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Tuesday, August 12, 2025

GRICE E VARISCO

 LA FINALITÀ DELLA VITA © CAT gn PCS i - È Lu << a SCSI 2. wunderbar im hochsten ci Grade ‘ist und bleibt das Beginnen - Per eines zweckmAssigen Naturlaufes. e! si ni " p « . . - - E RI (Herbart, Fin. in. d. Phil. $ 155). SETA SII Via 9% >< » CHA A | “2 « Ogni fatto cì si presenta sempre in relazione con degli altri. Queste relazioni, o passano tra un fatto e dei prece- denti, e si dicono relazioni causali; o sono dirette a rea- lizzare un'armonia, la regolarità d’un processo, e si dicono relazioni finali. La scoperta così delle une come delle altre nell’accadere biologico è l’ intento dell'analisi scientifica. Teniamo dietro all’ embriologia d’ un fiore: vedremo for- marsi e crescere de’ gruppi di cellule, il che a parer no- stro costituisce le condizioni causali della formazione del fiore; ma se volessimo descrivere questo processo, senza riguardo ai fini verso dei quali converge, mancherebbero, alla nostra immagine della natura, ì tratti più essenziali. Così essendo, non si può non rimanere stranamente mera- vigliati, quando si legge, che il solo vero problema della fisiologia consiste nell’ esporre le connessioni causali dei fatti biologici, quando si sente parlare con disprezzo della (1) A proposito di una recente pubblicazione: J. Reinke, Philos. d. Bo- tanik; Lipsia, Barth, 1915; pp. VI, 201; in citaz. R. Rivista Filosofica. 38 590 LA FINALITÀ DELLA VITA valutazione teleologica delle strutture e dei processi. Certo, nessuno può, nell’ analisi scientifica dell’ organismo, tra- scurar le relazioni causali; la causalità vale nell'organismo così universalmente come nella natura morta, come in ogni accadere, materiale o psichico. Ma non per questo le connessioni finali sono meno importanti; anzi, nell’ orga- nismo, sono molte volte più chiare e più certe, che non le causali. Il penetrare dell'amido nel tubero della patata è in dipendenza funzionale dal bisogno della pianta, rispetto alla sua durata nel prossimo periodo vegetativo: la prepa- razione e l'azione della diastasi, dalla necessità che quel- l’amido venga disciolto, per il germogliare de' nuovi ram- polli; come la formazione del fiore è in dipendenza fun- zionale dai semi che si debbono produrre, Qui, le condizioni dell’ accadere sono posteriori nel tempo all’ accadere mede- simo. Naturalmente, le medesime connessioni sono anche rappresentabili causalmente. I nuovi rampolli non possono germogliare dal tubero, se in questo non era accumulato dell’ amido, e se l’amido non veniva sciolto dalla diastasi; i semì poterono maturare soltanto, perchè al loro sviluppo precedette la formazione del fiore. Similmente possiamo dire : le corolle ed il miele (1) servono di allettamento agli insetti (2); oppure: gl’insetti volano sui fiori, perchè al- lettati dalle corolle vistose e dal miele. In tutti questi casì vediamo connesse relazioni causali e relazioni finali; e, negli organismi precisamente come nelle macchine, la cau- salità viene in servizio della finalità. Sarebbe insensato volersi rappresentare una macchina senza la relazione (1) I succhi zuccherini, con cui le api formano il miele, ma che sono cer- cati avidamente da moltissimi insetti. (2) Le cuì visite ai fiori hanno, com'è noto, un’ importanza capitale, per la fecondazione. LA FINALITÀ DELLA VITA 591 finale tra le sue parti; del pari, la pretensione di spie- gare causalmente un organismo, trascurando le relazioni finali tra le sue parti, non avrebbe nessun interesse scientifico. La spiegazione causale, sufficiente in fisica, già diviene incompiuta nella dottrina delle macchine; in fisio- logia, la considerazione causale e la finale sono ugualmente giustificate; non è possibile astrarre più dall’ una che dal- l’altra ». (R., pp. 22-28; v. inoltre pp. 28-34 parecchi esempi caratteristici, che provano la finalità biologica, e l’ impos- sibilità di trascurarla in uno studio scientifico della vita. Rilevo questo passo, p. 34: Eulero disse, che l’ occhio, in finalità, oltrepassa qualsiasi macchina; non importa, se i moderni vi hanno scoperto qualche secondario difetto di costruzione: la finalità dell'occhio è quella, che poteva bastare). Ritengo anch'io, che, in linea d'osservazione, tanto siamo autorizzati e obbligati a riconoscere una finalità nella vita, quanto a riconoscere la mancanza di finalità nell’ ac- cadere inorganico. Una distinzione è data; così chiara e precisa, come qualunque altra, o più. « Mentre nella fisica e nella chimica sono applicabili soltanto le considerazioni causali, nella fisiologia si devono introdurre insieme e le causali e le finali. L'accadere puramente fisico è a-finale; in questo senso vale il detto di Kant, esser il fine estraneo alla natura; ma d'altronde anche gli organismi e il pro- toplasma vivente son estranei alla fisica e alla chimica; nelle proprietà delle singole combinazioni chimiche e dei processi fisici come tali non si trova niente, che si possa chiamare fine ; questo apparisce soltanto nel modo, con cui quelle combinazioni e quei processi vengono a connettersi negli animali e nelle piante. Senza connessioni finali, un Otganismo non può esser pensato; per ciò la biologia non Fa E 592 LA FINALITÀ DELLA VITA può esser definita come semplice fisica o chimica degli or- ganismi. Negando la finalità negli organismi, sì negano: gli organismi; perchè senza finalità non è concepibile nemmeno una macchina: ma ogni finalità, e nella mac- china e nell'organismo, presuppone un meccanismo; perciò, connessioni causali e connessioni finali sono strettamente. congiunte: due faccie d'un medesimo fenomeno. Scoprire le connessioni finali negli organismi, è un problema di scienza ; conoscerne il fondamento, è un problema di me- tafisica. Darwin fece il tentativo, di trasformare in fisico questo problema di metafisica; il tentativo non è riuscito. Perciò, in biologia, dobbiamo assumere la finalità come qualcosa di dato; e precisamente come un fatto dato »... (R. p. 35 sg.) 2. Vediamo di non lasciarci fuorviare da concetti filosofici. confusi e imprecisi. Cercare il fondamento delle connes- sioni finali date, è, dice il R., un problema di metafisica. Se, con questo, vuole soltanto significare, che il biologo come tale non ha obbligo, né mezzo, di risolvere il pro- blema, io non bo niente in contrario. Ma se intende che il problema sia intrinsecamente insolubile, od immaginario, faccio per mio conto le più ampie riserve. Ecco qui due fogli di carta, uno bianco e uno gialliccio. Son tolti da una stessa risma, e identici: salvochè il secondo fu tenuto. per qualche tempo in un luogo umido. Con questa sp?e- gazione, la differenza di colore non è soppressa; rimane un dato di fatto, precisamente come prima. Se a voi preme soltanto di riconoscere il dato qual’ è, avete il diritto di prescindere dalla spiegazione; potete, in un certo senso, LA FINALITÀ DELLA VITA 593 chiamarla metafisica, e lavarvene le mani; con che per altro non avete punto escluso che sia vera, e così positi- vamente certa, come l'osservazione a cui vi limitate. Bevo due sorsi da uno stesso bicchiere, l’ uno prima, l’altro dopo di aver gustata una certa vivanda; provo due sa- pori differenti. La differenza dei sapori è innegabile; ma è tuttavia manifesto, esser lecito e obbligatorio affermarla soltanto come fenomeno soggettivo. Nel passo ultimamente citato del R., ho notato, sotto- lineando, che la finalità viene da lui chiamata indifferen- ‘temente, a poche linee di distanza, un fatto e un fenomeno. L' usare questi due termini come sinonimi è una consue- tudine ammissibile nella scienza, dove sì è molto ben d’ac- cordo su ciò, di che si tratta; ma equivoca in filosofia (1). Essenziale ai fatti è l’ indipendenza, ai fenomeni la dipen- denza dall’ osservatore : la rotazione della terra può essere un fatto: il veder io tramontar il sole è di certo un feno- meno. La questione gnoseologica, se accadano veri