient a notre su- jet, nous la
discuterons bridvement. On donne communcment a Socrate deux femmes
: Xantippe, dont il eut un de ses fils, Lamprocles, et Myrto, la mere
de Sophronisque et de Menexene. S. Cy- rille, Theodoret et Diogene
de Laerte sont tous les trois d’accord la-dessus. Mais S. Cyrille,
empruntant ce detail a Porphyre, dit de Xantippe que son ma- riage
avec Socrate fut clandestin, qu’elle se cachait pour 1’embrasser, ce qui
con- tredit absolument Xenophon et Platon, puisqu’ils ne parient
d’aucune autre femme que de Xantippe, epouse legitime de Socrate.
Theodoret, qui lui aussi dit tenir de Porphyre ses renseignements,
change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT- aav XafleTv et declare ainsi
que Socrate introduisit Xantippe chez sa premi^re femme, ce qui
ruine toute cette histoire de mariage secret, et de furtifs baisers
; bien mieux, il ajoutc que ces deux me- cum risu
speci are consuevisse. Utri fi dem habebimus? 42. Sed nondum
est finis discordia- rum. Theodoretum si audimus , induxit
Xanthippen suce jam Myrto Socrates : sed Laertius negat convenire inter
auc- tores , utram prius duxerit. Idem ait , simul ambas habuisse
Socratem , a qui- busdam esse traditum. In hac sententia etiam fuit
auctor Dialogi Halcyon , qui inter primos Lucianeos editur , in
cujus fine Socrates dicat , se Halcyonis amo- rem in maritum suis
conjugibus Xan- thippee et Myrto prcedicaturum esse. Antiqua porro
esse illa relatio memora- tur Callisthenis , Demetri Phalerei , Sa-
tyri Peripatetici , Aristoxeni Musici , geres se battaient
continuellement, puis la paix faite, tombaient a poings fermes sur
le pauvre Philosophe, en lui repro- chant de ne les avoir pas separees:
pour lui, il restait simple spectateur du com- bat et voyait donner
ou recevait lui- meme les coups en souriant. A qui faut- il s’en
rapporter, de S. Cyrille ou de Theodoret? 42. Et nous ne
sommes pas au bout de la querelle. Dapres Theodoret, So- crate
epousa Xantippe, dtant deja marie a Myrto; mais Diogene de Laerte
af- firme que les auteurs ne sont pas d’ac- cord et qu’on ne sait
qui des deux il epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les eut
toutes les deux ensemble, et sur quelles autorites repose cette
assertion. Elie a ete accueillie par 1’auteur du dia- logue
intitule Alcyon, imprime en tete de ceux de Lucien; on y voit
Socrate proposer en exemple a ses deux femmes, Xantippe et Myrto,
1’amour d’Alcyon pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris- i
Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum (vita Aristid. extr.) qui
ceteris narrandi auctorem fuisse ait Aristotelem in libro de
nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen liber an sit Aristotelis,
Plutarchus dubi- tat : narrant autem ita, Aristidis neptim Myrto,
vidua cum esset et paupercula, domum ductam a Socrate, eique
cohabi- tasse, licet aliam uxorem habenti . 43. At non
licebat a Cecrope inde Athenis plure s una habere uxores. Qui sit
igitur, ut neque Comici exprobrarint, neque Accusatores objecerint
digamian Socrati ? Hic nobis narrant Athenaeus et Laertius legem,
latam supplenda 1 multi- tudinis civium causa. Exstabat Athenceo
prodente ipsum decretum a Rhodio Hie- ronymo conservatum, wax' si-eivat
xai ouo ET 1/aMOUR GREC I i q tide) rapporte que cettc
opinion etait ancienne, et qu ; elle fut partagee par Callisthene,
Demetrius de Phalere, Sa- tyrus le peripateticien, Aristoxene le
musicien et Hieronyme de Rhodes; Athenee dit de son cote qu’ils
Tavaient tous puisee dans le Traite de la No- blesse d Aristote,
livre dont cependant Plutarque doute qu’Aristote soit l’au- teur.
Tous racontent que- Myrto, pe- tite-fille d Aristide, etant veuve et
se trouvant dans une extreme pauvrete, fut recueillie par Socrate
dans sa maison et qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut deja
marie. 4 J - Les vieilles lois de Cecrops inter- disaient
cependant a Athenes les doubles unions. Pourquoi donc ni les poetes
co- miques, ni les accusateurs de Socrate ne lui ont-ils reproche
ou oppose ce cas de bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et
Diogene de Laerte nous parient de cette loi nouvelle_, edictee,
disent-ils, dans le but d’accroitre le nombre des citoyens.
120 SOCRATE 'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov.
Secundum haec male accusaretur Socrates, qui et legi paruerit de
augenda sobole Attica , et Aristidis progeniem viduitate et pauper-
tate extrema liberaverit. V 44. Verum enim vero totum
hoc de duabus Socratis uxoribus , quin de lege maritali etiam
falsum esse , prcesertim ex dissensu commemorato , itemque ex
Platonis et Xenophontis silentio arguit Bentleius (1). Et habet , quantum
est de monogamia Socratis, magnum auctorem Pancetium, quem laudat
Plutarchus, qui cum retulisset eam quce modo proposita est de Myrto
narrationem, satis illam refutatam ait a Panaetio : cujus si opus
hodie extaret, facilior forte hodie esset causa Socratis, quem tamen a
turpi pue- (/) In Dissertat, de Phalaridis et exteror.
Epistolis, ET l’aMOUR GREC 12 1 Athenee s’avance jusqida dire qu’il
y avait un decret, conserve par Hieronyme de Rhodes, et ainsi concu
: « 11 est per- mis d’avoir jusqua deux femmes. » Si cela est vrai,
on accuserait mal a propos Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la
loi portee en vue de repeupler 1’Attique, et qui de plus aurait sauve du
veuvage et de la mis&re la petite-fille d’Aristide. 44.
Mais vraiment Phistoire des deux femmes, tout aussi bien que celle
de la loi matrimoniale, paraissent en- tachees de faussete a Bentley (1);
il se fonde surtout sur le desaccord que nous avons signale et tire
une grande preuve du silence de Platon et de Xenophon. Nous avons,
pour ce qui est de la monogamie de Socrate, une excellente autorite, Pantetius,
dont Plutarque fait le plus bel eloge; apres avoir rapporte ce que
nous avons dit de Myrto, il ajoute que cettefable a ete suffisamment
refutee ( 1 ) Dissertation sur les Epitres de
Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE
rorum amore, et a lenocinio turpi, et a libidinosa digamia, vel sic satis
liberatum esse confido. ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si nous possedions
son livre, la cause de Socrate serait aujourd’hui plus facile a defendre;
je pense cependant avoir prouve qu’il ne fut ni un corrupteur de la
jeunesse, ni un provocateur a la debauche, ni un bigame
libertin. Alcibiade; ses avances repouss^es par Socrate. Ame,
comparde par Platon a un attelage ai!6 —
classification des ames suivant le degrd de connaissances
acquises avant la vie, p. Amour philosophique, — raisons qui
dirigent les choix dans cette sorte d’amour — les impuretes ou il
peut s’egarer -- Analyse du Lysis, dialogue de Platon — du Phedre — du
Banquet -- Beaute morale et Beaute physique -- Bigamie; Socrate
eut-il deux femmes? -- la bigamie etait-elle autorisde en
Grece ? -- Cohorte sacree des amants, a Thebes et en Crete -- Inspires;
couples d’amis -- Minies ; leurs exercices et poses plastiques -- riaiospaatsta,
le mot et la chose pouvaient etre pris en bonne part,
chez les Grecs -- Peines portees par les Grecs contre les infames -- Pronostics
tirds par les physionomistes de la voix forte et grave — de
lencolure courte — des oreilles velues -- des grosses levres -- du
nez camard — des yeux saillants, Representations mythologiques et
divertissements dans les festius — dans les mysteres -- effets singuliers
produits parfois sur les convives par ces representations, p. m.
Socrate; motifs ordinaires des accusations portees contre lui -- pourquoi
il recherchait les beaux garcons -- son portrait physique -- Socrate
l’ Ecclesiastique ; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe --
Sparte ; coutume rappor- t6e par Elien -- les amours impures y
etaient ignorees -- Paris. — Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele
Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma,
Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Giannetti: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale del corposcolarismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the
only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but
not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’)
in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at
least by the duke, who diligently expelled him from any obligation of
teaching!” – Insegna a Pisa. Quando
lascio la cattedra, gli successe Grandi.
Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi,
che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa
da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo. N C. Preti, Dizionario Biografico degli
Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica
e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di
filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui
ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a
sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. Fu e'di Albiano
di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra
sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini,
cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI
e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia
corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li
Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi
sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che
il G. futenuto per uno de'più arditi e co raggiosisostenitori degli
insegnamenti novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosifilosofanti, ma in
particolar modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo
IIIde'Medici,fece ro in grave sospetto cadere di errori di religione G. non
solo, ma quasi tutta la Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti
let tere scritte e minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia
democratica, G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e
rintuzzare le dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese
con trion fo la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso.
Finalmente costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te
filosofava su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di
Galeno,e men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie
mediche spiegavà,senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ;
l' al trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva.
Moltissimo ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di
Tilli per ogni maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con
lo Zambescari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le
terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande
merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di
Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e
poteró Viri Paschasii Giannelli Albianeusis Philosoph. et Medicin, in
Pisau. Acudem . Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph.
libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit
ConcesseratAun.S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non posso tacere
di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti di
questo Pier Carlo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente
d'illustrare sua patria , e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata
inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon
coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo
Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre
Malpighi, dove si dottorò verso la fine del si estrarre il sale catartico
a guisa di quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata.
Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli
uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i
vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e
vivendosi fino alla vecchiezza, dopo 57 anni di lettura in quella Università, muore
in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella
terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se
polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove
parla del Giannetti: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae
comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam
a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in
Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli
medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana
e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente
meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di
G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto
Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che
di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, il G. attinse da G. Del
Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo
pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con
esigenze di ordine pratico. Laureatosi in filosofia (promotore e il Del
Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale.
Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico,
dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale
della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate
arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei
possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme
con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di
non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di A.
Fabroni, il G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi
perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare
tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di
trasferire il G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di
tenere lezioni domiciliari di filosofia. Come lettore di questa
disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso
"moderno". Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace
dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria
medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori. In particolare,
a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano
venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva
recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso
l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice
delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti
attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata
il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che il
Grandi "solea frequentemente conversare" nella casa del G.), ma, a
differenza del Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di
coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la
distinzione gassendiana tra punto matematico e punto fisico. G., insieme
con Bresciani, G. Averani e altri, fu coinvolto dal Grandi nella preparazione
della seconda edizione delle Opere di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà
degli anni Venti, il suo nome venne fatto in alternativa a quello del Grandi
quale autore di un libretto pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam
editionem Philosophiae novo-antiquae r.p. Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii,
Augustoduni), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e
i gesuiti del collegio di Firenze. Il libretto, nato come replica alla
prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua
(Florentiae), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale
delle forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore,
circolavano nel collegio fiorentino. Non è chiaro se sia da collegarsi a
questa polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo.
La relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi
governanti, ci informa che "già da alcuni anni" G., pur retribuito,
aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni
di filosofia. Cerati attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del
corpo, ma l'Ortes attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute.
Priva di riscontri è la notizia di una sua adesione alla loggia massonica
fondata a Firenze, loggia che però sicuramente accolse un buon numero di suoi
allievi. G. muore a Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le
sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms. Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem
conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS).
Fonti e Bibl.: Per la collaborazione del G. all'edizione fiorentina del 1718
delle Opere del Galilei vedi le lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl.
universitaria, Carteggio Grandi; sei lettere del G. a Grandi e alcune note di
argomento fisico; Acta graduum Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di
Grandi, Venezia G. Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni,
Historiae Academiae Pisanae, Pisis, Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in
Firenze, Milano; Carranza, Cerati provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme,
Pisa, Storia dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di
Bonducci, Roma, Livorno, Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo,
implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Giannetta search – another time?
Grice e Giannone: la ragione conversazionale e
l’implicatura conversazionale della terza Roma – e l’implicatura ligure –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella).
Filosofo italiano.
Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta
terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he
meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if
ingenious ones!” “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le
anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse
fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente
da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il
paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben
presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento,
che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu
essenziale per la sua formazione. I suoi interessi non si limitarono
soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici
e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria
civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la
Chiesa per il suo contenuto. Costretto a riparare a Vienna, ottenne
protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire
indisturbato i suoi studi filosofici. Il suo tentativo di rientrare in
patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo
di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a
trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città,
rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso
la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo
sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue
idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato
Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico. Dopo aver vagato per
l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un
altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il
regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione
delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio
della Savoia, ove fu attirato con un tranello. Rimasto nelle prigioni
sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la
libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei
suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della
Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme
fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri
proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a
riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi
riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado
civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante
della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle
nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi». Nel
Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta
la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno
papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche
a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del
male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso
un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale
raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno
Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante
un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una
forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come
fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti
scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di
Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis. Nella Storia della colonna infame, Manzoni
dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che
anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come
filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle
opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo
e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe
scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia
o sterilità di mente, e certo raro il coraggio. Altre saggi: Autobiografia:
i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti, Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici
sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del
pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di
Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier,
G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del
Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli,
Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini,
La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO
(Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana:
autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano,
Ricciardi, Ricuperati, L'esperienza
civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole
degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati,
La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e
illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/
giannone. htm. De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come
sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare,
sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando
de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù
e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa
amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non
tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS
VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM
DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano
i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed
ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a
sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte
d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose
aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed
insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine
o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E
perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO,
PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri
erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o
sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed
occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle
mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i
liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli
STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI,
i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati
fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i
quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio
console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi
perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini
ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove
dimorano ciascuno nel proprio distretto. E fra le città son da considerarsi alcune
antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO
in XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di
quà del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città
marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a
questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non
lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città
antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la
religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia
de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella
di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni
credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA
ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata
pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del
fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re
di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO
GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona,
Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii.
Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA
DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio
monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano
divide l'Italia per mezzo , avevano i liguri di qua e di là d e l monte
medesimo nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona,
Iria, Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri
vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto
lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’
ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo
stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di
principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò
esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella
Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui
città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso
l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu
dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii
posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati
ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè
rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio,
poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due
uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al
quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte,
da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é
somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo
poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi
De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte
di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri
statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non
lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi
duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio
di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi
onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua
cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti
monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua montuosa
Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai
salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza
dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui
sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi
longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti
come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla.
I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione
d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi
, anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e
Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche
Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM
STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi,
sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua
antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di
essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con
altre forestiere nazioni , non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro
de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide
navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della
Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza
di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono
le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano
loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria,
discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii,
avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri
levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER
ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se
dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser
piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di
Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti
anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto
maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si
aggiunge che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO,
Torino e già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi
hanno allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli
coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso
rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri
e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città
de'massiliesi soci de’ romani ,e non già i campi di Torino, la qual città
perciò non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli
chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa
è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti
erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle
schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente
dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri
antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per
chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi
popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che
perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia
Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i
liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone,
Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per
distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà
le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per
lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente
dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di
Annibale co’ suoi cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche
Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da
questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia,
gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese,
tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano.
E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando
questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione
all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio
da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo
che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era
stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO
ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE,
STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee
riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE
LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara
anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola
derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA
che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal
tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti
altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato,
l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore
ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI
TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè
questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè
prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I
romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili
in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a
ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio
diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle
isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani.
Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro
i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe
certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci
manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES
TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO
stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è
facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i
liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica
quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO
nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per
insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti
dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo,
sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei
consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino
ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua
dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e
sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di
risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori
consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni
de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo
infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e
dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA
MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI
NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO
FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI
LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo
del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE
POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori
sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio
che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve,
dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se
non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni
per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non
sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà,
con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria,
siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto
verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le
genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti
primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli
poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche
della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il
quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro
popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali
si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria,
il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe
pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani
dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato
Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne
i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il capitano
supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI QUESTI INVIARE
NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella Liguria, egli
fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI DELLA LORO
LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe potuto unendo l’armi liguri alle
sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle
mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO
SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani,
die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma
riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese
la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere
state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i
greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro
peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti
mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile
a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano
inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti
che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo
polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco , se non il ligure COLOMBO? Quanto
ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à
lui quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile
TORQUATO assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla
grandezza d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento
All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè
l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più
grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila
angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo
centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la
guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente
destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere
a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il
procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia
diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando.
Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici
latini e italiani. Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se
marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori
figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e
Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per
abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il
suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si
trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso
Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela
fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI,
che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi
destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno
austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del
Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile
del Regno di Napoli. Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì
un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando
divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata
contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In
risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G.
pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro
in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno
all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il
Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la
marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per
gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e
vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote
dell'Aulisio, Ferrara, arrestato due
anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come
compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei
quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo
pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo
richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta
fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto
più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli interessi
che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere
sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato
nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi
giuridici e storici. Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo
nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per
potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo,
detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Giovan Battista e
Niccolò Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre
di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico
soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G.
fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico
Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché,
nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al
dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di
rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria
civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100
esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale). Scritta con lo
scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA
CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi
documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione,
esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE dell'Impero romano sino al Vice-regno
austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione
direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi , in
particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi),
nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella
Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e
politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il
procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel
capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa,
rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie
l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi
del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello
Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie
necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i
primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine.
Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai
Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G.
accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo
l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei
confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla
dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto
quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno
come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL
MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le
dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che
ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei
barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici
di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia
per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di
restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio
spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso
Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno.
L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel
quale il ceto civile ripone le proprie speranze. L'Istoria e dunque
un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente
sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e
organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e
proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia
meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica
per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e
sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del
Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento
verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende
l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche
l'ostilità di Roma verso G.. Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti
-- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della
città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le
polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha
ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva
chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta
argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a
tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta
atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza
necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del
Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i
provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio.
Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro
G. e la vendita dell'Istoria. La situazione volge al peggio al momento
del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero
napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la
pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la
città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice
della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a
scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto
anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione
dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella che
sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA
RITORNO. Raggiunta in incognito
Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una
villa del fratello di Niccolò Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di
s. Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a
Lubiana e giunge a Vienna. In questa città G. presnde subito contatto con
alcuni esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e
il bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria
all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica
lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice
dell'Istoria civile, G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del
concubinato de’ Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione
alla fede di Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De'
rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della
potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le
scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle
cassare ed abolire -- che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La
posizione di G. sembra migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la
scomunica e revocata e G. ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli
concesse una pensione annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli
non riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli
permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di
fermarsi a Vienna e si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia
appareno diverse confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia
di quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni
ecclesiastici della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta
Vitagliano pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a'
regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica
della città di REGGIO, in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il
criticarlo. G. e allora costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a
Napoli in forma manoscritta. Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche
sopra l'Istoria civile del Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio
si tratta di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un
primo tempo decide di non replicare. Ma durante la villeggiatura a
Perchtoldsdorf, nei dintorni di Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera
conosce una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione
manoscritta, e segna la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra
Risposta di G. fa seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria
civile di Napoli (Napoli) di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente
della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non disposta a
seguire la lezione di G. Fallite le speranze di ottenere un incarico a
Vienna, G. riprende l'attività forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti
viennesi e napoletani, scrive il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti
di quest'ultimo alla nomina, poi non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la
morte di Gentilotti e il saggio De' veri e legittimi titoli delle reali
preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale detto della Monarchia,
sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo
due saggi: la Breve relazione de’ Consigli e dicasteri della città di Vienna,
commissionatagli dal reggente Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra
che l'arcivescovado beneventano e sottoposto al regio exequatur, come tutti gl’altri
arcivescovadi del Regno, saggio scritto su incarico della Città di
Napoli. Nel frattempo, continua la fortuna europea di G. e dell'Istoria.
G. comincia a corrispondere regolarmente con Liebe e i Mencke, iniziando la
collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive la Dissertazione intorno
il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una
moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli, che,
tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum sui temporis” di
Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per la sua
conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella
filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il
principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i
più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste
sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il
progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a
Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il
Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia
la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al
popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun
riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a
ENEA -- e , dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno
celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea
della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari,
mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in
parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i
fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni
mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --,
riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del
Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento
evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE
IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della
superiorità rispetto allo stato mondano, temporale. Nella composizione del Tri-regno concorrevano
diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con
cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana,
per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia
ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre -
l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile -
ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a
Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca
(particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle
Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes
sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo
senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le
Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi
secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea
di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata
criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di
Mosheim). Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria
civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale,
dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo,
però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più "istoria
civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente,
fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana
muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a
entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno. Si impede così la
pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la
diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli
archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano
in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad
Amsterdam. La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone
determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con
ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche
G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere
solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli
rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le
trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale
veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia
con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri.
Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione
dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile
cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In
realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo,
Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare
sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia, Oddi, fa pressioni sul governo della
Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per
screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica
veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi.
La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile.
G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del
Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a
Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche
questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera. Dopo
oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato
sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la
casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su
un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi
fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese,
sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A.
Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento
ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si
reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto
della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran
cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro
di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che
Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani,
offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un
concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro -
aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino
parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano
per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio
sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e
in contatto con l'editore Bousquet, che
annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da
l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a
Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al
calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue
precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese
dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet.
Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore
Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che
G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e
pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in
territorio sabaudo e arrestato. Ormea da disposizioni per l'arresto al
governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del
rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine
esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso
il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui
fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna
la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro
savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In
questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone
Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G.
accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di
Vésenaz. Si trasferì a casa di Gastaldi.
Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e
arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso
Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo
ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da Sedelmayer) andava di paese in paese urlando
di aver catturato "un grand'uomo". Giunto a Chambéry Gastaldi
consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento
nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i
prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il
marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al
quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma,
ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di
Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano
sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto,
perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.
Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da
lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi
sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per
l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello
stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi,
a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del
Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve,
bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio,
e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi.
Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi
errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano. Il testo
dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che -
contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A
convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in
libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite
al conte Giuseppe Amedeo De Magistris, governatore del forte, sono per la
migliore sistemazione possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione
detta "la speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite
in legno e chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria
al giorno, purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il
confessore del forte, e puo leggere e scrivere, purché le sue opere non
uscissero da Ceva se non per Torino. Nel tempo di prigionia cebana G. termina i
Discorsi sopra gli Annali di Livio e scrive altre tre saggi: l'Apologia de'
teologi scolastici, l'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno, e L'ape
ingegnosa. In esse riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto
nell'Apologia de' teologi scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e
sottoposta a UNA VERA DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di s.
Gregorio Magno. Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione
dell'Apologia, e una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno
papale una vasta parte dove essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori
libertini, in particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis
historia di Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa,
vasto e complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra
le opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici.
Nonostante la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono
aparsi i suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes
ecclésiastiques contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne
depuis son établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile,
curata da Bochat e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa
indicazione dell'Aja. Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane
preoccupava le autorità ecclesiastiche, a Ceva
G. entra in contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo
incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi. A causa
dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte
nella Guerra di successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo
tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più
dure: il governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini
particolari per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile
a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto
il Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia
al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie
cui lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le
condizioni della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a
Torino non e passato inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con
personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università
Ricolvi e Rivautella, e, soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi
libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla
Biblioteca reale tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli
all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi.
L’interesse destato da G. suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il
nunzio a Torino, Merlini, protesa presso
il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sono
divenute più severe. In realtà G. continua a scrivere e a ricevere
libri da Villettes e da Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una
lettera ad Ormea che sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente
composta non e esaudito. Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei
prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa
e distrutta. Altri saggi: “Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con
bibliografia, in cui sono comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine
scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre
opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano;
Triregno, a cura di Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di
edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del
"Triregno", a cura di Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e
Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di Alatri, Roma; un manoscritto
del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un testo inedito di G., a cura
di Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere del carcere l'unica
sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta di
varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di Merlotti,
Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a cura di Minervino, Fasano;
Lettere autografe, a cura di Minervino (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto
affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino,
Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a
cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze
di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato
arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi
austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche
bibliografiche, Bari; L. Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G.
riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e
documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e
religiosa di G., Milano; G. e il suo
tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, "Risorgimento ghibellino":
Ferrari lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del
Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana;
Ricuperati, G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress
on the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The
Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli"
di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche,
Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel
pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church
(you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an
‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This allowed him to
philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone. Keywords: la
terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi – Liguria –
commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --. Storia di
roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Giavelli:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- semantica del
segnare -- segnante e segnato – filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo italiano. Grice: “I
love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a northern Italian, he is
a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about
Javelli is that he commented on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian
philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta
contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus
de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di
Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di
Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in
"Angelicum", DBI.Casale Monferrato. Crisostomo Javelli was born
in 1470 c., presumably in Piedmont, joined the Dominicans, and died in 1538. On
Javelli see ÉTIENNE GILSON, « Autour de Pomponazzi: problématique de
l'immortalité de l'âme en Italie au début du XVI° siècle », Archives d'histoire
doctrinale et littéraire du Moyen Age, 28 (1961), p. 163-279 (esp. p.
259-277); MICHAEL TAVUZZI, « Chrysostomus lavelli OP (c. 1470-1538). A
Biobibliographical Essay: Part 1, Biography », Angelicum, 67 (1990), p.
457-482; ID., « Chrysostomus lavelli OP (c. 1470-1538). A Biobibliographical
Essay: Part II, Bibliography », Angelicum, 68 (1991), p. 109-121.He is the
author of a Compendium Logicae, which includes eleven treatises. The structure
of Javelli's work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also
Paul of Venice's Logica Parva (unlike Paul of Venice, however, Javelli
does not deal with obligations and insolubles). The eleven treatises deal
with the following topics: I. Introductory remarks, which include a short
history of logic; Il. terms (this part corresponds to the doctrine dealt
with by Aristotle in De Interpretatione 2-5); III.
propositions; IV. the five praedicabilia (this section corresponds to
Porphyry's Isagoge); V. the antepraedicamenta, the doctrine of the
categories (praedicamenta), and the postpraedicamenta (this treatise, as is
clear, corresponds to Aristotle's Categories); VI. syllogism; VII.
supposition theory; VIII. ampliatio and appellatio, i.e. changes in the
supposition of a term and changes in the tenses of verbs; IX.
theory of consequentiae; X. de probatione terminorum (this treatise deals
with the ways in which it is possible to show the truth, or the probability of
a proposition); XI. demonstrative syllogism (this part aims at expounding
what Aristotle says in his Posterior Analytics). The
treatise was first published in 1540 in Venice. The Compendium was rather
successful, and went « through some thirty editions between 1540 and 1629
»?" Javelli had many teaching positions within the Dominican Order and,
most probably, he wrote his Compendium logicae for didactic purposes. The
tendency to systematize the 'new' logic of the late medieval authors and to
present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in
Savonarola's Compendium. Javelli was also influenced by the humanists, inasmuch
as his treatises draw attention to the linguistic, and historical context in
which ancient logic arose. If Lorenzo Valla criticized Paul of Venice for the
latter's unfamiliarity with the Greek language, Javelli dwells on the etymology
of many key terms of logic, and shows a certain familiarity with both Greek and
Latin. In his historical section, Javelli maintains that Socrates and
Plato « were not strong in answering and solving because they did not
have logic, even though they were strong in asking questions or in raising
doubts » (« licet potentes essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen
ad respondendum et solvendum propter logice carentiam »78). Logic was founded
on its proper grounds by Aristotle, for whom Javelli has words of deep
admiration: Hence, the Author of nature gave us Aristotle, who first
discovered true logic with his almost divine mind and organized and brought it
to completion in all its parts, so that we could discover the true rule of
knowing that guides the human mind in arts and sciences." TAVUZZI, «
Chrysostomus lavelli OP ... Part I», p. 461, fn. 15. Logicae Compendium
Peripateticae, ordinatum per Reuerendum Magistrum Chrisostomum lauellum
Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de Colonia,
Olvssipponae 1556 (henceforth, [AVELLUS. Compendium logicae), fol. 4v.
79 IAvELLUs. Compendium logicae, fol. 4v: « Ut igitur vera sciendi regula
directiva humani intellectus in artibus et scientiis inveniretur, datus est
nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene divino ingenio primus
logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit ac perfecit »
(my translation). These words implicitly show the ideological
background of the Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic
logic. Javelli was aware that many topics of his treatise had not been
discussed by Aristotle, but he nevertheless thinks that these doctrines are at
least Aristotelian in spirit. When Javelli introduces the theory of suppositio,
in the seventh treatise of his textbook, he states that doctrines like the
suppositio are consistent with Aristotelian philosophy, even though
Aristotle did not propose them , and this will be clear to you once you progress
in logic, philosophy of nature and in metaphysics under the guidance of
Aristotle.* Javelli's attitude in finding an agreement between the
doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of later thinkers has been
already underlined by Michael Tavuzzi, and may be said to be a trademark
of his Compendium. After his sketchy history of logic, Javelli defines
logic as a rational science® and states that its generic subject is mental
being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the " ens
rationis ratiocinativum, quod est idem quod argumentatio ».* This remark
echoes Barbò's claim that the object of logic is the ens rationis, but Javelli
seems to harmonize the 'Thomist' solution with the position of Albert the
Great, because the ens rationis is qualified as ratiocinativum and this is said
to be identical to argumentatio. According to Barbò, Albert the Great taught
that the object of logic is 'arguments': Barbò noticed the similarity with what
he took to be Aquinas's position, but stressed nevertheless the difference
between the two medieval Dominicans. Javelli implicitly unifies their
positions. According to Javelli, logic is a science and not empirical
knowledge, because it has proper subject and proper principles: the presence of
these two elements is enough to hold that it falls under the rational sciences,
and is divided into sub-disciplines according to the scheme that Aquinas
introduces in the Proemium to his Ibid., fol. 183v-184r: « etsi non habeantur ab
Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi constabit postquam
in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in physicis atque
metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf. MICHAEL TAVUZZI, «Herveus Natalis and the
Philosophical Logic of the Thomism of the Renaissance », Doctor Communis, 45
(1992), p. 132-152, esp. p. 148-150. LAVELLUS,
Compendium logicae, fol. 5v: « [llogica est scientia rationalis discretiva veri
a falso ». Javelli adds that « [logica est ars artium et scientia scientiarum,
qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie clauduntur » (fol. 6r);
this statement echoes Peter of Spain's claim that « dialectica est ars artium,
scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens' » (Petri
Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione,
apud F. Sansovinum, Venetiis 1572, tr. 1, fol. 2v). Ibid., vol. 8r: « [s]ubiectum in illa universalissime
sumptum est ens rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse
extra intellectum ». Ibid.,
fol. 8v. Ibid., fol. 11r. commentary on the
Posterior Analytics.8 In his treatise on terms, Javelli stresses that terms
signify ad placitum, and that verbs are always tensed. 88 Javelli has something
interesting to say about propositions. According to him, a proposition 1s
omething s (oratto verum vel falsum signtcans Indicando s) the Clause
'indicando' is meant to exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set
of propositions. Javelli adds that only present tensed propositions are
propositions in the fullest sense, because past-tensed and future-tensed
utterances do not signify anything that is the case or that is not the case,
and thus cannot be true or false: The phrases (orationes) in the past and
future indicative tenses do not signify primarily and per se 'true' and
'false', unless they are transformed into a phrase in the indicative present
tense.' This is not sufficient evidence to suggest that Javelli's
understanding of propositions was analogous to Savonarola's and, regrettably,
Javelli does not add many details to his definition. In the same third
treatise, Javelli deals with modal propositions as well, and in this case the
didactic aim of his exposition could not be more evident. He deliberately
avoids all technicalities and limits himself to stating some basic principles
of modal logic: modal propositions are defined as categorical propositions to
which a modal operator has been attached as a prefix. There are four
modal operators for Javelli: necessary, contingent, possible, and impossible."
Javelli maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by doing so he
refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by Aquinas in
his De propositionibus modalibus. Javelli adds that also 'per se' and 'per
accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent'
respectively: Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de
necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non>
sunt formaliter modales."2 Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione, 2, 16a19-20. This claim, although consistent with Aristotle's
littera (cf. De Interpretatione, 3, 16b6-7), is at odds with Savonarola's
exposition. This suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there
were several debated issues. LAVELLUS.
Compendium logicae, fol. 26v. 9 Ibid. fol. 28v: « Orationes etiam modi
indicativi temporis praeteriti et futuri non significant primo et per se verum
et falsum, nisi reducantur ad unam temporis praesentis indicativi» (my
translation). " Ibid., fol. 58v. 92 Ibid.,
fol. 59r. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it
intelligible. This observation seems to suggest that modal
syllogistic is grounded on Aristotle's theory of predication. " Javelli,
however, does not expand this interesting intuition. Furthermore, even though
he is aware of the distinction de sensu composito/de sensu diviso, he does not
consider the problems that such a distinction may create within modal
syllogistic.' His exposition of modal logic is intentionally simplified for
didactic reasons; after having expanded modal conversions, Javelli adds: « that
would be enough for now, lest you get confused, young man » (« haec pro nunc
sufficiant ne tu iuvenis confundaris »)." The tendency to simplify the
core notions of medieval logic brings sometimes Javelli to modify
significantly these doctrines, as is the case in his supposition theory.
Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere theory
of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for interpreting
sentences." Javelli, on the contrary, seems to consistently maintain that
the supposition theory is what we would nowadays call a theory of
reference." According to him, the supposition is said to be the
positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings. In
this sense, we say that in this utterance 'God is good', the 93 It
is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an
increasing consensus among contemporary scholars: cf. PAUL THoM, The Logic of
Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer,
Dordrecht 1996 (The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the
History of Philosophy, 43); MARKo MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic,
Harvard University Press, Cambridge, MA 2013. 94 The laws of
conversions for necessity propositions are valid de sensu composito; mixed
necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the modal operator is
read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's modal logic is
inconsistent. Javelli, however, seems not to be aware of this philosophical
problem. His exposition of the distinction between de sensu composito and de
sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito modus aut praeponitur
aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de sensu diviso modus nec
praeponitur nec postponitur dicto, sed 95 mediat inter partes dicti
» (IAVELLUS. Compendium logicae, fol. 61r). LAVELLUS. Compendium logicae,
fol. 62r. % According to CATARINA DUTIL NovAES, suppositio provides
mechanic rules, by means of which we can list all possible interpretations of
an ambiguous sentence. The theory of the suppositio may also serve the purpose
of finding the references of the elements of a sentence in certain context;
writing about Ockham, Novaes observes that « supposition theory is better seen
as a theory of propositional meaning in the sense that one of its main purposes
is to provide an analytical procedure for determining what can be asserted by means
of a given proposition - a procedure including, but by no means limited to, the
determination of the entities that the proposition may be about, i.e., its
possible supposita, as it would be the case if it were a theory of reference »
(« An Intensional Interpretation of Ockham's Theory of Supposition », Journal
of the History of Philosophy, 97 46 [2008], p. 365-393, here p.
367). PETER T. GEAcH presented supposition theory as a theory of
reference in his classical monograph Reference and Generality. An
Examination of Some Medieval and Modern Theories, Cornell University
Press, Ithaca, NY 1962 (Contemporary Philosophy). term 'God'
stands for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is
good.'8 Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter
of Spain and by Peter of Mantua," but in his view the supposition theory
is a theory of reference: A substantive term in or outside a proposition,
taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a
proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes 'to have a
reference' [...]. For 'to signify' is to introduce a term or a sound to
represent a given something. ...] As a consequence, it is up to the first
authors who give names to things to make it possible to signify. 'To have a
reference' is to take an already given meaningful term so that it can refer to
any of its meanings or references in a proposition. 10° According to
Javelli, 'supponit' may be translated with 'refers to a suppositum'.
Javelli was faced with two alternative interpretations of the suppositio. But
surprisingly, he endorses the one that is more at odds with his understanding
of suppositio as a theory of reference. Javelli writes that Thomists were
debating among them as to whether a term can suppose (supponere) only in a
proposition or also in itself. Javelli maintains that a term supponit only in a
proposition - a conclusion that is certainly more consistent with an
understanding of supposition theory as a theory of meaning, '' Javelli points
out that this debate originated from the interpretation of Thomas Aquinas,
Summa Theologiae I', q. 39, art. 4, ad 3. Javelli summarizes Aquinas's position
as it follows: In his answer to the third never refers to a Person,
unless ‹the word› is determined by its corresponding predicate, such as in
'God TAVELLUS. Compendium logicae, fol. 184v: « dicitur
suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo suo significato. In quo
sensu dicimus quod in hac oratione 'Deus est bonus', ly 'Deus' ponitur pro suo
significato, ut sit sensus, id quod significatur per ly 'Deus' est bonum
». Cf. Ibid., fol. 184v. Ibid.,
fol. 185v: « terminus substantivus in propositione et extra [propositionem] per
se sumptus significat, sed non supponit nisi in propositione. Pro cuius notitia
adverte quod significare precedit supponere [...]. Nam significare est imponere
terminum sive vocem ad aliquid certi representandum. [...] Unde facere
significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. ...J
Supponere autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in
propositione pro aliquo suo significato vel supposito ». Cf. Ibid., fol. 186r. generates, 'God is Father', 'God
is Son'. Hence means (significet) a substance with a quality, a name
properly means (significat) a quality, i.e. the form on the basis of which the
name is attributed ; however refers to (supponit) a substance, i.e. to
the thing to which such name is attributed 3 This leads Capreolus to
maintain that « this is false: 'God does not generate God' » (« ista est
falsa 'Deus non generat Deum' »). 104 If we were to follow Javelli's
view, it is possible, I think, to maintain that a proposition like 'Deus non
generat Deum' may also be true, inasmuch as the term 'Deus' in this context may
be taken to refer not to a Person. Consequently, it would be true to say that
God, qua Trinity, does not generate God, qua Trinity. 105 This example
shows that Javelli had original ideas, even though he never wanted to
explicitly detach himself to the core tenets of that 'Thomistic school', to
which he belonged. 106 Ibid.,
fol. 186r-v: « in responsione ad tertium dicit quod homo per se supponit pro
persona, Deus autem per se supponit pro natura. [...J
[Plostquam beatus Thomas dixerat quod Deus supponit per se pro natura, statim
declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem, ut cum dicitur
'Deus creat'. [...] Numquam autem supponit pro persona, nisi determinetur per
predicatum relativum, ut 'Deus generat', 'Deus est pater', 'Deus est filius',
ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro persona ». Johannis Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis
Defensiones Theologiae Divi Thomae Aquinatis, vol. I, ed. CESLAS PABAN, THOMAS
PÈGUES, Alfred Cattier, Touronibus 1900, p. 222: « nomen, licet significet
substantiam cum qualitate, proprie tamen significat qualitatem, hoc est formam
a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia, hoc est pro re cui
imponitur tale nomen ». Ibid.,
p. 224. According to the Catholic dogma, it is God
the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the
term 'Deus' supponit pro persona independently (and, hence, in every context),
it follows that a proposition like 'God does not generate God' should be false.
The sections on syllogistic are the less
original parts of Javelli's treatise. Geli — Rossi modum definiendi,
dividendo et demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione
tamen distingui turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur
in e, in quantu utens relpicit alias scientia. Logica docens sufficienter
diuiditur in tres partes. Prima est in qua tradatur de
terminis in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de terminis secundo intentionis,
et iste est liber praedicabilium. In secunda consideratur
de terminis primx intentionis, et iste est liber praedicamentorum,
et post praedicamentorum. Secunda est in qua tradatur de
terminis complexis, id est de oratione et propositione et hic
est liber “Peri Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et
hoc dividitur in quatuor. In prima agitur de argumentatione syllogistica
absoluta et simplici, idesi noh applicata alicui materiae et hic
est liber pnorunviln secunda agitur de syllogismo demonstratiuo,
et hic est liber posteriorum.
In tertia agitur de syllogifmo topico, id est probabili,
flthic eft liber topicorum. In quarta agitur de syllogismo fallaci,
quem dicimus sophisticum, co q* per ipsum solum
gc iteratur deceptio, et hic est liber elenchorum. Hoc est summa librorum,
quos tradidit nobis Aristoteles inventor logicae. Reliquos autem minores tradarus quos appellamus parva logicalia,
non habemus formaliter ab Aristotele.
Sed posteriores traxerunt virtualiter
ex praedictis libris Aristotelis, ita <y
eorum principia iam habuimus ab
Aristotele, ut tibi declarabitur, quando agemus de consequentiis
et suppositionibus etc. Et aduerte q? sufficientia
praedictae divisionis fumitur hinc, argumentatio ut dictum est supra Jeft
pn cipalc confideratum a logico ueluccius finis, non enim logicam quaerimus
nifl ut acquiramus habitum faciliter et ra de argumentandi ad quancuncp conclusionem.
Argumentatio aut est
quoddam totum conflans ex propositionibus, ut
tibi declarabitur loco suo, propositio vero confiant ex terminis.
Cum igitur eadem scientia sit considerari va totius et
partium, necesse esi logicum versantem circa argumentationem,
considerare de argumetatione et partibus eius,
partes autem cius fune duplices. f. propinquae et remotae
propinquae sunt propositiones remote autem termini in
complexi, nam propositiones componunt immediate
argumentarionem. Termini aurem incomplexino componut
eam, nisi quia ingrediuntur propositionem. Ex
quibus conflat in qua confiderantur termini in complexi,
ordinatur ad secundam, in qua confideratur propositio
et secunda ad tertia, in qua consideratur argumentatio,
et in ca completur intentio logicj. Conftar
igitur quomodo dinldenda sit logica, et
quae sint cius partes sufticienrcr ipsam
di nidentes. Hoc de praesenti cap. dicta fint. A quo sit
incipiendum in logica et quis ordo prosequendus ne confundatur ingenium
nouicii. In VII capite investigandum est a quo primo incipiendum fit
tractare in logica, et quis ordo m tractandis lcruandus fit, ne novicii
ingenium confundatur. Quantum ad primum aduerte quod nonulli
confidcrant logicam inquantum est DIALECTICA, id
est DISPUTATIVA, alii autem inquantum versatur circa
argumentationem, quae non solu potest fieri voce
sed et mente et scripto. Primi considerantes disputationcm
non fieri sine SERMONE, nec sermonem sine uoce,
nec vocem sine TONO, ideo a sono tanquam a priori et
communiori definitive et divisive dicunt inchoandum. Secundo
loco a voce definitive et divisive. Tertio loco a
nomine et verbo ut habent c(Tc in voce et
componut orationem et propositionem vocalem, ex
quibus componitur syllogismus sive argumentatio vocalis, qua sit DISPUTATIO
INTER DUOS. Hunc ordinem lcruat Petrus Hispanus et ratio ad hoc movens
cum fuit, quia consideravit Aristoteles in suo libro “Peri
Hermenias” acturus de propositione definit nomen et
verbum ut funr cius partes integrales per vocem, quafique non confideret
de nomine et verbo et oratione et propositione et argumentatione, nisi ut
deferuiunt disputationi, cui non deferuiunt nisi ut sunt in voce reliquit ergo
omnia praedicta ut sunt in mente et in scripto et intendit de modo magis famoso
ac notiori ad sensum, qui est modus in voce. Alii autem advertentes
<f licet modus ific famosior et vulgarior
fit, tamen experientes quod omnia praedicta habene esse IN ANIMA, in voce
et in scripto, nec unquam proferuntur voce, nec
feribuntur nisi prius mente concipiantur, unde et
dixit Aristoteles in primo “Peri Hermenias”, quod ea
quae sunt in voce, sunt earu quae sunt in anima PASSIONUM id est conceptuum
notae i signa, ideo arbitrati non sunt incipiendum a voce nec a
sono, sed a termino, id est DICTIONE. Nans
terminus ut est in mente componit
propositionem mentalem et ut est in voce, componit
propositionem vocalem et ut est in scripto, componit propositionem in scripto,
et quoniam nomen verbum et oratio poliunt
ede in mente et in voce et in scripto, ideo dicunt melius
esse quod definiantur per. Ti terminum ut pote magis communem
et per vocem. Hancjg! cur viam uc universaliorem sequemur et
prateipue quia no concrariacur priori sententiae. Nam
sicut est verum dicese. “Socrates est homo; ergo, Socrates
est animal,” sic est verum dicere, nomen est vox significativa,
ergo est terminus significativus. In plus enim se habet terminus
quod vox, quem vox non evrificacur de nomine nisi ut est in voce.