fatti, o se l’accadere sia soltanto fenomenico, dobbiamo qui lasciarla in disparte. Ha ragione il R.: se la finalità fosse un sem. plice modo nostro di concepire il dato, lo stesso dovrebbe dirsi della causalità (p. 34); dunque, chi vuol ridurre a causalità ia finalità, non può fondarsi ragionevolmente sul preteso carattere fenomenico di questa. Si noti d'altronde: se la finalità non ci apparisse nella natura, che in quanto fosse una forma inerente al nostro spirito, l’accadere natu. rale ci apparivebbe tutto ordinato a de' fini; mentre non ci pare così ordinata che una sua parte, relativamente pic- «cola (2). Il che vale in genere per la dottrina (di Kant) (1) Ho seguito io pure la consuetudine, in parecchi miei scritti. Non vo- glio far il pedante; ma un linguaggio preciso, benché non se ne debba sperar troppo, è tuttavia da preferire. (2) Herbart, Einl. in d. Phil., ed. Hartenst., 52, p. 275 sg. 594 LA FINALITÀ DELLA VITA delle forme inerenti allo spirito. Ammettendola, bisogna dire, dello spirito, che tenga pronto per ogni dato l’ in- sieme delle sue forme, sempre le stesse. Mentre poi di- stingue una varietà di dati, ai quali applica ora certe forme, ora cert’ altre. Dobbiamo dunque riconoscere nel dato altrettante relazioni con le nostre forme, quante son le figure, gl’intervalli di tempo, le connessioni. causali, ecc., che troviamo nell’ esperienza (1); in altri termini, che le forme, secondo cui si concepisce il dato, sian de- terminate da certe proprietà corrispondenti del dato me- desimo. Ancora più in generale: supposto (e non concesso} che la realtà esterna sia una formazione soggettiva, si deve poi confessare, che il soggetto individuale (Tizio, che s' immagina di conoscere una realtà esterna) è una forma- zione analoga. Sicchè, soggetto viene ad aver due significati diffeventi. Primo, e in questo senso lo ditemo S, come il substrato, o come il centro superiore d’ unità, di tutti i fenomeni. Secondo, e in quest'altro senso lo diremo Z, come una formazione particolare, come un centro minore d’ unità dei fenomeni, come quella tale persona consapevole di sè; a cui è contrapposta un’altra formazione È, la realtà esterna. Che, tanto Z quanto £, rientrino in S; sarà un vero metafisico, dal quale per altro non è menomamente sop- pressa od infivmata la distinzione osservabile tra 7 ed A. Quindi, confondere degli elementi di A con degli elementi di I, non è essere kantiani più o meno conseguenti; è, senz'altro, equivocare. La causalità, e la finalità, son ele- menti di A, non di Z. Riconoscer questo, è confessarsi, nella sostanza, realisti; perchè, quanto alla dipendenza di KR da S. e può esser interpretata in senso realistico, e non va presa in alcuna considerazione, quando si tratta soltanto (1) Id. ibid. , p. 258. LA FINALITÀ DELLA VITA 595 di sapere, in che relazione sian tra loro certi elementi di R; nel nostro caso, la finalità e la causalità. Ci pensino (se ne son capaci) i corifei di quel facile idealismo, che ora dilaga per le vie, come il materialismo di trent'anni or sono. w Qualcosa bisogna dire intoruo al concetto di causa. La critica di Hume, gli argomenti, e le arguzie più o meno fine, del Mach, valgono contro il pregiudizio, che noì, con le nostre leggi e con le nostre forze, si penetri la con- nessione de' fatti nella sua natura, e si possa trarre par- tito da tale notizia per prevedere con apodittica certezza il futuro (1). Ma non escludono, che tra un fatto e certi precedenti o concomitanti, diciamo tra un fatto e certe circostanze, vi siano delle connessioni. Delle quali, consi- derate nella loro intrinseca realtà (in &, noi non abbiamo nè cì possiam formare alcun concetto determinato; ma pos- siamo e dobbiamo affermare indeterminatamente l'esistenza; chi non si senta «’ammettere, che in un sistema, p. es. d'astri, l’accadere possa risultare indifferentemente lo stesso o diverso, con qualunque configurazione del sistema. Cosa, che non è ammessa nemmeno da BING SA TRIRISt, perch' è în troppo manifesta opposizione con l’ esperienza. Gl' inde- (1) Di questo pregiudizio è molto più facile farsi beffe, come n'è invalsa la moda, che tentar di sostituirlo con un concetto più giusto. Così accade, che vi sacrifichino tuttavia molti, che s' immaginano d° averlo superato. Per esempio il R.; il quale non s'è accorto, che la spiegazione da lui data della finalità con le sue dominanti, è appunto una delle pretese spiegazioni, messe in burletta dal Mach; non s'è accorto, che citando e approvando il Mach e l' Hume, tirava de’ sassi nella sua colombaja. 596 LA FINALITÀ DELLA VITA terministi non credono, che una pietra, toltole il sostegno, sia così libera d’andarsene dove le piace, come un uc- cello a cui si apra la gabbia. Dicono bensi, che non po- tendo noi osservare le minime particolarità di nessun fatto, non possiam nemmeno escludere, che in queste mi- nime particolarità si nasconda qualcosa, che quantunque non sia propriamente un capriccio (ne' fatti fisici!), vi equi- valga, quanto all’accadere. Senza discutere a fondo questa singolare teoria (1), noterò, che quando si vuole studiare la correlazione tra i fatti fisici e i fatti biologici, così gli uni che gli altri vanno presi quali ce li dà l’ osservazione, comunque imperfetta; l’almanaccare intorno a ciò, che (1) L'ho discussa nei Paralip. alla conosc., art. La filos. d. conting.; e in Dottrine e fatti, (Pavia, 1905) art. La necessità, L'acqua m'ha sempre disse- tato. Ma di quel fatto, ch'è il dissetarmi, le minime particolarità mi stuggono; io dunque non posso escludere perentoriamente, che l'acqua, e la mia gola, abbiano de' capricci. Questi capricci, benché non escludibili perentoriamente, sono per altro supposti, perchè i fatuù osservati non ce ne danno prova né indizio. L'acqua m° ha sempre dissetato fino a tutt’ oggi; mi disseterà do- mani? Affermandolo, io formulo un'ipotesi; ma formulo del pari un' ipo- tesi, dubitandone. Con questa differenza, tra le due: che la prima è sugge- rita da un'aspettazione, risultata finora degna della mia fiducia; mentre la seconda non è suggerita che da un capriccio (si tratta qui d'un vero ca- priccio). Quest* esempio dà una chiara idea comparativa di quello che siano, e di quello che valgano, il determinismo e l° indeterminismo, in fisica. Il Vailati scrisse in qualche luogo, se non m° inganno, che il determinismo consiste semplicemente nell’ astenersi da quella ipotesi, che, pure al parer mio, é implicita nel determinismo. Mh! Col semplice astenersi non si for- mula una teoria, non s'ottiene un concetto: astenersi dal pensare a un modo, in quanto puro astenersi, è non pensare, Il mio calamajo non é determi- nista ; ciò non vuol dire, che sia indeterminista. L' indeterminista, non sol- tanto si astiene dall’ ipotesi deterministica; ve ne sostituisce un’ altra; ri- man da sapere, quale sia meglio fondata. Che il Poincaré sia indeterminista, a me non pare un argomento. Il P. é un maestro in matematica; ma fosse anche un maestro in filosofia, del che dubito: vogliamo rifarci daccapo & surare in verba magistri? LA FINALITÀ DELLA VITA 597 sarebbe forse rivelato da osservazioni, che nessuno ha com- piute, non conclude. Una pietra cade sempre, toltole il so- stegno; e per tutte le diversità osservabili tra caduta e ca- . duta, si osserva sempre una diversità corrispondente di circostanze ; ecc. Questo è ciò che si vuol dire, quando si afferma, che i fatti fisici sono determinati, o connessi con le circostanze; e riman vero, qualunque capriccio si oc- culti nelle profondità dell’ inosservabile; sarà vero soltanto per i fatti presi all'ingrosso (come lì osserviamo); ma noi, appunto, ci proponiamo di studiare la correlazione tra i fatti fisici presi all'ingrosso, e i fatti biologici presi all’ in- grosso: altra materia di studio non essendo in pronto, per ora. A proposito di capriccio, o d'assoluto caso, è bene fer- marsi un momento a dissipare un equivoco. Secondo Helm- holtz (R., p. 25), e secondo moltissimi altri, il principio di causa non è che il presupposto d'una regolarità univer- sale dell’accadere. E senza dubbio impossibile far delle pre visioni apoditticamente certe a scadenza illimitata, se non sul fondamento di leggi note, che siano senza eccezioni. E tutto quanto sappiamo di positivo e di ben determinato intorno alle connessioni causali, si riduce alle leggi fisiche; il che spiega perfettamente l'opinione dell’ Helmholtz. Ma io domando: può la fisica, o la filosofia, dimostrare la va- lidità incondizionata di una sola delle leggi fisiche? Non se ne discorre nemmeno (1). Esservi, tra i fatti, delle con- nessioni causali, significa, soltanto, esservi, tra ciascun fatto e le circostanze (ossia in ultimo tra vari fatti), una correlazione, la cui radice reale ci sfugge per intiero, ma tale, che per ogni variazione in un accadere è sempre as- (1) Io non ne discorro, perché ne ho discorso a lungo, ed esaurientemente per quanto mi pare, altra volta : cfr. i miei scritti citati. 