Terminus autem verificatur de nomine, in mente, voce, et
scripto. lncipiemus ergo a termino definitive et divisive.
Quantum ad iccundum adverte tp cum termini
in complexi fxnc priores fit simpliciores oratione et
propositione in via compositionis et propositiones fine priores
syllogismo, qm componunt syllogismum, et non cconucrfo, ordo foientix
requireret q prius tradaremus de praedicabilibus et praedicamentis, et secundo
loco de propositionibus utrra dat Aristoteles in
libro “ Peri Hermenias” et III loco de syllogismis
formalibus et topicis et sophisticis et demonstrativis eo ordine quo de eis tradat Aristoteles in tota arte nova. Verum quia novus logicae auditor tranft
immediate ab arte grammatica: ad logicam, et logicus accipit a
grammatico nomen et verbum et aliquas alias partes orationis
uc dicemus pro ut componunt propositionem, et propositio componit
syllogismum, ideo ne novicii ingenium inuoluatur, expedit
f>us tradare de gtib9oronis, deinde de oratide
et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico
et socundo loco tradabimus de syllogilmo formali et tertio
loco de praedicabilibus, et quarto loco de praedicamentis. Nam
abfqj notitia propositionis et syllogismi, n<» pollet novitius
i illis erudiri modo logico, ut tibi tinanif eft u
erir. Deinde procedemus ad alios tradatus
eo ordine que tibi nianifeftabimus loco suo.
Conftat igitur tibi a quo incipere intendimus, et
quem ordinem foruare, ne nouitii ingenium
inuoluatur. Hxc de praesenti cap. dida fint. Explicit
trac. primusqui Tuit de praecognoscendis ordinatus per authorem,
et reuifus per eundem secundus qui est de
partibus propositionis. N rradatu iecudo agendu est
de partibus orationis, quae apud Logicu praecipua une
nomen, et verbum et qtr» scire non poteris quid est
quotuplex sit nomen apud logicum, fifr &
verbu nisi prius noveris quod sit terminus, et quotuplex
sit. Et quod dico de termino intellige de voce. Primum quod
poni£ in definitione nomini et verbi cM
terminus apud coitcr tradatores de logicalib
apud aut Aristotele vox, ut tibi declaravim9 i tradaru
pcedeti, c.7. io huc tradatu diuidem i.4.capita.. Primum, Quid et quotuplex
sit terminus. Secundum, quid quotuplex sit nomen et verburn. III quid et
quotuplex sit oratio. IV, Si logico sufficiunt duae partes orationis,
(ciliccC nomen rectum et verbum rectum. Quid & quotuplex sit
terminus. IN pino cap. investigandii est qud sit TERMINUS et quot sine vitares
divisiones cius. Hic igitur duo ageda sunt pmo definiemus terminu declarates
singulas definitionis particulas secundo assignabimus coes, et vies
divisiones termini. Quatu
ad prnii aduerte, q? hic no intedimus
loqui de oi significato in quo fumit
terminus in doctrina Aristotelis. Sumii at eribus modis,
Prlo funii! maiori, et minori extremitate medio, et dnr TRES
TERMINI tres ex qbus coponi! oisve rus syllogismis et
de hoc ino loquemur I trac de syllogismo formali, et
absoluto. Secundo iiimitur pro definitioc rei,
quae dicitur apud Aristotele terminus quem
in se claudit, 8C terminat totam rei
definitae essentiam et de hoc modo loquemur
in trac. de syllogismo topico et demostratiuo. Tertio sumitur
pro omni co ex quo propincp constituitur
ORATIO et propositio et in quod resolvitur.
Et dico propinque quoniam sicuc apud gramaticum DICTIO componitur ex aliquibus
remote et ex aliquibus propinqj. sic apud logicum ORATIO et
propositio ex aliquibus coponitur utrocj modo.
Nam apud grammaticum DICTIO componitur propincp ex syllabis,
quoniam scipsis et non mediante alio, comfonitur aurem remote ex literis,
quoniam non ex scipsis sed mediante syllaba. Sic in proposito apud logicum oratio et
propofitio componutur propinqj ex terminis, quem ex scipsis et
non mediante alio, componuntur autem remote ex syllabis
5C literis, liter enim componut fyllabas, et syllabe
terminos, et termini orationem. Ec in hoc tertio sensu solum
intendimus in hoc trac. Ioqui ac definire terminum. Sed aduerte <jf in
tertio sensu ad huc tripliciter fumi p6t. f. communiter, ftrl de et
ftrictissime. Comuniter sumitur pro omni didionc p
pinqj componente orationem, et fic non solum nomen
dC verbum, sed etiam alis orationis partes,
ut pronome, prepositio, aduerbium etc. dicuntur termini.
Stride sumitur p omni eo quod est vel poteft esse subiectum et
praedicatum et copula in propositione. In quo sensu, nec signa universalia
nec particularia, nec adverbia sunt termini, quem no sunt nec possunt esse per
se ipsa praedicatum aut subiectum, sed modi Huc dererminatioes eorum, fifr
aduerbia sunt determinationes verbi ut “bene currit”, “hodie ucnit”
&c. Srridisfime autem sumitur pro omni eo quod est vel potest esse
extremum propositionis, extremum autem dico subjectum et praedicatum,
&*n hoc sensu copula non est terminus, quia non est EXTREMUM, sed
unitiuum extremoru, unit et copulat praedicatum et subiectum et in
hoc sensu definiuir eum Aristoteles in libro priorum diccns, (?
terminus est in quem resolvjf propositio ut in subiectum et praedicatum. His
praepositis adrerte qr hic habemus deffinire terminfl non ftridc nec
ftritisfime sumptum, sed comunircr, aliter non potiemus ipsum dividere ut
dividemus infra. Nam una ex divifionibus erit haec,
terminorum unus est PER SE SIGNIFICATIVUS, alius non per se significativus. Constat
autem ex prxdidis quod terminus non per se significativus, non cil tf terminus stricte
nec strictissimc sumptus. Definientes igitur terminum coicer et absolute
fumptfl dicimus quod est pars propinqua constitutiva orationis et propositionis.
Dicitur pars propinqua immediata orationis et propositionis ad
differentiam literarum et syllabarum, quod non nisi mediante termino
componunt orationem. undeaduerte sicut se habent lapides et ligna et fundamentum,
&p aries ad compositioncm domus, sic liter ac et syllabae et
termini ad constitutionem orationis, nam lapides et ligna non
component immediate domum, sed componunt imediate fundamentum parietem et
tectum, haec aurem imme diate dotnumrideo
illae remotae, hae autem propinquae nucupantur.
Sic in propositio, literae et
syllabae non componut immediate orationem, sed TERMINUM,
terminos autem immediate orationem.
patet ergo terminum esse immediatam et proximam partem orationis
ad differentiam literarum et syllabarum. Df conftitutiva orationis, quonia hic procedimus ex po-
ri:ad differentiam relolutionis quae supponit constitutum ex partibus.
Df ergo constitutiva orationis, quoniam hic intedimus praeparare materiam syllogismi,
quae est propositio ideo investigamus in primis,
ex quibus constituit pr immediate propositio, et
in tractato de syllogismo aperiemus ex quibus propinque et
immediate conftituitur syllogismus. Haec autem definitio convenit termino,
in mente, in voce, in scripto: quoniam terminus
in mente, est pars propinqua orationis mentalis et
in voce, est pars propinqua orationis vocalis et in
scripto, est pars propinqua orationis scripta.
Viso quid
sit terminus apud logicum cSmunitcr et absolute fumptus,
assignandae sunt generales divifiones eius, uc
Idamus iuxta quod membrum ponendus est in
definitione Hominis et verbi et orationis. Terminorum, aliquis est PER SE SIGNIFICATIVUS,
aliquis nihil per se, id est per se sumptus significativus. Terminus
per se significativus est ille qui ultra se ipsum aliquid intellectui
re-presentat, ut “homo”, “animal”, “lapis”: representat enim homo ‘intellectui
animal rationale’ et “animal” re-praesentat ‘animatum sensitivum et per se
motiuum’, et “lapis” ‘corpus terreum durum offendens pedem’. Nam SIGNIFICARE
est aliquid intellectui re-praesentare. Vnde idem est terminum esse per se
significativum et esse per se re-praesentativum alicuius
apud intellectum. Dicitur
ultra seipfum, quem re-praesentare seipsum
intelleftui est commune omni termino, cum fit intelligibilis
ab intellectu, cuius obiectum est ens communis fit num ut se extendit
ad ens reale et ens rationis ut dicemus alias. Terminus nihil per se significativus eft ille qui per
se sumptus ultra se ipsum nihil intellectui re-praesenrat -- ut “buf” et
“baf” et “biltris”. Dicoper se fumptus, ut
excipia quando proferuntur ex intentione irridendi. Tuc enim ex
proposito irridentis fumunrur ut per se significativi,
sed id NON EST ORDINARIUM. Nam pleruncp proferuntur aut exeunt ex ore
sine proposito aliquid ultra feit sum significandi.
Ad hoc autem quod sit per se significativus, oportet ut
naturaliter vel AD PLACITUM IN ALIQUO IDIOMATE ORDINARIE ET CONSUETUDINE
FIRMATA, sic vel sic ultra se ipsum significet. Dimisfo termino nihil per se
significativ, ut pote inutili proposito nostro, quando NON COMPONIT ORATIONEM
ORDINARIE ut subiectum et praedicatum, nec est pars
nec determinatio eorum ad differentiam signorum universalium
(/\x) et particularium (Vx), dividendus est terminus per se significativus.
Et prima divisione dividitur in terminum per se
significatiuum naturaliter et in terminum PER SE
SIGNIFICATIVUM AD PLACITUM. Terminus per se significativus NATURALITER est
ille, qui apud omnes homines idem uitra se ipsum re-praesentat intellectui, ut
“homo” et “animal” in mente est autem homo *in mente* vel anima species, sive *similitude*,
sive *conceptus* hominis. Se habet enim huius modi *similitude* sive *conceptus*
ut *vera imago*, puta ‘Caesari’, quae apud omnes ex sui natura
re-praesentat Caesarem (‘GIULIO CESARE’/Giulio Cesare – ‘Fido’-Fido.
Sed adverte quod non solum terminus in mente vel anima est
significativus NATURALITER sed et quidam termini dum
proferuntur, et quaedam animalium SIGNA, ut dum INFIRMUS
GEMIT, apud omnes repraesentatur DOLOR, et dum CANIS LATRAT apud
oes re-praefentatur IRA. Terminus autem PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM, est
ille qui NON apud OMNES IDEM, sed IN DIVERSO IDIOMATE diversa re-praesentat,
vel tatum in uno idiomate aliquid determinate re-praesentat, in alio
autem nihil. Et causa huius est, quia huiul modi termini non significant
ex instinctu naturae sicut interjectiones quae non sunt bene
trasferibiles ex uno idiomate in aliud, sed impositi sunt ad sic significandum
EX DECRETO ET AUTHORITATE primorum instituentium, quibus sic placuit
rationabiliter tamen, in uno quoqj idiomate res singulas
sic vel fic nominare. Et adverte quod ultra hoc quod
terminus ad placitum differt a significativo naturaliter in
hoc quod NON apud OMNES IDEM re-praesentat, dum
profertur, nec significat ex instinctu naturae, sed decreto
primi authori: in duobus aliis diffcrt. f. in modo
proferendi et in significato. Nam terminus ad placitum per se de et distinde
profertur, modo non adiit ineptitudo linguae exparte
proferentis. Termini autem naturaliter significativi propter impetum
passionis, amoris, aut timoris, aut gaudii, aut irae, ut in
pluribus truncate proferuntur, etiam remota ineptitudine linguae.
Differunt etiam ex parte significati, quoniam termini ad placitum
significant conceptum intellectus: illi autem magis indicant AFFECTUM appetitus,
quam conceptum intellectus vel animae. Sed ne novitius involuatur, hic sisto,
donec siat capax solidioris docrinae. Dimisso termino per se significati — non
naturaliter pro nunc TERMINUS SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM
multas sub se continet divisiones, quarum frequens
est udis in doctrina peripatetica [LIZIO], ex
quibus una est quod quida est categorematicus,
quida syncategorematicus. Categorematicus est ille qui tam g se
sumprus quam cum alio, tam in ppone quam
extra, aliquid ultra se ipsum intellectui re-praesentat -- ut “homo”, “lapis”,
“curro” – ego curro – nomen et verbum -- , “amo”. na “homo” g
le folutn significat ‘animal rationale’, “lapis”
[significant] tale corpus, “curro” [significant] adum
currendi, “amo” [significat aduin amandu --- “shaggy” significant
‘hairy-coated.’ -- syncategorcmaticus est ille qui per se solum sumptus nihil
extra seipsum apud intellectum significant – “What is the meaning [SENSE] of
‘or’, or ‘to’?” --. Si autem sumatur cum alio, puta cum nomine substantivo [non
adjective, ‘shaggy’] e vel cum verbo, simul significat, inquantum
determinat nomen aut verbum. Et sic signa universalia (/\x) et particularia (Vx) et preposinones
(“to”) et adverbia, et coniunctiones (“and,” “or”) sunt termini
syncategorematici. i.co significativi. Nam signa universalia (“all”,
/\x) determinant nomen substantivum
politum in subjecto ad ft a dum pro OMNIBUS, aut pro nullo – ut, “Omnis homo
currit”, nullus homo currit. Signa autem particularia (Vx, some – at
least one --) determinant subiectum particulariter -- ut “Quidam homo currit”, +>
“Quida homo non currit.” Praepositiones
(“to”) aurem determinant nomen ad constructionem pro cerro casu,
puta ablativo ucl accusative. Adverbia
determinant verbum f>ro determinato Io co, ut
adverbia localia, vel pro determinaro tempore, ut adverbia
temporis , vel pro determinato modo quantitatis ucl
qualitatis tut adverbia quantitatis et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem
determinant terminos et orationes, secundum, modum copularivum
(‘and’), vel disjuinctivum (‘or’) vel illatiuum.
exeplum primi, “et” , arcp exemplum secundi, “vel,” “aut” , exemplu tertii, “ergo,” igitur,
iracp. Inter syncategorematicos terminos
non comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam ut
docuimus signficant NATURALITER, nec pronomina primitiva, quoniam sumuntur
loco proprii nominis et certam significant personam. De derivativis autem videtur
quod sic, quem sunt ut determinationes nominum substantivum
- ut “meus liber”, “tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer
participium ji5 eft terminus syncategorematicus, compleditur
enim nomen substantiuum et verbum -- ut “legens” loquiTUni» ‘homo
qui legit’ loquitur. Ex his omnibus sequitur,
quod cum sine odo partes orationis, tantum
nomen et verbum sumendo cum nomine pronomen
primitivum, et cum verbo participium, sunt termini
categorematici, alix autem partes sine termini
syncaregorematici apud logicum, et
caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum.
Terminorum categorematicorum quidam eft primat intentionis,
quidam secundae. Prima intentio apud veros peripateticos (LIZIO)
est primus conceptus fundatus immediate in re, quod est
ens reale, ut primo apprathenditur prxhenditur ab
intellectu, -- ut ‘animal rationale’ est prima
intentio quam format intellectus, et immediate
fundatur, iit natura hominis. Secunda aurem
intentio est secundus conccprus formamus ab
intellectu, fundatus in re non immedia ce sed mediante primo conceptu,
ut esse praedicabile de pluribus
differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem
format inrellectus de homine. Nam postquam
appraehendit cp ‘homo’ est “animal rationale”, advertit ut est ‘animal
rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est praedicabilis
de quolibet suo individuo in quid, et tunc
format secundum conceptum, dicens quod natura hominis e
eo quod est ‘animal rationale’ est praedicabilis
de pluribus differentibus numero in quid et quod dico de
homine incellige de qualibet natura specifica contenta sub animali. Terminus
igitur primis intentionis est terminus significans primum conceptum,
fundatum immediate in essentia rei -- ut “homo”, “capra”,
“leo”. Terminus autem secunda intentionis est terminus
significans secundu conceptum fundatu in natura
rei median re pmo conceptu -- ut “genus”, “species”, “differentia”,
“singular”, etc; Et ne confundatur intellectus novitii hic
sisto. In tradaru aute de universalibus sive praedicabilibus diffusius et
altius de terminis pmx, et feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod
divisio termini in terminos pmz impositionis, et secundo
positionis apud nos, qui sequimur VIAM REALIUM non
differt a praecedenti. Nam “homo” in mente vel
anima excogitatus, et voce probatus, et in scripto politus,
significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz
intentionis in mente vel anima, in voce, in scripto. Et iste
terminus species ex cogitatus in mente vel anima et in voce et in scripto
et secundae intentionis, quia significat secundum
conceptum modo quo diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem
faftam inter terminos f>mx, 8( secundae intentionis, assignare eam
quae dicitur pmz, & secundx imtentionis ut penitus distinctam
aprxcedenti, qux fuit inter m x , et secundx intentionis. Hoc enim
continetur in illa. Terminorum quidam cfimunis,
quidam singularis. Cdmunis eft q de pluribus
pradicatur -- ut “homo”, “animal”, “lapis”, et apud
grammaticum dicitur nomen appellativum, quem pluribus
convenit. Terminus singularis est qui de uno
solo praedicatur -- ut piato, & fortes, et apud
grammaticum dicitur nomen proprium (“Fido”), qmuui foli
conuenk, & ad «erte <y terminus singularis
apud logicum pot fieri quatuor modis, primo
per nomen indiuidui, ut “Plato” 'ftudet, secundo
per nomen coe adiun&o pro nomine demonstratiuo,
ut hic homo studec, tertio per nomen
circtinlocutum. i «miiltas circunstantias singularizatum, ut
Sophronifci primogc nitus filius feribit, quarto
per ly, quod apud logicum, et philosophu est signum demonstrativum,
ur ly “homo”, ly alal &c. Terminorum quidam magis universalis, quidam
minus univerfalis, & utrunq; membrum continetur sub
termino communi. Magis universalis est qui
praedicatur de pluribus q minus univerfalis, nam
magis univerfiilis praedicatur de omnibus
de quibus praedicatur minus universalis, &1n
hac divisione continetur animal et homo, na
animal praedicatur de omnibus de quibus
praedicatur homo et de aliis pluribus ut de omni
animalium specie, homo autem tantum de contentis sub
homine individuis, et iuxta hanc divifionem
asfignabimus ordinationem conten Corum io
quolibet praedicamento, procedendo a generali!
Cmoadfpcdalisfimum. Terminorfim tam singularium q
communium quidam eft finitus, quidam infinitus, finitus
eft determinati et certi significati: qui scilicet fignificat
unam ccr tam ac determinatam naruram, et de
nulla alia verificatur, ut homo significat solam naturam
rationalem, animal foli naturam fenfitiuam, etc. Infinitus
est qui negat unam naturam,eam, scilicer
quam significat terminus finitus, et ucrifi catur
de quacuncp alia, ideo dicitur infinitus, id est
indeterminatus in significando, et
terminus finitus fit infinitus per appositionem non,
ut non horno, non lapis, non animal. Nam
non homo negat naturam hois, $ ( verificatur
de quat Cunc $alia« Vndc lapis eft non
homo, leo eft non homo &c. Et
aduerte q' quando terminus finitus, infinitatur
per non. iS fit tota una
diftio,ut non homo, fi autem ftet non, per se,
& homo per se, dicitur terminus non
infinitatus sed negatus -- ut “Non homo
currit”, et per terminum negatum fit propositio
negativa haec enim eft negatiua “non
homo currit”, haec autem eft affirmativa, non
homo puta leo currit. Terminorum quidam est positivus,
quid priuatiuus . Positivus est qui significat aliquam formam sive habitum
perficientem fuum fubiedum,ut uifus perficit
ocu lum «Lux aerem, iuftitia animum etc. Privativus est qui significat negationem
talis formae, relinquens taroe aptitudj k
ne in fubiedo, eo quod eft aptum hre
talem forma -- ut “caecitas,” “tenebra,” “iniustitia,” “mores furditas”, etc. “Caecitas” enim
significat negationem visus in oculo apto
here visum, modo, et te porc quo cft aptus videre.
Dicitur notanter quod est aptum habere
talem formam, qm fi non est aptum , no
uerificacur ii de eo terminus priuativus, sed
terminus pofitiuus negatum aut “non videns”,
non lucens, non audiens. Unde de lapide
haec est falsa – vera apud Grice. “Lapis est caecus,” -- vel
surdus, uel tenebrosus, haec autem est VERA. “Lapis est non videns”,
non audiens, non lucens. Terminorum quidam abstradus,
quidam a concretus. Abstractus est qui
significat formatu per se fine f- connotatione subiedi
-- ut “color”, “sapori”, “albedo”, “dulcedo”, “anima”, “iustitia”,
“spem” (‘speranza’) etc. Concretus est qui significat
formam conno i- tado subjectum, uc “coloratum”, “album”,
“nigrum”, “animatum”, “iustum”, ‘hopeful,’ etc. Et adverte quod
haec divisio coincidit cum illa, dc :t qua
erit fermo in ante praedicamentis, scilicet
Terminorum r, quidam est denominans, ut grammatica, hic est
idem quod ab li ftradus, quidam denominativus,
ut grammaticus hiccR idem quod concretus. Terminoit quidam in
complexus, quidam complexus. In complexus est ille,
qui est terminus simplex, er vel
copoficus, vel uniens in se plure? terminos per se significatiuos ad placitum,
ita tamen quod habent uim unius exem-
,a« pium primi homo, capra, leo, exemplum secundi. Scuti- K.
fer, armiger exemplum tertii “paterfamilias”, “primo-genitus,”
“sanctus Georgius”, “summus pontifex”. Comple-Jtu« est ille, qui in se aggregat
plures terminos per se significativos ad
placitum, qui NON HABENT VIM unius, sed siue aggragati, siue
separati recinet suum proprium significatum. Et
nccerminus complexus semper est oratio, aliquado sine
verbo, ut “homo [est] albus”, “animal [est] volatile,” in qua *secunda*
pars determinat, et limitat primam, aliquando cum verbo -- ut
“Homo est albus”. Vnde logici univerfaliter dicunt quod terminus
incomplexus est ut dictio. Complexus autem
ut oratio. Tuta men aduerte quod terminus complexus coitcr nominatur per
orationem infinitivam, ut deum ede trinum hominem esse risibilem, quae oratio
dicitur e(Te quid complexum, et enunciabile, ut ibi manifeftabitur, cum
loquemur de modalibus. Terminorum quidam significant sine
tempore quidam cum tempore. Significare sine tempore
est significare rem absolute sumpram non mensuratam
aliqua differentia temporis, cuius differentis sive
partes praesens, praeteritum, et futurum, et hoc modo significar
nome et pronomen sumptum loco nominis. Nam dum
dico hoitio, aut animal, homo significar rem quae est
homo absolute, et non inquantum praesntem,
aut praeteritam, aut futuram. Tu tamen aduerte quod
licet nomen significet sine tempore, nihil tamen prohibet
aliquod nomen significare tempus, aut partem temporis, ut haec
nomia, tempi, hora, dies ebdomada, mensis, annus. Nain
licet significet tempus, non tamen aliquid distinctum a tempore, et
mensuratum tepott. Per oppositum autem significare cum tempore est significare rem adiunda aliqua differentia temporis.
Et hoc modo verbum et participium significar cum tempore.
Verbi gratia “curro” et “currens”, significant currum pro
tempore praesenti, et non aliter, “cucurri” pro praeterito etc.
Unde significare sine tempore, ut dicemus infra, proprie convenit
nomini, oppositum autem convenit uerbo. Terminorum
quidam univocus, quidam AEQUI-VOCUS, quidam analogus. Univocus est qui sub UNA definitione
naturam unam significat, sive sit una specie, sive ana geacre -- ut “homo”
sub hac definitione, est ‘animal rationale’, significat natura humanamquae est una
spe, &aul fub hac definitione, est ‘corpus animatum
sensitivum’, significac naturam animalis quae est una genere. Aequivocus est
qui sub distindis ronibus, et abfqj ordine, et immediate plures
naturas significat distinctas spe -- ut “canis” significat
immediate ‘canem coelestem’ sub hac definitione quod
est sydus in ore sigui leonis, et “canem latrabilem” sub
hac definitione quod est animal iracundum et “canem marinum” sub hac
definitio ne q* est ‘animal aquaticum simile cani terrestri’.
Analogus est qui sub diffindis ronibus ucl sub una in aequaliter
participata plures naturas quodam ordine prioris, & posterioris fignificat.
E xcmplum primi. “Sanum” (Aristotele – Grice – “Multiplicity in
Aristotle”) sub hac rone q? est esse
adaequatum in humoribus significat ‘animal sanum”,
sub hac f one q' eft e(Tc causatiuum
(imitatis significat ‘medicinam’ Isi nam, sub
hac rone quod est ede indicat iuum sanitatis, significat ‘urinam sanam.’ Prius
tamen dr de ‘animali’, pofterrus autem de ‘medicina’,
et ‘urina’: quoniam nonnifiin ordine ad ‘animal sanum’. Exemplum secundi. “Ens”
sub hac rone quod est cui debetur eflfc, significat primo ‘substantiam’,
deinde acens quoniam substantia est ‘ens’ simpfr, et “accidens” est ens “secundum
quid”, et solum in ordine ad substantiam. Hic
termini cur universaliorcs divisiones quae in docrina
peripatetica [LIZIO] frequenter funt in usu, ta i
libris termino logices, q pbiae. pr aepofirae aut funt, ut noviti9 paulatim
a(Tucfcat, & nc fim coadi frequeter singulas
repetcre. Haec dc. i .cap. dida fint. Quid et quotuplex est
nomen et verbum apud logicum. In secundo capite investigandum est quid et
quotupleg sit nomen et verbum apud logicum, sunt enim principales partes propositionis,
ut tibi manifestum erit, primo igitur agendum est de nomine secundo de verbo. Et quonia hic intendimus
agere dc partibus propositionibus, et de propositione,
& de syllogifmo, non solum in voce, sed et
in mente vel anima, et in scripto, ideo definiemus
ca non per vocem, sed terminum qui est communis nomini et
uerbo in mente vel anima, in voce, in scripto. in
reliquis autem no recedemus a via, et me* do definitiuo
fcruato a Petro Hispano, qui logicam Cui formavic ut compendium logicae totius
traditae nobis ab Aristotele, excepro libro posteriorum. Non .n.
Petrus hispano formavit tractatum aliquem correspondentem
libris posteriorum, hac forte rone,
qmcxiftimauit novitium penitus incapacem syllogismi demonstrativi,
Nos autem faciliori
modo quo poterimus particularem tractatum formabim ut paulatim
alluefcat novitii ingenium, et ne
fubito auditu libri posteriorum confusus retroccdat.
Licet autcm Aristoteles in libro “Peri Hermenias”, et
Petrus cius imitator definiant nomen et
uerbum per vocem, et nos per terminum, tn
no eri mus oppositi, nisi in hoc, quod nos
magis ample, illi autem magis ftriftc
definierunt, Considerarunt. M partes orationis folurti ut sunt vocales, nos
autem ut poflunteife mentales – vel in anima --, et vocales,
et scriptis. Unde sicut dicit Aristoteles et Petrus cf
nomen est uox, fifr et verbum, dicemus nos i
terminus, fiib quo continetur terminus vocalis
qui dicitur vox etc. Primo
igit agentes de nomine definiemus quid sit apud logicum,
et si multiplex est. Quantum ad primum adverte
cp nomen ad mente Aristotelis in voce,
in scripta est TERMINUS PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM
sine tempore, cuius nulla pars separata aliquid significat finita et
reda. Primo dr quod est terminus, quem nomen est
pars propinqua ofonis et proponis, ut patet. Et quem terminus est
quid magis commune quod sit nomen, ut patet ex op. praecedenti.
Nam et verbum est terminus, non tamen est
nome, ideo in haedefi nitide ponif
terminus ut genus. Na ut declarabimus trac
de syllogismo dialectico, pmus terminus in
definitione positus, est loco generis, quem
eoior est ipso definitor, reliqui aqte
ponuntur loco differentiae ut declarabimus Secundo
dr p se significativus, ut excipiantur termini NON PER
SE significativi -- ut “buf” et “baf” et terrmni
syncatcgorema Cici ut signa univerfalia (‘omnis’
‘all’) et particularia (‘aliquis,’ some, at least one), uc “omnis”, nullus,
aliquis, quae licet apud grammaticum fint
nola:, non tamen apud logicum, quoniam g (e fumptanon polfunt esse praedicarum ncc fubic
et u proponis, fcd tm determinant subiectum. Au aur praedicatu
uc docuimus in rertia divillonc tcrminoif. Tertio dr AD
PLACITUM ad driam termini significatis NATURALITER -- ut
interjections (“ouch!”), quod condant non clfe noia
qm no declinantur per casus, nec fune fubicdumaut
praedicacutn proponis nisi in suppositione materiali
-- ut “heu” e interie&io, heu eft bi syllabum,
& ad driam termini J. conceptus in mente vel anima,
qui NATURALITER significat ut declaratur in. i “peri
hermeneias” t Quarto dr fmc tempore ad
driam verbi, quod significae cum ege, quid fit significarc
fine rge, & cum tge iam docuimus
in divisione terminorum , et diximus q? no «nconucnit
aliquod nomen significare tempus, ve; partem tgis
-- ut dies, hora non th cum tgc. Vide tu
illic» Quihto dr cuius nulla pars
separata aliquid lighat. idi no men dividaf
in partes fiias, quz (int fyllabz ut
pr, & omne nomen nmplex, ucl quz fint
dictiones, ut in noic composi, ut est “paterfamilias,”
uel Icutiferus, et fumant g fe. i. extra
totum nomen nihil significant. Quod fic
intclliges,aut nihil orno significant ut marc. Na
nec tnamee re, g fe fumpta ali quid significant.Vel
fi aliqd significant, non th habent illuti
lignatu, quod hnt in toto noic.V.G. Hoc
nomen dhs signac |»ncipem. Si ante refoluat
in do et in minus,do uciqj signat:;f*aftum
dandi, et minus signat oppositum magis, sed ut co
ponunt ly dhs nihil fignificant. f.dc significato
ly dhs. Idem intellige de nomine composito,
cuius partes separatz et (i aliquid fignat,
non tn illud quod fignat totum nomen
ccm pofitum, ut “paterfamilias” significat rectorcm familiz. “Pater” autem per se fumptus
significat ‘genitorem’ et “familia” ‘familiam’, ica q in toto significant
ur.um, separatz autem signiS eant duo. Ethzc expositio est communis apud veros logicos*
Unde Avicenna recitat in logica sua aliquos dixifle,
quod verbum in complcxum est cuius nulla pars separata
aliqd significar. fi quod fic de intellectu et
significato totius qm nl hil , phibct aliqd
aliud fighare -- ut “magister” nam “magis” aliqd significat:
et “ter”, sed non tetinent significatum quod significat
“magister” nec in totum nec in partem. Er
fic paret quod haec definitio
conucnic nomini cam simplici, quam composito,
tam primitivo, qua derivativo, dum ntodo intdligatur,
uc cxpo luimus. Sexto de finitus ad
differentiam nominis infiniti, quod et si
apud grammaticum sit nomen, non came apud
logicum, quoniam apud ipsum nomen est
illud, quod potest elie subjectum et praedicatum in propotitioc.
Subiectum autem et praedicatum oportet, ut determinate aliquid
significent, afr propotitio effec inutilis, nec deferuirct syllogismo
formado ab intellcdu pro inquirenda ucritatc.Vndc et terminus acq liocus
inntilcm facit proponem, niti fumatur determinate.
Verbi gratia canis coeleftis lucet. Sed
uc docuimus in divisione septima terminorum,
terminus infinitus nihil determinate tignat, ideo cum non
postit esse fubicdum & praedi catum
proponis non cft nomen apud logicum
niti fecundi! quid, ut dicatur nomen non fimptf r sed
nomen infinitum, sicuc solemus dicere quod “chimera” non est nomen REALE sed
nomen fidum, quia nihil significat sed imaginarie. Sed dices, apud logicum hzc
cft propotitio. Non homo currit, ergo poteft effc fubicdum,
& per confequcns nome. Respondccur. Tales propositiones sunt
inutiles ti teneatur nomen infinitum in sua infinitate &i n deccrminationc.
Si autem determinetur ticdiccndo. Non homo.i. asinus currit tunc propotitio erit utilis,
sed nomen infinitum non remanet infinitum, fed zquiualet
finito. Septimo dicitur redus ad differentiam
obliquorum, qui non fune nomina apud logicum. Nomen enim est apud ipsum
quod f m fe aliquid significat, 8( f m se poteft
effc fubicdum propotitionis. Sed obliqui neutrum
habent ex fe. No primum, quia tignificatum trahunt, a
redo ticur,& deriuan tur ab co. Redus autem ticut non deriuatur ab
alio tic non accipit tignificatum ab alio cafu sed habet afe. Non
secundum, quia ti apud logicum formatur propotitio perucrbif impcrfonaIe, ut Platonis
intereft legere: ly Platonis no eft subiectum, niti refoluatur in redum
tic. Ille cuius eft legere est Plato. Sic
intclUgc de aliis. Prztcrca solus redus fufficit t11 K Ir O \t. i115 s io i
ur Si rii a fr-io mn. A re 3t n ad formandam
prop6ncm pcrfedann et maxime de secundo adiaccntc, ad quam non sufficit
nomen obliquum. Haec enim cQ perfcda. Deus est, homo
est, hacc aurem imperfe da. Dei est, hominis est. Non
ergo obliqui moerentur dici nomina sed fmc cafus
nominum. Hoc de definitione nominis apud
logicum rcalem & peripateticum dida fint. Quantum ad
secundum. F quotuplex fit apud logicum, Ideft
inquantum poreft c(Tc subiectum et praedicatum,
ppo fitionis, conftat, ex didis quod non est multiplex,
quoniam solum nomen rectum et finitum poreft clic secundum le
subiedum et praedicatum in propone modo quo
expofuumus.Vnde logicus a grammatico sumit fibi
redum ut nc« cellarium ad fomandum absolutam proponem significativam
veri & falsi Reliquos auccm casus lumir adbencclfc, et magis propter servandam
congruitatcm quam veritate sermonis, ne uideatur logicus delpicere regulas
grammatices. Haec de nomine dida finr.
Quantum aduerbum aduerte quod ad mentem Aristotele
verbum cam in voce quam in scripto sic definiendum est
verbum est terminus per se significatiuus ad placitum cum tempore,
cuius nulla pars separata aliquid significat,
finitus & rectus extremorum unitiuus. Terminus ponif loco generis ficutin definitione nols, quia eft eoior uerbo. Nam omne
verbum eft terminus: sed non converso p
fe fignariuus ponitur eadem rone sicut in definitione nols fifr ad placitum ad
driam interiedionuni, et verbi mentalis, qrh significat NATURALITER,
ut diximus in definitione nois, Cum tempore ponitur ad differentiam nois, et
pronominis, et conuenit in hoc cum participio quod uc- nit a
uerbo. Quid fit significarecum tempore, 8c quare uorbu et participium signifi.ar
cum tempore, uidc in diuifione undecima rerminoru. Cuius nulla pars
separata aliquid sfignificar, intelligcndum est de verbo tam simplici quam
composito, sicut expofuimus in definitione nominis,
in hoc enim uerbum conuenit cum nomine,
finirus ponitur ad differentiam uerbi infiniti. Infinitatur
aute verbum sicut et nomen per appofitionem negationis,
ut non curro non laboro. Quod quidem apud logicum no eft verbum,
qm nihil determinate significacficur nec nomen infinitum. Undefacc rct proponem inutilem:
nili determinetur licut diximus de nomine infinito,
sic dicendo, fortes, non currit» I « feribie» Re cius ponitur ad differetiam uerbiobliqu^cft autem uerbum obliquum apud logicum uerbum prztcriti et
futuri temporis, et verbum cuiuslibet modi przter
modum indicativum.Vnde quaedam fune uerba
obliqua ex tempore ra tum,ficut uerba praeteriti
temporis, et futuri indicativi modi, ut “amavi”, “amabo”. Quaedam
autem ex modo rantum uti imperativa tempore przlenri.
Quzdam ex modo, et tempore, ut uerba optatiua, et
subiunctiua et infinitiva temporis praeteriti et futuri. Ideo autem apud logicum
non fune verba, quoniam non faciunt primo et perfcipfa propofitionem
veram aut falsam, sed per redudionem ad verbum indicatiui modi et
temporis przfcntis. Nam hzc non cft uera
Czfar fuit,nifi quia aliqii fuit uerum
dicere Czfar cft» Sifr* hzc non cft
uera.Eclipfis crir,nifi quia aliqh erit
uerum dicc rcrcclipfis eft. Quoniam igitur
folum uerbu redum,»i»mo- di indicatiui
przlenns temporis facit per se ipfum propofitionem veram et
falfam, et sola propofitio indicativa pinis temporis facit syllogifmum dcmonftrariuum
.i.fcicntialcm ut tibi declarabitur in rrac. De syllogismo demonftratiuo,
ir dignatur logicus recipere a grammatico solum verbum indicatiuum praesentis temporis,
et przcipucfum, es, cft:quo niaminipfum ut dicemus
refoluuntur omnia uerba dida adiediua.Excremoru
uilitiuus ut in hoc diftinguatur a nomine et
pronomine fumpto loco nominis, nam illa
funt ucl
poffunt elTc extrema in propofirione,ideft
fiibiedum et pdf catum, verbum autem non, fed
habet unire extrema. Unde dicitur apud logicum
copula, qm copulat przdicatum cum fubiedo. Item
in hoc diftinguitur a participio, q» licec
significet cum tempore ut uerbum
tn non poteft effe copula, nec facit g
feipfum oronem perfedam, dicendo fortes Ic gens,
sed cft necefle fubintelligerc
uerbum» Verbi gratia foftcs eft legens, ucl
fortes leges eft ftudiofus. Conftac igiC quid
fic uerbum apud logicum, & quare folum
uerbum i e- dum. i. quod no deriuai ab
aliquo priori: quale est uerbum lotum indicatriui modi
tgis prxfcntis,vnocrctur dici abfolute uerbum. Reliqua aut tga; & modi
dicantur obliqui fiue cafus uerbi refti,
quoniam defcendunr, & deriuatur ab eo. Quotuplex
auc fit verbum apud logicfi, non est immora
dum ex quo solum ucrbu rciftum moeref apud ipsum dici
nierbum ex rone ia di&a. Sed apud gramaticu
ideo est multiplex verbum, ut
patet in coniugationibus verborum, et
I regulis fiiis, quoniam non attendit ad formadum propone
veram aut falsam sed congruam, et uitare incongruam et
quoniam per oes tgis drias, & oes modos
uerborum for mari por, et alio modo g
uerbum aftiuum, aIio modo g paf fiuum
&c.ideo apudgramaticum uerbum mulcipfr
diuidic. Nam
gramaticus concedit iftaurpocecongruazho eafinus
f| negat logicus, ut falfam. Hxc de. 2. cap
dida fmt, Quid fit et quotuplex fic oro
apud logicu. IN tertio cap. poftqua actum est de partibus oronis
age» dum est de ipsa orone
ut de toto conftitutot cuius praecognitio ideo nccciraria est
quoniam feire non possumus qd fit enunciatio et propo, ut tibi
manifeftabitur infra, nifi pus notum fuerit quid, et quotuplex fit
oro. Hic igitur tria age da funt, primo quid fit, secundo quotuplex sfit
tertio qua orationis species sit propofitio.
Quantum ad primum aducrtcip ad mentem Aristotelis oratio in
voce et in scripto, fic definiri debet, Oratio eft terminus per se significatiuus complexus ad placitum,
cuius partes separatx aliquid sfignificant. Primo dicitur eft ter g
le significa rone, qua didum eft de
nole et uerbo et ponitur loco generis,
quoniam eoior e. Nam ols oro eft
terminus per se significatiuus : fed non ccd
uerfo. Difhim eft enim cp nomen et verbum
funt termini per se significatini, non tamen sunt oratio.
Secundo dicitur complexas ad
differentiam hominis et uerbi, quo nullum fiuc
fimplcx, fiuc copoficil, e termiiim complexus. Quid autem
fit terminus complexus nide in diuifione
decima {terminorum , et illic inucnics
quomodo proprie conuenic oration. Tertio dicitur
ad placirum, ad differentiam ofonis mentalis, qux significat
conceptum mentalem complexum, qui conceptus
lignificat naturalr, sicut diximus de nomine et
uerbo mentali – in anima. Praeterea, oro in uoce, et
in scripto significet ad placitum, probatur fic. Partcs
fux. f. nomen, et uerbum significat ad placitum,
ut docuimus in cap. prxccdentJ ergo et ipsum
totum confoturum ex eis, quod cft oratio. IV
di cuius partes feparatx aliquid significat,
id ponitur ad differentiam nominis & uerbi, quorum
partes, uc docuimus in eorum definitionibus, non fignificat aliquid fc
parate, modo quo illic expofuimus, partes aute ofonis fune termini
caregorematici, intclligendo de partibus principalibus ficut intendit Arift. Si non de partibus
secundariis, quae polfiint eife propones aduerbia etc.
Termini autem catcgo rematici tam in oronc,
q extra retinent fuum lignatum, ut docuimus
in diuifione tertia terminorum. Vn fi
fiat hxc oro, “homo albus currit”, ho extra
hanc oronem fignat aial ronale, ficut et in
oronc, & albus significat habens albedine.
Tu tamen aduerte cp licet fit commune omni orationi haberepartes qux separatx aliquid significant,
non tamen id fit uno modo i omni oronc,
nam fi oro fit fine uerbo, ut ho
nio albus, partes fux aliquid significant
modo, quo significat dictio. Si afit fiat oro
fimplex per uerbum, uc “homo est animal,” partes fux separatx eodem modo significant.
fut didio. Si aurem fiat oro subiuctiva,
ut si veneris ad me dabo tibi equum, partes lux funt dux ofones ut patet.
Unde si separentur, significabunt non ut diftio, sed ut ofo.
Vcrura quia refoluitur m duas orationes, et dux orationes in
terminos componentes, ur ego dabo, tibi equum, ideo commune est omni
orationi quod partes fux separatx aliquid significent, aut ut dictio, aut ut
oratio. Sed dices. Quare in hac definitione non apponitur finitus et rectus,
sicut in definitione nominis et verbi, prxeipue a quia dictum
eft q nomen infinitum nori potest esse fubiecti nec praedicatum,
nec verbuni infinitum potest cflc copula,
fimiliccr nec nomen obliquum nec uerbuni
obliquum. Reipondetur quod ideo non opponitur,
quia in definitione non debent poni nili
quae conucniunt omni contento fub definito, non omnis
autem oratio formatur ex nominee et verbo finito, & redo. Nam haec eft oratio,
non homo currit et haec, Catonis est legere, et
haec, homo currct. Qn aut diximus quod nomen
infinitum et obliquum non poflimt ee subicdum, no fumus locuti de orone sed de propositione,
qm sola oratio indicatiua praetentis teporis
ut dicemus eft propofitio. Qm igitur aliqua orario
poteft coponi ex nomine iufinito, et obliquo, fitr ex uerbo, et
aliqua non, puta propo firio,idco non
dicitur redus neque finitus, fed abftrahit ab
utroque. Conftat igitur quid fit orario apud
logicum, Quantum ad fecundum aduerte, quod apud
logicum oratio prima diuifione diuiditur in
orationem perfedam et imperfe&ani,
deinde utruncp diuifionis membrum fubdiuiditur,
nidebis infra. Oratio perfeda est illa quae perfedum sensum gencraf in animo audietis,
id eft quod audita quietat, quo ad significatum intentum a
PROFERENTE (“utterer”) uel feribente, animum auditoris,
Verbi gratia. Socrates intendit notificarc Platoni
ftatfl regis, et dicit. Rex ualet fortis in
bello contra hoftes,
Hac ratione audita quiefeir animus audientis. Quod fi dicar.
Rex contra inimicos, et non ultra procedat, imperfedum fenfum generat in animo audientis,
id eft non quierat ipfum ideo dicitur oratio imperfeda. Nam audiens rex contra inimicos,
ultra non proceditur, dubitare incipit uti£
prae ualeat, an fuccumbat contra inimicos
fuos, patet igitur ora tionis prima
diuifio apud logicum. Oratio perfefta
continet quinque species, quae funt indicatiua
temporis praetentis, &
omnium temporum modi in dicatiui, ut “Petrus
amat”, amabat amauit, amaucrat, amabit imperativa, ut “fac
ignem”, deprecativa , ut “Ora deum pro me”. optativa,
ut – “ut inam te videam doctum”. coniunctiva. ut “fi
ucncris ad mc, honorabo te”. Omnes iste dicuntur pcrfic
auditae quierant ANIMUM AUDIENTIS quo ad earum significatum,
nec ipsum suspensum tenent. Tu tamen
aduertc, quod imperantia, et dcprecativa non dit fefunt
penes modum nec tps verbi, sed penes
appofitos respectus. Nam utracp fit per modu imperativum,
sed deprecativa fir proprie ad superiorem, imperatiua
aOt ad inferio rem. Item aduerte quod coniunftitia ad hoc q»
fit oro perfecta oportet, ur coplcfiatur duas orones, aliter no quierat animfi audientis,
ut parer, reliquae uero spes per unicam ofonem quictant audientem,
ideo per feipfas funt perfectx. Oratio
autem imperfeda tres cotiner species secunduqs tribus modis poteft formari. Nam formatur per nome fubftatiuum cum adiecfiiuo,
ut “homo albus” “animal risibile”. vel
per duo sobftantiua per appositione, ut
animal homo, deus pater, Deus filius. Et hacc
eft prima species et formatur per foliim
infiniriun, ut fortem currere. Si autem apponatur fum,
es, eft, cum termino modali cricpcrfectarut forte currere
eft posfibile. i t haec eft fecunda species, et
formatur per verbum Jcipir, et definit, ut fortes incipit,
fortes definit.
Siautem apponatur ifinfriuum efficitur perfecta,
ut fortes incipit conualefcere, fortes definit
fcriberc, et hoc est ter tia species. Item aduerte <y oratio perfecta
poteft fieri per unicum nomen, tielunicum ucfbum,
et maxime quando sic responsiva interrogative
Vt fi qtiis a te petat. Quis uenit do rnum?& RESPONDEAS,
Petus, Vel sic, nunquid fortes uenit? Et RESPONDEAT: “Venit.” Confiat igitur
quo dividenda sit oratio apud logicum.
Quantum ad tertium aduerte quod sola
orario indicativa est pmo et per
(e propofitio. Dico pmo et per se qm
alie species non fiunt propofitio, nifi
reducantur ad indicatiuam. Vnde ifta: “Si homo volaret,
haberet alas”, non est propositio, nisi reducatur in istam:
“si homo volat, habet alas.” Et indicari u •
prxreriti aut futuri temporis, non est
propolitio nifi reducatur ad indicatiuam
praefenris temporis. Nam ifta: “Ad a fuit, ideo
eft^iera, quia Aquando fuit verum dicere.” Adam est
sciliccc quando Adam cxiftcbar. Ratio autem propter quam apud logicum sola
oratio indicativa est primo et per se propositio, est, quia intentum logici eft
uti oratione ad investigandum verum etfalsum, ergo cam proprie recipit, quae
secundum fe significat verum et falsum, et hoc est
indicativa. Nam alis potius
deferuiunt affectui mentis qua quod sint ordinatae ad enunciandum verum et
falsum conceptum animi aut intellectus. Quod pacet hinc. Imperativa indicat
voluntatem superioris per imperium, optativa indicat desiderium sive
affectum optantis. Praedicatiuc indicat affectum inferioris erga fuperiorem per
supplicationcm. Coninndiua autem licet uideatur exprimere uerum aut
falsum conceptum mentis, non tamen determinate, fed fufpc fuic, est enim conditionalis
quae ut dicemus in cap. de hypotheticis nihil
ponit in ede. Indicativa autem dcterm.nate di cic
verum aut falsum. Nam hxc eft determinate vera, homo est animal, et haec
determinate falsa homo est lapis, ideo. sola'm ceretur dici japofitio.
Proponicur enim imelledui ut per eam formet syllogismum,
et per syllogismum deueniat in ucram conclufionis
nociciam. Conflat igitur quae orationis perfeda species mcerctur logice
dicipropofitio. Unde aduerte, quod logicus non tantum magni facit oronem
congruam et ornaram, quantum veram, ita etiam fi
eflfct incongruam et inornata, modo uerii et falfum cnuncict,
accepta eft apud logicum, ppterea logicus acceptat
iftam, deus feruitur ab hole licet cam reprober
grammaticus negans feruior inueniri pasfiuum. Hoc de prxfcnti cap.dida
fine. OlnUli/ Si logico fufficiunt dux
orationis partes scilicet nomen re» verbnm redum.
Caput quartum. IN cap. quarto inueftigadum
eft fi dux orationis partes fciliccc
nomen & uerbum redum fufficiunt logico. Tu
igitur aduerte , quod logicus rationabiliter
reripjt tantum duas, ut fibi neccflarias,grammaricus,
autem odo Ratio uero djfferenrix est hxc. Logicus
et grammaticus dififerunt fine. Intendit enim
logicus fcire, difcerocrc ucrum a falfo, grammaticus
autem intendit fcire difccrncre congruum sermonem
ab incongruo. Ad confequendum primum fufficiunt
nomen & uerbum , quoniam fufticiuncad
componendum .ppofirfone, quae eft significans verum uel
falfum, ut tibi manifeftabiturin trac. lequeti
ad formandi! congruum sermonem, et diftinguendum ab
incongruo no sii Hiciunt nomen et uerbum, sed
oportet uti praepoficiqnibus, et aduerbiis et coniunftionibns,
S(c. Et
ideo ut grammaticus
habeat omnem modum formandi SERMONEM congruum, nccc sTarix
funt fibi plures partes orariois, quam
nomen rectum et verbum rectum. Et qm ifte dux fibi sufficiunt, ideo
appellat eas categorcmaricas, id est per se significatiavs, alias autem
syncategorcmaticas, id est simulsignificativas. Quis autem fit terminus
categoricus et syncategoricus
diximus in divisone tertia terminorum. Sed dices.
Logicus indiget pronomine demonftratiuo, ut quando dcfcendic
sub subiecto propositionis univerfalis affirmatiue uel
negatiue dicendo, omnis homo cft animal, cf
et “hic homo est animal”, et hic est
animal etc. Item iniget participio, ut dicemus
in trac.fequenti, quando rcfoluit propofitioncm falsam
de uerbo adicdiuo in fuum parti
cipiurn & Ium es eft, ut fortes currit,
fortes eft currens, ergo faltem quatuor
partes orationis funt ei ncccftariae. f.nomcn et
pronomcn, uerbum, et participium. Refponderur nomen et pronome
apud logicum funt, uC una pars, qm utitur
pronomine loco nominis, et participii! ftar cum nominee et uerbo.
Cum nomine quide, qm poteft efte fubiedum
propofitionis ficut et nomen, ut legens currit, et stat
cum uerbo, qm fignificat cG tepore, ut docuirmrt fupra, et
ideo apud logicum identificanrur nomini et uerbo
licet apud grammaticum remaneant diftinfte. Conflat igitur cp
fint partes orationis necclfariae dialectico ad
formanda propofitioncm et ex propofitionibus syllogifmum. Hoc dc
prxfcnti cap.dida fint. Explicit rradatus secundus copcndii logices
peripateticat ordinatus per authorem et fuit de partibus propofitionis. Incipit
QVT eft de propofitione et speciebm cius. Nhoc tertio tracta, agendum est de
propofitione, gratia cuius praemifimus tradatum praecederem, in quo a&uin
est de partibus eius, et de genere per quod definienda eft, et hoc eft oro ut
tibi manifcftabitur. Diuidemus autem
ipfumin fex capita. Primo agendum eft de propofitione definitiue & diuifiuc
prima diuifione. Secundo agendum est de categorica simplici et de olbus eius
diuifionibus. Tertio agendum eft de, pp6ne hypothetica et eius spebus. Quarto
agendum est de propone categorica modali. Quinto agendum eft de
aequipollentiis propofitionum categoricarum fimplicjuni, qux funt oppofitx
contrarix, fubcontrariae, conrradiftoriae, et subaltcrnx. Sesto
agendum eft de aequipollentiis modalium
oppofitaif. De ppone, quid fit et cius prima
diuifione. In primo capitulo agendum eft
de propofitione quid fit & quotuplex in genere sive
prima diuifione. QuStum ad definitionem aduerte, <y sic
definitur de me te Aristotelis. Propofitio eft oratio
uerum uel falfum significans indicando. Primo
dicitur oratio, loco generis, eft enim in plus oratio
quam propositio: dictum est enim in
tract. praecedenri, oratio perfcfta diftinguitur in
quinque species, ex quibus sola INDICATIVI MODI est propofitio, ergo
omnis propofitio est oratio perfecta, sed non econuerso, ex consequenti est
genus propositionis, propofitio autem est species orationis jjcrfe&c. Sicut
animal est genus hominis, homo autem est species animalis. Nam omnis homo est
animal, sed non econuerfo. Secundo dicitur verum vel falsum
fignificans, pro cuius notitia aducrte, cp cum proponum alia iit
affirmatiua, alia negatiua, ut declarabimus infra. Significare ucr u in
affirmatiua est significarc rem sicut est.Verbi
Gratia haec est ucra, homo est rationalis, quia
fic eft ex parte rei. Vnde hoicm
e(fe fonalem cft ucrum Significare uerumin negatiua eft fignificare
rem ficut non eft. Verbi Gratia haec eft ucra –
“Homo non est asinus”, quia fic eft in re.
Vnde hominem non esse assimum est verum. Significare falsum in propone affirmativa
est significarc rem aliter q fic.V.G. hzc est
falsa, “Homo est lapis”, qih significat hominem esse lapidem, et tamen aliter
eft. Significare falsum in propone negatiua, eft non significarc rem sicut
cft.V.G.hatc eft fal(a, homo non cft animal,
quia non figni fjcac ficut eft. Nam homo
eft animal, ergo fallinn eft ipluin non
efte animal. Dicitur ergo in
diffone, uerum uel falfum. fignificans ad differentiam oronum imperfectarum,
ut homo albus, afinus rudibilis, et oratio infinitiua,ut
fortem cur rcrc, et oratio famularis, ut Socrates incipir,
nifi.n.aliudadda tur, non solum non quierant animum audientis,
fed nec dicut aliquid devero aur
falfo nifi copleantur per aliud. V.G*
Si ly homo albus addatur homo eft
albus.Si ly fortem currere addatur, est verum vel possibile vel contingens.
Si ly
fortes incipit addatur, e(Te bonus. Conftat ergo g
fc funi ptz nihil dicunt de vero aut falso.
III dicitur indicando quod dupliciter exponitur, primo fic,
indicando, id est est oratio modi indicatiui verum vel falsum significans.
Vnde alii definiunt propositionem dicen te$, quod propositio est oratio
indicatiua verum vel falsum significans. Et id ponitur ad differentiam
orationum perferarum quae fiunt per alios modos, per imperativum, optativum,
et cetera. Nam ifte ut docuimus in trac przcedcnti in capi
trrtio potius dclcniiunt nobis ad manifestandum
affectum mentis, quam verum aut falsum conceptum intellectus Orationes etiam modi indicativi temporis prztcriti
& futuri % non significat primo et per se verum
et falsum, nisi reducantur ad unam temporis przfentis indicativi ut in eode
loco docuimus. Sola ergo oro indicativa temporis praelcntis moe-retur dici
propo, quia sola lufficit ad formidum syllogitmu aliae autem non,
iuli reducantur ad illam: ut tibi mamfcftii erit
in trac. de syllogifmo formali:
iccudo ab aliquibus exponitur ly indicando.i. aflercndo.Verum
id non vf convenire omni propositioniilcd
tantum propolicioni in materis naturali, quae necessario est vera,
et in materia remota,
quae de necessitate est falsa. In materia autem contingenti cum possit elle vera
et falsa, non pot dici afiertiue fea opinatiuc quod significet verum aut falsum,
ideo melius est ftarc in p ma expone,
quae etiam est de mente Aristotele in. i. peri hermeneias.
Quid aut fit & quo fiat propo in materia naturali sc contingente et
remota dicemus infra in hoc met. tradtatu.
Con^ itat igitur quid fit propofitio apud
logicum. Quantum ad primam diuilioncm
proponis aduerteqj ad metem Aristotelis in primo periher.
dividitur primo in categorica et hypothcetica, dicil categorica
gratee predicatiua latine, categorizo enim graccc et
praedico latine. De hypothetica graece, SUPPOSITIVA latine,
est enim graece ‘hypo’, “sub” latine, et “thesis” graecc,
“position” latine. Ratio autem divifionis est haec,
quia omnis propofitio significat verum aut falsum, et
eft quid compositum et omne compofitum cft refolubi
Ic in lua immediate componentia. V
el ergo propositio componitur ex terminis immediate,
et in eos relolujtur immediate non in aliud immediate.
Et sic est categorica, quae coponitur immediate ex subiecto et
praedicato et copula, modo, quo dicemus infra.V el
coponit I mediate ex duabus oronibus per
aliq coiudione puta ergo, fi, et uel, et imediate
in eas rcfoluit, et ille imediate i terminos, et
fic eft hypo thctica, ut dicemus in ca.III
huius tradatus. Catcgorica pero dividitur in simplicem et
modalem. Simplex est in qua praedicatum fimpfir dicitur de subiedo – ut: “Homo
est animal.” Modalis est in qua praedicatum dr de subiecto non simpflr sed cum modo et
determinatione, -- ut: “Homo est animal necessario”, “Homo est
albus contingenter.” Et de modali agemus
in cap.IV huius trac.Hsc de primo cap. dicta
fint. Dc propositione categorica et omnibus cius divisiombus.
In II cap. investigandum est, quid fir propositio categorica et
quot fint cius divisiones, et de singulis agendu est excepta modali,
de qua agemus loco luo, primo igitur definiemus
eam, deiiide accedemus ad divisiones. Quantum ad definitionem aduerte,
quod ad mentem Aristoteles sic definitur Propositio categorica est propositio
j qux habet subjectum praedicatum et copulam taquam
principia es partes fui. Ponitur
propositio loco generis. Omnis enim popositio categorica, est propositio, sed
non e converso. Nam et hypothetica est propositio, et tame
non est categorica. Dicitur quae habet subiedum
et cetera. hoc totum ponitur ad differentiam
hypotheticae, cuius partes principales sunt dux orationes,
in quas immediate refoluiturtut patet in jfta. “SI
tu curris, tu moveris” -- principales
partes et immeoiarxnon sunt termini,
sed iftx dux orationes: “tu curris” (p), et “tu moueris”
(q). prim autem et niediatx sunt termini ex
quibus hxc orario componitur, “tu curris”, et haec, “tu moveris”.
Dicitur igitur quod
principales partes categoricx non funr orationes,
sed termini, ex quibus immediate componitur,
quorum unum est subiectum, alterum praedicatum,
alterum copulat -- ut -- “homo est animal” – “homo”
est subjectum, “animal” praedicatum, “est” copula,
coniungit enim praedicatum cum fubiecto. Sed aduerre: ut fcias quomodo in omni categorica est subiedum copula et
praedicatum, quod sit tribus modis, p„ mo per verbum fum, es, est, de tertio adiacente
. Est autem categorica de tertio adjacente quando post fum,
apponitur alius terminus – ut: “Fortes est animal.”
In hac constat de subiecto et praedicato et
copula, secundo sit per verbum adiedi-uum. Est autem apud logicum omne verbum adiediuum, praeter lum,
es, est, in quod relbluitur omne verbum adiediuum etinlitum
participiumtut fortes currit fic reloluit. “Socrates est currens”. “Socrates”
est subiectum, “currens” praedicatu “est” copula,
tertio sit per verbum sum, es, est, de secundo adiacente. Est autem categorica de secundo adjacente,
qn poftum, es, est, alius ccrminus no fcquit –ut: “Deus
est” -- coelu est et in hac est
allignarc tubum praedicatu et copula, alio mo q
in praedicis, afljgnat auceduplV , pmofic, deus est. i.
deus est habes cire, “deus” est fubum,
habes esse est pdicatu, est copula, se cudo
fic Deus cft d. deus cft exiftes. Dens est SUBJECTUM
EXISTENS praedicacum, “est” copula. Nonulli dicunt tp
in caregorica de fccudo adiaccntc, eft
gerit uicem copulat et prxdicaci, et id
uidetur innuere Aristoteles in pmo perihcr.ubi definient uerbum
inquit et est iemper eorum qux de altero praedica tur nota,
ideft uerbum semper se tenet a gte prxdicati. Con
fta: igitur quid fit propofitio categorica
iimplex. Sed dices quare magis dicitur categorica,
ideft prxdicatiua quam fubicdiua, cum tam
fubiettumq praedicatu fmc partes cns.
Prxtcrca quare terminus praecedens verbu fum cs, est,
dicitur fubiectum, subsequens autem dicitur
prxdica tum, et ipsum uerbum substantivum dicitur
copula. Refpondetur ad pmum, cp
oe copofitum denominandu eft a parte sua
digniori. Unde homo dicitur rationalis et
intellectualis ab anima intellectuali, qux dignior cft in eo qui
sensitiva et vegetativa. Prxditatu aute dignius eft fubicfto qm cftficut
forma, fubiectu vero sicut materia, et dicemus intra cp
talia funt fubiefta, qualia, permittutur a praedicatis.
Cogrucigicdicn categorica. i. praedicativa et no subiectina
Ad lecundu dfp ideo terminus praecedens verbum
de subiectum, quia de eo df prxdicacum ira
cp fubiicitur prxdica to, V ndc et gramarfeus
appellat ipm suppofitu. Terminus vero subseques verbu
df praedicacum, quia prxdicatur et df de altero.
i.dc fubiecto. Vnde apud gramaticum df appofi tum.
Et
aduerte q? totale subieftum est ois
terminus prxee dens copulam, fiue unus fiue
plures fint. V. G. “homo est animal”, homo eft
fubm, homo magnus et honoratus e pneeps in
ciuitarc, fubieftu funt oes illi termini
prxcedetes, pars au tem liibicCti quilibet
eorii. Ide intcllige ex parte prxdicati. Sed dices. Quarc
fubieftu & pdicatum per fe inuice
notifi eant sive definiunt, cu definitio
circularis uideatur. Inutilis Refpondetur quia
hntrefpedum ad inuice, fubiedtum. rtfpicit praedicatu
& praedicatum rcfpicit subiectum, ficut ft
lius rcCpicic patrem, et pater filium. Respediva aute conuenienter
per fe inuicem norificantur & definiuntur, qm
mutuam habent dcpcndentiam. Sedde hoc alrius
loqucmur in trac. de praedicabilibus, p
nunc fuftine tu iuuenis ne inuolua ris.
Conftat igitur tibi quid sit propofirio
catcgorica. Quantum ad cius diuifiones aduertc, ut
habeas plenam de cis notitiam, fic difponendae
funt. Propofitionum categoricarum, alia affirmativa, alia negatiav.
Secunda. Alia vera, alia falsa. Alia cuius quantitatis, alia
nullius. Alicuius quantitatis alia uniuersalis,
alia particularis, alia indefinita alia singularis. QuIta. Alix gticipacvrroc
prermio, aliae altero, aliae nullo.
Participantium urroqj termino, aliae participant
qtroqj termino eodem ordine, aliae ordine
conucrfo. Participantium utrocp termino siue eode ordine siuc
coverfo quxda formantur in materia naturali,
quaedam in materia contingenti, quaedam in materia
remota. Odaua. Participanrium utroqj termino
eodem ordine tam in materia naturali q in
materia contingenti et in materia remota quaedam sunt contrariae quaedam
subcotrariae, quaedam contradiftorix, quxdam fubalternx. Nona.
Participantiu utrocg termino ordine couerso et I n triplici materia (iuc
naturali fiue contingenti fiuc remota quxdam conuertuntur conuerfione fimplici,
quxdam converfione per accidens quxda couerfioneg contrapositione Omnes iftx
diuifiones dantur de, ppofitione catcgorica fimplici qux dicitur de inefle.i.in
qua prxdicatu simplicicci4 et fine determinatione facta g alique fex modo. sucrfi
falsum nccef Tariil cotingens, posfibile imposfibile, dicit de subiefto Quae
aut ex his diuifionibus coueniat et categoricati modali dicemus in cap.
quarto huius trac. De singulis aut divisionibus agedu cst
in spe et ordine, quo prxpofitx funt. Verum antedcfcedamus in spe^nl
aliqua prxdi et artMi diuiltonu datur de substantia, pponis, aliqua de
qualitate, aliqua dc qtitatc ut cibi declarabit infra, ideo ad viem notitia
diuifionu, quae fiet toto hoc noftro opere, ne funus coadi idem faepius
repetere, praeponendi fune omnes vfes modi, quibus folct
fieri diuifio. Tu igitur aduerte <y in doctrina
Aristotelis divisio fit quatuor modis generalibus.
Primo generis in Ipccics. Secundo totius
in partes. III vocis significata. IV diuisio secundum accidens. Divisio
gnis in spes, fit duobu modis pmo
gnis^n (pes (ut> alternas, ut qndiuiditeorpus
p alata et inaiatu, et aiatu per fenfitiuu St
no (cnfitiuu, fecundo gnis in spes spalissimas,
uc qii dividitur color per albedinem et nigrcdinem.
Et hac divisionem cognosces in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes
fkqncp modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas indiuiduales,
ut qn dividit ho in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo qn totu dividitur in partes eflcntia
lcs, uc ens naturale compositu dividif in materia et
forma, sicut dividit homo in animam et corpus, III
qn dividitur totu co tinuuin partes suas intcgralcs, ut
domus in fundametum, tc» dii, et pariete, et
corpus animalis in partes, qufe sunt membra sua,
ex qbus integrat corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in partes fiias,
inter quas & fi no fit continuitas est
rame ordo et proportio. Hoc rao dividif EXERCITVS in
mtlitcs, cqtcs peditcs, 8(c. quinto qn diuidif totu poretialc fiue
poteftariufi in partes fuas poreftatiuas qn
diuiditur anima per potentias fuas &
virtutes fuas, ut tibi manifeftabitur i libro de anima,
et ifra manifestabimus tibi in libro de syllogismo Topico
Divisio uo cis in sua significata sit
tribus modis primo vocis univoce in significata
uniuoce, ut qn dividif ho in fortem et platone
etc, secundo vocis aequivoce in significata aequi-vocata,
-ut qn diuiditur “cancer” in ftclla fiue signum
ccelefte, et aquaticum aial, et morbum, III vocis
analogicae in significata analogata, ut qti
diuiditur “sanu”, iu alal (anu, urina lana,
medicinam sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et
cetera Et hanc divifione cognofccs in trac. de pntis.; Divisio secudu
accidens sic tribus modis, primo subiefti in
accidentia, ut holum alius parvus, alitis magnus 1
alius albus, alius niger, alius medio
colore coloratus, (c3o accidentis!in subiecta, ut
accidentifi, qux funt m hoie, aliud in aia, ut seia,
aliud in corpore, ut agilitas etc. tertio
accidentis in accidentia, ut accidcntiu, quarda dura,
quaedam liquida, qnada lucida, quaedam tenebrosa, et
hxc divifio manifestabit tibi in philosophia naturali et
praecipue in libro de generatione. Ifti igitur sunt
iqodi univerfales famofiores apud Aristotelem,
quibus fieri confutuit divisio. Quantum ad
pmam divifionem, quac est per affirmatiua et negatiuam
aduerre, quod affirmatiua dupfr definitur, pmo fic, Categorica affirmatiua
eft. ppofirio in qua praedicatum affirmatur de subiefto:
-- ut: “Homo est albus”. Sed adverte cj» tuc
praedicatu affirmatur de subiectc quando
negatio no p cedit copula, q? fi praecedit negatio,
negatur pdicatum de subiecto, et efficitur negariva –
ut hic “Socrates non est albus.” Si au tem
fiib fequitur no efficitur negatiua, sed permanet affirmatiua
,-- ut: “Homo est no albus”. Ire adverte
«p alio modo affirma! pdicatum de fubiecto
in affirmatiua uera & in falsa, na
in vera affirmatur re et uoce quia
fic eft in re, ficut dr, ut homo re & uoce est risibilis.
In falsa atite affirmatur uoce tm et non rc. Nam licet dicam
q» “Homo est asinus” tarhe non fic eft in re, secundo definitur fic.
Affirmatiua eft in qua verbum pncipale affirmatur de fubiedo, ut “Homo est animal.”
Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam uerbi secundarii qtiod
fi negattir uel affirmatur,
propter ipfum non fit propofitio affirmatiua
nec negatiua. Vnde ifta non eft negatiua. Socrates
qui non currit, mouetur, nec ifta eft affirmatiua,
“Socrates, qui currit, non movetur.” Nam In prima licet uerbum secundarium,
quod eft, currit, negetur, tamen principale quod
eft mouetur, affirmatur, ideo permanet affirmatiua. In
IccQda autem fit oppofito modo, ideo
permanet negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii secundarium
fe tenet a parte subiecti, q3 paret refoluedo
in fuu participiu fiuc aftiuum fiue
pasfiuu,ut hic. Sortes
qui non currit, ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, Socrates
qui currit, id est Socrates curreni non mouerur: Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no
facit propositionem dic affirmatius ucl ncgariuam,
tcd
negatio cadens fuper uerbum principale fiue immediate,
ut quando lubfequitur fubiedum, ut “homo non
est afinus”, sive mediate, ut “Non homo est
animal”, dum modo fumatur negatio negans, et no
infinitam terminum, cui opponitur, nam fi infinitarer,
non faceret negatiuam. Vnde lixc non
clt negative. “Non homo currit”,
qm ly non homo clt nomen infinitum, etc. Vnde non
homo curru, xquippollet ifti, afinus qui ft no homo
currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua
Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua. Categorica negatiua dupliciter
definitur. Primo lic,
categorica negatiua eft propofitio in qua praedicatum negatur de luolubicfto,
auc ho non eft lapis. Secundo fic, eft propofirio in qua uerbum
principale negatur . Dicitur verbum principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus
siue affirmetur sive negetur, non facit proposirionem
affir.aut nega. Et aduertc,quod propofitio poreft
fieri afflr. uel nega. dupliciter lcilicet explicitc et
IMPLICITE. Si explicite, fit per nomen et uerbum
indicariui modi, ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per
unicum terminu, ut quando dicimus, “homo est risibilis”,
et e converso, ly e converso aequippollet uni
propositioni, qux elf hxc, et risibile est homo. Item aduerte quod divisio per afflrmativam
et negativam non foium convenit categoricae
sed etiam hyporheti cac et moduli, quomodo autem fiat
hypothetica affirmativa et ne gar. similirer modal
s, dicemus agentes de eis. Nunc autem fuftine, ne
confundaris ut nouus auditor. Hxc de prima
diuifioncdi&afint» Quantum ad secundam diviisionem categorica:
fciliccc per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam
affirmatiua quam negatiua dupliciter definitur. Primo fic, uera eft, qua:
significat uerum , id eft significar rem sicut eft, si est
affirmatiua, vel significat rem sicut non est, si est negatiua. Sed de hac
latis diximus in ca. pr scedenti in
dedaranlo definitionem propofkionis secundo autem fir
defiintur. Vera cft illa, cuius fignificatum primarium est verum.
Significatum autem primarium cft illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam.
Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n.
eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum ad differentiam
secunda rii. sccundarium autem eft quod continetur in primario 8c
fcquitur ad illud. Verbi gracia
primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem
fcquitur cfte ani mal, clfe animatum, ede
corpus efie fubie&am. luxta igitur significatum primarium et fccundarium
indicanda eft propofirio uera,qm cft ucra
primo et per fe ex eo,
ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf
“Si fortes est homo, fortes est animal.” sed
non ceonuerfb, ut declarabimus in trac. dc
confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi est
qux aliter significat quam fit in re, ut hxc cft
falsa, “Homo est ansinus”, quia significat hominem esse asinum,
et tamen aliter est rn re, quia in re no
est asinus, sed homo sive rationalis, et de
hac definitione iam di ximus in cap.
prxccdentiin definitione propositionis. Sccun do fic, falsa est illa cuius primarum
significatum est falsum. Verbi
gratia hxc est falsa “Homo est asinus”,
quia holem esse asinum est falsum, cu fic
ronalis, et asinus irratroalis. Quodfi fiereciudicium secundu SECVNDARIVM
SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod est dfe animal, effet vera.
Nam hxc est, vera homo est animal v non tamen sequitur,
ergo est afinns, ut declarabitur tibi in trac. De
consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad tertiam diuifionem
fcilicet quod aliqua eft alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius
quantitatis eft illa, cuius fubieftum ftat pro aliquo ucl pro aliquibus uel pro
omnibus uel pro nullo, ut declarabitur in diuifione sequenti. Nullius
quantitatis cft illa cuius fubicftum fufpcnditur a propria denoiationc, ronc,
pbationis termini prxcedetis ip Ium quails eft exclufiua cxceciua reduplicatiua,
de quaif , p- Satiqne a<fturi fumus in trac.de probationibus ter tuc.n.ap arebit tibi qflo ifte probatur no rone fubicfti,
uc , pbaf universalis particularis etc. sed
ronc figni fiuc fyncategdfcma ris,ut exclufiua g
tm, reduplicatiua g inqtum cxccpriua p p ter, etc. T uigr fuftine
donec exercitat0 magis fueris, et ad ji di&u erae dcuencrim9. Haec de tertia diui.,
p niic dida fint. Quantum ad quarta diui. f. quod proponum alicuius qtitatis alia eft vPis,
alja particula.alia indefi. alia fmg duo ageda
fut primo declarandum eft qflo hxc divisio est sufficiens, secundo pertradadum
est de quolibet eius membro. Quantum ad pmum aduerte quod qtitas
proponis atteditur penes fubm prout ftat, p
pluribus aut uno lolo. Pot igituf
cofiderari fubin dup Tr. Primo fi ftat pro uno folo. Secundo
fi pro pluribus fi pro uno (olo,
{ira cp uni (oli couenit facie ponem fingu. fi pro pluribus,
hoc dupfV, quia vel pro pluripus indeterminate vel determinate,
fi indeterminate fic fam cit, pp6nem indefi. fi determinare duplr quia hæc determinatio fubti vel sit per signum vle affirmatiuu vel
negativum, ut omnis nullus, et sic est propo ul’is,
uel fit per signum particulare affir- uel
nega et fic eft propo particularis Costat igit hxc divisio eft liifficiens.
Et fiquxras quid fic qtiras, pp6nis. Hkiideo quod ficut
Qtiras fubx proprie accipit iuxta mensuram
longitudinis, et latitudinis et , pfundicaris, fic quantitas ,
pp6nis (umit iuxta menfuram fubiedii, prout
uerificatur praedicative de uno uel plunbus. Conftat igitur quo hxc
diuifio eft sufficiens, et quid fit et unde fumitur
qtitas propofitiois. Quartum
ad secundum aduerte, quod propofitio uniucrfalis dupliciter
definiriH-. Primo fic, propositio viis tam affirmativa quam negativa est
illa, in qua fubiicitur ter. communis signo uniucrfali determinatus.
Prinio dicitur in qua fubiicitur terc6is. iponitur in fubie fto ter.cois.i.q por coucnire
et pdicari de pluribus, apud
gramaticum dr nomen appellatiuum -- ut “homo”, “capra”,
leo» Secundo dicitur figno uniucrfali
dctertninatus figna uni uer Talia (untquxdam affirmatiuaut omnis quilibet
quifcp, negatiua sunt, nullus, nihil, neuter , dicunt uniucrfalia quia
faciunt ftarc fubicdum pro olbus aut pro
fnullo ut ifta rft uniucrfalis affir. “Omnis homo
est animal”. Verificatur enim fubiedum pro quolibet homine in singulari.
Nam fi omni homo est ammal ergo et ifte, & iftc, &
ifte , & fic de omnibus alii eft animal. III dicitur
determinatus. i. modificatus fiue limitatus ad standum non ablolure , lcd
pro omnibus aut (p nullo-diximus.n in tertia
diuifionc tci minor u, quod signa ufia fune termini
lyncatcgorcmatici, qm fumpticum alio, id est cum nomine
lubftantiuo determinant ipliim in propofitione addandum pro omnibus
aut \ro nullo» Sed aduerte, quod signum
uniucrfale ad hoc quod faciat propofitionem
uniucrialem fimplicirer & proprie debet ap
poni fubiedo in redo et
explicite Nam fi apponitur
iiibic- do in obliquo, non facit eam universalem simpliciter,
sed secundum quid. Vndc
ifta eu uflibet hominis afinus, currit, non eft univerlsalis absolute,
quoniam signum non apponitur ly asinus, quodest principale subiectum,
lcd ly hominis, quod quoniam est obliquus est secundarium
fiue parrialc fu bicdum. Unde pratdida propofitio absolute est indefinita,
ut tibi dcclarabitur. Dicitur explicire, quoniam
fi ponitur iplicire vel uirtualiter ucl cum
diftindione, non facit propositionem universalem forma)itcr,
sed tantum interpraetatiue» Sicut funr iftar,
totus fortes est minor forte, totum est in mundo est
in oculo meo. Non homo currir, etc. Quomodo
autem fint uniuerfales interpracatiuc declarabitur tibi
i trac. de probationibus terminorum, ubi diftinguemus de toto, et quo
ifta aequipoleat uniuerfali nega citi ac non homo currit declarabitur
tibi in cap. de acqujpolenriis catcgoricarum. Nuncautem fifio nete
inuoluam. Similiter aduerte, <y uniuerfalis affirniatiua poteft
fieri dupliciter, fex— licet collcdiue ut
omnes apostoli sunt duodecim, & diftributiue, ut
omnis homo eft rissibilis. Et iterum
diftributiue poteft fieri dupliciter, fcilicct abfolute et
accommode. Verum quomodo fiant et quo verificentur,dcdarabiturstibi
in rrac. de fuppofirionibus, pro nunc fuftinc
Haec de propofitione uniueriali dida fint. Propositio
particularis eft illa, in qua fubiicitur ter mi-
communis signo particulari determinatus.
Dicitur in qua tubiicitur ter communis,
ea ratione qua et
in propofitionc uniuerfali. De signo parti. determinatus,
ad differentiam proponis uniuerfalisz cft autem signum particulare
determinatio termini cois qui cft fubicdum in
hac propone, per quod designatur subiednm accipi non pro oibus sub
eo corcntis, sed pro aliquibus ucl pro aliquo:
ut quidam homo currit ergo vel iste vel ille,
ucl ille currit: et fufficit quod verificetur, p aliquo pofito quod tantum unus currat. Er
aduerte, quod propofirio particularis poteft fieri mul Cis modis.
I quando subiectum est ter. cois cum signo particulari tam affirmatiue quam negatiue
: ut: “Quidam homo currrit,” “Quidam homo non currit.” II per ly aliqd fumptum adieftiuc:ur
aliquid eft I manu tua. Haec est particularis virtualiter,
quoniam ly aliquid sic exponitur aliqua res est I
manu tua. Dico fumptum adjeftiue quoniam sumptum subftantiue facit
propofitionem indefinitam ut dicemus. III quando fubiicitur ter.
cois cum signo universali, sed signo
pratponitur ncgario: ut: “No omnis homo currit”, haec
enim aequipollet huic, “Quidam homo non currit.” IV quando
fubiicitur termi.cois cum signo universali affirmarivo,
sed praeponitur negatio et poft ponitur: ur hic, “Non omnis homo non currit”,
arquipollet enim huic, “Quidam homo currit.” Sed tertium et quartum
modum declarabimus fic effe in cap. de æquipollentiis categoricarum.
Haec de propositione particulari deffifinr.
Propositio indefinita est illa in qua subiicitur terminus communis, nullo signo
universali vel particulari determina rus: ut: “Homo currit.” I dicitur in qua
fubiicitur termi. communis eadem ratione, qua diifhim est in definition
propofirionis universalis et particularis. II dicitur nullo
signo ad differentiam propofirionis universalis et particularis. III
dicitur nullo figno uniuerfali vel particulari ad
differentiam cxdufiue,in qua ponitur signum:
cantum, et in reduplicativa, inquantum, qua: signa
quoniam non tunc uniuersalia, ncc particularia, ideo non
faciunt propofitione alicuius quantitates. Sed dices,
quare dr indefinita, cum aequipollcat particulari. Na ide fenlus
est dicere, aliqs homo currit, et homo currit. Rndetur, dr indefinita. i. indeterminata,
quia acceptio fu? subicecto non determinatur ad certam quantitatem secundu modum enuntiandi per
signum universale vel particulare: licet supponat subiectum
determinat ciut dicemus in tract. de suppositionibus: et quando dicitur idem fenlus
est dicere: “Quidam homo currit” et “Homo currit”,
conceditur quo ad luppoticioncm et verificationem, sed
non conceditur quo ad modum enunciandi, et sic
intendimus ipsam esse indefinitam et
non quo ad verificationem et i suppoficionem. Sed, p nunc liiftinc,
donec trademus de suppositionibus. Hæc de propositione indefinita difta sineproposirio
singularis eft illa in qua fubiicitur terminus ai fcrccus vel termi. communis
cum pronomine demonftrati primiriuc speciei, ut Plato currit.
Iftc homo comedit. U le “Homo dormit.” I dicitur in qua
fubiicitur ter . discretus, ad differens
Ciani propoficionis universalis etparticular &
indefinitae, in quibus fubiicitur ter.
cois opponitur aute ter dilcretus ter. .coi,
quoniam di fererus deunofolo est aptus praedicario
C grammaticus appellat “nomen proprium” (MARCO)
q? uni
loli conue-r nit, ut: “Plato.” Cois autem eft
aptus de pluribus praedicari, ut homo et animal, et
grammaticus uocatipfum nomen appellatiuum, quod pluribus conuenit. Secundo
vel termi communis cum pronomine demon ftratiuo.
Nam licet termi. communis de feftet pro pluribus
camenper pronomen demonstratiuum reftringitur ad ftan dum pro uno solo indiuiduo,
ideo atquipolletter. difcretcL Vnde ifta propofitio:
hic homo currit, dcmonstrato Socrates; scquipollct ifti.
“Socrates currit.” III
dicitur primitius specic, ad differentiam pronominum
deriuatiux fpccici. Sunc aucem pronomina demostratiua primitivx speciei ergo,
tu, liii, ille, ipfe, ifte, hic, & is. Derivative autem lunc meus,
tuus, suus, noster,. uciltr, nostras, ucftras. ldeo autem e
a, quae iiint primatiux speciei co flituunt
propositioncm singulare qm trahunt lubictf uni ad fajpponcndum
pro unosolo, ut iste homo demostrato forte currit, et ego.
f Petrus curro, et tu. I Piato curris. Ea vero qua sunt derivative lpei,
ut meus, tuus, non confticuunr , p- pofuioncm singularem,
non n. rcftringunt fubm, cui apponutur ad statum uno
io lo, fed pot ucrifkari de pluribus. Verbi gratia,
“Petrus het X asinos”, et dicit meus aiinuscur
rit, ly asinus no stat pro isto tm, ucl pro illo
tm sed # oibus difiuftiux. Nam si meus asinus currit,
et habeo X, ergo uclifte, ueljfte qui est meus currit. Pronomina auc demonstratiua primitiux
spei reftringur tcr.coem ad ftadu, p uno solo
demonstrato, ut ego. f. Petrus scribo,Tu vero. l. Plato dormis. Constat
igitur quid sit propositio sngularis. Tu tame
aducrte,quod no Loluni pot fieri per
ter. dilcre tum, & per tcr.coem cum pronomine demonstrativo
primi tiux speciei, sed et per tcr.r clariuum ,
ut pofito quod lo phronifcus habet tantu unum filium, cuius nomen ignoretur,
ftdico Sophronifci filius studet Papix, est singularis,
propositio similiter si dico. Pater Calix venir, e singularis,
quo uiam ifti ter.relatiui xquipollcnt termini dilcretis.Irem
potcft fieri per rer dilcrctum circumlocutum, ut
fi dico. Vir cri Ipus rubeus, et claudus
cantat in platea. Iftc enim circunsta tix
manifeliant talem hominem et non alium,
ideo reddut propositionem singularem. patet igitur quid sit propositio slingularis et
quod modis fieri contingit. Item aducrte, quod si quis te interrogat de
substantia fitie natura propositionis, dicendo. Qux propositio estifta.
“Socrates est homo”, respondere habes,
categorica et qux est ista. “Si tu curris,
tu moveris,” respoderc habes “hypothetica” vel CONDITIONALIS
(sincategoremata subordinans ‘se’). Si au ecm quis te
interrogat de QVALITATE propositionis dicendo. Qualis est
ista “Fortes currit,” respondere habet affirmatiua, et
Qualis est ista, “Homo non eft asinus,” respondendum
est, negatiua. Si ucro
quis te interrogat de QVANTITATE propositionis
di Ccndo. Quanra est
ista; OMNIS homo currit, respondendum est, universalis,
et sic de aliis. Vnde logici pro hoc triplici quæstio
formaucrunr hunc ucrfum. Quac.ca.uel ip.qualis. ne.
uel af.v. quanta.par.in fin i. Quae categorica, vel
hyporetica vel conditionalis, o suppositio (hypo-thesis). Qualis, negatiua, vel
affirmatiua. V «quanta. i.universalis vel particularis
indefinita vel singularis. Sed dices. Quae est subftantia propofitionis,
et quae cius quantitas, et quz eius qualitas. Respodetur
fuba cft cius natura sive essentia, puta
qft sit quid co in positum ex talibus partibus.
f. ex subiecto prædicato et copula ut catcgorica:
ucl ex duabus oronibus p aliquam coniundionem
coniundis: ut: “SI tu curris, tu moveris,” ut hypothetica
vel suppositio vel conditionalis. QuStitaseius est extensio subiecti ad
standu pro uno vel aliquibus uel omnibus uel nullis. Qualitas eius
est secundum quam dicitur qualismt affirmatio,
negatio, veritas, falsitas, necessitas, contingentia, possibilitas, impossibilitas.
Nam omnia ista qualificant propositionem. Unde interroganti
qualis sit ista, “Homo est animal”, respondcre
debemus, quod rft affirmatiua ucramon solum possibilis sed etia NECESSARIA
[ANALYTICA – Grice/Strawson] Quarum ad V divisionem, quae est hac, proponu
categoricarum, quaedam participant utroqj termino, quaedam altero,
quaedam nullo, adverte, quod cum termini componcnrcs categoricam sint subiednm et
prædicatum: quae Ctjam dicuntur extrema propositionis, parridparc
termino vel terminis, est conuenirc in subiecto vel in prædicato, vel in
utroque. Non participare autem est non convenire.
His prxnv.sfis adverte, quod duas catcgoricas participare
utroque termino, est eas convenire in subiecto et
praedicato, ita subiectvm prima est subiectvm secundae et prædicatum
primae est prædicatum secundæ, nec in alio differunt nili quod una est
affirmatiua, altera negativa, ut sunt istae duae, “Homo est animal”,
“Homo non est anima”l, participare in altero
termino tantum scilicet vel solum in subiecto,
ut hic: “Homo est animal”, “Homo est rationalis”,
vel in prædicaroratum ut hic: “Homo est animal,” “Asinus est animal.” Participare
nullo termino, est non convenire io subiecto nec in prædicato, ut
hic, “Homo est risibilis,” “Asinus est risibilis.” Et adverte quod hic
loquimur de participatione formali virtuali, quod dico, quoniam licet istae
duae conveniant virtualiter: “Homo est animal,” “Risibile est animal”, non
tamen formalitcr, quoniam formaliter non sunt idem “Homo et risibile:,
dato quod essent idem re, quod tamen non
conceditur in via thomistica (AQUINO (si veda)). Iterum adverte,
quod hæc divisio data est, ut cognoscatur oppositio
contraria, subcontraria, contradidoria, subalterna propositionu categoricarum
de quibus aduri lumus infra. Namilla fupponit participationem, proositionum
oppositarum urroqj termino formaliter et non solum virtualiter ut tibi
declarabitur in divisione odaua. Quantum ad divisionem lextarn, quae est
quod, proposition5' categoricarum participantium utrocg termino
formaliter, quaedam participant utroq? termino eodem ordine,
quaeda ordine converso. Adverte igitur quod
duas categoricas participare eodem ordine
utrocp termino, est sic, quod est subiectum in prima est subiectum in
secunda et quod est prædicatum in prima est prædicatum in secunda, ut hic.