598 LA FINALITÀ DELLA VITA segnabile una corrispondente variazione nelle circostanze. Questo, non altro, è il dato dell’ osservazione, il risultato .dell'induzione: tutto il di più, e ìl diverso, è semplice . fantasmagoria. Se, ed in quanto, certe circostanze riman- gono invariabili — e rimarranno, o no, secondochè l’ uni- verso è costituito cosi o così; del che non sappiamo niente, o ben poco — certi fatti si ripeteranno sempre } medesimi, si seguiranno con regolarità, od in sostanza varranno sem- pre certe leggi. Ma le circostanze potrebbero anche variar in guisa, che nessuna legge fisica formulabile da noi avesse più che una validità limitata nel tempo e nello spazio. In questo caso, |’ universo, ad un'osservazione abbastanza estesa el abbastanza lunga, risulterebbe affatto ex-lege, l’accadere apparirebbe affatto accidentale; ma non perciò sì dovrebbe dire, che i fatti non avessero delle cause, poi- chè quest’ accidentalità sarebbe anzi un effetto delle cause naturali, sarebbe il risultato necessario delle connessioni tra i fatti. L'identificare la causalità con la regolarità è dunque uno scambiare l’oggettivo col soggettivo, elementi di R ed elementi di /; un errore, che va evitato. Le leggi, note a noi, son concetti nostri; frasi, o formule algebriche (p. es. /mm'/r?, che dà la gravitazione tra due masse m, m' alla distanza r) con le quali esprimiamo il succedersiì de’ fatti, come l’osserviamo; la connessione causale tra 1 fatti è invece quella proprietà reale, incognita in sè stessa, perchè i fatti si succedono in quel modo che osserviamo. Sarà, o non sarà, che de’ fatti si succedano sempre a un modo; comunque, il concetto, che noi ci formiamo del loro succedersi, e la proprietà del reale, per cui si succedono sempre o non sempre a un modo, non sono da confondere. Come non sono da confondere le rappresentazioni di fine, proprie soltanto di noi, e d'altri esseri più o meno LA FINALITÀ DELLA VITA 599 simili a noi, con le condizioni reali, perchè de’ fatti acca- dano così, da realizzare i fini che noi ci ravpresentiamo. I fini, che noi ci rappresentiamo, sono elementi soggettivi, appartenenti ad Z; le condizioni, perchè si realizzino, son elementi oggettivi, appartenenti ad A. L'essere, queste con- dizioni, elementi di A, non è certamente una ragione, perchè io le confonda con altri elementi di A; io devo, anche in A, cercare con discernimento, non lasciarmi guidar dal caso, nè da un mio preconcetto, nel prendervi o sce- gliervi i materiali per edificare un sistema. Devo però aste- nermi, possibilmente, del servirmi d'un elemento di 7, dove ne bisogna uno di A; il che sarebbe un crearmi all’inten- dere un ostacolo diverso ma non meno grave. Il problema, che sì tratta di risolvere, la soluzione del quale, benchè non sia di competenza dei fisici nè dei biologi, s' impone a chiunque voglia farsi del mondo un'idea, che non sia l'ac. cozzaglia casuale di più idee contraddittorie, ci si presenta ora con molta chiarezza. Accadono de’ fatti, connessi tra loro soltanto causalmente; che, per quanto ce ne dice l’os- servazione (astrazion fatta da ogni filosofia, e da ogni cre- denza, sistematiche) sono a-finali. Una pietra, scagliata sba- datamente da un ragazzaccio, segue la sua trajettoria, senza deviarne perchè questa la porti a passare per un luogo, dove s’ abbatte a trovarsi nel medesimo istante la testa di un povero piccino. E accadono de' fatti, che sono eviden- tissimamente finali; i fatti biologici (non questi soltanto sono finali; ma di questi soltanto parliamo). Accadono, quelli e questi, nello stesso mondo; sono, in molti casi, variazioni d'una stessa cosa, e gli uni e gli altri; hanno, gli uni con gli altri, delle connessioni, la realtà delle quali non può assolutamente essere negata. Le condizioni per l’accadere de’ fatti a-finali, e quelle, per l’accadere dei 600 LA FINALITÀ DELLA VITA fatti finali, nella realtà dunque non si escludono; rimane, che siano da noi concepite in modo non contraddittorio ; che cioè possano coesistere in Z i corrispondenti di condi- zioni, che in A di fatto coesistona: ecco il problema. Come sì vede (se ne ricordino quei tanti, che per combattere una dottrina scelgono la comoda via d’interpretarla a modo loro), non si tratta di farci un concetto adeguato né della causalità nè della finalità; ma di farci delle cose un con- cetto complessivo, inadeguato fin che si vuole, che non escluda la reale compatibilità delle eause e de' fini; un concetto, che non sia la pura giustaposizione di due con- cetti contraddittori. Dobbiamo, come dissi cento volte, non spiegare la realtà, che non è spiegabile; ma ingegnarci di mettere un po' di coerenza in quel che ne pensiamo. 4. Il R. introduce un’intiera gerarchia di forze. Si hanno forze energetiche (1) e forze non energetiche; suddivise, queste ultime, in forze di sistema, dominanti, e forze psi- chiche (p. 39 sg.). Forza poi significa: « tuttociò che opera, e produce qualche variazione ». In accordo con Hume: « la forza è l'attività producente, il nesso causale, consi- derato dalla parte della causa; » e con Helmbholtz: « la legge, riconosciuta come potenza oggettiva, dicesi forza ». Con ciò, soggiunge R., « l'idea di forza è definita con tutta la precisione desiderabile » (p. 38). Questa precisione a me non riesce di vederla. Attività, causa, forza, potenza, power, (1) Al R. non è ignota la distinzione, che i fisici fanno tra forza ed energia ; il suo linguaggio per altro non ne tiene il debito conto, e dà facilmente luogo a degli equivoci. Ma per noi la cosa non ha grande importanza, © nou c'insisto. nai — se n — * LA FINALITA DELLA VITA 601 Machi, IWirksamkeil, produrre, hervorrufen, hervorbrin- gen, ecc., ecc., son parole, ciascuna delle quali non ha un significato, che in quanto accenna vagamente ad una stessa proprietà del reale, al determinismo dei fatti. Perciò la defi- nizione addotta si riduce ad una mera tautologia (1). « Nella scienza della natura in generale, e nella biologia in parti- colare, non è possibile », dice il R. (pag. 37), « far a meno. dell'idea di forza ». Poichè i fatti ci risultano determinati ; vale a dire: poiché l'osservazione ci rivela una corrispon- denza tra i fatti e le circostanze, sicchè quelli si ripetono o no, secondochè queste durano o mutano; è manifesta l'impossibilità di riflettere sulla natura, senza pensare al determinismo de’ fatti; di parlarne, senza una parola cor- rispondente; e sia p. es. forza. Quel pensiero, affatto ge- nerico, non costituisce la cognizione determinata d’alcun processo naturale; dobbiamo ingegnarci di procacciargli una più grande ricchezza e varietà di contenuto. Ma non ci si riesce col semplice assumere, che il significato di forza si risolva nella somma dei significati di più altri termini (forza energetica e non energetica, ecc.), se il significato di ciascuno di questi è sempre soggetto alla medesima es- senziale indeterminazione. Poichè l'oggetto del nostro studio è la realtà, le parole di cui facciamo uso ‘non possono avere un significato che valga, non servono a ordinare i nostri concetti, e a farli meglio corrispondere al reale studiato, che in quanto esprimono de’ dati precisi d’osservazione. Se mi si dice, che il tal corpo cade in virtù della gravità; che il tal altro si dilata, in virtù dell'energia termica; io ne so in ultimo quanto prima. Il mio sapere non s’accresce, che osservando certe correlazioni tra fatti. Tra i movimenti (1) « Der in dem vorliegenden Buche entwickelte Kraftbegriff ist unklar und vieldeutig »; cosi C. Detto, in una recens. del libro del R.: Deutsche Literatztg, a. 1905, n. 47. 