“Socrates est homo”. “Socrates non est homo”, et semper
intelligedum est formaliter et non virtualiter tantuin. Duas autem categoricas participare utrocp termino ordine converso, est
sic, quod est subiedum in prima est
praedicatum in fecunda, et quod est praedicatum in prima eft
subiectum insecunda, ut hic: “Homo est animal rationale,”
“Animal rationale est homo.” Et hæc divisio deferuiet quando loquemur de conversionibus propositionum categoricarum,
ut tibi manifestabitur. Quantum ad VII
diuifionem, quae est haec. Propositionum participantium vtrocg
termino sive eodem ordine sive converso quaedam siunt in materia naturali,
quardam contingenti, quædam in remota, adverte, qnllat siunt in mareria naturali in quibus
prædicatum semper et infcpai abii:ter convenit subiecto,
et id sit multis modis, primo quando genus, aut
differentia, aut definitio, aut, proprietas, aut quali,
eas naturalis praedicatur de re. Exempla I: “homo est animal, II
homo est rationalis. III, homo est animal rationale,
IV homo est risibilis V Ignis est calidus,” “mel
est dulce”, “nix est alba.” Item quando idem
prædicatur de lcipfo:ut “Fortes est fortes” [Grice, Women are
women, war is war]. Ille aut fiunt in
materia contingentium quibus prædicatum poteft
aduenire et removeri a subiecto, abfqj hoc <y corruni. patur subiectum,
et gg hoc diftinguuntur a , ppofitionibus i,
materia naturali, quoniam in illis li
auferatur prædicatum, no pmanet subiectum. Nam si homo cedat ede animal, aut
rationalis, aut risibilis et si ignis cedat ede calidus
etc. nec ha-, mo nec ignis permanent, sed
corrumpuntur et definunt ce» Tu igitur adverte, c?o mnis
jjpositio, in qua prædicatum est accidens commune
[HAZZING] et separabile, et etiam inseparabile [IZZING],
modo non fluat a principiis fpccici, sit in materia
contingenti, utiftae, homo eft albus, ethiops est niger, aqua est calida,
etc. Dico rnodo non fluat a principiis speciei: ut pferuem rerum.
j>prietates: ut est RISIBILITAS in homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et
RECTVM in linea, fumum calorem in igne lite nancg faciunt propositionem in
materia naturali. Quid ne. ro sit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in
trac. de prædicabilibus in cap. de proprio et accidente. Illae vero fiunt in
materia remota, in quibus prædicatum non potest verificari de subiecto,
Imo id inuicero repugnant. Istae autem sunt in quibus subiectum
et prædicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel privative
ucl relative opposita. Exempla: I “Album est nigrum”. II: “Homo est non
homo”. III. “Caecus est videns”. IV “Pater est filius”. Et aducrte ,
q? dicuntur fieri i|i materia remota, scilicet
repugnanti, qm natur subiedi&i prædicatiin oibus p didis repugnant
adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1 omnis affirmatiua in materia remota
ferng et de neccsfiUtate est falsa, negatiua autem femg et immutabiliter
ucra. In materia vero naturali est opposito modo. Nam affirmariva femg
est vera, negatiua fepig falfcM Jn nuter» cotingeti ?4 est medio
m6, qm tam affirma, q nega, aliqn e vera aliqn falsa,
nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est uera, negatiua falsa,
qn prædicatum removetur, affirmatiua est falsa, negariva est vera.
Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad oAauam divisionem, quae
fuit haec, Propositionum categoricarum participatium utroqj termino eodem
ordine triplici materia. Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter
eas sit quatruplex oppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna.
Oppositio contraria sit inter eas quarum una est universalis affirmatiua &
altera uninerfalis negatiua, de eifdcm fubieflis et prodicatis univoce
&aeque ample & aeque strictca cceptis. Primo df quarum una est uniuerfalis
&c. Nam ut distinguantur a contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et
diverfae qualitatis. Si eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis,
non secundum quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra
ergo primum. Si, DIVERSÆ QVALITATIS, ergo i&fca est
affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis:
uc ois homol albus, nullus homo est albus, et dcfeftu huius iftaeduae non
funt contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn
aduerte quod subiectum et prædicatum pnt esse
idem tripliciter, pmo fm vocem tm & non
fm SIGNATVM, secundo t m. SIGNATVM tm et non fm
vocem, tertio fm vocem et SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: I “Omnis
canis latrat: nullus canis latrat. Omnis homo currit, nullum ronale
currit. “Omnis homo est alal nullus homo eft alaU
Prima identitas non sufficit ad contrarietatem, ideo
dicitur in definitione, acceptis UNIVOCE, constat aut quod
canis est TERMINVS ÆQUIVOCVS; II aut sufficit ad
contrarietatem virtuale leu ÆQVIVALENTE sed no ad
formalem; III vero sufficit ad contratietate proprie dicta et formale
[CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM
– why not both, as in J.?] , unde licet iftx duae, “Omnis homo currit,
nullu rationale currit, sint cotrariae virtualiter
eo q SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem non
tamen forma\itct, qm formaliter non participat E ii utroqj termino
secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM. III dicitur aeque ample &aeque ftrufie acceptis.
Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. “Omnis homo est animal,” “nullus homo est animal,” quoniam
in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda SOLVM PRO
MASCVLIS. Tu tn adverte, quod secundum usum i
utracp accipi confucuit pro MASCVLIS ideo acceptantur: ut ue rz contrariZj
Item defedu huius istæ dux non sunt contrariae. “Omnis
homo EST albus”, “Nullus homo FVIT albus”, quia in prima reftringitur
ad præsentes, in secunda autem ampliatur ad przfentcs vel præreritos.
Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et APPELLAZIONI. Tu tn adverte,
quod prxdldx non sunt contrariae non solum ronc di da, sed quia copula non
tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in secunda
est ly FVIT. Unde in definitione intelligendum est q'
contrarix debent c(Te de ctfdem subicdis et
prædicatis et copulis. Hoc de contrariis dida fint. Oppositio contradictoria est inter eas,
quarum una cft viis affirmatiua, altera
particularis negativa , ut “Omnis homo est animal”, “Quidam
homo non est animal”, uei altera cft vfis
negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut “Nullus homo currit”, “Quidam
homo currit”, dccifdcm fubicdis &pdicatis & copulis,
uniuocc & zque ample, et xque ftride acceptis.
Omnia debent intclligi ficut expofitum eft
dc contrariis. Ut autem habeas
maiorem noticiamdc contradidione aduerte ex
dodrina Ariftotclis, quatuor condidioncs requirit, & defedu
cuiullibct carum enitatur contradictoria oppositio. Prima est quod sit
affirmatio eiufdem de eodem et negatio, dummodo sumatur idem secundum
rem et vocem, ut “Socrates currit”, “Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria
formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE
currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte
significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE,
tame distinguuntur voce icas isb ffffi futc:
ctu OOP* uiJ' ipl> lo«
Taa jnci u$ yra (Tei. t& il* ra^
jsi» iC30 is. io» srt- t& itio, Sa ? t<p
,cof jii UOC *f sive termino, qm duo fune
termini, MARCO et CICERONE, ideo non sunt
contradictoria formaliter sed aequipolleter. Æquipollenter quidem,
qm IDEM INDIVIDVVM intclligitur per MARCO et CICERONE,
formaliter autem non, qm logicus observat oppositionem
de virtute sermonis, philosophus aute qui est artifex realis,
DE VIRTVTE rei et SIGNIFICATI. Vnde apud physicum ista contradicunt.
Materia prima est ens in potentia. Primum fubic Ctum non est ens in potentia.
Pro eodem
enim accipit materiam primam et primum SUBIECTVM. Secunda est q
duae propositiones contradictoriae REFERANTVR AD IDEM ut secundum
idem, et propter huius defeflum, illae no contradicunt, “Ethiops est
albus” detes. “Ethiops non est albus” pedes, non
enim sit prædicatio secundum eandem partem. III est. Quod teneatur similirer,
ideo iste dux non contradicunt: “Nullum animal est
genus”, “animal est genus”. Nam In negativa stat “animal” pro
suppositis, in affirmativa stat p natura communi.
Sed id non intelliges donec in tracta.
suppositionum exercitatus fueris, ideo fuftine. IV est quod REFERANTVRad
idem tempus. Et defeCtu huius, iste dux non contradicunt, fortes venit
HODIE, fortes no venit HERI. Et adverte quod omnes iste conditiones
exprimuntur in deffinitione contradictionis, quae extrahitur ex doctrina del
LIZIO prxcipuc in quarto metaphyficae, et est hoc. Contradictio est affirmatio
et negatio, id est propositio affirmativa et negativa eiusdem prædicari
de eodem subiecto, ad idem secundum idem, similiter
et pro eodem tempore Hoc de contradictoriis dicta fint. Oppositio subcontraria
est inter eas, quarum una est particularis affirmatiua vel indefinita, altera
autem est particularis negativa vel indefinita de eisdem prædicatis et
subiectis et copulis univoce acceptis, et eodem modo
supponentibus. Primo dicitur propositio affirmativa negativa
particulares aut indefinita, ut excludamus duas singulars.
Nam Illx sunt contradictorie SECVNDVM rem et SIGNIFICATVM licec.
Eiii TRACTATVS tertivs non in figura, quoniam in figura uc
declarabitur tibi. oportet unam c(Tc universalem affirmativam vel negativan
alteram autc particularem affirmativam uel negativam ut patebit in figuris quas
in ira deferibemus. Quare autem duae
singulares non sunt subcontrariae ratio est haec, quia due subcontrariz possiunt
esse simul verae, ut: “Quidam homo currit, quidam homo NON currit.” Due autem
singulares non possiunt esse simul verae nec simul falsae, sed una vera et
altera falsa in omni materia, uc fi hzc est vera fortes non est afsnus, hoc
neccesario est falsa “Socrates est ansinus”. Ergo sunt contradictori. Secundo
dr de cildcm SVBIECTIS etc. inrclligendum est eodem modo sicut dictum est in
oppositione contraria. III dicitur univoce tentis, defectu cuiu» iste
no fune subcontrarie. Quoddam: “Snum est animal”. Quoddam “Sanum non
est animal.” IV dicitur eodem modo supponentibus, defectu cuius iste, non sunt
subcontrarie: “homo est species”, “homo non est species”, nam, in prima, “homo”
supponit pro natura communi, in secunda pro natura partita in
suppositis. Sic quide dicimus pro nunc. In trac. autem suppositionum manifestabimus quomodo ista non est indefinita,
“homo est species”, sed singularis, et
ideo manifeftius tibi erit, <y no sunt subcontra riz, non
solum quia non supponit “homo” in prima et secunda eodem modo, sed quoniam sunt
singulares quas ncccdc est ut diximus c(Tc oppositas contradictori SECVNDVM rem
et SIGNIFICATVM. Oppositio subalterna est inter eas, quarum una est vflis
affirmariua et altera particularis aut indefinita aut singularis affirmativa.
Vel una est viis negatiua et altera est parti «auc
inde. aut singularis negativa de eisdem subiectis
et prædicatis et copulis etc. ut dictum est
in aliis oppofirionibus. Hic Hto sunt declaranda,
primo quare dicuntur subalterne, secundo quare de singulares
aftirmativa et negativa fune liibalternz et non subcontrarie.
Ad prim Utn dicitunt ideo universalis affir. et
particularis affirmatiua dicuntur subalternzquia
una fub altera ponimr.i4 particu. rub universali.Vnde universalis se habet, ut an$ particu
ut pns. Nam bene sequitur.
“Omnis homo est animal”; ergo, quidam homo est animal,
et homo est animal, et iste homo est animal,
ut tibi manifeftum erit in suppositionibus. Non autem sequitur cconverso,
quia ab inferiori distributive ad superius affir. non
valet consequentia, non enim sequitur, “Aliquis homo est
stultus; ergo, omnis homo esst stultus.” Et aduerte sicut dicuntur subaltcrnae per rcfpedum
suppositionibus, quem habet particulares ad universales, sic dici possent superaltcrnx,
per relpe&um superpositionis, que habet universales ad particulares. Sed primis placuit sic
denominare ab inferioribus, quorum est subiecti et supponi superioribus. Ad secundum dicitur q? ideo dux singu. affir. et neg.
fune subalterne qm sicut valet consequentia ab univerfali affir,
ucl nega. ad particu. et inde affir. et nega. sic valet ad singu.
Affir et nega. Nam fi hxc consequentia valet ols “homo
currit”, ergo, “aliquis homo, et homo currit”, sic
ualet, ergo iste et “iste currit,” quoniam, ut
declarabitur tibi in trac. suppositionum, signum universale
affirmativum negativu distribuit terminum immediate sequentem et licet defendere ad sua
singularia divisiuc. Sed pro nunc fuftine ne confundaris,
do nec habebis de suppositionibus notitiam. Et ideo
sunt subalterne sicut particu. et indcfi. Non autem sunt subcontrari
ratione iam difta, quoniam subcontraries contingitellc simul veras,
dux autem singularis negativa et affirmatiua, in omni materia ita se habent y si
una est vera altera est falli, et non poliunt esse simul vere nec simul false, et
ideo, ut diximus non fiint subcontrarix cd CONTRADICTORIE. Constae Igitur
tibi quo propositiones categorice participantes
utro que termino et eodem ordine,
conftituunt quatuor geifepa oppositionum. Et quoniam possunt formari
in materia naturali et remota et contingenti, ideo
figurabimus tibi tres figuras. II erit de oppositis in materia naturali,
II de oppositisin materia remota, III de oppositis in
materia contingenti. LOGICAE compendium. Peripatetica ordinatum per Reverendum
Magistrum Chiifoftornum J.. anapicium ordimsprxdica, nunc tandem 8C d'U“°P“Pro'
ditin lucem A Continet aute undecim tractatus uidelicet I est de praaecognoscendis.
II de partribus propositionis. III de propositione. IV de V universalibus. V de
prædicamentis. VI dc syllogismis formalibus. VII de suppositionibus VIII
ampliationibus & V’-> V V^lArii* « ' * Jj; ii .I' d appdlationibusJ IX de
consequentiis. X de probationibus terminorum. Vndeamusde syllogismo demonstrativo,
in quo quo continetur LIZIO docrina in lib. poster. QjiaE Gmma recenti hac nostra
editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their
subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation.
Consider Javelli: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat
raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to
represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative
one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry.
If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one
of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little
tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione
and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he
reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents
‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the
natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ –
vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of
groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad
placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds
the previous one. Giovanni
Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli. Javelli. Keywords: implicatura,
grammatica razionale, psicologia razionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli”
– The Swimming-Pool Library. Giavelli.
Grice e Gioberti: la ragione conversazoinale e l’implicatura
conversazionale del bello – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “I like Gioberti;
he published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are etymologically
connected, and they are: BONUS alternates with BENE in Roman, and the
dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is that the
‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and proportionate,
rather than having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and affectionate diminutive,
one hopes!” – Laureato, e parzialmente influenzato da MAZZINI, lo scopo
principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico
regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da
concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile
degl’italiani. Questo primato era associato alla supremazia del Papa, anche se
inteso in un modo più letterario che politico. Carlo Alberto di SAVOIA lo
nomina suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato,
tuttavia, sono ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo
all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si
ritirò dal suo incarico ma fu arrestato con l'accusa di complotto e bandito dal
Regno sabaudo senza processo. Andò a Parigi e Bruxelles per insegnare FILOSOFIA.
Nonostante ciò, trovò il tempo per filosofare con particolare riferimento al
suo paese e alla sua posizione. Essendo stata dichiarata un'amnistia da
Carlo Alberto, divenne libero di tornare
in patria. Al suo ritorno a Torino, e ricevuto con il più grande entusiasmo.
Rifiuta la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo
rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu
presto eletto presidente. Cadde il governo. Il re nominò G. nuovo
presidente del Consiglio. Il suo governo termina. Con la salita al trono di
Vittorio Emanuele II la sua vita politica giunse alla fine. Ha un posto nel
consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio
irriconciliabile non tardò a maturare. E allontanato da Torino con
l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fa più ritorno.
Rifiuta la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica,
vive in povertà e passa il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi
agli studi filosofici. I primi due licei istituiti a Torino celebrarono uno
l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero,
anche politico, di G. (il Liceo classico G.). I saggi sono più importanti
della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-SERBATI, contro
cui scrive, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche
il sistema di G., conosciuto come “ontologismo” non è connesso con le moderne
scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinge Cousin a sostenere
che la filosofia italiana e ancora fra i lacci della teologia e che G. non e un
filosofo. Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e
psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula
ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens. Tutto
il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le
idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita
direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo
avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle
esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono
necessarie per l'inizio della filosofia. G. è, da un certo punto di
vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato
Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la
chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma
che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione del
papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione pubblica.
Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In “Rinnovamento e Protologia” si
dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli eventi. La sua
prima opera aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un amico, avendo
molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo
ispirò alla stesura de “La teorica del sovrannaturale”. Dopo questa, sono passati in rapida
successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita dalla “Filosofia”, dove
afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui
riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in
questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una
tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il
completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso
dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti. I saggi “Del bello” e
“Del buono hanno” seguito l'introduzione. Del primato morale e civile
degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei
Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente a Losanna da Bonamici,
ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a
quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata
da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia,
che lo ha portato ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese
natio. Tutti questi saggi sono stati perfettamente ortodossi e hanno
contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è
sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia,
si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla
fine i saggi di G.i sono messi all'indice. I resti dei suoi saggi, specialmente
“La filosofia della rivelazione” e la Protologia espongono i suoi punti di vista
in molte parti. Tutti i saggi giobertiani, tra cui quelli lasciati nei
manoscritti, sono stati pubblicati da Massari (Torino). Il Ministero dei beni
culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di
Studi Filosofici Castelli, presso l'Università La Sapienza di Roma. Altre saggi:
Prolegomeni del Primato morale e civile degl’italiani, Enrico Castelli; Primato
morale e civile degli italiani, Redanò; Introduzione allo studio della filosofia;
Cortese; Teorica del sovrannaturale; Cortese; Del rinnovamento civile d'Italia;
G., Del rinnovamento civile d'Italia, Del rinnovamento civile d'Italia, Filosofi
d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di G. a Leopardi in Scritti vari inediti di Leopardi i dalle
carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. G. vive in Rue des marais S.
Germain, hotel du Pont des Arts n° 3. In lingua latina: "dal nulla", vedi anche
la locuzione Ex nihilo nihil fit di LUCREZIO. Antonio, su Sistema Informativo
Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in. Anteprima disponibile su Anteprima della II edizione disponibile su
books.google. Massari, Vita di G., Firenze, Serbati, G. e il panteismo, Milano,
Spaventa, La Filosofia di G., Napoli, Mauri, Della vita e delle opere di G.,
Genova, Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani,
Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli, Berti, Di G., Firenze, Rumi, G., Bologna, Il mulino,
Sancipriano, G.: progetti etico-politici
nel Risorgimento, Roma, Studium, Traniello, Da G. a Moro: percorsi di una
cultura politica, Milano, Angeli, Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione
di G., Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in G., Soveria
Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Alessio
Leggiero, G. Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne, Dizionario biografico degl’italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il
contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. G. attuale – Il Popolo d’Italia -- Non
bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al FASCISMO
– o al GRICEANISMO --, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il FASCISMO
– e il GRICEANISMO -- ha molti
precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola “precursore”
si dà un significato strettissimo o letterale. Ha molti se la stessa parola
viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser
posto G., especialmente dopo la posta all’indice dei suoi saggi.. Ecco un filosofo,
come Grice, che appare oggi « attuale » più di quanto non e ante, o anche
semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni,
istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal
FASCISMO, una vita studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or
ecco come G., a proposito della necessità della GINNASIA, si esprimeva nel suo
Primato. Gl’ITALIANO indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla
corsa e ai GINNICI esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili
fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e
assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i
sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e
magnifici pensieri. Il FASCISMO ha battuto sempre in breccia certi persistenti
snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi.
Vedete come G. flagella gl’esotismi del tempo che fanno preferire le lingua
tedesca o la francese all'italiana, l'abietto forestierume, come, con parola di
scherno supremo, dice G. Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di
forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste
concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma
del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è LA LINGUA
NAZIONALE così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci,
onde gl’uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che
le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché ESSENDO LA FAVELLA
ITALIANA LO SPECCHIO PIU COMPIUTO E PIU VIVO DELLA SPECIALITA MORALI E
INTELLETTIVE DEL POPOLO ITALIANO, chi la trascura e disprezza non può essere veramente
libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò indizio
grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco amore
verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di parlare
o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume è
altresì basso e vile! Pochi filosofi hanno, più del grande pensatore torinese,
posto in rilievo la somma importanza della lingua italiaa nella vita del popolo
italiano e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla. L'ostracismo che il
regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di creare su basi
regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta giustificazione
in questo superbo brano di prosa giobertiana. E da ricordare che G. definisce
la italiana come la più bella delle lingue vive. Lo stile, dice Buffon, è
l'uomo. Lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. LA LINGUA E LA
NAZIONALITA PROCEDENO DI PARI PASSO, perché quella è uno dei principi fattivi e
dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale di tutti,
come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco
servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza IL VINCOLO MORALE
DELLA COMUNE FAVELLA. E però Giordani insegna che la vita interiore e la
pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua, la quale è l'effige vera e
viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata
storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui
mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno. E Leopardi non dubitò di affermare che la
lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. Parole queste
che non sono mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia
italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di G. che
hanno un sapore attualissimo. Il genio orientale affine a quello dell'Italia,
se non altro perché ROMA e una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso
così esprimermi, l'oriente dell'Oriente. ROMA in effetto, nel bene come nel
male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti
italiche. La figura di G., quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco
deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per
far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita
con le vicende del tempo. G. è attuale, anche e soprattutto oggi, nell’ITALIA
DEL LITTORIO. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista.
Ancora G. (Pubblicato in « Il Popolo
d'Italia » di Scrittore fascista La
prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi
indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio,
forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare,
mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più
importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni
egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale,
oggi, come sempre.. Ecco con quali termini G. stabilisce i compiti e i doveri
di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire
ai figli degli aristocratici. Imprimano in essi la semplicità dei modi, la
grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la
fermezza nelle risoluzioni, l’'intrepidità nei pericoli, la generosità nei
travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le
pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come
di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità
pubblica. In G. si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di
ripristino archeologico, alle quali IL REGIME FASCISTA si è particolarmente
consacrato, non soltanto a ROMA, ma in ogni parte d'Italia. Se G. potesse
vedere lo spettacolo meraviglioso della ROMA di oggi, dovrebbe fare
constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la
restaurazione degl’antichi monumenti pagani (‘non cattolici’!) , non giovano
soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia tri-millenaria, ma
sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le
·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei
capolavori che sono la via dell'Impero ROMANO, la via dei Trionfi, la via del
Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire
ìncessante degli stranieri. Ma G. insiste sul lato morale delle ricerche
archeologiche così esprimendosi. Egli è
doloroso a pensare che così pochi siano al dl d'oggi gl’italiani solleciti di
conoscere e studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come
inutile, all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della
filologia, ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e
fecondissima, perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire
delle nazioni. Imperocché la risurrezione erudita dei monumenti nazionali porta
seco il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future,
serve di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri,
destandone ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie.
Tutta la storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di G.
I periodi di grandezza e di miseria, gl’alti
e bassi del nostro popolo, trovano in G. un indagatore e un illustratore
vigoroso e penetrante. Egli sente la storia e come s'inorgoglisce parlando dei
periodi di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di
decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra
storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono
secoli di divisione e di servitù. Le ultime faville di virtù e di carità patria
perirono in Italia colla repubblica di FIRENZE; spenta la quale dalla truce e
schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar
vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello
degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il TASSO, il GALILEI, il
VICO, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono
innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile
di BRUNO, di CAMPANELLA e di SARPI. Ma il rinnovamento del ceto civile nella
penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a ALFIERI che, nuovo ALIGHIERI,
e il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli
spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi
frutti, Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da ALFIERI da
i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che
scatenò il maggio radioso del '15 e la marcia di ottobre del '22. È l'impulso
che fece vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è
passato e già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle
generazioni littorie. « Italiani - diceva Gioberti - qualunque siano le vostre
miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente
sul mondo! G. nasce a Torino. Un
dissesto finanziario del padre, morto prematuramente, rese molto precarie le
condizioni economiche della famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri
oratoriani, rivela precoci interessi per gli studi filosofici, e annoverò tra i
suoi maestri e guide spirituali Sineo, poi ricordato come il solo prete che
avesse incontrato. Tuttavia G. fu essenzialmente un autodidatta, che,
nonostante la malferma salute, si dedica con inaudita intensità alle più
disparate letture, toccando anche il settore linguistico, storico,
naturalistico, geografico, politico (con una precoce passione per MACHIAVELLIi),
e lasciandone traccia in una congerie sterminata di appunti e di pensieri: in
uno dei quali rivelava di essere stato "reso anti-monarchico dalla lettura
d’ALFIERI, irreligioso, ma per poco, da Rousseau, pirronista dagli altri
filosofi" (Meditazioni filosofiche inedite). Tali frammenti provano come
G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in parte di tipo manualistico,
ma in parte notevole ricavata da letture di prima mano (sebbene non sempre
nella lingua originale) concernenti in special modo le opere di Platone,
Agostino, Bacon, Bossuet, VICO, Leibniz, Malebranche, Gerdil, Rousseau e Kant.
Quest'ultimo, unitamente alla scuola scozzese di Reid, apparie a G. il filosofo
che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel principio pensante,
che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi sensi e colla materia. Alla
linea di pensiero che iG. definiva allora idealistica si affianca il confronto
ravvicinato, ma costellato di dissensi, con il tradizionalismo cattolico
di Maistre, Bonald,Chateaubriand,
Ballanche e Mennais. È da osservare che G. conosce bene il francesen e,
ovviamente, il latino, mentre inizia studio del tedesco. In linea
generale, prevalse in G. un orientamento eclettico, considerato peculiare e apertamente
professato in opposizione allo spirito esclusivo dei sistemi, pur in un quadro
teorico segnato dalla polemica anti-sensistica e dalla ricerca, non priva di
momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra una persistente venatura
scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da corrosivi spunti
anticlericali, alla religione, assunta come deposito di verità oggettive,
attingibili per via razionale solo in maniera parziale e frammentaria. Oltre
che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione cristiana s'imponeva
per G. sul piano pratico e politico, essendo "una religione rivelata e
positiva l'organo indispensabile della morale nella società", ovvero anche
"un'obbligazione sociale", chiamata a integrare "il mantenimento
e l'accrescimento dei diritti", indicati come fine della politica. La
ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica,
tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di
transeunte, sostituiva, in G., l'idea di religione naturale d'impronta
deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione
soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di
un suo progressivo dispiegamento nella storia umana. Membro
dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate L.
Solaro, G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente
giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese,
da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia il
9 genn. 1823, fu aggregato alla facoltà teologica l'11 ag. 1825, con la
discussione di tre tesi: De Deo et naturali religione, notevole per la
padronanza della relativa letteratura sei-settecentesca, De antiquo foedere, De
christiana religione et theologicis virtutibus, la cui edizione accademica
restò per quattordici anni l'unica opera del G. data alle stampe. Poco prima,
il 19 marzo 1825, era stato ordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e
forse lo stesso arcivescovo Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua
ritrosia all'ordinazione. Nel gennaio 1826 fu nominato cappellano di corte con
uno stipendio annuo di 480 lire. Notevoli zone d'ombra caratterizzano la
fase successiva della sua biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in
pubblicazioni l'immenso materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita
negli ambienti colti e l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e
letterari, appare indicativa sia di una persistente fluidità del suo pensiero,
sia della percezione di un sempre più chiuso clima intellettuale e politico,
che il G. tendeva ad attribuire, sul fronte ecclesiastico, alle mene dei
gesuiti e della "frateria" - da lui personalmente contrastati in
occasione della vicenda che aveva coinvolto
Dettori, allontanato dalla cattedra universitaria nel 1829 con l'accusa
di giansenismo - e, sul versante politico, all'involuzione autoritaria del
governo sabaudo. Tra il 1826 e il 1833 la riflessione del G. sui rapporti
tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un percorso non
lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a G. Leopardi
(personalmente conosciuto nel 1828 a Firenze, durante un viaggio per l'Italia
in cui il G. ebbe modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane
amico e discepolo C. Verga e una lettura accademica sull'accordo della
religione cattolica coi progressi della società civile (Ricordi biografici e
carteggio, a cura di Massari). Scrivendo al Leopardi da Torino G.
confessava di aver professato nel passato "un puro teismo", e di aver
mutato idea in seguito a nuove indagini sulla "verità del Cristianesimo (e
quindi del Cattolicismo che è la sola forma invariabile di quello) come sistema
dottrinale e come fatto storico", e di essere approdato a una
"adesione intima, schietta, profonda alla religione cattolica", che
gli aveva consentito di vincere "i fastidi, le amaritudini, i terrori, la
malinconia" che fin allora lo avevano tormentato (Epistolario, I, pp.
41-44). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a furia" Le mie
prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in cui, opposto "il
cristianesimo di Silvio" a quello dei gesuiti, dei "nemici della
filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di una
religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non solo
conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera,
"ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per
intendere unicamente al bene della patria. Nei primi anni Trenta, anche in
seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini
Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una
diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale,
appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente
da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina,
l'umanesimo e VICO (lettera a Verga). Dichiarandosi continuatore di questa
linea ideale, il G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di
Giordano Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle
proprie idee politiche, professione di panteismo. Tale collegamento è
attestato da una lunga lettera, scritta probabilmente nella primavera-estate
del 1833 ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo
pseudonimo di Demofilo. G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia
"destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni",
affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani
"un'applicazione di questi dettati" (ibid., II, pp. 5-25; cfr. anche
lettera al Verga del 9 apr. 1833, ibid., I, pp. 167-172). La lettera,
ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da Mazzini, come a lungo
si credette, ma probabilmente da CATTANEO, col titolo Della repubblica e del
cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni del
G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua
esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata
alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar
vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli
uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non
v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo
ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una
sua dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella
promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo".
Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in
vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il
motto mazziniano "Dio e il popolo" diventava così il presupposto di
una "cristianità novella", l'annunzio di un'epoca imminente in cui
"Iddio sarà umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e
destinato non alla croce, ma a un "regno stabile, a una pace perpetua,
all'immortalità e alla gloria". L'abito di prudenza e di riservatezza
adottato dal G. non impedì che le sue idee destassero diffusi sospetti di
ateismo anche presso i suoi superiori. Ciò lo indusse il 9 maggio 1833 a
lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo stipendio. Nel frattempo
si era affiliato a una società segreta, detta dei Circoli, e poi ad altra
associazione patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri Italiani; non
sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse intimi
rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate P. Pallia. In seguito a
delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla
scoperta della congiura mazziniana del 1833, arrestato con pesantissime accuse
il 31 maggio e tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo
raggiunse un provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza
permettergli di incontrare alcuno dei suoi amici. Per poco più di un
anno, dall'ottobre 1833 alla fine del 1834, il G. visse a Parigi in una
situazione assai precaria, che lo induceva ad autorappresentarsi nei panni di
uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo di celebret
per la messa), di uno che aveva "perduto tutto". Nonostante le
relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente o
temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, Peyron,
Mamiani, Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese,
come Cousin e Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che considerava
il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le lezioni
accademiche di Fauriel e Jouffroy, impartendo per vivere lezioni private
d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento filosofico o
di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla congiura e al
tentativo mazziniano. Nella febbrile atmosfera intellettuale della monarchia di
luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma senza condividerne
appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale espressi dalla tarda scuola
sansimoniana, da Buchez, dalle Paroles d'un croyant di F.-R. de Mennais. Lo
scenario parigino, che gli appariva connotato dalla totale estinzione del culto
e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento alla venatura apocalittica del
suo pensiero, che gli faceva presagire come prossima la "fine del mondo;
ma del mondo antico, donde sorgerà il nuovo", nel quale "gli ordini
morali di Cristo" sarebbero diventati "gli ordini civili delle
nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre "una società di
uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale, una, libera, fiorente,
morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo colla terra"
(lettera ad Unia). Per altro verso, si approfondiva sino a divenire
inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana e verso i
movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver
"impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti
or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi
numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga
lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle
idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio
parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione
raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso
e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e
l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, G. inquadra ora
la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo
rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea,
condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della
cacciata definitiva dei "nostri tiranni". Nel dicembre 1834
accettò, anche per ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di
storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles da P. Gaggia (un ex
sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio
di giovani cattolici ed evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata
atmosfera politica del Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema
costituzionale sortito dalla rivoluzione,
G. proseguì nella revisione ideologica già profilatasi nel periodo
parigino, prospettando più lucidamente che nel passato un'esigenza di
conciliazione, che non implicasse identificazione, tra dogmatica religiosa e
idee filosofiche e tra ordine soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in
proposito che, mentre in precedenza aveva immedesimato i dogmi cristiani colle
idee, ora li disgiungeva, evitando di ridurre il cristianesimo a una simbolica
filosofia, ma considerandolo invece "il compimento della filosofia
medesima" (a P.D. Pinelli). Ne conseguì la decisione di produrre
finalmente delle opere a stampa. Ai primi del 1838 vide infatti la luce a
Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del
soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla
mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un
mese sul finire del 1837 e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in
rapida successione, l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles), che
ebbe una circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della
Teorica, sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel
Regno sardo; la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de
Lamennais (dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France dell'8 genn.
1841, poi con firma e con titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio); il
saggio Del bello, composto come voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario
della conversazione (Venezia) diretta da A.F. Falconetti, e pubblicato anche
come volume a sé nell'autunno del 1841, prima opera del G. edita in Italia, che
doveva essere seguita da un altro testo destinato alla stessa sede, Del buono,
uscito invece in forma autonoma a Bruxelles; e le dieci lettere Degli errori
filosofici di Antonio Rosmini (Bruxelles; la seconda edizione, del 1843-44,
portava a 12 il numero delle lettere e comprendeva altri scritti
giobertiani). Nella Teorica G. fa i conti con il proprio antecedente
itinerario intellettuale e con le tendenze filosofiche del suo tempo. L'opera,
imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine religioso e ordine civile
osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e storica, aveva come
principale obiettivo polemico la riduzione monistica della sfera religiosa a
quella civile o viceversa, operata, secondo il G., dalle teorie razionalistiche
e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei sansimoniani alla
Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e del primo La
Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, il G. prendeva,
rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire
sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della
facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia
l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come
misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine
religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di
distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa,
anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella
rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa
cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per il G. contrassegnato
dal progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e
stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici
al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro
nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini
ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di
una rilettura della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi
delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione
sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione
dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero
una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in
definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio
conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale. Tale
impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia.
L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo
periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla
perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della
"vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito
all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre
rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di
falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi
prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli,
dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il
predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le
basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in
grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o
panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano
speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello
religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire,
in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli
idéologues e dai panteisti moderni (tra cui HEGEL), e analoga invece a quella
platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana
come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè
come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel
giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea
l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui
scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del
pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio
contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo che
procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è
partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di
intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo
creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto
dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la
"vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini. Tra le
molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione
assumevano un rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione
e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella
riguardante la sfera della sovranità. In argomento il G., ponendo nell'Idea
l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico
(visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della
filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un
principe. Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma
nello stesso tempo partecipativo, G. pervenne alla enunciazione di una formula
politica (modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il
popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la
trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato". Ciò si
traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal
cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi
tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a
estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto
sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico
giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale,
trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere
di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a
proclamare non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe
assoluto, ma financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione.
Il progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima
cornice speculativa era sintetizzato in una lettera a T. Mamiani del 15 ott.
1840 (Epistolario), dove G. esprimeva la convinzione che il solo modo di giovare
all'Italia fosse quello di "creare una scuola di libertà temperata,
morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto aliena dal sentire dei
demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava l'obiettivo di far della
religione "una insegna nazionale" immedesimandola "col genio
dell'Italia, come nazione", facendone "una di quelle idee madri che
seggono in cima al pensiero degli uomini e signoreggiano ogni parte del vivere
civile". Con l'aggiunta che, distinguendo "nella religione cattolica
la credenza dall'istituzione" e insistendo sulla seconda, non sarebbe
stato difficile convincere gli increduli che "il cattolicesimo, anche
umanamente considerato, sia il migliore degli istituti religiosi
possibili". Un programma di così ambiziosa portata prefigurava un
disegno in qualche misura egemonico sul piano culturale e induceva il G. non
solo a entrare in diretta polemica con le opere di autorevoli esponenti del
coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto concepito come appendice
dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte, a Bruxelles, le
Considerazioni sopra le dottrine religiose di VCousin), e come Lamennais (in un
opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere filosofiche e politiche),
ma soprattutto a competere con l'altro pensatore italiano, Rosmini, che aveva
intrapreso a propria volta, con intenti non meno ambiziosi, un programma di
edificazione di una filosofia cristiana capace di misurarsi con il pensiero
moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già manifestato
nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale era mossa
la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di soggettivismo
e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si tradusse in acre e
prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi interventi dei
seguaci del Rosmini, come Tarditi, Gastaldi, arcivescovo di Torino, G. di
Cavour, secondo i quali le tesi giobertiane menavano dritto al panteismo. Il G.
ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata alluvionale opera Degli
errori filosofici di A. Rosmini, importante soprattutto per il fatto che
l'autore vi tracciava il processo teorico attraverso cui era pervenuto alla
formula ideale. Nella polemica il G. fu affiancato e sostenuto dai suoi amici e
seguaci, come P. De Rossi di Santarosa, mentre risultò vano l'intervento
pacificatore di N. Tommaseo. Sempre a Bruxelles, G. diede alle stampe l'opera che doveva
dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani, tirato nella
prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come "un'operetta
di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul Papa ma
sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso lavoro in due
grossi volumi, la cui scrittura procedette in parallelo con la stampa fino al
maggio dell'anno successivo. L'opera, dalla struttura sovrabbondante e
magmatica, colma di formule apodittiche e di scarti lessicali, aveva tuttavia
un suo asse portante nel tentativo di definire i caratteri originali e permanenti
della nazionalità italiana sintetizzati in quello che il G. chiamava
"genio nazionale". Plasmato da fattori naturali, come il sito
geografico e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche ed etrusche, connotato
dalla preminenza di elementi sacerdotali e aristocratici, dotato di un suo
particolare "genio federativo" espresso dalla "società di
popoli" realizzata dalla repubblica romana (poi tralignata in signoria
imperiale), riflesso culturalmente da un'ininterrotta tradizione filosofica
autoctona, il genio italico aveva trovato, secondo il G., una sua
configurazione effettivamente nazionale per opera del Papato, che lungo il
Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando la traduzione in "ordini
civili" dei dettati religiosi e morali del cristianesimo. Il tratto
costitutivo della nazione italiana veniva così reperito in un principio ideale,
convalidato tuttavia da fattori naturali di tipo etnico e confermato dalla
storia: nell'essere l'Italia "nazione religiosa per eccellenza",
dotata di un primato religioso determinato dal trapianto in Roma dell'Evangelo
e dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede apostolica, che si
riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e civile, da cui
traeva il carattere di "creatrice, conservatrice e redentrice" della
civiltà europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva degli
Italiani "il nuovo Israele" e dell'Italia una "nazione
sacerdotale", veniva perciò raffigurato dal G. come indivisibile da quello
del Papato: il quale, mediante l'esercizio della potestà civile connaturata
alla sua primazia religiosa, non solo aveva costituito la nazionalità italiana,
ma le aveva altresì impresso i tratti suoi propri di nazione guelfa. Per
converso, il declino della potestà civile dei pontefici, iniziato nel tardo
Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era tradotto nella decadenza,
nell'asservimento politico, nella subordinazione culturale dell'Italia e nella
frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il risorgimento italiano,
concepito dal G. sullo sfondo di una riunificazione religiosa europea, veniva
dunque a raccordarsi strettamente con la restaurazione della "scaduta
potestà civile del Papa in modo conforme e proporzionato all'indole e ai
bisogni del secolo". Tale formula conteneva il nocciolo della tesi centrale
del Primato: posto che, secondo G.,
l'esercizio della potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà
civile della Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere modalità
variabili in relazione al cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata
a evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione
religiosa e alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e
di "capacità nazionale" da parte dei popoli, assumendo le forme
preminenti della forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e
pacificatrice. L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato dal G.
procedeva dunque dalla "dittatura", consona alle età barbariche,
verso un "potere arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere
alcun effetto civile che non sia consentito alla libera [cioè liberamente]
dalle parti gareggianti e deliberanti". Si realizzava così la saldatura
tra la restaurazione-riforma del potere civile del Papato e il Risorgimento
italiano: nel senso che la ridefinizione del primo avrebbe reso possibile
l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo, mai assunto nel
passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale (o dogale) - un
ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello arbitrale -, e la
contemporanea trasformazione in unità "nazionale e politica" della
preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne venissero toccati i
legittimi poteri dei sovrani. Quest'ultimo aspetto costituiva un altro
snodo del Primato, che consentiva a G. di tracciare una via consensuale,
pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione dello Stato
nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del genio italico
le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica" fondata sull'idea
della sovranità popolare, e assumendo come punto di riferimento il riformismo
settecentesco, in specie di Pietro Leopoldo e di Benedetto XIV, G. raffigurava
l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione dei maggiori Stati
italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la presidenza
moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia consultativa
veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il fatto di non
frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di governare
secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo vitalizio di
"veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata dal merito e
dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di collegamento
con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata dal Primato al
potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni necessarie del suo
sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi nel rispetto del
"principio sacrosanto della libertà delle coscienze", alla funzione
modernizzatrice delle élitesintellettuali. L'utopia della confederazione
italiana (tale la definiva lo stesso G.) si traduceva in una forma politica
composita, che richiamava in certa misura l'ordinamento ecclesiastico,
caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del pontefice, da un insieme di
"aristocrazie civili e consultative, ciascuna sotto un capo ereditario
investito del supremo comando", e finalizzata all'unione, all'indipendenza
e alla realizzazione della libertà civile, tenuta distinta da quella politica,
cioè costituzionale. Scritto come libro "moderatissimo" per non
"irritare gli animi" e consentirgli di circolare per tutta la
penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti dell'Austria e il divieto
di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita intenzione di raccogliere i
più ampi consensi, il Primato lasciava deliberatamente da parte argomenti di
più immediata rilevanza politica, che pure G. affermava di aver originariamente
previsto, quali il predominio dell'Austria o la laicizzazione del governo dello
Stato pontificio. Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune
delle tesi sviluppate nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva
positivi apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore
in ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da
G. Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana che percorreva il suo
saggio La philosophie catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue
des deux mondes nel marzo-maggio 1844, cui il G. rispose con una lettera
pubblicata in appendice alla seconda edizione di Degli errori filosofici di A.
Rosmini), il libro contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione
nazionale, pur a prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e
dissimulazioni, trovando una naturale collocazione nel contesto del riformismo
moderato degli anni Quaranta, specialmente in Piemonte, grazie anche
all'apologia, presente in certe sue pagine, della missione nazionale riservata
allo Stato sabaudo sotto il profilo militare, e all'esaltazione del riformismo
carloalbertino: temi subito ripresi e sviluppati, in senso più marcatamente
sabaudista ma anche meno proclive all'idea del primato italiano, nelle SPERANZA
DEGL’ITALIANI di BALBO (che sul finire ha parte principale nella nomina di G. a
socio nazionale non residente dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno
opposto furono le accoglienze riservate al Primato da G. Mazzini e dai
neoghibellini. La prima edizione del Primato - la cui lettura era resa ancora
più ardua dalla mancanza di un indice analitico - andò rapidamente esaurita, e
il G. provvide ad allestirne una seconda corretta, stampata dallo stesso
tipografo belga, e comprendente un lungo testo introduttivo, che venne tirato a
parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni del Primato. Qui il G.
abbandonava alcune delle originarie cautele, con un pronunciamento a favore
della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia degli orientamenti settari
attivi nella Chiesa e identificati in particolare nell'Ordine gesuitico o, per
meglio dire, nel "gesuitismo" inteso come categoria morale
contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile con la civiltà moderna
e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra controversia, destinata ad
aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti scrittori della Compagnia,
segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e C.M. Curci, non senza il
sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan. I Prolegomeni
segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche del Primato, e
il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò un successivo
sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel 1846-47.
Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da Bruxelles
a Parigi, reso possibile dall'autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona
riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da P.D. Pinelli per una nuova
edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò l'amicizia con G.
Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore), il G. si trovò nel
pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle
controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de
France da E. Quinet e da J. Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco
nell'animo del G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti
antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti
politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del
Sonderbund. Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e
Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro
in cinque volumi (l'ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato
di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica
opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi
confronti. L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla
storia e collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la
radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da
misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile,
ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il
principale e più subdolo nemico del Risorgimento, G. prendeva anche in
considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate dal p. L.
Taparelli d'Azeglio nel saggio Della nazionalità, dove si affermava non essere
l'indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva
definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto
con i diritti dei sovrani. Il G. vi contrapponeva un'idea di nazionalità come
"creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di
identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile
divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo
congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato. Gli eccessi polemici
del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato,
gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche
da parte di cattolici liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono
ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a
quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura
ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico
spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in
12.000 copie). I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione
italiana con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore,
gli atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore
del Primato, nei confronti del G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle
critiche al Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per
mano dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero il G., sul finire del 1847, a
porre mano a un nuovo lavoro, l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita
moderno", con alcune considerazioni intorno al Risorgimento italiano
(Bruxelles e Livorno). Qui la rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa
ora al partito francese dei "laici ipercattolici" capeggiato da
Montalembert, veniva a connettersi più direttamente con i progressi compiuti
nel frattempo dal movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale
convalida delle proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della
stampa, progredita assai lentamente, e la conclusione del lavoro erano
intervenuti il sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione
parigina del febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la
concessione degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la
rivoluzione di Vienna e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione
milanese, l'avvio della guerra in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era
stata espulsa da molti Stati, tra cui quello sabaudo, tanto da far pensare al
G. che i gesuiti, dei quali aveva auspicato in lettere private l'espulsione,
fossero "morti politicamente", pur continuando a sopravvivere "i
loro spiriti". Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale
dell'opera, più legato all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato
Parigi 8 apr. 1848, in cui i fatti italiani, a partire dalla rivoluzione
siciliana del gennaio, entravano prepotentemente nella sua analisi, rendendo il
libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e il suo titolo ancor più
inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse. L'opera vide finalmente
la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee, quando il G. era ormai
ritornato a Torino. Molteplici elementi imprimevano all'Apologiail tono
di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi interventi avviati dal
G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il
Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in
primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente forzati, dell'azione
riformatrice di Pio IX, nel quale il G. indicava l'incarnazione provvidenziale
del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento nazionale
interpretato come "un evento religioso, europeo, universale",
promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini umani del
cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da "aristocratico e
monarcale" a "popolano e democratico come nelle sue origini"; in
secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione di un regno
costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia, accompagnata
dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per altro verso,
l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli eventi, venature
del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra, riflettendone gli
approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema della democrazia,
non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale prorompente e benefica
"rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la natura, l'importanza, la
durata, non si può comparare a niuna di quelle che la precedettero, la quale
avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena signoria delle cose
umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di A. de Lamartine e di J.
Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese; assegnava a meta
conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase federativa, la
costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura trasformazione
in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la monarchia
pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa, che
consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza governare e
di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale dal temporale".
Quando rientrò a Torino, dopo oltre quattordici anni di esilio e accolto da
entusiastiche manifestazioni, il G. era reduce da una prima cocente delusione
politica, determinata dall'annuncio confidenziale, pervenutogli a Parigi e
seguito da immediata smentita, della sua nomina a ministro dell'Istruzione nel
gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di Carlo Alberto, che gli era e gli
restò ostilissimo. In compenso, in un collegio torinese e in uno genovese era
appena stato eletto a sua insaputa alla Camera subalpina, che alla metà di
maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla fine di luglio, tuttavia, il
G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di maggio, accompagnato da don
G. Baracco, già era partito per una lunga peregrinazione politica, che lo
avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro col Mazzini), al quartier
generale piemontese di Sommacampagna (dove fu ricevuto da Carlo Alberto), poi,
attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova, a Livorno, a Roma (dove soggiornò
due settimane e fu ricevuto in tre diverse udienze da Pio IX), e infine, per
l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze, donde rientrò, via Genova, nella
capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia, avvenuto in una fase in cui la
guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto un colpo letale
dall'allocuzione di Pio IX - il cui
significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione borbonica di
maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità del G.,
ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora deliranti, e tanto
ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto povero di durevoli
risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena missionaria, il G.
propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della concordia nazionale combatté
a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni genere, i movimenti da lui
tacciati di municipalismo, i progetti per un'assemblea costituente, che finì
tuttavia per ritenere inevitabile e non pericolosa a certe condizioni; invocò
il pronto accoglimento dei voti di unione al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto
e la proclamazione di un forte regno dell'Italia settentrionale; tentò con la
medesima energia di rilanciare la soluzione federale, contro i riaffioranti
particolarismi statali e dinastici, non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò
per un consolidamento del sistema costituzionale a Roma, utilizzando anche i
propri rapporti di amicizia con il ministro T. Mamiani. Analoghi
programmi il G. sostenne durante la breve vita del gabinetto Casati, al quale
fu aggregato dal 29 luglio, giusto all'indomani del disastro di Custoza, in
qualità di ministro senza portafoglio e poi dell'Istruzione, facendosi
personalmente promotore della missione del Rosmini presso Pio IX, finalizzata
alla stipulazione di un trattato confederale e di un nuovo concordato. Ma la
firma dell'armistizio Salasco e l'interruzione della guerra con l'Austria lo
colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che portò alle dimissioni del
governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai impopolari presso i moderati,
dapprima avversando e poi perorando una richiesta di aiuto militare alla
Repubblica francese, combattendo a spada tratta la richiesta di una mediazione
diplomatica franco-inglese, schierandosi per una ripresa della guerra in una cornice
federativa quanto mai inattuale. Le ombrosità e le ambizioni del G., che
aspirava alla presidenza del Consiglio, ebbero modo di tradursi in aperto
dissenso politico in occasione della formazione del governo presieduto da C.
Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone di San Martino), che pure includeva tre
amici del G. come il Pinelli, in posizione preminente, Merlo e Santarosa. Al
nuovo ministero il G. dichiarò guerra aperta con un opuscolo dai toni
aggressivi, I due programmi del ministero Sostegno (Torino). Accusato il nuovo
governo di spirito municipalista, cioè di disinteresse per le sorti degli altri
Stati italiani, il G., che aveva lasciato il seggio parlamentare in occasione
della sua nomina ministeriale, tentò, facendo appello all'opinione pubblica nazionale,
di promuovere una politica alternativa basata sull'idea di una Costituente
federativa con mandato limitato, da contrapporre sia all'inerzia del governo
piemontese in carica, sia ai programmi di Costituente agitati dai gruppi
democratici radicali. Fu quindi coinvolto nella fondazione della Società
nazionale per la confederazione italiana, che tenne in ottobre a Torino il suo
primo e unico congresso. Preceduto da un suo infiammato indirizzo "ai
popoli italici" (dov'erano tra l'altro adombrati gli irreparabili guasti
religiosi di un eventuale "funesto scisma d'Italia e di Roma") e
aperto da un discorso introduttivo in cui G. denunciò le colpe dei
"repubblicani pratici" e le "disorbitanze dei democratici
schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la faticosa
elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la proclamazione
del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali nel Regno
dell'Alta Italia. Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30 settembre
e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le dimissioni del
governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di
presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il dicastero degli Esteri.
Salito alla presidenza del Consiglio non più come simbolo di unità e di
concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione, nel discorso
programmatico definì il proprio ministero con l'appellativo di democratico,
cioè, come disse, volto a innalzare la plebe "a dignità di popolo", a
serbare rigidamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge comune, a
provvedere agli interessi delle province, con implicito riferimento alla
difficile situazione genovese, a "corredare il principato d'istituzioni
popolane, accordando con gli spiriti di queste i civili provvedimenti";
manifestò inoltre l'intenzione di riprendere la guerra interrotta, di
promuovere una Costituente federativa italiana, e proclamò il diritto degli
Stati italiani - di fatto, il diritto dello Stato sabaudo, cui attribuiva
apertamente una funzione egemonica - di intervenire negli altri Stati della
penisola per evitare sommovimenti rivoluzionari o interventi militari
stranieri. G. s'inoltrò pertanto in una politica nazionale alquanto avventurosa,
seppur coerente con il principio, carico di valore ideale ma povero di forza
normativa e da lui ribadito in documenti ufficiali, per il quale egli affermava
la sussistenza di un diritto della nazionalità, preminente sulle vigenti
istituzioni politiche e imperativo nelle relazioni tra gli Stati italiani.
Venne così progettando invii di truppe sarde nei punti critici della penisola e
si propose come indesiderato mediatore tra i sovrani italiani e i loro popoli.
Del tutto vani si rivelarono i suoi insistiti tentativi di intermediazione tra
Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la commissione provvisoria di governo di Roma,
intesi a ricondurre il pontefice nel suo Stato con l'appoggio di truppe
piemontesi subordinato al mantenimento degli ordini costituzionali; e volti nel
contempo a impedire l'ingresso del Mazzini in Roma e la convocazione della
Costituente italiana. Sul finire dell'anno il G. chiese e ottenne dal
sovrano lo scioglimento della Camera e l'indizione di nuove elezioni, che
videro il suo personale successo in dieci collegi del Regno, ma produssero
un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla Sinistra democratica. Poco attento
agli equilibri parlamentari, che considerava con un certo disdegno, abbandonate
le velleità di convincere Ferdinando di Borbone e gli indipendentisti siciliani
ad affidare alla Costituente federativa la composizione del loro prolungato
conflitto, s'addentrò in un'avventura militare che doveva riuscirgli fatale.
Dopo aver lungamente tentato, grazie anche ai suoi buoni rapporti con G.
Montanelli, di indurre il governo democratico toscano a più moderati consigli
circa i ventilati progetti di Assemblea costituente, posto di fronte alla
traduzione di tali progetti in legge operativa e alla successiva fuga di
Leopoldo II, il G. predispose in gran segretezza un intervento armato
piemontese in Toscana, per riportare il granduca sul trono preservando il
sistema costituzionale. La conoscenza del disegno, rivolto contro un governo di
orientamento marcatamente democratico, e degli atti compiuti per realizzarlo,
provocò la sollevazione del Parlamento sardo, una frattura profonda nella
compagine ministeriale e le dimissioni del presidente del Consiglio, accolte di
buon grado il 21 febbraio dal sovrano, pronto a sostituirlo con il generale A.
Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria politica, invisa ormai alla
maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni orientamento, il G. dette vita, in
marzo, a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale intervenne per invocare
l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da
lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo
Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele
II, il G., su invito di Pinelli, accettò di entrare come ministro senza
portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da G. De Launay, nonostante il solco
profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti
conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo
a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli
compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a
destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di
togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di
pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari
personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui Tocqueville, reagì
con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo
dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, manifestò a
chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana, espresse il suo
distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le somme
pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo,
volontario esilio. Si aprì per il G. un altro periodo operosissimo sul
piano intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui
era stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di
riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di
reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata il 30 maggio
1849 dalla congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando
pubblicamente la linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul
piano politico espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane,
colorate di socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in
una letteram di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché
ordina tutto al trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava
altresì fautore di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato,
in quanto promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della
gratuità dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli
ammalati e "alla povertà che non trova da lavorare". Mentre
usciva a Capolago, per iniziativa e con un'introduzione del Massari, una
raccolta di lettere, interventi e discorsi con il titolo di Operette politiche,
G. riprese in mano i propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e
inediti, ma soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera
di ampio respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur
affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento
civile d'Italia, che vide la luce nel novembre del 1851, in due volumi, il
secondo dei quali contenente anche una nutrita parte documentaria. Il
Rinnovamento si presentava come una riflessione politica che, prendendo spunto
dalla ricostruzione critica e storica degli eventi del '48, affrontava il tema
generale delle mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione
nazionale avrebbe ripreso il suo cammino. Il saggio proclama la fine della fase
del Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte
integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa": il primo si
era mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo
avrebbe assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era
stato movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo
sarebbe dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva
dovuto limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era
altro possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e
benefica, accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa
falsariga G. affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo
giudizio erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di
argomenti di grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi,
"la maggiore anticaglia superstite dell'età nostra", dannoso
all'Italia, all'Europa e soprattutto al cattolicesimo come causa di
subordinazione del Papato alle forze della reazione interne ed esterne; il
posto e la natura del partito conservatore e del partito democratico nella
"politica nazionale"; le condizioni alle quali il Piemonte, "il
paese più scarso di spiriti italici", dominato da una classe politica di
patrizi e di avvocati "inclinati al municipalismo", guidato da una
dinastia "stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e
municipale", e nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti
costituzionali, poteva svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che
solo avrebbe salvato la monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento
che l'autore adduceva a convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal
Primato, implicava l'attribuzione al REGNO SARDO di un ruolo anche morale (pur
rimanendo una futura "Roma laicale e civile il principio ideale della
risurrezione italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle
leggi Siccardi: un passo verso la "separazione assoluta tra le due
giurisdizioni", la temporale e la spirituale, costituente "la prima
base della libertà religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice
necessaria alla formazione di un clero "liberale e sapiente", capace
di purgare la religione "dagli errori e dagli abusi che la
guastano". Ma il Rinnovamento era pure un discorso di scienza
civile, secondo la definizione giobertiana, intessuto di riferimenti a MACHIAVELLI,
ma condotto sulla base dei "bisogni principali dell'età nostra, il
predominio della filosofia, l'autonomia delle nazioni e il riscatto della
plebe": a soddisfare i quali il G. poneva come condizioni l'esistenza di
governi liberi, la costituzione di Stati a misura nazionale, il funzionamento
di ordini civili atti a promuovere l'innalzamento della plebe a popolo. Per
tale aspetto una funzione determinante veniva attribuita, da un lato,
all'"ingegno", cioè alle élites intellettuali, chiamate a imprimere
unità e coesione alla "sciolta moltitudine", e a impedire che sotto
il simulacro della democrazia trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle
masse; dall'altro lato, alle riforme economiche, "unico riparo al
comunismo politico", se volte a ripartire e a regolare le ricchezze (anche
con l'imposta progressiva) e non a inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento,
percorso tra l'altro da fremiti antiborghesi, rifletteva una visione del
movimento nazionale quale luogo d'incontro e d'interazione tra le
"aristocrazie dell'ingegno", tratte dal popolo e da questo
riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto sociale, garantite da una
monarchia non solo costituzionale, ma anche schiettamente popolare. Nel
pubblicare il Rinnovamento il G. era convinto che l'opera sarebbe incorsa
nell'interdetto della Chiesa; quando apprese che il S. Uffizio, con decreto
aveva condannato tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate, si consolò
col rilevare che, "involgendo nella proscrizione anche quegli scritti che
furono conosciuti da tutti per irreprensibili", si erano meglio manifestati
il puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti. I pesanti giudizi su
figure eminenti della classe politica subalpina di cui il Rinnovamentoera
cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui il G. rispose con due
opuscoli del 1852, il primo dei quali conteneva una risposta (che non cambiava,
ma semmai aggravava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di
Rattazzi, diGualterio e del generale G. Dabormida; il secondo intitolato Ultima
replica ai municipali, aveva soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni,
schieratosi a difesa del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi
bersagli preferiti, il quale si era ammalato gravemente nel bel mezzo della
diatriba. La morte del Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo era
stampato, creò grande imbarazzo al G., che stese a tamburo battente un
Preambolo in cui rendeva giustizia sul piano personale alla figura del defunto,
decidendo in seguito, dopo vari tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200
copie già stampate dell'Ultima replica - di cui restò un solo esemplare - e di
mettere in circolazione esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino
1852). Fu l'ultima opera edita lui vivente. In assoluta solitudine G.
morì infatti improvvisamente, nel suo modesto appartamento di Parigi. Tra le
sue carte rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere
incompiute e inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente
sommerso, non meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti
da lui dati alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato
postumo, con scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle
opere inedite giobertiane, di cui uscirono a Torino 10 volumi, diede alle
stampe nel 1856 i frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia
della Rivelazione, seguiti nel 1857 dalla Protologia, forse la maggior opera
filosofica del G. maturo, che ne aveva incominciato la stesura negli anni
Quaranta. A cura di Solmi, furono editi, con criteri non meno discutibili, i
frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della mente umana, insieme
con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La riforma cattolica e La
libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più corretto, da G. Balsamo
Crivelli nel 1924, e da G. Bonafede, insieme con la Filosofia della
Rivelazione, nel 1977 e, lo stesso anno, nell'edizione nazionale delle opere,
da C. Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che il G. aveva
definito "acroamatica", le opere postume, pur nel loro stato di
incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la
critica della religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche
nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la
dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue
deformazioni temporalistiche, autoritarie e "iper-mistiche", nel
rispondere ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine
il G. assumeva come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico
la nozione cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico
dell'evoluzione storica delle forme religiose e dello sviluppo del
cristianesimo in senso secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace
per la sua epoca del rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in
generale, della dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero
giobertiano in materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della
riforma ecclesiastica o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega
anche la riscoperta del G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che
una parte molto consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è
misurata con l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente
meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal
popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana. Fonti e
Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo
varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva in 55
voll., 54 dei quali rilegati nel 1912 in maniera alquanto arbitraria e
classificati in un indice sommario: si tratta di carte che il G. aveva con sé
al momento della morte, riguardanti i frammenti miscellanei giovanili, appunti
ed estratti di lavoro, e gli autografi delle opere più tardive, pubblicate
postume. Alla stessa biblioteca sono anche pervenute una parte della biblioteca
personale del G. (il cui principale nucleo fu peraltro venduto all'incanto dopo
la sua morte), poche decine di sue lettere autografe e circa 2500 lettere di
corrispondenti, il cui indice è stato pubblicato nel 1928 col titolo Le carte
giobertiane della Bibl. civica di Torino da G. Balsamo Crivelli, al quale
risale anche La fortuna postuma delle carte e dei manoscritti di V. G. ora
depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il Risorgimento italiano, IX
(1916), pp. 665-694; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui
manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, LI
(1915-16), pp. 659-675. Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono
conservati nella Bibl. nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia
del Risorgimento italiano di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di L.
Quattrocchi nel III volume (Inediti) del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma
1969. L'Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, I-XI,
Firenze 1927-37, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere sono riprese, salvo
rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. Gioberti, Ricordi
biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I-III, Torino 1860-63; Il
Piemonte nel 1850-51-52. Lettere di V. Gioberti e G. Pallavicino, a cura di
B.E. Maineri, Milano 1875; D. Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro con
sue lettere inedite a P. Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite di
V. Gioberti e saggio di una bibliografia dell'epistolario, a cura di G.
Gentile, Palermo 1910; Lettere di V. Gioberti a P.D. Pinelli, a cura di V.
Cian, Torino 1913; G. - Massari. Carteggio (1838-52), a cura di G. Balsamo
Crivelli, Torino 1920; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro,
in Levana, III (1924), pp. 277-409. Un numero cospicuo di lettere al G. fu
pubblicato col titolo di Carteggio di V. Gioberti, I-VI, Roma 1935-38, in
un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di V. Cian), di I.
Petitti di Roreto (a cura di A. Colombo), di G. Baracco (a cura di L. Madaro),
di G. Bertinatti (a cura di A. Colombo), di "illustri italiani" e di
"illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle
opere edite e inedite, avviata nel 1938 con la riedizione dei Prolegomeni del
Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è
giunta al vol. XXXVIII, con il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G.
Bonafede, Padova 1995: comprende ormai tutte le principali opere del G.,
pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano continua peraltro a
venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. Gioberti su R. Cartesio. La
storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze 1981. Le
principali bibliografie giobertiane sono quelle di A. Bruers, G., Roma 1924,
che comprende circa 1400 titoli, fino al 1923, e di G. Talamo, in Bibliografia
dell'età del Risorgimentoin onore di A.M. Ghisalberti, I, Roma 1971, pp.
168-172. Tra le voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana,
XVII; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di C. Mazzantini, in Enc.
Filosofica, III; di F. Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr.
ecclésiastiques, XX. Per una sintesi delle interpretazioni: G. Bonafede, G. e
la critica, Palermo 1950. Tra le opere più recenti: E. Passerin d'Entrèves,
Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti),
VII, L'Ottocento, Milano 1969, pp. 333-364; A. Del Noce, Gentile e la poligonia
giobertiana, in Giornale critico della filosofia italiana, IL (1969), pp.
222-285; G. Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono divino e
il suo significato storico e speculativo, Milano 1970; F. Traniello,
Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana
lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, pp. 31-51 e passim; E. Pignoloni,
G. e il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, LXIV (1970), Id., Le postume
giobertiane nel giudizio della critica, ibid., LXV (1971), pp. 167-186; G.
Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, pp. 64-70, 180-189 e passim; C. Vasale,
L'ultimo G. fra politica e filosofia. Appunti sulle origini ottocentesche
dell'ideologia in Italia, in Storia e politica, XV (1976), pp. 201-261; R.
Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Roma-Bari 1977, pp. 238-245, 338-341, 362-368
e passim; A. Galimberti, G., Gentile, Rosmini, in Giornale critico della
filosofia italiana, LVIII (1978), pp. 172-187; C. Vasale, Riforma e rivoluzione
nel G. postumo, in Storia e politica, XVIII (1979), pp. 395-441, 621-665; A.
Rigobello, V. G., in Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und
20. Jahrhunderts, a cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln 1987, pp. 619-642; S.
La Salvia, Il moderatismo in Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in
Germania tra le rivoluzioni, a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna 1987, pp.
169-310; F. Traniello, La polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul
rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una
cultura politica, Milano 1990, pp. 43-62; Id., Il cattolicesimo riformato di V.
G., in Storia illustrata di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano 1992, IV,
pp. 1101-1120; G.P. Romagnani, V. G., A. Chiodo, G. De Launay, M. d'Azeglio,
Roma 1992; C. Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia
d'Italia, in Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del
Risorgimento, a cura di G. Pellegrino, Stresa-Milazzo 1994, pp. 215-245; L.
Pesce, Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, TrevisoG. Rumi,
G., Bologna 1999; G. Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G.
Milano. La sovrintelligenza. Concetto, METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA. Dommatismo.
COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA. L'Ente. Definizione del Primo. Distinzione
del Primo psicologico e del Primo ontologico. Il Primo filosofico. Caratteristica
del Primo filosofico giobertiano. Polemica contro SERBATI. Il Primo è l'Ente reale.
Cosa sia la realtà. G. non arriva a dirlo chiaramente. Difetto e pregio del suo
concetto della reallà. Del concreto: unità del positivo e del negativo. Deduzione
della realtà dell'Ente dal CONCETTO dell'Ente. Dal giudizio, “L’Ente è” non si deduce
la realtà del. L'intuito. O ľEnte Si contradice all'ontologismo. LA CONOSCENZA La
riflessione psicologica. La riflessione ontologica. LA PAROLA. COSTRUZIONE
DELLA FORMOLA IDEALE. Si confonde la realtà col puro essere Personificazione dell'Ente. Abbozzo della vera
via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtà o SUSSISTENZA = intelligibilità o idealità.
G, non adempie questa esigenza. Relazione tra Ente ed Esistente. Processo a priori
e a posteriori. Causa ed Effetto. Prova dell'intuito. Identità dei due ordini, ontologico
e psicologico. Verità dell'atto creativo. L'intuito come prova dell'atto
creativo. Dommatismo. G., Platone, Schelling ed Hegel. Prove indirette
dell'intuito. Lo spirito è produzione di sè stesso. Intuito dell'intuito. Falso
concetto della libertà e necessitàd el pen. Conseguenze della dottrina dell'intuito.
Ontologismo e Psicologismo. Mancanza didialettica. L'intuito come conoscenza
dell'atto creativo. L'intuito immediato è la conoscenza empirica. Confusione
del primo pensabile edel primo conoscibile. Falso concetto del pensiero speculativo.
Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. COSTRUZIONE DEL SECONDO E
TERMINE DELLA FORMOLA. G. e Rosmini. Insussistenza delle ragioni recate da G.
per difendere il primo ordine come condizione del secondo. Il concetto
dell'infinito condizione del concelto del finito. Concetto dell'Ente condizione
del concetto dell'esistente. La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo
come cognizione non è che la scienza. Instanza di G.: concetto del Necessario e
del contingente. L'intuito dell'atto creativo è lo stesso processo a posteriori.
Il Noo. L'INTUITO SPECULATIVO O IL PENSIERO PURO. Prima prova dello Spinozismo giobertiano.
Identità e differenza tra Spinoza e G.. L'INTELLIGIBILITA'. Identità di creazione
e illustrazione. La vera imma. LA FORMOLA. Seconda prova. L’intuito. Contenuto dell'atto
creativo. Dio-Quantità. Caratteri dello Spinozismo: loro contradizione. Concetto
generale della differenza tra Spinoza e Gioberti. Anticipazione del concetto di
Dio come relazione assoluta. Confradizione. Doppio concetto dell'esistente e di
Dio. Dio Quantità. Lo spirito: contradizione. La vera dificoltà. Soluzione: Dio come SVILUPPO.
Prima di Kant e dopo Kant. nenza. Difetto dello Spinozismo. Doppia
intelligibilità delle cose. Difficoltà contro la immanenza nel sensibile. Paragone
della cognizione colla visione. Meccanismo nello spirito. Concetto dello
spirito del conoscere. Kant; l'empirismo. prova. siero. Confusione dell'lilea. Falso
Spinozismo. Dio semplice sostanza, non causa. Vero Spinozismo. Dio sostanza
causa e della rappresentazione. Relazione del pensiero puro coll'esperienza. Il
Noo passivo è il senso. L'Innatismo. IDELAE. SPINOZISMO. Forma dell'atto creativo:
meccanismo. DIFFERENZA TRA G. E SPINOZA. Intelligibile assoluto. Intelligibile
relativo. Fondamento della soluzione del problema G. riunisce i due difetti. Risposta
alla difficoltà precedente, e vero concetto dell'intelligibile relativo. COGNIZIONE
DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA
FORMOLA. PASSAGGIO AL MISTICISMO. COGNIZIONE DELLA REALTA' DE' CORPI.Gioberti
non ammette la prova, ma l'inluito della realtà dei corpi. Ragioni del realismo.
Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi: criticato da G. Certezza
e verità. Fede e Scienza. Certezza e vedenza metafisica, efisica. Critica. Origine delle idee. precedenti, especialmente
di Rosmini. La generazio La dipendenza logica. Distinzione del Sovrintelligibile
e dell'Intelligibile. Significato e conseguenza di questa distinzione. Ragionee
So Idealismo e Realismo (imperfetti): idealismo assoluto; certezza ed evidenza.
Ragioni dell'idealismo; e suo difetto. SERBATI. Significato generale della questione.
Critica de’ filosofi. Distinzione de’ concetti in assoluti e relativi. Rità del
mondo. Dottrina propria di G. sulla cognizione de'corpi; e certezza ed evidenza
di questa cognizione. Significato e difficoltà del problema. Soluzione: l'Individuazione
(creazione: creare è individuare). G. pone bene il problema, ma non lo risolve.
Anzi fa impossibile ogni soluzione. Inconoscibilità dell'atto creativo nella
sua essenza. Perplessità di G. Critica. Certezza della cognizione de’ corpi. Distinzione
della certezza in fisica e metafisica. L'EVIDENZA come fondamento della CERTEZZA
in generale. Evi ne ideale. Analisi e sintesi. La produzione ideale
giobertiana: attività sintetica originaria. Critica di questa dottrina
vra ragione. Ente ed Essenza. Dipendenza logica e generazione. Contradizioni.
Doppio sovrintelligibile: Unità delle determinazioni razionali, e Trinità
divina. L'ldea come pura ragione o unità delle determinazioni razionali.
Moltiplicilà astratta e unità astratta. Pura sintesi o dipendenza logica, e
pura analisi. Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi; la moltiplicità come
momento dell'unità;unità- processo assoluto. La relazione del concetto relativo
coll'Ente. Creazione. Due ipotesi: generazione, e creazione. Risultato. Assurdità
dell'atto creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente. La
creazione è l'autogenesi dello spirito. La creazione è in sè generazione.
Conseguenze di questa dottrina. Risultato generale deila dottrina di G. sulla
produzione ideale. Passaggio al Misticismo. ELENCO di saggi di G. possedute
dalla Biblioteca di Torino. De Deo et naturali religione, de antiquo foedere,
etc. Taurini, Bianco. Teorica del sovrannaturale. Torino, Ferrerò e Franco. Accresciuta
d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico.
Capolago, Elvetica. Degl’errori filosofici di SERBATI. Capolago, Elvetica. Del primato morale e civile degl’Italiani.
Brusselle, Meline. Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal
Prefetto della Biblioteca. Carta. Capolago, Elvetica, Prolegomeni del
primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline; Introduzione allo studio
della filosofia. Brusselle, Hayez. Considerazioni sopra le dottrine religiose
di Cousin. Brusselle, Meline. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, Torino,
Fontana, Capolago, Elvetica, Apologia del saggio intitolato « Il Gesuita
moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano, Paris, Renouard.
Del Buono, Capolago, Elvetica. Del Bello. Firenze, Bucci; Allocuzione di un
filosofo a Pio IX. Torino; Discorso pronunziato nell’adunanza generale per
l’apertura del Congresso nazionale federativo nel Teatro Nazionale. Torino, G. Pombae;
I due programmi del Ministero Sostegno. Torino, Fontana; Anti-Primato papale e
l’automatismo romano distrutto dal Vangeloe dai Santi Padri, Torino. Lettre sur les doctrines
philosophiques et Politiques de Lamennais. Capolago, Elvetica. Del rinnovamento civile d’Italia, Paris, Crapelet; Operette
politiche, Documenti della guerra santa d’Italia, Capolago, Elvetica; Preambolo
dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Martinet; Risposta a Rattazzi. Sopra
alcune avvertenze di Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco;
Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di Massari. Torino, Botta;
Pensieri e giudizi sulla filosofia italiana, raccolti ed ordinati da Ugolini.
Firenze, Barbèra; Della protologia, Massari. Torino, Botta; Profezie politiche
intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino; Pensieri, Miscellanee.
Torino, Botta; Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Massari.
Torino, Botta; Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed
mediti fatti di pubblica ragione per cura di Fissore, Torino,Tip. Torinese; Una
lettera a ROVERE, pubblicata da Giovanni, Roma, Tip.delle Terme, di a. Balbi; Lettera
sugli errori politico-religiosi di Lamennais. G e Bruno. Due lettere inedite,
pubblicate da Molineri.Torino, L.Kourt; G.e Pallavicino. Lettere per cura di
Maineri, Piemonte, Milano, Rechiedei; METAFISICA ONTOLOGIA Dell'Ente come
concreto e reale. Dell'Ente, come astratto ed ideale, Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE
velazione e della Civiltà colla Reli . Primo Storico Del tempo e dello spazio.
Delle convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA LOGICA fato, della fortuna
e del destino, dell'accidente e della necessità. Della sovrintelligenza e del
desiderio Della definizione e della
divisione. Del metodo. gressisti. Della volontà umana. Delle facoltà dello spirito
umano. Del raziocinio e delle sue forme esteriori. Dell'arte critica. Ciclo
generativo e Cosmogonico Della forza cosmica.. DELLA PROPRIETA DELLE PAROLE. Delle
proprietà dell'uomo . Dei giudiziie delle proposizioni. Prima di esporre la filosofia acroamatica si
compie il ritratto della vita dell'autore. G. si ritira nella vitaprivata- come
ei parla disè stesso cerca di rompere ogni legame non pure col Governo, ma cogl
iuomini come sostiene la vita – la povertà di lui dà occasione ad un atto generoso
di SERBATI — per tenersi pronto a stampare alcuna opera utile all'Italia non
vuole dettare un Discorso su ALFIERI – quali erano i casi improvisi che poteano
indurlo a stampare — perchè opina più probabile che la repubblica francese non
cadesse — concetto che egli ha di Luigi Napoleone -- in che fu fal laceilsuo
giudizio sulla Francia— nella metà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento
di questo saggio : sua convenienza e differenza col Primato– censura tutti e tutto
coll'intendimento che fa e cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi
municipali - pole micaconesi— morte del Pinelli—si bruciano le copie del'opuscolo
Ultima replica ai municipali— l'autore lascia la politica e ri volge il suo
animo tutto al le opere nuove da pubblicare — forse la troppatensione di mente gli
nocque- morte improvisa e dolore universale— quanto danno fu alla scienza e alla
religione– vocazione di Gioberti no nmancata per la morte intempestiva— le opere
postume– quando furono scritte prima o dopo il 48?- il concetto e il titolo di esse furon
suggerito dalle circostanze o ne sono indipendenti? Tutto ciò che ora è stampato
appartenev a ad esse secondo l'intendimento dell'autore? -quale fu quest
intendimento? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e imateriali delle
opere che voleva dare ala luce- il disegno però v'apparisce: qual 'è desso?-
ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la verita della
dottrina contenuta nei detti scritti---apparente antinomia di cssa dottrina
-come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germana intenzione in qual formamison
risoluto di esporla- fu bene che il Massari curasse la pubblicazione di essiscritti–
potevano però esser emeglio ordinati da riuscire piùi ntelligibili–LA DOTTRINA
DI G. E PIU DIFFICILE DI QUELLA DI HEGEL. La filosofia ACROAMATICA non è
contraddittoria all'essoterica, ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e l'altra
— differenze della cognizione diretta o spontanea di SERBATI e COUSIN dal pensiero
immanente di G. Doppio stato del pensiero umano caratteri dello stato riflessivo
e dello stato immanente– l'intuito dell'ente differisce da quello
dell'esistente — in che consiste la strellezza speciale dell'ente intelligibile
col pensiero immanente -come l'attività dello spirito coesiste coll'Ente senza
che questo sia subbiettivato condizioni proprie dello stato immanente - si
rimuove una obbiezione dell'attività umana suo doppio stato e differenze dell'uno
stato dal l'altro- - della personalità — la penetrazione del pensiero nello stato
immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo triplice
proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lo spirito sebbene
una persona nel pensiero immanente non subbicttivizza la cognizione - l'ordine
psicologico è proprio della riflessione: suo fondamento ontologico– anche proprio
della riflessione è l'ordine cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il
ripiegamento della intuizione sovra se stessa— falso modo d'intendere la
visione ideale che è la vita anteriore descritta da Platone nel Fe d r o -
difficoltà di cogliere il pensiero immanente -la distinzione ben nella della intuizione
dalla riflessione corregge la dottrina platonica - obiezione di Grote - come vi
si risponde - - dei giudizii – doppio giudizio obiettivo- lo spirito esce dallo
stato immanente coll'affermare egli l'Ente- come si afferra il pensicro immanente-
del modo come possediamo le idee - le quali nascono per via di disgregazione,
non di generazione— dei giudizii analitici e sintetici- si chiarisce un dubbio-del
raziocinio della filosofia: sua definizione—FILOSOFIA PRIMA -- Qual'è – cf. H.
P. GRICE, “FIRST PHILOSOPHY” -- ;sua distinzione dall'ontologia -obiezione
contro la Protologia: risposta -della circuminsessione dei veri: sua radice
-criterio del vero - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica — che è un
siste m a scientifico - in che senso i principii dipendono e sono illustrati
dalle conseguenze — le une non sono affatto eguali in valore agli altri-- dell'ipotesi,
de i postulati, ed egli assiomi- se i principii sono astratti, onde si trae la
concretezza, senza di che la scienza non avrebbe valore?- Il Primo della scienza
è la Formola ideale -- come si prova che è il Primo - mutua collegazione e
dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della formola -- l'unità
scientifica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente all'intuito
- il processo non fa la scienza perfetta - questa risulta dalla intima unione della
cognizione riflessiva colla intuitiva -- dell'Ultimo della scienza – LA PAROLA è
IL PASSAGIO DAL PENSIERO IMMANENTE AL SUCCESSIVO -- onde si cava LA NECESSITA
DELLA PAROLA PER L’USO DEL PENSIERO RIFLESSO – ORIGINE DEL LINGUAGGIO. Tre
opinioni - - -sentenza dell'aulo re- come può dirsi che il segno del *linguaggio*
è unito al'Idea unità della dottrina di G. su questa materia . DOTTRINA
DELL'ENTE Come l'unità e semplicità di Dio si accorda colla moltiplicità degl’attributi
- dell'unione dei contraddittorii in Dio - - trasformazione dialettica dei divini
attributi— Hegel contuttii panteisti confonde il processo psicologico col'ontologico-l'antropomorfismo
é opera del l'imaginazionenon della ragione della futurizione divina -Iddio è
insieme sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come conosciamo l'Assoluto?
Dio è personale: obiezioni, risposte— Dio produttività infinita-la potenzialità
e l'attualità sono diverse in Dio e nelle creature- Dio è libero e necessario-
è buono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente,
dimostrativa pel DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'idea di creazione porta seco per
due rispetti l'idea di nulla—delcan successivo- la prova dimostrativa migliore traggesi
dalla nozione dell'infinito- processo protologico ed esplicativo delle attribuzioni
dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'infinito; onden'abbiamo
l'idea- è determinato; ma s'intendenon si comprende della presunzione divina
dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive: i panteisti
frantendono l'idea dell'infinito - assurdità dell'infinito nunerico -
distinzione dell'infinito possibile o potenziale dall'attuale - due infiniti:
il relativo e l'assoluto dell'infinito aritmetico monadico. giamento- l'atlo creativo
è uno in sè anche nell'estrinseco é perfetto- puossi considerare per tre rispetti
come infinito– l'infinità potenziale del finito suppone il possesso attuale, benchè
finito, del l'infinità attuale- in che consiste siffatto possesso— l'atto creativo
interviene in tutto — è causa che l'unità dell'Idea si sparpaglia in molte idee
– i generi sono vari- la varietà specifica delle cose deriva dalla maggiore o
minore intensità dell'atto creativo
zione è divisione e moltiplicazione- rispetto all'esistente l'attocreativo
è sintetico e analitico - differenza della causalità finita dall'in finita- che
è IL CRONOTOPO – (STRAWSON, INDIVIDUALS, chrono-topoical continunity -- sua unità-
come dall'unità dell'istante e del punto si biforca il tempo e lo spazio—
l'intervallo è uno- genesi del cronotopo – doppio valore delpunto e dell'istante-
dell'in ternità e dell'esternità- l'unità del continuo si rappresenta in ordine
lo spazio e il tempo hanno un centro al discreto sotto tre aspetti — del
passato, sintesi del continuo e del discreto nei modi del tempo -- del presente
e del futuro- l'eternità non cresce — doppio continuo, attuale e potenziale
-infinitazione del cronotopo- in che senso il mondo è eterno - ogni epoca e
stato mondiale è una palingenesi a verso il passato , e una creazione verso l’avvenire
- il cronotopo e l'universo infiniti sono reali come intelligibili– l'indivisibilità del cronotopo dal pensiero
colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea
DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbon si dire sull'esistente- questo somiglia all'ente
pereffetto della creazione- in che consiste l'impronta dell'ente che porta in sè
l'esistente diverso senso dato dall'autore alle voci METESSI (PARTICIPAZIONE) e
mimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione
della potenzae dell'atto- metessi O PARTICIPAZIONE potenziale,intermedia,eattuale
l a mimesi - essenziale alle forze create è il concreare e il generare : prove-
carattere del primo momento dello sviluppo dinamico – due Difficoltà di esporre la materia- nesso delle
cose dette con quelle che ritàe esteriorità del pensiero umano irrazionalità del
vero nella sua concretezza - come il pensiero umano conosce il continuo -
l'immanenza dell'eterno dato ci dal pensiero— l'estensione e la DURATA
esprimono i limiti dell'esistente — Dialettica; il diverso, la dualità, la moltiplicità
appartengono all'essenza della creazione- in che versa la dialettica e onde trae
il nome due dialettiche: reale e ideale che forma il moto o vita dialettica- la
dialettica consta di due momenti, sebbene sembra che consti di tre- gli eterogenei,
cioè i diversi ed opposti ,non sono contraddittorii--- differenza della
eterogeneità dalla contraddizione –secondo un certo rispetto l'eterogeneità è in
Dio- l'opposizione riguarda il negativo delle cose- il contrapposto è diverso dall'opposizione-
gli eterogenei importano gli omogenei e viceversa- che è il terzo armonico o dialettico
come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — nell'unione dell'omogeneo
ed eterogeneo quale prevale— ciò che è l'opposto in natura è l'antinomia nella scienza–
della antinomia reale e dell'apparente– della guerra- la polemica è la guerra nell'ordine
delpensiero- dello scetticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che
sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia -
- -divisione e riunione è ilprocesso universale e dialettico- diversità di processo
della dialettica dell'Ente e di quella dell'esistente della SCHEMATOLOGIA -- della
sofistica - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia
mediante la mediazione dell'infinito. cicli della virtù concreativa delle
esistenze realtà d'una intelligibilità relativa- il sensibile è la fuga dell'intelligibile
relativo da sèstesso, la sua moltiplicazione, diversificazione e rottura- prove
causa per cuil'intelligibile creato si manifesta come solo sensibile negli ordini
del tempo differenza della nostra dottrina da quella dei sensisti — nozioni che
racchiude l'idea del sensibile- la successiva distruzione e rinnovazione delle
forme sensibili è il nisus di esso a diventare intelligibili- il sensibile consiste
essenzialmente nella relazione tra l'uomo intelligente e la natura
intelligibile - del sensibile interno ed esterno - se il sensibile può o no
conoscersi- si chiarisce il significato della parola “sensibile” -- il sensibile schietto non si può pensare-
prova che la sensazione non è la cognizione- qual'è l'oggetto della cognizione
del sensibile - come si risolve l’antinomia apparente di trovare inescogitabile
il sensibile e pure poterlo pensare la dottrina nostra è la sintesi delle
diverse dottrine precedenti Galluppi, Rosmini, Platone- nella dottrina di G. non
bisogna confondere l'intelligibile assoluto, l'intelligibile relativo e il sensibile-
la teorica dell'intelligibile relativo non annienta il sovrintelligibile — si vien
divisando più particolarmente la mimesi—mimesi prevalente-esteriorità, apparenza,
fenomeno, conflitto, passaggio, metamorfosi -la gerarchia mimetica degli enti consiste
nella varietà dei gradi conativi-si notano i principali dellaluce- la maggiore
intelligibilità nella natura corporea si manifesta mediante la finalità ,
dell'uomo; il corpo, chi lo forma —del sonno e dei sogni—l'istinto l'anima e il
corpo in parte diversi , in parte uni - doppio stato della vita; latente e manifesta—
due vite dell'uomo- delle passioni: la gloria, la malinconia, LA NOIA – facoltà
dell'animo: il senso, l'imaginazione, la memoria, la ragione— le scoperte e i trovati appartengono allo sviluppo
metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è l'anima del
mondo, lo spirito umano è l'anima della lerra- gl'intelligibili intelligenti relativi
non sono già dello steso genere due specie di mentalità -che è il pensiero- in che
si fonda l'identità del mondo- metessi prevalente: sua definizione- doppia
unità , la divina dell'atto creativo, e l'unità metessica e concreativa della relazione;
essa sovrasta a i termini che la costituiscono - due relazioni--natura speciale
della relazione che corre tra l'Ente e l'esi Del progresso: che n'è il
tipo e il principio – il progresso considerato stente— l'azione finita è
reciproca, quindi inseparabile dalla passione: l'unità loro è la relazione, la relazione
infinita è una m la relazione è il verace assoluto che rappresenta la relazione
essa è l'appicco del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le
relazioni sono nelle cose, e non solo nello spirito nostro, e nella mente
divina -- falsità della dottrina di Hegel che pone l'assoluto e il concreto
nelle sole relazioni - la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea
specifica- metessicamente non si distingue il tutto dalle parti- come
raffigurarci la concretezza della potenza – delle contagioni morali e materiali-
l'armonia della mimesi erumpe sempre e risiede sostanzialmente nella metessi iniziale
diversità della metessi mimetica dalla finale -dell'implicazione e
dell'internità delle cose- qual'è il progress ometessico- v'è una permanenza
metessica di ciò che passa mimeticamente- Idea, metessie mimesi – il passaggio della
mimesi è creazione e annientamente- accordo di due opinioni opposte- tre condizioni
mondiali— vanità delle cose umane in quanto passano e si annullano- della dottrina
di Protagora- scienza mimetica e metessica—Come mai il reale può rassomigliarsi
all'ideale?- Come mai il finito, il relativo e contingente può rassomigliare il
necessario, l'assoluto l'infinito? Come mai le cose materiali possono
rassomigliare il pensiero? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi, e
alla metessi linale la mimesi è progressiva nei particolari, solo regressiva nel
generale- il regresso è legge del progresso– l'andamento cosmico si alterna di
progressi e di regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e
del regresso ma conferma di ciò si trova nell'esame dell'uomo, della religione,
dell'arte e della scienza - il progresso quando è passato diventa regresso -
accordo dei progressisti e dei regressisti- della periodicità– è circolare e regressiva di sua natura— ha luogo nelle parti dell'universo, non nel
tutto - la forza rallentatrice necessaria alla società come alla natura se il progresso
sia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso
migliorativo di tutto l'universo- il progresso nasce dall'intreccio del tempo collo
spazio- Individuo (cf. P. F. STRAAWSON, INDIVIDUAL) e genere—processo estrinseco
dell'atto creativo- l'evoluzione è nelle idee, nella metessi, non già
nell'Idea— che cosa è la generazione- essenziale
alla generazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la
generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose, e appartiene
alla mimesi – della SESSUALITA—dov'è il principio generativo se nello SPERMA o
nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontrata colla dialettica
della femminilità e della VIRILITA –del conjugio — dell'individuo compiuto e in
che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine
attuale i due estremi della realtà— influenza del pensiero negli effetti della generazione
la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tanto del corpo quanto
dello spirito— altre consonanze tra il corpo e l'anima - del psicologismo e dell'ontologismo
- come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del genere
coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito dinanzi alle
masse - che cosa è la plebe- relazione dell'ingegno colla moltitudine -come può
affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amore, dov'è il
suo tipo, e quale n'èl'essenza - l'a more assoluto e infinito è l'identità
--ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato mimetico dell'amore attivoe del
passivo- del puro e corrollo cagione dello scisma tra l'amor del cuore e quello
dei sensi — che è l'ideale dell'amore – del maritaggio- del divorzio– l'amore corro
tra i dissimili armonici- universalità dell'amore—parentela dell'amore col Bello
e col Buono—del Belo—origine del male- due morale, particolare e universale –
ottimismo relativo non assoluto - il mal morale è impossibile nell'etica divina
e universale - l'antinomia apparente della natura seco stessa si risolve
mediante la necessità de gli ordini --contraddizione della natura nello stato
presente --dell'infelicità umana—scopo della vita terrestre-- della virtùe della
libertà umana— l'uomo è potenzialmente onni specie, può salire escendere nella
gerarchia cosmica - la giustizia cosmica procede per ragione geometrica -
dell'abito- è verso l'anima ciò che l'accrescimento e la nutrizione verso il corpo - la virtù è
sforzo , è la trasformazione della mimesi inmetessi -ed il sagrifizio dell'individuo
alla specie- La Società ha un fondamento
metessico e ideale e logico- la polizia è una metessi iniziale - la polizia
dell'uomo comincia coi primi principii della sua vita— individualità e polizia
principiano e crescono di conserva—unità dinamiche della nostra specie–
divisione del genere umano in generiche e specifiche – della nazionalità naturale
e artificiale- la misura dell'ampliazione dell'unità è il termometro della
civiltà- doppia unificazione dei popoli --autorità morale— il potere sovrano è fontalmente l'Idea—
formazione primordiale della società- unità progressiva dei vari ceti dellas ocietà—
della plebe e del l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel
mondo tutto è ordinato allo svolgimento del pensiero— ciò che accade ora in Europa
è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia della demagogia: dominio
della Russia — unità sovrannazionale- unità intermedia tra la sovrannazionale e
la nazionale- l'egemonia moderna dove risiede -del Primato, assoluto e relativo-
alcuni titoli del primato italiano- il Cielo che rappresenta alla mente umana -
della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col cielo
- i vari mondi fanno un solo universo - il mondo non è solo un aggregato, ma un
aggregante - da che è prodotto l'individualità nei corpi- gerarchia degli esseri—della
NUIDITA -il principio e il fine si somigliano e differiscono - della materia in
astratto e in concreto – la potenza generativa essenziale a ogni forza creata-
della preesistenza dei germi—della legge centripeta inorganogenia- il centrfugismo
non è la stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei germi —la forza primitiva
quando erumpe nell'atto comincia colla dualità o colla moltiplicità?- gradi della
forza creata universalmente- dei cinque gran regni della natura - della
mutazione delle specie- sunto della dottrina dell'autore- due leggi dell'esistente:
legge di eterogeneità, e legge di omogeneità— della polarità– infinito numerico
solo possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso - infinito
aritmetico monadico - l'infinito è il sovrannaturale- due errori sul mondo dell'ottimismo—
infinità potenziale della creatura -delf u infinito e del sarà infinito.
CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo ciclo creativo; ritorno del'esistente
al l'ente – è solo per approssimazione -- la creazione non ebbe prima, perchè
fu un Pri il secondo ciclo creativo è umano e divino- come il principio e il
fine sono finiti e infiniti -- che cosa è specificatamente la palingenesia-- come
siam certi che esiste– la palingenesia èo bietiva e subiettiva, cosmica e individuale—
del progresso relativo e del progresso assoluto delle cose come si dee intendere
che lo stato palingenesiaco sia mentalità pura— della morte– dell'immortalità-- l'esistenza e inamissibile-
la morteè un salto e grado secondo che si
guarda il discreto o il continuo — futurità particolare del l'anima— la
palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che non si ha- è il colmo della
coscienza– due presunzioni dell’infinito potenziale– del libero arbitrio- il processo
palingenesiaco è un processo generativo- due metamorfosi: mondane e oltramondane–
obiezione contro la realtà della palingenesia: risposta– ignoriamo l'avvenire–
ha anche una base nell'esperienza—nella palingenesia l'internità sarà esternata-
di varioe rassomiglianza tra la cosmogonia e la palingenesia- in che senso la negazione
dell'immortalità umana è vera - unità dello stato palingenesiaco –
comunicazione dell'intelligenza e dell'amore coll'infinito della felicità e
beatitudine assoluta- l'uomo nella palingenesia opera- idea del progresso palingenesiaco–
lar ivelazione palingenesiaca non escluderà ogni elemento misterioso. RELAZIONE
DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE. G. prima cerca verificare psicologicamente
l'idea di mistero poi si propose dimostrarla ontologicamente infine porgerne una
prova universalee protologica- la metessi è il sovrannaturale- unione
dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico – il sovrannaturale
è universale; è nel principio nel mezzo e nel fiue- la natura senza la
sovrannatura è in contraddizione seco stessa- la dottrina del nostro autore
toglie l'opposizione tra il naturalismo e il sovrannaturalismo esagerati- il sovrannaturale
dell'ordine attuale è la metessi anticipata nel seno della mimesi -nel
sovrannaturale e nel sovrintelligibile v'ha un elemento naturale e intelligibile~-
due specie di sovrannaturale— differenza tra ilsovrannaturale e l'oltrenaturale
–idea della religione- religione perfetta è la rivelata— la rivelazione è
l'apice della cognizione- necessaria ad accordare la riflessione coll'intuito
due rivelazioni- la rivelazione immanente è virtuale— la potenza primitiva
delle due rivelazioni è l'intuito- la rivelazione sovrannaturale spiega le
potenze dell'intuito rimase infeconde per manco di parola acconcia- la rivelazione
esteriore diviene interiore- tre conseguenze importanti- intento di G.- nel suo
sistema la ragione e la fede entrano l'una nell'altra – l'idea del l'infinito è
il vincolo tra il sovrintelligibile e l'intelligibile- essenza del mistero: misteri
teologici, antropologici, e teoantropologici- i misteri rivelati non sono effetto,
ma principio di ragione- esempi della fecondità razionale dei misteri rivelati-
il mistero pertiene alla ragione e la
supera ad un tempo — tre membri della formola, tre essenze, tre misteri- vera dottrina
di G.- nella vita terrena il sovrintelligibile non diventa mai intelligibile-
il vero sovrintelligibile non iscema- del miracolo: se si pensa, è possibile- che
cosa è il miracolo- ogni prodigio importa un fatto obbiettivo e un fatto
subbiettivo—il miracolo e la disposizione e attitudine a crederlo si
corrispondono nell'unità metessica- il fatto miracoloso non è nel cosmo, ma
nella palingenesia- i miracoli decrescono— la natura (mimesi ) e mito e simbolo
del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un nuovo
atto creativo, ciò come avviene? - perchè si tralasciano di esporre
partitamente i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza, e
della religione colla filosofia Perchè
mi son risoluto a tessere questa conclusione-- il lettore non ricordando più le
cose lette negli altri volumi non avrebbe potuto giudicare quest'ultimo - m'è
piaciuto altresi di dare uno sguardo su tutto ciò da me pensato e scritto—
occasione dell'opera- carattere de la maggior parte degli’ Hegeliani—come è deltato
il saggio di SPAVENTAsulla filosofia di G.- le mie Considerazioni— sui aspramente
ripreso- soliloquio- nei primi volumi mostra iun po’ di risentimento -
l'esposizione della seconda parte si fa con modi dicevoli alla scienza- che cosa
mi ha fatto perseverare lungamente in questa opera, perchè l'idea di essa non
si era prima incarnata l'Italia alla stregua della filosofia dominante oltre alpi
- perchè era noma la terra dei morti— lotta interiore della filosofia di G.
ragione del suo tardi stampare — la lotta cessa: creazione d'una dottrina—la cui
pellegrinità sta nel nesso della religione collafilosofia -per quattro anni secostesso
esamina la bontà e v rità del sistema - tre stadi del suo processo
intellettuale- le nazioni coesistono insieme csigiovano scambievolmente- la nuova
vita d'Italia necessaria al progresso umano- ciò che hanno compiuto nel mondo i
francesi e i tedeschi — difetto della civiltà da essi pro dotta— scopo della rinascenza
italica— carattere della vitai taliana d’ALFIERI a G. nel quale ciòche era virtuale
e astratto diviene concreto e effettivo— chiude une poca e necomincia un'al tra -
medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di G. coll'idea
sostanziale che costituisce il genio nuovo nazionale - rifà in sè tutto il
processo anteriore dello spirito umano quando acquistò il suo spirito intera
coscienza di se medesimo - stimò che i concetti nati gli in mente erano stati
indirizzali ad un alto line dalla Provvidenza– si apparecchia ad eseguire il disegno divino-
moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divulgare la sua
dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e novatore ad un tempo
--procedette per l'antagonismo degli estremi permeglio far spiccare l'armonia
del mezzo— dissimulò una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e
la nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e
obbiettivamente mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di
esposizione -carattere delle opere essoteriche e delle acroamatiche- G. possede
una dottrina ben divisata e armonica, di cui avea piena consapevolezza – ciò sine
gada i critici- si discute la loro sentenza -si giunge ad una conclusione lutta
opposto alla loro con solo l'esame dei fatti -- si cerca allrcsi la dottrina
intrinsecamente e logicamente e si ha lo stesso risultamento, perché quasi tutti
i critici han franteso trina di G.- il medesimo ladot è accaduto a Spaventa -
qua l'è il concetto nuovo ch'ioneporgo- esso
è stato ignoto fin'ora; nelle scuole d'Italia s'è insegnato solo la parte
essoterica- di questa è contrapposto l'Hegelianismo- venuto il tempo che si studia
e colliva la parte acroamatica che contenendo la sintesi ed armonia di questo e
di quella, del presente e del passato apre la via alla speculazione avvenire-
nella controversia intorno a G. bisogna separare la tesi storica dalla filosofica—
caratteri che distinguono, la dottrina di G. da quella di Hegel, e il moto
civile d'Italia da quello di Germania- solo l'Italia ha oggi una vera missione storica,
il cuide lineamento trovasi degli scritti del torinese—riscontri tra le parti
in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale–
come l'egemonia piemontese ha prodotto i suoi frutti, così li produrrà il
Primato – il primato è tutt'uno colla rinovazione del pensiero italiano- ogni
nazione ha da natura un sito intellettivo- - che dee cavare dal suo l'Italia-
oggetto della scienza sulura l'idealità infinita– riforma religiosa c nuovavita del cattolicismo
- senza una filosofia e teologia infinitesimale ogni ristorazione religiosa è indarno-
prova il recente moto di Germania- Döllinger
non ha ragione di biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono
oppostosofistico dei Gesuiti– quindi continuano
la sofisticare li giosa che travaglia la nostra età- diseltano d'una teologia
veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con
tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità— senza di
quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè
accordare il divino coll'umano-carattere della nuova teologia- modo come dee procedere
la riforma cattolica- l'entratura di essa appartiene al laicato, e in
ispezieltà all'italiano così la gerarchia non sarà annientata, nè scossa, ma
condotta a riformarsi da sè— il molo italico ristabilirà perfezionata l'unità morale
e civile d'Europa – esso perciò è indirizzato ad una meta più alta di quella a cui
è giunta la Germania— i forestieri malintendonoe
mal giudicano l'Italia. In parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca
-ragione dell'imitazione tedesca tra noi—deve cessare e dar luogo alla
produzione paesana nell'ordine dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni. La
teorica della conoscenza nel G. Esposizione e critica. In uno degli
ultimi scritti, — certo l’ultimo saggio filosofico, — pubblicato pochi
mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa operosità, SERBATI,
discorrendo della necessità speculativa di tener distinta nell' essere la
forma ideale dalla reale, usce in queste solenni parole. L'esperienza tuttavia e la storia della
filosofìa dimostrano, che e' è una somma diffcoltà a distinguere e
mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed
obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non ha
guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede a me biasimo
e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale distinzione, dettando
tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde con tutto lo zelo e la
fidanza egli si pose di contro a me, quasi abbarrandomi il passo, e si
dichiarò perfetto realista: incolpando gli stessi scolastici realisti, di
non essere stati tali abbastanza, ec- cetto alcuni pochi. Ma pace a
quell'anima ardente: e torniamo alla storia *) ,. Si sa che
gli avvenimenti politici del quarant' otto avevano rav- vicinato i due
grandi avversar], smorzato perfin le ire implacate e sospettose del
torinese, che faceva pubblica ammenda della vivacità frequente delle sue
polemiche, dichiarando che, appena conosciuto di persona il Rosmini,
aveva cominciato anche lui " a venerare ') RoiKiNi,
Ariat. esposto ed esaminato, Torino, 1857, pre&z. p. 36. La
prefazione di quest'opera postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao
nella Riviìta contemporanea di Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18',
decembre 1854 egenoaio; riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo,
an. IV, 1855. Digitizcdby Google
Rosmini e CHoberH 247 con tutta Italia tanta sapienza e tanta
virtù , ^). — Quanto al Rosmini, benché l' animo suo non si fosse mai
inasprito, i fatti del ' 48 lo conciliarono di più col Gioberti, e non è
questo il luogo dì ricordare le belle prove da lui date de' suoi
sentimenti verso il filosofo esule per la seconda volta '), e poi quando
fa morto, e quando prima, nel ' 49, ebbe a G-aeta a difenderne
calorosamente la fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le
malignazioni d' un gran gesuita ^). Ebbene, tutto ciò e il
tempo corso in mezzo e il cammino in- tanto fatto nella scienza, non lo
rimossero fino al termine, come s' è visto dall' ultimo suo scritto
dianzi citato, dalla posizione già tenuta di contro al Gioberti. E
questi, dal canto suo, ìn quel di- scorso che premise alla seconda
edizione della sua Teorica del sovrannaturale, e che si può considerare
come Y ultima sua scrit- tura di genere puramente filosofico, rimaneva
anche lui al suo posto, nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla
sapienza dell' av-_ versarlo; poiché scrìveva: *U Rosmini ed io siamo
d'accordo nel recare alla riflessione la possibilità dell'errore, e il
suo rimedio all'intuito che la precede. Ma dissentiamo intorno al
contenuto di tale intuito ; il quale al parere dell' illustre Roveretano,
non ci poi^e che un ente astratto, iniziale, destituito di sussistenza ;
laddove, al ')Discorso preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla
Teorica del sovran7iaturide(i850] I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi nel
tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel Rinnovamento àvUs, lib. I, cap.
XIII; ediz. Napoli, Morano, !) Vedi quel che HCTisae Q. Uassuii,
nella bua Bitiista pdiHca del 15 luglio 1855 nel Cimento di Torino
commemoiando SERBATI. Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta
importansa per le opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T.
pure Tommaseo, A. Ro- smini, (in Rimala Contemporanea Liberatore. — Chi
fu presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff. De Ceaare.attesta che
le parole «eloquenti dette dalBosmini in quella occasione lìaHciiono il
più autorevole e più meraviglioso elogio del Gtiobeiti >. Tedi Db
CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, 16 luglio 1888,
p. 205. .dbyGoosle 348 G. Gentile
mio, ci dà un concreto effettivo, che nel primo de' suoi termini è
assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del vero? ^
l'astratto o il concreto? T insusaistente o il reale? l'incoato o l'as-
l soluto?, '). I due filosofi, adunque, compiono la loro carriera
filosofica con opposta sentenza intomo al principio della loro dottrina,
nonostante la polemica vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in
propo- sito dibattuta; talché si direbbe che essa non abbia avuta
nessuna efficacia sulle dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto
quello che ci rimane ancor da vedere. f~^ Come il Rosmini
abbia introdotto V. G. nel campo della ' moderna filosofia, cioè
della filosofia kantiana, l'abhiam veduto e dimostrato nel terzo capitolo
della prima parte del presente studio; coachiudendo, che già nella
Teorica del sovrannaturale egli ci ap- parisce sì un rosminiano, ma un
rosminiano il quale vuole andare avanti al Rosmini. Neil' opera che seguì
immediatamente dopo, V Introduzione aUo studio della Filosofia, si
delinea ben nettamente la nuova posizione speculativa del Gioberti ; e si
vede quali essen- ziali modificazioni, secondo lui, debbono subire le
dottrine del filo- sofo roveretano. Ma prima di studiare
cotali modificazioni, vediamo come si muove in questa nuova opera il
pensiero dell'autore. / La concezione della storia filosofica qui è
l'es^erazloae di quella donde sì rifa nel Nuovo Saggio il Rosmini; ma
certamente è mo- dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato,
v'ha sistemi che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di
apriori nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi
idea- *) Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A.
Bosmini, II, 126-134. — L'ultima parola venunente à nel Rmnovat>ieato
civile, dove al lib. n, oap. 7*, (voi. II, pag. 191), è detto ancora uoa
volta « Cosi, per cagion d'esempio, il divorzio introdotto da un chiaro
nostro psicologo tra il reale e l'ideale, non si puA comporre stando nei
termini della psicologia sola; e se si muove da questo dato pei salir più
alto, si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e de' suoi seguaci
Jtosmitii e G. iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo,
oltre l'errore di ammettere più elementi a priori che non ne siano
richiesti a quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi
un più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant,
Va priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere
vera e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì
sistemi sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo
sog- gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il
pla- tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova
grazia appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e
il soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo
soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa- coltà
soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo ei si
proponeva di scendere in campo col Numo Saggio. Contro questo
soggettivismo insorge parimenti la filoso&a del Gioberti; il quale
raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche riconosciute pure in
fondo al contenuto filosofico delle dottrine cristiane, tutti gli opposti
sistemi involge in una comune condanna con quel sensismo, che ormai,
quando usciva il suo libro, era già morto e sepolto cosi in Italia come
in Francia; talché dimostrare sensistica una teorica, era lo stesso che
averla giudicata senza appello. E sensistica, a parere del
Gioberti, è tutta la filosofia moderna in Europa; a cominciare da Renato
Cartesio; il quale, del resto, non fece se non applicare alla filosofia
il metodo che aveva già fatto ben trista prova con Lutero, nella
Protesta, proclamando la j intimità autonoma della fede religiosa. .
-J Cartesio sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a
dire che il sensismo sia conforme ai principii cartesiani, e che il
Locke, il Condillac, il Diderot, con tutta la loro numerosa ed infelice
pro- genie, siano figliuoli legittimi del Descartes; quando questi
pre- tese nlle sue dottrine un teismo purissimo al sembiante, e
volle stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli animi
umani. Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il suo
dubbio Q. OmHk
metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso
in- timo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla
negazione di ogni realtà materiale e sensibile , *). E che altro è il
sensismo? ' Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e ridotto
al suo vero essere dalla logica severa di Davide Hume, riuscendo a un
giuoco aubbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni realtà, è costretto s
trastullarsi colle apparenze, è propriamente scettico e si manifesta come
l' ultimo esito di ogni dottrina, che _, metta nel sentimeuto
dell'animo proprio i princlpii del sapere . *). 1 II Descartes,
adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta la serie di errori di
cui è iutessuta la storia della filosofia moderna ; egli è l'iniziatore,
purtroppo, fortunato del moderno sensismo psi- cologico, poiché pone come
principio della filosofia un fatto, che come tale non può essere se non
un sensibile ^). Insomma il Locke e il Gondillac sono cartesiani.
" Né rileva che i successori di Locke facciano caso della sensazione
sola, e non del sentimento interiore, imperocché questo e quello
convengono nell'essere forme sensitive, destituite di obbiettività
assoluta , *). \ Il Gioberti, insomma, intendeva parlare di
soggettivismo, e di- COTa sensismo, che è pure una direzione speculativa
molto diversa. La colpa bensì non è propriamente sua, perchè risale al
Galluppi ; il quale nella sua teoria della sensazione (che qui il
Gioberti ripete) aveva con essa confusa la percezione o rappresentazione
e la coscienza, introducendo nel seno stesso di quella le distinzioni che
sorgono ') Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di
Firenze, Poligrafia italiana, 1846) I, m. ») Ibid., p.
m-12. 3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono,
equivale a questa: io sento di oaeere pensante ... e più concisamente :
io sento, dunque sono . . . n pensiero conosciuto per via della
liflesaione, ò un meco fatto della coscienia, cbe appartiene al senso
interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella, colloca in un
fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,
lib. I, oap. 3" (n, T7 e segg.). *) Op. àt., n, 78.
n 2&1 invece per cotesti fatti
ulteriori della psiche '). Del resto, G. risente presto l' iDcooTeuiente che
deriva dal fare un sensista delio stesso Cartesio, pel quale il fatto
della coscienza, invece che un sensibile (donde, secondo il Gioberti,
stesso non può derivarsi mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere,
e quindi noD un semplice principio psicologico '), ma una inscindibile
unità del prin- cipio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse
stata fecondata, avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia
moderna. Infatti, quando ai accinge a classificare tutte le scuole
filosofiche figliate dal sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda
categoria i se- guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i
caratteri di questo * il ripudio della ontologia cartesiana, come
ripugnante ai principii e al metodo del Descartes, e troppo simile
all'antica, dichiarata dal francese filosofo insuMciente e buttata fra le
ciarpe ; e l'ommis- sione e lo sfratto implicito e tacito di ogni
ontologia , '). E già da questa medesima classificazione de'
sistemi resulta cbiaro che il nemico preso di mira è precisamente quello
stesso del Rosmini: cioè il soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che
ri- pete le sue origini da Cartesio, anzi {ed ecco l'intreccio
significan- tissimo della filosofia eterodossa con la falsa filosofia!)
da Lutero. Nelle cinque categorie, in cui dovrebbesi, secondo il
Gioberti, par- tire tutta la storia della filosofia moderna, così vengono
distribuiti i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua scuola:
nella 2' Locke; nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte Giorgio
Berheley^; ') Eppure il Gioberti stesao aveva combattuta
questa teorica galluppiaaa, nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.)
imputando al filosofo di Tropea < di Bveie considerato come semplice e
indivisibile ciù che è ancora composto, Bocomunando per tal modo elsmenti
svariatisaimi con una sola voce >. *) < Il paicologiamo ed il
BcnHÌaino sono identici : l' uno è il Henstsma ap- plicato al metodo,
l'altro è il psicologismo adattato ai principii »- — Introd., I. 30 (il,
83 e eegg.)- Gtt- p. 83 e segg. e 3^ e segg. Ha < Cartesio è sen-
sista nei principii e nel metodo * p. 83. 3) Op. cit., voi. Sf p.
85. .dbyGoosle 252 a. Gentile
nella i* Kant e i sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; '
infine nell'ultima classe si debbono collocare gli scettici assoluti,
che giunsero al dubbio universale, mediante i principii del
sensismo, aiutati da una logica s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe
è Davide Hume , *). CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti
d' uno; e come va che il Gioberti confonde il fenomenismo del Berkeley
con l'idealismo assoluto di Fichte, dì Schelling e di Hegel, e
l'idealismo trascenden- tale di Kant col sensismo di CondillacPEcco:
secondo lui, " l'asso- luto dei filosofi tedeschi non è l'idea
schietta, ma bensì l'idea mista di elementi sensitivi, e per dir meglio
un concetto, un astratto, un fantasma, frammescolato di elementi ideali ,
(p. 85); insomma è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il
Kant con- verrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà
del senso, facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando
il vero, come relativo , (p, 86). — È chiaro che la causa della
con- fosione nel primo e nel secondo caso è la medesima; per
Gioberti, r a priori di Kant e de' suoi successori è falso perchè
contraddit- torio: è posto come a priori, perchè necessario ed
universale; e intanto lo si fa subbiettivo, e quindi particolare
all'individuo che conosce, e come esso contingente. Questa
falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che cominciava con la
teoria della sintesi a priori dal negare definiti- vamente quello
scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre stato come
equivalente, — è un'eredità che il G. raccoglie dal Rosmini, e rivolge
subito, come or ora vedremo, contro di lui. E già si può dire, che
l'avesse raccolta nella Teorica del so- vrannaturale, quando, a proposito
dell'eclettismo francese, aveva ') E petcbè esclndecne ì
materìaliati del aec. XVIII, le cui open, come ricorda opportunamente il
Imnge, precedettero i libri e le dottrine del Con- dillao? ')
Op. dt, p. 86. parlato
dì un * razionalismo imperfetto , che consente col sensismo ' nel
so^ettivare interamente e parzialmente la conoscenza „ ^), e meglio
altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb- bero
appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo ontologico
metafisico di un celebre filosofo tedesco, che im sima r ente stesso
coll'esistenza individuale, sarebbe la nect conseguenza , *).
I! Gioberti, invero, come il Rosmini, non conosce altn gettìvismo
che il falso antropometrismo individualistico goreo, il soggettivismo,
che il Rosmini combatteva in Em. Pel soggettivismo, a parer del Oioberti,
tot capita, tot senti donde, secondo il principio di Lutero, tanti
cristianesimi cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i filosofanti,
se et Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata
di già e da Protagora , ^. Di guisa che è un errore, dice Ìl I^
paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8 presentito
la teorica delle idee assolute, che venne poscia es] da Platone, e
dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i • quasi — contempla e studia
te stesso nella idea divina. In breve: la salvezza della scienza è
nel platonismo, nella razione dell'idea dal soggetto, nella oggettività
della conos E si deve anche far forza alla storia e in Socrate trovare
PI se in Socrate si vuol trovare un principio di sana filosofia,
menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione d tagora, come
sono Cartesio e Kant, — il famoso " sofista i nisberga , !
Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte
fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, il Oioberti bene egli
sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne escluso il Rosmini.
Ed è davvero curioso a vedere il gran ') NotaXH; n,
329. *) Nota XVn i n. 338. ») Introd., I, 3»; H, 76.
Q. Gentik glìere invano che tutti i filosofi italiani della prima
metà del secolo fanno tra loro, accusandosi TicendeTolmente di kantismo e
di so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi
rimane impigliato. Galluppì accusa Rosmini; Testa, Galluppi e Rosmini; De
Grazia, Galluppi e Rosmini egualmente; G. e Mamiani, Rosmini; e questi,
il Gioberti. — Così, il Rosmini era persuaso che tutta la sua attività
filosofica fosse una guerra con- tinua contro il sensismo e il
soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl Gioberti a proclamare che ancora il
sensismo è la dottrina filo- sofica predominante in Europa; dacché non
tutti i razionalisti si potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a
distinguere uu razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl
secondo de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza
dal senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo
stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire alla
cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo
psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e Stewart,
va, secondo il Gioberti, annoverato anche il Rosmini, non correndo alcun
mezzo possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi- smo, che anche lui, il
roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo italiano né i due Scozzesi
possano propriamente rientrare nel quadro della quÌntnplÌG«
classificazione del sensismo cartesiano, ossia della moderna
filosofia. '"~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva delineato
una storia della filosofia, passato al Gioberti, era agevole
rivolgerlo contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare
è l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel
cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo. Il
Rosmini, come s' è veduto, vuole introdurre nella cognizione un elemento
necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì cui ammette un
intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che, secondo una critica
n^ionevole, devesì interpetrare come una sem- plice aflfermazìone della
universalità e necessità (trascendenza, e quindi — pare — opposizione
all'individuo contingente) AeWa^Hori della cognìzioDe. E il
G. prende la stessa posizione di contro all'empirismo, pur senza ripetere
una critica che era stata fatta, ma accettandone benal il
resultato. ' Oggi si tiene per certo, egli scrive nell'
Introduzione, che il Toler derivare con Locke i concetti razionali dalla
sensazione e dalla riflessione, ovvero col Condillac e co' suoi seguaci,
dalla sen- sazione sola, è un assunto d'impossibile riuscimento; e che,
sì come il necessario non può nascere dal contingente, né l' oggetto'
dal soggetto (ecco l'unica concezione rosminiana d'oc/petto e soggetto:
oggetto = necessario: soggetto = contìngente), così i sensibili od este-
riori non possono partorire l'intelligibile , •). — Pel Gioberti la
questione stessa dell'origine dell' intelligibile, di cotesta idea, in-
volge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato ed eterno,
come necessario ed universale della cognizione, non ha nn principio né
una genesi. Potevasi senza dubbio osservare al- l' autore, che appunto la
definizione stessa che egli dà della idea, inchìnde il teorema, che gli
avversarj volevan dimostrato. Comunque ciò sìa, egli ammette bensì
un' altra questione, che è la vera questione della ideologia rosminiana ;
la quale è volta a indiare " se derivando la cognizione dell'Idea da
una facoltà spe- ciale, che dicesi mente o intelletto o ragione, ella è
acquisita od in- genita; cioè, se l'uomo può su^atere, eziandio pure un
piccolissimo spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la
facoltà cogi- tativa, senz'avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca
e se la procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col
primo esercizio della mente, tantoché il menomo atto pensatìvo e
l'Idea siano inseparabili , *). E tal quistione, che brevemente si può
espri- mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso kantiano di forma si-
multanea alla esperienza) ei la risolve affermativamente, come il
Rosmini, dichiarando che a suo avviso ( * per rispetto nostro , ) non si
può assegnare altra origine all'Idea, che l'origine medesima dell'
esercizio intellettivo. «)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *)
le O. Gentile Questa apparizione dell'Idea simultanea al primo
esercizio della mente corrisponde per l'appunto a quello che il Rosmini
avrebbe detto propriamente nozione) dell'idea dell'essere. Anche pel
Gio- berti cotesta nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza
stessa; anche per lui " non arguisce nulla di subbiettivo, oè
risulta dalla struttura dello spirito umano, secondo i canoni della
filosofia cri- tica , *) ; anche per lui è " l' ometto della
cognizione razionale in se stesso, aggiuntovi però una relazione al
nostro conoscimento , *). L' intuito di cotesta idea è dal Gioberti
stabilito con breve di- samina del procedimento del conoscere, e benché
egli non se ne rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna,
che egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica,
devesi alla grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di
Ro- smini ; talché, scrivendo quasi di getto, come fece, l'
Introduzione, non avrà pensato che ci volesse molta discussione a solidare
già muorevasi la mente iegazione del conoscere.
nella esposizione, del Ione fece il Massari nel
un'ipotesi, la quale, per l' indirizzo per cui ^ sua, era
assolutamente necessaria alla spie Si accorse di poi del mancamento ; e
lo v resto tanto piaciutali, che AeW Introdtizio Progresso di
I^apoli, quando già l' intrapresa polemica col Rosmini cominciava a
fargli guardare più attentamente ogni parte della costruzione filosofica,
cui aveva posto mano. B al Massari, ai 17 giugno del 42, scriveva:
"Ho riletto quel poco che ho detto del- l'intuito iLviW Introduzione
e l'ho trovato ancor più scarso che non credevo; tanto che la critica che
vi ho fatta di non esservi steso davvantaggio e con nu^giore precisione
su questo punto manca affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava
a scrivergli : * Non ') < Nozione io chiamo un'idea
considerata sotto questa relazione, in quanto doè ella mi serve, a
rendermi note le cose >; Bosuini, Prindpj di acietua mo- rale, in
Optre, ed. Bstelli, TX, 2 n. ») Inirod., I. 3"; II, 8.
') Ibid., p. 5. *) Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una
analisi dell' Introduzione ( la 1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie
puntate del Frogreeso del i841. Bosmmi e Gioberti 257
è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio testo del-
l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà mi-
steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no la cognizioae
umana e ordinaria, spogliata però del repli riflessivo. L'ho definito,
credo, nel libro degli i/rrori , '). - questa definizione dell'intuito
corrisponde evidentemente i trina già esposta del Rosmini, che l'intuito
dell'idea si rit un lavorio riflessivo sulla cognizione ordinaria,
mediante cesso d' astrazione. Nel Gioberti non s' incontra
una teoria compiuta del f noscitivo, come si trova nel Bosmini. Ma
qualche accennc qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore sia
de che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb
fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli trattare
specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace alla sua dottrina.
Egli ammette un' ' attività intima e s< sima, che rampolla dall'unità
sostanziale deWanimo, e con primo raggia intorno a sé le molteplici
potenze, donde na varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione,
anzi de d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii
L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo il Rosmini, presso il
Gioberti una " energia contemplativa „ che venir meno, ossia non può
cessar d' intuire il suo termine, se durre,in grazia di quell'unità
sostanziale dello spirito, la ce simultanea dell'esercizio deliamente^);
come nel Rosmii •) Cart, n, 381 e aegg.
^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per castigatezz
tuna di lingua, lovece di anima, spirito. ') < Tutte le potenze
dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme dosi a vicenda, è
inverosimile il aupporre che l'energia contemplat eoir meno, «enza che le
altre facoltà a proporzione se ne riaentan cap. 5° (1, 138). Altrove dice
che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I prende la manifestazione
naturale del verbo ; 1, 2° (1, 196). Ma egli no a questo propoailo, una
terminologia costante. G. Gentile dell'intelletto vedemmo
esser necessario non solo alla costituzione dell'intelletto, ma anche,
per l'unità del soggetto, a tutta la fun- zione del conoscere.
Né pel Gioberti l' intuito ha un valore diverso da quello indi-
cato nella teoria del filosofo roveretano; come sarà agevole accor-
gersene esaminando con la brevità necessaria la teoria giobertìana della
riflessione. L'iatuito rosminiano vedemmo essere non vera e propria
cogni- rjone, ma condizione di ogni conoscenza, e però un vero a
priori kantiano, una pura forma dell' intelletto, che come tale
distruggeva l'antica concezione di oggetto opposto e separato dal
soggetto, — avendo dimostrato che il nuovo oggetto non esisteva per sé,
fuor della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati offerti dal senso
ed elaborati nel soggetto. E il Gioberti scrive: 'Egli è vero che
l'in- tuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci
vuol di pili quella ridessione che ho denominata ontologica
dall'obbietto in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto
quella di- stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza
alterarne r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua
altezza inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva... Se
l'intuito fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe
conoscerla, perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del
proprio intuito, e la coscienza di noi medesimi , ; vale a dire la
coscienza dell'intuito e la coscienza del soggetto, che in fondo sono una
me- desima coscienza; dacché, anche pel Gioberti, l'intuito è
costitutivo del soggetto, e non v'ha soggetto senza l'intuizione
immanente dell'Idea. Sicché l' intuito giobertiano neanch'esso fornisce
una ef- fettiva conoscenza, ne è bensì anch'esso la pura condizione, la
pura forma a priori, la quale ha bisogno, come qui dice l' autore,
della riflessione *). Orbene, che è questa riflessione, e
qual'è l'ufficio suo? Essa *) «La riflesBione pertanto dee
accompagnue l'intuito primitivo >; I, 30, (H 107).
'l, è
come un intuito secODdario, cioè un replicamento cosciente del- l'atto
coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè cosciente, non è più puro intuito,
non è più condizione, ma atto di coscienza: essa è già coscienza. — La
riflessione importa quindi una determinazione soggettiva e però una
modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito è vago e indeterminato,
mentre ogni atto di conoscenza è essen- zialmente determinazione ed
unità; elementi che all'intuito non possono essere aggiunti dall'oggetto
suo, che non ha in sé né de- terminazione, . né principio veruno di
determinazione. ' Nel primo intuito la cognizione è vaga, indeterminata,
confusa, si disperge, si sparpaglia in varie parti, senza che lo spirito
possa fermarla, appropriarsela veramente, e averne distinta coscienza...
L'intuito secondario, cioè la rimessione, chiarifica l'Idea,
determinandola; e la determina, unificandola, cioè comunicandole quella
unità finita, che è propria, non già di essa Idea, ma dello spirito
creato , *). La riflessione, adunque, si deve considerare come una
funzione determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori;
funzione fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e
sempli- cissima, che dianzi rilevammo. — Ma in che modo avviene la
de- terminazione? " Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile
dell'Idea colla parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea , ^); unione
mira- bile e ' misteriosa ,, donde s'inizia la conoscenza, come lo era
quella percezione intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare
l'atto del conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto,
senza la quale non v'ha umana conoscenza^). E alla percezione
intellettiva l'atto prodotto per la riflessione si riconnette anche per
la natura della parola, che si sostituisce in esso alla sensazione
rosminiana. Il Gioberti infatti, definendo la ») Introd., I,
3°, (II, 11). «) Op. cit, l. e. 3) iLa parola, easendo
il priocipio determinativo dell'Idea à altreai una condizione neoeBjacia
della esistenza e della certezza rlfleasiva» I, 3°; n, 12.
2d0 0. Gentile
parola, come ogni segno, per un sensibile, osserva: * Se adunque
ella BÌ richiede per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è neces-
sario per poter riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile •).
II cbe consuona con la doppia natura dell'uomo composto di corpo e
d'animo, e annulla quel falso spiritualismo, che vorrebbe con- siderar
gli organi e i sensi, come un accessorio e un accidente della nostra
natura „ . Sulle quali parole è bene cbe meditino quanti sono che
l'intuito giobertiano sogliono appaiare con quello del Malebranche. Anche
il Gioberti, come il Rosmini fa ricorso al sen- sibile e Io ritiene
necessario alla formazione dell'Idea; e il senso anche lui fa costitutivo
dell' oi^anismo unico dello spirito. Sennonché, sulla natura di
questo nuovo sensibile proposto dal Gioberti solvono varie difficoltà,
sulle quali non è pcasibile sor- volare, volendo fornire una idea non
troppo manchevole della sua teorica della cognizione. Vedemmo
altrove (part. I, cap. 3") come già fin nelle Miscel- lanee, che
sono sì prezioso documento della formazione della mente del Gioberti, si
accettasse e si lodasse la teoria bonaldiana del lin- ' S^^SS^°- ^^^
1"' nsll^ Introduzione è detto: ' Parecchi scrittori mo- derni assai
noti, fra' quali il Bonald merita un luogo particolare, hanno avvertita
la necessità del linguaggio per l'esercizio del pen- siero , *}. Ed è
senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua dottrina, che ha, pel
modo come sorse, una grave ragione storica. È noto che l' empirismo
inglese e il sensismo francese sì pro- ponevano di spiegare il linguaggio
umano, come una invenzione dell'uomo, Tommaso Reid per primo, (poiché le
profonde intui- zioni del Vico passarono inosservate), nelle sue Ricerche
stdl' in- tendimento (1763), dimostrò che il linguaggio nel suo più
ampio ') Cfr. Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di
qualche aenaibile, le idee non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*.
Teoria che bÌ conferma e ai de- fiaiace meglio nella Protoloffia, per la
qaale cfr. i Inoghi dUti dallo Spàtbhti., nella FUoa. di Oiob., p. 53
n. *j Introd., nota S' del voi. II, p. 213.
Digitizcdby Google Bosmini e Qioberti 261
significato è naturale prima che artificiale. Definiva egli Ìl lin-
guaggio, — definizione, ai badi, espressamente citata e accolta dal
nostro G., ') — ' tutti i segni onde gli uomini fanno uso per comunicarsi
reciprocamente i loro pensieri, le loro conoscenze, le loro intenzioni, i
loro disegni e i loro desiderj , *}. Pel Reid v' ba due specie di
lingu^gio : un linguaggio naturale, formato da quei vocaboli, che non
hanno un significato convenzionale, ma ne hanno uno che tutti intendono
naturalmente e per istinto; e un linguaggio artificiale, costituito dei
vocaboli non aventi altra significazione se non quella attribuita loro
convenzionalmente dagli uomini. Che vi sia un lii^uaggio naturale è
innegabile: e l'attestala sopravvi- venza stessa di esso al linguaggio
artificiale: le modulazioni della voce, ì gesti, i tratti del viso o la
fisonomia, — mezzi tutti onde l'uomo esprime naturalmente i pensieri, —
sono per l'appunto le tre classi alle quali riduce il Reid tutti gli
elementi di cotesto lin- guaggio. Ora è ovvio dedurre,
siccome fa appunto il filosofo scozzese, che il linguaggio artificiale
presuppone ÌI naturale, senza di cui gli uomini non avrebbero potuto
intendersi per convenire nei signi- ficati di quei vocaboli onde resulta
Ìl loro linguaggio artificiale. Di modo che se, come vuole l'empirismo,
il linguaggio fosse dovuto solver per un'invenzione umana, come la
scrittura o la stampa, tutte le nazioni, dice il Beid, sarebbero ancora
mute, come i bruti. Né meno stringente è la critica dal Bonald
opposta alla teo- rica del Gondillac ') nelle sue Eicerche filosofiche.
Secondo il Bonald il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima
conoscenza; a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua
espras- *) < Le parole sono i segni principkli, ma non i soli
Bagni, come sa oiaaouuo; tntti i sentimeati sodo veri segni deUe cose,
secondo la bella e profonda dottrina di Tommaso Eeid >; Introd., nota
l' al voi. II, p. 211.
*) Rech. sur V entendemenf humain, trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2 in OtMvres (Paria 1828), H,
88. ') Combatte la teoria com'era stata formulata da) CoDdiUac; ma
tiene por conto delld OBservazioni di Hobbe» di Locke e di tutti i
Bensisti. Digitizcdby Google aione
(espressione, si noti, anche semplicemente * mentale « ) S contro i
sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi comin- ciano dal
supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione, l'uomo in uno stato
primitivo bruto e insociale, e a tal grado di barbarie, da essere perfino
privato della facoltà di conoscere e comunicare i proprj pensieri, per
attribuirgli nello stesso stato i pensieri, i sen- timenti, le affezioni,
le intenzioni, i bisogni, Io spirito d' invenzione e d'industria
dell'uomo sociale e civilizzato , '). Lo critica del Bonald è in
fondo identica a quella del Reid. Si presuppone nell'uomo sfornito
tuttavia del linguaggio, cbe gli tocca inventare, qualità o attitudini
necessarie all'invenzione; le quali non possono non equivalere al
possesso del linguaggio che vien negato, comecché in una forma
primordiale e naturalmente rozza. E questa ingenua teoria del vecchio
empirismo che fon- dava la società io un contratto, la religione su un
arbitrio dì legislatori, e Ìl linguaggio in una invenzione convenzionale,
è stata anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla moderna scienza
della linguistica comparata; la quale se tra Max MuUer e il Witney
discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono fra il
pensiero e la parola, ha però definitivamente e concordemente stabilito
che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo e naturale dell'uomo,
non essendovi alcuna società, per quanto barbara e selvaggia, che non ne
sia fornita; del pari che la sociologia e la scienza delle religioni
comparate hanno provato l' originarietà, cioè l'apriorismo, del fatto
sociale e del religioso. Ed è appunto merito della scuola teologica
francese, come osserva giustamente il Janet ^), di aver dimostrato contro
i filo- sofi francesi del sec. XVTII la vanità delle teorie intorno
all'o- rigine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti
dell'uomo sociale. Al Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel
che è del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione,
giacché ') lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres (
Paria 1858 ) p. 107. *) La ph&os. de LamtnnaU. Bosmini e Oioberii
263 egli connette questa teorìa con quella della rivelazione
neceasaria per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi il
Oiobeiii. II Bonald, con l' Histoire comparée del Degerando alla
mano, rileva che la filosofia non è riuscita peranco a fissare un
punto fermo, un criterio sicuro di certezza e di verità, anzi per tutti
i sistemi è finita nello scetticismo e nel soggettivismo; e si chiede
quindi se non fosse possibile " trovare nei fatti sociali un fonda-
mento alle dottrine filosofiche piìl solido di quello che s' è cercato
fin qui nelle opinioni personali , ') ; e questo fondamento gli pare
appunto di trovarlo nel linguaggio, che, dimostrato non potersi in-
ventare dagli uomini, deve (non essendovi, secondo lui, altra via) essere
stato comunicato da Dio alla società umana, e in questa appresa via via
dagli individui. Si direbbe che il criterio del Bonald riesce sottosopra
a quello altrove rilevato dal Lamennais; che questa parola, che
possiamo accettare come saldo fondamento di certezza, data da Dio
all'umano consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel che v'ha di
ori- ginale nel Bonald, e prova che il Gioberti ne dipende io modo spe-
ciale, è la teoria della parola coma atto o strumento necessario del
pensiero; vale a dire che, dato che il linguaggio, tutto il linguaggio
aia rivelazione divina, il pensiero dì cui il Bonald dice che la parola è
il corpo, è esso stesso tutto una rivelazione, cioè ha tutto per se
stesso un fondamento di certezza obbiettiva o sovrumana, nel senso di
universale. La quale è appunto la teoria del Gioberti, che ammette bensì
una conservazione, ma anche una alterazione della forraola ( = contenuto
della rivelazione, coni' è contenuto dell' intuito) ; e fa che il
pensiero che rimane, anche al- teratasi la rivelazione, possa tuttavia
cogliere il vero. Di guisa che la rivelazione (l'elemento sensibile della
conoscenza) non è ac- cidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e
quindi costitutivo di esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto,
cotesto elemento sen- sibile, ne dipende e gli è strettamente
connesso. *) BecA. O. Gentile Questa rivelazione,
adunque, ha ud valore tutto speciale, in quanto è qualcosa d' intrìnseco
al pensiero stesso, tale perciò che il ricorrervi non sia per quello un
esautorarsi o uà apprendere dal di fuori, ma bensì uno sviluppare se
stesso; laddove, presso il Ijameanais del Saggio suW Indifferenza, il
pensiero infermo per se medesimo e incapace d' attingere il vero, si dee
abbandonare, quasi per chiederle conforto, alla rivelazione esteriore.
Pel Gioberti la rivelazione va cercata nella vita stessa del pensiero,
equivalendo alla parola, che è tale a sua volta, che senza di essa, come
aveva osservato il Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi rigetta
la rivelazione, viene a rigettare secondo il Gioberti, la parola,
ossia lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'Idea;
epperò non può attinger questa, senza la quale — lo vedemmo già eoi
Kosmini — il pensiero cessa di essere '). La necessità dì questo è
pertanto la stessa necessità della rivelazione, considerata unica- mente
per rispetto a quell' ufììcio che dee compiere nel fatto della conoscenza.