602 LA FINALITÀ DELLA VITA de’ pianeti, e le loro posizioni rispetto al sole; tra l'arro- ventarsi d'un pezzo di ferro e la combustione che accade in un fornello; vi sono delle correlazioni, che io posso co- noscere ; tutte le mie cognizioni determinate circa la na- tura son di questo genere; le parole con cui le esprimo, non hanno un significato al mondo, che in quanto servono ad esprimerle. Ci sono delle forze energetiche, o, in ter'- mini più esatti, delle energie. Vale a dire? Vale a dire. nelle variazioni fisico-chimiche si riconoscono certe rela- zioni numeriche tra quantità osservabili, sian le quantità d'una medesima specie, o di specie diversa (qualitativamente uguali o disuguali). Un pendolo, in posizione inclinata, pos- siede una certa energia potenziale ; ossia, è in condizione di moversi, rimosso l'impedimento. Rimovo l’impedimento: il pendolo discende, acquistando un'energia cinetica, e per- dendo parte dell'energia potenziale. Arrivato al punto più basso della trajettoria, risale, fino ad un'altezza pari a quella da cui è disceso: perciò, l'energia cinetica acquistata si considera come equivalente alla potenziale perduta. Mentre si move, urti contro un ostacolo, e si fermi: l'energia ci- netica è svanita, senza che la potenziale sia cresciuta; ma, ecco, apparisce una forma nuova d'energia, termica p. es.; la quale pure si considera, per analoghe ragioni, equivalente all'energia cinetica svanita. E via discorrendo. Queste son cognizioni, di fatti e di relazioni tra fatti, certe; concetti, di cui non abbiamo presentemente alcun motivo per non ritenerlì adeguati (1). Ma che delle energie, d’una a (1) È accaduto per l’addietro e accadrà molto probabilmente anche in avvenire, che un aumento di cognizioni ci faccia riconoscere un errore in quella, che ci pareva una verità indiscutibile. Ma fondandoci sulle cognizioni che abbiamo, si fa qualcosa, utile anche ad una loro successiva correzione; fantasticando su delle cognizioni, che forse non si realizzeranno, benché cre- dute possibili ora da noi. si buttano il tempo e la fatica. LA FINALITÀ DELLA VITA 603 sola specie o di più, esistano come cose reali, io, per quanto sia realista, non mi vedo necessitato nè autorizzato ad as- sumere; l’ammetterlo mi sembra un trasportare, affatto inopportunamente, in A degli elementi di /. Sicchè, quando il R. riferisce alle sue dominanti, come alle vere cause, la formazione di nuovi tessuti, ecc., non mi sembra faccia niente di più di quelli che riferivano l’azione dell’oppio alla sua virtù dormitiva. Tra i fatti dell’orga- nismo e quelli del mondo inorganico, vi sono, e delle diffe- renze, e delle correlazioni, manifeste. La questione se l’ac- cadere organico sia o non sia irriducibile all’inorganico, ed in che senso gli sia irriducibile, dato che sia, come pare anche a me, non è risoluta, non è neanche messa in termini chiari, se non come concernente il modo, che di necessità non dev’ essere contraddittorio, di concepir insieme le differenze e le correlazioni. Così le une, come le altre, dovrebbero esser concepite, secondo che si osser vano. Poichè non accadono i soli fatti osservati, supporre qualche fatto ben determinato, non essenzialmente inosser- vabile. non è del resto illecito; e può esser necessario, non volendo lasciar indiscusso l'importante problema. Una tale supposizione, quando per suo mezzo si elimini, tra de’ nostri concetti, un’antinomia, che non sembri eliminabile altrimenti, possiede una vera utilità, fors'anche una grande probabilità. Ma incaricare indelerminatamente una forza di ciò che dev'esser fatto perchè le cose vadano, non è, neanche, forvmular un'ipotesi discutibile ; è, soltanto, un riesprimere in termini apparentemente risolutivi lo stesso problema che si dovrebbe risolvere. Dire, che i fatti orga- nici hanno per cause le dominanti, forze inconsciamente intelligenti e finali; non significa nient'altro, se non che que' fatti sono irriducibili agl’inorganici, senz’ajutarci a 604 LA FINALITÀ DELLA VITA conciliare l’irriducibilità e la connessione (1). Io non par- tecipo al pregiudizio, comune secondo il R. (p. 37), in fa- vore delle forze meccaniche ; mi rifiuto di cousiderar la forza, meccanica o no, come un deus ex machina. Inoltre: una difficoltà gravissima, finora non superata da nessuno, contro l’intervenzione, in un sistema d’energie fisiche, di forze non energetiche, (astrazion fatta dalle forze di sistema, di cui parlerò più oltre, e che assolutamente non si posson dire forze, a nessun titolo), (p. 39 sg., cfr. p. 43); è costituita dalla permanenza dell’ energia fisica. Il R. riconosce questa permanenza; ma s' immagina di vincer quella difficoltà, considerando, col Mach, la permanenza come valida nel solo campo del mondo inorganico. Stiamo ai fatti. Un uomo lavora in un ambiente chiuso. Respirando, brucia una quantità, misurabile, di carbonio; la quale, bruciata in un fornello, avrebbe sviluppato a calorie. La temperatura dell'ambiente sale di alcuni gradi, corrispon- denti alla comunicazione di d calorie. Infine, l'equivalente termico del lavoro compiuto sia c calorie. Discutendo 1 ri- sultati di molte osservazioni, si conclude che a — db + c. Bruci nell'organismo, o in un fornello, un tanto di car- bone dà sempre un ‘tanto di calore. Dunque, non equivo- chiamo. Che in tutto l'accadere siano riconoscibili delle energie permanenti, non sta; non se ne riconoscono, p. es., nell’accadere psichico. Ma le energie fisiche (s'intende, la loro somma, in un sistema chiuso) rimangono permanenti, anche se prendono parte alla vita. E ciò sembra escludere, che i fatti fisici, a cui danno luogo gli organismi, sian condizionati ad altro, che a circostanze fisiche. Salgo una scala : l'energia potenziale del mio covpo cresce. L'aumento (1) « Die Dominauten sind nichts anderes, als der zur Ursache germachte Inhalt ihres Begriffes »; Detto, l. c. LA FINALITÀ DELLA VITA 605 è compensato da un’equivalente diminuzione d’altre energie. Se, data (o non data) quella certa condizione d’ equilibrio tra le energie del mio corpo e dell'ambiente, il mio innal- zarmi potesse tuttavia non accadere (o accadere), una certa quantità d'energia fisica potrebbe venir distrutta (o creata). Con questo, io non ho spiegato nulla. Dunque, non m'op- ponete, ch’io pretenda ridurre a fisico tutto l’accadere ; il che io non pretendo punto nè poco. Di fatti fisici, senz'an- tecedenti fisici, non s'ha un esempio certo (perch’io mova un braccio, il mio volerlo movere non basta, si richiede inoltre l'integrità d'un nervo ecc.); ammettere che n’'acca- dano è formulare un'ipotesi. Chi vuol giovarsi di quest’ipo- tesì, contro la quale io non ho alcun pregiudizio aprioristico, deve, almeno, formularla in guisa, da eliminarne ogni re- pugnanza con de’ fatti accertati. Ossia deve sciogliere la difficoltà. che ho messa in rilievo. load de Molto più delle forze immaginate serve a chiarire il concetto della vita il paragone tra gli organismi e le mac- chine. Una macchina è un sistema fisico, in cui l’accadere si compie bensì all'infuori d'ogni finalità, del tutto cau- salmente; ma in guisa da realizzare certi fini; e ciò in grazia dell’aveve la macchina una certa struttura. Un or-o ganismo è pure un sistema fisico, dotato d'una certa strut- tura. È vero, che gli animali danno luogo anche a dei fatti . psichici, assolutamente irriducibili ai fisici; ma qui ci pro- poniamo di parlare di quel solo accadere degli organismi, ch'è osservabile, o certo non essenzialmente inosservabile, dall’ esterno. V' è, negli organismi, un accadere fisico, la cui finalità, manifesta, è indipendente dalla psiche: la vita Rivista Filosofica. 39 606 LA FINALITÀ DELLA VITA delle piante, e quella che si. dice vegetativa negli animali, mancano d'un correlato psichico. A parte l’accadere psi- chico, pare a me, che la finalità dell’ accadere fisico ne- gli organismi si possa. come nelle macchine, riferire alla lovo struttura. Il che viene sostanzialmente ammesso, fino ad un certo segno, dello stesso R. (1). Dicono i vitalisti, che nell’ accadere organico si manifesta l’attività di certe forze, diverse da quelle riconoscibili nel semplice accadere fisico-chimico. Se questo sia positivamente accertato, non (1) Secondo il R., dalla struttura dipendono certe forze speciali, Syste- mkréfte, alle quali è dovuta l’ influenza causale della struttura (p. 40). II concetto di forza viene qui applicato molto male a proposito. Coi concetti di spazio e di tempo — di certe figure, d' una certa loro distribuzione, e d° un certo variare di questa — non si costruisce la fisica. P. es.: i centri di due sfere geometriche distinte possono venir a coincidere; ma che cosa accadrà, se due sfere fisiche si vanno incontro lungo la retta dei cecstri? Per costruire deduttivamente la fisica è necessario assumere certi postulati, ricavabili soltanto dall’ osservazione. S' intende, che le deduzioni sono con- formi all' accadere, in quanto, e finché, i postulati esprimono le relazioni effettive tra’ fatti. Il contenuto positivo del concetto di forza (o d° energia; per noi la distinzione non importa), ciò che in questo concetto vi è di ben determinato e d’ applicabile in fisica, è costituito per intiero dai detti po- stulati. I quali, e includono i concetti di spazio e di tempo (l'accadere fisico essendo spaziale temporaneo), e consistono appunto nell’ affermare certe re- lazioni tra degli elementi e la loro distribuzione, tra una distribuzione e le sue successive. Donde viene, che il supporre, oltre a certe. forze fisiche, a, db, c,..., dell'altre forze, f,, fe. ..., dipendenti dalla distribuzione delle prime, non abbia propriamente un senso; il fattore, costituito dalla distribuzione, essendo già incluso in a, db, cy... Io non faccio il processo alle frasi; ma non voglio che s°interpretino ‘alla lettera, convertendole in errori, delle frasi, giustificate soltanto dal desiderio di evitare gl’ impicci d' un linguaggio sempre e inappuntabilmente esatto. Si potrà dire, pi es.: in meccanica celeste, si deve tener conto della distribuzione degli astri, ol- treché delle attrazioni. Niente di male; purché non ci ei metta in mente, che fra gli astri operi una forza altra dall' attrazione, e proveniente dalla distribuzione; che sarebbe un supporre l° attrazione indipendente dalla di- stributione. ei sa ì LA FINALITÀ DELLA VITA 607 #0; ma posso ammetterlo, senza derogare alla mia opi- nione, che tutto quanto accade nell’ organismo di diverso dell’ accadere fisico (ad eccezione delle psichicità) non di. penda che dalla struttura. Abbiamo escluso che la vita, in quanto è risolvibile in fatti esterni, costituisca un'eccezione alla permanenza dell’ energia. Ma non è punto escluso, che la struttura determini negli organismi delle trasfor= mazioni d'energia, che siano estranee all’accadere inor= .ganico. Un pendolo oscilli liberamente; astrazion fatta dalla resistenza del mezzo, e dall’attrito nel punto di sospensione, non abbiamo qui che una trasformazione periodica reciproca di due energie, cinetica e potenziale; energie d'altra specie. non sono da prendere in considerazione. Ma se il pendolo viene a un tratto, mentre sale, ad urtare contro un osta- colo, entreranno in campo delle nuove forme d’ energia; l'energia cinetica non si trasformerà tutta in potenziale. ma parzialmente in calove. Niente vieta che, in grazia della struttura, negli organismi si formino, a spese delle loro energie fisiche in istretto senso, delle energie di specie di- versa. Le quali si potrebbero e si dovrebbero dire vitali; ma sarebbero sempre fisiche nel senso, che sarebbero il risultato d’ una trasformazione d’ energie fisiche, dovuta alla struttura; sarebbero, alla loro volta, ritrasformabili in fisiche, secondo certi equivalenti; e, insomma, se ne. dovrebbe tener conto, nel valutare la somma invariabile delle energie in un sistema chiuso. Facciamo astrazione, per ora, da tutto quanto riguarda le origini: consideriamo. un organismo nella sua esistenza di fatto, e nella sua vita. normale. L'attività dell'organismo è quella. delle forze fi-. siche accumulatevi; le quali bensì operano. in modo parti» colare, correlativamente alla struttura; potendo , anche darsi, (non l' affermo, nè |’ escludo), che in conseguenza della 608 LA FINALITÀ DELLA VITA struttuta medesima subiscano delle trasformazioni, senza esempio nel miondo fnorganico. Quest'è un punto, ché sì può dire assodato; formarsî, dell’ attività organica nelle dette condizioni, un altro concetto, è spalantare gratuita- mente la porta a delle ipotesi affatto arbitratie. Così es- sendo, non è più il caso di cercare da ché dipenda la fi- nalità della vita nelle dette condizioni. I fini, che noi ci rappresentiamo, vengono realizzati nell’ accadere dalla struttura di certi corpi, macchine ed organismi; la strut: tura sarebbe dunque l'elemento di R, corrispondente a quell’elemento di I, che è costituito dalle rappresentazioni di fini. Precisamente come il reale connettersi de' fatti (reale connettersi, che possiamo e dobbiamo affermare, quantunque non ne conoscianto il fondamento) è l'elemento di R, corrispondente a quell’elemento di /, che è costituito dalle nozioni di leggi. Ma l’analogia tra un organismo e una macchina manca in un punto essenzialissimo : la macchina è incapace di ri- parare sè stessa, e di riprodurne una simile. Perciò il R. sì crede autorizzato a supporre negli organismi qualcosa, che non ha l'analogo nelle macchine : le dominanti; che sarebbero le vere forze autoformatrici (selbstbildenden Kréfte) degli organismi. Un cervello già in essere opera per mezzo dellè energié fisiche accumulatevi, e secondo la sua struttura (1), come s’è detto; ma senza le dominanti non avrebbe potuto formarsi (p. 41). Certo: non è suppo- nibile che un cervello, nè un infusorio, si formi da sè in un mondo inorganico; ammetterlo è ammettere una fina- lità realizzata, mancando lé condizioni reali della sua réa lizzazione : un controsenso. Ma gli organismi sono forma- zioni di organismi preesistenti. La struttura, ih un ambiente (1) « Mit Systemkràften »; cfr. la nota preced. LA FINALITÀ DELLA .YITA 609 adatto, è la condizione necessaria e sufficjente della vita normale; perchè non sarebbe anche della riproduzione ? (ed eventualmente delle riparazioni *). Pretandere che la struttura non, possa, negli organismi, valere a niente di più che nelle macchine, sarebbe un trascurare la supe- rigrità quasi che infinita, rispetto alla struttura, dei primi sulle seconde. Per fabbricare una macchina, gi met- tono insieme de’ pezzi, di cui ciascuno ha ricevuto sol- tanto una convepiante forma esterna; nop s'ottiene in tal modo, che il coordinamento di gerti moti, privi d'analogia con le operazioni occorrenti a fabbricare la macchina. Un organismo, per quanto suddiviso, risulta sempre di parti, diverse profondamente dalla materia inorganica; dotate d'un’intima struttura, e d'una composizione chimica speci- ficamente caratteristiche. Ritenere, che una struttura senza confronto più fina debba essere il mezzo alla realizzazione di fini senza confronto più complessi e più armonici, non $ un perdersì in supposizioni vuote; è stare ai fatti. Del resto, se negli animali superiori, che yivono benissimo genza riprodursi, la riproduzione