Sennonché, cosi considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa
ci deve offrire la parola, ossia i segni delle cose, Ìl dato sensibile
che circoscrive l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di cono-
scere; e, come dice l'autore, ' una successione di sensibili, per cui
essa Idea rivela se medesima all' intuito riflessivo dello spirito umano,
e compie l'intuito diretto, che li porge da sé *). Non è del nostro
tema trattare ampiamente di questo punto della filosofia del Gioberti,
che richiederebbe una troppo lunga di- samina. E bisognerebbe sovrattutto
discuterla, — come in parte ha fatto, da quel gran maestro che era, lo
Spaventa — nelle opere postume, una delle quali è appunto dedicata alla
filosofia della ') B il QiOBBBTi dice: «Il ripudio assoluto
della tradizione religiosa e Bcientifica si trae dietro neceasariacoente
quello della parola. Ora, siccome l'aiuto della parola è neceaaarìo per
conoscere riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta dee eziandio dismetteie
e gittar da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea, che rimane?
Nulla ».-- /«(roA, I. 3»; II, 51. ») Op. «(., I, 3"; n,
107. .dbyGoosle Sosmini e Gioberti
265 rivelazione. Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col
Elo- amÌDÌ, e sarebbe perciò inopportuno il prenderle come un punto
di partenza, volendo discorrer di quella. Gì basta notare,
che nella stessa Introduzione la teoria della parola va messa in relazione
con le dottrine del Reid e del Bonald, dalle quali deriva, e co' principj
rosminiani già adottati nella Teo- rica del soEiannaturale ; che deve
intendersi {secondo la distinzione di parola naturale e artificiale,
ripetuta dallo stesso Gioberti) '), come parola naturale, cioè come segno
della cosa, o sua rappre- senlanions, il che corrisponde appuntino alla
teoria rosminiana della sensazione, per la quale si determina e
circoscrive l'ente indeter- minato. Infatti, secondo il Gioberti, la
parola artificiale non può esprimere se non le idee già espresse, e
presuppone quindi la pa- rola naturale, la rappresentazione *).
Ora, se anche pel Gioberti ogni concetto si forma per una de-
terminazione che si fa per la parola dell' essere indeterminato del-
l'intuito, ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione; la
quale richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione
intellettiva del Rosmini. — Ma il Gioberti, come ha mutato la parola, ha
mutato anche, o crede d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo- 'J
4 La potenza dell'intuito per attuarsi ha d'uopo della parola, cioè del
sensibile! La parola è di due specie: naturale e artificiale. Questo è il
lin- guaggio elle non può eaprimere che le idee già espresse. Il
linguaggio del- l'arte è sempre una traduzione del linguaggio della
natura; è verso di esso db che la scrittura verso In parola artificiale
>. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta, i8o6, p. 89. ')
Meglio potremmo solidare questa interpetrazione discutendo le difficoltà
che fa insorgere la teoria della parola cori com' è esposta uell' Introduzùtne,
o prima facie par che quivi debba intendersi, esaminando la critica
fattane dal Tbsta nelle sue Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st.
ddla JHo*. di V. Q., Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma
non ist htc locus. Con la critica del Testa consuona in alcuni punti
quella di V. Db Gbaziì, ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la
Filos. speculativa { Napoli, Tip. de' Gemelli, 1350) 2' rass.; e mutuata
dal Testa pare l'obbiezione che il critico calabrese muove all'ipotesi
dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel Giobertiaee O. Gentile sofìa, che per
la spi^azìone della conosceoza ha bisogno del fatto della rivelazione
egli coutrappone la filosofla eterodossa, la quale, rifìutaodo lo
strumento della rivelazione, non può ammettere una riflessione che
rifaccia T intuito e conduca perciò al possesso del- l'Idea; e deve
quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi alla per- cezione del
sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso esterno, come
dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale ed intrinsepo.
Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e psi- cologismo
dall'altra; e in ambo i casi ' la sostituzione del sensi- bile
all'intelligibile, come principio, onde muove la filosofia , '); ossia un
metodo il quale, come vedemmo, conduce direttamente al soggettivismo,
allo scetticismo, al nullismo, dacché è vano lo sforzo dei sensisti e de'
psicologisti, di trarre dal sensibile l'in- telligibile. La
filosolia eterodossa, dunque, ammette bensì anch' essa la riflessione; ma
la sua rifiessione si differenzia essenzialmente dalla riflessione della
filosofìa ortodossa, in quanto, non servendosi di quel mezzo che solo
mette in grado di tornare, dopo il primo in- tuito, fìno al termine di
questo, si deve necessariamente fermare al fatto della mente (per parlare
dello psicologismo che c'inte- ressa) e rimaner quindi semplice
riflessione psicologica, in luogo di pervenire all'Ente intuito
immediatamente e farsi, come dovrebbe, ontologica. ' Lo
strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia, è la riflessione
psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se stessO; e afferma,
non già la propria sostanza, ma le proprie ope- razioni solamente.
All'incontro nell'ontologia lo strumento è la contemplazione, la quale si
divide in due parti, cioè in uu intuito primitivo, diretto, immediato, e
in un intuito riflesso, che chiamar si può riflessione contemplativa e
ontologica , >). Cosicché la ri- flessione psicologica è una
operazione semplice ; l' ontologica una ') Introd., I,
3"; II, Bi e segg. *) Introd., I, 3»; II, 104 e aegg.
Boamini e Gioberti 267 operaziooe duplice; quella si
esercita sopra il prodotto soggettivo di una precedente operazione
(l'intuito)-; questa sopra l'oggetto stesso della operazione precedente,
che rifa maturandola. Si potrebbe dire perciò, che la riflessione
ontologica sia la stessa riflessione psicologica aggiuntavi la ripetizione
dell'intuito. Infatti * nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa
sull'oggetto imme- diato dell'intuito stesso.. . Ma, egli è vero che
nella riflessione contemplativa •}, la mente rivolgendosi all'oggetto
ideale, si ripiega pure di necessità sull' intuito proprio, che lo
apprende direttamente ; onde il tenor psicologico del rìpensare
accompagna sempre l'altro modo di riflettere; tuttavia queste due
operazioni, benché simul- tanee, sono distinte, perchè hanno il loro
termine in uu oggetto di- verso , *). Una critica non molto
difficile qui può sorgere conti'o questa dottrina della riflessione
ontologica. Se l'intuito lascia uno stato speciale nella mente, un fatto,
tal che sia possibile coglierlo con la riflessione psicologica, due casi
si posson dare: o in esso v'ha uno specchio fedele dell'oggetto proprio
dell'intuito, e allora la riflessione psicologica è fondamento di una
conoscenza oggettiva per eccellenza, e non soggettiva, come pretende il
Gioberti; o non si riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si
riflette fedelmente) il termine dell' intuito, e in tal caso questo primo
intuito è per- fettamente inutile. Il dilemma ci pare senza
uscita. La riflessione ontologica del Gioberti sarebbe davvero un secondo
intuito, se potesse traspor- tare la determinazione sopravvenuta con la
parola (dato sensìbile) dall'interno del soggetto, dove interviene, nello
stesso oggetto; il che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la
parola è un sen- sibile. E perchè dovrebbe potervela
trasportare, cotesta determina- *) Cobi è par detta dal
Oìobei-ti la riflesBione ontologica; mentre la psico- logica è pur detta
osservaHva (p. 105). «) latroduz.. l, 3", II, 104. G. Qmiile zionep Perchè,
avvenendo la determinazione nella riflessione, es- sendo questa
ontologica, il sensibile, principio della determinazione, dovrebbe
ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta di un
secondo intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è im- possibile.
Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché non
esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora vedremo; ma
contrapposta, com'è dal Gioberti, a una riflessione psicologica, fallisce
al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze dello accennato
dilemma. Sennonché, il Gioberti ci dice: ' La rifles- sione psicologica
non ha per termine diretto il pensiero, come pen- siero, ma il pensiero
come sensibile intemo, cioè come atto dello spirito, e quindi non
riguarda direttamente l'Intelligibile, che si congiunge col pensiero e lo
illustra. Egli è vero che la riflessione del psicologo si connette per
indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6 non prova nulla in favore dei
psicologisti; imperocché non ne partecipa, se non mediante quell'intuito
mentale, che, al parer mio, è il vero e necessario strumento dell'
ontologo , •}• L'equivoco qui è evidente: la riflessione
psicologica non coglie il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce
l'Idea^, ma lo coglie, secondo Gioberti, come un sensibile intemo ;
dunque la riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero
come pensiero. Ora, se la riflessione psicologica presuppone
anch'essa un intuito, e (poiché, parlando contro il psicologismo, il
Gioberti si riferisce specialmente al Rosmini) un intuito, che, come
vedemmo nella esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del
pensiero, é ») Introi., I, 3» i U, 109. ') Nella FUoB.
iella Uivdaz., il Qioberti scrive : < Una meate aeiiEa idee, e in
igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La facoltà con cui
la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae imuaQente,
virtuale, che diventerà attuala pei opera della riflessione; v. ivi, p.
87] che fa, la sua assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6
che dell'intuito aveva detto il Rosmini. Rosmini e QvAerii 369
la sua propria essenza, — come può fare a ritornare sovra un
pensiero ehe non siasi già appropriato l'Intelligibile, e Io abbia ancora
fiiori di sé, e sia ancora in atto d'intuirlo? Insomma sì può concepire
un intuito immediato dell'Intelligibile come essenza del pensiero, che
pur lasci il pensiero sempre al puro stato di tcAida rasa, sempre in atto
di guardare l'Intelligibile, senza mai vederìo? Il pensiero pel Rosmini
intanto è pensiero, in quanto ha un intelletto costituito dall'intuito
dell'intelligibile; non può quindi riflettersi su se stesso, senza
trovare in sé non già Ìl semplice atto astratto dell'intuito, ma sì
l'atto concreto, ossia l'atto terminante nell'Intelligibile: la forma, in
una parola, dell'intelletto. E l'equi- voco propriamente consiste in ciò
: nel concepire l' intuito imme- diato come una pura dualità; dove, al
pari della visione corporea, da cui immaginosamente è desunta, non può
essere se non un'unità sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond'
è fornito l' intel- letto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto,
come nel pro- dotto della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la
nozione è qualcosa di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo
spi- rito non può non coglierne il contenuto, che è per l'appunto
l'Intel- ligibile. — SI' equivoco si fa manifesto quando l' autore
soggiunge che questo scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico)
gli ' riesce un trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse
le dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori
in essa racchiusi „ (p. 105). Qui sì immaginano la luce e ì colori
come oggetti o segni esterni e indipendenti dell'organismo sensi- tivo,
in che si rappresentano; per modo che a noi, sapendoli lì ad aspettare di
esser da noi sentiti, sia dato scegliere lo strumento più acconcio alla
bisogna. Laddove fìa dal 1834, quando fu pub- blicato il celebre Manuale
di fisiologia di Giovanni Mailer, si sa da tutti che non v'ha nulla di
più falso. Quello che not sentiamo e diciamo luce e colori, non è se non
per la nostra sensazione e nella nostra sensazione. Ma il Oioberti
ignorava questo concetto della soggettività della sensazione, comecché
avesse già appreso dagli scozzesi quella teoria della percezione
esteriore, per la quale ve- 0. Oentile nivano
per sempre seppellite le vecchie idee imniagiiii, che solo la leggerezza
filosofica di Ippolito Taine doveva più tardi esumare nella sua
haldanzosa quanto vana guerriglia contro la filosofia classica francese
in genere, e per questo punto contro il Royer- Collard >).
Or, come è uno shaglio credere che il colore che diciamo di vedere
con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si avesse modo di
riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice atto del ve- derlo,
ma non propriamente sul colore; così soltanto un equivoco può far pensare
che nella nozione rosminiana fornita dall' intuito dell'Intelligibile,
non siavi altroché l'atto dell'intuire; di guisa che la riflessione sovra
di essa pervenga soltanto indirettamente all'oggetto, sul quale cotesto
atto si esercita. L'oggetto qui è una cosa stessa con l' atto, siccome
vedemmo altrove discorrendo dell'intuito; oggetto ed atto sono una cosa
sola nell'intuito in- tellettivo, che è atto insieme e forma dì esso,
secondo la teoria del Rosmini. E questa è la vera ragione che
il Tarditi avrebbe dovuto op- porre al Gioberti, per dimostrargli
infondata, come tentò di fare nella prima e nella seconda delle sue
famose lettere, la distinzione fra le due riflessioni psicologica ed
ontologica *). Le quali si po- ') Convengo pienamente nella
controcritica oppostagli dal Janet nel primo de' suoi scrìtti en La crke
phUoaopMques, Paris, 1865, p. 26 e segg. Li teoria scczzcBe toRlienda
l'inutile intermediario dell'immagine tra l'oggetto sensibile e il
soggetto sensitivo, fece di certo un primo passo verso quell'unità del
tatto della sensazione, che non poteva d'altronde concepirai senza i nuovi
prin- cipj del kantismo, di cui giustamente la psicologia genetica
tedesca si con- sidera come un fedele compimento. — Vedi in proposito gli
scritti del TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e Lett. del 1880 e 81 e
del Cm*p- PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi
fUoeofici, Napoli, Morano, 1885, pp. 37-128. — Dopo la pubblicazione di
quwto votame il Chiappelli tornò sull'argomento nella Filosofiti delle
Scude Italiane, voi. XXSI (1885), in un art. sulle Attinenze fra il
criticiamo kantiano e la pri- coloffia inglese e tedesca. ')
« Siccome, osservava il Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa
Rosmini e Gioberti 271 trebberò ira loro distinguere
solamente pel dÌTerso oggetto (e a questo soltanto s'è appellato come a
ragion distintiva in un passo deìV Introduzione già citato il Gioberti);
talché se l'una noa ha, né può avere un oggetto diverao dall' altra, è
chiaro che la distin- zione non possa più farsi. n Gioberti,
veramente, negava più tardi che la distinzione si desuma soltanto dall'
oggetto ; e voleva che si fondi anche sul metodo {Errori, I, 151 e
segg.); e dava sulla voce al Tarditi, che ciò non aveva saputo vedere •).
Ma come sosteneva la sua sen- tenza ? ' La diversità dei
metodi in ogni ordine di ricerche consiste . . . in quella del veicolo,
che si dee scegliere per conseguire l'oggetto ricercato; e la natura del
veicolo è determinata da quella dell'og- getto medesimo, considerata non
in sé semplicemente, ma nelle sue attinenze con le facoltà e le
condizioni del cercatore , *). E più in là: ' Il punto, a cui si vuol
giungere, determina l'indirizzo che si dee tenere; l'intervallo che s'ha
da correre, insegna le ope- razioni da farsi, per superare gli ostacoli e
toccare la mèta , '). Ora^ senza dire dei caratteri differenziali
che il Gioberti poi indica nei due processi che vuol distinti, basta
notare che la sua deduzione avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei
avesse dimo- strato essere realmente distinti i due pretesi oggetti di
riflessione, poiché, a confessione dello stesso Gioberti, la natura del
metodo oggetto se Doa quanto da noi o intuito se ideale, o
percepito se reftle; pad la riflesBÌoDe passare egualmente dall' oggetto
atl' intuito, e dn questo a quello; anzi ta rìfleasioue sull'intuito non
puA essero completa, imparziale, quale s'ad- dice al filosofa, se non
coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nel- V oggetto in
cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano, Z\ p. 38 ; e
si riferisce alla teorìa della rytesiione filosofica del Rosmini ; cfr.
p. S e segg. Or se si distìngue e separa, come fa il Tarditi, atta da
oggetto, il Gioberti ha cagione. H vero è ohe essi non sono afiatto
distinti. ') Leti, eit, I, 19-20. •) Errori. I,
153. 3) Op. eit., I, .158. G. Omtile è
determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che ammetteva
un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto intuito, egli aveva
ragione; perchè se vi sono due termini di di- versa natura, noi non
possiamo giungere a ciascuno di essi con un medesimo processo. Ma
conviene prima provare quella distin- zione di atto e di oggetto
nell'intuito; la quale è, pift che altro, presupposta dal nostro
autore. E peccando il suo ragionamento di una siffatta petizion
di principio, né potendosi altrimenti che per astrazione
distinguere r atto dall' oggetto, il Gioberti non può dire nemmeno che la
re- plicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si differenzi! per
l'oggetto e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser diverso solo
allof che fosse differente l' ometto. E se il metodo trae i suoi
caratteri specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e inscindibile,
come si può distinguere una riflessione psicologica e una riflessione
onto- logica? Il pensiero non si può riflettere se non sopra
di sé, come pensiero; e siccome è costituito tale dall'intuito
dell'essere, che gli dà l'idea dì questo, la riflessione non può non
comprendere direttamente questa idea dell' essere, che è oggetto dell'
intuito. Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo
signi- ficato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto
esprime l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la
im- maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato
l'intuito), e però la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si
abbia di volere una riflessione che, a differenza della riflessione suU'
intuito, faccia riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito.
— E a questo punto noi volevamo arrivare. — Perchè Gioberti
distingue una riflessione ontologica dalla riflessione dei psicologisti ?
Qnesta, egli dice, si ferma a un fatto dello spirito ; quella ci conduce
fino allo stesso oggetto ; e quella è però da preferirsi, se si vuole
evitare il soggettivismo. Or si veda che fedele rosminiano è fin
nell'afferma- zione di questa esigenza il Gioberti ! La critica sbagliata
Fatta dal Kosmini delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una
seconda Jìosmini 6 QwberH 27 Tolta contro il
Rosmini medesimo. Gioberti, infatti, si accorge ( l'intuito rosminiano è
una pura e semplice forma dell'intellet ne più né meno delle forme di
Kant; se ne accorge e gli pare, dìei l'insegnamento del Itosmini, di
vedersi risorgere innanzi il fosco fs tasma del soggettivismo. Quindi non
gli basta un intuito, coi bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare
l'oggettività, cioèl'universal e la necessità della scienza, e gliene
vogliono due, un doppio ìntu intuito riflesso o secondario, o veramente
una riflessione oni logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori
del soggel umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei,
ti per un semplice intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi
per un intuito riflesso, reale ed effettivo conoscere. Ma il guajo
è che se l'intuito, l'intuito scempio, sul quale esercita la "
riflessione eunuca , ^) del Rosmini, è un semplice s< sibilo interno,
o meglio, un semplice dato soggettivo (che pel G: berti quel termine ha
questo significato) — opperò individuali contingente, — non c'è modo di
provare che non sia un sempl dato soggettivo anche lo stesso intuito
doppio, che gli si vuol ( stituire. À rigor di logica, infatti, la
critica stessa che il Qiobe muove al Rosmini, si può muovere a lui, e si
può continuare l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè
l'universalitì necessità delle forme di cognizione, come opposizione al
sogge conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed
i plica sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto, che
si eserciti una sola volta, sia che si eserciti due volte, riflessione
ontologica rifa l'intuito circoscrìvendone l'oggetto dato sensibile,
offerto dalla parola. Ora, se il prìmo^intuito i era bastato a cogliere
l'intelligibile, perchè e come deve potè cogliere il secondo ? — L'aveva
evolto, dirà il G.; ma appui perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol
predicare del dato sensil quella intelligibilità, e formare il concetto.
— Ma anche a v' ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un
precedei *) Errori, I, 144. G. Gentile
cronologico della percezione intellettiva, dell'atto (che il
Gioberti dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del
differenzia- mento della primitiva identità. E se non precede
cronologicamente, come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza
la diffe- renza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori
del vario, é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella
percezione intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento
presuppor- rebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre
che logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell' a
priori. La riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come
in- tuito riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza
che r Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione
sen- sitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è
mai intuito, se non come presupposto logico, come un quid
trascendente il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito
che si com- prende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né
meno che una ripetizione del primo ; talché, insuMciente il primo, non
pub non essere, e il Gioberti non dice perchè né come non debba es-
sere insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non aveva
nessuna ragione di tenersi contento al secondo, come aveva avuto torto, a
fil di logica, il Rosmini, rifiutando le forme kan- tiane, a contentarsi
di quel suo primo intuito. Ma come l'errore del Rosmini risguardava la
sua interpetrazione di Kant, ma non, ci pare, la sua teorica, ed anzi era
prova, come s' è più volte notato, delia buona esigenza da lui avvertita
di una perfetta universalità e necessità nel conoscere; così, con la sua
teoria della riflessione ontologica, il Gioberti, se crede a torto di
correggere il "Rosmini e con esso anche il Kant, dimostra anche lui
di avere avuto il giusto concetto dei bisogni essenziali della
scienza. E v' ha di più nel Gioberti. Questi sente più forte una
esigenza, che non si può dire sia stata trascurata dal Rosmini,
comecché in lui non sembrasse pienamente soddisfatta ; vale a dire l'
esigenza dell' unità non pure come compimento della dualità della
sintesi, ma altresì come sua base, fondamento ed inìzio. Rosmmi e Oioberti 275
Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel
seno stesso delU identità; perchè la parola, principio determina- tivo,
aiceome è una rivelazione dell'Idea, così è strumento di quella
riflessione, che risale fino all'Idea stessa, a guisa d'un quadro, in cui
s' incornicia la vaga Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere dal
finito spìrito umano. Ma quadro e Idea sono una medesima cosa; tanto che
la parola è detta rivelazione dell'Idea, ed è propria- mente parola dell'
Idea medesima. Sicché la differenza qui scatu- risce dal fondo stesso
dell'identità, dall'Idea; e la funzione dello spirito, per cui si
apprende insieme l' identico e il diverso, è pre- cisamente la
riflessione ontologica, che si rifa dal centro stesso dell' identico ;
laddove, secondo il Gioberti, la riflessione psicologica non si rifaceva
se non dall' atto stesso dell'intuito di cotesto iden- tico, cioè da un
fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale, d'al- tronde, se pure
era un identico relativamente all' ordine dei cono- scibili, non
conteneva però in sé il principio della differenza. Il Gioberti,
adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza della riflessione
rosminiana, con la critica di questa e col volervi sostituire una riflessione
più compiuta, mirava a porre su più solido fondamento la oggettività del
conoscere, e a giustificare più sicu- ramente quella vera sintesi a
priori che per questa via accettava, attraverso il Rosmini, da Em. Kant;
fondandola su quell'unità indis- solubile di identico e di diverso, di
uno e di moltepUce, di uni- versale e di particolare, di necessario e di
contingente, nella quale è la vita e la spiegazione del pensiero e del
mondo ; unità, del resto, di cui sentì pure il bisogno Rosmini, come in
parte s'è visto e meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue. E
per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la ri- flessione
ontologica non è una operazione differente dalla riflessione psicologica,
che il Gioberti attribuisce al Rosmini; non potendone differire pel metodo,
poiché non ne differisce per l'oggetto, e non potendo per questo
differirne, poiché non esiste quella duplicità di c^getto, che è
presupposta dal Gioberti, e che ne sarebbe condi- zione necessaria e
sufficiente. L'immediatezza dell'intuito, come
.dbyGoosle 378 0. OmHle forma del
conosoere, esclude essa appunto ogni distinzione tra atto d'intuire e
oggetto intuito, siccome distrugge l'opposizione, che pur presuppone col
suo letterale significato, fra soggetto ed oggetto. Della proprietà delle
parole. La parola , prima che fosse scrilla,è parlata : la parola parlata fu
inventata da Dio,come abbiamo detto di sopra,elascritlurafuun
trovatodell'uomo,einspeciedel sacerdozio , secondo l'opinione del Gioberti, La
parola artificiale, come espressione dell'Idea, non è già ilVerbo ereatore, m a
l'immagine del Verbo, cioè il vero Verbo dellamente umana;e
quindiilveromedialoreidealetra lo spirito e l'Idea.Se adunque lo spirito
contempla l'Idea a traverso della parola, egli è chiaro, che la parola dee
yelare appena e non coprire l'Idea,come terso cristallo corpi sottostanti ;
quindi ella dee essere trasparente, e in ciò consiste la sua semplicità e
perfezione, Dalla sempli cilà dellaparola nasce la proprietàdellevoci,lapuritàe
l'eleganza dei vocaboli ; le quali doli della parola si tra yasano nelle
frasi,che esprimono l'unione armonica delle yuci mediante i concetti ; e per
via delle frasiriverberano quindi nello stile, e generano la bellezza del
discorso. I m perocchè il discorso è bello allora quando le voci,le frasi, e
quindi lo stile che ne deriva, sono semplici,proprie, pure ed eleganti. Infatti
la parola è semplice, quando vela a p pena ilconcetto,e non lo copre dinanzi
all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per l'opposto materialé, e
oscura.L a parola è propria , se è un ritratto fedele del concetto che esprime
; ed è sempre tale , ogniqualvolta 266 LINGUAGGIO ; della precisione dei
concetti mediante le dif finizioni ,e della loro partizione mediante le
divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii ; delle pruove delle
verità seconde mediante i raziocinii';.e in fine del processo della mente
secondo il lenore obbieltivo delle idee mediante ilmetodo. Ma poichè in
tuttequeste operazioni della mente si può cadere inerrore, ogni qual volta non
si fa buon uso dei canoni logici e dellaloro applicazione , quindi entra
innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali ,
mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes.
seleggi. Diche noidividiamoluttala materia di questo capitolo in tanti distinti
articoli . conserva la suasemplicità. QUANDO LA PAROLA E PROPRIA MANTIENE A
CAPELLO LA CORRISPONDENZA PERFETTA TRA L’IDEA E IL SUO SEGNO SENSIBILE, se ella
siguilica l' Idea increata, cioè l'Ente ;'e se ella esprime l'idea creata,cioè
l'esistente è anche propria , oġni qual volta conserva la corrispon.denza tra
la mimesi e la metessi. Quindi è, che la lingua primitiva, la quale ebbe due
parti, l'una divina,e l'altra umana, e eminentemente propria ; imperocchè la
parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei verbi originali
manteóne, perchè divina, la corrispondenza tra l'Idea e il segno,e la parte
umana, consistente nel l'INVENZIONE DEI NOMI primitivi, mantenne ancora la cor
rispondenza tra la mimesi e la metessi , perchè Adamo per nominare i sensibili coi
loro proprii nomi, li dedusse dagl'intelligibili, cioè dalla loro radice
melessica. Quindi è,ancora , che nella divisione delle lingue avvenuta pel
fatto di Babele n,on re, che non abbia più o meno perdule e guaste molte primitive
sue forme ; che non costi di nomi e verbi anomali, eteroclili, difettivi, e di
molte altre irregolarità di linguaggio, sicchè ogni lingua compare una rovina del
primitivo idioma. Quindi è finalmente, che gli scrittori autichi per che erano
studiosissimi della proprietà delle voci e dello stile (onde le loro
distinzioni dei varii generi di stile, te nué, mezzano, sublime ) perciò sono
appellati classici, e sono i soli che abbiano buona scuola, cioè ispirano e
producono altri scrittori grandi. Abbiamo detto che dalla proprietà nasce la
purità l'cleganza e la bellezza della lingua e dello stile; e quindi del
DISCORSO. E infatti la voce proprio nella LINGUA ITALIANA importa il concetto d’identità,
cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa. Importa pure il possesso che
una cosa ha di sè medesima, perchè la cosa posseduta è quasi parte è in certo
modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è spesso
sinonimo di medesimezia. Così l' amor proprio è l'amor di sè; è desso an, cora
sinonimo di possessione. Così gl’attributi specifici di una cosa ,iqualine sono
leproprietà, sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degli esseri sono
la sostanza modificata, valquanto dire la mimesi della metessi. Adunque LA
PROPRIETA DEL PARLARE altro non è che LA CORRISPONDENZA DELLA MIMESI CLLA
METESSI DEL DISCORSO; la quale corrispoc [Ma se LA PROPRIETA DEL
LINGUAGGIO è la fonte di tulti i pregi del parlare e dello scrivere, LA
IMPROPRIETA DEL PARLARE POI E UNA DELLA CAUSE PRINCIPALI DEGL’ERRORI ONTOLOGICI
E LOGICI, che producono la declinazione della filosofia, como avvertimino nella
prima parte di questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento
dell'intelletto nella cognizione della verità; e come tale si distingue
dall'ignoranza, la quale non importa la cognizione alterata del vero, ma bensì la
privazione assoluta della cognizione. E poichè al vero si oppone il falso;
perciò siccome il vero significa, in quanto è desso l'essere, così il falso non
significa, secondo la bella espressione di TASSO, perchè e desso il non
essere denza costituisce LA DIALETTICA DEL LINGUAGGIO, e quindi la
improprietà ne è la sofistica. Ora la purità del parlare importa la sua
pulitezza, la quale è una specie di proprietà; imperocchè la pulitezza, mostrando
la cosa nella sua forma nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, val quanto
dire che l'apparenza risponda allasostanza; il che importa in altri termini che
la cosa abbia possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta
di ciò che costiluisce l'ornamento degl’oggetti materiali, cosi nella lingua
l'eleganza è inseparabile dalla purità delle voci. E siccome alla pulitezza si
oppone l'immondezza, che illai disce e deforma gl’oggetti, così all'eleganza si
oppone la vanità che li altera e deforma come se fosse unamaschera straniera.
Altrettanto succede nella lingua e nello stile. Dalla stessa fonte della
proprietà e semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del
discorso. Imperocchè quando il lin guaggio vela appena e non appanna l'idea o
il concetto, se ne rende allora il ritratto fedele, nel quale caso l'idea
increata o creata manifesta naturalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o
riflessa nella parola. Ora il bello essendo lo splendore dell'intelligibile,
sia assoluto, sia relativo, che si rivela a traverso il sensibile, cosi quando
la parola è semplice e propria, è ancora bella necessariamente; e quindi la
bellezza del discorso in sè raccoglie tulle le qualilà della parola e dello
stile, cioè la semplicila e la proprieta, la purità e l'eleganza. cio è il
nulla che non ha, n è può avere virtù di significare. Ora le cause degl’errori
si rieducono a due principali, onde le altre derivano, cioè ally
limitazione dell'uomo, e quindi delle sue facoltà, e all'alterazione
della parola, come espressione dell'Idea; ben'in leso però, che anche questa
seconda dipende dalla prima. Dalla limitazione dell'uomo e delle sue facoltà
nacque lo sviamento del libero arbitrio in ordine alla legge, e quindi
l'esistenza del male morale ; il quale fu cagione del male intelletsuale,
inquanto fucagione del predominio del sen sibilesuil'intelligibilee
dellepassioni sullaragione,onde deriva l'alterazione dell' Idea, e quindi l'esistenza
del'l errore. Ma qualunquesia, dice G., la causa della cor ruzione egli è
indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'Idea è congiunto equasi coetaneo a
quello della parola; laddove in appresso,e nelcommercio tradizionale, IL
DISORDINE TRAPASSA NEI PENSIERI DAI SEGNI; sicchè l'improprietà della parola è
la causa, e l'errore è l'effetto. Imperocchè, quando la parola è impropria,
siccome ella non mantiene più la perfetta corrispondenza tra l'Idea e il segno che
la esprime, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti sensibili
inchiusi nella parola, e l'Idea viene adulterala dalla METAFORA o dalla
etimologia. Nel quale caso i concetti ideali si corrompono proporzionatamente, se
giả una nuova rivelazione, o un magisterio esteriore, organato dall'Idea
istessa , ñón impedisce tali corruzioni della parola, serbando incorrolta
quella genuina e originale corrispondenza fral'Ideà eilsuo segno esteriore. Idea
gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. — La tloria delle religioni
appar-tiene a snella della Blotofia. — Si ritolrono alcune obbieiioni in
contrario. — Perpetuità della Blotofia. Del metodo critico aegailo dall’ autore
nelle rirerebe aloriebe. Si liepolide ai nemici delle eonpilatìoni. Del metodo
dottrinale, oaaerralo dall' autore; perebd egli anteponga la. linloti all’
analisi. Cenni sopra nn’ opera precedente.— Prorotsione cattolica dell’ autore.
RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. La moderazione' nelle
dottrine non è oggi di moda. Via {utile e compendiosa, per giungere alla
gloria. <—In che senso l’ antere sìa sago del progresso. Sua pro- trata,
intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti, in itpeeio.
— Di Byron. — Dei sentimenti , che mosiero l' auloro a scrirere. — Contro la sella
degP Italogalli. Funesti influssi della Francia. — Della eterodosna moderna in
generale, e della filosofia germanica in particolare. Gl’Italiani debbono
filosofare da sé. Dello stile filosofico. Importanza della lingua in ordine
alle cose.{.odi ifi An- tonio Cesari. Contro i cattisi amatori d’idee. Dei
parolai. Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. Della
cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. Esempi
italiani di elocuzione filosofica perfette. Del modo, con cui si può inoorar
nella lingua. Scusa dell' autor , intorno alla lingua e allo alile da lui
adoperato. Eaorlazioue ai giorani italiani. L’Iililà della sera filosofia. Elsa
non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. Sua opportunità,
r lG-2 per ristorare la religione. La Gloa^fia dee cucre collìfaU
specialmente dai cbicrici. Lodi del chiericato italiano. Del sacerdoiio frnncese
; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. Del modo, eoo <ui li
coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. ~Della parlecipasìonc dei
chierici olla vita sociulo» —Della liberti cattolica nel culto delle dottrine.
» Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’,
per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. — Di certe sette
politi* che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la
Francia: loro tracotanza. ^ Al'eanza della filosofia colla religione. La
dottrina cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore
acientifico. — Come la novità si accordi coli*anti« chità nello cose
filosoticlic. — Si concbiude, esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse
ipecuialve dai nuovi barbari. DELLE DOTTBLNE Della dcelinaztone delle scienze
spcculalive in generale. Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche
e fi*ichr, e lo s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni
gencr-chc. — Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia
nelle varie parli d'Europa. —D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o
U’de.-che, nato dalle loro diverse attinenze colla religione. — Di Renalo
Descartes. ^ 1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai piu legiilmi del
Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo germanico; temperalo
dalle tr iduioni religiosa: l*idea «i è oscurata, non eslin a del tutto. Di
Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io filosofia più a ioni dall'
eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita d«‘ir ingegno spcculat vo,
presso i Francesi e i Tedeschi. — Se ne cerca la causa nella storia, e nelle origÌr>i
di queste due nazirni. Delia filosofia inglese: sue difie* n’nte dalla
francese, e dalli germanica. Dei fìloSvfi ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c
del seguente. — DiVico : sue lodi. ~ Epiio{:o d.-I quadro. Della dedinazione
degli eludi specidatici, in ordine al soggetto. lufeiiurilà speculaliia e
rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. La no-a speciale dciruoQio
moJeroo è Ir frivoUzza. La cagione di questo vizio è la debolezza della faiol.à
volihva. Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf ingegno dell’uomo. La
modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza dei loto animi. Esempi
S 2»S * es»e bi chiude il capitolo. . - Note. Aula prima. Siti
diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1 ptincipii dal
Ufi Clw il inftoilo El<w>fict>
»i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig. Coiaio «.elude la
«tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo reciproco de’ moderni
Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD* «poitigi. recefllo
diDjroa. 117 l'i. 1 lit 125 125 129 i6. 13t) 131 132 ii, i6. IM ii, Ai nemici
delle wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della
Fraocia. L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di
Paolo Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj;
mila lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni
giiirnali «ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii
«eritteri, Querela del tig. Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii
contro i dùaipatori delle antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati
ruwù Delle cagioni della H>rorma. Che la tinceritA di Denartei nel
proretiani cattolico è per lo meno dubbia.- Il Malebranche non è earleeiano
intorno al primo principio dellalua filoaoCa. 143 Clia il «ig. Coutin ha ao
concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio. 144 Pawo del Courier tuH'iitiulo
aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5, 163 rcceoli e ìuliani di una Tolontà
forte : Napoleooet e Alfieri. Lodi deli’ Al> fieli. La fursa della volontà
dipende in gran parte dall* educasioae. Cbe co a sia r educatione. Saa
oeceuilA. Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo il ccM’to dei
tempi e la varieii di'! popoli. Po pubblica presso gli antichi ; qoasi pub-
bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione dei giovani.
—> L’cdu* catione diveone pnvate, piesso i moderni. —Cagioni di ciò: false
teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. Di G angiacomo
Rousseau. Errori del suo Emito. Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell'
ednratione. Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato
presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare.
L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo.
Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più
civili. » Dei giornali. Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si
scrìvono in Francia. Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi
scrive, e di chi leg* ge. — Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un
supremo poto<e educativo. Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla
libertà politica dei moderni. —> Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu. —
D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì artefici di parole. ^ Quàlìià
loto. — Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti diU’ ingegno sfeeulativo, e
con Pano d«l Leibnii tull’abbierion»
morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone. Pano dfl tig. Cuusin mila
balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt. Villeoiain ha recato mll'
AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di tre clasii di gioroali.
Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri eruditi fraaceii. Pano del
Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il genio naiionale poeta
imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull' indola morale, e lugli
ulUnii UUmli del Goèlhc. Diuu. Pag- SCDU bill' iCTOKI.
Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua modcslio. Sano
opportune, e perchè. — Scopo del preienle dilcorsa. — L'aifluiui di CMO
non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri. L* doUriiu del primalo
itili IBO è necetMtfai per rÙHltun- ziuie delle sci une flloMBclie neita
pcniioli. PASTE nanu. Dell' Hlonooiia uwlnUi e rdtlin
In genere. Di qidia cbe con. peti (He uDoni in paiticoUrc Lt isdice dell'
tiatononùi è neDi virtù creatrice, L'Italia è anlmMina peraccdiema;
rau- lonomia i la boM della mi* nMggionma. — DeOnitionE del pri-
mato italiano in noiTerale,— La petùxria per It ina poitora è il centro
monte del nondo civile. — Convenienu geogniGehe dell' lUUa coir India e
colla HeMpoUmia. -^-La religione b flprtndpal S)ndimeiito.del primato
italiano. II principio calttdieo è Ime- panbile dal genio narionile
d'Italia. Opinione dei ghibellini e del flloioll nominali a questo
propoaiUi, e aun falsiln. Del Hachiavelli , del Sarpi e <li Amalitii
ih ìlmcm. Ln xt» iIiiL- Irina
naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. — ì!,s\iii-
cattolicismo e dall' Italia. L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo
ing^DO inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. - Essa c pure la
naiione redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta
per open loro. I papi non (nrono ! caoM della divisione iT ita-
lia, and lì mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu- liana ed
enropea. ObUeiionl e liipoile. Dei don nemici perpetui dellt penisela.
Fati perpelui e glorie di Roma in ósni tempo. L'Italia non dee invidiare
alle altre Milani la grandena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. — Vino a
qual segno i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano
' sinno stati legitUini.— Gmdeiie supcnliti della modema BÓma.
Della PMpapnda c ddle mitiioni. Puagone del SiTerlo e dd Boonaparte.—
L^Iialia/itaempTB la più co9inopoK(Ìca delle nanoni. li auo principato si
Tonda Mrratlutto nella religione, j la quale di sua natura suvrasla a
ogui cosa umnoa. L' Italia tal ' in si lultc le
cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai limale c politica risorgimento, \ sema
ricorrere «Ilo somniossc iiilcsthie, alle imitaiioai e inva- j sioni
Farcsilere. — Dell' umane ÌUliaoa. — Essa non può uUenersi colio
rivoluiioiii, [l principio dcU' unità il.iliani è il Pajia; il quale
jiiiii unilìenrc h penisola, mediante una confeclemiinne ilc'suui
principi, Vanlnggi di una lega ilaliana. — Il governo folemlivo è
connalurale all' llalia, e il pili imturale ili lutti i goterni. — Danni
della centralità cccessita. — La sicoreiia e la prosperità d'iLalia non
sì possono conseguire altrimenti che con un' alleaniB italica. — 1
lUrcslieri non possono impedire i]uett' alleanza, e non che opporvisì ,
debbono deiideratlo. — Semi dell' autore se entra a iliscorrcrc ili caie
dì stato. — L'opinione nasce Ida pìccoli principii , ma dee essere
edncato dai senno della ni- liane, — Dna province (oprattutlo debbom
cooperare a ^TOfjr l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti
Piwnnnl>. _ ^Bìj^^ )jj \f Itoma pei popoli, e sua imparzialità fra i
pedali ed i prindpi. — I L'onilA italica sareblie di grande utilità iWti
religione cattolica , . loro'genio. — Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e
luili. — .l[lincnzc c cor- risponderne delle famiglie regnatrid tugl'
incrementi civili dei popoli. — itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il Piemonte, n
delle sorti c he le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. — Delta concordia
fra T'popoli 0 i principi italiani. — D difetto di osa ta la
cauta principale del
c)iM:atlinicnla d' Italia. — Errore ili chi .illribuÌKe tal decadi nHMi
lo nib qualità della stirpe o alla religione. — ti'in- forlunia ilcgl'
llaliaiii aiiehe pur quvsta parte iiarque dai fores- tieri. — Frincipii
di risurgiiiienlo nel secalo passala , e rili^nu cìtIIì (alte dai
ptiaeipi ooslrali. — Inlerratte dgfla rivolaiioiKi rranceM , ora è il
tempo opporUum di ripigiUrte. — Necessitai di ordinare la pubblici
opìaione. — Dne modi con cni quesla ai ap- I>alc9a ; lit parola dei
tmi e la alampa. — Della monarehia con- ullatiia, e del Consiglio civile.
— La Btarapa non dee essere MTva , iiv liceniiusa. — La sala via per
evitare amenduc gli ccccs^ , ilà neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio
censorio". — nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. — UtlliU
della signoria indivlH p« riRmnata gli siali. — Si esortai» I
prineipi ilaliani a toDdare l'amona d' Italia.— Del dirello delle
rìibnne nriii lane a leniate in Italia , dorante il secolo scorso. —
Decli- ii.ii e siitcessiva del genio iiaiiunale della penisola. —
Iliscre- iiiiiiii: 111 uiieslo genio da quello dei Francesi. —
Critica del galli- canìsmo. Di Benigna Bassuel : censura riverente dell'
ing^u e itelle opere di qncslo gran teologo. —1 II sacardoiia
primflivo eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. — Pormola
so- ciale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, — U ncerdoiio
è il Primo politico. Ciisto rinnovA a compimenlo il sacerdoiio
primigenio. — Necessità del potere civile nel sacerdoiio cria- liiino.
Lode dei Gesuiti del Paiaguai. — Il polerc civile della Chiesa non toglie
la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e il lacerdoiio. — Dea toma,
par mi pam il poleniàTile dal Mce^ doxio, cioè la dillaliaa e
failiitralo, canispondenli ai due cfcU civili delle nazioni. —
Legittimiti della dittatura ejerdiala dai Poniclici del medio evo. Il
ciclo dittatorio Gniscc quando c |jerioilo della dtilti'i lefulare
il'lulia < crKiirops, — Dell'arbì- tr.ilo, iraliiiso ilal sacerdoitn.
— Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell' guerra. La dittatura
pontiScale non lurna inulìle in alcun Icinpo ; MU
applicaiiane presenle e foUin. — 11 I^pa è U prin- cipio dell' anioDe d'
lUlia. Il polcn civile del Mnrdouo non è contrario ali* ipirìlualiU e
HnUU dclb rai indole e del suo nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. — Crilict
de'snoi prÌDcipii in- tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma
caUolico. — Dei doveri delle varie ciani dei dUadini, in ordine
all'aoioDe d'IU' lia, -/Danni cbe nascono dalle dottrine esagerate di
libertii. — Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. —- Del dcbilo che linririu
gl'llnliani gli adalatoridei pririi'ipi. — l>i^i wihili, -- M
ji.il ri/Min i' i!i[licil- menle srilabilc nelle soeiclà civili. Due
specie iJi palriilalo; fendala t civile. U primo è im^nevole, Oioesto e
vitupe- ralo. — 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga
ac- compagnalo da eerte condiuoni. — I cattivi nobili tono la
rovina delle nontrcbie. Dei chierici secolari. In che modo essi
pouano partecipare alle cose politiche. — I^i del chicrieala Italiano.
Perch6 l' episcopato dì alcune province cattoliche sia stalo Ulvolla per
l'addielro men ragguardevole degli altri ordini derieali. Del frati.
Apologia del m(MMchÌ«no. — Suoi benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei.
Quando traligna ai miri rìfonnare, non abolire. — Dd moMchlinwwientalee
delPocci- dcntale. Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro
inri- vilimento. Danni che nascono
dai diìoiirì degeneri. — In cbs modo irrati possano influire salutarmeate
nella politica ecotqM rare ai progresai civili. — Essi debbono mettere
ndl' opinione il precipuo fondamento della loro vHa. — D colto ddle
iciauie e dèlie lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia
po- litica e dell'istoria si addice al loro minislerìo. — La
scienia ideale i inoiiaslìca [ter ecccllcnia. Esurlaiionc ai
venerandi alunni dei chiu;lru ilaliaiio. — Della digniu'i clericale. —
Gli ec- ctcsiaslici debbunu guardarsi cautamenle dall' impicciolire o
avvi- lire le co» della rclìgiuiic. — Si uLbiclla che Ì popoli
moderni sono men grandi degli antichi. — Risposta. — Ddla lollerann
cristiana. — Perche nei tempi addietro violala In alcuni paeii- — Tali
viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica. — Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva
clericali: nel dtspularr a nei conversare. — Si rancluitc moslrando che
il risorgimento d'ilalia I non pai iver luogo , sa non ri rimetlono in
onora gl'ingegni pri- I vileglati, e non «i soUrae rindiiiuo delle cose
ri TOlgo degli j nomini oiediocrì. La riflessione ontologica ferma,
circoscrive, determina , chia- rifica l’Idea, cioè Dio: ma nella parola si
rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea : la parola porge l’idea cosi rannicchiata
ed incorni- ciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano , pare ,
molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'Idea; qual
bisogno ch’essa Idea si rannicchi c si restringa nella parola? qual bisogno che
la parola compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza,
delineazione nella medesima? Se quel che fa la parola, fa la riflessione
altresì, una delle due è superflua: am- metter l’una c l'altra, è metter luna
in contraddizione dell’altra : supporre cioè che l’una non basti, senza
l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra
perdelerminalricidel- l'Idea, cioè di Dio. 11 Gioberti diceva che nell'intuito
l’uomo è as- sorbito dall’Idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra
parte diceva eziandio, che « lo spirito trova se stesso in Dio e il mon- do in
se medesimo »; ne viene che anche la riflessione è in Dio as- sorbita collo
spirito : che il mondo lo è pure: e col mondo la pa- rola, parte di esso. In
cotale assorbimento dell'uomo, della rifles- sione, della parola ; assorbimento
che toglie ogni cognizione , non è assurdo c contraddittorio il dire che la
riflessione e la parola , o tulle due insieme, servano a svegliare lo spirito
assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e
indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del Ciclo e
della terra, del Creatore c delle creature ? n) Inlrod. b) lìti pillilo rhe li'ga. e) Errori l. p.
201. Digitized by Google ) 55 Cosa sarebbe l'intuito Gioberliano ?
a) la visione -di I)io crean- te; cioè della natura divina, dell’atto creativo,
de’ termini di code- sto atto. Cos'è la parola? un segno creato b). L’intuito
dunque do- vrebbe pure vedere la parola: la parola sarebbe parte della formu- la,
intuita per natura da tutti gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere
veduto senza gli effetti del suo operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è
la parola, è la riflessione altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col
creare illustra c), e quindi deter- mina; illustra la parola altresì e la
riflessione. Ecco nuova contrad- dizione e circolo nel dire che la riflessione
e la parola servono a delincare all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo
dalla natu- ra: illustrare ciò onde vengono esse illustrate. La quale
contraddizione o circolo risulta da molte altre sen- tenze del Giebcrli
applicabili al proposito presente. Sentenza sua è. di frequente, che i
sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per l’intelligibile, cioè per
l’Idea, siano conosciuti. « L’apprensione sen- si sitiva non è un elemento
intellettivo » </). 11 sensibile non può « essere pensalo altrimenti, che
nell’intelligibile » r) « L’intelli- « gibile rischiara appunto i sensibili,
perché li produce, come l’En- « te e i sensibili sono illustrali dall'
Intelligibile, perché ne deri- « vano, come esistenze » Avca detto prima «
l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le esistenze sono i sensibili ». Le
creature so- no per sè inintelligibili, nè s’intendono che « in virtù dcU’intcl-
g Errori Errori li. p. 141. v) Ivi p.
163. l) Ivi p. 159-160. m) lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45. un vero
sensibile >. Errori i. p. 257. g) « Il sensibile è subbiedivo è inconosci-
f). « ligibililà assoluta » n bile di sua natura » A): « è per se stesso inconoscibile
e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè obbiettivo,. è rispetto alla nostra
co- se gnizione un pretto nulla » i). « L'intelligibile (l’Idea, l’Ente) ii
inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende conosci- li bili tutte
le cose » l). Ora « La parola come ogni segno, è un , <i sensibile » m).
Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea, l’Intelligibile la
rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. « Tanto è lungi, che la
parola provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta dimostra l'autorità di
quella. » n). « Questa (la parola) e la a) Dico sarebbe, perché il Gioberti
stesso Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle.
t) Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste
pro- cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c
reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, il. p. 15. e) Errori
li. p. 352-353. ri) lntrod. n. p, 165. e) Ivi p. 166. f) Ivi p. 562. Qui de» esserci
corso errore di stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o
nella punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come
esistenza. Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap-
« punto i sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » «
riflessione stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume
intellettivo, da cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero
sensibile) l’evidenza e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi
che la parola « si richiede per ripensare « l’Idea »; che « il sensibile è
necessario per poter riflettere, e « conoscere distintamente l'intelligibile »?
b). Una cosa inconosci- bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà
servire ad illustrare, a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che
pos- siede? L'idea illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha
circolo qui c contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il
modo non man- ca. G. scrive talora, che « l’idea, incarnandosi in una forma
sensata, scade sempre dalla propria altezza. L’idea dunque, se s'incarnasse
nella parola, veramente scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua
perfezione. Come può stare pertanto che la parola, determini, illustri l'Idea,
la compia, cioè la perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c
perfezionarsi s'incarni in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ?
La parola ch’è detta in un luogo da G. « un sensibile in « cui s'incarna
Vintelligihile »; diventa in un altro « una copia mon- « diale, contingente e
linita del modello divino, necessario e infi- « nilo, c un individuamenlo
dell’idea eterna » d). Siccome questo modello c idea eterna è l'Intelligibile
stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un individuamenlo di Dio nel quale
s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di parole create si trovano, quante
sono « le specie della esistenza »; una parola matematica meccanica ed
idraulica, che sono i numeri , le figure, i movimenti; una parola fisica, cioè
i fenomeni di natura; una parola estetica c sono i ti- pi fantastici; una
parola storica, c sono i fatti transitori o permanenti degli uomini, gli eventi
ed i monumenti; una parola sovran- naturale, e sono gli avvenimenti ffrodigiosi
e sensibili; una parola liturgica « ordita di emblemi e simboli; c infine una
parola grani- li malicale, parlata c scritta, ma per se stessa arbitraria , c
però « diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali e) la (piale «
serve ad esprimere i concetti dell’animo e quindi a tradurre ogni « altro
genere di favella » /). Di tutte pertanto le cose create dee dirsi ciò che
della parola grammaticale: sono sensibili in cui s'in- carna Iddio; sono
altrettanti individuamenti di lui; che lo compio- no, lo determinano, lo
fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quan- tunque siffatta incarnazione lo
umilii veramente , sconci. a) Errori i. p. 208. b) Inlvofl. u. ii. li. e) Ges.
Moti, tv: p. li. d) Prima!-» li. p. 10. e) Anche la parola sovrtwnnfurtile ? fi
Ivi. lo abbassi , lo r Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola
s’in» carni l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo ><:
*ib- bene « in quanto riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel
punto famoso di contatto che lega Dio coll’uomo ? La riflessione, si è detto,
che mediante la parola circoscriveva , compiva l’idea o) ; quindi la parola
preceder dovrebbe la riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto
riflette mila riflessione dell'uomo ; la ri- flessione sarà preceduta alla
parola: così la riflessione va innanzi alla parola; e la parola va innauzi alla
riflessione nella stesso tem- po. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno. Se la
dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito fosse
vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo
signoreggia. Or bene di ciò fa le risa il Gio- berti contro i psicologisti: «
lo aveva credulo finora che la cecità « sia la causa principale per cui non si
scorgouo gli oggetti: ora « siccome l'intuito, non che esser cieco, è la fonte
della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa alla
luce intui- « tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca al
« cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sa- « rebbe già
degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per
vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una
parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una
riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare,
ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che
s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si
pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. 11
Gioberti consuona al Rosmini nel riconoscere la necessità della parola per la
riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne la ragione : per
dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di spiegar altrimenti la
formazione delle idee astrai- le: il G. non ne porge nessuna, c). Imperocché
non sembra- mi prova quel dire che « il punto indivisibile , di cui abbiamo «
discorso di sopra, » (il punto che lega Dio e l’uomo combacian- tisi), « non può
esser termine del ripiegamento riflessivo, se non ve- « stendo una forma
sensibile. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome versa in una
mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa rendersi
sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè della
parola » e). Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn
necessario per mettere la ri- flessione in commercio colf intuito »; Errori i.
p. 200, « Strumento riflessilo «
Semplice segno insidine male » p. 2t9. » stimolo per mi rumineia «I al- «
luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, II. p. 15:
« occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del lero ». Necessità della parola.
Bello p. 137. 6) Introd. il. p. 134. e) Rosmini, S. Saggio. e. 4. a. I. Filo».
Polii. Voi. p. 151-153. d) Incorporazione spirituale. c) Errori punto, rhY'
puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne, ro- llio vedemmo ,
perché « non può esser termine del ripiegamento « riflessivo, se non vestendo
una forma sensibile, se non renden- ti dosi sensato, se non incorporandosi in
un segno »? Il Gioberti noi dice. Altri osserverà nondimeno che non solo noi
dice ma nem- meno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile al Gio-
berti di provare la necessità della parola. Egli afferma, che « l’uo- « ino nou
può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza parola, « che favellar senza
lingua, vedere senz’occhi, c pensare senza cor- « vello. Senza il linguaggio
l'uomo ha ragione; ma non uso di ra- ti gione, ha la riflessione in potenza,
non in atto » a). Il che dice essere « applicazione speciale ili una legge
generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente
non si può cser- « citare, se non mediante il concorso del sensibile
coirintelligibile » l). Ora di quale dell»* due riflessioni, già distinte da
lui, parla il no- stro autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che
il sen-sibile è l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde la parola non en-
ti Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal ri- ti flessione
si connette colla riflessione ontologica; imperocché il sensibile per essere
pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo rappresenti »
c). lo nè ammetto nè ripudio tale ra- gione: ma l'ammette G. certamente. Dunque
a sola la riflessione ontologica è la parola necessaria. Perché? perchè « in
os- ti sa il sensibile non è somministrato dall’oggetto dell’operazione « il
quale è il stdo intelligibile i d). Sla codesto e falso: è falso che oggetto
dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile, se- condo il Gioberti.
Non ci ha egli appreso che « la riflessione on- « tologica, tramezzando fra le
due altre operazioni (intuito e rides- ti sione psicologica), abbraccia congiuntamente
il soggetto e l 'oggetto « c li contempla con un allo unico? » c); che nella
riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel punto
indivisi- « bile, in cui il soggetto tocca l’oggetto , c abbraccia quindi l’og-
« getto medesimo , come intuito dal soggetto? » f). Dunque non è
l'intelligibile solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto
eziandio, cioè il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili
bisogno di sensibile, di parola, per essere ripen- salo; se non n'ha bisogno l’
intelligibile, Dio, intelligibile per se stes- so: come n'avrà bisogno il punto
in che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione
di due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione
di' è relazione intelligibile', perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad
esser og- getto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p.
ini. di Iti. e Krrori t. p. 136, [) Iti Che se « prima di credere alla parola,
bisogna intenderla » a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in
quel punto, unione, unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione
dovrà esser vestila della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà
insieme essere il vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione
vera , come la chiama il Gioberti. Questa è una di quelle « soluzioni ed
avvertenze » di cui non v’ ha « il menomo vesti- li gio » in altri sistemi
prima del Giobcrliano li). Il che niuno vorrà negareDella unicertalilà
ecientifica dellafarmolu ideale. Aimcoio punto. Prtamiolo. — L* formolo
roiionale dee contenere I* organismo degli eie- menti ideali.—Per conoscere
questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola 1 coll albero
enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti , filosofia, fisica e
matematica, cko corrispondono alle tre membra della iormola.—Della filosofia in
ispe- cicr si stende per tutta la formolo.—Dell* ontologia, psicologia ,
logica, etica e ma- tematica ; come si connettano coi rari termini di quella. —
Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo
ideale.—Spiegazione generica del- la tavola. —Dello scienza ideale. —Della
teologia rivelata e della filosofia.—Princi- pato universale della prima.—Maggioranza
della seconda sulle altre scienze. — Primato dell'ontologia fra le varie
discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fio- re. —Della
teologia universale. . 7 Digitized by Google Articolo secondo.
Delia matematica. — La matematica tiene un lnogo mezzano tra la fi- losofìa e
|a fìsica —Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddi-
sfacente del tempo c dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell*
oggetto loro, mediante la forinola ideale. 14 Articolo terzo. Della logica e
(Iella morale. —Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al
termine medio della formolo. —Della logica in particolare, c delle varie sue
parti — Dell* etica in ispccicr. — Dei due cicli creativi, e dei loro
riscontri. — Convenienze, che corrono fra loro. — Della legge morale. Dell’imperativo.
Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e
del mal fisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa
nel terzo membro della formolo. Dei duo cicli generativi. Varie sintesi, di Cui
si compongono. Dell' ordine dell* universo. Del concetto teleologico. L’idea di
fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell’estetica. Del sublime e del
bello, t-Delle varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla
formolo. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal
psicologismo cartesiano. Quindi i suoi tizi. Gli stateti odierni, non hanno
veri principii, perché mancano della cognizione ideale. 1 difetti della teorica
hanno luogo del pari nella pratica. —La civiltà moderna dee fondarsi su quella
dei bassi tempi. —Dell* apof- tegma del Machiavelli, che le instituzioni si
debbono filirare veto i loro principii. —In che senso sia vero..—Benefici
influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.— Di Cesare, institufore della
tirannide imperiale. — Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del
Descartes. — Della idealità delle nazioni. L* Idea é fonte del diritto.
—Attinenze del dovere col diritto, c delle varie specie loro. —Della sovranità.
La sovranità assoluta è 1* Idea. — Della sovranità relativa c ministeriale. —
Non si trova in separato nel governo o nel popolo. —La società non è d’
instituzione umana, ma divina. —Cosi anche il potere sovrano. —Due doti
essenziali di questo potere , intorno al modo, con cui si tramanda e perpetua
di generazione in generazione. — For- inola della politica. Assurdità del
suffragio universale. —La capacità dee,accompa- gnare il potere sovrano; ma non
basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indi- pendente dai sudditi.
—La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere tradizionale
colla sufficienza elettiva. — Il sovrano non può mai farsi da sé in nessun
caso. Ogni potere sovrano è divino. Inviolabilità del potere sovrano. Delle
rivoluzioni, e delle contrarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto
questi nomi. La verà rivoluzione, essendo 1’attentato contro una sovranità
legittima, è sempre, illecita. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere
a’ suoi ordini primitivi c anticati. La monarchia é necessaria al di d* oggi
alla libortà europea. L' investitura della sovranità in una famiglia é
inviolabile, corno il dominio privato. — Il potere ereditario, c la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Conformità della nostra
sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere
sovrano. —1 fautori del- la licenza invertono la formula politica. 31 Asticolo
settimo. Epilogo. —L* idea divina ó la suprema forinola enciclopedica'. —
Universalità dell’ idea divina. — L* ontologismo non é un metodo ipotetico,
corno quello dei psicologisti. — Iddio è 1* Intelligibile: é 1* alfa e 1* omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filosofìa. Si Dtll'a
conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della forinola è opera
della rivelazione. — Definizione di questa. — Suoi diversi periodi. — La
confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab- la scienza
ideale. —Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi —Del razionali- amo
teologico fiorente al di d’oggi. — Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La
cri- tica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica. —Il
razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. — Sua
vecchiezza. — Dei Doceti. — Il raziona- lismo è un vero naturalismo, i— Del
sovrannaturale : sua definizione. — Necessità di esso, per l’ integrità dell’
Idea. — Possibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’
ordino sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della
ragione. — Nullità sintetica o filosofica dei moderni razionalisti. — Il
Cristianesi- mo é la religione universale. — Non si può mettere in ischicra
cogli altri culti. — Sua singolarità. —Le false religioni non distruggono l’
universalità del Cristianesimo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di
ogni tempo. -—Si confuta una sentenza del- lo Strausse. — Le false religioni
sono lo sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cristianesimo
sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. — La civiltà moder- na, che
lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove interne della .rivelazione. —
Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’
Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione dell' Idea, chfe vi è
rappresentata. — O- scurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile
semplicità, e sua differenza dai la- vori sincrctici dell' ingegno umano. —
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. — Della inspirazione dei libri sacri. — Sua definizione,
natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionali- sti. — L’
ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela-
zione. — Della predestinazione degl’ individuile dei popoli. — Eccellenza delle
nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici : loro divario dai
Semiti. — Delle na- zioni madri. — Degl’Israeliti; conservatori dell’Idea
perfetta, prima di Cristo. — Dei fati -del popolo ebreo. — Della scienza
acroamatica ed essoterica. — Fondamento natu- rale, o universalità di questa
distinzione. — Della ordinazione civile e religiosa degl' Israe- liti. — Oltre
la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra-
dizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa 'distinzione presso il popolo
eletto. — Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl'
Israeliti. — L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola
variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata. — Perchè Mosé non
abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non
tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma della ri- surrezione. —
Del sensismo proprio dei razionalisti.’— Falsità del loro metodo nel cer- care
1’ origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina
esso- terica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl'
Israeliti c i Gentili. Del fìguralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’
Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle iustituzioni
mosaichc. — La furinola idea- le e il telegramma , erano il nesso della scienza
acroamatica ed essoterica presso gl* Israeliti.Dell' alterazione dellaformolo
ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini.*—La storia delle
religioni tion comincia dal sensismo, — Per quali cagioni diminuisse, o si
spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. —Vicende civili delle
nazioni. —Del patriarcato. —- Dello stato castale : sua origine. — Del
predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società
costituite sotto 1’ imperio ieratico. —'I sacerdoti autori principali della
civiltà risorgente. —Effetti salutari della loro influenza nelle colonie
antiche e moderne. —Il sacerdozio conservò le reliquie dell’ antica dottrina
acroamatica ; fondò 1* essoterica. — In che modo la mitologia .é la simbolica
potessero esser- opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’
acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della fi- losofìa
gentilesca.—Riscontri . dell’antico c del nuovo paganesimo. —Vari gradi, per
cui passò l' alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione,
dimezzamento e disorga- nazione.— Cagioni dell’ alteramente : predominio del
senso e della fantasia; influenza del linguaggio sull’idea, e dell’ essoterismo
sull’ acroamatismo ; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. —
Del culto dei fetissi. Di un doppio moto contrario, re- gressivo e progressivo,
delle instituzioni religiose.—Esempi.—Quattro epoche della co- gnizione ideale:
intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva.-»-Se nel vario e succes- sivo
alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle
trasformazioniontologichedellafòrmolaideale, corrispondentiaivaristatipsicolo-
gici dello spirito umano. —Dichiarazione della tavola. —Dell’ epoca intuitiva;
corno 1' uomo ne sia scaduto. —Il mal morale consisto nella negazione del
secondo ciclo crea- tivo.— Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato
intuitivo. —L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. — Dell’ epoca
immaginativa. — Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di
questa epoca. — Indole poco scientifica dell’ ema- natismo. — Sua forinola. —w
Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli
cmanatisti. — Della loro dualità primordiale, e delle dualità successive. —
Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I
fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del
Kincrctisino emanatistico. — Dei due cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. *—
Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce il
pessimismo. Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli Gentili. —
come 1’ ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli
em&ftatisti. —Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e
successive, e delle apoteosi. —Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato
fra queste favole. —Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue
varie forine. —Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscen- za della
unità ideale. — Dell’ idolatria : sua natura. — Del panteismo: ò una riforma
ieratica dell’ emanatismo. —Il panteismo scientifico non potè essere il primo
sistema nella via dell’ errore. — 1/ emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —Proprietà speciali del
panteismo. —Universalità del panteismo nel re* gnu dell’ errore. —Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. —Qual sorta di progresso possa avero Terrore. —Varie
forme del panteismo* —Della condizione del sacerdozio i —— 201 Digitized
by Google dopo la rovina dello stato castale. —Dei Misteri, da cui
uscì la filosofia laicale. Dell’ateismo. —Questo sistema non potò essere
anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca. —Si rigetta l!
opinione di un ateismo indico antichissimo —Del sovrintelligibile. —Serbato in
parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle
tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia e della Grecia. —Dei tentati- vi
antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. —Si
conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota
prima. Sulle denominazioni moderne dell* Io e del Me. Di alcune dottrine
erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori di un giornalista
francese sull’ amor di Dio. Del tempo e dello spazio, secondo il processo
ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della
importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini
ontologicamente considerati. L Influenza della colpa primitiva in tutte le
parti del pensiero e dell'aziono umana. Dei vari sistemi sulla natura delle
esistenze. IL Sull*infinità del mondo. 173 Sugli assiomi di finalità o di
causalità. 174 Se l'abolizione della schiavitù e del servaggio si debba
attribuire al Cristia- nesimo? Sull’origine della sovranità in alcuni casi
particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è solamente negativa. bit. Sulla voce
rivelazione. Di varie spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli
posteriori allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malebranche
sull’idealità del Cristianesimo. Passo del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla
credenza antichissima dei Samaritani nella risurrezione dei morti. Si esamina
la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza
degli angeli. I razionalisti confondono la dottrina acroamatica colla
essoterica. Sul fatto di Babele. . Del sincretismo dei falsi culli, doma, mito
e simbolo zendico, ISci culti barbari l’ Idea è esclusa dalla religione, c non
dalla scienza umana. . 32. 33. 1/antropomorfismo e il psicologismo essoterico.
194 Del panteismo di Ulrico Zuinglio. Passi dello Spinoza conformi alle
dottrine del razionalismo teologico. 19ti Sul psicologismo degli eretici. Ib.
Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fa-
talismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO.
Della Idea. È primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa.
Necessità della parola per determinare c ripensare l'Idea. — 1 progressi della
cognizione ideale rispondono alla perfezione dello strumento, con cui si
lavora, cioè della parola. Il linguaggio fu inventato dall' Idea, clic parlò sè
stessa. L’evidenza e la certezza riflessiva abbisognano della parola. Il
sensibile è necessario per poter ripensare l’intelligibile. L'Idea è l’unità
organica, la forza motrice, e la legge governatriec del genere umano. L'Idea è
l’anima delle anime, l'anima della società universale. — Ella può oscurarsi, ma
non ispegnersi affatto. — Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne
seguirono. — Perdita dell’ unità ideale , c morte morale del genere umano.
Diversità delle stirpi. Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità
primitiva. — Del genere umano secondo l'elezione, sostituito al genere umano,
secondo la natura. — La Chiesa è la riordinazionc elettiva c successiva del
genere umano. — Vicende storiche della Chiesa. — Colla perdita dell’ unità
ideale venne meno al genere umano la sua
infallibilità,chepassònellaChiesa.—Quandoil genereumano riacquisterà questo
privilegio. — Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. —
Composizione organica della Chiesa. — Chiesa c conservatrice e propagalrice
dell’ Idea : unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo. — Delle
forinole definitive della Chiesa. — Della scienza ideale, razionale e rivelata.
— Attinenze reciproche di queste due parti. — La scienza razio- nale, o sia la
filosofia, si distingue in due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde
a una rivelazione. — Il nesso fra la rivelazione e la filosofia è la
tradizione. — I.’ alteramente della tradizione, e quindi della verità, fu nella
sua origine una confusione delle lingue. — L* effetto di questa confusione fu
il gentilesimo. — L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si
possa conservare intatta la tradizione. — Della Chiesa giudaica, c della sua
diversità dalla cristiana. — La filosofia gentilesca avea colla rivelazione
primitiva una relazione diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana
c la rivelazione evan- gelica. — Due tradizioni, religiosa c scientifica. — Due
classi di sistemi filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli-
tradizionali ed eterodossi. — I primi suddividonsi in progressivi,
cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli
ortodossi. — La filosofia ortodossa è perpetua. — Vari modi, con cui i sistemi
eterodossi possono rompere il filo della tradizione. —Tre.età della filosofia
cristiana. —Dell’età moderna.—Delpsicologismo: definizionediesso,edell'onto-
logismo, che gli è contrario. — Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle
scienze filosofiche. — Renato Descartes è il suo fondatore ; gran matematico ,
meschinissimo filosofo. — Paralogismi puerili del suo metodo. — Presunzione
intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. — Cagioni, per cui il Car-
tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. — Due dottrine c due letterature in
cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. — Abusi
e disordini, che allora regnavano. — Necessità di una riforma’ cattolica. — Tre
riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. — Il tedesco Lutero, e
l'italiano ocino, autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. —
Vizi della Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. — Analogia del
metodo protestante col metodo cartesiano. — Il Descartes non liberò la
filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse
WS in scrvilu. —Contraddizioni ridicole della sua dottrina. —Il
Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la
teoricadelleideeinnate.—Vizidelpronunziatocartesiano: io pento, dunque tono. —
Il sensismo nc è la conseguenza. — Assur- dità del sensismo. — Il predominio
del sensismo ha impicciolita — la filosofia moderna. — Danni recati da esso
agli studi storici. — La religione è la chiave della storia. — La filosofia
nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. — Del razionalismo
psico- logico diverso dall’ ontologico. — Due classi di filosofi francesi. — Di
alcuni eclettici francesi in particolare. — Si annoverano i diversi vizi e
inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. — Obbiezioni dei
psicologisti : risposta. — Del senso ontologico. — L'ontologismo è conforme
all’ indole e al processo del Cristianesimo. — llicpilogazioue delle cose dette
in questo capitolo. DELLA FOIJIOLA IDEALI. I Che cosa s’intende per forinola
ideale. Metodo, che l’autore si propone di tenere in questa ricerca. Del Primo
psicologico ontologico c filosofico. Il Primo filosofico abbraccia i due altri.
— Varie dottrine sul Primo psicologico e ontologico. — Teorica di Antonio
Rosmini intorno al concetto dell’ente consideralo, come Primo psicologico : si
riduce a quattro capi. — Critica del sistema rosminiano : il Primo filosofico è
l’Ente reale. — L'Ente reale è astratto e concreto, generale e particolare,
individuale e universale nello stesso tempo. — La filosofia moderna erra
spesso, mutando il concreto in astratto. — Vari generi di astrazione c di
compo- — sizione. — Il Primo filosofico contiene un giudizio. — Doti spe- ciali
di questo giudizio : 1° consta di un solo concetto, che si replica su se stesso
; 2° è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è identico
al giudicalo. — Il giudizio divino essendo il primo anello della filosofia,
questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. — Il giudizio
divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la forinola
ideale. — Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. — Della nozione
di esistenza : analisi del concetto e della parola. — Egli è impossibile il
salire logicamente dal concetto dell’ esis- tenza a quello dell' Ente. —
Bisogna adunque discendere dal con- cetto dell' Ente a quello di esistenza.—
Necessità di un concetto in- termedio per effettuar questo transito nel
processo discensivo. — L’idea di creazione è il legame tra le due altre. —
Obbiezioni controdiessa: risposta.—IIprocessopsicologicocorrispondeall’
^ontologico. — Lo spirito umano è spettatore continuo, diretto e immediato
della creazione. — L'idea di creazione contiene un fatto primitivo c divino,
che è il primo anello delle scienze fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana
enciclopedia è divina nel suo principio. — Compimento della formola ideale. Altro
giudizio contenuto in essa formola. — Distinzione c inseparabilità psico-
logica dell’Ente e dell’esistente. — Del vero ideale e del fatto
ideale.—Obbiezionecontroil nostroprocessoideale:risposta. — Dell’ organismo
ideale. — Problemi metafisici, che non si pos- sono risolvere , se non colla
nostra formola , e ne confermano la verità. — 1° Del necessario c del
contingente. — 2“ Dell’ intelli- gibile. — 3° Dell’ esistenza dei corpi. —
Cattivo metodo di molti filosofi nel combattere l’idealismo. Dell’
individuazione. Dell’ evidenza c della certezza. Possibilità del miracolo
provata a priori. — Nuove obbiezioni contro la formula ideale : risposta. — 6°
Dell’ origine delle idee. — Vari sistemi dei filosofi su questo punto. Critica
della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee nascano da quella dell’Ente, per
via di generazione. Esposizione sommaria della nostra dottrina sull’origine
delle idee : si riduce a tre capi. — Convenienza della nostra dottrina con un
pronunzialo del Vico. — 7° Dei giudizi analitici c sinte- tici. — Esposizione
della nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. — 8° Della
natura del raziocinio. — Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra
formola. — L’aver dis- messa o trascurata l’idea di creazione è la causa
principale degli orrori filosofici. — Vane promesse ilei moderni eclettici, c
flebo- — lezza della filosofia presente. — Per ristorarla, bisogna abolire il
psicologismo. — Il Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. — Ili santo
Agostino : sue lodi : fondò la scienza ideale. — Della scienza ideale cattolica
: sue prerogative. — Degli Scolastici : loro difetti. — Del nominalismo e sua
influenza sinistra nel rea- lismo. — In che consista il perfetto realismo. Si
critica il principio fondamentale di Cartesio colla scorta della formola
ideale. — Di Benedetto Spinoza. — Tre epoche della filosofia te- desca. —
L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. — Critica del loro
sistema. — Vizi del panteismo in generale. — Convenienze del panteismo coll'
eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei protestanti, c con
quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro culto. 1 44» prima.. Le sensazioni sono segni delle cose. Passo
del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. 279 Sulla base ontologica
della veracità. 281 Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa. 282
Sullamutabilitàdelvero,secondoi panteisti. 283 Sulla universalità logica
dell’errore. 285 Passo dello Spinoza sull’ ontologismo. Passo di Cousin sul
psicologismo del Descartes. 28(1 Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua
dottrina. Del valore del Descartes nelle scienze fisiche. 28S Parere di
Cartesio sulla speculativa dei matematici. 292 Passo del Mcujot su Cartesio.
Ih. Dei furti letterari del Descartes. 293 Esame dello scetticismo cartesiano.
293 Passo dell' Aucillon sullo stile del Descartes. 29!) Della presunzione e
dell’ arroganza del Descartes. Sopra una sentenza del Vico. .706 A che e (Trito
i capi della Riforma scemassero il sovrin- telligibile rivelalo. 307 Che
gl’italiani hanno l’ingegno scultorio. Ib. Divario tra i Sociniani e i moderni
razionalisti. Ib. Esamedell’opinionedi Cartesiointornoalsuorogito. 308 Sul IVo
di Lutero. 328 Sul circolo vizioso del Descartes. 329 Esame dell’opinione
cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze delle cose. 333 Vera idea della
filosofia socratica c platonica. 314 Sulle idee innate del Descartes. 343 Sopra
una sentenza del Thomas. 316 Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. 317 Il
secolo attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle
sciocchezze dei filosofi. 348 Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib.
Sulla religione di Napoleone. 349 Critica di due opinioni del sig. Jouffroy.
331 Il sig. Cousin non conosce il sistema del Malebranche. 361 Quando nacque la
filosofia moderna , secondo il sig. Cousin. 366 Dell’ ontologismo cristiano.
367 Vari passi del Malebranche sulla visione ideale. 369 Si esamina la dottrina
del Rosmini sulla visione ideale. 377 Capitolo primo. L’ente ideale del Rosmini
è insussis- tente, benché non sia subbiellivo. Capitolo secondo. L’ente ideale
del Rosmini è obbiet- tivo c assoluto, benché si distingua da Dio. Tassi di FIDANZA
(si veda) c di Gersonc sulla visione ideale. 444 Medesimezza del concreto c
dell’astratto, dell'indivi- dualeedelgeneralenell’ordinedellecoseassolute. 132
Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale.Sulla confusione
dell’ essere coll’ esistere. 4556 13. / l’asso del Vico sul divario, che corre
fra le voci 4 I I essere ed esistere, e sull’ uso improprio, che ne fa il
Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere
coll’ esistere. 437 Sulla voce esistenze adoperata nella formula. 439 Sulle
nozioni del necessario, del possibile, del con- tingente, e sui principii, che
ne derivano. Ib. Della dualità ideale. 462 Passo del Malebranche sulla
impossibilità di di- mostrare l’esistenza dei corpi. 463 Sulle convenienze del
sistema cartesiano collo Spi- nozisrno. 464 Passo del Leibniz sullo stesso
proposito. 468 Sopra due obbiezioni del Paulus contro il sistema dello Spinoza.
Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche dei Rabbini. 471 Di una opinione dell'
Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE.
Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo
degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna
riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone
di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra
della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola.
— Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si
connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero
enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della
tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. —
Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre
scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc;
necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. I Articolo
secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la
filosofia c la fisica.— Insufficienza della filosofia moderna, per dare una
teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due
idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo.
Della logica c della morale. Queste due scienze
hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella forinola. — Della logica
in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due
cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro.
Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre
mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne
conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa
nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi,
di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te-
leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo
qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c
del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32
Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii,
perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo
del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia-
nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi
dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del
sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine
recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La
civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del
Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In
che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.
— Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della
tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte
del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. —
Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda c perpetua di generazione in
generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee
essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i
cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio
uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a
costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a
perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla
sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano
non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità
fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle
nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nè pareggia
lafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni,
e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera
rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre
illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c
tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini
primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà
europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla
salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere
ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli.
— Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica
intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del
dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli
ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola
enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un
metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è
l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea
divina nelle varie parti della filo- sofia.
de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della
forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi
periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo
alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del
razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi
fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica.
— Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua
vecchiezza. — Dei Doceti. — Il
razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità
di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Possibilità e convenienza morale del
miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è
universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei
moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si
può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false
religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di questo
colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello
Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più
squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. —
Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. —
La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta
dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in
alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici
dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne
della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri
sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni
dei razionalisti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. —
Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei
popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli
giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ;
conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo.
— Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e
universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa
degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza
secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa
distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la
scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e
dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità
degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e
il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. —
Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. —
Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano,
per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico.
— Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal
sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il
letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’
Israeliti. DELL’ALTERAZIONE (IELLA
EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La
storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni
diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. —
Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di
reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello
stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità.
— Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I
sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della
loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le
reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la
mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La
riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi
della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo.
— Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità ,
confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente :
predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c
dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita
dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario,
regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. —
Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e
astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano
i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della
formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. —
Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca-
duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. —
Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo
fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del
naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco
scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico
e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità
primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee
madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei
due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. —
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — Pelle varie età cosmiche,
secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si
accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie
o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin -
telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo.
— Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza
della unità ideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una
riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere
il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono
sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e
poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del
panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi
sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, —
Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina
dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’
ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della
filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico
antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c
perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo
ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per
rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando
brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni
moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il
processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e
sullo spazio Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188
Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine
erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista
francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le
parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura
delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e
di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’
abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al
Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari.
410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare
l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce
ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli
posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc
sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430
Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431
Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’
esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea
colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti,
-toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla
religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del
panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine
del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della
dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4DELIA
LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee
contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga-
nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. —
L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che
corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si
stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c
inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala
rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione
generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e
della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della
seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline
fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia
universale. I Articolo secondo. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo
mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna,
per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di
queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo
terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze
hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella forinola. — Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e
dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge
morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti
dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. —
Della pena eterna. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. —
Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine
dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è
somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. —
Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. —
Del maraviglioso. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo
cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri
principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica
hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato
dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi
dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del
sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine
recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La
civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del
Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In
che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.
— Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della
tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine
di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte
del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. —
Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda c perpetua di generazione in
generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee
essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i
cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio
uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a
costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a
perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla
sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano
non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità
fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle
nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nèpareggialafratullii
cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle
con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera
rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre
illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c
tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini
primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà
europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla
salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere
ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli.
— Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica
intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56
Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica.
— Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico,
come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filo- sofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di
questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide
in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per
di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di
fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunvero naturalismo.—Delsovrannaturale:
sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos-
sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine
sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. —
Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è
la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. —
Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del
Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. —
Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che
debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non
sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è
una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua
medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. —
La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è
rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile
semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. —
Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo
le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione,
natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’
ermeneutica di questi si fonda in un
falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’
individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. —
Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’
Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del
popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento
naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e
religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una
scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava
questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso-
terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’
acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella
storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente
l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro
angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei
razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle
credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che
correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del
figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. —
Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a
formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed
essoterica presso gl’ Israeliti. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai
barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni
non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse
presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. —
Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche
nell’ effet- luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua
origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso
delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori
principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza
nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie
dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia
e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica
dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa
gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per
cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento
e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della
fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa-
matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto
dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle
instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale:
intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo
alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle
trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati
psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca
intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella
negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare
Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. —
Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo
propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua
formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina
dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità
successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’
ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla
cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina:
l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce
il pessimismo. — ; Pelle varie età
cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il
pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari,
delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come
il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo;
nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti
conservano una reminiscenza della unitàideale. — Dell' idolatria : sua natura.
— Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo
scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. —
L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno
sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —
Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno
dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di
progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione
del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci
la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere
anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’
opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. —
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
— Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle
denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello
spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del
Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà
alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati.
190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191
Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa
primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari
sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli
assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali
Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire
al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari.
410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza
di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc.
423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei
allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità
del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza
antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la
dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli
angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica.
444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e
simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e
non L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza
conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli
eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e
col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE.
La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er
conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola
coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti,
filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della
forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. —
Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano
coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero
enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della
tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. —
Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre
scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc;
necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I
Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra
la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare
una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste
due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo.
Della logica c della morale. — Queste due scienze
hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella forinola. — Della logica in particolare, e
delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e
dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge
morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti
dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. —
Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo
membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si
compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’
idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell'
estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in
cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto.
Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano.
—Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè
mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del
pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia-
nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi
dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del
sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine
recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La
civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del
Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In
che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.
— Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide
imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero
e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di-
ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della
sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e
ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La
società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere
sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si
tramanda 461 c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli-
tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla
partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano
partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a
capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il
potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della
sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza
elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai
farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i
cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle
nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno
opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del
potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni:
checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo
l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera
contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato
politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. —
La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves-
titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È
inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità
elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. —
Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’
inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo
invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56
Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica.
— Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico,
come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega
della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie
parti della filo- sofia. . de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La
conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di
questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione
nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti
cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide
in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di-
fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti
e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il
razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità
di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del
miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è
universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei
moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si
può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false
religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di
questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello
Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi
civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più
squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. —
Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. —
La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta
dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in
alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici
dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne
della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri
sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni
dei razionalisti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. —
Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei
popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli
giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ;
conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo.
— Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e
universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’
Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta,
acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione
presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza
acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell'
essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea
rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità
degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e
il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. —
Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. —
Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano,
per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico.
— Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal
sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il
letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’
Israeliti. 1ì>5 lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La
storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni
diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. —
Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di
reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- luazione di esse. — Del
patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei
sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto
l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. —
Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il
sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò
l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera
della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la
filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell'
antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della
formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca-
gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del
linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione
dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un
doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni
religiose. —Esempi. — Quattro epoche dellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa,
sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si
mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche
della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito
umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia
sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo.
— Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo
fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del
naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco
scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo :
psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro
dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle
dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema
confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei
due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. —
Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ; Pelle varie età
cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il
pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari,
delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come
il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo;
nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti
conservano una reminiscenza della unitàideale. — Dell' idolatria : sua natura.
— Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo
scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. —
L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno
sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —
Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno
dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di
progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione
del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci
la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere
anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’
opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. —
Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti,
salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei
tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile.
— Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE.
Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del
tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e
del Malebranche sul tempo e sullo spazio.
Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli
attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee
sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese
sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del
pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle
esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di
causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’
abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo?
413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’
orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di
Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc.
423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei
allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità
del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza
antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la
dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli
angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica.
444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e
simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e
non L’antropomorfismo è il psicologismo
essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza
conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli
eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e
col fatalismo. DELLE CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA.
Scusa dell’ autore. — Il sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni
della religione. Analisi del primo. Si escludono le false origini, che si
possono assegnare al concetto, che Io rap- presenta. — Della sovrintelligenza.
— In che consista la natura speciale di questa facolti. — Sua analogia
coll’istinto. — Del sen- timento, che l’uomo ha delle sue potenze non
esplicate. — Defi- nizione delia sovrintelligenza. — Come il concetto negativo
del sovrintelligibile nasca da questa facoltà. — Obbiettività del so-
vrintelligibile ; adombrata dalla filosofia orientale. — Analogia del
sovrintelligibile col numeno di Emanuele Kant : sbaglio del criticismo. — Dei
sovrintelligibili naturali. — Attinenze del so- vrintelligibile cogl’
intelligibili. — Come il sovrintelligibile debba essere riconosciuto e rispettato
dalla filosofia. — Dei sovrintelli- gibili rivelati. — Loro importanza, e
armonia coi dogmi razio- nali. — I sovrintelligibili della rivelazione hanno un
margine indeterminato. Del sovrannaturale. In che consista, e sue attinenze
colla formula. Connessione del suo concetto colla magia dei popoli pagani. Varie
spezie di sovrannaturale. Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la
filosofia della storia : sua importanza per la filosofia in genere. Il
sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso.
Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. L’ alterazione
di quest' ordine costituisce il regresso. Della forinola
sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. Del ciclo cristiano : sua
risoluzione. Della Chiesa ; com' ella sia il perno dell’ incivilimento. Del
sincretismo delle sette cristiane eterodosse, e della idolatria rinnovala per
opera loro. Confutazione di un passo del sig. Guizot sull’ unità religiosa.
Della superstizione : in che consista. Del processo a priori della fede
cattolica. Due cicli rivelativi corrispondenti ai due cicli creativi. Necessità
della fede per ben filosofare. La fede sola colloca l’uomo nel suo stato
naturale. Ragionevolezza della disciplina cattolica. L’ educazione ideale è
impossibile fuori di essa. Lo scetticismo esclude la vera grandezza, anche
umana, dell’ ingegno. La fede è libera, e in ciò consiste il suo merito. Tre doti
della fede cattolica, utilissime all'uomo e al filosofo. Efficacia di questa
virtù, per avvalorare l' ingegno ontologico. Quanto all’ abito ontologico
conferisca la credenza del sovrannaturale. Tutte le virtù teologali influiscono
profittevolmente nell’uomo pensante e operatore. Della vera misticità, e sue
differenze dalla falsa. Empietà dell’ autonomia razionale. Necessità della fede
per la conservazione dei principii ideali. L’incredulità moderna è la cagione
precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. Utilità dei misteri in
genere per l’abito filosofico. Si considerano, per questo rispetto, alcuni
misteri in particolare. Della predestinazione, e della eternità delle pene.
Della inviolabilità scientifica della teologia. Di certi novellini teologi, e
della temerità loro. L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. Della
giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. Di una certa classe di
gementi, che credono morta o moriente la religione: si combat- tono i loro
timori. Della larghezza dell’ Idea cattolica: sua utilità per le scienze in
generale. Necessità della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza. La
teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. Delle cagioni, per cui
la teologia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. Il clero cattolico
dee essere un concilio di sapienti. Dee coltivare specialmente le scienze
filosofiche. Dell’acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. I laici che
coltivano la filosofia, debbono incominciare una nuova era razionale, sotto la
sovranità intellettiva della Chiesa. La filosofia eterodossa, che regnò finora,
è morta per sempre. Si concbiude esortando gl' Italiani a intraprendere l’
instaurazione delle scienze speculative.
Sulla voce essenza. Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi.
Attinenze del sovrannaturale col sovrintelligibile. Del sovrannaturale iniziale
c finale del Cristianesimo. Del sovrannaturale transitorio o continuo. Su
alcuni passi del sig. Guizot. Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. Sul
fatto morale della giustificazione. Sulle varie epoche filosofiche della
storia. Delle idee pure.Sul valore teologico dei razionalisti tedeschi. Il
decadimento della filosofia prova la verità del cat- tolicismo.Grice: “Italians
find it harder than the Germans to conceal their nationalism. Hegel is studied
everywhere, but Gioberti is felt to be TOO Italian, and he is. There are not
two sentences in Gioberti that do not mention Italy! Hegel could philosophise
on being (the absolute being is the King of Prussia) – but philosophers
elsewhere took his remarks in a generalized way, not a German way. Unlike with Gioberti,
who cannot hide his ‘italianita’. The fact that Mussolini wrote on him did not
help. And that, along with Gentile, and the Italian mainstream intelligentsia,
the Italian risorgimento is only a stone’s throw away from Fascism!” Grice:
“Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a bio of Gioberti which I thought the best,
it’s in Vita e Pensiero, and in the series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him
sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico, il
bello, metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and metexis,
protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie uomini del
risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia
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