può sembrare un'attività essenzialmente diversa da quella, che si estrinseca nella vita normale, negli organismi inferiori vivere, p riprodursi, voglion dire press'a poco il medegimo. Una cellula sì nu- tre, cresce, si bipartisge. Non dico già, che questi fatti non siano marayigliosi, o ch'io mi senta di spiegarli. Ogni fatto è meraviglioso, € e dpi inesplicabile; senza ggcettuarne i fatti fisici più semplici. Ma il nutrirsi, crescere, bipartinsi d'una cellula, son fatti meno complicati, e quanto all’agca- dere, e quanto alla finalità, che la circolaziane del sangue. Poichè siamo d'agcordo nell ‘ammebtere, che questa abbia Rella piruttura le condizioni necessarie e sufficienti, non possiamo più ragionevolmente fupporre, che per la ripro- 610 LA FINALITÀ DELLA VITA duzione d'una cellula sian da cercare altre condizioni, es- senzialmente diverse. Tutti, senza eccezione, i fatti vitali, a cui dà luogo un organismo quanto si voglia complicato, accadono, o nelle singole cellule componenti, o tra esse cellule. Quanto accade in una cellula, è condizionato alla sua struttura, e all'ambiente; quanto accade tra più cellule è, similmente, condizionato alla struttura delle singole cel- lule, a quella del sistema, e all'ambiente. Astrazion fatta dalle prime origini, dall’apparire, non di questa cellula, o di questo mammifero, ma del pr1m0 organismo, un indizio, che l’accadere organico sia determinato da altro, che da forze fisiche, e dalle condizioni fatte ad esse dalla struttura, non si saprebbe indicare. i 6. Le specie ora viventi degli organismi ebbero un comin- ciamento : per via di creazioni dirette, o d’evoluzione ? Più che nove decimi dei moderni biologi sono evoluzionisti ; quella dell'evoluzione rimane però sempre un’ ipotesi; il trasformarsi d’una specie in un'altra non è un fatto pro- vato. L'argomento massimo, per cui riteniamo di gran lunga superiore il concetto d’evoluzione, preso nella sua forma generica (le sue più precise determinazioni, tuttavia controverse, non sono discutibili: che sul terreno stretta- mente biologico, hanno un interesse filosofico secondario, ed io non entrerò in proposito in alcun particolare), si può iidurre a questo? ‘la scienza, in ciò che ha di positivamente accertato, e la riflessione filosofica, modificarono le nostre idee ‘sul mondo @ intorno a Dio, così da escludere come incongrua l'ipotesi contraria delle creazioni dirette. Poichè il mondo fisico è abbandonato alle cause naturali, 0 a leggi = = o di < — Rina aio nn LA FINALITÀ DELLA VITA 611 affatto generali (quel che sappiamo della sua storia, non ri- vela in nessun caso l’ intervento immediato della potenza creatrice), supporre che lo stesso debba dirsi anche del mondo organico, sembra il partito più probabile, se non il solo ragionevole. E un Dio, che fa di tanto in tanto qual- cosa di nuovo, è troppo più simile all'uomo, di quanto ci sembri lecito ammettere. La creazione, per noi così limi- tati, non può essere che un mistero. Quelli stessi, che am- mettono un Dio personale, sentono, con chiarezza e con forza crescenti, che la pretensione di saper qualcosa in- torno all'atto creativo, di scinderlo in una serie di momenti e di fatti determinati, è temeraria, e opposta in fine ad un sentimento, che sia religioso con profondità. — Ma se Dio stesso ce ne ha detto qualcosa? — Io non voglio entrare in una discussione teologica : s'intende che, non entrandoci, mi credo vietate così le negazioni come le affermazioni. Che noi si possa, per fede, saper qualcosa del mondo, non escludo; cerco quel che se ne può sapere per altra via. — Ammessa l'ipotesi dell'evoluzione, ci rimangono da ri- solvere due problemi fondamentali: 1° come mai certi or- ganismi semplicissimi (forse molto più semplici, che i più semplici organismi unicellulari noti a noi) abbiano potuto, svolgendosi, dar luogo ad una così grande varietà d’orga- nîsmi complicatissimi; 2° quale possa essere stata l’ origine di quei primi organismi semplicissimi, che chiamerò germi senz'altro. Parlo soltanto di possibilità; tralasciando, come dissi, ogni discussione di particolari, ogni ricerca intorno al concreto come, così dell'origine come dell’ evoluzione dei germi. Una dottrina, che urti contro delle assolute impossibilità, che si fondi su dei principii, di cui si pro- vasse, che sono intrinsecamente inetti all’ ufficio al quale da essa dottrina vengono rivolti, sarebbe confutata, qua- 612 LA FINALITÀ DELLA VITA lunque ne fossero del resto i vantaggi, e per quanto ci apparisse coerente, astrazion fatta da quel fondamentale difetto, rimasto forse inavvertito: così p. es. un progetto di edifizio, in cui si fossero dimenticate le scale, non varrebbe niente, per quanti ne fossero gli altri pregi. Se invece i due problemi accennati ci risultassero non intrinsecamente irrisolvibili, se intravedessimo la possibilità di risolverli, tenuto conto delle loro caratteristiche essenziali, e in ac- curdo con le altre cognizioni accertate, l'ipotesi dell’ evo- luzione, senz’ essere dimostrata, conserverebbe intatto il valore, di cui s'è fatto cenno; e sarebbe lecito seguitare a lavorarvi attorno, con la speranza di cavarne un costrutto. La caratteristica essenziale ai due problemi consiste nel- l’ esser l’ uno e l’altro un problema di finalità. Un orga- nismo di una data specie si svolge, si trasforma in una specie differente. Che questo accadere sia riferibile all’ a- zione sola di cause fisiche, cioè a-finali, è senza dubbio un paradosso. L'ipotesi, che un accadere a-finale si tras- formi, per sè stesso, in finale, non sarà contraddittoria in termini; ma è tanto probabile, come che mettendo insieme a caso de' caratteri di stampa si componga la Divina Com- media; o che de' pezzi di ferro agitati promiscuamente in una cassa finiscano con l’aggregavsi in una macchina. É inutile insistere su questo punto: sul quale non mi sem- brano possibili due opinioni, quando siasi ben compreso una volta, di che si tratti. (R., pp. 142-83 : cfr. anche Hartmann: Abstammungslehre ecc., in Vierteljahrschrift ecc. pubbl. da P. Barth; a. XXIX, fascic. IJ; in ispecie pp. 239-62. Rilevo questo passo: « Nicht das ist das Wun- derbare, dass die Theile (d'un organismo) einander iber- haupt korrelativ beeinflussen, sondern Wlass sie einander so beeinflussen, dass das Ergebniss dem Zwecke des == LL - e NE fizizo= — = — LA FINALITÀ DELLA VITA 613 grosseren Ganzen dient » p. 260 sg. V. anche la Phil. d. Unbew. d. stesso A., 11 ed., P. III, pp. 333: 474). Le variazioni dell’ ambiente, la loro influenza inevitabile (me- vamente causale) sulle funzioni organiche, la possibilità che quiste sì modifichino, le variazioni accidentali, o do- vute agli accoppiamenti, nella struttura degli organismi, la correlazione (causale) tra la struttura d'un organismo e la sua composizione chimica (sopra di che il Le-Dantec ha formulato, in un libro di cui ho reso conto, una dot- trina, in gran parte ipotetica, ma degna di consider azione), ecc., ecc.: tutti questi fattori, non finali, ci rendono ra- gione benei della non invariabilità degli animali e delle piante; ma non dell’ essersi le variazioni realizzate di fatto così, da conseguire certi fini, e da render ne possibili certi altri. Un fattore finale assolutamente non è escludibile ; quale sarà È Io non vedo, perchè non potrebb' essere costituito pre- cisamente dalla struttura, includente anche la forma esterna, degli organismi che prendon parte all'accadere considerato. Il modificarsi lento, nel corso di molte generazioni, delle funzioni e degli organi, sia per adattarsi alle mutate cir- costanze, sia per svolgere con efficacia delle attitudini di- ciamo embrionali, è, in ultimo, il risultato del modo, con cuì si compiono le ponSuAle funzioni vitali. Sembra dunque che la struttura, come è bastevole ad assicurare, entro certi limiti, la finalità di queste per la vita dell’ individuo, possa riuscir bastevole ad assicurare la finalità di quelle modificazioni, sia per la perpetuazione che per lo sviluppo via via più opportuno delle generazioni successive. Senza dubbio, nè questa finalità più alta, nè quella più modesta che si riferisce alla vita individuale, non sono conseguibili, se l’ambiente non offre una certa opportunità di condizioni. 614 LA FINALITÀ DELLA VITA 2 Ma è un fatto fuori d’ ogni contestazione, che la finalità degli organismi, comunque se ne immagini il fondamento, non è conseguibile senza certe ‘condizioni dell’ ambiente : il prodotto, se ha un fattore finale, ne ha pure un altro, semplicemente causale ; circostanza, che deve metterci in guardia contro ogni esagerazione circa il valutare l' im- portanza del primo fattore. i Il problema da risolvere (non ce ne dimentichiamo!) è di procurar che il nostro concetto del mondo non sia con- traddittorio in sè stesso, nè in opposizione con alcun dato dell’ esperienza. Nel mondo valgono certe leggi, e si con- seguono certi fini. Supporre che la legge, o il fine, siano introdotti assolutamente da noi nell’accadere, non ha, come accennavamo, alcun senso. Ma non ha senso neanche il supporre, che la legge o il fine come tali, cioè i nostri concetti di legge o di fine, sian fattori dell’accadere. L'una e l'altra opinione confonde l’ oggettivo col soggettivo, R° con I. La legge di gravitazione non è, che si sappia, scol- pita nel firmamento; e fosse; che ne saprebbero gli astri? Quello, che il tubo gastroenterico sa dei fini della dige- stione. Dobbiamo dire, esservi nel mondo qualcosa di cor- rispondente al nostro concetto di legge, e qualcosa di cor- rispondente al nostro cuncetto di fine. Qualcosa ; ma che cosa ? Nessuno può vantarsi di saperlo; ma, insomma, per quello a che possono arrivare le nostre osservazioni e i nostri discorsi, abbiam concluso, ‘che in tanto valgono dellé leggi, in quanto il mondo ha una certa configurazione, e In tanto si conseguono certi fini da certi esseri, in quanto questi sono dotati d'una certa struttura (e vivono in un certo ambiente). Struttura, e configurazione, “son elementi osservabili (1), evidentemente connessi col fine, 0 rispettiva» (1) Ea analoghi: come analoghi sono i concetti di legge e di fine, che rientrano entrambi in quelio d° ordine. Nei movimenti dei corpi celesti noi LA FINALITÀ DELLA VITA 615 mente con la legge: non abbiamo alcun motivo, per dubitar che siano i corrispondenti oggettivi, di cui andiamo in cerca; di più: il solo formular questo dubbio costituisce un’ ipo- tesi, che presentemente almeno apparisce avventata e priva di senso. | ci Ammettere, che se nella realtà valgono certe leggi, e si conseguiscono certi fini, quelle valgano, e questi si con- seguiscano, perchè certi ‘elementi (energie, forze, particelle materiali, o monadi spirituali; al proposito presente nori rileva) danno luogo a de’ fatti tra i quali v'è una connessione necessaria; in altri termini, che l’accadere sia riferibile a delle cause, e soltanto a delle cause; non significa punto, come da molti erroneamente si crede, che quel tal quale ordine, che nell’accadere ci si manifesta, sia dovuto al puro e seraplice caso. De’ fatti, durante un intervallo di tempo, si succedono in un certo ordine, perchè, al principio di quell’intervallo, il mondo aveva una certa configurazione. L’aveva in seguito ad un accadere precedente ; ma questo accadere precedente s'era pur esso realizzato in un mondo, che aveva una certa configurazione ; quindi, ci dovette es- sere un qualche ordine anche nell’accadere precedente. L'ordine successivo non è, dunque, fortuito ; è, semplice- mente, un effetto, ma di cause, che non erano assoluta- non vediamo che leggi (semplice causalità), perché non ce ne importa, se non in quanto c’importa che il nostro mondo non vada sottosopra. Nei pro- cessi vitali rileviamo invece dei fini, perché c° importano direttamente. E perché vediamo che non si compiono sempre ugualmente bene. Ma, se le no- Stre osservazioni astronomiche fossero abbastanza estese nello spazio e nel tempo, vedremmo probabilmente, che nemmeno le leggi relative non sono senza eccezioni. | 616 LA FINALITÀ DELLA VITA mente disordinate, che, oltre ad esistere, erano sistemate così ‘0 così; è insomma il risultato d'un ordine anteriore. Che, alla sua volta, era il risultato d’uno ad esso anteriore; e così di seguito, senza fine. L'ordine, io non lo sopprimo; né presumo di spiegarlo. Chi presume di spiegare l'ordine, cioè di spiegarne il cominciamento, presuppone di necessità un mondo inizialmente in assoluto disordine. Io ammetto, che un mondo inizialmente affatto disordinato (dato, e non concesso, che questa frase non sia vuota di senso) non si sarebbe ordinato mai; ma escludo, che ad uno stato iniziale del mondo sia possibile risalire, scientificamente. « Nel fatto, niente di quanto accade nell'universo è spie- gabile se non presupponendo un universo con lo stesso grado di complessità, che ora vi osserviamo. Il vero dato, l’unico dato, è precisamente un universo infinitamente vario e complesso, le forme del quale non ammettono altra spiegazione, fuor di quella che si ottiene riconducendole ad altre forme dell'universo medesimo ; che si va rimutando senza posa, perchè si è andato sempre rimutando; che pro- duce in sè una varietà estrema di cose e di fatti, perchè è sempre stato, è essenzialmente, un insieme estrema- mente vario di cose e di fatti » (1); e che ammette ora un qualche ordine, perchè un qualche ordine ha sempre ammesso. Seguendo il medesimo discorso, potremo dire addirittura, che il mondo ammette la vita, con le sue fina- lità, perchè ha sempre ammesso una qualche vita; ed avremo, del problema concernente la vita, una soluzione, forse la più probabile. E che non implica punto l’ ipotesi degli organismi ignei del Fechner ; perchè le trasmigrazioni dei germi attraverso gli spazi non sono intrinsecamente (1) Trascrivo questo brano da un miu vecchio libro: Scienza e opinioni, pag. 202.4. i LA FINALITÀ DELLA VITA 617 più difficili, che le migrazioni delle piante sulla superficie terrestre. Senza contare che, in un mondo, nel quale c'è un qualche ordine, la formazione di germi dalla materia inorganica, in certe condizioni, forse non è assolutamente da escludere; la finalità della vita non essendo (come s'è | avvertito più sopra in una nota) che un caso particolare dì quell’ordine, di cui le leggi fisiche rappresentano un altro caso particolare. Io non cscludo per un partito preso, nè assolutamente, che le idee, in particolare quelle d'ordine e di fine, abbiano influenza sull’accadere. Per mettere insieme questo articolo, io dovetti leggere un libro, appuntare le mie riflessioni, e rielaborare la materia così accumulata. Riferire tuttociò a delle semplici cause, diverse quanto si voglia dalle fisiche, ma indipendenti da ogni finalità, sarebbe il colmo dell’as- surdo. L'articolo, io l'ho scritto perchè avevo qualcosa da dire, e da far capire. Le idee di questi miei fini ebbero, nella composizione, una parte essenzialissima ; io ho cancel- lato, aggiunto, variato l'ordine d'alcune parti, unicamente in servizio dei detti fini. Laddove nella stufa la legna non muterebbe il suo bruciare se, per una qualsiasi circostanza, l’effetto, invece che il riscaldamento della stanza, risultasse l’incenerimento delle mie carabattole. Le idee di fine, in generale i pensieri, servono di certo. Benchè sia vero, che se in ordine all’ interferenza tra pensieri e fatti vogliamo formavci un concetto non contraddittorio, cioè non appa- garci di parole, dovrem superare la difficoltà, toccata più addietro (v. s. p. 604), e costituita dalla perinanenza dell’ener- Gia fisica; sopra di che non dirò altro per questa volta. Che le idee servano a qualcosa, è fuor di dubbio; per quanto possa essere difficile farsi una nozione chiara del come servano. Ma le idee, che servono, o vogliam dire che do- 618 LA FINALITÀ DELLA VITA minano, sono le pensate da noi, cioè i pensieri nostri. E un soggetto analogo a me, il mio cuore, perchè il suo palpito sia regolato, a mia insaputa, dall'idea d'un fine? — Il fatto, che il suo movimento è così regolato, prova che l'idea di fine concorre a vegolarlo: un’ idea inconscia. — Già: un'idea inconscia. Vale a dire qualcosa, che da un soggetto sarà concepito come un’idea di fine; ma che nel cuore, in tutto il relativo accadere (a parte la concezione, punto es- senziale, che se ne formi un soggetto) è altra cosa, che l’idea quale potrebb' essere concepita dal soggetto. Altra cosa: tutti ne convengono, poichè nessuno afferma, che il cuore si regoli secondo un effettivo pensiero. L'aggettivo inconscia, connesso col sostantivo idea, ne muta il signifi. cato; inevitabilmente, perchè le idee, che sian tali sic et simpliciter, non sono inconscie, costituiscono anzi tutto quanto vi è di più e di meglio conscio. Un’ idea inconscia è dunque senza dubbi qualcosa d'altro, che l’idea propria- mente detta: che altro? E lo domandate? È il correlato in R di quell’elemento di I, ch'è l’idea; poichè l’afferma- zione vostra, che l’idea risiede in qualche modo in A, non ha fondamento nè senso fuorchè questo : che la vostra no- zione di R non è possibile senza quell’ idea. Qual'è, in A, il correlato dell'idea ? L'osservazione prova, che mutando in un reale ciò, che si dice secondo i casi configurazione 0 struttura, bisogna poi mutare l’idea, secondo cui si conce- pisce quel reale; dunque il correlato, o vogliam dire l’ idea nel suo stato d’incoscienza, è la configurazione 0 la strut tura. LA FINALITÀ DELLA VITA 619 Per stabilire con prontezza una distinzione importante, io accettai più addietro ($ 2) l'ipotesi, che tanto Z quanto R siano formazioni in un S, fondamento o substrato di tutto l’ accadere. Qualcuno, prendendo Ie mosse da questa ipotesi, potrebbe ora oppormi: — ciò, che voi chiamate configurazione, o struttura, e che in A vi apparisce con queste forme, non è daccapo che un’idea in S. — E sarà. Ma dell’ esistenza di S vi è, nell'esperienza fisica o nella psichica, nel pensiero e in quel che sappiamo delle sue con- dizioni, una prova o un indizio? — La connessione causale de’ fatti — ci dicono — è inesplicabile, se non ammettendo | che i fatti abbiano un fondamento o un centro comune. — Ma, domando io, se n° è forse trovata la spiegazione, per mezzo d' un S comunque concepito ? Ci fu detto bensi, che la spiegazione, a questo modo, è possibile, o bella e sco- perta; ma a questo si riduce tutto quanto ci fu detto: e la spiegazione effettiva rimane sempre un pio desiderio. Noi non conosciamo, nè S, nè come i fatti vi si radichino ; la speranza di venir, con queste meditazioni, a capo di qualcosa, è dunque vana del tutto. Ammettendo S, divien possibile concepire un'idea, fuori della coscienza d'un uomo, e d’ogni soggetto particolare analogo all’ uomo? Sicchè sia lecito attribuir una realtà a delle idee, considerate ogget- tivamente? Si; a condizione per altro, che S venga con- cepito come un soggetto consapevole. Perchè, se S è in- conscio, se ne può e se ne deve dire, per questo verso, quel medesimo che di R. Nella realtà osservata l’idea non Gsiste, come idea; non può esservi che ur qualcosa di cor- rispondente. Questo ,. non perchè la realtà sia osservata, 620 LA FINALITÀ DELLA VITA ma perchè è inconscia; infatti, noi non abbiamo difficoltà ad ammettere delle idee come tali nel pensiero d'altri uo- mini, benchè l esistenza di questi ci risulti dall’ osserva- zione. Ora, se S è inconscio, come R, non può contenere, più di PR, l’idea come tale, ma soltanto un qualcosa che le corrisponda. Con l'introduzione di S non si è dunque fatto un menumo passo avanti; per la realizzazione del- l'ordine (legge o fine), siam ridotti a doverci contentare d'un qualcosa di corrispondente all'idea, lasciando in di- sparte l’idea; l'ipotesi di S apparisce tanto oziosa, quanto la pura e semplice sovrapposizione del simbolo S al sim- bolo R; tant'è, che abbandoniamo addirittura il concetto inutile di .S, e che stiamo al solo A. Rimane da considerar l' ipotesi, che S sia un soggetto cosciente. L'ordine, se fondato in idee (vere idee) di leggi e di fini, regolatrici del mondo in quanto pensate da un Creatore sapiente e buono, sarà assoluto e invariabile ; se fondato su delle configurazioni, che mutano, e ciascuna delle quali ha una sfera d'azione limitata, sarà soltanto relativo e precario. Ebbene : l’ ordine, che osserviamo nel mondo, è assoluto e invariabile, o relativo e precar 10? La risposta non è difficile. Patagonando le condizioni presenti e le passate dell’ umanità, sembra innegabile un perfezio- namento ; ed è fors’ anche lecito assumere che questo per- (/iotamenta sia per continuare, e per intensificarsi. L’ipo- tesi,. che tra qualche secolo, o tra qualche millenio, la terra sia popolata per intiero di galantuomini, abbastanza intelligenti, e abbastinza paghi della loro sorte, non sembra da escludere come assolutamente fantastica. Un tale stato di cose non potrà, in ogni modo, perpetuarsi. Muore ogni animale ; morirà di cer to anche il genere umano; e tutto l'immenso lavoro, da esso compiuto fin dalle sue origini, LA FINALITÀ DELLA VITA 621 sarà come non fatto. Senza dubbio, la vita, sotto varie forme, si perpetua; ma le sue evoluzioni faticose e dolo- rose non si connettono con continuità. Che l’ universo tenda verso un fine desiderabile, non sembra. E un'anima, ‘che dovesse attraversare l'un dopo l’altro i cicli vitali d'una serie senza termine, rimanendo conscia della sua identità, e memore del passato, non potrebbe che sentirsi condannata ad un atroce supplizio. Se c'è, nel mondo, un ordine invariabile ;:e non è certo, nè forse probabile, che vi sia) si riduce a qualche legge fisica, priva di qualsiasi pregio; come p. es. quella di gravitazione, che potrebbe variare senza inconvenienti, purchè variasse con sufficiente lentezza. Motivi seri per credere che le configurazioni, essendo precarie, siano insufficienti a mantener nel mondo quell’ordine, che vi osserviamo, e ch'è del pari precario, non sono assegnabili. Per dimostrare teleologicamente l' e- sistenza di Dio, bisogna considerare un tutt’ altr” ordine, da quello rivelatoci dall'esperienza scientifica. Sentire Dio, è sentire un fine, al di là di questo mondo. B. VARISCO. Iivista Filosofica. 40 CONDIZIONI D' ABBONAMENTO —>>>aoec©€ La Rivista Filosofica si pubblica in cinque fascicoli, - ciascuno di 144 pp. circa, formanti un sol volume, non in- feriore a 720 pp. e quindi pari in complesso ai due volumi che venivano pubblicati dalla Azvista italzana di Filosofia. Il 1° fascicolo esce alla fine di Febbraio, il 2° entro Aprile, il 3° entro Giugno, il 4° entro Ottobre, il ‘5° entro Dicembre. dT ABBONAMENTO ANNUO Poesia; Gdo £ Ci + doi Per l'Estero . . . .. ..,> 14. — = ) Un fascicolo separato. . . . . >» 3. L'abbonamento si paga anticipatamente e si puo anche dividere in due rate uguali, la prima da payarsi appena ricevuto il primo fascicolo l'altra non più tardi del mese di Giugno. ZE La Rivista mantiene anche per l’ entrante. annata le condi- zioni di pubblicazione e di abbonamento degli anni precedenti, ed entrerà col prossimo fascicolo nel suo VIII anno di vita colla fiducia di poter giovare all’ intento massimo che si è proposto, quello cioé di promovere senza criteri esclusivi gli studi filosofici in Italia e difendere la causa della filosofia nel nostro ordina- mento scolastico. Te - Per le bozze, per gli estratti e la spedizione dei fascicoli rivolgersi sempre alla Tipografia Successori Bizzoni. «Jo. I corrispondenti e collaboratori sono pregati di rivol- gersi alla Direzzone della Rivista Filosofica, Va Cardano 4, Pavia, per tutto ciò che concerne la redazione del Giornale. I manoscritti non pubblicati, salvo impegno contrario, non si restituiscono. se La Rivista annuncia tutte le pubblicazioni nuove che le sono spedite in dono e fa di regola una recensione di quelle che riceve in doppio esemplare.

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